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CRONACHE
Corriere della Sera Mercoledì 15 Febbraio 2017
27
#
di Anna Meldolesi
I
l nudo è démodé, ha stufato. Anzi no: la nudità è
ovunque e spogliarsi è un
atto naturale. Guardandosi intorno si possono
trovare buoni argomenti a sostegno dell’una e dell’altra tesi.
Ma insomma, il barometro
culturale del terzo millennio
tende al coperto oppure a mostrare tutto alla luce del sole?
Prendiamo Playboy, una testata che è da oltre sessant’anni sinonimo di libertà sessuale, edonismo e, soprattutto,
bellezza femminile senza veli.
Alla fine del 2015 ha sterzato
con una decisione a sorpresa:
sexy sì spogliate no, basta con
le foto di nudità integrale. Ma
ecco che con il prossimo numero la casa del coniglietto fa
Mode
La nudità non potrà
mai passare di moda
per ragioni biologiche
prima che culturali
retromarcia. Nella copertina
del mese di marzo la pelle è
nuovamente scoperta e
l’hashtag scelto per il lancio è
«naked is normal», stare nudi
è normale.
La parentesi pudica di Playboy è stata un ossimoro, una
contraddizione in termini. Ma
sperimentare nuove formule
era un passaggio obbligato ai
tempi di Internet, con YouPorn sempre a portata di clic.
Senza immagini esplicite si
conquistano più inserzionisti
pubblicitari e pare che la nuova veste avesse anche portato
più giovani sul sito della rivista
in orario d’ufficio.
Ma nel complesso l’operazione vedo-non-vedo non ha
funzionato: le vendite non sono risalite e a un anno di distanza è stato il figlio del fondatore a tirare le somme su
Twitter. «Sono il primo ad ammettere che il modo in cui la
rivista rappresentava la nudità
era sorpassato, ma rimuoverla
del tutto è stato un errore. La
nudità non è mai stata il problema», ha spiegato Cooper
Hefner, erede di Hugh. «Ci
La ricerca
Perché nude
in copertina
Le cover
Il ritorno di «Playboy» alle foto senza veli
Come cambia il modo di rappresentare
il nostro corpo
riappropriamo della nostra
identità e reclamiamo chi siamo», ha annunciato il venticinquenne, che sarà il direttore creativo del nuovo corso.
Recentemente hanno giocato la carta del politicamente
corretto anche altre pubblicazioni che avevano fondato sul
déshabillé il proprio brand.
Nel 2015 il tabloid britannico
Sun ha mandato in pensione
la tradizione popolare dei topless di pagina 3. Di lì a poco
anche il sofisticato Calendario
Pirelli sarebbe entrato nel 2016
con un’edizione più castigata
Nel 1953
La prima
copertina
di «Playboy»
con Marilyn
Monroe:
uscì
nelle edicole
americane
nel dicembre
del ‘53.
Il primo
numero
della rivista
fu realizzato
sul tavolo
della cucina
dell’appartamento
di Chicago
in cui viveva
il futuro
magnate
Hugh Marston
Hefner.
Vendette
51.000 copie
 Il nome
PLAYBOY
Hugh Hefner aveva pensato come nome a Stag Party
ma non lo fece: Stag esisteva già e il titolare minacciò
la querela. I nomi alternativi furono Top Hat, Sir,
Satyr, Gentleman, Pan e
Bachelor. Fu l’amico Eldon
Sellers a suggerire Playboy.
del solito.
Ma la storia è fatta
di corsi e ricorsi, orli
che salgono e scendono, tendenze contraddittorie, e la nudità non
si è mai prestata a letture
facili. Basta pensare a
quanto sono diversi i corpi senza vestiti di John
Lennon e Yoko Ono, il seno ribelle delle Femen, il
fondoschiena social di Kim
Kardashian. Il primo nudo
2.0 di Playboy è certamente
molto diverso dall’ultimo
della prima stagione. In copertina avevamo lasciato l’icona un po’ consumata di Pamela Anderson, ora ci troviamo
con una bellezza al naturale.
Le donne e gli uomini cambiano, evolve il concetto di genere, si trasformano i mezzi di
comunicazione, è ovvio che
nemmeno la rappresentazione del nudo possa restare
uguale.
Sul vecchio Playboy il giudizio non è unanime neppure
tra le femministe: molte gli
rimproverano di aver perpetuato un’immagine stereotipata del corpo femminile, ma la
storica Carrie Pitzulo gli riconosce almeno il merito di aver
affermato il diritto delle brave
ragazze al desiderio sessuale.
Sul nuovo Playboy qualsiasi
giudizio sarebbe prematuro
ma due cose si possono già dire. Hefner padre ebbe la fortuna di avere l’idea giusta al momento giusto, alla vigilia della
liberazione sessuale, e alcune
delle sue copertine sono entrate nella storia dell’immagine, e forse persino dell’arte.
Anche sforzandosi di stare al
passo coi tempi, il coniglietto
non potrà più riguadagnare il
peso simbolico del suo periodo d’oro e nemmeno i milioni
di copie vendute.
Resta il fatto che la nudità
non potrà mai passare definitivamente di moda, per ragioni che sono biologiche prima
che culturali. Quando proviamo a immaginare il futuro, insomma, non dobbiamo chiederci nudo sì o nudo no, ma
nudo come.
Marzo/Aprile 2017 Il ritorno al
nudo (soft) con Elizabeth Elam
Marzo 2016 Al via l’era no nudi
con il selfie di Sarah McDaniel
Gennaio/Febbraio 2014 Kate
Moss per i 60 anni di Playboy
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Ottobre 1971 Darine Stern,
prima modella di colore nuda
L’Erasmus come un rito di iniziazione per l’età adulta
Dossier della Cattolica sul programma di studi all’estero e salute: come cambia lo stile di vita
In lituano si dice alus,
in ceco pivo. Per il resto — una
volta messo a fuoco che in spagnolo si dice cerveza e in portoghese cerveja — la parola
birra ha un suono simile in
mezza Europa. Vodka, tequila,
gin e quasi tutti cocktail non
hanno nemmeno bisogno di
traduzione. Il vino, semmai,
richiede uno sforzo in più col
dizionario e soprattutto col
portafogli. Ma tra la generazione Erasmus e un bicchiere
(anzi, più di uno) non c’è ostacolo che tenga: il soggiorno di
studi all’estero si rivela anche
l’occasione per una maggiore
familiarità con l’alcol. Salvo
rientrare nei ranghi una volta
tornati a casa.
Non c’è sorpresa né scandalo nei risultati della meticolosa e lunga ricerca condotta
dall’Università Cattolica di Milano. Per un paio d’anni la Facoltà di psicologia ha monitorato i «comportamenti legati
MILANO
alla salute» di oltre 900 studenti Erasmus provenienti da
42 Paesi europei. E dal racconto degli stessi ragazzi emerge
che, mentre non cambiano
l’alimentazione, la cura dell’igiene personale e altre abitudini, l’unica vera discontinuità riguarda il rapporto con
l’alcol. Bevono più di prima,
ma una volta tornati nel proprio Paese recuperano lo stile
di vita abituale. Anzi, in molti
casi il consumo di alcol tende
persino ad abbassarsi rispetto
alla vita pre-Erasmus. La spiegazione dei ricercatori? Il programma di studi all’estero rappresenta «un marcatore dello
sviluppo», cioè un’occasione
per fare esperienze, anche trasgressive, prima del passaggio
all’età e alla vita adulta, con il
suo fardello di responsabilità.
Così, per esempio, soltanto
il 10 per cento degli studenti
dichiara di essersi ubriacato
più di tre volte in un mese pri-
ma di partire, mentre durante
il periodi all’estero è capitato
quasi al 30 per cento degli interpellati. Ma al ritorno in patria al 70 per cento dei ragazzi
capita di non sbronzarsi
«mai», a poco più del 20 per
cento succede una o due volte
in un mese e soltanto il 7 per
Il confronto
Numero di drink alcolici bevuti alla settimana
prima, durante e dopo l’Erasmus (in %)
cento esagera ad alzare il gomito per tre volte al mese o anche di più. E la stessa tendenza
si manifesta a proposito del
numero di drink settimanali.
«Per i ragazzi questo è il vero rito di passaggio — spiega
la professoressa Elena Marta,
che ha diretto la ricerca — un
Astemi
Da 1
a5
Da 6
a 10
Da 11
a 20
Più
di 20
30
25
20
15
10
5
0
Pre Erasmus
Durante l’Erasmus
Fonte: Università Cattolica del Sacro Cuore - Facoltà di Psicologia
Post Erasmus
Corriere della Sera
ragazzo si trova da solo, in un
altro Paese, per realizzare un
suo progetto che è anche un
investimento per il suo futuro,
e di quel momento vuole
prendere tutto, il massimo,
compresi gli aspetti ludici».
Insomma, non è una vacanza, perché i risultati ci sono, i
docenti osservano nei ragazzi
Erasmus «la grande capacità
di tenere insieme e valorizzare
tutte le variegate conoscenze
ed esperienze acquisite durante il soggiorno all’estero». Ma
c’è la consapevolezza che dopo
si dovranno fare i conti con la
realtà. E allora, complici le infinite occasioni di socialità tra
coetanei espatriati, tanto vale
spingere sull’acceleratore. E
forse un giorno, da genitore o
nonno, qualcuno si farà ogni
tanto un bicchiere: non per dimenticare ma per ricordare i
bei tempi dell’Erasmus.
Giampiero Rossi
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