tesi Pina Bausch

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tesi Pina Bausch
UNIVERSITAʼ CATTOLICA DEL SACRO CUORE
DI MILANO
FACOLTAʼ DI LETTERE E FILOSOFIA
LE POETICHE TEATRALI DEL NOVECENTO:
PINA BAUSCH
Relatore: Chiar.mo Prof.
Annamaria Cascetta Tesi di laurea di:
Giovanni Lampugnani
matr. 1942134
ANNO ACCADEMICO 1990/91
INDICE
Prefazione
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4
Capitolo 1
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5
UNA DESCRIZIONE DELLA BIOGRAFIA, DELLA PRODUZIONE E DEL METODO CREATIVO DI PINA
BAUSCH: LE POSSIBILI ASCENDENZE CULTURALI DEL SUO TEATRODANZA: LA TEORIA, LA STORIA ED IL PANORAMA CONTEMPORANEO DEL TANZ THEATER TEDESCO.
1.1 Un profilo biografico
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5
1.2 Lʼimponente e costante nel tempo produzione artistica di Pina Bausch
1.2.1 I primi passi e lʼesordio a Wuppertal
1.2.2 Le sacre du printemps: il suo capolavoro
“classico” 1.2.3 Verso un nuovo teatrodanza: prende forma il metodo Bausch 1.2.4 Una realtà consolidata: gli spettacoli degli anni ottanta
1.2.5 Die Klage der Kaiserin: il primo film di Pina Bausch.
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1.3 Il metodo Bausch 1.3.1 Il Wuppertaler Tanztheater al di là della
danza
1.3.2 Un esempio ed una testimonianza 1.3.3 Comʼè articolato il metodo Bausch? 1.3.4 i danzatori e il metodo
1.3.5 Il demiurgo Bausch p.
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1.4 Ascendenze culturali
1.4.1 La danza espressionista 1.4.2 Bertolt Brecht e Pina Bausch 1.4.3Il teatro totale di Bob Wilson e Meredith Monk 1.4.4 il cinema tedesco di regia femminile negli anni settanta e ottanta
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1.5 Teatrodanza: un genere artistico determinato?
Aspetti storico-sociali e panorama contemporaneo
1.5.1 Fondazione teorica di una nuova categoria
1.5.2 Il panorama contemporaneo 1.5.3 Le radici storico-sociali 1.5.4 Tanz Theater: i primi passi
1.5.5Protagonisti tedeschi contemporanei:
H. Kresnik, G. Bohner, S. Linke e R. Hoffmann 1
Capitolo 2
p.
145
PALERMO PALERMO: LʼULTIMA GRANDE PRODUZIONE DEL WUPPERTALER TANZTHEATER
2.1 Genesi dello spettacolo p.
145
2.2 Il Wuppertaler Tanztheater a Palermo
p.
146
2.3 Domande, temi, appunti delle prove
p.
147
2.4 Lʼallestimento vero e proprio: Palermo Palermo prende forma p.
153
2.5 Per unʼanalisi profonda dello spettacolo p.
155
2.6 Sviluppo globale del testo spettacolo
p.
158
2.7 Trascrizione grafica di un segmento-campione
p.
181
2.8 Lettura verticale del segmento-campione
p.
189
2.9 Fase di ricomposizione: individuazione di un tema-guida p.
198
2.10Spie della sensualità trasgressiva di Pina Bausch presenti nel segmento-campione
p.
200
2.11 Un tema guida per lʼintero spettacolo: tutto ciò che “si mangia” in Palermo Palermo
p.
204
2.12 Sviluppo del tema-guida attraverso il piano intimistico-biografico p.
207
2.13 Attraverso il piano storico-sociale p.
213
2.14 Attraverso il piano mitico-simbolico
p.
217
2.15 Palermo Palermo: conclusioni
p.
220
2
Capitolo 3
p.
228
IL TANZ THEATER DI PINA BASUCH: LINEE DI TENDENZA E POSSIBILI EVOLUZIONI
3.1 Il teatrodanza di Pina Bausch cerca la natura p.
228
3.2 Tre tendenze degli anni ottanta
3.2.1 Riallestimenti di vecchi spettacoli
3.2.2 Voglia di danzare 3.2.3 Altre coproduzioni in vista p.
p.
p.
p.
232 232 233 235
3.3 Il Wuppertaler Tanztheater insegue la naiveté p.
237
3.4 Il futuro della Bausch e del Tanz Theater p.
239
3.5 Ancora sule metodo Bausch: i danzatori sono interpreti o creatori? p.
241
3.6 I modi e gli esiti del “cosmopolitismo” della coreografa di Solingen p.
245
ORGANICO DEL WUPPERTALER TANZTHEATER NELLA STAGIONE 1989/1990 p.
248
TEATROGRAFIA p.
249
VIDEOGRAFIA p.
252
BIBLIOGRAFIA p.
254
ARTICOLI DI QUOTIDIANI E RIVISTE p.
258
APPENDICE: Diario di un soggiorno di studio
p.
261
a Wuppertal
3
PREFAZIONE
Nel panorama poetico-teatrale contemporaneo sempre più aperto a nuove
forme espressive il Tanz Theater tedesco rappresenta una realtà artistica
ormai consolidata. Lʼesperienza del Tanz Theater affonda le sue radici nei primi anni settanta e
la sua caposcuola indiscussa è Pina Bausch, intorno alla spiccata personalità
della quale abbiamo incentrato il nostro studio.
Abbiamo descritto nel primo capitolo le vicende della sua vita, la sua imponente produzione artistica e il suo particolare metodo creativo; abbiamo quindi
inserito una serie di studi monografici riguardanti le sue possibili ascendenze
culturali seguiti da un tentativo di teorizzazione della relativamente nuova
categoria di teatrodanza a da uno sviluppo delle radici storico-sociali di
questo fenomeno artistico, corredato da alcuni studi specifici sulle altre
personalità di spicco del Tanz Theater contemporaneo.
Il secondo capitolo e costituito da una monografia riguardante lo spettacolo
Palermo Palermo, ultima creazione di Pina Bausch, risalente al gennaio 1990.
Il terzo e ultimo capitolo vuole riassumere e puntualizzare in uno sguardo
dʼinsieme gli elementi emersi nei primi due. In appendice abbiamo allegato il diario del mio breve soggiorno a Wuppertal
(nellʼaprile del 1990) dove dal 1973 risiede e lavora Pina Bausch insieme alla
sua compagnia, il Wuppertaler Tanztheater.
4
Capitolo 1
UNA DESCRIZIONE DELLA BIOGRAFIA, DELLA PRODUZIONE E DEL
METODO CREATIVO DI PINA BAUSCH: LE POSSIBILI ASCENDENZE
CULTURALI DEL SUO TEATRODANZA: LA TEORIA, LA STORIA ED IL
PANORAMA CONTEMPORANEO DEL TANZ THEATER TEDESCO.
1.1 UN PROFILO BIOGRAFICO
Pina Basuch nasce a Solingen, nel Nord della Germania, nel 1940. I suoi
genitori gestiscono un piccolo ristorante albergo (la cui atmosfera colpirà
profondamente la sua immaginazione di bambina) dove la Bausch trascorre
buona parte della sua giornata: “Ricordo che non parlavo molto, ero una bambina timidissima: vivevo in
questo ristorante bellissimo... un ristorante può essere un luogo meraviglioso
per una bambina: cʼera sempre tanta gente e succedevano molte cose strane. Eʼ un background che non ho mai voluto perdere. Qualche volta ero triste, ma non so perché. Era una sensazione, una
nostalgia di qualcosa...”. (1)
Pina incomincia a studiare danza giovanissima, quasi per caso:
“Nel Nostro ristorante venivano spesso a mangiare persone che lavoravano
in teatro. Io ero sempre li a giocare, a saltare, a muovermi e ballavo sulla
musica leggera, ma senza aver visto mai ballare nessuno. Dicevano che
avrebbero voluto portarmi in teatro, nel balletto per bambini e un giorno mi ci
portarono...”. (2)
(1) (2) BENTIVOGLIO L., Il teatro di Pina Basuch, Ubu Libri, Milano, 1985, p. 11.
Tra le diverse interviste prese in considerazione quella contenuta nel volume di
Leonetta Bentivoglio, ci è sembrata la più esaustiva: in questo profilo biografico vi
faremo spesso riferimento.
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La bambina comincia così a studiare balletto e presto le vengono affidati
piccoli ruoli nelle opere, nelle operette e nelle serate di balletto: intanto va a
scuola:
“Poi a una certa età quando ho cominciato a chiedermi cosa avrei voluto fare
da grande, beh, allora era molto chiaro... Era il teatro, naturalmente”. (3)
A quattordici anni Pina Bausch entra nella celebre Wolkwang-schule di Essen
quotatissima scuola statale dove era possibile studiare a fondo e professionalmente tutte le arti. Lʼormai adolescente Bausch decide di studiarvi danza e di allontanarsi dalla
nativa Solingen per stabilirsi a Essen come interna:
“Per la danza il programma era molto ampio: si studiavano la danza classica,
i differenti tipi di tecniche moderne, tutti i generi di folklore europeo, molte
materie teoriche e anche composizione, ossia classi in cui gli allievi venivano
stimolati a essere creativi. E in tutte queste cose ero molto attiva, molto
coinvolta”. (4)
La giovane Bausch era tanto coinvolta che per i buoni risultati ottenuti le fu
riconosciuta una borsa di studio per un periodo a New York:
“Partiti a diciannove anni senza conoscere una parola di inglese: Non sapevo
(3) BENTIVOGLIO L., Il teatro di..., p. 12
(4) ibi., p. 12
6
neanche dove avrei abitato a New York...”. (5)
il soggiorno americano costituisce per la Bausch una tappa professionale e
umana importantissima: sola nella “Grande Mela” la giovane danzatrice
tedesca danza forsennatamente: studente della celebre “Julliard School of
Music”, si misura con maestri del calibro di Josè Limon, Antony Tudor, Alfredo
Corvino. Presto comincia a lavorare nella “Dance Company Paul Sanasardo e Donya
Feuer”, e lʼanno successivo viene scritturata sia dal “New York American
Ballet” che dal “Metropolitan Opera” di New York, con il grande coreografo
Paul Taylor:
“Credo che quei due anni siano stati fondamentali per tutta la mia vita.
Non soltanto perché a New York ho lavorato e studiato molto seriamente, con
molti insegnanti e coreografi e non soltanto perché ho avuto la possibilità di
vedere moltissimi spettacoli: è la sensazione di New York che è diversa da
qualsiasi altra città. Eʼ una sensazione percepibile soltanto nelle città molto
povere, oppure talmente grandi che è impossibile organizzarle per la sopravvivenza di tutti i loro abitanti. E allora in questa situazione è come una giungla.
(5) BENTIVOGLIO L., Il teatro di...., p. 12
7
Al tempo stesso cʼè un enorme sensazione di libertà a New York, perché tutti
sono soli e perché cʼè di tutto... E se ti senti strano, li non ti senti più strano,
perché ci sono molte altre persone come te.” (6) Il sogno americano della Bausch si interrompe però improvvisamente: il suo
primo amatissimo maestro Kurt Joos, che a Essen le era sempre stato vicino,
la richiama in Germania:
“Kurt Jooss mi aveva scritto chiedendomi di tornare: aveva trovato i soldi per
ricostruire una piccola compagnia (il Folkwang Ballet) e avrebbe voluto che io
tornassi per danzare nel suo nuovo gruppo: la decisione fu molto dura, ma
ritornai”. (7) Lo shock del ritorno in patria fu duro per la Bausch:
“Quando ritornai in Germania sentii parecchia fiacca nel gruppo. Sembrava
tutto troppo comodo e i loro ritmi erano troppo differenti dai miei: io, per due
anni, a New York, avevo sempre lavorato come una pazza, giorno e notte...
Poi finalmente incontrai Jean Cébron (8) e finalmente trovai qualcuno che era
come me, anzi, era peggio di me... un lavoratore incredibile. Lavoravamo
insieme molto intensamente e per me fu davvero importante.
(6) (7) BENTIVOGLIO L., Il teatro di... p. 12 (8) Jean Cebron, ballerino e coreografo di valore internazionale tuttora insegnante
alla Wolkwangschule di Essen.
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Nello stesso periodo ho lavorato molto con il mio maestro Kurt Jooss e con
Hans Zullig, e ho danzato come ospite per Luca Hoving e per Antony Tudor.
Tutte esperienze fondamentali, che mi hanno insegnato molto sul movimento.
In quegli stessi anni aiutavo Kurt Jooss: ero una specie di sua assistente non
ufficiale. Per esempio facevo i programmi per la compagnia, oppure qualche
volta dirigevo le prove del gruppo al suo posto: e intanto insegnavo nella
scuola.” (9) Superato lo shock del rientro in patria, Pina Bausch vive quindi un altro
periodo fecondissimo di esperienze. Ed è proprio in questo periodo che il
prediletto Jooss le dà la possibilità di cominciare a coreografare: e già nel
1969 Pina Bausch vince il primo premio al secondo Concorso Internazionale
di Coreografia di Colonia:
“In realtà non pensavo affatto di voler diventare coreografa. A quel tempo
volevo danzare e mi sentivo un poʼ insoddisfatta come ballerina. Così mi sono
detta: forse è il caso di provare a fare qualcosa per conto mio, perché avevo
voglia di ballare di più, molto di più. Eʼ stato questo lʼunico motivo per cui
decisi di tentare, la prima volta”. (10)
Dal 1969 al 1973 diresse il Folkwang Tanzstudio, che ebbe una funzione
insostituibile nella nascita del Tanz Theater: la Wolkwangshule, dove la Bausch
(9) BENTIVOGLIO L., Il teatro di..., p. 12
(10) ibi, p. 12
9
aveva studiato e dove insegnava da tempo, dava la possibilità a giovani
ballerini e aspiranti coreografi di creare e lavorare in uno spazio alternativo
in grado di allestire piccole produzioni: il Folkwang Tanzstudio, appunto. Pina
Bausch può così coreografare senza la responsabilità di grandi produzioni e
sperimentare cose nuove con danzatori sufficientemente professionali.
Lʼinstancabile artista di Solingen comunque nonostante i suoi impegni di
insegnante e coreografa, continua a danzare e a viaggiare danzando: è
ospite di diverse compagnie di importanti festival internazionali: il Rotterdam
Dans Centrum (1970), la Dance Company Paul Sanasardo (1972), il Dance
Festival di Saratoga (1972).
Nel 1973 la grande svolta: Pina Bausch soltanto trentatreenne è nominata
direttrice e coreografa della compagnia del Wuppertaler Buhnen
ridenominatasi per lʼoccasione Wuppertaler Tanztheater. Questa condizione
stabile di direttrice di un apparato statale con buone possibilità economiche e
programmi precisi consente a Pina Bausch di lavorare con continuità e
tranquillità, anche se i suoi forsennati ritmi di lavoro possono difficilmente
essere definiti tranquilli. Dal 1973 ad oggi la Bausch è sempre rimasta a
Wuppertal, dove ha prodotto un numero di spettacoli imponente; il suo
Tanztheater ha conquistato le ribalte di tutto il mondo. Intorno a se ha un
gruppo di fedelissimi danzatori e soprattutto una grande pressione pubblica
e artistica, perché tutti vorrebbero sapere, vorrebbero capire, vorrebbero
dare ordine e collocazione allʼinquietante “fenomeno Bausch”.
10
1.2 LʼIMPONENTE E COSTANTE NEL TEMPO PRODUZIONE ARTISTICA DI PINA BAUSCH
1.2.1 I primi passi e lʼesordio a Wuppertal
Pina Bausch comincia a coreografare giovanissima, fin dal 1962, quando nella
ricostituita compagnia di Kurt Jooss (Folkwang Ballet) interpreta ruoli di
danzatrice solista. Più volte la Bausch sottolineerà quanto Jooss stimolasse
la sua creatività piuttosto che la sua tecnica. In questi anni le prime coreografie della danzatrice nativa di Solingen
rispettano lʼimpianto ballettistico tradizionale.
Nel 1969, assunta la direzione del Folkwang Ballet, vince il concorso coreografico di Colonia e negli anni seguenti crea i suoi primi balletti di largo respiro,
(Fragment, 1971, il Baccanale del Tannhauser di Wagner, 1972).
La grande svolta avviene nel 1973, quando Arno Wustenhofer, Sovrintendente
del Teatro di Wuppertal, la chiama a dirigere il neonato (creato per le)
Wuppertaler Tanztheater. Spiega Wustenhofer: “Pina a Wuppertal, oh Dio! Allora, quando la portai sulle scene di Wuppertal,
era il suo primo ingaggio in assoluto, ci fu una vera rivoluzione di palazzo.
In teatro Pina non venne accettata ed era attaccata da tutte le parti.
Dovevo proteggerla in tutti i modi. Dopo alcuni mesi molti danzatori volevano
11
lasciare il teatro. Il pubblico faceva la fila per uscire dal teatro, oggi fa la fila
per entrarvi. Lei non può immaginare: Fritz, la prima creazione di Pina, al teatro
cittadino. Quello che sino ad allora Pina aveva fatto con il gruppo di Folkwang
era noto solo vagamente. Alla Folkwangschule andavano solo maestri di
danza, che non sono un pubblico normale.
Di solito le persone che vanno a una serata di balletto vogliono vedere in
realtà solo immagini oniriche, come il Lago dei cigni o Giselle, non gli incubi
figurativi di Pina Bausch. Prima di decidermi in favore di Pina, ho voluto
provarla. Insieme al suo gruppo le ho fatto fare la coreografia per una première
e poi anche il Baccanale del Tannhauser. Poi con finanziamenti del WDR ho
ingaggiato nel Wuppertaler Ballet di allora anche il Balletto di Folkwang.
In questo modo Pina disponeva di trenta danzatori e io potevo vedere se
anche in un grande spazio riusciva a raggiungere una forma artisticamente
compiuta. Solo allora le ho offerto il contratto, lei ha esitato a lungo chiedendosi
“Ma cosa vengo a fare io in una fabbrica come questa?” Lʼho sottoposta a
una corte serrata che alla fine ha avuto esito positivo”. (11)
(11) Arno Wustenhofer, Sovrintendente del Teatro Wuppertal dal 1964 al 1975,
intervista del 28.02.1985 in SCHLICHER S., Lʼavventura del Tanz Theater, trad. it.
Palma Severi, Costa e Nolan, Genova, 1989
12
Non appena insediata nella nuova condizione di direttrice di un importante teatro
pubblico a Wuppertal, la Bausch comincia a lavorare a grandi ritmi (caratteristica
sua peculiare): i problemi sono tanti, come sottolinea sopra il Sovrintendente,
ma Pina Bausch si conquista a poco a poco la fiducia dei danzatori. Quanto
alla struttura del “teatro municipale-fabbrica” (un numero fisso di produzioni
annue), vi si abitua suo malgrado e nel tempo, questa condizioni contribuirà
forse a mantenere costantemente viva la sua vena creativa.
La Bausch, nel suo primo contatto con un vasto pubblico (la presentazione
del Baccanale del Tannhauser) aveva riscosso critiche estremamente positive
coreografando in maniera abbastanza tradizionale, anche se con molta forza
ed energia e con uno stile molto personale; il pubblico, che temeva dalla
giovinezza e dalla formazione eterogenea di Pina Bausch esiti molto più
sconcertanti, applaudì rassicurandosi.
Nonostante un critico Jochen Schmidt abbia già voluto vedere in questo suo
lavoro, come in quelli giovanili precedenti, “elementi di non-danza, ossia
teatralrealistici non classificabili allʼinterno del contesto linguistico della danza
moderna tradizionale”. (12)
(12) Notazione di Jochen Schmidt riportata da Leonetta Bentivoglio in Il teatro di...,
p. 41 (non riferita a nessun testo specifico).
13
In realtà lʼeffetto prodotto fu di un opera di danza moderna ben articolata e
solida, ma certamente non rivoluzionaria. Al contrario la sua prima produzione
ufficiale per il Teatro Wuppertal (Fritz, 1974), rappresentò uno shock per tutti:
la coreografia venne letteralmente fatta a pezzi dalla critica tedesca, che la
definì una sorta di “scivolata creativa” della giovane coreografa.
Lʼopera attraverso immagini di tipo surrealistico evoca il mondo dellʼinfanzia,
che come vedremo ha sempre rappresentato per Pina Bausch un infinito
serbatoio di immagini cui attingere a piene mani. La Bausch fa però presto dimenticare queste prime incomprensioni, e il lavoro
successivo, Ifigenia auf Tauris (13), verrà premiato dalla stampa tedesca con
il titolo di “miglior spettacolo dellʼanno” (1974). La musica di Gluck è il filo
conduttore di questʼopera danzata; il cast comprende tra i protagonisti alcuni
danzatori che diventeranno “colonne portanti” del Wuppertaler Tanztheater:
la bella francese Malou Airaudo nei panni di Ifigenia e Dominique Mercy,
duttilissimo danzatore anchʼegli francese, in quelli di Oreste; altri ruoli di rilievo
sono interpretati dallʼolandese Ed Kortland (Pilade) e dalla procace australiana
Josephine Ann Endicott (Clitemnestra).
(13) Ifigenia in Tauride, Wuppertal 21.04.1974
14
Il segno coreografico di Pina Bausch è netto e preciso: alcuni elementi della
mitologia di Martha Graham (14), vengono fusi in uno stile personale.
Il movimento è fluido e lʼuso delle braccia e del torso è esaltato, secondo la
tradizione della danza moderna.
Nel dicembre del 1974, la Bausch presenta unʼaltra serata: metterà in scena
questa volta due coreografie: Ich bring dich un dir Eicke... (15), su musica da
ballo e canzoni dʼaltri tempi e Adagio. Funf Lieder von Gustav Mahler (16).
Diversi sono gli elementi nuovi che emergono in questo spettacolo: nella
prima coreografia la Bausch si misura per la prima volta con una colonna
sonora “collage” di canzoni popolari. Gli stessi danzatori cantano in scena;
appare un mondo quotidiano, che vuole rappresentare le relazioni tra coppie;
affiora la critica sociale, lʼumorismo amaro, la denuncia di una condizione
femminile difficile. Per una trentina di minuti si alternano “numeri chiusi”,
struttura collaudata dalla rivista popolare. La seconda parte della serata
propone invece le musiche mahleriane danzate in maniera più ortodossa,
quasi che tutti gli elementi nuovi del lavoro precedente andassero “bilanciati”
da una creazione più classica.
(14) Martha Graham, “sacerdotessa” della danza moderna, nata ad Allegheny
(Pensylvania) nel 1984 e recentemente scomparsa.
(15) Ti porto dietro lʼangolo, Wuppertal 8.12.1974
(16) Adagio. Cinque canzoni di Gustav Mahler, Wuppertal, 8.12.1974
15
Nel maggio del 1975 la Bausch presenta Orpheus und Eurydike (17), opera
danzata che insieme a Ifigenia auf Tauris completa il ciclo gluckiano della
Bausch. “Nella sua versione delle opere di Gluck i personaggi avevano ciascuno due
interpreti, un cantante e un danzatore; anche se entrambi, ballerino e cantante,
erano presenti in scena, i ballerini sostenevano la parte principale dellʼazione,
interpretando i personaggi ai quali i cantanti davano la voce”. (18)
Questo sdoppiamento dei personaggi in voce e mimica è un interessante
termometro della libertà e dellʼoriginalità già presenti in queste prime soluzioni
sceniche adottate da Pina Bausch. Anche questa volta comunque, la direttrice
del Wuppertaler rispetta la trama narrativa dellʼopera e il suo tracciato
coreografico è molto danzato.
(17) Orfeo ed Euridice, Wuppertal, 23.05.1975
(18) SCHLICHER S. Lʼavventura..., p. 96
16
1.2.2 Le sacre du printemps: il suo capolavoro “classico”
In quello stesso anno Pina Bausch lavora ad altre coreografie su musiche di
Stravinskij che presenta con il titolo complessivo di Fruhlingsopfer (19).
Anche in queste creazioni, e forse per lʼultima volta con tanta radicalità, la
Bausch utilizza tutte le conoscenze ballettistiche acquisite in tanti anni di
esperienze internazionali a contatto con i più grandi maestri della danza
moderna; il risultato è notevolissimo e diventerà emblematico come lʼultimo
suo lavoro legato a doppio filo con la grande tradizione della danza moderna:
ancora non è emerso quel mondo scenico e quel metodo coreografico la cui
originalità renderà la Bausch un fenomeno mondiale. Fruhlingsopfer è una trologia composta da Wind von West, Der Zweite
Fruhling e Le sacre du printemps (20).
Merita una trattazione specifica Le sacre du printemps, una delle opere più
coreografate del nostro secolo: con questa celeberrima composizione
stravinskiana si sono misurati molti autentici miti della danza. La prima
versione fu quella del grandissimo Waslav Nijinsky, poi fu la volta di Leonide
Massine, di Mary Wigman, di Maurice Béjart, di Glen Tetley, di Marta Graham
(che ha coreografato la sua Sagra della primavera a 90 anni compiuti).
La versione della Bausch è molto originale ed è sicuramente considerata in senso
(19) Il sacrificio di primavera, Wuppertal, 03.12.1975
(20) il vento dellʼovest, la seconda primavera, la Sagra della primavera
17
“classico”: lʼimpianto coreografico è danzato interamente e con grande vigore, i ballerini
esibiscono una grande tecnica in un guizzare di muscoli; lʼampiezza dei
movimenti del torace delle braccia dà respiro e forza alla danza.
Il russo Nijinskj nella sua creazione aveva logicamente tenuto conto del
sottotitolo dellʼopera stravinskiana “Scene della Russia pagana”. La Bausch
rivede invece questi riti di primavera in chiave universale, non legati a un
popolo e a una terra e ne mette in luce lʼestrema ed eterna drammaticità. Le
sacre di printemps è la storia di un sacrificio mortale: una donna è eletta martire
dal gruppo sociale: mentre però dallʼopera di Bejart emerge una visione di
questo rito fondamentalmente vitalistica, inneggiante a una felice congiunzione
dei sessi, per la Bausch lʼEletta è lʼemblema di una lotta mortale senza
speranza e senza pace. Il gruppo sociale impone il sacrificio, ma lʼEletta vi
si ribella con una forza disperata, simbolo anche di una eterna difficile condizione femminile, tema ricorrente in tutta la produzione della Bausch, la quale
descrive così la sua sagra della primavera:
“Il sacre è un pezzo di Stravinskij e per me la cosa più importante era cercare
di capire perché Stravinskij aveva fatto il sacre. Nel sacre non avevo da
aggiungere altro, perché era già tutto lì, era tutto dentro la musica. Cʼè una
fanciulla, lʼEletta, e questa fanciulla deve danzare da sola, per morire”. (21)
(21) Intervista a Pina Bausch, BENTIVOGLIO L., il teatro di... p. 13
18
La scenografia de Le sacre di printemps è tanto spoglia quanto suggestiva:
un tappeto di terra scura ricopre interamente la scena: i danzatori la
calpestano a piedi nudi e con lʼaumentare progressivo dellʼintensità della
danza lʼordinata distesa iniziale si scompone e imbratta i corpi sudati dei
danzatori che in questa terra saltano rotolano, battono con i piedi il ritmo a
tratti indiavolato della composizione stravinskiana:
“Nel sacre la Bausch scatena le tensioni primordiali, in questo mistico tappeto
di terra da cui la primavera deve emergere come rito pagano ed esaltazione
dellʼamore-morte.” (22)
Nella realizzazione della Bausch è molto importante la dialettica tra il gruppo
maschile e quello femminile: gli uomini a torso nudo con indosso soltanto dei
pantaloni di tela nera, le donne coperte da una leggera tunica bianca, danzano
spesso in cori contrapposti, che la trama della coreografia alternativamente
unisce e divide. La danza dei due gruppi tocca un vasto registro di sentimenti,
dalla disperazione per il destino dellʼEletta, allʼaccettazione del suo sacrificio,
alla liberazione dellʼenergia dionisiaca che si sprigiona dai loro corpi scatenati
e dalle loro anime invasate dal compiersi del rito della primavera.
(22) PASI M., Il fenomeno Bausch, nel programma di sala del Teatro Comunale di
Modena stampato in occasione dellʼesibizione del Wuppertaler Tanztheater il
4-5.11.1988
19
Però al gruppo degli uomini appartiene “il capo”, colui che ha il potere di
eleggere la sacrificata, una donna: il coro degli uomini è consapevole di
questa posizione di forza e la rende evidente con una danza di muscoli e
tendini tesi come corde di violino, accompagnata da espressioni maschie feroci.
Il gruppo femminile scappa, si dispera, ma in alcuni momenti si schiera compatto e fiero di fronte agli uomini. Non si sa chi è lʼEletta, le donne non si
arrendono alla legge del sacrificio: quando però il capo isola la sua preda
consegnandole una simbolica veste rossa, i due gruppi perdono la loro
identità in una esplosione di disperazioni: uomini e donne danzano soli sparsi
per il palcoscenico, le donne mulinano le braccia, gli occhi socchiusi, gli
uomini saltano come pazzi, forti ma spaventati dalla crudeltà del sacrificio,
accecati forse dalla rabbia della consapevolezza del proprio gruppo sociale.
Al centro danza lʼEletta, nella sua veste rossa, i gesti disperati ma ampi e
puri; infine il sacrificio si compie.
20
1.2.3 Verso un nuovo teatrodanza: prende forma il metodo Bausch
Dice Rudy Nureyev: “Nel suo caso non si può più parlare di coreografia. Peccato: Pina aveva fatto
un bellissimo Le sacre du printemps: una delle più belle edizioni del Sacre
che io abbia mai visto. Poi si è staccata dalla danza”. (23)
Dopo lʼopera stravinskiana, infatti, inizia per Pina Bausch una nuova era: nel
giugno del ʼ76 presenta a Wuppertal Die sieben todsunden (24), una serata
interamente basata sulla musica di Kurt Weill e sui testi di Bertolt Brecht. Molti
sono i segnali di un approccio nuovo alla proposizione spettacolare.
I ballerini sono affiancati da attori e cantanti ed essi stessi affrontano delle
parti cantate e recitate. In Die sieben todsunden è raccontato un universo
femminile schiacciato da quello maschile, a cui la donna vende il proprio corpo,
per disperazione e per rivincita: nero e grigio sono i colori dominanti della
scena che rivela brechtianamente gli effetti teatrali, la finzione. Una strada
lastricata occupa la scena illuminata da lampioni, e lʼorchestra suona in palcoscenico, disposta sul fondo. I testi delle canzoni, spogliati dei significati politici
(23) R. Nureyev in BENTIVOGLIO L., Il teatro di... p. 196. Non è specificata la data
dellʼintervista né è precisata una fonte. (24) La serata era divisa in due parti: Die sieben Todsunden der Kleinbuger (i sette
peccati capitali) e Furchtet euch nicht (non temete!); Wuppertal, 15.06.1976
21
nientʼaltro che storie narrate, guidano la rappresentazione: raccontano senza
fronzoli le storie di Anna I e Anna II. Anna I, disincantata ed esperta, introduce
la seconda nel mercato maschile e nelle sue crude leggi di corpi comprati e
venduti; la veste da prostituta e la prepara per un viaggio scandito dalle
canzoni popolari. Dopo storie di violenze carnali, amori falsi, vendite e scambi
alla cui base cʼè solo sesso, Anna II ha perso tutta la sua ingenuità e le sue
aspirazioni romantiche e nel finale guida lʼintero corpo di ballo in una danza
stile “musical”, in cui però la mimica è esplicitamente sessuale, quasi animale.
Dopo questo viaggio in cui la struttura e le coreografie hanno molti rapporti
con la rivista e il kabarett, inizia la seconda parte dello spettacolo (Furchtet
euch nicht) in cui si narra di un Casanova di provincia che corteggia una
giovinetta piena di sogni romantici; i suoi onesti tentativi falliscono e la
fanciulla viene da lui posseduta con la violenza; perso lʼonore, abbandonata
da tutti, la ragazza si ritrova prostituta. In questo tema dominante sono inseriti
elementi molto vari (uomini travestiti, donne seminude che gridano la propria
condizione sociale).
La commistione di generi che caratterizza la serata (balletto, rivista, kabarett,
teatro recitato, vaudeville, operetta) è composta con grande equilibrio; ma le
novità formali insieme ai contenuti “forti” scossero notevolmente il pubblico e
il mondo della critica. Per farcene unʼidea riportiamo il giudizio di uno dei più
autorevoli esperti di musica e danza, Mario Pasi:
22
“in un ricupero brutale della danza libera con annessioni americane e
grahamiane e in una visione polidisciplinare di danza e teatro, Pina Bausch
ha evocato i fantasmi di Brecht e di Weill nei suoi Sette Peccati Capitali
trasformati in un grande bordello con abominevoli travestimenti”. (25)
Pina Bausch ha imboccato una strada dalla quale non tornerà più indietro:
nel gennaio del ʼ77 presenta a Wuppertal Blaubart. Beim Anhoren einer
Tondbaundaufnahme von Béla Bartoks Oper “Herzog Blaubarts Burg” (26).
In effetti lʼoriginale opera di Bartok, composta a inizio secolo, è alquanto
manipolata dalla Bausch, che con lʼespediente di uno scatolone mobile
contenente il nastro registrato dellʼopera dal quale esce potentissimo il canto,
dilata in due ore e mezza i sessanta minuti della partitura originale: un
Barbablù muto sospinge lo scatolone e spesso ferma la musica,
facendola ripartire dallo stesso punto, o lasciando della pause di silenzio.
Nei panni di Barbablù è Jan Minarik, protagonista di tanti spettacoli di Pina
Bausch (“Lʼinterprete di Barbablù appare solo lʼorganizzatore di un gioco al
quale non può sottrarsi neppure lui” (27)).
(25) PASI M. in AA.VV Catalogo della mostra di Venezia (sul teatrodanza tedesco
ma su Kurt Jooss in particolare). Ed Marsilio, Venezia, 1981, p. 13
(26) Barbablù. Ascoltando la registrazione dellʼopera di Bela Bartok “Il castello di
Barbablù”, Wuppertal, 08.01.1977
(27) SCHLICHER S., Lʼavventura... p. 102
23
Barbablù e lʼultima sposa Gertrud, mettono in scena un dialogo frammentato
e interrotto, si cercano e cercano dentro di sé, tornano allʼinfanzia: si desiderano e si respingono, in maniera straziante e a tratti scivolano intorno a loro
altri individui come ombre cariche di ansie e di dolore; la scena interamente
disseminata di foglie secche, simbolo di morte e testimonianza di vita passata,
esalta i contrasti con le parole dʼamore singhiozzate dalle voci del nastro.
Emergono a tratti alcune visioni del maschile e del femminile che diventeranno
motivi portanti della successiva produzione di Pina Bausch: la voglia e
necessità maschile di esibire la propria virilità (muscoli, forza, ecc); le donne
schiave di un bisogno dʼamore e di dolcezza tanto lontano dalla spesso triste
realtà. Blaubart è considerato un momento chiave dellʼevoluzione espressiva
della Bausch anche perché tocca tutte le forme espressive che stanno tra il
movimento e il teatro parlato: vi sono rappresentati tutti i suoni originari, istintivi,
da cui nascerà la parola.
Il motivo della coppia, poi tornerà sempre nei lavori della Bausch, che
denuncia spesso la quasi impossibilità di unʼunione reale e lʼangoscia della
irraggiungibilità di un equilibrio amoroso.
Blaubart, perciò, rappresenta un momento di passaggio: cʼè ancora molta
danza, in cui le braccia e il torso fanno come sempre la parte del leone, però
il teatrodanza, quello originalissimo di Pina Bausch, ha ormai salpato le ancore.
24
Nel maggio del ʼ77 la direttrice del Tanztheater presenta Komm Tanz mit mir
(28); anche questo allestimento rappresenta una tappa importante nellʼevoluzione del suo teatrodanza. La scena è dominata da un grande scivolo, un
“toboga” sul quale spesso i ballerini nel corso dello spettacolo cercano di
arrampicarsi, lottando con il loro stesso peso. I colori bianco e nero dominano
la scena; le donne fanno eccezione, strette nei loro vestiti primaverili coloratissimi. Komm Tanz mit mir è imperniato su una compatta colonna sonora di
venticinque lieder popolari tedeschi cantati dai ballerini della compagnia, alla
ricerca della vocalità naturale che la Bausch aveva già cercato in loro in
occasione della realizzazione di Die sieben Todsunden. La compattezza della
colonna sonora riporta infatti a questo spettacolo e a Blaubart, anche se Pina
Bausch abbandonerà presto questa prospettiva, alla ricerca di un quadro
musicale frazionatissimo ed eterogeneo, più adatto forse a seguire le mille e
ancora mille suggestioni da lei proposte a grande ritmo. Lʼatmosfera dominante in scena è quella della fiaba, con tutti gli orrori e le bellezze connesse
con lʼimmaginazione popolare: i danzatori cantano senza partecipare, ostentando una quieta malinconia; la vicenda vede due protagonisti, un uomo e
una donna il cui incontro ricco di sfumature e allusioni è difficile da raccontare.
(28) Vieni balla con me, Wuppertal, 26.05.1977
25
Nel corso dello spettacolo gli elementi di malinconia si mescolano a quelli di
levità fiabesca (foglie secche e vestiti colorati, lieder malinconici e mimica
umoristica e frizzante) in un altalena dolce-amara che culla lo spettatore per
tutta la durata dello spettacolo. Nellʼoperetta Renate wandert aus (29) la Bausch per la prima volta non utilizza
nessuna struttura drammaturgica o musicale di supporto: le tre ore e mezza
di spettacolo di questa “operetta” (da lei stessa così definita), dipendono in
tutto e per tutto dalla sua creatività, che in questa occasione spazza via le
malinconie di Komm Tanz mit mir per proiettarsi in una miriade di colori e in
una comicità varia, fitta di ritmi e registri diversi.
In Renate wandert aus cʼè spazio per tutte le frivolezze che fanno sognare: dalle
citazioni dei film dʼamore hollywoodiani alle varie soap-opera e telenoveles,
dalla facile struttura con lieto fine dei romanzi rosa ai miti femminili su carta
patinata. La scena è dominata dal colore bianco: delle grandi rocce
(icebergs) occupano gran parte dello spazio; a questo contesto quasi neutro
si sovrappongono miriadi di oggetti e di colori; i ballerini scendono spesso in
platea, chi distribuisce caramelle, chi si fa stringere la lampo del vestito. In
tutto lo spettacolo mancano gli incontri reali: è la celebrazione della fantasia,
(29) Renate emigra, Wuppertal 30.12.1977
26
dei sogni dʼamore perfetto e di principi azzurri tipici del mondo femminile:
spesso questa profusione di sentimento viene fatta scivolare nel grottesco,
così come la ricerca della bellezza e lʼeterna voglia di piacere sono presentate
comicamente. Renate non compare mai, è solo evocata di tanto in tanto.
In questa frizzantissima “operetta”, alla presentazione di un mondo dʼamore e
di canzonette, di voglia di essere e di sognare, sospeso tra idillico, ridicolo e
grottesco, Pina Bausch sicuramente sottende una testimonianza della vacuità
di molta quotidianità, legata a convenzioni sociali, a immagini e desideri che
restano tristemente in superficie.
Nei primi mesi del 1978 la Schauspielhaus di Bochum commissiona a Pina
Bausch la messa in scena di unʼopera di Shakespeare: la Bausch accetta e
sceglie Macbeth; già dal titolo dellʼopera, che ricalca una didascalia dellʼopera
originale, Er nimmt sie an der Hand und fuhrt sie in das Schlob die anderen
folgen (30), si può dedurre quanto il suo approccio allʼopera volesse essere
libero. In questo spettacolo “Eʼ ormai presente ciò che è ritenuta la quintessenza del Tanz Theater degli
anni ottanta”. (31)
(30) Lui la prende per mano e la conduce al castello, gli altri la seguono, Bochum,
22.04.1978
(31) SCHLICHER S., Lʼavventura..., p. 104
27
Gli interpreti sono dieci in tutto, in parte attori e in parte danzatori: attraverso
di loro Pina Bausch presenta un Macbeth in cui la trama e la cronologia del
racconto scompaiono per lasciare il posto a un magma di sentimenti apparentemente sconnessi, che comunque esplorano a fondo la vicenda originale:
la scena è costituita dal salone di una villa, lʼarredamento è stravagante,
rimanda a epoche diverse; durante la rappresentazione lʼacqua avrà una parte
importante (in mezzo alla scena cʼè una pozzanghera, sul fondo addirittura
una doccia funzionante).
Come in una disordinata memoria inconscia si succedono sulla scena una
serie di azioni quotidiane spesso stravolte per il contesto in cui sono collocate
e per i modi e i tempi con cui sono compiute: lavarsi, vestirsi, cambiarsi; i
gesti e le situazioni si susseguono e si sovrappongono: Pina Bausch utilizza
un vocabolario immenso e la drammaturgia orizzontale di piccoli fatti che non
si ordinano in alcuna casualità ha un corrispondente anche nelle scelte musicali:
un collage dal ritmo spezzettato, che tocca i “sounds” più disparati assecondando
il vastissimo repertorio gestuale messi in scena. Nel Macbeth della Bausch
emerge prepotente quello che sarà considerato il suo stile più vero: la danza
tradizionale si ritira in un angolo del palcoscenico lasciando il posto allʼagire
quotidiano, alla vita non filtrata da alcun codice, in cui i piccoli gesti hanno il
potere di rivelare tensioni e sentimenti. Eppure, come spesso Pina Bausch
ripete, cʼè forse più danza in certe immobilità e in certi gesti di tutti i giorni che
in uno stupendo e virtuoso passo di repertorio che non abbia un fine al di fuori
28
di se stesso. Nel maggio del 1978 Pina Bausch è invitata a una serata in
cui lei e altri tre coreografi si sarebbero misurati in una creazione breve
realizzata ne medesimo spazio scenico, uno stanzone grigio con porte e
vetri trasparenti, concepito da Rolf Borzik e messo a disposizione indifferentemente a tutti e quattro i coreografi. Quando è il suo turno, la Bausch
riempie questo spazio di tavolini e sedie: ci ritroviamo immediatamente in
Cafè Muller (32): sulle note struggenti della musica di Purcell una donna,
Malou Airaud (33), in una veste bianca, come cieca, danza a scatti o molto
lentamente, corre e si arresta improvvisamente (“senza una parola sul filo
della musica di Purcell inseguendo la danza nellʼossessione quotidiana”)
(34); un uomo, Jean Sasportes, cerca di proteggerla; è attentissimo alla
danza cieca e folle di Malou e si catapulta continuamente intorno a lei
spostando disordinatamente in un movimento ossessivo sedie e tavolini
contro cui la danzatrice rischia di ferirsi. Un altro uomo, Dominique Mercy,
la insegue e la raggiunge; i due si toccano, si seguono, si abbracciano. Un
terzo uomo, pero, un Jan Minarik imponente e minaccioso, cerca di separare
Dominique e Malou, che con tanta fatica si erano trovati e toccati.
(32) Cafè Muller, Wuppertal, 20.05.1978 (33) I ruoli di Cafè Muller sono tra i più intercambiabili nella storia della compagnia:
tra le protagoniste di altre edizioni Beatrice Libonati e Anne Martin; anche per i
protagonisti maschili vale lo stesso discorso, anche se Dominique Mercy e Jan
Minark hanno collezionato la quasi totalità delle presenze nei diversi allestimenti.
29
Jan li separa e loro tornano ad abbracciarsi, una, due, tre, dieci volte... in
questa impossibilità dʼamore la scena si carica di tensione: Dominique e
Malou fuggono dalla cattiveria di Jan, corrono pazzi attraverso la scena, ripetono
allʼinfinito ampi gesti nellʼaria, si allontanano e si riavvicinano. Pina Bausch
(per la prima e unica volta in scena in una sua creazione) a ridosso della
vetrata che costituisce il fondale della scena, per tutta la durata della
performance ripete i movimenti di Malou, scivolando spesso lungo il muro.
Cafè Muller, è diventato qualcosa di insostituibile nel panorama delle
produzioni Wuppertaler Tanztheater: le rappresentazioni di questʼopera tanto
breve quanto intensa non si contano più in ogni parte del globo. In questo
spettacolo (della durata di circa trenta minuti) Pina Bausch è riuscita a
concentrare unʼintensità poetica difficile da ritrovare nel suo teatrodanza
abituale. Lʼassenza di dialogo, lʼessenzialità della scena e il ristretto
numero di personaggi tutti protagonisti contribuiscono a rendere lo spettatore
coinvolto e ansioso. La satira sociale e lʼironia, che pure sono tipici della
Bausch, in Cafè Muller, sono assenti: esiste invece unʼatmosfera speciale, in
cui lʼaria sembra densa e ogni gesto acquista valore: le braccia nude di Malou
e quelle di Pina Bausch che ripetono gli stessi movimenti, disegnano nellʼaria trame
(34) QUADRI F., Pina Bausch: Il grande gioco di fare teatro in AAVV (a cura di Leonetta Bentivoglio) Tanztheater: dalla danza espressionista a Pina Bausch, Di Giacomo, Roma, 1982
30
di disperazione; si avverte lʼintensità del desiderio dʼamore, il dolore per la cecità
degli uomini che non riescono a incontrarsi. La bellezza sacrale della musica
di Purcell avvolge lʼintero palcoscenico; gli interpreti vi si muovono come in
trance e un attimo dopo danzano folli, si cercano, si trovano, si perdono. La
difficoltà dʼincontrarsi e di amarsi giganteggia sulla scena e suscita angoscia;
ma la bellezza di uomini e donne che cercano lʼamore “nonostante tutto”
trova il suo spazio ideale tra i ballerini del Cafè Muller. Nel dicembre dello stesso anno è la volta di Kontakthof (35): in questo spettacolo Pina Bausch privilegia in primo luogo il ritmo: i movimenti, le entrate, le
uscite, la gestualità quotidiana messa in scena dai danzatori, tutto risponde a
una struttura ritmica che riporta prepotentemente alla danza. Uomini e donne
abbigliati “anni cinquanta” (cappelli lucidi brillantina e fruscianti abiti da sera)
e giostrano senza posa in un triste stanzone che evoca una squallida sala da
ballo. Nel Luogo dei contatti,
“quadro esemplare del cattivo gusto tedesco che si consola nel sentimentalismo
più bieco per poi scattare in ribellioni senza senso” (36),
cʼè molta azione e poco dialogo e lʼazione si sviluppa concitata sommando
episodi e situazioni al solito difficilmente raccontabili: sederi agitati in aria,
(35) Il luogo dei contatti, Wuppertal, 09.12.1978 (36) PASI M., Il fenomeno...
31
uno spogliarello, un ridicolo boogie-woogie danzato con mimica da film muto,
coppie eleganti e signorili che si scambiano dispetti sadici, una ballerina che
piange nel microfono e ancora il ridicolo documentario sulla vita delle anatre
proiettato sullo sfondo, il valzer triste di Sibelius danzato al buio da coppie
che si cercano e non si trovano: nel finale questi “contatti” sfuggenti e falsi
vengono impietosamente denunciati da Pina Bauch che mostra una della
protagoniste assediata dagli uomini che la toccano senza ritegno in ogni parte
del corpo senza destare in lei alcuna reazione. Il tutto sottolineato da un
collage musicale costituito soprattutto da motivetti anni trenta e da citazioni
tratte dal cinema dello stesso periodo. Le suggestioni più evidenti risalgono al
“musical”, al “vaudeville”, a Fellini, a Charlot. Nel maggio del 1979 la Bausch mette in scena una delle sue creazioni più
singolari: Arien (37). Rolf Borzik, inseparabile scenografo e compagno di Pina
Bausch nella vita sentimentale, dà unʼimpronta assolutamente originale a
questo allestimento inventando unʼautentica scenografia acquatica: il palcoscenico viene interamente ricoperto dʼacqua e addirittura in una parte di
questʼultimo si crea una vera e propria piscina; in tutto lo spettacolo lʼacqua è
lʼautentica protagonista. Si possono però intuire quanti problemi tecnici abbia
potuto creare un simile allestimento: per questo Arien, pur essendo molto amato
(37) Arien, un pezzo di Pina Bausch, Wupertal, 12.05.1979
32
dall Basuch e dai suoi danzatori (Jean Saportes, protagonista di tanti spettacoli
del Wuppertaler, dice che “è bellissimo vivere dentro lʼuniverso di Arien” (38)
è stato riproposto in pochissime occasioni. Lo spettacolo comincia in sordina,
con i tecnici del teatro che pompano acqua in palcoscenico: i ballerini arrivano
alla spicciolata e si truccano in scena. A poco a poco le mezze luci diventano
stupende luci di scena, in cui i riverberi dellʼacqua diffondono effetti magici.
Arien entra nel vivo: arriva un gigantesco ippopotamo, che circolerà costantemente in scena. Brevi assoli di danza si alternano ad arie recitate e su tutto
incombe unʼatmosfera di grande malinconia, come se lʼacqua arrotondasse
gli spigoli della realtà. Ma “cosa” fanno i danzatori? Proviamo a suggerire
alcuni quadri: gli uomini si esibiscono travestendosi da donne, le quali si fanno
truccare dagli uomini che le riducono a grottesche maschere. Lʼaltissimo Lutz
Forster attraversa la scena baciando la piccola Beatrice Libonati tenendola
sollevata da terra, Jan Minarik si traveste da “signora”, lʼippopotamo si
innamora di Jo Ann Endicott e la insegue tra schiamazzi e giochi dʼacqua;
intanto un altro danzatore si tuffa atleticamente in piscina.
La musica è continua e potente, da Beniamino Gigli a Mozart e Beethoven;
(38) Jean Sasportes, in BENTIVOGLIO L. Il teatro di... p. 189. Jean mi ha confermato la predilezione per questo spettacolo in due conversazioni risalenti allʼaprile e
allʼottobre 1990
33
i costumi sono rigorosamente “borghesi” (abiti doppiopetto, “mises” da sera);
particolari come le scarpe eleganti di vernice costantemente e incurantemente
a mollo non possono essere dimenticati. Si diceva dellʼacqua, che impronta di sé tutto lo spettacolo: quadro dopo quadro,
i danzatori sono sempre più bagnati e i loro vestiti intrisi dʼacqua danno alle
loro movenze una pesantezza quasi angosciosa: “Il senso del comico e del grottesco annegano nella malinconia del flusso di
azioni, in un oblio prenatale, in un sogno liquido amniotico. E sempre più
definiti lievitano, nella tristezza ridanciana, i lineamenti bagnati di unʼimpossibile
voglia di socializzare”. (39)
Puntuale con i suoi ritmi di un paio di nuove produzioni annue (ritmi “istituzionali”) nel dicembre del 1979 la Bausch presenta keuschheitslegende (40).
Questo spettacolo rappresenta per lei una tappa evolutiva importante perché
il “parlato” diventa protagonista assoluto, portando in certo senso a compimento quel cammino cominciato con la revisione della Bausch di Macbeth e
prima ancora con Die sieben todtunden e Blaubart. I riferimenti testuali sono
costituiti dallʼomonimo romanzo popolare di Rudolf Binding e dellʼArs Amatoria”
ovidiana recitata in scena da una danzatrice.
(39) BENTIVOGLIO L., Il teatro di... p. 115 (40) La leggenda della castità, Wuppertal 13.12.1979 34
Anche il rapporto diretto con il pubblico, già suggerito in lavori precedenti,
viene qui affermato con più forza: una ballerina distribuisce caramelle in sala,
viene passato tra la gente un telefono, una pistola ad acqua minaccia la platea.
Il viaggio nella sessualità prevede una grandissima varietà di quadri e suggestioni,
della quale cerchiamo ora di proporre una mappa: è evidenziato il senso del
proibito, la sessuofobia psico-borghese che unisce la decenza alla pornografia,
ammiccamenti, provocazioni, scenette di bimbi sporcaccioni, ostentazione di
volgarità innocenti, più innocenti della falsità borghese; il contrasto tra istinto
e norme sociali è messo in scena con il filtro umoristico tipico di Pina Bausch:
ed ecco uno strip-tease collettivo decisamente comico, ecco delle pance al
vento che danzano ridicole e grottesche e ancora coccodrilli e cagnolini che
circolano in scena. In questi complicati giochi di seduzione che ondeggiano
continuamente tra il tragico e il comico, sicuramente le donne hanno un protagonismo più diffuso: Jan Minarik, che tanta parte ha in altri spettacoli, qui si
esibisce in una sola scena forte, quella in cui si cosparge di grasso, maschio
nella piena espressione della sua virilità, la possente muscolatura. Lʼemergenza più rilevante di questa “leggenda” è senzʼaltro la sistematica
violazione del comune senso del pudore: attraverso questa ostentazione di
sesso, spesso violento e squallido, Pina Bausch vuole forse smascherare la
nostalgia di un erotismo puro, semplice, sicuramente presente in ciascuno di
noi.
35
1.2.4 Una realtà consolidata: gli spettacoli degli anni ottanta
1980: Ein stuck von Pina Bausch (41) viene presentato a Wuppertal nel maggio
di quel 1980 che dà il titolo allo spettacolo. Eʼ un anno importante per Pina
Bausch, che non perde in Rolf Borzik solo il suo prezioso scenografo ma
soprattutto il suo compagno nella vita sentimentale (Rolf muore stroncato da
un male incurabile): Pina reagisce creando quasi rabbiosamente, senza
concedersi pause. Il “parlato” in 1980 è qualcosa di conquistato definitivamente; la scenografia è
ancora una volta sorprendente ed è stata forse lʼultima idea partorita da Borzik:
si tratta di un autentico prato allʼinglese, di erba vera e fresca, trasferito
miracolosamente sul palcoscenico. La prima parte dello spettacolo è caratterizzata da un ritmo abbastanza lento
e da unʼaura arcadico-malinconica in cui gli attori ballerini mettono in scena
ricordi e sensazioni di una fanciullezza mitica: ninna-nanna, rievocazioni di
compleanni, figure sbiadite di genitori la cui durezza si addolcisce nel ricordo.
Filastrocche, moscacieca, giochi di bimbi, travestimenti: un autentico prestigiatore
produce i suoi trucchi in mezzo alla scena mescolando magia reale e realtà magica.
La seconda parte dello spettacolo cambia tono: i bambini diventano adulti e si
(41) 1980, un pezzo di Pina Bausch. Wuppertal 18.05.1980
36
misurano in concorsi di bellezza e in improvvisazioni verbali, affrontano
situazioni difficili e angosciose rispondendo a domande incalzanti e imbarazzanti con la faccia rivolta al muro (“in molte azioni di 1980 il contrasto tra
pubblico e privato viene parodisticamente esasperato”) (42). Si arriva quindi
alla scena entrata nella storia della compagnia in cui tutti i danzatori si
alternano al microfono per gridare la risposta alla domanda: “tre parole per il
tuo paese dʼorigine”. E ancora discorsi, cascate di confessioni e riflessioni,
come quella di Lutz Forster riguardante la bellezza e lʼutilità di una sedia.
Un finale da musical sdrammatizza questa seconda parte “intimistica”, per
ricomporsi nellʼultima scena, in cui i danzatori si riuniscono nel mezzo del
palcoscenico silenziosi e quasi abbracciati, forse in un muto omaggio a chi,
da poco tempo, non è più con loro. Nel dicembre del 1980 Pina Bausch debutta a Wuppertal con Bandoneon
(43). La scena è costituita da una sala (forse da ballo) con vecchi ritratti di
pugili appesi alle pareti; la Bausch era reduce in quel periodo da un lungo
viaggio in Sudamerica e Bandoneon ne era il frutto artistico. La colonna
sonora è composta interamente da tanghi struggenti, ma mai i danzatori del
Wuppertaler Tanztheater si abbandonano a figure di tango tradizionali: il ballo
di coppia è completamente stravolto nelle movenze: spesso i ballerini assumo
(42) SCHLICHER S., Lʼavventura di... p. 116
(43) Bandoneon, Wuppertal 21.12.1980, bandoneon: strumento musicale simile a
una piccola fisarmonica utilizzato nelle orchestre di tango
37
posizioni quantomeno improbabili, come la dama a cavalcioni del suo
cavaliere frontalmente, con il viso di lui allʼaltezza del pube di lei.
Il tema di Bandoneon, al di là dellʼambientazione, si sviluppa attraverso i
procedimenti ormai tipici della Bausch: la volontà di andare al di là delle
convenzioni teatrali nei termini della proposizione di una storia o comunque
di una drammaturgia tradizionale, la volontà di mettere in scena sé stessi
nellʼessenza, senza alcuna decorazione.
Per questo il tango diventa sognante, distorto, individuale, oltrepassa la tradizione; diventa il sostegno suggestivo e necessario al proprio denudarsi in
scena. Unʼimmagine che può aiutarci a capire Bandoneon e lʼatteggiamento di Pina
Bausch nei confronti della danza classica è quella in cui Dominique Mercy
avanza con un tutù da ballerina e ripete piccoli gesti danzatori accademici in
diversi punti del palcoscenico: lʼincapacità di lasciare uscire lʼenergia, di
danzare davvero, compressi in una tradizione come in un bustino, emerge
chiara da questa insistita sequenza. Il seguito di Bandoneon è introdotto da
questa immagine: anche gli altri ballerini metteranno in scena la loro voglia di
danzare frustrata dalle imposizioni dellʼaccademia, dalle regole,
dallʼodio-amore
per il virtuosismo; piccole gare di bravura, sottolineate da
applausi e consensi di gruppo, esercizi di riscaldamento, il sorriso artificiale
stampato sul volto. E ancora prove di resistenza, voglia di attirare lʼattenzione,
improvvisi movimenti corali.
38
Si diceva inoltre delle parti parlate: a turno i danzatori si confessano (come in
1980) su argomenti quali i cibi prediletti e i racconti dellʼadolescenza. “Il dire”
in Bandoneon si fonde completamente con “il fare”, in una tensione sanguigna
ad autorappresentarsi: tutti i drammi e le angosce di artisti che si
bilanciano tra vita e arte, tra fantasia scenica e sincerità nuda assoluta
emergono in mille tonalità diverse, nella ricerca di una condizione di verità e
felicità che appare e scompare nelle luci-ombre del palcoscenico. Nel giugno del 1982, in coproduzione con lʼHolland Festival, Pina Bausch
presenta Walzer (44) in unʼenorme arena un tempo destinata ad attività
circensi: la Bausch creò alcune scene tenendo conto della versione dallʼalto
che si offre al pubblico in unʼarena concepita il tal modo. Personalmente ho
visto Walzer nel riallestimento del 1990, presentato a Wuppertal in un teatro
allʼitaliana nel mese di aprile: effettivamente viste dallʼalto, alcune catene di
danzatori sdraiati a terra sarebbero risultate visivamente più efficaci.
Walzer dura quattro ore e riposa sulla circolarità del valzer:
“Eʼ un chilometrico sogno di mille storie senza trama, un collage sottile di
situazioni stridenti, di indizi di follia e di ironia che punge”. (45)
(44) Walzer, Amsterdam, Holland Festival 17.06.1982 (45) BENTIVOGLIO L. Il teatro di..., p. 148
39
La musica è una presenza costante che accompagna mille vicende e spesso
i movimenti sono corali, le individualità si fondono in un ondeggiamento ritmico
talvolta gaio, più spesso malinconico e infinito. Come in Bandoneon i ballerini
evitano accuratamente di danzare classicamente il tango, così in Walzer è
impossibile trovare un solo passo di coppia tradizionale.
Al solito, nellʼirraccontabilità della pièce, evidenzieremo in qualche modo i
quadri che più rimangono impressi nella testa e nel cuore. Per esempio la bellissima serie di “ruote”, lente e grandi, attorno al palcoscenico,
eseguite da una donna bellissima (un tempo Malou Airaudo, nelle nuova
versione lʼamericana Julie Stanzak), oppure il tema della partenza, ripreso in
più punti dello spettacolo, come quello in cui i ballerini giocano con delle
barchette di carta alla ricerca di Janusz Subizc, che disegnando le tracce dei
piedi sul terreno trascina con sé a poco a poco tutto il gruppo nel vortice
circolare del valzer medesimo. Nel corso dello spettacolo si ripetono figure di
gruppo con i ballerini sdraiati a terra a comporre figure sempre diverse e
catene di uomini e donne saltellanti per tutto il palco. Compare anche una
gestualità mimata che Pina Bausch riprenderà in altri lavori: verso la fine
viene utilizzato anche il video, con la proiezione in bianco e nero del parto
di un bimbo (la Bausch aveva da poco partorito). L a s e n s a z i o n e p i ù
i n d i viduabile che resta allo spettatore dopo questa infinita rassegna di
movimenti e sentimenti è unʼimpressione di gentilezza, quasi di elegia: la
leggiadria e la profondità di valzer accompagnano un dolore diffuso ma quasi
40
dolce, testimonianza di una Bausch diversa, al limite della tenerezza.
Nelken (46) fu presentato a Wuppertal nel dicembre del 1982, ma fu rivisto e
corretto fino ad arrivare ad una versione più o meno definitiva al Festival
del Teatro di Monaco, nel mese di maggio. La critica, che aspettava al
varco questa Bausch così coerente e prolifica, attaccò duramente
questʼultimo lavoro della coreografa tedesca, sia in Germania che nel
resto dʼEuropa, tacciandola di spettacolarismi fini a sé stessi e di larghe
concessioni al pubblico a scapito della coerenza della sua poetica.
In effetti però rivisto a distanza di anni, sia in video in versione originale
che nel riallestimento del 1990, ci risulta abbastanza incomprensibile una
visione di Nelken come spettacolo traditore degli schemi creativi e politici
della Bausch.
La scena è tra le più suggestive: un pavimento verde brillante su cui
spiccano sparsi migliaia di garofani rosa. Il tema dellʼinfanzia guida buona parte dello spettacolo: travestimenti,
rievocazioni, giochi di bambini; in scena anche due cani lupo, logicamente
autentici (spesso la Bausch ha portato in palcoscenico animali veri). Però
presto il gioco scivola in un incubo popolato di strane figure e apparizioni;
la platea è coinvolta con continuità, come in 1980.
(46) Garofani, Monaco, Theater Festival, maggio 1983
41
Citiamo alcune situazioni, rimaste nella storia della compagnia: le mani di
Lutz Forster che mima la celebre canzone “The man I love” nel linguaggio
dei sordomuti; oppure i ballerini che affondano il viso in piatti di cipolle
appena tagliate che ne provocano lacrime e rossori; oppure Jan Minarik
nei panni di un presentatore-poliziotto che picchia, esige documenti e con
il microfono appoggiato sul petto di alcuni danzatori trasmette alla platea
la nudità del battito del loro cuore.
Il collage del musicale di Nelken è molto vario (da Schubert a Gershwin),
teso a sottolineare tutte le atmosfere; il recitato ha unʼampia parte e i
danzatori (secondo una modalità ormai classica nei lavori della Bausch) si
confessano a turno, questa volta sulla propria pipì e sul perché sono
diventati ballerini. Il finale vede i garofani schiacciati e sfioriti e la compagnia
schierata in posa da danza classica, le braccia a corona sopra la testa; i
visi esprimono ironia. Diversi spettacoli di Pina Bausch sono nati senza titolo e Auf dem Gebirge
dat man en Geshrei Genort è uno di questi. (47)
Andò in scena per la prima volta a Wuppertal nel maggio dellʼ84 e il titolo
venne deciso da Pina Bausch solo qualche tempo dopo la prima: riprende
il testo di unʼantica canzone tedesca inserita nello spettacolo.
(47) Sul monte si è sentito gridare, Wuppertal, 13.05.1984
42
Anche questa volta la scena è costituita da un elemento naturale primario:
la terra. Il palcoscenico ricorda un campo appena arato, è interamente
ricoperto di terra. Non senza difficoltà rintracceremo nella pièce, più che
mai frammentaria, tre motivi ricorrenti: la scena di un naufragio collettivo
in cui i danzatori cercano di nuotare senza riuscire a muoversi, il
ricongiungimento violento di un uomo e una donna, sospinti da due
gruppi inferociti lʼuno contro lʼaltra e unʼestenuante remata di
gruppo senza remi, a bordo di una nave invisibile che trascina tutti in
unʼinfinita Odissea. Jan Minarik anche in questʼoccasione ha il compito di
guidare lo spettatore nella jungla della scena nei panni di un presentatoretiranno; la Bausch lo traveste al solito in mille modi: impressionante più di
tutti lʼeffetto di una maschera di gomma che gli incappuccia il viso, deformandone i lineamenti. Lo spettacolo dura circa tre ore ed è densissimo di
immagini: indimenticabili gli alberi portati in scena dai danzatori che li
accumulano sul palcoscenico, unʼorchestrina di vecchietti che si esibisce
in un piccolo concerto grottesco e “stralunato” e anche la scena di sepoltura
in cui una vecchietta vestita di nero mima uno scavo, mentre lʼazione è
sottolineata violentemente da una musica di cornamuse irlandesi. Alcuni
di questi elementi verranno ripresi dalla Bausch in altri lavori, come il fatto
di assoldare vecchietti “ad hoc” per certi ruoli o di mettere in scena alberi
veri. In questa performance del Wuppertaler Tanztheater mancano i grandi inserti
parlati, così importanti e iterati negli spettacoli precedenti; inoltre non cʼè ironia,
43
non cʼè musical, cʼè soprattutto amarezza. In questo senso cʼè chi ha
voluto vedere in Gebirge... uno stacco dalla produzione precedente, una
chiave di volta; ma, come per Nelken, in una visione comparata di tutti gli
spettacoli di Pina Bausch questa chiave di volta risulta spiegabile con la
naturale e umana alternanza di stati dʼanimo.
Two cigarettes in the dark (48) prende il titolo da una canzone blues
cantata da Angela Hunters che fa parte della composita colonna sonora
dello spettacolo: Pina Bausch presenta la pièce una prima volta nel marzo
del 1985 a Wuppertal; poi riflette e risistema lo spettacolo per un lungo
anno prima di portarlo in tournée, testimoniando una volta di più lʼautenticità
del suo “work in progress”. In Two cigarettes... chiama allʼappello soltanto
undici danzatori, una parte minima della compagnia, contrariamente alle
sue abitudini. Ne risulta perciò un lavoro meno corale, ma con delle
individualità più marcate, più individualizzate. La scenografia di Peter
Labst è sicuramente protagonista: una grande stanza bianchissima e profonda,
sulle pareti della quale si aprono tre finestre che contengono mondi vivi,
concreti: a sinistra un acquario con pesci veri. a destra una serra di piante
grasse e al centro una jungla di vegetali tropicali. Spesso i danzatori
passano dalla stanza centrale, teatro della maggior parte della azioni, in
(48) Due sigarette nel buio, Wuppertal, marzo 1985
44
questi spazi laterali o di fondo aprendo nuove prospettive allʼazione
scenica. Veementi monologhi gestuali punteggiano lo spettacolo, così
come molti assoli di danza tesi e spigolosi; cʼè poco dialogo tra i danzatori,
mentre al contrario Metchild Grossmann si rivolge spesso al pubblico,
dedicandogli con voce sensuale monologhi dai doppi sensi amorosi,
avvolta in un frusciante abito da sera. Si diceva delle musiche: dal solito
Purcell a Monteverdi, da Bach, Ravel, Beethoven, al Blues di Angela
Hunters... Nello svolgersi dello spettacolo si può riscontrare unʼalternanza
tra i tempi lenti teatrali e i tempi ossessivi della danza: ma lʼimpressione
totale che Two cigarettes... emana, al di là di alcune valvole ironiche, è
questa felicità: a dividersi la scena sono “undici personaggi in cerca
dʼamore”. (49) Pina Bausch era stata a Roma nel 1982 per la prima volta,
mettendo in scena al teatro Argentina Cafè Muller; lʼaccoglienza fu calorosa
e ancora di più lo fu quando la coreografa tedesca tornò nella capitale nel 1985
con due dei suoi spettacoli più impegnativi, 1980 e Kontakthof.
Durante questʼultimo soggiorno romano nacque lʼidea di una coproduzione
tra il teatro Argentina di Roma e il Wuppertaler Tanztbuhne: la Bausch ne
fu entusiasta, perché era entusiasta della città e della gente romana.
(49) BENTIVOGLIO L., Gli acquari dellʼincomunicabilità, “Balletto oggi”, marzo
1986, Milano, p. 36
45
Lo spettacolo si sarebbe intitolato Viktor. Nella primavera del 1986 la
compagnia di Pina Bausch è invitata a Roma per un periodo di prove:
lʼItalia teatrale danzatoria è incuriosita da questo esperimento e si
domanda che cosa la Bausch dirà di Roma; anche lei se lo domanda:
“Che dire su Roma?” Ha confessato la regista-coreografa nella conferenza
che ha chiuso il periodo di prove romano. Eʼ una cultura immensa e
impenetrabile per me. Posso solo lavorare con i miei ballerini su un
ventaglio di suggestioni: sulla fascinazione enorme che questa città può
esercitare su noi esterni”. (50)
Viktor debutta a Wuppertal e torna a Roma in un secondo tempo:
“Il nuovo spettacolo della Bausch si muove lontano da ogni riferimento
descrittivo e anedottico alla città.” (51) Dichiara Alberto Testa; la coproduzione romana non sconvolge assolutamente lʼuniverso Bausch, le sue cifre stilistiche rimangono costanti, la
critica italiana è tiepida. Lo spettacolo si apre con la scena occupata da
una muraglia dalla quale un uomo getta nel vuoto palate di terra dallʼinizio
alla fine della pièce. Poi incominciano gli sketches, i quadri tipici della
Bausch, accostati lʼuno allʼaltro secondo il procedimento di montaggio tipico del suo
(50) Pina Basuch in BENTIVOGLIO L., Pina Bausch a Roma: un amore fecondo?
“Balletto oggi” aprile 1986, Milano, p. 23 (51) SCHLICHER S., Lʼavventura del ... p. 138
46
teatrodanza. Una figura sicuramente di un certo rilievo è la “vittoria”, una
donna drappeggiante di rosso impassibile e sorridente mentre intorno a lei
le scene si avvicinano senza posa:
“una danzatrice in abito rosso si ferma al centro del palcoscenico e sorride
in direzione del pubblico: cʼè nel suo aspetto esteriore qualcosa che
disturba. Lʼabito le nasconde le braccia, sembra senza braccia”. (52)
In un avvicendarsi di situazioni che sembrano scivolare via senza lasciare
tracce, i danzatori intrecciano balli di coppia e a gruppi, serpentine e
figure sinuose disegnate con gli altri superiori, secondo gli schemi di
movimento prediletti dalla Bausch.
Ahnen (53) ha debuttato a Wuppertal nellʼaprile del 1987.
Si tratta di una pièce dai tempi lunghi (circa tre ore) analogamente a molta
della produzione degli anni ottanta.
Ahnen in lingua tedesca ha un significato ambivalente: significa “avi,
antenati” che “presentimenti”. In questa doppia traccia ispiratrice-conduttrice
si possono forse riunire molti dei poliformi stimoli di Ahnen: accanto a una
nostalgica voglia di radici, di certezze, ad un elegiaco sguardo agli avi e al
passato, cʼè la fredda percezione del futuro, il cui fosco presentimento
aleggia sulla scena. (52) SCHLISCHER S., Lʼavventura del... p.138
(53) Presentimenti, Wuppertal, aprile 1987
47
La scenografia ha come al solito un ruolo importante nel creare “il mondo”
della pièce: grandi cactus la invadono disordinatamente, accentuandone
la profondità; in questa giungla i personaggi si perdono e si ritrovano,
ma sono soprattutto soli. In questo deserto immaginario avviene di tutto:
giochi infantili e crudeli, incontri, scontri, piccole gare, travestimenti, assoli
di danza tra lʼisterico e il liberatorio; addirittura un elicottero funzionante in
tutto e per tutto (un pò più piccolo del normale!) atterra in scena spruzzando qualcosa e facendo scappare tutti quanti.
La musica sottolinea questo ribollire di azioni alternando e variando sia i
volumi che i generi: si va da Monteverdi alla musica africana, a quella
popolare italiana e ancora Billie Holiday, Ella Fitzgerald, Fred Astaire.
Dal fluire continuo della azioni emerge nitidamente lʼimpossibilità di incontri
veri, la disperazione di amori incompiuti, la disperata ricerca di un gesto,
di un corpo, di un grido: tutto questo è abbastanza tipico della Bausch, ma
in Ahnen ciò che è assolutamente originale ne è la “colorazione”: la compagnia era reduce di una tournée in Giappone e in questo spettacolo i
danzatori e la Bausch hanno riversato lʼodore di questo viaggio e di
questo paese. Nella colonna sonora è presente molto rock nipponico, la danza giapponese
ha una parte importante in molti assoli, così come tipicamente orientali
sono gli scontri corpo a corpo. Si avverte del Giappone la lotta per la
sopravvivenza di una tradizione immensa, schiacciata dal peso di una
48
civiltà tecnologica che avanza senza pietà e a ritmi inusuali per noi europei.
Il Giappone di Ahnen si vede e non si vede, così come era stato per la Roma
di Viktor.
49
1.2.5 Die Klage der Kaiserin: il primo film di Pina Bausch
Dopo Ahnen, produzione del 1987, Pina Bausch attende fino al gennaio 1990
per presentare una nuova pièce dal titolo Palermo Palermo, (54) Questa
lontananza dal palcoscenico non significa però inattività: nel frattempo la
Bausch e i suoi danzatori affrontano infatti per la prima volta una produzione
cinematografica; la compagnia ha girato unʼimmensa quantità di materiale
nel periodo ottobre 1987 - aprile 1988. Il frutto di questo lavoro è stato
presentato al Festival di Berlino nel 1989: Die Klage der Kaiserin (55), il
primo film di Pina Bausch. Lʼopera della neo-regista tedesca è arrivata in
Italia al Festiva di teatrodanza “Oriente Occidente” di Rovereto.
Die Klage der Kaiserin è senzʼaltro unʼopera di Pina Bausch sotto tutti i punti
di vista. Lʼutilizzo di un altro media non sbiadisce la chiarezza del suo segno creativo.
Il film è costituito da una serie di immagini accostate le une alle altre secondo
il metodo compositivo ormai classico della coreografa tedesca: di queste
immagini spiccano gli effetti stranianti e soprattutto un montaggio estremamente
ritmico. Per quanto concerne la colonna sonora, è costituita da musiche
estremamente varie, dal classico al jazz, senza trascurare il folklore, soprattutto
mediterraneo e sudamericano. Non mancano delle parti parlate, ma sono in
bassa percentuale rispetto ad altri lavori di Pina Bausch. Molte immagini sono
(54) a questo spettacolo abbiamo dedicato lʼintero capitolo secondo di questa tesi.
(55) Il lamento dellʼimperatrice, Berlino, primavera 1989
50
comunque riprese pari pari dalla sua precedente produzione, come certi
atteggiamenti e monologhi di Mechtild Grossmann o la celebre scena di
Walzer in cui Julie Stanzak compie una serie di lentissime “ruote” avvolta
in un morbidissimo abito da sposa. Forse la Bausch ha voluto concentrare
nel film le immagini che ama di più, per metterle in scatola e non perderle
mai più, perché sfuggissero allʼaffascinante irripetibilità del teatro; e in
questo senso è coerente che nel lungometraggio i danzatori che appaiono
di più siano quelli a lei più intimamente legati; o forse ha voluto misurare i
suoi tesori più cari esponendoli a uno sguardo diverso quello della macchina
da presa; ma in ogni modo il fatto forse più rilevante è che questi tesori
estratti dal teatro-scatola-chiusa respirino alla luce del sole. Lʼansia di spazio e di natura che Pina Bausch esprime nel suo film è infatti
senzʼaltro la nota più trasparente e lirica: nello scorrere delle immagini si
possono leggere i passaggi stagionali e il vivere delle stagioni, soprattutto
dellʼautunno, lʼinverno e della primavera, con i loro colori e sapori. Nella
scena iniziale una donna corre manovrando con energia disperata una
macchina strana che spazza via le foglie in un bosco dai colori stupendi,
poi una danzatrice con un costume nero da coniglietto si inerpica
annaspando su una collina di terra scurissima, appena arata: e poi, senza
pause, giochi nella neve, corse affannose in prati verdissimi e in boschi
fatati e terribili, pieni di buio o di luce; e danza nella neve e nella pioggia
e anche animali, cavalli pecore. Ma non cʼè solo la natura, ci sono anche i
sobborghi della industriale Wuppertal e Mechtild Grossmann che li attraversa
51
camminando su tacchi altissimi vestita solo di un paio di mutande. E scene
lungo il piccolo fiume Wupper che attraversa la città, oppure nel metroaereo che ne è il fiore tecnologico allʼocchiello. Tra le scene metropolitane
difficile da dimenticare, per esempio, Jan Minarik che si fa la barba chino
a lato della strada, bagnandosi il viso con gli spruzzi delle pozzanghere
sollevati dalle auto, oppure ancora Mechtild Grossmann seduta impassibile
su una poltrona collocata “esattamente” in mezzo al traffico. E non
mancano neanche gli interni; un danzatore coperto di fango in cui è
inquadrato solo lʼaddome, danza sensualmente ritmi sudamericani;
oppure alcuni ballerini che pattinano a rotelle in una piccola sala,
drappeggiati elegantemente in abiti femminili. Tutte queste immagini
vanno e spesso tornano, giustapposte ritmicamente. Il film termina con
lʼintensissima inquadratura di una donna anziana che balla sola
nellʼatrio di un locale che potrebbe essere una sala da ballo, al ritmo di
una marcia funebre siciliana. A proposito della natura nel suo film, Pina
Bausch dice:“Eʼ il livello che non ho potuto avere in teatro , la natura, il
paesaggio, la terra, il bosco, il prato.... Mi sembra inoltre che nelle riprese esterne ci fosse molto freddo. Non che
sia stato fatto un film freddo, ma si nota nei movimenti delle figure lʼatmosfera
gelata in cui si è girato e la luce ha una certa freddezza. Il film ha quindi
acquistato una chiarezza che trovo molto bella! (56)
52
Al solito molti si sono chiesti il perché del titolo: Die Klage der Kaiserin è il
titolo di una musica inizialmente inclusa nella colonna sonora e poi non
utilizzata e potrebbe perciò non avere alcun rapporto contenutistico con
lʼopera: quanto lamento però ci spiega Pina Bausch:
“Si avverte la disperazione, il film è un lamento. Non volevo fare lʼestate in
inverno. Eʼ qualcosa di altro, diverso, quando si gira dʼinverno. Ha un poʼ
a che fare con il genere quando si va dʼinverno con i vestiti dʼestate sottilissimi sulla neve e questo significa qualcosa... Eʼ un grande lamento,
qualcosa di aspro una grande miseria. Ma ci sono molte immagini dentro
come le immagini della favole. Eʼ come un libro illustrato. Non ho mai
cercato di tagliare qua e là, le scene intere vengono mostrate come foglia
su foglia. Ho girato con una sola telecamera: le foglie autunnali, il bosco, il
campo”. (57)
A proposito del rapporto con la tecnologia cinematografica la Bausch si è
dichiarata a tutti gli effetti principiante e comunque infastidita da tecniche
di cui non è padrona. Senzʼaltro però ha usato intelligentemente una
(56) considerazioni di Pina Bausch tratte da un colloquio con Raymund Hoghe
pubblicato su un ciclostilato distribuito a Rovereto in occasione della prima
visione italiana del Lamento dellʼimperatrice, p. 8 Fonte ufficiale non specificata
(57) Ibidem, p.9 (58) Pina Bausch, Incontro con Pina Bausch, Accademia Civica Paolo Grassi,
05.10.90, mie note
53
tecnica di inquadratura elementare, spesso fissa, con pochi carrelli e
panoramiche e sempre con una sola telecamera, appunto. Il montaggio, nella
sua naivetè, risulta davvero ritmico e cristallino. Rispetto alla compresenza in
scena di molti elementi, tipica del suo teatro, Die Klage der Kaiserin risulta
più essenziale, dà la sensazione di guidare maggiormente lo sguardo dello
spettatore, il quale forse si lascia danzare di più al ritmo suggerito della
Bausch: “Tutto è danza, magari danza interiore... ecco sì, io vorrei che il
pubblico interamente danzasse con me.” (58)
1.3 IL METODO BAUSCH
1.3.1 Il Wuppertaler Tanztheater al di là della danza
I primi anni di lavoro creativo di Pina Bausch si possono decisamente far
risalire alla tradizione di danza moderna in cui è cresciuta: la danza
espressionista, di cui il suo maestro Kurt Jooss era uno dei più significativi
esponenti, sommata ad una vasta esperienza della modern dance americana.
In queste sue prime esperienze infatti, la Bausch coreografava con originalità,
ma i suoi esiti artistici non potevano ritenersi particolarmente innovativi. Nelle
sue composizioni si ravvisa però un grande equilibrio, una grande padronanza
della tecnica ed una grande energia; lʼopera che si può considerare il culmine
di questo primo ciclo produttivo è Le sacre du printemps, un balletto che pur
54
non abbandonando il solco della grande tradizione della danza moderna, per la
forza e la cristallinità del gesto danzatorio lasciò senza fiato lʼintero mondo dellʼarte.
La coreografa di Solingen e la sua compagnia lavoravano in quegli anni come molte
altre compagnie di danza moderna: sulla base di un allenamento tecnico rigoroso
(molta danza classica) la Bausch pensava e proponeva delle coreografie interamente danzate che i ballerini eseguivano interpretandole al meglio delle loro possibilità.
Eʼ a partire dal 1977-78 che le cose cambiano, che il metodo Bausch comincia a
prendere forma: durante gli allestimenti di Renate wandert aus e di Er nimmt
sie an der Hand und fuhrt sie in das die schliob anderen folgen (59) Pina
Bausch cominciò a porre ai suoi danzatori una serie di domande di genere estremamente vario cui i danzatori potevano rispondere improvvisando qualsiasi cosa,
utilizzando sia le parole che la gestualità. Lei prendeva nota diligentemente delle
domande e delle risposte, così come i danzatori, che erano tenuti ad annotare ogni
propria reazione. In questo modo la Bausch sviluppa una grande mole di materiali cui avrebbe dato forma in un secondo momento. Difficilmente costruiva i suoi questionari attorno a un tema centrale, spesso sembrava
che niente legasse tra loro le varie domande; i danzatori rispondevano uno alla volta
oppure in gruppo, secondo le precise disposizioni della coreografa.
Improvvisando le risposte danzando, parlando, facendo smorfie, non erano tenuti
ad osservare alcun limite, alcuno schema: Pina Bausch tendeva a un superamento
della danza con i suoi ruoli e luoghi determinati, con il mito incombente della bellezza
e del virtuosismo; voleva arrivare a un vero teatrodanza, tanto più vicino alla vita.
(59) Cfr. Cap. 1.2.3
55
1.3.2 Un esempio e una testimonianza
Per dare concretezza alla nostra descrizione riportiamo lʼelenco degli
stimoli e delle domande poste dalla Bausch durante le prove di Walzer,
uno spettacolo del 1982, periodo in cui il metodo Bausch si era ormai
consolidato nelle sue regole e nelle sue forme:
Tendere una trappola a qualcuno/Costruire piramidi/Riflettere su una frase
molto semplice e dirla senza parole/Chi è capace di camminare sulle
mani?/Tenere una sigaretta/Quando i canguri si sentono in pericolo,
afferrano lʼaltro animale con le zampe anteriori e gli squarciano lo stomaco
con quelle posteriori/Album di poesie/Pose fotografiche/Posizioni formali
di danza e come non si deve ballare/Immagini di Maria/Voi sapete come
strisciano gli indiani?/Il linguaggio gestuale degli indiani/Raccontare una
storia con rumori/Schiattare dalla rabbia/Atteggiamento di umiltà/Difendersi/Quando un animale vuole mordere/Come si uccide un animale/
Cosa si può fare con una mano?/Lamette da barba/Inventare un nuovo
gesto di pace/Giochi per scacciare la paura/Rituale di una persona che dà
direttamente sui nervi a unʼaltra persona/Cosa credete che gli altri vogliano
cambiare in voi?/Come rompete un uovo a colazione?/Tavolo del mago/
Perché la si fa così difficile?/Cullare qualcosa/Qualcosa per cui utilizzare
un rullo di tamburi/Una canzone su un albero/Seguire una disciplina/Un
segno per fare qualcosa insieme/Quando si devono fare i bagagli in fretta e
si ha solo una valigetta e non si sa per quanto tempo si starà via cosa si porta?/
56
Come reagite se qualcuno fa progetti su di voi?/Un esercizio per rafforzarsi/
Vergine che si libra in aria/Fazzoletto bianco/Sei toni di entusiasmo/Leg
art/Come si impagliano gli animali/Meditare la vendetta/Provocare qualcuno/
Quando si piange/Voler preservare qualcosa/Fare un monumento a
qualcuno/Quando un animale uccide un altro animale/Curioso/Cinque leggi
per il matrimonio/Quale parte del corpo muovete più volentieri?/King Kong/
Cosa pensate che dica un animale caduto in trappola?/Scuola superiore:
come un animale cade in trappola/Oh, pardon/Formule magiche/Come ci
si può divertire da soli/Diverse specie di Ahi/Afferrare qualcuno/Messo
alle strette/Preparatevi prima di ballare o di andare a ballare/Come vi
riscaldate/Movimenti dei pupi/Cosa si fa ai pupi/Un gioco col proprio corpo/
Consolare/Giochi di animali/ Liberazione delle catene dellʼartista/Segnali di
pericolo/Premere lʼaria a qualcuno/Pas de deux con due dita/Umiliante/
Passettino folkloristico/Posa dʼaddio/Un preparativo astuto/Un segno per
good luck/Una frase accanto al letto/Disperazione/Questo è mio/Tendere
il piede/Nuotare a Crowl/Nostalgia di terre lontane/Posa sfacciatamente
rilassata/Ancora.../Artista della vita/Far qualcosa se si vuol essere amati/
Cosa vi riesce meglio?/Sotto un melo/Qualcosa di legato al coraggio/
Irrobustirsi/Un progetto non è più valido/Presto sarà di nuovo primavera/
Coscienza sporca/Italia/Che altri progetti avete?/Portare qualcuno/Essere
entusiasta/Minitwist/Potete fare una coppietta?/Un calcio molto in alto con
57
la gamba/Il linguaggio delle bandiere/Foto per lʼeternità/Guarda chi ho
portato qui/Qualcosa sul tempo/Scacciare qualcosa/Consigli dei vostri
genitori/Saltellare in cerchio/Frasi sullʼumanità/Descrizione del paesaggio/
Dire una frase molto seria/Qualcosa legato allʼarrivare o al partire/Cosa avete
ricevuto dai vostri genitori?/Cosa trovate di bello in voi/Avere dubbi/Rinunciare/Concepire e immaginarsi una frase molto importante di cui non si
riescano a capire le parole/Perché là cʼè una cascata/Come vi stringete a
qualcuno quando avete paura/Qualcosa di vivo/Nascondersi/Pregiudizi per
cui ci si sente emarginato/Quello che si fa da soli/Rallegrare Pina/Oh,
potrebbe essere così bello/Tirarsi su e rasserenarsi/Una poesia dʼamore/
Qualcosa fuori del normale/Qualcosa di rispettabile/Ecco un orso, voi
ora dovete farlo ridere/Piccolo, più piccolo, piccolissimo/Attenzione, il
programma è cambiato/Preparativi per qualcosa di grandioso/Fà un poʼ
vedere, anche per te è lo stesso/Guarda, quelli prima si baciavano
così.../Qualcosa di puro/Caro, caro, caro.../Il fiore è giallo/Giochi con un
filo/Battuta di caccia/Qualcosa con un fiore/Guarda io sono già
capace.../Qualcosa di determinante/Fate qualcosa con la vostra nostalgia
(struggimento)/Buttarsi nelle braccia di qualcuno/Gustare qualcosa/Porto e
navi/Ottima forma per tutti/Un mini-show per se stessi/Per sei volte:
piacersi/Una sciocchezza per il pubblico lassù/Paura di perdere
qualcosa/Fissare male un oggetto/Perdonare/Espirare/Qualcosa legato
al pudore/Un piccolo movimento che si fa quando si ha la pelle dʼoca/
58
Oh, issa/Ciò di cui si ha bisogno per sopravvivere per poter aiutare sé
stessi/Ecco - I do it for nothing/Attendere una notizia/compatirsi/Spero
che ci rivedremo/Voler scappare/Una buona notizia/Buon viaggio/
Linguaggio delle bandiere/Ricominciare da capo/Riflettere su qualcosa
legato al vento/Fare il modesto/Inni/Massaggio per Babies/Su, fammi
un ruttino. (60)
(60) trad. BENTIVOGLIO L. Il teatro di..., p. 36-37
59
Dal programma di sala di Keuschheitelgende, (61) risalente al dicembre
1979, abbiamo estratto alcune impressioni di un giornalista, Raimund
Hoge, che seguì integralmente le prove dello spettacolo e a cui fu affidata
la compilazione del suddetto programma.
Primavera: che cosʼè la primavera? Quali sentimenti si provano? Cosa
viene in mente con la primavera? Oppure valzer:
che cosa significa?
Cosa vi ispira questa parola? E castità: cosa vuol dire essere casti? Qual
è il suo contrario? Pina Bausch pone queste domande: chiede anche cose
che spesso sono considerate cliché e cerca di scoprire quello che sta
dietro: al di là del cliché, delle parole logorate, delle risposte sommarie per
una vita sommaria: non vuole risposte scontate, consolanti e nemmeno
indicazioni sulla storia e geografia del valzer: “Le conosciamo tutti e non
abbiamo bisogno di ripeterle”. In una prova successiva le singole coppie si
muoveranno a ritmo di valzer senza rispettare la cadenza originale in tre
quarti ma con movimenti “In cui sia presente il senso del valzer”. Pina
Bausch dice: “Una carezza può anche essere come un ballo”. Le domande
di Pina Bausch: un tentativo di ricominciare da capo, di riscoprire in modo
nuovo se stessi e il proprio mondo, di fare nuove esperienze: Pina Bausch
e i suoi ballerini ballano ponendo domande con curiosità.
(61) cfr. cap 1.2.3, p.22
60
Analizziamo piccoli spaccati di realtà: non si lasciano prendere da
frammenti, non sillabano solo parole. Sillabano per essere in grado di
sentire, di vivere, di amare di nuovo-per rompere il ghiaccio, il mare gelato,
il freddo dentro e fra noi. 1 ottobre. Le coppie provano le camminate, gli atteggiamenti degli
innamorati, Un uomo e una donna camminano insieme e si sfiorano. Mano
nelle mano. Mano sui fianchi, mano sul sedere del partner, mano nella
tasca dei pantaloni dellʼuomo. Serie di posizini. Apparentemente infinite ma
anche limiti che fanno apparire comuni atteggiamenti considerati personali.
La spontaneità è ritualizzata e sfocia in atteggiamenti dietro cui lʼindividuo
scompare facilmente e senza drammi. “Camminate come se aveste fretta”.
Si prova lʼandatura veloce prima singolarmente, poi in gruppo. Dove
esserci sempre e nelle forme più diverse: questa andatura veloce, questo
forsennato dirigersi-verso-una-meta.
(...) Si devono vedere i due gesti sempre insieme: colpire e lenire le ferite,
le offese degli altri e la propria vulnerabilità, tenerezza e aggressività:
Pina Bausch allontana la paura di mostrare cosa cʼè dentro di sé. Infonde
coraggio in sé stessi, nei propri pensieri, nelle proprie sensazioni,
nelle proprie associazioni, dà la forza di accettarsi. “Fà quello che ti
sei immaginato. “Prova”- (...) “Tutto quello che non siete capaci di fare ma avete visto fare dagli altri
per strada, nei grandi magazzini luccicanti, nei film. Pose da superman e
61
da manneguin. “Macho e virile” e lʼarrendevolezza femminile, il batter
di ciglia, le gambe leggermente divaricate muovendo provocatoriamente il ginocchio, accarezzare il seno, girare con le mani nelle tasche
dei pantaloni, ridere in modo allusivo, essere disinvolti non solo con le
gambe - provare dei ruoli nelle speranza di venir notati e riconosciuti. “Sì,
conosco molta gente” - dice una giovane aspirante suicida alla radio - “Ma
non cʼè nessuno che mi conosce”.
62
1.3.3 C o m ʼè articolato il metodo Bausch?
La prima fase prevede un periodo di prove di sei/otto settimane in cui con il
sistema delle improvvisazioni in risposta alle domande di Pina Bausch si
accumula una certa mole di materiale.
Nel secondo periodo ci si occupa della selezione e del montaggio di questi
eterogenei materiali; spesso la Bausch preferisce che ci sia unʼinterruzione,
una pausa, che divida queste due fasi: dopo la prima la compagnia per alcune
settimane, qualche volta per dei mesi, si occupa dʼaltro (repliche, tournée) e
lascia riposare lʼimmaginazione.
Eì in questo secondo momento che Pina Bausch prende in mano più saldamente le redini della situazione: sceglie le improvvisazioni che la convincono
fino in fondo, coordina il lavoro dello scenografo con quello dei danzatori,
sceglie la colonna sonora (di norma un collage musicale composto con grande
fantasia) e passo dopo passo arriva al montaggio definitivo, allʼopera
compiuta.
1.3.4 I d a n z a t o r i e d i l m e t o d o
Non è stato facile arrivare allʼapplicazione di un simile modo di lavorare per
dei danzatori che avevano alle spalle delle esperienze più o meno tradizionali
e che ora si vedevano costretti a starsene seduti per ore tutti i giorni,
scarabocchiando appunti e osservando con pazienza le improvvisazioni dei
63
colleghi. Per settimane e settimane inoltre, sembrava di lavorare alla cieca,
senza intravedere alcuno sbocco a quellʼaccumularsi massiccio di domande
e risposte. Durante tutto il primo periodo delle prove non si lavorava mai al
montaggio dello spettacolo e nessuno poteva sapere se ciò che stava
realizzando sarebbe stato realmente incluso nello spettacolo stesso.
Le prime esperienze del Wuppertaler Tanztheater in questa nuova
direzione rappresentarono un momento chiave per la storia della compagnia:
molti ballerini non sopportarono a lungo questo genere di lavoro; una volta
addirittura la compagnia si ammutinò: quasi tutti i danzatori rifiutarono di
continuare in quel modo e la Bausch fu sul punto di abbandonare tutto,
Wuppertal, la compagnia, le sue nuove concezioni. Però a poco a poco il fascino misterioso di quellʼimpietoso scavare in
sé stessi rispondendo alle domande spesso intime e dolorose poste
senza tregua dalla loro coreografa, conquistò uno ad uno i danzatori
del Wuppertaler; infine fu chiaro che tutti lʼavrebbero seguita in questa
avventura. Uno dei fedelissimi di Pina Bausch, il francese Dominique
Mercy, racconta: “Con il Macbeth (62) cominciai a provare un interesse
vivo, avvincente per questa nuova forma di lavoro. Capii che attraverso
questo metodo stavo cominciando a scoprire qualcosa di molto importante
su di me e su un mio nuovo modo di fare teatro.
(62) cfr. cap. 1.2.3, p. 27
64
Capii che prima dʼallora io avevo soltanto semplicemente ballato.” (63)
Nellʼimponente questionario dello spettacolo Walzer non mancano
domande imbarazzanti, per rispondere alle quali è necessario vincere
ogni vergogna ed essere totalmente sinceri con sé stessi: non esiste più il
“privato”, ognuno mette a nudo i sogni e le fobie della propria infanzia, la
propria sessualità: al Wuppertaler Tanztheater diventò necessario vivere
nello sforzo costante e quasi nauseante di essere “veri”. In questo periodo cambiò anche la sede delle prove: Pina Bausch aveva
utilizzato fino ad allora lʼelegante palcoscenico del teatro cittadino, ma la
municipalità mise a disposizione della compagnia uno spazio alternativo: il
“Lichtburg”, un vecchio cinema in disuso: la Bausch lo amò subito, lugubre
e demodé con le sedie accatastate alle pareti e il pavimento polveroso.
Molto più che non il formale palcoscenico della Schauspielhaus favoriva le
confessioni collettive dei suoi danzatori attori.
Ciò che ha sempre creato tanta tensione nei danzatori era ed è la
mancanza della danza: è vero che in ogni gesto quotidiano ci può essere
danza e che nel montaggio e nel ritmo degli spettacoli di Pina Bausch cʼè
sicuramente danza, ma i ballerini sono abituati a saltare, volare, girare, sudare.
(63) Dominique Mercy, in BENTIVOGLIO L., Il teatro di... p. 24
65
A questo proposito Anne Marie benati, unʼaltra delle colonne del
Wuppertaler, testimonia:
“Era talmente duro che a volte mi sembrava di impazzire: provenivo da
una formazione di danza classica, ero abituata a un ritmo di allenamento
fisico quotidiano. Con Pina invece si doveva stare seduti a pensare e a
parlare, per un tempo che mi pareva interminabile. Fisicamente ero folle, il
mio corpo non riusciva ad accettare questa stasi forzata. Ricordo che
spesso, finite le prove, scappavo nei boschi intorno a Wuppertal e correvo
per ore, fino a non poterne più, fino a sentirmi svuotata esausta.” (64)
Dʼaltra parte la stessa Anne Marie Benati aggiunge:
“Quando ero una ballerina classica mi nascondevo dentro una forma. Ora,
con Pina, la forma è solo una conseguenza: io riesco ad acchiappare
la mia verità e poi, in un secondo momento, quella mia verità viene
armonicamente sistemata dentro una forma.” (65)
Cʼè una sola attrice professionista che lavora stabilmente con Pina
Bausch, Mechtild Grossmann: tutti gli altri sono ballerini cui spesso la
Bausch chiede di parlare in scena. Non ha mai chiesto loro di frequentare corsi di dizione né di utilizzare voci
artefatte, artificiali; vuole che parlino con la loro voce.
(64) Anne Marie Benati, in BENTIVOGLIO L. Il teatro di... p. 24
(65) Ibi, p. 28
66
Le è stato chiesto perché preferisce lavorare con ballerini piuttosto che
con attori:
“Eʼ il rapporto con il loro corpo che è diverso. I danzatori hanno un rapporto
particolare con il loro corpo: sanno cosa significa essere stanchi, esausti.
Gli attori invece, quasi tutti, anche quelli che pensano di essere naturali,
non lo sono. Lʼattore è sempre portato a produrre qualcosa fuori di sé
stesso, fà sempre delle proiezioni.” (66)
In questa continua ed estenuante ricerca di naturalezza, spontaneità,
sincerità, attraverso giganteschi questionari di Pina Bausch, i danzatori
compiono un affascinante viaggio di cui gli spettacoli potrebbero apparire
soltanto delle tappe, dei luoghi in cui mostrare dove si è arrivati o semplicemente dove si è andati. Jean Laurent Sasportes, danzatore marocchino
molto affezionato a Pina, rileva con semplicità questa coincidenza tra vita
e spettacolo, tra uomo e ballerino-attore:
“Ho moltissimi problemi a parlare di qualcosa che è parte integrante e così
intima della vita mia. per tutti noi, con Pina, la vita e il lavoro coincidono.
Non riesco a chiacchierare in maniera distaccata. Il mio lavoro è la mia
vita in senso assoluto e profondo.” (67)
(66) Pina Bausch, in BENTIVOGLIO L., Il teatro di... p.15
(67) Jean Sasportes, in BENTIVOGLIO L., il teatro di... p. 27
67
Spesso è capitato e capita tuttora che la tensione di una simile condizione
provocasse pianti e crolli nervosi, qualcuno esasperato ha lasciato
Wuppertal e la compagnia. Spiega il danzatore polacco Janusz Subicz,
veterano del Wuppertaler:
“Il teatro non è terapia, ci dice Pina; è vero e giusto; una legge che fa parte
del processo creativo. Ma se si è sensibili, può capitare di soffrire molto:
perché con Pina si è spinti a toccare al massimo le proprie emozioni.” (68)
(68) Janusz Subicz, in BENTIVOGLIO L., Il teatro di... p. 26
68
1.3.5 I l d e m i u r g o B a u s c h
nel quotidiano scambio di flusso vitale tra la Bausch e i suoi ballerini si
inserisce la vera e propria creazione dellʼopera: la carismatica coreografa
dà forma al magma di frammenti di vita rovesciati sulla scena dei danzatori,
arbitra unica della selezione e del montaggio delle diverse improvvisazioni,
delle scelte musicali e scenografiche. Riguardo i criteri di selezione e di ordinamento delle immagini accumulate nelle prove, dai quali emerge infine la struttura dello spettacolo, la Bausch ha sempre dato indicazioni vaghissime; in
circa due settimane “informa” un paio di mesi di risposte ai questionari:
“Eʼ un problema di composizione - spiega - Dipende tutto da quello che si
riesce a fare con le cose. Allʼinizio non cʼè niente, ci sono soltanto risposte,
frasi, piccole scene. E resta tutto separato, frammentario. Poi, a un certo punto,
arriva il momento in cui comincio a collegare una cosa che mi è sembrata
giusta con unʼaltra cosa. E questa ancora con qualcosʼaltro, e poi una cosa
con molte altre. Quando, poi, di nuovo, mi sembra di avere trovato qualcosa
che effettivamente funziona, ecco che ho già una piccola cosa un poʼ più
grande. E a quel punto cerco di andare in una direzione completamente
diversa. Magari comincio le prove con lʼidea di andare verso una certa direzione.
Poi il lavoro si sviluppa, cresce, molte piccole cose a poco a poco diventano
qualcosa di più grande e la direzione cambia da sola. In ogni caso a tutto ciò
che è stato trovato viene data forma diversa, niente resta informe. E questo perché
69
ogni cosa acquista differenti significati nel momento in cui viene posta in
rapporto con delle altre. Soltanto pochissime cose rimangono nello
spettacolo nella stessa forma in cui erano allʼinizio.” (69)
Queste indicazioni della Bausch sulla drammaturgia dei propri spettacoli ci
sembrano abbastanza illustrative del suo modo di procedere e della sua
nausea di intellettualismi. Nel modo di selezionare le immagini e di montare
lo spettacolo riconosce una sua evoluzione nel tempo: “Nei primi anni di lavoro progettavo i miei lavori molto più di quanto non
faccia adesso. Poi però cominciavano ad accadere piccole cose, che
magari non avevano nulla a che vedere con i miei piani. Eʼ una decisione
che richiede molto coraggio... Ma non è cambiato il modo per arrivare a
quello che voglio dire.” (70) Interessante è rilevare come il metodo delle domande abbia acquistato
sempre più importanza nella vita della compagnia, tanto da invadere direttamente la scena: a partire dallo spettacolo 1980 (71) i danzatori pongono
delle domande direttamente in scena e a turno vi rispondono, inaugurando
una situazione che si ripeterà nelle performances prodotte successivamente.
Questa vicinanza tra training e performance, tra lavoro di preparazione
(69) Pina Basuch in BENTIVOGLIO L., Il teatro di... p. 14 (70) Ibi, p. 16 (71) Cfr. Cap. 1.2.3 p.22
70
dello spettacolo e spettacolo stesso valorizza lʼaffermazione di Muller e
Servos:
“Il metodo di lavoro di Pina Bausch, un “work in progress” che ammette
rielaborazioni e cambiamenti degli spettacoli persino dopo la loro
rappresentazione, abolisce lʼusuale compiutezza” (72)
Si è spesso parlato e discusso del “work in progress” di Pina Bausch e di
quanto le sue opere non siano mai compiute, ma possono vivere,
trasformarsi. In una recente conversazione, Jean Sasportes, Barbara
Hampell e Julie Stanzak (73) mi hanno risposto con una fragorosa risata
quando ho chiesto loro in che fase del lavoro è emerso lo scheletro
definitivo di Palermo Palermo: (74)
“Fino allʼultimo momento e anche dopo lʼultimo momento cʼerano ancora
tantissimi dubbi: Pina non aveva ancora affidato definitivamente molte
parti e ciascuno di noi aveva la sua dose di incertezza su quello che in
definitiva avrebbe poi fatto in palcoscenico” (75), ha spiegato Jean interpretando il pensiero comune. Gli spettacoli di Pina Bausch rimangono perciò
(72) Muller-Servos, in AA.VV., Tanz theater... p.68
(73) Danzatori del Wuppertaler Tanztheater (74) Palermo Palermo, ultimo spettacolo di Pina Bausch, andato in scena a
Palermo nel gennaio del 1990 (75) Conversazione risalente al settembre 1990. Mie note
71
aperti fino allʼultimo istante: sono spesso rivisti e corretti con il passare
delle repliche e, testimonianza recente con Nelken, possono essere
interamente rielaborati a distanza di anni: il primo allestimento di Nelken
risale al 1982 e la sua durata superava le tre ore; è stato ripresentato dal
Wuppertaler Tanztheater nel 1990 con molte novità nel cast degli interpreti
e soprattutto con una nuova struttura, della durata complessiva di unʼora e
cinquanta.
I materiali elaborati dalla Bausch non derivano però soltanto dalle improvvisazioni realizzate in sede di prova: spesso i suoi danzatori le presentano
scene, immagini, frasi, piccole performance (vissute o pensate o create in
mille modi diversi, dalla casualità al sogno, dalla vita quotidiana ai viaggi)
al di fuori delle canoniche prove e le affidano alla sua eccezionale memoria.
Pina Bausch ha la misteriosa capacità di ritrovare dentro di sé e di utilizzare,
magari a distanza di anni, queste immagini e spunti accantonati pazientemente nella sua mente. A proposito di queste ispirazioni estemporanee,
un esempio eclatante è quello di Lutz Forster, uno dei più vecchi danzatori
del Wuppertaler: di ritorno da un viaggio in America, le mostrò di aver
imparato a mimare la canzone “The man I love” (un celebre motivo anni
trenta) con il linguaggio dei sordomuti. La Bausch ne rimase tanto
impressionata che incluse di seguito questa singolare performance di
Lutz come una delle scene più importanti di Nelken. Questa apertura e disponibilità della Bausch nel cercare materiale si esplica
72
sempre e ovunque, come sottolinea il polacco Janusz Subicz, altra
“colonna” della compagnia:
“Pina lavora sempre anche nei momenti più rilassati. Quando siamo seduti
a tavola, al ristorante, io sento che lei sta lavorando dal modo in cui ci
guarda. Osserva il modo in cui uno muove un dito, si fissa su un altro che
ride e che parla, sʼincanta improvvisamente di fronte a un gesto qualsiasi.
E spesso, scrive, scrive...” (76)
Il vero mistero di pina Bausch riguarda la forma finale, cui lei perviene
selezionando e ordinando le indotte fantasie dei suoi danzatori, collocandole
in un particolare e tuttʼaltro che neutro contesto scenografico e incorniciandole con una colonna sonora tanto varia quanto sorprendente: il
risultato raggiunge una classicità, una compiutezza che recano
inconfondibilmente la sua impronta stilistica. Per quanto riguarda la scenografia, essa nasce insieme allo spettacolo: lo
scenografo assiste a tutte le prove e raccoglie, oltre a quelle della coreografa,
anche le indicazioni degli interpreti; insieme alla coreografa arriva poi
a una determinazione della grande scenografia, mentre la piccola
scenografia degli oggetti di scena deriva interamente dalle improvvisazioni.
Pina Bausch ha avuto con sé due scenografi: Rolf Borzik (suo compagno nella
(76) Janusz Subicz, in BENTIVOGLIO L., Il teatro di..., p.26
73
vita e scomparso tragicamente nel 1980) e Peter Labst, attualmente in forza
al Wuppertaler. Gli elementi scenografici più ricorrenti sono senzʼaltro legati
alla natura: la terra che ricopre il palcoscenico ne le Sacre du printemps, il
tappeto di garofani in Nelken, il manto erboso in 1980, lʼacqua in Arien. Eʼ lo
stesso Peter Labst che spiega:
“Negli spettacoli di Pina è la situazione ambientale che crea una dimensione
a parte, un mondo a sé stante, Tutto quello che appare in scena deve
realmente appartenere ai danzatori e non deve mai essere unʼinvenzione
ornamentale successiva messa in scena dopo lʼallestimento realistico. I
danzatori devono appropriarsi di ogni oggetto, toccarlo, utilizzarlo. Tutto ha
un suo ruolo espressivo. Il lavoro di uno scenografo con Pina Bausch deve
essere quindi parallelo e integrante rispetto alla creazione dello spettacolo.
Lo scenografo deve assistere alle prove, guardare, sentire, entrarci dentro
con tutta la sua passione e fantasia: non deve mai lavorare nei limiti del
proprio lavoro scenografico. E tutto secondo me deve partire dal suolo: il
terreno è la prima condizione dello sviluppo di una rappresentazione che si
svolge in uno spazio scenico e lo occupa conquistandolo come accade negli
spettacoli di Pina; il suolo è la base integrante da cui nasce lʼazione.” (77)
Anche la colonna sonora (in tutti gli spettacoli degli anni ottanta ha sempre
(77) Peter Labst, in BENTIVOGLIO L., Il teatro di... p. 29
74
rigorosamente la forma di collage) nasce parallelamente alle prove. La
Bausch riguardo alla scelta delle musiche si è dimostrata sempre aperta a
tutte le suggestioni e soluzioni: jazz, musica classica romantica, barocca,
lirica, ballate popolari mediterranee e sudamericane, rumoristica, musica
elettronica, rock duro e meno duro, musichette americane da ballo anni
trenta e quaranta, motivi da kabarett tedesco. Pina Bausch accompagna
la musica ai gesti e alle situazioni, la giustappone o la sposa senza alcuna
regola fissa. E così la musica va a sottolineare le atmosfere, a colorarle.
Ma ciò che più sorprende è quanto nel montaggio finale sia difficile pensare
alla musica indipendentemente dal resto: lo spettacolo è “intero”, la musica,
i danzatori, la scena, trasmettono al pubblico un sentimento misto di
amore-dolore potente eppure sottile, una sensazione “globale” difficile da
decifrare, come di un bacio e di uno schiaffo ricevuti nelle stesso istante.
75
1.4 ASCENDENZE CULTURALI
1.4.1 La danza espressionista
Il movimento espressionista di partiti e di scambi tra le diverse arti, influenza
il lavoro della Bausch soprattutto attraverso le sue forme legate alla danza. In
particolare è lʼespressionismo di Kurt Jooss (1901-1979) che si può
considerare legato da un filo diretto al teatrodanza di Pina Bausch.
Confrontiamo due spettacoli distanziati nel tempo di oltre cinquantʼanni: Suite
29 - Ballata di Tango di Jooss risalente al 1929 e Bandoneon (78) della
Bausch messo in scena nel 1980. La quantità e la profondità delle analogie è
quantomeno sorprendente: le stesse atmosfere argentine “straniate”, in cui
elementi sudamericani si mescolano ad altri decisamente europei; lo stesso
modo di accostare quadri e scene apparentemente sconnessi tra loro, che
vanno a comporre un racconto fatto di immagini e sensazioni, senza trama; e
ancora gli stessi vestiti della vita di tutti i giorni, la danza accademica che
appare e scompare nel vortice del tango e dei gesti quotidiani, la sensualità
ed il ritmo palpabili nellʼaria densa della scena.
Tutto questo sarebbe ancora più sorprendente se noi non sapessimo che
Kurt Jooss è stato il primo e amatissimo maestro di Pina Bausch, che lo incontrò
giovanissima alla Wolkwangschule di Essen; il maestro e lʼallieva prediletta
(78) Cfr. 1.2.4 p. 38
76
hanno collaborato fino al 1979, anno in cui Jooss scomparve lasciando un
grande vuoto nella danza e nel teatro tedeschi.
Jooss si era formato come danzatore e coreografo presso Rudolf Von Laban
(79), che è considerato il genio teorico della danza espressionista: il suo concepire la danza come arte assoluta e gli spettacoli come insieme di suoni, parola e movimento, il suo affermare la necessità di un teatro totale e piuttosto il
suo interesse per il ritorno alla pura primitività e a un nuovo equilibrio con la
natura attraverso rituali mitico-arcaici, potrebbero fornirci alcuni pallidi spunti
di collegamento con il Tanz Theater di Pina Bausch.
Ma Jooss brucia le tappe e, poco più ventenne, abbandona il maestro e comincia a dare forma alle mille idee che popolano la sua mente: non ripudia la
danza classica, anzi la ritiene una base irrinunciabile per un buon ballerino.
Alla tecnica classica Jooss sovrappone molte delle scoperte della danza moderna, ma per lui, a differenza di Laban, non è fondamentale sistematizzare
una nuova tecnica: Jooss è molto più interessato alla concretezza della
propria danza, al messaggio da esprimere attraverso le sue coreografie: per
lui ogni gesto danzato deve essere funzionale allʼidea da trasmettere. Spettacoli
come Der Gruhne Tish (80) e Big City (81) riscossero un grande successo
(79) per un approfondimento cfr. AURELIO MILLOSS, Laban, lʼapertura di una
nuova era nella storia della danza, in AA.VV. Tanztheater... (80) Il tavolo Verde (1932)
(81) Grande città (1932)
77
perché estremamente attuali, politici, pungenti, sociali; la bella danza che
vi è racchiusa (Jooss coreografava utilizzando strutture ritmicamente molto
complesse e ricchissime di difficoltà tecniche) non esibisce mai un
virtuosismo fine a sé stesso.
Nellʼestrema varietà della danza espressionista (82) che si era rivelata
efficacissima nella rappresentazione dei valori espressionisti, quali la
rivolta dellʼindividuo contro il mondo ostile, la provocazione del buon
senso borghese, lʼesaltazione dellʼistinto, dellʼirrazionalità e della
primitività, le opere di Kurt Jooss si distinguono per la loro capacità di
non astrarsi (83)
(82) “Il concetto di danza espressionista non esclude anche la compresenza del
dissimile, la presenza contemporanea del diverso: teatro rituale religioso, allestimenti corali di massa, teatro di lotta politica, tanz-drama di impegno sociale,
teatro in maschera e danza macabra. Ma anche danza solista e coreografica di
gruppo, dilettanti e professionisti, danza in pedana o danza teatrale”. SCHIlCHER S,.
Lʼavventura... p. 17 (83) Tra i massimi danzatori e coreografi espressionisti anche Mery Wigman (18861973) e Oskar Shlemmer possono vantare una forte influenza su alcuni artisti dellʼattuale Tanz Theater. Pina Bausch si è dimostrata abbastanza estranea alla loro arte: i
drammatici “a solo” della Wigman (cfr. BENTIVOGLIO L., La danza contemporanea,
Longanesi, Milano 1985 pp. 63/69) e la danza del “manichino geometrico” di
Schlemmer (cfr. SINISI S., Allʼinsegna dellʼarte totale, Teatrodanza e arti visive
nellʼespressionismo tedesco, in AA.VV. Tanz Theater: dalla danza... p.105, 139,
decisamente orientati a unʼastrazione del gesto che poco ha a che vedere con il
suo teatrodanza e con quello di Jooss. 78
e di affondare direttamente le proprie radici nella vita contemporanea,
trasmettendo la sensazione di una danza viva in cui politica e arte, sogno
e realtà convivono armonicamente.
Jooss è anche il primo che utilizza ufficialmente il termine “teatrodanza”:
risale infatti al 1928 la sua fondazione del “Folkwang Tanztheater Studio”.
In scena i danzatori vestono abiti di tutti i giorni e danzano gesti quotidiani.
Camminano facendo rumore, spostano lʼaria, occupano lo spazio: tutto il
divenire scenico è governato saldamente dalla musica, che detta il ritmo
alla gestualità. La scena ricostruisce ambienti reali, pieni di cose, di
oggetti veri. Tutta questa realtà a tratti greve si regge però direttamente
sullo inserimento di elementi onirici, di danza etera, che sembra mettere
le ali ai piedi calzati da scarpe di cuoio pesante, che restituisce armonia
ed eleganza alle gambe muscolose dissimulate in informi pantaloni di fustagno.
Nelgli allestimenti di Jooss come in quelli di Pina Bausch sono frequenti
elementi grotteschi e caricaturali collocati in scena in una logica straniante:
grandi animali collocati in scena morti che prendono vita, uso dei travestimenti e delle maschere. Tutto ciò fa si che ogni spettacolo susciti un
registro vastissimo di sentimenti, dalla paura alla satira, dal ribrezzo
allʼammirazione, dalla malinconia allʼallegria.
Un altro elemento comune è senzʼaltro costituito dallʼesibizionismo dei danzatori
sulla scena, che spesso ammiccano direttamente al pubblico, alla
ricerca di un contatto diretto, di una fascinazione che si colora episodicamente
79
di comico, di ironico, di sensuale.. Ancora da rilevare è una simile tendenza a riprodurre sequenze di gesti
dilatati nel tempo e di iterarli più volte in luoghi diversi dello spettacolo.
Questa manipolazione del tempo avviene anche in senso inverso: gesti
quotidiani accelerati (magari solleticati da musiche brillanti) sortiscono
spesso effetti comici. Molti sono perciò i motivi che avvicinano il teatrodanza di Kurt Jooss a quello
di Pina Bausch, nonostante quasi mezzo secolo di vita divida le loro opere.
Eppure lʼarte della Bausch è considerata moderna: come la coreografa tedesca
ricalcando molte delle forme utilizzate dallʼespressionista Jooss arriva a
trasmettere un messaggio estremamente attuale? Per Pina Bausch come
per il proprio maestro vale lʼassioma della funzionalità di ogni gesto al
messaggio: il contesto sociale e storico però si è molto evoluto e Pina
Bausch è una donna profondamente calata nel proprio tempo: così i suoi spettacoli raccontano lʼintossicazione da mass-media, lʼincomunicabilità crescente, la
psicoanalisi, la crisi del privato e della coppia, la morte della natura, i giovani e i
loro incubi di violenza e di droga; descrivono un mondo che parla mille lingue
diverse, in cui spesso sentimenti ed emozioni non trovano spazio, annegati in
una frenesia che nasconde le paure. Nel teatrodanza di Pina Bausch non
mancano accenni continui a culture lontane e diverse, favorite dai viaggi e
80
dalla conoscenza etnologica più diffusa; non mancano neanche le novità
tecnologiche, sia nei macchinari che negli oggetti di scena. La Bausch si
interessa inoltre delle nuove arti visive e cinematografiche, di cui si serve
per aggiungere nuovi elementi ai suoi allestimenti. Anche dal punto di vista del gesto danzato il bagaglio tecnico di Pina
Bausch è molto più vasto e vario di quello di cui Jooss disponeva negli
anni trenta: lʼallieva ha la possibilità di estremizzare e variegare la
dimensione di danza e di movimento dei suoi spettacoli ben oltre la
concezione coreograficamente più ortodossa del suo maestro. In definitiva ci sembra che la modernità di Pina Bausch derivi semplicemente dal suo essere fortemente legata al ritmo del proprio tempo e dalla
propria voglia di metterlo in scena, che è anche la caratteristica principale
dalla quale dipese il successo di Kurt Jooss quasi mezzo secolo fa.
81
1.4.2 B e r t o l t B r e c h t e P i n a B a u s c h
Analizzando il teatrodanza di Pina Bausch si è fatto spesso il nome di
Bertolt Brecht. A metà degli anni settanta Pina Bausch ha operato una
revisione di un testo brechtiano utilizzando le musiche originali di Weill: si
trattava di una serata divisa in due parti, intitolate Die Sieben Todsunden
del Kleinburger (i sette peccati capitali) e Furchtet euch nicht (Non temete)
(84); ma il contesto storico e culturale, gli intenti politici e pedagogici di
Brecht sono molto lontani dal Tanz Theater tedesco così come sono
lontani da questa molto libera interpretazione di Pina Bausch. Il Tanz Theater ha invece fatto sue le fondamentali conquiste metodologiche e formali di Bertolt Brecht: infatti in questa sede non è la sua arte di
commediografo che ci interessa, quanto le sue convinzioni teoriche (85)
Quello di Brecht infatti è forse il contributo fondamentale per un tentativo
di teorizzazione di alcuni meccanismi ricorrenti nel teatrodanza di Pina
Bausch, anche se questʼultima ha spesso affermato di non conoscere a
fondo gli scritti teorici dellʼautore-regista di Augusta e soprattutto di non
avere fatto nulla per uniformarvisi.
(84) Cfr. Cap 1.2.3, p. 22 (85) “Non è il Bertolt Brecht autore ma il Brecht teorico a offrire agli autori di
questa tendenza le categorie formali per la creazione di una drammaturgia
moderna, aperta e critica, per un progetto di rappresentazione antillusionistica
basata sulla significatività del corpo” SCHLICHER S., Lʼavventura ... p. 12
82
Una prima analogia di fondo può riguardare la concezione della struttura
dello spettacolo: Brecht vuole a tutti i costi evitare lʼimmedesimazione dello
spettatore nei personaggi, vuole impedire una fruizione emotiva del testo
spettacolare:
“In luogo dello emotivo con conseguente fusione dellʼattore e dello spettatore
in una comunità dionisiacamente eccitata subentra una tecnica di
epicizzazione che ricorda il distacco dello storico nei confronti degli
avvenimenti del passato.” (86)
Al di là delle finalità artistiche ed etiche di Brecht e della Bausch, che
senzʼaltro divergono su molti punti, gli espedienti brechtiani per ottenere
questo effetto di distacco emozionale e di presenza critica del pubblico
riguardano soprattutto la struttura del testo e sono quasi integralmente
ripresi da Pina Bausch.
Secondo Brecht gli spettacoli vanno divisi in una serie di quadri, semplicemente accostati tra loro; lʼaspetto diegetico è completamente sacrificato;
la giustapposizione dei quadri è facilitata dallʼinserimento di prologhi, titoli
intermedi e canzoni, mutando diversi elementi strutturali dal kabarett,
dalla rivista, dal teatro agit-prop. (87)
(86) ARTIOLI U., Poetiche teatrali del novecento, in CRUCIANI-FALETTI (a cura
di), Civiltà teatrale del XX secolo, Il Mulino, Bologna 1986, p. 59
(87) per conoscere meglio il teatro agit-prop fare riferimento soprattutto a
CASINI ROPA E. La danza e lʼagit-prop: i teatri non teatrali nella cultura
tedesca del primo novecento, il Mulino, Bologna 1988
83
Pina Bausch è molto lontana dallʼidea globale di teatro di Brecht: secondo
questʼultimo per realizzare il teatro didattico, sociale e politico cui mirava
non si poteva prescindere dal totale distacco emotivo dello spettatore. Gli
spettacoli di Pina Bausch, invece, pur presentando come abbiamo visto
alcune analogie strutturali, non prescindono affatto da una sollecitazione
dellʼemotività; ma ciò che è più interessante rilevare nel teatrodanza della
coreografa tedesca è la difficoltà di riconoscere e identificare i numerosi
stimoli che la scena emana; razionalità e irrazionalità, come amore e odio,
bellezza e bruttezza, si mascherano, appaiono e scompaiono tra le pieghe
del palcoscenico. In questo senso quello che più avvicina il teatro di
Brecht a quello della Bausch è la forte stimolazione della capacità dʼorientamento dello spettatore, lo sprone a crearsi un proprio spettacolo nella
propria testa e a viverlo fino in fondo: dice Brecht (e Pina Bausch non può
che essere dʼaccordo):
“La rappresentazione non è un crescendo drammatico ma una serie di
spezzoni la cui relazionalità è demandata alle risorse critiche dello
spettatore.” (88)
Ed è ancora in questa direzione che si può rilevare come i meccanismi di
sovrapposizione, giustapposizione, alternanza e alterazione di personaggi
(88) ARTIOLI U., Poetiche... p. 59
84
e situazioni tipici della Bausch abbiano a che vedere con un altro dei punti
fermi della teoria del Teatro Epico: “Negli spettacoli del Wuppertaler Tanztheater è possibile percepire ciò che
Brecht nella sua teoria del Teatro Epico chiama “trasformazione della
quantità in qualità” : (89) accumulare elementi incomprensibili fino al
momento in cui subentra la comprensione.” (90)
Le affinità tra Brecht e la Bausch si raccolgono soprattutto intorno al
concetto di “straniamento”. Più volte abbiamo definito “straniante” una
particolare, una scena, un intero spettacolo di Pina Bausch: lʼinvenzione
del termine risale al regista di Augusta; per lui lo “straniamento” è il
contrario della “immedesimazione”:
“straniare una vicenda o il carattere di un personaggio significa in primo luogo
togliere semplicemente al personaggio o alla vicenda qualsiasi elemento
sottinteso, noto, lampante e farne oggetto di stupore e di curiosità.” (91)
Non fatichiamo a riconoscere nel teatrodanza di Pina Bausch un uso frequente
di effetti di questo genere, sia nel modo di trattare i soggetti (le sue revisioni
di Shakespeare e di Brecht stesso sono esemplari della sua attitudine a
(89) BRECHT B., Gesammelte Werke in acht Banden, Frankfurt/main 1967, p. 360
(90) SCHLICHER S., Lʼavventura... p. 114 (91) BRECHT B., dal testo della Conferenza di Stoccolma tenuta da Brecht nel
1939 e riportata integralmente in CRUCIANI-FALLETTI, Civiltà teatrale... p. 263
85
“spiazzare” chi si aspetta qualcosa di predeterminato da un titolo e da un
luogo comune culturale), sia per le sue scenografie ricchissime di elementi
bizzarri e di accostamenti assurdi, e il suo imporre frequentemente un agire
scenico che lascia lo spettatore a bocca aperta, nellʼimpossibilità di
collocare la scena a lʼimmagine propostagli in un luogo rassicurante del
suo sistema di valori e di riferimenti logici. “Iu un primo momento queste scene irritano lo spettatore, lo colgono di
sorpresa. La tecnica della provocazione applicata a fenomeni naturali mai
messi in discussione (92) delineata da B. Brecht viene adottata in primo
luogo nei confronti dei segni della comunicazione corporea verso
atteggiamenti, modelli di comportamento e gesti.” (93) Il pubblico di Pina Bausch è perciò tenuto costantemente sul chi vive: ora
sorpreso, ora divertito, ora commosso e soprattutto in balia di sentimenti
misti; non ha una storia cui appoggiarsi, dei personaggi abbastanza delineati
da potervi scaricare amore e odio. Lʼaltalena di piccoli e grandi sentimenti
che lo trascina deriva molto spesso da quella che è considerata dal Brecht
teorico una delle chiavi per ottenere lʼeffetto di straniamento: la separazione
tra gesto e mimica, dove per gesto non si intende riduttivamente il
(92) BRECHT B., Gesammelte... p. 364
(93) SCHLICHER S. Lʼavventura ... p. 113
86
“compiere gesti” ma si intende un comportamento complessivo. Eʼ
anchʼessa una tecnica di provocazione: si tratta di rappresentare in modo
imprevedibile il “Gestus sociale che sta dietro ad ogni evento” (94). Si
potrebbero fare migliaia di esempi di situazioni tipiche di Pina Bausch
riconducibili a questa separazione tra gesto e mimica: i mille travestimenti,
i gesti infantili in uomini adulti, i fiori dove non ne crescono... La Bausch
vuole forse in questo modo “cogliere il senso dei comportamenti complessivi,
atteggiamenti del corpo e contegni. Andare a fondo della loro rilevanza
sociale e dei loro condizionamenti, del loro messaggio.” (95) Un altro dei pilastri della teoria brechtiana è considerabile alla base dei
procedimenti di proposizione spettacolare di Pina Bausch: si tratta del
celeberrimo “così e non così”, cioè del concetto che ciò che viene rappresentato è relativo, e deve suggerire allo spettatore che esistono mille altre
possibilità parallele a quella messa in scena. In questo senso il tradizionale
inganno della finzione scenica è completamente svelato, a vantaggio di
una presa di coscienza critica da parte del pubblico.
Secondo Brecht lʼattore “quando entra in scena, in tutti i passaggi
essenziali di ciò che fa, dovrà in qualche misura far rintracciare, rilevare e
percepire ciò che non fa; cioè reciterà in modo che lʼalternativa sia sempre
(94) SCHLICHER S., Lʼavventura ... p. 113
(95) BRECHT B., Gesammelte... p. 364
87
visibile, che la sua recitazione faccia intuire anche le altre possibilità, che
rappresenti solo una delle varianti possibili. Ciò che non fa deve essere
contenuto e ricuperato in ciò che fa.” (96) Eʼ interessante rilevare che questa “potenzialità” della messa in scena
brechtiana è in qualche modo già “in atto” negli spettacoli di Pina Bausch:
essa propone sul palcoscenico tutta una serie di possibilità di realtà, costituita
dalle improvvisazioni dei suoi danzatori-attori; la molteplicità della vita
non è soltanto suggerita, è mostrata direttamente sulla scena. Non è
difficile constatare che lʼesito spettacolare delle teorie di Brecht e cioè
lʼespressione del suo messaggio politico, sociale e pedagogico attraverso
degli attori spesso esprimersi alla terza persona è molto lontano dai
polisemici contenitori di immagini, gesti, parole e suoni di Pina Bausch;
lʼoriginalità della coreografa tedesca sta infatti nellʼottenere effetti analoghi
a quelli del “così e non così” del regista tedesco per altre vie: lʼattore
brechtiano cita la partitura anziché viverla in presa diretta, entra ed esce
dal proprio ruolo, incuneandovi i propri disagi, le proprie esitazioni e
riserve; si realizza così una tensione dialettica tra lʼumanità dellʼattore e il
messaggio del testo. Questo sdoppiamento di piani per la Bausch non
esiste, perché il suo attore è il testo e la vita individuale dellʼinterprete vive
(96) BRECHT B., Gesammelte... p. 434
88
con lui sulla scena; perché il messaggio di Pina Bausch si incarna nel
danzatore, che non è teso a rappresentare ma semplicemente ad essere.
89
1.4.3 il teatro di Bob Wilson e di Meredith Monk
“Pina Bausch: in realtà la sua è una forma di teatro totale che riassume
tutti gli altri generi fondendoli in un dinamismo che vive allʼinsegna della
carica visionaria, dellʼimmagine e della provocazione sensoriale del suono
e della parola.” (97) Silavana Sinisi parla del “teatro totale” della Bausch e non è la sola:
frequenti sono stati in questo senso i riferimenti della critica nel corso
degli anni. Frequenti soprattutto sono stati i rilievi di un possibile rapporto
tra gli spettacoli della Basuch e quelli di Bob Wilson e Meredith Monk, i
principale esponenti contemporanei della ricerca e della realizzazione di
un teatro totale. Pur avendo Pina Bausch spesso negato ogni discendenza e fratellanza da
e con Wilson e la Monk, dei quali sostiene non aver mai visto nulla, non
poteva mancare in un quadro generale di ascendenze culturali un tentativo
di studio parallelo di questi tre artisti.
“La dilatazione temporale, la forte pregnanza figurativa giocata sulla
contaminazione tra versante onirico e regime quotidiano ha fatto accostare
(97) SINISI S., Allʼinsegna dellʼarte totale. Teatrodanza e arti visive nellʼespressionismo tedesco, in AA.VV. L. Bentivoglio (a cura di) Dalla danza espressionista...
90
spesso la Bausch a Bob Wilson.” (98) Questʼultimo è quasi coetaneo di Pina Bausch, nasce negli States nel
1943; il suo approccio alla danza e al teatro è legato soprattutto alla mitica
figura di Merce Cunningham, rivoluzionario della danza moderna (99). Da
lui Wilson impara in prima istanza che non è lo spazio che condiziona il
movimento ma che è il movimento del corpo che descrive lo spazio di cui
si appropria; sʼimpadronisce in poco tempo dellʼantinarratività di Merce
Cunningham e del suo gusto per un tipo di montaggio delle immagini
orizzontale e alogico, insieme alla sua concezione della musica come
supporto libero non condizionante. Come Cunningham si interessa
allʼOriente , al Buddismo. al tradizionale teatro NO giapponese, Wilson
crede fermamente ad un superamento della quotidianità attraverso lʼarte,
attraverso il suo teatro totale: è affascinato infatti dal formalismo dei
movimenti del NO, dalla ritualità ripetitiva delle azioni e della dilatazione
della durata, tutti fattori di cui fa abbondante uso nei suoi lavori, tesi ad
una negazione del naturalismo e alla realizzazione di unʼesperienza
religioso-contemplativa.
Elementi come la dilatazione temporale e i meccanismi di iterazione sono
(98) SINISI S., Allʼinsegna ... p. 124 (99) “Senza Cunningham non ci sarebbero stati i teatri di Bob Wilson e di
Meredith Monk”. BENTIVOGLIO L., Teatrodanza, in AA.VV. “Teatro in Europa”
n° 7, Milano, 1990 p. 21
91
peculiari anche per il Tanz Theater tedesco, ma Wilson interrogato sui
rapporti della sua arte con il teatrodanza in generale ha risposto così:
“Il mio teatro amo considerarlo semplicemente un teatro dʼartista. Ho un
uguale interesse per il movimento, la luce, il suono, le immagini. Sono
convinto che il teatro sia il luogo dove tutte le arti possano convergere e
contenersi, E in questa convivenza cʼè spazio anche per la musica, la
danza e la recitazione. Ogni mio lavoro lo vivo come unʼopera. Opera nel
senso di Opus, costruzione, prodotto che si fa in un arco temporale e
attraverso la combinazione di elementi vari e di strette e intense collaborazioni.
La formula di teatrodanza è in questo senso, rispetto alla mia idea di
teatro, assolutamente limitativa.” (100) Al di là della limitatezza denunciata da Wilson, il teatrodanza e in particolare
quello di Pina Bausch non è affatto estraneo a molte delle prerogative della
sua arte. Lʼitinerario stilistico, formale e contenutistico di Wilson passa
attraverso diverse fasi: le sue opere sono inizialmente mute, senza musica
né parola. In una seconda fase egli utilizza le parole, ma non per il loro
senso: (100) WILSON R. Teatro dʼartista, conversazione di Robert Wilson con Maria
Nadotti in “Teatro dʼEuropa” n° 7, 1990, p. 38
92
“ Le parole sono come una musica, sgombra di intreccio: una specie di
poesia concreta usata come suono e come anche immagine.” (101)
Nello stesso periodo il regista statunitense comincia a utilizzare anche la
musica, dissociata dai gesti.
Solo successivamente si può cominciare e cercare di capire le parole del
testo, fino al completamento dellʼevoluzione nella fase attuale, in cui
Wilson incontra “Il testo come luogo del significato e della storia e non soltanto come
tessitura di suoni e di significati : le parole si fanno contenuto e il loro
ascolto rimanda a una riflessione sul senso che trasmettono.” (102)
Eʼ interessante rilevare come la prima parte di questo percorso coincida
con quello di Pina Bausch: infatti anche la coreografa tedesca era partita
dalla danza muta, ma a poco a poco la voce e il testo si sono fatti strada
nella struttura dei suoi spettacoli. Non mancano del resto delle differenze
di approccio riguardo per esempio la presenza di elementi di naturalismo
nellʼinterpretazione: “Il comportamento che io voglio sulla scena è estremamente formalizzato,
non deve avere nulla di spontaneo, deve essere immediatamente percepibile
(101) WILSON R., Teatro dʼartista..., p. 38
(102) Ibi, p. 38
93
come comportamento artificiale, creato per il teatro; sono totalmente
contrario al teatro naturalistico e alla riproduzione in scena di gesti presi
dalla vita reale.” (103)
Questa posizione stilistica e poetica è molto lontana da quella della
Bausch, la quale peraltro non ha mai fatto affermazioni teoriche di questa
precisione riguardo la sua arte: il suo tratrodanza è infatti intriso di realtà,
di elementi naturali e gesti quotidiani; non per questo si è autorizzati a
parlare di naturalismo della Bausch, perché questʼultima, pur utilizzando
espedienti diversi da quelli di Wilson, non ignora il brechtiano svelamento
della macchina teatrale. I due registi coreografi sono dʼaccordo invece per quanto concerne il
superamento delle tecniche e delle abilità fini a sé stesse; tornano a
divergere le loro concezioni riguardo il rapporto con gli interpreti: Wilson
disconosce il lavoro di improvvisazione creativa che è invece basilare per
i danzatori-attori della Bausch; Wilson sostiene che:
“interpretare un testo è come mentire” (104), ed è orientato verso una
concezione stilistica decisamente “demiurgica” , in cui il testo nasce soltanto
in lui e deve arrivare al pubblico senza la mediazione teatrale tradizionale
(103) WILSON R., Teatro dʼartista,... p. 38
(104) Ibi, p. 40
94
dellʼ”inganno recitativo” o quella più moderna della creatività degli
interpreti stessi, fondamentale invece per la Bausch.
In definitiva però quello che fa pensare a Wilson quando si vede uno
spettacolo della Bausch e viceversa è qualcosa di teoricamente difficilmente precisabile, perché dʼaltra parte la teoria si sposa faticosamente
con i lavori di questi due artisti. estremamente semplici e complessi al
tempo stesso. Wilson spiega: “Nei miei spettacoli cerco un equilibrio delicato, qualcosa di molto logico e
bizzarro insieme, come è di quanto, stranamente e misteriosamente, dopo
essere sorto, tramonta.” (105)
Questa frase non evoca unʼatmosfera-Bausch? Meredith Monk nasce, con Wilson, nel 1943.
Come lui attinge a piene mani dallʼarte di Merce Cunningham, con cui
danza per diversi anni: la sua produzione artistica abbraccia quasi tre
decenni e comprende una quindicina di spettacoli teatrali, una quindicina
tra film e video, una decina di dischi. La Monk parte dai fondamenti della
post-modern dance della quale
“sviluppa un modo di movimento articolato in segmenti gestuali, approcci
liberi e indeterminati con lo spazio, analisi di gesti frammentati, ricerca di
(105) WILSON R., Teatro dʼartista... p. 40
95
una fisicità sommersa e rimossa, antica e rituale, inscritta nello spazio del
sogno e dellʼimmaginario” (106)
Il recupero del corpo, della fisicità sommersa è sicuramente un punto in
comune con la Bausch, ma non è lʼunico: la trattazione di temi politici
metafisicizzati, il senso del magico e dellʼinconscio, del mondo onirico e
mnemonico che pulsa dietro il quotidiano, possono essere considerati
altrettanti nodi comuni.
Abbiamo visto come negli spettacoli di Wilson la voce abbia guadagnato
progressivamente un ruolo importante: abbiamo sottolineato come anche
Pina Bausch si sia evoluta nella stessa direzione; Meredith Monk forse è
ancora più vicina di Wilson alla coreografa tedesca perché parla di un
corpo che si fa voce, una “voce vissuta come corpo, centro spirituale,
espressione del sentire reale, in connessione estrema con la sensibilità,
voce diretta ed emozionale, senza sovrapposizioni intellettualistiche.” (107)
Allo stesso modo la Bausch non chiede ai propri interpreti di cercare delle
voci artificiali, impostate, studiate: semplicemente chiede loro di usare la
propria voce, di parlare come vivono. La Monk ha molto approfondito i
propri studi sulla voce, tanto che un capitolo importante della sua produzione
(106) BENTIVOGLIO L., Teatrodoanza, in AA.VV., “Teatro in Europa” N° 7,
1990, p. 25
(107) Ibi, p. 25
96
artistica è costituito da una decina di dischi in cui musica strumentale,
rumoristica e voci si mescolano in una sintesi operistica originalissima.
Eʼ interessante rilevare come la coreografa-regista americana abbia affrontato
la creazione del suo primo lungometraggio proprio nel 1990, anno in cui
anche la Bausch si è cimentata nella stessa esperienza: Meredith Monk ha
accusato gli stessi problemi della Bausch per quanto riguarda lʼutilizzo di
una tecnologia ingombrante, difficile da manipolare e ha dichiarato la stessa
voglia del film come luogo dove far convergere tutto, dove tenere insieme
tutti gli interessi. Lʼantinarratività (“non sono mai stata una persona orientata verso il testo”
(108) spiega Meredith) e il tipo di montaggio utilizzato avvicinano molto
queste due opere prime. Eʼ soprattutto il montaggio orizzontale delle immagini che ci dà conto di un
effettivo approccio comune: Meredith sostiene che “il cinema è il mezzo
ideale per sottrarsi alla tirannia del tempo e dello spazio: basta tagliare e
montare, però cʼè un problema: a teatro è molto facile creare la simultaneità,
la contemporaneità di azioni diverse e compresenti tra cui lo spettatore
possa scegliere dover appoggiare lo sguardo e fissare lʼattenzione.
(108) Monk M., Classicismo e contemporaneità, conversazione di Meredith Monk
con Maria Nadotti in AA.VV. “Teatro in Europa”, n° 7, 1990 p. 66
97
Il cinema tende invece alla selezione e a una certa autorità del punto di
vista.” (109) Nella nostra analisi di Die Klage der Kaiserin (110) avevamo rimarcato un
atteggiamento analogo della Bausch riguardo la possibilità della simultaneità
delle azioni in teatro e la sua quasi impossibilità nel cinema, in cui però si
verifica lʼaffascinante prerogativa di essere meno legati al tempo e allo
spazio e di poter portare con sé “al guinzaglio” lʼocchio dello spettatore.
Un altro fattore interessante concerne la classicità insita in questi spettacoli
moderni, ricchissimi di elementi e stimoli diversi: parecchi hanno rilevato la
struttura classica, rigorosa, limpida, che emerge dal polisemico divenire
scenico degli spettacoli di Pina Bausch; Meredith Monk parallelamente afferma:
“molta gente non si accorge della mia classicità, guarda ai contenuti, che
sono sempre emozionali, organici, istintivi, intuitivi, e non vede la geometria, il
classicismo. Io invece mi sento una che ha davvero le sue radici nel passato e
nella classicità.” (111) Quanto agli intenti artistici in genere e al ruolo speciale della propria arte, la
Monk, partita da lavori “apocalittici” dai forti contrasti in cui la morte e la paura
della fine del mondo dominavano la scena, è oggi orientata verso contenuti più miti:
(109) MONK M., Classicismo... p. 66 (110) Il lamento dellʼimperatrice, primo film di Pina Bausch, cfr. cap 1.2.5 p. 52
(111) MONK M., Classicismo... p. 64 98
“Oggi credo che il luogo dellʼarte debba essere più poetico e che lʼarte
debba affermare piccole cose che riguardano lʼumanità e lʼapprezzamento
di cose che di solito diamo per scontate.” (112) Ma è nellʼapproccio totale, nellʼimpressione globale che anche Meredith
Monk, come Bob Wilson, è più alla Bausch: la Monk dice che i suoi
spettacoli lavorano intorno a dei pensieri e che “Senza linearità, senza
percorsi obbligati, il pensiero non è che un mosaico che si compone a
poco a poco, attraverso piccole aggiunte e attraverso una grande sapienza
combinatoria, per via di associazioni e di intuizioni.” (113)
Anche Pina Bausch lavora a mette in scena “pensieri” di questo tipo.
(112) MONK M., Classicismo... p. 66 (113) Ibi, p. 66
99
1 . 4 . 4 I l c i n e m a t e d e s c o f e m m i n i l e n e g l i a n n i ʼ70 e ʼ80
Molti e diversi motivi ci portano a considerare il cinema tedesco degli ultimi
due decenni come un fenomeno legato al Tanz Theater di Pina Bausch.
Gli spettacoli di Pina Bausch sono spesso definiti “cinematografici”: il lavoro
di costruzione delle immagini e il loro montaggio lo confermano. E
conferma questo legame anche il fatto che la Bausch si sia cimentata
direttamente nel cinema, sia come attrice che come regista. Come attrice
ha lavorato con Federico Fellini (114) che le affidò un ruolo in E la nave
va; in qualità di regista è del 1990 la sua prima e per ora unica esperienza:
il lungometraggio Die Klage der Kaiserin. (115) Lʼesperienza e lo stile di Pina Bausch sono perciò sensibilmente toccati
dal cinema, che tanta parte ha avuto nella “rivoluzione culturale” tedesca
degli anni sessanta e settanta, in cui anche il Tanz Theater ha recitato un
ruolo non secondario. (116)
(114) Federico Fellini assistette a una performance romana di Pina Bausch e ne
rimase fortemente impressionato, tanto da affidarle il delicato ruolo di unʼenigmatica principessa austro-ungarica nel suo film E la nave va: “Col suo volto
aristocratico, tenero e crudele, misterioso e familiare, chiuso in unʼenigmatica
immobilità, Pina Bausch mi sorrideva per farsi riconoscere.” Federico Fellini in
BENTIVOGLIO L. Il teatro di... p. 198 (115) Cfr. cap. 1.2.5, p.52
(116) Riguardo la rivoluzione culturale e il ruolo che ha avuto in essa il Tanz
Theater, il prossimo capitolo ne darà conto in maniera più esaustiva.
100
Questa “rivoluzione culturale”, con la sua voglia di recuperare il passato e
la storia, di andare contro il “buon gusto” di una borghesia pulita fuori e
marcia dentro, di recuperare sentimenti e sensazioni autentici, ha avuto il
suo apice negli anni settanta, esprimendosi soprattutto attraverso il teatro
e il cinema dʼavanguardia: la danza voleva riempirsi di significato usando
la parola e rinnovando la propria gestualità, superando la danza accademica
e anche quella moderna ingabbiata nei codici e nelle tecniche; il teatro
tentava parallelamente di cancellare il vuoto delle parole rincorrendo la
verità del corpo e una nuova purezza di linguaggio e di gestualità. Lo
stesso fenomeno avviene nel cinema: la nuova regia tedesca, stanca di
tanta schiavitù dallʼimportazione massiccia del prodotto americano, lancia
nuovi messaggi attraverso un nuovo cinema che dica più verità di quanta
non se ne sia mai stata detta, che scavi sotto la Germania vecchia e nuova,
nei suoi dolori, nelle sue miserie, nella sua quotidianità. Si cerca di fare
del cinema che agisca socialmente, che aiuti a ricostruire unʼidentità
speciale, a costo si shoccare e magari ferire il pubblico.
In tutto questo fervore produttivo ci interessa in questa sede sottolineare il
protagonismo femminile che accomuna il cinema e il teatrodanza tedeschi:
pur non mancando protagonisti maschili, si può tranquillamente
affermare che siano le registe e le coreografe che hanno dato spessore
a questi due paralleli fenomeni culturali.
Pina Bausch è una donna tedesca come Margarethe Von Trotta, Ula Stockl,
101
Helma Sanders Brahms, Jutta Bruckner, Helke Sander, alcune affermate
registe del recente cinema tedesco. (117) Tutte queste donne hanno vissuto da bambine la guerra e la difficile
rinascita, insieme allʼansia dei loro genitori di dimenticare un passato
terribile. Diventate grandi hanno fatto dellʼarte il loro modo di gridare la
voglia di un mondo nuovo. Ci è sembrato stimolante analizzare, nellʼunità
della loro cultura e dei loro intenti, le affinità e le diversità dei loro esiti
artistici.
“I film di queste donne stanno a dimostrare lo sforzo di ricostruire la “fisicità”
delle donne nella storia.” (118)
In questa frase è riassunta buona parte della storia del cinema tedesco da
noi preso in esame: Margarethe e le sue colleghe, pur con accenti e
moduli stilistici molto diversi tra loro, sono tutte attente alla questione
femminile, alla politica concreta e vissuta della azioni terroristiche e dei
consigli di quartiere, alla vita delle fabbriche e degli uffici. allo schiacciamento
della donna nel ruolo di madre nel rigido schema della famiglia tradizionale;
(117) Gli elementi cinematografici necessari per lo sviluppo di queste analisi
sono mutuati principalmente dallo studio di D. Trastulli Germania pallida madre,
contenente anche delle interviste alle cinque registe citate. TRASTULLI D.
Germania pallida madre, Casa Usher, Firenze 1982
(118) TRASTULLI D., Germania... p. 9
102
raccontano la verità più vera con immagini forti e crude, non temono di mostrare
il raccapricciante, il brutto, la violenza, la nausea, il vuoto, il grigiore del quotidiano.
Dai loro film emerge spesso anche la difficoltà del loro essere registe, la storia
della difficile conquista di un terreno e di un ruolo tradizionalmente maschile.
Pina Bausch ha con questa serie di aspetti diversi un rapporto sfuggente e diretto
al tempo stesso: infatti pur sfiorando le stesse tematiche, la Bausch spesso
racconta al di fuori di luoghi e tempi determinati, lavora attraverso associazioni
più libere, confinanti con lʼincubo e il sogno, con il mito e il simbolo. Cʼè molta
Germania ne teatrodanza della Bausch, è vero: ma ci sono anche tantissime
altre cose:
anche se non ci sono accenni diretti alla politica concreta, nei suoi spettacoli si
ritrovano continue affermazioni “metapolitiche”, che mettono in causa lʼuomo con
la “U” maiuscola, che vive in Germania e in mille altri posti.
In questo senso anche il femminismo (Pina Bausch è stata spesso etichettata
come femminista militante) deciso e radicale delle sue colleghe cineaste è rivisto
in una chiave più universale: non esistono solo donne violentate, esistono anche
uomini travestiti, seduttori abbandonati, donne mangiauomini. La complessità
della vita è restituita sulla scena così come è colta da un occhio estremamente
attento e sedotto dal cosmopolitismo. Sicuramente infatti queste visioni della
Bausch non possono prescindere dal fatto che, al contrario del cinema di queste
registe, che parla indubbiamente tedesco, la danza, da cui proviene visceralmente,
non parla nessuna lingua, anzi ne parla una che scavalca frontiere ed etnie.
103
Quanto è tedesca Pina Bausch? Questa è una domanda a questo punto
necessaria e alla quale però non è facile rispondere.
La Bausch è cresciuta nella danza, e non cʼè ambiente in cui si viaggi di
più e in cui si conosca così tanta gente di tutti i paesi: tuttora nella
compagnia di Wuppertal si parla una lingua che è un miscuglio incomprensibile per qualunque estraneo: spazia simultaneamente dal tedesco
allʼinglese, dal francese allo spagnolo, senza alcuna logica, istintivamente.
A suffragare il suo cosmopolitismo, si sono le affermazioni sella stessa
Bausch, come quando per esempio sostiene di amare Wuppertal soltanto
perché è “una città neutra”. Con tutto questo però non manca nei suoi
spettacoli una sincera vena teutonica, che fa riferimento a una borghesia
dal cattivo gusto “naturale”, agli ambienti fumosi dei “kabarett”, ai ricordi di
una guerra da dimenticare. Volendo entrare un poco più nel vivo della nostra analisi scendendo nel
dettaglio dei temi trattati e degli aspetti formali caratterizzati, cominceremo
con il rilevare quanto il gusto per le immagini forti sia un tratto che
accomuna Pina Bausch e le registe tedesche della “rivoluzione culturale”.
Jutta Bruckner, per esempio, non teme di mostrare il sesso nei suoi aspetti
più crudi, come il sangue del mestruo in primo piano:
“Mostro il corpo della donna là dove il cinema si è sempre fermato” (119)
(119) Jutta Bruckner, in TRASTULLI D., Germania... p.26
104
Secondo Jutta le donne ne hanno abbastanza dellʼamore e del sesso da
cartolina illustrata che il cinema ha sempre proposto: nella realtà non è
sempre così, anzi quasi mai: “Questo dà noia alla gente. Per il cinema le adolescenti sono sempre belle
e fresche come delle rose, così come il sesso è sempre piacere, gioia,
orgasmo.” (120) Pina Bausch in 1980 (121) proietta per alcuni minuti sul fondale di scena
le immagini di un parto in diretta, con riprese anatomiche dettagliatissime
quanto impressionanti: la Bausch e Jutta dimostrano in questo caso un
intento analogo, e cioè il mostrare ciò che convenzionalmente non si può
mostrare; ma il contesto è diverso: la Bruckner colloca le sue immagini in
una storia reale. dai contorni nitidi e precisi per quanto raccapriccianti; la
Bausch pone il messaggio del parto in un orizzonte comunicativo più
ampio e volutamente meno determinato: questa scena “strania” (122) lo
spettatore, lo stupisce, lo fa riflettere. La coreografa del Wuppertaler
Tanztheater agisce su diversi piani comunicativi, le interessa provocare
tutte le possibili reazioni del pubblico, non solo una comprensione lucida e
conscia; è attratta infatti dalle profondità dellʼinconscio, daisentimenti incontrollati
(120) Jutta Bruckner, in TRASTULLI D., Germania... p.26
(121) Cfr. cap. 1.2 p.12
(122) Cfr. cap. 1.4.2 p.91
105
e istintivi. dalle immagini aperte che lasciano spazio al sentire dello spettatore.
Un altro elemento fortissimo che accomuna Pina Bausch e le protagoniste
del cinema femminile tedesco è il recupero della quotidianità:
“Sono i gesti più banali e scontati a trasformarsi in atti rituali mentre miti e
simboli si sgretolano sotto il peso della quotidianità” (123) Questa affermazione di Daniela Trastulli riguardo le registe è direttamente
trasferibile allʼapproccio della Bausch. In entrambe i casi cʼè una grande
voglia di ridare dignità e di mettere in scena tutto quello che non ne era
considerato degno perché banale, scontato, vuoto, grigio. Nel Teatrodanza
della Bausch questa voglia di realtà si concretizza in immagini che ricercano
costantemente il poetico e lʼironico, mentre nel cinema oggetto della nostra
analisi comparativa questi aspetti sono sacrificati alla proposta di una verità
documentata, alla crudezza di una vita lottata la cui diretta verità deve bastare
a riempire gli occhi e la mente. Eʼ forse proprio la mancanza di ironia di questo cinema tedesco degli anni di
piombo il tratto distintivo più netto nei confronti della Bausch: è vero che “Nellʼaffrontare questa era del piombo lʼironia e la battuta facile non intervengono
mai ad aggirare gli ostacoli.” (124)
(123) TRASTULLI D., Germania... p.11
(124) Ibi... p.13
106
Ma neanche Pina Bausch vuole aggirare gli ostacoli: lʼironia è per lei un
elemento autentico della vita di tutti i giorni, è presente nelle sue
messinscene con costanza e semplicità. Da annoverare ancora tra i grandi temi comuni è sicuramente lʼamore
quasi ossessivo per il ricordo, lʼinfanzia, il recupero del passato, presente
in entrambe le espressioni artistiche. Daniela Trastulli definisce i film di
queste registe: “Un grande mosaico che ha come centro lʼesperienza soggettiva e nel
quale ogni dettaglio alla luce della memoria assume un senso particolare.” (125)
Eʼ facile riconoscere come operante in questo senso anche il lavoro di Pina
Bausch, anche se il suo ricordare è ancora una volta meno documentario, tutto
odori e sapori, frasi e immagini spezzate, oniriche, lasciate galleggiare nel dolce
brodo dellʼimmaginario o in quello più torbido delle enigmatiche profondità del
subconscio. Ma forse quello che più avvicina la Bausch alle registe di cinema sue coetanee è
la vita stessa: una vita “militante” anche se più in senso strettamente artistico che
non politico come la loro: una vita in cui ha avuto diversi compagni senza mai
legarsi definitivamente, e in cui è diventata madre a quaranta anni dopo aver
perso tragicamente lʼuomo che ha forse amato di più,
il prezioso coreografo Rolf Borzik:
(125) TRASTULLI D., Germania... p.11
107
una vita al di fuori degli insopportabili schemi borghesi, incubo comune
della sua generazione.
Molto legato alla vita vissuta è infatti quello che considererei in definitiva
lʼaspetto comune più rilevante: lʼattaccamento viscerale al proprio lavoro.
Abbiamo già detto dello snervante e doloroso “scavo” in se stessi che
richiede ogni spettacolo di Pina Bausch: lʼimpressione complessiva che
Daniela Trastulli ha tratto dal suo incontro con queste registe “calza” con il
modo di lavorare e di essere della Bausch: “Ogni film ha lasciato un vuoto che richiama unʼaltra esplorazione dentro
di sé, ugualmente lacerante”. (126)
Mi sembra interessante infine far risalire questo atteggiamento creativo
radicale a una matrice culturale comune: lo spirito protestante, il puritanesimo:
lo stesso puritanesimo combattuto perché vissuto solo nei suoi aspetti più
esteriori dalla odiata borghesia, riemerge nella religiosità di una vita sacrificata allʼarte; e per queste donne lʼarte non è unʼarte bella e astratta,
nutrita da eteree e celestiali ispirazioni, ma unʼarte “piccola”, fatta di
piccoli gesti, di fatica e di impegno quotidiano:
“...questo essere rigorosi in modo assolutamente radicale nei confronti di
sé stessi porta alla ricerca della verità più profonda.” (127)
(126) TRASTULLI D. Germania... p.14
(127) Margarethe Von Trotta, in TRASTULLI D., Germania... p.87
108
1.5 TEATRODANZA: UN GENERE ARTISTICO DETERMINATO? ASPETTI
STORICO-SOCIALI E PANORAMA CONTEMPORANEO
Che cosa si intende esattamente per teatrodanza? Esiste già una fondazione
teorica di una forma spettacolare tanto giovane? E che rapporti ci sono tra
Pina Bausch e gli altri coreografi di teatrodanza? La Bausch è da considerare
senzʼaltro la più celebre esponente di un movimento tedesco che si è ampliato
a macchia dʼolio, nel quale sono emersi però altri protagonisti degni di nota
che certamente hanno risentito della sua fortissima personalità artistica, ma
che altrettanto sicuramente possono a loro volta aver contribuito a stimolarla
e arricchirla; coreografo come Bohner o Kresnik sono stati protagonisti della
nascita del Tanz Theater, di cui hanno gettato i primi semi prima che Pina
Bausch si affacciasse a questa forma espressiva. Esporremo ora, per quanto
possibile, un sintetico quadro che comprenda alcune indicazioni per una
fondazione teorica della giovane categoria del teatrodanza e una genesi delle
concrete vicende storiche della danza e del teatro tedeschi che (a partire dalla
fine degli anni sessanta) hanno portato alla nascita del Tanz Theater e al suo
sorprendente sviluppo.
Questo fenomeno culturale ha presto varcato i confini della Germania, stimolando la creazione di forme spettacolari di genere analogo in tutto il mondo:
per la variabilità dei contributi e degli sviluppi in questo senso, oltre che per la
scarsa utilità in uno studio specifico su Pina Bausch quale è il nostro,
ne abbiamo indicato solamente le linee di evoluzione macroscopiche: abbiamo
109
ritenuto invece interessante descrivere le poetiche e il pensiero coreografico
di quei protagonisti del Tanz Theater tedesco che possono essere considerati a
tutti gli effetti cugini e cugine della Bausch.
110
1.5.1 Fondazione teorica di una nuova categoria
“Il teatrodanza (128) è una forma complessa di spettacolo contemporaneo
che mette in gioco unʼampia gamma di materiali espressivi, dal movimento
alla parola, dalla musica al gesto mimico, dalla pittura alle tecniche della
performance, nel tentativo di recuperare unʼunità delle arti nella prospettiva di
un teatro globale”. (129)
Questa potrebbe essere una buona definizione di teatrodanza, che ne sottolinea il carattere poliedrico. Ma se vogliamo approfondire e fondare un
discorso sul teatrodanza che vada oltre le definizioni, ci rendiamo subito
conto di come i contributi tecnici votati a questa causa non siano poi molti:
per dare unʼidea di quale sia il tono del dibattito su questi temi attualmente in
corso, faremo riferimento al Convegno sul teatrodanza tenutosi a Roma nel
giugno del 1990 cui hanno partecipato esperti di teatro, di drammaturgia, di
storia della danza italiani e stranieri, ne abbiamo estratto gli spunti più interessanti
(128) Riportiamo a proposito dellʼutilizzo di questo termine, lʼintera nota n°2 di
Comunicazioni Sociali 2, 1990. “Eʼ curioso osservare lʼoscillazione ortografica di
questo neologismo che come vedremo è il calco italiano dellʼespressione tedesca
Tanztheater. In tempi meno recenti è stato considerato come una parola composta
dai termini teatro e danza fra i quali compariva un distintivo trattino. La facilità con
cui oggi viene scritta per intero rivela lʼacquisizione quasi universale della sua
valenza di categoria interpretativa di una serie di fenomeni allʼinterno dello spettacolo
contemporaneo
111
rielaborando nella nostra ottica le riflessioni di Sandro Pontremoli, autore di
un saggio-relazione interamente dedicato agli accademici di questo Convegno. (130)
Il Convegno romano oggetto del nostro interesse si è proposto essenzialmente
tre obiettivi: in primo luogo tracciare una breve storia del teatrodanza, in
secondo luogo crearne o ricrearne una teoria estetica e critica, e infine recuperare
“una prospettiva transculturale inaugurata da tempo dagli studi di antropologia
teatrale che permetta una conoscenza più approfondita delle diverse realtà
europee e di quelle culture altre in cui la pericolosa separazione propria
dellʼoccidente fra parola e movimento, fra rappresentazione e danza è
assente da sempre.” (131) Quanto agli aspetti storici e alla prospettiva transculturale non ci soffermeremo
sulle linee che di questi aspetti sono state tracciate a Roma, perché da noi
affrontate in apposite sezioni della nostra trattazione. (132)
Ci interessano invece i tentativi di fondazione teorica della sfuggente e
difficilmente codificabile categoria di teatrodanza.
(129) PONTREMOLI A. - LA ROCCA P. - Il teatro-danza: una rassegna esemplare
in AA.VV., “Vita e Pensiero” 9/1988
(130) PONTREMOLI A., Il corpo parlante, linguaggio della danza e pratica drammaturgica: Convegno sul teatrodanza (Roma 27/29 giugno 1990) Sintesi e linee
interpretative: in “Comunicazioni Sociali” 2,1990
(131) PONTREMOLI A., Il corpo parlante... p. 5 (132) Cfr. i diversi paragrafi riguardanti le Ascendenze culturali, cap. 1.4
112
Diversi sono stati gli interventi di cui vorremmo riferire. Eʼ emersa subito la
necessità e la voglia di definire meglio il concetto di teatrodanza, esteso
negli ultimi anni, spesso arbitrariamente, a molti fenomeni teatrali e danzatori.
Leonetta Bentivoglio si è fatta portavoce di questa necessità, proponendo di
introdurre la definizione di “danza dʼautore”, (133) una categoria che connoti le
nuove tendenze coreografiche che rigettano sia il codice classico che quello
della modern dance alla ricerca di “una originale costruzione di segni che è il portato di unʼimpalcatura filosofica
ed estetica non sempre cosciente ma certamente esistenziale”. (134)
In questo senso si allevierebbe la pressione che grava sullʼabusato termine di
teatrodanza: questʼultimo apparterrebbe sempre alla più vasta categoria di
“danza dʼautore”, ma non necessariamente tutta la “danza dʼautore” sarebbe
considerata teatrodanza. Quanto alla fondazione teorica specifica, si sono evidenziate soprattutto due
tendenze, sostenute rispettivamente da Eugenia Casini Ropa e da Ugo Volli.
La Casini Ropa sostiene sia necessario guardare al teatro nei suoi livelli di
organizzazione per individuare il “livello danza nel teatro, ossia un livello di organizzazione trasversale del fatto
(133) BENTIVOGLIO L., Teatrodanza... p. 22: lʼespressione nasce in Francia esemplata sul
corrispondente cinema dʼauteur, Teatrodanza, in “Teatro dʼEuropa”, 7.1990 pp. 18 - 30
(134) PONTREMOLI A. Il corpo parlante... p. 11
113
teatrale che supera la divisione tra i generi perché sta prima della formazione
dei generi stessi, e che consente di tenere uniti in rapporto dialettico i vari
elementi che entrano nel fenomeno teatrale.” (135) Questo individuare il livello danza, il grado di protagonismo del corpo, ci
pone immediatamente in una fruttuosa ottica transculturale e trasversale;
dove il corpo “pregnante” messo in scena rappresenta il trampolino, la base
dʼappoggio per una continua trasgressione, lì cʼè teatrodanza. In questa
affermazione e negazione della fisicità è sita la ricca e “strutturale ambiguità che è propria del simbolo che mentre mostra un
senso primario è contemporaneamente portatore di un significato secondario
più profondo e, in ultima analisi, è parola dellʼEssere .” (136)
Ugo Volli invece sostiene sia necessario partire da unʼanalisi della teatralità
allʼinterno della danza: fonda questa tesi enunciando un articolato
(135) E. Casini Ropa, sua relazione al convegno romano.
(136) PONTREMOLI A., Il corpo parlante... p. 13 in nota a questa affermazione
Pontremoli suggerisce: “Su queste problematiche inerenti la struttura corporea
della persona cfr. V. Melchiorre, La corporeità come simbolo, in Il corpo, perché?
Saggi sulla struttura corporea della persona, Atti del XXXIII Convegno del
Centro di Studi filosofico di Gallarate, 30.31.4 1978, pp. 35-52; Corpo e persona,”
“Comunicazioni sociali” II (1981) n 3-4 pp. 4-31. Sullʼaccezione di simbolo qui
utilizzata di veda sempre di V. Melchiorre Lʼimmaginazione simbolica, Il Mulino,
Bologna 1972” Nota 25, p.13 de Il corpo parlante...
114
sistema teorico che comprende elementi aristotelici, greimasiani e heideggeriani.
Arisotele nella Poetica definisce la tragedia non come un racconto di
uomini ma come una “mimesi di casi”; la semiotica di Greimas individua
il problema del racconto nel preciso momento della generazione del
senso, quando interviene la narrativizzazione, fase in cui le funzioni
astratte del racconto si legano a un oggetto di valore; Heidegger ne
Lʼorigine dellʼopera dʼarte sostiene che il teatro è un luogo di lotta.
Sintetizzando questi elementi Volli afferma che:
“poiché il teatrodanza parte dalla fine del racconto e rifiuta programmaticamente la narratività, esso recupera altrove la forte teatralità che lo
contraddistingue: nel frammento, in una micronarratività verificabile
secondo le categorie aristoteliche e greimasiane enunciate sopra. In
tale atomizzazione del racconto si rispecchia il passaggio mentale
dellʼuomo contemporaneo. Dove questo non si verifica cʼè solo uno
sviluppo di tipo formale e non si ha quindi teatrodanza.” (137)
(137) PONTREMOLI A., Il corpo parlante... p. 14: Pontremoli sintetizza la
relazione di Ugo Volli al convegno
115
1.5.2 Il panorama contemporaneo
Dopo questi cenni sulla situazione del dibattito teorico, vorremmo anche riferire
della parte finale del Convegno: ci si interrogava sullo stadio di sviluppo del
teatrodanza, ormai diffuso in tutto il mondo: Leonetta Bentivoglio e Marinella
Guatterini ne hanno denunciato la fase epigonale: il teatrodanza è giunto a un
crocevia; il matrimonio tra teatro e danza non parrebbe loro più così fertile,
tanto che gli attuali protagonisti della scena (Teresa de Keersmacker, Maguy
Marin, Willyam Forshite) stanno battendo strada diverse: la De Keersmacker
di ritorno al teatro di parola, Maguy Marin di sviluppo del lavoro astratto sul
corpo e Willyam Forshite di ricerca di nuove applicazioni del codice classico
allo studio dello spazio.
Altri esperti e soprattutto i danzatori e i coreografi presenti si sono espressi
diversamente, sostenendo unʼattuale grandissima vivacità del teatrodanza,
che ha attecchito in molti paesi, maturando frutti senzʼaltro originali. Tra le linee generali di evoluzione degli anni ottanta la più costante e profonda
è la grande parabola tracciata dalla “Nouvelle Danse” francese i cui
protagonisti (Jean Claude Gallotta, Maguy Marin, Régine Chopinot e altri (138)
(138) Per una mappa completa e attuale della consistenza e dei protagonisti della
“Nouvelle Danse” cfr. con il capitolo Francia pp. 42-49 in “teatro in Europa”, 7
(1990)
116
hanno avuto un grande successo, tanto da arrivare a competere con il
primogenito Tanz Theater tedesco.
Infine non sono mancati alcuni rilievi sulla situazione del teatrodanza in
Italia. Alcuni interventi ne hanno messa in dubbio lʼesistenza o comunque
sottolineata la pochezza. Ad affermazioni di questo tenore si potrebbe
semplicemente rispondere elencando e quantificando gli aiuti, le sovvenzioni e gli spazi che lo Stato tedesco e quello francese hanno messo a
disposizione del Tanz Theater e della Nouvelle Danse: un lungo elenco.
Nonostante però lʼindubbia pochezza di mezzi, nellʼItalia degli anni ottanta
qualcosa si è mosso: un ensemble come “Sosta Palmizzi” (per fare
lʼesempio più eclatante) è ottimamente considerato sul piano internazionale.
Segnaliamo inoltre, tra gli altri, lʼazione isolata ma in profondità di Luisa
Casiraghi, Fabrizio Monteverde, Enzo Cosimi e Vera Stasi. (139)
(139) Per un panorama dʼinsieme del teatrodanza italiano attuale cfr. con il
capitolo Italia pp. 52-63 in “Teatro dʼEuropa” 7 (1990)
117
1.5.3 Le radici storico-sociali
La Germania uscì completamente distrutta dal secondo conflitto mondiale:
nellʼaria si respirava soltanto la voglia di ricostruire e di dimenticare. Subito
nacque lʼansia di riempire il vuoto dellʼisolamento della Germania nazista, di
recuperare il tempo perduto rispetto alla cultura del resto dʼEuropa e
soprattutto rispetto a quellʼamericana. Il teatro la letteratura e la danza tedeschi vissero la fine degli anni quaranta e
gli anni cinquanta in pieno entusiasmo esterofilo. La vittima di queste nuove
visioni fu la cultura tedesca fra le due guerre, troppo legata, anche se magari
solo cronologicamente, al terzo Reich.
Per quanto riguarda la danza, il grande fenomeno della danza espressionista,
i cui protagonisti erano ormai famosi in tutto il mondo, venne infatti volutamente messo in secondo piano: la gente voleva dimenticare, e lʼespressionismo
ricordava una temperie ideologica dʼaltri tempi, cruenta e impegnata; per
questo si inaugurò una importazione e un consumo massiccio di balletto
classico:
“Dopo la guerra - racconta Kurt Jooss - questa restaurazione del balletto
classico fu inizialmente un attestato di povertà (...) Durante il periodo nazista
è stato vietato Rudolf Laban, sono stato vietato io, sono state vietate le nostre
creazioni utilizzate nella scuola. Sotto questo aspetto il classico era innocuo,
118
non aveva opinioni. Il moderno possedeva già degli orientamenti personali
anche in fatto di politica e di creazione del mondo.” (140) Le più grandi compagnie classiche del mondo cominciarono a fare della
Germania una tappa fissa delle loro tournées; i tedeschi non avevano una
propria tradizione di balletto classico e amarono senza riserve tutta la
grande danza che calcò i loro palcoscenici in quel periodo: ma più di tutto
amarono la purezza sognante dei balletti di Balanchine, che divenne per
loro un vero e proprio mito. Furono apprezzati anche i risultati danzatori
dei primi timidi ensembles autocton: i teatri facevano a gara nellʼingaggiare
grandi coreografi e ballerini stranieri perché il balletto classico
di mostrava quotidianamente di meritarsi degli investimenti; le gente lo
amava perché rappresentava “unʼarte che si poteva guardare in faccia senza sensi si colpa, lʼarte di una
generazione giovane, un segno di speranza, e di questa speranza ci si innamorò”. (141)
Anche perché
“Ci si voleva liberare del passato, dimenticare e fare si che il mondo
dimenticasse. E qui la danza appagava nel modo migliore la voglia di
(140) Kurt Jooss in Stuttgarter Nachrichten, 10.1.1976, in SCHLICHER S.
Lʼavventura ... p. 19
(141) K. Geitel, in Hannes Kilian, Internationales Ballet auf Deutschen Buhnen,
Munchen 1968, p. 135 in SCHLICHER S. Lʼavventura ... p. 21
119
spensieratezza, di bellezza, di leggerezza della vita”. (142) Allo stesso modo della danza, anche il teatro rifiutò lʼimpegno politico e
ogni tipo di sperimentazione. Infatti non soltanto i danzatori espressionisti
rientrati in Germania dallʼesilio ebbero problemi di integrazione: anche
drammaturghi famosi e registi famosi ormai in tutto il mondo, come
Brecht, Piscator, Kortner, non trovarono spazi in cui operare; erano
diffamati come persone di sinistra e ogni loro iniziativa era boicottata. Il teatro degli anni cinquanta si connota decisamente come restaurativo:
ecco come la pensa a questo proposito Peter Zadek, uno dei registi
teatrali protagonisti della reazione del decennio successivo: “La maggior parte degli attori tedeschi dovrebbero essere definiti piuttosto
dei declamatori. Essi sono oratori che hanno perso quella elementare
spinta che viene dal mimo e dalla danza.” (143)
Tutta lʼarte della Germania borghese dellʼera di Adenauer fu tesa
alla creazione di un sogno al di là della realtà, alla fuga dal quotidiano,
allʼeliminazione di ogni legame con il sociale: “nel teatro degli anni cinquanta la cultura borghese non parla più di un
modo migliore e più giusto, ma di uno più nobile.” (144) (142) SCHLICHER S., Lʼavventura .. p. 21 (143) Peter Zadeck, in Volter Canaris, ZADEK P., Der Theater mann und
Filmemacher, Munchen/Wien 1979, p. 31
(144) SCHLICHER, Lʼavventura ... p. 9
120
Tutto questo non può durare: a metà degli anni sessanta esplode
unʼautentica e diffusa rivoluzione culturale, (145) che abbracciò tutti i
campi artistici. Il teatro e la danza ebbero una parte preminente in questi
cambiamenti, e intrecciano strettamente il loro cammino.
I giovani vollero impadronirsi della loro storia e del loro destino: non più
dimenticare, ma ritrovarsi, identificarsi: Gerhard Bohner, uno dei protagonisti
del Tanz Theater, fenomeno la cui genesi risale proprio a quegli anni,
afferma:
“Qui in Germania mi sento molto sradicato: provo molto la mancanza di
una qualche tradizione.” (146)
La nuova cultura rifiutò la letteratura borghese, il teatro declamato, la
comunicazione sterile della lingua corrente, lʼincorporeità dellʼarte e, peggio,
della vita: città grigie tutte uguali, abitate da generazioni “tabutizzate”,
senza ideologie e con i sensi atrofizzati dalla paura di sentire.
Nacque una nuova estetica che esaltava la fantasia, lʼimportanza della
corporeità e della sensorialità; si diffuse il gusto per una comunicazione
per immagini che andasse al di là della logica borghese, al di là della
comunicazione verbale, svuotata di emozioni e di vita.
(145) Non solo in Germania si parla di rivoluzione culturale in quegli anni: il
“sessantotto” assumerà i caratteri di un fenomeno mondiale (146) Gerhard Bohner, “in Ballet-Journal / Das Tanzarchiv”, giugno 1985, p. 73
121
Il nuovo teatro e la nuova danza si avvicinano: entrambi volevano raccontare
delle storie attuali, vere, con ritmi nuovi. Volevano esprimere anarchia,
critica sociale, produrre documenti; volevano shockare, stimolare, parlare
dʼamore in modo nuovo. Dal punto di vista teorico il referente più illustre
della filosofia di quegli anni fu senzʼaltro Herbert Marcuse, con la sua teoria
della liberazione della sensorialità, come reazione al “sapersi comportare”,
allʼautodisciplina e allʼauto-censura, caratteristiche peculiari della cultura
dominante. Sulla scena appare il nudo, il corpo, la libertà dellʼurlo e del
silenzio, la libertà di dire tutto quello che non si può dire, di danzare non
la bellezza ma la verità.
Registi e coreografi manipolarono sempre di più i testi e le musiche
allʼorigine delle loro messe in scena; lʼautobiografia entra prepotente nei
loro spettacoli, e presto si parlò di regie-theater, in cui i registi diventarono
anche autori dei testi messi in scena. In questo clima di prestiti e doni tra teatro e danza tornò in auge la
tradizione espressionista, ricchissima di commissioni e comunicazioni
tra generi artistici diversi. Sicuramente però furono soprattutto i danzatori
futuri protagonisti del Tanz Theater (che cominciano la loro attività in questi
primi anni sessanta) che avvertirono un autentico filo diretto con la danza
espressionista: i maestri di Pina Bausch, Reinhld Hoffmann, Susanne
Linke, Gerhard Bohner e Hans Krensik (147), furono prorpio Mary Wigman,
kurt Jooss, Herald Kreutzberg, Dore Hoyer, i grandi interpreti dellʼespressionismo
122
danzatorio. Negli anni cinquanta e sessanta le loro scuole, come vedremo,
rappresentano infatti un
“rifugio transitorio per una tradizione negata.” (148) Questa tradizione proponeva lʼesempio di una danza, che pur sapendosi
astrarre, era vicina alla terra, alla vita reale, alla materialità, al sentimento
comune; lʼesempio di danzatori che seppero danzare di tutto, grazie a una
preparazione poliedrica, e di coreografi che seppero anche parlare e scrivere
per diffondere le loro filosofie di danza e di vita.
Fu in questo senso che le forze sotterranee della danza espressionista
sopravvissute nel dopoguerra, rimasero nitide nella nuova danza della
rivoluzione culturale, testimoniata da una nuova generazione di
coreografi-danzatori che avranno successo in tutto il mondo.
A questo punto è però necessario specificare che anche negli anni
ottanta, momento della diffusione massima del Tanz Theater e della
sua imitazione in tutto il mondo, in Germania esistevano solo due o tre
compagnie di danza, su un totale di più cinquanta teatri stabili che gestivano e
gestiscono una compagnia di danza. Il Tanz Theater non può perciò essere
considerato che come un fenomeno parallelo a sé stante, con una storia e una
geografia molto localizzate, nel più vasto panorama del balletto classico tedesco.
(147) Questi cinque celebri personaggi del teatrodanza tedesco sono indicati
sia da Leonetta Bentivoglio che da Susanne Schlicher (autrici di testi cui
abbiamo fatto spesso riferimento) come i principali protagonisti del Tanz
Theater; utilizzeremo anche noi questa mappa di classificazione e selezione.
123
1 . 5 . 4 Ta n z t h e a t e r : i p r i m i p a s s i
Gerhard Bohner debutta nel 1964 a Berlino. Pina Bausch e Hans Kresnik nel
1967 rispettivamente a Essen e a Colonia: i semi del Tanz Theater sono stati
gettati qua e là in Germania, ma se si vuole individuare in qualche modo un
cuore del teatrodanza tedesco, e sicuramente a Essen che dobbiamo cercare.
Nel 1927 in questa città fu fondata la “Folkwangschule” (150): Kurt Jooss vi
insegnò tutta la vita. Qui la danza moderna poté sopravvivere anche quando non era più di moda
(anni cinquanta e primi sessanta), ma Jooss non si accontentò della sopravvivenza. Accanto alla struttura didattica statale creò il Folkwang Tanzstudio
(151), del quale fu il primo direttore artistico: si trattava di un laboratorio di
specializzazione per ballerini solisti e coreografi, lʼunico in tutta la nazione.
Il Folkwang Tanzstudio divenne presto anche la piccola compagnia che, non
dipendendo da un teatro stabile, non aveva assilli produttivi né dipendenza
dallʼopera e dallʼoperetta. (152)
(150) Folkwangschule: accademia dʼarte dʼimportanza capitale per i destini della
danza moderna tedesca. Anche Pina Bausch vi si è diplomata.
(151) Folkwang-Tanzstudio, fondato nel 1961 da Kurt Jooss che lo definì “laboratorio
per maestri di danza teatrale”
(152) Eʼ consuetudine che i corpi di ballo dei teatri stabili (tedeschi e non) vengano
utilizzati non solo nelle produzioni ballettistiche pure, ma anche come supporto
danzante allʼopera e operetta.
124
Oltre a sperimentare e a produrre proprie coreografie, Jooss creò per i danzatori
del suo studio un repertorio di tutto rispetto: riallestì le sue più famose
coreografie e invitò coreografi stranieri famosi come Anthony Tudor a creare
balletti per il Folkwang Tanzstudio. Il laboratorio di Essen divenne così meta
ambita anche per danzatori stranieri, sempre alla ricerca di spazi in cui
sperimentare stabilmente le proprie capacità coreografiche senza essere
troppo disturbati da esigenze produttive. Se scorriamo lʼelenco dei direttori artistici del Folkwang Tanzstudio
possiamo subito dedurre lʼimportanza capitale di questa isola si sperimentazione per gli esiti del moderno Tanz Theater: dopo Kurt Jooss, la direzione
artistica toccherà prima a Pina Bausch (1969 - 73), poi a Susanne Linke e
Reinhild Hoffmann insieme (1973 - 85). Le tre coreografe da noi indicate
come protagoniste del Tanz Theater hanno studiato alla Folkwangschule e
hanno diretto il Folkwang Tanzstudio: si tratta di una importante esperienza
comune, che sarà comunque vissuta da tutte e tre le coreografe in maniera
originale e individuale. Quanto ai protagonisti maschili da noi citati (G.
Bohner e H. Kresnik) il primo si formò alla celebre scuola berlinese di Mary
Wigmann, mentre il secondo ebbe una educazione artistica e danzatoria
poliedrica. Fu Kresnik il primo nel novero della nuova coreografia che ebbe
un incarico ufficiale presso il teatro municipale di Brema.
125
Gli anni settanta, quelli del vero e proprio sviluppo del teatrodanza tedesco,
cercheremo di viverli attraverso le peripezie individuali di questi artisti.
Nellʼordine ci occuperemo di H. Kresnik, G. Bohner, S. Linke e R.
Hoffmann, facendo riferimento alle divergenze alle analogie e ai reciproci
contributi tra il loro Tanz Theater e quello di Pina Bausch.
1.5.5 Protagonisti tedeschi contemporanei
Hans Kresnik
hans Kresnik nasce nel 1939 in Carinzia. Si avvicina alla danza diciannovenne
e dal rock and roll in breve tempo arriva alla danza classica. Ballerà per dieci
anni circa a Colonia, creandosi un repertorio classico di tutto rispetto. Proprio
in questa città fa i suoi primi esperimenti di coreografia. Nel 1968 la svolta: il
Sovrintendente del Bremer Theater, Kurt Hubner, riconosce la carica
trasgressiva di Hans e decie di assumerlo: Brema in quegli anni era il palcoscenico eletto da giovani registri di prosa quali Peter Zadek, Peter Steinm,
Rainer Werner Fassbinder, estremamente moderni, esponenti a pieno diritto
della rivoluzione culturale. Con Kresnik direttore del Balletto del medesimo
teatro, il Sovrintendente ne completa coerentemente lo staff.
I primi anni di Hans a Brema testimoniano quanto vicine fossero in quegli anni
la danza e il teatro di prosa dʼavanguardia: Peter Zadek, per esempio, produceva
per molti versi un teatro avvicinabile alla coreografia di Kresnik: i due
126
possono essere considerati antesignani della evoluzione che porterà al
Tanza Theater vero e proprio, esploso, come sʼè detto, a metà degli anni settanta.
Kresnik definisce il suo lavoro “Coreografisches Theater”: ha una compagnia poco
numerosa, utilizza mezzi semplici e quotidiani: raggiunge una forte incisività
drammaturgica portando in scena la cultura beat, la musica pop, rock blues, le
scarpe da tennis e i blue jeans, la rabbia, la disperazione, la politica con tanto di
nomi e cognomi: vuole fare piazza pulita dal buon gusto della borghesia. La critica
parla di teatro anarchico e anche di un “misto di agit-prop e comunicazione” (153)
Fa parlare i suoi ballerini in scena, scena che popola di oggetti curiosi, sovradimensionati, impressionati: lo stranimento (154) è un processo automatico nelle sue
mani: analogamente a Pina Bausch utilizza le forme del collage e della rivista: le
scene e le immagini sono accostate lʼuna allʼaltra con grande libertà, non cʼè traccia
di diegesi tradizionale. Kresnik lavora a Brema dal 1968 al 1979: in questo decennio produce performance
di stile molto vario: la critica lo ama e lo abbandona senza soluzione di continuità,
ma Hans non se ne preoccupa. Lavora anche nel cinema, nel teatro di prosa,
nellʼopera, non si esaurisce nella sua attività di coreografo. I suoi spettacoli hanno
spesso avuto il problema della vendibilità: venivano proposti solo a Brema e archiviati
(153) SCHLICHER S., Lʼavventura ... p. 44
(154) Stranimento: cfr. cap. 1.4.2 p. 91
127
dopo poche repliche. Allora non esistevano i festival di teatrodanza: in
questo senso Kresnik di può definire unʼartista che è preesistito al mercato
della sua produzione. Lʼevoluzione del gesto coreografico di Hans Kresnik è abbastanza chiara:
il primo periodo di Brema è allʼinsegna della provocazione politica, è il
momento in cui i precedenti storici dellʼAgit-prop (155) e del teatro politico
di Piscator si fondono con la tendenza trasgressiva sessantottesca
(“distrugge ciò che vi distrugge”). (156)
Il periodo successivo testimonia uno spostamento del suo interesse verso
la protesta civile e la critica ai grandi miti sociali. Nella terza fase (quella
di Heidelberg, dove Kresnik lavora dal 1979) ancora oggi in corso, il suo
Coregrafisches Theater si intimizza, occupandosi sempre più della psicologia
e della struttura della famiglia, dei rapporti interpersonali, di un recupero
del proprio passato. Dal punto di vista dei contenuti è facile vedere uno
slittamento dai valori della lotta politico-sociale a una sorta di rassegnazione,
che per altri aspetti potrebbe anche significare una maturazione, un
approfondimento del proprio sentire. Si può ravvisare un processo del
genere in tutta la letteratura e il teatro tedeschi a partire dalla metà degli anni
(155) Agit-prop: cfr, CASINI ROPA C E., La danza e lʼagit-prop: i teatri non
teatrali nella cultura tedesca del primo novecento, il Mulino, Bologna 1988
(156) Una delle parole dʼordine del movimento sessantottino.
128
settanta: un riflusso dalla politica al privato, dalla provocazione allʼanalisi.
Questa fase è condivisa nei contenuti di Pina Bausch che era però rimasta
estranea alla forte politicizzazione caratteristica degli ambienti artistici
negli anni immediatamente precedenti.
Tra i temi prediletti da Kresnik, lʼindifferenza della società rispetto alle
catastrofi sociali, la schizofrenia, lʼimpossibilità di comunicare, la lotta tra i
sessi, la violenza che si manifesta ovunque, nella guerra, nellʼamore, nei
rapporti sociali. Per quanto riguarda la gestualità dei danzatori diretti da
Hans, essa è molto varia: movimenti quotidiani, spesso desunti dal mondo
del lavoro, oppure movimenti caratteristici di sport diversi, e ancora movimenti militari, jazz dance, accenni di danze folkloriche. Sottende tutto
questo però una solidissima base di balletto classico, la grande passione
di Kresnik. Il linguaggio accademico è sempre presente nel suo vocabolario,
spesso anche in maniera evidente, ostentata: le scene drammatiche e forti
sono frequentemente sottolineate da assoli classici di spettacolarità e
difficoltà tecnica estreme.
“Kresnik porta il virtuosismo della tecnica ai limiti estremi”. (157)
Hans chiede molto ai suoi danzatori, chiede loro soprattutto di
“gettare il proprio corpo nella mischia” (158) senza risparmiarsi mai.
(157) SCHLICHER S., Lʼavventura ... p. 66
(158) Pier Paolo Pasolini, citato nel programma di sala di Pasolini, uno
spettacolo di Hans Kresnik presentato al Theater der Stadt di Heidelberg nel 1986
129
Nelle sue performance ci sono anche immagini di bellezza: quadri che
testimoniano una bellezza straniata, evidentemente impossibile, lontana
dalla realtà, utopica; e forse proprio per questo motivo, poetica.
Krasnik per la sua lunga, pionieristica e varia attività è considerato
lʼ”outsider” del Tanz Theater.
G e r h a r d B o h n e r
Bohner è protagonista sulla scena della danza e del teatrodanza tedeschi da
quasi trentʼanni e attraverso la sua biografia possiamo rivivere tutte le fasi
evolutive del Tanz Theater.
Gerhard comincia a danzare a Karlsruhe, dove è nato nel 1936: presto si
trasferisce a Berlino, al Tanz Studio di Mary Wigman. La sua formazione di
danza classica è di alto livello, e gli consente di lavorare presso diversi corpi di ballo
e infine come solista per la Deutsche Oper di Berlino. In questa città però la situazione
danzatoria non è rosea: non ci sono idee, non ci sono coreografi, si pensa di risolvere
tutto ingaggiando grandi nomi stranieri. Siamo nei primi anni sessanta: soltanto
Colonia eviterà questa crisi dando fiducia ai giovani e dando loro uno spazio in cui
coreografare e sperimentare. Al di fuori della Deutsche Oper, Gerhard comincia a
frequentare lʼAccademia delle Arti” berlinese, che in qualche modo accoglie la
creatività frustrata di Bohner e di alcuni ballerini a lui legati. La sua prima coreografia
risale al 1964, ma per i primi successi deve attendere il 1971-72, quando con
(159) I tormenti di Beatrice Cenci, Berlino, 14.4.1971
130
Die Falterungen der Beatrice Cenci (159) e Lilith (160) vince il premio dei Critici
Tedeschi. In questa fase danzano con Gerhard alcuni solisti della
Deutsche Oper, che si appoggiano con continuità allʼAccademia delle Arti”.
1972: Bohner affronta la sua prima esperienza di direzione di un teatro
statale. La sovrintendenza di Darmstadt cerca un coreografo moderno, e
bohner dà la garanzia di un moderno non troppo rivoluzionario; il rischio è
calcolato.
Bohner accetta: diventa direttore e coreografo del Tanz Theater di
Darmstadt, ed è la prima volta che una compagnia di balletto tedescooccidentale si chiama in questo modo. A Darmstadt, però, Gerhard troverà ben poco di quello che cerca: egli
diventerà uno degli emblemi del sofferto rapporto tra la nuova danza
tedesca e lʼapparato statale. Dopo tre stagioni in cui la sua piccola
compagnia è costretta a produrre sempre di più subendo pressioni
sempre più asfissianti, Gerhard abbandona lʼincarico.
Non bisogna dimenticare infatti che le Sovrintendenze dei teatri di provincia
erano in quegli anni certamente allettate dalla novità artistica del Tanz
Theater, ma anche (e soprattutto) dal fatto che una compagnia di teatrodanza
rappresenta costi infinitamente più bassi di un competitivo ensemble di danza classica.
(160) Lilith, Berlino, 17.9.1972
131
Nel corpo di ballo di Bohner a Damstadt la tradizionale divisione gerarchica
che distingue solisti e ballerini di fila era stata abolita; inoltre Gerhard
aveva tenuto sperimentalmente le prove aperte al pubblico: la gente poteva
osservare e anche collaborare, dare delle idee. Ma la città rimase tiepida.
Infine il rapporto con la Sovrintendenza degenerò sempre di più e Bohner
se ne andò e passò qualche anno coreografando qua e là, in piena libertà.
Nel 1977, su commissione dellʼAccademia delle Arti di Berlino (con cui
continuava a intrattenere ottimi rapporti) ricostruisce il “Balletto triadico” di
Oskar Schlemmer (161), protagonista della danza degli anni venti. Questo
lavoro segnerà lʼesistenza di Bohner, che ne eseguirà recite straordinarie
in tutto il mondo. Il “Balletto triadico” è senzʼaltro lʼopera che lo ha reso
famoso, ma anche consentito alla critica di etichettarlo spesso come
“archeologo” gettando così ombra sul suo originalissimo lavoro di coreografo.
Nel 1978 Bohner ci riprova: insieme a Reinhild Hoffmann assume la direzione
del Breme Tanz Theater: Gerhard resisterà in questa struttura (che era stata
diretta da H. Kresnik dal 1968 ad allora) fino al 1981: la coesistenza tra due
coreografi non era infatti facilmente gestibile, e in un clima di crisi economica
e di tagli di finanziamenti allo spettacolo, fu considerata un lusso pressoché inutile.
(161) Oskar Schlemmer, cfr. SINISI S. Allʼinsegna....
132
La Sovrintendenza decise di rinunciare a Bohner, anche se più esperto e
affermato, per puntare tutto sulla giovane Hoffmann, da questo momento
Gerhard taglia i ponti con le strutture statali: “Ho vissuto il mio allontanamento dal teatro come una liberazione. Per
anni avevo avuto la sensazione di essere come amputato” (162)
Negli anni ottanta Bohner, conosciuto e apprezzato per le sue capacità e
la sua esperienza, lavora soprattutto come solista, approfondendo i suoi
studi sugli anni venti oppure proponendo situazioni coreografiche nuove
per sé o per altre compagnie. Ma che cosa vuole esprimere Bohner in tutti questi anni di creazione
coreografica?
Il suo primo spettacolo di Darmstadt si intitolava Machen=Opfern, (creare
qualcosa di nuovo significa sempre sacrificare il vecchio), mostra la morte
di una ballerina classica che risorge moderna in una fiammante calzamaglia
rossa. Per Bohner, e anche per Kresnik, il passaggio da classico a
moderno, la lotta per affermare nuovi ruoli è molto più sentita che non
dalle colleghe Bausch, Linke e Hoffmann, cresciute nel clima della
Folkwangnschule, in una grande tradizione di danza moderna. Gerhard e
Hans hanno invece lavorato giovanissimi in compagnie classiche, di cui hanno
(162) G. Bohner, Originalbeitrag, Berlino 1987 in SCHLICHER S., Lʼavventura... p. 139
133
sofferto la rigida gerarchia e disciplina, sia formale che umana.
I balletti di Bohner esprimevano, fino a Darmstadt, con forma limpida ed
elegante, “un umanesimo di sentimenti delicati” (163). Gerhard sottolineava
il gesto individuale, caratterizzava singolarmente i personaggi. In questi
aspetti è molto vicino al teatro di prosa di Peter Stein, di cui conserva
lʼinquadramento estetico. Spesso nei suoi lavori Bohner parla della lotta
dellʼindividuo per la libertà, che deve essere affermata in un modo
circostante nemico.
lʼultimo spettacolo da lui messo in scena a Darmstadt è una denuncia già
nel titolo: “Machen = Machtlos” (creare = essere impotenti). Nel periodo
successivo a questa prima negativa esperienza in un teatro statale,
Bohner si rigenera negli studi su Oskar Schlemmer: “Fondamentale caratteristica di Schlemmer era quella di dare ordine, di
trovare una sistematizzazione, risalire a un punto di partenza. Per me i
suoi balletti nello stile dal Bauhaus, il suo “Balletto Triadico”, costituivano
quasi un progetto alternativo rispetto agli eccessi della danza libera, ormai
troppo priva di vigore.” (164) (163) Per approfondire i contenuti delle opere di Bohner, cfr. SCHLICHER S.,
Lʼavventura ... p. 146 e seguenti (164) BOHNER G., Originalbeitrag...
134
Schlemmer aveva studiato il danzatore manichino-geometrico, che potesse
trascendere la mutevole umanità per assimilarsi alla pura, geometrica,
divina struttura di stecche di legno che ne geometrizzavano il movimento
(fu definito “Lʼuomo la cui geometria corporea anima lo spazio”) (165).
Bohner ha spesso affermato che queste costrittive bardature di Schlemmer
lo hanno proiettato verso una maggiore libertà coreografica. Nel 1978 Gerhard approda a Brema, e il suo teatrodanza si apre al quotidiano:
la musica non è più solo contemporanea, come era stata fino ad allora;
la psicologia lascia il posto al gusto per lʼimmagine bizzarra, e lo spazio
scenico pullula di segni e personaggi: la gestualità dei danzatori diventa
policroma, dal ballo di società al floklore, al tip-tap, e ancora corsa, lotta,
acrobazie, salti. Bohner attinge in questa fase a piena mani dal film muto,
dal kabarett, dalle comiche, dalla commedia dellʼarte, da Charlie Chaplin.
La sua attenzione si volge a una struttura per singole scene, meno
complessiva, che si richiama alla rivista. Spesso mette in scena
satiricamente il mondo gerarchico e costrittivo del corpo di ballo classico;
il Bohner di Brema ricerca però soprattutto il grottesco, il fantastico, lo
straniante. In questa fase i suoi lavori presentano quindi non poche
analogie con quelli di Pina Bausch.
(165) SCHLICHER S., Lʼavventura ... p. 153
135
Negli anni ottanta però Gerhard Bohner torna a lavorare solo, così come
Susanne Linke e spesso Reinhild Hoffmann, incarnando uno dei fenomeni
più interessanti dellʼultimo Tanz Theater:
“Lavorare solo: nessun ballerino mi costringeva ad apportare dei cambiamenti,
non mi si richiedeva di prendere decisioni affrettate (...) Dovremmo
ritornare a un punto in cui siamo certi di essere noi a stabilire le nostre
necessità, che non siano altri a fissarle.”
Susanne Linke
Susanne Linke unisce in se stessa i due poli della tradizione della danza
moderna tedesca: Mary Wigman, Dore Hoyer e gli assoli espressionistici
da una parte e Kurt Jooss e la sua danza teatrale dallʼaltra. Susanne infatti
si è diplomata a Berlino al Tanz Studio di Mary Wigman e in seguito
anche alla Folkwangschule di Essen, il regno di Kurt Jooss. “Senza Mary Wigman non sarei quello che sono oggi ma non lo sarei senza
la Folkwangschule.” (167)
La Linke è nata a Luneburg nel 1944: comincia a danzare già ventenne e
subito si trasferisce a Berlino, nella scuola della Wigman: Susanne impara
tantissimo dalla sua prima e amatissima maestra. Dopo il diploma però lascia
(167) Susanne Linke, in “Ballett-journal” ottobre 1985, p. 38
136
Berlino e parte alla volta di Essen:
“Mary pensava a danzare soprattutto spiritualmente, non con una tecnica
predeterminata. Io ero felice nella sua scuola: ma i tempi sono cambiati e
ho dovuto e voluto studiare molto le tecniche (classica, Limon e Greham).
La tecnica è un irrinunciabile ricchezza dellʼepoca moderna, anche se non
deve mai soffocare la spontaneità”. (168)
Diplomatasi anche lei a Essen, la Linke vi rimane come ballerina del
Folkwang Tanzstudio, diretto in quegli anni da Pina Bausch. Nel 1975
Susanne ne rileverà la direzione insieme a Reinhild Hoffmann, che lascerà
Essen due anni dopo. Susanne invece vi resterà, e sarà direttrice unica
del celebre laboratorio per altri otto lunghi anni,fino al 1985, anno in cui si
renderà completamente indipendente e comincerà a girare il mondo
danzando i suoi “assolo” e coreografando su commissione per ensemble
famosi e affermati come la Josè Limon Company e il Groupe de Recherches
Coreografiques de lʼOpera de Paris.
Eʼ stato però durante la direzione del Folkwang Tanzstudio che Susanne
si è affermata come coreografa di fama internazionale: la piccola compagnia
ha intensificato le tournées allʼestero ed è stata ospite di molti festival,
(168) Susanne Linke, dichiarazione rilasciata nella conferenza stampa svoltasi
allʼAccademia Paolo Grassi, Milano, marzo 1990, in occasione della sua
tournée milanese.
137
mentre allo stesso tempo la Linke teneva viva con crescente successo la
sua attività di solista, cominciata nel 1977. Eʼ infatti lavorando sola che la bionda tedeschissima Susanne dà forse il
meglio di sé: per via però dei suoi legami con Mary Wigman e di un lavoro
archeologico di recupero delle coreografie di Dore Hoyer, la Linke ha
rischiato spesso di essere semplicemente assimilata alla tradizione dellʼ
“assolo” espressionista, così come era avvenuto a Gerhard Bohner a causa
dei suoi studi su Oskar Schlemmer. Della tradizione espressionista
Susanne afferma di voler raggiungere lʼintensità corporea, lʼautocoinvolgimento, lʼalto livello di espressione di sé stessa, e ancora la precisione,
la sincerità, la radicalità: i temi dei suoi “assolo” sono però fortemente
biografici, meno trascendenti e aspiranti allʼuniversale che non le danze
wigmaniane.
Nel 1980 Susanne mette in scena Bagniera, in cui danza intorno, sopra e
dentro una vasca da bagno: Silvana Sinisi afferma che “Richiamandosi a precedenti dadaisti la Linke pone in scena oggetti di
serie prelevati dallʼesperienza quotidiana” (169)
(169) SINISI S., Allʼinsegna dellʼarte totale, Teatrodanza e arti visive
nellʼespressionismo tedesco in AA.VV. ( a cura di Bentivoglio L.) Tanz theater:...
p. 122
138
Ed è infatti in questo legame fortissimo con la materia e la concretezza
che Susanne rientra nelle logiche del Tanz Theater: “Nelle coreografie di Susanne Linke sono compresenti il desiderio di
bellezza e la coscienza della realtà; dubbio e narcisismo, danza e spezzati
movimenti quotidiani, in sottofondo la musica di Gustav Mahler e i rumori
della ferrovia, scene virtuosistiche e quadri quasi spartanamente spogli.” (170)
Dovunque la si guardi, lʼarte della Linke è molto vicina allʼarte della Bausch, ma
la cifra stilistica che rende singolare il lavoro di Susanne nel panorama del Tanz
Theater è una sua apertura di speranza, lo sguardo di una donna che può
migliorarsi e si migliora: la sua visione dellʼinfanzia o meglio dei corpi che si
evolvono nel tempo. La bellezza non è espressa come irraggiungibile, lontana:
Susanne pensa che sia possibile “trovarsi belle ed esibire con una nuova
consapevolezza il proprio corpo come un corpo bello...” (171)
Reinhild Hoffmann
Reinhald Hoffmann nasce a Karlsruhe in Slesia nel 1943. Frequenta giovanissima
la Folkwangschule di Essen, e dal 1970 al 1973 lavora come ballerina a Brema
con Hans Kresnik. Dal ʼ73 al ʼ75 dirige
l Folkwang
i
Tanzstudio insieme a S. Linke.
(170) SCHLICHER S. Lʼavventura ... p. 174
(171) ibi, p. 173
139
Poi, dopo un soggiorno in America, Reinhild accetta la proposta del
Bremer Theater, e ne diventa direttrice artistica insieme a Gerhard
Bohner. La compagnia da loro diretta viene ribattezzata per lʼoccasione
Bremer Tanztheater. Nel ʼ81 però Bohner ne sarà allontanato mentre la
Hoffmann resterà a Brema in qualità si direttrice unica fino al 1986, anno
in cui si sposterà con buona parte della sua compagnia alla
Schauspielhaus di Bochum.
A questa carriera ricca di incarichi ufficiali, Reinhild alterna la sua attività
di solista iniziata nel 1977 con Solo mit sofa (172), un lungo assolo sulla
musica di John Cage in cui uno strascico lunghissimo la lega a un divano.
La critica ha spesso definito le sue prestazioni solistiche a metà tra la
“performance art” americana, il Tanztheater e la tradizione espressionistica.
I suoi primi lavori come coreografa a capo di una compagnia numerosa
con a disposizione la struttura di un grande teatro sono quelli che realizza
a Brema a partire dal 1978: quello che emerge subito è il rigore artistico e
il virtuosistico autocontrollo messo in scena dalla Hoffmann: non attacca
frontalmente e politicamente il buon gusto borghese (come il veemente
Kresnik) e neppure lo blandisce con la carica di ironia tipica della Bausch:
(172) Solo mit sofa, teatro di Brema, 24.9.1978
(173) John Cage, compositore protagonista della musica contemporanea
nonché del “post-modern” danzatorio, in qualità di principale collaboratore di
Merce Cunningham
140
“La sua provocazione resta allʼinterno di una cornice artistica ed estetica.” (174)
Le azioni i movimenti dei suoi personaggi sono ridotti al minimo e rallentate in
maniera estenuante, come se unʼazione persistente potesse far meglio
emergere il fondo delle cose. Non si vedono virtuosismi danzatori, né
esasperazione dei gesti quotidiani. Esiste una sorta di freno allʼenergia, una formalizzazione ed estetizzazione di
ogni movimento: “Questa estetica è molto impegnativa per i danzatori perché non si può camminare,
non si può correre, non si può urlare, non ci si può buttare. Essa non lo
consente, resta come allʼinterno di un sogno.” (175)
In ogni modo gli otto anni di direzione a Brema testimoniano una certa
evoluzione di Reinhild: con il passare del tempo trovano spazio nel suo
Tanz Theater gli aspetti “culinari” del teatro, lʼopulenza dei materiali e
una buona dose di spettacolarità iconografica: “Nelle ultime pièce il rigore formale, il carattere scostante e cupo dei contenuti,
sfumano a poco a poco. La concentrazione dei singoli quadri, dei motivi e delle
(174) SCHLICHER S., Lʼavventura... p. 218 (175) E. Ribeiro Ralston in Die Sinnlickheit des boxhandschurs, documentario televisivo
della televisione nazionale tedesca su R. Hoffmann e il Bremer Tanz Theater (ZDF
1987) La Riberiro Ralston è una danzatrice che lavora nella compagnia della
Hoffmann. In SCHLICHER S, Lʼavventura... p. 244
141
azioni sceniche, degli strumenti teatrali impiegati, provoca una teatralità
quasi eccessiva.” (176)
Per quanto riguarda le scelte musicali, la Hoffmann utilizza inizialmente
composizioni chiuse, di un unico autore; nellʼottica dellʼevoluzione che
stavamo descrivendo, Reinhild indulge in questa seconda fase al collage,
tipico del Tanz Theater di diversi suoi colleghi e colleghe. Il rapporto della
Hoffmann con la scenografia è molto simile nellʼapproccio a quello della
Bausch, anche se con diversi esiti: per entrambe infatti gli spazi delle
pièce nascono insieme alle pièce stesse, per questo i loro scenografi
vivono insieme alla compagnia il farsi dello spettacolo (177). Condiviso da
queste due artiste e anche il gusto per alcuni oggetti di scena carichi di
simbolismo; in particolare gli specchi e le ali, che non mancano mai
nelle loro messe in scena. Si diceva degli spazi scenici che hanno
esiti diversi di Pina e in Reinhild: quelli della Hoffmann risultano geometrici,
vuoti, cromatici, grafici. Non cʼè la materialità della scena-Bausch, si tratta
di unʼimposizione decisamente visiva. Non è difficile azzardare un parallelo
tra Reinhild, Hoffmann e Pina Bausch anche per quanto concerne il
metodo di creazione degli spettacoli: ambedue lavoravano proponendo dei
(176) SCHLICHER S., Lʼavventura ... p. 219 (177) cfr. cap. 1.3 p. 57
142
temi ai loro danzatori, temi sui quali essi improvvisano liberamente. Nel
montaggio dei materiali così ottenuti sembra (nessuno può definirlo con
certezza) che la Hoffmann monti lo spettacolo in maniera più rapida,
con meno mistero e meno lavorio di rielaborazione rispetto a Pina
Bausch. Altri temi che potrebbero avvicinare queste due protagoniste del
Tanz Theater potrebbero essere le scene di violenza contro le donne,
oppure la denuncia della mancanza di comunicazione, oppure ancora
lʼamore che non si riesce a esprimere verso le altre persone e che
viene dirottato sugli oggetti.
Pur con tutte queste affinità tematiche e di metodi, è senzʼaltro nel gesto
coreografico, nello stile e nel tono che le due coreografe affermano
lʼoriginalità e lʼindipendenza del loro lavoro: la Hoffmann è affascinata dai
mezzi toni, non raggiunge né forse vuole raggiungere le punte di ironia, di
istrionismo, di disperazione, presenti e ricorrenti nelle performance della
Bausch. A questo punto però abbiamo detto troppo poco dellʼattività solistica di
Reinhild, nella quale si può forse isolare unʼossessione ricorrente: nei suoi
“assolo” più famosi è ostentato un rapporto in qualche modo ossessivo con
oggetti che limitano la libertà, la conseguente lotta per liberarsene, oppure
la grande fantasia necessaria per esprimere libertà in queste forme di
143
costruzione. Citando gli esempi più eclatanti, in Solo mit sofa (178) la
lotta di Reinhild con il lunghissimo strascico che la lega al divano e ne
impedisce ma sicuramente ne caratterizza i movimenti; e sempre in
questo senso le tavole fissate sulla schiena in Bretter (179), o ancora la
stoffa carica di pietre che lʼavvolge completamente in Steine (180). Nel suo
lavoro di solista è forse ancora più evidente il gusto per la scomposizione
del movimento e per il rallentamento del gesto, che spesso fa assumere
alla coreografa la forma del flusso continuo. Ma la cifra stilistica con la quale
la Hoffmann trova una collocazione tutta sua nel panorama del teatro
danza tedesco, che traspare in tutta la sua produzione, è la compiutezza
dei suoi spettacoli: in un Tanz Theater in cui lʼimprovvisazione dal vivo e
il “work in progress” hanno una parte importantissima, Reinhild
Hoffmann propone spettacoli estremamente compiuti, che aspirano
palesemente alla classicità.
(178) Solo mit sofa, (assolo con divano), teatro di Brema 24.9.1978
(179) Bretter, (braccia di legno), Teatro di Brema, 22.5.80
(180) Steine, (pietre), Teatro di Brema, 22.5.80
144
Capitolo 2
PALERMO PALERMO: LʼULTIMA GRANDE PRODUZIONE DEL
WUPPERTALER TANZTHEATER
2.1 GENESI DELLO SPETTACOLO
Pina Bausch arriva a Palermo nel maggio del 1988: la sua compagnia non
aveva mai lavorato in Sicilia prima di allora. Al Teatro Biondo viene
rappresentata una riedizione di un suo spettacolo risalente al 1984, Auf
dem Gebirge hat man ein Geschrei gehort: “Uno spettacolo duro e terrigno, evocatore di fantasia da Apocalisse”. (1)
Lo stile spezzato dalla coreografa tedesca, la forza della sue immagini,
lasciano il segno nel pubblico palermitano. Al di là degli applausi
scroscianti in teatro, in quei giorni Pina Bausch e i suoi danzatori non si
sottraggono allʼulteriore abbraccio della città: vengono organizzati seminari
e incontri, uno dei quali, sorprendente per naturalezza e calore, con i
giovani dellʼuniversità. Da questi presupposti di attrazione reciproca (Pina
Bausch si dichiarerà più volte rapita dalla bellezza della città e dellʼisola e
dal calore dei suoi abitanti) nascerà Palermo Palermo: Pietro Carriglio,
Direttore Artistico del Teatro Biondo si fa promotore di una co-produzione
tra lo Stabile palermitano e il Wuppertaler Buhnen. Un discorso del genere non
(1) Dal programma di sala del Teatro Lirico di Milano, in occasione della
rappresentazione di Palermo Palermo, ottobre 1990
145
era nuovo per la Bausch, che aveva già affrontato e risolto con successo
unʼaltra co-produzione, anchʼessa italiana, con il Teatro di Roma: lo
spettacolo Viktor, lʼallestimento del quale si era svolto in parte nella capitale.
Il sindaco di Palermo Leoluca Orlando spalleggia lʼiniziativa di Carriglio
e il progetto diventa operativo: nellʼaprile del 1989 Pina Bausch e i suoi
danzatori sbarcano a Palermo per un primo periodo di prove.
2.2 IL WUPPERTALER TANZTHEATER A PALERMO
In un odoroso aprile siciliano pieno di sole la compagnia soggiorna per tre
settimane a Palermo: il tema che si danno la Bausch e i suoi interpreti è di
“entrare” nella Sicilia, viverci, calarcisi.
Ricorda Jean Sasportes, uno dei fedelissimi della Bausch: “Avevamo già cominciato a lavorare secondo il solito metodo di accumulazione
del materiale delle nostre improvvisazioni sui temi proposti da Pina. Poi lei
stessa ci ha annunciato che saremo andati a Palermo, dove saremmo rimasti
ventuno giornI. Durante il periodo della nostra permanenza sullʼisola ognuno
di noi ha potuto disporre di una certa libertà, ma con il compito preciso di stare
in mezzo alla gente, di tuffarsi nella sicilianità. Al pomeriggio facevamo le
nostre improvvisazioni, in risposta alla domande di Pina. In quel soggiorno
palermitano però il primo soggetto sul quale quotidianamente abbiamo lavorato
era la risposta alla domanda: cosa avete visto oggi? - Così era avvenuto
146
anche a Roma durante lʼallestimento di Viktor.- Abbiamo fatto alcune visite di
gruppo guidate: ai templi di Agrigento, al mercato del pesce, a una processione
religiosa. Il lavoro è stato molto duro, più di sei ore al giorno tra training e
improvvisazioni, oltre al tempo speso per conoscere la città.” (2)
2.3 DOMANDE, TEMI, APPUNTI DELLE PROVE
Racconta Barbara Hampel:
“A Palermo io mi sono sentita spesso schiacciata dal genere di temi che Pina
ci proponeva: spesso erano grandi, astratti, importanti: era difficilissimo
costruirci delle piccole improvvisazioni. Abbiamo dovuto pensare molto,
sentirci la testa pesante per riuscire a estrarne delle immagini.” (3) Ed ecco un sunto di queste “domande, temi, appunti delle prove”.
13.4.89 quando non si può pensare, a cosa si pensa. vento biblico tarantola
usi pagani
(2) Jean Sasportes, conversazione con chi scrive, Milano, ottobre 1990
(3) Barbara Hampel, conversazione con chi scrive, Milano ottobre 1990
147
19.4
la terra viene dallʼalto
cimitero degli elefanti
basilico
20.4
eletto
alloro movimenti di raccolto
dalla Germania, ma no
qualcosa di piacevole scorre giù per il corpo
21.4
luna
terra, sporcizia ottenere il più possibile
24.4
sfracello adorazione della donna piccola bestia freddo raffinato disegnare un albero cavalletta
26.4
fame
fare un pò male comodo, accarezzare
sfiorare (titillare)
148
27.4
proteggere qualcosa 28.4
gioia a buon mercato
ali
29.4
spaghetti in chimono
2.5 bella protesta
ramo
terra in camera punire con eleganza limone procedere con parsimonia
segni di fortuna povere braccia 5.5 vincere lo sporco animale interiore
speranze cerchi
3.5 brutta reazione per cosa da poco
149
8.5 consolare un oggetto
vigliaccheria
pudore qualcosa di bello
che non si può utilizzare movimenti infiniti
9.5 stelle
pronti al compromesso
promettere qualcosa tracce
15.5
senza riguardo qualcosa che vi stia a cuore cosa avete visto darsi da fare
16.5
mendicare fieramente
17.5
saporito
campo di fiori
fare qualcosa toro
150
18.5
incassare entrambi soli
19.5
essere delle vipere
piccoli animali in paura
sperare nellʼaiuto cosa fate
pietre
21.5
qualcosa di utopico piccione
centro non fare qualcosa volentieri
qualcosa di nuovo incoraggiare
22.5
uccidere con i piedi identikit corna
qualcosa di vecchio
23.5 mani che uccidono - ritmo in sei
24.5
mani che uccidono + piedi che uccidono
confermare
151
27.5
reazione a una grande gentilezza
28.5
come un re non avere paura di toccare sentirsi superiore per qualcosa
29.5
separare il grano dallʼolio bicicletta con piccione segni
30.5
desiderio dagli occhi penelope
piccola ricompensa una fatica resa leggera
31.5
ricominciare da capo autodistruzione qualcosa in rovina
come agnelli/ansia per il domani
resistere alle tentazioni
non fare niente
1.6 come trasformare diavoli in angeli
(riportato interamente sul Programma di sala del Teatro Lirico di Milano, in
occasione delle repliche milanesi dello spettacolo Palermo Palermo,
nellʼottobre del 199 0)
152
2.4 LʼALLESTIMENTO VERO E PROPRIO: PALERMO PALERMO
PRENDE FORMA
Dopo il soggiorno in Sicilia (primavera ʻ89) la compagnia lavorò per otto mesi
allʼallestimento di Palermo Palermo (andato in scena per la prima volta nel gennaio
ʻ90).Racconta ancora Barbara:
“Dopo quel viaggio in Sicilia ritornammo a Wuppertal e facemmo altro fino
alla vacanza della compagnia (circa sei settimane tra luglio e agosto); le
impressioni e il lavoro svolto si depositarono in noi fino alla ripresa delle prove
in settembre. Si ricominciò in quel periodo sommando i materiali frutto del
soggiorno a Palermo a nuove improvvisazioni su nuovi argomenti” (4)
La lunga pausa è interpretata diversamente dai danzatori di Pina Bausch:
alcuni sostengono non sia stata affatto dannosa, anzi proficua, altri, come
Julie Stanzak:
“Credo che questa pausa abbia certamente attenuato le nostre vividissime
impressioni palermitane; potrebbe avere tolto freschezza e mediterraneità al
blocco di materiali accumulati durante il soggiorno nellʼisola”. (5)
(4) Barbara Hampel, conversazione con chi scrive, Milano ottobre 1990
(5) Julie Stanzak, conversazione con chi scrive, Milano ottobre 1990
153
Su un fatto però sono tutti dʼaccordo, e cioè che la compagnia per Palermo
Palermo abbia lavorato come sempre: Pina Bausch ha utilizzato lo stesso
modo creativo di tutti i suoi lavori degli anni ottanta. Come è solita fare, nelle ultime settimane ha montato lo spettacolo: ha
selezionato le immagini e dato forma al magma di musiche, scene, ruoli,
persone.
Quando ho chiesto ad alcuni dei ballerini quando hanno potuto conoscere
la struttura definitiva dello spettacolo. Barbara Hampel mi ha spiegato: “Fino allʼultimo momento prima di andare in scena cʼerano tantissimi dubbi,
e ce nʼerano ancora addirittura dopo essere andati in scena: Pina non
aveva ancora affidato definitivamente le parti e ciascuno di noi aveva la
sua dose di incertezza su quello che in definitiva avrebbe poi fatto sul
palcoscenico. Ma succede quasi sempre così.” (6) Jean Sasportes ha aggiunto: “Durante le repliche palermitane (una decina credo) lo spettacolo ha
decollato poco a poco e ha preso la forma attuale, anche se da allora
molte situazioni interne alla pièce si sono molto evolute e trasformate ancora.” (7)
(6) Barbara Hampel, conversazione con chi scrive, Milano ottobre 1990
(7) Jean Sasportes, conversazione con chi scrive, Milano ottobre 1990
154
Di queste ulteriori lievi trasformazioni posso testimoniare personalmente: in aprile
1990 ho assistito a una replica di Palermo Palermo in Germania e in ottobre la
versione del Teatro Lirico di Milano si è prospettata ulteriormente evoluta.
Lʼoggetto del nostro studio sarà comunque questʼultima edizione milanese.
La Bausch ha spesso atteso un anno prima di ritenere una sua performance
veramente matura per girare il mondo in tournée. Ad ogni buon conto le
trasformazioni di cui parliamo sono riscontrabili soltanto dopo unʼapprofondita
e comparata visione. Le sopra citate testimonianze dei danzatori, infine
volevano semplicemente testimoniare con la freschezza della presa diretta
alcuni aspetti del lavoro della Bausch; soprattutto, forse, quanto il suo
metodo sia a tutti gli effetti “work in progress”: un viaggio collettivo
sostenuto da un “labor limae” continuo e infaticabile.
2.5 PER UNʼANALISI PROFONDA DELLO SPETTACOLO
Volendo analizzare a fondo questʼultima creazione di Pina Bausch, ci serviremo
di un metodo di descrizione-trascrizione grafica e di lettura simbolica del testo
teatrale, secondo le linee teoriche precisate in un recente studio di Floriana Gavazzi (8)
(8) cfr. GAVAZZI F., La lettura simbolica del testo cinematografico e teatrale: una
proposta metodologica, in F. GAVAZZI-P.C. RIVOLTELLA, Lʼanalisi simbolica dello
spettacolo - Pubblicazioni dellʼI.S.U. - Università Cattolica Milano, 1990
155
In una prima fase racconteremo tutto lo spettacolo, utilizzando come
criterio di schematizzazione la divisione in sequenze.
In una seconda fase individueremo un segmento dello spettacolo particolarmente ricco di elementi rivelatori e affronteremo la vera e propria
trascrizione grafica: indicheremo il numero, il titolo e la durata di ogni
sequenza e ne descriveremo gli accadimenti collocandoli in una griglia di
“codici significativi” (9). Questa griglia sarà suddivisa in “sfera auditiva” e
in “sfera visiva”, la prima a sua volta suddivisa in codice verbale, auditivo
e musicale, e la seconda in codice prossemico, cinesico-gestuale e iconico.
Nel codice verbale riferiremo le parole pronunciate dagli interpreti, in quello
auditivo annoteremo i suoni, le voci e i rumori che non sono né parole né
musica (ad esempio grida, rumori naturali, ecc..) mentre nel codice musicale,
che sigilla la sfera auditiva, collocheremo invece il commento musicale e
sonoro. Nel codice prossemico, che introduce la “sfera visiva”,
segnaleremo la disposizione dei danzatori nello spazio scenico e i loro
principali spostamenti; nel codice cinesico-gestuale riveleremo la loro gestualità,
(9) Per questa suddivisione in codici abbiamo utilizzato lo schema di Floriana
Gavazzi con una sola eccezione: non abbiamo utilizzato il codice paralinguistico
(rilievi sulle modalità di emissione della voce umana, vale a dire tono, timbro e
altezza) presente nel suo modello nella sfera auditiva. Nel segmento-campione dello
spettacolo da noi preso in esame lʼaspetto verbale ha una parte minima, e viene
descritto a sufficienza dal codice, appunto, verbale.
156
le loro azioni e i loro piccoli movimenti: nel codice iconico, infine, indicheremo
le principali variazioni che intervengono nello spettacolo a livello di
elementi scenografici, luministici e costumistici.
Dopo aver compilato la nostra griglia passeremo allo sviluppo della lettura
in verticale, codice per codice:
“La lettura in orizzontale della descrizione (sincronica) permette di richiamare
alla memoria il complesso intreccio dei codici allʼinterno di ciascuna
sequenza, mentre la lettura in verticale (diacronica) consente di isolare
una particolare partitura codica e ricostruirne lo sviluppo.” (10)
Le nostre considerazioni in questa fase saranno ancora di tipo analitico e
non interpretativo. Infatti la prassi fin qui descritta è essenzialmente di
scomposizione dellʼoggetto spettacolare, per la quale scomposizione ci
serviremo di nozioni e strumenti provenienti dallʼarea semiotica; per la
successiva fase di ricomposizione, in cui lo spazio riservato alla libertà
interpretativa del soggetto dellʼanalisi è decisamente più vasto, ci serviremo
di stimoli e suggestioni meno specifici, provenienti dalle scienze umane,
dallʼantropologia, dalla psicanalisi, indirizzati però a una interpretazione
(10) GAVAZZI F., La lettura simbolica... p. 22 157
simbolica del testo, dalle sue possibili aperture a sensi secondi e
allʼuniversale. (11) 2.6 SVILUPPO GLOBALE DEL TESTO-SPETTACOLO
Prima di affrontare la prima fase della nostra analisi, la cronaca momento
per momento dellʼintero Palermo Palermo, vorrei dare delle indicazioni
concernenti alcuni particolari grafologici e logistici del nostro riassunto.
I personaggi in scena sono i danzatori stessi: infatti i nomi che si odono
sul palcoscenico sono gli autentici nomi degli interpreti, e anche noi per
descrivere le azioni sceniche ci siamo serviti dei loro nomi anagrafici.
Quanto alle parti parlate, sono recitate quasi interamente in italiano; lo
spettacolo è stato allestito però anche in una versione tedesca, in cui gran
parte dei testi è tradotto in lingua tedesca. Noi faremo riferimento alla versione
italiana: la grammatica dei monologhi e dialoghi contenuti nello spettacolo
non è del tutto corretta, come non è del tutto corretta la dizione e la
pronuncia dei danzatori stranieri che li recitano in scena.
Ci è sembrato importante riprodurre esattamente queste parti così come le recitano i
danzatori: a Wuppertal, in archivio, abbiamo recuperato i brogliacci originali
(11) Riguardo la lettura simbolica del testo le nostre “riflessioni ordinatrici di
stimoli diversi” si rifaranno soprattutto agli studi di V. Melchiorre (Essere e parola,
Vita e Pensiero, Milano 1982 e Lʼimmaginazione simbolica, il Mulino, Bologna
1972)
158
sui quali i ballerini hanno studiato le parti: essi contengono in buona
percentuale le libertà grammaticali e di dizione di cui abbiamo detto. Ci
siamo perciò attenuti alla trascrizione fedele di questo rudimentale copione.
Abbiamo indicato frequentemente la parte destra e sinistra del palcoscenico:
abbiamo inteso convenzionalmente la destra e la sinistra guardando la
scena dal punto di vista delle spettatore.
Quanto alla suddivisione in sequenze da noi operata, essa non si appella
a un criterio assoluto e generale: lʼunica suddivisione proposta da Pina
Bausch è quella tra il primo e il secondo tempo, e, come vedremo,
anchʼessa dissimulata. Il flusso continuo dello spettacolo è però frazionato a nostro avviso in una
serie di immagini, di quadri semplicemente accostati, i cui confini sono
segnati principalmente dallʼentrata e dallʼuscita dei personaggi. (12)
Una suddivisione di questo genere dovrebbe rispettare sufficientemente
gli intenti comunicativi dellʼautrice.
(12) Nel cinema il succedersi delle inquadrature fornisce uno schema naturale
della suddivisione in sequenze; per il teatro nasce perciò il problema di come
reperire unʼunità segmentale di testo analoga allʼinquadratura cinematografica.
F. Gavazzi sviluppa questo punto a p. 19 della sua trattazione. (La lettura
simbolica...)
159
PALERMO PALERMO
sequenza 1
Le luci di sala sono accese. Si apre il sipario. Un grande muro grigio chiude
la scena agli occhi degli spettatori: improvvisamente crolla un grande
boato e solleva molta polvere.
Sul palcoscenico cosparso di rovine avanza a grandi passi July, sanguigna
danzatrice tedesca, e disegna una croce davanti ai resti del muro.
Accompagna i suoi gesti una musica anni ʼ30 cantata da una voce femminile,
July si disegna una croce nera in faccia. E getta su di sé della terra.
Chiama imperiosamente due danzatori: dà loro degli ordini secchi in inglese:
- Prendi la mia mano, stringimi, abbracciami.- i ragazzi seguono, ma lei si ribella, si dispera. Poi danza, muovendo quasi
soltanto le mani, braccia e busto. Improvvisamente si siede su una sedia e si
fa tirare addosso dei pomodori, che le imbrattano il viso e il vestito.
La musica è sostituita da uno scampanio rapido: July si alza dalla sedia ed
esce di scena
sequenza 2 Entrano degli operai che rimettono in ordine la scena, spostando le macerie.
Entra Dominique con una bambina in braccio: molti uomini vestiti di nero li
sollevano e a turno li rovesciano contro le pareti laterali della scena. Intanto
160
sullo sfondo scoppia una bomba, una bomba che fa molta luce. July mette il
piede in una forma di pane e ci cammina come se fosse uno zoccolo gigante.
Allʼimprovviso gli uomini avanzano portando in braccio ciascuno una donna.
Beatrice si arrampica al muro laterale aiutata da uno di loro. Improvvisamente
tutti si sdraiano nel punto in cui si trovano. Sullo sfondo arriva Ed che tiene
una lunga pertica in equilibrio sulla fronte. Lo scampanio continua.
sequenza 3 Entra Francis con un tavolino e dei bicchieri, vestito da cameriere di gran
classe: fa suonare i bicchieri di cristallo e poi versa del liquido nelle mani di
July, che lo versa finché non rimane più nulla. Il suono delle campane, che
era cessato al tintinnare dei bicchieri, riprende adesso, ma fioco, lontano.
Quincella si rivolge a Finola, seduta su una sedia in mezzo alla scena:
- Sa già cosa vuole? - Prendo un bicchier dʼacqua, per favore - risponde Finola - Acqua minerale gassata o naturale? - - Senza gas - - E in che modo pagherà? Accettiamo American Express, Visa, Eurocard,
Master card, Carte blanche e Dinners Club International - American Express - - Cara dʼoro, di platino o verde? - - La carta verde. - 161
- E il verde roteante o normale? - - Il verde normale -
- E qual è il limite? - - Quaranta milioni. - - Mi spiace: - conclude Quincella (danzatrice di colore) voltando la spalle
a Finola. Intanto passa Ed mangiando un cono gelato sequenza 4 Antonio entra in scena (tutti ne sono usciti) anchʼegli vestito di nero con
un mazzo di rami secchi in mano. Saluta il pubblico con un inchino. Al secondo inchino entra in scena
Beatrice, piccola, esile, con un vestito nero: è trasportata a braccia da
cinque o sei uomini anchʼessi in nero. Beatrice guarda Antonio con odio, si
mette una bottiglia dʼacqua in mezzo alle gambe e la vuota “orinandola”
come un uomo in direzione di Antonio, che non reagisce. Se ne vanno tutti
e comincia una musica dolce con flauto e voce.
sequenza 5 Entra Dominique con il viso truccato da negro. Gioca con il fumo della sua
sigaretta. Intanto Jan in mezzo alla scena apparecchia una mensa con
tanto di stoviglie: un piccolo cane attraversa il palco e si mette tranquillamente
a mangiare. July intanto si sdraia. La musica termina, Francis copre
July: le mani e i piedi avvolti in indumenti; July striscia a quattro zampe
162
verso il pubblico e dice: - Non mi piacciono le perle. Cʼera un giovane sul tetto di un grattacielo e
voleva saltare. Poco dopo una folla si radunò là sotto e invece di
convincerlo a scendere cominciò a gridare: salta, salta, saltaaaa!
-Conclude July che striscia via.
sequenza 6 Entrano Beatrice e Jan: lui gigantesco come sempre e lei piccola e decisa.
Lui le fa la respirazione bocca a bocca. Ricomincia la musica sottile di
flauto e voce. Beatrice danza; usa molto la parte superiore del corpo e
sembra utilizzare anche dei gesti del linguaggio dei sordomuti. Entra July
in pelliccia e tacchi a spillo; con lo sguardo rivolto in platea raggiunge
Beatrice, lʼabbraccia ed escono insieme di scena.
sequenza 7 Ricomincia lo scampanio. Entra Quincella vestita da sera e si mette dello
zucchero sulle labbra. Chiama Antonio e gli comanda:
- Kiss me. - Antonio la bacia, Quincella fa cadere una moneta. Entra Jean e rovescia
una borsa intera di monete.
Arriva Nazareth con un ferro da stiro. Jean remissivo le stira il vestito.
Arriva anche Thomas con un braccio ingessato al collo, guarda Nazareth,
poi il pubblico, toglie il finto gesso e lo mette in un sacchetto di plastica.
163
sequenza 8 Escono tutti, comincia una musica orientale, rielaborata elettronicamente.
Entra Beatrice e disegna grandi fiori sul palco; Mariko, giapponese, beve
un caffè seduta a un tavolino. Beatrice esce di scena. La musica diventa
del tutto elettronica, suoni liquidi, che si ripetono: due coppie, formate da
Thomas e July e da Alan e Barbara coordinano i loro movimenti e ripetono
molte volte due temi diversi in tempi uguali. Thomas e July al centro della
scena e Barbara e Alan schiacciati conto la parete di destra del palco (la
utilizzano nei loro movimenti). Barbara, anchʼessa bionda e tedesca ma
molto diversa dalla sanguigna July sta contando ad alta voce in italiano.
sequenza 9 La musica sempre sintetizzata, si trasforma in un valzer.
Beatrice entra in scena indemoniata trascinando a forza Jean. Corre e si
arrampica sul muro sostenuta da altri uomini, i quali a turno la sollevano
da terra e ve la ridepositano, poi gli uomini si prostrano in fila e lei corre
più volte sopra le loro mani stese a terra.
Jan improvvisamente la ferma: la sdraiano per terra e la sollevano ognuno
con un piede: la trasportano sui loro piedi muovendosi allʼunisono. Poi la
sollevano e la ridepositano a terra a turno con lo stesso movimento di
poco prima. Poi escono tutti. Finisce la musica. 164
sequenza 10
Nazareth parla in scena - La ragazza e la rosa.
Mi cresce una rosa sotto la finestra.
Cresca pure, se crescer deve. Il seno mi cresce sotto la camicia. Cresca pure, se crescer deve.
Coglierò la rosa, la infilerò tra i seni.
Lui la chiede. Se la chiede,
mi slaccerò i bottoni. Esce Nazareth e arriva al suo posto July, che dice - Da Archiloco ho sentito narrare dellʼusignolo. O poter fare delle mie mani
per lʼusignolo un nido, lo sai, vibra il desiderio di toccare lʼusignolooooo
Oh, per te io canto, Archiloco, per toccare lʼusignoloooooo, sentire quel
frullare dʼali sulle mie labbra assetate. Oooooooooo
sequenza 11
Comincia una musica orientale: arriva Thomas, July danza con lui un passo
a due astratto: una piccola serie di movimenti che si ripetono più volte.
Jan, intanto, vicino a un armadio situato in un angolo del proscenio, vicino
alla platea, si tinge il piede con il lucido nero perché non si veda il grande
buco che ha nella calza. A fianco dellʼarmadio cʼè una televisione, che Jan
accende; trasmette un documentario sul mare, lʼaudio è in tedesco. July e
Thomas escono. Beatrice traversa la scena con una pizza e lʼappoggia a
165
terra sdraiandosi; qualcuno le fa stringere in grembo delle bottiglie. Jan
picchia Jean: vi si siede sopra, e si fa accendere una sigaretta dal
malcapitato, che si dimena inutilmente.
sequenza 12
La musica di cornamuse cominciata poco prima ammutolisce, Nazareth,
sola in scena, dice:
- Questi sono i miei spaghetti. - La danzatrice stringe in petto degli spaghetti - Sono tutti miei, appartengono tutti a me sola.
Sono miei e non li dò a nessuno. E non li presto nemmeno, perché sono i
miei, appartengono a me, tutta sola a me
- Mostrando gli spaghetti uno a uno -
Questo è mio, questo anche è mio, e anche questo, e questo, Pandero,
Panadero, Panadero - Nazareth dice il suo cognome continuando a
mostrare gli spaghetti uno a uno.
sequenza 13
Comincia una musica di percussioni. Arriva Jan con una vestaglia da pugile.
Si cucina della pancetta sul ferro da stiro. July attraversa la scena con
una pistola in mano e una calza nera in testa. Le percussioni si uniscono
allo scampanio per qualche istante; poi comincia una musica orchestrale
trionfale. Jan si toglie il kimono e Beatrice accanto a lui versa una bottiglia vuota.
166
sequenza 14
Ricomincia la musica di percussioni: arriva Francis che mette una mano
sul cuore di Beatrice e poi colpisce la propria mano con il pugno, più volte.
Se ne va. Arriva Jean, che si ferma vicino a Beatrice: lei lo prende a calci,
con studiata lentezza: ad ogni calcio Jean, come un bambino preso in
castagna, getta per terra pezzi di carne e salumi che si era nascosto nella
camicia, nei pantaloni, nelle calze. Sono in confezioni da supermercato.
sequenza 15
Comincia unʼaltra musica orchestrale, di ampio respiro: la scena si anima
e dal fondo del palcoscenico in file di cinque avanza tutta la compagnia
che, con il gesto tipico dei contadini, semina lentamente per tutta la
superficie della scena ogni genere di spazzatura.
sequenza 17
Escono tutti, Barbara rimane con una scopa e pulisce qua è là. Jan allungato
sulla poltrona si versa dellʼacqua addosso. Si fa silenzio e poi ricomincia
lontana la musica di flauto e voce.
sequenza 18
Comincia il lungo assolo di Janusz, il biondo polacco dai lineamenti gentili
e dalla voce sottile: arriva con una valigia, la apre, contiene solo delle pietre:
- I musulmani viaggiano con pietre e quando sono in viaggio e viene lʼora
167
di preghiera loro hanno bisogno sempre di un tempio per sua preghiera.
Allora mettono le pietre circa così - dispone le pietre intorno a sé inginocchiato - e possono pregare. - un attimo di pausa - Nostra vicina aveva un
cane, che era molto vecchio, e noi tutti sapevamo questo un giorno doveva
morire: una mattina tutti noi bambini giochiamo lì in cortile e vediamo
nostra vicina che tira fuori da immondizie suo cane morto. Cane sapeva
che doveva morire e si era nascosto solo. - piccola pausa - Da noi è una
tradizione, le ragazze fanno le corone di fiori e infilano lì le candele. La
sera le lasciano dentro fiume con un desiderio - mentre parla infila delle
candele in una corona di fiori. Dopo una piccola pausa riprende - In ospedale
dopo anestesia non devi bere acqua, così infermiera porta bastone tipo
Kleenex e devi succhiare - pausa breve - Quando una mucca o cavallo
sdraiati per dormire forse vuol dire sono malati. -
Intanto sullo sfondo Barbara a cavalcioni della scopa fa espressioni da
strega verso il pubblico: Jacob la stende e terra per farla addormentare.
Januzs continua:
- Sassi - butta in scena dei sassi - Vento! - fa aria con un cartone
- Pioggia! - butta dellʼacqua in aria - vengono dallʼestero, forse da
Scandinavia. - breve pausa - Circa due settimane prima di Natale noi
sempre aspettato telegiornale dove cʼera una nave con tutti frutti esotici
per nostro Natale come limoni, aranci, banane, ananas, mele - ( mostra tutti i frutti
168
estraendoli da uno scatolone) - Era un babbo Natale marinaio. Questi frutti
poi abbiamo avuto in tavola, noi. sequenza 19
Januzs se ne va e arriva Nazareth con un tavolino carico di scarpe, tutte
colorate e con i tacchi a spillo. Ha uno sguardo deciso. Con voce
altrettanto decisa: - Credo che manchi benzina! Sa a cosa sto pensando? Locuste, trombe e
occhi arrossati, e gambe nude e terra rossa e Noè e sassi e sete e serpenti
e pelle rinsecchita e osterie e gattini che sentono che arriva il vento e gli
prendono brividi alla schiena e gridano e corrono dappertutto - Nazareth
grugnendo e gridando selvaggiamente fa correndo sui tacchi il giro del palco.
Poi torna a sedersi. - Io sono più verde dellʼerba! E sassi e scorpioni e
dentro una bottiglia scorpioni cacciati. Bambini che ridono. Scorpioni
lʼun lʼaltro divorati. Di un pezzo di carne si può morire. Tra poco sarà
primavera. -
Arriva July dal fondo della scena, scarpe verdi con i tacchi a spillo come
quelle di Nazareth, vestito rosso sexy. July e Nazareth lasciano la scena a
braccetto conversando amabilmente.
sequenza 20
Intanto Jan fa volteggiare Dominique nellʼaria come se fosse la sua ballerina:
lo fanno di nascosto, e Jean e Nazareth non se ne avvedono.
169
sequenza 21 Comincia una musica anni ʻ40: arrivano tutte le ragazze che corrono in
fondo al palco e si mettono contro il muro a testa in giù. Julie (bella americana
dellʼAlabama) avanza sola verso il pubblico e si toglie la vestaglia,
rimanendo con i tacchi a spillo e un body corto. Dominique corre qua e là
piegato sulle ginocchia agitando in aria le braccia: è molto ridicolo. Julie
bacia una moneta e la mette nella scarpa. Poi si mette a testa in giù contro
il fondo della scena e chiama Dominique e gli lancia una serie di invettive.
Intanto Barbara si colloca a lato della scena e si mette due mele al posto
dei seni, con un sorriso ammiccante.
sequenza 22
Il teatro improvvisamente si riempie di un grande rumore e tutti corrono
dappertutto, comincia una musica siciliana scatenata, una “tammurriata”:
tutti gridano e con la schiena al pubblico lanciano arance verso il fondo
del palcoscenico. Mentre tutto lanciano, a turno si presentano davanti al
pubblico e danzano ognuno il suo assolo; danzano soli e poi a coppie, e i
cambi tra gli uni e gli altri hanno ritmi studiati: le arance continuano a volare,
la musica è piacevolmente assordante. Si accendono le luci di sala e viene
annunciato lʼintervallo. Jan travestito da donna con tanto di piume di
struzzo e sigaretta con bocchino fa una studiata passerella in proscenio
con un cartello sul quale cʼè scritto “intervallo”. Ma la musica continua e i
170
danzatori continuano a danzare; il pubblico è incerto, non sa se lo
spettacolo continua oppure no; dopo qualche minuto però la musica
finisce e i danzatori se ne vanno. Eʼ davvero finito il primo tempo.
SECONDA PARTE
sequenza 23
Quincella sola in scena con un vestito da sera rosso, a piedi nudi, gioca a
lanciare in alto una palla e a riprenderla nella voluta della gonna; è
accompagnata dalla sola musica di una voce che canticchia tra sé a
volume altissimo. Quincella ripete più volte il gioco. Alla voce enigmatica
si aggiungono le campane, ma suonano lontano, leggere. Jan si affaccia
più volte da un armadio nel quale è celato; ha una pistola in pugno.
Quincella smette di giocare con la palla e compie unʼoperazione complicata
cambiandosi dʼabito in scena senza mostrare la sua nudità; poi spruzza
del profumo nellʼaria e lo insegue per il palco: prima spruzza il profumo e
poi cerca di mettere le ascelle dove la nuvola di profumo si è volatilizzata.
Spinge un frigorifero in scena e dice: - Quandʼero piccola mi piaceva giocare nella neve con mio fratello.
Facevamo tutti i tipi di castelli di neve e di case, facevamo le più perfette
palle di neve. Ci divertivamo così tanto in inverno che prendevamo un pò
di neve e la mettevamo nel freezer per lʼestate.- Quincella spinge il frigorifero e sorridendo alla platea esce di scena.
171
sequenza 24
Comincia a cadere una pioggia di terra dallʼalto, a circa metà del palcoscenico; una nuova musica (tipo “night club”, con un sassofono in primo
piano) accompagna lʼentrata di Antonio e Francis, vestiti entrambi di un
elegante impermeabile bianco; si guardano. Delle ballerine portano loro
dei limoni: li spremono nelle mani e vi si bagnano i capelli; poi si pettinano
i capelli umidi e lucenti. Ai due viene portata una mela rossa che Antonio
taglia in due: il rosso della mela spicca sui loro impermeabili bianchi.
Escono di scena addentandola. La musica termina, mentre la terra
continua a cadere.
sequenza 25
Riprende il suono delle campane in lontananza. Jacob solo in scena: è
biondo, con pochissimi capelli, un corpo esile: si traveste, parla, mima, si
guarda le gambe magre che fuoriescono dalla veste femminile che porta.
Gioca con una piuma, la soffia in alto, la riprende, la rilancia ancora. Poi
se ne va.
sequenza 26
Eʼ di nuovo Nazareth che di fronte al pubblico ripete:
Mi cresce una rosa sotto la finestra.
Cresca pure, se crescer deve. Il seno mi cresce sotto la camicia. Cresca pure, se crescer deve.
172
Coglierò la rosa, la infilerò tra i seni.
Lui la chiede. Se la chiede,
mi slaccerò i bottoni. -
Dopo una piccola pausa: - Non posso dormire sola. Odo la sua canzone. Dietro i suoi passi, ecco, i miei piedi metto le ali, e il seno scoppia di germogli.
Padre, ti colga la vergogna, se non mi dai marito. Sdraiata sulla strada attendo che mʼincontri.
Latra il mio grembo a lui; una gamba in un fosso. Lʼaltra in un altro, arsa il mio grembo beve la strada che lʼha portato via. sequenza 27 Kyomi, la bella giapponese dai capelli lunghissimi, danza un assolo su una
musica rinascimentale; lontane si odono ancora le campane. Nazareth in
proscenio passeggia ammiccando al pubblico. Kyomi si china e raccoglie la
polvere per terra con i suoi capelli nerissimi e lunghissimi.
sequenza 28 Barbara in centro alla scena indossa uno dopo lʼaltra due paia di mutante,
sollevando il vestito solo un poco. Poi si siede su una sedia e sorridendo complice
alla platea solleva il sedere per fare un peto. Sorride e intanto conta in italiano,
lentamente, inesorabilmente.
173
sequenza 29 La musica rinascimentale cessa, continua lo scampanio. July con il vestito
rosso sexy chiama Thomas e Alan e ripete parte delle scene iniziali:
- Stringimi le mani...lasciale, abbracciami... lasciami...- Chiede ancora che gli sbattano la testa di qua e di là, si sdraia, si fa torcere
le gambe, singhiozza isterica e disperata. Dominique a torso nudo rompe
degli spaghetti, uno a uno, puntandoseli contro il petto.
sequenza 30
Poi è Jan che passa in primo piano, con uno sgargiante doppiopetto blu
mare; riparte sbarazzina la voce che canticchia tra sé a volume altissimo;
Jan dispone pane e pomodori sul palco; solleva Dominique tra le braccia
e lo deposita dietro le quinte; fa il gesto di radersi con il microfono; poi beve
un bicchier dʼacqua appoggiato su un tavolino, ma senza sollevare il
bicchiere, sollevando direttamente il tavolino. Jan prosegue questo
momento energico sollevando la danzatrice Finola sopra la sua testa: si
ritrova però tra le mani il vestito vuoto e Finola in mutande a terra ai suoi
piedi. Lui non se ne preoccupa, recupera il ferro da stiro, lo accende,
rompe due uova e ce la fa cuocere per davvero. Finola intanto sullo sfondo
danza accendendo piccole luci (accendini?) che stringe tra le dita. Allʼimprovviso Jan spara quattro colpi di pistola sul tavolino; le detonazioni
forti, inaspettate, atterriscono il pubblico. Jan chiama Finola:
174
- Leggimi. - le comanda Finola legge:
“Lʼuomo abbandonato”.
Viene la pioggia. Cade.
Un uomo piange, seduto a terra. Siede, piange e chiama Dio. La sua donna
lʼha lasciato. Sta bene lei. Se nʼè andata, chissà dove, con un tipo con i
baffi. Si fermano in un prato: arrostisce galline, lei, per lui. Per suo marito
mai, neanche una. Ecco perché quellʼuomo piange.-
- Leggimene unʼaltra - soggiunge Jan sognante.
Finola. - “Lamento.” Vivesse mia moglie, e potesse vedere quel che succede ai suoi figli,
morirebbe di nuovo. Senza madre sono, senza padre: non mi lamento
della brocca dʼacqua.
Già da tre anni non li vedo. Sai, tu, cosa sono tre anni? Tre anni, ahimè,
tre pietre. Quattro mura. Se mi vedessero i figli, con il cuore in gola
correrebbero qui, da me. -
Riprende lo scampanio, Finola esce di scena
sequenza 31
Jan getta qualcosa verso il pubblico e poi se ne va trionfante; tanti danzatori gli baciano le mani e invadono la scena. In tempi rapidissimi appaiono
e vengono disposti sei pianoforti verticali neri: cinque ballerini più Mathias,
175
il musicista che si occupa delle colonne sonore della Bausch diffondono il
concerto n°1 di Tchaikovsky. Suonano la stessa musica quasi in polifonia
con un effetto maestoso; sullo sfondo, dietro una specie di schermo si
crea un bellissimo effetto di nuvole in movimento, con colori dallʼazzurro al
viola al cinereo. I pianisti di spalle rispetto al pubblico consentono a questʼultimo di vedere
le tastiere e le mani che si appoggiano assecondando lʼenergica musica.
In proscenio siede una donna vestita di nero con lo sguardo perduto nel
vuoto. Improvvisamente i pianisti smettono di suonare e i sei pianoforti
vengono trascinati via, tranne uno che viene collocato sul lato sinistro del
palcoscenico, verso il fondo della scena.
sequenza 32
Antonio vi si siede di fianco con gli occhiali scuri e lʼimpermeabile bianco.
Inizia a cantare (il volume crescerà poco a poco) una tamurriata siciliana
dal testo ripetitivo e assillante: Mathias lo accompagna al pianoforte con
un paio si accordi insistenti.
Le donne intanto, con dei vestiti a fiori dai colori sgargianti danzano
insieme, perfettamente allʼunisono, una piccola coreografia in cui si ritrovano gesti quotidiani, figure di danze folkloristiche, posizioni di danza
contemporanea... La scena intorno a loro è deserta. Riempiono soltanto
la voce di Antonio, gli accordi di Mathias e il “coro” che danza.
176
sequenza 33
Mariko si stacca dalle altre e con una macchina fotografica in mano va
verso il pubblico e si fa scattare una fotografia. Entra in scena Dominique
e la piccola giapponese lo guarda minacciosa. Arrivano Alan e Francis;
Francis riempie a Mariko un calice di Champagne, Alan la solleva e
facendola girare su sé stessa con grande velocità le fa lanciare il vino
rabbiosamente verso Dominique. La scena si ripete più volte. Mariko si fa
poi fotografare da Dominique. A questo punto la strana catapulta umana si
ripete con la macchina fotografica: quando Alan fa girare Mariko lei scatta
il flash in direzione di Dominique; infine lʼoperazione di ripete per lʼennesima
volta con Mariko che allo stesso tempo lancia il vino e scatta la fotografia
con il flash.
sequenza 34
Antonio smette di cantare. La sua voce è sostituita da un immenso coro di
grilli e cicale. Antonio si alza dalla sedia, si toglie gli occhiali scuri dopo
essersi posto di fronte al pubblico: ha disegnato sul viso un sorriso indefinibile. Si sdraia per terra, rovesciando la testa può guardare la platea.
Comincia con studiata lentezza a smaltarsi le unghie. Spesso ammicca al
pubblico rimirandosi la mano. Si alza e si avvia verso il fondo della scena.
sequenza 35
Francis cammina deciso e si ferma dove poco prima cʼera Antonio: ha ancora
177
lʼimpermeabile e porta con sé anche un secchio. Velocemente si toglie
lʼimpermeabile e la camicia e tuffa questʼultima nel secchio; la bagna, la
strizza, la stiracchia completamente fradicia comʼè, e se la rimette. Rimette
anche lʼimpermeabile, riprende il secchio e a grandi passi esce di scena.
Intanto Antonio seduto a un passo dallo sfondo delle nuvole si spoglia e si
siede vicino a un catino e comincia a lavarsi accuratamente, aggraziatamente,
contemplando le proprie forme e volgendosi a tratti verso il pubblico dopo
aver rimirato le proprie unghie smaltate.
sequenza 36 Nella parte anteriore della scena si dispone Quincella, la quale si cosparge
le labbra di zucchero e comanda a Mark: -Kiss me! - July la guarda tranquilla con una calza scura sul viso e una pistola in
pugno; si sposta lentamente in vari punti della scena. La sua presenza
passiva rappresenta per il pubblico una spia dʼinquietudine costante in
questʼultima parte della performance. Il rumore delle cicale continua
costante. Francis rientra in scena e comincia laboriosamente a fissarsi
delle candele sul braccio nudo: accende le piccole candele e con questo
braccio “illuminato” comincia a suonare il sassofono.
sequenza 37
Janusz si siede al pianoforte e lo accompagna in un bellissimo “standard”
178
jazz; in scena continuano a esserci anche Antonio, che continua a lavarsi
e July, che, pistola noncurantemente spianata, va ad appoggiarsi alla
parete laterale sinistra. La musica jazz eseguita con maestria da Janusz e
Francis ammutolisce, cambiano le luci, rimane in scena solo july. Il rumore
di cicale continua.
sequenza 38
Comincia una strana marcia che prelude a un momento corale: tutta la
compagnia si dispone in fondo al palcoscenico; uomini e donne in due file
ben separate avanzano verso il pubblico ondeggiando ritmicamente con
una mela appoggiata in testa. Arrivati alla platea a b b a n d onano
silenziosamente la scena.
sequenza 39
La scena è vuota, la musica diventa trionfale e solenne, di organo a volume
altissimo; la terra ricomincia a cadere sul palcoscenico e, dalla prima
quinta di destra i danzatori rientrano lentamente in scena, a coppie.
Danzano tutti allo stesso modo: curvi e ripiegati su sé stessi aprono le
braccia ritmicamente e avanzano con un piccolo balzo. Attraversano la scena in questo modo e quando lʼultima coppia è uscita
dalla quinta di sinistra
sequenza 40
la terra smette di cadere, si accendono le luci di sala e arrivano gli operai
179
che predispongono la calata dei mandorli in fiore: dallʼalto infatti come per
incanto, mentre continua la musica di organo, vengono calati alcuni autentici
mandorli in fiore. sequenza 41
Poi si fa silenzio: Janusz solo di fronte alla platea racconta con voce confidenziale:
- “il volpone e le oche”
In un prato dove cʼera un gregge di oche arrivò un volpone e disse: - sono
venuto qui per mangiarvi tutte! - Le oche si spaventarono, piansero e si
lamentarono di essere ancora così giovani. Il volpone rise e disse: - Nessuna
grazia, voi tutte dovete morire. - Allora una venne da lui e gli disse: - Per favore,
permettici di fare unʼultima preghiera per non dover morire con i nostri peccati;
noi ci metteremo in fila per tre così che tu possa vedere chi di noi è la più
grassa...- il volpone disse: - vabbè, non fa niente, potete farmi questʼultima
preghiera, posso aspettare la fine.- Allora arrivò la prima oca e si mise lì e
cominciò la sua preghiera, che per le oche è “ga ga ga”. Era tanto lunga che
arrivò unʼaltra oca con la sua preghiera “ga ga ga” e la terza non aspettò e
cominciò la sua, la quarta e unʼaltra ancora. Dopo un poʼ di tempo stavano
tutte lì in fila pregando. E questa favola si dovrebbe continuare a raccontare
quando le oche termineranno di pregare.... Ma le oche, loro, sono ancora lì a
pregare. Buonanotte.-
180
2.7 TRASCRIZIONE GRAFICA DI UN SEGMENTO-CAMPIONE
Affrontiamo ora la trascrizione grafica (13) di un segmento dello spettacolo a
nostro avviso interessante per la concentrazione di simbolismi e di spie
trasgressive, nonché per lo svelamento della poetica e delle cifre stilistiche e
formali di Pina Bausch.
Abbiamo scelto come segmento-campione una serie di sequenze situate verso
la fine dello spettacolo, e precisamente dalla numero 34 alla numero 40
(13) Per i criteri di trascrizione cfr. cap. 2.5 p. 167
181
Sequenza I (34) titolo: “Antonio” durata: 2 minuti
sfera auditiva verbale
auditivo musicale
/
rumore di grilli
durante lʼintera
sequenza
/
sfera visiva
prossemico cinesico
gestuale
iconico
Antonio dalla
scena illuminata
quinta di destra diffusamente.
avanza verso il centro; si ferma
di fronte al pubblico, in proscenio.
Si toglie lʼimpermeabile
e gli occhiali scuri e si
sdraia per terra. Lenta- mente si smalta le un- ghie di una mano. Da sdraiato rovescia la te- sta verso la platea am- miccando sorridente:
poi si alza lentamente e si dirige verso il fondo della scena In fondo alla sce
na poca luce
182
Sequenza II (35)
titolo: “Francis e Antonio” durata: 1 minuto e trenta secondi
sfera auditiva verbale
auditivo
/
sfera visiva musicale prossemico cinesico
gestuale
Continua il rumore di grilli durante lʼintera
sequenza
/ iconico
Francis arriva dal- la quinta di sinistra camminando deci- so, e si piazza in
mezzo alla scena. Ha con se un secchio.
Toglie lʼimpermeabile e la camicia: lava la camicia nel secchio e
se la rimette fradicia.
Si rimette anche lʼimper- meabile, raccoglie il secchio e se ne torna dietro le quinte.
Antonio intanto in fondo alla scena si spoglia nudo;
è di schiena al pubblico ed
è vicinissimo allo sfondo di
nuvole colorate (malva, grigio,
viola). Si siede, si lava con
calma. Alza il braccio e si guarda compiaciuto la mano
smaltata; si volta e sorride ammiccando al pubblico. 183
Sequenza III (36)
titolo: “Zucchero e candele”
durata: 3 minuti
sfera auditiva
sfera visiva verbale
auditivo musicale prossemico cinesico
gestuale continua il rumore
Quincella entra in
rumore di grilli
iconico
scena dalla quinta
di destra; si colloca in proscenio si cosparge di zucchero le lab- bra e dice:
-Kiss me Mark.- con accento molto
americano, e tono
perentorio. Mark entra in scena un attimo dopo di lei e la bacia. July dal fondo della scena si sposta sul lato destro cammi-
nando lentamente
Ha un espressione indecifrabile per via dʼuna calza calata
in testa; tiene una pi- stola stretta in pugno Francis rientra in scena e si dispone anchʼegli sul lato destro, ma più
avanti rispetto a July Comincia a fissarsi la-
boriosamente una serie
di candele sul braccio;
le accende una a una.
Antoniosullo sfondo continua a lavarsi e ad
ammiccare al pubblico
184
Sequenza IV (37)
titolo: “Sassofono e pianoforte”
durata: 4 minuti
sfera auditiva
sfera visiva verbale
auditivo musicale prossemico cinesico
gestuale continua il rumore
Janusz entra in iconico
rumore di grilli
scena senza farsi
notare e si siede al piano accostato alla parete sinistra Sullo sfondo del rumore dei grilli si inserisce uno “stanard” jazz suonato dal vivo
da Francis (sax) e Janusz (pianoforte) Francis comincia a suonare il sax con le candele accese
fissate sul braccio. Janusz, un attimo
dopo, attacca ad accompagnarlo al piano. Intanto July traversa
la scena camminando lentamente e si appog- gia alla parete sinistra, più avanzata rispetto a Janusz. Tiene la pistola
spianata.
Sullo sfondo Antonio
continua a lavarsi e a
girarsi di tanto in tanto.
iI grilli tacciono Janusz e Antonio e
July lasciano la scena. 185
Sequenza V (38)
titolo: “Mele in testa” durata: 4 minuti
sfera auditiva
sfera visiva verbale
auditivo musicale prossemico cinesico
gestuale i grilli
tacciono
iconico
musica dʼor- chestra, una specie di marcia, lenta e solenne. La compagnia si dispone in fondo alla scena: una fila di donne e una di uo- mini tenendosi a braccet- to avanzano lentissima- mente verso il pubblico. Hanno ciascuno una mela in equilibrio sulla testa. Ondeggiano impercettibil- mente a ogni passo. Le due file, arrivate in prosce-
nio, si sciolgono e i danza-
tori si ritirano dietro le quinte. I volti concentrati
e impassibili non esprimono emozioni.
186
Sequenza VI (39)
titolo: “Speranza alla frusta”
durata: 4 minuti
sfera auditiva
sfera visiva verbale
auditivo musicale prossemico cinesico
gestuale Musica di orchestra trionfale riempie il teatro A coppie la compagnia
rientra in scena dalla
prima quinta di destra.
Attraversano lentamente la scena da destra a sini- stra. Ripetono tutti lo stes- so movimento: ripiegati su se stessi aprono ritmica-
mente le braccia verso il cielo e avanzano con un saltello, senza però mai sollevare la testa e il busto,
rimanendo costantemente accovacciati. Sfila in questo modo lʼintera compagnia: quando lʼultima coppia esce
dalla quinta di sinistra...
187
iconico
Comincia a cadere dallʼ alto una piog-
gia di terra.
La terra non
colpisce i bal-
lerini; cade
alle loro spal-
le a circa me-
tà della pro-
fondità della
scena. Sequenza VII (40)
titolo: “Mandorli in fiore” durata: 3 minuti
sfera auditiva
sfera visiva verbale
auditivo musicale prossemico cinesico
gestuale Continua la musica di organo; aumenta il volume Entrano in scena gli operai e cominciano a ripulire il palcosceni-
co. Poi fanno dei gesti
e guardano in alto: predispongono la di-
scesa dei mandorli in
fiore. 188
iconico
Dallʼaltro da dove
fino a poco prima
cadeva la terra, calano lentamen-
te quattro stupendi mandorli in fio-
re. Sono alberi di grandi dimen-
sioni e vengono
tenuti sollevati a
poca distanza da
terra.
2.8 LETTURA VERTICALE DEL SEGMENTO-CAMPIONE
“A questo punto basterà leggere tale descrizione verticalmente, secondo le
colonne in cui è stata divisa per ottenere, codice per codice, un elenco degli
elementi testuali che opportunamente selezionati, confluiranno in una breve
descrizione del codice e delle modalità trasgressive del suo utilizzo nel
segmento-campione.” (14)
(14) GAVAZZI F., La lettura simbolica... p. 28
189
Codice verbale
Nel segmento di testo da noi analizzato il codice verbale è utilizzato
pochissimo. Quincella nella sequenza tre pronuncia la stessa frase e ripete
la stessa azione già presentata in una fase precedente dello spettacolo:
comanda imperiosamente a Mark Alan Wilson di baciarla dopo essersi
cosparsa le labbra di zucchero.
Il parlato è utilizzato pochissimo in questa fase, ma non in tutto lo spettacolo:
Palermo Palermo è ricco soprattutto di monologhi, cari a Pina Bausch
perché spesso recitati dal proscenio e direttamente verso il pubblico.
190
Codice auditivo
Un coro di grilli sostiene buona parte di queste sequenze. Eʼ uno degli
elementi più forti dello spettacolo: le azioni sembrano avvolte da questo
rumore vivo e suggestivo che proietta in magici ambienti naturali. Lʼintensità
dellʼinsolito cicaleccio appare studiata con attenzione, in diretta proporzione
con gli altri elementi della scena: varia nei diversi momenti e si rapporta
con gli altri rumori e musica tacendo a tratti oppure alzando e abbassando
il proprio volume.
Un altro elemento auditivo protagonista è lo scampanio presente in molte
fasi dello spettacolo ma non nella parte da noi presa in esame.
191
Codice musicale
Nella sequenza quattro la musica è suonata dal vivo: il sassofono di Francis
e il pianoforte di Janusz si uniscono in uno struggente “standard” jazz e
riempiono la scena con i loro suoni caldi. Da sottolineare la fusione della
musica con il sottofondo di grilli.
Anche la scena cinque (la lenta parata di tutta la compagnia che percorre
longitudinalmente il palcoscenico, le teste adorne di una mela in precario
equilibrio) è fortemente contrassegnata dalla musica. I danzatori sono muti
e guardano nel vuoto; avanzano lentamente muovendosi allʼunisono,
guidati da una lenta sinfonia orchestrale che ne ipnotizza il movimento.
Nelle sequenze sei e sette lʼaspetto musicale ha una parte addirittura
preminente: lo spettacolo sembra risolversi come dʼincanto. sciogliendo le
proprie tensioni e mettendo in gioco un odore di speranza.
La musica, gioiosa nella sua maestosità, invade lʼintero teatro, sembra
riempirne ogni vuoto; solenne e trionfale, detta il ritmo alla traversata del
palcoscenico dellʼintera compagnia, che a coppie distanziate di qualche
metro appare dalla quinta di destra e scompare da quella di sinistra.
Spariti gli ultimi danzatori, il volume si alza e ancora la musica avvolge i
mandorli in fiore, che miracolosamente calano dal cielo del teatro.
192
Codice prossemico
Le sequenze analizzate presentano una certa mobilità prossemica.
La prima vede Antonio sdraiarsi in proscenio e spostarsi poi lentamente
sul fondo del palcoscenico. Eʼ poi la volta di Francis (sequenza due):
anchʼegli raggiunge il proscenio e da li si esibisce sorridendo al pubblico.
Poi abbandona la ribalta e si dirige deciso verso le quinte. La terza sequenza è prossemicamente abbastanza complessa: in proscenio
è la volta di Quincella, mentre ancora in scena è Antonio; anche Julie e
Francis trovano spazio sul palcoscenico, sul lato destro, Julie è una
presenza inquieta: lentamente e silenziosamente cambierà diverse
posizioni nelle prossime sequenze.
Durante la quattro Janusz e Francis stanno fermi mentre suonano, Antonio
continua a lavarsi sullo sfondo, mentre Julie traversa la scena da destra a
sinistra con la pistola spianata. Si assiste quindi allʼuscita di scena di
Janusz, Antonio e Francis.
Sia la sequenza sei che la sette introducono delle immagini corali: la
compagnia disposta in una fila orizzontale avanza longitudinalmente verso
il pubblico, ogni danzatore con una mela in bilico sulla testa. Il ritmo della
camminata è lento; la compagnia ondeggia, caracolla leggermente ad
ogni passo. Eʼ invece trasversale la parata della sequenza sette: lʼattraversamento della scena quinta disposti a coppie distanziate di qualche
metro è lento e ritmato da una essenziale coreografia.
193
Codice cinesico-gestuale
Questo codice è molto importante per il tipo di comunicazione ricercato
dalla Bausch: spesso gli interpreti del Wuppertaler Tanztheater si
esprimono con il viso, con le mani, con gli atteggiamenti del corpo.
Eʼ il caso di Antonio nella prima sequenza, completamente muta: dopo
essersi sdraiato per terra si smalta le unghie ammiccando al pubblico in
un accenno di sorriso sensuale e ironico che dà consistenza al suo
lentissimo agire scenico. Nella seconda sequenza è Francis che catalizza lʼattenzione con le sue
azioni anchʼesse mute: il suo lavare la camicia nel secchio e rimettersela
fradicia provoca nel pubblico una reazione mista, molto classica nei lavori
di Pina Bausch: a metà tra il punto interrogativo, la voglia di ridere e un
brivido per la camicia bagnata sulla pelle nuda. La terza sequenza vede in
scena diversi interpreti: Quincella si cosparge le labbra di zucchero e si fa
baciare; anche in questo caso la gestualità di Quincella stimola una
reazione quanto meno complessa.
July è invece molto espressiva nella sua mancanza di espressione, perché
ha una calza che le incappuccia il viso: ha una pistola in pugno, e la sua
presenza in diverse zone del palcoscenico rappresenta una spia di inquietudine costante per lo spettatore, che segue con lo sguardo i suoi misuratissimi gesti nel timore che allʼimprovviso succeda qualcosa di terribile.
194
Interessante e sorprendente ancora Francis: con una lenta operazione
che provoca decisamente la curiosità del pubblico si fissa una serie di
candele sul braccio, che puntualmente accende prima di cominciare a
suonare il suo sassofono: lʼottone del sassofono luccicante e riflettente la
dorata luce delle candele e lʼimpressione del fuoco tanto vicino alla carne
del braccio di Francis rapiscono la platea.
195
Codice iconico
Per quanto riguarda le variazioni di luci, scenografia, costumi, le sequenze
più significative sono senzʼaltro le ultime della porzione di testo analizzata:
nella prima sequenza la scenografia è caratterizzata quasi soltanto da
oggetti di scena e dal punto di vista dei costumi non sʼimpongono considerazioni di rilievo, perché non esiste unʼambientazione narrativa
spazio-temporale che richieda una qualsiasi coerenza in questo senso.
A livello iconico, forse le immagini degli interpreti che colpiscono di più
sono la nudità di Antonio sul fondo della scena e il personaggio di July
con pistola e calza in testa. Quanto alle luci non sembrano significative di
per sé forse perché prontissime ad assecondare il contesto scenico.
Quanto alla grande scenografia, il fatto rilevante delle prime sequenze e il
cielo che si colora su uno schermo in fondo alla scena: sembra pieno di
nuvole in movimento, dai colori bellissimi, dal malva, al grigio, al viola. Eʼ
su questo sfondo che il corpo di Antonio nudo intento a lavarsi acquista
una bellezza suggestiva, fiabesca, che profuma di Eden e di purezza senza
perdere in carnalità e sensualità.
Altro elemento scenografico più che rilevante è la pioggia di terra che cade
dallʼalto e si riversa a circa metà della profondità del palcoscenico. La
pioggia di terra accompagna la traversata della scena di tutta la compagnia,
a coppie, toccante per la gestualità dei danzatori e per la musica
196
bellissima che invade il teatro; la terra piace a Pina Bausch, che spesso
ne ha riempito le scene dei suoi lavori. Da ultimo, la calata dei mandorli in fiore, accompagnata soltanto dalla
musica, con la scena vuota: degli alberi in teatro, e carichi di fiori per giunta.
La gente riprende fiato e applaude senza parole, mentre le luci di sala si
riaccendono e lo spettacolo sembra finito.
197
2.9 FASE DI RICOMPOSIZIONE: INDIVIDUAZIONE DI UN TEMA-GUIDA
Affrontiamo ora la fase di ricomposizione della nostra analisi, vale a dire il
lavoro propriamente interpretativo. “Esso consiste nellʼindividuazione di un tema-guida, scelto tra le ossessioni
ricorrenti che percorrono lʼasse diegetico del testo e che, intuitivamente, si
segnala come particolarmente denso di significati, di rinvii, come capace di
coagulare intorno a se gran parte dellʼintenzionalità comunicativa dellʼautore”. (15)
Per poi misurarlo attraverso tre piani di senso, in modo che la complessità simbolica
e extradiegetica di Palermo Palermo ci venga restituita in qualche modo decodificata.
(15) GAVAZZI F., La lettura simbolica... p. 29
198
Come tema-guida del segmento-campione da noi preso in considerazione
abbiamo scelto la sensualità: gli elementi presenti in questa porzione di
spettacolo non ci sono però sembrati sufficienti per una ricomposizione
articolata nei tre diversi piani in senso suggeriti dal modello di Floriana
Gavazzi.
Dopo aver rilevato gli elementi di sensualità presenti nel segmento-campione
e considerato il loro valore simbolico e trasgressivo isoleremo in un temaguida nel contesto dellʼintero spettacolo, in quanto, per la struttura particolare delle opere della Bausch, ci è sembrato più efficace a livello interpretativo.
In questa seconda fase rispetteremo il modello (16), seguendo il temaguida nelle sue peregrinazioni da un piano di senso allʼaltro: da un primo
modello di significazione che definiamo intimistico-biografico (o comune
riguardante la collettività, le dinamiche interpersonali e di gruppo), a un
terzo e ultimo mitico-simbolico (che può assumere valenze mitiche,
religioso-esistenziali, filosofiche).
(16) cfr. GAVAZZI F., La lettura simbolica... p. 29
199
2.10 SPIE DELLA SENSUALITAʼ TRASGRESSIVA DI PINA BAUSCH
PRESENTI NEL SEGMENTO-CAMPIONE
la fase finale di Palermo Palermo nella quale sono inserite le sequenze del
segmento-campione da noi isolate ha un potere di fascinazione elevatissimo
nei confronti dello spettatore. Gli elementi poetici di immagini e suoni si
mescolano con frequenti rischiami alla sensualità, una sensualità espressa
trasgressivamente, con largo impiego di simbolismi.
In questo senso è senzʼaltro importante la sequenza di azioni compiute da
Antonio, giovane danzatore italiano dal fisico piacente e dalla capigliatura
corvina. Antonio indossa unʼimpermeabile bianco e una camicia anchʼessa
bianca; rappresenta in questa fase un personaggio ambiguo, che si smalta le
unghie ammiccando al pubblico: il suo sorriso rivela seduzione. Il gesto tipicamente
femminile di smaltarsi le unghie (al di là dellʼinnegabile effetto di straniamento cui
la Bausch indulge spesso) (17) acquista coerenza quando Antonio, spostandosi
in fondo alla scena, si spoglia nudo, e mostrando la schiena alla platea, comincia
a lavarsi, con lʼaiuto di una spugna e un secchio: il suo corpo avvolto dai
riflessi dei bellissimi colori del fondale è semplicemente un corpo bello, che
non è né maschio né femmina; è un corpo seducente, che cura le proprie unghie
(17) Cfr. Cap. 1.4.2 p. 91
200
e la propria pelle, che nutre la propria civetteria. Liberandosi dei vestiti, si
libera anche delle forme più esteriori della civetteria, e nella sua nudità diventa
essere umano puro, sensuale pur non avendo sesso, bello e affascinante
mentre sembra compiere il rito di una abluzione sacra.
Questa destabilizzazione dei ruoli tradizionali di maschio e femmina si delinea
come una costante degli spettacoli di Pina Bausch: basti pensare ai mille
travestimenti di Jan Minarik, dal macho alla prostituta, oppure allo stesso
Antonio, presentato come uno splendido e sensuale maschio siciliano in altre
sequenze di Palermo Palermo.
Una seconda spia rivelatrice di altre sfaccettature del mondo sensuale di
Pina Bausch è costituita da un assolo del danzatore francese Francis.
Francis indossa anchʼegli un impermeabile bianco e una camicia pure bianca.
Si spoglia a torso nudo e di fronte al pubblico, in proscenio, immerge la camicia
in un secchio di acqua gelata. i muscoli del torace e delle braccia di Francis
guizzano mentre egli agisce con decisione.
Destando nello spettatore il solito stupore sconcertato o divertito tipico della
Bausch, Francis riindossa sulla pelle nuda la camicia fradicia. Un brivido
percorre la schiena di chi osserva. Francis, sorridente, si rimette lʼimpermeabile
ed esce di scena. In questa scena apparentemente assurda, il danzatore
francese esprime in qualche modo sensualità: il suo corpo forte e seminudo
prima esibito e poi rivestito in maniera così insolita emana forza e mascolinità:
201
lʼacqua gelata che impregna la camicia non scuote le sue spalle forti e
non irrigidisce il suo pur tenue sorriso. Tutto questo ha a che fare con lʼamore di Pina Bausch per le sensazioni
puramente e semplicemente fisiche da cui gli uomini spesso si proteggono
con i vestiti, con le parole, con i gesti di tutti i giorni. La sincerità del freddo e del caldo, della fame e della sete costituisce per
la Bausch una piattaforma su cui costruire sentimenti più complessi.
In questa stessa linea di pensiero si inserisce unʼaltra laboriosa azione di
Francis, sempre contenuta nel segmento-campione analizzato: il danzatore
del Wuppertaler, facendo colare della cera fusa sulla pelle del braccio, vi
fissa una serie di candele accese. Terminata lʼoperazione, imbraccia un
sassofono e incomincia a suonare; il color oro del sax sembra illuminarsi
per via dei riflessi delle candele. Lʼazione di Francis, ancora una volta, in un primo tempo strania lo
spettatore, lo sconcerta; subito però la sfida al dolore della cera fusa sul
braccio, la lentezza e la dignità con cui è compiuta lʼoperazione concorrono
a collocare Francis in una posizione di uomo bizzarro ma coraggioso.
Quando poi la commovente e sensuale musica del sax si diffonde nel teatro,
essa sembra emanata da unʼarmonica unità di diversi elementi: fuoco,
carne e metallo sprigionano luce, calore e musica. Si tratta di una sorta di
svolta estetica: quel dolore che appariva assurdo e inutile accompagna la
musica, la rende più bella, come se il sacrificio della carne, la forza di sentire,
202
potesse rendere più calda e più viva la musica stessa, e perché no, la vita.
Un altro episodio rivelatore di altre sfumature della visione della sensualità
di Pina Bausch riguarda Quincella, danzatrice di colore: si cosparge le
labbra di zucchero e comanda a un danzatore (Mark) di baciarla appunto
sulle labbra. Questa scena si ripete anche in altri luoghi del testo-spettacolo.
Eʼ interessante rivelare come il gesto consueto del bacio sia presentato in
una forma del tutto originale e come questa confermi molte delle considerazioni emerse finora.
Allʼidea di bacio presente nella mente dello spettatore viene accostato un
altro bacio, un bacio artificialmente dolce per via dello zucchero: lo
zucchero realmente dolce rende artificiale la dolcezza del bacio.
Il pubblico sorride, al solito tra il divertito e lo stupito: le labbra di Quincella saranno realmente dolci? “Ah, dolci labbra dei miei sogni”, dice la letteratura: Pina Bausch risponde
con delle labbra veramente dolci, la cui dolcezza addirittura si può gustare.
Quanti baci ipocriti riposano invece nellʼabitudine, su un gesto vecchio di
secoli. La sensualità della Bausch è dunque da ricercare al di là dei gesti costituiti,
o almeno nel recupero totale, tattile e mentale, di questi: la coreografa di
Solingen, sembra infatti chiedersi e chiederci se quando ci baciamo siamo
davvero dolci, se ricordiamo il sapore delle labbra dellʼoggetto dei nostri baci,
se... perché baciamo?
203
2.11 UN TEMA GUIDA PER LʼINTERO SPETTACOLO: TUTTO CIOʼ CHE SI
“MANGIA” IN PALERMO PALERMO
Abbiamo scelto come tema-guida di Palermo Palermo, non trascurando
elementi paratestuali e intertestuali, il cibo, le cose che si mangiano, la
commestibilità: nel corso delle quasi tre ore di spettacolo infatti gli elementi
“gastronomici” affollano la scena: si mangia in scena, si parla di cibo, lo si
cucina, lo si ruba, ci si imbratta con esso. Eʼ vero che Pina Bausch ha
sempre dimostrato una predisposizione per la creazione di immagini
“mangerecce”: è diventata quasi leggendaria la mela che Ann Endicott
addentava con sguardo ammiccante al pubblico in tutta una serie di spettacoli
degli anni ottanta, in contesti scenici totalmente diversi tra loro. Perché “mangiare” è tanto importante per Pina Bausch? Secondo la coreografa tedesca la risposta si può articolare su diversi piani: “mangiare”
è una cosa di tutti, è della vita e nella vita, fa parte di quelle pulsioni semplici che
lʼuomo spesso complica immensamente; talvolta si mangia anche per reagire a tutta
una quantità di sentimenti inespressi, magari dʼamore, che troppo spesso gli individui
non riescono a esprimere; e inoltre gli atteggiamenti nei confronti del cibo possono essere
rivelatori di altre pulsioni che innervano lʼagire sociale, quali il possesso e la cupidigia.
Prima di cominciare a seguire il percorso del nostro tema-guida attraverso i
diversi piani di senso, vorremmo però segnalare tutti insieme gli aspetti
“gastronomici” presenti nello spettacolo, raggruppandoli in una piccola mappa
204
complessiva.
Dovʼè il cibo in Palermo Palermo?
Seq. 1: July riceve dei pomodori maturi in pieno viso e sul vestito: ne è imbrattatta. Seq. 3: Scena di sete: i danzatori si passano tra loro dellʼacqua con le mani a coppa, cercando affannosamente di bere.
Seq. 5: Il cane entra in scena e si avvicina al proprio pasto preparatogli in mezzo al palcoscenico: comincia tranquillamente a mangiare.
Seq. 7: Quincella si sparge dello zucchero sulle labbra e poi si fa baciare da Mark: scena ripetuta diverse volte nel corso della performance.
Seq. 8: Mariko beve un caffè con tutta calma.
Seq. 11: Beatrice deposita una pizza in mezzo alla scena.
Seq. 12: Nazareth Panadero si presenta con degli spaghetti in mano e ne afferma in un lungo monologo la proprietà Seq. 14: Jean preso a calci da Beatrice tira fuori uno alla volta, come un ladruncolo smascherato, delle confezioni di carne di supermercato
e dei salami nascosti nei pantaloni, nella camicia, nella calze.
Seq. 18: Janusz racconta una serie di aneddoti, uno dei quali ricorda il Natale di quandʼera bambino e la frutta che gli veniva regalata
allora: estrae da una scatola ogni frutto che nomina.
Seq. 21: Barbara utilizza delle mele verdi come finte mammelle
205
Seq. 22: Tutta la compagnia scaglia un gran numero di arance verso il fondo del palcoscenico, inscenando una rivolta popolare.
Seq. 24: Francis e Antonio si bagnano i capelli con del succo di limone
che hanno tagliato e spremuto in scena.
Seq. 29: Sempre Francis e Antonio tagliano a metà una mela rossissima e
la addentano sorridenti. Seq. 29: Diminique silenzioso si spezza degli spaghetti uno a uno contro il
petto nudo. Seq 13 e 30: Jan in due punti diversi dello spettacolo cuoce delle uova e della pancetta su un ferro da stiro.
Seq. 38: In una delle scene finali tutta la compagnia avanza con una mela
in equilibrio sulla testa. Seq. 44: in tutto il monologo finale di Janusz, che racconta di un volpone che vuole mangiarsi delle oche, lo sfondo gastronomico è più che
evidente.
206
2.12 SVILUPPO DEL TEMA-GUIDA ATTRAVERSO IL PIANO
INTIMISTICO-BIOGRAFICO
Studiare un aspetto di uno spettacolo di Pina Bausch dal punto di vista
intimistico-biografico può diventare doppiamente interessante: le dinamiche
intratestuali a livello di psicologia dei personaggi si fondono fortissimamente
con il vissuto suo e della compagnia. Infatti la Bausch non mette in scena
dei personaggi: sono i danzatori in carne e ossa che calcano il palcoscenico
raccontando di se stessi e della loro vita, della loro infanzia come della
loro esperienza quotidiana nel Wuppertaler Tanztheater.
Pina Bausch, in questo e negli altri suoi spettacoli, ci racconta come lei e i
suoi danzatori vedono e vivono la vita e di come nella realtà di ognuno
confluiscano mito, storia e biografia. Si tratta di spogliarsi, di tirare fuori
tutto in scena, di non nascondere niente: perciò nellʼanalisi di questo primo
piano di senso prenderemo in considerazione certi aspetti del vissuto
intimo-biografico di Pina Bausch e della compagnia che non sono direttamente ed esplicitamente messi in scena ma che impregnano di se e
mitivano il concreto agire scenico, rendendolo più trasparente. Nellʼimmaginario di Pina Bausch, cresciuta nel ristorante dei suoi genitori,
il mangiare non può non avere una parte importante: questo ristorante
rappresenta per la bambina Bausch una finestra sul mondo: si nasconde
sotto i tavoli e osserva rapita tutta questa gente sconosciuta mangiare, ne
ascolta i discorsi, ne osserva i vestiti (18). 207
Poi comincia a danzare: ha un fisico adatto alla danza, perché è molto
magra, ha linee armoniose e lunghe. Chi non ha danzato o non ha vissuto
a diretto contatto con ballerine non può forse immaginare fino in fondo il
rapporto di queste ultime con il cibo: si tratta di un amore-odio costante,
perché lo sforzo fisico continuo provoca una fame altrettanto continua, ma
alle ballerine mancano spesso il tempo e il denaro per procurarsi un sereno
rapporto con la nutrizione. A questi fattori si aggiunge la costante preoccupazione per le condizioni del proprio corpo, che oltre a essere “strumento
di espressione artistica”, è strumento di lavoro e sopravvivenza: un rigido
regime alimentare è perciò di solito previsto allo scopo di controllare il
proprio peso e di conservare la propria forma fisica. Come tutti i rigidi
regimi, anche se ritenuto necessario, è amato e odiato, rispettato e
puntualmente tradito in unʼaltalena di lassismi e di ferree risoluzioni.
Nonostante la magrezza congenita, Pina Bausch ha senzʼaltro dentro di
sé unʼesperienza quotidiana di questo genere, avendo vissuto tutta la vita
da ballerina tra le ballerine e da coreografa tra le ballerine. A questi aspetti
gastronomici biografici si lega la sua convinzione che il tenere costantemente vivi i sensi sia uno dei sensi della vita.
Per rendere questo basilare concetto abbiamo scelto alcuni esempi,
(18) Cfr. cap. 1.1 p. 5
208
coscienti del fatto che conoscendo il metodo e la produzione Bausch se ne
sarebbero potuti fare mille altri.
“Ha un poʼ a che fare come quando si va dʼinverno con dei vestiti sottilissimi
sulla neve e questo significa qualcosa”; (19)
Così afferma Pina, spiegando alcune scene del suo lungometraggio Der
klage der Kaiserin (20): scene di neve e di danza nella neve girate con abiti
estivi. Se fa freddo, è bello sentire il freddo. Se la neve è fredda, è bello
sentirla sulla propria pelle e riscaldarla, portarla dentro di sé. “Quando sei stanco capisci meglio cosa vuol dire essere semplici, naturali” (21)
La Bausch si serve di questa frase per spiegare come mai ha sempre lavorato
con ballerini e rarissimamente con attori; a lei non serve qualcuno abile nel
mostrare il proprio sentimento, o addirittura nel crearlo, le serve qualcuno che
lasci entrare la vita in sé e semplicemente la “riemani”; danzare, sentire il
proprio corpo, essere stanchi e compiuti: nella vita, nella conversazione, nei
contatti con gli altri non servono altre evoluzioni. Quando si è stanchi, però, è
più che legittimo avere fame: a Pina Bausch, piace che la compagnia, tutta o in parte
(19) Da una conversazione con Eva Schmidt, riportata su un programma di sala dattiloscritto e distribuito in occasione della prima proiezione italiana del Der klage der
Kaiserin, “Festival di Rovereto”, settembre 1990
(20) Cfr. cap. 1.2.5 p. 52 (21) Pina Bausch in BENTIVOGLIO L., Il teatro di... p. 15
209
parte, dopo le prove e gli spettacoli si riunisca al ristorante. Spesso, per non dire
sempre, si cena perciò a tarda ora, fattore comune a molti dei lavoranti
nello spettacolo in genere.
Per la Bausch e per molti dei suoi danzatori è bello mangiare la mattina a
colazione, e poi durante la giornata, “qualcosa qua e la” sentendo sempre
fame, per mangiare solo alla fine, in serata, dopo averne veramente sentita
la necessità, dopo avere avuto veramente fame, dopo averla resa quasi
dolorosamente cosciente.
Prenderemo adesso in esame alcune delle situazioni “gastronomiche” che
ci sembrano apparentemente più alla sfera individuale-biografica che a
quella storico-sociale o mitico-simbolica, anche se una netta separazione
ci è impossibile. Jean, preso a calci da una risoluta Beatrice, come un ladro colto sul fallo,
getta a terra uno dopo lʼaltro dei pacchetti che contengono cibo, per lo più
carne in confezione da supermercato. A ogni calcio Beatrice lo costringe a
rivelare un ulteriore nascondiglio (nei pantaloni, nella camicia, perfino un
salame nella calza!) e a restituire il maltolto. La scena non è meglio definita: è silenziosa, angosciante. Jean, cui spesso
Pina Bausch affida parti scomode, in cui gli viene fatta violenza apparentemente senza motivo, è rassegnato, incassa senza fiatare. Sono calci
veri, se ne sente il rumore sordo in platea, si avverte la cattiveria della
minuta Beatrice, che in Palermo Palermo incarna molti aspetti di una femminilità
210
siciliana, ferita e disperata, cui la disperazione procura una forza tipicamente maschile. Eʼ difficile collegare questa scena con la precedente e la
seguente, ma questa è una caratteristica costante della drammaturgia di
Pina Bausch; sicuramente però lʼansia irrisolta di quei calci cattivi a un
uomo che forse è un ladro, ma non ne ha assolutamente lʼaspetto, è un
dato di fatto. Unʼaltra forte presenza gastronomica cui Pina Bausch in
Palermo Palermo dedica uno spazio cospicuo è senzʼaltro il cecoslovacco
Jan Minarik: appare in mille vesti diverse, dallʼatleta al travestito, dal
padre di famiglia abbandonato al sorridente ma implacabile boss del paese.
In questa fase della nostra analisi, ci interessano soprattutto le due scene
in cui Jan frigge delle uova su un ferro da stiro e in un secondo tempo della
pancetta. Jan conduce con maestria la manovra di una cottura tanto
anomala: i suoi gesti rapidi e precisi, e il grembiule da cucina che avvolge
il suo “essere maschio” attirano e rapiscono lo sguardo del pubblico;
quando improvvisamente dispone le uova sul ferro da stiro caldo e queste
cominciano a friggere davvero, (la prova ne è il profumo fragrante che si
diffonde in platea), allora lʼattenzione si tramuta in sorpresa e divertimento
allo stesso tempo. Spesso in spettacoli precedenti Pina Bausch aveva
sottolineato lʼabilità culinaria di Jan; è interessante però notare come,
nonostante Jan sia spessissimo collocato in scena travestito da donna,
quando mette mano ai fornelli lo faccia sempre in chiave virile, maschile
(spesso utilizzando con maestria dei coltelli, come in questʼoccasione quando
211
affetta la pancetta prima di disporla sul ferro da stiro). Infatti a Pina
Bausch piace il suo ballerino maschio, cecoslovacco con il fisico da taglialegna, ma è affascinata soprattutto dalla possibilità di stravolgere questa
coerenza di elementi fisici e personalità di Jan; per questo lo traveste
continuamente, come se volesse suggerirci che ognuno di noi dentro è
uomo, donna e bambino al tempo stesso. Certo la Bausch lo dice a modo
suo: una donna in cucina è banale, un uomo acrobata della cucina
rappresenta sicuramente unʼimmagine di più grande effetto e, perché no,
di spettacolo, soprattutto se cucina sui ferri da stiro.
212
2.13 SVILUPPO DEL TEMA-GUIDA ATTRAVERSO IL PIANO STORICO-SOCIALE
Gli aspetti gastronomici sono caratteristici di tutta la produzione di Pina
Bausch. In Palermo Palermo però le cose che si mangiano quasi dominano
la scena: in questo spettacolo affiora con continuità la grande tradizione
siciliana, la quale ridonda di vini e oli, spaghetti e frutti di mare, marzapane e
cassate, pomodori e agrumi.
Seguiremo in questa fase passo passo la collocazione degli elementi gastronomici “siciliani” osservando nel dettaglio quanto la coreografa tedesca li
ritragga per se stessi e quanto invece se ne serva per veicolare altri messaggi.
I pomodori che in una delle prime scene vengono gettati in faccia a July, per
esempio: July sta gridando in inglese, esprime rabbia e disperazione e grida
degli ordini a due danzatori, che poi le gettano sul viso e sul vestito dei
pomodori molto maturi: sono pomodori, sì, tipici della cultura mediterranea,
ma non è normale gettarli sulla faccia della gente, così come non era normale
in un altro spettacolo di Pina Bausch, Nelken, che diversi danzatori strofinassero
il viso dentro un mucchio di cipolle affettate e si incamminassero piangenti
verso il pubblico. La Bausch si serve delle cipolle e dei pomodori per dire altro: usare oggetti
comuni in modo inusuale è senzʼaltro una sua forma di provocazione tipica.
July in quella fase è imbrattata di terra e di pomodori: cʼè coerenza in quella
donna isterica immersa in una realtà dolorosa in cui fierezza e disperazione,
213
cibo e macerie, terra e lacrime, si mescolano senza soluzione di continuità.
Antonio e Francis spremono nelle loro mani mezzo limone ciascuno e sorridendo verso il pubblico si bagnano i capelli con il succo ottenuto; infine si
pettinano i capelli rilucenti di limone.
Al pubblico seduto in platea sembra quasi di sentire il profumo di limone, tanto
da immaginarlo nei capelli, e a tutti o quasi viene voglia di fare lo stesso,
perché il limone è vero, è buono, fa bruciare gli occhi, vive, a differenza della
lacca e della brillantina.
Le arance sono addirittura protagoniste di una delle scene più forti dello
spettacolo: la parte finale del primo tempo. Tutta la compagnia è in scena e lancia arance a più non posso verso il fondo
del palco, con grida e strepiti; intanto una musica tipica siciliana martellante e
scatenata guida gli assoli dei ballerini che a turno si avvicenderanno in
proscenio, alternando le danze al lancio di agrumi: questa rivolta popolare
dipinta a tinte forti da Pina Bausch libera la sua energia nella forza e nella
rabbia della danza. Le arance non si spremono né si mangiano, servono ad affermare senza dire,
senza raccontare; diventano strumento di lotta perché fanno parte della vita
della gente, cha ama le arance e che sa quanta fatica costa ogni frutto.
Nessun calcolo può però impedire lo sfogo di questa rabbia: le arance si
disintegrano contro il fondale della scena, ricchezza che si distrugge, reazione
disperata a un destino che non sa aiutare la povera gente. 214
Oltre gli agrumi a ai pomodori, la Bausch dà uno spazio rilevante a quello
che è ritenuto lʼalimento simbolo dellʼitalianità: gli spaghetti. Palermo
Palermo è stato attaccato dalla critica italiana perché “cosparso” di
elementi folkloristici a sfondo quasi turistico, senza profondità introspettiva.
A mio modo di vedere, lʼesempio degli spaghetti chiarisce come la Bausch
si serva di denominatori comuni universali per delle affermazioni estremamente individuali: Nazareth Panadero, danzatrice spagnola fedelissima
della Bausch, recita in proscenio per un tempo abbastanza lungo, sola in
scena, con degli spaghetti in mano; continua a ripetere in maniera quasi
ossessiva che quegli spaghetti sono suoi, sono tutti suoi, che non li
presterà a nessuno. Il monologo sia in Germania che in Italia (22), ha
provocato lʼilarità del pubblico, soprattutto quando Nazareth mostra a uno
a uno gli spaghetti alla platea chiamandoli con il proprio cognome, perché
sono suoi e di nessun altro. Ma per avvicinarsi al piano comunicativo della
coreografa tedesca, non si può fare a meno di rilevare che quando Nazareth
chiama per nome gli spaghetti (Panadero! Panadero! Panadero!) una
percentuale minima del pubblico sa che lʼattrice con gli spaghetti in mano
si chiama Nazareth Panadero. Eʼ come se la Bausch privilegiasse ciò che
è vero a discapito delle “evidenze evidenziate”: quello che è vero ha un suo
(22) Ho visto lo spettacolo sia in Germani che in Italia
215
valore e si proietta comunque sul pubblico, al di là delle didascalie.
Il tema degli spaghetti di cui Nazareth afferma così perentoriamente la
proprietà con il suo comico accento italo-spagnoleggiante, è sviluppato
in unʼaltra immagine, certamente più implicita nella sua significazione:
Dominique Mercy, ballerino storico del Wuppertaler, si dispone a dorso
nudo di fronte al pubblico e si spezza degli spaghetti a uno a uno puntandoseli contro il petto; è silenzioso, impassibile e lento nei movimenti.
Non sono rare negli spettacoli di Pina Bausch le immagini che lasciano
senza parole, davanti alle quali non si riesce a dare un titolo alla propria
emozione. Eʼ chiaro che comunque “spaghetti” in questo caso non vuole
dire solo “spaghetti”: è evidente lʼapertura a un senso secondo che
sottende tutta la produzione della coreografa tedesca, che non sempre
affiora in termini immediatamente intelliggibili e che comunque, per affiorare,
necessita del libero contributo del destinatario del messaggio artistico.
216
2.14 SVILUPPO DEL TEMA-GUIDA ATTRAVERSO IL PIANO MITICO-SIMBOLICO
Abbiamo segnalato lʼinteresse di Pina Bausch per le mele: sì, ma quali mele?
Quelle rosse e tentatrici addentate da Francis e Antonio in proscenio, oppure
quelle verdi che Barbara mostra al pubblico come le sue finte “poppe” oppure
ancora le mele che tutti i danzatori hanno sulla testa a mo di corona in precario
equilibrio in un marcia corale sul finire dello spettacolo? Sono tutte mele,
eppure sono tanto diverse tra loro: la mela da mangiare di Francis e Antonio
è una mela bellissima e peccaminosa e i due bei giovani che lʼaddentano
esprimono sottile sensualità. Le finte poppe di Barbara rappresentano un
aspetto classico di Pina Bausch, lʼironia e anche la voglia di giocare con gli
oggetti e la natura, di trasformarli, di usarli in modo assolutamente insolito
oppure intrigante, al di là del “buon senso borghese”. Le ultime mele, quelle
della marcia corale, servono da denominatore comune ai danzatori, che
abbracciati in una catena avanzano lentissimi verso il pubblico. Questa
mela incombente sul capo è un altro dei segni proposti da Pina Bausch di
difficile lettura, o meglio dalla definizione difficile, ma dalla collocazione
coerente allʼinterno del testo-spettacolo, la cui logica comunicativa si sottrae
senzʼaltro alle definizioni dialettiche di ogni immagine. Volendo infatti cercare di dare voce agli aspetti mitico-religioso-filosofico della
Bausch, abbiamo sintetizzato un pensiero che non vuole essere in alcun
modo una interpretazione univoca, ma che sicuramente potrebbe aiutare a
217
far emergere a livello di coscienza un messaggio-Bausch che forse lavora
di norma a livelli diversi. Dallʼarte di Pina Bausch emerge costantemente
lʼansia di ricuperare il sentire dei sensi, il “primo sentire”, perché secondo
lei rappresenta la porta direttamente comunicante con il “secondo sentire”
il sentire lʼamore, con il quale spesso si sovrappone. In Palermo Palermo nella parte finale pomodori, spaghetti e arance
scompaiono per lasciare spazio ai mandorli in fiore: dal frutto al fiore, dal
maturo, commestibile, sensuale frutto, allʼesilità e ai profumi dʼamore del
fiore. Al di là del definire i termini del simbolismo (i mandorli in fiore
rappresentano davvero la primavera di Palermo dopo che la caduta del
muro iniziale ne aveva rappresentato lʼapertura al mondo?) Si può quasi
toccare lʼidea che dalla maturità e spesso nella marcescenza dei frutti che
addirittura deperiscono in una società che non sa più addentarli e gustarli,
emerge la realtà poetica del fiore, la bellezza che non si mangia.
Torna subito in mente però la poesia della rosa recitata dalla spagnoleggiante voce di Nazareth Panadero: “La ragazza e la rosa” (23) è un testo
in cui il fiore diventa carne, strumento concreto; a dimostrazione di come
sia multiforme lʼuniverso gestuale e simbolico di Pina Bausch.
Alla lettura da noi tentata si ricollega però la scena finale, in cui Janusz
(23) “La ragazza e la rosa” sequenza n° 26 a p. 186 e n° 10 a p. 178
218
racconta la parabola del volpone: il volpone esibisce una naturale e
tradizionale predisposizione culinaria a mangiarsi le oche, ma la sua furba
istintività è tenuta in scacco dalla disperata voglia di vivere delle oche.
Le oche pregano di continuare a vivere, desiderano vivere con tutte le loro
forze, e questo le mantiene in vita. Il volpone ha fame delle oche, ma le
oche hanno fame di vivere. Insomma, per la Bausch, leccarsi i baffi prima
di mangiare o le dita dopo averlo fatto, può essere necessario come una
preghiera, perché per pregare bisogna mangiare. O forse in certi casi
mangiare è come pregare. E nel caso delle oche (perché non nel nostro,
ci suggerisce la coreografa tedesca) bisogna pregare (credere, sognare,
lottare) per non farsi annullare.
219
2.15 PALERMO PALERMO: CONCLUSIONI
Palermo Palermo è uno spettacolo di Pina Bausch secondo noi molto particolare:
pur rispettando moltissimi dei canoni produttivi “classici” di Pina Bausch, ha
un sapore tutto suo, unʼidentità e una vita propria, cosa che capita a pochissime
delle sue produzioni degli anni ottanta. Nel nostro tirare le somme incominceremo a evidenziare in una prima fase
quelli che possiamo considerare gli elementi “classici” della poetica e della
strategia comunicativa di Pina Bausch in Palermo Palermo, per poi passare
in un secondo tempo a una valutazione dellʼoriginalità di questo lavoro nel
panorama della vasta produzione della coreografa di Solingen. La lunghezza dello spettacolo è di circa tre ore; la presenza del parlato e del
“movimento muto” è in equilibrio; di danza, né molta né poca; la colonna
sonora è costituita da un collage musicale molto vario, ritmato e accompagnato
da rumori ambientali e da pause di silenzio. Tutti questi elementi depongono
a favore della classicità formale di Palermo Palermo nel contesto produttivo
della Bausch degli anni ottanta. Lʼutilizzo di rumori, musica e silenzio in
unʼalternanza che si collega direttamente a quello che succede in scena
(entrate e uscite degli interpreti, agire scenico danzato, mimato e parlato)
denuncia chiaramente una delle caratteristiche peculiari di Pina Bausch: la ricerca
e la proposta di un ritmo. Il montaggio, lʼavvicendarsi dei quadri, gli stacchi musicali,
tutto è studiato alla perfezione, e funziona come un impeccabile meccanismo
220
di orologeria. La Bausch ha affermato più volte che il ritmo dei suoi spettacoli rispecchia la sua danza, la sua musica interiore e che mostrare i
suoi lavori al pubblico è come danzare con esso e portarlo con sé fin
dentro il ritmo della propria musica.
Anche lʼalternanza tra “coro” e “assolo” può essere considerata un aspetto
“classico” della Bausch: in Palermo Palermo come negli altri spettacoli
dellʼultimo decennio, i momenti “corali” si alternano ai monologhi come se
la regista-coreografa proponesse alla platea una serie di confessioni
individuali rompendone ritmicamente il flusso con delle situazioni per
lʼappunto “corali”, per suggerirci che le individualità presentate appartengono a tutti; appaiono “soltanto di ognuno” ma in realtà fanno parte di una
riflessione globale di questo gruppo che mette in scena sé stesso “microcosmo dellʼumanità” e testimonia il suo esistere complessivo attraverso il
coro. In questo senso consueta è anche la ricerca di un contatto diretto
con la platea, di cui sono la prova evidente quei mimi, monologhi e dialoghi recitati quasi sporgendosi dal proscenio, quegli sguardi in pasto al
pubblico, quelle voci sospese come in attesa di una risposta. Pina Bausch lascia le luci di sala accese sia allʼinizio che alla fine dello
spettacolo, come per sottolineare che tra la scena e la vita la differenza è
sottile, sfumata. In alcuni lavori precedenti i danzatori scendevano tra il pubblico, parlavano
con esso, addirittura lo abbracciavano; in Palermo Palermo questo non
221
avviene, ma si avverte comunque una grande ansia di avvicinarsi, quasi di
toccare la platea.
Il filo sottile ma continuo che lega Palermo Palermo alla produzione
precedente è rintracciabile anche nella costanza da parte di Pina Bausch
nel presentare alcuni suoi personaggi diventati ormai tipici: Jan travestito
da donna, July isterica e violenta, Kyomi e i suoi lunghissimi capelli, Jean
che viene picchiato, i danzatori in genere che suonano dal vivo strumenti
musicali in scena, costituiscono altrettanti denominatori comuni di molti
lavori del Wuppertaler Tanztheater. Pina Bausch non si nasconde, non
cerca la novità a tutti i costi; ci sono delle cose che le piacciono, che la
intrigano e la affascinano, e continua a collocarle nei suoi spettacoli,
anche so sono già state viste. In ogni “già visto” cʼè sempre qualcosa di
nuovo: il contesto, la musica, le luci, una frase, un gesto arricchiscono o
rinnovano qualcosa di scenicamente già vissuto. O più semplicemente alla
Basuch piace “ridire” qualcosa che continua a piacerle e che da qualche
tempo non diceva. Certamente Palermo Palermo non è orfano di unʼaltra delle
caratteristiche che più fortemente connotano il teatrodanza della Bausch:
lʼironia. Non mancano infatti effetti spettacolari, scene tra il grottesco e il
comico che strappano senza fatica la risata a un pubblico attento, tenuto sul
chi vive, sempre pronto a sciogliere “ritmicamente” nel riso una tensione
costante, unʼattenzione e unʼansia di capire che Pina Bausch tiene viva con mille
espedienti. Per dare delle indicazioni concrete citiamo la scena in cui Jan per bere un
222
bicchiere dʼacqua appoggiato su un tavolino solleva lʼintero tavolino,
oppure il suo friggere le uova sulla piastra di un ferro da stiro o ancora la
sua nuotata immaginaria con tanto di costume da bagno e cuffia, sdraiato
sul palcoscenico mentre Beatrice versa una bottiglia dʼacqua sul suo corpo
massiccio impegnato nel gesto atletico natatorio; o ancora i suoi assurdi
travestimenti. Quincella invece “insegue” il profumo spray: prima ne
spruzza una nuvoletta nellʼaria e subito dopo cerca di raggiungerla con la
propria ascella (!) Accanto allʼironia, sempre nellʼottica di un montaggio ritmico e di una forma
classica, si collocano una serie di elementi stranianti (23) che provocano
sconcerto nel pubblico che non sa come e dove posizionarli nella propria
mente e nel proprio cuore: rappresentano anchʼessi un ingrediente tipico
di Pina. In questo senso le immagini che ci sembrano significative sono
quelle di Barbara che occupa lungamente la scena compiendo azioni
diverse ma continuando a contare ad alta voce: conta, continua a contare.
O ancora Mariko nella scena della macchina fotografica e del vino scagliato
contro Dominique. Oppure Beatrice che prende a calci Jean apparentemente senza motivo; o Dominique che spezza degli spaghetti a uno a uno
contro il suo petto.
(23) Cfr. cap. 1.4.2, p. 91
223
Per tutti i motivi che abbiamo appena sviluppato Palermo Palermo è da
considerarsi unʼopera “nei ranghi” della produzione di Pina Bausch dellʼultimo
decennio; eppure, come già abbiamo affermato, pur nel rispetto di questi
canoni formali e contenutistici “classici” della Bausch ci sembra di ravvisare
una spiccata originalità emergente da questo spettacolo.
La Bausch ha affrontato una coproduzione siciliana perché evidentemente
affascinata dalla nostra isola: cʼè moltissima Sicilia in Palermo Palermo,
contrariamente a molti altri lavori della Bausch, senza luogo e senza tempo,
ambientati in universi neutri colorati da mille suggestioni diverse anarchicamente disposte sulla scena. La Sicilia si rivela un oggetto forte e penetra con decisione nella psicologia
della compagnia, che produce una serie di immagini e quadri sicilianissimi:
donne piccole e vestite di nero, disperate, affrante, isteriche o rassegnate;
la rivolta delle arance con il lancio di arance vere; la scelta di musiche
popolari tipiche, una addirittura cantata dal vivo; e ancora immagini del
maschio latino, affascinante e sensuale. Accanto a elementi di una Sicilia
storica e folklorica, popolare e poetica, la Bausch colloca la Palermo di
oggi, una città piena di contraddizioni, in bilico tra presente e passato, in
cui il progresso sembra portare allʼautodistruzione; anche questa Palermo
è raccontata con immagini chiare e forti: la compagnia che avanza lentamente dal fondo della scena seminando ovunque della spazzatura con
gesti ampi e lenti; oppure la pistola spianata di July, il cui viso è coperto
224
da una calza, che incombe silenziosamente e minacciosamente sui fatti
scenici dellʼultima parte dello spettacolo.
Come prima considerazione credo sia importante sottolineare che in
Palermo Palermo la Bausch e i suoi danzatori raccontano davvero la
Sicilia, sicuramente molto di più di quanto non abbiano fatto con Roma
nellʼunica altra precedente coproduzione con una città straniera, lo spettacolo
Viktor. Esiste una condizione di permeabilità dellʼensemble di Wuppertal nei
confronti di una città e di una cultura specifici (sicuramente rara nel panorama della produzione Basuch) che si concretizza in una tendenza al
racconto e che potrebbe in qualche modo suggerire un possibile sviluppo di
questo aspetto nei prossimi lavori della coreografa tedesca. Unʼaltra considerazione che emerge nitida in Palermo Palermo è la
crescente ansia di natura della Bausch. Questʼultima ha sempre cercato
di portare la natura dentro il teatro (il fondo di terra de Le sacre du printemps,
il tappeto erboso di 1980, la foresta di garofani di Nelken, il palcoscenico
coperto di acqua di Arien, (24) ma in questo lavoro questa tendenza generale assume uno spessore più grande del solito; la natura non è collocata
sullo sfondo ma partecipa allo svolgersi del racconto: il coro di grilli che
accompagna buona parte dello spettacolo, la pioggia di terra in momenti
precisi, il cielo di nuvole che si muovono “apocalitticamente” e infine lʼincredibile
(24) Cfr. cap. 1.2 p. 12
225
calata dei mandorli in fiore (degli alberi veri e per giunta in fiore!).
Non credo che il risalto in cui sono messi alcuni elementi “naturali” sia
dovuto a una casualità: credo invece che corrisponda a un autentico stato
dʼanimo della Bausch. In questʼultimo periodo infatti, contemporaneamente
allʼallestimento di Palermo Palermo, lʼartista Bausch è “uscita” per la prima
volta dal teatro, girando il suo primo film, Die klage der Kaiserin, il film è
ricchissimo di inquadrature e di intere scene girate allʼaperto, soprattutto in
campagna, nel sole, nella neve, nella pioggia; (25) vi si avverte chiaramente
il desiderio di spazio, lʼansia di libertà nella natura che per certi aspetti
ritroviamo in Palermo Palermo, mediata dallʼincontro-scontro con la
ricchezza umana e iconografica della città siciliana. La terza e ultima considerazione concernente i fattori che danno a questʼultima
creazione di Pina Bauschun sapore tutto particolare riguarda una sottile
categoria di sensazioni e impressioni che Palermo Palermo suscita: lʼelegia,
i sentimenti dʼamore e di nostalgia: essi sono presenti in tutti gli spettacoli
del Wuppertaler, ma a noi sembra che in questo lavoro il sentimento elegiaco
assuma una dimensione insolita per la Bausch.
Le poesie del marito che abbandona la moglie, della ragazza che attende che
(25) cfr. cap. 1.2.5 p. 52
226
che qualcuno colga la sua rosa, lo struggente “standard” jazz suonato dal
vivo, i mandorli con i loro fiori gentili, la favola finale delle oche che pregando si salvano dal volpone sono elementi che concorrono fortemente a
suscitare dolcezza, commozione, ricordo.
Questo sentimento elegiaco non si isola certo allʼintera proposta di Pina
Bausch, che in Palermo Palerno affronta un registro di sensazioni vastissimo
e le “mescola ritmicamente”; ma nel ripensare lo spettacolo e lʼaspetto che,
a mio avviso, lascia la traccia più profonda. Volendo in qualche modo tirare le somme, Palermo Palermo ci lascia intravedere
una Pina Bausch rapita da una città intrigante, terribile e affascinante al
tempo stesso, una donna che ha dentro tanta voglia di spazio e natura e
che scopre più del solito i suoi sentimenti buoni dʼamore, nostalgia e dolcezza.
Ma forse già la prossima produzione del Wuppertaler Tanztheater (una coproduzione con la città di Madrid analoga a quella di Palermo) sconvolgerà i nostri
tentativi di mettere ordine nel suo complesso e poliedrico bagaglio in continua
evoluzione.
227
Capitolo 3
IL TANZ THEATER DI PINA BASUCH: LINEE DI TENDENZA E POSSIBILI
EVOLUZIONI
3.1 IL TEATRO DI PINA BAUSCH CERCA LA NATURA
Per quanto concerne la ricerca e la presenza della natura nella poetica e
negli allestimenti della Bausch (elemento a nostro avviso potenziato nelle
ultime esperienze)) la prima traccia evidente di una simile tendenza che colpì
fortemente le platee dei primi anni settanta fu il fondo di terra scura de Le sacre du printemps (1): i protagonisti danzano e a tratti rotolano e lottano nella
terra, che aderisce ai loro muscoli nudi e sudati; lʼelemento-terra condiziona
moltissimo la resa espressiva di questo primo capolavoro di Pina Bausch.
Due anni dopo (nel 1977) è la scenografia di Blaubart (2) a confermare questa
tendenza a trasportare autentici elementi naturali sul palcoscenico: la scena
è interamente ricoperta di foglie secche, che il vento (artificiale) sposta in
continuazione e che danno alla pièce una potente impronta.
Sempre nel 1977 in Komm tanz mit mir (3) alcuni cumuli di rami secchi invadono
(1) cfr. 1.2.3 p. 22 (2) cfr. 1.2.3 p. 22 (3) cfr. 1.2.3 p. 22
228
buona parte della scena mentre nel dicembre dello stesso anno è la volta
delle montagne grigie di Renate Wandert aus (4) (forse icebergs).
Nel 1978 la Bausch comincia a “giocare con lʼacqua”, elemento naturale
che non smetterà di recitare un ruolo importante nei suoi spettacoli: in
mezzo al palcoscenico trova spazio una vera grande pozzanghera e sullo
sfondo spicca una goccia perfettamente funzionante.
Nellʼanno successivo, nello spettacolo Arien (5) lʼacqua diventa addirittura
lʼelemento dominante: Arien è uno spettacolo nellʼacqua; la scena ne è
interamente coperta (una decina di centimetri), e condiziona moltissimo i
danzatori, la cui gestualità rallenta e si modifica nel corso dello spettacolo
per via degli abiti sempre più inzuppati.
In 1980 (6) la scena diventa un vero e proprio prato allʼinglese, trasportato
miracolosamente nel teatro; e in Nelken (7) (che non a caso significa
“garofani”) la Bausch ricopre il palcoscenico di una foresta di, appunto,
garofani rosa.
In Gebirge (8) è la terra che ritorna a essere protagonista: la scena appare
come un campo appena arato. Inoltre per la prima volta prendono parte
(4) cfr. 1.2.3 p. 22 (5) cfr. 1.2.3 p. 22 (6) cfr. 1.2.4 p. 38 (7) cfr. 1.2.4 p. 38 (8) cfr. 1.2.4 p. 38 229
allo spettacolo degli alberi veri, accumulati in scena dai danzatori stessi.
Nel 1985 è la volta della complessa scenografia di Two cigarettes in the
dark (9): un acquario in cui nuotano autentici pesci, un giardino di piante
esotiche e una piscina occupano gli spazi laterali e il fondale del palcoscenico.
Del 1987 è invece Ahnen (10) con dei grandi cactus protagonisti della scenografia:
per tutto lo spettacolo i danzatori appariranno e scompariranno nellʼinsolita
foresta di cactus. A tutto ciò si aggiungono i mandorli di Palermo Palermo (11) (1990). Questo
lungo elenco di “luoghi naturali” presenti nel teatrodanza di Pina Bausch vuole
confermare la sua costante volontà di portare la vita nel teatro, di spalancare gli spazi
angusti, di aprirlo alla realtà, alla concretezza di cose vere e vive.
Senzʼaltro in alcune di queste scelte scenografiche è presente quella forte vena
di anticonformismo che spesso emerge nellʼarte e nel carattere di Pina Bausch:
coprire dʼacqua un palcoscenico è impossibile? Noi lo faremo! Far recitare un
cane non si può? Noi lo faremo! Portare nel teatro quello che normalmente ne
sta fuori concorre inoltre a destabilizzare lʼaspettativa degli spettatori, nellʼottica
di quegli effetti di straniamento fortemente presenti in tutta la produzione di Pina
Bausch (12).
(9) cfr. 1.2.4 p. 38 (10) cfr 1.2.4 p. 38 (11) cfr. cap. 2 p.158
(12) cfr cap 1.4.2 p. 91
230
Tornando allʼansia di natura e di spazio della coreografa di Solingen, la
prova lampante ne è il contenuto del suo primo film, Die Klage der Kaiserin,
(13) in cui i bellissimi e suggestivi esterni paesaggistici rappresentano
senzʼaltro il realizzarsi di un sogno a lungo covato.
(13) cfr. 1.2.5 p. 52
231
3.2 TRE TENDENZE DEGLI ANNI OTTANTA
3.2.1 Alcuni riallestimenti di vecchi lavori
Nel corso degli anni ottanta (soprattutto nella seconda metà) Pina Bausch ha
ripresentato al pubblico diversi suoi spettacoli allestiti diversi anni prima:
Macbeth, (14) Geibirge, (15) Nelken, Walzer, Die sieben Todsunden per citare i
più famosi.
Le ultime stagioni hanno consacrato il successo davvero mondiale del teatrodanza della Bausch: è perciò più che comprensibile che, adesso che la sua
arte abbraccia un grande pubblico, la Bausch voglia far conoscere le prime
performances del Wuppertaler Tanztheater, cui avevano assistito ristrette
platee di “addetti ai lavori”. Caratteristica comune di queste riprese di vecchi spettacoli è un avvicendamento di ruoli per via del variare della composizione della compagnia ormai
vicina al ventennio di attività; nonostante i nuovi interpreti e alcune modifiche
strutturali operate dalla Bausch sullo scheletro originale delle pièces, è importante rilevare come a distanza di anni il suo Tanz Theater non abbia perso la
forza espressiva originale e allo stesso tempo si dimostri ancora estremamente attuale nei contenuti.
(14) titolo originale: Er nimmit sie an der Hand und Fuhrt sie in das Sclhob die anderen folgen
(15) titolo originale: Auf dem Gebirge hat man ein Geschrei gehort
232
In questo recupero di “antiche” performances si potrebbe anche vedere
lʼansia della Bausch di bloccare, di fermare lʼeterno mistero della fugacità del
teatro, di tenere compresenti in sé e magari rivivere attraverso il loro
riallestimento gli spettacoli che hanno significato tanta parte della sua esistenza.
Anche questa tendenza sarebbe confermata dal suo film Die Klage der
Kaiserin: Pina Bausch si avvicina a un nuovo media che le consente di
“congelare” tante immagini già presenti nelle sue opere teatrali. (16)
3 . 2 . 2 Vo g l i a d i d a n z a r e
In questa prospettiva di riedizioni di vecchi spettacoli, ha destato una certa
sorpresa il riallestimento per la stagione 1991 di Ifigene auf Tauris (17),
risalente addirittura al 1974. Si tratta di una composizione precedente
Le sacre du printemps, in cui non si ritrova quasi nessuna traccia di quel
teatrodanza che ha reso famosa Pina Bausch verso la fine degli anni settanta.
Eʼ difficile dare un carattere tendenziale e non episodico a questo ritorno
comunque di un dato interessante. Non che in Palermo Palermo o nei precedenti lavori la danza fosse stata cancellata, ma da un certo periodo di tempo
(16) cfr. cap. 1.2.5 p. 52
(17) cfr. 1.2 p. 12
233
il problema di molti danzatori allʼinterno della compagnia era senzʼaltro la
voglia di danzare di più, di utilizzare un bagaglio tecnico ed emotivo legato
alla danza pura che stazionava inespresso nei muscoli, dinamite destinata
prima o poi a scoppiare. (18) Per questo il ritorno dellʼ Ifigenie auf Tauris ha destato un certo entusiasmo
nel Wuppertaler Tanztheater, reduce dallo stress di una produzione molto
impegnativa quale Palermo Palermo e da una concentrazione di repliche
e tournées qua e là per il mondo che non hanno mai consentito un
autentico recupero psicofisico.
In questo senso non credo comunque che questo episodio possa significare
unʼinversione di tendenza nei metodi produttivi di Pina Bausch, quanto
piuttosto rappresenti una soluzione adottata da questʼultima perché la sua
“famiglia” possa continuare a lavorare al meglio nellʼottica di una variazione
di stimoli che tenga viva lʼenergia di tutti.
(18) cfr. 1.3.4 p. 70
234
3.2.3 Altre coproduzioni in vista
Negli ultimi anni ottanta e in questa apertura dei novanta è possibile rilevare
come il Wuppertaler Tanztheater affronti con una frequenza crescente la
coproduzione di spettacoli con gli istituti teatrali di città straniere: i due già
realizzati con Roma (Viktor) e Palermo (Palermo Palermo) e quello che vedrà
presto la luce con Madrid. Cʼè chi sostiene che si tratti di convenienze pratiche
(un contributo sostanzioso alla produzione non è mai disprezzabile) ma questo
aspetto è per noi di secondo piano. Vorremmo invece capire se il produrre
spettacoli in questo modo ha una certa influenza sulle scelte poetiche e sugli
esiti artistici di Pina Bausch.
Eʼ necessario premettere che fino a oggi le città protagoniste della coproduzione
sono state sede del periodo di prove più intenso della compagnia: meno
nella produzione romana e più in quella palermitana la realtà etnica e sociale
alla quale è in parte intitolato lo spettacolo e nella quale questo stesso prende
forma, invade la scena.
Inserirei questa tendenza di apertura a mondi geografici e umani concreti
attraverso la formula della coproduzioni in una evoluzione degli intenti
espressivi di Pina Bausch: dopo la fase del racconto della vita della sua compagnia
attraverso i luoghi dellʼinconscio, del sogno e dellʼinfanzia, di una realtà concreta
di oggetti ma metageografica perdurante tuttora, la Bausch sembra voler
colorare la neutralità dei suoi luoghi raccontando (parallelamente ai suoi
235
contenuti tipici) lʼincontro della sua compagnia con una città, con una
cultura, con una realtà storica e umana determinata.
Per questo dopo il pregnante incontro tra la Sicilia e il Wuppertaler
Tanztheater, denso di sentimenti e responsabile di immagini indimenticabili
che riscuotono applausi su tutte le scene mondiali, sono molto curioso di
assistere allo spettacolo creato a Madrid, nel cuore di una Spagna ricchissima
di stimoli per una Bausch che ama profondamente tutto ciò che è latino, e
che è affascinata dalle immagini forti e dai grandi contrasti; Madrid con la
sua immensa tradizione storica e il suo presente di metropoli in grande
sviluppo nutrirà abbondantemente la fantasia della Bausch e dei suoi
danzatori.
236
3.3 IL WUPPERTALER TANZTHEATER INSEGUE LA NAIVETEʼ
Nel 1990 per la prima volta il Wuppertaler Tanztheater si è recato a in
Russia: sia la Bausch che i suoi danzatori sono rimasti estremamente
sorpresi dallʼeffetto magnetico che il proprio teatrodanza ha avuto sul
pubblico russo; della platee gremite hanno assistito alle diverse
performances, con il fiato sospeso dallʼinizio alla fine, e la gente si è più
volte commossa fino alle lacrime. La sincerità e lʼimmediatezza delle risposte di questo pubblico hanno
esaltato la compagnia di Pina Bausch, sempre alla ricerca di verità e
sincerità di cui avverte lʼodore da lontano. Dopo la tournée russa, nello
ottobre del 1990 il Wuppertaler Tanztheater ha fatto tappa a Milano, dove
ha dato una serie di repliche al Teatro Lirico riscuotendo ugualmente un
grandissimo successo.
Conversando con i danzatori (soprattutto con lʼamericana Julie Stanzak),
mi è stata confidata la loro grande diffidenza di quei giorni nei confronti di
un pubblico milanese informato e intelligente, troppo cosciente del fatto
che oggi Pina Bausch è, negli ambienti intellettuali, sulla cresta dellʼonda;
si dicevano infatti infastiditi del fatto di non dovere dimostrare niente per
meritarsi quegli applausi, applausi dovuti da una Milano cosmopolita al
simulacro della intelligente arte di Pina Bausch. In questo senso si può capire la felicità provata in Russia, dove la forza
237
delle immagini e dei sentimenti messi in scena agivano direttamente sulla
gente, senza che nessun consueto filtro culturale ne appannasse o
esaltasse artificialmente la commozione e il trasporto.
Pina Bausch e i suoi danzatori si sono detti affascinati dalla nuova Russia
che hanno conosciuto: fin dal primo sguardo si sono accorti che la gente
ha voglia di conoscere, di vivere, ma soprattutto di amare, piangere, ridere;
per questo lʼaltalena di poesia, realtà, amore, odio, ironia caratteristica
degli spettacoli della coreografa di Solingen ha fatto breccia nei loro cuori.
Così era stato a Palermo, dove il Wuppertaler Tanztheater aveva vissuto
in mezzo alla gente, le reazioni e gli atteggiamenti della quale (istintive e
sincere) avevano tanto intrigato e attratto Pina Bausch. E sempre in questo senso si può capire il suo sospiro di sollievo ora che
la critica sembra essersi stancata di crearle ascendenze artistiche e culturali:
di fronte ai paragoni con grandi personaggi del teatro e della danza del
passato e contemporanei, la Bausch ha sempre dimostrato di andare dritta
per la sua strada e di non amare i confronti, affermando semplicemente di
lavorare in profondità su se stessa e sui suoi danzatori. Lʼesperienza della tournée russa ci suggerisce lʼimmagine di una Pina
Bausch entusiasta della naiveté del proprio pubblico, la stessa naiveté
che ricerca con costanza da quasi ventʼanni insieme ai suoi danzatori,
distruggendo ogni sovrastruttura per mostrare un sentimento nudo. 238
3.4 IL FUTURO DI PINA BAUSCH E DEL TANZ THEATER
Pina Bausch si è affacciata agli anni novanta con una grande produzione
(Palermo Palermo) e il suo esordio cinematografico. Ma quale sarà
lʼevoluzione del Tanz Theater di cui la coreografa di Solingen è considerabile la portabandiera a livello mondiale? Alcuni studiosi del fenomeno lo ritengono in una fase epigonale, almeno
nella sua forma più pura (19). Se guardiamo ai protagonisti tedeschi contemporanei emerge una
tendenza abbastanza diffusa nelle ultime stagioni: la sempre più frequente
creazione di “assolo”. Dopo avere lavorato per anni alla guida di compagnie
numerose, alla ricerca di forme di creazione corali, ora Gerhard Bohner,
Susanne Linke e Reinhild Hoffmann (tutti e tre in misura e modi diversi)
intensificano la pratica dellʼ “assolo”: da una parte potrebbe significare
semplicemente il ricupero di certo espressionismo (20), dallʼaltra la ricerca
di una nuova intimità, di una espressione più individuale e profonda, legata
anche allʼesaurimento di un filone espressivo.
A tutto ciò Pina Bausch sembra estranea: il suo teatrodanza continua a
dirsi e a farsi evolvendosi si, ma senza abbandonare radicalmente nessuna
(19) cfr. cap. 1.5.1 p.122
(20) cfr. cap. 1.4.1 p. 85
239
delle vecchie strade, anzi rimasticandosi, riproponendosi, riattualizzandosi.
Lʼultima Bausch esplorante nuovi orizzonti artistici, per esempio lʼuniverso
cinematografico, è un artista sicura della sua compagnia e della realtà in cui
lavora; la sua evoluzione si potrebbe immaginare perciò nello sconfinamento
in altri media, in una ricerca di pubblici diversi, di culture incontaminate, al
di fuori della tradizionale idea di teatro occidentale.
Non riesco a immaginare Pina Bausch lavorare in “assolo” e disperdere per
il mondo il suo Wuppertaler Tanztheater: la simbiosi con la sua compagnia è
un sentimento certo, il Wuppertaler è una macchina in moto che non
sembra potersi né volersi arrestare.
240
3.5 ANCORA SUL METODO BAUSCH: I DANZATORI SONO INTERPRETI
O CREATORI?
Allʼinterno del Wuppertaler Tanztheater gli equilibri e i rapporti umani sono
definibili come molto complessi: la fortissima personalità di Pina Bausch
incombe sulla compagnia.
Durante i periodi di prove più intensi i danzatori si sottopongono allo scavo
interiore necessario per rispondere alle domande poste incessantemente
dalla coreografa per otto dieci ore al giorno.
La Bausch incentra spesso le sue domande sul ricupero delle sfere psicologiche e affettive più private: fare luce sugli aspetti più torbidi della
propria sessualità, riavvicinarsi alla propria infanzia, galleggiare nel
proprio inconscio e scavarci dentro impietosamente. Mettersi a nudo in
questo modo non solo non è semplice, ma implica dei processi psicologici
che non abbandonano certo il danzatore allʼuscita della sala-prove: la vita
della compagnia invade così il resto della vita, diventa “la vita”.
Al pesante lavoro interiore di ognuno si aggiunge la tensione della vita
collettiva, densa di rapporti interpersonali e dello speciale rapporto con
Pina Bausch.
Eʼ proprio la densità di rapporti umani allʼinterno di un autentico microcosmo
la caratteristica saliente dellʼensemble di Wuppertal (21): amore, odio, rispetto,
(21) cfr, Appendice
241
amicizia, competizione, simpatia, antipatia, tutto o quasi tutto è esternato,
e lʼatmosfera che si respira è pregna di sentimenti vissuti; si tratta di vivere
costantemente praticando una specie di rigida terapia di gruppo.
Tutto questo è complicato (o reso più pittoresco, o più interessante o più
faticoso a seconda dei punti di vista) dal fatto che ogni danzatore del
Wuppertaler, solo per il fatto di essere stato scelto da Pina Bausch, è un
uomo o una donna con caratteristiche speciali. Nessuno ha mai capito che
cosa esattamente cerchi la Bausch quando organizza delle audizioni per
scegliere nuovi elementi della compagnia (spesso non sceglie nessuno tra
centinaia di candidati): ha scelto ballerine magre, grasse, belle e brutte;
ballerini classici, jazz, acrobati, danzatori di carattere; tedeschi come
argentini, americani come italiani, bianchi, gialli, neri; tristi, allegri, introversi
o estroversi. Volendo cercare un denominatore comune in questi criteri di
selezione possiamo solo rilevare quando Pina Bausch sia attratta dai temperamenti forti e dalle sensibilità bizzarre. Il Wuppertaler Tanztheater risulta
così una “commedia umana” in cui vivono e lavorano a costante contatto
di gomito un gruppo di individui dalla “spiccata” personalità: un collage
tanto variopinto ed eterogeneo è un terreno adatto alla fioritura di una
autentica foresta di sentimenti. Questo insieme di condizioni, che Pina
Bausch ritiene interessantissimo e imprescindibile per la realizzazione del
suo teatrodanza, può, nel tempo, logorare: frequenti infatti sono i crolli
nervosi e le partenze improvvise da Wuppertal, delle fughe vere e proprie verso
242
il paese dʼorigine, verso la libertà, verso altre compagnie in cui ai danzatori si chiede soltanto di danzare, non di rovistare dolorosamente in sé stessi.
Abbiamo indicato due categorie di rapporti allʼinterno della compagnia:
oltre a quelli interpersonali tra i ballerini esiste il rapporto di ognuno di loro
con Pina Bausch: la coreografa ha un temperamento fortissimo e la
maschera del suo viso raramente lascia trasparire le sue emozioni: è lei
che decide i ruoli, che sceglie i danzatori, che pone le domande; dal rapporto
con lei dipendono quindi i destini individuali di tutti i membri della compagnia.
Nellʼaria rimbalzano senza posa frasi in cui la Bausch è protagonista: “Pina
dice...Pina pensa...piacere
a Pina...odiare
Pina...Pina
é unʼartista ...” la vita della compagnia ruota interamente intorno a lei (22).
Di fronte alla constatazione della potenza e del carisma della Bausch, si è
molto dibattuto a proposito della libertà creativa degli interpreti di questo tipo
di teatrodanza, che forniscono partendo dalla propria ispirazione il materiale
cui la coreografa dà forma nel secondo momento della fase creativa (23).
Pur esistendo lʼindubbio sforzo creativo dei danzatori, è la sola Bausch che
seleziona e ordina i risultati ottenuti; per questo non ci sembra il caso di parlare
(22) cfr. Appendice (23) cfr. cap. 1.3.5 p. 77
243
di creazione collettiva (peraltro mai sbandierata dalla Bausch), ma se mai di
una formula mista in cui i ballerini si esprimono e sono espressi al tempo
stesso. Questa condizione di creatività in un certo senso frustrata è spesso allʼorigine
di molte delle partenze da Wuppertal; ma non si può dimenticare che nella
compagnia ci sono danzatori che lavorano da ventʼanni con Pina Bausch e
che attribuiscono la loro maturazione umana e artistica alla vita nella sua
compagnia e al suo metodo creativo.
Eʼ interessante inoltre rilevare come alcune delle personalità di spicco del
Wuppertaler Tanztheater siano approdate con successo alla coreografa:
Dominique Mercy e Malou Airaudo, tra gli altri, hanno firmato lavori di una
certa importanza e originalità. Tanti anni di resistenza alle dure condizioni della
corte di Pina Bausch si sono rivelati una preziosa anticamera per una
espressione artistica più individuale e completa.
244
3.6 I MODI E GLI ESITI DEL “COSMOPOLITISMO” DELLA COREOGRAFA
DI SOLINGEN
La composizione del Wuppertaler Tanztheater (danzatori provenienti da
ogni parte del globo), la varietà delle lingue parlate nella vita quotidiana e
negli spettacoli, la varietà della musica e dei costumi che attingono a etnie
e culture lontane nel tempo secoli e nello spazio migliaia di chilometri
sono elementi che ci danno la misura di quello che definiremo il cosmopolitismo intrinseco alle performances della compagnia di Pina Bausch.
In una società multimediale in cui le distanze di luogo e di tempo assumono
unʼimportanza sempre più relativa, è intorno a questo “cosmopolitismo”
della coreografa di Solingen che risiede, almeno in parte, il segreto della
estrema attualità della sua proposta artistica. La Bausch propone mille
volti, mille immagini senza confini storico-geografici e trascina il suo
pubblico in un vorticoso video-clip: i suoi spettacoli viaggiano al ritmo della
vita moderna in cui, sembra suggerirci, è sempre più difficile essere se
stessi per via delle milioni di immagini da imitare, di vite da copiare che
inducono a vivere di riflesso, cancellando i sentimenti più “faticosi”, quali
la noia, lʼangoscia e anche la gioia; in cambio si ricevono riflessi di sentimenti perfetti ed estetici, come se vedere un corpo bello possa essere in
tutto e per tutto meglio che fare lʼamore con un corpo così e così. In questa
ottica di ricupero della fatica dei sentimenti, delle sensazioni e della tattilità
245
rispetto al culto dellʼimmagine, la Bausch usa contrapporre alle “sue mille
immagini che viaggiano al ritmo della vita moderna” tutta una serie di
immobilità e fedeltà: pur travestendoli, testimonia sempre gli stessi sentimenti, lʼansia e il desiderio dʼamore, la difficoltà di comunicare intimamente,
il sesso che fa paura e che fa sorridere, la satira dei ruoli sociali che ci
sono cuciti addosso. Ogni gesto compiuto in scena appartiene alla fantasia, alla voglia di
sognare, di parlare, di gridare dei suoi uomini-danzatori; sono sempre gli
uomini del Wuppertaler che spogliano e raccontano se stessi in trame e
contesti diversi. Eʼ questa sostanza comune ai collages di immagini di
Pina Bausch che fa si che uno spettacolo legato alla cultura siciliana
come Palermo Palermo abbia un grande successo perfino a Mosca, dove
non si sa molto della Sicilia: è la carica di sentimento e di verità che vince
le frontiere spazio-temporali. Per la Bausch fare del teatrodanza non significa infatti fare del folklore,
dellʼenciclopedismo, delle citazioni; a lei interessa mostrare la vita della
sua compagnia con le sue costanti e le sue variabili nel tempo; ama ritrarne
tanto gli innamoramenti e gli stupori per i luoghi e per la gente quanto la
fatica del vivere insieme. La realtà del mondo occidentale in cui il Wuppertaler Tanztheater vive e
lavora ridonda di verità documentate di certezze computerizzate; possiamo
sapere e vedere tutto in cifre precise e in immagini nitide, ma cʼè dellʼaltro.
246
Ed è questo altro che interessa a Pina Bausch e ai suoi danzatori: mostrare
le emozioni negli occhi degli uomini che cercano, raccontare incontri di
uomini che portano con se sentimenti e cultura diversi. Per questo non
esistono attori che interpretano personaggi nel suo teatrodanza: esistono
protagonisti personaggi di se stessi e delle proprie fantasie. Ogni spettacolo
è un pezzo della loro storia testimoniata sulla scena: Pina Bausch e la sua
compagnia viaggiano, amano, ricordano e raccontano.
La capacità di “penetrare” realtà diverse non per farne fotografie ma per
raccontare lʼeterna possibilità di un incontro che sprigioni scintille dʼamore,
di sofferenza, o di verità, unita al coraggio di guardarsi senza posa nello
stesso specchio sempre più nudi gettando la propria storia in pasto al
pubblico ogni sera, sono forse le caratteristiche che rendono universale la
ricezione del teatrodanaza “cosmopolita” di Pina Bausch.
247
ORGANICO DEL WUPPERTALER TANZTHEATER NELLA STAGIONE 1989/1990
Dominique Mercy
Silvia Kesselheim
Nazareth Panadero
Jan Minarik
Antonio Carallo
July Shanahan
Mechtild Grossmann
Mark Alan Wilson
Monika Sagon
Janusz Subicz
Benedicte Billiet
Lutz Forster
Mark Sieczarek
Julie Anne Stanzak
Dana Sapiro
Thomas Duchatelet
Urs Kaufman
Beatrice Libonati
Mariko Aoyama
Jacob Andersen
Helena Pikon
Malou Airaudo
Matthias Burkert
Anne Marie Benati
Francis Viet
Anne Martin
Quincella Swyningan
Ed Kortlandt
Finola Cronin
Jean-Laurent Sasportes
Bernd Marszan
Barbara Hampel
248
TEATROGRAFIA
1967 Fragment (1) M: Béla Bartok, Quartetto per archi n° 4 (terzo tempo); SC: Herman Markard; P: Flowkang-Tanzstudio, Essen
1969 Im Wind der Zelt M: Mirko Dohner, Preludes fur Cello solo; P: Folkwang-Tanzstudio
Essen
1970 Nachnull
M: Ivo Malek; C: Christian Pioer; P: Theater in der Leopold-strasses, Monaco, 8.1.70, insieme alla Folkwang-Tanzstudio
1971 Achtionen fur tanzer M: Gunter Becker; P: Wuppertaler Buhnen, 12.6.71, insieme al Folkwang-Tanzstudio
1972 Coreografia per il Baccanale del Tannhauser Wuppertaler Buhnen, 12.3.72, con il Folkwang-Tanzstudio Wiegen lied
M: ninna nanna Maikafer fliegt; P: Folkwang-Tanzstudio 12.12.72
1974 Fritz
M: Gustav Mahler, Wolfgang Hufschimdt; SC Hermann Markard; P: Wuppertaler Buchnen, 5.1.74 Iphiegenie auf Tauris M: Christoph Willibald Gluck; DM: Reinhard Petersen; SC: Pina B a u s c h , J u r g e n D r e i e r ; P : W u p p e r t a l e r B u h n e n , 2 1 . 4 . 7 4 Coreografia per la rivista Zwei Crawatten
da Georg Kaiser e Mischa Spolianski; Wuppertal 24.4.74, Wuppertaler Buhnen, 7.3.75 Ich Bring dich um die ecke... M: vecchi motivi di successo; DM: Lotar Kneper; SC: Karl Kneidl; P: Wuppertaler Buhnen, 8.12.74 (1) ABBREVIAZIONI: M= musica, P= produzione, SC= scenografia e costumi, AR=
assistenza alla regia, DM= direzione musicale, CM= collage musicale, L= libretto,
T= testo, C= costumi, S= scene, P= luogo e data della prima, R= riedizione
249
1975 Fliegenflittchen M: Jacques Offenbach; P: Wuppertaler Buhnen 7.3.75 (nel quadro del pro-
gramma speciale “Tanz und Jazz)
Orpheus und Euridyke M: Christoph Willibald Gluck; DM: Janos Kulka; AR: HansPop; Sc:Rolf Borzik; P: Wuppertaler Buhnen, 23.5.75 Fruhlingsopfer
(Wind von West, Der Zweite Fruhling, Le sacre du printemps) M: Igor Stravinskij, Cantata, opere da camera, Sacre; AR: Hans Pop; Sc: Rolf Borzik; P: Wuppertaler
Buhnen 15.6.76; R: 16.12.83
1976 Die Sieben Todsunden (Die sieben Todsunden del Kleinburger, Furchtet euch nicht) M: Kurt Weill; T: Bertolt
Brecht; DM: Frank Meiswinkel; AR: Hans Pop; SC: Rolf Borzik; P: Wuppertal Buhnen;
15.6.76; R: 16.12.83
1977 Blaubart, Beim Anhoern einer Tondbaundaufnaihme von Béla Bartok Oper “Herzog
Blaubarts Burg”
M: Béla Bartok; AR: Rolf Borzik, Marion Cito, Ralf Milde, Hans Pop; SC: Rolf Borzik;
P: Wuppertaler Buhnen, 8.11.77; R: 29.3.81 Komm tanz mit mir M: vecchi canti popolari; AR: Rolf Borzik, Marion Cito, Ralf Milde, Hans Pop; SC: Rolf Borzik: P: Wuppertaler Buhnen, 26.5.77; R: 19.6.83 Renate wandert aus
M: collage di canzoni di successo, songs, motivi famosi; AR: Rolf Borzik, Marion Cito, Hans Pop; SC: Rolf Borzik; P: Wuppertaler Buhnen, 30.12.77; 11.11.84
1978 Er Nimmt sie an der Hand und Fuhrt sie in das Sclhob, die anderen folgen dal Macbeth di William Schakespeare; M: Peer Raben, SC: Rolf Borzik; P: Schauspielhaus
di Bochum; R: 22.4.78; Wuppertaler Buhnen, 30.12.77; R: 2. 4. 89 Cafè Muller
M: Henry Purcell; SC: Rolf Borzik; P: Wuppertaler Buhnen, 20. 5. 78 Kontakthof
M: collage; SC: Rolf Borzik; P: Wuppertaler Buhnen, 9. 12. 78 1979 Arien
M: collage; AR: Mario Cito, Hans Pop; SC: Rolf Borzik; P: Wuppertaler Buhnen, 12. 5. 79; R: 1983/84
250
Keuschheitslegende
M: collage; T: Ovidio, Rudolf G Binding, Frank Wedekind e altri; AR: Marion cito; SC: Rolf Borzik; P: Wuppertaler Buhnen, 13.12. 1979
1980 1980 - Ein Stuck von Pina Bausch M: collage; AR: Hans Pop, Klaus Morgenstern; S: Peter Pabst, da unʼidea di Rolf Borzik; C: Marion Cito P: Wuppertaler Buhnen, 18.5.1980
Bandoneon
M: tanghi latino-americani; AR: Matthias Burkert, Hans Pop; S: Gralf-Edzard Habben; C: Marion Cito; P: Wuppertaler Buhnen, 4.7.82
Nelken M: collage; AR: Matthias Burkert, Hans Pop; S: Peter Pabst; C: Marion Cito; P: Wuppertaler Buhnen, 30.12.82, riedizione per il Tanzfestival di Monaco, maggio 1983
1984 Auf dem Gebirge hat man ein Geschrei gehort M: collage; AR: Matthias Burkert, Hans Pop; S: Peter Pabst; C: Marion Cito;
P: Wuppertaler Buhnen, 13.3.84
1985 Two cigarettes in the dark
M: collage; AR: Matthias Burkert, Hans Pop; S: Peter Pabst; C: Marion Cito;
P: Wuppertaler Buhnen, 31. 3. 85
1986 Viktor
M: collage; AR: Matthias Burkert, Hans Pop; S: Peter Pabst; C: Marion Cito;
P: Wuppertaler Buhnen, 14.5.86
1987 Ahnen M: collage; AR: Matthias Burkert, Hans Pop; S: Peter Pabst; C: Marion Cito;
P: Wuppertaler Buhnen, 21.3.87
1990 Palermo Palermo M: collage; AR: Matthias Burkert, Hans Pop; S: Peter Pabst; C: Marion Cito;
P: Palermo, 20 gennaio 1990
251
VIDEOGRAFIA
Opere di Pina Bausch visionate a Wuppertal, nellʼarchivio video del Wuppertaler
Tanztheater;
Le sacre du printemps (Wuppertal, 3.12.1975)
Cafè Muller (Wuppertal, 20.5.1978)
Arien (Wuppertal, 12.5.1979)
Keuscheitslegende (Wuppertal, 13.12.1979)
1980 - Ein stuck von Pina Bausch (Wuppertal, 18.5.1980) Nelken (Wuppertal 30.12.1982)
Two cigarettes in the dark (Wuppertal 31.3.1985)
Ahnen (Wuppertal, 21.3.1987)
Il primo e per ora unico lungometraggio diretto da Pina Bausch da noi visionato alla
prima italiana, al festival di Rovereto, nel settembre del 1990: il film, dal titolo Die
Klage der Kaiserin (Il lamento dellʼimperatrice) era stato presentato nella primavera
del 1989 al Festival cinematografico di Berlino. Altre opere e documentari
Peter Schafer, Cafè Muller (Suhrkamp, 1985. 55ʼ)
Le sacre du printemps Susan Sontag, A primer for Pina saggio televisivo su Pina Bausch con due estratti di video di spettacoli
del Wuppertaler Tanztheater ripresi da Rolf Borzik. Produzione Channel 4
(GB), 1984. 36ʼ
Chantal Akerman, Un jour Pina a demandé documentazione sul lavoro di Pina Bausch a Wupeprtal, Venezia,
Avignone. Produzione Antenne 2 (FR), 1983. 54ʼ
252
Documentari riguardanti altri protagonisti del teatro e della danza tedeschi
Ulrich Tegeder
Kurt Jooss, Bohn-Inter Nationes 1985, 42ʼ
Ulrich Tegeder
Mary Wigmann: mein I aben est tanz, Bohn-Inter Nationes 1986, 29ʼ
Ulrich Tegeder
Gerard Bohner, Bohn-Inter Nationes 1984, 20ʼ
Ulrich Tegeder
Tanz Theater der Rehinild, Bohn-Inter Nationes 1984, 25ʼ
Ulrich Tegeder
Sylvia Plath: coreografie teatrali di Johan Kresnik, Bohn-Inter Nationes 27ʼ
R: Moritz-Reiner/B.Karin Von Maur, Gruppe au Gelaender: von Oskar Schlemmer, Bohn- Inter Nationes 1985, 10ʼ
George Moores, Zadek: protokoll e inzenierung, Bohn-Inter Nationes 1987, 59ʼ
253
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ARTICOLI DI QUOTIDIANI E RIVISTE
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AIROLDI E., La Bausch: “Cosa nostra? Soltanto unʼimpressione” Il Giornale, 4.10.1990
AIROLDI E., A Milano non fioriscono i mandorli di Pina, Il Giornale, 6.10.1990 AIROLDI E., Ballano le donne di Pina Bausch, ombre alla ricerca dellʼamore, Il Giornale 26.10.1990
BAFFONI E., Da Wuppertal il linguaggio europeo della nuova danza, Il Manifesto 28.10.1990
BAFFONI E., Gli altri seguono, Il Manifesto 25.5.1990
BAFFONI E., Wuppertal, scuola di rigore, Il Manifesto 16.2.1990
BENTIVOGLIO L., Non datemi etichette, il mio “movimento è solo gioia di vivere, La
Repubblica, 28.9.1982 BENTIVOGLIO L., Moderno è Tanztheater, Balletto oggi n° 17, gennaio 1984, p. 33
BENTIVOGLIO L., Pina Bausch, snza titolo “Balletto oggi” n° 20, luglio 1984 p. 32
BENTIVOGLIO L., Eʼ un naufragio collettivo la ricerca dellʼamore, La Repubblica 31.5.1985
BENTIVOGLIO L., Gli scavari dellʼincomunicabilità “Balletto oggi” n° 31, marzo 1986 p. 37
BENTIVOGLIO L., Pina Bausch e Roma. Un Amore fecondo? “Balletto oggi” n° 32 aprile 1986 p. 27 BENTIVOGLIO L., Spettacolo nero per una donna sola, La Repubblica 20.6.1986
BENTIVOGLIO L., Pina Bausch: antenati e presentimenti “Balletto oggi” n° 32
maggio 1986 p. 27
BENTIVOGLIO L., Un pezzo di Palermo nel cuore di Pina Bausch, La Repubblica 12. 6.1986
BENTIVOGLIO L., Palermo rosso sangue, La Repubblica 21.1.1990
BENTIVOGLIO L., Il ritorno alla danza per la nuova Bausch, la Repubblica 12.12.1990
BERTOZZI D., Il mondo e il corpo, Il Messaggero 6.5.1988
CANZIANI R., Questo è lʼelogio dellʼimperfezione, Il Piccolo 17.9.1990
CAPITTA G. Vucciriatanz, Il Manifesto, 21.1.1990
CAPITTA G., Viktor, viaggio a sud di Cernobyl, Il Manifesto 28.10.1986
CIRIO R., Caro tutù, non sei più tu, lʼEspresso 12.7.1981
CIRIO R. Roma a sud di Beyrut, lʼEspresso 23.3.1986 258
DE NUSSAC S., Un Entretien avec Pina Bausch, Jʼaime le clown tristes! Le Monde 23.6.1989
FRETARD D., La Danse lève le poing Le Monde 17.5.1990 GUATTERINI M., Tutte le sere dentro quel caffè (intervista) “LʼEuropeo”, 7.2.1981
GUATTERINI M., Eʼ arrivata Pina Bausch, la danzatrice che non danza, lʼUnità, 16.1.1982
GUATTERINI M., La Biennale di Lione dalla Wigman in quà: Francia-festivals n° 38
novembre 1986, “Balletto oggi” p. 31
GUATTERINI M., La Bausch sulla montagna, lʼUnità 6.5.1988
GUATTERINI M., A Pina sʼaddice il revival, lʼUnità 26.10.1989
GUATTERINI M., Pina Bausch: la leggenda della santa danzatrice, lʼUnità 10.1.1988
GUATTERINI M., Pina balla tra i mali di Palermo, lʼUnità 21.1.1990 KOEGLER H., La danza tedesca e le sue antitesi, “Balletto oggi” n°32 aprile 1986 p.32
KOEGLER H., Dalla parte del Tanztheater, “Balletto oggi” n°33-34 maggio-giugno 1986 p.40
KOEGLER H., Il miracolo di Stoccarda, “Balletto oggi” n°35 luglio 1986 p. 32
KOEGLER H., Gershwin: un americano ad Amburgo, “Balletto oggi” n° 37 ottobre 1986 p.43
KOEGLER H., Monaco, cuore e danza, “Balletto oggi” n°41, febbraio 1987 p.28
KOEGLER H., Prime tedesche con nomi italiani “Balletto oggi” n°42 marzo 1987 p. 31
KOEGLER H., Il Tanztheater minore tra estetismo e brutalità “Balletto oggi” n°44 maggio 1987 p. 30
MANZELLA G., Alice nella città spettacolo, Il Manifesto, 28.9.1990
MANZELLA G., Palermo “Metodo Bausch” Il Manifesto, 21.9.1990
MANZELLA G., Garofani inquieti, Il Manifesto, 28.9.1982 MORI A.M., Dipingo il dolore della gente nei piccoli gesti, La Repubblica, 15.9.1990
MICHEL M., Le retour de Pina Bausch, Le Monde, 16.4.1987
OTTOLENGHI V., Effetto Bausch, “Balletto Oggi”, n°69 pp. 12-14
PAPA A., Monitor Pina Bausch lettera per lettera, Reporter 1/12.5.1985 PASI M., Pina Bausch. Quando tanz è tanztheater, “Balletto”, Milano dicembre 1982
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PASI M., Pina Bausch porta il tango alla Scala, Corriere della Sera, Milano 23.6.1983
PASI M., Tra illusioni e macerie la Palermo della Bausch, Corriere della Sera, Milano 21.1.1990
PASI M., La Bausch sogna fiori in libertà, Corriere della Sera, 16.9.1990
PASI M., La Bausch tra 9000 garofani, Corriere della Sera 28.9.1990
PASI M., Il disordine in danza, Corriere della Sera, 28.10.1990 RIGOTTI D., Il Tango malinconico di Pina Bausch, Avvenire 7.6.1985
RIGOTTI D., Se lʼinquietudine è Pina Avvenire, 26.10.1988
RIGOTTI D., Pina Bausch contro la piovra, Avvenire, 21.1.1990
TESTA ALBERTO, Pina Bausch a Roma per Roma senza Roma, “Danza e Danza” dicembre 1986 p. 12
VOLLI U., Un fantasma dʼamore di muove su quel palcoscenico, La Repubblica, Roma 12.6.1981 TOMASINO R., Nella Palermo delle meravglie Sipario, XLV 1990 n° 497 - 498 pp. 6/10
UTIMPERGEZR D., Tra cuore è cervello, Il Messaggero 28.5.1985
260
APPENDICE
DIARIO DI UN SOGGIORNO DI STUDIO A WUPPERTAL
DOMENICA 22.4.90 Il treno aveva a lungo costeggiato il Reno per poi immergersi nella profondità
dei boschi della Westfalia e riemergere soltanto nella grigia realtà industriale
dei sobborghi di Wuppertal: era il pomeriggio di una domenica di fine aprile.
Allʼufficio informazioni della stazione chiedo semplicemente dove posso trovare Pina Bausch: mi indicano il Teatro Comunale, la Opernhaus.
Wuppertal è una città di circa quattrocentomila abitanti, situata nel cuore della
Ruhr, a non più di tre quarti dʼora da Colonia. Si sviluppa in unʼarea collinosa
ed è attraversata dal fiume Wupper. Per raggiungere la Opernhaus mi suggeriscono di prendere il tram aereo, unico al mondo: la linea attraversa tutta la
città seguendo il corso del Wupper. Si viaggia in piccoli treni sospesi a pochi
metri da terra. La Opernhaus è un edificio molto grande: alla struttura del teatro sono annessi molti spazi per le prove e il training dei tre ensembles che vi
hanno sede stabile: lʼorchestra e i cantanti lirici, la compagnia di danza
classica e la compagnia di Pina Bausch.
Il custode, un mastino che parlo solo tedesco, mi fa capire che lʼindomani
mattina alle dieci proprio lì, allʼOpernhaus avrei potuto trovare Pina Bausch.
261
LUNEDIʼ 23.4.90
Lʼindomani mattina alle ore dieci mi ripresento alla Opernhaus: il custode mi
mette alle costole di una ballerina che mi guida in un groviglio di corridoi fino
alla sala di danza. Mi siedo in un angolo. I ballerini arrivano alla spicciolata e
di riscaldano silenziosamente. Nessuno mi chiede nulla. Puntuale arriva la
maestra di ballo, una graziosa donna cinese: le chiedo se posso assistere alla lezione: mi sorride. Riconosco alcuni ballerini e ballerine tra i fedelissimi della Bausch, le pietre
miliari della compagnia: Beatrice Libonati, Dominique Mercy, Jan Minarik.
La lezione è di danza classica purissima, molto complessa tecnicamente;
noto un grande dislivello tra i danzatori: alcuni dimostrano una tecnica classica
cristallina, altri più approssimativa. Comunque il training classico è ritenuto
fondamentale dalla compagnia e tutti vi si applicano quotidianamente.
La lezione termina a mezzogiorno, i ballerini sudati scompaiono nei camerini.
Una giapponese esce prima delle altre: ha un viso gentile, si chiama Mariko e
lavora da diversi anni nel Wuppertaler. Le chiedo dove posso trovare la
Bausch; Mariko mi spiega che Pina non segue quasi mai il training mattutino
ma dirige le prove della tarda mattinata, del pomeriggio e a volte (quando sono
previste) quelle della sera. La gentile ballerina orientale mi accompagna dove
finalmente potrò vedere Pina Bausch: in un vecchio cinema in disuso (era un
cinema pornografico!) sede quotidiana delle prove dirette personalmente dalla Bausch.
262
Mariko mi spiega che la coreografa ama molto quel cinema abbandonato
perché ci trova unʼatmosfera adatta al lavoro di improvvisazione; in teatro è
tutto così formale e dispersivo. Entriamo nel cinema (si chiama Lichtburg):
tavoli, sedie e poltroncine sono accumulati lungo le pareti, Pina fuma nervosamente appoggiata a un tavolo dal quale domina lo spazio centrale nel
quale immagino abbiano luogo le performances; le vado incontro e mi presento, le spiego perché ho fatto tanti chilometri per arrivare da lei; dal suo viso non traspare nessun sentimento, mi scruta con attenzione. Poi, improvvisamente, mi dice che posso restare e mi posso accomodare sulle sedie che
ci sono alle sue spalle. Su quelle sedie hanno già preso posto altri auditori:
un giovane coreografo canadese e una ballerina israeliana. Osservo per circa unʼora e trenta la prova delle posizioni in scena del
riallestimento dello spettacolo Walzer (1982).
Vengo a sapere che in aprile e maggio la compagnia dà una serie di rappresentazioni a Wuppertal, di cui alcune sono riedizioni di vecchi spettacoli con
nuovi ballerini e altre sono repliche di lavori più recenti. Per il 1990, dopo
Palermo Palermo presentato in gennaio, la Bausch non ha previsto nessuna
nuova creazione. Dopo questa prova-posizioni in cui Pina dà solo alcune
indicazioni sommarie, lʼappuntamento è per le ore diciotto, sempre nel
vecchio cinema. Durante il pomeriggio il coreografo canadese Rafik e la ballerina israeliana
263
Tamara con cui faccio conoscenza mi mettono al corrente di molte situazioni
di vita quotidiana a Wuppertal e mi danno alcuni consigli per seguire al
meglio il lavoro della compagnia. Alle ore diciotto i ballerini ricompaiono puntuali uno dopo lʼaltro, si cambiano
appoggiando i vestiti sulle sedie, perché nel cinema non esiste uno spogliatoio.
Si provano le improvvisazioni di Walzer: in pratica le parti più forti dello
spettacolo interpretate dai solisti; grida, movimenti concitati, corse e tanto
monologo. La lingua utilizzata dagli attori-ballerini varia: per esempio Quincella
Swyningan, americana di colore, si scatena in un monologo interamente in
“slang” strettissimo. Colpisce lʼintensità della recitazione, i solisti non si
risparmiano certo in questa prova e si intuisce una certa competizione tra di
loro. Verso le venti, così come si era ricomposto, il microcosmo Bausch di disperde
nella “città grigia su cui calano le prime ombre della sera”.
Passo la serata con Rafik e Tamara: la città è punteggiata da una miriade di
caffè e di piccole birrerie, dove spesso si può mangiare per cifre modeste, ma
dove soprattutto si beve birra.
Sono gli immigrati che danno colore a Wuppertal: non ci sono molti italiani, al
contrario i turchi abitano interi quartieri; unʼaltra presenza molto forte è quella
greca; la vera alternativa alle birrerie è così rappresentata da una quantità di
locali dallʼ “etnia” assolutamente incerta; i loro menù prevedono un concentrato
di esotismo e di mediterraneità non meglio identificati: pizza, spaghetti,
specialità turche e greche, vengono proposte allo stesso modo in tutti questi locali, in
264
onore forse al dubbio gusto teutonico spesso incapace di distinguere a fondo
i diversi folklori gastronomici. Al di là della qualità dei cibi molto varia, in
questi locali si respira spesso unʼaria familiare, un certo calore; alcuni fungono
da autentici punti di ritrovo per le differenti comunità, vi si parla solo la lingua
dʼorigine e difficilmente sono frequentati da tedeschi. Rientro nella pensione dove mi sono installato: una giovane coppia la
gestisce familiarmente; sono gentili, fanno colazione con me la mattina.
MARTEDIʼ 24.4 Mi presento puntuale alla Opernhaus: i ballerini mi sorridono, comincio a
riconoscerne altri. Arriva il maestro di ballo: oggi è Lutz Forster, un grande
“ex” della compagnia, protagonista di tanti vecchi spettacoli di Pina Bausch.
Diversi maestri si alternano nel corso della settimana per dare ai danzatori
una varietà di stimoli nella quotidianità dellʼirrinunciabile training mattutino.
Lutz ha lasciato la compagnia e dopo alcuni anni di viaggi è ritornato in
Germania, ora insegna principalmente alla Wolkwangschule di Essen, diretta
sempre dalla Bausch. Il corpo insegnanti di Essen raccoglie diversi grandi danzatori della compagnia
di Wuppertal, come Malou Airaudo e come Dominique Mercy. Al contrario di
Lutz e Malou, che svolgono principalmente attività didattica, Dominique
continua a danzare. Lutz è simpatico con i ballerini: tiene una lezione con un riscaldamento “alla
265
sbarra” molto curato e lento e una parte “al centro” interessante ma non troppo
difficile. Subito dopo la lezione lʼappuntamento è al cinema: Pina dà le ultime istruzioni
ai danzatori perché in serata si andrà in scena con Walzer. Il clima non è per
niente teso, anche perché questa riedizione è già stata collaudata. Pina,
comunque, non sorride. Vengo a sapere che abitualmente il pomeriggio
antecedente lo spettacolo la compagnia è libera. Nel pomeriggio ho così il tempo di trovare la via della segreteria, nei piani alti
della Opernhaus: nel piccolo ufficio ci sono carte ammonticchiate ovunque, il
telefono continua a squillare, il tecnico luci lavora al computer e un assistente
universitaria prende appunti osservando alcuni video di repertorio del
Wuppertaler Tanztheater; il tutto avviene in spazi molto esigui. La videoteca è
abbastanza imponente e la segretaria, che mantiene un mirabile sangue
freddo in quella laboriosa agitazione, mi spiega che potrò visionare tutto quello
che mi serve. Quanto alla mia lettera spedita tempo addietro, riposa sotto un
mucchio di posta inevasa. Comincio a intravedere la gestione per certi aspetti artigianale della compagnia,
pressata da esigenze molteplici e da un interesse che cresce vertiginosamente
intorno al fenomeno Bausch: da tutto il monto arrivano messaggi e richieste.
Osservo il video di Arien (1) in compagnia di Rafik e Tamara. Ne visioniamo
un paio di versioni, in allestimenti diversi; scambiamo delle impressioni, prendo
appunti per fermare in qualche modo nella memoria il ricchissimo flusso di
266
immagini ed elementi. Lasciamo la segreteria per tempo, lo spettacolo è
previsto alla Opernhaus alle ore 19.30. I prezzi dʼingresso sono molto bassi,
a partire da sei/ottomila lire. Non è unʼeccezione, fa parte della politica culturale tedesca. La segretaria ci
ha riservato dei posti stupendi, al centro della platea e a distanza ideale. Walzer è uno spettacolo molto lungo; il pubblico è eterogeneo e applaude a
scena aperta. La tensione nella sala è buona.
Dopo lo spettacolo ci fermiamo nella “kantine” (così si chiama il bar interno ai
teatri) a scambiare due chiacchiere con i ballerini che appaiono dopo pochi
minuti per bere una birra e commentare lo spettacolo: Pina non si vede.
Conosco Jean Sasportes, uno dei vecchi della compagnia: avendo letto e
riletto i profili dei danzatori che Leonetta Bentivoglio ha tracciato in appendice
al suo libro sulla Bausch ho la possibilità di sorprenderlo perché conosco la
sua (peraltro affascinante) storia: marocchino di Casablanca, ha cominciato a
studiare danza molto tardi, a ventitré anni: non avendo soldi, in cambio delle
lezioni del suo primo maestro guidava il camion della sua compagnia. Poi,
dopo una lunghissima individuale e rocambolesca audizione, fu scelto da Pina.
Jean mi chiede come sta “Leoneta” (2) e poi mi parla del suo amore per il
(1) per un approfondimento del contenuto degli spettacoli citati cfr. Cap. 1.2 p. 12
(2) Jean Sasportes pronuncia “Leonetta” con un T sola alla francese
267
cavallo e per lʼaria aperta. Dopo il training del mattino Jean va a nuotare quasi
tutti i giorni, ama molto lʼacqua. Eʼ normalmente riservato e malinconico, ma
molto sereno. La Bausch gli ha dato molto spazio negli spettacoli degli
ultimi anni, e inoltre Jean possiede senzʼaltro il cane più famoso della
compagnia: Pina lo ha voluto in scena più volte.
LʼOpernhaus si svuota a poco a poco, e anche noi ci ritiriamo.
MERCOLEDIʼ 25.4
Eʼ già mercoledì mattina e la compagnia non si riposa: il training però è posticipato alle ore undici (di solito il giorno dopo lo spettacolo è sempre così).
Vengo informato del fatto che la lezione sarà tenuta da Jean Cebron, di cui
ho letto essere stato ballerino-coreografo importante nella storia della danza
moderna, nonché partner di Pina Bausch in “passi a due” memorabili creati
da Kurt Jooss. Jean ha quasi settantʼanni e occhi che ridono; propone una lezione veramente
originale, con posizioni quasi sempre a terra, che necessitano molta tecnica e
molta respirazione. Anchʼegli è insegnante a Essen, ma circa una volta alla
settimana è a Wuppertal per allenare la compagnia. Alcuni danzatori
dimostrano per lui una stima molto vicina allʼaffetto. Jean mostra personalmente
gli esercizi nonostante lʼetà. La sua tecnica mi affascina molto. Jean terrà
lezione anche il giorno seguente così prendo il coraggio a due mani, mi
presento, gli racconto brevemente di conoscerlo per via dei miei studi, e infine gli
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confesso che mi farebbe piacere partecipare alla sua lezione del giorno dopo.
Con un grande sorriso mi risponde che ne sarà lieto. Alle ore diciotto eccoci di nuovo al cinema dove la compagnia prova Palermo
Palermo: anche questa volta non assisto a unʼautentica prova, perché questo
spettacolo e stato replicato molte volte nel 1990 e quindi risulta particolarmente collaudato: Pina fa provare i movimenti di gruppo e le improvvisazioni
più sostenute: impressionano i monologhi intensissimi urlati nel vecchio
cinema, interpretati al massimo dagli attori danzatori solisti, senzʼalcun aiuto
di ambiente o di contorno: si avverte fisicamente il grande sforzo che Pina
Bausch domanda agli interpreti.
Da una prova del genere non mi è possibile estrapolare una visione generale
della pièce, ma lʼindomani lʼavrei vista in versione integrale a teatro. Ormai comincio a riconoscere tutti i ballerini, grazie anche a una piccola guida
in cui è raffigurato tutto il “personale” dellʼ Opernhaus: orchestra, cantanti,
danzatori, sono tutti fotografi e diligentemente elencati.
Dispongo perciò di una mappa completa ed estremamente attuale della
composizione della compagnia. Antonio Carallo è un danzatore italiano da
cinque anni con Pina; spesso parliamo, è lʼunico italiano del Wuppertaler e da
qualche tempo la Bausch lo considera molto e gli ha affidato dei ruoli
importanti negli ultimi spettacoli. Ammette di essere un pò stanco di Wuppertal,
e di voler lasciare la compagnia a fine stagione.
269
GIOVEDIʼ 26.4
Jean Cebron comincia puntuale la sua lezione. Io mi mescolo agli altri con un
leggero batticuore con lʼintento di unire la teoria alla pratica. Mi rendo conto
“fisicamente” dellʼintelligenza del training-Cebron, veramente benefico per la
muscolatura: Jean è sempre sorridente, ispira fiducia. Il training registra qualche
assenza, ma non bisogna dimenticare che la compagnia è sotto pressione da
quasi un anno e che tra un paio di mesi andrà in vacanza per un periodo di
sei-otto settimane. Questi ultimi due mesi prevedono diverse altre serate al
Wuppertal e una tournée di circa venti giorni in Francia.
Al pomeriggio i danzatori sono liberi: questa sera si va in scena nellʼaltro teatro
cittadino di Wuppertal, la Schauspielhaus, con Palermo Palermo. Insieme a
Rafik e Tamara ho lʼoccasione di vedere gli altri video di spettacoli di Pina
Bausch: oggi è la volta di “Two cigarettes in the dark” e “Viktor”. Il tempo corre,
Palermo Palermo comincia alle 19.30. Abbiamo ancora una mezzʼora da
spendere, la spendiamo nella kantine della Opernhaus; spesso stazioniamo
qui, perché la kantine costituisce senzʼaltro il cuore della Opernhaus. Eʼ molto
piccola ed è sempre affollata: si mangia e si beve con estrema varietà: dalle
torte ai wurstel, dalla minestra al vino, dal latte alle uova sode, dalla birra al
brodo, dai panini ai piatti di carne con contorno. Tutti discutono in lingue
diverse, cʼè chi scrive musica, chi legge lettere, chi discute ad alta voce.
Direttori dʼorchestra e manovalanza del teatro vi si mescolano tranquillamente.
Spesso la kantine ha propiziato incontri e situazioni stimolanti durante il mio
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soggiorno. Intanto fuori diluvia e io Rafik e Tamara non sappiamo come
raggiungere la Schauspielhaus. Un uomo sui quarantʼanni ascolta i nostri discorsi e si offre di ospitarci sulla sua automobile: in pochi istanti ci ritroviamo a
bordo di una Fiat Panda rossa fiammante che fende la pioggia a velocità
considerevole.
Lʼautista si rivela lʼimpresario della compagnia, e mi mette gentilmente al corrente
della possibile prossima tournée autunnale della Bausch in Italia. Afferma di
essere sempre felice di venire in Italia, ma si rammarica di non avere ancora
potuto riscuotere lʼingaggio di uno spettacolo andato in scena un paio di anni
fa in un importante teatro italiano. Questa breve conversazione rafforza così
le mie sensazioni riguardo la gestione “avventurosa” del Wuppertaler
Tanztheater, anche per quanto concerne le tournées e la vendita degli
spettacoli: lʼimpresario confessa di essere infatti ancora in alto mare per
una definizione precisa delle date e dei contratti della tournée italiana. Ed eccoci davanti alla Schauspielhaus: lʼarchitettura è coraggiosa, la costruzione imponente, con moltissime vetrate e dei piccoli giardini ricavati allʼinterno,
molte trasparenze e molto verde. Anche questa sera la segretaria ci ha riservato
degli ottimi posti a sedere. Il palcoscenico è allʼitaliana e il teatro è capiente
ma quasi esaurito. Lo spettacolo è molto apprezzato e gli applausi lo dimostrano.
Dopo Palermo Palermo alla kantine della Schauspielhaus molta gente cerca di
incontrare i ballerini: ci siamo anche noi. Mechtild Grossmann è intervistata da un giornalista: lʼaffascinante attrice è lʼunica
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non-danzatrice della compagnia (se non consideriamo le collaborazioni
parziali di altri attori) e lavora stabilmente con la Bausch dal 1979. Pina le ha
sempre affidato ruoli rilevanti. Mechtild è una donna sulla quarantina, tedesca
fino al midollo, bruna con espressivi occhi chiari; la sua caratteristica inconfondibile, peraltro sfruttata a fondo dalla Bausch, è la voce: profondissima,
quasi maschile. Ha un carattere forte, nella compagnia non è molto amata.
Risponde pacatamente alle domande del giornalista sorseggiando birra nella
confusione della kantine.
VENERDiʼ 27.4 Il training post-spettacolo è al solito posticipato alle undici. La maestra cinese mi permette di partecipare alla lezione: alla sbarra vicino a
me ci sono il “mitico” Dominique Mercy e la giapponese Mariko. La lezione è
tecnicamente molto difficile: alcuni danzatori si esaltano nella difficoltà e si
impegnano al massimo, trasudando una gran voglia di ballare. A volte sentono
il bisogno fisico di danzare tutto il repertorio che hanno studiato per anni e
che lʼevoluzione espressiva di Pina Bausch frustra spesso a vantaggio di altri
aspetti artistico-comunicativi.
Dopo la lezione ordino una “gulash-suppe” alla kantine; lʼavermi visto prendere
parte alla lezione e non soltanto prendere appunti mi rende più interessante
agli occhi di alcuni membri della compagnia: riesco a scambiare due chiacchiere
anche con il granitico e riservato Jan Minarik e con sua moglie Beatrice Libonati,
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i protagonisti di molti spettacoli di Pina, da sempre con lei, votati in tutto e per
tutto alla sua causa.
Si sono conosciuti a Wuppertal e ne è nata una storia dʼamore, (certamente
non lʼunica nel complesso microcosmo del Wuppertaler): da anni perciò tutta
la loro vita è qui a Wuppertal, dove Jan e Beatrice hanno avuto anche due
bambini. Beatrice incontrata per strada è una donna piccola e insignificante,
quasi trasparente, ma in palcoscenico diventa capace di incredibili trasformazioni.
Jan è il classico “duro”, in questi giorni ho sempre visto il suo fisico massiccio
avvolto in un cappotto di pelle. La Bausch lo ha mostrato in mille versioni
diverse: dal macho al travestito, dal cattivo allʼironico, dal grottesco al tristissimo.
Julie, una ballerina americana di cui dirò più avanti, mi ha procurato una
stanza a casa di Pia, una pittrice che a tempo perso fa da baby-sitter proprio
ai bambini di Jan e Beatrice: Pia mi ha raccontato molto di tutta la famiglia,
delle frequenti assenze di Jan e Beatrice e dellʼunione molto forte che lega
queste due “colonne portanti” della compagnia.
Lascio i coniugi Minarik alla kantine perché i video della Bausch mi aspettano: con Rafik e Tamara visioniamo gli allestimenti de Le sacre du printemps e
di Cafè Muller. In una delle lunghe conversazioni che intrattengo con lui, Rafik
mi evidenzia alcuni aspetti che non conoscevo riguardo la composizione della
compagnia: essere scelti da Pina è un sogno di molti danzatori sparsi per il
mondo. Lo scorso anno la Bausch ha tenuto unʼaudizione a New York per
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cercare nuovi elementi da inserire nel Wuppertaler. Si sono presentati più di
quattrocento danzatori, provenienti da tutto il mondo: nessuno è stato scelto.
Alcuni danzatori la seguono da anni nella speranza di essere scelti: “lei ti
guarda danzare - spiega Rafik - ti dice che le piaci ma che non sa; e allora ti
domanda di tornare sei mesi più tardi. Magari il danzatore in questione è
venuto dallʼAustralia...” Molte delle persone a contatto con Pina Bausch si
dichiarano snervate dalla sua indecisione (per esempio nellʼallestimento di
nuovi spettacoli). Tutti però sanno che alla fine Pina decide. Decide tutto.
Alle diciannove e trenta torna in scena sempre alla Schauspielhaus Palermo
Palermo. Il teatro è ancora abbastanza pieno, noto forse un leggero calo di
tensione rispetto a ieri sera. Dopo lo spettacolo mi ritrovo invitato a cena a
casa di Julie Stanzak. Una ballerina classica dellʼAlabama dalla avvenente
presenza che lavora nel Wuppertaler da alcune stagioni. Pina le ha affidato
spesse delle parti importanti, soprattutto quelle che erano di Malou Airaudo e
Meryl Tankard, con le quali lʼamericana ha in comune una presenza fisica non
comune. Julie danzava sulle punte al “Nederland Theater Ballet”, un grande
tradizionale ensemble di danza classica. Un giorno, allʼimprovviso, ha sentito
di dover cambiare e ha partecipato a unʼaudizione di Pina Bausch: in men
che non si dica si è ritrovata catapultata nella fredda e grigia Wuppertal, città
che Julie non ama per nulla, lei americana solare del profondo South. Anche
a tavola, durante questa cena con Julie era lʼunica persona presente del
Wuppertaler, Pina Bausch ha avuto una parte importante nei discorsi di tutti,
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quasi che la sua immagine incombesse sulla nostra tavolata proiettandovi
continuamente luci e ombre. “Pina dice, Pina pensa, Pina è buona, Pina è
cattiva...” Mi è sembrato di individuare durante tutto il mio soggiorno westfaliano
una “pasta fluida” Wuppertaler-teatrodanza-Bausch che ti si rovescia addosso
come melassa, rendendo i movimenti lenti e faticosi. Il Wuppertaler Tanztheater è
davvero un mondo a parte: sembra esserci un vetro tra la compagnia con il suo
groviglio di vite incatenate e la realtà della gente e della città.
SABATO 28.4
Il training post-spettacolo di sabato lo tiene Dominique Mercy. La sua lezione è
molto classica, ma con elementi di contemporanea e molto lavoro del busto
(spirali, contraction-release). Alle dodici nel vecchio cinema si provano le
posizioni di Macbeth (3): anche questo spettacolo è ben conosciuto dalla compagnia, ci si sbriga in poco tempo. Lʼappuntamento è per le diciotto. Con Rafik e
Tamara giriamo Wuppertal: la città si vivacizza nei quartieri dove la presenza turca e greca è molto forte; spostarsi con il tram-aereo è diventata ormai unʼabitudine.
Bevendo Metaxa, liquore nazionale greco, in un locale appunto greco, riflettiamo
ad alta voce su come le storie dʼamore sʼintreccino e si siano intrecciate allʼinterno
della compagnia, dando una sensazione di spessore umano alla vita di spettacolo.
Ma con Pina spettacolo e vita sono così vicini che si ha la sensazione di un magma
(3) Titolo originale: Er nimt sie am der Hand und furth sie in das Sclob die anderen folgen
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caldissimo in cui scena e realtà confluiscono, così come vi confluiscono
lʼamore per la danza, la voglia di tenerezza, il bisogno di verità e la fatica
della verità. Perché la scena di Pina Bausch è la vita di ognuno dei suoi
danzatori, quello che ognuno tira fuori di se stesso davanti e insieme agli
altri, vivendo la tirannia dolce e terribile di esprimersi e essere espressi.
Alle ore diciotto la compagnia si ritrova al cinema. Pina Bausch è apparentemente calma, ma è difficile dire che cosa esattamente succeda al di là dei
suoi lineamenti imperturbabili. Anche per quanto riguarda Macbeth, assisto a una anticipazione delle
improvvisazioni più importanti ma ancora una volta dalle prove non riesco a
desumere la struttura dello spettacolo.
Verso le otto i danzatori sono liberi e si riversano alla spicciolata in Wuppertal,
le cui birrerie e pizzerie trasudano la vivacità del sabato sera.
Dicevamo delle storie dʼamore allʼinterno della compagnia: Jan e Beatrice
rappresentano una coppia storica del Wuppertaler, ma non lʼunica, Janusz
Subisz e Nazareth Panadero, anchʼessi sempre in primo piano negli spettacoli
della Bausch, ballavano insieme in giro per il mondo: decisero di partecipare
a una affollatissima audizione della compagnia di Wuppertal: Pina, ovviamente non al corrente del rapporto esistente tra i due, scelse incredibilmente tra
gli uomini soltanto Janusz e tra le donne soltanto Nazareth. Da allora anche il
loro destino si è “trasferito” a Wuppertal. Unʼaltra storia dai tratti quasi favolistici fu quella tra i francesi Dominique Mercy
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e Malou Airaudo: la bella Malou ha lasciato la compagnia e attualmente insegna
a Essen, così come Dominique, che però continua a essere una pedina
insostituibile del Wuppertaler. I due si sono lasciati ormai da alcuni anni, ma
il loro feeling davvero speciale è rimasto nella memoria di tutti. Per tornare
allʼattualità, Marion Cito, lʼapprezzatissima costumista della compagnia, è ora
innamorata del giovane danzatore Marc Alan Wilson ed è ricambiata:
mentre la tedeschissima e biondissima Barbara Hampbel è legata a Urs
Kaufman, stravagante e simpatico. La colonna sonora di tutto questo vivere è interpretata da Mathias Burkert,
serafico pianista che con la sua musica accompagna sia le lezioni del mattino
che le prove, e che inoltre padroneggia con disinvoltura la delicata strumentazione
audio del palcoscenico e funge perciò da tecnico del suono. Dato il suo vivere
così “dentro” la compagnia, la Bausch ha pensato bene di inserirlo anche
fisicamente in alcuni spettacoli, in qualità di attore o di musicista in scena.
DOMENICA 29.4 Giorno di riposo (incredibile ma vero), in serata si va in scena con Macbeth.
Io, Rafik e Tamara vorremmo vedere altri video ma la segretaria ci informa
che Pina Bausch ha dato ordine di non mostrarcene più, perché non ama che
si prendano appunti scritti circa i suoi vecchi spettacoli. Rimaniamo sorpresi e
senza parole: avevamo lʼautorizzazione della segretaria, e la stessa Pina ci
aveva visto più volte lavorare ai video; perché non ce lʼaveva comunicato
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direttamente in quelle occasioni? I “piccoli misteri Bausch”. Per me poco male, perché questa sera stessa parto per rientrare in Italia:
peccato invece per Rafik e Tamara, che resteranno a Wuppertal ancora per
qualche tempo e a cui sarebbe sicuramente stato utile continuare a consultare
la videoteca. La mia giornata passa tra valigie e saluti: Julie Stanzak, il suo compagno
pittore, la gentile pittrice Pia, (a tempo perso baby-sitter di Jan e Beatrice)
che mi ha ospitato a casa sua; la giapponese Mariko e gli altri elementi della
compagnia da me conosciuti; e, soprattutto, Rafik e Tamara, con cui ho
condiviso buona parte delle mie giornate nella comune dolce-amara
condizione di “auditori”. In autunno il Wuppertaler Tanztheater sarà in Italia: arrivederci!
Mentre salgo sul treno guardo lʼorologio: le sette, a questʼora i ballerini si stanno
riscaldando dietro le quinte. Va in scena il Macbeth di Pina Bausch: tra poco
allʼOpernhaus si spegneranno le luci di sala e si aprirà il sipario.
(giugno 1991)
P.S. A qualcuno forse interesserà sapere che adesso Tamara, la ballerina
auditrice israeliana di Tel Aviv che avrebbe dovuto rimanere a Wuppertal per
soli quindici giorni, vive a Wuppertal innamorata del tecnico luci della compagnia:
il fascino misterioso del Wuppertaler Tanztheater ha colpito ancora!
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