dal boom alla crisi, l`italia in un fumetto
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dal boom alla crisi, l`italia in un fumetto
a cura di Alessandro N. Serena Intervista a… Lupo Alberto DAL BOOM ALLA CRISI, L’ITALIA IN UN FUMETTO Dalla matita di Guido Silvestri, fresco sessantenne, in arte Silver, la fortunata striscia che ha raccontato cinquantanni della nostra storia attraverso le vicissitudini dell’uomo qualunque. La ricetta anticrisi? “Torniamo ad insegnare ai giovani i valori autentici della civile convivenza. E sproniamoli a guadagnarsi il futuro. Ci aspettano anni difficili ma credo nella capacità di reazione degli italiani” Come sa bene già chi era ragazzo negli anni Ottanta, “Lupo Alberto” è una striscia a fumetti ideata dalla fervida matita di Guido Silvestri, in arte Silver. Comparso la prima volta nel 1974 sul “Corriere dei ragazzi”, il personaggio di “Lupo Alberto” incarna la figura dell’uomo normale, un po’ sfortunato, e spesso alle prese con disavventure in cui lo proietta la sua condizione economica precaria. I protagonisti del fumetto, dalle sembianze animali (tra i molti, oltre al lupo Alberto, la gallina di nome Marta, ed il cane da guardia Mosè, il tacchino eclettico Alfredo ed il papero Joseph), via via hanno assunto tratti umani, interpretando caratteri che danno conto, con sagace ironia, dell’evoluzione (o, forse, della decadenza) dei costumi della società italiana. Abbiamo incontrato Silver a Milano, in una di quelle non frequenti giornate d’inverno lombardo impreziosite da un cielo “così bello quando è bello”. Silver, come è nata la passione per il disegno? La mia passione per il disegno nasce da bambino ed ancora non si è sopita, forse perché non sono mai cresciuto. Leggevo prevalentemente fumetti. Era il mio passatempo preferito come quello di tanti altri giovani di quel tempo. La televisione, del resto, non offriva la varietà di programmi di oggi. Dei fumetti però non mi affascinava tanto il disegno quanto la narrazione, il racconto umoristico in particolare. Ho imparato a leggere sulle pagine di Topolino e Paperino a cinque anni: mio padre tutte le sere mi leggeva sempre la stessa storia, la mia preferita. Osservavo i ballons, le nuvolette, e memorizzavo i vari segni, le varie lettere dell’alfabeto. Provavo ad abbozzare qualche personaggio. Mi piaceva anche andare al cinema a vedere i primi bellissimi film della Disney fatti di avventure, principi e principesse. Insomma disegnavo, un po’ come fanno tutti i bambini. Mi sono esercitato sui quaderni di scuola fino ai dodici anni. Poi ho cominciato a scoprire quelli che sono stati i miei maestri veri, su tutti Jacovitti, quello che ritengo essere stato il più grande e geniale tra gli autori umoristici italiani. Mi ha fatto capire che dietro ad una storia c’era innanzitutto una persona che la scriveva ed un’altra che eventualmente la disegnava. Negli anni Settanta, poi, è uscito Linus, una rivista i cui fiori all’occhiello erano i Peanuts di Schultz, con le avventure di Charlie Brown e Snoopy. Compresi che il fumetto, senza perdere la sua verve umoristica, poteva essere riempito di idee e contenuti diversi da quelli che caratterizzavano le letture fatte in gioventù, di matrice diciamo così disneyana, ossia legati per lo più all’intrattenimento ed allo svago. Ho preso allora in considerazione di fare di questa mia passione una vera e propria professione, affrontando tematiche filosofiche, politiche e sociali. Quando ha deciso di dare vita al personaggio di “Lupo Alberto”? Non è certo frutto dell’improvvisazione. E’ il prodotto di tutte le esperienze maturate e delle contaminazioni che hanno segnato il mio percorso creativo. Analizziamo il personaggio Lupo Alberto da un punto di vista “organolettico”, come si farebbe con un vino: in lui c’è molto di Willy il Coyote, retaggio della mia prima infanzia, un umorismo molto cinematografico, fatto di gag veloci. Si potrebbe dire che lo struzzo Bip Bip sia la Gallina matta. Da un punto di vista letterario sono stato ispirato invece da Jacovitti, Schultz, Hart (creatore delle famose strisce del cavernicolo su B.C., ndr), e poi da Bonvi, con le sue insuperabili Sturmtruppen (ho lavorato nel suo studio per diversi anni). Lupo Alberto è la sintesi di tutte queste letture e osservazioni attente. Mi ritengo, in questo, molto contemplativo. Non c’è nessuno dei miei personaggi che non sia figlio di qualcun altro, nel senso che rappresentano dei prototipi di psicologie varie. Ad esempio, Cesira la talpa assomiglia con i suoi tic, i suoi modi di fare a mia madre, impareggiabile massaia, ormai anziana, che faceva un’ottima pasta in casa. Nelle Sue strisce Lei ha raccontato l’evoluzione della società italiana. Quali dei cambiamenti più significativi del costume dal 1974 ad oggi ritiene di aver rappresentato in maniera più originale? Siamo passati da una società contadina ad una società industriale, con grandi masse che si sono trasferite dalle campagne alle città. Ho vissuto io stesso, dalla provincia, questo fenomeno. Sono stato io stesso uno di questi migranti, spostandomi dalla provincia emiliana al capoluogo lombardo. I miei personaggi invece li ho lasciati agire in un contesto bucolico, contadino. La televisione ha eliminato le forme dialettali, per lasciare spazio all’italiano, operando una sorta di unificazione territoriale. Un italiano molto televisivo, fatto di espressioni, frasi ricorrenti, quello stesso italiano che parlava mia madre dopo che per anni, prima dell’avvento del tubo catodico, si era espressa soltanto in dialetto. Ho affrontato anche l’aspetto politico. Ho accennato al fenomeno del terrorismo. Nel ’77 abitavo a Modena e a Bologna c’era un movimento molto vicino al terrorismo. Anni difficili, culminati con il rapimento Moro. La gente era pervasa da un senso diffuso di paura: la paura di uscire, la paura che all’improvviso potesse capitare qualcosa di terribile. Ho cercato con una serie di strisce di raccontare questa Italia, spero con grazia, senso di ironia e umorismo. Nessuno, del resto, mi ha mai accusato di speculare sulla situazione e nemmeno di essere fazioso. Quale ruolo potrebbero oggi rivestire i fumetti nel veicolare messaggi importanti di carattere sociale verso i più giovani? Ritengo che fumetti ben fatti siano un invito a riflettere, ad approfondire tematiche complesse e, alle volte, controverse. Il lettore deve essere portato a ragionarci sopra. Penso che il linguaggio del fumetto, al di là del fatto che il mercato sia più o meno florido (ed in questo momento non lo è, ndr), è sempre più vitale. E’ un mezzo alla portata di tutti, che parla un linguaggio universale, molto efficace nel veicolare certi messaggi perché ha diversi livelli di lettura ed è adatto ad ogni età. Non a caso Lupo Alberto piace ai bambini, agli adolescenti ed alle persone più grandi. Il motivo? C’è il disegno che attrae maggiormente i bambini, ci sono poi i contenuti diretti ad un pubblico più maturo. Il fumetto è strutturato proprio così: parla a svariate sensibilità. Per questo viene utilizzato nel campo della pubblicità e in generale nel settore della comunicazione. E’ uno strumento ancora valido e attuale, estremamente vitale. Altro che al tramonto, come qualcuno sostiene. Lupo Alberto riprende la figura dell’uomo comune, contraddistinto da una certa dose di sfortuna. L’ha lanciato negli anni Settanta, in un periodo di crisi, per certi versi simile a quello attuale, in cui non pareva intravvedersi una via d’uscita. Si considera, in questo, un precursore dei tempi, che ha saputo intercettare prima le difficoltà con cui si sarebbero confrontate le nuove generazioni? Mi terrorizza essere paragonato ad un profeta. Negli anni del boom economico assaporavamo l’idea di benessere anche se ancora era lontano dal concretizzarsi. Accarezzavamo il sogno del posto fisso ma non eravamo ancora entrati nella fase del consumismo più sfrenato. C’era, dopotutto, in noi la consapevolezza che le cose si dovevano guadagnare giorno dopo giorno. C’era una maggiore coesione sociale, una maggiore solidarietà. Il benessere raggiunto nel trentennio successivo ha fatto sì che alcune parti della società si siano scollate. L’austerity degli anni Settanta faceva percepire il disagio della privazione ma era al tempo stesso stemperata dalla prospettiva di una grande crescita, mentre oggi mancano le prospettive. Cosa dire ai giovani? Francamente non lo so. Faccio fatica perfino a consigliare i miei figli. Forse la colpa è anche un po’ di noi genitori che gli abbiamo tarpato le ali. Mi spiego: se tuo figlio è pianista ma trova il piatto di ministra pronto ogni sera, difficilmente accetterà l’idea di fare la gavetta nei piano bar per qualche manciata di euro. Spesso mi chiedo se fosse meglio allora quando avevo ventanni o peggio adesso che ne ho sessanta. Tra le due crisi, forse, la precedente era meno spaventosa. Il nostro mensile cerca di testimoniare i valori della legalità, quegli stessi che ritroviamo nelle Sue strisce. Secondo Lei, Lupo Alberto potrebbe arruolarsi nella Guardia di Finanza per combattere l’illegalità, anche sotto il profilo economico, e contribuire così a costruire un mondo più giusto? Lupo Alberto, in realtà, è già arruolato. Nel senso che non mi sono mai posto l’obiettivo di trasmettere principi e valori quando scrivo e disegno ma semplicemente di riempire i miei fumetti di quei valori che mi sono stati trasmessi dai genitori e dagli amici. Sono cresciuto in una famiglia proletaria, mamma casalinga e papà operaio. La mia educazione è figlia di questo ambiente. Mio padre non mi ha lasciato erede di nulla, nemmeno della casa. Il primo che si è potuto comprare un appartamento sono stato io. Mi ha lasciato, però, pochi ma chiari principi: lui ha sempre lavorato sodo e il pranzo con la cena, i miei genitori, lo hanno sempre messo insieme, con il loro stipendio. E quando gli si è presentata l’occasione di guadagnare qualcosa in più con lavoretti in nero, ha sempre rifiutato con decisione. Non pretendeva niente di più del suo stipendio, ma sulla puntualità e la correttezza dei pagamenti non transigeva. Una volta, addirittura, si è dimesso perché il datore di lavoro non aveva rispettato le scadenze. Sono valori che trovavano continuità nella scuola. Quando andavo alle medie c’era una materia che si chiamava Educazione civica. Perché non si propongono più oggi questi argomenti? Ricordo che al messaggio erano associati disegni semplici ma accattivanti. Era un modo per farci comprendere l’importanza dello stare insieme, del rispetto delle regole, della solidarietà nei confronti dei più bisognosi. Nel sussidiario, non a caso, per prima cosa guardavo le illustrazioni. Ancora oggi ho impressa l’immagine del bambino che aiutava la vecchietta ad attraversare la strada e del nipote che rispettava il nonno, eccetera. Scelte didattiche apparentemente ingenue ma dotate di uno straordinario potere comunicativo. L’immagine, opportunamente costruita, può svolgere un ruolo determinante nell’insegnamento. Questi testi scolastici mi hanno in qualche modo influenzato. Anche lo stesso Tex di Gian Luigi Bonelli, con il suo senso di giustizia (pur se alle volte sommaria), ed il suo profondo senso dell’onore, è stato un passaggio fondamentale della mia crescita morale. Con questo tipo di educazione è possibile ancora cambiare la società. Non puoi buttare cartacce in strada perché è casa tua. Il fatto di schiamazzare è un affronto alla tua città. Si deve partire da queste piccole cose, altrimenti non c’è speranza. Quando vedo i miei figli che si mettono il pacchettino di carta in tasca perché non vi sono cestini dove gettarlo, allora dico che un piccolo seme è stato lanciato. Non servono le imposizioni, la paura dell’autorità per fare rispettare le regole di una sana convivenza. Serve semplicemente educare. Parlare ai giovani. Quello che è di tutti, è anche tuo. Come vedrebbe, allora, l’accoppiata Lupo Alberto - Finzy, il nostro grifone? Finzy in quanto volatile, almeno in parte, a differenza di Lupo Alberto che è più terreno, vede le cose dall’alto. Per un periodo molto breve Lupo Alberto indosserebbe volentieri la divisa per accompagnare il vostro grifoncino nelle avventure che lo vedono protagonista e comprendere meglio il suo modo di agire. Da acuto osservatore qual è, riesce ad immaginare il futuro del nostro Paese? Sono fiducioso, anche se lo scenario è cupo. Credo nella capacità di reazione della gente. Dopo il momento iniziale di smarrimento, sono certo che verrà fuori quella straordinaria energia creativa che contraddistingue da sempre gli italiani nel mondo. Non dimentichiamoci che abbiamo superato gli anni bui del Dopoguerra. Questo sistema, del resto, sta finendo ed indietro non si torna. Non possiamo pensare di poter continuare a viaggiare a questi ritmi così frenetici, ad inventare di continuo bisogni per consumare senza freni. Siamo andati oltre le nostre possibilità, indebitandoci oltre le nostre capacità di spesa. Il meccanismo è impazzito. Sono scoppiate così le varie bolle, come quella finanziaria e immobiliare. Dobbiamo recuperare il senso autentico delle cose e perseguire con decisione i cosiddetti furbetti, altrimenti detti mascalzoni.