Il Paesaggio di Savignano sP dalla metà dell`800 agli

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Il Paesaggio di Savignano sP dalla metà dell`800 agli
Il Paesaggio di Savignano s.P. dalla metà dell’800 agli anni 40 del 1900.
Come è ben evidente dalle opere dell’artista l’esperienza intensa di vita contadina ed il paesaggio
agrario che connotava il suo mondo giovanile hanno avuto una funzione determinante nello
sviluppo della vena artistica del Graziosi, come ben evidenzia Francesca Petrucci all’inizio dell’
“Itinerario Pittorico di Giuseppe Graziosi” in “I Luoghi di Giuseppe Graziosi, Dipinti e Disegni “
(VisualBooks):
“…L’amore per il paesaggio, inteso come luogo della propria esistenza, come forza e risorsa,
riflesso e prolungamento biografico, appare il tema maggiormente trattato dal Graziosi nell’intera
attività, affrontato con espressioni linguistiche sempre variate…”
Ma il paesaggio di Savignano dai tempi dell’artista (seconda metà ottocento, inizio
seconda guerra mondiale) era ben diverso da quello che possiamo individuare ai giorni
nostri. Proviamo ad analizzarne le peculiarità di allora ed i mutamenti che sono avvenuti.
In linea generale dal punto di vista paesaggistico i caratteri essenziali e costitutivi dei
luoghi non possono essere compresi semplicemente mediante l’individuazione dei singoli
elementi (orografia, insediamenti, beni storici e architettonici, boschi, ecc), ma attraverso
un’analisi compita dei “paesaggi
culturali rurali” che hanno segnato e
modellato in maniera inconfondibile
e univoca il nostro territorio. Questi
“paesaggi rurali” erano (e sono)
fondamentalmente caratterizzati da
strette interazioni tra componenti
ambientali e antropiche, tra attività
economiche e tradizioni, tra spazi
agricoli e borghi rurali, tra culture
tradizionali storiche e produzioni
tipiche che hanno caratterizzato per
centinaia di anni le nostre zone e
che ora, dopo un lungo periodo di
oblio, si sta cercando di recuperare
e valorizzare.
L’area appartenente al Comune di Savignano, posta ai piedi dell'Appennino modenese,
sulla riva destra del fiume Panaro, è in parte pianeggiante ed in parte collinare.
Nell’insieme si tratta di un territorio ad alta qualità ambientale e paesaggistica, dove gli
ambienti naturali sono stati fortemente modellati dall’intervento antropico, dando origine ad
un paesaggio ricco e vario: a tratti boscoso, a tratti coltivato a vite, a ciliegio, a susino,
punteggiato da castelli e borghi fortificati, case-torri, pievi e abbazie.
La casa natale di Giuseppe Graziosi, sita a Mulino di Savignano s.P., si trova proprio in
una zona confinaria tra le due realtà, quella delle dolci colline, a sud dell’abitazione e
quella della fertile pianura a nord, fino alla via Claudia. Allora la consistente attività
zootecnica aziendale faceva si che la maggior parte del terreno agricolo fosse investito a
foraggere, a seminativo (frumento, mais… secondo le antiche regole della rotazione
agraria), ma le sistemazioni agrarie erano totalmente diverse. Nella zona pianeggiante
regnava la “piantata emiliana”, con qualche variazione locale legata alla tradizione
bolognese, che creava un paesaggio quasi boscoso anche in pianura. Nella parte più
settentrionale del comune era anche ben presente la tipica coltura delle nostre campagne,
la canapa. La collina era perlopiù caratterizzata da boschi di querce inframezzati da
qualche pascolo e piante di fruttiferi, spesso gelsi residuali di una coltivazione legata
all’industria della seta in via di esaurimento. Proprio alle spalle della residenza dei
Graziosi, sulle prime pendici collinari, si estendeva un consistente bosco di querce, da
sempre base alimentare, insieme al siero proveniente dai caseifici, dell’allevamento
suinicolo locale, chiaro segno di cultura e tradizione di derivazione longobarda. Il bosco fu
interamente tagliato durante il periodo della prima guerra mondiale per approvvigionare di
legna la comunità locale.
Tra le querce sopravvissute possiamo ammirare quella che è stata più volte ritratta
dall’artista, ormai un vero e
proprio “patriarca arboreo” che si
erge solitario a fronte del borgo di
Savignano.
Altre belle querce fanno da
limitare
alla
via
Monticelli
comunemente conosciuta come
“via delle querce” che collega la
residenza del Graziosi (Mulino di
Savignano) al borgo.
La quercia più volte ripresa nelle opere
dell’artista. Sullo sfondo il borgo di
Savignano
Ma per meglio comprendere la situazione leggiamo questi brani tratti da pubblicazioni di quel
tempo
Compendio storico di Savignano sul Panaro
( di Arsenio Crespellani. Modena, 1873)
La destinazione di questo scritto non richiede ne citazione ne note di schiarimento che leggerete poi
nella storia documentata che spero di pubblicare tra qualche anno. Intanto vi basti sapere che
queste notizie storiche sono tratte dai cronisti, dagli storici e dai documenti esistenti negli archivi
pubblici e privati di Modena e Bologna. Sarò ricompensato ad usura delle mie fatiche se il
libricciuolo riuscirà ben accettato al prelodato Consiglio comunale, e se verrà ad ispirare amore
alla lettura, agli scudi ed alla patria.
CAPO 1
Topografia
quella plaga di terreno che ogni giorno percorrete, o fanciulli, nel recarvi alla pubblica scuola ed
alle vostre abitazioni si chiama comune di Savignano sul Panaro. Confina a levante colla provincia
di Bologna mediante i comuni di Serravalle, Monteveglio e Bazzano: a mezzogiorno con il comune
di Guiglia; a ponente col fiume Panaro, ed a settentrione col comune di S. Cesario. Ha una
superficie di ettari quadrati 2600, popolata da 2028 abitanti.
CAPO 2
Colline
il territorio comunale è posto in colle e piano. Le colline si stendono in lunga e curva striscia da
settentrione a mezzogiorno, ed elevandosi dolcemente dal piano vanno a terminare in numerosi
cocuzzoli ed in piccoli ripiani inghirlandati di pampani, di frutti, od ombreggiati da verdeggianti
boschetti. Da quelle vette fissando lo sguardo nella sottoposta vallata modenese e bolognese
scorgete un vasto ed incantevole panorama di verdura solcato da fiumi, da torrenti, da strade, e
tempestato di case, di ville e di borgate, ove altri giovanetti studiosi e vispi come voi frequentano
con amore le scuole pubbliche formano la gioja delle famiglie e la speranza della patria.
CAPO 3
Pianura
La pianura è il terreno alluviale, serve di scarpe alle colline e si estende sino alla sponda del fiume
Panaro. I padri vostri la provvidero un' abbondante irrigazione aprendo un canale che nei secoli di
mezzo aveva l'imboccatura in Zenzano nel luogo detto Pescara; e con esso condussero per un
labirinto di rigagni le acque del Panaro ad innaffiare orti e prati, ed all'estremo del Comune le
scaricarono nel torrente Muzza. Quegli uomini industriosi seppero cavare dal terreno frumento,
fava, miglio, canapa, lino e riso; disposero in ben ordinati filari l'olmo, il gelso, l'ulivo, i frutti e
copersero e i declivi dei poggi di ricchi ed estesi vigneti.
Dal testo: L'APPENNINO MODENESE….1895
Agricoltura (di Arrigo Tonelli pag 801)
Prospetto generale. Percorrendo una strada che dai piedi della collina ci porti alle cime degli
Appennini, e osservando la campagna che si estende tutt'attorno, si è subito colpiti dalla
grandissima varietà della coltura montanina, spettacolo nuovo per l'abitante del piano, avvezzo
all'uniformità delle sue coltivazioni. Ogni agricoltore, ogni contadino della montagna ha un metodo
di coltivazione, che egli naturalmente non lascerebbe per cosa al mondo e che egli crede
assolutamente il migliore. Come in pianura l'occhio si stanca nel guardare quelle interminabili
file di olmi, quegli sconfinati campi in frumento, di frumentone, così in montagna si rallegra alla
vista di un campo di frumento posto fra due boschi, alla vista di una vigna situata tra un bosco e un
campo di frumentone, si appaga l'occhio guardando quegli estesi castagneti, quegli stessi boschi di
abeti e di faggi; quelle numerose mandrie di cavalli che pascolano nelle praterie. E quelle case
rustiche, che, pure di una certa eleganza, si alzano dalle cime delle nostre amene colline, vanno
cambiandosi, man mano che si sale, in case più tozze e più solide e in capanne coperte di paglia;
quelle numerose strade rotabili che attraversano la pianura si perdono man mano che si avvicinano
al monte, dove vengono surrogate da vie mulattiere, da stretti sentieri. E quei carri a quattro ruote
di cui si servono i contadini delle pianure, vanno cambiandosi in carretti a due ruote, per venire
pur surrogati da veicoli, privi affatto di ruote, e due bastoni tengono luogo di trebbiatrici a vapore.
Riguardo all'agricoltura l'Appennino modenese va diviso in tre distinte zone, o regioni. Una zona
inferiore, che comprende i bassi contrafforti tra i 100 e i 300 metri sul livello del mare: alla quale
zona si da comunemente il nome di colline, e dove il sistema generale di coltivazione è pressochè
uguale a quello della pianura. Una media, nella quale si ha la maggior varietà nelle produzione
agricole, compresa approssimativamente tra i 300 e i 1000 metri sul livello del mare. Una
superiore, infine, che giunge fino al culmine della catena
mediana degli Appennini: in questa zona, a prevalenza dei
prodotti artificiali che vanno scomparendo man mano che si
sale, si trovano i naturali, quali ad esempio le praterie e le
boscaglie.
territorio tra Spilamberto e Savignano, volo RAF del 1944 dove ben si
individua il sistema a “piantata”
Come risaputo tutta la nostra pianura, fino al secondo
dopoguerra, si poteva considerare un “bosco planiziale”
infatti il sistema della “piantata” che prevedeva
sistemazioni dei campi delimitate da vigne maritate a
tutori vivi, perlopiù olmi, dava vita ad un territorio molto
diversificato e ricco nella struttura poderale. Specificatamente nella zona di Savignano era
presente una diversificazione nei tutori vivi, olmi nelle aziende con presenze zootecniche,
gelsi in quelle produttive . Ecco un brano esplicativo della situazione locale:
Da “L’olmo e il gelso” Schede di educazione ambientale : “Ambiente, Storia e
archeologia a Savignano sul Panaro” a cura di Assessorato alla Cultura e Biblioteca
Comunale del Comune di Savignano.
Se nell’ alto medioevo la valle del Panaro era il regno della vite, con la introduzione in Italia del
baco da seta cambia anche il paesaggio per l’introduzione di nuove coltivazione ed il sorgere di
nuovi interessi economici. Come testimonia il Belloj, in epoca moderna la valle del Panaro poteva,
a più giusta ragione, essere denominata “valle dei gelsi”.
“…il territorio di Vignola si allarga comodamente al di qua e al di la del fiume abbondano ad ogni
produzione di cereali, non che di svariatissimi frutti sia estivi che autunnali: gode d’aria salubre e
temperata: alleva numerosissimi bachi da seta pasciuti da gelsi frondosi, al tempo del Pavaglione,
ne ricavano cospicui ricavi”.
I gelsi che ancora si ritrovano isolati qua e la sono i testimoni silenziosi di una fiorente coltivazione
che perse ogni sua ragion d’essere alla fine dell’Ottocento in seguito alle frequenti malattie che
colpirono gli allevamenti dei filugelli, che ne furono decimati. La più terribile di queste fu
certamente l’atrofia parassitaria o male delle petecchie che si sviluppò in forma epidemica prima
in Francia, subito dopo in Italia e negli altri paesi allevatori di bachi da seta.
L’olmo, una pianta particolarmente adatta ai terreni fortemente argillosi che caratterizzano il
nostro territorio, nel passato era molto diffuso.
In primo luogo perché era essenziale la sua funzione di tutore, cioè di sostegno alle viti nei filari
(piantate) che intersecavano i campi coltivati; in secondo luogo era importante economicamente in
quanto le sue foglie, parzialmente staccate da ogni ramo dai contadini, servivano per l’
alimentazione del bestiame, permettendo cosi di risparmiare prezioso foraggio per la stagione
invernale.
Negli ultimi anni ha subito gravissimi danni a causa
della “Grafiosi” che minaccia la sopravvivenza anche in
Italia. Rarissimi esemplari sopravvivono nella nostra
zona e troppo frequentemente i campi vedono filari di
tronchi oramai rinsecchiti, muti testimoni della virulenza
del “graiphium ulmi”, causa della loro morte…
Dalla fine del1800, soppiantando la gelsicoltura,
comincia ad affermarsi nel comprensorio vignolese
(e quindi anche a Savignano) la coltivazione del
ciliegio e una certa frutticoltura specializzata che
caratterizzerà il paesaggio futuro locale, in
specialmodo nella parte di pianura. I sistemi di
allevamento dei ciliegi erano molto diversi da quelli
attuali, raggiungendo gli alberi anche i 30 metri ed
oltre…
raccolta delle ciliegie, inizi 1900 collez. Montorsi
Come visto, quindi, i sistemi di paesaggio derivano dalle diverse logiche progettuali che
hanno guidato le trasformazioni dei luoghi, intrecciate e sovrapposte nel corso dei secoli;
fortemente influenzate dalle tipologie di conduzione
agricola e dagli assetti poderali.
Nello specifico la famiglia Graziosi alloggiava in un
massiccio caseggiato rurale messo a disposizione dal
proprietario alla famiglia mezzadrile del futuro artista.
Nel podere legato alla struttura mezzadrile la
componente numerica familiare era fondamentale
dovendo garantire la conduzione di una struttura
agricola il più possibile diversificata: tanto maggiore era
la superficie ed attività agricola, tanto maggiore
doveva essere la forza lavoro fornita dalla famiglia,
che si ricorda doveva fornire tutta la manodopera
necessaria, mentre i capitali erano di spettanza del
proprietario e la produzione veniva suddivisa a metà
tra le componenti. Questo sistema nel quale la
flessibilità delle colture, la sostenibilità di una microazienda dove nulla va sprecato, la necessità di un
equilibrio tra territorio e sopravvivenza, è stato per
centinaia di anni alla base delle attività agricole che si
sono praticate; creando una struttura sociale e
culturale collegata che individuava un modello di vita costituito da un complesso di valori
storici, culturali e tradizionali alternativo a quello delle grandi città, dove la struttura
patriarcale era l’asse portante di tutta la società (Al Razdor o Arzdor e la Razdora..)
Ecco un brano che fotografa una attività fondamentale per l’economia agricola della vita
contadina di allora:
DAL CHICCO DI GRANO AL PANE da“La rezdora, ricordi e ricette dalle terre d’Emilia e
Romagna” di Sara Prati e Giorgio Rinaldi.
“..Il grano è sempre stato il
prodotto più importante della
nostra agricoltura, attentamente
curato e controllato dai nostri
contadini.
Questa
pianta
antichissima ha origine nell’Asia
Minore ed era il cereale più
coltivato
rispetto
all’avena,
all’orzo, al segale e al miglio in
tutto il territorio nazionale ed in
particolare nella nostra regione. .Il
terreno doveva essere preparato
con cura mediante l’aratura
eseguita con l’aratro (piòd)
trainato dai buoi, la terra veniva
Casa Graziosi ad inizi 900, tratto da….
come rivoltata e in questo modo la
parte inferiore, ricca di sostanza organiche, finiva in superficie.
Spesso le famiglie di mezzadri si prestavano reciprocamente il bestiame da tiro, questo scambio
(zerla), permetteva di arare con più coppie di buoi. Dopo l’aratura bisognava poi spezzare le zolle
più grosse rimaste mediante l’erpice (arpagòun) sempre trainato da buoi e poi mediante la
zappatura. Solo dopo queste operazioni il terreno era pronto per la semina.
Dopo aver scelto la giornata adatta, che doveva essere asciutta e senza vento, e facendo attenzione a
non attendere troppo tempo, si seminava manualmente. L’operazione richiedeva una mano esperta e
quindi veniva affidata all’”arzdor” o al figlio più grande. Dopo aver seminato si ricoprivano i semi
con la terra per salvarli dall’assalto dei passeri e dei colombi e si stava attenti all’andamento
stagionale perché “se in nuvamber et seint al troun, par al furmeint al srà un an bòun” (se in
novembre si sente il tuono per il frumento sarà un anno buono). In ogni caso la neve faceva ben
sperare in un buon raccolto “An da neva, an da sgnor” (anno da neve anno da signori). Verso la
fine di maggio, il frumento è ormai maturo: “Par Sant’Urban al furmeint al s’è fat gran” e si
comincia già a pensare alla mietitura che di solito avviene in Giugno. Insieme alla famiglia
lavoravano i vicini di casa, i parenti e i braccianti salariati. Le prime spighe venivano offerte alla
Madonna e questo conferma l’importanza che aveva anche nella religione passata. Le “manelle “
che sono le manciate di spighe, venivano deposte sul terreno e poi legate con corde di canapa o di
erba palustre. Con più manelle si facevano i covoni che venivano portati con il carro agricolo
sull’aia. Per far uscire il chicco dalla spiga era indispensabile la trebbiatura, si poteva eseguire in
tanti modi; il primo modo: si utilizzava la zercia, formata da due bastoni legati da una striscia di
cuoio, con la quale si battevano le spighe così da far uscire i chicchi. Oppure: si facevano passare
sui mucchi di spighe i cavalli o i buoi. Nel corso del tempo si incominciò a utilizzare la macchina da
battere che sfruttava la forza del vapore, con questa macchina era possibile anche imballare tutta la
parte scartata da utilizzare come cibo e giaciglio per gli animali da stalla. Il grano veniva misurato
con un apposito contenitore, perchè doveva essere diviso in parti uguali, rimaneva cosi da svolgere
l’ultima operazione: la macinazione, che avveniva nei mulini ad acqua.
Il grano veniva portato dal mugnaio dove veniva pesato e ripulito di ogni impurità. Una parte del
grano veniva lasciata al mugnaio perché con questo veniva pagato. La farina era riportata a casa in
sacchi e conservata in un apposito mobile “al cassoun dla fareina” (il cassone della farina). Il pane
dei contadini non era bianco come quello dei padroni, ma scuro come quello di crusca, ora è molto
ricercato perchè fa bene alla salute, ma i contadini di allora non lo sapevano!
Il pane veniva fatto dalle donne una volta alla settimana o ogni 15 giorni e veniva cotto in un forno
esterno in muratura. Stabilito il giorno si setacciava la farina per eliminare la crusca.
La sera precedente si faceva rinvenire il lievito madre con acqua tiepida e si lasciava lievitare fino
al mattino successivo, dopo di che si impastava con farina, sale, strutto e acqua e si lavorava
l’impasto prima manualmente poi con la grama. Dell’impasto si era già messo da parte un pezzetto
per la panificazione successiva.”
L’inizio del novecento, in una regione eminentemente agricola come l’Emilia-Romagna di
allora, vide cambiare soprattutto il paesaggio agrario, in quanto i capitali degli imprenditori
continuarono ad essere investiti nelle campagne, piuttosto che nelle industrie cittadine,
favorendo il diffondersi delle colture industriali ed impoverendo di fatto la trama del
paesaggio agricolo. La frutticoltura si è diffusa con impianti specializzati ad altissima
produttività: piantagioni geometriche hanno sostituito quasi ovunque la tradizionale produzione consociata in cui i filari erano inframmezzati ai campi. La zona di Savignano, in
particolare, diventa il fulcro e la punta di diamante della moderna frutticoltura nazionale.
Qui nascono i primi stabilimenti di frigoconservazione di frutta e negli anni 20 del 900,
(come attesta il seguente documento che vuole opporsi alla progettata idea di unire il
Comune di Savignano a quello di Vignola) la zona si vanta già di questa eccellenza
nazionale.
ATTI E RICORSI
…III. Il Comune di Savignano è funestato da lotte e discordie fra i cittadini? Le locali Associazioni sono
indisciplinate oppure non collaborano a sufficienza col regime e colle autorità in genere?
Niente di tutto questo: la popolazione è seria e laboriosa, il Fascio locale è sempre pronto e generoso in
ogni occasione ed iniziativa, i Sindacati funzionano ottimamente, i cittadini di ogni classe sinceramente
attaccati al Regime, non domandano che di conservare la loro autonomia quasi millenaria, convinti che
questa sia utile all’ascesa morale e materiale del paese, elevazione che si identifica coi bisogni della Patria
tutta e col programma del Fascismo. Chiunque può pertanto constatare che a Savignano esiste un perfetto
accordo fra le Autorità Amministrative e Politiche, i Sindacati e le Associazioni patriottiche.
IV. Vi è forse disoccupazione nel Comune?
Dopo l’avvento del Fascismo non vi è più stata disoccupazione, anzi durante l’estate vi è molta affluenza di
operai da altri Comuni, specie del Bolognese.
V. Vi sono industrie nel paese? La sua entità economica è forse trascurabile? Gli agricoltori pigri ed
inetti?
Vi sono nel Comune le rinomate cave di calce della Società Calce e Cementi di Vignola, e quelle della Ditta
G. Sacerdoti. vi sono poi due Cartiere, un importante stabilimento di lavorazione di carne suina ed uno
Stabilimento moderno per la esportazione della frutta all’Estero. A questo proposito Savignano ha un
primato Nazionale, poiché il primo importante Frigorifero sorto in Italia per la conservazione della frutta
e per la prerefrigerazione di quella destinata a paesi lontani è stato quello di Savignano. Anche le frutte
prodotte nei nostri frutteti industriali hanno avuto la più alta onorificenza alla recente esposizione
nazionale di Massalombarda. Nel
contempo le nostre frutta vanno
conquistando un primato indiscutibile
nei mercati esteri.
Per quello che riguarda la produzione
attuale si può assicurare che se le
tranvie (Modenesi e Bolognesi)
potessero portare qui i carri dello
Stato, ci vorrebbe per cento giorni un
terreno speciale tutte le sere per il solo
trasporto della frutta fresca: ma
questa produzione non è che agli inizi,
essendovi ancora grandi estensioni di
terreni adatti per nuovi impianti
industriali. Le ditte che hanno
raggiunto un importante sviluppo nei
più moderni sistemi di coltivazione
sono ormai numerose e fra esse
meritano speciale menzione: il Cav.
Augusto Rossi- il Cav. Zanaton- il Sig. Renato Rossi- il Sig. Andrea Trenti e molti altri. Vi sono poi estese
coltivazioni di ortaggi e vivai. Vi sono inoltre in Savignano dodici caseifici. Vi è una produzione di
quintali centocinquantamila di uva da vino e da tavola, sviluppata e da curata è la cultura dei cereali nella
zona collinare, con produzione media di quintali ottomila di grano, curato il bestiame e l’allevamento
incoraggiato e sorvegliato dal locale Consorzio Zootecnico.
La qualità paesaggistica del territorio appare oggi però sempre più minacciata, soprattutto
nella zona pianeggiante, dalle crescenti pressioni insediative residenziali e industriali.
Soprattutto la zona di Savignano alta riveste ancora significative valenze paesaggistiche,
come attestato dal PTCP e dal PTPR:
….L’area, posta ai piedi dell’Appennino modenese, sulla riva destra del fiume Panaro, è in parte
pianeggiante ed in parte collinare. Nell’insieme si ratta di un territorio ad alta qualità ambientale e
paesaggistica, dove gli ambienti naturali sono stati fortemente modellati dall’intervento antropico, dando
origine ad un paesaggio ricco e vario, a tratti boscoso, a tratti coltivato a vite, a ciliegio, a susino,
punteggiato da castelli e borghi fortificati, case torri….
Attualmente il paesaggio è ancora cadenzato dalle pratiche
rurali, la forma dei luoghi è ancora impregnata di tipicità agricole
locali: vigne, frutteti, piccoli produttori di eccellenze
enogastronomiche. Oltre alla frutticoltura la vocazione viticola
dell’area si evince dai vitigni certificati presenti, autoctoni e
d’importazione; solo a Savignano si contano una dozzina di vini
insigniti di DOC.
Ma in zona la tradizione si evidenzia ancor più nella produzione
di un derivato del mosto, l’Aceto Balsamico Tradizionale di
Modena DOP, il prodotto che probabilmente è il principale
motivo di orgoglio e di identità culturale modenese, emblema di
un legame affettivo con luoghi, persone e antichi rituali della
nostra terra, ancora vivi e presenti.
Aceto Balsamico Tradizionale nella caratteristica ampolla
Piercarlo Cintori
e la classe IVApV “IIS L. Spallanzani”, sede coordinata di Vignola