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ASSOCIAZIONE ANDELECA’ ONLUS
Via Delle Lucciole,16 – 09134 – Cagliari
Tel. 3402504071; mail [email protected]
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Danilo era veramente un bel bimbo. I genitori lo avevano desiderato tanto e quando
nacque fu accolto con tanto amore e disponibilità. Aveva un bel ciuffo di capelli
scomposti, due meravigliosi occhi verdi e un sorriso che regalava a tutti con grande
generosità e che illuminava la vita di coloro che lo conoscevano.
Danilo cresceva bene e il suo sviluppo fu accompagnato da un clima di affetto e di
serenità familiare.
Un giorno, all’età di circa 18 mesi, mentre giocava con l’esuberanza tipica dei
bambini vivaci, pilotando una piccola macchina da poco regalatagli, inciampò per le
scale a testa in giù, ma rimanendo fortunatamente imprigionato nell’abitacolo della
macchinina.
La caduta non fu rovinosa e il bambino non ebbe alcun danno apparente, se non un
comprensibile spavento, ma forse la sensibilità del bambino non consentì di fargli
superare l’evento traumatico senza strascichi.
Più avanti, i genitori si accorsero che il suo sviluppo non solo si stava bloccando, ma
che gradualmente il bambino stava perdendo tutte le autonomie relative al
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movimento, al linguaggio, al gioco e alle capacità cognitive, che fino ad allora aveva
raggiunto.
E fu così che per Danilo e per i suoi genitori iniziò il grande calvario, che
normalmente accompagna la vita familiare di un bambino con handicap.
Iniziò il via vai di visite specialistiche, di lunghe attese negli ambulatori medici
pubblici e più ancora nelle bianche ed asettiche sale d’attesa private dei cosiddetti
“luminari” in materia di “Disturbi pervasivi dello sviluppo”. Il sogno dei genitori di
vivere un rapporto di coppia gioioso e appagante e di costruire una famiglia
“normale” si infranse violentemente e dovettero adattare le loro esigenze a quelle di
Danilo, ben più importanti.
La loro vita fu ben presto scandita da orari, terapie, trattamenti sperimentali, controlli
periodici e viaggi della speranza. Oltre alle varie peregrinazioni in tante località della
Penisola, affrontarono coraggiosamente svariati viaggi in America, dopo aver appreso
che a Philadelfia esisteva un Centro specializzato per i disturbi legati all’Autismo.
Nonostante i loro sforzi fisici, psicologici ed economici per non lasciare niente di
intentato, nonostante la loro solerzia e dedizione per ottenere risultati soddisfacenti a
favore di Danilo, la realtà si prospettava piena di problemi.
Cominciò ad affacciarsi lo spettro della “diversità” a scuola, nella comunità locale e
nella società più allargata. Ovunque Danilo andasse veniva osservato con aria
incredula, sospettosa, al massimo compassionevole. Sempre più spesso i genitori si
domandavano come sarebbe stato il futuro di Danilo. Avrebbe fatto progressi in
questa sua difficoltà a comunicare? Sarebbe riuscito a diventare un po’ più “normale”
nei suoi comportamenti, senza attirare l’attenzione di tutti? Avrebbe raggiunto un
minimo di integrazione sociale? Le loro domande e i loro dubbi rimanevano senza
risposta e le loro giornate venivano vissute con angoscia sempre più crescente.
L’approccio alla loro condizione esistenziale era fondamentalmente orientato alla
speranza e alla positività, ma spesso il loro coraggio e la loro forza venivano messi a
dura prova, costringendoli a ripiegarsi su se stessi e sul loro dolore.
Il cammino è stato lungo e difficile, perché spesso si sentivano soli ed impotenti.
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Piano piano, però, una piccola luce fioca si affacciava all’orizzonte.
Qualche legislatore illuminato cominciò a riconoscere il diritto dei bambini con
disabilità ad essere sostenuti ed aiutati nel loro difficile percorso. Vennero varate le
prime leggi che, finalmente, rendevano operativo l’art. n°3 della Costituzione (“Tutti
i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.”).
La Legge n°104 del 1992 fu accolta con grande gioia dalle famiglie dei bambini con
handicap. Infatti, i principali soggetti a cui la legge è destinata sono i diversamente
abili, ovvero coloro che presentano una minorazione fisica, psichica o sensoriale,
stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o
di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di
emarginazione. L’intento della Legge 104 è quello di superare gli ostacoli che si
frappongono tra le persone con handicap ed una loro migliore integrazione agendo
nel modo più mirato possibile, con benefici tendenti a favorire il più completo
inserimento della persona con handicap nel contesto sociale.
Successivamente venne varata anche la legge n°162 del 1998 concernenti misure di
sostegno in favore di persone con handicap grave.
Ma quanta fatica per ottenere il diritto dei bambini disabili a vivere una vita più
dignitosa! Ovunque lunghe trafile burocratiche, estenuanti attese negli ambulatori
delle Istituzioni Pubbliche per ottenere i certificati richiesti e meritarsi “il titolo
nobiliare di disabile” e ottenere così “i privilegi” della Legge 104 e della Legge 162!
Forse al legislatore “illuminato” sfugge quanto costi ai genitori, in termini di tempo,
di fatica, di frustrazione, di umiliazione, di dignità inoltrare la domanda per
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l’insegnante di sostegno e per l’assistenza domiciliare, la domanda per il
riconoscimento dell’invalidità civile e dell’handicap grave, la domanda per l’assegno
di accompagnamento e così via.
In ogni modo, dagli Enti Locali cominciò ad arrivare qualche sostegno sia economico
che psico-sociale e la famiglia di Danilo si sentì un po’ alleggerita dal carico
assistenziale.
Capì che per superare la solitudine bisognava condividere i propri problemi con i
genitori di altri ragazzi, giacché Danilo nel frattempo era diventato un bel giovanotto.
Convinti che i genitori hanno bisogno di ritrovarsi in un'atmosfera di fiducia e di
accoglienza premurosa con altri genitori e operatori, cominciarono ad incontrarsi e a
fare gruppo. Con la comprensione di altre persone che vivevano gli stessi problemi
risultava più semplice sfogarsi, ragionare insieme, condividere difficoltà, trovare
soluzioni. Per circa otto anni questo gruppo, formato da dieci famiglie, si incontrava
spesso nelle proprie abitazioni o in altri contesti esterni, tentando di studiare le
personalità dei propri figli, le loro reazioni, le loro difese, i loro tentativi di
comunicare col mondo esterno.
I graduali miglioramenti ottenuti dai ragazzi con tale esperienza, convinsero i genitori
a costituire formalmente nel 2012 una Associazione, che venne chiamata “Andelecà”
(che vuol dire “andare là” … in’altra direzione…).
Sorta come
Associazione no profit fu composta da un gruppo di ragazzi
diversamente abili, dai loro genitori e da alcuni volontari. Essa si prefiggeva
principalmente di far raggiungere ai ragazzi il maggior livello possibile di autonomia,
la massima valorizzazione del potenziale umano di ciascuno e, per quanto possibile,
un inserimento attivo nella società.
L’Associazione incontrò tante difficoltà perché le famiglie non possedevano una sede
operativa, né potevano permettersi economicamente di affittare neanche un modesto
locale. Presentarono domande a vari Enti Istituzionali, ma non hanno mai ottenuto un
locale idoneo. Attualmente, hanno avuto dalla COADI ( Consulta Associazioni
Disabili Cagliari ) la possibilità di essere ospitati, due volte la settimana e solo per
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poche ore, in un vano della loro sede. L’Associazione è molto grata alla COADI per
questa disponibilità e cerca di sfruttare al meglio queste preziose giornate per
impegnare i ragazzi in varie attività:
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LABORATORIO DI DECOUPAGE
LABORATORIO DI LANA E RICAMO
LABORATORIO DI CERAMICA
LABORATORIO DI DISEGNO
LABORATORIO DI PASTICCERIA
Nei diversi laboratori si è voluto creare uno spazio in cui fossero lasciate libere la
creatività, la sperimentazione e la manualità, nonché il gioco di gruppo con l’uso di
materiali diversi e piccole costruzioni artigianali, utilizzando preferibilmente
materiali di recupero, nel massimo rispetto della natura.
Nell’organizzare le varie attività dei ragazzi si tiene conto delle capacità e attitudini
di ciascuno di loro, in base all’interesse manifestato e alle potenzialità percepite.
Durante questi incontri, nel pieno rispetto delle individualità e caratteristiche
personali di ciascuno, vi sono dunque tanti spazi dedicati contemporaneamente a
diverse attività, con l’obiettivo di migliorare il loro difficile rapporto col mondo
esterno.
Infatti, per i genitori il problema è di essere in grado di entrare in comunicazione con
i propri figli. Quale che sia l’origine, la causa o le concause di ciò che è avvenuto,
quale che sia la diagnosi dei più grandi luminari della Terra, l’importante è come
entrare in contatto con loro, come aiutarli ad esprimere il loro dramma, come aiutarli
a trovare un loro spazio nella vita quotidiana. Il mondo esterno per i ragazzi disabili
e più ancora per quelli affetti da autismo è estremamente minaccioso, essi vivono in
un guscio chiuso, talvolta a doppia mandata, che li protegge dall'angoscia.
Il grosso problema è come aiutarli ad uscire da questo guscio senza che ciò comporti
per loro una destabilizzazione profonda o un malessere ancora più forte.
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Più avanti, la Presidente dell’Associazione decise di mettere a disposizione del
Gruppo una casetta di campagna ubicata in un piccolo podere con alberi da frutta.
Il programma di gite in campagna è stato definito dai ragazzi “Progetto
campagnetta” ed è veramente un piacere vederli passeggiare e divertirsi in un
contesto così naturale e rasserenante, vederli impegnati a raccogliere la frutta e le
olive, vederli pigiare l’uva nei tini (come ai vecchi tempi!), per farla poi fermentare e
ricavare il vino.
È’ una gioia vederli preparare le etichette per i barattoli delle marmellate che le
mamme preparano con grande maestria. Quando Danilo, Gabriele, Cristina, Michele,
Roberta, Andrea, Alessandro, Dario, Cristian, Sabrina e Carla sono in campagna,
lontani dal mondo reale, si sentono a proprio agio e felici.
Impegnandosi sempre in prima persona, l’Associazione propose all’Assessorato ai
Sevizi Sociali del Comune di Cagliari un Progetto sulla possibilità di realizzare un
Orto Urbano all’interno della Struttura di accoglienza per anziani di Terramaini.
Partendo dal presupposto che la Casa di Riposo citata ospita molti anziani ancora
autosufficienti, in grado di trasmettere le loro conoscenze in merito alla lavorazione
della terra e alla coltivazione, il progetto poteva sposarsi egregiamente con gli
obiettivi della Struttura stessa.
Da una parte, si sarebbe data alle persone anziane l’opportunità di sentirsi ancora vive
e utili e non abbandonate al proprio inesorabile declino e dall’altra alcuni ragazzi
giovani, con poche prospettive future, avrebbero avuto la possibilità di acquisire
nuove conoscenze e di indirizzare le loro energie in un processo di crescita positivo.
L’obiettivo del progetto era dare vita al produttivo incontro di due realtà parallele
che, lavorando in sinergia e in sintonia tra loro, avrebbero permesso un grande
esempio di vita sociale integrata.
Il progetto è stato accolto e in parte già realizzato. Nelle stagioni più favorevoli e
nei giorni in cui le condizioni climatiche lo consentono i ragazzi si recano presso la
Struttura e, adeguatamente supportati, lavorano un piccolo pezzo di terra messo loro
a disposizione. Nel contempo, interagiscono efficacemente con gli anziani e con tutto
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il personale della Casa, dando vita ad un positivo interscambio tra due realtà, pur
così diverse.
L’elemento più interessante e per così dire più premiante dell’Associazione è che
ogni componente è interconnesso e partecipa attivamente alla vita del gruppo. La
paura e lo sconforto che spesso attanagliano i genitori di un figlio disabile, insieme al
gruppo vengono affrontati e superati con meno fatica, ciascuno trae dal gruppo quella
forza e quel coraggio indispensabili per andare avanti e fare progetti per il futuro.
Ciò che caratterizza l’Associazione “Andelecà” è la semplicità delle loro azioni, fatte
di concretezza e quotidiana armonia. Essa non si propone il raggiungimento di
complessi e velleitari obiettivi. Riuscire a far superare ad una persona disabile il
senso di solitudine e di emarginazione, raggiungere un minimo di autonomie, farla
sentire protetta ed amata e vivere momenti felici interagendo con gli altri, sarebbe già
un buon risultato.
Ma, seguendo il motto dell’Associazione “Non piangersi
addosso, ma reagire!” , si potrebbe andare oltre.
Non sarebbe così tanto pretenzioso, infatti, sperare di possedere una propria Sede a
Cagliari, dove i ragazzi possano liberamente andarci quando lo desiderano, dando
libero sfogo alla propria creatività. Per ultimo, l’associazione si propone di costituire
un punto di riferimento stabile e duraturo per il gruppo e di intraprendere un percorso
del “Dopo di noi” che dia maggiore dignità, protezione e integrazione sociale ai
propri figli.
L’idea dell’Associazione espressa dai ragazzi,
col supporto della scrittura facilitata.
“La mia Associazione è una specie di famiglia allargata, giocosa e gioiosa, felice e
strampalata, ma unica nel cuore e nell’amore. Regna sempre il sorriso e la felicità di
fare pazzie. Questa nostra Associazione è appena nata, ma ben radicata nei nostri
principi e motivazioni” (Danilo)
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“Sono socio dell’Associazione “Andalecà” da molto tempo, anche mia mamma è
socia, molte nostre attività le svolgiamo all’aperto, soprattuto in primavera e a fine
estate, produciamo tante cose buone da mangiare e da bere, come marmellate di fichi,
vino e limoncello. Durante l’inverno ci riuniamo e lavoriamo diversi oggetti che poi
vendiamo nelle bancarelle. Siamo un gruppo molto affiatato, che fa pensare a un
futuro migliore. Dobbiamo fare in modo che diventiamo famosi per poter esprimere il
nostro vissuto importante e faticoso. I miei compagni di associazione sono tutti
gioiosi e trasmettiamo vita che non tutti conoscono. Tutti noi faremo forte volontà di
stare bene e ce la faremo! “ (Gabriele)
“Attraverso la mia Associazione, ho imparato a fare canoa, che è uno sport
bellissimo. Ma la prima impressione che ho avuto appena ho iniziato è stata:
l’amicizia . Con i miei compagni di canoa ho passato momenti felici. Lo sport aiuta a
rinforzare i muscoli , ma l’amicizia regala allegria e una gioiosa serenità, mossa dalla
brezza di un sorriso. Spero di continuare a svolgere questo sport nei prossimi anni.”
((Michele)
“La nostra Associazione è una cosa bella. Tutti sono disponibili a fare. A me piace
tanto preparare dolci e raccogliere le olive e le mele. Con i dolcetti abbiamo fatto
picnic e con le olive abbiamo fatto l’olio. Mi piace avere tanti amici e andare in
piscina a nuotare” (Cristina)
“Io sono molto contento delle attività svolte dalla nostra Associazione, perché
facciamo tanti bei lavoretti e ogni tanto andiamo a far visita ai vecchietti di
Terramaini” . (Andrea)
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