Cusinato A., Bassetti M., Popolamento umano e paleoambiente tra

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Cusinato A., Bassetti M., Popolamento umano e paleoambiente tra
Studi Trent. Sci. Nat., Acta Geol., 82 (2005): 43-63
© Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2007
ISSN 0392-0534
Popolamento umano e paleoambiente tra la culminazione dell’ultima glaciazione e
l’inizio dell’Olocene in area trentina e zone limitrofe
Anna CUSINATO1 & Michele BASSETTI2*
1
Sezione di Preistoria, Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38100 Trento, Italia
CORA Ricerche Archeologiche s.n.c., Spini di Gardolo 75, 38014 Gardolo (TN), Italia
*
E-mail dell’Autore per la corrispondenza: [email protected]
2
RIASSUNTO - Popolamento umano e paleoambiente tra la culminazione dell’ultima glaciazione e l’inizio
dell’Olocene in area trentina e zone limitrofe - Si presenta una breve sintesi delle ricerche archeologiche sulle strategie
di sussistenza dei cacciatori-raccoglitori in area trentina durante il periodo che va dalla culminazione dell’ultima
glaciazione alpina (ALGM) all’inizio dell’Olocene, ovvero, dal punto di vista culturale, dall’Epigravettiano antico al
Mesolitico antico. L’obiettivo è di capire se le modificazioni climatiche e ambientali abbiano avuto un nesso causale
diretto sui comportamenti dei gruppi umani, e di individuare in quale modo gli indicatori archeologici possano aver
registrato questo condizionamento. Lo sviluppo delle culture umane durante l’ALGM fu notevolmente influenzato
dalla presenza delle estese calotte glaciali dell’arco alpino, che costituirono un rilevante ostacolo geografico agli
spostamenti dei gruppi umani e agli scambi culturali tra i due versanti. All’inizio del Tardoglaciale si verificò il
ritiro generalizzato dei ghiacciai dalle principali valli alpine, e questo costituì la premessa alla ricolonizzazione
dell’ambiente montano da parte della vegetazione, della fauna e dell’uomo. La più importante espansione dei gruppi
umani verso l’area atesina si colloca durante il Late Glacial Interstadial, quando dai siti di fondovalle delle Prealpi
i gruppi di cacciatori-raccoglitori si spinsero verso nord in direzione della media montagna. Questo fenomeno è
da mettere in relazione con il progressivo innalzamento della temperatura e l’elevarsi dei limiti superiori della
foresta, che favorì la pratica della caccia negli ambienti aperti delle praterie di media e alta montagna. All’inizio
dell’Olocene si verificò un complesso cambiamento sia nelle tecniche finalizzate alla confezione di strumenti litici
sia nelle modalità di fruizione del territorio. In particolare, la maggior mobilità, conseguente alla ricerca di nuovi
bacini di caccia nelle fasce altimetriche ad alte quote, favorì l’intensificarsi di scambi culturali tra i due versanti
dell’arco alpino.
SUMMARY - Human settling and paleo-environment between the Last Glacial Maximum and the beginning of the
Holocene in the Trentino and surrounding areas - This article presents a brief synthesis of the archaeological research
in the Trentino area and it focused on the subsistence strategies of the hunter-gatherers during the chronological
period that goes from the Alpine Last Glacial Maximum (ALGM) to the beginning of the Holocene, that is, from a
cultural point of view, from the Early Epigravettian to the Early Mesolithic. The aim is to understand if the climate
changes had a direct effect on the behaviour of the human groups and in what way the archaeological indicators can
have recorded these restrictions. The development of human culture during the ALGM was considerably influenced
by the presence of extensive ice-sheets in the Alpine area, that impeded the movement of the groups and the cultural
exchanges between the two mountain-sides. At the beginning of the Late Glacial, when the continental glacial masses
fused all over the globe, the ice began to pullback from the principal alpine valleys and once again the mountain
environment was inhabited by plants, animals and man. The most important expansion of human groups towards the
Adige area took place during the Late Glacial Interstadial. The Epigravettian hunter-gatherer groups moved north
from the valley bottom sites in the Pre-alps towards the middle mountain zones. This phenomenon is related to the
progressive increase of temperatures and of the upper limits of the timberline, that probably drove them to hunting in
the open areas of the middle and high mountain prairies. At the beginning of the Holocene, a complex change took
place that not only involved knapping techniques but also settlement patterns. In particular, the increased mobility
when searching for new hunting areas in higher and more inland zones of the Alps encouraged cultural exchanges
between the two sides of the Alps.
Parole chiave: Epigravettiano, Mesolitico antico, paleoambiente, popolamento umano, Trentino
Key words: Epigravettian, Early Mesolithic, palaeo-environment, human settling, Trentino
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Cusinato & Bassetti
Popolamento umano tra l’ALGM e l’Olocene in Trentino
1.
INTRODUZIONE
salmente alla catena alpina per oltre 120 km con
una direzione che fino a Bolzano è circa NNE-SSW
mantenendo un basso gradiente topografico dalla
quota della pianura veneta (Verona, 59 m s.l.m.) fino
a Merano/Meran (325 m s.l.m.). La valle raggiunge
lo spartiacque attraverso le diramazioni della Val
Venosta/Vinschgautal e la Val d’Isarco/Eisacktal.
Nella fascia meridionale i maggiori comparti montuosi, da ovest verso est, sono il Monte Baldo (Cima
Valdritta, 2260 m s.l.m.), i Monti Lessini-Piccole
Dolomiti (Cima Carega, 2259 m s.l.m.), l’Altopiano
dei Sette Comuni (Cima Dodici, 2341 m s.l.m.) e il
Monte Grappa (Cima Grappa, 1775 m s.l.m.). L’area
settentrionale è dominata dai gruppi montuosi dolomitici (Marmolada, 3344 m s.l.m.), dalle Alpi sarentinesi e dal Gruppo delle Maddalene.
In Trentino le ricerche archeologiche degli ultimi
trent’anni hanno permesso di segnalare e studiare un
consistente numero di siti attribuibili all’Epigravettiano recente e al Mesolitico, alcuni dei quali datati
radiometricamente e altri collocati in una determinata
fase cronologica in base alle caratteristiche tecno-tipologiche delle industrie litiche.
La ricerca archeologica sul popolamento preistorico
montano, a lungo affrontata utilizzando principalmente i dati tecno-tipologici delle industrie litiche, richiede
oggi una visione d’insieme che includa il più possibile
le modificazioni ambientali, le tappe della progressiva
colonizzazione dell’ambiente alpino, le modalità di
sfruttamento delle risorse del territorio e l’analisi della
direzione e dell’ampiezza degli spostamenti dei gruppi
umani. Al tempo stesso, la comprensione della variabilità climatica tardoglaciale-olocenica nell’area atesina
può essere meglio intesa se integrata dall’analisi del
dato archeologico.
In questo lavoro si rifletterà dunque sul ruolo dell’ambiente nelle strategie di sussistenza dei cacciatori-raccoglitori durante il periodo cronologico che va
dalla culminazione dell’ultima glaciazione all’inizio
dell’Olocene, nel tentativo di comprendere se le modificazioni climatiche abbiano avuto un nesso causale diretto sui comportamenti dei gruppi umani, e in
qual modo gli indicatori archeologici possano aver
registrato questo condizionamento. Infatti, se l’interazione tra lo sviluppo culturale e l’ambiente naturale è
generalmente accettata, le modalità e l’entità con cui
si esplicano questi due fattori sono questioni tuttora
ampiamente dibattute. La ricerca interdisciplinare
viene qui proposta come un valido approccio in grado
di comprendere le interazioni tra ambiente naturale e
sviluppo delle società umane.
Da questo presupposto, l’esposizione dei dati verrà
effettuata secondo un criterio climatostratigrafico adottando le suddivisioni recentemente definite da Ravazzi
(2003). Per approfondimenti sulle modificazioni geomorfologiche dell’area atesina si rimanda all’articolo
di Bassetti & Borsato (2007).
2.
L’AREA DI STUDIO
Il presente studio esamina principalmente la porzione delle Alpi meridionali orientali, che comprende
le Dolomiti e le Prealpi venete. L’area è caratterizzata
morfologicamente dalla depressione valliva percorsa
dal Fiume Adige, che divide in senso meridiano un
settore occidentale, limitato a est dai rilievi Monte
Baldo-Monte Bondone e dalla Valle di Non, da un
settore orientale, rappresentato dai Monti Lessini,
l’Altopiano dei Sette Comuni e l’area dolomitica.
Il profondo solco vallivo atesino si insinua trasver-
3.
CULMINAZIONE ALGM
(ALPINE LAST GLACIAL MAXIMUM,
17.500-26.000ANNI CAL. BP)1
Durante l’ALGM i bacini dei maggiori sistemi
fluviali del versante meridionale delle Alpi erano occupati da ghiacciai vallivi che spesso raggiungevano la
Pianura Padana (Castiglioni 1940).
Nell’area atesina la massa glaciale principale defluiva dall’attuale spartiacque alpino verso sud attraverso la Val d’Adige e quindi lungo l’asse gardesano.
Prospezioni geofisiche e geognostiche eseguite nel
fondovalle presso Trento hanno permesso di identificare la presunta paleosuperficie pre-ALGM ad una profondità compresa tra 189 e 221 metri (Pozzo Fersina 1,
Felber et al. 2000).
Trasfluenze minori erano i rami che si sviluppavano nell’attuale Val Lagarina e nella Valsugana, mentre
sull’Altopiano dei Sette Comuni i ghiacciai locali alimentavano una calotta glaciale (Trevisan 1939).
Lo sviluppo delle culture dell’Uomo anatomicamente moderno durante questa fase del Paleolitico
superiore fu notevolmente influenzato dalla presenza
delle estese calotte glaciali dell’arco alpino, che costituirono un rilevante ostacolo geografico agli spostamenti dei gruppi umani e agli scambi culturali tra i
due versanti. Dal punto di vista archeologico, una delle
conseguenze della presenza dei ghiacciai fu il passaggio da un’espressione culturale ampiamente diffusa a
livello europeo, il Gravettiano, ad una separazione tra
gruppi culturali (occidentali, orientali e mediterranei).
1
L’esposizione dei dati verrà effettuata secondo un criterio climatostratigrafico, adottando le suddivisioni recentemente definite
da Ravazzi (2003). Le età radiocarbonio presenti nel testo sono
state calibrate usando il programma CALIB 5.0.1, intcal04.14c
di Reimer et al. 2005, con deviazione standard di 2 sigma. Le
età sono in anni BP (Before Present, dove present= 1950).
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Nell’Europa occidentale-atlantica si affermarono le
culture del Solutreano e del Maddaleniano, mentre
nelle regioni mediterranee la tradizione culturale gravettiana portò alla formazione dei complessi epigravettiani, che sono testimoniati per un arco cronologico
di circa 10.000 anni ovvero a partire dall’acme ALGM
fino al termine del Tardoglaciale (Broglio 1999).
Durante l’ALGM una frequentazione sporadica
dell’area prealpina è testimoniata da bivacchi di caccia, attribuibili a gruppi umani che provenivano dalla
penisola italiana. Nei bivacchi delle grotte prealpine,
situati nei Colli Berici (VI) e nei Monti Lessini (VR),
l’industria2 litica è rappresentata da una tipologia di
strumentario (punte di armi da getto) finalizzato all’attività venatoria (Broglio 1999).
In particolare, tracce di frequentazione antropica
attribuibili alla cultura gravettiana sono state individuate nella Sala Grande della Grotta del Broion nei
Colli Berici (135 m s.l.m.) durante gli scavi diretti dal
prof. P. Leonardi (strati E e D datati a 25.250 ±280
anni 14C BP e a 24.700 ±400 anni 14C BP) (Leonardi
1954, 1960; Bartolomei et al. 1984; Broglio &
Improta 1995). Recenti ricerche in corso da parte dell’Università di Ferrara hanno permesso di confermare
all’interno della successione stratigrafica le evidenze
di occupazione gravettiana (25.860±200 anni 14C BP)
e hanno inoltre individuato un orizzonte di frequentazione dell’Epigravettiano antico datato a 17.830±100
anni 14C BP (20.672-21.443 anni cal. BP) associato ad
una struttura di combustione (De Stefani et al. 2005)
(Figg. 1, 2).
Nella serie della Grottina Azzurra della Grotta di
Paina nei Colli Berici (330 metri s.l.m.) sono stati
identificati due livelli attribuibili all’ALGM, che testimoniano la transizione Gravettiano-Epigravettiano
antico: lo strato 7, riferibile al Gravettiano, è datato
a 20.200 ±240 anni 14C BP (23.510-24.890 anni cal.
BP), mentre lo strato 6, che ha restituito manufatti riferibili alla cultura dell’Epigravettiano antico, è datato
a 19.430 ±150 anni 14C BP (22.620-23.650 anni cal.
BP) e 20.120 ±220 anni 14C BP (23.470-24.680 anni
cal. BP; Leonardi et al. 1962; Bartolomei et al. 1988;
Broglio & Improta 1995). Lo studio palinologico effettuato nella serie della Grotta del Broion permette di
disegnare per l’ALGM un quadro paleoambientale di
steppa fredda e arida essenzialmente priva di specie arboree (Cattani & Renault-Miskovski 1984). Lo stesso
tipo di ambiente si registra negli strati 7 e 6 della grotta
di Paina (Bartolomei et al. 1988).
2
In archeologia il termine industria si applica ai prodotti ottenuti
dall’azione dell’uomo sulla materia, in particolare pietra e osso/
corno. L’analisi degli oggetti lavorati dall’uomo preistorico ha
come scopo principale la comprensione delle modalità con cui
i cacciatori-raccoglitori risolvevano i problemi legati alla sussistenza.
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Infine, dalla Grotta di Trene (360 m s.l.m.) nei Colli
Berici (VI) provengono testimonianze della presenza di
accampamenti occasionali che possono essere attribuiti
alla cultura dell’Epigravettiano antico. L’associazione
faunistica di questo deposito, che sembra indicare un
episodio temperato, è datata a 17.640 ±140 anni 14C
BP (20.440-21.280. anni cal. BP) e 18.630 ±150 anni
14
C BP (21.580-22.520 anni cal. BP) ed è rappresentata da alce, marmotta, stambecco, orso delle caverne,
cervo e, tra i micromammiferi, arvicola, Evotymus e
Apodemus (Leonardi et al. 1959; Broglio & Improta
1995).
4.
IL TARDOGLACIALE (11.268/11.553317.500 ANNI CAL. BP)
L’inizio del Tardoglaciale è caratterizzato a livello
globale dalla fusione delle masse glaciali continentali, soprattutto della calotta artica e degli inlandsis
nordeuropeo e groenlandese. Dopo l’ALGM il ritiro
generalizzato dei ghiacciai dalle valli principali avvenne con la formazione, nei fondovalle e sui versanti,
di dossi morenici, terrazzi di kame, depositi glaciali,
fluvioglaciali, lacustri marginoglaciali e, localmente,
grandi frane associate al trasporto glaciale (Panizza et
al. 1996; Pellegrini et al. 2005).
Nelle aree continentali dell’Europa nordoccidentale è stato riconosciuto che il tempo di ritardo tra
il riscaldamento che determinò la deglaciazione e la
colonizzazione vegetazionale dei depositi incoerenti è
imputabile a fattori edafici del suolo, ovvero a livelli
molto bassi di nutrienti e assenza di humus che consentono solo ad un numero limitato di taxa erbacei con
capacità pioniere di installarsi nelle aree deglacializzate (Van Geel 1996). Nell’Allerød, su parent material
sabbiosi si svilupparono processi di podzolizzazione
(Van Geel 1996), mentre sui loess avvenne la genesi
e la migrazione di argille che diedero luogo ad haplic
Luvisol (Kühn & Hilgers 2005).
Nelle sequenze pedosedimentarie degli insediamenti umani alpini è stato riconosciuto che nei periodi
freddi prevaleva un ambiente steppico caratterizzato
dall’alternanza di cicli di gelo-disgelo e la deposizione
policiclica di loess, mentre nelle fasi temperate avveniva la pedogenesi (Accorsi et al. 1990; Angelucci &
Peresani 2000; Di Anastasio et al. 1995).
L’inizio della riforestazione tardoglaciale del margine del versante alpino meridionale, datata nell’area
piemontese, nel Ticino, in Brianza (Tinner & Vescovi
2007) e nelle Prealpi venete a 12,3-12,2 ka 14C BP
(circa 14,5 ka cal. BP), avvenne ad opera di Pinus
cembra, Larix e Betulla, a partire dalle aree di rifugio
3
Stuiver & Reimer 1998 in Ravazzi 2003.
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Cusinato & Bassetti
Popolamento umano tra l’ALGM e l’Olocene in Trentino
Fig. 1 - Carta di distribuzione dei principali siti attribuibili alla cultura epigravettiana citati nel testo: 1= Riparo Tagliente, 2=
Riparo Soman, 3= Madonna delle Neve, 4= Palù Echen, 5= Riparo Cogola, 6= Viotte del Bondone, 7= Terlago, 8= Andalo,
9= Laghetti delle Regole, 10= Ripari Villabruna, 11= Riparo Dalmeri, 12= Albi di Val Coperte, 13= Fonte del Palo, 14= Val
Lastari, 15= Grotta del Broion, 16= Grotta di Paina, 17= Palughetto.
Fig. 1 - Distribution map of the principal Epigravettian sites mentioned in the text: 1= Riparo Tagliente, 2= Riparo Soman,
3= Madonna delle Neve, 4= Palù Echen, 5= Riparo Cogola, 6= Viotte del Bondone, 7= Terlago, 8= Andalo, 9= Laghetti
delle Regole, 10= Ripari Villabruna, 11= Riparo Dalmeri, 12= Albi di Val Coperte, 13= Fonte del Palo, 14= Val Lastari, 15=
Grotta del Broion, 16= Grotta di Paina, 17= Palughetto.
non glacializzate delle basse altitudini (Wick 1996).
Nella regione atesina l’ambiente era scarsamente vegetato con associazioni non arboree di steppa fredda
(Artemisia-Chenopodiacee-Thalictrum) e presenza di
Pinus nel fondovalle (Kofler 1994).
Nel territorio italiano durante il Tardoglaciale si
verificò una notevole diversificazione degli ambienti
geografici in seguito all’influenza delle rapide variazioni climatiche, caratterizzate dall’alternarsi di
periodi freddi aridi e di fasi temperate. Allo stesso
modo, dal punto di vista culturale è testimoniata una
notevole varietà di espressioni, tutte riconducibili alla
comune tradizione dell’Epigravettiano recente (Palma
di Cesnola 1993; Broglio & Improta 1995).
I siti di età tardoglaciale nel versante meridionale
delle Alpi orientali sono piuttosto numerosi e alcuni di
essi hanno conservato un contesto stratigrafico tale da
permettere un’indagine multidisciplinare (analisi delle
industrie litiche e in osso, studio degli oggetti ornamentali e artistici, studio dei sedimenti, dei pollini, dei
macroresti vegetali, dei micromammiferi, dei mammiferi e degli uccelli). Pur essendo ancora aperte molte
problematiche, è stato quindi possibile ricostruire con
un certo dettaglio le fasi del popolamento umano in
quest’area caratterizzata dalla progressiva penetrazione da parte dell’Homo sapiens nell’ambiente montano
(Fig. 1).
Lo strumentario litico dell’Epigravettiano recente è composto da una notevole varietà di strumenti,
ottenuti a partire da lame o schegge, e da tre principali categorie di armature (punte a dorso definite
microgravettes, lamelle a dorso e lamelle a dorso e
troncatura), destinate a essere inserite come elementi funzionali in supporti in osso o legno. Le diverse
catene operative, che portavano alla produzione di
strumenti e armature, si basavano generalmente su
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all’Early late glacial, datato a 13.430 ±180 anni14C
BP (15.360-16.550 anni cal. BP) e 13.330 ±60 anni
14C BP (15.450-16.220 anni cal. BP), resti faunistici
che testimoniano l’attività di caccia allo stambecco
e in maniera minore all’uro, all’alce, al bisonte, alla
marmotta e alla lepre. La ricostruzione paleoambientale basata sulla micro- e macrofauna indica un ambiente
di steppa fredda (Bartolomei et al. 1994).
I depositi epigravettiani di Riparo Tagliente
(Guerreschi 2005; Guerreschi & Veronese 2002) hanno restituito diversi esemplari di arte mobiliare – sia
figurata sia geometrica-astratta –, mentre non sono
state rinvenute pitture o incisioni parietali. La produzione artistica, costituita in gran parte da incisioni
ottenute su diversi supporti, quali cortici di selce, ciottoli, blocchi calcarei, osso, si data principalmente alla
fine dell’Early late glacial (Oldest Dryas). La maggior
parte delle incisioni sono caratterizzate da uno stile
naturalista, che rappresenta fedelmente gli animali
(sono stati riconosciuti il leone, lo stambecco, l’alce, il
bisonte e l’uro) (Guerreschi & Veronese 2002; Broglio
& Montoya 2005).
4.1.
Fig. 2 - La Grotta del Broion nei Colli Berici (foto di Fabio
Gurioli).
Fig. 2 - The site of Grotta del Broion cave in the Colli Berici
(photo by Fabio Gurioli).
uno schema di scheggiatura (débitage) che sfruttava nuclei di tipo laminare o lamellare (Fig. 3). La
frequenza dei vari tipi litici, le loro caratteristiche
tipometriche e le tecniche di scheggiatura variano
notevolmente durante il Tardoglaciale. Nella fase antica si è constatato un forte investimento nei processi
di scheggiatura che permettono di ottenere supporti
lamellari regolari (Broglio & Montoya 2005). Nella
fase recente assume sempre più importanza il ruolo
del ritocco (modificazione intenzionale dei margini
di uno strumento litico) e parallelamente diminuisce
la complessità dei processi di scheggiatura.
Nel versante meridionale delle Alpi le più antiche
tracce dell’antropizzazione tardoglaciale sono documentate in area prealpina (Monti Lessini). Per queste
prime fasi il sito di riferimento è il Riparo Tagliente
(Bartolomei et al. 1985, Bisi et al. 1983; Fontana et
al. 2002) in Valpantena (Grezzana, VR, 250 m s.l.m.),
ripetutamente frequentato a partire dall’Early late
glacial (Oldest Dryas) fino all’inizio dell’Allerød.
Questo riparo sottoroccia, che presenta un’importante
serie stratigrafica per ricostruire le modificazioni culturali e ambientali, conserva nell’orizzonte riferibile
Late Glacial Interstadial (Interstadi di Bølling e
Allerød, 12.840-14.289 anni cal. BP)
La ricostruzione paleovegetazionale condotta attraverso le analisi palinologiche effettuate nei depositi dei
siti epigravettiani di media quota all’aperto fornisce purtroppo solo dati parziali a causa di fenomeni crioergici
e della bioturbazione, responsabili dell’inquinamento
del record paleobotanico da parte di insiemi floristici
subattuali (Cattani & Gosetti 2005). Problematiche
analoghe sono state riscontrate nei depositi dei ripari
sottoroccia (Cattani et al. 2005). Pertanto, la ricostruzione del popolamento vegetale tardoglaciale deve
essere sistematicamente affrontata analizzando le sequenze stratigrafiche delle aree umide.
La riforestazione del fondovalle atesino è attestata
nella torbiera planiziale di Isera (219 m s.l.m.), in cui
l’inizio della formazione della torba è datato a 12.250
±110 anni 14C BP (13.833-14.696 cal. BP) e coincide
con una foresta stabilizzata già alla base della sequenza
(73,7%AP/NAP) costituita dall’associazione di piante
di tipo euro-siberiano (Pinus mugo, P. cembra, Picea,
Larix, Betula, Alnus viridis), alpino-artiche (Betula
nana, Salix) e componenti termofile (Quercetum mixtum). L’alta percentuale di queste ultime è stata interpretata come un probabile effetto di un miglioramento
climatico già in epoca pre-Bølling (Calderoni et al.
1996).
È stato possibile ricostruire la dinamica della riforestazione dalle Prealpi orientali fin quasi allo spartiacque alpino grazie a recenti studi sulle sequenze polliniche di tre torbiere montane: il bacino intermorenico
di Palughetto, a 1050 metri s.l.m. nell’Altopiano del
Cansiglio (Avigliano et al. 2000); il bacino delle Viotte
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Cusinato & Bassetti
del Monte Bondone, a 1550 metri s.l.m. (Kofler 1994)
e la torbiera di Totenmoos a 1718 metri s.l.m., Ultimo/
Ulten in AltoAdige/Südtirol (Heiss et al. 2005).
Al Palughetto durante il Bølling il limite degli
alberi raggiunse i 1500 metri s.l.m., una quota che si
presume uniforme in tutta l’area delle Alpi meridionali. All’età convenzionale di 12.174 ±141 anni 14C BP
Popolamento umano tra l’ALGM e l’Olocene in Trentino
(13.736-14.670 anni cal. BP) l’inizio della sequenza
torbosa documenta nell’area del bacino l’espansione
di una foresta formata da specie vegetali subordinate
al larice, come abete rosso, betulla, olmo e vari arbusti
(Avigliano et al. 2000).
Nella successione stratigrafica della torbiera delle
Viotte del Monte Bondone nell’Early Late Glacial
Fig. 3 - Industria litica dei livelli epigravettiani di Riparo Dalmeri: n. 1-12 armature, n. 13-17 strumenti (scale 1:1) (disegni
di Antonio Paolillo).
Fig. 3 - Lithic industry from the Epigravettian levels of Riparo Dalmeri: n. 1-12 microliths, n. 13-17 tools (drawn by Antonio
Paolillo) (scale 1:1).
Studi Trent. Sci. Nat., Acta Geol., 82 (2005): 43-63
(Oldest Dryas) è stata riscontrata un’alta percentuale
di pollini non arborei (NAP 80%) dominata da piante
della steppa fredda. Il basso valore di accumulazione
dei pollini indica un ambiente pressoché privo di vegetazione. Il successivo miglioramento climatico, posto
nella cronozona Bølling, sviluppa la vegetazione e vede
la risalita di quota delle zone vegetazionali con aumento
degli arbusti Betula nana e Pinus (Kofler 1994).
Nella torbiera di Totenmoos i primi larici comparvero con il Bølling/Allerød (11.640 ±35 anni 14C BP,
13.375-13.623 anni cal. BP), quando il limite della
foresta coincideva con la quota della torbiera stessa
(circa 1700 m s.l.m.) (Heiss et al. 2005).
Lo sviluppo forestale proseguì nell’Allerød
(Avigliano et al. 2000) con la stabilizzazione della
foresta a larice (Heiss et al. 2005). Sembra però che
solo con l’Allerød il limite della foresta arrivasse sino
al plateau delle Viotte del Bondone, a circa 1500 metri
s.l.m., dominato da prateria montana arborata a Pinus
(77%) (Kofler 1994).
Indagini multi-proxy della sequenza sedimentaria
del lago carsico di Lavarone (1100 m s.l.m.) indicano
che in area trentina la prima riforestazione alle medie
quote avvenne durante il periodo Bølling/Allerød,
evento marcato anche da un aumento del carbonio organico totale nei sedimenti (Filippi et al. 2007a).
In generale, nelle Alpi meridionali, i dati paleoecologici suggeriscono che fino a 14.500 anni cal. BP il limite degli alberi doveva trovarsi attorno agli 800-1000
metri s.l.m., mentre a partire da tale data le temperature
estive aumentarono bruscamente e il limite degli alberi
risalì alla quota di circa 1800 metri s.l.m. (Tinner &
Vescovi 2007). Il limite della foresta doveva quindi
attestarsi circa 100-200 metri più in basso (Tinner &
Vescovi 2007).
Studi geoarcheologici hanno permesso di riconoscere in questo interstadio più fasi pedogenetiche
caratterizzate dalla formazione di suoli isoumici a partire probabilmente dal Bølling (Angelucci & Peresani
2000). Ma è soprattutto con l’Allerød che sono documentati maggiormente i processi di decarbonatazione,
brunificazione e arricchimento in argilla (Cremaschi
& Lanzinger 1987). Congiuntamente a questa fase, è
stata osservata la deposizione policiclica di coltri loessiche che inizia con l’Allerød e termina con il Dryas
recente (Angelucci & Peresani 2000).
Nel complesso, l’ambiente è caratterizzato da una
generale stabilizzazione dei versanti da parte di una
foresta di conifere (Cremaschi & Lanzinger 1987).
La più importante espansione dei gruppi umani
verso l’area atesina si colloca durante il Late Glacial
Interstadial. Dalle Prealpi, i gruppi di cacciatori-raccoglitori epigravettiani si diressero verso nord, occupando inizialmente il fondovalle e le quote medio-basse per poi spingersi verso la media montagna. Questo
fenomeno è da mettere in relazione con il progressivo
innalzamento della temperatura e l’elevarsi dei limiti
49
Fig. 4 - Il sito di Riparo Soman nella Valle dell’Adige (foto
archivio MTSN).
Fig. 4 - The site of Riparo Soman in the Adige Valley (MTSN
archive photo).
superiori della foresta, poiché i gruppi di cacciatoriraccoglitori paleolitici furono molto probabilmente
indotti a praticare la caccia negli ambienti aperti delle praterie di media e alta montagna (Broglio 1994;
Broglio & Lanzinger 1996; Dalmeri et al. 2000).
Nella vallata dell’Adige la presenza di cacciatoriraccoglitori nel Tardoglaciale è testimoniata solamente a Riparo Soman (VR, 100 m s.l.m.) (Broglio &
Lanzinger 1985-86), dove sono state individuate due
fasi di occupazione epigravettiana, la prima delle quali
è datata a 11.880 ±170 anni 14C BP (13.360-14.090 anni
cal. BP) e la seconda durante il Dryas recente (Fig. 4).
Nella zona di Trento durante l’interstadio tardoglaciale la quota del fondovalle era posta oltre 130 m
sotto il livello attuale (Fuganti et al. 1998). In Trentino
l’assenza di altri siti nel fondovalle atesino è probabilmente da attribuire all’importante fase di aggradazione
e sovralluvionamento dei depositi dell’interstadio tardoglaciale durante il Dryas recente. Fenomeni simili
sono ipotizzabili per la valle del Brenta (cfr. Felber et
al. 2000).
Al Late Glacial Interstadial è riconducibile la
maggior parte dei siti montani epigravettiani trentini
segnalati in una fascia altitudinale compresa tra 1000 e
1600 metri, che presenta una certa varietà di ubicazioni geomorfologiche. Tali siti sono localizzati frequentemente in prossimità di zone umide o piccoli laghi.
In area trentina segnaliamo gli insediamenti all’aperto4 di Viotte di Bondone, Madonna della Neve, Fonte
4
Gli insediamenti all’aperto sono stati sottoposti a lunghi e intensi fenomeni di alterazione e di essi oggi rimangono perlopiù
concentrazioni di manufatti in selce. Le testimonianze archeologiche meglio conservate si trovano all’interno di grotte o
ripari sottoroccia.
50
Cusinato & Bassetti
Popolamento umano tra l’ALGM e l’Olocene in Trentino
Fig. 5 - Il sito di Riparo Dalmeri sull’Altopiano di Asiago
(foto di Roberto Casanova).
Fig. 5 - The site of Riparo Dalmeri on the Asiago plateau
(photo by Roberto Casanova).
del Palo (VI) e Albi di Val Coperte. Altri siti, come
ad esempio Riparo Dalmeri, si trovano sotto aggetti
rocciosi, situazione geomorfologica che ha favorito la
conservazione dei resti faunistici (Fig. 5, 6).
Prendendo in esame un’area geografica più estesa,
dalle Prealpi Giulie al bacino dell’Adige, la ricchezza
dei dati archeologici ha permesso di ricostruire i modi
di vita dei cacciatori-raccoglitori epigravettiani e la stagionalità delle occupazioni. L’economia sembra fosse
legata essenzialmente all’attività venatoria e in misura
non trascurabile alla pesca. Uno dei maggiori problemi
in questa valutazione è la quasi totale assenza del dato
archeologico relativo al consumo dei vegetali. Essendo
difficile provare lo sfruttamento di vegetali tramite dati
archeologici, numerosi Autori hanno portato confronti
etnografici e formulato considerazioni sull’equilibrio
nutrizionale, per ipotizzare che in ambienti naturali favorevoli l’apporto di vegetali commestibili, quali piante, frutti, noci, radici, funghi, sia stato basilare nella
dieta dei cacciatori-raccoglitori paleo-mesolitici.
I dati di maggior rilievo per ricostruire le strategie
venatorie e la stagione di frequentazione degli insediamenti dei gruppi umani durante il Late Glacial
Interstadial provengono dai siti di fondovalle di
Riparo Tagliente e di Riparo Soman, e da quello
montano di Riparo Dalmeri. In questi siti lo stambecco, il cervo e il camoscio risultano essere i principali
obiettivi dell’attività venatoria, mentre l’alce, i bovini, il capriolo e il cinghiale venivano cacciati in modo
meno sistematico. Il Riparo Tagliente risulta essere
un insediamento frequentato per gran parte dell’anno
per periodi lunghi, come suggerito dalla presenza di
ossa fetali o di neonato e dall’osservazione del grado
di usura dei denti o dell’eruzione dentaria; mancano
invece evidenze archeologiche di frequentazione durante i tre mesi invernali (Cilli & Guerreschi 2000;
Fig. 6 - Il suolo di abitato epigravettiano 26c di Riparo
Dalmeri (foto di Antonio Paolillo).
Fig. 6 - The dwelling floor denominated 26c of the Riparo
Dalmeri (photo by Antonio Paolillo).
Alhaique et al. 2004; Cilli et al. 2004; Rocci Ris et
al. 2005). A Riparo Soman, frequentato in un periodo compreso tra estate e autunno, venivano cacciati
camoscio, stambecco, cervo, cinghiale, capriolo, alce
e uro (Battaglia et al. 1994; Broglio & Lanzinger
1985-86). I dati derivanti dallo studio funzionale
delle industrie litiche e dall’analisi archeozoologica
di Riparo Dalmeri (livelli 26b e 26c) permettono di
ipotizzare un utilizzo stagionale del sito nel periodo estate-autunno e una certa specializzazione per
la caccia e, in particolare, per lo sfruttamento dello
stambecco (Cassoli et al. 1999; Curci & Tagliacozzo
2000; Fiore et al. 2001; Fiore & Tagliacozzo 2005a).
Durante la stagione estiva, le carcasse di questo animale erano sfruttate per la carne e il pellame. L’attività
di lavorazione della pelle e in particolare dell’attività
di concia avveniva sul posto (Lemorini et al. 2005).
È possibile che la pelle conciata e in qualche caso anche la carne essiccata fossero trasportate in altri siti
(di fondovalle?). A Riparo Dalmeri sono stati inoltre
individuati sei denti umani deciduali, cinque incisivi
e un molare. I denti furono persi naturalmente da sei
soggetti diversi nel corso dello sviluppo infantile.
Sullo smalto dei denti sono state individuate strie di
strappo di vegetali e tracce occasionali prodotte da un
coltello in selce utilizzato per tranciare carne trattenuta con i denti (Alciati et al. 2001; Villa & Giacobini
2005). Pur non potendo escludere che i denti siano
stati portati intenzionalmente nel sito, questa scoperta
Studi Trent. Sci. Nat., Acta Geol., 82 (2005): 43-63
potrebbe indicare che il popolamento stagionale dei
siti montani era praticato da gruppi umani organizzati
in clan familiare.
L’insieme dei dati acquisiti ha permesso di formulare un modello di popolamento che ipotizza un certo
grado di nomadismo stagionale tra siti estivi di montagna e aree di svernamento prealpine (Broglio 1994;
Broglio & Lanzinger 1996). Questo quadro è stato
completato da ulteriori studi che mettono in relazione
la struttura delle industrie litiche con la topografia dei
siti, ipotizzando una differenziazione fra siti residenziali in fondovalle, oggetto di frequentazioni ripetute
e di attività diverse, e accampamenti stagionali in
quota, differenziati tra siti residenziali e campi di
caccia (Broglio & Lanzinger 1990, 1996). La maggior parte delle analisi effettuate negli anni successivi ha preso ampiamente in considerazione questo
modello, ma recentemente alcuni studi suggeriscono
una situazione più complessa e articolata. Sulla base
di uno studio archeozoologico, Phoca-Cosmetatou
(2003) propone la necessità di allontanarsi da un modello dualistico per caratterizzare la funzione dei siti
(fondovalle o montagna / sito residenziale o campo
di caccia), sottolineando la variabilità e molteplicità
delle attività economiche che si sono svolte nei siti
epigravettiani. Ad esempio, Riparo Soman e Riparo
Villabruna (Fig. 7), interpretati tradizionalmente
come siti residenziali di fondovalle, vennero occupati
anche con la funzione di campi di caccia, mentre a
Riparo Dalmeri l’attività specializzata di caccia allo
stambecco avvenne nel contesto di un sito con caratteristiche di campo base.
Rispetto al modello tradizionale, anche i dati recentemente ottenuti a Riparo Dalmeri indicano una
situazione più complessa, che può suggerire spostamenti frequenti tra la piana e il fondovalle durante
l’arco di una medesima stagione. La presenza di alcuni elementi boccali, di lische, squame e numerose
vertebre di pesci d’acqua dolce, appartenenti a esemplari di dimensioni medio-grandi che vivono nella
fascia medio alta dei fiumi (barbo, cavedano, trota,
temolo, luccio e tinca), permette infatti di ipotizzare
l’attività di pesca nel fondovalle del Fiume Brenta
e il trasporto di pesci interi al riparo (Albertini &
Tagliacozzo 2004).
Nell’Italia nord-orientale, le testimonianze artistiche datate con sicurezza al Late Glacial Interstadial
sono rappresentate esclusivamente da arte mobiliare
e provengono da due depositi: il Riparo Villabruna e
il Riparo Dalmeri. Le pietre dipinte in ocra rossa di
Riparo Villabruna (Broglio 1992) si collocano alla fine
dell’interstadio Bølling, mentre la produzione artistica
di Riparo Dalmeri è attribuita all’Allerød (Dalmeri
et al. 2004, 2005). Una prima contestualizzazione a
livello regionale della produzione mobiliare di questi
due siti è stata proposta da Broglio & Montoya (2005),
che evidenziano una buona affinità stilistica tra i siti
51
Fig. 7 - Il sito di Riparo Villabruna nella Val Cismon (foto
archivio MTSN).
Fig. 7 - The site of Riparo Villabruna in the Val Cismon
Valley (MTSN archive photo).
di Riparo Dalmeri e di Riparo Villabruna per quanto
riguarda la produzione di figure naturalistiche e dei
motivi schematici.
A Riparo Dalmeri le espressioni figurative sono
rese “con un’impressionante verismo, ottenuto in
modo compendiario ma indicativo della spiccata capacità di decifrare il carattere degli animali (Velluti et
al. 2005, pag. 149) (Fig. 8). Questo linguaggio innovatore espresso dai gruppi umani di Riparo Dalmeri e
di Riparo Villabruna differisce da quello testimoniato
Fig. 8 - La pietra dipinta in ocra rossa RD65 di Riparo
Dalmeri: raffigurazione di uno stambecco in atteggiamento
dinamico (foto di Elena Munerati).
Fig. 8 - The red ochre painted stone RD 65 from Riparo
Dalmeri: representation of an ibex in a living movement
(photo by Elena Munerati).
52
Cusinato & Bassetti
nel più antico sito di Riparo Tagliente, dove gli animali incisi sono realizzati in modo fedele, rispettando le
proporzioni del corpo.
4.2.
Dryas recente (11.268/11.553-12.840 anni cal.
BP)
Il rapido e severo deterioramento climatico del
Dryas recente portò a condizioni climatiche aride e
fredde, che probabilmente causarono un cambiamento
nelle strategie di sfruttamento dei territori prealpini e
alpini.
Presso il margine meridionale del versante alpino
(Lago di Annone 226 m s.l.m.; Lago del Segrino 374
m s.l.m.) il responso della vegetazione al deterioramento climatico di questa fase è molto pronunciato e
determinato anche da una diminuzione delle precipitazioni. L’inizio del periodo sembra segnato da maggior
umidità, che diminuisce in una seconda fase in combinazione con temperature più fredde. Le condizioni
climatiche iniziarono a migliorare alla fine del Dryas
recente (Wick 1996).
Nell’area montana avvenne il diradamento della
copertura vegetazionale (Kofler 1994; Heiss et al.
2005; Filippi et al. 2007b) e l’abbassamento del limite della foresta sotto i 1700 metri s.l.m., dimostrati
dalla diminuzione delle percentuali di polline, aghi e
coni di larice, dall’aumento delle piante non arboree
e della frazione sabbiosa nella sequenza sedimentaria
dei bacini lacustri (Heiss et al. 2005). Anche sull’altopiano delle Viotte del Bondone (1550 metri s.l.m.)
è stata riconosciuta una fase di diradamento della
vegetazione, senza però un abbassamento del limite
del bosco (Kofler 1994). Nella zona prealpina della
torbiera del Palughetto, il limite forestale non scese
sotto i 1000 metri s.l.m. e l’analisi dei macroresti
vegetali non ha registrato significative modificazioni ambientali durante questo periodo (Avigliano et
al. 2000). Nelle Alpi meridionali, la sintesi dei dati
paleoecologici suggeriscono durante il Dryas recente un abbassamento del limite degli alberi fino alla
quota di circa 1500 metri s.l.m. (Tinner & Vescovi
2007).
In questa fase è documentato sugli altopiani e
nelle conche sottovento l’apporto di polvere eolica
proveniente dalla deflazione dalle piane fluvioglaciali semiaride. In varie sequenze stratigrafiche il
cambiamento ambientale in senso freddo e arido è
caratterizzato da una fase di erosione del suolo, la
deposizione di una coltre eolica e l’instaurarsi di cicli di gelo e disgelo. Si sviluppò quindi un ambiente
di carattere steppico che consentì l’evoluzione di un
suolo isoumico, tipo chernozem, con processi di crioturbazione tipici delle zone periglaciali a permafrost
discontinuo (Bagolini & Guerreschi 1978; Cremaschi
& Lanzinger 1983, 1987).
Dal punto di vista archeologico, le nuove dinami-
Popolamento umano tra l’ALGM e l’Olocene in Trentino
che del popolamento non sono tuttora chiare: probabilmente molti siti occupati durante il Late Glacial
Interstadial furono abbandonati. La frequentazione
tuttavia continuò sia nel fondovalle, come indicano
i livelli più recenti di Riparo Soman datati a 10.470
±150 anni 14C BP (11.830 -12.820 anni cal. BP),
10.510 ±180 anni 14C BP (11.820-12.850 anni cal.
BP), 10.370 ±110 anni 14C BP (11.820 12.670 anni
cal. BP, Broglio & Improta 1995), sia in ambiente
montano. In Trentino l’occupazione dei territori di
media montagna è testimoniata nei due siti spondali
presso il Laghetto delle Regole di Castelfondo a 1238
metri s.l.m.: il sito LR1 datato a 10.445 ±32 14C BP
(12.140-12.620 anni cal. BP) e il sito LR2 a 10.373
±32 14C BP (12.080-12.390 anni cal. BP, Dalmeri et
al. 2002), e nel livello più antico di Riparo Cogola
sull’Altopiano di Folgaria (TN), che ha fornito due
date: 10.640 ±60 anni 14C BP (12.080-12.390 anni
cal. BP) e 10.380 ±70 anni 14C BP (12.000 BP-12.610
anni cal. BP, Bassetti et al. 2005) (Figg. 9, 10). A questa fase è probabilmente attribuibile il sito all’aperto
di Palù Echen (TN), che si trova a quota 1260 metri
s.l.m. e dista circa 3 km in direzione sud-ovest dal
Riparo Cogola (Fig. 11).
I dati relativi alle strategie venatorie durante il
Dryas recente sono scarsi. A Riparo Soman venivano
cacciati in prevalenza stambecco e camoscio (Cassoli
Fig. 9 - La torbiera del Laghetto della Regole di Castelfondo
con la posizione dei siti paleo-mesolitici LR1, LR2, LR3
(foto di Klaus e Nandi Kompatscher).
Fig. 9 - The peat lake of Laghetto delle Regole and the
location of the palaeo-mesolithic sites (photo by Klaus e
Nandi Kompatscher).
Studi Trent. Sci. Nat., Acta Geol., 82 (2005): 43-63
53
Fig. 10 - Il sito di Riparo Cogola sull’Altopiano di Folgaria
(foto archivio MTSN).
Fig. 10 -The site of Riparo Cogola on the Folgaria plateau
(MTSN archive photo).
& Tagliacozzo 1992), mentre a Riparo Cogola la
caccia era diretta prevalentemente ai caprini, in particolare allo stambecco, e in misura minore al cervo
(Fiore & Tagliacozzo 2005b) (Fig. 12).
Ampliando l’orizzonte geografico, lo studio effettuato da Phoca Cosmetatou (2003) sulle strategie di
caccia in numerosi siti della penisola italiana suggerisce che tra il Tardiglaciale e il Dryas recente non
si sia verificato un cambiamento nella composizione
delle specie erbivore e nemmeno nella frequenza o
intensità di caccia allo stambecco.
Fig. 11 - La torbiera di Palù Echen sull’Altopiano di Folgaria
(foto archivio MTSN).
Fig. 11 - The Palù Echen peat lake on the Folgaria plateau
(photo MTSN archive).
Fig. 12 - L’attività venatoria a Riparo Cogola (fase
epigravettiana). a. Astragalo di stambecco con strie di
disarticolazione; b. ingradimento allo stereomicroscopio (da
Fiore & Tagliacozzo 2005b).
Fig. 12 - Hunting activity at Riparo Cogola (Epigravettian
phase). a. Ibex astragalus with striae of disarticulation; b.
detail with stereomicroscope (after Fiore & Tagliacozzo
2005b).
5.
L’OLOCENE INFERIORE: CRONOZONE
PREBOREALE (10.189-11.268/11.553 ANNI
CAL. BP) E BOREALE (8776/9004-10.189
ANNI CAL. BP)
Il miglioramento climatico nell’Olocene si esprime
con una durevole e progressiva copertura forestale che
riduce notevolmente la dinamica dei processi di degradazione geomorfologica.
Nelle Alpi tra 11.550 e 11.350 anni cal. BP il brusco
incremento di temperatura portò il limite della foresta
a risalire di circa 800 metri in soli 200-300 anni. In
Valcamonica già all’inizio dell’Olocene Larix e Pinus
erano presenti intorno ai 2000-2100 metri di quota
(Tinner & Vescovi 2007).
Nel Preboreale la vegetazione montana dell’area
atesina era nel complesso costituita da un bosco dominato da Pinus e Larix, mentre nel Boreale diminuì
l’importanza di Pinus e incominciò l’espansione di
Picea (Kofler 1994; Heiss et al. 2005).
Nella Catena del Lagorai la sequenza del Lago delle
Buse (2053 metri s.l.m.) datata 8250 ±90 anni 14C BP
(9016-9442 anni cal. BP) registra un bosco rado (AP
75%) formato da Pinus, Picea e Larix. In quell’epoca
il limite della foresta si situava alla quota del lago o
54
Cusinato & Bassetti
poco sopra (Kofler 1994); durante l’Atlantico la risalita
del limite del bosco raggiunse la quota più alta. Nella
successione di torbiera vicino al Lago Nero (2395 m
s.l.m., Passo Gavia) è stato riconosciuto il record del
limite più alto della foresta nelle Alpi italiane, datato
6480 ±70 anni 14C BP (7266-7553 anni cal. BP), dove
la foresta di Pinus cembra si stabilizzò alla quota massima di 2400-2550 metri s.l.m., dunque 100-150 metri
sopra l’attuale potenziale limite della foresta (Ravazzi
& Aceti 2004).
L’instaurarsi di una lunga fase di prevalente biostasia vide il progressivo sviluppo del processo pedogenetico che portò alla formazione di suoli debolmente
rubefatti con traslocazione di argilla, noti come Alfisol
(Soil Taxonomy-Soil Survey Staff 1998) o sol brun
lessivé (Duchafour 1983), che ebbero il massimo
sviluppo nell’Atlantico nell’area Padana e che sono
indicatori di un clima xerico con stagioni contrastate
(Cremaschi 1983, 1987, 1990). Suoli analoghi si sono
sviluppati anche nella regione trentina su morfologie
subpianeggianti o poco acclivi di media e bassa quota (Sartori et al. 1997) costituite da depositi glaciali,
fluvioglaciali, eolici, di versante e fluviali olocenici
dell’Adige (Corradini 1997). Alle alte quote il processo pedogenetico prevalente era la podzolizzazione.
I podzols attuali si evolvono tipicamente su substrati
acidi, solo sotto copertura forestale di conifere e/o di
arbusteti a ericacee con temperature medie inferiori a
8 °C (Duchafour 1998; Stützer 1999) e quindi possono ritenersi utili indicatori per la ricostruzione delle
oscillazioni del limite forestale (Carnelli et al. 2004).
Questi suoli sono stati spesso riconosciuti in vari
contesti mesolitici sauveterriani a oltre 2000 metri di
quota, in particolare nella Catena del Lagorai (Dalmeri
& Lanzinger 1994) e sull’Altopiano dei Sette Comuni
(Angelucci & Peresani 1995).
Dopo la fase di aggradazione che termina con lo
YD, il fondovalle presso Trento era posto a una quota
di circa 30 metri inferiore rispetto all’attuale piano di
campagna (Fuganti et al. 1998).
La relativa stabilità e il miglioramento climatico che
caratterizzarono l’inizio dell’Olocene portarono allo
sviluppo delle culture mesolitiche europee5. Queste
espressioni presentavano una comune tradizione che
affondava le proprie radici nel Paleolitico superiore,
ma al tempo stesso favorirono la nascita di nuove tecnologie (massiccia presenza di manufatti ottenuti da
supporti microlitici6 e ipermicrolitici, ampia diffusione
5
Il termine Mesolitico indica la fase della Preistoria compresa tra
l’inizio dell’Olocene e l’affermazione delle prime culture neolitiche, caratterizzate dall’introduzione delle pratiche agricole e
dell’allevamento. Esistono comunque altri termini per indicare
tale periodo cronologico.
6
Piccole armature di dimensioni standardizzate e di forma prevalentemente geometrica.
Popolamento umano tra l’ALGM e l’Olocene in Trentino
della tecnica del microbulino7) e di nuove strategie di
sfruttamento delle risorse naturali.
I manufatti microlitici sono in realtà conosciuti in
molti insiemi litici del Paleolitico superiore, ma generalmente si presentano in numero raro o scarso rispetto
all’alta quantità di microliti che caratterizza le industrie mesolitiche.
Nelle regioni mediterranee il Mesolitico corrisponde allo sviluppo della cultura sauveterriana (Mesolitico
antico), che si sviluppa durante il Preboreale e nella
prima parte del Boreale, e di quella castelnoviana
(Mesolitico recente).
In Trentino evidenze della più antica diffusione
della tradizione sauveterriana provengono dal livello
AF di Romagnano III, datato a 9830 ±90 anni 14C BP
(10.870-11.620 anni cal. BP, Broglio & Kozlowski
1983), e dal sito 1 di Colbricon (Passo Rolle), datato a 9370 ±130 14C BP (10.250-11.080 anni cal. BP,
Bagolini & Dalmeri 1987; Alessio et. al. 1989) (Figg.
13,14). Attualmente, solo il giacimento di Riparo
Cogola (TN, 1070 m s.l.m.) presenta in successione e
con continuità insediativa livelli riferibili all’Epigravettiano recente e al Sauveterriano antico, quest’ultimo datato a 9430 ±60 14C BP (10.500-11.070 anni
cal. BP) (Dalmeri 2005). Gli insiemi litici provenienti
da questo riparo permettono di ricostruire una serie di
cambiamenti negli obiettivi della scheggiatura e nei
manufatti ritoccati, avvenuti all’interno di un’evoluzione continua, testimoniando così il processo di
adattamento alla tradizione culturale sauveterriana
(Cusinato et al. 2005). I dati finora disponibili permettono di ipotizzare un processo di modificazione
delle industrie litiche che avvenne in modo graduale
e si compì con un certo ritardo rispetto al repentino
cambiamento climatico che caratterizzò l’inizio dell’Olocene (Fig. 15).
I siti mesolitici trentini risultano distribuiti principalmente su due fasce altitudinali: fondovalle e alte
quote (Dalmeri & Pedrotti 1992). I principali ripari del
fondovalle dell’Adige, situati a quote intorno a 200250 metri e frequentati ripetutamente tra Preboreale e
Atlantico, sono quelli di Romagnano III, Riparo Gaban
(Kozlowski & Dalmeri 2002) (Fig. 16), Pradestel
(Bagolini et al. 1973) (Fig. 17), Vatte di Zambana
(Corrain et al. 1976) e Mezzocorona Borgonuovo
(Dalmeri et al. 2001). Essi testimoniano un’economia
di sussistenza basata prevalentemente sulla caccia allo
stambecco e al cervo, e in misura non trascurabile sull’attività di pesca, di raccolta di molluschi dulcicoli e
di caccia alle tartarughe.
In ambiente montano, in seguito all’innalzamento
della timberline, si ricercarono nuovi bacini di caccia
7
Nel Mesolitico la tecnica del microbulino è costantemente adottata per la fabbricazione delle armature.
Studi Trent. Sci. Nat., Acta Geol., 82 (2005): 43-63
55
Fig. 13 - Carta di distribuzione dei principali siti attribuibili al Mesolitico antico citati nel testo: 1= Romagnano, 2= Riparo
Gaban, 3= Riparo Pradestel, 4= Vatte di Zambana, 5= Mezzocorona Borgonuovo, 6= Dos de la Forca/Galgenbühel, 7= Plan
de Frea, 8= Mondeval de Sora, 9= Colbricon, 10= Lago delle Buse, 11= Riparo Cogola, 12= Casera Lissandri.
Fig. 13 - Distribution map of the principal early Mesolithic sites mentioned in the text: 1= Romagnano, 2= Riparo Gaban, 3=
Riparo Pradestel, 4= Vatte di Zambana, 5= Mezzocorona Borgonuovo, 6= Dos de la Forca/Galgenbühel, 7= Plan de Frea,
8= Mondeval de Sora, 9= Colbricon, 10= Lago delle Buse, 11= Riparo Cogola, 12= Casera Lissandri.
Fig. 14 - Il sito di Colbricon (Passo Rolle) (foto archivio
MTSN).
Fig. 14 - The Colbricon site (Passo Rolle) (MTSN archive
photo).
nelle fasce altimetriche ad alte quote e nei territori
più interni dell’arco alpino. I siti, individuati a quote
comprese tre i 1800 e i 2300 metri, erano principalmente legati allo sfruttamento di due ambienti naturali
differenti: le praterie montane e le aree boschive sottostanti. I dati emersi dal sito di Mondeval de Sora nelle
Dolomiti bellunesi a 2150 metri s.l.m. confermano
questa ipotesi. Tra i resti faunistici dei livelli sauveterriani (sito 1, settore III), oltre a stambecco e marmotta,
sono stati identificati capriolo, cervo e, in piccole percentuali, cinghiale (Cattani et al. 2002) (Fig. 18).
Le recenti ricerche archeologiche nei siti sauveterriani dell’Altopiano del Cansiglio (Casera Lissandri) e
di quello di Asiago hanno messo in luce un quadro del
popolamento più articolato, suggerendo una distribuzione insediativa anche a quota intermedie, ben al di
sotto del limite superiore dei boschi (Cusinato et al.
2003).
Il passaggio culturale tra Epigravettiano e Mesolitico
rappresenta un cambiamento molto complesso, che ri-
56
Cusinato & Bassetti
Popolamento umano tra l’ALGM e l’Olocene in Trentino
Fig. 15 - La transizione epigravettiano-mesolitico nelle industrie litiche della sequenza stratigrafica di Riparo Cogola:
progressiva diminuzione della frequenza di punte a dorso e dorsi e troncatura accompagnata da un progressivo aumento di
geometrici e microbulini ordinari (elaborazione grafica di Anna Cusinato).
Fig. 15 - The Epigravettian-Mesolithic transition shown by the lithic industries from the stratigraphic sequence of Riparo
Cogola: gradual decrease in the number of backed points and of segmented backed bladelets; gradual increase in the number
of triangles and segments, accompanied by an increase in the use of the microburin technique (graph by Anna Cusinato).
guarda non solo le tecniche di scheggiatura ma anche
le modalità insediative. Angelucci (1996) sottolinea
come nel Mesolitico si sia instaurato un sistema insediativo più articolato rispetto a quello epigravettiano,
con siti differenziati per dimensione, struttura, quantità di reperti, collocazione rispetto al territorio e alle
risorse, con una riduzione delle dimensioni dei campi
base, attorno ai quali si moltiplicarono i punti di avvistamento o i bivacchi di caccia.
Durante il Mesolitico si accentuò una diversificazione nello sfruttamento delle risorse, con un utilizzo più sistematico di alcune nicchie ecologiche,
Fig. 16 - Il sito di Riparo Gaban nella Valle dell’Adige (foto
archivio MTSN).
Fig. 16 - The site of Riparo Gaban in the Adige Valley (MTSN
archive photo).
Fig. 17 - Stratigrafia del sito di Riparo Pradestel nella Valle
dell’Adige (foto archivio MTSN).
Fig. 17 - Stratigraphic section of the Riparo Pradestel site in
the Adige Valley (MTSN archive photo).
Studi Trent. Sci. Nat., Acta Geol., 82 (2005): 43-63
57
Fig. 18 - Il sito di Mondeval de Sora nelle Dolomiti Bellunesi
(foto di Anna Cusinato).
Fig. 18 - The Mondeval de Sora site in the Dolomiti Bellunesi
(photo by Anna Cusinato).
Fig. 19 - Il sito di Dos de la Forca/Galgenbühel a Salorno
(BZ) (scavi diretti dalla Soprintendenza di Bolzano; foto di
Ursula Wierer).
Fig. 19 - The site of Dos de la Forca/Galgenbühel near
Salorno (BZ) (excavations carried out by the Soprintendenza
di Bolzano; photo by Ursula Wierer).
come gli ambienti umidi. Nella Val d’Adige particolarmente significativi di questo cambiamento sono il
sito di Romagnano III (Broglio 1985) e il sito di Dos
de la Forca/Galgenbühel a Salorno (BZ), dove l’economia alimentare era fortemente specializzata nelle
attività di pesca al luccio (Bazzanella et al. 2004)
(Figg. 19, 20).
Peresani (Cusinato et al. 2003) identifica lo studio della provenienza dei materiali litici come un
importante indicatore archeologico per evidenziare il
progressivo intensificarsi degli spostamenti dei gruppi umani mesolitici favoriti dalle migliori condizioni
ambientali del Preboreale e Boreale. Il ritrovamento
di elementi in quarzo sull’Altopiano del Cansiglio
(Peresani & Ferrari 2002) testimonia ad esempio
scambi o spostamenti a lunga distanza, mentre la
scoperta di manufatti ricavati da selce sudalpina nel
sito di Ullafelsen (Tyrol, Austria) (Schäfer 1998) indica contatti con il versante settentrionale delle Alpi,
come conseguenza di una progressiva penetrazione
dei territori più interni dell’arco alpino.
Il modello di mobilità proposto da Kompatscher &
Hrozny Kompatscher (1996, 2007) si basa sull’analisi
di un elevato numero di siti, identificati tramite una
sistematica attività di prospezione sul territorio, e
permette di ricostruire alcuni possibili itinerari che,
interessando principalmente le alte quote, portavano
dalla Val d’Adige verso nord fino allo spartiacque. Gli
Autori hanno potuto così non solo riconoscere i fattori
chiave che hanno influenzato l’ubicazione di un campo,
ad esempio la necessità di sfruttare nel modo migliore
l’articolata morfologia del territorio senza disperdere
energie affrontando inutili escursioni altimetriche, ma
anche di ipotizzare il ritmo annuale degli spostamenti
dei gruppi mesolitici.
Grimaldi (2006) propone un “Modello di Nomadismo
Circolare” in alternativa a quello tradizionale definito dall’autore “Nomadismo verticale” (Broglio &
Lanzinger 1996). Questo modello prevede l’esistenza di
un ampio territorio sfruttato dai cacciatori raccoglitori
del Mesolitico antico, che si estende dalle Alpi meridionali al Mare Adriatico e dal Carso Triestino alla Pianura
Padana. Secondo l’Autore i gruppi mesolitici durante la
stagione invernale sfruttavano preferibilmente le risorse
della pianura legate alla presenza dei grandi fiumi, del
delta e delle lagune, mentre durante la stagione estiva si
disperdevano in un ampio territorio che includeva sia la
pianura che la montagna.
6.
CONCLUSIONI
Da quanto esposto, si può ipotizzare che le modificazioni climatiche abbiano avuto un nesso causale
diretto su alcuni comportamenti dei gruppi umani, pur
considerando il limite dato dalla conservazione e dalla
qualità del registro archeologico. Da una parte infatti
la conservazione e la qualità del dato dipendono dai
caratteri fisico-chimici e dall’evoluzione del contesto
geomorfologico del sito, dall’altra un ulteriore limite
interpretativo è dovuto alla natura stessa del record
archeologico, che è in grado di documentare solo
alcuni aspetti della cultura materiale. Inoltre, alcune
scelte comportamentali, che sono tradizionalmente
giustificate da fattori economici o funzionali, possono
invece aver avuto alla base motivazioni ideologiche o
sociologiche.
Evidenziamo dunque quali adattamenti delle culture umane possono essere messi in chiara relazione
con le variazioni climatiche nell’area di studio.
58
Cusinato & Bassetti
Popolamento umano tra l’ALGM e l’Olocene in Trentino
Fig. 20 - Industria litica mesolitica proveniente dal sito di Dos de la Forca/Galgenbühel a Salorno (BZ) (disegni di Lapo
Baglioni).
Fig. 20 - Mesolithic lithic industry coming from the Dos de la Forca/Galgenbühel site near Salorno (BZ) (illustrations by Lapo
Baglioni).
Durante l’ALGM la presenza di estese calotte
glaciali causò sia lo spopolamento dell’area montana
alpina sia l’isolamento geografico dei gruppi umani
tra area peninsulare italiana e area continentale europea. Il risultato di queste modificazioni ambientali
è una differenziazione culturale tra le espressioni del
Solutreano e del Maddaleniano, che si affermarono
nell’Europa occidentale-atlantica, e i complessi epigravettiani riscontrabili nelle regioni mediterranee.
Il Tardoglaciale rappresenta la riconquista dell’area prealpina e alpina da parte dell’uomo, che
riuscì ad adattarsi a un ambiente in continua evoluzione. Durante questa fase, infatti, l’ambiente alpino
per le sue peculiarità morfologiche si differenziò sia
in senso altitudinale che latitudinale in una serie di
ecosistemi, il cui equilibrio fu condizionato dalle repentine oscillazioni climatiche.
In particolare, l’attività venatoria dei gruppi umani, e di conseguenza la mobilità dei gruppi e le strategie di sfruttamento del territorio del tardo Paleolitico
e Mesolitico, furono notevolmente influenzati dalla
distribuzione ecologica della fauna. Significative
sono le variazioni altitudinali e di conseguenza territoriali dell’area potenziale di caccia allo stambecco,
che corrisponde alla fascia superiore della vegetazione arborea dominata da prateria alpina con ambienti
aperti e scoscesi (Mustoni et al. 2002) condizionata
dalle oscillazioni della treeline.
Il passaggio tra Epigravettiano e Mesolitico si colloca in concomitanza o subito dopo il passaggio tra l’instabilità climatica del Tardoglaciale e la relativa stabilità
olocenica, e rappresenta un cambiamento molto complesso dal punto di vista culturale. Una differenza, ben
registrata dal record archeologico, riguarda le tecniche
di scheggiatura, la composizione e le dimensioni dello
strumentario litico. Nell’Italia settentrionale questo processo culturale di modificazioni delle industrie sembra
essere avvenuto in modo graduale e risulta compiuto
con un certo ritardo rispetto al repentino cambiamento
climatico che caratterizza l’inizio dell’Olocene.
Studi Trent. Sci. Nat., Acta Geol., 82 (2005): 43-63
I vantaggi della tecnologia mesolitica sono stati
interpretati in modo diverso degli Autori. La maggior
parte degli studiosi interpreta tale fenomeno come un
adattamento a un’elevata mobilità dei gruppi umani,
essendo i microliti non solo facilmente trasportabili ma
anche strumenti estremamente versatili (Neeley 2002).
Gamble (1986) si interroga sulle cause dell’aumento
della mobilità, che considera principalmente legato
alla necessità di diminuire i fattori di rischio alla fine
del Pleistocene, quando l’aumento demografico, che
raggiunse livelli mai conosciuti in epoche precedenti,
giocò un ruolo importante nel favorire la rapida colonizzazione di territori “non familiari” resi per lungo
tempo inospitali dalle condizioni glaciali (Elston &
Brantingham 2002).
Nel territorio in analisi la nuova tecnologia mesolitica può essere messa in relazione con l’aumento della
mobilità, favorito dalle migliori condizioni ambientali.
Questo processo, caratterizzato dall’accentuazione di
alcuni caratteri già presenti nelle industrie epigravettiane
e dall’acquisizione di nuovi elementi propri della tradizione sauveterriana, fu reso possibile dal progressivo
intensificarsi degli spostamenti dei gruppi umani mesolitici e dai contatti con il versante settentrionale delle Alpi.
L’espressione culturale del Sauveterriano può quindi
essere considerata come il risultato del definitivo superamento delle barriere instauratesi durante l’ALGM.
RINGRAZIAMENTI
Gli autori ringraziano sentitamente Giampaolo
Dalmeri, Maria Letizia Filippi, Andrea Borsato, Klaus
Kompatscher e Nandi Kompatscher per la lettura
critica del testo. Ringraziano inoltre Ursula Wierer,
Fabio Gurioli, Ivana Fiore, Antonio Tagliacozzo e
Francesca Nicolodi per aver contribuito ad arricchire
la documentazione iconografica.
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