II tema di anorgasmia femminile Commento di un caso

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II tema di anorgasmia femminile Commento di un caso
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Biancoli_R_1987
II tema di anorgasmia femminile Commento di un caso clinico
Romano Biancoli
„Il tema di anorgasmia fenninile. Commento di un caso clinico,“ in: P. Marrama et al. (Eds),
Bio-Psicosessuologia, Vol. 2, Modena (Cattedra di Endocrinologia Università di Modena)
1987, pp. 93-95.
Copyright © 1987 by Romano Biancoli; Copyright © 2012 by the Estate of Romano Biancoli.
Una paziente di ventinove anni, sposata da tre anni, senza figli, sogna una grossa talpa dall’aria soddisfatta. Non sa riferire altro, se non che forse la vede nel suo cortile e
che l’immagine è molto carica ed enigmatica. Produce come unica associazione, dopo
diversi minuti, l’incerto ricordo di aver letto su un rotocalco che il rapporto sessuale per
la talpa femmina è doloroso, essendo il pene del maschio una specie di apriscatole. Il
senso di enigma le scompare subito e riconoscere se stessa nella talpa per il sollievo
che le da la partenza del marito per un viaggio di lavoro di due settimane. La paziente,
in psicoterapia analitica da sei mesi, due sedute la settimana, possiede una istruzione
mediosuperiore e rivela una discreta capacità di simbolizzare.
Coglie da sola che il dolore fisico della talpa sta a significare il suo dolore morale,
poiché lei, anorgasmica, non ha un rapporto sessuale doloroso fisicamente, ma frustrante, inappagante, che le da rabbia. Non può incolpare il marito, perché lui anzi si
dimostra paziente e comprensivo, però dopo il rapporto gli nutre rancore, non se sopporta la presenza. Le dico che è forse per questo che il marito si rende disponibile ai
viaggi di lavoro.
Lo riconosce possibile e del resto ha iniziato la psicoterapia perché l’ambivalenza
verso il marito le è divenuta insopportabile e minaccia di rompere il matrimonio. Di problemi sessuali non aveva ancora parlato in modo molto esplicito. Afferma di non aver
avuto orgasmi nemmeno con precedenti uomini, pur essendole sempre sembrato normale il suo desiderio sessuale.
Si agita, mi guarda con ostilità e tace. Se proseguisse il discorso dovrebbe forse
toccare argomenti che troppo la imbarazzano, come la masturbazione e l’orgasmo che
ne ricava. Le dico che lei si propone come una scatola (talpa) che non vuole aprirsi.
Tace fino al termine della seduta, contrariamente al suo solito di parlare molto e vagamente.
Nelle sedute successive viene elaborato il tema dell’apriscatole, dell’intrusività,
dell’intimità violata. La paziente produce un materiale ricco di ricordi: l’ispezione permanente della madre nella sua stanza, le lettere aperte, e poi, più indietro nel tempo, i
controlli sui suoi sentimenti, sui suoi pensieri, che dovevano essere convenienti e improntati a gratitudine per i genitori. Volevano sentirsi dire che lei, figlia unica, li amava,
e dovette imparare una certa diplomazia. Volevano anche che lei dicesse che stava
bene, che era contenta, perché di ciò se ne facevano un merito.
Ma questo lei non era capace di dirglielo, non solo perché spesso non era vero,
ma anche perché i momenti di benessere erano una conquista sua che le veniva sot-
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tratta, rapinata, se li dichiarava. Coll’aggiungersi via via di ricordi riguardanti
l’alimentazione, l’esperienza penosa di un cibo ingerito quasi a forza, emerge una figura di madre che maschera la sua aggressività colla sollecitudine e che ha bisogno di
placare la sua ansia e i suoi sensi di colpa attraverso le dichiarazioni della figlia di stare
bene e di’essere contenta.
A questo la paziente ha saputo ribellarsi. Ha protetto i suoi angoli di creatività e di
piacere, non li ha concessi perché le sarebbero stati espropriati. Questa scatola però
non si è più aperta, nemmeno in situazioni appropriate e incoraggianti. Provare
l’orgasmo con un uomo significa dirgli: sei tu che mi dai il piacere, io con te sto bene.
Un riconoscimento del genere mette a rischio la sua identità. Al pene dell’uomo corrisponde la fantasia inconscia di un senso intrusive che nutre male. E non solo nutre
male, ma minaccia un saccheggio se riscontra piacere.
Nel corso di molte settimane, la paziente prende coscienza di alcuni termini conflittuali che sostengono la sua ambivalenza verso il marito, di cui le difficoltà sessuali non
sono che un aspetto. È nel rapporto’analitico che la scatola comincia ad aprirsi. Componenti ostili del transfert vengono alla superficie. La paziente afferma che se anche
migliorasse mai e poi mai lo rivelerebbe all’analista, perché non può sopportare l’idea
che lui se ne compiaccia. L’analista non merita [094] nulla, poiché non fa che tacere.
Ma intanto gli occultamenti in analisi si riducono e la paziente collabora sempre di più,
pur alternando momenti aggressivi. In seguito ad una fase successiva di innamoramento transferale, l’offerta si sposta sul marito col quale, a circa un anno dal sogno
della talpa, comincia a sperimentare orgasmi (per lo più clitoridei, talora vaginali). Il
trattamento durerà complessivamente quasi quattro anni, poiché in quella scatola c’era
anche una ipervalutazione narcisistica dei contenuti interni del proprio corpo, la quale
contribuiva a connotare in termini sadomasochistici il rapporto di coppia.
L’anorgasmia femminile è un sintomo, una situazione di compromesso come tutti i
sintomi psichici e psicofisici. Diversi sono i conflitti nella donna che possono approdare
a questo risultato. Nel caso in esame il desiderio sessuale è contrastato dal timore di
essere rapinata dentro. È come se questo male maggiore venisse evitato dal male minore del coito senza orgasmo, che è un compromesso sessuale integrato nel compromesso complessivo dato dalla struttura di carattere della persona. L’espressione della
sessualità è un aspetto della capacità di vivere.
La spinta a vivere della paziente ha subito un insulto nel suo ambiente primario e
si è ritratta salvando il salvabile. Non ci sono stati fatti eclatanti. La realtà manifesta è
quella di una madre premurosa che si dedica alla figlia e si preoccupa del suo benessere e gioisce quando la vede felice. La realtà latente è molto diversa e giace nei vissuti inconsci. Il vissuto profondo della figlia è di non essere rispettata nei suoi bisogni di
individuo, di essere quindi amata male. L’inconscio della figlia coglie l’inconscio della
madre nei suoi conflitti: bisogno di possedere la figlia e quindi di controllarla nelle sue
manifestazioni vitali, senso di colpa per il danno che le arreca, tentativo di placare tale
senso di colpa prendendosi il merito di quanto ancora producono le residue vitalità e
creatività della figlia. Questa avverte la frode e reagisce; non acconsente.
È una figlia che non vuole dare soddisfazioni alla madre, perché ciò significherebbe dirle: sta tranquilla, non mi ledi, mi capisci, mi rispetti, mi fai crescere bene e grazie
a te vivo momenti buoni. La verità è invece che la figlia momenti buoni riesce a viverli
malgrado la madre.
Però tali vissuti gradevoli e soprattutto le risorse interne che li consentono vengono sopravvalutati e opposti al resto del mondo. Si tratta di narcisismo, che è un modo
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di sperimentare se stessi come se fossero reali e importanti solo il proprio corpo, i propri bisogni, i propri pensieri, i propri sentimenti, le proprie cose, mentre gli altri e i loro
interessi vengono percepiti solo in modo intellettuale, senza carica affettiva (Fromm,
1973). Il narcisismo allontana dalla realtà e resta facilmente ferito. Da ogni ferita narcisista viene odio e ne viene in genere in quantità sproporzionata alla reale entità
dell’offesa. Dipende dal suo narcisismo quanto intensamente e quanto a lungo una
persona odia perché danneggiata od oltraggiata. Esiste un odio maturo che è adeguato
all’aggressività subita (Balint, 1951) e che scompare al cessare di questa, ed esiste un
odio arcaico sostenuto dal narcisismo che prescinde dalla realtà e persiste oltre l’offesa
ricevuta e che può configurarsi talvolta come una rappresaglia.
La paziente ama suo marito, ma anche molto lo odia, rivivendo nella sua nuova
famiglia le tensioni e i conflitti della vecchia. Vi proietta le sue antiche esperienze. Avverte le premure del marito ad un tempo sincere ed insidianti. L’insidia sta nell’invito a
corrispondere, a donarsi reciprocamente. Ella lo desidera, ma si trova in difficoltà a riconoscere che quanto può ricevere dal marito è un bene prezioso ed è impedita
nell’apprestarsi ad aprire il suo tesoro interno. Riconoscere l’amore del marito contrasta colla sua struttura caratteriale, secondo la quale nessun bene viene [dall’esterno,
anzi gli altri sono dei predatori e quindi bisogna chiudersi. Quanto al tesoro interno, esso è troppo apprezzato narcisisticamente per poter essere scambiato con un bene altrui, che al confronto appare cosa vile.
L’abbandonarsi ad un orgasmo nel rapporto sessuale col suo uomo esprime la costatazione affettiva che il pene non solo riceve ma anche da e quel che da ha una valenza complementare dello stesso ordine di quella della vagina che lo accoglie.
L’orgasmo di questa paziente ha anticipato la sua capacità di un rapporto umano più
maturo, come scambio simmetrico, almeno ten-denzialmente, e dono reciproco. [095]
Bibliografia
Freud S. (1925 g), Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi, Opere,
voi. 10, Torino.
Freud S. (1931 b), Sessualità femminile, Opere, voi. 11, Torino.
Balint M. (1965), L’amore primario, Guaraldi, Rimini 1973.
Fornari F. (1975), Genitalità e cultura, Feltrinelli, Milano.
Fromm E. (1947), Dalla parte dell’uomo, Astrolabio, Roma 1971.
Fromm E. (1949), Sesso e carattere, in: Dogmi, gregari e rivoluzionari, Comunità, Milano 1973.
Horney K. (1967), Psicologia femminile, Armando, Roma 1973.
Smirnoff V. (1966), La psicoanalisi infantile, Armando, Roma 1968.
Thompson C. (1964), Psicoanalisi interpersonale, Boringhieri, Torino 1972.
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