5. Capacità di testare 6. Requisiti formali del testamento

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5. Capacità di testare 6. Requisiti formali del testamento
CAPITOLO IV – LE SUCCESSIONI PER CAUSA DI MORTE
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successori da parte dell’erede, tradizionale nel diritto italiano (Mosconi, Ballarino), secondo quanto invece suggerisce la Relazione al disegno di legge.
5. Capacità di testare
Pur contenendo regole generali in materia di capacità, la legge di riforma
in relazione ad alcuni istituti o rapporti torna sulla questione della legge regolatrice della capacità per superare in maniera del tutto esplicita incertezze nate
in relazione alla disciplina previgente, e soprattutto per prevenire l’insorgere
di dubbi.
A fronte di una omessa previsione in tema di capacità di succedere – che
pertanto ricade nell’ambito di applicazione della legge richiamata dall’art. 46
−, quanto alla capacità di disporre dei propri beni per testamento, che
in taluni ordinamenti si acquista prima del raggiungimento della maggiore
età, l’art. 47 richiama la legge nazionale del disponente al momento
del testamento e precisa che in relazione alla modifica e alla revoca si dovrà
valutare la capacità secondo la legge dello Stato di cui il testatore era cittadino
al momento appunto della modifica o della deroga.
La scelta del legislatore di cristallizzare al momento della confezione del
testamento la legge nazionale del de cuius risponde verosimilmente all’esigenza
di evitare che questi, defunto dopo aver cambiato cittadinanza ma prima di
aver potuto verificare la sussistenza dei requisiti di capacità di testare secondo
la nuova legge nazionale, si trovi nell’impossibilità di sanare le eventuali conseguenze – in tal modo irreparabili – sulla validità delle proprie disposizioni
testamentarie.
Va infine evidenziato che, in mancanza di esplicite indicazioni circa la legge
in base alla quale valutare i vizi del consenso del testatore ed i loro effetti
sulla validità del testamento, sembra ragionevole condurre anche tali importanti questioni alla legge richiamata dall’art. 46 per regolare la successione.
6. Requisiti formali del testamento
Il legislatore di diritto internazionale privato ha seguito la ratio del nostro
diritto materiale, improntato ad un notevole grado di liberalità quanto
alla disciplina della forma del testamento, presumibilmente pensando
che l’autonomia dell’individuo nel decidere quale sorte debbano avere i suoi
beni dopo la sua morte, debba e possa sottostare a restrizioni di merito, previste dalla legge, pur tuttavia restando libera da “impacci” quanto alle modalità
di manifestazione.
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Nell’art. 48, evidentemente ed esplicitamente ispirato al favor validitatis, si
ha dunque il richiamo alternativo di ben sette leggi potenzialmente tutte distinte tra loro, mediante il concorso di quattro criteri di collegamento: il
luogo di formazione del testamento, la cittadinanza, il domicilio e la residenza
del testatore, questi ultimi tre riferiti a due momenti distinti, ossia a quello
della formazione del testamento ed a quello della morte del testatore, per superare eventuali diversità tra ordinamenti.
Attraverso tale disposizione, il nostro legislatore ha dettato una disciplina
sostanzialmente omogenea con quella in vigore per gli Stati contraenti della
Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 sui conflitti di leggi in materia di
forma delle disposizioni testamentarie, non ratificata dall’Italia. L’unica differenza sta nel mancato richiamo della legge del luogo di situazione degli
immobili, la cui omissione è giustificata in nome del principio di universalità
della successione che informa il diritto italiano: il ricorso alla lex rei sitae per gli
immobili potrebbe, infatti, comportare una scissione tra successione mobiliare
e successione immobiliare.
Questione particolarmente dibattuta in dottrina, riguarda la qualificazione del testamento congiuntivo, espressamente vietato dalla legge italiana (art. 589 c.c.) a garanzia
della libertà del testatore. Ed invero, se si ritiene che il carattere congiuntivo rientri tra gli
aspetti sostanziali del testamento, si deve applicare, ai sensi dell’art. 46, la legge nazionale
del de cuius al tempo della morte (Vitta, Ballarino). Se invece la congiuntività è considerata
come elemento formale del testamento si dovrebbe applicare, in via alternativa, una delle
leggi richiamate dall’art. 48 (Mosconi, Campiglio). L’opinione prevalente, suffragata dalla
Convenzione dell’Aja, è a favore di questa seconda soluzione.
Vale infine la pena ricordare che, come per tutte le altre disposizioni attinenti alla forma degli atti, non trova applicazione il meccanismo del rinvio
(art. 13, co. 2, lett. b).
In materia di successione testamentaria non può essere trascurato un richiamo all’adesione dell’Italia alla Convenzione di Washington del 26 ottobre
1973 sull’adozione di norme uniformi in materia testamentaria (c.d. testamento
internazionale), costituente un caso di diritto internazionale privato convenzionale.
Tale convenzione prevede che il rispetto dei requisiti formali dalla
stessa previsti assicura sotto il profilo formale la validità del testamento,
indipendentemente dal luogo in cui è stato fatto, dalla situazione dei beni,
dalla nazionalità, residenza o domicilio del testatore. In particolare, si è
parlato di introduzione convenzionale ed internazionale di norme di applicazione necessaria, in quanto più che individuare un unico criterio di
collegamento riconosciuto da tutti gli Stati contraenti, la Convenzione
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ha predisposto direttamente una disciplina unitaria della forma
del testamento.
Nello specifico, i requisiti formali prescritti possono riassumersi (i) nella
forma scritta (non necessariamente autografa), (ii) nella sottoscrizione da parte
del testatore, (iii) nella dichiarazione del testatore alla presenza di due testimoni che l’atto contiene le sue ultime volontà, (iv) nella ricezione di tali atti da
parte di una persona abilitata secondo l’ordinamento di ciascuno degli Stati
contraenti (in Italia, da un notaio).
7. La successione dello Stato
Fra le innovazioni della legge n. 218/1995, va segnalato l’art. 49, che disciplina l’acquisto da parte dello Stato dei c.d. bona vacantia, ossia dei
beni di quanti muoiono senza lasciare eredi, così risolvendo una questione
molto dibattuta in passato. Il problema è quello della sorte dei beni situati in
Italia che rientrano nella successione vacante di uno straniero e, viceversa, dei
beni situati all’estero che rientrano nella successione vacante di un italiano: a
tal proposito il legislatore ha dunque previsto una norma che però risolve la
questione – almeno in apparenza − solo parzialmente.
L’art. 49 si occupa, infatti, soltanto dei beni vacanti situati in Italia, stabilendo che ove la legge che regola la successione non la devolva jure hereditatis allo Stato nazionale del de cuius – così come previsto dall’art. 586
c.c. – i beni ereditari situati in Italia sono devoluti allo Stato italiano.
Per i beni vacanti situati in altri Stati, invece, dall’art. 49 si desume che, se
la legge nazionale del de cuius considera lo Stato nazionale come l’ultimo dei
successibili, esso è tale anche per il giudice italiano.
In passato, in assenza di una specifica normativa, sorgeva il problema della
qualificazione giuridica da attribuire alle pretese dello Stato, e cioè
se lo Stato ereditasse in base ad un vero e proprio diritto successorio o piuttosto nell’esercizio di una potestà pubblicistica (come nei Paesi di common law).
Questa diversa qualificazione del rapporto creava insolite situazioni. Nell’ipotesi di un cittadino britannico che morendo avesse lasciato beni mobili in
Italia, in mancanza di successibili su tali beni non vantava pretese né lo Stato
britannico, in quanto i beni non si trovavano nel suo territorio, nè lo Stato
italiano, in quanto mancava nel nostro ordinamento qualsiasi indicazione al
riguardo (l’art. 586 c.c. può trovare applicazione solamente nell’ipotesi in cui
il de cuius sia italiano).
La disposizione in esame, così come confermato dalla dottrina, permette di
qualificare l’acquisto dei beni ereditari dello Stato non come acquisto a titolo
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derivativo di natura ereditaria, ma come acquisto a titolo originario in
forza di una potestà pubblicistica. In questo senso, come è stato osservato
in dottrina, l’art. 49 rappresenta l’estensione ai beni mobili del principio generale posto per gli immobili dall’art. 827 c.c.
Occorre peraltro tenere presente che, qualora la lex successionis di cui all’art.
46 sia determinata attraverso il meccanismo del rinvio (art. 13), vi potrebbero
essere conseguenze di rilievo in ordine all’individuazione dei successibili e
all’inclusione dello Stato fra di essi.
8. Trust e patti successori
È il caso di segnalare le difficoltà in cui s’incorre allorquando ci si trovi
di fronte ad un trust istituito sul patrimonio del de cuius, o a patti successori
inseriti in un testamento congiuntivo o in un altro atto, sia esso inter vivos o
mortis causa.
Quelli volontariamente istituiti sono l’unica categoria di trusts ammessa nel
nostro ordinamento, nonostante l’esperienza dei Paesi di common law ne rechi
anche altre categorie. Questo istituto, di origine anglosassone, ha acquisito un
diritto di cittadinanza grazie alla Convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul
loro Riconoscimento, adottata all’Aja il 1º luglio 1985, ratificata dall’Italia con la
legge 9 ottobre 1989, n. 364 ed entrata in vigore il 1º gennaio 1992.
In linea di massima il trust costituisce un rapporto in virtù del quale un
dato soggetto, denominato trustee, al quale sono attribuiti i diritti e i poteri di
un vero e proprio proprietario, gestisce un patrimonio trasmessogli da un altro
soggetto, denominato disponente (o settlor), per uno scopo prestabilito, purché
lecito e non contrario all’ordine pubblico, nell’interesse di uno o più beneficiari
o per un fine specifico.
Quanto al trust istituito mortis causa, basta ricordare che, in forza del
dettato convenzionale, l’attribuzione dei beni ricompresi nel trust all’asse ereditario va effettuata sulla base della legge indicata da chi ha costituito il trust o
della legge con cui il trust presenta il collegamento più stretto.
Si pensi al caso di un’istituzione di un trust testamentario ove siano attribuiti al trustee
alcuni beni – che compongono l’asse ereditario – situati in Italia. L’interprete sarà tenuto
a contemperare la lex successionis (art. 46) con il disposto della legge regolatrice del trust e
della lex rei sitae (art. 51) che regola i diritti reali (Trib. Brescia, 25 novembre 1999) (Migliazza).
Qualche osservazione meritano infine i problemi che si presentano allorquando la lex successionis ammetta istituti vietati in Italia. È il caso, ad esempio,
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dei patti successori, vietati dall’ordinamento italiano (art. 458 c.c.), ma tuttavia ammessi da un numero sempre crescente di ordinamenti stranieri, nonché dalla Convenzione dell’Aja del 1 agosto 1989 sulla legge applicabile alle
successioni (di cui l’Italia non è parte contraente).
Verosimilmente proprio in virtù dell’esplicito divieto posto dal nostro ordinamento, la legge di riforma del diritto internazionale privato non contiene alcuna disposizione diretta espressamente alla disciplina dei
patti in esame, ovvero degli atti con i quali taluno s’impegna a disporre della
propria successione (patti successori istitutivi), o dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta (patti successori dispositivi)
o, infine, rinuncia a diritti che gli possono spettare su una successione non
ancora aperta (patti successori rinunziativi).
Tanto premesso, ci si domanda quale sia allora il criterio di collegamento
applicabile ai patti successori, in presenza di due riferimenti che appaiono
logicamente ipotizzabili.
Ed invero, se da un lato il contesto mortis causa dell’atto induce a privilegiare il riferimento alla regola di cui all’art. 46 l. 218/1995 (ovvero alla legge
nazionale del de cuius al momento della morte), ex adverso, accordando maggiore attenzione al profilo negoziale, si farà riferimento agli articolati criteri di
collegamento fissati dall’art. 57 della stessa legge per le obbligazioni contrattuali in genere (infra, cap.VII).
L’orientamento della giurisprudenza è nel senso di ritenere che i patti successori siano regolati dalla legge applicabile ai sensi dell’art. 46 (e non secondo
i criteri dell’art. 57 per le obbligazioni contrattuali), e che essi siano ammissibili qualora nel caso concreto non contrastino con l’ordine pubblico
(Cass. Civ., 5 aprile 1984, n. 2215).
La prima soluzione sembrerebbe in ogni caso preferibile, in quanto senza
dubbio più coerente con la collocazione sistematica che i patti successori ricevono nel nostro ordinamento.
Va da sé che qualora la norma di conflitto, comunque individuata, richiami
come applicabile il diritto italiano, il patto successorio dovrà essere considerato nullo, tale essendo il trattamento ad esso riservato nel sistema giuridico
nazionale.
9. Disciplina comunitaria e certificato successorio europeo
Nell’ottica di garantire la libera circolazione delle persone, l’organizzazione
anticipata da parte dei cittadini europei della loro successione in un contesto
europeo, e la protezione dei diritti degli eredi e dei legatari, e delle persone
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vicine al defunto nonché dei creditori della successione, il legislatore dell’Unione europea è intervenuto sul diritto internazionale privato con il Regolamento n. 650/2012 del 4 luglio 2012.
La scelta di apporre numerose ed importanti modifiche alla materia successoria a livello di regolamentazione europea è evidentemente conseguenza del
fatto che i summenzionati obiettivi non possono essere conseguiti in misura
sufficiente dagli Stati membri, ma necessitano dell’intervento dell’Unione sulla base del principio di sussidiarietà contenuto nell’art. 5 del Trattato sull’UE,
nonché in ottemperanza al principio di proporzionalità sancito dallo stesso
articolo.
Il legislatore europeo cerca di contribuire al corretto funzionamento del
mercato interno rimuovendo gli ostacoli alla libera circolazione di persone
che, attualmente, incontrano difficoltà nell’esercizio dei loro diritti nell’ambito di una successione con implicazioni transfrontaliere. Difficoltà dovute
alla diversità delle norme di diritto sostanziale e delle norme che regolano la
competenza internazionale o la legge applicabile, alla molteplicità delle autorità che possono essere adite nell’ambito di una successione internazionale
e alla frammentazione delle successioni che il divergere di tali norme può
comportare.
La normativa europea mira, da un lato, a fare chiarezza sulle numerose questioni che possono insorgere in materia di successioni transnazionali a causa
delle differenze normative esistenti tra i vari Paesi europei; dall’altro, a facilitare
l’esecuzione delle volontà testamentarie ed evitare lunghi iter procedurali nel
caso di un cittadino europeo deceduto in un Paese diverso da quello d’origine
il cui testamento coinvolga più di un sistema giuridico nazionale.
Il contenuto del regolamento può essere sintetizzato in quattro
parti fondamentali: la prima che concerne l’ambito di applicazione, la competenza e la legge applicabile a tali successioni; la seconda il riconoscimento,
l’esecutività e le decisioni in materia; la terza concerne gli atti pubblici e le
transazioni giudiziarie; infine la quarta, che costituisce la grande novità, istituisce il certificato successorio europeo.
L’intero sistema si basa sul principio di libera scelta dei cittadini
in materia di successioni.
In realtà, le regole europee introducono due modalità di successione
internazionale:
1) la normativa in materia di successioni è ancorata all’ultimo Paese di residenza abituale del defunto al momento della morte. In pratica, alla
morte di un cittadino in uno Stato membro diverso da quello d’origine, la
sua eredità sarebbe in linea di principio, regolamentata secondo le leggi del
Paese dove ha avuto l’ultima residenza abituale (criterio di collegamento
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generale), e quindi anche dai Tribunali e dalle autorità di tale Paese. In tal
modo si dovrebbe evitare l’insorgere di conflitti allorché più Tribunali di
diversi Paesi si dichiarino competenti su uno stesso atto testamentario;
2) la seconda modalità di regolazione delle successioni s’incardina, invece, sul
principio della libera scelta del defunto (art. 22). In tal caso, il de cuius ha possibilità di scegliere che sia la legge del proprio Paese d’origine a
regolare le ultime volontà (criterio di collegamento manifestatamente più
stretto). Si garantirebbe così la possibilità, per chiunque viva all’estero, di
conservare il legame con il Paese d’origine e di veder le proprie volontà
rispettate secondo le disposizioni nazionali.
Per quanto concerne la competenza, sono competenti a decidere sull’intera successione gli organi giurisdizionali dello Stato membro in cui il defunto
aveva la residenza abituale al momento della morte.Va osservato che se la legge
scelta dal defunto per regolare la sua successione è la legge di uno Stato membro, le parti interessate possono convenire che un organo giurisdizionale o gli
organi giurisdizionali di tale Stato membro abbiano competenza esclusiva a
decidere su qualsiasi questione legata alla successione.
Le decisioni emesse in uno Stato membro sono riconosciute negli
altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento
particolare. Tuttavia, in caso di contestazione, ogni parte interessata che chieda
il riconoscimento in via principale di una decisione può far accertare che
quest’ultima sia riconosciuta.
Le decisioni non sono riconosciute quando siano, ad es., contrarie all’ordine pubblico
dello Stato membro in cui è richiesto il riconoscimento, o quando siano incompatibili con
una decisione emessa in un procedimento tra le stesse parti nello Stato membro in cui è
richiesto il riconoscimento. In nessun caso, però, la decisione emessa in uno Stato
membro può formare oggetto di un riesame del merito.
C’è ancora da segnalare che, al fine di regolare all’interno dell’Unione in
modo rapido, agevole ed efficace una successione con implicazioni transfrontaliere, il regolamento (UE) 650/2012 ha previsto il certificato successorio
europeo, da rilasciare per essere utilizzato in un altro Stato membro. È disciplinato nella sua interezza dagli artt. 62 e ss., che ne regolamentano istituzione,
scopo, modalità e procedura di rilascio, nonché contenuto ed effetti.
Il certificato è destinato ad essere utilizzato da tutti coloro i quali abbiano
necessità di far valere la loro qualità o di esercitare i loro diritti di eredi o legatari e/o i loro poteri come esecutori testamentari o amministratori dell’eredità in un altro Stato membro senza dover ricorrere ad alcun procedimento
particolare. Non è obbligatorio e non sostituisce i documenti interni utilizzati
per scopi analoghi negli Stati membri; tuttavia, una volta rilasciato per essere
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utilizzato in un altro Stato membro, il certificato produce i suoi effetti anche
nello Stato membro le cui autorità lo hanno rilasciato.
Per quanto riguarda, infine, l’ambito di applicazione il regolamento
in commento si applica alle successioni mortis causa, mentre non concerne la
materia fiscale, doganale e amministrativa.
Espressamente escluse dall’ambito di applicazione sono, ad es., le questioni attinenti: lo status delle persone fisiche, i rapporti di famiglia e i rapporti che secondo la legge applicabile
a questi ultimi hanno effetti comparabili; le questioni riguardanti la scomparsa, l’assenza o
la morte presunta di una persona fisica; le questioni riguardanti i regimi patrimoniali tra
coniugi e i regimi patrimoniali relativi a rapporti che secondo la legge applicabile a questi
ultimi hanno effetti comparabili al matrimonio; la validità formale delle disposizioni a
causa di morte fatte oralmente.
Ai sensi dell’art. 84, esso si applicherà a decorrere dal 17 agosto 2015,
tranne che per gli artt. 77 e 78 − che troveranno applicazione a decorrere dal
16 gennaio 2014 − e per gli artt. 79, 80 e 81 – già in vigore dal 5 luglio 2012.
Nonostante Danimarca, Regno Unito e Irlanda non abbiano partecipato
all’adozione del regolamento, e non siano dunque vincolati da esso né soggetti
alla sua applicazione, il regolamento UE 650/2012 è stato accolto nel suo
complesso favorevolmente, concordandosi sul fatto che esso chiarisce le regole
applicabili alle successioni internazionali, apportando una maggiore sicurezza
giuridica ai cittadini ed alle loro famiglie.