biomarcatori e bioindicatori nella valutazione della

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biomarcatori e bioindicatori nella valutazione della
BIOMARCATORI E BIOINDICATORI
NELLA VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ
DELLE ACQUE INTERNE
gentilmente inviato da Fortunato La Rocca
Tesi di Laurea
Redattore: Fortunato La Rocca
Relatore interno: Prof.ssa Barbara Giordana
Relatore esterno: Dott.ssa Elisabetta Agradi
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali – Corso di Laurea in Scienze Naturali
Università degli Studi di Milano
A.A. 2004/2005
Labelab srl – Via Mirasole 2/2 – 40124 Bologna (BO) – C.F./P.Iva: 02151361207
Università degli studi di Milano
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso di Laurea in Scienze Naturali
BIOMARCATORI E BIOINDICATORI
NELLA VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ
DELLE ACQUE INTERNE
Relatore interno: Prof.ssa Barbara Giordana
Relatore esterno: Dott.ssa Elisabetta Agradi
Tesi di Laurea di: Fortunato La Rocca
Anno Accademico 2004-2005
Indice
Introduzione
1- INTRODUZIONE
L’inquinamento delle acque costituisce un problema crescente con effetti sullo stato di salute
dell’ambiente, dell’uomo e della sua qualità di vita. Per questo il ripristino della qualità dei fiumi
che percorrono aree interessate da intensa industrializzazione ed urbanizzazione è ritenuto un
aspetto essenziale dei progetti sponsorizzati dalla Comunità Europea. I dati presentati in questa tesi
sono stati sviluppati nell’ambito del programma di ricerche previste dal progetto CITYFISH
(“Modelling Ecological Quality of Urban Rivers: Ecotoxicological Factors Limiting Restoration of
Fish Populations”) approvato dal quinto programma quadro CE, che ha come scopo quello di
studiare protocolli di biomonitoraggio e di individuare le fonti principali di inquinamento dei fiumi
che toccano importanti città europee. In questa ricerca specie di pesci sono state utilizzate come
bioindicatori dell’inquinamento ambientale sia di tipo organico che inorganico.
In questa tesi sono riportati i dati ottenuti negli studi riguardanti tre dei fiumi previsti dal progetto e
riguardano in particolare i risultati sui biomarcatori e bioindicatori dei metalli pesanti.
Dalla metà del Novecento, di pari passo con la crescita industriale, il letto del fiume e l’ambiente
circostante sono in uno stato di pericoloso degrado. Mentre un tempo la pesca era esercitata a livello
professionale ed amatoriale ora è sensibilmente ridotta e limitata al tratto più vicino alla sorgente.
Recentemente è stato proposto che i biomarcatori possano fornire delle indicazioni interessanti per
la prevenzione dei danni ecologici da inquinamento e per il monitoraggio degli effetti delle strategie
di ripristino ambientale. I biomarcatori sono parametri che consentono di rilevare variazioni
biologiche cellulari e fisiologiche dovute all’esposizione a sostanze tossiche tramite analisi
effettuate su tessuti, fluidi biologici o a livello dell’intero organismo. L’applicazione dei
biomarcatori ha vari vantaggi, tra cui una risposta integrata, sensibile e precoce, prima che si
verifichino effetti letali o anomalie nella riproduzione.
L’inserimento dei biomarcatori nei protocolli di monitoraggio di un ambiente specifico comporta
che l’approccio sperimentale venga adattato alla realtà in cui ci si trova ad operare. Ciò implica un
processo di validazione, cioè i risultati ottenuti dall’impiego di biomarcatori devono essere
confrontati con quanto emerso dalle analisi dei parametri biologici classici previsti dalla normativa
vigente e con i risultati delle analisi chimiche, considerate un parametro di riferimento basilare,
nonostante i limiti delle informazioni fornite.
La tesi comprende anche dati ottenuti al di fuori di questo specifico programma ed a suo
completamento. In particolare questi ultimi dati riguardano l’utilizzo di organismi vegetali nel
biomonitoraggio degli inquinanti inorganici.
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Introduzione
1.1 SOSTANZE INQUINANTI
L’uomo, gli animali e le piante sono esposti ad una enorme varietà di sostanze chimiche estranee
all’organismo, o xenobiotici, che possono essere di origine naturale o antropogenica. Queste
sostanze potenzialmente tossiche comprendono metalli e altri composti inorganici ed un gran
numero di complesse molecole organiche.
L’uso di sostanze chimiche elaborate dall’uomo, e la loro immissione nell’ambiente, non è certo una
pratica recente, tuttavia solo verso la metà del 1900 il fenomeno ha assunto dimensioni più
preoccupanti.
Le principali fonti da cui provengono sono localizzate nel settore industriale, agricolo e domestico.
Molte sostanze che l’uomo immette nell’ambiente possono essere lentamente trasformate dagli
organismi viventi, specialmente dai decompositori, sino ad essere completamente demolite e sono
definite biodegradabili; altre sostanze invece non sono biodegradabili (o lo sono molto lentamente).
La maggior parte delle sostanze inquinanti che si riversano nelle acque sono in grado di accumularsi
negli organismi perché sono prevalentemente idrofobiche e attraverso la catena trofica vengono
trasferite da un organismo all’altro subendo un progressivo aumento di concentrazione mediante il
processo di “amplificazione biologica” di una sostanza tossica, che, inizialmente presente nel
terreno o nelle acque, si accumula prima nelle piante, successivamente negli erbivori che se ne
nutrono e più tardi nei carnivori. L’accumulo delle sostanze inquinanti, che prende il nome di
bioaccumulo, può avvenire attraverso due differenti meccanismi:
- la bioconcentrazione: captazione diretta degli xenobiotici, disciolti nell’acqua attraverso le branchie
o la pelle. E’ un fenomeno di natura fisica che dipende unicamente dalla lipofilicità del composto (le
sostanze liposolubili vengono assorbite più facilmente di quelle idrosolubili).
-
la biomagnificazione: accumulo crescente di inquinanti, attraverso l’ingestione di cibo
contaminato, che raggiunge in un organismo quantità più elevate rispetto agli organismi che lo
precedono nella catena alimentare.
Una sostanza tossica è capace di produrre delle risposte dannose in un sistema biologico,
alterandone seriamente le funzioni o producendone la morte.
Una volta immessa in una catena alimentare si propaga rapidamente attraverso tutti i suoi anelli. Nel
passaggio da un anello all’altro si concentra sempre più, raggiungendo livelli preoccupanti
soprattutto in quegli organismi sfruttati dall’uomo a fini alimentari.
Virtualmente ogni sostanza chimica, conosciuta e non, può produrre un danno o la morte se presente
in concentrazioni sufficientemente elevate. Tutte le sostanze sono perciò potenzialmente tossiche, la
dose è un fattore discriminante per determinare quando una sostanza produce effetti indesiderati,
danni severi o la morte.
Per produrre una manifestazione tossica, un agente chimico o un suo metabolita deve potere
interagire con specifici siti dell’organismo ed essere presente in una appropriata concentrazione per
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Introduzione
un periodo sufficientemente lungo: perciò l’eventuale manifestazione tossica dipende dalle proprietà
chimico-fisiche dell’agente chimico, dall’esposizione e dalla sensibilità del sistema biologico.
Particolarmente importante è anche la via di assunzione della sostanza. Le più importanti vie
attraverso cui gli agenti tossici hanno accesso nell’organismo animale sono: il tratto intestinale, i
polmoni, la pelle o le branchie nel caso dei pesci.
Il compartimento ambientale più esposto all’inquinamento è quello acquatico: nelle acque, infatti, si
riversano un’ampia varietà di composti tossici sotto forma di effluenti zootecnici, scarichi di
processi industriali, rifiuti domestici.
L’inquinamento ambientale comprende composti di natura organica ed inorganica ma questa tesi
prende in considerazione esclusivamente alcuni aspetti dell’inquinamento inorganico dell’acqua.
1.2 PRINCIPALI INQUINANTI INORGANICI
Le prime osservazioni di cancerogenesi indotta dall’esposizione cronica ad inquinanti inorganici, ed
in particolare ai metalli pesanti, risalgono alla fine dell’Ottocento; infatti proprio con l’avvento
dell’era industriale e dell’attività mineraria su larga scala si poté osservare una più ampia incidenza
di malattie associabili all’esposizione a diversi metalli tossici. D’altro canto non deve sorprendere il
fatto che i metalli siano naturalmente e ubiquitariamente presenti nel nostro ecosistema in quanto
sono stati e sono tuttora ampiamente utilizzati per gli scopi più diversi e, talora sconsideratamente,
rilasciati nelle acque, nel suolo e nell’atmosfera. Tuttora oltre il 90% dei rifiuti “tecnologici”, come
vecchi computer o elettrodomestici, finiscono in discarica per essere inceneriti o recuperati senza
trattamento, contribuendo così alla formazione di contaminanti ricchi di metalli pesanti.
Gli animali acquatici sono naturalmente esposti ad una grande varietà di metalli, la cui
concentrazione è governata da processi geochimici naturali e da attività antropogeniche. Questi
metalli comprendono sia elementi essenziali richiesti nei processi biologici, sia metalli non
essenziali o con funzioni biologiche sconosciute. I metalli pesanti sono anche definiti “metalli
traccia”, perché in condizioni fisiologiche sono presenti negli organismi viventi in quantità limitata.
Sono divisi in due classi: Zn, Cu, Mn, Mg e Co, a basse concentrazioni si comportano come
micronutrienti essenziali per la vita, e sono tossici solamente a concentrazioni elevate; la seconda
classe comprende Cd, Hg, Cr e Pb che non sembrano avere funzione biologica e risultano tossici
anche a basse concentrazioni. Ogni metallo è potenzialmente tossico, se presente a concentrazioni
sufficientemente elevate.
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Introduzione
La tossicità dei metalli è dovuta principalmente alla capacità di legarsi ai siti attivi degli enzimi che
contengono ossigeno, zolfo o azoto in forma di gruppi -OH, -COO-, -OPO3H-, -S-S-, -NH2, -NH-.
I metalli pesanti quali rame, zinco, cadmio, argento, mercurio, oro, nickel, cobalto non sono
biodegradabili, né possono essere metabolizzati in composti meno dannosi. La detossificazione da
parte degli organismi avviene attraverso il legame con la metallotioneina (agente chelante) o
attraverso il loro deposito in forma insolubile nei granuli intracellulari
Nel trattamento delle intossicazioni da metalli pesanti, gli organismi utilizzano sostanze chelanti
capaci di bloccare il metallo formando complessi stabili e idrosolubili, facilmente eliminabili per via
renale.
Le proprietà dell’agente chelante devono essere:
- affinità per il metallo superiore a quella del legante biologico
- capacità di raggiungere il sito di legame
- bassa tossicità del chelato a pH fisiologico.
Appare chiaro il rischio ambientale determinato dall’inquinamento inorganico e la necessità di
attuare campagne di monitoraggio e ricavare una classificazione dello stato della qualità ambientale
dei corpi idrici. Per fare ciò, quindi, bisogna eseguire delle determinazioni sulla matrice acquosa.
Questa tesi prenderà in particolare considerazione alcuni aspetti del monitoraggio dell’inquinamento
da parte di agenti inorganici delle acque di fiumi che scorrono in aree industrializzate.
La seconda parete della tesi riguarda i risultati relativi allo studio di biomarcatori dei metalli pesanti
in organismi vegetali. Tali organismi vegetali sono stati scelti tra i modelli più convenzonali solo in
fasi successive di questo lavoro si concentrerà l’attenzione su piante tipiche dell’ambiente
acquatico.
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Introduzione
1.3 INQUINAMENTO IN BACINI FLUVIALI EUROPEI
I problemi riguardanti il controllo dell’inquinamento e la gestione della qualità delle acque sono
stati troppo spesso rinviati o trascurati poiché considerati di secondaria importanza rispetto allo
sviluppo economico; questo si è verificato anche in presenza di alti livelli d’inquinamento,
trascurando l’evidente l’impatto ambientale.
Nei vecchi trattati non erano presenti accordi internazionali relativi all’impatto degli inquinanti sui
bacini fluviali e venivano trascurate misure anti-inquinamento per il ripristino ambientale. E’ stato
accertato che gli sforzi unilaterali nel controllo dell’inquinamento sono insufficienti per la
prevenzione del deterioramento della qualità delle acque.
Ora, invece, alcuni trattati includono regolamentazioni riguardanti l’inquinamento delle acque, ma,
nonostante ciò, la maggior parte di essi manca di meccanismi istituzionali che contribuiscono a
diminuire l’impatto ambientale incontrollato sulla qualità dell’acqua.
Nei periodi di maggiore sviluppo dell’agricoltura moderna, della rivoluzione chimica e industriale,
dell’aumento della popolazione mondiale e della diffusione dell’urbanizzazione, la qualità
dell’acqua non è stato un fattore preso in considerazione nelle politiche internazionali. Persino dopo
che è stato notato un incremento degli inquinanti nelle acque, pericoloso non solo per l’ambiente ma
anche per l’uomo, il problema non è stato adeguatamente considerato; infatti, i dispositivi di
monitoraggio erano rudimentali e la raccolta di dati limitata. Inoltre, gli interessi economici nei
campi dell’industria e dell’agricoltura hanno ostacolato l’uso di nuove tecnologie per il ripristino
ambientale. Kovacs (1986) descrive l’inquinamento dei fiumi come un problema ambientale dovuto
non solo agli scarichi industriali inquinanti e ai riversamenti accidentali, ma anche a tutte le sorgenti
non puntiformi d’inquinamento come l’urbanizzazione, la deforestazione, l’erosione e l’agricoltura
intensiva.
Non appena
tecnologia,
l’economia
dei
servizi
nei campi
finanziari,
dell’alta
delle
telecomunicazioni, dell’industria ricreativa e del
turismo è diventata di maggior interesse rispetto a
quella dell’agricoltura e dell’industria tradizionale,
i principali inquinanti hanno cominciato a perdere
molto del loro impatto e ad essere sostituiti da altri.
Contemporaneamente,
in
tutto
il
mondo,
i
movimenti ambientalisti sono diventati una forza
politica sempre più potente. Gli articoli scientifici, che hanno mostrato i pericoli dovuti
all’inquinamento delle acque, hanno suscitato una forte preoccupazione a livello pubblico; questo è
stato di rilevante importanza per evidenziare la necessità di applicare misure anti-inquinamento per
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Introduzione
la tutela dei fiumi. Il risultato di queste considerazioni è stato la messa a punto di sistemi più
sofisticati per studiare l’entità dell’inquinamento e le cause che l’hanno determinato.
La sensibilità per l’inquinamento si è dimostrata più sentita nelle società postindustriali altamente
sviluppate dove le misure anti-inquinamento abbracciano non solo il monitoraggio, ma anche
l’inizio di una politica di sostenibilità.
I riversamenti di oli e di sostanze chimiche, le conseguenti morie di pesci, gli effetti devastanti della
siccità e delle inondazioni hanno influenzato notevolmente il rifornimento d’acqua. L’opinione
pubblica, stimolata dai mass-media e dalle notizie riguardanti i disastri ecologici, ha suscitato una
presa di coscienza da parte dei Governi. Il livello economico degli USA, dell’Europa e del
Giappone, consente ai Governi di finanziare progetti per il controllo e il ripristino della qualità
dell’acqua nei propri bacini e in quelli dei paesi confinanti. Le agenzie regionali e le istituzioni
internazionali forniscono supporti per progetti nei paesi più poveri.
1.4 FONTI DI INQUINAMENTO DA METALLI PESANTI
L'agricoltura: le trasformazioni più importanti dell’agricoltura europea si sono verificate a partire
dal Settecento, e sono culminate nel corso degli ultimi 100 anni con l’impiego di sostanze
concimanti chimiche, di fertilizzanti, di macchinari per dissodare e proteggere le terre dall’erosione.
Molte sostanze di natura organica e inorganica sono utilizzate e riversate direttamente, o
indirettamente attraverso il terreno, nei corsi d'acqua.
Si sono verificati numerosi problemi dovuti all’inquinamento dei fiumi, soprattutto nei paesi dove
l’agricoltura e l’allevamento sono intensivi, tra cui l’Inghilterra, l’Olanda, la Germania e l’Italia con
particolare riferimento alla pianura Padana.
L'attività industriale: le industrie di base che caratterizzano i paesi industrialmente più sviluppati,
sono quelle energetica, estrattiva, siderurgica e chimica che favoriscono lo sviluppo d’industrie
come la metallurgica, la meccanica, la cementiera, la petrolchimica, la cartaria, la cantieristica,
l’elettrica e l’elettronica, quella delle materie plastiche, delle fibre sintetiche, di materiali da
costruzione, dei mezzi di trasporto, la farmaceutica e molte altre. Questi tipi d’industrie favoriscono
le immissioni di sostanze nocive nell’ambiente acquatico, in particolare metalli pesanti o sostanze
organiche non biodegradabili.
L’urbanizzazione: le città, in seguito all’industrializzazione, sono diventate il centro del sistema
economico,
richiamando
buona
parte
della
popolazione
e
dando
vita
al
fenomeno
dell’urbanizzazione.
Questo processo ha cambiato radicalmente non solo le dimensioni della città, ma, soprattutto, le
funzioni e l’aspetto degli spazi urbani che sono diventati il simbolo della civiltà contemporanea.
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Introduzione
Questo fenomeno assume grande importanza quando occorre valutare l’inquinamento, poiché la
popolazione contribuisce ad immettere sostanze nocive, inorganiche ed organiche, nell’ambiente,
non solo con le attività agricole e industriali, ma anche con quelle domestiche.
Il recupero ambientale dei fiumi è considerato un obiettivo importante per la salute dell’uomo e per
il recupero delle attività ricreative.
1.5 BIOMARCATORI
La volontà di sviluppare metodi di biomonitoraggio più efficaci e rapidi rispetto ai tradizionali test
di mortalità e riproduzione e la recente evoluzione delle tecniche di biologia molecolare, ha portato
la ricerca verso lo studio di nuovi indicatori biologici: i biomarcatori. In accordo con van Gestel e
van Brummelen (1996), un biomarcatore è definito come “ogni risposta biologica ad un prodotto
ambientale, ritrovata ad un livello biologico inferiore a quello dell’individuo. Questa risposta deve
essere misurata in un organismo o il suo prodotto e ne indica un cambiamento rispetto allo stato
normale. Questa risposta non deve essere trovata in un organismo sano”. Un biomarcatore
rappresenta quindi un indice dell’impatto o della presenza di uno xenobiota nell’organismo e si
manifesta attraverso specifici cambiamenti molecolari, biochimici, fisiologici, istologici e
morfologici nella popolazione animale e vegetale.
1.5.1 Definizione di biomarcatore
La National Academy of Science statunitense definisce biomarcatore “quella variazione, indotta da
un contaminante, a livello delle componenti biochimiche o cellulari, che può essere misurata in un
sistema biologico”.
Il concetto si è evoluto e oggi il biomarcatore può essere definito come “la variazione di una risposta
biologica (biochimica, molecolare, cellulare, fisiologica o comportamentale) che può essere
correlata all’esposizione e/o all’effetto tossico di composti inquinanti” (Peakal et al., 1994). Esso
può includere ogni tipo di parametro misurabile nei fluidi biologici, in cellule, tessuti o animali, che
riflette un’interazione tra un sistema biologico ed un potenziale insulto chimico, fisico, biologico.
E’ impossibile monitorare tutti i contaminanti di origine antropogenica e naturale che possono
rappresentare un potenziale pericolo per l’ambiente. Un metodo utile per valutare l’inquinamento
dell'ambiente acquatico consiste nell'esame di risposte biochimiche che riflettono gli effetti dei
contaminanti sugli organismi esposti a tali sostanze (McCarty e Shugart, 1990). L’idea di utilizzare i
biomarcatori nel settore delle indagini ecotossicologiche è nata negli anni ’70 con ricerche in
ambiente marino e negli ultimi decenni ha trovato applicazione anche in altre differenti situazioni
ambientali.
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Introduzione
1.5.2 Classificazione dei biomarcatori
I biomarcatori possono essere suddivisi in tre classi:
- biomarcatore d’esposizione: la risposta di un organismo che indica l’esposizione a un composto
chimico o a una classe di composti, ma che non fornisce nessuna indicazione dei reali effetti
tossicologici sull’organismo.
- biomarcatore d’effetto: è una modificazione biochimica o fisiologica, misurabile in un tessuto o in
un fluido corporeo, associata ad un possibile o effettivo stato di malattia.
- biomarcatore di suscettibilità: si riferisce all’innata o all'acquisita capacità di un organismo a
rispondere ad una specifica sostanza xenobiotica.
I biomarcatori di esposizione rivelano la presenza di xenobiotici o dei loro metaboliti quindi
possono essere utilizzati per confermare o stimare l’esposizione di individui o popolazioni ad una
particolare sostanza, fornendo un legame tra esposizione esterna e dose interna.
I biomarcatori d’effetto valutano la risposta dell’organismo e possono essere utilizzati per
documentare effetti avversi dovuti all’esposizione e all’assorbimento di una sostanza chimica.
Generalmente i biomarcatori d’effetto più sensibili sono rappresentati da alterazioni nei livelli e
nell’attività degli enzimi di biotrasformazione che nei pesci possono essere indotti o inibiti
dall’esposizione a xenobiotici (Bucheli et al., 1995). Infatti, parallelamente all’effetto negativo della
sostanza tossica, nell’organismo esposto si sviluppano delle risposte adattative che tendono a
riportare il sistema ad uno stato di omeostasi. In particolare le risposte a livello molecolare tendono
a diminuire l’effetto tossico del composto inquinante, grazie all’induzione di sistemi multienzimatici
o di proteine di legame, come le metallotioneine.
In base alla loro specificità di risposta nei confronti di composti inquinanti, i biomarcatori possono
essere specifici oppure generali.
I biomarcatori specifici rappresentano l’insieme delle risposte molecolari e biochimiche che si
realizzano in seguito all’esposizione ad una specifica classe di contaminanti (es. l’induzione delle
metallotioneine da parte dei metalli e l’inibizione della colinesterasi dovuta all’azione specifica di
alcuni pesticidi) e che permettono in questo modo di risalire al responsabile della contaminazione e
in pochi casi ad uno specifico contaminante.
I biomarcatori generali rappresentano risposte dell’organismo a livello molecolare, cellulare e
fisiologico che non possono essere ricondotte ad un inquinante in particolare, ma rappresentano uno
stato generale di stress dell’organismo (es. danni al DNA).
I biomarcatori molecolari forniscono informazioni circa le risposte degli organismi a livelli di
organizzazione biologica molto bassi, offrendo quindi la possibilità di ottenere indicazioni
tempestive e sensibili dell’influenza dei tossici su tali sistemi. Inoltre questi biomarcatori hanno un
ruolo importante anche nel controllo e nella valutazione dell’efficacia dei mezzi di recupero
ambientale poiché facilmente misurabili in diverse specie durante le fasi di bonifica.
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Introduzione
1.5.3 Biomarcatori come integrazione ai metodi di analisi classiche nel monitoraggio
della qualità delle acque
Il crescente inquinamento dell’ambiente acquatico rappresenta oggi una grave minaccia per gli
organismi acquatici. Per questo motivo il monitoraggio continuo è essenziale per valutare la qualità
delle acque e per mettere a punto delle strategie mirate alla conservazione ed al ripristino
dell’ecosistema.
I contaminanti organici sono caratterizzati da un’elevata persistenza, quindi, anche se presenti a
basse concentrazioni, tendono ad accumularsi e a concentrarsi lungo la catena alimentare nell’arco
degli anni successivi (Stegeman et al., 1994).
Questa osservazione suggerisce che i metodi di monitoraggio chimici che forniscono dati puntiformi
sullo stato di salute dell’acqua (Stegeman et al., 1994) devono essere integrati con metodi biologici
di biomonitoraggio che consentono un controllo continuo nel tempo. L’applicazione della chimica
ambientale classica permette la definizione dei livelli di inquinamento e di bioaccumulo dei
contaminanti più conosciuti, mentre l’utilizzo dei biomarcatori permette di valutare l’esposizione a
livelli di contaminazione superiori alle nomali capacità di compensazione e riparazione
dell’organismo (Viganò et al., 1998; Fossi, 1991). Tutto questo ha lo scopo di individuare le risposte
di adattamento degli organismi esposti, per evitare che avvengano cambiamenti strutturali, che
compaiano malattie o che si verifichino migrazioni della popolazione.
I biomarcatori sono particolarmente utili anche per studiare livelli di inquinamento negli ecosistemi
sottoposti a una miscela di composti ignoti, o parzialmente noti, tipica dell'ambiente acquatico.
Essi forniscono una misura dello stress in corso nell’organismo e una risposta immediata
all’esposizione del tossico, prima del verificarsi di effetti deleteri.
La valutazione degli effetti degli inquinanti sulle comunità naturali è un problema di difficile
soluzione per vari motivi:
- esistono diverse possibili vie di assunzione nell’organismo, anche in funzione dei diversi ecosistemi
(terrestri o acquatici);
- gli inquinanti presentano una diversa biodisponibilità secondo i comparti ambientali in cui si
trovano;
- gli organismi sono generalmente esposti ad una miscela di sostanze che possono generare diverse
interazioni biochimiche e tossicologiche;
- esiste un periodo di latenza, che può essere molto lungo, prima che si manifestano alterazioni a
livello di comunità.
Le correnti metodologie di indagine, quali ad esempio le analisi di chimica ambientale e i saggi di
tossicologia classica, risultano in molti casi inadeguate allo studio di problemi di tale complessità.
L’applicazione dei biomarcatori nei programmi di biomonitoraggio risolve totalmente o in parte le
limitazioni indicate sopra.
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Introduzione
I principali vantaggi legati all’utilizzo dei biomarcatori sono:
- un’elevata sensibilità alle sostanze lipofile nocive;
- una risposta integrata dell’esposizione della specie scelta come bioindicatore, tenendo conto, entro
un determinato ambito spaziale, sia delle diverse vie di assunzione sia delle esposizioni nel tempo;
- una risposta integrata dell’insieme delle interazioni tossicologiche della miscela di composti alla
quale è sottoposto l’organismo;
- una risposta immediata all’esposizione al tossico che può essere impiegata per prevederne gli effetti
a lungo termine.
Per questi motivi i biomarcatori permettono di contribuire efficacemente alla risoluzione di
problemi dovuti al bioaccumulo.
I principali limiti sono:
-
la relazione dose-effetto è spesso di difficile interpretazione a causa dei fattori mascheranti od
inibitori che possono interferire con l’induzione del biomarcatore;
-
spesso possono risentire di alcuni fattori di disturbo, come eccessivi scarichi industriali, che
modificano le reazioni enzimatiche in funzione dello stato ormonale, dell’età e del sesso
dell’organismo.
In questi casi le risposte biochimiche possono subire alterazioni di tipo inibitorio che modificano i
dati ottenuti dalle analisi.
1.5.4 Progettazione di protocolli del biomonitoraggio
Recentemente è stata sottolineata la grande importanza della programmazione di protocolli di
monitoraggio biologico basati sui biomarcatori. Lo studio di tali protocolli, per monitorare la qualità
dell'acqua dei fiumi europei a maggior rischio di inquinamento, costituisce il tema principale di
questa tesi. In un protocollo di monitoraggio è indispensabile considerare le caratteristiche dei
biomarcatori come la sensibilità, la correlazione tra contaminante e risposta, la specificità della
risposta stessa, la facilità di misurazione e i costi economici. Devono poi essere presi in
considerazione alcuni parametri ambientali come un'area contaminata e una di controllo
caratterizzata da una buona qualità ecologica, basandosi su precedenti analisi chimico-fisiche
effettuate sulle componenti abiotiche. E’ necessario definire, per ogni campionamento, la
periodicità, il numero di campioni statisticamente sufficienti, i metodi di campionamento più
affidabili e paragonabili nelle aree di interesse. Devono infine essere selezionati i bioindicatori ed i
biomarcatori di esposizione e di effetto più sensibili ai parametri da valutare.
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Introduzione
1.5.5 Il pesce come biondicatore
I pesci sono organismi particolarmente esposti alle acque inquinate dei fiumi e sono in grado di
accumulare le sostanze nocive nei loro tessuti adiposi a causa della natura lipidica delle loro
membrane. La risposta dei sistemi enzimatici di biotrasformazione dei pesci esposti a condizioni di
inquinamento è conosciuta e le tecniche in proposito sono state standardizzate. L’induzione di
mono-ossigenasi nei pesci rappresenta un efficace biomarcatore per i contaminanti presenti
nell’ambiente acquatico.
Queste osservazioni suggeriscono che i pesci possono essere utilizzati come strumenti di
bioaccumulo per identificare rapidamente le aree inquinate. I dati che si ottengono da questi tipi di
analisi possono permettere di valutare non solo il rischio ecologico, ma anche quello umano.
Come bioindicatore negli studi di monitoraggio è stato scelto il pesce con particolare riferimento al
cavedano, all’abramide comune e alla carpa. La scelta del pesce è dovuta al fatto che si tratta di un
indicatore primario dello stato di salute ecologico; infatti appartiene all’apice della piramide trofica.
L’utilizzo di specie selvatiche nei programmi di screening degli agenti inquinanti è limitato dalla
natura mobile dei pesci. Tali limitazioni possono essere eliminate utilizzando pesci di allevamento
portati nei siti di monitoraggio.
I biomarcatori utilizzati appartengono all’ordine dei Cipriniformi comprendente numerose specie di
pesci, che vivono essenzialmente in acque dolci.
Si distinguono tre gruppi minori, interpretabili come sottordini: Characoidei, Gymnotoidei,
Cyprinoidei. Solo il terzo di questi annovera rappresentanti nella fauna europea. Si conoscono circa
250 generi e 2500 specie. La fauna europea include due famiglie: Cyprinidae, Cobitidae.
I Ciprinidi sono forse la famiglia di pesci più numerosa. Notevole è la varietà dei caratteri ecoetologici. Alcuni Ciprinidi sono bentonici, altri nectonici, alcuni preferiscono le acque correnti, altri
ancora le acque ferme o a lento corso. Il regime alimentare è per lo più onnivoro. I Ciprinidi
presentano una rilevante importanza pratica: molti di essi sono commestibili, anche se di solito sono
poco pregiati.
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Introduzione
1.5.6 Aree oggetto di studio
Il lavoro di biomonitoraggio è stato svolto nel fiume Lambro e nel fiume Amstel. Questi due fiumi
sono stati scelti perché particolarmente rappresentativi per quanto riguarda l’alterazione dei
parametri ambientali dovuta ad immissione di contaminanti di tipo industriale ed agricolo.
Per ogni fiume sono stati individuati determinati siti a seconda delle condizioni ecologiche del
fiume stesso. In particolare sono stati scelti tre siti per ogni fiume: uno di riferimento (non
inquinato), uno inquinato e uno con livelli di inquinamento intermedi. Le specie oggetto di analisi
sono state selezionate in funzione della situazione contingente.
Per il biomonitoraggio delle acque del fiume Lambro è stato utilizzato come bioindicatore il
Leuciscus cephalus (cavedano comune) in quanto questa specie è
ben rappresentata nel tratto di fiume scelto come area di studio.
Al fine di rilevare le variazioni dei livelli degli xenobiotici e le più
importanti caratteristiche del cavedano comune nei diversi siti e nei
diversi periodi, sono state effettuate cinque campagne di
biomonitoraggio.
Nelle prime tre campagne sono stati monitorati tre siti:
- Merone
sito pulito
- Canonica
sito ad inquinamento intermedio
- Brugherio
sito inquinato
Merone è stato scelto come sito di riferimento perché la sua posizione più a monte permette di avere
una migliore qualità delle acque. La scelta degli altri due siti è stata fatta sulla base di dati storici e
su conoscenze inerenti all’urbanizzazione e all’industrializzazione di queste aree. La scelta dei siti è
stata obbligata dal fatto che oltre il limite di Brugherio vi è un cambiamento repentino della qualità
dell’acqua che rende impossibile il reperimento dei pesci; mentre nei siti più puliti a monte di
Merone non sono disponibili Ciprinidi, ma solo Salmonidi. La possibilità di un biomonitoraggio
basato sui biomarcatori in questi siti è quindi da escludere.
Sulla base dei dati ottenuti con i parametri biologici classici, le analisi chimiche e i dati sui
biomarcatori delle prime campagne di monitoraggio, si è concluso che la qualità dell’acqua nel sito
di riferimento non era ottimale e che la situazione dei siti di Canonica e Brugherio era molto simile
e per questo motivo si è pensato, per gli esperimenti in gabbia, di ridurre a due i siti di
biomonitoraggio: Merone e Brugherio.
Per il biomonitoraggio dei fiumi olandesi e tedeschi sono stati scelti
come bioindicatori l’Abramis brama (abramide), prelevato dal fiume
allo stato libero, e il Cyprinus carpio (carpa) mantenuto in gabbia nei
siti oggetto di studio.
12
Introduzione
La scelta dei siti è stata fatta sulla base dei diversi tipi di
inquinanti che si riversano nelle acque del fiume. Molte
informazioni in questo senso sono state ottenute tramite
le indagini sulla macrofauna che fornisce soprattutto dati
sulla variabilità delle specie e degli habitat.
1.6 METALLI PESANTI E ORGANISMI ACQUATICI
I metalli pesanti sono elementi con densità superiore a 5 g/cm3, che sono presenti nei tessuti in
concentrazioni di “tracce”; in relazione alla loro azione possono essere distinti in essenziali, non
essenziali e tossici. La classificazione è spesso ambigua poiché anche un elemento essenziale può
essere tossico se supera certe concentrazioni o se si hanno alterazioni dei meccanismi omeostatici.
Alcuni metalli pesanti considerati soltanto per la loro nocività sono comunque sospettati di svolgere
anche un ruolo biologico. I metalli pesanti essenziali comprendono in particolare lo zinco e il rame
quali importanti cofattori di metallo-enzimi, mentre cadmio, mercurio e piombo sono noti
soprattutto per la loro tossicità.
Sono ancora scarsi gli studi sui meccanismi di assorbimento di metalli presenti in tessuti di pesci e
molluschi.
Gli animali acquatici sono naturalmente esposti a varietà di metalli le cui forme chimiche e
concentrazioni sono governate da processi geochimici naturali e da attività antropogeniche. Questi
metalli includono sia gli elementi essenziali richiesti per supportare i processi biologici, sia i metalli
non essenziali con funzioni biologiche non note. I metalli come lo zinco, il rame, il cadmio, il
mercurio, l’argento, il nichel ed il cobalto sono presenti nell’ambiente in quantità generalmente
bassa, essendo sequestrati maggiormente nei sedimenti e nei giacimenti minerari, ma per effetto
antropico possono essere accumulati nei tessuti degli organismi viventi. La tossicità dei metalli può
essere attribuita alla loro disfunzione e all’interazione con strutture cellulari inappropriate.
Una volta entrati nell’organismo, i metalli sono generalmente tossici se si trovano nella cellula in
forma libera. Essi non subiscono biotrasformazione e la tolleranza biologica nei loro confronti non
può essere realizzata, come nel caso delle sostanze organiche, da processi di demolizione in prodotti
meno tossici. Pertanto la loro omeostasi è correlata a meccanismi molecolari adibiti al trasporto ed
al deposito di metalli in forma non tossica. Questi meccanismi sono rappresentati dalle
metallotioneine (MT), proteine a basso peso molecolare in grado di fornire complessi con i metalli
pesanti. Le MT sono particolarmente abbondanti nei tessuti parenchimatosi (fegato e rene) e sono
presenti anche in altri tipi di tessuti e tipi cellulari .
13
Introduzione
1.6.1 Regolazione dei metalli
L’ambiente acquatico a differenza di quello terrestre è caratterizzato da una grande variabilità di
parametri chimici e fisici. All’interno degli organismi marini, il mantenimento dell’omeostasi
cellulare è fondamentale. In particolare gli organismi acquatici devono mantenere una
concentrazione ionica intracellulare costante e compatibile con i processi biochimici e fisiologici,
pur vivendo immersi in un mezzo le cui caratteristiche ioniche e spesso osmotiche possono risultare
abbastanza diverse.
I metalli pesanti possono essere disciolti nell’ambiente acquoso o presentarsi adsorbiti su materiale
articolato e possono essere assorbiti dalle branchie e/o dal canale digerente. L’iniziale assorbimento
sulla superficie cellulare è seguito dal successivo trasporto attraverso la membrana plasmatica. I
metalli, una volta all’interno della cellula, possono legarsi a specifiche proteine citosoliche ed essere
accumulati come metalloproteine.
Gli sforzi per individuare il modello generale di risposta ai metalli negli animali acquatici sono
complicati dall’ampia diversità delle specie.
Oggi è di particolare interesse il monitoraggio attraverso bioindicatori. Esistono organismi modello,
come la trota, che possono essere impiegati come indicatori dell’inquinamento da metalli pesanti
rispettivamente negli ecosistemi terrestri e di acqua dolce (Morris, 1999).
Molto interessanti per lo studio dei meccanismi coinvolti nella detossificazione risultano non solo le
specie che vivono in ambienti fortemente inquinati, ma anche quelli sottoposti a un minimo livello
di contaminanti.
Esterno
Acqua
Cibo
Branchie
Intestino
Fegato
Sangue/emolinfa
Reni
Interno
Schema generale per l’assorbimento, traslocazione, accumulo e rilascio dei metalli in animali acquatici.
14
Introduzione
Una volta assorbiti attraverso le barriere epiteliali delle branchie o i sistemi digestivi, i metalli sono
distribuiti all’interno degli organi e sono rilasciati dagli organismi attraverso meccanismi di
escrezione (Roesijadi, 1992).
Le branchie, il tratto digestivo e la superficie epiteliale rappresentano i siti di assorbimento dei
metalli, che attraverso il sangue e l’emolinfa sono successivamente trasportati agli organi interni per
l’utilizzazione, il deposito e il rilascio.
La speciazione chimica dei metalli nei sistemi acquatici è dipendente da specifici fattori chimicofisici che prevalgono in un ambiente. Fattori come la salinità, composti organici dissolti, pH,
durezza, e carico sedimentario influenzano le forme chimiche prevalenti di metalli nei sistemi
acquatici e influenzano la biodisponibilità dei metalli e la loro tossicità.
Forme di particolato includono quelle assorbite minerali sospesi e particelle organiche. Le forme
chimiche solubili includono semplici ioni metallici di animali acquatici, complessi ioni metallici
con legandi organici come ammine, acido fulvico, acido umico.
Perciò, l’effettiva esposizione di individui non è determinata dalla concentrazione totale del metallo
in un particolare ambiente, ma dalle concentrazioni delle forme chimiche individuali. Queste non
sono ugualmente biodisponibili e gli effetti di una singola specie di metallo possono avere
importanza maggiore chiarendo la risposta biologica rispetto alla concentrazione totale del metallo.
I metalli legati alle particelle sono spesso ingeriti dagli organismi acquatici in associazione con il
cibo. Il tratto digestivo degli invertebrati generalmente manca di condizioni fortemente acide che
aiutano a solubilizzare metalli in condizioni extracellulari. L’endocitosi di particelle di cibo e la
digestione attraverso i lisosomi giocano un ruolo importante nella trasformazione delle particelle
metallo-associate e i metalli possono essere solubilizzati dall’attività lisosomale.
Ci si potrebbe aspettare che i metalli dissolti siano assorbiti attraverso le superfici del corpo
esposte, come le branchie. I metalli particolati sono più comunemente ingeriti e quindi assorbiti
dopo solubilizzazione nell’intestino. Possono anche essere fagocitati e solubilizzati in vesciche
fagocitotiche in vescicole endocitotiche. E’ noto che l’endocitosi è usata dagli invertebrati per
l’assorbimento di materiali dall’ambiente (McLusky et al., 1978).
Le cellule digestive di molti invertebrati sono in grado di effettuare la fagocitosi e la digestione
intracellulare di particelle di cibo. Inoltre, anche gli organi esterni, come le branchie, sono in grado
di fagocitare le particelle dell’ambiente. I metalli associati con particelle possono essere accumulati
attraverso meccanismi endocitotici in varie specie di invertebrati (McLusky et al.,1978).
15
Introduzione
L’assorbimento dei metalli negli animali acquatici implica il trasferimento dei metalli al sistema
circolatorio attraverso le branchie, il sistema digestivo o la superficie epiteliale. Questo
trasferimento lungo le cellule epiteliali include tre elementi basilari:
- l’assorbimento attraverso la membrane apicale, l’interfaccia con l’ambiente esterno
- il movimento attraverso le cellule e l’interazione con i ligandi intracellulari
- l’efflusso attraverso la membrana basolaterale, l’interfaccia del sistema circolatorio (Verbost et al.,
1989).
Gli organi deputati all’assorbimento (branchie, intestino, ghiandole digestive) tendono inoltre a
concentrare i metalli e perciò presentano un potenziale relativamente alto per il bioaccumulo.
Di particolare interesse sono le strategie di disintossicazione messe in atto dagli organismi acquatici
per neutralizzare concentrazioni troppo elevate di metalli pesanti: un meccanismo comune prevede
la produzione di granuli contenenti elevate quantità di questi elementi in forma insolubile, quindi
meno dannosa, e la loro escrezione nelle urine quando gli organismi sono dotati di reni ben
sviluppati. Un ruolo fondamentale nella disintossicazione è quello attribuito alla metallotioneina,
una proteina a basso peso molecolare ricca di cisterna, ubiquitaria nel mondo animale, in grado di
complessare sette ioni di metallo bivalente per molecola. L’espressione delle MT è indotta in
seguito all’esposizione dell’organismo ad elevate concentrazioni di metalli pesanti e costituisce una
difesa rapida ed efficiente da parte degli organismi viventi all’esposizione indesiderata ai metalli
tossici come il cadmio. La sintesi della metallotioneina può essere indotta non soltanto dai metalli
pesanti, ma anche in risposta a stimoli quali il digiuno, stress fisici ed infiammatori, infezioni,
endotossine, glucocorticoidi, raggi X.
Il fatto che la metallotioneina sia influenzata dallo stato fisiologico complessivo dell’organismo
depone a favore dell’idea che la vuole protagonista di una funzione regolatrice più generale della
semplice disintossicazione da metalli pesanti. In circa 80 specie di pesci ed invertebrati acquatici
sono state isolate proteine con le caratteristiche tipiche della metallotioneina, tuttavia tra queste solo
per poche specie si è giunti a un livello strutturale. Gli organi eletti per la sintesi della
metallotioneina sono i reni, le branchie ed il fegato. Poiché esiste una forte correlazione fra
l’esposizione a metalli pesanti, il loro accumulo e l’induzione di metallotioneina, questa proteina è
stata proposta come un utile biomarcatore per studi di ecotossicologia degli animali acquatici al fine
di comprendere il grado di esposizione di questi organismi ai metalli pesanti nel loro ambiente
naturale (Carpenè et al., 1995).
I pesci d’acqua dolce, come i teleostei, hanno una salinità nei fluidi corporei maggiore rispetto a
quella dell’ambiente (iperosmotici) e tendono ad assumere acqua dalle branchie per osmosi e ad
eliminarla in grande quantità attraverso l’urina, mentre le cellule situate nelle branchie assorbono i
sali disciolti nell’acqua. I teleostei di acqua salata presentano una salinità nei fluidi minore rispetto
a quella dell’ambiente (ipoosmotici) e tendono a perdere acqua per osmosi attraverso un trasporto
16
Introduzione
attivo di ioni che ha luogo in complessi sistemi cellulari e paracellulari. La diversa morfologia
dell’epitelio branchiale orienta nei pesci d’acqua dolce un flusso netto di NaCl verso l’interno, e in
quelli d’acqua salata verso l’esterno. L’epitelio svolge quindi un ruolo fondamentale nei processi di
regolazione iono-osmotica dei teleostei. L’enzima chiave in questi processi è la (Na+, K+)-ATPasi,
considerata una vera e propria pompa ionica, che trasporta contro gradiente di concentrazione fuori
dalla cellula 3 ioni Na+ e all’interno 2 ioni K+ con idrolisi di una molecola di ATP.
Nei pesci d’acqua salata l’attività dell’enzima nelle branchie è più elevata rispetto ai pesci d’acqua
dolce. Tra le strategie adottate per raggiungere l’omeostasi ionica ed osmotica le ATPasi attivate da
cationi monovalenti sembrano rappresentare il fulcro comune. Infatti nei tessuti osmoregolatori
(branchie, reni, intestino) di varie specie eurialine (Ventrella et al., 1993), le attività enzimatiche e
una seconda ATPasi sono state individuate nella frazione esterna, il plasmalemma. Spesso in tessuti
della stessa specie sono state rilevate attività diverse delle due ATPasi come pure differenti rapporti
reciproci. Il coinvolgimento e la regolazione ionica ed osmotica suggerisce che le due attività
enzimatiche abbiano compiti distinti e/o complementari nei processi di regolazione ionica-osmotica
degli animali acquatici in dipendenza della specie e del tessuto considerato e della salinità
ambientale.
ACQUA DOLCE
diffusione attraverso la pelle
ACQUA SALATA
trasporto attivo
diffusione attraverso la pelle
secrezione
acqua di
mare
cibo
cibo
urina concentrata
urina diluita
diffusione attraverso le branchie
ioni
diffusione attraverso le branchie
acqua
Osmoregolazione in un pesce marino e in un pesce di acqua dolce
17
Introduzione
1.6.2 Metabolismo dello zinco e del rame nei teleostei
Nonostante il metabolismo di questi elementi sia stato estesamente studiato nei mammiferi, si è
lontani da una completa comprensione dei processi molecolari coinvolti nelle strutture zinco e rame
dipendenti, soprattutto per gli organismi acquatici. Negli animali acquatici rispetto a quelli terrestri
vi è un ulteriore complicazione in quanto parte dei metalli può venire assorbito attraverso le
branchie. A tal riguardo risulta difficile dosare la concentrazione del metallo nell’acqua, in
particolare in quella di mare, conoscerne la speciazione e i meccanismi di trasporto che spesso
dipendono dalla specie chimica. Fattori come il pH, la concentrazione del calcio e la salinità
dell’acqua di mare, la temperatura e l’ossigeno disciolto sono i principali parametri che ne
influenzano l’assorbimento. Si può ipotizzare la presenza di un trasporto attivo per certe forme
ioniche, mentre dei metallocomplessi apolari potrebbero facilitare la diffusione dell’elemento
attraverso la membrana cellulare (Simkiss, 1983). Il calcio sembra modificare i flussi di entrata
dello zinco attraverso le branchie alterando la loro permeabilità. Nella trota (Salmo trutta) il
trasporto dello zinco a livello delle branchie ha un andamento bifasico sia in acque dure che in
acque prive di calcio (Everall et al., 1989), con una prima fase rapida di circa 12 ore ed un più lenta
di 36 ore. Dati sulla cinetica di assorbimento indicano che il trasporto è collegato a fenomeni di
saturazione dovuti o a leganti o a “pori” selettivi, i dati a disposizione non permettono di stabilire
quale dei due meccanismi sia più probabile (Spry e Wood, 1988). Attraverso l’apparato digerente
vengono assorbiti sia i metalli presenti nella fase acquosa che quelli nella fase solida costituita
principalmente dalla dieta. Soltanto una parte dello zinco e del rame presente nell’alimento può
essere assimilata, e nuovamente è la specie chimica sotto cui questi elementi vengono somministrati
che determina le quote di metallo che attraverseranno la mucosa gastrointestinale. La
concentrazione di zinco nella dieta può a sua volta influenzare la digeribilità delle proteine: in trote
alimentate con mangime contenente 5 ppm di zinco la digeribilità saliva dal 66% al 98%. La carenza
di zinco probabilmente provoca una inibizione delle proteasi quali la carbossipeptidasi che è un
metalloenzima contenente zinco (Ogino e Yang, 1978).
La crescita di trote (Salmo gairdneri) raggiunge un livello stazionario quando vengono aggiunti 20
ppm di zinco nell’alimento, con rese che dipendono dalla specie chimica: Zn-SO4 - Zn NO3 - ZnCl2
(Satoh et al., 1987). I dati sulla capacità di accumulo di Zn nei diversi tessuti sono controversi,
comunque in alcuni teleostei i meccanismi omeostatici devono essere molto efficienti se Ovemell et
al. (1988) non hanno visto alcun effetto sul metabolismo dello zinco nel rombo alimentato anche
con dosi elevate di metallo. La presenza di acido fitico e fosfato tricalcico può ridurre notevolmente
la biodisponibilità dello zinco che deve essere aggiunto in eccesso. È evidente che il contenuto di
metalli nei tessuti è legato anche alla quota di elemento che viene escreto attraverso le branchie,
l’urina, la bile e l’apparato digerente. Quando Gasterosteus aculeatus viene trasferito da acque
ricche di zinco ad acque che ne sono prive, circa il 50% del metallo precedentemente assorbito viene
18
Introduzione
rilasciato nelle prime 4 ore. Con l’eliminazione dello zinco si osserva un contemporaneo ripristino
delle lesioni branchiali, determinate dall’esposizione a tale elemento (Mathiessen e Brafield, 1973).
Studi effettuati con radioisotopi dello zinco hanno evidenziato che la parte del metallo eliminata con
le urine è trascurabile mentre elevata è la quota di zinco che si trova nell’acqua interbranchiale.
Nelle feci, è stato trovato circa il 27% di tutto lo zinco somministrato con gli alimenti nonostante
l’alimento fosse stato completamente digerito, la percentuale trattenuta può essere compresa in
generale tra il 35% e il 59% (Hardy et al., 1987).
Il rene è uno dei tessuti più ricchi di zinco, ma il sospetto che tale fenomeno possa essere in qualche
modo legato ad una funzione escretoria sembra privo di fondamento. In carassi (Carassius auratus)
iniettati con zinco, è stato rilevato un aumento del metallo nel fegato mentre un aumento dello zinco
nella bile potrebbe indicare che questo organo è coinvolto nell’escrezione (Carpenè et al., 1989). In
carpe esposte al rame si è notato un aumento del metallo sia nelle branchie che nei visceri in
relazione alla sua concentrazione nell’acqua. Diversamente dallo zinco, non è stato evidenziato un
accumulo di rame quando dei pesci rossi venivano iniettati intraperitonealmente con questo
elemento (Carpenè et al., 1989). In Fundulus, l’assorbimento del rame attraverso le branchie cresce
con l’aumentare della salinità, anche se lo stress osmotico agisce in modo diverso dipendentemente
dall’età degli individui. In ambiente ipertonico è probabile che la quantità di rame che entra in
contatto con la mucosa intestinale aumenti e, di conseguenza, aumenti l’assorbimento del metallo
per diffusione passiva, attraverso il canale
alimentare (Bennett e Dooley, 1982). I
livelli
di
rame
plasmatico
possono
dipendere da quelli presenti nell’alimento
anche se in ricerche effettuate con trote
alimentate con dosi elevate di rame (oltre
500 ppm) non sono stati notati aumenti
significativi (Lanno et al., 1985). In altri
studi compiuti su Salmo gairdneri, sono
stati osservati ritmi di crescita analoghi, quando i pesci venivano nutriti con razioni contenenti
rispettivamente 15 e 150 ppm di rame (Knox et al., 1984). Nel pesce gatto (Ictalurus punctatus)
diete carenti di rame provocano la riduzione dell’attività della citocromo ossidasi e della
superossido dismutasi, due enzimi che contengono rame (Gatlin et al., 1986). Sia rame che zinco
possono provocare delle lesioni evidenziabili a livello istologico o molecolare che comunque
possono essere ridotte da periodi di esposizione a concentrazioni subacute. Non sembra che tra i due
metalli ci siano dei meccanismi di protezione vicendevoli indicando che l’adattamento è metallo
specifico (Dixon e Sprague, 1981). I teleostei hanno una discreta capacità di regolare la
concentrazione tissutale di rame attraverso l’escrezione a livello di diversi organi. Nella bile di trote
19
Introduzione
(Salmo gairdneri) alimentate con diete ricche di rame si nota un aumento del metallo, indice di
un’attiva partecipazione del fegato e della cistifellea nel metabolismo del rame (Knox et al.,1984);
rimane comunque importante il ruolo svolto dalle branchie. come è stato dimostrato da Anderson e
Spear (1980) in Lepomis gibbosus. Nelle anguille (Anguilla anguilla) l’adattamento alle variazioni
di salinità è preceduto da modificazioni nel contenuto delle cellule a cloruri; un fenomeno simile si
nota esponendo i pesci al rame. Sembra quindi che le cellule a cloruri non siano soltanto preposte
all’escrezione dei cloruri ma anche alla regolazione di metalli pesanti quali zinco e rame
(Matthiessen e Brafield, 1973). Le concentrazioni di zinco e rame non sono uniformi nei diversi
tessuti, indicando che le caratteristiche metaboliche del tessuto influenzano il contenuto in metalli
essenziali. Nell’ambito di uno stesso tessuto possono esserci delle variazioni significative di
elementi traccia. Il muscolo laterale dei teleostei ha una composizione caratteristica per tipo di fibre
muscolari (Carpenè et al., 1982) e può essere facilmente distinto in muscolo bianco e muscolo rosso,
quest’ultimo ha generalmente un contenuto superiore di rame forse legato ad un maggior contenuto
della citocromo ossidasi (Carpenè et al., 1990). Sempre nel muscolo dei pesci è stato riscontrato un
accrescimento per acquisizione di nuove fibre (Carpenè e Veggetti, 1981) che potrebbe influenzare
il profilo dello zinco che in questo organo gioca un ruolo fondamentale nella sintesi proteica; dati
preliminari ottenuti in esperimenti effettuati con il pescegatto (Ictalurus melas) sembrano
confermarlo. Infatti proprio nel periodo autunnale quando nel cefalo si osserva questo fenomeno, nel
pesce gatto si presenta un picco di zinco significativamente diverso dalle altre stagioni. Negli
animali eterotermi soggetti a cicli di crescita annuali lo zinco potrebbe funzionare da regolatore del
metabolismo in senso lato, attivandolo nei mesi caldi e inibendolo nel periodo invernale. Nell’uomo
con l’invecchiamento, la diminuzione dell’attività metabolica è collegata ad una diminuzione dello
zinco plasmatico. Ricerche effettuate su Pleuronectes platessa fanno ritenere che le concentrazioni
di zinco libero nel cervello potrebbero essere regolate da leganti specifici in accordo con
l’importanza della neurochimica di questo elemento (Prohaska, 1987) che sembra confermata dalla
presenza di zincoproteine nel cervello di mammiferi (Itoh et al., 1983). Alcuni risultati confermano
che nel cervello dei pesci questo metallo è mantenuto piuttosto costante e le concentrazioni sono
simili a quelle riportate per i mammiferi.
1.6.3 Metalli “tossici” (cadmio, mercurio, piombo) nei teleostei
Il metabolismo del cadmio è legato soprattutto a quello della metallotioneina che può essere
facilmente indotta nei tessuti parenchimatosi dei vertebrati. La tossicità del metallo varia molto da
specie a specie, il cadmio è a lungo termine accumulato nel rene che costituisce un organo bersaglio.
Nel pesce gatto le concentrazioni di metallo sono inversamente correlate al pH e al calcio dell’acqua
(Bentley P.J., 1991). L’assorbimento del cadmio attraverso il tratto digerente potrebbe essere
mediato da aminoacidi, come sembrano confermare dei risultati ottenuti nella carpa, Centropristis
20
Introduzione
striata (Fair e Stick, 1984). La facilità con cui questo elemento viene a localizzarsi nel rene e fegato
ha fatto rilevare alte concentrazioni in molte specie di organismi acquatici, pesci inclusi (Kay,
1985). Alcune caratteristiche chimiche del cadmio a volte “confondono” le strutture cellulari e
permettono che venga confuso con il calcio. Di conseguenza può interferire con il sistema
calcio/calmodulina dipendente, come è stato osservato in cellule (RTG-2) di Salmo gairdneri (Behra
e Gall, 1991). Nella carpa esposta al cadmio è stata osservata una conseguente diminuzione dello
zinco e dell’attività di metalloenzimi quali la fosfatasi alcalina (Ikeda et al., 1986). Quanto riportato
è sufficiente per indicare la pericolosità di questo elemento non soltanto per l’acquacoltura, ma
anche per la salute umana.
Il mercurio, diversamente dal cadmio, è stato oggetto di estese ricerche poiché è presente in
concentrazioni elevate nel muscolo e spesso come metilmercurio, che è alquanto neurotossico. È
considerato tra gli 11 elementi traccia più importanti quali inquinanti ambientali. Il mercurio
inorganico può indurre la sintesi di metallotioneina, ma nei pesci non sembra un buon induttore
(Barghigiani et al., 1989). Il metilmercurio attraversa facilmente le membrane cellulari inserendosi
nella frazione lipidica e alterando a livello del sistema nervoso centrale i meccanismi che regolano il
potenziale di membrana. L’accumulo del mercurio nei tessuti dei teleostei è spesso legato alle
dimensioni dell’animale. È evidente che una corretta legislazione, che regoli il contenuto di
mercurio nel pesci, deve tener conto di tutti questi aspetti metabolici. Purtroppo se sono ancora
carenti le conoscenze riguardanti il metabolismo di zinco, rame e cadmio, per il mercurio tale
osservazione è ancora più valida, poiché la maggior parte dei lavori si limitano a riportare soltanto le
concentrazioni tissutali di esemplari pescati mentre scarsi sono invece i dati sperimentali.
Concentrazioni letali di mercurio provocano delle alterazioni branchiali in Salmo gairdneri,
facilmente evidenziabili a livello istologico. Le lesioni subletali possono essere rivelate da
alterazioni di attività enzimatiche come riportato per Channa punctatus esposto a cloruro mercurico
(Sastry e Rao, 1982). Il selenio sembra svolgere un ruolo protettivo nei confronti del mercurio; è
quindi sempre interessante valutare oltre al contenuto di metallo tossico anche quello del selenio il
cui rapporto (Hg/Se) è comunque molto variabile (Ruiter, 1977).
Dei tre metalli tossici trattati (cadmio, mercurio e piombo) il piombo è senz’altro quello più diffuso
nell’ambiente a causa del suo ampio impiego da parte dell’uomo, in modo particolare come additivo
nei combustibili per i mezzi di trasporto. Il piombo è scarsamente solubile nell’acqua di mare,
si ritiene quindi che soltanto concentrazioni elevate siano dannose agli organismi acquatici;
Krajnovic Ozretic e Ozretic (1980) riportano comunque che cefali (Mugil auratus) esposti a 0,5
ppm di piombo presentano un continuo accumulo del metallo durante un periodo di 82 giorni;
inoltre si ha, dopo la seconda settimana, una inibizione del 40% della ALA-D (deidratasi dell’acido
delta aminolevulinico). Quando nitrato di piombo (0,5 ppm) viene aggiunto in acqua dolce, soltanto
21
Introduzione
una percentuale limitata (8%) si trova in forma ionica (0,04 ppm), comunque sufficiente a dare dei
fenomeni di accumulo come è stato dimostrato nel pesce rosso (Merlini e Pozzi, 1977).
E’ presente un’ampia letteratura che tratta le concentrazioni tissutali del metallo nei teleostei, ma
pochi sono i dati riguardanti il metabolismo.
1.6.4 Assorbimento epiteliale dei metalli dissolti
Le branchie (Roesijadi, et al.., 1989) e l’intestino (Schoenmakers et al., 1992) sono i siti
fondamentali per l’assorbimento dei metalli solubili negli ambienti acquatici. In alcuni invertebrati
anche la superficie corporea può essere un sito importante per l’assorbimento dei metalli solubili,
che non è basato sul trasporto attivo contro il gradiente di concentrazione.
Il rapido legame a ligandi intracellulari e l’efflusso di ioni metallici attraverso la membrana basolaterale (Schoenmakers et al., 1992) può diminuire il gradiente di concentrazione, e perciò la
necessità di meccanismi di trasporto attivo alla membrana apicale. La diffusione o il trasporto
facilitato sono le due modalità più probabili per l’assorbimento dei metalli solubili (Bobilya et al.,
1992). L’assorbimento dei metalli essenziali come Ca, Cu, Fe e Zn spesso coinvolge specifici
meccanismi; per esempio, i canali del Ca (Foulkes, 1989) e specifiche membrane trasportatrici per il
Fe e Cu (Percival et al., 1990) sono coinvolti nell’assorbimento di questi elementi. I metalli non
essenziali, importanti dal punto di vista tossicologico, come Cd e Hg, non sembrano avere
meccanismi di assorbimento specifici.
L’identificazione (Birkenmeier et.al, 1991) di proteine intestinali ricche in cisteina (CRIP) come
proteine trasportatrici di zinco nelle cellule epiteliali intestinali dei mammiferi (Hempe et al., 1992)
ha fatto nuova luce sui meccanismi intracellulari associati al trasporto transmurale dei metalli e
getta dubbi che la MT sia un trasportatrice intracellulare di metalli.
E’ stato proposto che CRIP lavori in associazione con la MT; questa può competere con CRIP in
virtù della sua induzione da parte dello Zn e della sua maggiore affinità per i metalli. Il legame dello
Zn alla MT tende a ridurre il legame a CRIP, ritardare il trasporto transmurale del metallo al sangue
ed aumentare la ritenzione del metallo nelle cellule intestinali. Queste osservazioni sono in linea con
un ruolo della MT nel sequestro dei metalli intracellulari piuttosto che nel trasporto dei metalli. Il
comportamento coordinato di CRIP e MT può regolare l’assorbimento dello zinco.
22
Introduzione
Esterno
Cellula epiteliale
Interno
membrana
basolaterale
membrana
basolaterale
Plasma proteina
CRIP
M-plasma proteina
M-CRIP
Modello per l’assorbimento dei metalli attraverso le branchie e le ghiandole digestive basate sul
comportamento di CRIP e MT durante l’assorbimento intestinale di Zn nei mammiferi. (M, metallo; ML,
complesso metallo-ligando non tioneinico; Th, apotioteina).
1.7 METALLOTIONEINE
Le metallotioneine (MTs) sono proteine a basso peso molecolare, solubili, ricche di gruppi
sulfidrilici, con una particolare sequenza amminoacidica, rappresentata da una distribuzione
caratteristica di residui cisteinici come Cis-X-Cis, Cis-Cis, Cis-XY-Cis, dove X e Y sono
amminoacidi diversi dalla cisteina (Kägi e Shaffer, 1988), che legano i metalli e svolgono la
funzione di regolazione dei metalli essenziali come Cu, Zn, e nella detossificazione di questi e di
metalli non essenziali come Cd e Hg (Roesijadi G.,1992).
La MT ha un’alta affinità e capacità di legame per i metalli pesanti
essenziali (Zn, Cu, etc) e non essenziali (Cd, Hg, Ag, etc.). Comunque,
la metallotioneina mostra diversa affinità per i cationi di metalli pesanti
(Viarengo, 1989). La MT non presenta elevata assorbanza a 280 nm, a
causa dell’assenza di amminoacidi aromatici, ma mostra tipica
asssorbanza per particolari interazioni di differenti cationi in metalli
tiolati (Cd=254 nm, Cu =272nm, Zn=212nm). Il ruolo delle MTs nel
sequestrare i metalli è ben noto e la loro induzione in seguito
all’esposizione ai metalli è associata alla protezione verso il metallo
tossico. Gli studi sulla regolazione dell’espressione genetica della
metallotioneina hanno stabilito che l’induzione da parte dei metalli è una risposta diretta
all’aumento della concentrazione intracellulare del metallo (Thiele, 1992).
La capacità di indurre la metallotioneina è maggiore nei tessuti attivi nell’assorbimento, accumulo
ed escrezione. Negli animali acquatici le metallotioneine sono state ben identificate nel piccolo
23
Introduzione
intestino (Sherars M.A. et al., 1984), nel fegato (Sherars et al., 1985) e nelle branchie (Olsson et al.,
1987) dei pesci, nelle ghiandole digestive (Viarengo et al., 1984) e nelle branchie (Roesijadi et al.,
1989) di molluschi e crostacei. Questa induzione risulta in concentrazioni relativamente alte di
metalli legati alla metallotioneina in questi organi . Nell’intestino dei mammiferi, il legame con la
metallotioneina ritarda il trasferimento dei metalli al sangue per il successivo trasporto agli organi
interni.
Il legame dei metalli alle metallotioneine indotte nell’intestino e nelle branchie degli animali
acquatici, ha probabilmente un effetto sull’assorbimento dei metalli simile a quello rilevato
nell’intestino dei mammiferi. Il legame dei metalli alla metallotioneina aumenta il bioaccumulo in
questi organi, così come nel fegato e nei reni.
La metallotionenina ha un ruolo centrale nella regolazione della disponibilità di Cu e Zn
intracellulare, per le funzioni cellulari: può donare Zn, e Cu a metalloproteine, tra cui anidrasi
carbonica, piridossal-chinasi ed emocianina (Brouwer et al., 1992) ed attivarle.
Aumentati livelli di metallotioneine e metalli legati alla MT sono caratteristici dell’esposizione a
Cd, Cu e probabilmente Zn negli animali acquatici. La capacità delle metallotioneine di sequestrare
i metalli è inequivocabilmente legata a una funzione di detossificazione dei metalli (Hamer et al.,
1985). Benché ciò debba essere ancora confermato, le interazioni cellulari che coinvolgono le MTs
possono seguire due linee generali: intercettazione e legame degli ioni metallici e rimozione dei
metalli da ligandi non tioneinici che includono i bersagli cellulari di tossicità e che può
rappresentare una funzione di salvataggio per le strutture danneggiate in modo reversibile dal
legame di metalli non appropriati. E’ ancora da verificare se l’induzione della MT possa interferire
con la normale regolazione dei sistemi metallo-dipendenti.
In questo contesto,
la sintesi di tioneina indotta da metallo può determinare risultare in un
incremento di ligandi che possono rimuovere in modo inappropriato metalli essenziali da siti attivi
di altre molecole e interferire con le funzioni cellulari.
La misurazione dell’induzione di metallotioneina è stata proposta come indicatore cellulare di
esposizione ai metalli e tossicità negli animali acquatici (Roesijadi G., 1992). Questa induzione
conferisce una maggior tolleranza verso i metalli sia nelle cellule (Gick et al., 1982) che negli
individui (Aoki et al., 1989). L’organismo non soccombe velocemente alla tossicità del metallo e
inoltre il turnover relativamente lungo dei metalli legati alla MT fa sì che possa essere accumulata
una quantità di metalli maggiore, consentendo che l’organismo possa tollerare un carico di metalli
superiore. Una possibile conseguenza di ciò è l’incremento del potenziale di trasferimento trofico
del metallo, con possibili conseguenze a livello ecologico e della salute pubblica, quando le specie
sono utilizzate come cibo per l’uomo.
A basse dosi gli ioni metallici si legano alla MT, mentre ad alte dosi si legano a proteine ad alto
peso molecolare e causano danno tissutale . La velocità della biosintesi di MT potrebbe essere
24
Introduzione
importante per la funzione della stessa come chelante per la detossificazione dei metalli.
Ovviamente più velocemente può essere prodotta la MT, minori sono le possibilità che il metallo
raggiunga altre proteine intracellulari di importanza fisiologica.
Per via delle loro caratteristiche biochimiche funzionali, le metallotioneine sono in grado di
proteggere le strutture cellulari da interazioni non specifiche con cationi di metalli pesanti penetrati
in eccesso nella cellula (Viarengo et al, 1993). A causa dell’inducibilità da metalli pesanti, le
metallotioneine sono solitamente considerate un importante biomarcatore specifico per la
rilevazione della risposta degli organismi a inquinanti inorganici come Cd, Hg, Cu, Zn presenti
nell’ambiente acquatico. Gli organismi bioindicatori che sono stati comunemente impiegati nelle
applicazioni di metallotioneina come biomarcatore sono pesci (Hylland, 1996), molluschi
(Viarengo, 1989) e crostacei (Pedersen et al., 1997). L’importanza della metallotioneina come
strumento per attività di biomonitoraggio è aumentata dal fatto che le MTs sono proteine ubiquitarie
e dunque possono essere studiate in molti organismi viventi (Hamer, 1986).
25
Introduzione
1. 8 METALLOTIONEINA COME BIOMARCATORE NEI PESCI
La MT è un biomarcatore di esposizione e monitoraggio della contaminazione dai metalli nei pesci,
perché ha un’alta specificità e abilità a legare gli ioni metallo.
La metallotioneina è usata come biomarcatore di esposizione perché facilmente quantificabile con
l’uso di tecniche di biologia molecolare, come la PCR e i saggi immonochimici.
Sperimentalmente è stato dimostrato che il livello epatico di MT nei pesci è dose-dipendente dopo
esposizione al cadmio, a rame e zinco (Hogstrand et al., 1991).
Il concetto di biomarcatore è ancora controverso perché spesso è difficile stabilire una chiara
relazione fra il livello di esposizione e l’ampiezza della risposta del biomarcatore (Huggett et al.,
1992). Normalmente i biomarcatori non forniscono informazioni relative all’impatto fisiologico
dell’esposizione all’inquinante, nè informazioni relative alla popolazione, alla comunità e agli effetti
sull’ecosistema. Depledge (1995) mostrò che la risposta dei biomarcatori potrebbe essere correlata a
una certa condizione di riduzione della crescita, emissione riproduttiva, o utilizzazione di energia
che direttamente coinvolge la sopravvivenza e la fertilità di un organismo. Questo approccio può
essere, comunque, difficoltoso da applicare in studi di campo. Prove su biomarcatori e altri
indicatori di stress a vari livelli biologici possono anche fornire preziose informazioni sul
monitoraggio dell’ambiente naturale.
Molti studi hanno mostrato che grossolane analisi sulle acque e i sedimenti per metalli tossici non
possono essere usati per predire o fissare un impatto ambientale poiché la maggior parte di questi
metalli sono presenti in forme non direttamente accessibili agli organismi. Gli organismi sono in
grado di accumulare concentrazioni di metalli migliaia di volte in più rispetto a quelli presenti nelle
acque in cui vivono, e numerosi studi si sono focalizzati sull’accumulo dei metalli negli animali
acquatici che provengono da sistemi inquinati (Mason et al., 1995). L’uso di queste proteine
intracellulari come biomarcatori per elevati livelli di metalli in ambienti acquatici sono stati dunque
recentemente proposti come un mezzo efficace in studi ecotossicologici (Depledge, 1994; George et
al.,1994). I cambiamenti a livello biochimico offrono vantaggi come biomarcatori, poiché le
alterazioni molecolari sono normalmente la prima risposta rilevabile e quantificabile ai cambiamenti
ambientali e possono dunque servire come marcatori sia di esposizione che di effetto (Hugget,
1992). Il legame dei metalli alla metallotioneina sono spostati solamente da metalli con più alta
affinità; l’affinità di legame decresce nell’ordine Cu > Cd > Zn (Kagi, 1993).
L’induzione della metallotioneina può essere considerata come un marcatore biochimico di
esposizione e può essere utilizzata per evidenziare l’esposizione ai metalli. Tuttavia alcuni autori
hanno osservato che l’induzione della MT può essere influenzata da altri fattori fisiologici o
patologici. Gli stress patologici sono infatti un fattore determinante in questo senso (Viarengo et al.,
1998). Il nostro lavoro riguarda quindi l’applicabilità della metallotioneina come biomarcatore,
utilizzando come organismo bioindicatore il pesce, a protocolli di biomonitoraggio della qualità
26
Introduzione
delle acque dei fiumi, se non altro come primo marcatore di inquinamento da metalli pesanti. Questi
dati sono stati ottenuti nell’ambito delle attività relative al progetto Europeo e sono in particolare
esposti nella prima parte di questo lavoro.
Nella seconda parte del lavoro si riportano i dati di una serie di esperimenti effettuati utilizzando
come bioindicatore un modello di tipo vegetale.
1.9 BIOINDICATORI VEGETALI
Tra i vantaggi più interessanti offerti dall’utilizzo delle piante come bioindicatori si possono
elencare i seguenti:
- la coltivazione è facile, poco costosa e la produzione di tessuto analizzabile è elevata
- si possono propagare da semi che si conservano anche per lunghi periodi e sono disponibili come
cloni, eliminando così i problemi di variabilità genetica
- sono più sensibili a determinanti gruppi d’inquinanti (es: erbicidi)
- trovandosi alla base della catena alimentare, subiscono gli effetti degli xenobiotici prima degli altri
livelli trofici, evidenziando così il danno prima che l’intero ecosistema ne venga interessato
- sono organismi statici e quindi sono permanentemente esposti all’azione delle sostanze tossiche e ne
indicano la distribuzione sul territorio
- possono essere validi bioaccumulatori. Ciò è importante perché, anche in mancanza di evidenti
alterazioni, rappresentano una potenziale fonte di contaminazione per gli animali.
Ecco perché nell’analisi dei sistemi ambientali terrestri lo studio delle piante è prioritario e può
indicare, in modo relativamente rapido e sintetico, la qualità dell’ambiente considerato. Per queste
ragioni, numerosi autori hanno proposto di includere sistematicamente i test di fitotossicità con
piante superiori nei programmi di biomonitoraggio ambientale (Taraldsen e Norberg-King, 1990).
1.9.1 Importanza del biomonitoraggio con organismi vegetali
Il monitoraggio biologico valuta la qualità dell’ambiente mediante l’utilizzo di bioindicatori,
organismi viventi che subiscono variazioni (biochimiche, fisiologiche, morfologiche) in seguito
all’esposizione ad agenti inquinanti. Queste variazioni possono essere stimate a vari livelli di
organizzazione biologica, da quello biomolecolare fino alla comunità.
Il biomonitoraggio può essere eseguito con due diverse modalità. In un caso è possibile lavorare in
laboratorio, in condizioni controllate dall’operatore, esponendo una singola specie o più specie
diverse (possibilmente omogenee dal punto di vista genetico e mantenute in condizioni standard) a
campioni ambientali prelevati nei siti di interesse. Nel secondo caso i bioindicatori vengono
osservati direttamente nell’ambiente di studio o prelevati da esso.
L’uso dei test di tossicità per analizzare il rischio ecologico ha tradizionalmente privilegiato
l’utilizzo di organismi animali (Lewis, 1993), in virtù dell’erronea convinzione che solo questi siano
27
Introduzione
veramente suscettibili ai tossici ambientali e che al contrario le piante siano estremamente resistenti
all’effetto di tali agenti. In realtà le piante presentano una sensibilità pari o superiore rispetto alle
specie animali per tensioattivi, pesticidi, composti organici e metalli. L’uso esclusivo dei test con
animali è chiaramente in contrasto con i principi dell’ecologia che riconoscono il ruolo
fondamentale delle piante come produttori primari della catena trofica (APHA, AWWA, WEF,
1995). Inoltre, le piante, essendo organismi statici, riflettono meglio la condizione di specifici
habitat. Per queste ragioni, numerosi autori hanno proposto di includere sistematicamente i test di
fitotossicità con piante superiori nei programmi di biomonitoraggio ambientale (Taraldsen et al.,
1990).
Tra i test di fitotossicità quelli di germinazione ed allungamento radicale, basati sull’uso di semi di
diverse specie, si sono rivelati estremamente utili per valutare la potenziale tossicità di campioni
liquidi contenenti sostanze organiche o miscele complesse in effluenti, e di camponi solidi come
sedimenti e fanghi di depurazione (Baudo et al., 1999).
Gli stadi iniziali di sviluppo sono i più sensibili alle alterazioni ambientali. I semi delle piante,
infatti, sopportano periodi prolungati di essiccamento ma, quando reidratati, vanno incontro a rapidi
cambiamenti diventando altamente suscettibili a stress ambientali che possono influenzare i primi
stadi di sviluppo. Possono essere facilmente presi in considerazione “end point” diversi quali
sopravvivenza, germinazione, modalità di accrescimento. La crescita radicale in particolare è stata
spesso utilizzata per valutare la tolleranza delle piante ai metalli.
28
Introduzione
1.10 DANNI DOVUTI DALL’ESPOSIZIONE AGLI INQUINANTI INORGANICI
La tossicità dei metalli pesanti si esplica attraverso l’attivazione di reazioni ossidoriduttive e
l’interazione con macromolecole biologiche come gli acidi nucleici (DNA e RNA) e le proteine
(Briat et al., 1999).
1.10.1 Attivazione dei processi di riduzione dell’ossigeno
Le forme ridotte dell’ossigeno vengono prodotte, per assunzione da parte dell’ossigeno molecolare
di elettroni provenienti da altre molecole, durante i processi ossidoriduttivi, essenziali per la vita
della cellula. Molte reazioni cellulari portano alla formazione di anione superossido (O2•-) e da
questo a perossido di idrogeno (H2O2) per azione della superossido dismutasi (SOD). Sebbene
queste molecole non siano di per sé molto reattive, esse possono formare, per catalisi da parte di
metalli di transizione (M), radicali idrossilici (•OH) responsabili del danno ossidativo di molti
sistemi biologici (reazione di Haber-Weiss).
Mn + O2 ↔ Mn+1 + O2•Mn+1 + O2•- → Mn + O2
Mn + H2O2 → Mn+1 + OH- + •OH
La reazione è generalmente riassunta come segue:
H2O2 + O2•- → O2 + OH- + •OH
Questa prende il nome di “reazione di Fenton”, quando il metallo di transizione è rappresentato dal
ferro.
Gli ioni metallici hanno un ruolo importante anche nelle modificazioni ossidative degli aminoacidi
liberi e delle proteine (Stadtman, 1993). La presenza di radicali liberi dell’ossigeno espone i residui
di istidina, arginina, lisina, prolina, metionina e cisteina, che costituiscono i più comuni punti di
ossidazione delle proteine, alla degradazione per opera di proteasi (Briat e Lebrun, 1999).
I radicali idrossilici, prodotti in prossimità del DNA, possono rimuovere o aggiungere atomi di
idrogeno alla macromolecola, portando così all’alterazione delle basi e della struttura
tridimensionale.
L’ossigeno e i metalli di transizione, in particolare il ferro, sono implicati nella perossidazione
lipidica, quindi un’alterazione degli equilibri ossido-riduttivi può portare a modificazioni della
struttura degli acidi grassi e conseguentemente ad alterazioni di processi fondamentali a livello delle
membrane (Briat e Lebrun, 1999).
29
Introduzione
1.10.2 Interazione con le macromolecole biologiche
Esistono diversi meccanismi con cui gli ioni metallici possono provocare effetti deleteri in
importanti macromolecole biologiche come le proteine e gli acidi nucleici (Eichhorn, 1975).
Effetti tossici possono derivare dallo spiazzamento di metalli essenziali dal sito attivo della
molecola proteica (metallo-enzima) da parte di un altro metallo.
Il legame del metallo tossico con la molecola può riguardare anche siti diversi da quello attivo. I
gruppi funzionali interessati a questo legame sono quelli imidazolici, idrossilici, sulfildrilici,
carbossilici, amminici, peptidici, per quanto riguarda le proteine, mentre a livello degli acidi
nucleici i metalli si legano alle basi eterocicliche, agli idrossili del ribosio e ai gruppi fosfato.
Il legame del metallo con le basi nucleotidiche interferisce con l’instaurarsi dei legami idrogeno che
tengono appaiati i due filamenti del DNA provocando la distruzione della doppia elica. Il legame ai
gruppi fosfato dello scheletro desossiribonucleico provoca, al contrario, una stabilizzazione
dell’elica del DNA rafforzata da possibili legami crociati tra i due filamenti coordinati dai metalli.
Entrambi questi effetti genotossici si riflettono in un’alterata sintesi proteica dovuta ad uno scorretto
appaiamento delle basi e alla possibile depolimerizzazione degli acidi nucleici. Il legame ai gruppi
fosfato destabilizza il legame fosfodiestereo dell’RNA rendendolo maggiormente suscettibile
all’idrolisi da parte delle fosfodiesterasi.
Le piante, come tutti gli organismi viventi, hanno sviluppato diversi meccanismi di risposta ai
metalli pesanti per evitare gli effetti tossici da essi indotti.
Gli sforzi della pianta sono inizialmente indirizzati verso la prevenzione di questi effetti limitando
l’accumulo dei metalli nella cellula mentre la produzione di proteine che possono resistere agli
effetti di tali tossici avviene in un secondo momento (Hall, 2002).
La prima risposta riguarda la regolazione della captazione del metallo a livello dell’apparato
radicale che rappresenta il primo sito di esposizione e accumulo.
Il trasporto del metallo tossico all’interno della cellula può essere limitato dal legame con la parete
cellulare oppure con essudati extracellulari. La membrana plasmatica, inoltre, riduce la captazione e
stimola l’efflusso attivo del metallo penetrato nel citoplasma. A livello intracellulare le Heat Shock
Proteins (HSPs) sono coinvolte nella riparazione sia del danno della membrana plasmatica che delle
strutture proteiche. Per mantenere gli ioni metallici intracellulari in forma non tossica, la cellula
provvede alla loro chelazione con ligandi endogeni e alla loro compartimentalizzazione in strutture
subcellulari, allontanandoli dai processi metabolici. In ultimo, quando la concentrazione
intracellulare di metallo sovrasta le capacità di detossificazione e di stoccaggio della cellula, si
attivano meccanismi che arginano la produzione di specie reattive dell’ossigeno (Briat e Lebrun,
1999).
30
Introduzione
Risposte ai metalli pesanti: 1) riduzione del movimento del metallo verso le radici ad opera della cuffia
ectomicorrizale; 2) legame alla parete cellulare e agli essudati delle radici; 3) ridotto passaggio attraverso la
membrana; 4) efflusso attivo del metallo; 5) chelazione del metallo nel citosol da parte di vari ligandi,
fitochelatine (PCs), metallotioneine (MTs) e acidi; 6) riparazione e protezione della membrana plasmatica; 7)
trasporto del complesso PC-M nel vacuolo; 8) trasporto e accumulo di metallo nel vacuolo.
31
Introduzione
1.11 LE PIANTE E I METALLI PESANTI
Le piante assumono micronutrienti come rame e zinco dall’ambiente acquatico e terrestre, il quale
può fornire loro anche alcuni metalli tossici come cadmio, piombo e mercurio. La concentrazione di
questi metalli varia a seconda del grado di inquinamento e delle caratteristiche naturali
dell’ambiente in cui si trovano e pertanto nelle piante, organismi statici, i meccanismi deputati al
mantenimento dell’omeostasi dei metalli sono di fondamentale importanza.
Le piante mantengono i livelli di metalli essenziali a concentrazioni comprese tra un livello minimo,
sotto il quale l’organismo si trova in uno stato di carenza dannoso, ed uno massimo che provoca
tossicità. Per quanto riguarda i metalli non essenziali, gli sforzi della pianta sono rivolti al
mantenimento della loro concentrazione intracellulare a valori inferiori a quelli tossici. I metalli
vengono definiti pesanti quando la loro densità è superiore ai 5 g/cm3 (Sanità di Toppi e Gabrielli,
1999). Alcuni di essi, in particolar modo rame, zinco e ferro, sono micronutrienti essenziali per i
processi fisiologici in vegetali e animali, in quanto fanno parte di enzimi e macromolecole di
numerose vie metaboliche. Elevate concentrazioni di questi elementi, tuttavia, possono determinare
l’attivazione di processi tossici per la cellula.
Ioni di metalli pesanti non essenziali, quali cadmio, cromo, piombo e mercurio, costituiscono
importanti inquinanti inorganici ambientali, particolarmente concentrati in aree di intensa pressione
antropogenica
Esistono delle molecole contenenti gruppi funzionali SH nei meccanismi di difesa dagli effetti dei
metalli pesanti.
1.11.1 Chelazione dei metalli
Una volta penetrati nella cellula, gli ioni metallici vengono chelati da ligandi endogeni come le
proteine, i peptidi e piccole molecole organiche. Questo meccanismo è di primaria importanza per la
sopravvivenza cellulare e determina anche la compartimentalizzazione del tossico.
Le due principali proteine implicate nel legame con i metalli pesanti sono le ferritine e le
metallotioneine. Le fitochelatine sono invece peptidi sintetizzati enzimaticamente in grado di
complessarsi con i metalli. In aggiunta alle proteine e ai peptidi, un gran numero di piccole molecole
organiche sono coinvolte nel legame con i metalli e, tra queste, le più interessanti sono gli acidi
organici, gli aminoacidi e i derivati del fosfato.
1.11.2 Ferritine
Le ferritine sono una classe di proteine che legano il ferro codificate da una famiglia di geni e
localizzate nei plastidi (Briat e Lobréaux, 1998).
La loro espressione è ampiamente regolata e può essere attivata da diversi segnali ambientali e in
particolare da un eccesso di ferro. Nella regolazione genica di queste proteine sono implicate due
32
Introduzione
vie cellulari: una coinvolge l’acido abscissico e l’altra, indipendente da questo ormone dello stress,
è modulata da antiossidanti e inibitori delle fosfatasi serina/treonina (Savino et al., 1997). Le
ferritine hanno un ruolo importante nelle risposte agli stress ossidativi nelle piante e probabilmente
partecipano alla protezione dei plastidi dal danno provocato da un eccesso di ferro libero. Uno stress
ossidativo ferro-mediato porta sia ad un accumulo di ferritina che ad un aumento dell’affinità di
legame della proteina con il metallo.
È importante sottolineare che, sebbene questo fenomeno non sia documentato nelle piante, le
ferritine animali sono in grado di legare anche rame, zinco, cadmio, piombo, berillio e alluminio
(Briat e Lebrun, 1999). Un aumento dell’espressione di mRNA codificante per la ferritina e
dell’abbondanza della proteina è stata osservata in cellule di Xenopus leavis dopo esposizione al
cadmio e al rame (Muller et al., 1991).
1.11.3 Metallotioneine
Le metallotioneine sono proteine ubiquitarie di piccole dimensioni (6-7 kDa), codificate da una
famiglia di geni e ricche di residui cisteinici, che permettono di complessare molti metalli e
principalmente zinco, rame e cadmio. La loro espressione è indotta dai metalli per attivazione della
trascrizione genica.
Le metallotioneine contengono in genere due dominii di legame per i metalli che conferiscono alla
proteina una tipica conformazione a manubrio (Cobbett et al., 2002). Queste proteine sono in grado
di legarsi sia a cationi monovalenti che bivalenti grazie alla presenza di numerosi gruppi sulfidrilici
in ogni dominio. In particolare, a quello α della proteina si legano quattro molecole di cationi
bivalenti, per esempio di zinco (II), mentre al dominio β se ne legano tre. Per quanto riguarda i
cationi monovalenti come il rame (I), si legano sei ioni per dominio proteico (Minami et al., 2002).
33
Scopo della tesi
2- SCOPO DELLA TESI
Scopo di questo lavoro è quello di valutare l’applicabilità della metallotioneina, come biomarcatore,
dosata nel pesce catturato allo stato libero o esposto in gabbia, al monitoraggio della qualità delle
acque ed in particolare a quella relativa a fiumi europei. A questo fine i dati dell’espressione della
metallotioneina verranno posti in confronto ai dati storici e dati chimici riguardanti l’inquinamento
da metalli pesanti.
Ulteriore scopo di questa ricerca è quello di valutare la possibilità di uno studio preliminare della
qualità dell’acqua utilizzando un modello di germinazione in vitro.
Il recupero dei fiumi urbani è un importante aspetto del recupero ambientale, soprattutto nell’ottica
di un miglioramento della qualità della vita per gli abitanti delle città. Tali fiumi sono in genere
pesantemente inquinati da miscele complesse di contaminanti provenienti da sorgenti diffuse e
puntiformi.
Sebbene si possano predire somiglianze nelle caratteristiche chimico-fisiche dei fiumi che
attraversano gli agglomerati urbani (come ridotti livelli di ossigeno disciolto e aumentati livelli di
ammoniaca), ci si può attendere che esistano caratteristiche di contaminazione specifiche per ogni
corso d’acqua. Per questo, la valutazione dei rischi ecologici ed i criteri delle qualità dell’acqua
necessitano di essere elaborati per ciascun fiume.
Il progetto “Modelling Ecological Quality of Urban Rivers: Ecotoxicological Factors Limiting
Restoration of Fish Population” (CITYFISH) intende contribuire allo sviluppo di metodologie per la
valutazione del rischio e della qualità delle acque dei fiumi che attraversano le città e su cui sia
possibile basare i piani di intervento. Questi criteri dovranno essere sviluppati nell’ambito del pesce
quale indicatore primario dello stato di salute delle acque e si propongono di valutare i fattori subletali che limitano il recupero della fauna ittica nei fiumi inquinati.
Allo stato attuale i metodi a disposizione e previsti dai protocolli ufficiali utilizzano la mortalità
come misura dell’effetto tossico e dell’impatto ambientale. Il limite maggiore di questo approccio è
la difficoltà nel predire l’impatto di interazioni sinergiche tra inquinanti o tra miscele di inquinanti e
altri stress chimico-fisici (come la temperatura) o l’impatto di prodotti chimici che influenzano la
popolazione attraverso effetti non letali (come i composti estrogenici).
La ricerca è stata svolta su fiumi urbani in differenti paesi europei.
Sono disponibili osservazioni compiute in un periodo che può essere considerato sufficiente per
determinare la qualità delle acque attraverso metodologie di carattere chimico o biologico. Una serie
ben definita di biomarcatori di esposizione a tossici sono stati studiati in ciprinidi direttamente
pescati nei siti o esposti in gabbie nei vari siti su ogni fiume.
34
Scopo della tesi
Questi dati sono stati posti in relazione a parametri chimici indicativi della qualità dell’ambiente
(livelli di ossigeno e di ammoniaca) e con le specifiche classi di inquinanti (xenobiotici e sostanze
estrogeniche), misurate su campioni di tessuti di pesci pescati.
Lo studio di queste relazioni è destinato a rivelare l’efficienza dei singoli
biomarcatori
nel
descrivere il rischio ecologico.
Un’iniziale valutazione dell’inibizione della germinazione e dell’allungamento radicale, in germogli
di Lepidium sativum e Zea mays esposti a varie concentrazioni di bicromato di potassio in
condizioni controllate (72 h, 25°C e al buio), ci ha permesso di stabilire il grado di suscettibilità del
sistema all’esposizione al cromo.
Accanto alla valutazione morfologica, come nel pesce, sono stati selezionati parametri molecolari di
risposta attraverso la valutazione delle metallotioneine.
35
Materiali e metodi
3- MATERIALI E METODI
3.1 SPECIE SCELTE COME BIOINDICATORI
Come bioindicatore negli studi di monitoraggio della qualità delle acque è stato scelto il pesce con
particolare riferimento al cavedano, all’abramide comune e alla carpa. La scelta del pesce è dovuta
al fatto che si tratta di un indicatore primario dello stato di salute ecologico; infatti appartiene
all’apice della piramide trofica.
L’utilizzo di specie selvatiche nei programmi di screening degli agenti inquinanti è limitato dalla
natura mobile dei pesci. Tali limitazioni possono essere eliminate utilizzando pesci di allevamento
portati nei siti di monitoraggio (Hanninen et al., 1991) ed esposti, in gabbia, alle acque del fiume
per 4 settimane.
3.1.1 Sistematica dei pesci
Regno: Animale
Phylum: Cordati
Subphylum: Vertebrati
Superclasse: Pesci
Classe
Sottoclasse
Superordine
Condritti
Elasmobranchi
Squaliformi
Batoidei
Squatinomorfi
Galeomorfi
Olocefali
Osteitti
Attinopterigi
Condrostei
Olostei
Teleostei
Sarcopterigi
Dipnoi
Crossopterigi
Il cavedano, l’abramide comune e la carpa sono inclusi nei Teleostei, superordine della sottoclasse
degli Attinopterigi.
37
Materiali e metodi
CAVEDANO
NOME LATINO: Leuciscus cephalus
FAMIGLIA: Ciprinidi
ORDINE: Cipriniformi
- Morfologia: corpo slanciato ed affusolato a sezione circolare; bocca grande e terminale; grosse
squame circolari con margine finemente punteggiato; colorazione verdastra sul dorso, si attenua sui
fianchi, bianco giallastra sul ventre.
- Taglia: 20-40 cm a 7-10 anni (600-1000 g), raramente fino a 60 cm (4 kg).
- Distribuzione: è comune nei fiumi e nei laghi di quasi tutta l’Europa ed è presente in tutta la penisola
con due sottospecie.
- Habitat: prevalentemente in acque correnti limpide, anche a velocità discreta, ma anche nelle zone
litorali dei laghi di grandi e medie dimensioni. Da giovane è gregario e di superficie; nell’età matura
abita a una certa profondità e tende a divenire solitario.
- Alimentazione: finché è giovane si ciba di vermi; più tardi si trasforma in un vero e proprio
predatore, insidiando accanitamente pesciolini, piccoli crostacei e rane; divora anche le uova appena
deposte da altri pesci.
- Riproduzione: la deposizione avviene tra Aprile e Giugno in acque litorali, sulle pietre e la
vegetazione del fondo; le uova sono molto piccole (0,7 mm); la schiusa avviene entro circa una
settimana. L'accrescimento è moderatamente rapido (ad un anno misurano 9 cm di lunghezza) e la
maturità è raggiunta dai maschi a 3-4 anni e dalle femmine a 4-5 anni.
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Materiali e metodi
ABRAMIDE
NOME LATINO: Abramis brama
FAMIGLIA: Ciprinidi
ORDINE: Cipriniformi
- Morfologia: corpo compresso e a forma ellissoidale, con testa piccola e bocca subterminale
lievemente rivolta verso l’alto; la colorazione è grigio piombo sul dorso e bianca sul ventre.
- Taglia: lunghezza massima: 80 cm; peso massimo: 3 kg.
- Distribuzione: abita l’Europa centrale, settentrionale e orientale, nonché l’Irlanda e l’Inghilterra.
- Habitat: è comunissima nelle acque a corso lento dei laghi e dei fiumi, dove vive in gruppi talora
numerosissimi. In genere è solita trattenersi sul fondo, in mezzo alle erbe che vi si allignano.
- Alimentazione: vermi, larve d’insetti (in particolare di Chironomidi), piccoli crostacei, molluschi e
piante.
- Riproduzione: il periodo riproduttivo va da Maggio a Giugno. Per lo più l’emissione delle uova ha
luogo di notte presso le rive. Pochi giorni dopo la loro deposizione, i bassifondi delle rive
formicolano di milioni di avannotti, i quali per qualche tempo si aggirano in prossimità delle
sponde, poi scendono sul fondo seguendo gli adulti.
39
Materiali e metodi
CARPA
NOME LATINO: Cyprinus carpio
FAMIGLIA: Ciprinidi
ORDINE: Cipriniformi
- Morfologia: corpo di forma ovale, meno accentuata nella forma selvatica; bocca protrattile con
labbra carnose munite di quattro barbigli; colorazione bruno-verde sul dorso, spesso con riflessi
bronzei, gialla sul ventre.
- Taglia: 20-40 cm (300-1000 g) a 3-4 anni; raramente 100 cm (25-30 kg) e 40 anni di età.
- Distribuzione: in acque stagnanti o a debolissima corrente in tutta Europa, Italia compresa.
- Habitat: tra la vegetazione di riva ed in stretta vicinanza con fondali di tipo melmoso. È specie
eurialina, adattandosi così anche ad ambienti salmastri
- Alimentazione: invertebrati di fondo, larve di insetti, detrito vegetale, ma anche anfibi ed avannotti
di altri pesci.
- Riproduzione: ha luogo in acque molto basse, in Maggio-Giugno, con temperatura compresa tra 17 e
20 °C; uova assai piccole (1 mm) rimangono attaccate alle piante e schiudono in 3-8 giorni; le larve
restano inattive sul fondo fino al riassorbimento del sacco vitellino (2-3 giorni). L'accrescimento è
rapido: ad un anno di età la lunghezza può raggiungere i 15 cm ed il peso i 200 g. La maturità
sessuale è raggiunta a 3 anni nei maschi e a 3-4 nelle femmine
40
Materiali e metodi
3.1.2 Prelievo del fegato
Il fegato prelevato dai pesci di ciascun gruppo è accuratamente perfuso con tampone fosfato 20 mM
contenente KCl 0.15 M e EDTA 1 mM, immediatamente trasferito in azoto liquido e quindi
conservato a -80°C fino al momento dell’estrazione della metallotioneina.
3.1.3 Estrazione della metallotioneina
I campioni sono sottoposti ad una doppia estrazione con solventi (Beattle e Richards, 1995).
Al fine di estrarre le metallotioneine, un grammo di tessuto viene omogeneizzato (Ultraturrax T25,
Janke& Kunkel-IKA, Taufen, D) in 2 ml di acqua e centrifugato (Beckman L60) a 35000 rpm ad
una temperatura di 4°C per 10 minuti. A centrifugazione ultimata il surnatante viene riposto in
provette di poliallomero e ad esso viene aggiunta una miscela di etanolo/acetonitrile (1:3 v/v) in
quantità tale da rappresentare l’80% del volume finale, che determina la precipitazione delle
proteine.
Dopo centrifugazione, nelle medesime condizioni della precedente, il precipitato viene risospeso in
200 µl di acqua e centrifugato a 15000 rpm (Eppendorf centrifuge, Brinkman, Westbury, NY) per 5
minuti. Il surnatante viene infine sottoposto ad elettroforesi capillare MECC (Micellar Elettrokinetic
Chromatography Capillary).
41
Materiali e metodi
3.2 BIOIDICATORI VEGETALI
I bioindicatori vegetali utilizzati nella seconda parte del lavoro sono:
- Zea mays
- Lepidium sativum
3.2.1 Estrazione delle proteine
I germogli cresciuti in presenza di acqua (controllo) e di bicromato di potassio vengono asciugati
con carta assorbente e per il mais si procede all’eliminazione dell’endosperma attraverso l’uso di un
bisturi.
Endosperma

Schema dell’eliminazione dell’endosperma dal seme di mais e foto in sezione trasversale.
Il materiale, costituito da 10 germogli per il mais e 50 per il crescione, viene triturato in un mortaio
in presenza di azoto liquido e pesato per poter aggiungere il tampone di estrazione (sample buffer
con β-mercaptoetanolo 2% v/v) in rapporto 1:4 (p/v) (Laemmli, 1970). I campioni vengono
omogeneizzati (Ultraturrax T25, punta S 25 N-10 G, IKA Werke Janke & Kunkel GmbH & Co. KG,
Staufen, D) e sottoposti a 3 cicli di sonicazione con impulsi di 30 secondi ciascuno (Sonoplus HD
2070, punta UW 2027, Bandelin electronic GmbH & Co. KG , Berlin D). Questi procedimenti
determinano la rottura della parete cellulare e la fuoriuscita del contenuto citoplasmatico nel
tampone di estrazione. La presenza del β-mercaptoetanolo permette la rottura dei ponti disolfuro
delle proteine, mentre l’SDS (sodio dodecil solfato) si interpone tra coppie di catene laterali,
orientandosi con la coda apolare verso la stringa (-CH-CO-NH-)n e la testa ionizzata del solfato
verso l’esterno. In media si lega una molecola di SDS ogni due residui aminoacidici. Il legame
dell’SDS annulla il contributo delle catene laterali della proteina alla carica superficiale del
complesso che viene quindi dettata unicamente dai gruppi solfato del detergente anionico.
42
Materiali e metodi
rivestimento di molecole
di SDS
catena polipeptidica
Schema dell’interazione tra molecole di SDS e una catena polipeptidica.
I campioni vengono successivamente centrifugati ad una velocità di 4.000 rpm per 20 minuti a 4°C
(4233R, ALC Cologno Monzese, Mi), in modo da separare i residui cellulari dalla componente
proteica. Il surnatante viene prelevato e fatto bollire per 5 minuti per favorire il processo di
denaturazione e riduzione. I campioni vengono conservati a -20°C.
Sample buffer
Stacking buffer
40%
SDS
2%
Blu di bromofenolo
2%
Glicerolo
30%
β-mercaptoetanolo
4%
Composizione del tampone di estrazione (Sample buffer).
43
Materiali e metodi
Stacking buffer 5x
Tris (C4H11NO3)
0,6 M
Sodio Azide
15 mM
pH 6,8 con HCl
Composizione dello Stacking buffer.
3.2.2 Estrazione delle metallotioneine
I germogli, cresciuti in presenza di acqua (controllo) e di soluzioni a concentrazione crescente di
metalli pesanti, vengono sottoposti ad una doppia estrazione con solventi (Beattle e Richards, 1995).
Un grammo di campione (mais privato dell’endosperma) viene omogeneizzato (Ultraturrax T25,
punta S 25 N-10 G) in 2 ml di acqua e centrifugato (Beckman L60, Beckman Instrument, Fullerton,
CA, USA) a 35.000 rpm a 4°C per 10 minuti. Al surnatante viene aggiunta una miscela di
etanolo/acetonitrile (1:3 v/v) in quantità tale da rappresentare l’80% del volume finale.
Dopo un’ulteriore centrifugazione, nelle medesime condizioni della precedente, il precipitato viene
risospeso in 200 µl di acqua e centrifugato a 15.000 rpm (Eppendorf centrifuge, Brinkman,
Westbury, NY) per 5 minuti. Il surnatante viene infine sottoposto ad elettroforesi capillare (MECC).
3.3 ELETTROFORESI CAPILLARE
La valutazione quantitativa della metallotioneina è stata effettuata attraverso elettroforesi capillare
sui campioni di metallotioneina estratta dal fegato di pesci o dai germogli delle specie vegetali.
L’elettroforesi capillare è una tecnica analitica separativa che può essere impiegata per separare
un’ampia gamma di composti biologici come amminoacidi, peptidi, proteine ed acidi nucleici così
come qualsiasi altro tipo di composto organico di piccola dimensione (Issaq Haleem, 1999). I
recenti avanzamenti nella strumentazione e nelle metodologie di separazione hanno permesso lo
sviluppo di numerose applicazioni in campo farmaceutico, chimico, biotecnologico e ambientale.
La tecnica si basa sulla differente migrazione di molecole cariche sotto l’influsso di un campo
elettrico generato nel mezzo di separazione da un generatore di tensione in grado di erogare tensioni
da 10 a 50 kV. La separazione dei costituenti del campione avviene all’interno di un capillare di
silice di diametro variabile da 20 a 100 µm e di lunghezza compresa tra 20 e 100 cm. Il capillare può
essere rivestito o non rivestito. Un sistema di rilevazione ad UV posto in prossimità del catodo
consente di determinare l’analita.
Dopo l’iniezione del campione, solitamente all’estremità anodica del capillare, viene applicata una
differenza di potenziale alle due estremità che genera un campo elettrico. Le molecole del campione
44
Materiali e metodi
vengono attratte verso il polo elettrico di carica opposta e cominciano a migrare con una velocità
proporzionale all’intensità del campo elettrico:
V= µeE
E= intensità campo elettrico
µe= mobilità elettroforetica
La mobilità elettroforetica è in funzione della carica e del volume (massa e forma) della proteina e
dipende dalle proprietà del mezzo di separazione (pH, forza ionica del tampone).
Gli analiti, indipendentemente dalla loro carica, vengono spinti verso il catodo per il fenomeno
dell’elettroendosmosi. Il flusso del tampone contenuto nel capillare è definito flusso
elettroendosmotico (EOF) e viene originato dal movimento, verso il catodo, dei cationi legati ai
gruppi silanolici del capillare. Il flusso elettroendosmotico è maggiore rispetto alla mobilità
elettroforetica e di conseguenza sia gli anioni che i cationi si spostano verso il catodo. La velocità di
migrazione dei cationi è aumentata dal flusso elettroendosmotico e pertanto essi raggiungono il
catodo più velocemente. Gli anioni, attratti dall’anodo, vengono trasportati, meno velocemente,
verso il catodo dal flusso elettoendosmotico del tampone. I cationi con elevato rapporto
carica/massa migrano per primi, seguiti da quelli con basso rapporto carica/massa. I composti neutri
migrano alla stessa velocità dell’EOF seguiti dagli anioni con basso rapporto carica/massa e da
quelli con alto rapporto.
La presenza di surfattanti quali il sodio dodecil solfato nel tampone di corsa è alla base della tecnica
MECC il cui meccanismo di separazione si basa sulla ripartizione dell’analita neutro tra la fase
micellare e quella del tampone. Le micelle si formano quando il surfattante viene aggiunto a
concentrazioni superiori rispetto alla concentrazione critica micellare. Le micelle sono cariche
negativamente ma migrano verso il catodo sospinte dall’EOF ad una velocità inferiore rispetto al
flusso del tampone acquoso a causa della loro attrazione verso l’anodo. Le molecole neutre idrofile
migrano insieme al tampone acquoso mentre quelle lipofile vengono rallentate dalla ripartizione con
la fase micellare. Questa tecnica è stata utilizzata per separare le molecole di metallotioneine e per
valutarne l’induzione nei campioni trattati con soluzioni di metalli pesanti rispetto al controllo.
45
Materiali e metodi
Rappresentazione schematica della cromatografia capillare elettrocinetica micellare, MECC.
3.3.1 Quantificazione delle MTs
Per effettuare l’analisi delle metallotioneine si utilizza il sistema P/ACE 2100 i cui costituenti
principali sono rappresentati da:
-
un autocampionatore costituito da due dischi rotanti dove vengono alloggiati i campioni da
analizzare e le soluzioni richieste per l’analisi, ovvero il tampone di corsa (borato 300mM, SDS
85 mM a pH 8.4) e le soluzioni di lavaggio (NaOH 0.1 N e H2O deionizzata).
-
una cartuccia contenente un capillare non rivestito lungo 50 cm con diametro interno di 75 µm e il
sistema di refrigerazione.
-
un alimentatore ad alto voltaggio impostato a
10000 V.
-
un modulo ottico e un detector UV (200 nm).
-
un sistema di controllo della temperatura
impostata a 25°C.
-
un iniettore del campione che consente di
caricare il campione sotto pressione in 5 sec.
-
un computer per l’impostazione dei parametri e per l’analisi dei risultati.
L’identificazione del picco è in base al tempo di ritenzione di un campione standard di
metallotioneina (fegato di coniglio).
Dopo aver posizionato 5 µl di campione e le soluzioni per i lavaggi e la corsa in vials
nell’autocampionatore, lo strumento procede con due lavaggi di 5 minuti, uno con NaOH 0.1 N e ad
un altro con H2O distillata, seguito da un ulteriore lavaggio di 10 minuti con il tampone di corsa.
Prima dell’iniezione di ogni campione viene effettuato un prelavaggio di 5 min con tampone di
corsa. La durata della corsa di ogni campione è di 20 minuti. Al termine delle corse si procede al
calcolo delle aree dei picchi dei cromatogrammi, corrette in base al tempo di ritenzione ed
all’elaborazione dei dati utilizzando il programma System Gold (Beckman Instruments, Inc).
46
Materiali e metodi
Fasi rappresentative di una corsa elettroforetica
fotocatodo












lampada
computer
Fotocatodo
Tampone
Anodo
Catodo
+
Tempo (min)
47
Materiali e metodi
3.3.2 Vantaggi dell’EC rispetto all’elettroforesi classica
- Elevata efficienza di separazione
- Richiesta di piccole quantità di campione
- Velocità di separazione
- Automazione
- Quantificazione
- Riproducibilità
- Possibilità di associare tale metodica a uno spettrometro di massa
- Costi limitati
48
Risultati
4- RISULTATI
4.1 IDENTIFICAZIONE DEL PICCO DELLA METALLOTIONEINA
L’identificazione dei picchi della metallotioneina nei cromatogrammi è stata effettuata in base al
tempo di ritenzione descritto in letteratura e al tempo di ritenzione di uno standard di
metallotioneina pura iniettato nelle stesse condizioni sperimentali (Beattie, 1998). Inoltre ad
ulteriore convalida è stata eseguita una corsa elettroforetica con rivelazione delle proteine a 280 nm.
Nessuno dei picchi messi in evidenza a 200 nm è stato rivelato a 280 nm, poiché nella struttura della
metallotioneina sono assenti aminoacidi aromatici che hanno un caratteristico assorbimento alla
lunghezza d’onda di 280 nm.
__________
Rivelazione delle proteine a 200 nm
__________
Rivelazione delle proteine a 280 nm
49
Risultati
La concentrazione di MTs presenti in campioni estratti dal fegato di cavedani mantenuti in
acqua controllata e non inquinata è stata confrontata con quella di MT estratta da pesci
esposti per via intraperitoneale a CdCl2, noto induttore della MT stessa.
___________
__________
Metallotioneina estratta dal
fegato di cavedano
“controllo”
Metallotioneina estratta
dal fegato di cavedano
trattato con CdCl2
La MT estratta da cavedani trattati ha mostrato una concentrazione superiore rispetto al cavedano
controllo, validando il metodo utilizzato.
L’aumento del picco identificato in campioni estratti dal fegato di pesci esposti a metalli pesanti
rispetto a pesci “controllo” ha fornito inoltre altre indicazioni utili al fine della sua identificazione.
50
Risultati
4.2 CAMPAGNE DI MONITORAGGIO EFFETTUATE NEL FIUME LAMBRO
Il Lambro è lungo 130 Km. Nasce dal monte Forcella, alimenta il lago di Pusiano, attraversa la
Brianza, bagna Monza e i quartieri orientali di Milano e confluisce infine da sinistra nel Po presso
Orio Litta.
Sono stati scelti i seguenti tre siti di studio, caratterizzati dalla differente qualità dell’acqua (dalla
migliore alla peggiore):
-
sito A: Merone (CO)
-
sito B: Canonica (MI)
-
sito C: Brugherio (MI)
Lambro medio
La diminuzione complessiva della qualità dell’acqua rilevata dalla sorgente al sito più a valle è
dovuta a scarichi domestici, inquinamento agricolo diffuso ed immissioni puntuali di industrie
(tessili, metallurgiche, chimiche).
La specie scelta come bioindicatore è stato il cavedano (Leuciscus Cephalus), dal momento che
questo pesce è ben rappresentato lungo il segmento di fiume scelto come area di studio.
Le analisi quantitative della metallotioneina effettuate tramite elettroforesi capillare hanno dato i
risultati riportati alla pagina seguente.
51
Risultati
2,5
MT (mg/g)
2
sito A
1,5
sito B
sito C
1
0,5
0
campagna I
campagna II
campagna III
campagna IV
campagna V
Le analisi quantitative della metallotioneina effettuate tramite elettroforesi capillare, relative alle
campagne III e V mostrano bassi livelli della proteina nel sito A, come atteso.
I risultati della campagna I e IV, invece, mostrano livelli di MTs molto elevati anche nel sito di
Merone (sito di riferimento), non statisticamente differenti dai livelli di MTs nel sito B. Occorre
però considerare che, all’altezza di Brugherio, dove sono stati eseguiti i campionamenti per la
metallotioneina, confluisce nel Lambro il Canale Villoresi che bagna zone intensamente agricole e
non industriali, diluendo la concentrazione dei tossici inorganici presenti nelle acque.
Gli istogrammi relativi alle campagne IV e V mostrano risultati discordanti tra loro, ma va tenuto
presente che i dati raccolti in entrambe le campagne sono stati pochi a causa dell’elevata mortalità
dei pesci dovuta soprattutto al carattere turbolento del fiume Lambro e delle intense precipitazioni
verificatesi nei periodi di svolgimento delle due campagne.
In particolare, durante la campagna IV, sono state osservate infezioni nei cavedani rimasti vivi. E’
noto che l’induzione della sintesi di metallotioneina avviene, oltre che per la presenza di metalli
pesanti nell’ambiente, anche a causa di stress vari tra cui gli stati infettivi.
52
Risultati
4.3 CAMPAGNE DI MONITORAGGIO EFFETTUATE IN OLANDA
Le campagne condotte sul fiume Amstel nei Paesi Bassi rientrano in un lavoro eseguito dall’Istituto
di Ricerche OMEGAM di Amsterdam.
Il fiume Amstel è un piccolo fiume canalizzato (20 km) della provincia dell’Olanda Sett. Navigabile,
attraversa Amsterdam e sbocca in un’insenatura dell’Ijsselmeer.
L’analisi quantitativa della metallotioneina effettuata tramite elettroforesi capillare è stata effettuata
su campioni di fegato di abramide e di carpa provenienti dai seguenti siti lungo il fiume Amstel:
sito A1: Vrouwenakker - sito interessato da inquinamento agricolo
sito A2: Uithoorn (Cindu) - sito interessato da inquinamento industriale
sito A3: Amsterdam (Weespertrekvaart) - sito interessato da inquinamento urbano
http://people.a2000.nl/phyde/Images/amstel_magere_
brug.jpg
Amsterdam – Veduta sul fiume Amstel
53
Risultati
1,20
MT (mg/g)
1,00
0,80
0,60
0,40
0,20
0,00
Site A1
Site A2
Site A3
Campagna primavera 2000
Nella primavera 2000, si notano differenze significative fra i 3 siti in esame. Il sito A2 risulta essere
più inquinato rispetto ai siti A1 e A3.
1,20
MT (mg/g)
1,00
0,80
0,60
0,40
0,20
0,00
A1
A2
A3
Campagna autunno 2000
Nell’autunno del 2000, il sito A3 risulta il più inquinato rispetto all’A1 e A2, tra i quali non si
notano sensibili differenze.
54
Risultati
MT (mg/ml)
1,60
1,20
0,80
0,40
0,00
A1
A2
A3
Campagna primavera 2001
Nella primavera 2001, invece il sito A1 risulta più inquinato, anche se le differenze rispetto agli altri
due siti non sono significative.
2,00
MT (mg/g)
1,50
1,00
0,50
0,00
A2
A3
Campagna autunno 2001
La campagna condotta nell’autunno del 2001 mostra il sito A2 più inquinato rispetto al sito A3.
55
Risultati
Al fine di una corretta interpretazione dei dati ottenuti è importante prendere in considerazione le
analisi chimiche dei sedimenti ed analizzare in questo modo i dati ottenuti alla luce della quantità di
metalli pesanti presenti nei siti di provenienza degli abramidi.
Metalli
Arsenico
mg/kg
Vrouwenakke
Uithoor
Amsterda
r
n
m
(A1)
(A2)
(A3)
2.9
42
37
<0.2
1.5
2.2
11
30
64
6
180
110
<0.04
3.8
0.92
15
350
190
8
48
34
40
620
500
dw
Cadmio
mg/kg
dw
Cromo
mg/kg
dw
Rame
mg/kg
dw
Mercuri
mg/kg
o
dw
Piombo
mg/kg
dw
Nichel
mg/kg
dw
Zinco
mg/kg
dw
Negli animali acquatici l’aumento di metallotioneina appare caratteristico dell’esposizione a
cadmio, rame e zinco.
Le analisi quantitative della metallotioneina hanno confermato una maggiore induzione di questa
proteina nel fegato degli abramidi provenienti dal sito A2; tuttavia, vista la scarsa percentuale di
cadmio, rame e zinco nei sedimenti del sito A1 rispetto a quelli degli altri due siti, la differenza di
induzione di metallotioneina nel sito A1 rispetto ai siti A2 ed A3 non è così rilevante come atteso, in
particolare nell’istogramma relativo alle campagne dell’anno 2000. Inoltre le analisi statistiche non
hanno mostrato differenze significative tra i siti A2 e A3.
Il fatto che i dati ottenuti dalle analisi della metallotioneina rispecchino l’andamento delle analisi
chimiche, ma le differenze tra i valori assoluti di A1 rispetto ad A2 e A3 non siano rilevanti, è
56
Risultati
prevedibile, dal momento che l’utilizzo di specie selvatiche nei programmi di monitoraggio della
qualità delle acque è limitato dalla natura mobile dei pesci, dalla disomogeneità genetica, dalla
storia di esposizione e dalle differenze di età e di sesso. Tali limitazioni possono essere eliminate
utilizzando pesci di allevamento portati nei siti di monitoraggio (Hanninen et al., 1986). I pesci
provengono da uno stesso stock ed è quindi possibile conoscerne le caratteristiche genetiche e la
storia espositiva. Durante lo stoccaggio vengono mantenuti in condizioni di allevamento standard
per quanto riguarda la temperatura, la dieta (controllata per il contenuto in inquinanti) e la qualità
dell’acqua. Tale tipo di approccio consente anche di confrontare i dati tra i vari gruppi di pesci.
Al riguardo è stata effettuata una campagna lungo il fiume Amstel, in cui è stato scelto come
bioindicatore la carpa, i cui campioni posizionati nei tre siti di studio provenivano da un
allevamento in cui erano mantenuti in acque pulite. Di questi pesci era pertanto possibile conoscere
le caratteristiche genetiche, il sesso, l’età, l’alimentazione.
2,50
MT (mg/g)
2,00
1,50
1,00
0,50
0,00
Site
A1A1
SiteA2
A2
Site A3
A3
Campagna con carpe in gabbia
Nella campagna olandese effettuata esponendo le carpe in gabbia per 4 settimane, i livelli di MTs
sono superiori nel sito A3 rispetto al sito A2 e A1.
Nonostante i dati ottenuti con questo tipo di monitoraggio siano migliori, le differenze sono ancora
molto limitate; inoltre non si conoscono gli effetti di possibili patologie infettive che sono un reperto
comune nei pesci allevati in gabbia a causa dell’intensività.
57
Risultati
4.4 CAMPAGNE DI MONITORAGGIO EFFETTUATE IN GERMANIA
I campioni di fegato da cui è stata estratta la metallotioneina sono stati prelevati da abramidi
provenienti da fiumi della Germania.
Le analisi quantitative della metallotioneina effettuate tramite elettroforesi capillare hanno dato i
seguenti risultati:
2,50
mg MT/g
2,00
1,50
1,00
0,50
0,00
Havel
Spree
Dahme
Campagna autunno 2000
Nei tre fiumi monitorati si evidenziano quantitativi di inquinamento simili, senza significative
differenze fra i siti.
1,00
MT (mg/g)
0,80
0,60
0,40
0,20
0,00
A1
A2
A3
Campana autunno 2001
In questa campagna i siti valutati non mostrano significative differenze tra di loro.
58
Risultati
0,45
MT (mg/g)
0,35
0,25
0,15
0,05
de1
de2
de3
Campagna primavera 2002
I dati indicano l’assenza di differenze significative tra i siti in esame; non è pertanto posssiblie
indicare con precisione il sito ad inquinamento maggiore.
Anche in Germania sono state effettuate alcune campagne utilizzando pesci esposti in gabbia alle
acque dei siti da valutare.
3,00
MT (mg/g)
2,50
2,00
1,50
1,00
0,50
0,00
A1
A2
A3
A4
Prima campagna con pesci in gabbia, primavera 2001
I livelli di MT sono maggiori nel sito A2 rispetto ai siti A1, A3, A4.
59
Risultati
3,00
MT (mg/g)
2,50
2,00
1,50
1,00
0,50
0,00
A1
A2
Seconda campagna con pesci in gabbia, autunno 2001
Il sito A2 mostra livelli di metallotioneine superiori al sito A1.
Dai risultati delle nostre ricerche, per ora si può concludere che la metallotioneina è in grado di
evidenziare differenze fra siti in cui le alterazioni dei livelli chimici di metalli pesanti sono franche e
nette. Questa osservazione trova ulteriore conferma nei dati ottenuti con i pesci in gabbia. Conferme
a quanto fino ad ora osservato derivano dai dati ottenuti con i pesci del fiume Amstel catturati allo
stato libero ed in gabbia. In questi esperimenti le differenze osservate con i pesci in gabbia erano
nettamente più marcate rispetto a quelle ottenute con i pesci catturati.
60
Risultati
4.5 ESPOSIZIONE AI METALLI NELLE PIANTE
Le piante come tutti gli organismi viventi hanno sviluppato diversi meccanismi di risposta ai metalli
finalizzati a diminuirne l’effetto tossico.
Questi meccanismi tendono in primo luogo a limitarne l’ingresso nella cellula attraverso la
riduzione del movimento e il legame con la parete cellulare. La membrana plasmatica inoltre è in
grado di ridurne la captazione o espellerli attraverso meccanismi di trasporto attivo.
Una volta nella cellula, per mantenerli in forma non tossica, i metalli vengono chelati a ligandi
endogeni
come
le
fitochelatine,
le
metallotioneine
e
gli
acidi
carbossilici
oppure
compartimentalizzati nel vacuolo grazie a complessi con le fitochelatine o ad antiporti con
l’idrogeno.
4.5.1 Identificazione del picco delle fitochelatine
Le fitochelatine rappresentano una delle possibili risposte delle piante all’esposizione ai metalli
pesanti. La loro composizione, ricca di residui cisteinici, e la loro struttura tridimensionale sono
molto simili a quelle delle metallotioneine tanto che spesso vengono erroneamente classificate come
appartenenti alla classe III delle MTs.
Per escludere che i picchi considerati non siano in realtà attribuibili a complessi molecolari di
fitochelatine sono state effettuate delle corse elettroforetiche con standard di PCn prodotti
enzimaticamente presso il Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare dell’Università degli
studi di Parma.
Metallotioneine
Fitochelatine
Campione di Zea mays trattato con cromo (sinistra) e standard di fitochelatine (destra).
61
Risultati
4.5.2 Analisi delle metallotioneine
L’area dei picchi riconducibili alle metallotioneine è stata calcolata in base al tempo di ritenzione. I
risultati sono riportati come variazione percentuale rispetto al controllo (campione trattato con
acqua). Il grafico mostra l’induzione delle metallotioneine nel Lepidium sativum trattato con
K2Cr2O7.
Variazione % / controllo
600
500
400
300
200
100
0
0.01 0.11
10
100
mg/l K2Cr2O7
Induzione delle metallotioneine nel Lepidium sativum trattato con K2Cr2O7. I dati cerchiati non mostrano tra
loro una differenza statisticamente significativa.
È evidenziabile un incremento dose dipendente nell’espressione delle metallotioneine all’aumentare
della concentrazione di metallo.
Già a basse dosi d’esposizione si ha un induzione elevata rispetto il controllo fino a raggiungere il
massimo (400%) a concentrazioni di 200 mg/l.
2000
Varaizione % / controllo
500
250
0
0.010.110
100
1000
mg/l K2Cr2O7
Induzione delle metallotioneine in Zea mays trattato con K2Cr2O7. I dati cerchiati non mostrano tra loro una
differenza statisticamente significativa.
62
Risultati
ppm Cr
2000
1000
0
0
50
100
150
200
K2Cr2O7 (mg/l)
1500
Germoglio
Endosperma
Somma
ppm Cr
1000
500
0
0
250
500
750
1000
1250
1500
K2Cr2O7 (mg/l)
Anche nel mais, l’induzione delle metallotioneine si presenta già a basse concentrazioni di
bicromato, ma aumenta considerevolmente solo a concentrazioni superiori a 300 mg/l, fino a
raggiungere un valore massimo di induzione del 2.000% a 1.500 mg/l.
4.5.3 Determinazione del cromo nei germogli
Dopo 72 h di esposizione dei semi alle diverse concentrazioni di bicromato è stata determinata la
quantità di metallo assorbita dai germogli, mediante spettroscopia ad assorbimento atomico.
Accumulo di cromo in germogli di Z. mays trattati con concentrazioni crescenti di K2Cr2O7.
Per i semi di mais la quantità di cromo presente nei germogli e nell’endosperma è stato calcolato
separatamente.
I dati ottenuti mostrano che l’accumulo del metallo è dose dipendente ed interessa principalmente il
germoglio, arrivando a concentrazioni simili a quelle esterne. Nell’endosperma questo accumulo è
invece decisamente inferiore.
63
Risultati
Accumulo di cromo in germogli di L. sativum trattati con concentrazioni crescenti di K2Cr2O7.
Anche i semi di crescione presentano un accumulo di cromo dose dipendente.
Rispetto al mais, però, la concentrazione interna è fino a 10 volte superiore a quella esterna.
I dati su entrambe le specie ci permettono di concludere che il cromo viene assorbito dai germogli
durante le prime fasi di crescita e di escludere l’impermeabilità come eventuale meccanismo di
risposta al tossico.
64
Risultati
4.5.4 Metallotioneine e cromo
Confrontando i dati ottenuti dall’accumulo del cromo e dall’induzione delle metallotioneine nei
semi esposti al bicromato, si può osservare come i due parametri siano correlati tra loro e come la
concentrazione di MTs aumenti in relazione al cromo accumulato. Nel mais tale aumento si presenta
lineare a tutte le concentrazioni interne di cromo rilevate. Nel crescione invece si osserva un
andamento di tipo parabolico con il raggiungimento di un plateau per valori superiori a 1.000 ppm.
500
MTs (% / controllo)
400
300
200
100
0
R2 = 0.9738
0
250
500
750
1000
1250
Crom
o(ppm
)
Relazione tra il cromo assorbito e l’induzione delle metallotioneine in Z. mays trattato con K2Cr2O7.
500
MTs (% / controllo)
400
300
200
100
0
R2=0.9777
0
250
500
750
1000
1250
1500
1750
Cromo (ppm)
Relazione tra il cromo assorbito e l’induzione delle metallotioneine in L. sativum trattato con K2Cr2O7.
65
Risultati
4.5.5. Test di fitotossicità cronica breve
Per valutare gli effetti prodotti dai metalli pesanti sulla germinazione e allungamento radicale si
sono effettuati saggi di tossicità cronica breve esponendo i semi di entrambe le specie vegetali
considerate a concentrazioni crescenti di CdCl2, CuCl2 e K2Cr2O7. La valutazione dell’allungamento
radicale e della germinazione è stata effettuata dopo 72 ore ottenendo un indice IG% (indice di
germinazione inibita percentuale rispetto al controllo) che tiene conto di entrambi i parametri.
Le concentrazioni di tossico utilizzate variano per le due specie in base alla diversa suscettibilità ai
tossici:
L. sativum 2, 5, 10, 20, 50, 100, 200 mg/l per ogni metallo.
Z. mays 2, 5, 20, 50, 100, 300, 600 mg/l per CdCl2, CuCl2 e 2, 5, 20, 50, 100, 300, 600, 900, 1200,
1500 mg/l per K2Cr2O7.
Il controllo è rappresentato dai semi fatti germinare con acqua deionizzata.
IG% / Controllo
100
75
50
K2Cr2O7
25
CdCl2
CuCl2
0
0.01 0.1
10
100
Conc mg/l
Indice di germinazione inibita percentuale del L. sativum trattato con CuCl2, K2Cr2O7 e CdCl2.
Come si può osservare nella figura, l’inibizione della germinazione e dell’allungamento radicale nel
Lepidium sativum aumenta con la concentrazione di metallo.
L’efficacia di CuCl2 e K2Cr2O7 nell’inibire la germinabilità e l’allungamento radicale del L. sativum
è simile, raggiungendo un IG% dell’80% per concentrazioni di 200 mg/l. Tuttavia a basse
concentrazioni si ha inibizione maggiore dopo esposizione dei semi a CuCl2. Gli effetti del CdCl2 e
K2Cr2O7 al contrario sono simili in tutto l’intervallo di concentrazioni considerato.
66
Risultati
IG% / Controllo
100
75
50
K2Cr2O7
CdCl2
CuCl2
25
10
00
10
0
0.
1
10
0.
01
0
Conc mg/l
Indice di germinazione inibita percentuale di Z. mays trattato con CuCl2, K2Cr2O7 e CdCl2.
Per quanto riguarda i germogli di Zea mays è evidente come l’effetto del bicromato si discosti da
quello degli altri metalli: oltre ad avere una potenza inferiore, l’inibizione della germinazione e
dell’allungamento radicale (IG%) raggiunge un valore massimo del 75% alla concentrazione di
1500 mg/l. L’effetto dell’esposizione a concentrazioni crescenti di CdCl2 è più rilevante e determina
un valore di IG% del 92% a 600 mg/l. L’IG% massimo, ottenuto a 600 mg/l di CuCl2, è dell’83%.
67
Discussione
5- DISCUSSIONE
Il problema dell’inquinamento delle acque è di estrema attualità dal momento che ogni giorno
vengono immessi in laghi e fiumi scarichi industriali di origine agricola ed urbana che riversano
nelle acque sostanze organiche ossidabili, organismi patogeni e sostanze tossiche.
Uno dei metodi utilizzati per verificare se un certo ecosistema è affetto da una contaminazione tale
da determinare effetti rilevanti a carico di una o più delle sue componenti è quello del monitoraggio
chimico, che può essere condotto attraverso l’analisi di tracce di composti tossici nelle acque. Tale
approccio è piuttosto costoso, richiede strumentazioni complesse e personale specializzato.
Un secondo sistema di monitoraggio si basa su parametri biologici rilevati nelle specie esposte sia in
campo che in laboratorio. Mentre i dati biologici integrano gli effetti di inquinanti noti e non noti, le
analisi chimiche valutano la situazione ambientale esclusivamente sulla base dei composti presi in
considerazione. La moderna tossicologia ambientale ha pertanto sottolineato l’importanza di
monitorare le acque dal punto di vista biologico. Uno degli strumenti applicabili ai protocolli di
monitoraggio biologico è costituito dai biomarcatori. Il vantaggio fondamentale nell’utilizzo dei
biomarcatori consiste nel fatto che forniscono una misura dello stress in corso nell’organismo ed
una risposta immediata all’esposizione agli agenti inquinanti prima del verificarsi di effetti deleteri.
A questo si aggiunga che i biomarcatori riflettono l’esposizione a specifici tossici o a gruppi di
tossici aggiungendo informazioni al monitoraggio biologico classico, che invece riflette
esclusivamente la situazione generale dello stato dell’ambiente senza fornire indicazioni specifiche
sui tipi di inquinanti coinvolti.
Recentemente sono stati compiuti molti progressi nella messa a punto delle metodiche relative
all’elettroforesi capillare, che attualmente offre la possibilità di separare e quantizzare molti tipi di
composti biologici. Si tratta di una tecnica versatile e idonea ad essere applicata in laboratori
dedicati al monitoraggio ambientale che prevede batterie di test per la misurazione di numerosi
parametri proteici.
In questo lavoro l’elettroforesi capillare è stata applicata alla valutazione dei livelli di
metallotioneine in specie acquatiche sentinella esposte o catturate in acque dolci.
La validazione del metodo è stata effettuata mediante confronto con gli standard di metallotioneina
pura, l’utilizzo di una lettura spettrofotometrica a lunghezza d’onda diversa che si basa sulle
proprietà chimiche specifiche delle metallotioneine e sulla base del dosaggio di campioni estratti da
fegato di animali controllo e trattati con un agente che induce in modo specifico la sintesi delle
metallotioneine.
Recentemente il ruolo fondamentale delle MTs è stato considerato nell’omeostasi di elementi
traccia essenziali, come il rame e lo zinco, e nella detossificazione dei metalli non essenziali
(Viarengo, 1998). Inoltre si tratta di un biomarcatore sensibile e specifico per i metalli pesanti già
68
Discussione
utilizzato in altri lavori effettuati su specie acquatiche. Sulla base di queste osservazioni abbiamo
cercato di applicare questo parametro per lo studio dei livelli di inquinamento da metalli pesanti in
alcuni fiumi europei.
Lo studio delle MTs nelle nostre condizioni sperimentali non ha fornito risultati soddisfacenti.
Infatti è stata osservata una mancanza di riproducibilità dei dati ed una scarsa correlazione con i dati
chimici. Questo è stato osservato sia in pesci catturati allo stato libero che in pesci esposti in gabbia.
Il fatto che l’espressione delle MTs nei pesci sia in grado di discriminare in modo netto solo siti
molto inquinati rispetto quelli non inquinati e che altri fattori fisiologici e infettivi possano
interferire con questo parametro rende di difficile applicazione il suo utilizzo nel monitoraggio dei
fiumi da noi considerati e non consente conclusioni definitive. Quindi si sta cercando di valutare dei
bioindicatori in alternativa all’utilizzo dei pesci e nei quali le MTs vengano espresse in modo più
riproducibile e riflettano meglio la situazione ambientale. Sulla base dei vantaggi offerti dai
bioindicatori vegetali abbiamo iniziato una ricerca preliminare in laboratorio per studiare
l’espressione delle MTs in un modello vegetale. L’accumulo di metalli pesanti nella catena trofica,
dovuto alla loro persistenza e all’impossibilità di essere metabolizzati, ed il ruolo delle piante come
principale punto di ingresso degli inquinanti nella catena alimentare, hanno motivato lo studio dei
meccanismi alla base della risposta tossica in organismi vegetali.
Sono state selezionate due specie vegetali: Lepidium sativum L. (crescione), già utilizzato nei
protocolli di monitoraggio ambientale per la sua nota sensibilità agli inquinanti, e Zea mays L.,
meno suscettibile all’effetto di tali tossici ed il cui genoma è stato parzialmente sequenziamento.
In entrambi i modelli l’inibizione della germinazione e dell’allungamento radicale, espressa come
IG%, aumenta in funzione della concentrazione del metallo. L’inibizione sembra inoltre essere
correlata ad un livello soglia che nel mais si presenta a concentrazioni superiori (10 mg/l per il
crescione e 100-300 mg/l per il mais). Inoltre per poter osservare una risposta fitotossica
paragonabile a quella del crescione, nel mais è stato necessario aumentare la concentrazione dei
metalli considerati oltre i 600 mg/l, ottenendo comunque un IG% inferiore.
La valutazione dell’accumulo del cromo nei germogli ha consentito di osservare che entrambe le
specie non sono impermeabili al metallo e che l’accumulo è dose-dipendente. Però, mentre nel mais
la concentrazione interna di cromo non supera mai quella esterna, nel crescione le concentrazioni
nel seme raggiungono valori 10 volte superiori a quelli esterni. Ciò suggerisce che possa esserci un
fenomeno di trasporto attivo del metallo all’interno del germoglio del crescione.
In entrambi i campioni è stata valutata l’induzione di metallotioneina mediante elettroforesi
capillare (MECC). Nelle due specie vegetali considerate, in seguito all’esposizione al cromo è stata
osservata una differenza nei livelli di MTs. Nel crescione l’induzione di MTs aumenta in funzione
della concentrazione esterna del metallo fino a raggiungere il massimo a concentrazioni di 200 mg/l
(400% rispetto il controllo). Nel mais l’induzione, pur presentandosi già a basse concentrazioni,
69
Discussione
mostra un aumento considerevole solo a concentrazioni superiori a 300 mg/l di K2Cr2O7 fino a
raggiungere un valore massimo di induzione del 2000% a 1500 mg/l.
Confrontando i dati ottenuti dall’accumulo del cromo e dall’induzione delle metallotioneine nei
semi esposti al bicromato, si può osservare come i due parametri siano correlati tra loro e come la
concentrazione di MTs aumenti in relazione al cromo accumulato. Nel mais tale aumento si presenta
lineare a tutte le concentrazioni interne di cromo rilevate. Nel crescione invece si osserva un
andamento di tipo parabolico con il raggiungimento di un plateau per valori superiori a 1000 ppm.
Ciò suggerisce che le metallotioneine abbiano un ruolo essenziale nella detossificazione da cromo e
possano conferire resistenza al metallo legandone gli ioni come già suggerito per il sorgo .Sulla base
di queste prime osservazioni si può concludere che esiste una buona correlazione fra l’espressione
delle MTs e l’esposizione ai metalli pesanti, che appare lineare già per basse concentrazioni di
esposizione. Si può proporre direttamente un’indagine delle acque basate su questi test, che
possiedono il vantaggio di essere economici e di evitare eventuali problemi sulla sperimentazione
animale. Successivamente si potrebbero completare le ricerche riguardanti l’espressione delle MTs e
confermare l’esposizione a metalli pesanti utilizzando specie di invertebrati, come su protocolli già
messi a punto.
L’applicazione di questo parametro ad altri modelli vegetali in campo richiede invece un notevole
approfondimento e studio.
70
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Curriculum vitae
Dati anagrafici
Nome e Cognome
Luogo e data di nascita
Residenza
Cittadinanza
Recapiti telefonici
E-mail
Stato civile
Posizione di leva
Fortunato La Rocca
Milano, 10 Maggio 1977
Viale Lucania, 15 - 20139 Milano
Italiana
Casa 02.45.49.32.86 - Cell. 338.96.17.900
[email protected]
Celibe
Assolto
Esperienze professionali
Febbraio 2003
Ho lavorato presso l’istituto di Scienze Farmacologiche di Milano, nell’ambito
di un programma di ricerche approvato dalla Comunità Europea.
Dicembre 2004
Collaborazione presso D.H.L. in via Fantoli - Milano, come magazziniere.
Settembre 2003
Collaborazione nel call center presso I.N.R.A. Demoskopea in via Muratori - Milano.
Gennaio 2002
Addetto alla sicurezza presso il negozio Gucci in via Montenapoleone, 5 - Milano,
per conto della società AVOGADRO Srl.
Settembre 2000
Addetto al servizio ospitalità nelle manifestazioni organizzate dall’agenzia Clear Channel
e in alcune trasmissioni televisive organizzate dalla Trident Agency, per conto della società
ALLWORKS.
Gennaio 1999
Collaborazione lavorativa presso la Cooperativa “Copat” in via Arese - Milano,
con funzioni di addetto alla logistica.
Istruzione
Laurea in Scienze Naturali con indirizzo Conservazione della Natura e le sue Risorse.
Titolo della tesi:
BIOMARCATORI E BIOINDICATORI NELLA VALUTAZIONE
DELLA QUALITÀ DELLE ACQUE INTERNE.
Condotta sotto la guida del (relatore) Prof. Giordana Barbara presso i laboratori
del Dipartimento di Scienze Farmacologiche dell’Università degli Studi di Milano
coordinato dalla Dott. Agradi Elisabetta (tale lavoro di tesi ha avuto la durata di 15 mesi).
Diploma di Perito Tecnico Agrario Industriale conseguito presso l’I.T.A.S.
“Gregorio Mendel” di Noverasco Milano, nell’anno 1996.
Lingue straniere
Discreta conoscenza della lingua inglese parlata e buona dimestichezza con l’inglese tecnico.
Conoscenze informatiche
e strumentali
Uso continuato per due anni del Personal Computer (Ambiente Windows)
come normale mezzo di lavoro, sviluppando così padronanza nell’uso delle applicazioni
Microsoft (Word, Power Point Excel...).
Buona abilità nella navigazione internet e nell’utilizzo della posta elettronica.
Buona conoscenza nell’utilizzo di apparecchiature di analisi quali: Elettroforesi Capillare.
Io sottoscritto, Fortunato La Rocca , autorizzo il trattamento dei propri dati personali in conformità alle disposizioni della legge n° 675/96.
Fortunato La Rocca