Visualizza - Ecoistituto del Veneto Alex Langer

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Visualizza - Ecoistituto del Veneto Alex Langer
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ST R I A
VENETA
22
CACCIA AI LEONI DELLA
SERENISSIMA
PADOVA QUANTO MI COSTI !
ASPETTI DELL’AGRICOLTURA
VENETA NELLA PRIMA METÀ
DELL’ OTTOCENTO
LA CUCINA VENETA COME
ARLECCHINO
IL GRATICOLATO ROMANO
PORTOBUFFOLÈ: SULLE
TRACCE DEI NOBILI VENEZIANI
VEXILLUM
POSTE ITALIANE S.p.A. - Spedizione in abbonamento
postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27 febbraio 2004 n. 46)
articolo 1, comma 1 DCB PD - Tassa Pagata - Taxe Perçue
STORIA VENETA
Rivista di divulgazione storica
per conoscere il passato dei Veneti
Iscrizione al Tribunale di Padova
n. 2169 del 5 marzo 2009
Iscrizione al ROC n. 18700 del 29.9.2009
Sommario
numero 22 - anno V - giugno 2013
Editore
Editrice Elzeviro - Tipografia B.G.M. snc
Via A. da Bassano, 31 - 35135 Padova
Caccia ai Leoni della Serenissima
2
di Claudio Dell’Orso
Non solo “Leoni di pietra ...”
8
Supporto culturale
Associazione per lo Studio
della Storia Postale
Casella postale 325 - 35100 Padova
9
Sede redazionale
Tipografia B.G.M. snc
Via A. da Bassano, 31 - 35135 Padova
Tel. / Fax 049 617066
[email protected]
di Adriano Cattani
“Padova quanto mi costi!”
Lodovico Alvise Manin Podestà di Padova
di Alberto Prelli
Aspetti dell’agricoltura veneta nella prima metà
dell’Ottocento
16
di Claudio Daveggia
La cucina veneta come Arlecchino (parte seconda)
27
di Stefano Zabeo
Il Nobilhomo Andrea Tron del pittore Nazario Nazari
35
38
di Adriano Cattani
Portobuffolè: sulle tracce dei nobili veneziani
44
di Mauro Fasan
Vexillum
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Ordinario Euro 40,00
Sostenitore Euro 200,00
Estero
Ordinario Euro 70,00 (non si accettano assegni)
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di Roberto Stoppato Badoer (s.g.e.)
+ Rassegna bibliografica
Composizione e stampa
Tipografia B.G.M. snc
35135 Padova
C/C Postale n. 96946462 intestato a
Tipografia B.G.M. snc - Padova
di Massimo Tomasutti
Il graticolato romano
Direttore responsabile ed editoriale
Adriano Cattani
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55
In copertina: Julien Dupré (1851-1910), “Il carro di fieno”.
La collaborazione a “Storia Veneta” è aperta a tutti, purchè gli articoli e le illustrazioni siano
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Una copia Euro 10,00
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Hanno collaborato a questo numero
Massimo Benetton, Antonio Biasioli,
Adriano Cattani, Claudio Daveggia,
Claudio Dell’Orso, Abate Faria,
Mauro Fasan, Alberto Prelli
Roberto Stoppato Badoer (s.g.e.),
Massimo Tomasutti, Massimo Tonizzo,
Stefano Zabeo
www.elzeviroeditrice.com
ISBN 88-88939-60-5
Stefano Zabeo
La cucina veneta
come
Arlecchino
Parte seconda
A sinistra:
Carlo Marchiori, “Arlecchino”
(particolare).
Sotto:
Annibale Carracci, “Mangiafagioli”
(particolare), 1584/85, Galleria
Colonna, Roma.
Ottobre: la Madonna del Rosario, Lepanto
ed il melograno
Varie sono nel Veneto le sagre dedicate alla
Madonna del Rosario che si festeggia il 7 ottobre, tra le quali ricordiamo quella di San Donà
di Piave, Noale, Martellago, Pianiga, Spresiano, San Martino di Lupari, Galzignano Terme.
Questa festa ebbe origine, o maggiore diffusione, dopo la battaglia di Lepanto del 7 ottobre1571: istituita da papa Pio V nel 1572 con
il nome “Santa Maria della Vittoria” divenne
con il suo successore Gregorio XIII la festa del
“Santissimo Rosario” per trovare nel 1960 la
denominazione attuale di “Beata Vergine del
Rosario”.29)
27
La Madonna del Rosario in un
particolare del dipinto di Paolo
Veronese dedicato alla vittoria
veneziana nella battaglia di
Lepanto.
Nella prima domenica di ottobre (che cade quindi
tra l’1 ed il 7) si teneva nel paese di Cavasagra
(Vedelago-TV), così si legge nel libro di Camillo
Pavan “SILE”, la ”Sagra dei pomi ingranai” ovvero delle melegrane.30)
È tradizione in questa ricorrenza mangiare l’anatra arrosto, che in certi ristoranti viene aromatizzata con il succo dei semi del melograno i quali
vengono inoltre utilizzati come decorazione della pietanza.
La melagrana ricorre come simbolo in varie rappresentazioni della Madonna così come in quelle
della dea pagana Era-Giunone.
Vari artisti, come Botticelli, Leonardo da Vinci,
Raffaello, Jacopo della Quercia, Antonello da
Messina, Filippo Lippi, Lorenzetti, hanno realizzato opere aventi come soggetto la “Madonna
della melagrana”, così come troviamo raffigurazioni di Era-Giunone (=veneta Reitia?) nelle
quali la dea tiene in mano una melagrana, come
la scultura di Hera presente nel museo nazionale
di Paestum (SA).
I frutti del melograno erano sacri a Era-Giunone
che li ricevette come dono di nozze dalla madre
quale augurio di fecondità.31)
29)
Cattabiani Alfredo, “Calendario”, pp. 303-306.
30)
Pavan Camillo, “Sile”, p, 64.
31)
D’Alesio Corrado, “Dei i miti”, p. 255.
32)
Salvatori De Zuliani Mariù, “A tola co i nostri veci”, p. 185.
Statuetta di Hera con patera e
melograno, Museo Archeologico
Nazionale di Paestum.
Sandro Botticelli, “La Madonna
della Melagrana” (particolare),
1480-81, Galleria degli Uffizi,
Firenze.
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Le spose turche, secondo un’antica tradizione,
lanciando a terra una melagrana e contando i semi usciti dal frutto sapranno quanti figli avranno.
Si ritiene che il melograno, nelle sue varie parti,
abbia proprietà antinfiammatorie, antitumorali,
antiemorragiche e vermifughe. Viene usato per
curare la diarrea, le malattie cardiovascolari, la
sterilità e, per le sue proprietà antiossidanti, viene usato in estetica per la preparazione di creme
(consultare sempre un medico).
Chissà se possa esistere una relazione tra il numero elevato di proprietà terapeutiche attribuite
a questa pianta e l’ipotesi di alcuni teologi ebraici
che indicano il melograno (anziché il melo) come
l’Albero della vita del “Giardino dell’Eden”.
Con questo frutto si preparano succhi dissetanti,
insalate, gelatine, marmellate, cocktail, ratafià,
olio ed un succo per aromatizzare gli arrosti.
Un piatto tipico vicentino è la “Tacchina (paeta)
arrosta col melograno”. Viene arrostita allo spiedo e “intanto che sta povera paeta la gira sul
speo” si premono i semi di 2-3 melagrane assieme a dei pezzetti di pelle bianca del frutto. “El gusto garbo de sta poca de pele bianca, missià a
quelo dolse dei semeti rossi” darà alla carne un
sapore tutto speciale “tanto bon che mai!” Si bagna quindi di frequente con questo liquido la
“paeta” durante la cottura: “Desso no ocore che
spetar che la bestia sia cota”.32)
Si sottolinea infine che nell’agriturismo “Al castello” di Sarego (VI), nei pressi dei colli Berici,
tra i vari primi e pietanze si prepara l’anitra al
melograno e i “bigoli all’anitra” che viene indicato come un piatto rituale da consumarsi alla Festa del Rosario.
Curiosità: la città di Granada in Spagna deve il
suo nome a questo albero il cui nome scientifico
è “Punica granatum”. Con la melagrana si
prepara la granatina, uno sciroppo utilizzato
per la preparazione di granite e cocktail. A
Mestre vi erano, alcuni decenni orsono, dei
chioschi (baracchette) dove si vendevano, tra
l’altro, bevande preparate con ghiaccio tritato
(in piccoli grani e non omogeneizzato come al
presente) ed aromatizzato con sciroppi di vari
gusti. Erano centri di ritrovo molto frequentati
specialmente d’estate.
Ottobre: sugoli e festa del mosto
Alla Festa del Mosto a Sant’Erasmo, che si svolge
ogni prima domenica di ottobre, si possono degustare la “grappa al melograno”, le “masanete”
ed il “mosto” ottenuto dalle vendemmie effettuate solo alcuni giorni prima nell’isola.
Con il mosto, in varie parti del Veneto, si preparano
i “sugoli”, una specie di budino, ottenuto cuocendo
a fuoco lento il mosto, acini d’uva, farina e zucchero. I sugoli possono essere serviti freddi o possono
essere conservati in vasetti come marmellata.
Le masanete si lessano in abbondante acqua bollente leggermente salata, per sette-otto minuti, lasciandole poi intiepidire nella loro acqua. Si scolano, si levano le zampe ed il carapace; si condiscono ancora tiepide con un trito di aglio e prezzemolo, olio, sale e pepe. Dopo averle lasciate riposare
per almeno un’ora si servono accompagnate da
fette di “polenta bianca”.
Credo che solo nel Veneto si possa degustare
questo piatto così caratteristico e particolarmente gustoso 33) 34) 35) 36) 37.
Novembre: Oche, castagne e vin tien tute par
San Martin
San Martino di Tours, festeggiato l’11 novembre,
è uno dei santi più popolari. In questa data scadevano i contratti ed a volte i contadini dovevano
lasciare la casa dove alloggiavano, da cui il detto
“far San Martin”. A Venezia, Mestre ed in qualche paese limitrofo si prepara per questa festa un
gustosissimo “dolce di pasta frolla” che raffigura
il santo a cavallo con la spada in pugno. Viene ornato di palline argentate, ricami colorati di zucchero, cioccolatini.
Meno frequente è la versione di forma circolare,
preparata con mele cotogne, uova e farina (“cotognata”) sulla quale viene impressa con uno
stampo la figura del santo.
A Mirano (VE) ogni anno si svolge il “Grande gioco dell’oca” disponendo 63 grandi tavole (di 2
metri per 2 e rialzate 80 cm. da terra) attorno
all’ovale della piazza formando così una grande
passerella colorata di circa 130 metri.
Si possono in quest’occasione degustare “patè,
salami e salsicce d’oca”.
“A San Martin el mosto deventa vin. Le canpane
de San Martin vèrze le porte al vin”: i due proverbi ci ricordano che da San Martino si può iniziare
a bere il vino nuovo. Altra prelibatezza del periodo sono le castagne arrostite (caldarroste), lessate o secche (“straccaganasse”, letteralmente
“stanca guance”). Attenti però a non esagerare
con il consumo combinato di castagne e vino che
potrebbe causare reazioni intestinali indesiderate (Maroni e vin novo, scoreze de fogo).
33)
http://www.vicenzae.org/ita/component/k2/item/307
34)
http://www.akkiapparicette.it/ricette/pomegranate-glogggrog-analcolico-alla-melagrana-e-la-melagrana-nellarte/
35)
http://www.alimentipedia.it/Frutta/Frutta_melagrana.ht
ml
36)
http://alloggibarbaria.blogspot.it/2009/10/festa-del-most
o-santerasmo.htmlFesta del Mosto a Sant’Erasmo
37)
http://www.cucina-facile.it/secondi/pesce/ricetta_masan
ete_in_insalata_13345.html
29
Da sinistra:
Il dolce di San Martino in pasta
frolla.
Elisabeth Van Alida
Kiers-Haanen, “Venditrice di
castagne” (particolare), 1844.
La cotognata, le Ninfe di Giove e S. Martino38) 39)
“Caratteristica marmellata dura, despartia in tochi grossi e quadrati, fata co’ i pomi cotogni, ossia quei che diventa fati d’inverno e che se li pol
magnar solo coti. Par vecia tradission, tute le case del Veneto ghe ne gera sempre fornie co abondanssa, parchè sta marmellata la vigneva fata
aposta par el <marendin> dei putei. Ma anca
sta bela tradission la xe drio scomparir!”
Se una pasta fatta di mele cotogne e miele, come
suggerisce il mito, era l’alimento con il cui le Ninfe
nutrivano Giove bambino, la cotognata come la
conosciamo noi sembra fosse conosciuta in Francia almeno dai tempi di Giovanna D’Arco, la cui effige è presente sulle confezioni di questo prodotto.
Più verosimilmente si ritiene che essa sia nata nel
1500 e portata in Italia dai monaci che la
preparavano per la festa di San Martino da Tours.
Le mele cotogne vanno raccolte di sera, quando
sono più fredde, prestando attenzione a non
ammaccarle: la mattina seguente sarà così più
facile levare la leggera lanugine che le ricopre.
ziamento alla Madonna, fece costruire un tempio
grandioso incaricandone della progettazione il
giovane architetto Baldassarre Longhena.
Per facilitare il pellegrinaggio viene allestito ogni
anno un ponte votivo sul Canal Grande attraverso il quale migliaia di fedeli si recano nella chiesa
per rendere omaggio alla Madonna e ad accendere un cero affinché interceda per la loro salute.
Fino a qualche decennio fa vi era la tradizione di
mangiare la “castradina della Salute” per ricordare il consumo quasi esclusivo di questa carne affumicata di castrato che veniva fatto durante il periodo della pestilenza. Si riteneva infatti che la
carne affumicata e salata, proveniente dalla Dalmazia e dall’Albania, presentasse problemi di
contagio molto inferiori a quelli della carne fresca.
I “becheri” (macellai) esponevano all’esterno della loro bottega grandi pezzi di castradina, resa
scura dal fumo, appesi alle architravi delle porte
e decorati con nastri colorati e festoni di foglie
sempreverdi. Il piatto era d’obbligo sia per “i poareti che par i siori”.40)
Così il poeta Varagnolo descrive come i Veneziani
passavano il 21 novembre:
Il ponte votivo e la “castradina della Salute”
Il ponte votivo sul Canal Grande
per rendere omaggio alla
Madonna della Salute.
Di gran lunga meno turistica del Redentore e più
fortemente legata alla dimensione religiosa è la festa della Madonna della Salute che si celebra a Venezia il 21 novembre, per ricordare la fine della pestilenza del 1630. La Serenissima, come ringra-
30
38)
Salvatori De Zuliani Mariù, “A tola co i nostri veci”, p.
289.
39)
Autori Vari, “Cucina veneta”, p, 264.
40)
Salvatori De Zuliani Mariù, Ididem, p. 130.
... I passa el ponte, i crompa la candela,
el santo, el zaletin, la coronçina,
e verso mezodì l’usanza bela
vol che i vaga a magnar la castradina!
Canedri Cadorini: el prete col stomego de fero
“Piato sostansioso de origine todesca, fato coi rosegoti de pan vanzà. Anca i furlani i li fa in maniera squasi compagna.” Ingredienti lardo, burro, cipolla, salsiccia, pane vecchio, latte, prezzemolo, uova, sale, pepe, noce moscata, formaggio
grana, farina bianca, brodo di gallina vecchia
(che fa bon brodo).
I canedri, che si presentano come una sorta di
gnocchi sferici, si possono mangiare in due modi:
in brodo od asciutti e conditi con il burro fuso.
Questo, che è per i Cadorini un piatto tradizionale
natalizio, è simile ai canederli tirolesi che vengono serviti come minestra o conditi con un ragù di
salsiccia o come contorno di un piatto di Goulash.
Le dosi per i consumatori tedeschi vanno aumentate rispetto a quelle degli italiani perchè “i xe
tanto più magnoni, e abituai a sgionfarse el stomego a son de patate ...”.
Questo piatto, usuale in Trentino e nel Tirolo, è
arrivato anche a Venezia, pur non mettendovi radici, venendo servito solo come un “strambesso”
o “tanto par cambiar”.
Una vecchia storia trentina racconta di un prete
con un “stomego de fero” che andava ogni domenica a dir messa a Paneveggio, un paese abbarbicato sulla montagna tra Passo Rolle e Predazzo.
Prima di recarsi in chiesa il sacerdote pranzava
abitualmente nella locanda della siora Menega
che gli preparava una dozzina di canederli, che
dovevano essere grandi non come mandarini
bensì come grosse arance. A mezzogiorno tutti
gli uomini del paese, compresi vecchi e bambini,
si accalcavano alla locanda per vedere questo
prete che “ingiotiva de strangolon sti baloni de
roba” come fossero piselli. I giovanotti con tanto
di occhi spalancati dicevano fra loro: “Desso el
sciopa! ... Desso el sciopa! ... Ma Don Bortolo no’l
xe mai sciopà, e la domenega drio, ... el tacava la
stessa solfa, par tanti ani e tanti ani de
seguito”.41)
Il Natale, il Sole Invitto e l’usanza del ciocco
Il 25 dicembre si festeggia la nascita di Gesù pur
non avendo tale data nessun fondamento storico. Essa è dunque una data simbolica che si collega esplicitamente alla la festa romana del “Sol Invictus”, istituita dall’imperatore Aureliano
(270-275) e fissata pochi giorni dopo il solstizio
d’inverno, quando il “nuovo sole” saliva in modo
percettibile nell’orizzonte.
Si celebravano in quest’occasione cerimonie e giochi, come la corsa dei 30 carri, che ricordava la
rappresentazione del movimento del sole, che si
immaginava trasportato su di un carro splendente, portatore ogni giorno della luce nel mondo.
Queste feste spettacolari attiravano molto i cristiani e così la Chiesa romana, preoccupata dalla
grande diffusione dei culti solari, pensò di celebrare nello stesso giorno la nascita di Cristo indicato come vero Sole.
Il culto del Sole era così radicato che papa San
Leone Magno (V secolo) scriveva che “alcuni cristiani prima di entrare nella basilica di San Pietro” ... dopo aver salito la scalinata che porta
all’atrio superiore, si volgono verso il sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente”.42)
Un’altra usanza, ancora viva in tutta Europa fino a metà del Novecento, era quella del ciocco natalizio, chiamato “suc” in Piemonte, “ceppo”
nell’Italia centrale e “zuch” nel trevigiano.
Alla vigilia del Natale la famiglia si riuniva attorno al camino dove veniva posto un ciocco di
quercia pronunciando frasi bene auguranti. In
alcune località i bambini recitavano inoltre una
canzone detta “Ave Maria del Ceppo” che “faceva
piovere su di loro dolci e regalini”.
41)
Salvatori De Zuliani Mariù, “A tola co i nostri veci”, pp.
29-31.
42)
Cattabiani Alfredo, “Calendario”, pp. 20, 71-73.
31
accendere quello dell’anno successivo.43)
I dolci veneti de Nadal
Il ceppo, simbolo del Cristo che si era sacrificato
per salvare l’umanità, per sostenere l’uomo nella
sua vita terrena, doveva bruciare lentamente per
12 giorni, simbolo dei mesi dell’anno, e come il
sole, ‘nato’ dal solstizio d’inverno avrebbe dovuto nutrire la terra per un intero anno.
Si diceva che il Natale era il “giorno del pane” ed
in questo periodo si mangiavano, come oggi, dolci a base di farina fra i quali tra i più diffusi è senza dubbio il panettone.
Diceva Gesù: “Io sono il pane della vita; chi viene
da me non avrà più fame e chi crede in me non
avrà più sete ...”.
Altra curiosa coincidenza consiste nel nome del
luogo dove Cristo è nato. Betlemme in ebraico Bet
Lehem, significa Casa del Pane, probabilmente
per la presenza dei numerosi campi di frumento
che circondavano, in quel tempo, la cittadina.
Scrive Margarethe Riemschneider: “Nelle usanze
del Natale questo significativo ciocco si è mantenuto” valendo “come amuleto protettivo per tutto
l’anno seguente. Nel periodo natalizio non doveva mai spegnersi” e neppure consumarsi completamente poichè quel che ne restava garantiva
protezione e benedizione servendo inoltre ad
32
Panettone: sull’origine del panettone vi è una disputa antica tra Milanesi e Veneziani. Se da una
parte si sostiene che sia nato addirittura nel ‘300
alla corte dei Visconti, dall’altra si sostiene come
esso possa derivare44) dalla veneziana “Fugassa
de Nadal” e che il nome derivi da “pan de Toni”.45)
Se le origini del panettone sono incerte ben documentate sono quelle del pandoro.
Pandoro veronese: c’è chi sostiene che le origini
del Pandoro vadano ricercate in Austria, dove si
produceva il cosiddetto “Pane di Vienna”, probabilmente derivato, a sua volta, dalla francese
“brioche”. Secondo altri, la ricetta del dolce di Verona potrebbe derivare da quella del ”pane de
oro" che trovava posto sulle tavole dei più ricchi
veneziani.
Nasce ufficialmente il 14 ottobre 1894 giorno in
cui Domenico Melegatti, fondatore dell’omonima
industria dolciaria, depositò all’ufficio brevetti la
ricetta di un dolce morbido e dalla caratteristica
forma di stella a otto punte, opera dell’artista Angelo Dall’Oca Bianca.
Il pandoro può essere visto anche come evoluzione del “Nadalin”, dolce veronese anch’esso a forma di stella.46)
“Convien scaldar el pandoro veronese prima de
magnarlo parchè cussi el butiro, che ghe xe dentro
l’impasto, comincia a descolarse, e xe facile che ti
te descoli anca ti a magnarlo tanto che el xe bon”.
Si apre il sacchetto che lo contiene introducendovi lo zucchero a velo presente nella confezione; si
richiude il sacchetto e lo si agita in modo tale che
lo zucchero si distribuisca uniformemente sulla
superficie. È così pronto per essere tagliato a fette
e servito.
Nadalin veronese: sembra sia nato nel 1260
quando i Della Scala, Signori di Verona, “nel
primo Natale seguente al loro insediamento,
incaricarono un pasticcere locale di creare un
43)
Ibidem, pp. 80-82.
44)
Autori Vari, “Cucina veneta”, p. 254
45)
Salvatori De Zuliani Mariù, “La nuova Venezia”, p. 425.
46)
http://www.scaligeri.com/index.php/curiosita-sul-xiv -secolo
dolce, che potesse diventare il simbolo della
città.” Il Nadalin ebbe un successo notevole,
divenendo così il dolce natalizio veronese per
eccellenza. Il suo aspetto a forma di stella lo
ricollega alla cometa che condusse i Re Magi alla
grotta dove Gesù nacque.
Mandorlato di Cologna Veneta
“Lè a Cologna Veneta, bela citadina a Sud-Est de
Verona, che ga origine la storia e el fasino de sta
specialità insuperabile e de otima qualità, ancora
ancò fedele in tuto a la riceta e a el modo de farla
secondo la tradision: el famoxo Mandolato de
Rocco Garzotto. L’ era el 1840 coando el spesiale
Rocco Garzotto el ga vuo la bela idea: smisiare insieme quelo che par i antichi l’era el nutrimento
de le divinità, cioè el miele, co el bianco de l’ovo,
sucaro e mandole spelae”.
La sua fama oltrepassò ben presto le mura di Cologna e il notevole aumento della richiesta resero
insufficiente la produzione di mandorle della vicina Val d’Illasi. Fu così che Rocco Garzotto cominciò a rifornirsene a Ceglie di Campo, nei pressi di Bari.
Il Mandorlato di Cologna, prodotto da più di 160
anni secondo la stessa ricetta, ambasciatore
oltreoceano dell’arte pasticcera veneta, ha avuto
importanti riconoscimenti nell’ambito di esposizioni universali facendo si che il suo inventore
ricevesse perfino la benedizione di un papa, probabilmente di Pio X. 47) 48)
del passaggio “dall’anno idolatrico all’anno della
vera fede”.49)
I vari capodanni italiani
Fino al 1700, contrariamente ad oggi, il Capodanno non era festeggiato il 1° gennaio: la sua
data variava nei vari stati italiani, in un periodo
compreso (salvo eccezioni) da dicembre a marzo.
Se a Milano era adottato lo stile della Natività (25
dicembre) a Firenze era in uso quello dell’Incarnazione (25 marzo) ed entrambi convivevano in
Sicilia fino al 1600.
Sino al 1600 a Bari il nuovo anno cadeva il 1°
settembre, secondo lo stile bizantino mentre a
Venezia, fino allla caduta della Repubblica
(1797), veniva usato lo stile veneto (“more veneto”) che fissava il Capodanno al 1° marzo50).
I frutti del buon augurio
Per la cena di San Silvestro non dovrebbe mancare
sulla tavola un cesto con l’uva e le melagrane,
47)
http://www.sitoveneto.org/mandolato_de_cologna_veneta.html
48)
http://www.garzottorocco.com/passione/ppassione.aspx
49)
Cattabiani Alfredo, “Santi d’Italia”, p. 878.
50)
Cattabiani Alfredo, “Calendario”, p. 115.
Papa Silvestro I e l’Imperatore
Costantino.
I 365 scalini di San Silvestro e l’Imperatore Costantino
A San Silvestro, che fu Papa dal 314 al 355, furono attribuiti molti miracoli. Secondo una leggenda che si narra a Poggio Catina, in provincia di
Rieti, vi era una fossa abitata da un drago il quale,
da quando l’Imperatore Costantino si era convertito al cristianesimo, uccideva col suo soffio pestifero, più di trecento uomini ogni giorno. L’Imperatore si rivolse a Papa Silvestro che, avuta la visione di San Pietro, ne seguì le istruzioni. Si recò così
presso la fossa, e scesi 365 scalini incontrò la bestia feroce a cui legò al collo un filo con il sigillo di
Cristo, rendendola in tal modo inoffensiva.
La vittoria sul drago è una chiara allegoria di
quella sul paganesimo e i 365 scalini rappresentano i giorni dell’anno romano che Silvestro
avrebbe consacrato al cristianesimo. Il 31 dicembre, festa di San Silvestro diviene così il simbolo
33
Nella foto: un gustosissimo
piatto di musetto e lenticchie.
frutti bene auguranti e portatori di allegria. L’uva è stata da sempre il simbolo sacro dell’immortalità ed i molti riferimenti ai tralci ed ai frutti della vite presenti nel Vangelo assumono precisi significati sino a fare del vino il sangue stesso di
Cristo.
Se oggi l’uva la troviamo, freschissima e bellissima, anche a Capodanno, un tempo nelle campagne si prelevava dai tralicci dove venivano appesi i grappoli destinati alla produzione del vino
passito o al desco natalizio. È di tradizionale
buon augurio mangiarne 12 chicchi, uno per
ogni mese dell’anno appena iniziato.
La melagrana “In Israele è il frutto simbolico del
nuovo anno ebraico trasferendo nell’aspetto di
questo frutto l’auspicio che i meriti di ognuno
possano aumentare copiosamente come il numero dei suoi semi”.
E proprio in Israele hanno recentemente stabilito
che i semi del melograno sono ricchissimi di antiossidanti ed un gruppo di specialisti della Facoltà di Ingegneria dell’Alimentazione hanno
realizzato un sistema per produrne un vino e un
olio dalle proprietà terapeutiche. Si realizza così
in concreto l’augurio di buona salute che il melograno porgeva.
Durante la notte di San Silvestro, i ragazzi nel
Veronese vanno per le strade a cantare la “strenna” augurando un felice anno nuovo e facendo
richiesta di doni:51)
“Bon dì, bon ano, bon capo d’ano;
- le bone feste le bone minestre;
- na roca de cana, la padrona la staga sana:
- a Natal un bel porzèl, a Pasqua un bel
agnèl;
- un granar carco de formento e formenton,
una càneva de vin bon,
- una borsa d’oro e n’antra d’argento:
- caro paron, feme la bona man, che mi
son contento".
Musetto e lenticchie
Una tradizione ancora viva nel Veneto è quella di
mangiare per San Silvestro o Capodanno il “musetto con le lenticchie”.
Il musetto è la denominazione veneta del cotechino, realizzato con un impasto simile a quello dello zampone che viene tuttavia insaccato in un diverso contenitore: il budello del maiale.
L’impasto del musetto viene preparato utilizzando gli scarti della bestia come le rifilature di spalla
e di prosciutto, e di cotenna ai quali vengono aggiunti sale, pepe intero, pepe macinato, aglio pestato, vino. Il musetto, più magro del cotechino,
viene preparato, in qualche località, utilizzando la
lingua intera o macinata assieme alle altri parti.
Secondo la credenza popolare mangiare un cucchiaio di lenticchie allo scoccare della mezzanotte, ma prima del brindisi, assicura un anno ricco
di successo e di soldi. Tale credenza potrebbe derivare dalla forma di questo legume, tonda ed appiattita, che ricorda quella di una moneta.
Per i vegetariani si consiglia in alternativa un’ottima “zuppa di lenticchie” preparata con salvia,
prezzemolo, sedano, cipolla, aglio, pomodoro,
olio di oliva ed alcune fettine di pane.52) 53)
Stefano Zabeo
L’identità culturale del Veneto
Questo breve viaggio attraverso i piatti tipici, le usanze, i proverbi che caratterizzano i vari
periodi dell’anno è stato possibile utilizzando, come fonti non solo i libri di storia e di cucina,
i ricordi personali, i colloqui con amici e conoscenti ma anche il materiale documentario presente in Internet che, come un moderno ed efficientissimo “filò”, rende disponibile a tutti
una mole smisurata di notizie, immagini e spunti di ricerca. Sembra emergere da questa nostra modesta narrazione un quadro sintetico delle principali tradizioni della nostra regione,
una ricomposizione che delinea una parte importante dell’identità culturale del Veneto,
un’identità tutta da riscoprire.
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51)
http://artevizzari.italianoforum.com/t954-capodanno
52)
http://www.alimentipedia.it/Legumi/Legumi_lenti_generale.html
53)
http://www.pubblicitaitalia.com/cocoon/pubit/riviste/articolo.html?idArticolo=9357&Testata=