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QUANDO I LAVORATORI NON SANNO SCEGLIERSI L’IMPRENDITORE MIGLIORE
IL DRAMMA DI ALITALIA HA MESSO IN EVIDENZA L’INCAPACITA’ (ANCHE) DEL SINDACATO CONFEDERALE DI
ESSERE L’INTELLIGENZA COLLETTIVA CHE GUIDA I LAVORATORI AL SUPERAMENTO POSITIVO DELLA CRISI
Intervista a cura di Francesco Specchia, pubblicata da Libero il 21 settembre 2008
Professor Pietro Ichino, giuslavorista, ex dirigente Fiom-Cgil ora nel Pd: pare che
Epifani torni con l’idea dell’entrata di Air France in Alitalia. Perché?
Perché si è accorto, con grave ritardo, che la soluzione offerta da Air France nel marzo scorso
era il meglio che si potesse prospettare per Alitalia, sotto tutti i punti di vista.
Ma la Cgil, come del resto la Cisl, è sempre stata contraria al controllo straniero sulle
nostre grandi imprese: ricordiamo tutti il suo slogan “l’Italia non è in vendita”.
Appunto: ora, finalmente, anche Cgil e Cisl stanno accorgendosi che la difesa dell’“italianità”
delle aziende è un errore clamoroso, che indebolisce gravemente il sindacato e i lavoratori
italiani.
Perché li indebolisce?
Perché restringe enormemente la loro possibilità di scelta dell’imprenditore e offre agli
imprenditori italiani il vantaggio di una minore concorrenza nel mercato del lavoro.
Ma quando mai sono i lavoratori a scegliersi l’imprenditore?
Sul piano individuale questo accade diffusamente tutti i giorni. Ma in molti casi può accadere
anche sul piano collettivo. Per l’appunto, possiamo vedere l’intera vicenda Alitalia come una
lunga procedura di selezione dell’imprenditore da ingaggiare per la gestione dell’azienda,
nella quale i rappresentanti dei lavoratori hanno avuto un peso decisionale enorme. Peccato
che lo abbiano usato malissimo.
Quello di Alitalia, però, è stato un caso molto particolare.
Ce ne sono molti altri. Pensiamo alle nostre ferrovie: perché le difendiamo dalla concorrenza
di quelle svizzere o di quelle tedesche? Le ferrovie svizzere pagano i propri dipendenti tre
volte quel che sono pagati i nostri e offrono ai viaggiatori un servizio incomparabilmente
migliore. Ai ferrovieri italiani converrebbe lasciar fallire la loro datrice di lavoro attuale e
trattare il subentro con gli svizzeri. E agli italiani in generale converrebbe lasciarli fare,
prendendosi in carico i ferrovieri che dovessero perdere il posto nel passaggio di gestione.
Stesso discorso per le Poste. Ma i sindacati italiani non si sono ancora accorti che
nell’economia globale questo della ricerca dell’imprenditore migliore in giro per il mondo è
diventato uno dei loro compiti più importanti.
Quindi lei è d’accordo con Guido Rossi, quando sulla Stampa afferma che “parlare di
italianità su Alitalia in fase di globalizzazione è una sciocchezza assoluta. Bisognava
lasciarla fallire. Il fallimento sarebbe un’affermazione del mercato”?
Sì: nulla avrebbe impedito di arrivare al fallimento avendo già pronta la disponibilità di un
grande vettore internazionale cui il curatore fallimentare potesse dare in affitto l’azienda,
garantendo la perfetta continuità operativa, per poi venderla mediante una normale gara.
Comunque, in questo caso, non sarebbe stato neppure necessario passare per il fallimento, se
si fosse accettata la proposta di Air France-KLM, che era pronta anche ad accollarsi i vecchi
debiti.
Lei sul Sole24ore di due giorni fa ha dichiarato “Se potessi dire tutto quello che so su
Alitalia , l’ingiustizia dell’accusa al Pd di soffiare sul fuoco sarebbe molto evidente”. Che
cosa voleva dire?
Ci sono fatti e rapporti che devono essere mantenuti riservati, per varie ragioni, anche di
natura professionale. Quello che volevo dire, comunque, è che il Pd non soltanto non ha mai
ostacolato la trattativa tra la Cai e i sindacati, ma si è anche adoperato attivamente, fin
dall’inizio, per favorirne l’esito positivo.
Da tutte le parti, dunque, si cerca di arrivare a un “compromesso storico” (come dice
Follini) sulla crisi. Il Corriere parla di “Soccorso rosso”, con interventi dei dalemiani
verso Epifani. Lei si riferiva forse a questa strategia di soccorso esterno da parte del
Pd?
Anche queste notizie confermano che la logica in cui il Pd si è mosso non è affatto quella del
“tanto peggio tanto meglio”. Persa l’occasione offerta da Air France-KLM, la soluzione
elaborata da Banca Intesa era – e resta,pur con tutti i suoi limiti e difetti – la migliore, anche
perché è l’unica possibile nell’immediato. Chi ha una grave responsabilità squisitamente
politica, in questa vicenda, è semmai Berlusconi, che è intervenuto a gamba tesa, in piena
campagna elettorale, per far fallire la trattativa con Air France-KLM; e solo ora si accorge del
danno che ha provocato.
In marzo, però, la Cisl era già schierata nettamente per il “no” a Air France.
Ma nessuno può dire come sarebbe finita quella trattativa, se Berlusconi non avesse fatto
calare la mannaia quando i giochi erano ancora aperti.
Come giudica gli applausi e l’esultanza di hostess e piloti all’abbandono della trattativa
da parte di Cai (considerando, in parallelo, la crisi bancaria Usa)?
Hostess e piloti che applaudono alla rottura delle trattative fanno conto sull’intervento di una
Cassa integrazione guadagni o su di un trattamento di disoccupazione speciale erogato
proprio per consentire loro di attendere con calma il nuovo lavoro. Il loro ragionamento è
questo: “qualcuno dovrà pure, prima o poi, far volare gli aerei sulle nostre rotte al posto di
Alitalia; e piloti e personale di volo non si sostituiscono così facilmente”. Il punto è che in
nessun Paese serio si erogano trattamenti di disoccupazione o integrazione salariale, neppure
per pochi mesi, a chi rifiuta l’offerta di un rapporto di lavoro regolare, confacente alla sua
professionalità, come certamente era l’offerta di Cai. Solo in Italia il sostegno del reddito ai
disoccupati viene di fatto erogato a occhi chiusi, senza verificare la reale disponibilità per le
occasioni di lavoro effettivamente esistenti. L’applauso di Fiumicino ha reso evidente l’effetto
devastante di questa anomalia sul funzionamento del mercato del lavoro.
Pare che l’ostruzionismo dei piloti sia determinato soprattutto dal fatto che non ci
starebbero a farsi rappresentare in futuro dalle organizzazioni sindacali confederali.
Colaninno vorrebbe introdurre le Rsu elette dai lavoratori. E Berti dell’Anpac accusa
che la Cai vuole imporre un sistema di governante. Ma, scusi, non sarebbe legittima,
l’una e l’altra cosa?
Il progetto di Colaninno è del tutto legittimo e anche ragionevole. Libera l’Anpac di rifiutarlo,
ma libera anche la Cai di andare avanti con i piloti che, individualmente, accettano il progetto,
disattendendo il veto dell’Anpac. E al mondo non ci sono soltanto i piloti ex-dipendenti di
Alitalia.
Libero aveva pensato, in caso di fallimento, a un bando di concorso europeo della
compagnia di bandiera per piloti comunitari con la stessa professionalità dei nostri.
Dicono che accorrerebbero a frotte. L’ipotesi è percorribile?
Certo che sì.
Lei è sempre convinto che “il governo, come la vecchia sinistra, è paralizzato dal tabù
dell’art.18”. Ed è sempre convinto dell’idea danese delle assunzioni a tempo
indeterminato ma flessibile?
Sì, sempre convintissimo. E sto lavorando intensamente, con sindacalisti e imprenditori, a un
progetto che spero dia un contributo decisivo alla riforma del nostro diritto del lavoro e al
superamento del nostro regime di apartheid tra protetti e non protetti (rinvio, per lo stato
attuale del progetto, al paper disponibile sul mio sito).
Come si sta comportando su questi temi l’attuale governo?
Continua con la vecchia politica: cerca di rosicchiare nuovi spazi di flessibilità, sempre
soltanto nell’area del lavoro precario, senza toccare una virgola nell’area del lavoro protetto.
C’è una sorta di convergenza tra centro-destra e vecchia sinistra nel conservare il regime di
apartheid, il dualismo del nostro mercato del lavoro.