Sulle origin - fisica/mente

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Sulle origin - fisica/mente
FISICA/MENTE
FISICA/
MENTE
SULLE ORIGINI DELLA SCIENZA
ELETTRICA E MAGNETICA
PARTE 1:DA TALETE A
DESCARTES
Roberto Renzetti
PRIMI FENOMENI
Alcuni curiosi e divertenti fenomeni elettrici e magnetici erano noti fin dall'antichità. E'
difficile andare a ricavare le prime scoperte in tal senso ma qualcosa si può dire.
Intanto la stessa parola elettricità è di derivazione greca, deriva cioè da •λεκτρον (1)
(leggi: electron) che vuol dire ambra. L'ambra è una resina fossile che mostrava particolari
proprietà: se strofinata con un panno attira a sé piccoli corpuscoli posti nelle sue vicinanze.
Fenomeni analoghi erano di particolari minerali ferrosi noti come pietra di Magnesia (•
λ•θος Μαγνητις; leggi: e litos Magnetis, dal nome della città che si trovava alle falde del
monte Sipilo, nell'Asia Minore) che presentavano la proprietà di attrarre a sé pezzettini di
ferro.
E' quindi evidente che da ambra e Magnesia discendono i nomi di due branche della
fisica che per iniziare ad essere minimamente comprese richiederanno centinaia e centinaia di
anni.
Sembra che, nel VI secolo prima di Cristo, sia stato Talete di Mileto (e Mileto era città,
anch'essa, dell'Asia Minore al centro di imponenti traffici, anche culturali, tra l'Oriente,
l'Egitto e la Grecia) il primo ad occuparsi di elettricità. Egli riteneva che il magnete fosse
vivo perchè in grado di far muovere le cose e che avesse un'anima.
Questi primi fenomeni osservati dovettero attendere, a quanto se ne sa, circa 1900
anni prima che si potesse realizzare una qualche applicazione pratica (le possibili prime
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teorie dei fenomeni elettrici e magnetici avrebbero invece richiesto all'incirca 2400 anni).
LA BUSSOLA
Le notizie che riporto sono in gran parte incerte, vaghe ed a volte contraddittorie,
come è sempre quando non si dispone di documenti. Fornisco quindi solo alcuni cenni per
seguire alcune tracce della storia della vicenda.
Una delle proprietà che venne scoperta (?) era quella per cui i magneti di forma
allungata, barrette o aghi magnetici, se sistemati in condizioni di orientarsi liberamente su di
un piano orizzontale si disponevano spontaneamente dirigendo sempre una delle due
estremità (per questo chiamata nord dell'ago) verso il nord geografico mentre l’altra risultava
diretta verso il sud geografico (sud dell’ago).
Tale proprietà risulta sia stata sfruttata in Cina intorno al IV secolo d. C. con la
realizzazione di bussole (dal greco πυξις che in latino diventa buxis e che, nelle due lingue,
vuol dire "scatola di legno di bosso") per orientarsi nella navigazione (fatto che permetteva il
superamento del bordeggiare per inoltrarsi in mare aperto anche in condizioni di non
visibilità del cielo ma SOLO con mare calmo). Esse erano in genere costituite da un
recipiente contenente acqua, sulla quale galleggiava un piccolo oggettino di legno (una canna
cava), spesso forgiato artisticamente con la forma di un drago, di un pesce, ..., vincolato a
ruotare liberamente intorno all’asse verticale centrale del recipiente. All'interno di tale
oggetto era disposto un ago magnetico che, orientandosi come accennato, orientava anche
l'oggetto, che quindi si disponeva indicando la direzione del nord.
Tale scoperta sembra sia arrivata in Europa, con l'intermediazione araba, tra l'XI ed il
XII secolo (occorre però osservare che furono ancora gli stessi arabi a trasferire la bussola
europea, da poter usare anche con mare mosso, in Oriente e probabilmente nella stessa Cina)
(2). Sull'introduzione della bussola in Europa vi è molta leggenda che occorre ridimensionare
ad evitare errori clamorosi. Fu probabilmente nel XVI secolo che tali leggende si affermarono
(3) a seguito dell'errata interpretazione di un testo, scritto nel 1543 da Flavio Biondo, storico
di Positano, vicino ad Amalfi, secondo il quale sembrava che marinai amalfitani fossero stati
i primi a usare e anche a perfezionare la bussola dei Cinesi. La tradizione popolare, con una
strana deformazione del nome, attribuì a questo Flavio l'invenzione della bussola.
Una prima notizia certa, e non in ordine cronologico, è che due commentatori della
Divina Commedia del XIV secolo, Francesco da Buti e Giovanni da Ferravalle, spiegavano il
verso 29 del canto XII del Paradiso in tal modo:
"Hanno li naviganti uno bussolo che in mezzo è imperniato una rotella di carta
leggera, la quale gira su detto perno; e la detta rotella ha molte punte, et ad una
di quelle che vi è dipinta una stella, è fitta una punta d'ago; la quale punta li
naviganti quando vogliono vedere dove sia la tramontana, imbriacano con la
calamita"
E' la prima descrizione nota di una bussola che si avvicina a quella moderna ed in uso
in Italia: l'ago magnetico, imperniato al centro della scatola che lo contiene, gira solidale con
la rosa dei venti (la sospensione cardanica, che permette che l'ago mantenga sempre il
medesimo piano di rotazione, qualunque sia l'oscillazione della nave, sarà introdotta nel XVI
secolo)(4).
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Altre notizie certe sull’uso della bussola magnetica, nei mari del Nord Europa
all’inizio del XII secolo, provengono da Alexander Neckam (1157-1217), un monaco inglese
che scrisse varie opere tra cui il De naturis rerum ed il De utensilibus in cui si parla anche
della bussola magnetica(5).
Lo scienziato francese Pierre de Maricourt (mago ed alchimista nato in Picardie,
Francia settentrionale, ammirato da Ruggero Bacone e sceso in Italia con Carlo D'Angiò), più
noto con la sua denominazione latina di Petrus Peregrinus (presumibilmente per essersi
recato in pellegrinaggio a Roma), nel 1269 scrisse Epistula ad Sygerum de Foucaucourt
militem, de magnete, un compendio di quello che allora si sapeva sul magnetismo in generale
e sul magnetismo terrestre in particolare, che, nell’inevitabile forma manoscritta, ebbe subito
larga diffusione tra gli scienziati (fu passato a stampa soltanto nel 1558). Nella sua opera
viene descritta una bussola ad ago imperniato con le seguenti parole:
«In questo capitolo ti discoprirò la costruzione di una ruota che si muove
costantemente in modo meraviglioso... Se vuoi costruire una simile ruota, prendi
una coppa d'argento, come quella degli specchi concavi, che sia dotata
nell'interno di incisioni e trafori, non solo per motivi di bellezza, ma anche allo
scopo di diminuirne il peso; poiché quanto più essa è leggera, tanto più
rapidamente può esser posta in movimento. Devi però ben badare che l'occhio
dell'inesperto non si accorga di quanto in essa è abilmente predisposto.
All'interno della coppa devono essere fissate delle liste di ferro e dei denti di
ugual peso, che siano posti in direzione obliqua sull'orlo della coppa, uno dopo
l'altro, in modo che la loro distanza non sia maggiore dello spessore di un
fagiuolo o di un pisello. La ruota stessa deve avere ugual peso in ogni sua parte.
Fissa il centro dell'asse, attorno al quale gira la ruota, in modo che esso resti
immobile. Disponi sull'asse un'asta d'argento, alla cui estremità sia fissata, tra
due capsule, una pietra magnetica, che deve essere stata preparata nel modo
seguente. Quando essa sia stata arrotondata e si siano individuati i suoi poli,
come è indicato prima, le si deve dar forma d'uovo. Mentre i poli vengono
lasciati come sono, si limiti la parte compresa fra di essi, cosicché venga ridotta
ed occupi meno posto. In tal modo essa non toccherà le pareti delle capsule,
quando la ruota gira. Quando ciò sia fatto, fissa la pietra sull'asta metallica,
cosi come si incastona una pietra preziosa. Si diriga il polo nord verso le liste e i
denti della ruota, ma leggermente inclinato, in modo che la forza della pietra
non agisca direttamente, ma sotto un certo angolo sui denti di ferro. A seguito di
ciò un dente che si avvicini al polo nord e, in virtù del moto della ruota, lo
superi, viene ad avvicinarsi al polo sud, dal quale esso è ora più respinto che
non attratto, come manifestamente avviene secondo la legge che ho esposto nel
precedente capitolo. Un tale dente viene quindi di continuo attratto e respinto. Al
fine che più velocemente compia la ruota il suo lavoro, si ponga nella coppa un
piccolo peso rotondo di bronzo o argento, di grandezza tale da poter essere
facilmente nascosto fra ogni coppia di denti. Quando ora la ruota sale, il piccolo
peso cade dalla parte opposta. Poi che però il moto della ruota è sempre di
salita per l'una delle due parti, parimenti incessante è il cadere del piccolo peso
fra due denti qualsiasi, poiché esso tende per il suo peso al centro della terra.
Con ciò esso appoggia il moto dei denti ed impedisce che questi si fermino
quando vengono a cadere esattamente davanti alla pietra magnetica. Fa' di
larghezza opportuna lo spazio fra i denti, così che il piccolo peso resti nascosto
durante la caduta, come è illustrato dal disegno.
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Addio ! Terminato nel campo dell'assedio di Lucera(6) l'8 agosto anno Domini
1269 ».
pietro da maricourt
Ma Pierre de Maricourt, le cui opere sono andate quasi completamente perdute, fece
anche importanti studi sul magnetismo: le attrazioni e repulsioni tra poli magnetici, il
magnetismo indotto mantenendo un magnete naturale vicino ad un pezzo di ferro, la
riproduzione dei magneti allo spezzarli successivamente (se si dispone di una barra
magnetica e la si spezza, i due pezzi diventano due magneti indipendenti; continuando a
spezzare i magneti si ottengono sempre dei magneti "autonomi", fatto che mostra che i due
poli magnetici risultano inseparabili), come realizzare un buon magnete.
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Frontespizio del De Magnete di Pierre de Maricourt, passato a stampa
Una importante scoperta di Pierre de Maricourt è la seguente. Si lavori un pezzo di
magnetite (il minerale di ferro che ha le proprietà magnetiche naturali) in modo da dargli la
forma di un globo. Si disponga poi un ago magnetico su questo globo e si marchi con una
linea la sua posizione. Si prosegua sistemando l'ago in posizioni diverse sull'intero globo. Si
scopre che le linee segnate sulla magnetite sono dei cerchi che circondano il minerale allo
stesso modo dei meridiani sul globo terrestre, cerchi che hanno due punti da parti opposte in
cui tutti i cerchi si incontrano allo stesso modo che i punti di incontro dei meridiani sulla
Terra indicano il polo Nord ed il Polo Sud della Terra medesima. Colpito da tale analogia,
Pierre de Maricourt propose di chiamare i due punti sulla magnetite, individuati come
riassunto, poli del magnete. Tali poli godevano di particolari proprietà poiché l'interazione di
due magneti dipende solo dalla posizione dei rispettivi poli come se in essi risiedesse l'intera
potenza dei magneti. La scoperta dei poli è alla base degli sviluppi successivi di diverse
teorie: essi per moltissimi anni hanno giocato un grande ruolo nella filosofia della natura.
Risalgono a questa epoca le prime teorie sul funzionamento della bussola. Una delle
più diffuse partiva dalla constatazione sperimentale che un ago magnetico deviava verso una
vicina massa ferrosa e giungeva a spiegare il funzionamento della bussola come dovuto alla
presenza di grandi masse di rocce ferrose (si parlava di «montagne di ferro») nella zona del
polo nord geografico: una supposizione che ben s’accordava con la nota esistenza di ricche
miniere di ferro nella penisola scandinava, all’estremo nord dell’Europa. Fu Ruggero Bacone
che confutò una parte di tale teoria: dall'osservazione che l'ago magnetico punta a Nord ma
anche verso il basso, la supposta grande massa ferrosa che «attirava» l’ago si sarebbe trovata
in una imprecisabile regione delle profondità terrestri, sia pure verso il nord, e non in
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montagne scandinave. Ma vi erano altri teorie che volevano l'intera Terra come se fosse, essa
stessa, un gigantesco magnete. Non mi occuperò della cosa, osservando solo che la
circostanza di una Terra "magnetica" fu falsificata da Pierre Curie che mostrò che tutti i
magneti perdono le loro proprietà magnetiche al di sopra di una temperatura di circa 760 °C
(temperatura di Curie) che è abbondantemente superata immediatamente sotto la crosta
terrestre.(7)
IL PRIMO TRATTATO ITALIANO DI MAGNETISMO
Durante il periodo rinascimentale, la magia la faceva da padrona, ed un praticante ed
appassionato di ogni fenomeno arcano era il napoletano Giovan Battista DellaPorta. Il
magnetismo si prestava in modo eccellente ad
G.B. Della Porta
interpretazioni magiche. E Della Porta andò proprio sulla strada dell'immaginazione, della
fantasia, della demonologia, della chiromanzia, dell'astrologia, della magia per discutere di
quei fatti straordinari. Al di là dei singoli temi di cui si è detto, è importante ricordare
che nelle sue opere Della Porta esalta la magia naturale, considerandola una scienza
suprema, il complemento e la parte pratica della filosofia della natura. Il suo compito
consiste infatti nel far conoscere le forze occulte del mondo naturale, e nell'insegnare,
per mezzo della loro applicazione, a compiere quelle opere che i profani ritengono
prodigiose, ma che invece sono soltanto il mezzo attraverso cui l'uomo aiuta il
compimento dei processi della natura. Secondo Della Porta, non bisogna confondere la
magia naturale con quella "diabolica", basata su incantesimi ed evocatrice di fantasmi
e demoni. Per ciò che ci interessa egli scrisse un libro (al quale collaborò Paolo Sarpi) in
quattro tomi e venti libri, Magia naturalis sive de miraculis rerum naturalium (1558). Il
settimo libro di quest'opera è il primo trattato italiano di magnetismo o scienza magnetica,
che è una mera compilazione di fatti noti con delle integrazioni originali e d'interesse. Tra di
esse va ricordata la descrizione che Della Porta diede delle "barbe" che la limatura di ferro
costruisce sui poli dei magneti e dei primi spettri magnetici che si originano quando si
dispone della limatura di ferro su di un foglio di carta disposto immediatamente al di sopra di
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un magnete. Di interesse è anche la scoperta della smagnetizzazione che una lastra di ferro
subisce se scaldata (la cosa fu studiata e compresa da Pierre Curie sul finire dell'Ottocento,
come ho già accennato) e quella di una lastra di ferro che agisce come uno schermo
magnetico.
Per completezza occorre dire che l'ultimo capitolo della Magia, il 59°, è pieno delle
maggiori sciocchezze tramandate nei secoli sui poteri magici della calamita.
LA PRIMA OPERA ORGANICA SUL MAGNETISMO: WILLIAM GILBERT
Nell'anno 1600 vide la luce a Londra l'opera De magnete magneticisque corporibus et
de magno magnete Tellure Physiologia Nova del filosofo naturale inglese William Gilbert
(1544-1603), contemporaneo di Giordano Bruno e di circa vent'anni più vecchio di Galileo
(1564-1642) e di Francis Bacon (1561-1626). Gilbert era un copernicano a metà, ammetteva
cioè la rotazione della Terra su se stessa ma, per il resto, non si esprimeva. E' uno di quei
rappresentanti dell'epoca di transizione, uno di quelli che si fa interprete del mondo della
manifattura, delle tecniche che si fanno scienza e che ne racconta in modo non strettamente
tecnico e per addetti ai lavori (come nei manuali che si erano succeduti dal Quattrocento), ad
un pubblico più vasto. Vi è dietro la conoscenza di tutti i marchingegni che si venivano
perfezionando per l'arte della navigazione ma anche le problematiche che nascevano
dall'industria dell'estrazione mineraria dei metalli e della loro lavorazione in fonderie. E in
Bacon sembra si possa intravedere una certa influenza di Gilbert (culto dell'esperienza
pratica, entusiasmo per la ricerca, stile energico e franco, nemico della cultura accademica
ufficiale, scarso interesse per la matematica) anche perché vi fu una comune frequentazione
(Bruno, Bacon, Gilbert) della corte di Elisabetta a vario titolo (ma Bacon non apprezzava le
intemperanze di Gilbert).
La sua disposizione d'animo emerge nella prefazione del De magnete:
«Perché mai io dovrei sottomettere questa nobile filosofia, che per le cose mai
dette prima è nuova e quasi inammissibile, al giudizio di uomini che giurano
sulle altrui opinioni, agli insulsi corruttori delle arti, ai letterati buffoni, a
grammatici, sofisti e declamatori, e alla caparbia plebe, affinché essi la
condannino e la colpiscano dei loro vituperi? A voi soli, veri filosofi, uomini
sinceri, che cercate il sapere non nei libri soltanto, ma nelle cose stesse, io
dedico questi fondamenti della scienza del magnetismo, trattati secondo un
nuovo modo di filosofare ».
E qui si sentono addirittura gli influssi di Bruno nell'attacco alla cultura libresca,
ampollosa e vuota degli ambienti accademici, cristianamente formati e aristotelicamente
conservati, ambienti presenti, a quanto pare, in tutta l'Europa colta. Ma l'influenza del
filosofo nolano è ancora più profonda se si legge l'intero corpo delle opere di Gilbert. Valga
un solo esempio, riguardante il valore relativo da assegnare alla gravità.
Bruno, nella Cena delle Ceneri (Londra 1584 ) aveva sostenuto:
«Sappi che né la terra, né altro corpo è assolutamente grave o lieve... Queste
differenze... convengono a le parti che son divise dal tutto e ... si forzano verso il
loco della conservazione come il ferro verso la calamità, il quale va a ritrovarla
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non determinatamente al basso, o sopra, o a destra, ma ovunque sia ... Perciò è
cosa assurda il chiamar corpo alcuno naturalmente grave, o lieve».
Gilbert scrive nella sua De mundo nostro sublunari Philosophia Nova (pubblicata
postuma nel 1651) quanto segue:
«Non è il luogo che agisce o opera nella natura delle cose, giacché esso — in sé
— non è né un essere, né una causa efficiente. Sono piuttosto i corpi che, in virtù
delle forze ad essi insite, determinano la loro posizione reciproca. Il luogo in sé
non è niente: non esiste, e non esercita forza alcuna; ogni forza di natura è,
invece, contenuta e radicata negli stessi corpi».
William Gilbert
E fu proprio la capacità di assumere posizioni tanto coraggiose, che possono nascere
nel clima più tollerante dell'Inghilterra elisabettiana rispetto alle corti papali, a permettere a
Gilbert di comprendere in una sola chiave interpretativa i minuscoli effetti attrattivi
dell'ambra strofinata, quelli di un magnete e quelli giganteschi della gravitazione. Oggi si
direbbe che la sua è una teoria unificata dei fenomeni elettrici, magnetici e gravitazionali in
campi di forza veicolati da un materiale fluido sottile disposto intorno ai corpi in tanti strati
concentrici a densità decrescente.
Per poter sostenere queste cose, Gilbert si servì di una gran mole di esperienze (circa
600), guidandosi con le analogie (per ciò che riguarda tutti i fenomeni d'attrazione) che in
epoca rinascimentale ebbero grande fortuna(8). L'idea guida era quella che la Terra, nel suo
insieme, si comporta come un gigantesco magnete e, per poter sperimentare, si fabbrica un
magnete a forma di globo, che egli chiama terrella, come aveva fatto de Maricourt. Agendo
con un ago magnetico sulla terrella, si accorge che le proprietà magnetiche di tale oggetto
sono le stesse della gran calamita, la Terra. Al di là della eccellente scoperta e dell'ardire di
proporla, come osservano Gliozzi e Forti, vi è una sorta di grande balzo in avanti nel modo di
conoscere nelle operazioni di Gilbert. Si spezza il mito della separazione aristotelica dei
mondi (mondo sublunare e cieli) mostrando che si possono sperimentare sulla Terra
fenomeni cosmici e, fatto rivoluzionario, che le leggi trovate qui valgono lì, anche se lì, la
gran parte degli eruditi lo affidava alla sola rivelazione. Le cose sono ancora empiriche e
l'osservazione è ingenua. Le esperienze sono qualitative non vi compare mai né la misura, né
la matematica, né qualcosa della scienza che avanzava con impeto, la meccanica.
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Per il resto Gilbert riscrive in forma più accurata i fenomeni magnetici noti come
quello del magnete spezzato e ne trova di nuovi: martellando un filo di ferro
Esperienza del magnete spezzato. Illustrazione dal De magnete.
e disponendolo lungo un meridiano magnetico, esso acquista polarità magnetiche; si possono
migliorare le "potenze" delle calamite con opportuna lavorazione dei poli (la cosa sarà portata
al suo massimo dall'introduzione dell'àncora fatta da Galileo). E fin qui per ciò che riguarda
il magnetismo, e non è poco ... salvo la conclusione profondamente deludente. Quando si
tratta di dare una spiegazione
Una figura che correda il De magnete.
del fenomeno, dopo discussioni incomprensibili, Gilbert ritorna alle posizioni di Talete: i
magneti hanno un'anima! e quest'anima ha addirittura proprietà superiori all'anima umana
poiché non ha la ventura di essere fuorviata dai sensi agendo costantemente allo stesso modo.
Una figura che correda il De magnete.
Come accennato, nel De Magnete viene anche ripresa l'indagine sulle proprietà
dell'ambra che avevamo lasciato 2200 anni prima. E fu proprio Gilbert a parlare per primo di
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forza elettrica (vis electrica) in relazione ai fenomeni in oggetto (furono poi Thomas Browne
nel suo Pseudoxia epidemica del 1646 e quindi Boyle a introdurre il sostantivo electricitas
nel 1694). Per sperimentare con deboli fenomeni, appunto, elettrici egli si servì di una specie
di elettroscopio (chiamato versorium non magneticum) costituito da un sottilissimo e
leggerissimo
Girolamo Fracastoro
ago girevole sopra un sostegno a punta, descritto da Fracastoro (1483-1553) nella sua opera
De sympathia et antipathia rerum del 1550:
“Affinché tu possa chiaramente esperimentare come avvenga tale attrazione e
quali siano le sostanze che attraggono in tal modo altri corpi, costruisciti un
aghetto di metallo qualsiasi, abbastanza leggero, della lunghezza di tre o quattro
dita, imperniato come un ago magnetico, sulla punta [di un sostegno]. Il
versorio girerà immediatamente su sé stesso, se ad una sua estremità avvicinerai
l’ambra, o una pietruzza, leggermente strofinata”.
Una bacchetta avvicinata ad un versorio per cercarne effetti elettrici. Se la bacchetta è
elettrizzata l'ago ruoterà.
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Come fa notare lo stesso Gilbert, con questo strumento è possibile mettere in evidenza
l’attrazione anche per quei corpi, nei quali la virtù elettrica è cosi debole da non essere in
grado di sollevare anche leggerissime pagliuzze. Scoprì così che non solo l'ambra gode di
proprietà elettriche a seguito di strofinio (triboelettricità) ma anche molte altre sostanze
(pietre preziose, salgemma, allume di rocca, vetro, zolfo. varie resine). Non conoscendo
ancora nulla delle proprietà di conduzione ed isolamento, gli sembrarono del tutto indifferenti
ai fenomeni elettrici sia i metalli che i legni ed alcune pietre. Altre cose di rilievo da
assegnare ai lavori di Gilbert sono: l'affermazione che i magneti si respingono quando si
avvicinano poli identici e si attraggono avvicinando poli opposti e la scoperta che una sbarra
di ferro dolce si magnetizza se si dispone nelle vicinanze di un magnete.
Una figura che correda il De magnete.
Una osservazione di interesse viene fatta da Gilbert: i corpi umidi non si elettrizzano
mentre un magnete umido continua ad esercitare i suoi poteri.
Anche la Terra è per Gilbert un oggetto elettrizzabile e, di conseguenza manifesta
attrazione rispetto agli altri oggetti. Ma la Terra è anche un magnete e perciò mantiene il suo
asse con orientazione costante rispetto alla sfera celeste. La rotazione della Terra intorno al
suo asse è poi dovuta ad una azione congiunta di raggi solari e magnetismo. La stessa
compattezza della Terra è dovuta al suo magnetismo anche se, in modo che a questo punto
stupisce, l'origine della cosa è elettrica. Insomma, in modo certamente confuso, Gilbert tenta
di mettere insieme in modo unitario elettricità e magnetismo che in qualche modo sono
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responsabili della gravitazione e del moto della Terra sul suo asse.
E' d'interesse accennare anche alla teoria di elettricità e magnetismo che Gilbert
sviluppa. Tutti i corpi deriverebbero da due elementi primi, l'acqua e la terra. Gli elementi
derivanti dall'acqua hanno proprietà attrattive che discendono da effluvii che come delle
braccia distese si protendono dall'acqua ed afferrano il corpo e lo attirano, finché la potenza
dell'azione non si illanguidisce fino a sparire. La cosa è specificata meglio nel seguito.
Quando l'ambra attrae delle pagliuzze l'azione è univoca, è solo l'ambra che agisce. Nel caso
di un magnete ed un pezzo di ferro si ha invece un avvicinarsi reciproco dei due oggetti (una
coitio, come la chima Gilbert) ed il magnete sembra creare delle modificazioni nel ferro nelle
sue parti più interne di modo che anche il ferro acquista la forza per avvicinarsi al magnete.
La spiegazione, la teoria che Gilbert ne ricava è analoga a quella di molti filosofi
naturali del Rinascimento. Vi è uno slancio innovatore di grandissimo spessore ma, nel
contempo, vi è una sorta di palude in cui si è impantanati. La mancanza di strumenti
accessori ai meri fatti in studio, chiude il tutto in spirali che non escono da spiegazioni che
non spiegano. Come ricorda Dijksterhuis, la spiegazione di Gilbert:
Non si deve minimamente pensare [analoga] alla causa formalis della filosofia
aristotelica o a concetti come quelli di simpatia, influenza celeste, o qualità
occulta. Quando il ferro e la calamita aspirano a unirsi, questa non è
un'inclinazione violenta di un corpo verso un altro, né una confluenza
accidentale e furiosa, né il risultato di una coercizione, di una lotta, o di una
discordia, ma una manifestazione dell'armonia senza la quale il mondo
andrebbe in disfacimento, un risultato dell'essenziale identità delle parti col tutto.
Quest'accumulazione di descrizioni inefficaci è tipica della situazione
imbarazzante a cui si riduceva un fisico del Cinquecento o del Seicento, se aveva
già abbandonato i princìpi esplicativi della scienza aristotelica, ma sentiva
ancora quel desiderio di una spiegazione che era stato soddisfatto da tali
princìpi nel Medioevo. Una diffusa concezione scolastica dell'attrazione
magnetica era stata quella secondo cui la calamita, in virtù di una species
magnetica che si diffonde sfericamente, risveglia nel ferro una qualità in virtù
della quale quest'ultimo tende a unirsi alla calamita, e questa tendenza produce
per accidens un moto locale. In un tempo in cui non si sentisse più parlare di
Aristotele, una spiegazione del genere sarebbe stata considerata come un puro
giuoco verbale (come effettivamente è); ma la spiegazione che la sostituiva non
era molto migliore, né avrebbe potuto esserlo, giacché mirava allo stesso
obiettivo irraggiungibile, ossia la conoscenza della natura nascosta delle cose.
Si può facilmente osservare che siamo in completo alto mare: i ragionamenti di tipo
aristotelico, infarciti di misticismo, di animismo e di magia sono padroni del campo. Senza
una separazione tra queste interpretazione ed i fatti sperimentali sostenuti da misure, non sarà
possibile fare passi in avanti, anche se l'ambiente va rapidamente maturando. Non bastava la
negazione delle spiegazione attraverso l'autorità dei classici, nella fattispecie Aristotele.
Occorreva un cambiamento radicale che doveva prevedere, tra l'altro, l'intersezione di
Platone con Aristotele, dei metodi matematici applicati ai fenomeni naturali. Il mero
empirismo con spiegazioni nominaliste era arrivato al suo limite, non si poteva andare oltre,
ogni ulteriore operazione con i medesimi strumenti non avrebbe fatto che ripetere
stancamente l'osservazione di quanto ormai era ben noto.
GALILEO GALILEI
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Galileo ammira Gilbert per la rottura con gli schemi aristotelici dell'introduzione al
De Magnete, ed i suoi interessi per i problemi connessi al magnetismo sono concomitanti alla
pubblicazione, nel 1600, del De Magnete di William Gilbert che esercitò subito una grande
influenza. Ma il metodo di Gilbert, il suo rifiuto della matematica non lo convincono ed ha
così modo di dire(9):
"quello che avrei desiderato nel Gilberti, è che fosse stato un poco maggior
matematico".
In un'epoca di dotte ed inconcludenti disquisizioni si richiede qualcosa di più preciso
di una teoria alla Gilbert. Quest'ultimo certamente ha dei fatti (o, meglio, della analogie) da
portare a testimonio, ma nessuna teoria matematica, nessun dato quantitativo (oltre ad una
mole smisurata di fatti straordinari, magici e fantastici non riferibili a nessun dato
dell'esperienza comune). E qui,credo, esca bene il criterio di scientificità per una teoria fisica
che Galileo fornisce: l'osservazione di fatti senza un apparato formale, quantitativo, che li
sostenga non può di per sé costituire una teoria fisica. Keplero, nell'Astronomia nova, fondò
sul magnetismo la spiegazione fisica dei moti planetari. Per Keplero il Sole era un corpo
magnetico e il moto dei pianeti derivava dall'azione del vortice magnetico prodotto dal moto
di rotazione del Sole. E perché, allora, Kepler aderisce alla teoria di Gilbert? Ecco, appunto,
qui può trovarsi una prima parziale risposta al perché Galileo si rifiutò di prendere in
considerazione alcuni risultati di Kepler (ad esempio le orbite ellittiche, ma, più in
particolare, la spiegazione delle maree attraverso l'azione della Luna, una prima 'azione a
distanza' che assumeva agli occhi di Galileo un carattere metafisico riferibile a qualità
occulte). Tutta l'elaborazione kepleriana è imbevuta di un tal misticismo che sembra
impossibile riuscirne a distinguere il contributo positivo al pensiero scientifico. La metafisica
dei solidi regolari incastonati l'uno dentro l'altro, la melodia che i pianeti van suonando (la
Terra, ad esempio, suona le note mi, fa, mi, cosicché, osserva Kepler, non possiamo stupirci
se su questo pianeta regnino la MIseria, la FAme e la MIseria),... tutt'altra cosa rispetto alla
razionale, metodica ed a volte dubbiosa discussione delle cose della natura che si può leggere
in Galileo. E neanche a dire che l'adesione di Kepler alla teoria di Gilbert avesse un qualche
fine all'interno del suo lavoro : essa risultava un mero accessorio.
Galileo Galilei
Tuttavia, Galileo compì esperienze sugli aghi calamitati, sulla declinazione magnetica
e sull'armatura delle calamite, sia durante il periodo padovano (insieme a Paolo Sarpi e a
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FISICA/MENTE
Giovanfrancesco Sagredo), sia dopo il ritorno in Toscana. Testimoniano l'interesse di Galileo
per i fenomeni magnetici, le pagine che egli vi dedica nella giornata III del Dialogo sopra i
due massimi sistemi del mondo. Alla gran ripugnanza che afferma Simplicio avere
nell'ammettere i vari moti della Terra, il Salviati-Galileo argomenta diffusamente,
affermando tra l'altro:
SALV. [...] ma che dirà il Sig. Simplicio se [...] aggiungeremo una mirabile virtù
intrinseca del globo terrestre, di riguardar con sue determinate parti verso
determinate parti del firmamento ? parlo della virtù magnetica participata
costantissimamente da qualsivoglia pezzo di calamita. E se ogni minima
particella di tal pietra ha in sé tal virtù, chi vorrà dubitare, la medesima più
altamente risedere in tutto questo globo terreno, abbondante di tal materia, e
che forse egli stesso, quanto alla sua interna e primaria sustanza, altro non è che
un' immensa mole di calamità ?
SIMP. Adunque voi sete di quelli che aderiscono alla magnetica filosofia di
Guglielmo Gilberto ?
SALV. Sono per certo, e credo d'aver per compagni tutti quelli che attentamente
avranno letto il suo libro e riscontrate le sue esperienze; né sarei fuor di
speranza che quello che è intervenuto a me in questo caso, potesse accadere a
voi ancora, tuttavolta che una curiosità simile alla mia ed un conoscere che
infinite cose restano in natura incognite a gl' intelletti umani, con liberarvi dalla
schiavitudine di questo o di quel particolare scrittore delle cose naturali,
allentasse il freno al vostro discorso e rammorbidisse la contumacia e renitenza
del vostro senso, si che ei non negasse tal ora di dare orecchio a voci non più
sentite. Ma (siami permesso d' usar questo termine) la pusillanimità de gl'
ingegni comuni è giunta a segno, che non solamente alla cieca fanno dono, anzi
tributo, del proprio assenso a tutto quello che trovano scritto da quelli autori che
nella prima infanzia de' loro studii gli furono accreditati da i lor precettori, ma
recusano di ascoltare, non che di esaminare, qual si sia nuova proposizione o
problema, benché non solamente non sia stato confutato, ma né pure esaminato
né considerato, da i loro autori: de' quali uno è questo, di investigare qual sia la
vera, propria, primaria, interna e general materia e sustanza di questo nostro
globo terrestre; che, benché né ad Aristotile né ad altri, prima che al Gilberto,
sia caduto in mente di pensare se possa esser calamita, non che né Aristotile né
altri abbiano confutata una tale opinione, tuttavia mi son io incontrato in molti
che al primo motto di questo, quasi cavallo che adombri, si sono ritirati in dietro
e sfuggito di trattarne, spacciando un tal concetto per una vana chimera, anzi
per una solenne pazzia: e forse il libro del Gilberto non mi sarebbe venuto nelle
mani, se un filosofo peripatetico di gran nome, credo per assicurar la sua
libreria dal contagio, non me n' avesse fatto dono.
Ritroviamo qui, più argomentata, l'invettiva contro il conformismo, la piattezza, l'inerzia, la
consuetudine e la piaggeria degli intelletti che usano adeguarsi a qualcuno che ha sostenuto
tale cosa, invettiva che era stata di Gilbert nella prefazione al De magnete. L'ultima frase che
vuole un filosofo aristotelico "di gran nome" che si disfà del libro di Gilbert perché poteva
contaminare la biblioteca è tutto un programma. E Salviati prosegue ad illustrare la filosofia
magnetica del Gilberti, dilungandosi in una conversazione con Simplicio(10) della quale
merita distaccare un brano. Intanto Galileo mostra qui ancora una volta di non essere
disponibile a speculazioni nuove senza disporre di studi specifici. Egli dice infatti che
Delle ragioni che concludentemente provino, de facto, questo nostro globo esser
di calamita, io non ve ne ho prodotte nessuna, né questo è tempo di produrle, e
massimo che con vostra comodità le potrete vedere nel Gilberto
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ed aggiunge:
SALV. Io sommamente laudo ammiro ed invidio questo autore, per essergli
caduto in mente concetto tanto stupendo circa a cosa maneggiata da infiniti
ingegni sublimi, né da alcuno avvertita; parmi anco degno di grandissima laude
per le molte nuove e vere osservazioni fatte da lui, in vergogna di tanti autori
mendaci e vani, che scrivono non sol quel che sanno, ma tutto quello che senton
dire dal vulgo sciocco, senza cercare di assicurarsene con esperienza, forse per
non diminuire i lor libri: quello che avrei desiderato nel Gilberti, è che fusse
stato un poco maggior matematico, ed in particolare ben fondato nella
geometria, la pratica della quale 1' avrebbe reso men risoluto nell' accettare per
concludenti dimostrazioni quelle ragioni ch' ei produce per vere cause delle vere
conclusioni da sé osservate; le quali ragioni (liberamente parlando) non
annodano e stringono con quella forza che indubitabilmente debbon fare quelle
che di conclusioni naturali, necessarie ed eterne, si possono addurre: e io non
dubito che co '1 progresso del tempo si abbia a perfezionar questa nuova
scienza, con altre nuove osservazioni, e più con vere e necessarie dimostrazioni.
Né per ciò deve diminuirsi la gloria del primo osservatore.
Galileo continua ad illustrare altre proprietà magnetiche e fenomeni sostenendo, tra l'altro,
che:
SALV. Nell'investigar le ragioni delle conclusioni a noi ignote, bisogna aver
ventura d'indirizzar da principio il discorso verso la strada del vero; per la
quale quando altri si incammina, agevolmente accade che s'incontrino altre ed
altre proposizioni conosciute per vere, o per discorsi o per esperienze, dalla
certezza delle quali la verità della nostra acquisti forza ed evidenza, come
appunto è accaduto a me del presente problema
Alle argomentazioni di Galileo, Simplicio risponde:
SIMP. Parmi veramente che il Sig. Salviati con bel circuito di parole abbia sì
chiaramente spiegata la causa di quest' effetto, che qualsivoglia mediocre
ingegno, ancorché non scienziato, ne potrebbe restar capace: ma noi,
contenendoci dentro a' termini dell' arte, riduchiamo la causa di questi e simili
altri effetti naturali alla simpatia, che è certa convenienza e scambievole
appetito che nasce tra le cose che sono tra di loro simiglianti di qualità; sì come,
all'incontro, quell'odio e inimicizia per la quale altre cose naturalmente si
fuggono e si hanno in orrore, noi addimandiamo antipatia.
E qui interviene Sagredo con pesante ironia, dopo aver ascoltato parole come simpatia ed
antipatia che sono bandite dal vocabolario scientifico di Salviati-Galileo:
SAGR. E così con questi due nomi si vengono a render ragioni di un numero
grande di accidenti ed effetti, che noi veggiamo, non senza maraviglia, prodursi
in natura. Ma questo modo di filosofare mi par
che abbia gran simpatia con certa maniera di dipignere che aveva un amico mio,
il quale sopra la tela scriveva con gesso : «Qui vo-glio che sia il fonte, con
Diana e sue ninfe; qua, alcuni levrieri: in questo canto voglio che sia un
cacciatore, con testa di cervio; il resto, campagna, bosco e collinette»; il
rimanente poi lasciava con colori figurare al pittore: e così si persuadeva d'
avere egli stesso dipinto so il caso d'Atteone, non ci avendo messo di suo altro
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FISICA/MENTE
che i nomi.
A parte altre piccole cose, che non investiga, e ad altre di chiaro sapore tecnico (quanto
riesce a sollevare un magnete e come realizzare un magnete che abbia maggiore potenza),
Galileo termina qui. Ma il fatto che egli avesse una grande fama rese le questioni poste da
Gilbert al centro delle future ricerche con il suo metodo di sensate esperienze e dimostrazioni
supportate da matematica e geometria.
RENÉ DESCARTES
Sarà Descartes che, in nome del razionalismo, riporterà le cose in un ambito puramente
descrittivo, addirittura rifacendosi ai 4 elementi di Aristotele.
René Descartes
Ma prima è utile ripassare brevissimamente la concezione del mondo di Descartes.
La concezione cartesiana del mondo cerca di dare una ragione più compiuta al
sistema copernicano per inserirlo in una visione più generale di cui esso stesso risultasse
conseguenza. Egli cominciò con il considerare un solo corpuscolo infinitesimo nel vuoto e
quindi come il moto di questo primitivo corpuscolo fosse modificato da un secondo
corpuscolo (nel far questo Descartes introduce la conservazione della quantità di moto, in
forma non del tutto corretta poiché al pensatore francese mancava il concetto di massa, ed il
principio d'inerzia, ricavato però da ragioni metafisiche; "Dio è immutabile e, agendo sempre
allo stesso modo, produce sempre lo stesso effetto"). In modo induttivo Descartes aggiunse
via via altri corpuscoli che si urtavano indefinitamente tra loro. Egli riteneva che le variazioni
sensibili del nostro universo fossero originate proprio da questi urti innumerevoli; sono
proprio gli scambi di quantità di moto che rendono conto delle diverse azioni meccaniche tra
i corpi. Conseguenza di ciò è 1'impossibilità di azione a distanza: ogni azione di un corpo su
di un altro avviene per contatto. Nel nostro universo è quindi impossibile l'esistenza di vuoto
(e quindi di atomi). Nell'universo cartesiano c'è il tutto pieno eternamente in moto: un primo
corpuscolo ne spinge un secondo che, a sua volta, ne spinge un terzo e cosi via finché l'ultimo
corpuscolo spinto va a spingere il primo che avevamo preso in considerazione. Ne consegue
una struttura a vortici che è alla base dell'intero universo. Ed anche laddove non vi è materia
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sensibile vi è 1'etere, elemento sottile che riempie di sé tutto lo spazio risultando intimamente
mescolato con tutte le sostanze. È proprio un gigantesco vertice di etere quello che pone in
circolazione i pianeti intorno al Sole.
I vortici di Descartes. Quello che al centro ha una S è il sistema solare. La linea che s'intrufola tra i
vortici è la traiettoria di una cometa (da: Il mondo. L'uomo)
I motivi che portarono Descartes a teorizzare un tutto pieno erano molteplici, di natura
filosofica e tali da coinvolgere la sua concezione di materia e spazio. Il vuoto è inammissibile
principalmente perché sarebbe una contraddizione completa, un nulla esistente. Lo spazio per
conseguenza non può essere un'entità distinta dalla materia che lo riempie. Spazio e materia
non sono altro che la medesima cosa.
E veniamo alla concezione magnetica di Descartes. Riporto alcuni passi di Descartes
dai suoi Principia Philosophiae del 1644 (Amsterdam). Al paragrafo 133 della parte IV,
Descartes inizia con il definire un magnete e la cosa è d'interesse perché la fantasia davvero
va per conto suo, costruendo mondi fantastici ritornando, come già accennato, alla teoria
aristotelica dei quattro elementi, ormai completamente superata da tutti coloro che si
definivano copernicani, come lo stesso Descartes)(11):
133- Spiegazione della natura del magnete
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Fin qui ho cercato di spiegare la natura e tutte le principali (proprietà) dell'aria,
dell'acqua, delle terre, e del fuoco, (poiché sono i corpi che si trovano più
generalmente ovunque) in questa regione (sublunare) che abitiamo, e che sono
chiamati i suoi quattro elementi; ma c'è ancora un altro corpo, ossia il magnete,
(che si può dire abbia un'estensione maggiore di uno qualsiasi di quei quattro,
poiché anche tutta la massa della Terra è un magnete, e non potremmo andare
in) nessun luogo dove non se ne noti la virtù. Per questo, desiderando non
dimenticare nulla di ciò che c'è di più generale in questa Terra, c'è bisogno ora
che io lo spieghi.
Nella Terra, a conseguenza dei vortici con differenti velocità, vi sarebbero dei canali striati
(le parti scanalate del primo elemento) in forma elicoidale (a chiocciola). Debbo osservare
che questa è la semplificazione di un lunghissimo discorso in gran parte incomprensibile. Ma
segue Descartes:
pensiamo che ci siano nella regione media [della Terra] diversi pori (o piccoli
condotti) paralleli al suo asse, attraverso i quali le parti scanalate passino
liberamente da un polo verso l'altro; e che quei condotti siano in tal modo
incavati e adattati alla figura di quelle parti scanalate, che quelli che ricevono le
parti provenienti dal polo australe, non potrebbero ricevere quelle provenienti
dal polo boreale, e che, reciprocamente, i condotti che ricevono le parti
provenienti dal polo settentrionale, non siano adatti a ricevere quelle
provenienti dal polo australe, poiché sono girate a vite le une all'inverso delle
altre. (Pensiamo anche che) quelle parti scanalate possano bene entrare per un
lato nei pori (adatti a riceverle), ma che non possano ritornare dall'altro lato
(degli stessi pori), poiché vi sono (dei piccoli peli o) dei rametti sottilissimi, che
nelle pieghe di quei condotti sporgono in maniera tale, da non impedire per
nulla il corso delle parti scanalate, quando vi vengono dal lato per cui sono
solite entrare, ma che si voltano dall'altra parte e raddrizzano (un po' le loro
estremità, quando quelle parti scanalate si presentano per entrarvi dall'altro
lato, e) così ostruiscono loro (il passaggio...). Per questo, dopo che hanno
attraversato tutta la Terra da una (metà) all'altra, seguendo linee parallele al
suo asse, ce ne sono molte che ritornano, attraverso (l'aria) circostante, verso la
stessa (metà) di dove erano entrate, e passando così (reciprocamente dalla terra
nell'aria, e dall'aria nella terra), ci compongono una specie di vortice ....
Non proseguo anche se Descartes riempie di questa prosa un centinaio di pagine. Quanto
riportato mi serviva per dare un'idea della concezione magnetica del nostro. Egli pensa i
magneti come solcati da scanalature attraverso le quali passa un flusso di particelle
sottilissime che si avvitano in esse (le particelle, in origine, sarebbero state scagliate dal Sole
lungo il piano equatoriale dove la forza centrifuga è più intensa). Le particelle, fuoriuscite dal
magnete ed entrate nell'aria, ritornano al magnete proprio a causa del loro moto a vortice.
Quando queste particelle che fuoriescono dal magnete a forma di cavatappi incontrano un
pezzo di ferro penetrano nei suoi pori come appunto dei cavatappi che lo attirano al magnete.
Ma, se avete avuto la forza di leggere il brano riportato, vi sarete accorti che le scanalature
nei canali possono essere sinistrorse o destrorse. Questa eventualità serve a dar conto di
attrazione o repulsioni tra magneti (per medesimi
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La Terra-magnete come teorizzata da Descartes. I poli sono situati in corrispondenza
delle lettere A (polo australe) e B (polo boreale).
avvitamenti si ha attrazione, altrimenti repulsione). Con questo apparato, lo stesso Descartes
ci fornisce il disegno del magnete-Terra che viene descritta nel paragrafo 146 (le piccole
sfere I, K, L, M, disegnate intorno alla Terra, stanno per spiegare la diversa inclinazione che
subiscono gli aghi magnetici sotto l'azione del magnete Terra, un qualcosa di analogo alle
figure che ci aveva fornito Gilbert).
A Descartes si ispirò Padre Grimaldi (1618-1663) che nel suo De lumine (1665) dedicò
una trentina di pagine al fenomeno magnetico. La novità rispetto a
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Padre Grimaldi
Descartes è l'ammissione di un fluido magnetico unico, in luogo dei due individuati dalla
diversa rotazione dei "cavatappi", e l'assenza di ipotesi sulle presunte particelle che
costituirebbero il fluido.
Newton, per parte sua, dedicherà poco spazio al magnetismo e lo farà nella Query n° 22
della sua Optics del 1704. La cosa è insignificante e gli serve per illustrare l'estrema
rarefazione del presunto etere. Poche parole ma significative le troviamo invece nei Principia
(1687) dove Newton afferma (Libro III, Proposizione VI, Teorema VI, Corollario 5, pag
629):
La forza di gravità è di genere diverso dalla forza magnetica. Infatti l'attrazione
magnetica non sta come la quantità di materia attratta. Alcuni corpi sono attratti
di più, altri di meno, moltissimi non sono attratti. E la forza magnetica di un
medesimo corpo può essere aumentata e diminuita, e talvolta, in relazione alla
quantità di materia, è molto più grande della forza di gravità, e nell'allontanarsi
dalla calamita decresce non nella proporzione del quadrato dalla distanza, ma
quasi nella proporzione del cubo, come potei accorgermi da certe grossolane
osservazioni.
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Newton in un ritratto del 1702
Altri contributi vennero da alcuni gesuiti come Nicolò Cabeo (1586-1650),
Frontespizio della Philosophia Magnetica (1629) di N. Cabeo
Athanasious Kircher (1602-1680; un personaggio davvero invasato e dedito allo studio di
ogni magia) un personaggio e Vincentius Léotaud. Questi personaggi,
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Athanasious Kircher
mentre sembravano muoversi sulle orme di Gilbert, si preoccupavano di riportare ogni cosa
alla spiegazione aristotelica contestando sul presunto piano delle esperienze lo stesso Gilbert
(il Collegio Romano a Roma, quello che contribuì grandemente alla condanna di Galileo, era
maestro di tali comportamenti dei gesuiti).
Cabeo, nella sua Philosophia Magnetica (1629), tenta di smontare l'edea di fondo di
Gilbert,quella che vuole essere la Terra un gigantesco magnete partendo dalla negazione di
una qualche identità tra terrella e Terra. Secondo Cabeo anche i ferri (come i cardini delle
porte) disposti verticalmente rispetto al meridiano terrestre si magnetizzano con il sud verso
l'alto ed il nord verso il basso. Nel tentativo di screditare Cabeo trova una cosa d'interesse che
però non può ancora capire: non è vero che l'ambra attiri soltanto dei minuscoli corpiccioli
infatti, se sistemiamo un pezzo d'ambra strofinato vicino a della segatura, prima questo attira
i pezzettini di segatura ma, dopo un poco, questi ultimi schizzano via con un chiaro effetto
repulsivo dell'ambra (fenomeno che oggi sappiamo spiegare con il fenomeno
dell'elettrizzazione per contatto e che si sperimenta agilmente con una bacchetta di plastica
strofinata ed una pallina di sambuco sospesa ad un filino di nylon).
Una disposizione positiva rispetto ai lavori di Gilbert fu di Padre Benedetto Castelli
(1577-1643), l'allievo ed amico di Galileo, che scrisse un Discorso sulla calamita che
purtroppo rimase inedito fino al 1883. Egli prese le mosse dalla oggi
Benedetto Castelli
nota esperienza dello spettro magnetico che si ottiene disponendo della limatura di ferro su di
un foglio di carta sotto il quale è disposto un magnete. Castelli dispose, anziché limatura di
ferro, limatura di un magnete. Da questa esperienza egli costruì una teoria che in pratica
prevede che il magnete sia costituito da tanti magneti elementari (come diremmo oggi) che in
origine sono disordinati ed in particolari condizioni si orientano tutti in un unico verso dando
l'effetto magnetico (si confrontino queste ipotesi teoriche, che possano essere assimilate
addirittura all'ipotesi di Ampère sul magnetismo, con le contemporanee teorie di Ewing e di
Weiss).
PARTE 2: DA GRAY A FRANKLIN
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LA SCIENZA ELETTRICA NEL SETTECENTO: GRAY E DU FAY
Il Settecento è un secolo spesso definito di transizione. Secolo nel quale si deve digerire
la grandezza dell'opera di Newton, si devono fare i conti con il metodo sperimentale che
Galileo aveva inaugurato e si devono sistematizzare la gran mole di fenomeni provenienti dai
più diversi campi di ricerca che continuavano ad accumularsi.
Tutto ciò deve avvenire con strappi molto forti rispetto alle spiegazioni ingenue,
all'animismo, alla magia, ai fluidi misteriosi (che costerà molto cacciare via dalla spiegazione
scientifica se ancora nel 1905 Einstein deve vedersela con l'etere). Diceva Hooke agli inizi
del secolo che i filosofi naturali si contentano di qualcosa che possa divertirli e preferiscono
costruirsi belle concezioni e storie immaginate piuttosto che sforzarsi di cercare più oltre con
nuove esperienze e ricerche e ragionamenti precisi. E, relativamente all'elettricità e
magnetismo, mancava proprio l'accrescimento della fenomenologia che veniva anche come
conseguenza della mancanza di strumenti adeguati e ad amplificare i fenomei e a misurarli.
A fronte delle molte difficoltà vi era almeno una cosa che aiutava lo sviluppo della
scienza elettrica e magnetica. L'esplosione della meccanica, con Newton, aveva creato una
sorta di paralisi in ricerche ulteriori nella ricerche che erano state oggetto dello stesso
Newton. Sembrava fosse impossibile andare al di là di quanto egli aveva fatto. Ma in quei
campi, come l'elettricità ed il magnetismo, campi nei quali Newton non aveva lavorato,
sarebbe stato possibile iniziare ad indagare con metodo e via via applicando i metodi della
matematica che, come abbiamo visto, ancora tardavano.
Una scoperta di rilievo, che andava nel senso di quegli strumenti che esaltano i
fenomeni, fu quella dello scienziato tedesco Otto von Guericke (1602-1686) che, nel 1660,
realizzò la prima macchina elettrostatica, una macchina in grado cioè di produrre elettricità
statica (non in movimento ma localizzata nel luogo dove la si genera) in quantità importanti
(Ottone De Guericke, Experimenta nova, Mastelodami, apud J. Janssonnium, Waesbergee,
1672). Abbiamo fino ad ora visto che l'elettricità statica si produce mediante strofinio di un
panno, una pelle, un qualcosa su dei materiali in grado di partecipare al fenomeno (non tutti
infatti sono in grado di presentare il fenomeno dell'elettrizzazione per strofinio). Guericke
esaltò il fenomeno con una macchina
Otto von Guericke
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FISICA/MENTE
che produceva grandi quantità di elettricità statica. La figura seguente riporta la macchina
elettrostatica per strofinio di Guericke. Si tratta di una grande sfera di
Macchina elettrostatica a strofinio di Gueriche (la sfera di zolfo è quella a destra)
zolfo grande come la testa di un bambino (magnitudine ut caput infantis) che viene fatta
ruotare su di un asse di legno che la attraversa. Mentre la sfera ruota viene elettrizzata
mediante lo strofinio di una foglia di palma sufficientemente essiccata (palma satis sicca). Da
un certo punto, con l'accortezza di mantenere sempre l'insieme assolutamente asciutto (è una
delle difficoltà dell'elettrostatica le cui esperienze che funzionano in un luogo, non lo fanno
in un altro), si osserva il crepitio e la luminescenza che accompagnano l’elettrizzazione del
globo. Guericke chiamò il fenomeno fuoco elettrico. Altro fatto di grande interesse che
Guericke mostrò è la possibilità di tale fenomeno di essere trasportato ad una certa (breve)
distanza mediante dei fili di lino:
Questo globo di solfo, eccitato prima con la frizione, può esercitare la sua virtù
anche attraverso un filo di lino lungo un'ulna o anche più e all'estremità attrarre
ancora qualcosa.
Fatto il primo passo si iniziarono a costruire macchine elettriche sempre più sofisticate.
Il primo che seguì Guericke fu l'inglese Francis Hauksbee (1660-1713) che sostituì alla sfera
di zolfo un globo di vetro, come descritto nella sua
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La macchina elettrostatica di Hauksbee
Physico-Mechanical Experiments on Various Subjects. Containing an Account of Several
Surprising Phenomena Touching Light and Electricity del 1706 (si osservi che tale opera fu
anche tradotta in italiano a Firenze nel 1716: Esperienze fisico meccaniche sopra vari
soggetti ...). In tal modo gli effetti della macchina si
Frontespizio dell'opera di Hauksbee tradotta in italiano
resero molto più evidenti. Con questa sua macchina egli rifece esperienze già note,
riportandole all'attenzione dopo molti anni di obsolescenza ed osservò che avvicinando al
viso al globo o altro corpo da questo elettrizzato, si avverte come un soffio (vento o soffio
elettrico):
[Un tubo di vetro strofinato fortemente] applicato vicino al viso o ad alcun'altra
tenera parte, poteva essere sensibilmente sentito, come se la parte fosse
sollecitata con le punte di un considerevole numero di deboli peli (Hauksbee,
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The Philosophical Transactions of the Royal Society of London, Vol. V, pag.
329)(12).
Dovevano comunque passare altri 20 anni prima che emergessero novità di rilievo ad
opera di Stephen Gray (1666-1736) in Inghilterra e Charles François de Cisternay Du Fay
(1698-1739) in Francia che riuscirono a mettere un poco d'ordine in quella scienza emergente
facendone intravedere le prospettive per il futuro.
Il punto di partenza delle ricerche di Gray fu un episodio casuale accadutogli mentre
faceva esperimenti di trasmissione dell'elettricità statica così come aveva realizzato per
brevissime distanze Hauksbee (si osservi che questi furono i primi passi sulla strada della
realizzazione del telegrafo elettrico). Egli utilizzava una corda, lunga più di 700 piedi,
sospesa con sottili cordicelle di seta o con dei sostegni isolanti come mostrato nella figura
seguente. Durante tale operazione una cordicella si ruppe e Gray lo sostituì con un filo sottile
di ottone. La trasmissione di elettricità si interrompeva alla posizione del filo di ottone,
mostrando che l’isolamento dipendeva dal fatto che i fili erano di seta e non che erano sottili.
Scrive Gray:
Quando la linea che trasportava la virtù elettrica era sostenuta da fili metallici
l'effluvio arrivava ai fili di sospensione, passava attraverso questi fili alle travi e
così non andava oltre lungo la linea che doveva condurlo alla palla d'avorio.
Nella figura vi è l'apparato utilizzato da Gray: dal lato A vi è la macchina elettrostatica che
trasferisce i segnali elettrici lungo la corda, sospesa da cordicelle isolanti tirate su dei travi di
legno C e D, fino a B. In B vi è una sfera d'avorio sospesa a poca distanza da dei pezzettini di
paglia. La sfera attira la paglia finché tra C e D vi è una cordicella isolante. Se questa
cordicella viene sostituita con un filo d'ottone si interrompe il flusso di virtù elettrica che
arrivava alla sfera d'avorio che smette di attrarre la paglia. Da queste e varie altre esperienze
Gray
L'apparato sperimentale di Gray
capì che vi erano materiali in grado di trasportare la virtù elettrica o il fluido elettrico o
l'elettricità (tali materiali furono chiamati da J. T. Desaguliers nel 1739 non elettrici o
conduttori) ed altri che invece lo mantenevano localizzato là dove era stato originato (non
conduttori o isolanti)(13).
Nel 1732 Gray comunicò alla Royal Society che nel 1729 aveva realizzato le esperienze
suddette come aveva comunicato a due membri della stessa società(Cromwell e Mortimer,
come documentato dalla memoria di Gray "Two letters from Gray to Mortimer, containing a
farther account of his experiments concerning electricity", in Philosophical Transactions of
the Royal Society 37,
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La memoria di Gray alla Royal Society
1731 - 32) i suoi risultati e cioè che la "virtù elettrica" di un tubo di vetro strofinato da una
macchina elettrostatica, poteva essere trasmessa ad altri corpi, sia per contatto diretto, sia
collegando il corpo carico con un altro scarico mediante un filo metallico.
Altre cose fece Gray che occorre citare non tanto per il valore che hanno, quanto perché
concentrarono sull'elettricità molto interesse in tutti i salotti aristocratici del Settecento. Egli
riuscì ad elettrizzare delle persone mantenute sollevate per aria come mostrato nelle figure
che seguono.
Una ragazza, sospesa su un seggiolino, viene elettrizzata con una macchina elettrostatica
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Un giovanetto, sospeso con una corda, viene elettrizzato attraverso i piedi e, con la mano, è in grado
di attrarre piccoli pezzetti di carta
Il giovanetto di figura precedente,, sospeso con una corda, dopo essere stato elettrizzato attraverso i
piedi, disponendo nella mano di barrette di vetro, produce differenti fenomeni elettrici
Ultima importante scoperta di Gray è quella che per elettrizzare un corpo non è
necessario strofinarlo ma è possibile ottenere la cosa mediante l'avvicinamento al corpo da
elettrizzare di un corpo elettrizzato (elettrizzazione per induzione o per influsso):
Data una massa di piombo sospesa al soffitto per una cordicella, quando un tubo
di vetro strofinato veniva avvicinato dal basso alla corda ma senza toccarla, la
massa di piombo attraeva, poi respingeva della limatura di ottone. Così la virtù
elettrica può essere trasportata senza contatto dal tubo alla corda di
comunicazione.
Il francese Charles Francois de Cisternay Du Fay, venuto a conoscenza dei lavori di
Gray, si mise a studiarli a ripeterli e a realizzarne di nuovi. I risultati delle
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FISICA/MENTE
Charles Francois de Cisternay Du Fay
sue ricerche furono pubblicati nel 1733 sulle Philosophical Transactions con il titolo A
Discourse concerning Electricity e in Memoires de l’Académie Royale des Sciences, Paris
1733, pag 464. I suoi lavori spiegarono molti dei fenomeni
Il passo della memoria di Du Fay in cui si parla dell'esistenza di due tipi di elettricità
che erano stati scoperti e relativi all'elettricità e chiarirono alcuni fatti importanti:
- Tutti i corpi si possono elettrizzare scaldandoli e strofinandoli (eccetto i metalli, i liquidi ed
i corpi blandi)
- Tutti i corpi, compresi i metalli ed i liquidi, possono essere caricati per induzione
- Il vetro è un isolante buono come la seta
- I fili conducono meglio se sono umidi
- Ci sono due tipi di elettricità, la resinosa (quella che successivamente sarà indicata con il
segno -) e la vetrosa (che sarà indicata con il segno +)
- I corpi elettrizzati di elettricità vetrosa attraggono corpi elettrizzati con elettricità resinosa e
respingono gli altri corpi elettrizzati con elettricità vetrosa (e ciò dice in breve che corpi
elettrizzati dello stesso segno si respingono e corpi elettrizzati di segno opposto si
attraggono).
Seguiamo la storia della scoperta delle due elettricità. Egli aveva dedotto dalla
discussione di tutte le esperienze conosciute un'ipotesi su cui lavorare:
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Ho immaginato che il corpo elettrico attirasse forse tutti quelli che non lo sono e
respingesse tutti quelli che lo sono divenuti per la sua vicinanza e per la
trasmissione della sua virtù.
Ma allora ciò che mi disorientò in maniera straordinaria fu la seguente
esperienza: dopo aver fatto sollevare nell'aria una foglia d'oro per mezzo del
tubo (di vetro elettrizzato che la respingeva dopo averla attratta e la faceva
ondeggiare nell'aria), avvicinai un pezzo di gomma coppale strofinato e reso
elettrico; la foglia venne ad attaccarvisi immediatamente. Confesso che mi
aspettavo un risultato del tutto opposto perché, secondo il mio ragionamento, il
coppale, che era elettrico, doveva respingere la foglia che lo era essa pure. Lo
stesso risultato con l'ambra e la cera di Spagna.
Ma poi avvicinai alla foglia respinta dal tubo un globo di cristallo di rocca
strofinato e reso elettrico: esso respinse quella foglia in maniera analoga al tubo
(di vetro)... Infine non potei dubitare che il vetro e il cristallo di rocca non
fossero esattamente il contrario della gomma coppale, dell'ambra e della cera di
Spagna di modo che la foglia respinta dagli uni a causa dell'elettricità che essa
aveva, era attratta dagli altri; ciò mi fece pensare che vi erano forse due tipi
diversi di elettricità ...
A questo punto Du Fay pensa ed esegue una serie di esperienze per confermare o
falsificare la sua ipotesi.
Ecco dunque costantemente due elettricità di natura completamente diversa, cioè
quella dei corpi trasparenti e solidi come il vetro, il cristallo, ecc., e quella dei
corpi bitumosi o resinosi, come l'ambra, la gomma coppale, la cera di Spagna,
ecc. Gli uni e gli altri respin-gono i corpi che hanno acquistato un'elettricità
della stessa natura della loro e attraggono invece quelli la cui elettricità è di
natura diversa... I corpi che attualmente non sono elettrici possono acquisire (se
sono isolati) ciascuna di queste due elettricità e allora i loro effetti sono simili a
quelli dei corpi che gliel'hanno trasmessa... Ecco dunque due elettricità ben
dimostrate... Chiamerò l'una elettricità resinosa, l'altra elettricità vitrea.
Du Fay prende anche in considerazione l'esistenza di altri tipi di elettricità ma presto
respinge questa ipotesi come improbabile concludendo:
Che cosa non dobbiamo attenderci da un campo così vasto che si apre alla
fisica; e quante esperienze singolari può esso fornirci che ci riveleranno forse
nuove proprietà della materia?
(Storia dell'Accademia Reale delle Scienze, 1733).
Per realizzare le misure che gli erano necessarie, Du Fay aveva realizzato degli
strumenti come perfezionamento del versorium di Gilbert. Si trattava di di elettrometri a
palline di sambuco, a foglie d'oro pendenti e a fili
Si vedranno i due capi che pendono liberamente allontanarsi l'uno dall'altro con
maggiore forza e formare un angolo più o meno grande ... e ciò farà conoscere
in maniera certissima il grado di forza dell'elettricità.
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Elettrometro a palline di sambuco
Elettrometro a foglie d'oro pendenti
Tali strumenti vennero successivamente perfezionati in elettroscopi, elettrometri, bilance
di torsione, ...
Elettroscopio a foglie d'oro
Elettrometro
Bilancia di torsione
Dopo queste brillanti considerazioni ed esperienze, anche Du Fay tenta una spiegazione
la quale ci riporta al nulla delle spiegazioni cartesiane, non dissimili dalle qualità occulte
aristoteliche, mediante vortici. Secondo du Fay, strofinare un corpo per elettrizzarlo vuol dire
creargli intorno un vortice. Due corpi elettrizzati allo stesso modo avranno vortici che
ruotano nello stesso verso e, come tali, si devono respingere. Se due corpi sono elttrizzati in
modo diverso, i vortici ruoteranno in verso opposto e potranno così attrarsi. Se un corpo
neutro entra nel vortice di un corpo elettrizzato è aspirato da esso fino ad arrivare a contatto
con la superficie del corpo. Questo contatto lo elettrizza e quindi gli crea un vortice intorno
dello stesso tipo del corpo che ha elettrizzato con la conseguenza che si ha repulsione.
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Allo stesso modo il divulgatore (Leçons de Physique Expérimentale, 1771) abate Jean
Antoine Nollet (1700-1770). Egli riprese la teoria dei due fluidi di Du
L'abate Nollet
Fay che espose nelle Lettres sur l'électricité pubblicate nel 1753, in contrapposizione a quella
elaborata nel 1747 dallo statunitense Benjamin Franklin. Quando passò a spiegare questi
fenomeni, in accordo con la materia ed il moto
Una delle esperienze spettacolari di Nollet: una dama carica di elettricità (per contatto con la
macchina elettrostatica) sta per trasmettere la scossa al suo spasimante sospeso (isolato) da terra.
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La macchina elettrica a sfera di vetro utilizzata da Nollet
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Esperimenti elettrici proposti nei testi di Nollet
che Descartes prevedeva per la spiegazione di ogni fenomeno, riteneva che l’elettricità fosse
dovuta all’azione di una materia fluida in movimento, simile alla materia del fuoco e della
luce (Essai sur l'électricité des corps, 1746). Con Bonera(14),
"quando si strofina un corpo elettrico si mette in movimento il fluido che è nel
suo interno. Questo allora esce per piccoli fori abbastanza distanti tra loro,
divergendo subito dopo l’uscita (materia effluente). La materia effluente,
uscendo dal corpo richiama altra materia simile dai corpi vicini (materia
affluente) che entra nel corpo attraverso fori distinti più numerosi di quelli dai
quali esce la materia effluente. Dovendo mantenersi costante la quantità di fluido
elettrico presente nei corpi, la velocità della materia effluente è maggiore di
quella affluente, la quale tuttavia è presente nello spazio circostante il corpo
elettrizzato con un maggior numero di raggi, in modo che un corpuscolo ha più
probabilità di essere attratto che respinto dai flussi della materia elettrica".
A poco a poco, come visto e vedremo, gli apparecchi per produrre l'elettricità si
perfezionarono, senza che le conoscenze sui fenomeni in gioco progredissero in modo
significativo. Servivano dei passi avanti concettuali che faticosamente si sarebbero fatti.
Intanto passarono altri anni proprio a perfezionare gli apparati di cui si disponeva fino ad
arrivare al 1745 quando si aprirono importanti vie di comprensione mediante decisive
scoperte.
MACCHINE ELETTRICHE E BOTTIGLIA DI LEYDA
Le macchine elettriche di Guericke ed Hauksbee avevano rappresentato un grande passo
in avanti ma erano ancora poca cosa, come poca cosa erano i tubi di vetro strofinati di Gray
ed i bastoni di vetro di Du Fay.
Tra il 1743 ed il 1745 vari lavori, soprattutto in Germania, perfezionarono la macchina
elettrica(15) per renderla più funzionale alla ricerca. Successivi miglioramenti vennero da:
Georg Mattias Bose (1710-1761), nel 1744, che faceva ruotare una sfera di vetro (per mezzo
di una trasmissione mediante un cavo con una grande ruota di legno) che veniva strofinata
prima dalla mano dell'operatore con i piedi a terra, quindi con un cuscinetto di cuoio (è da
notare che Bose fece esperienze per provare che i corpi elettrizzati non variano di peso);
quindi dal benedettino Andreas Gordon (1712-1751) che sostituì la sfera con un tubo di
vetro; ancora ad opera di Johann Heinrich Winkler (1703-1770), sempre nel 1744 (adottò per
primo come strofinatore un cuscino di crini coperto di seta e quindi dei
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FISICA/MENTE
Particolare della macchina di J.H.Winkler del 1744:
a sinistra la sfera, ruotando, si elettrizza sfregando sui cuscinetti di cuoio
(la trasmissione del moto è la stessa che nelle macchine di Bose e Gordon)
cuscinetti di sfregamento in cuoio che aumentarono di molto l'efficienza della macchina) (16).
Winkler fece anche delle osservazioni di estremo interesse. Nel 1746 scriveva:
Pare adunque che la scintilla elettrica, destata artificialmente, secondo materia,
l’essenza e le apparenze, sia della stessa natura del baleno dei lampi e del tuono,
la differenza sta solo nella potenza o nella debolezza delle loro azioni.
(J.H. Winkler, Die Stärke der elektrischen Kraft des Wassers in gläsernen
Gefäßen, welche durch den Musschenbroek’schen Versuch bekannt geworden.
Breitkopf, Leipzig 1746).
e, come vedremo, la cosa sarà sviluppata e compresa da Franklin.
Un'altra fondamentale scoperta doveva aggiungersi ai successivi perfezionamenti delle
macchine elettrostatiche, quella della bottiglia di Leida. Sia Gray che Du Fay avevano
mostrato che era possibile elettrizzare l'acqua purché fosse sistemata in una ciotolina isolante.
Il fatto che tale elettricità venisse perduta con il tempo veniva attribuito all'evaporazione di
fluido elettrico. Ma, avevano pensato, se chiudiamo l'acqua in una bottiglia, non potrà più
esservi evaporazione. La cosa, rimasta qui, venne ripresa in modo del tutto indipendente dal
tedesco Ewald Jürgen von Kleist (1700-1748)(17), un pastore protestante e dilettante, nel
1745 e dall'olandese Pieter van Musschenbroek (1692-1761), professore di fisica ed
astronomo a Leida, nel 1746. Quest'ultimo sembra abbia
Pieter van Musschenbroek
conosciuto Newton e certamente a lui si deve il merito di aver diffuso nel continente europeo,
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il newtonianismo contro il dominante cartesianesimo, e il metodo sperimentale
nell'insegnamento della fisica. In una lettera della fine del 1745 indirizzata al fisico R. A. de
Réaumur, a Parigi, Musschenbroek racconta un episodio che è alla base della realizzazione
dell'apparato che prende il nome di bottiglia di Leida (questo nome fu successivamente dato
dall'Abate Nollet). Egli studiava, con i suoi assistenti Allmand e Cunaeus, l'elettrizzazione
dell'acqua tenendo in mano una bottiglia parzialmente riempita nella quale era immersa
un'asticciola d'ottone collegata a una macchina elettrostatica in funzione. Ad un certo punto
occorreva terminare tale collegamento e, per farlo, egli prese in mano l'asticciola. Nel far ciò
ricevette una scossa elettrica così violenta che la bottiglia cadde a terra in frantumi con un
grande spavento da parte dello stesso Musschenbroek(18). Con l'intensità di tale scarica i
giochi mondani, particolarmente quelli di Nollet, ebbero nuova linfa: fece sentire la scossa
dopo una catena di diversi frati che si tenevano per mano; uccise vari uccellini avvertendo il
pubblico che occorreva avere prudenza per non fare irritare la nuova entità. Altri, ciarlatani,
iniziarono a curare la gente, che crede sempre a queste novità salvifiche, mediante le scariche
elettriche(19).
Musschenbroek elettrizza l'acqua di una bottiglia
L'apparato, già l'anno successivo, veniva migliorato. In luogo dell'acqua, nella bottiglia
si sistemò un foglio di stagnola o piombo aderente al vetro della superficie interna (fin quasi
al collo) e del fondo. Su questo fondo fa contatto una
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catenella metallica collegata ad un'asta che passa attraverso il tappo di sughero che tappa la
bottiglia. L'apparato veniva poi rivestito anche all'esterno di stagnola o
piombo, fino alla stessa altezza del rivestimento interno. Le superfici metalliche
interna ed esterna sono le armature dello strumento mentre il vetro fa da isolante (si trattava
del primo condensatore).
Naturalmente le analogie con la capacità di una bottiglia proseguirono e si capì che più
bottiglie hanno maggiore capacità di una. Si collegarono quindi più bottiglie di Leida (oggi
diremmo in serie) tra loro e si ottennero sistemi in grado di immagazzinare più elettricità.
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Serie di bottiglie di Leida
Le migliorie nascevano da successive osservazioni sperimentali fatte nelle realizzazioni
di bottiglie in differenti laboratori.Così nel 1746 fu Benjamin Wilson (1721-1788) a far
notare (An essay towards an explication of the Phaenomena of electricity, deduced from the
aether of Sir Isaac Newton contained in three papers which were read before the Royal
Society) che:
l'accumularsi della materia elettrica nella bottiglia è sempre in proporzione alla
sottigliezza del vetro ed alla superficie dei corpi non elettrici (conduttori) in
contatto con le superfici interne ed esterne.
Si cominciava a capire qualcosa ma sempre in modo empirico, cambiando questo
arrangiamento, sostituendo questo con quello, allungando, stringendo, ... Non vi erano ancora
teorie in grado di fornire una qualche spiegazione. E, proprio continuando in tal modo, si
capirono e realizzarono varie cose oltre al fatto che era possibile avere lo stesso effetto di una
bottiglia con una geometria differente.
L. G. Le Monnier nel 1746, proprio per evitare quei fastidiosi effetti fisiologici delle
scariche elettriche, realizzò uno scaricatore (al quale negli anni ne seguirono di più
perfezionati) del tipo mostrato in figura. E' un semplice apparato
Scaricatore
costituito da una specie di compasso (per variare la distanza a cui applicarlo)conduttore
sostenuto da due manici isolanti. Con questo elementare strumento Le Monnier si dedicò allo
studio della scarica elettrica (una corrente elettrica transitoria) fino ad arrivare ad un tentativo
di misura della sua velocità. L'impresa era all'epoca impossibile ma Le Monnier non lo
sapeva. Riuscì qualitativamente a dire che tale velocità era certamente superiore a 30 volte
quella del suono.
Egli trovò altra cosa di interesse e cioè che
l'elettricità si comunica nei corpi della stessa specie in ragione della loro
superficie piuttosto che della loro massa.
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Mettendo insieme le cognizioni che si avevano si riuscirono via via a costruire degli
strumenti tipo bottiglia di Leida (che da ora in breve chiamerò condensatori) sempre più
efficienti. Tra di essi merita di essere ricordato quello a
Condensatore di Aepinus in un modellino ottocentesco
dischi piani e paralleli (tra i quali vi è un isolante) di Franz Maria Ulrich Theodor Aepinus
(1724-1802) del 1759 (Tentamen theoriae electricitatis et magnetismi) per il pregio che ebbe
di sganciare l'accumulo di elettricità dalla presenza di una bottiglia (o bicchiere) fatto che era
in accordo con la teoria di elettricità intesa come un fluido (seguirono poi condensatori
cilindrici, sferici, ...).
Ulrich Theodor Aepinus
E' da notare che Aepinus fu il primo a tentare l'applicazione della matematica ai
fenomeni elettrici e magnetici muovendo dall'ipotesi di elettricità costituita da un unico fluido
come riteneva, e come vedremo, Franklin (il quale, per sua stessa ammissione, non amava la
matematica, scienza nella quale non era mai andato lontano). Egli era anche un sostenitore
dell'azione a distanza alla Newton ed allo stesso modo pensava si propagasse l'azione
elettrica. L'azione doveva poi essere sempre alla Newton e senza bisogno di particolari
effluvi, doveva cioè essere o attrattiva (carica di elettricità di diverso tipo) o repulsiva
(medesimo tipo di carica di elettricità) con una forza proporzionale alla quantità di elettricità.
Solo nel 1767 la legge dell'inverso del quadrato della distanza fu proposta da Priestley e più
tardi da Cavendish (1771).
Restava aperta la questione della natura dell'elettricità ben riassunta dallo stesso Le
Monnier che scrisse questa voce nell'Enciclopedie di D'Alembert e Diderot:
I pareri dei fisici sono divisi sulla causa dell'elettricità: tutti nondimeno
convengono dell'esistenza di una materia elettrica più o meno ammassata
attorno ai corpi elettrizzati e che produce con i suoi movimenti gli effetti elettrici
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FISICA/MENTE
di cui noi ci accorgiamo, ma essi spiegano ciascuno in maniera diversa le cause
e le direzioni di questi diversi movimenti ... Poiché ancora non si conosce
l'essenza della materia elettrica, è impossibile definirla altrimenti che con le sue
principali proprietà.
Un primo passo avanti e nell'uso delle parole e nell'iniziare a spiegare fu fatto da
Franklin che introdusse il concetto di carica elettrica. Ma le cose erano complesse e restavano
appese a teorie poco confortate da esperienze, come quella dell'elettrone di Lorentz. I passi
importanti furono comunque: la scoperta della Pila e di varie leggi che riguardavano
l'elettricità, le misure di Coulomb che iniziarono a fornire dati quantitativi, i lavori di
Ampère e Faraday, quello dello stesso Lorentz, la scoperta dell'elettone di J.J. Thompson.
BENJAMIN FRANKLIN
Personaggio davvero versatile, impegnato su più fronti di studio, lavoro e ricerca, mi
piace ricordarlo innanzitutto come difensore dei diritti dell'uomo nel continente americano
che iniziava il suo cammino verso la rivoluzione democratica in sintonia con la Rivoluzione
Francese. E Franklin fu proprio ambasciatore in Francia durante la Rivoluzione (dal 1776 al
1785). Qui conobbe Linneo, Lavoisier, Buffon, ... assisté alla prima salita dei palloni
aerostatici, a varie sedute dell'Académie, si entusiasmò alla scienza e divenne sostenitore
della collaborazione tra i poli e della guerra come cosa pazzesca. Ma fu anche commerciante
ed industriale della carta, fu giornalista e fondò il Saturday Evening Post (tuttora in attività),
fu inventore e scienziato, oltre ad essere uomo politico impegnato nelle più nobili battaglie
per i diritti civili e per la libertà. In ambito scientifico si occupò di ogni ramo del sapere e
realizzò varie invenzioni. A chi gli proponeva brevetti, rifiutava con garbo affermando che
noi usiamo abbondantemente delle cose fatte da altri, lasciamo che gli altri usino qualcosa
fatta da noi.
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Benjamin Franklin
Franklin (1706-1790) fu uno dei primi scienziati americani(20) ed iniziò la sua attività,
avanti negli anni, solo nel 1747, due anni dopo la scoperta della Bottiglia di Leida colpito,
sembra, dall'analogia della scarica elettrica della bottiglia con quella dei fulmini. Da questo
momento la ricerca diventò la sua principale occupazione anche se non abbandonò mai la
passione per la libertà e la cultura. Proprio come messo del governo americano a Londra,
riuscì a prendere contatti con la Royal Society, contatti che, insieme a quelli con l'Académie,
gli saranno proficui negli anni.
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Ritratto di Franklin alle prese con i fulmini.
L'esperienza (probabilmente pensata e basta) di Franklin, con un aquilone dotato di una punta, per
catturare fulmini
Delle analogie con i fulmini alle quali ho accennato, Franklin scrisse in una lettera
del 1748 dopo aver messo insieme una batteria di bottiglie di Leida. C'è da osservare che
correttamente Franklin aveva capito che le armature (fu lui a chiamarle in tal modo) di un
condensatore hanno elettricità di due tipi differenti (per capire la cosa occorreva si chiarisse il
concetto di induzione) ma che la scossa risiedeva nel vetro. Inoltre fu lo stesso Franklin a
costruire il primo condensatore piano che chiamò quadro di Leida (Leyden's pane o
Franklin's pane: un sostegno isolante h sorregge una lastra di vetro g coperta in gran parte da
ambo i lati da stagnola - la parte oscura al centro. Per caricare il pane si collega la stagnola
posta da un lato alla macchina elettrica e quella dall'altro lato a terra).
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Il condensatore di Franklin (Franklin's pane)
Infine a Franklin si deve molta della nomeclatura ancora in uso: batteria, conduttore,
condensatore, carica, scarica elettrica, scarico, carica negativa, carica positiva ...
La batteria di bottiglie di Leida approntata da Franklin
Ma non era solo questa l'analogia che muoveva la curiosità di Franklin. Nella stessa lettera
egli parla anche dell'analogia con la possibilità di incendiare sostanze combustibili, di
fondere piccole masse di metallo, ...
Fu Franklin che ipotizzò il trasporto di elettricità da parte delle nubi e la cosa fu provata
quando, su suo suggerimento, nel 1752 fu messo in azione il primo parafulmine (un'asta a
punta collegata a terra): la scarica di un fulmine e di una bottiglia di Leida erano della stessa
natura. In queste sue ricerche egli scoprì il potere delle punte, il meraviglioso effetto dei corpi
a punta tanto per attirare che per respingere il fuoco elettrico, e, con opportuno uso di esse,
realizzò il parafulmine.
Queste osservazioni lo portarono a elaborare una teoria elettrica secondo la quale la
medesima elettricità è costituita da un fluido unico (teoria monistica) che poteva accumularsi
ed essere in eccesso sui conduttori (cariche positive) o essere in difetto (cariche negative). La
somma totale delle cariche doveva comunque annullarsi. Il ragionamento di Franklin per
teorizzare un fluido elettrico unico era il seguente.
1° Due persone ritte su uno strato di cera, l'una (A) strofinando il tubo (di
vetro), l'altra (B) traendone il fuoco, appariranno (se non si toccano) come
elettrizzate in rapporto a una terza (C), posta sul suolo, cioè essa ne trarrà delle
scintille, se avvicinerà loro un dito.
2° Ma, se esse si toccano mentre il tubo è eccitato, nessuna di esse apparirà
come elettrizzata.
3° Se esse si toccano dopo l'eccitazione del tubo, vi sarà tra loro una scintilla
più forte di quelle causate dalla persona al suolo.
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4° Dopo questa scintilla né l'una né l'altra manifesta alcuna traccia di elettricità.
E ciò si spiega ammettendo che B è elettrizzata positivamente, A negativamente; oppure che
A è elettrizzata più e B elettrizzata meno. Ciò suggerisce a Franklin la non creazione della
carica ma la sola sua trasmissione. Insomma i corpi sono neutri ma se ne strofiniamo uno
esso può ricevere un eccesso di fluido che, allo stesso tempo, viene perso dal panno che
strofina. I due corpi risultano allora elettrizzati, uno per difetto ed uno per eccesso di fluido.
Se poi rimettiamo in contatto i due corpi, la comparsa della scintilla rimette il fluido al suo
posto ed i corpi tornano neutri. L'attrazione è poi tra fluido elettrico e materia, la repulsione è
invece tra fluidi elettrici. Franklin introduce nei suoi ragionamenti, come accennato, un
vocabolario che ancora oggi usiamo: elettricità positiva quando si ha un eccesso di fluido ed
elettricità negativa quando si ha una mancanza di fluido. La teoria presenta una difficoltà:
quando si hanno oggetti con eccesso di fluido, sono oggetti con lo stesso tipo di elettricità
positiva e si capisce che si respingano. Ma perché due oggetti che hanno mancanza di fluido,
anch'essi con lo stesso tipo di elettricità negativa, dovrebbero respingersi ? qui non vi sono
fluidi in azione ma solo mancanza di fluido ! Era forse il caso di prendere in considerazione
la teoria dei due fluidi sviluppata da Du Fay ?(21) La cosa era presente a Franklin e,
nonostante ciò non abbracciò la teoria dei due fluidi:
C'è ancora un'esperienza che ci sorprende e per la quale non abbiamo
spiegazioni soddisfacenti... I corpi, quando hanno una quantità di elettricità
minore di quella loro normale, si respingono gli uni con gli altri così come quelli
che ne hanno una quantità maggiore.
In ogni caso, nel 1751, egli precisa la sua teoria del fluido unico nel modo seguente:
« 1. La materia elettrica consiste in particelle estremamente sottili, poiché essa
può penetrare la materia ordinaria, anche i metalli più densi, con tanta facilità e
libertà che essa non subisce alcuna resistenza percepibile... ».
« 3. Ciò che differenzia la materia elettrica dalla materia ordinaria è il fatto che
le particelle di quest'ultima si attraggono reciprocamente, quelle della prima si
respingono....
« 4. Ma, per quanto le particelle di materia elettrica si respingano, esse sono
fortemente attratte da ogni altra materia.... ».
« 6. Così la materia ordinaria è una specie di spugna per il fluido elettrico. Una
spugna non potrebbe assorbire acqua se le particelle di questa non fossero più
piccole dei pori della spugna, e lo farebbe solo lentamente se non ci fosse
attrazione reciproca tra queste particelle e quelle della spugna... Essa lo farebbe
ancor più velocemente, se invece di una attrazione vi fosse tra queste particelle
d'acqua una repulsione reciproca, che agirebbe congiuntamente con l'attrazione
della spugna. Questo appunto accade tra la materia elettrica e la materia
ordinaria.
« 7. Ma la materia contiene in generale quanta materia elettrica le è possibile.
Se se ne aggiunge ancora, questa si porta sulla superficie e forma ciò che noi
chiamiamo una atmo-sfera elettrica: il corpo è allora elettrizzato.... ».
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FISICA/MENTE
« 9. Sappiamo che il fluido si trova nella materia ordinaria, perché possiamo
attrarlo dal di sopra con l'aiuto del globo (della macchina) o del tubo... ».
« 15. La forma dell'atmosfera è quella del corpo che essa circonda. Essa può
esser resa visibile nell'aria calma per mezzo del fumo di resina... che è attratto e
si spande ugualmente in ogni parte, coprendo e nascondendo i corpi... ».
« 18. Queste spiegazioni mi parvero perfettamente soddisfacenti quando
all'improvviso mi vennero in mente e mi tentarono assai: ma ora... devo
confessare che ho qualche dubbio...
« 19. Ma non è importantissimo per noi sapere in qual modo la natura osservi le
sue leggi: ci basta conoscere queste leggi stesse. Ciò che ci è veramente utile è
sapere che la porcellana lasciata senza sostegno nell'aria cade e si spezza; ma
sapere come essa arrivi a cadere e perché essa si spezzi è d'interesse
speculativo. È un piacere per noi, ma possiamo anche senza ciò proteggere la
nostra porcellana ».
Le teorie di Franklin furono da egli stesso comunicate al suo amico Peter Collison (16941768) della Royal Society (Lettere a Collison, 1747) che le fece conoscere pubblicando a
Londra Experiments and observations on electricity, made at Philadelphia in America, by
Benjamin Franklin, and communicated in several letters to P. Collinson of London. London,
Printed and sold by E. Cave, 1751-54 (con successive edizioni per il grande successo che il
libro ebbe in tutta Europa).
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FISICA/MENTE
notare che i membri della Royal Society si comportarono con le scoperte di Franklin in modo
tipico della boria coloniale: sembrava impossibile che il centro delle ricerche scientifiche
dovesse abbandonare Londra per trasferirsi in un territorio selvaggio. Rifiutarono quindi la
pubblicazione della gran parte dei suoi lavori di Franklin sulle Philosophical Transactions.
Successivamente (1753) tentò di riparare riconoscendogli la medaglia Copley (una specie di
Nobel dell'epoca).
Prima di passare oltre vorrei dire che Franklin era anche un giocherellone che si
divertiva molto con l'elettricità. Egli descrive nel modo seguente alcuni esperimenti fatti con i
suoi collaboratori di Filadelfia:
Poiché arrivava il caldo che rende pochissimo piacevoli gli esperimenti
sull'elettricità, si decise [...] di fare una scampagnata sulle rive dello Schuylkill e
di incendiare degli alcolici con scintille trasmesse da una riva all'altra con
nient'altro per conduttore che l'acqua del fiume, [...] di uccidere un tacchino per
la nostra cena con la scossa elettrica e di farlo arrostire su uno spiedo elettrico
con un fuoco acceso da una bottiglia di Leida e di bere in coppe elettrificate, tra
le salve dei fucili innescati dalla batteria elettrica [di condensatori], alla salute
di tutti i famosi studiosi di elettricità di Inghilterra, di Olanda, di Francia e di
Germania.
Degno successore di Franklin sarà Joseph Priestley.
PARTE 3: DA BECCARIA A VOLTA
GIAMBATTISTA BECCARIA
Mentre Franklin faceva le sue ricerche negli Stati Uniti, in Italia (Piemonte)lavorava
Francesco Beccaria (1716-1781), che assunse il nome di Giambattista quando prese i voti.
Egli fu chiamato nel 1748 ad insegnare Fisica Sperimentale a Torino, con il preciso compito
di sradicare l'aristotelismo ancora imperante insieme al filosofeggiare inconcludente alla
Descartes. Con uno spirito che si può definire illuminista e che segnò la ripresa della ricerca
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FISICA/MENTE
in Italia dopo la cappa caduta con il Processo a Galileo, mise su un corso di fisica in cui
entrarono sia Galileo (con la sua cinematica) che Newton (con la meccanica e l'ottica) e che
rappresentò una vera rivoluzione alla quale attinsero scienziati del calibro di Lagrange e
crearono un clima dal quale sarebbero venute le importanti ricerche dei Volta e dei Galvani.
Giambattista Beccaria
Gli studi di Beccaria riguardano un poco tutta la scienza elettrica allora conosciuta e
molti risultati dei suoi lavori si trovano in un suo trattato del 1753, Dell'elettricismo naturale
e artificiale libri due e nei successivi lavori:
Frontespizio della prima opera di Beccaria
Dell'elettricismo (1758), Experimenta atque observationes quibus electricitatis vindex late
constituitur atque explicatur (1769), opera nella quale introdusse la teoria dell'elettricità
vindice (sibi vindicat locum suum) per spiegare l'elettricità che pareva nuovamente apparire
da un isolante caricato precedentemente e scaricato da una lamina metallica, teoria che fu
falsificata immediatamente (1769) dal giovane Volta mediante una spiegazione basata
sull'induzione, Elettricismo artificiale di G.B. Beccaria (1772), che nel 1774 fu tradotto in
inglese, e Dell'elettricità terrestre atmosferica (1775). Beccaria, amico ed estimatore di
Franklin, con cui mantenne una relazione epistolare trentennale, fu tra i primi ad affrontare il
problema della resistenza che l'elettricità incontra nel passaggio attraverso dei materiali
stabilendo che essa è proporzionale alla lunghezza dei conduttori (i metalli comunque più
conduttori d'ogni altro corpo apportano pure alcuna resistenza proporzionata alla lunghezza
del sentiero che la scintilla dee in essi trascorrere, 1772). Scoprì che i materiali isolanti, se
scaldati, diventano conduttori (che sarà problema incomprensibile fino all'introduzione della
fisica dei quanti ed alla teoria delle bande di energia negli anni Trenta del secolo scorso).
Dedicò vari suoi studi anche ai condensatori, dopo il lavoro di Aepinus del 1756,
soffermandosi sulle proprietà degli isolanti interposti tra le armature. Iniziò a mettere in
relazione elettricità e magnetismo (si chiede: se non sia il fluido elettrico che con alcuna
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FISICA/MENTE
determinazione universale, impercettibile, perpetua, periodica circolazione ...
universalmente ogni magnetica direzione producesse e conservasse). Stabilì, sviluppando
concetti introdotti da Franklin e Priestley, il fatto notevole che l'elettricità risiede solo nella
superficie dei conduttori. A tale proposito realizzò uno strumento per provare l'assunto, il
pozzo di Beccaria.
Pozzo di Beccaria
Lo strumento consiste in una sfera cava di ottone poggiata su di un sostegno isolante
(es: vetro). Alla sua sommità presenta un'apertura circolare. Caricata la sfera, se con un
elettroscopio collegato opportunamente (il saggiatore, costituito da due pezzetti di carta
penduli da un piccolo bastoncino di ceralacca) si va ad ispezionare l'interno di essa, si scopre
che non vi è carica che invece è tutta sulla superficie esterna (ogni elettricità si riduce alla
superficie libera dei corpi, senza diffondersi punto nell'interiore sostanza loro).
L'ELETTROFORO
Ci avviciniamo alla fine del Settecento. Da più parti ormai si fanno ricerche
sull'elettricità e sempre maggiori contributi si hanno. E' quindi più difficile seguire le varie
scoperte in una sorta di successione cronologica. Molte cose si fanno simultaneamente in
Paesi diversi o anche nello stesso Paese. Molte ricerche aprono strade apparentemente
diverse. Occorre trovare dei momenti che rappresentano un vero balzo conoscitivo che ha
avuto poi ricadute sulle osservazioni empiriche, sui dati sperimentali e sulle elaborazioni
teoriche.
In questo senso la realizzazione dell'elettroforo è un momento importante per quanto ha
successivamente prodotto e per l'impianto di conoscenze che c'è dietro.
La realizzazione di questo apparecchio discende da un esperimento che viene descritto
da Aepinus nel 1759. Se si avvicina ad una estremità di una barretta metallica il tubo di vetro
elettrizzato, la parte del regolo più vicina al vetro si elettrizza di segno contrario a quello del
vetro e la parte più lontana dello stesso segno. Era una evidenza dirimente rispetto a quanto si
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FISICA/MENTE
sosteneva e cioè: un corpo avvicinato ad un altro corpo elettrizzato assumeva
l'elettrizzazione del corpo elettrizzato. Sembrava quasi si dovesse dare ragione ai due fluidi
elettrici ... Nel 1766 un allievo di Beccaria (Cigna) tentò una spiegazione ed anche lo stesso
Beccaria che tentò la teoria vindice, alla quale ho già accennato.
Contro la teoria di Beccaria si schierò in modo deciso Alessandro Volta (1745-1827) nel
suo primo lavoro, De vi attractiva ignis electrici ac phaenomenis inde pendentibus Alexandri
Voltae patricii novo-comensis ad Joannem Baptistam Beccariam (1769). Tale lavoro è una
sorta di programma di
Frontespizio del primo lavoro di Volta
Volta. In esso si può intravedere l'evolvere del pensiero di Volta negli anni successivi. In
particolare, in questo lavoro, si sostiene che la carica elettrica fornita ad un isolante resta
localizzata nel luogo dove viene fornita e che i vari fenomeni studiati da Franklin erano tutti
facilmente spiegabili con la teoria dell'induzione o influenza elettrostatica. Ma Volta dedicò
molte pagine di questo suo lavoro proprio nell'indagine dell'induzione elettrica. Conseguenza
di tali studi fu la Lettera al Signor Dottore Giuseppe Priestley del 10 giugno 1775, lettera
nella quale annunciava la sua scoperta:
Io vi presento un corpo che una volta solo elettrizzato per brevissim'ora, né
fortemente, non perde mai più l'elettricità sua, conservando ostinatamente la
forza vivace de' segni a dispetto di toccamenti replicati senza fine. Voi tosto
indovinate che siffatto corpo vuol essere una lastra isolante vestita e snudata a
vicenda della sua armatura ...
Volta passa a descrivere il suo apparecchio, che chiama elettroforo perpetuo, in modo molto
esteso. Ed alla fine della lettera, in una Aggiunta spiega in dettaglio il suo funzionamento,
servendosi delle seguenti figure:
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FISICA/MENTE
Elettroforo di Volta 1
Scrive Volta:
ho pensato di far cosa grata esponendo nelle seguenti figure sotto diversi aspetti
e combinazioni tutto ciò che compone uno de' miei comodi apparati portatili, e
quanto esso offre su due piedi a vedere di singolare. AA (Fig. 1.) è il Piatto, o sia
una lastra d'ottone lavorata al torno con l'orlo ben ritondato prominente nella
faccia superiore una mezza linea all'incirca, in cui è contenuta la stiacciata di
ceralacca o mastice B, nella inferiore sporgente una buona linea o più pell'uopo
che si dirà. CC è lo Scudo di legno dorato o d'ottone cavo, senz'angoli e ben
forbito, che si apre a foggia di scatola, e contiene i vari pezzi che hanno da
venire ad uso. E è il manico isolante, cioè un bastoncino di vetro intonacato di
ceralacca, armato nell'estremità di due cappelletti d'ottone ff (Fig. 2.), uno fatto
a vite con cui si ferma a un bottone lavorato per questo nel centro della faccia
superiore dello scudo CC, e l'altro che termina in un anello, per cui si regge
alzandolo (Fig. 2.,3.). Nella Figura 1. sta il Piatto AA, o meglio il mastice
armato del suo Scudo CC ricevendo l'elettricità o sia la carica dalla catena O di
una macchina ordinaria: indi se ne eccita la scarica dalla mano A D che tocca
congiuntamente il Piatto e lo Scudo.
(Fig. 2.). Una mano alza per mezzo dell'anello f del manico E lo scudo CC; e
l'altra mano X ne trae una lunga scintilla: e ciò ognora che si leva lo scudo dopo
averlo posato e poi toccato.
La stessa Fig. 2. mostra come elettrizzato una volta un solo apparato, se ne
possa avvivar un altro, o quanti altri ne aggrada: dando cioè replicatamente le
scintille dello scudo alzato ad un filo od uncino d'ottone K sporgente da un altro
scudo, che posa sul suo mastice. Fatto ciò e mutando mano voi potete con questo
secondo e collo stesso processo rinvigorir la forza nel primo, e così via via reciprocamente.
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FISICA/MENTE
Elettroforo di Volta 2
Le figure che seguono illustrano altre applicazioni della macchina, in combinazione con la
Bottiglia di Leida. Aggiungo che l'elettroforo sarà illustrato da Volta, insieme ad altre
scoperte, in alcune lettere del 1787 al poeta e scienziato tedesco Georg Christoph Lichtenberg
(Lettere sulla metrologia elettrica).
L'efficienza dell'apparecchio che aveva prestazioni molto migliori dello strofinio per
elettrizzare, lo fece presto diffondere in tutta Europa dove si costruirono elettrofori con
armatura del diametro di due metri, per spostare la quale servivano addirittura sistemi di
carrucole. Nella figura che segue vi è l'elettroforo fatto costruire da Caterina di Russia per
l'Accademia delle Scienze di Pietroburgo.
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FISICA/MENTE
Elettroforo dell'Accademia delle Scienze di Pietroburgo
La maggiore efficienza di questa macchina è dovuta al fatto che si sfrutta un sistema di
elettrizzazione diverso dallo strofinio, l'induzione. Capito questo fatto, si iniziarono a
costruire in tutta Europa macchine elettrostatiche ad induzione di vari tipi e mole. Nel 1831 il
fisico Giuseppe Belli (1791-1860) realizzò la prima
Giuseppe Belli
macchina a induzione a disco rotante (duplicatore), ma è solamente nella seconda metà
dell'Ottocento che, grazie a fisici quali Wilhelm Holtz (1836-1913), August
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FISICA/MENTE
Macchina di Holtz
Toepler (1836-1912), James Wimshurst (1832-1903), questo tipo di generatori
Macchina di Toepler
soppiantarono quasi completamente le vecchie macchine a strofinio. Le macchine
Macchina di Wimshurst
elettrostatiche a induzione vennero ampiamente utilizzate, sin dall'inizio del XX secolo, per
generare scariche elettriche e per caricare condensatori.
L'elettroforo è alla base dei lavori di Volta sui condensatori e sulla loro capacità. A lui,
tra l'altro, si devono i concetti di capacità e di potenziale (che egli chiamava tensione), la
relazione quantitativa tra capacità, carica e tensione di un conduttore isolato, costruì
elettrometri sempre più precisi, iniziò a definire unità di tensione di modo che Volta è il
fondatore della metrologia elettrica (tutto questo nella Lettera al Signor De Saussure sulla
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FISICA/MENTE
capacità dei conduttori elettrici del 20 agosto 1778 ed in scritti successivi). Questi studi su
condensatori e strumenti di misura si conclusero con la realizzazione di uno strumento che
assemblava i due oggetti, l'elettroscopio condensatore (Del modo di rendere sensibile la più
debole elettricità, sia naturale, sia artificiale, letta alla Royal Society il 14 marzo 1782). Si
trattava di un apparato in grado di rilevare anche debolissime cariche elettriche non rilevate
dai più sofisticati elettrometri. Volta sostituì alla pallina metallica, generalmente
Disegno originale dell'elettroscopio condensatore di Volta
Elettroscopio condensatore di Volta
presente sulla sommità di un elettroscopio, un condensatore piano con l'armatura inferiore
(sulla quale è sistemato uno strato isolante) a sostituire la pallina e quella superiore mobile
dotata di un manico isolante. Con questo arrangiamento la capacità viene enormemente
aumentata appoggiando sul piattello fisso il piattello mobile e mettendo quest'ultimo a terra.
Si mette ora a contatto dell'armatura inferiore l'oggetto debolmente carico che trasferisce la
sua poca carica al sistema condensatore che ha elevata capacità. A questo punto si toglie
l'armatura superiore con l'effetto di ridurre di molto la capacità del sistema. La carica elettrica
che si trova sull'armatura inferiore si ridistribuisce (diminuisce la capacità del sistema fa
aumentare la tensione) e una parte di essa passa alle foglioline dell'elettroscopio che
divergono così in modo apprezzabile.
In questa memoria sul condensatore alla Royal Society, Volta scrisse:
Non vi vuol molto a comprendere, che ivi è maggior capacità, dove una data
quantità di elettricità sorge a minor intensità, o che è lo stesso, quando maggior
dose di elettricità è richiesta a portare l'azione a un dato grado d'intensità: a dir
breve, la capacità e azione o tensione elettrica sono in ragione inversa.
Farò qui osservare sul principio ch'io denoto col termine di tensione (che
volentieri sostituisco a quello d'intensità) lo sforzo che fa ciascun punto del
corpo elettrizzato per disfarsi della sua elettricità, e comunicarla ad altri corpi:
al quale sforzo corrispondono generalmente in energia i segni di attrazione,
repulsione, ecc. e particolarmente il grado a cui vien teso l'elettrometro.
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FISICA/MENTE
che è la ben nota legge che lega carica elettrica, capacità e tensione dei condensatori.
Su Volta. che giocò un ruolo fondamentale nella nascita della scienza elettrica e nella
sua comprensione, tornerò più oltre, dopo aver discusso dei lavori di altri ricercatori.
CHARLES AUGUSTIN COULOMB
Sul finire del Settecento altri scienziati davano loro contributi alla scienza elettrica ed
anche magnetica che sembrava ancora ferma a vaghe formulazioni. Tra questi merita un
posto di rilievo il geologo ed astronomo britannico John Michell (1724-1793) che realizzò
una speciale bilancia (bilancia di torsione)(1) che divenne famosa solo dopo che fu inventata
di nuovo da Coulomb, per studiare le forze magnetiche (A Treatise of Artificial Magnets,
1750. In questo lavoro vi sono varie accurate osservazioni sul magnetismo ed un metodo
facile e celere per realizzare magneti artificiali attraverso il meccanismo dell'induzione
magnetica). Michell era un fervente newtoniano e andò a scoprire ciò che voleva scoprire, il
fatto cioè che le forze agenti tra poli magnetici vanno come l'inverso del quadrato della
distanza, come la legge regina di Newton, quella di gravitazione universale:
Ogni polo magnetico attira o respinge esattamente a distanze uguali in ogni
direzione ...
Attrazioni o repulsioni diminuiscono in proporzione all'aumento dei quadrati
delle distanze dai rispettivi poli.
E' inutile dire che tale legge non ha retto a successive e rigorose verifiche sperimentali anche
se ha avuto il pregio di indicare una strada per rendere la scienza elettrica e magnetica
quantitativa(2).
E' a questo punto che si inseriscono i lavori di Charles-Augustin de Coulomb (17361806)(3).
Charles-Augustin de Coulomb
Siamo ad un punto in cui: la strumentazione permette delle misure, si sono scalzati i
freni alla scienza rappresentati dall'aristotelismo e dal cartesianesimo, la fenomenologia
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FISICA/MENTE
sperimentale e le elaborazioni teoriche sono consistenti, la fisica newtoniana è entrata con
l'Illuminismo in tutta Europa. Fu Coulomb a mettere ordine in tutto ciò che si sapeva di
elettricità imponendo in modo definitivo il metodo della misura quantitativa alle analisi
qualitative. Come abbiamo visto, già in passato si era tentato di fare qualcosa in tal senso, ma
mancava sempre un qualcosa. Ora sembrava che tutto fosse a punto.
Coulomb inizia ad interessarsi di questioni magnetiche ed elettriche in una memoria del
1777, Recherches sur la meilleure manière de fabriquer des aiguilles aimantées, nella quale,
contrariamente a quanto annunciato dal titolo, non si occupa di questioni pratiche ma della
comprensione dei fenomeni che sono alla base dell'orientamento di un ago magnetico sospeso
ad un filo sottile. Si pongono qui il problema della torsione del filo e della sua linearità. Nel
discutere tale fenomeno Coulomb si sbarazza dei vortici metafisici di Descartes affermando
la necessità di introdurre forze attrattive e repulsive della natura di quelle di cui si è obbligati
a servirsi per spiegare la pesantezza dei corpi e la fisica celeste. E' una scelta drastica che
getta via Descartes per aderire alla gravitazione universale di Newton.
Su questa strada diventa importante per Coulomb trovarsi l'equazione del moto di un
ago magnetico, sotto l'azione del campo magnetico terrestre, sospeso ad un filo. Nasce qui il
problema delle piccole oscillazioni e di come da esse si possa risalire al momentum della
forza magnetica. Risolta la questione Coulomb passa a studiarsi il momentum di vari magneti
attraverso la misura delle loro oscillazioni. Dalla preoccupazione di Coulomb dell'eventuale
errore introdotto dallo studio della torsione, egli moltiplica gli esperimenti, sbarazzandosi dei
dubbi e scoprendo che la forza di torsione di un filo dipende dalla sua natura, che è
proporzionale all'angolo di torsione ed alla quarta potenza del suo diametro e che risulta
inversamente proporzionale alla sua lunghezza..
In pratica Coulomb sta mettendo a punto la sua bilancia di torsione che è simile
concettualmente a quella di Cavendish ma di ben più piccole dimensioni. La
Schema della bilancia di torsione di Coulomb da una memoria di Coulomb del 1785
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FISICA/MENTE
Bilancia di torsione di Coulomb
misura dell'azione elettrica tra due sferette cariche, una mobile e una fissa, viene eseguita
misurando la torsione del filo di sospensione, di seta, al quale è sospeso il giogo della
bilancia, terminante da una parte con la sferetta mobile, dall'altra con un contrappeso
(l'angolo di torsione è proporzionale al momento della forza torcente). Questi studi si
compiranno in una successiva memoria del 1784, Recherches théoriques et expérimentales
sur la force de torsion et sur l'elasticité des fils de métal.
Con lo strumento bilancia di torsione messo a punto e con una sensibilità che
inizialmente permetteva di misurare il milionesimo di grammo-peso (sensibilità
successivamente migliorata), Coulomb può passare a studiare quantitativamente i fenomeni
elettrici sotto la guida del pregiudizio newtoniano e, nel 1785, vede la luce la sua prima
memoria (delle sette che scrisse dal 1785 al 1789)(4) nella quale vengono studiati
quantitativamente i fenomeni elettrici: Construction et usage d'une balance électrique fondée
sur la propriété qu’ont les fils de métal d’avoir une force proportionnelle à l’angle de
torsion. Détermination expérimentale de la loi suivant laquelle les éléments des corps
électrisés du même genre d’électricité se repoussent mutuellement. A questa memoria ne
seguì subito una seconda nella quale Coulomb precisò alcune questioni, estese alcuni risultati
ed effettuò altri esperimenti delicati soprattutto per il fatto che, quando si aveva a che fare
con cariche di segno opposto, vi era la tendenza all'attrazione ed all'annullarsi delle cariche
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FISICA/MENTE
medesime. E' da notare che nell'indagare le azioni tra corpi carichi Coulomb presuppone la
conservazione della carica.
In queste due memorie Coulomb stabilì sperimentalmente la prima legge quantitativa tra
cariche elettriche. Esse si attraggono o si respingono (a seconda dei loro segni) con una legge
del tipo di quella di Newton di gravitazione universale. In particolare con la famosa legge
dell'inverso del quadrato della distanza (nel nostro caso: tra le sferette cariche). Va detto, a
questo punto, che egli non provò mai la proporzionalità con il prodotto delle cariche
elettriche o delle intensità dei poli magnetici al numeratore della formula che porta oggi il
suo nome. Se indichiamo con F la forza (attrattiva o repulsiva), con d la distanza tra le
sferette cariche e con K una costante di proporzionalità, si trova:
2
F=±K/d
dove il ± stanno ad indicare attrazione (segno -) o repulsione (segno +). In tale formula
Coulomb stabilì il denominatore e non il numeratore (il noto prodotto tra le cariche che oggi
conosciamo). Inoltre egli non definì mai l'unità di carica elettrica (parla di una indefinita
massa elettrica, ancora in analogia con Newton, e si schiera con la teoria dei due fluidi) o di
intensità di polo magnetico. Ma quanto ora detto non deve sembrare una svalutazione
dell'opera di Coulomb che resta fondamentale (intanto egli è stato capace di legare grandezze
elettriche a grandezze meccaniche note e misurabili, come forze ed angoli). Serve solo per
fare giustizia di troppe semplificazioni storiche. Coulomb, anche in tutti i suoi altri lavori
elettrici e magnetici, gettò le basi, indicò la strada, suggerì ricerche che negli anni successivi
permisero la completa matematizzazione dei fenomeni elettrici (per ora elettrici) a partire da
Poisson (con l'estensione ai fenomeni elettrici della teoria del potenziale che Euler aveva
sviluppato -1756 - per la meccanica) per arrivare a Lagrange e quindi a tutti gli altri fisici
matematici. E questo è un merito fondamentale.
UNA DISCONTINUITA' NELLA STORIA DELL'ELETTRICITA'
Gli accadimenti politici in Francia alla fine del Settecento ebbero grande influenza sullo
sviluppo della scienza nell'intera Europa. E' utile riportare le pagine utilizzate da D'Agostino
per discutere dei rivolgimenti che si ebbero nell'intera Europa.
Quello che avvenne in Francia a cavallo dell'inizio dell'Ottocento avrà
profonde ripercussioni sullo sviluppo della scienza ottocentesca non soltanto in
Francia, ma, per un verso o per l'altro, anche in Germania ed in Inghilterra. Gli
eventi francesi possono sintetizzarsi, com'è noto, nelle due parole: Rivoluzione
Francese e opera di Napoleone Bonaparte. Per quanto si riferisce alla Storia delle
Scienze un riferimento a questi eventi è indispensabile per comprendere le
caratteristiche dell'opera di scienziati come Lagrange, Laplace, Monge,
Berthollet, Lavoisier, Couvier, tutti appartenenti alla prima generazione di
scienziati che passarono quasi tutti attraverso le vicende della Rivoluzione e
dell'Impero, ed anche della seconda generazione degli Ampère, Aragò, Fresnel,
Cauchy, Poisson, Fourier, Carnot, Gay Lussac, Dulong e Petit. Nel periodo
dell'Impero e durante la Restaurazione, vennero a Parigi e furono a contatto con i
colleghi francesi (intorno al 1820) gli scienziati tedeschi Humboldt (naturalista),
Justus von Liebig (1803-73) (chimico), Henry Gustav Magnus (1802-1870)
(fisico e naturalista), l'inglese Davy, l'italiano Volta, per non menzionare che i
principali.
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FISICA/MENTE
E' una tesi di storici recenti che, per quanto riguarda la concezione della
scienza e il suo ruolo nella società la Rivoluzione Francese - cioè gli uomini che
in essa operarono - aveva, per così dire, due anime, non sempre apparentemente
conciliabili. I due aspetti possono riassumersi, in poche parole
A. Concezione umanitarista associata all'idea di una scienza popolare (che si
riallaccia certamente alla tradizione illuminista dell'Enciclopedia).
B. Concezione razionalista come proiezione nella concezione del mondo e
nell'azione umana della Scienza "razionale" (D'Alembert e Lagrange).
Vediamo di caratterizzare i due punti, compatibilmente con il taglio, e con i
limiti che ci siamo proposti.
La "Enciclopedia o Dizionario ragionato delle Scienze, Arti e Commerci",
compilato dalla Società degli Uomini di Lettere - vi contribuirono Diderot e
D'Alembert - si proponeva fra l'altro di elevare il lavoro degli artigiani, di
portarlo ad una consapevolezza maggiore. Esso era considerato la base della vera
scienza. Per Diderot questo programma rappresentava una ripresa dello spirito
baconiano ed egli si vantava di avere insegnato ai francesi a leggere Bacone.
L'articolo "Chimica" dell'Enciclopedia fu scritto da Rouelle: egli invocava un
nuovo Paracelso, dotato di un acuto senso tecnico per penetrare al di là della
fisica - (si ricordi la contrapposizione fra tecnica e scienza ad es. nell'opera
dell'occhialaio Dolland), ma con uno spirito ed un'immaginazione uguale a
quella dei filosofi pre-newtoniani. Secondo
questo modo di vedere, la chimica aveva dentro di sé la doppia lingua, la
popolare e la scientifica; la fisica è superficiale, la chimica profonda, il fisico che
nega esistenza ad entità come il giallo (riferimento alla teoria newtoniana dei
colori) e il fuoco (riferimento alla nascente teoria cinetica del calore) è
semplicemente presuntuoso, egli brutalmente polverizza, incendia, distrugge, il
chimico non analizza (il chimico pre-Lavoisier, intende), ma "indovina".
Nella sua "Interpretazione della Natura", Diderot richiama l'attenzione su
Franklin e il suo metodo che faceva poco ricorso alla matematica: la matematica
è più che inumana, è arrogante, "orgogliosa", la pratica manuale invece dà un
potere di divinazione, cioè l'abilità di subodorare come devono andare le cose in
natura; l'arma della scienza non è l'astrazione matematica ma la penetrazione
morale della natura. Diderot frequenta corsi di chimica, legge il naturalista
Buffon, studia la natura solo per conoscere se stesso. Egli capovolge il tema di
Descartes di arrivare alla natura partendo dall'io.
Non sorprende che questa componente sfoci nell'anti intellettualismo e
nell'opposizione alla scienza ufficiale, la scienza matematizzante, con
larga accezione del termine, contro la scienza newtoniana: l'opposizione arrivò
sino alle forme più esasperate nel periodo Giacobino (1792-94). La chiusura
dell'Accademia delle Scienze (1793) e l'esecuzione di Lavoisier (1794) non
possono attribuirsi solamente a questa componente: l'Accademia era
l'espressione del potere reale e del ministro del re, alcuni dei suoi soci erano
nobili e Lavoisier oltre ad essere grande scienziato ricopriva anche l'ufficio di
esattore delle tasse, inviso al popolo. Ma qualche autore sostiene che quella
componente servì, se non a determinare alcuni dì questi passi, quanto meno a
cercare di giustificarli nel periodo più tragico del terrore.
L'atteggiamento della Rivoluzione verso la scienza era, come accennato,
ambivalente: se da una parte era anti intellettualista perché sosteneva uno spirito
popolare comunitario e temeva l'affermarsi di una élite scientifica, dall'altra
esaltava la ragione e la scienza e chiedeva agli scienziati l'aiuto tecnologico
necessario alla vittoria nella guerra e allo sviluppo della Repubblica nella pace. E
con ciò veniamo alla seconda componente.
La Rivoluzione nel complesso influenzò profondamente lo stato
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dell'intellettuale scientifico, gli conferì sia prestigio politico che responsabilità
amministrativa innalzandolo con ciò nella considerazione sociale della comunità.
Inoltre la Rivoluzione aveva spianato il cammino dell'educazione scientifica per
un gran numero di componenti della piccola borghesia.
Nel settembre 1793 il Comitato di Salute Pubblica nomina la Commissione
dei Pesi e delle Misure incaricata di introdurre il sistema decimale, di cui fanno
parte Monge, Borda, Lagrange, Laplace, Delambre, Coulomb, Berthollet,
Lavoisier.
Nel 1972 Condorcet, amico di D'Alembert e suo biografo, trasmise
all'Assemblea legislativa l'eredità degli enciclopedisti nel famoso rapporto e
progetto di decreto per l'organizzazione dell'istruzione pubblica:
"Tutti gli errori di governo e sociali si basano su errori filosofici i quali, a loro
volta, derivano da errori nelle scienze naturali".
"... In generale qualsiasi autorità di qualsiasi natura in qualunque modo
acquisita e da chiunque posseduta diventa un nemico naturale dell'istruzione"
Egli venne bandito dalla Convenzione e si rifugiò in una soffitta di Parigi,
dove scrisse il Saggio sul Progresso Intellettuale del Genere Umano, ma pare
che il suo rapporto, per quanto per certi aspetti non troppo gradito a Napoleone,
divenne un documento base nella ricostruzione del sistema educativo francese
intrapreso da Napoleone. Monge (con Fourcroy ) compilò i progetti dell'École
Polytechnique, la celebre scuola destinata alla formazione dello stato maggiore
dell'esercito e della burocrazia. Monge segue Napoleone nel 1796 nella
Campagna d'Italia e Berthollet, Monge, Fourier seguono, assieme ad altri
scienziati, Napoleone nella campagna d'Egitto. Al posto dell'Accademia fu
fondato l'Institute de France, nella cui prima classe delle scienze erano
rappresentati, con Napoleone, tutti i più illustri scienziati di Francia,
Cuvier, come segretario dell'Institute indirizzò a Napoleone il Rapporto
Storico sul progresso delle Scienze Naturali dopo il 1789 e loro stato attuale,
Laplace gli dedicò un volume della Meccanica Celeste e il Trattato del Calcolo
della Probabilità. Ed infine un cenno alle più importanti fra le istituzioni e
scuole scientifiche che furono istituite in Francia in questo periodo. In esse
insegnavano gli scienziati e ricevevano in compenso un salario. Ciò comportava
un rapporto differente con la ricerca; si può parlare in questo senso di
professionalizzazione dell'attività scientifica, avvenuta in Francia (e poi negli
altri paesi europei) all'inizio di secolo XIX. La "École Polytechnique", fu fondata
nel 1794, per dare una formazione comune agli ingegneri civili e militari. Monge
fu uno dei suoi fondatori. Fra le materie insegnate si dava il nome di "Fìsica",
allo studio della materia, ed era suddivisa in fisica generale e chimica. A
quest'ultima veniva dedicata, in numero di ore, lo stesso tempo dedicato alla
meccanica, geometria analitica e architettura. Dall' École Polytechnique si poteva
accedere alle scuole specializzate di Artiglierìa, Ingegneria militare, Miniere. Nel
1802 Berthollet vi tenne un corso di chimica teorica applicato all'industria. Vi
erano esami di ammissione, su programma di matematica, meccanica etc. gli
studenti ricevevano un piccolo salario sino al 1805, anno in cui gli statuti
richiedevano un pagamento di 800 franchi. Nel 1804 fu riorganizzata da
Napoleone, con una forte militarìzzazione.
Altre istituzioni: l'École Normale per l'aggiornamento degli ìnsegnanti, il
"Boureau des Longìtudes", il "College de France" fondato nel 1530, la Facoltà di
Scienze dell'Università di Parigi. Quest'ultima fu fondata da Napoleone nel 1808,
per cercare di centralizzare il sistema scolastico, dall'università alle scuole
primarie, modello esportato poi nel Lombardo Veneto ed in Toscana. Altre
facoltà dì Scienze dell'Università furono fondate a Bruxelles, Pisa, Torino,
Ginevra, Strasbourg, Toulouse etc.
Napoleone cercò di incoraggiare in vari modi l'agricoltura, la chimica,
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anche mediante elargizione di notevoli somme in denaro, ad es. all'industria della
seta a Lione; alla manifattura dello zucchero, alla ceramica, alla produzione della
soda, .......
In questo nuovo clima, che prevedeva anche la vittoria della ragione sulla metafisica e
sulla superstizione, si situano le nuove ricerche in tutti i campi della scienza e, in particolare,
nell'elettricità e nel magnetismo.
LA NATURA ANIMALE DELL'ELETTRICITA': LUIGI GALVANI
Nel 1791 fu pubblicata una memoria del medico anatomista bolognese Luigi
Luigi Galvani
Galvani (1737-1798), De viribus electricitatis in motu musculari commentarius. In tale
memoria, che segna la nascita dell'elettrofisiologia, Galvani esponeva la teoria dell'elettricità
animale, frutto di una lunga indagine sperimentale iniziata nel 1780 dopo una fortuita
osservazione. Così nel 1791, egli racconta l'episodio:
Disseccai una rana, la preparai come indicato nella figura [seguente] e la
collocai sopra una tavola sulla quale c'era una
macchina elettrica, dal cui conduttore era completamente separata e collocata a
non breve distanza; mentre uno dei miei assistenti toccava per caso leggermente
con la punta di uno scalpello gli interni nervi crurali di questa rana, a un tratto
furono visti contrarsi tutti i muscoli degli arti come se fossero stati presi dalle
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più veementi convulsioni tossiche. A un altro dei miei assistenti che mi era più
vicino, mentre stavo tentando altre nuove esperienze elettriche, parve di
avvertire che il fenomeno succedesse proprio quando si faceva scoccare una
scintilla dal conduttore della macchina. Ammirato della novità della cosa, subito
avvertì me che ero completamente assorto e meco stesso d'altre cose ragionavo.
Mi accese subito un incredibile desiderio di ripetere l'esperienza e di portare in
luce ciò che di occulto c'era ancora nel fenomeno.
Galvani ripeté più volte l'esperienza e trovò che, senza dubbio, ogni volta che dalla macchina
scoccava una scintilla, i nervi della rana, toccati con un conduttore, si
La contrazione dei muscoli di una rana quando un arco metallico tocca simultaneamente i
nervi lombari ed i muscoli della zampa
contraevano (stessi risultati per differenti animali sia a sangue freddo che a sangue caldo e
per la macchina elettrostatica sostituita con una bottiglia di Leida). Era l'indizio di una
scoperta che poteva rivelarsi importante. Vi era una sorta di rivelatore di elettricità con
caratteristiche del tutto diverse da quelli fino ad allora conosciuti (basati su strofinio ed
induzione). Galvani si propose di verificare se lo stesso effetto era provocato anche
dall'elettricità atmosferica e per farlo fissò, con un gancio di rame, i muscoli delle zampe di
una rana ad un lungo conduttore disteso sulla sua terrazza (con una estremità sollevata verso
il cielo e con l'altra immersa nell'acqua del pozzo). Ebbe così modo di osservare che quante
volte erompeva la folgore tante volte, nello stesso momento, tutti i muscoli erano
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Esperienza di Galvani sugli effetti dell'elettricità atmosferica
presi da veementi e molteplici contrazioni. Galvani osservò molte altre cose nel suo ripetere
esperienze in tutti i modi possibili ed in tutte le condizioni (appese
Varie esperienze di Galvani
Altre esperienze di Galvani
molte rane con dei gancetti di rame alla ringhiera di ferro della sua terrazza per osservare gli
effetti dei fulmini ma anche del ciel sereno). Una delle sue osservazioni, a posteriori, risulterà
estremamente importante: ogni volta che l'arco di scarica toccava simultaneamente i nervi
lombari ed i muscoli della coscia si avevano contrazioni ma queste erano molto più
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accentuate se l'arco di scarica, anziché essere di un solo metallo, era bimetallico (ferro e rame
o, meglio, ferro e argento):
se l'arco fosse stato di ferro e di ferro l'uncino, molto spesso le contrazioni
mancavano o erano eccezionalmente esigue. Se invece uno di essi fosse stato,
per esempio, di ferro e l'altro di rame o, molto meglio d'argento (l'argento infatti
ci apparve più idoneo tra gli altri metalli a trasportare l'elettricità animale) si
producevano contrazioni assai più evidenti e assai più a lungo.
Dall'insieme delle sue osservazioni, Galvani ricavò alcune conclusioni in analogia alla
scarica di un condensatore: da un lato vi sono le armature del condensatore che nel nostro
caso sono il nervo lombare ed il muscolo della rana; l'arco di scarica è il metallo conduttore
che ha la proprietà di trasferire il fluido elettrico da un'armatura all'altra provocando la
contrazione del muscolo. In questo senso si parla di elettricità animale: è l'animale che
fornisce il fluido elettrico che agisce in modo fisiologico.
Questi fatti mi procurarono non lieve ammirazione, e incominciò a sorgermi
qualche dubbio circa un'elettricità inerente allo stesso animale. Mi sembrò che,
durante il fenomeno, il fluido scorresse dai nervi ai muscoli e si formasse il
circuito come in una bottiglia ài Leida.
...
Dalle cose finora conosciute ed esplorate, stimo che risulti abbastanza
chiaramente che risiede negli animali un'elettricità che mi sarà permesso di
chiamare con Bertholonio [l'abate Bertholon che scrisse un libro dal titolo
L'elettricità del corpo umano, ndr] ed altri col termine generale di elettricità
animale(5).
Galvani passò quindi a mostrare che l'elettricità animale ha le stesse caratteristiche di
quella delle macchine elettrostatiche. Sulla cosa tornò in un'altra memoria del 1795 ma
pubblicata nel 1797, e redatta in forma di lettera a Spallanzani, ma non aggiunse cose di
rilievo.
L'INIZIO DI UNA NUOVA ERA: ALESSANDRO VOLTA
Alessandro Volta (1745-1827), che abbiamo già incontrato, era venuto a
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Alessandro Volta
conoscenza del lavoro di Galvani ma era molto scettico sull'idea dell'elettricità animale. A
parte alcuni pesci che, come la torpedine erano dotati di elettricità, l'idea non lo convinceva.
Su sollecitazione dei suoi colleghi dell'Università di Pavia, iniziò a ripetere gli esperimenti di
Galvani il 24 marzo del 1792. Solo pochi giorni dopo, il 3 aprile, scrisse a Galvani queste
parole:
Eccomi convertito, dacché cominciai ad essere testimonio oculare e spettatore io
stesso dei miracoli, e passato forse dall'incredulità al fanatismo.
Qualche giorno dopo (5 maggio) in una conferenza all'Università (poi riportata in Memoria
prima sull'elettricità animale. Discorso recitato nell'aula dell'Università di Pavia in
occasione di una promozione), nell'illustrare le scoperte di Galvani, esaltandole, avanza
qualche dubbio legato principalmente all'insoddisfazione per la mancanza di misure:
che mai può farsi di buono se le cose non si riducono a gradi e misure, in fisica
particolarmente ? Come si valuteranno le cause se non si determina la qualità
non solo, ma la quantità e l'intensione degli effetti ?
ed a ciò aggiunge una osservazione d'interesse relativa al fatto che le rane possono essere al
più degli elettroscopi molto sensibili ... con ciò negando di fatto l'assunto di Galvani che
assegnava alle rane l'origine del fenomeno elettrico. Sembra quasi che l'osservazione sia nata
in Volta mentre pronunciava la conferenza. Sta di fatto che Volta comincia di nuovo a
sperimentare soffermandosi su quel particolare importante al quale abbiamo accennato: gli
effetti di contrazione delle rane sono molto più evidenti quando l'arco scaricatore è
bimetallico. Egli realizza le più varie esperienze mescolando rane e lamine metalliche di
diversi materiali e piano piano
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Alcuni degli arrangiamenti sperimentali di Volta con rane e lamine
metalliche simili e dissimili. Un filo metallico chiude il circuito
va chiarendosi le idee di un problema che lo assillava:
Quello ... di cui non ho potuto ancora trovare una ragione, che mi soddisfi
neppur mezzanamente, si è la necessità dette armature dissimili (...) mi nasce
talvolta il dubbio, se veramente i conduttori metallici, diversi, od applicati in
differente maniera a due luoghi dell'animale altro non facciano dal canto loro,
allorché si viene a stabilire fra essi una comunicazione, che prestar la via al
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fluido elettrico che naturalmente tende a trasportarsi dall'uno all'altro luogo,
come pare si debba credere; se in una parola siano meramente passivi, o non
anzi agenti positivi che muovano cioè di lor posta il fluido elettrico dell'animale,
e da quieto ed equilibrato che era, lo determinano, rompendo essi tal equilibrio,
ad entrare quinci in un'armatura di tal foggia, ed a sortire per l'altra di tal altra
foggia.
Qualche giorno dopo, il 14 maggio, nella sua Memoria seconda sull'elettricità animale
Volta stabilisce che la fisiologia dei muscoli non ha nulla a che vedere con la loro
contrazioni: il fenomeno avviene come reazione secondaria dell'eccitazione dei nervi. E,
discutendo di queste cose, ci racconta di una esperienza che ha realizzato e che sarà una
importante guida per le elaborazioni successive. In qualche modo si è sostituito alla rana.
Sistemata in mezzo alla lingua una moneta d'oro o d'argento, ha provato a toccare con la
punta della lingua le lamine metalliche di cui dispone e, racconta, di aver percepito un sapore
acidulo quando ha fatto arco tra le due parti metalliche con un conduttore. Egli descrive la
cosa così: si sente lo stesso sapore che si percepisce quando si avvicina la lingua al tenue
fiocco e venticello di un conduttore elettrizzato artificialmente a tale distanza che non
iscocchino scintille (è esattamente ciò che accade oggi quando sistemiamo la lingua tra i due
poli di una pila per vedere se è carica o meno). Invertendo poi le parti metalliche il sapore da
acidulo diventa alcalino. Volta ha in mano un utile strumento rivelatore di elettricità (ma è
comunque assai più facile di sentire il sapore acido nella prima maniera, che questo sapore
acre ed urente in quest'altra). In ogni caso, i due diversi sapori gli fanno ipotizzare un verso
diverso di percorrenza del fluido elettrico, anche se non è in grado di stabilire quando entra e
quando esce. La memoria chiude con dei dubbi che Volta si ripropone di risolvere con
ulteriori esperienze.
Nel giugno dello stesso anno, Volta ritorna ancora sull'argomento per sbarazzarsi
dell'elettricità animale e per assegnare i fenomeni elettrici ai metalli:
Son dunque i metalli non solo Conduttori perfetti, ma motori dell'elettricità; non
solo prestano la via facilissima al passaggio del fluido elettrico, che trovandosi
già sbilanciato tende a portarsi dal luogo in cui sovrabbonda a quello che
rispettivamente ne scarseggia; ma van producendo essi stessi e provocando un
tal quale sbilancio con estrarre di codesto fluido ed introdurne, dove pur trovasi
in giusta dose ripartito, non altrimenti che avvieni con lo stropicciamento degli
idioelettrici ... Ella è questa una nuova virtù de' metalli, da nessuno ancora
sospettata, che le mie sperienze mi hanno condotto ad iscoprire.
Si intravede nello sbilanciamento di cui parla Volta, quella che noi oggi chiamiamo
differenza di potenziale. Ma il principio dello spostamento di fluido elettrico dovuto al
contatto di due metalli diversi lo porta subito ad ideare tutta un'altra serie di esperienze con i
più diversi materiali arrangiati in modo diverso tra loro. Il fine, per ora, era quello di
costruirsi una sorta di graduatoria o scala di coppie di metalli che dessero migliori risultati.
A queste esperienze Galvani rispose con un'altra del 1794: dissezionata una rana egli la
piegò in modo che i nervi crurali toccassero direttamente i muscoli delle cosce (si eliminava
l'intermediazione metallica dell'arco scaricatore); ebbene, anche in questo caso vi erano le
contrazioni dei muscoli.
Volta ampliò allora la sua teoria del contatto e dello sbilanciamento: non solo i
conduttori metallici ma anche quelli non metallici, presentano lo sbilanciamento. Per fare
chiarezza Volta chiamò i primi conduttori di prima classe ed i secondi conduttori di seconda
classe. Come osserva Gliozzi, qui vi è una operazione dogmatica di Volta che inverte i
termini del problema: egli dice infatti che ogni volta che compare uno sbilancio elettrico,
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deve esservi il contatto tra conduttori eterogenei. La posizione non sarebbe stata sostenibile
se Volta non avesse scoperto qualche tempo dopo la possibilità di avere elettricità di contatto
con mezzi puramente fisici, servendosi del duplicatore che William Nicholson (1753-1815)
aveva realizzato nel 1788 (che nasceva come macchina elettrostatica ma che era in realtà un
sensibilissimo strumento in grado di rilevare piccole quantità di elettricità)(6).
A questo punto Volta iniziò a concentrarsi sul come rendere più evidente, sul come
moltiplicare, il fenomeno elettrico originato dallo sbilancio di due soli metalli (conduttori di
prima classe) messi a contatto. Inizia così una lunga serie di esperienze con le catene di
conduttori di prima classe, di seconda classe e di prima e seconda classe. Nel 1796-1797
scopre che una catena aperta (quando la catena è costituita da differenti metalli ed ha agli
estremi due metalli differenti) di
Varie sistemazioni in catene di conduttori realizzate da Volta e
riportate in una sua Lettera al Professore Gren di Halla (1° agosto
1796)
conduttori di prima classe si ha uno sbilanciamento pari a quello che si avrebbe mettendo
direttamente in contatto il primo e l'ultimo metallo. Conseguenza di ciò è che in una catena
chiusa (quando agli estremi si ha lo stesso metallo) non si ha alcuno sbilanciamento.
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Il contatto di conduttori diversi, soprattutto metallici..., che chiamerei
conduttori secchi o di prima classe, con dei conduttori umidi o di seconda
classe, risveglia il fluido elettrico e gli imprime un certo impulso o incitamento.
Non saprei ancora spiegare in che modo ciò avviene, ma basta che ciò sia un
fatto ed un fatto generale. Questo incitamento, sia esso un'attrazione, una
repulsione o un impulso qualunque, è diverso e disuguale, sia rispetto alla
differenza dei metalli che ai diversi conduttori umidi... Cosi ogni volta che in un
cerchio completo di conduttori si pone uno della seconda classe fra due della
prima, differenti fra loro, oppure uno della prima classe fra due, anch'essi
diversi, della seconda classe, si stabilirà, secondo la forza predominante, a
destra o a sinistra, una corrente elettrica, una circolazione di quel fluido che
cessa solo rompendo il cerchio e si ristabilisce non appena il cerchio si
ricostruisce ogni volta (Lettera a Gren del 1796).
Queste cose risultano insuccessi a Volta perché mostrano che dai conduttori di prima classe
non si trae fuori che un piccolo effetto. Nello stesso 1796, il fisico fiorentino Giovanni
Fabbroni (1752-1822) scopre un effetto chimico legato all'elettricità: immergendo in acqua
due lamine di metalli differenti a contatto tra loro, una di esse si ossida. E' invece sul finire
del 1799 che Volta scopre la sistemazione sperimentale che lo porterà al grande successo:
collegando tra loro opportunamente (in un sistema a colonna) delle coppie bimetalliche,
ripetute più volte e disposte nello stesso senso, con l'accortezza di disporre tra una coppia
bimetallica e la successiva un disco di panno inumidito, lo sbilanciamento agli estremi della
colonna è proporzionale al numero di coppie bimetalliche. E' la pila, è un qualcosa di
sensazionale che Volta sa subito rendere oggetto d'uso.
Il 20 marzo del 1800, proprio a chiusura dell'Ottocento, Volta comunica la sua scoperta
con la sua memoria On the Electricity excited by the mere contact of conducting substances
of different kind in a letter from Mr. Alexander Volta to the Sir Joseph Banks. Egli proprio in
apertura dice:
Dopo un lungo silenzio del quale non cercherò di scusarmi, ho il piacere di
comunicarvi, Signore, e, per mezzo vostro, di comunicare alla Royal Society
alcuni stupendi risultati ai quali sono arrivato, facendo molte esperienze
sull'elettricità eccitata dal semplice mutuo contatto di metalli di differenti tipi ed
anche tra quello di altri conduttori, anche differenti tra loro, sia liquidi, sia
contenenti un qualche umore, al quale essi devono propriamente il loro potere
conduttore. Il principale di questi risultati, e che comprende presso a poco tutti
gli altri, è la costruzione di un apparecchio che per gli effetti, cioè per la
commozione che è capace di far risentire nelle braccia, ecc. rassomiglia alla
bottiglia di Leida e meglio ancora alle batterie elettriche debolmente caricate,
che agiscono però senza posa, ossia la cui carica dopo ciascuna esplosione, si
ristabilisce da se stessa, in una parola, che fruisce di una carica indefettibile,
d'un'azione o impulso perpetuo sul fluido elettrico.
Era nato l'organo elettrico artificiale (o apparato elettromotore o apparato a colonna), come
lo chiamò all'inizio volta, la pila come sappiamo noi (con un nome di provenienza francese,
pilière, che si rifaceva alla forma del primo modello di pila). La coppia bimetallica era
costituita da rame e zinco a contatto diretto; ogni coppia era separata dall'altra da un disco
umido di cartone. In questa memoria vi era anche la dimostrazione, mediante l'elettroforo,
che una lamina di rame ed una lamina di zinco che siano a contatto, assumono, al loro essere
separate, carica negativa il rame e carica positiva lo zinco.
Nel seguito di questo lavoro farò il panegirico della pila per tutto ciò che ha comportato,
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paragonabile alla pila di Fermi. Ora propongo alcuni disegni che lo stesso Volta ci presenta
nella sua memoria di vari arrangiamenti della sua pila.
Il primo disegno in alto ci presenta una pila a corona di tazze, pila in cui il panno
inumidito (per il fatto che facilmente si seccava impedendo il funzionamento
dell'apparato) è sostituito da tazze con all'interno il liquido conduttore di seconda
specie. Gli altri disegni sono di pile a colonna con qualche tazza.
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Particolari dei disegni precedenti
Abbiamo a questo punto un apparato che, detto in modo moderno, fornisce corrente in
modo continuo e non più a scintille episodiche. Nasce qui un enorme campo di ricerca che
riguarderà correnti, resistenze, potenziali, differenze di potenziale, circuiti, reti, maglie,
leggi, .... Quindi con Oersted si potrà scoprire che il magnetismo è un effetto che può essere
prodotto dall'elettricità in moto. E da questo nasceranno asimmetrie che saranno punto di
partenza per i lavori di Einstein. Ma anche tutto l'elettromagnetismo, con i lavori di Faraday e
Maxwell, con la corrente industriale per illuminazione, con il telegrafo e la radio. E' proprio
un intero mondo che cambia ad una data legata alla Rivoluzione Francese ed all'inizio
dell'Ottocento. Ma anche gli schemi dell'Illuminismo erano ormai vecchi, si avanza il
Romanticismo, una diversa organizzazione sociale, nasce la classe operaia, le fabbriche, il
taylorismo, ... E' un'era che si avvicina di più alla nostra e che vede nella pila una sorta di
spartiacque.
PARTE 4: DALL'INTRODUZIONE
DEL POTENZIALE AD OHM
INTRODUZIONE
(0)
Nel mese di novembre del 1801, Volta illustrò il funzionamento della sua pila all'Istituto
di Francia, alla presenza di Napoleone Bonaparte che lo insignì di una medaglia d'oro. Nella
sua memoria che riporta il discorso all'Istituto, Memoria sull'identità del fluido elettrico col
fluido galvanico, Volta parla di alcune delle cose che si fanno con la pila come la
decomposizione dell'acqua e le ossidazioni di metalli ed introduce una terminologia di grande
interesse. Parlando di un metallo carico egli introduce il concetto di tensione elettrica che tale
metallo possiederebbe e, parlando di due metalli diversi, come la sua coppia bimetallica, dice
che tra di essi vi è una differenza di tensione. Viene così superato lo sbilanciamento del quale
fino ad ora aveva parlato. Non c'è solo questo ma molte altre osservazioni d'interesse che
Volta continuerà a fare fino alla sua scomparsa.
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E' giusto dire che Volta ha realizzato la prima fonte energetica in oltre 2000 anni.
L'energia chimica diveniva disponibile all'uomo. Che fino a circa il 1860, la sua è stata
l'unica fonte energetica di origine chimica a disposizione dell'umanità. Che la corrente
elettrica divenne un veicolo di distribuzione delle energie da acqua in caduta e dalla
combustione di combustibili fossili.
Volta ha riportato ad un prestigio internazionale la fisica italiana che era stata
mortificata dal processo a Galileo di oltre 150 anni prima. Come sanno tutti coloro che si
occupano di questi problemi, la distruzione di una scuola di pensiero può avvenire in
pochissimo tempo; la sua ricostruzione può richiedere, nell'ipotesi ci si riesca, anche
centinaia di anni. Vi erano le condizioni per una rinascita della scuola di fisica in Italia al
tempo di Volta ? quale era, cioè, la situazione in Italia all'alba del 1800 ? Il Paese era diviso
in una miriade di statarelli in gran parte sotto dominio straniero. Con i Paesi dominanti che
trasferivano influenze su determinati territori, dipendenti da piccoli tiranni volubili o da
governanti fantoccio ma sempre con la supervisione incontrastata della Chiesa di Roma.
L'apertura del nuovo secolo vede l'astro napoleonico che si impadronisce di gran parte
dell'Italia e che, per molti versi, la modernizza. E neanche a dire che in Italia possano nascere
quei movimenti nazionalisti che, pur simpatizzando per l'Illuminismo, non sopportano che
esso sia importato con le armate napoleoniche e reagiscono con movimenti di unità
nazionale. Solo pochi aristocratici colgono il breve periodo per tentare di scacciare i piccoli
tiranni locali e dare al Paese un respiro unitario. Sta di fatto che
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un Paese così diviso, con una enorme ipoteca ecclesiastica, non avrebbe mai potuto dotarsi
di una scienza, di una scuola, di una sua ricerca. Il genio di Volta è un'anomalia. E' un lampo
che si esaurisce in se stesso. Le enormi potenzialità della sua scoperta non saranno sviluppate
e sfruttate in Italia. La mano passerà di nuovo a Francia, Gran Bretagna, Olanda e
intraprendente Prussia. Dalle parti nostre vedremo il fiorire di geniali inventori, di persone
che, in mancanza di finanziamenti, dovranno rendere produttiva la scienza con la
realizzazione di prodotti che si possono vendere (strumenti di misura). In compenso gli
scienziati italiani erano ben coscienti di questo stato di handicap e furono tra quelli che in
gran parte aderirono al movimento risorgimentale, anche in armi, quando se ne presentò la
necessità. La loro prima organizzazione, la Società Italiana per il Progresso delle Scienze
(SIPS), si riunì per la prima volta a Pisa nel 1839(2). Nel sito della SIPS si legge:
Ciò che costituì, fin da principio, un'importante caratteristica delle Riunioni
degli scienziati italiani, fu la larga partecipazione del pubblico colto, a fianco
dei più illustri scienziati. Sebbene - a causa dei tempi avversi e dell'ostilità dei
governi che allora tiranneggiavano l'Italia - non si potesse costituire un
sodalizio nazionale, stabile e legalmente riconosciuto, pure, con il ripetersi di
quei congressi, si riuscì a formare quell'unità spirituale della Nazione, che fu
premessa e fondamento della successiva unità politica. E di ciò danno conferma
gli Atti delle Riunioni, e le testimonianze degli scrittori, italiani e stranieri del
tempo.(3)
Tornando alla pila c'è da dire che essa poneva vari problemi legati alla comprensione dei
meccanismi che sono alla sua base. Molte furono le teorie avanzate ma poco si otteneva
perché mancava la conoscenza della struttura della materia. Fu anche questo il motivo per il
quale occorse molto tempo prima di avere delle pile di uso pratico e comunque di concezione
diversa da quella di Volta. Va certamente ricordato Giuseppe Zamboni (1776-1846) che per
primo costruì una pila a secco. Quindi vi fu Gaston Planté (1834-1879) che nel 1859
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Accumulatore Planté (piombo + acido) ad un elemento
Accumulatore Planté a molti elementi
realizzò l'accumulatore al piombo (con acido) migliorato da Camille Faure (1840-1898) nel
1881(4).
Negli anni si realizzarono diverse decomposizione di sostanze. Dopo l'acqua, Wilhelm
Henry decompose l'ammoniaca, Cruickshank decompose sali metallici, Luigi Valentino
Brugnatelli ottenne le prime ramature, argentature, zincature galvaniche, Davy che disponeva
di importanti finanziamenti, tanto da potersi far
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FISICA/MENTE
La batteria di 2000 pile che nel 1813 Davy si fece sistemare nei sotterranei della Royal
Institution di Londra.
... e la batteria di pile che Napoleone(5) fece realizzare a l'École Polytechnique nello stesso
anno.
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costruire una batteria di pile impressionante, dimostrò che l'acqua non si separa direttamente
ma attraverso l'intervento dell'acido solforico, scompose la potassa scoprendo due nuovi
metalli e mise in funzione un gigantesco arco voltaico, Wollaston iniziò a fornire una qualche
teoria seguito da Theodor Grotthus, ... Questi fatti fecero interessare alla pila i chimici che
iniziarono a fornire spiegazioni sul suo funzionamento (De la Rive nel 1825, Berzelius nel
1812, ...).
A lato di questa frenetica attività che apriva innumerevoli e non pensabili campi di
ricerca, vi fu necessità di accrescere il vocabolario. William Whewell (1833) introdusse il
termine elettrodo. Fu Faraday ad introdurre i termini: elettrolisi, anodo e catodo. S.
Robertson introdusse il termine galvanometro al quale Ampère dette il significato che oggi
accettiamo (alla scomparsa di Ampère, l'unità di misura dell'intensità di corrente fu a lui
dedicata, l'ampere, e lo strumento di misura delle correnti divenne l'amperomentro).
Altri fenomeni particolari che ampliavano le fenomenologie della pila furono quelli
scoperti da Seebeck nel 1822 e da Peltier nel 1834. Il primo scoprì l'effetto termoelettrico
(scaldando la saldatura tra due metalli diversi si può ottenere una differenza di tensione
elettrica; l'apparato è utilizzabile come un sensibilissimo termometro) il secondo l'effetto
inverso (una corrente può scaldare o raffreddare una saldatura bimetallica).
Ed anche l'industria si accorse immediatamente della possibilità di sfruttare la pila di
Volta. Ormai è fuori dalla nostra immediata immaginazione ma la scintilla che si poteva far
scoccare a piacere mediante una pila ebbe applicazione per produrre esplosioni sotterranee
nelle miniere. Ci si poneva a distanza e, come
Un semplice detonatore: collegando i due estremi del
filo ad una pila si ottiene una scintilla tra A e B. Se il
rettangolo di figura è immerso in una sostanza esplosiva
si ottiene l'effetto esplosivo
diremmo oggi, si chiudeva il circuito ... Ma qui intervenne una difficoltà che fece avanzare
ancora la conoscenza: i cavi utilizzati erano dei semplici conduttori che avevano collocazioni
varie ma tutte soggette ad umidità, a bagnarsi, con la conseguenza che il sistema non
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funzionava. Fu allora che si pensò di isolare i cavi conduttori mediante fasciature che piano
piano divennero le guaine isolanti che oggi conosciamo. Così che ai primi dell'Ottocento era
nato il filo elettrico ancora oggi in uso. Ma qui una rapida osservazione puiò essere fatta tra
scienza, uso della scienza e tecnologia. Credo che questo esempio sia emblematico del come
le cose funzionano. Ad evitare l'uso esplosivo della pila cosa si sarebbe dovuto fare ?
Impedire le ricerche di Volta ? e poi, che dire della ricaduta del filo elettrico come prodotto
tecnologico di una applicazione scientifica ?
LA TEORIA DEL POTENZIALE
Come afferma D'Agostino,
"l'importanza della matematizzazione della scienza elettrica che
avvenne a cavallo del secolo va al di là della semplice introduzione
di metodi quantitativi che si era già avuta, come abbiamo visto, nella
seconda metà del '700 - misura delle forze, determinazione di unità
di misura, confronto con forze diverse - metodi pur essi abbastanza
importanti nel costituirsi di una scienza. Ma l'interesse maggiore
della matematizzazione sta qui nell'introduzione, nel campo dei
fenomeni elettrici e magnetici, di un modello matematico-fisico,
quello delle forze centrali e del calcolo. Questo processo avvenne in
Francia intorno al 1820 ed ebbe come massimi rappresentanti
Ampère e Poisson".
E' cioè il modello newtoniano, così come si era sviluppato durante tutto il Settecento ad
opera dei fisici matematici-francesi, che si afferma attraverso l'affermazione delle forze
centrali a distanza come regolatrici di ogni fenomeno ed attraverso la trattazione con l'analisi
matematica di tali fenomeni. La legge dell'inverso del quadrato era stata introdotta da
Newton e Coulomb l'aveva estesa all'elettricità (mentre Michell lo aveva fatto con il
magnetismo). Nessun intermediario nelle azioni. I terminali erano i due oggetti che
producevano il fenomeno ed il mezzo interposto era indifferente.
Relativamente alla meccanica, il primo passo era stato fatto da Giuseppe Luigi Lagrange
(1736-1813) nel 1777. Egli aveva modellizzato lo spazio, le masse e le forze in modo che la
teoria dell'attrazione gravitazionale potesse essere
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Giuseppe Luigi Lagrange
descritta punto per punto, punto al quale si poteva associare una funzione somma di tutte le
masse attrattive, divise ciascuna per la distanza da quel punto. Questa operazione
matematica definisce il potenziale newtoniano (indicato con V, funzione delle coordinate
dello spazio x, y, z) ed è sufficiente per calcolare le forze in gioco punto per punto.
Nel 1782 il potenziale lagrangiano venne ripreso da Pierre Simon de Laplace (1749–
1827), il quale dimostrò che V(x,y,z), potenziale gravitazionale
Pierre Simon de Laplace
newtoniano generato da una massa m nello spazio vuoto circostante, è una funzione scalare
che soddisfa ad una equazione alle derivate parziali, nota come equazione di Laplace:
Simon Denis Poisson (1781-1840) si occupò del problema principalmente in due
memorie una del 1812 e l'altra del 1824. Nell'introduzione alla prima egli afferma:
La teoria dell'elettricità più generalmente accettata è quella che attribuisce i
fenomeni a due fluidi differenti che sono contenuti in tutti i corpi materiali. Si
suppone che molecole dello stesso fluido si respingono reciprocamente ed
attraggono le molecole dell'altro fluido, queste forze di attrazione e repulsione
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obbediscono alle leggi del quadrato inverso della distanza; e alla stessa distanza
il potere attrattivo è uguale al potere repulsivo, da cui segue che quando tutte le
parti del corpo contengono uguali quantità dei due fluidi, questo non esercita
alcuna influenza sui fluidi contenuti nei corpi circostanti e di conseguenza non
sono discernibili effetti elettrici
Poisson continua definendo uno stato naturale come equilibrio dei due fluidi, lo stato
metallico come quello in cui i fluidi possono muoversi liberamente mentre sono impediti in
altri, non conduttori, come aria molto secca etc.
Da queste condizioni Poisson deriva i teoremi sulla distribuzione delle cariche; se ad
esempio un eccesso di fluido viene comunicato ad un corpo
Siméon Denis Poisson (1781 - 1840)
metallico, questa carica si distribuisce sulla superficie formando uno strato il cui spessore
dipende dalla curvatura della superficie, a forza risultante dovuta alla repulsione di tutte le
particelle dello strato deve essere nulla in un punto qualsiasi interno del conduttore (ma non
sulla superficie), per la condizione di equilibrio precedente.
In una memoria del 1813 (Bulletin de la Societé Philomatique) egli estende l'uso
dell'equazione di Laplace al caso elettrico. L'equazione di Poisson è:
dove V(x,y,z), in analogia con quanto visto per il caso gravitazionale, rappresenta la somma
di tutte le cariche del sistema esterno, divise ciascuna per la distanza da quel punto ed
ognuna diversa per la sua distanza dal punto in cui la laplaciana si calcola. L'equazione non
è più omogenea (cioè eguagliata a zero) ma dipende dalla densità r della carica elettrica
presente nel punto preso in considerazione. Nella stessa memoria Poisson richiama
l'attenzione sul fatto che V è una funzione utile nelle ricerche elettriche e che il suo valore
sulla superficie dei conduttori deve essere costante.
Il ricondurre l'elettricità ed il magnetismo (come lo stesso Poisson farà in una memoria
successiva, quella del 1824: Memoire sur la théorie du magnetisme) sotto l'ala rassicurante
del calcolo, darà a queste discipline la dignità scientifica che all'epoca si richiedeva ed aprirà
a speculazioni sempre più approfondite e raffinate. Sullo stesso argomento intervennero
anche Gauss (1777-1855) nel 1839-1840,
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Johan Carl Friedrich Gauss
Green (Essay on the Application of Mathematical Analysis to Theory of
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George Green
Electricity and Magnetism) nel 1828, Mossotti (1791-1863) nel 1847.
Ottaviano Fabrizio Mossotti
NATURA ELETTRICA DEL MAGNETISMO
L'Ottocento è il secolo del Romanticismo, ed in particolare di Schelling, il fondatore
della Naturphilosophie.
Friedrich Wilhelm Joseph Schelling
1775 -1854
Secondo Schelling il meccanicismo fisico non rende ragione dell'esistenza della natura.
La concezione meccanicista di materia come un qualcosa di inerte fino a che su di essa non
agiscono forze, entità diverse e separate dalla materia è, secondo Schelling, l'ammissione di
una discontinuità tra materia e spirito (tra natura e uomo) che non corrisponde alla unità
originaria di queste due entità, per esempio, nell'organismo vivente. Schelling sostiene (tra il
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1797 ed il 1799) che è lo spirito (le forze) che si organizza in materia e pone quindi le forze,
agenti tra punti inestesi (alla Boscovich), con i loro "conflitti e trasformazioni" alla base
dell'esistenza del mondo (dinamismo fisico). Non c'è più materia allora ma c'è una particolare
modificazione di una determinata zona dello spazio dovuta appunto ai conflitti ed alle
trasformazioni delle forze (spirito) eterne e preesistenti. Questo rifiuto netto del
meccanicismo, e più in generale del metodo scientifico, non nasce casualmente in questo
periodo.
Le differenti scoperte in ambito elettrico e magnetico, che il meccanicismo non aveva
ancora spiegato esaurientemente, avevano aperto campi di indagine e di polemica in cui si
inserirono efficacemente le speculazioni romantiche nella loro offensiva generale contro il
meccanicismo. Certamente al culmine del meccanicismo, quando l'azione istantanea a
distanza lungo la congiungente gli « oggetti » era alla base di tutte le teorie fisiche, nessuno
avrebbe pensato di ottenere un qualche risultato progettando esperienze che si ponevano a
priori in contrasto con le premesse di principio ed in particolare con quel tipo di azione. È
quindi proprio sotto l'influenza ideologica della Naturphilosophie che il fisico danese Hans
Christian Öersted (1777-1851) progettò ed effettuò una memorabile esperienza che scosse
profondamente l'edificio meccanicista.
Hans Christian Öersted
Per la prima volta, dopo più di 130 anni di rassicuranti azioni 'rettilinee a distanza',
veniva evidenziata una azione totalmente differente: un filo conduttore, se disposto
parallelamente ad un ago magnetico, vede l'ago ruotare di 90º e disporsi perpendicolarmente
al filo, quando in esso viene fatta circolare corrente.
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Esperienza di Oersted
Questo tipo di azione si svolge su di un piano perpendicolare alla congiungente filo ago e consiste in una rotazione dell'ago medesimo risultando, come dice Oersted, 'circolare'.
Oersted, nel condurre l'esperienza, muove l'ago nello spazio circostante il filo e si accorge
che, se la rotazione avviene in un senso con l'ago disposto sotto il filo, essa avviene in senso
opposto se si dispone l'ago sopra il filo. Per Oersted quindi, le forze magnetiche sono
distribuite nello spazio che circonda il filo e, data la simmetria degli spostamenti dell'ago,
conclude che le forze magnetiche sono costituite da cerchi "poiché è nella natura dei cerchi
che movimenti da parti opposte debbano avere opposte direzioni" (oggi diremmo che le linee
di forza del campo magnetico intorno ad un filo rettilineo percorso da corrente, sezionando il
filo con un piano ad esso perpendicolare, hanno la forma di circonferenze concentriche al
filo).
Questo tipo di azione non è più riconducibile alle forze centrali. Sono proprio le forze
secondo un moderno modo di vedere, che riempiono tutto lo spazio e quindi che esistono sia
lungo la congiungente filo-ago sia lungo la normale a questa congiungente che rendono
possibile la deviazione dell'ago. Lo stesso Öersted sostiene:
« ... Il conflitto elettrico non è racchiuso nel conduttore ma, come abbiamo già
detto, è al medesimo tempo disperso nello spazio circostante, e ciò è ampiamente
dimostrato da tutte le osservazioni fin qui fatte... ».
Riferendosi poi all'effetto di simmetria da lui riscontrato nel disporre l'ago magnetico al di
sopra o al di sotto del filo percorso da corrente dice:
« ... In maniera simile è possibile dedurre da quanto abbiamo osservato che
questo conflitto agisce circolarmente perché questa sembra essere una
condizione senza la quale è impossibile che la medesima parte del filo di
congiunzione, che quando sta sotto il polo magnetico lo fa spostare ad est, lo fa
spostare invece ad ovest quando è posta sopra di esso. Perché è nella natura dei
cerchi che moti in parti opposte abbiano direzioni opposte... ».
La Naturphilosophie aveva la sua base sperimentale e l'esperienza di Öersted se da una
parte si opponeva alle teorie meccaniciste, dall'altra affermava l'esigenza del metodo
scientifico (negata da Shelling): le forze o chi per esse preesistono nella « natura » solo se,
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andandole a cercare, le troviamo. Comunque questa osservazione non fu fatta all'epoca e
l'esperienza di Oersted suscitò un interesse ed un fermento di ricerca che tanti risultati
avrebbero dato allo sviluppo della scienza.
Il quadro concettuale nel quale questa esperienza irrompeva era quello newtoniano che si
era affermato a partire dalla scoperta della gravitazione universale (Newton, 1685). Al di là
dell'aspetto matematico (proporzionalità tra masse che interagiscono e dipendenza
dall'inverso del quadrato della distanza tra i loro centri), questa legge
sottintende che:
1) l'azione tra le due masse è rettilinea, avviene cioè lungo la retta che unisce i centri delle
stesse;
2) l'azione è a distanza, non ha cioè bisogno di intermediari per agire tra le due masse;
3) l'azione è istantanea, non richiede cioè tempo per propagarsi (essa si propaga quindi con
velocità infinita).
Tutto il Settecento visse sotto l'autorevole influsso di Newton e quindi alla ricerca di
azioni del tipo di quelle descritte. Così John Michell nel 1750 provò a dare una stessa legge
per le forze che si esercitano tra poli magnetici trovando un qualcosa di simile (a parte la
definizione dei poli con p):
(proporzionalità tra 'poli' che interagiscono e dipendenza dall'inverso del quadrato della loro
'distanza'), legge che non funziona e Coulomb ricavò (1785) la legge di forza tra cariche
elettriche (a parte la definizione della definizione di carica con q):
(proporzionalità tra cariche che interagiscono e dipendenza dall'inverso del quadrato della
distanza tra i loro centri), legge che funziona solo a certe condizioni: cariche puntiformi, a
grande distanza, …. Insomma tutti i fisici tentavano di trovare leggi alla Newton e nel far ciò
avrebbero certamente disposto i loro strumenti di misura 'tra' i due oggetti che andavano ad
interagire.
Questo quadro interpretativo, per la verità poco fecondo, viene sconvolto dall'esperienza
di Oersted che, come già detto, era un convinto sostenitore di Schelling che in particolare
riteneva le forze sparpagliate dappertutto con i loro conflitti e trasmutazioni che creano il
mondo.
SEGUITO DELLA STORIA
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FISICA/MENTE
Questi argomenti sono stati già da me trattati e non mi ripeto oltre rimandando ad essi(6).
Voglio invece sottolineare un paio di cose per capire meglio dove siamo e dove andiamo.
Disponendo di un generatore di corrente continua, come una pila, è possibile mostrare
effetti altrimenti impensabili. Naturalmente non bastano gli apparati sperimentali, occorre
anche essere guidati da un pregiudizio, in questo caso dal conflitto di forze.
Oersted mostra, in linguaggio moderno, che una corrente elettrica provoca effetti
magnetici e Faraday mostrerà che il magnetismo produce elettricità. Da questo momento il
magnetismo diventa un capitolo della più generale scienza elettromagnetica (resta sempre lo
studio dei fenomeni legati ai materiali magnetici ma sarà piuttosto un problema di struttura
della materia). Finché la luce non sarà inglobata nel più generale elettromagnetismo,
rendendo l'ottica un suo capitolo. E la misura della sua velocità ci riporterà a vicende
meccaniche con conseguenze impensabili ancora alla fine dell'Ottocento.
Il campo di indagine diventa immenso e sarà occupato successivamente dai grandi fisici
dell'Ottocento e dei primi del Novecento, tra i quali giganteggiano Ampère, Ohm che
formulerà le leggi della corrente fornita da una pila, Faraday, Maxwell, Hertz, W. Thomson,
Lorentz, Einstein.
L'INTERVENTO DI AMPÈRE
Tra i primi ad iniziare ricerche per trovare correlazioni tra fenomeni elettrici e magnetici
che in qualche modo rendessero meglio conto dell'esperienza di Oersted per cercare di
ricondurla nell'ambito delle forze centrali, furono i meccanicisti (Biot, Arago, Ampère ed
altri). La memoria di Öersted fu comunicata all'Académie des Sciences di Parigi nel
settembre del 1820 da Arago. Subito, in settembre, partirono le prime ricerche sperimentali
degli scienziati francesi. In quello stesso mese ed in quelli immediatamente successivi
Ampère lesse all'Académie una serie di note in cui riuscì in un impresa da tutti ritenuta
impossibile: quella di ricondurre le forze del tipo di quelle osservate da Oersted al caso delle
forze centrali.
Prima di passare ad un qualche approfondimento sull'opera di Ampére è bene osservare
che, fra le comunicazioni all'Académie ve ne furono due di una certa importanza fatte da Jean
Baptiste Biot (1774-1862) e Felix Savart (1791-1841). Anche se non c'è una precisa
documentazione scritta, risalente all'epoca
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Jean Baptiste Biot
delle comunicazioni all'Académie, sulle ipotesi e sugli esperimenti da cui mossero Biot e
Savart, che permetta un giudizio critico sul loro contributo alla spiegazione
Felix Savart
delle «forze di Oersted », i due fisici riuscirono a fornire una determinazione molto accurata
della legge di forza tra corrente ed ago magnetico. Alla determinazione di questa legge, nella
sua forma integrale definitiva, contribuì anche Laplace come ricorda Biot:
... Egli(Laplace) ha dedotto matematicamente dalle nostre osservazioni la legge
della forza esercitata singolarmente da ogni tratto di filo su ogni molecola
magnetica ad esso esposta. Questa forza è diretta, come l'azione totale,
perpendicolarmente al piano formato dall'elemento longitudinale di filo e dalla
più breve distanza tra questo elemento e la molecola magnetica sollecitata. La
sua intensità, come nelle altre azioni magnetiche è inversamente proporzionale
al quadrato di questa stessa distanza
Come si vede, anche questa è una legge che ha una grande analogia formale con quella
di Coulomb e quella di Newton: l'andamento con l'inverso del quadrato della distanza ed il
riconoscimento stesso di un'azione a distanza bastano per ora a far intravedere la presenza
rassicurante di Newton e ad allontanare lo spettro delle forze « disordinate » ed « in
permanente conflitto ».
Il contributo di Ampère (1775-1836), come è stato già detto, fu più preciso e
determinante. Egli nella sua prima nota del 18 settembre all'Académie annunciò la scoperta
delle azioni ponderomotrici tra correnti elettriche, nelle immediatamente
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FISICA/MENTE
André Marie Ampère
successive illustrò meglio il fenomeno con dovizia di particolari, di sperimentazioni diverse,
di interpretazioni teoriche. Seguiamo con un poco di attenzione l'opera di Ampére. Egli
studiando l'azione che si esercita tra due correnti (43) scrive (44):
... I due conduttori si trovano così paralleli e vicini l'un l'altro su di un piano
orizzontale; uno di essi può oscillare intorno alla linea orizzontale passante per
le estremità dei due punti di acciaio, e, in questo movimento, esso resta
necessariamente parallelo all'altro conduttore (che è) fisso...
Ampére inizia a studiare due conduttori rettilinei disposti parallelamente ed in grado di
muoversi parallelamente l'uno rispetto all'altro. In questo caso si ha attrazione o repulsione (a
seconda del verso delle correnti nei due fili). Il problema che Ampére aveva bene in mente
era però quello della rotazione dell'ago magnetico di Öersted ed allora egli monta l'esperienza
in modo da avere un filo rettilineo fisso ed un altro in grado di ruotare su di un piano
parallelo al primo (44):
... Se il conduttore mobile, invece di essere costretto a muoversi parallelamente a
quello fisso, è libero soltanto di girare su di un piano parallelo a questo
conduttore fisso, intorno ad una perpendicolare comune passante per i loro
centri, è chiaro che, secondo la legge che abbiamo appena ammesso per le
attrazioni e repulsioni delle correnti elettriche, le due metà di ogni conduttore
attireranno e respingeranno quelle dell'altro, secondo che le correnti siano
concordi o discordi; per conseguenza il conduttore mobile girerà fino a quando
esso arriva in una situazione in cui si trovi parallelo a quello fisso, e in cui le
correnti siano dirette nello stesso senso: da cui segue che nell'azione mutua di
due correnti elettriche l'azione direttrice e l'azione attrattiva o repulsiva
dipendono da uno stesso principio e non sono che effetti differenti di una sola e
medesima azione.
Nel caso quindi in cui uno dei due conduttori in esame è libero di ruotare esso tende a
disporsi parallelamente al primo. In definitiva, secondo Ampère, due correnti non parallele
tendono a disporsi parallelamente. Questo primo ragionamento, confortato dall'esperienza, è
il nocciolo su cui si impernia tutta l'ulteriore discussione che porterà Ampère ad ammettere
una sostanziale identità tra correnti e magneti. Egli dice:
Non è più allora necessario stabilire tra questi due effetti la distinzione che è
così importante fare, come vedremo fra poco, quando si tratta dell'azione mutua
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di una corrente elettrica e di un magnete considerato come si fa ordinariamente
in rapporto al suo asse, perché, in questo tipo di azione, i due oggetti tendono a
sistemarsi in direzioni perpendicolari tra loro.
L'ipotesi riduzionista di Ampère non può però prescindere da una « teoria » che vada ad
interpretare il magnetismo come, appunto, originato da particolari correnti. Ed allora un
magnete, ed in particolare un ago magnetico, viene concepito come circondato da correnti
che si avvolgono attorno al suo asse risultando perpendicolari a quest'ultimo.
Ampère passa quindi a sottoporre all'esperienza questa ipotesi cominciando a studiare le
azioni mutue tra correnti e magneti e tra magneti e magneti:
Esaminerò... l'azione mutua tra una corrente elettrica ed il globo terrestre o un
magnete e l'azione mutua di due magneti l'uno sull'altro e mostrerò che esse
rientrano l'una e l'altra nella legge dell'azione mutua di due correnti elettriche
che ho appena annunciato, concependo sulla superficie e all'interno di un
magnete tante correnti elettriche, in piani perpendicolari all'asse di questo
magnete, quante si possono concepire linee formanti, senza intersecarsi
mutuamente, delle curve chiuse; in modo che non mi sembra molto possibile,
dopo il semplice raffronto dei fatti dubitare che non vi siano realmente queste
correnti intorno all'asse dei magneti, o piuttosto che la magnetizzazione non
consiste che nella operazione per la quale si fornisce alle particelle d'acciaio la
proprietà di produrre, nel senso delle correnti di cui abbiamo appena parlato, la
stessa azione elettromotrice che si trova nella pila voltaica... .
E questa azione elettromotrice non è rilevabile perché, come osserva Ampère:
... Solamente, poiché questa azione elettromotrice si sviluppa nel caso del
magnete tra le differenti particelle di uno stesso corpo buon conduttore essa non
può mai... produrre alcuna tensione elettrica, ma solamente una corrente
continua rassomigliante a quella che avrebbe luogo in una pila voltaica
rientrante su se stessa in modo da formare una curva chiusa (45): è abbastanza
evidente... che una tale pila non potrebbe produrre in alcuno dei suoi punti né
tensione né attrazioni o repulsioni elettriche ordinarie...; ma la corrente che si
stabilirebbe immediatamente in questa pila agirebbe, per orientarla, attirarla o
respingerla, sia su un'altra corrente elettrica, sia su un magnete che viene allora
considerato come un insieme di correnti elettriche.
E con queste ultime esperienze in connessione con i termini teorici (le ipotesi
aggiuntive) Ampère riesce a portare a compimento un'operazione che soltanto un mese prima
sarebbe sembrata impossibile: la spiegazione in termini newtoniani dell'esperienza di
Öersted. Nel portare a compimento questo «programma » Ampère arriva anche ad una
importante conclusione che trascende gli scopi per cui aveva iniziato a lavorare:
E' cosi che si arriva a questo risultato inatteso, che i fenomeni magnetici sono
unicamente prodotti dalla elettricità....
Ecco allora su quali ipotesi Ampère trova la legge di forza tra correnti: il magnete è
pensato come un insieme di correnti elettriche nei piani perpendicolari alla linea che unisce i
poli. Questa ipotesi è dunque necessaria ad Ampère, e non accessoria come sembra dalla
lettura di qualche testo od articolo, per ricavare l'azione ponderomotrice tra correnti, per
rendere conto dell'esperienza di Öersted e, infine, per ricondurre le « forze in conflitto »
all'ordine newtoniano.
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FISICA/MENTE
L'introduzione di questa ipotesi spiega bene il perché, contrariamente a due fili percorsi
da corrente che tendono a sistemarsi parallelamente, un ago magnetico tende a disporsi
perpendicolarmente ad un filo percorso da corrente. Quest'ultimo fenomeno è in realtà
analogo a quello dei due fili: sono le correnti che circolano perpendicolarmente al filo e nel
far questo portano l'asse del magnete ad essere perpendicolare al filo stesso come mostrato in
figura:
L'esperienza di Oersted nell'interpretazione di Ampère
Ampère si rende subito conto però che non è possibile ricavare la legge di forza tra due
correnti se non passando attraverso elementi infinitesimi di circuito ed infatti egli trova che:
... L'azione di quelle [correnti] delle quali si possono misurare gli effetti, è la
somma delle azioni infinitamente piccole dei loro elementi, somma che si può
ottenere con due integrazioni successive, l'una da farsi su tutta la lunghezza di
una delle correnti relativamente ad uno stesso punto dell'altra, la seconda da
eseguirsi sul risultato della prima integrazione ... su tutta l'estensione della
seconda corrente...
Anche qui quindi l'espressione della legge che regola l'azione che si esercita tra due
correnti elettriche ha il carattere di azione istantanea a distanza tipico della fisica newtoniana.
È questo un trionfo di Ampère. I fluidi imponderabili stessi, che la Naturphilosophie con
Öersted aveva allontanato dall'indagine fisica rientrano ora di prepotenza sulla scena
impregnando di sé non solo la spiegazione dei fenomeni elettrici ma la costituzione stessa
della materia.
Da un punto di vista analitico la formula che ci presenta Ampère è un capolavoro di
"imbroglio fisico-matematico" che, in nome dell'eleganza e semplicità newtoniana ci spaccia
come azione centrale quella descritta da:
Nella relazione scritta i1 ed i2 sono le correnti che circolano nei due fili, ds1 e ds2 sono gli
elementi infinitesimi dei circuiti 1 e 2, r è il raggio vettore da ds1 a ds2
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FISICA/MENTE
Due circuiti e gli elementi che determinano le attrazioni
(in questo caso) tra correnti
(questa legge, nella semplificazione di correnti rettilinee, parallele e complanari, è quella nota
come azione elettrodinamica tra correnti di Ampère che si studia in ogni corso elementare di
fisica: la forza che si esercita su un tratto di filo di
lunghezza s del conduttore è proporzionale, oltre che a tale lunghezza, alle intensità i1 ed i2
delle correnti che fluiscono nei fili ed inversamente proporzionale alla loro distanza r). Provo
a spiegare l'imbroglio di Ampère. Nella relazione figura il prodotto tra due correnti e, a meno
di costanti, la cosa è formalmente identica a tutte le relazioni che si richiamano alla
gravitazione di Newton. Osservando ancora, in modo superficiale, sembrerebbe che l'r che
compare al numeratore si debba semplificare con l'r3 che compare al denominatore, di modo
che si avrebbe ancora la legge dell'inverso del quadrato. In realtà al numeratore vi è un
doppio prodotto vettoriale e vi sono due integrazioni circolari. A conti fatti la relazione non
c'entra nulla con quella di Newton, soprattutto perché lo svolgimento dei prodotti vettoriali
origina grandezze dipendenti da angoli. E' facile convincersi che mai Newton avrebbe
pensato a forze dipendenti da angoli. Il fatto è che vi era una sorta di religione: non si
riusciva a tagliare il cordone con Newton. Solo Faraday, probabilmente perché outsider,
proveniente non da ambienti accademici, riuscì nell'impresa e demolì ogni interpretazione
newtoniana nell'interpretazione dei fenomeni elettromagnetici.
NECESSITA' DI INTERPRETAZIONI MICROSCOPICHE: LA MOLECOLA
ELETTRODINAMICA DI AMPÈRE
In verità la prima spiegazione che Ampère dà della costituzione elettrica dei magneti, e
che abbiamo appena visto, sarà rivista criticamente un paio di mesi dopo dallo stesso
Ampère. Nella seduta dell'Académie del 15 gennaio 1821 Ampère lesse una memoria in cui
compare per la prima volta, a fianco delle correnti macroscopiche che si muovono
perpendicolarmente su linee chiuse intorno all'asse del magnete, l'ipotesi delle correnti
particellari. Ecco quello che Ampère testualmente sostenne:
... Si tratta di sapere se le curve chiuse secondo le quali hanno luogo le correnti
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elettriche che forniscono all'acciaio magnetizzato le proprietà che lo
caratterizzano, sono situate concentricamente intorno alla linea che unisce i due
poli del magnete, o se queste correnti sono ripartite in tutta la sua massa intorno
a ciascuna delle sue particelle, sempre nei piani perpendicolari a questa
linea... .
C'era dunque da decidere quale di queste due ipotesi fosse quella esatta. Lo stesso
Ampère disse che per fare ciò occorreva attendere finché dei nuovi calcoli e delle nuove
esperienze abbiano fornito tutti i dati necessari alla sua soluzione.
A questo punto interviene Agustin Fresnel (1788-1827) con due lettere private ad
Ampère per suggerire la soluzione al problema. Fresnel nella prima lettera
Agustin Fresnel
confronta, su base sperimentale, le due ipotesi di correnti intorno all'asse del magnete e di
correnti intorno a ciascuna molecola ed arriva alla conclusione che è più verosimile
quest'ultima ipotesi. Nella seconda lettera precisa ulteriormente questo concetto sostenendo:
... è facile vedere che, supponendo le correnti di uguale intensità intorno a tutte
le particelle che si trovano lungo una barra magnetizzata, l'azione dovrà
emanare solo dalla superficie che delimita la barra a ciascuna delle sue
estremità, perché le azioni laterali di tutte le particelle costituenti la barra si
neutralizzeranno dappertutto tranne che nei lati esterni delle particelle che si
trovano alla estremità... .
Riporto, in figura, una sezione di un magnete cilindrico inteso costituito da molecole di
Ampère:
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L'ipotesi del magnetismo di Ampère
E' da notare che Ampère sviluppò anche una teoria sul magnetismo terrestre basata sul
fatto che dovevano esservi delle correnti circolanti da Est ad Ovest sulla Terra.
Da questo punto in poi Ampère userà sempre l'ipotesi di molecola circondata da una
corrente elettrica. Questa molecola elettrodinamica di Ampère è d'importanza fondamentale:
è la prima volta che si passa dalla concezione di correnti infinitesime, senza realtà fisica, che
servono solo per ricavare relazioni matematiche, a correnti reali, anche se ipotetiche, che
circondano le molecole costituenti il magnete. Questa concezione riduzionista di Ampère è in
linea con i tempi e risulterà di estrema importanza per gli sviluppi futuri delle teorie sulla
costituzione degli atomi e dei magneti.
A margine della discussione dei fondamenti della scienza elettromagnetica vi erano altre
questioni che si ponevano a seguito della scoperta della pila e dell'esperienza di Oersted.
La prima questione riguarda questa nuova grandezza che la pila originava, il passaggio
con continuità del fluido elettrico o di quel che si vuole attraverso dei conduttore e, di
conseguenza, la necessità di trovare qualcosa connesso a tale passaggio da misurare ed il
relativo strumento di misura. A quest'ultima esigenza veniva incontro in modo indiretto
l'esperienza di Oersted. Conosciuta l'esperienza furono Ampère e Laplace che si accorsero di
un effetto notevole che si ricavava da essa: se un filo percorso dal fluido elettrico passa sopra
e poi sotto l'ago, si ha un effetto somma della corrente nel senso che si moltiplica la sua
azione sull'ago. Tale eventualità fa si che anche debolissimi fluidi elettrici transitanti in un
filo possono essere rilevati dallo spostamento di un ago magnetico. Si tratta delle scoperta del
principio che porterà alla costruzione dei primi galvanometri (misuratori di deboli correnti) e
dei primi, come successivamente furono chiamati, amperometri (misuratori di correnti
qualunque). Osservo tra parentesi che al fisico francese sono dovuti molti neologismi elettrici
tra cui: galvanometro, elettrostatica, elettrodinamica, solenoide, ... In particolare, anche il
termine corrente elettrica è dovuto a lui. Quando infatti presentò la sua legge sulle azioni
elettrodinamiche, prima si espresse in termini di attrazioni e repulsioni voltaiche e
successivamente in termini di attrazioni e repulsioni tra correnti elettriche.
Fu il fisico tedesco Johann S. Schweigger (1779-1857) che in quello stesso
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Johann S. Schweigger
anno realizzò uno strumento che moltiplicava ancora di più gli effetti di debolissimi flussi di
fluido elettrico facendo passare il filo più volte intorno all'ago mediante il suo arrotolamento
su un telaietto rettangolare.
Moltiplicatore di Schweigger
L'apparato fu ulteriormente migliorato l'anno successivo dallo stesso Ampère che riuscì a
togliere gli effetti di orientamento dell'ago sotto il campo magnetico terrestre con il sistema
statico (due aghi magnetici collegati rigidamente e disposti con le polarità invertite). Ma il
migliore strumento dell'epoca (1825) fu realizzato dal modenese Leopoldo Nobili (17841835) che ebbe l'idea di sospendere il
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dispositivo astatico ad un filo sottile (anziché mantenerlo poggiato su una punta),
Galvanometro di Nobili da www.ct.infn.it/~museo/NOBILI.HTM
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Sistema astatico utilizzato da Nobili
aggiunse una campana di vetro per proteggere l'apparato da eventuale aria e sistemò al di
sotto dell'ago una scala graduata(7).
GEORG SIMON OHM
Con Volta era stato introdotto il concetto di differenza di tensione. Con Ampère quello
di intensità di corrente addirittura con una definizione operativa che permetteva di risalire
alla sua misura attraverso quella di una forza ed alcune lunghezze. Cavendish aveva iniziato a
definire il grado di elettrizzazione di un conduttore e subito Poisson aveva legato questo
concetto a quello di potenziale di Lagrange e Laplace. Restava da capire la relazione esistente
tra differenza di tensione o differenza di potenziale ed intensità di corrente. Intendo dire una
precisa relazione, perché alcune dipendenze erano state trovate: Priestley nel 1767 aveva
tentato di realizzare esperienze per evidenziare le differenze, come diremmo oggi, di
conducibilità per diversi metalli; Davy, in modo indiretto, aveva mostrato che la
conducibilità di un filo è indipendente dalla sua forma e proporzionale al quoziente della sua
sezione per la sua lunghezza; Stefano Marianini (1790-1866) aveva osservato che
aumentando il numero degli elementi di una pila a colonna non si accresce sensibilmente
l'effetto elettromagnetico sull'ago e ne aveva dedotto che ogni elemento bimetallico della pila
deve rappresentare un ostacolo al passaggio della corrente. Non si conosceva altro agli inizi
degli anni Venti dell'Ottocento. Inoltre, come osserva Gliozzi, vi era un atteggiamento strano
verso gli elementi conduttori: tentare di studiarli è perdere del tempo su elementi passivi, con
astruserie senza scopo; e gli scienziati non se ne occupavano. Inoltre, vi erano seri problemi
nelle determinazioni quantitative che nascevano dall'inaffidabilità di caratteristiche delle pile,
che ancora soffrivano di fenomeni come l'ossidazione degli elettrodi che ne variavano le
caratteristiche con il tempo e dalla mancanza di affidabili strumenti di misura ma anche dalla
comprensione complessiva dei fenomeni.
Da un lato si procedeva quindi al perfezionamento ed alla creazione di strumenti sempre
più affidabili (come già visto) e dall'altro si aprì alle ricerche su pile con caratteristiche
diverse (anche qui come già visto). Un tipo speciale di pila che non sfruttava la presenza di
conduttori di seconda specie (l'acqua acidulata), quelli che creavano i problemi, fu realizzata,
come accennato, dal fisico di origine estone Thomas Johann Seebeck nel 1821, 1823 e 1826
(Ueber den magnetismus
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Seebeck
der galvenische kette, Abh. K. Akad. Wiss., Berlin, 289, 1821; Magnetische polarisation der
metalle und erze durck temperatur-differenz, Abh. K. Akad. Wiss., Berlin, 265, 1823; Ann.
Phys., - Leipzig - [2], 6, 1, 1826). Seebeck scoprì che se in un circuito aperto composto da
due conduttori diversi (ferro e platino o bismuto ed antimonio) si portano i punti di contatto a
differenti temperature, alle estremità libere dei conduttori si osserva un tensione elettrica che
è quasi proporzionale alla differenza di temperatura tra i punti di contatto. Se tali estremità
libere si uniscono con un conduttore vi è il passaggio di una corrente elettrica che fa muovere
un ago magnetico (osservo che tale apparato ha avuto ed ha importanti applicazioni utilizzato
alla rovescia, come un termometro sensibilissimo)
Con questo appartato si disponeva di una pila che
fornisse una corrente costante.
Georg Simon Ohm (1787-1854) iniziò ad occuparsi di elettricità nel 1825. Le sue
ricerche furono guidate dall'opera di Jean Baptiste Joseph Fourier (1768file:///C|/$A_WEB/STORIA_ELETTRICITA_MAGNETISMO.htm (96 of 119)28/02/2009 20.54.30
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Joseph Fourier
1830) La théorie analytique de la chaleur (1822). Egli si muove sviluppando l'analogia tra
flusso di elettricità e flusso di calore, in un'epoca nella quale ancora, l'elettricità era intesa
come un fluido allo stesso modo del calore. E come nel caso del calore, il suo flusso è
determinato da differenze di temperatura, nel caso elettrico, il flusso di corrente è
determinato da differenza di forza elettroscopica (o elettromotrice), come Ohm chiama la
differenza di tensione o di potenziale. Nel suo primo lavoro (Schweiggers Journal für Chemie
und Physik, Vol. 44, 1825), in cui si servì di una pila di Volta, della quale denunciò
l'incostanza (e che l'anno successivo, su suggerimento di Poggendorf, sostituì con pile
sfruttanti l'effetto Seebeck ed utilizzanti la coppia metallica rame bismuto) egli cercò una
relazione fra la "perdita di forza" riscontrabile nei conduttori e la loro lunghezza, proponendo
una scala della conducibilità che inizia con il rame e termina con il piombo. Le sue
esperienze sono classiche: inseriva tra due punti di un circuito elettrico dei fili conduttori di
medesimo diametro e sostanze diverse; dato un determinato materiale conduttore egli ne
variava la lunghezza fino ad ottenere il passaggio della medesima corrente. La pila che si
polarizzava gli fece trovare una legge logaritmica, diversa da quella oggi nota. Ripetendo le
esperienze con una pila
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Georg Simon Ohm
termoelettrica e con uno strumento di misura del tipo bilancia di torsione di Coulomb (vedi
figura), l'anno successivo (Schweiggers Journal für Chemie und
Physik, Vol. 46, 1826), Ohm stabilì una delle sue leggi che ci offrì nella formulazione
seguente:
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dove X indica l'intensità dell'effetto magnetico sul conduttore di lunghezza x, a e b sono
costanti che dipendono rispettivamente dalla forza eccitatrice e dalla resistenza delle altre
parti del circuito.
Ohm era un metodico sperimentatore e ripeté più volte le sue esperienze variando tutti i
parametri disponibili (la coppia termoelettrica ed i fili conduttori che oggi chiameremmo
resistenze come proprio Ohm iniziò a fare). La legge era quella appena fornita e, se in essa
consideriamo che X rappresenta l'intensità della corrente, a la forza elettromotrice e b + x la
resistenza complessiva del circuito (resistenza interna più esterna), riconosciamo subito la
legge di Ohm che oggi conosciamo. Abbiamo così una legge quantitativa molto precisa ed
una nuova nomeclatura non equivoca: si definisce resistenza, resistività, conducibilità, ...
Questa memoria di carattere eminentemente sperimentale passò quasi del tutto inosservata
(come del resto la successiva di carattere molto più teorico).
In una memoria del 1827 "Die galvanische Kette, mathematisch bearbeitet" (Teoria
matematica del circuito galvanico), Ohm ripresenta, in modo organizzato, tutti i dati empirici
da lui raccolti basandosi su tre "principi fondamentali" che identifica nel passaggio
dell'elettricità da un corpo all'altro, nella perdita dell'elettricità attraverso superfici
infinitesime di conduttori e nella differenza di potenziale nei contatti fra corpi diversi,
giungendo ad equazioni però fortemente generalizzate. In questa memoria Ohm definisce la
tensione o forza elettromotrice nel modo seguente: quando due corpi si toccano si stabilisce
nel punto di contatto una differenza costante fra le loro forze elettroscopiche (sembrerebbe
che con il termine forza elettroscopica Ohm si riferisse alla densità di carica elettrica). La
sua formula è ricavata in forma differenziale ma resa comprensibile ai più attraverso la sua
semplificazione in termini finiti su particolari circuiti esemplificativi. Osservo tra parentesi
che l'unità di misura di resistenza divenne l'ohm, così, come accennato, quello di corrente,
l'ampere e quello di differenza di potenziale volt.
Ci vollero dieci anni perché questi fondamentali lavori non fossero più derisi e venissero
presi sul serio (Poggendorf, Fechner che la verificò nel 1829, Pouillet che la verificò nel
1837, Lenz, Wheatstone, Henry, Matteucci). Solo nel 1845, Kirchoff identificò la forza
elettroscopica di Ohm con il potenziale elettrico di Poisson e Green. Si aprì poi un grande
filone di ricerca con lo studio delle reti e delle sue leggi.
CONCLUSIONE
A lato della gran mole di risultati sperimentali e delle speculazioni teoriche che
necessariamente entreranno in questioni relative alla costituzione della materia, ad iniziare
dalla molecola elettrodinamica di Ampère fino ad arrivare alla scoperta dei componenti
dell'atomo che si compì, per ciò che qui interessa, con la scoperta dell'elettrone fatta da J. J.
Thomson nel 1897, vi saranno imponenti ricadute tecnologiche che sono alla base del mondo
in cui oggi viviamo (dai processi industriali, alla corrente, all'illuminazione, alla radio,
all'elettrochimica che trovò in Faraday il primo sistematore, ad ogni dispositivo elettrico che
è entrato nelle case di ciascuno).
Ma vi è dell'altro da sottolineare ed è questione di primaria importanza. Con la pila è a
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disposizione degli scienziati uno strumento che trasforma, oggi diremmo, energia. E' un altro
strumento a disposizione a fianco di varie macchine, di processi chimici e di calore. Proprio
la trasformabilità di elettricità in calore o in lavoro meccanico aiuterà alla comprensione del
fondamentale principio della fisica che è il principio di conservazione dell'energia che
Helmholtz enunciò in forma chiara nel 1847. Fu lo stesso Volta a mostrare delle perplessità
quando aveva sostenuto:
cette circulation sans fin du fluide électrique (ce mouvement perpetuel), peut
paroitre paradoxe, peut n'étre pas explicable: mais elle n'en est pas moins vraie
et réelle, et on la touche, pour ainsi dire, des mains.
Insomma sembrava paradossale che una pila fornisse energia senza che qualche altra cosa
venisse meno, ma il fatto era lì tanto che già Sadi Carnot (1796-1832) aveva detto cose di
grande rilievo a chi parlava della pila come di un apparato in grado di dare della "forza" con
continuità (Réflexions sur la puissance motrice du feu et sur les machines propres a
developper cette puissance, 1824). Diceva Carnot che è impossibile:
non seulement le mouvement perpetuel, mais une création indéfinie de force
motrice sans consommation ni de calorique ni de quelque autre agent que ce soit
qualcosa da qualche parte doveva consumarsi per far funzionare la pila. Aggiungendo:
L'on a regardé quelquefois l'appareil électromoteur (la pile de Volta) comme
capable de produire le mouvement perpetuel; on a cherché a réaliser cette idèe
en construisant des piles sèches, prétendues inaltérables. Mais, quoi que l'on ait
pu faire, l'appareil a toujours éprouvé des détériorations sensibles, lorsque son
action a été soutenue pendant un certain temps avec quelque énergie
e quindi l'esperienza giocava sempre nel senso delle pile che, dopo un poco, si deterioravano.
Vi erano molti aspetti da riguardare, ad esempio sulla natura elettrochimica o fisica dei
fenomeni con l'aggancio alla scienza del calore in auge per la sua applicazione alle macchine
della rivoluzione industriale, problemi giganteschi alla soluzione dei quali troviamo tutti i
fisici dell'Ottocento. Ed anche la chimica, che si attardava su posizione antiche quando non
addirittura sull'alchimia, trasse dalla pila l'opportunità reclamata da Kant di divenire scienza
proprio perché finalmente aveva spazio l'analisi matematica.
Insomma vi è un convergere di molte ricerche che nascono da campi apparentemente
diversi. E, mentre si scoprono delle unità, si aprono molti campi d'indagine su argomenti
insospettati. E' la scienza che procede in modo non lineare, per provocazioni successive, per
errori e negazioni, per stimoli sociali e per esigenze produttive. Certamente senza bavagli di
sorta come qualcuno, ancor oggi, tenta di fare in Italia.
NOTE
(1) La trascrizione delle parole greche risulterà in gran parte priva di accenti e spiriti perché il
computer non mi permette queste opzioni.
(2) Si sa per certo che i cinesi, nel VII secolo, abbiano viaggiato da Canton all'Eufrate, viaggio che
appare impossibile senza l'uso della bussola. Verso il 1190 Guyot de Provins descrive una bussola (di
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quelle a galleggiamento dell'ago magnetico) usata dai cinesi nel 1111.
(3) Il fatto che quella di Flavio Gioia fosse una leggenda fu stabilito in un Congresso di Storia che si
tenne a Roma nel 1903.
Si noti che non fu data in Italia soverchia importanza alla bussola almeno fino al XV secolo per il
fatto straordinario che essa era ritenuta uno strumento della magia nera.
Per parte sua il cardinale di Cusa (Niccolò Cusano) assegnava a questa "azione a distanza" proprietà
mistiche che diventavano teologiche. Marsilio Ficino, alla pari di Talete, assegnava un'anima al
magnete. Fracastoro individuava una simpatia tra affini. Cardano la rivelazione della vita nell'inerte
mondo minerale. Gli occultisti, come Agrippa, individuavano nel magnetismo la presenza di potenze
misteriose, di spiriti, ...
(4) Anche Brunetto Latini, nel suo Tesoro del 1260/1266, parla della bussola. Osservo che una
sospensione alla Cardano era già nota tra i meccanici alessandrini, particolarmente in Filone.
(5) Altri autori che scrissero sulla bussola all'epoca furono: Vincenzo di Beauvais e Alberto Magno.
Dall'osservazione che i due scrissero sotto l'influenza di Gherardo da Cremona che era stato uno dei
massimi traduttori di scritti dall'arabo tra cui il Libro del tesoro dei mercanti sopra la conoscenza
delle pietre (di Baylak al-Qabagaqi del 1292) nel quale vi è la prima descrizione nota della bussola per
navigazione (un sughero galleggiante con infilzato un ago di ferro magnetizzato per induzione).
(6) Lucera dei Pagani, in provincia di Foggia.
(7) Tra il secolo XV ed il XVII vi furono molti perfezionamenti legati alla navigazione e
particolarmente agli strumenti della navigazione, con particolare riferimento alla bussola.
Già nel viaggio verso le Indie Colombo di rese conto di un fenomeno già osservato in terra da
costruttori di meridiane solari (e certamente noto ai marinai che erano molto più interessati alla
cosa), la declinazione magnetica (l'angolo formato dal meridiano magnetico con quello geografico nel
luogo d'osservazione, angolo che varia proprio da luogo a luogo e rende complessa l'individuazione
del Nord). Il fenomeno era certamente noto perché verso la metà del XV sec. a Norimberga venivano
fabbricati dei quadranti solari portatili, che si orientavano mediante l'uso di una bussola e sui quali
erano segnate le correzioni dovute alla declinazione. Colombo ebbe modo di notare queste variazioni
ed addirittura l'inversione delle correzioni che si conoscevano, poiché nella sua rotta aveva
attraversato l'Equatore. Gliozzi osserva che la vicenda delle declinazione non fu osservata dall'ottimo
sperimentatore Pierre de Maricourt solo perché all'epoca non doveva esistere in Italia. Infatti, e la
cosa fu scoperta dopo lunghe osservazioni in un medesimo luogo da Henry Gellibrand nel 1634, la
declinazione magnetica varia anche nel tempo in un medesimo luogo. Ignorando quest'ultimo fatto i
navigatori credettero fino a tutto il XVIII secolo di aver risolto con la conoscenza della declinazione
magnetica in ogni luogo il problema della determinazione della longitudine di quel luogo. Da questa
credenza totalmente errata fu elaborata la prima carta magnetica da parte del missionario gesuita
Cristoforo Borri e pubblicata nell'opera perduta De arte navigandi. Noi conosciamo tale carta perché
riportata da A. Kircher nella sua Magnes sive de Arte Magnetica del 1643. La prima carta magnetica
in originale che conosciamo è quella redatta dal famoso astronomo inglese Edmund Halley nel 1701.
G. Hartmann (1544) e poi, più correttamente, R. Norman (The New Attractive, 1576), scoprirono
l'inclinazione magnetica, sospendendo un ago magnetico a un asse orizzontale passante per il suo
centro di gravità, si accorsero che l'ago punta, con vari angoli, a seconda del luogo, verso il suolo. E'
doveroso notare che questa scoperta richiede osservazioni molto accurate poiché la piccola
inclinazione che subisce l'ago in una normale bussola può essere facilmente attribuita ad una
dissimmetria della sospensione dell'ago sul suo asse. Per osservare con precisione il fenomeno occorre
avere un ago non magnetizzato e sospenderlo sull'asse orizzontale in modo che risulti perfettamente
in equilibrio. A questo punto si magnetizza e si osserva l'angolo di inclinazione che è comunque
piccolo (intorno ai 10°).
(8) Mary B. Hesse ricorda molte delle analogie cui fa espressamente riferimento Gilbert in apertura
del suo lavoro. Non si pensi però di trovare le analogie della fisica ottocentesca. Riporto il brano di
Hesse che riporta le analogie di Gilbert:
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Gilbert inizia compendiando le opinioni degli antichi e dei suoi predecessori immediati, gli
autori del Rinascimento, a proposito delle qualità attrattive dei corpi elettrici e della
magnetite. Egli cita varie similitudini per l'attrazione: negli inni orfici si dice che "il ferro
è attratto dalla magnetite come dalle braccia dello sposo è attratta la sposa"; Aristotele
pensava che la calamita fosse animata; tra gli autori del Rinascimento, Marsilio Ficino,
Paracelso e altri attribuiscono il magnetismo al potere delle stelle e in particolare le
proprietà della bussola alle stelle che sono in prossimità del polo celeste, "nello stesso
modo in cui talune piante seguono il sole, come fa l'eliotropio"; Cornelio Gemma ritiene
che la magnetite attragga per mezzo di raggi insensibili, "alla quale opinione egli aggiunge
una storia di un pesce succhiatore e un'altra su un'antilope"; Giambattista Porta parla di
una lotta, nella magnetite, tra il ferro e la pietra: "il ferro, che potrebbe non essere
soggiogato dalla pietra, desidera la forza e la compagnia del ferro, che non essendo in
grado di resistere da solo, può riuscire a difendersi se riceve un aiuto maggiore"; cosi la
magnetite attrae il ferro o un altro pezzo di magnetite a causa del suo ferro, mentre non
attrae le pietre prive di ferro. Cardano spiega l'attrazione dell'ambra come quella di una
sostanza secca imbevuta di un umore untuoso, ma Gilbert gli obietta che non c'è un
accrescimento nell'ambra né una diminuzione nel corpo attratto. Altri autori parlano
semplicemente di un'attrazione derivante dalla "natura essenziale" della magnetite,
affermando che essa muove il ferro verso la sua "perfezione" come i corpi si muovono
verso la terra, e asserendo che "il ferro è trasportato da una brama miracolosa ... a unirsi
col proprio principio." Gilbert ha qualche rispetto per l'opinione di Tommaso d'Aquino, il
quale suggerisce che la magnetite dia una certa qualità al ferro. "Col suo divino e chiaro
intelletto," dice Gilbert, "egli ci avrebbe insegnato molto di più se avesse avuto pratica di
esperimenti magnetici" [davanti alla fede si perde la ragione, ndr].
Gilbert oppone alla teoria tradizionale dell'attrazione del simile per il simile le obiezioni
ovvie. Non è vero che il simile attragga il simile, "come la pietra la pietra, la carne la carne
né qualsiasi altra cosa al di fuori della classe del magnetismo e dell'elettricità." D'altra
parte, tutti i tipi di corpi sono attratti dall'ambra. È vero che la magnetite attrae la
magnetite e che il ferro eccitato attrae il ferro, ma è erroneo ricorrere a questi fenomeni,
come fanno alcuni medici, per dimostrare la validità della teoria di Galeno secondo cui i
purganti e i medicamenti usati per tirare fuori i veleni agiscono in virtù della somiglianza
tra sostanze. L'azione dei farmaci è del tutto diversa da quella dei corpi magnetici.
Gilbert dedica però la massima attenzione alle spiegazioni meccanicistiche dei Greci. Egli è
in disaccordo nei loro confronti ma ritiene che siano degni di una confutazione esplicita,
talvolta per mezzo di esperimenti progettati con accuratezza. Egli cita la teoria degli
ippocratici secondo cui l'attrazione avrebbe luogo a opera del calore e dimostra
sperimentalmente che non ha alcun fondamento. Se ci si limita a riscaldare l'ambra col
fuoco, o se addirittura le si fa prender fuoco, essa non attrae pagliuzze, ma le attrae
soltanto se viene strofinata. Molti altri corpi non attraggono affatto, né quando vengano
riscaldati dal fuoco né quando siano strofinati, benché una fiaccola accesa o un ferro o un
carbone incandescenti attraggano e consumino aria. L'attrazione delle coppette mediche
non è dovuta al calore ma alla rarefazione dell'aria all'interno di esse. Né il sole attrae
umori dalla terra, limitandosi invece a rarefarli e a convertirli in aria, la quale si solleva al
di sopra dell'aria circostante, più densa. Inoltre varie teorie atomistiche implicano che le
attrazioni elettriche e magnetiche abbiano luogo mediante il moto dell'aria e l'aspirazione
che ne risulta. Nel caso del magnetismo, Gilbert rifiuta questa spiegazione dimostrando che
nulla di corporeo passa tra il magnete e il ferro; e nel caso dell'attrazione elettrica la
confuta ricorrendo a un esperimento con una fiamma di candela, la quale non è disturbata
dalla presenza di un pezzo d'ambra dotato di un forte potere attrattivo, come avverrebbe
invece se l'ambra producesse una forte corrente d'aria. Plutarco e altri avevano suggerito
che l'ambra emette un sottile effluvio che rarefa l'atmosfera nelle sue vicinanze, cosicché
altri corpi sono spinti verso di essa dall'aria più densa. Gilbert obietta però che in questo
caso ci si dovrebbe attendere il trascorrere di un po' di tempo prima dell'inizio del moto, e
che questo dovrebbe rallentare al diminuire della distanza tra i corpi, che un corpo non
sarebbe attratto verso l'alto da questa forza e che il potere di attrarre scomparirebbe ben
presto dopo lo strofinamento. Nessuno di questi effetti è stato osservato: il moto comincia
subito, è più rapido quanto più i corpi sono reciprocamente vicini e un corpo elettrizzato
conserva per molto tempo dopo essere stato strofinato il potere di attrarre corpi leggeri.
Infine, egli dice, "lasciamo ai tarli e ai vermi" le opinioni degli aristotelici che
attribuiscono il magnetismo "ai quattro elementi e alle qualità prime."
L'esposizione che Gilbert fa delle teorie dei suoi predecessori indica la varietà di
argomentazioni che era corrente all'inizio del secolo, e i suoi propri commenti in proposito
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sono buoni esempi del metodo di ipotesi e sperimentazione che si sarebbe imposto ben
presto. Le teorie da lui suggerite attestano la stessa accurata attenzione all'esperimento e
dimostrano ugualmente che non era ancora giunto il tempo di mutamenti radicali nel tipo
di ipotesi; egli continua infatti a spiegare l'attrazione elettrica in termini di effluvi e di una
tendenza naturale di tutte le cose a unirsi, e il magnetismo in categorie animistiche ancora
più antiche.
Dimostrato che l'attrazione elettrica non è dovuta al moto dell'aria, Gilbert asserisce che
qualcosa deve nondimeno passare tra i corpi, e parla in proposito di un "respiro"
emanante dal corpo che esercita l'attrazione; questo respiro raggiunge un corpo che si
[trovi all'interno del raggio d'azione degli effluvi e unisce i due. La tendenza naturale di
tutte le cose a unirsi è un principio da lui attribuito a Pitagora, e pare che secondo lui sia
questa una spiegazione sufficiente della coesione tra corpi e del moto verso un corpo dotato
del potere di attrarre, una volta che i suoi effluvi [vengono percepiti. Ma tra gli effluvi
dev'esserci un contatto reale: "Poiché, dal momento che nessuna azione può aver luogo
per mezzo di materia se non attraverso un contatto, se questi corpi elettrici non si toccano,
è inevitabile che qualcosa passi dall'uno l'altro, qualcosa che possa esercitare uno stretto
contatto ed essere l'inizio di tale eccitazione.
(9) E' solo un mio sospetto ma lo riporto lo stesso. Probabilmente influì in Galileo la conoscenza e
l'ammirazione per Bruno di Gilbert. Non occorre dimenticare che Galileo lavorava vicino agli Stati
Pontifici in una Italia che viveva già sotto il terrore della repressione dell'Inquisizione.
(10) Si veda l'Edizione Nazionale delle opere di Galileo, pagg. 426-441.
(11) Non farò un discorso lungo, anche se la cosa lo meriterebbe, ma devo almeno accennare allo
sciovinismo degli storici francesi che assegnano a Descartes ogni merito nella rivoluzione scientifica
dell'età barocca (in proposito rimando ad un mio articolo che si può trovare nel sito: Alcuni elementi
di giudizio su Galileo). E' davvero insopportabile leggere queste cose e vedersi spacciare Descartes
come il padre del razionalismo. Io non concordo in alcun modo. A parte il suo essere un bigotto
conservatore, Descartes orecchia qua e là (Marsenne) e non ne azzecca una nell'ambito della Filosofia
della natura. Si cerchino divagazioni fantasiose come quelle che propongo nel testo in Galileo, si
cerchi ad esempio una qualche influenza divina nei fatti naturali. Non si troverà nulla! Ciò che
dispiace è che i filosofi che seguirono, in nome di Galileo, tradirono di molto il suo spirito. Solo in
Huygens si ritroverà un vero galileiano, lo stesso Newton (anch'egli mago, bigotto ed alchimista)
metterà Dio all'interno del mondo a regolare il moto dei pianeti con spintarelle adeguate quando
qualcuno di essi ne avesse avuto bisogno.
(12) Hauksbee si occupò anche di uno strano fenomeno che era stato scoperto nel 1675 dall'abate
Picard in Parigi. Questi trasportava al buio un barometro e, ad ogni scossone del mercurio nel vetro
che lo conteneva, aveva notato una luce azzurrognola proveniente dall'apparecchio. Non vi furono
spiegazioni possibili ad un fenomeno che anticipava di molto la scarica nei gas rarefatti.
(13) La terminologia in uso a quei tempi era molto varia. In particolare si parlava di corpi coibenti o
coercenti (in quanto la parte elettrizzata rimane confinata alla zona strofinata), idroelettrici (nel
senso di elettrici per sé stessi) o elettrici per origine o semplicemente elettrici. Comune era anche il
termine non conduttori. Si parlava anche di corpi simperielettrici (elettrizzati da altri), deferenti,
propagatori o semplicemente non elettrici. Questa varietà di espressioni creava anche non poche
confusioni.
(14) Gianni Bonera, Il caso dell'elettricità: dalle origini a Volta, Dipartimento di Fisica ‘A. Volta’,
Università di Pavia in: http://ppp.unipv.it/PagesIt/6Dif/6Videoconf/2VideoC.htm.
(15) Le foto di molte macchine elettriche originali o ricostruite si possono trovare in http://www.
sparkmuseum.com/FRICTION.HTM http://www.sparkmuseum.com/FRICTION_HIST.HTM http://
brunelleschi.imss.fi.it/museum/isim.asp?c=500080
(16) Altre macchine furono realizzate in quel periodo, come quella di Martinus van Marum (17501837) del 1784, con dischi in vetro di 165 cm di diametro (con un condensatore di 21 metri quadrati
costituito da una batteria di bottiglie di Leida, in grado di produrre 300 scariche al minuto (circa
60kV) e scintille lunghe 60 cm e larghe fino a 40 cm. Ma quella di maggior successo fu costruita nel
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1766 da Jesse Ramsden (1735-1800). Egli sostituì al cilindro di vetro un disco della stessa sostanza
strofinato da quattro cuscinetti. Da allora la macchina di Ramsden rimase in voga per circa un secolo,
perfezionata da John Cuthbertson (1743-1806), e fu la prima macchina elettrica largamente
conosciuta ed utilizzata.
Fra due sostegni di legno, si trova un disco, P, di vetro (diametro 0,5 m), fissato per il suo centro ad
un asse che si fa ruotare per mezzo di una manovella M. Questo disco è compreso fra quattro
strofinatori o cuscinetti di stoffa, fissi, impregnati di amalgama di Zinco e Solfuro di stagno. Nella
direzione del suo diametro orizzontale il disco passa fra due tubi di ottone, curvati a ferro di cavallo,
detti pettini, dotati di punte collocate ai lati e dirimpetto al disco. Questi pettini sono connessi a
voluminosi tubi di ottone, C , di elevata capacità, detti conduttori, collegati per mezzo di un tubo di
ottone di diametro minore.
Schema della macchina elettrica di Ramsden
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Foto della macchina elettrica di Ramsden
Il disco di vetro, messo in rotazione, si elettrizza positivamente per strofinio nella zona di contatto
delle due coppie di cuscinetti. Questi ultimi, collegati con il suolo, D, perdono immediatamente la loro
carica negativa.
L’ elettricità positiva del disco agisce per induzione sui conduttori ed attrae le cariche negative che,
attraverso i pettini, vanno a combinarsi con l’elettricità positiva del vetro e la neutralizzano.
I conduttori, nelle loro parti più lontane, restano carichi positivamente e possono trasmettere la
propria carica ad altri conduttori per mezzo di eccitatori o collegamenti metallici.
L'ultima della serie di macchine elettrostatiche è quella di James Wimshurt (1832 - 1903) del 1893.
Macchina elettrostatica di Wimshurt
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La macchina consta di dischi eguali, di ebanite o di vetro ricoperto di gomma lacca, paralleli e vicini,
girevoli sullo stesso asse in senso contrario, e muniti sulle facce esterne di strisce o vettori di stagnola,
radiali ed equidistanti. I dischi sono a contatto, in un piano orizzontale, con due collettori A e B della
elettricità di induzione, piegati ad U, armati di punte (pettini) e comunicanti coi poli della macchina.
Essi sono costruiti mediante due aste metalliche terminanti con due sferette C e D, la cui distanza può
essere variata a volontà (spinterometro).
Vi sono poi due bracci conduttori, disposti diametralmente ai dischi e fissati al centro, inclinati di 45°
e 60° sulla linea dei pettini (i quali poggiano leggermente sulle strisce di stagnola mediante pennellini
che, per strofinio, danno elettrizzazione alle superfici di stagnola).
Questa macchina è la più atta più atta per ottenere elettricità ad alto potenziale, mediante strofinio ed
induzione.
Durante la rotazione dei dischi, le strisce radiali, che vengono debolmente elettrizzate per
strofinio, inducono sui pettini con i settori di stagnola grandi quantità di cariche elettriche,
le quali, tramite i conduttori, creano tra le sferette dello spinterometro una notevole d.d.p. (20000
volt).
Vengono accoppiati alla macchina condensatori cilindrici che servono ad aumentare la capacità della
macchina. Aumentando il numero dei dischi si possono raggiungere d.d.p. di 250000 volt e scintille di
40 cm.
Le macchine elettrostatiche di Whimshurst sono sorgenti di elettricità ad alto potenziale, sì, ma con
piccole intensità di corrente.
(17) Von Kleist, sembra per curarsi, stava elettrizzando dell'acqua. Per far ciò aveva immerso
nell'acqua di una bottiglia un chiodo che attraversava il tappo. Teneva la bottiglia in mano facendo
toccare il chiodo alla sua macchina elettrica. Staccata la bottiglia dalla macchina, si accorse che,
passando vicino ad un oggetto non isolato, scoccò una grande scintilla. Allora egli prese in mano
l'oggetto non isolato per osservarlo e, nel far questo, subì una violenta scossa. Il fatto che egli
manteneva la bottiglia nella mano gli fece ipotizzare una qualche influenza del corpo nell'insorgere
del fenomeno. Fu poi Musschenbroek che mostrò l'indipendenza del fenomeno dal corpo umano.
(18) Appena la notizia si diffuse vi furono varie altre persone che rivendicarono la scoperta del
fenomeno. Nel 1744 il fisico tedesco Georg Matthias Bose, nel Wittenberg aveva descritto un fuoco
proveniente da acqua elettrizzata in una bottiglia e fu questo l’esperimento specifico che van
Musschenbroek tentò di imitare. E ancora, il fisico e sismologo svizzero Jean Nicolas Sebastien
Allamand, nel 1745, aveva ricevuto una forte scossa elettrica in una situazione simile (la cosa risulta
da una lettera del 4 febbraio del 1745 di Mr. Trembley alle Philosophical Transactions; da tale
lettera risulta che quell'effetto era noto nel laboratorio di Musschenbroek almeno da un anno) e così
pure, nello stesso anno, era arrivato in modo del tutto indipendente anche il canonico Ewald Jürgen
von Kleist, decano della cattedrale di Cammin in Pomerania. Jean-Antoine Nollet, che diffuse la
notizia, forse per non essere implicato in polemiche di priorità, chiama il dispositivo descritto da
Musschenbroek Bottiglia di Leida.
(19) Si passò da libri come quello di Cristian Kratzenstein, Trattato dell'utilità dell'Elettricismo nella
scienza medica (Pietroburgo 1745), fino ad arrivare alle pratiche
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Cura dei denti con l'elettricità
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Un paralitico spera nel miracolo elettrico.
barbare dell'elettroschock inventato dall'italiano Ugo Cerletti nel 1938. Oltre alle cure elettriche
erano diffuse cure magnetiche tra le quali la pranoterapia ed altre cose inenarrabili. La cosa
straordinaria, che purtroppo ho vissuto da ragazzo, fino alla fine degli anni Cinquanta, è stata la cura
con le acque minerali da tavola che avevano la prodigiosa proprietà di essere radioattive alla sorgente!
Ma con l'elettricità si tentavano anche cose più divertenti, come il bacio elettrico che una signorina
elettrizzata dispensava (forse a pagamento).
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Il bacio elettrico
(20) E' doveroso notare che, indipendentemente, molte delle cose elaborate da Franklin furono
studiate da William Wilson (1715-1787) che dimostrò il fatto che la forza elettrica descrive sempre un
circuito (A sequel to the experiments and observations tending to illustrate the nature and properties of
electricity: wherein it is presumed, by a series of experiments expresly for that purpose, that the source of
the electrical power, and its manner of acting are demonstrated. Addressed to the Royal Society. By
William Watson. London, Printed for C. Davis, 1746):
Ho tentato di provare con l'esperienza che viene messa in circolazione dal non elettrico più
vicino una quantità di elettricità uguale a quella accumulata nei corpi eccitati ... Il fuoco
elettrico perduto da un uomo viene immediatamente supplito dal suolo.
(21) Sostenitore della teoria di Du Fay divenne Robert Symmer (1707-1763) della Royal Society (New
Experiments and Observations Concerning Electricity) che si imbatté in uno strano episodio che ha a
che fare con le sue calze bianche e nere (indossava due paia di calze, le bianche sotto e le nere sopra).
Una sera del 1759, si sfilò la calza nera che era
Calze di Symmer
sulla bianca. Nel farlo sentì un crepitìo di piccole scintille ed osservò che le calze erano elettrizzate di
elettricità opposta (si attraevano). Dice Symmer:
“Entrambe le calze [bianche e nere] quando sono tenute a distanza l’una
dall’altra appaiono gonfie a tal punto che formano l’intera figura della gamba
[…]. Quando le due bianche o le due nere sono tenute insieme alle estremità, si
respingono tra loro. Quando una calza nera ed una bianca vengono avvicinate
esse si attraggono e [..] nell’avvicinarsi, il loro rigonfiamento si abbassa
gradualmente; quando si incontrano, si appiattiscono e si stringono insieme. A
questo punto le palline dell’elettroscopio non sono più sensibili [...] quando le
calze vengono di nuovo separate e portate a distanza sufficiente [esse si
rigonfiano] e la loro elettricità non sembra essersi minimamente indebolita dalla
scarica che hanno avuto nell’incontrarsi”.
Dopo questo primo episodio che lo sconcertò, Symmer notò che un foglio di carta attraversato da
scariche elettriche presenta fori che hanno i bordi sporgenti sia in un verso che in un altro (e la cosa
oggi è chiara in quanto sappiamo che la scarica elettrica ha carattere oscillante e quindi entra
alternativamente dai due lati del foglio).
NOTE DELLA PARTE 3
(1) Con questa bilancia Henry Cavendish (1731-1810) misurò la densità della Terra e la
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Henry Cavendish
Schema della bilancia di torsione
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Esperimento di Cavendish
costante di gravitazione universale nel 1798 (H. Cavendish Philosophical Transactions of the Royal
Society 17, 469). E' lo stesso Cavendish che, nell'introduzione al suo lavoro, assegna tutti i meriti della
scoperta di tale bilancia a Michell:
Many years ago, the late Rev. John Mitchell of this Society, contrived a method of
determining the density of the Earth, by rendering sensible the attraction of small
quantities of matter; but, as he was engaged in other pursuits, he did not complete the
apparatus till a short time before his death, and did not live to make any experiments
with it. After his death, the apparatus came to the Rev. Francis John Hyde Wollaston,
Jacksonian professor at Cambridge, who, not having conveniences for making
experiments with it, in the manner he could wish, was so good as to give it to me.
Cavendish studiò anche fenomeni elettrici scoprendo varie cose d'interesse ed introducendo con
chiarezza il concetto di potenziale elettrico e quello di carica elettrica (in uno scritto del 1771 sulle
Philosophical Transactions). Malauguratamente, a parte lo scritto citato, lasciò quasi l'intero
complesso delle sue ricerche non pubblicato (tali scritti furono ritrovati da Maxwell che li pubblicò
nel 1879). In tali scritti egli aveva stabilito sperimentalmente la legge dell'inverso del quadrato per le
azioni elettriche (1772-1773), aveva definito correttamente la capacità elettrica, aveva stabilito che la
carica si trova sulla superficie esterna dei conduttori, introdusse il concetto e misurò le costanti
dielettriche, confronto delle conduttività elettriche di diversi corpi.
(2) L'intuizione che l'attrazione tra magneti avvenisse con una legge regolata dall'inverso del
quadrato della distanza risale addirittura al Cardinale Cusano (1401-1464) che la propose nel 1450.
(3) Le più importanti memorie di Coulomb sull'elettricità e magnetismo sono pubblicate nel sito
all'indirizzo: http://www.fisicamente.net/FISICA/index-1096.htm .
(4) Le memorie di Coulomb sono raccolte in un tomo (Tome 1) del 1884: Société franaise de Physique.
Mémoires relatifs à la Physique, tome 1: Mémoires de Coulomb. Paris: Gauthier-Villars, 1884. Di
seguito riporto il frontespizio del tomo e l'indice delle memorie ivi contenute (le prime 5 delle 7 che
Coulomb scrisse sui fenomeni elettrici). Le ultime
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due memorie sull'argomento pubblicate sul medesimo tomo sono:
Sixième Mémoire. - Suite des recherches sur la distribution du fluide électrique entre plusieurs
conducteurs. Détermination de la densité électrique dans les différents points de la surface de ces corps
(1788).
Septième Mémoire. - Du magnétisme (1789). (Extrait des Mémoires de l'Académie royale des
Sciences).
A queste, le più importanti, seguirono altre memorie che allo stesso modo hanno trovato posto nel
tomo di cui sopra:
Détermination théorique et expérimentale des forces qui ramènent différentes aiguilles, aimantées à
saturation, à leur méridien magnétique. [Extrait du t. III des Mémoires de l'Institut, an IX (1801).]
Expériences destinées à déterminer la cohérence des fluides et des lois de leur résistance dans les
mouvements très lents. [Extrait du t. III des Mémoires de l'Institut, an IX (1801.]
Résultat des différentes méthodes employées pour donner aux lames et aux barreaux d'acier le plus
grand degré de magnétisme. [Extrait du t. VI des Mémoires de l'Institut (1806).]
Influence de la température sur le magnétisme de l'acier. (Extrait, d'après Biot, d'un Mémoire inédit).
ADDITION. Sur la distribution à la surface de deux sphères conductrices électrisées, et l'attraction de
ces sphères, d'après Poisson et Sir W. Thomson.
Approfitto di questa nota per dire che Coulomb, agli inizi della Rivoluzione Francese, si dimise da
tutte le cariche pubbliche che aveva (Soprintendente delle Acque e delle Fontane del Re). Si ritirò nel
paesino di Blois e non tornerà a Parigi che agli inizi dell'Ottocento, quando fu nominato Ispettore
Generale della Pubblica Istruzione. Da questo posto egli ebbe un ruolo importante nella realizzazione
del sistema dei licei di Francia.
(5) Una osservazione è a questo punto utile. Sul Galvani influirono certamente le concezioni del
fisiologo svizzero Albert von Haller (1708-1777) secondo il quale nei corpi viventi esiste un fluido o
spirito animale o forza vitale diffusa nel sistema nervoso, da cui, per un'irritazione esterna, può
scorrere verso i muscoli. Come sempre la cosa veniva letta in ambienti cristiani come la prova
dell'esistenza dell'anima. Quando iniziò la controversia con Volta, sembrò che la cosa diventasse una
specie di guerra di religione tra chi riteneva che esistesse (Galvani) e chi no (Volta). Naturalmente
tutta questa diatriba era indipendente dagli effettivi credi dei due scienziati.
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(6) La polemica tra i sostenitori di Galvani e Volta continuò fino al 1844 quando Carlo Matteucci
(1811-1868) dimostrò che esiste una elettricità animale della stessa natura dell'ordinaria elettricità.
NOTE DELLA PARTE 4
(0) Per leggere le biografie dei vari scienziati dell'elettricità che ho citato, alcune delle loro opere,
bibliografie, glossario e cronologia si vada al sito: http://www.webalice.it/sergio.arienti/sommario/
home.htm )
(1) La decomposizione dell'acqua o elettrolisi fu realizzata, mediante la pila di Volta, dai britannici
William Nicholson (1753-1815) e Anthony Carlisle (1768-1840) nell'aprile del 1800.
(2) Un breve sunto della situazione lo si trova nel sito della Sips:
Lo sviluppo tecnologico seguito in Europa alla prima rivoluzione industriale, come pure
l'interesse per la scienza manifestatosi negli ultimi anni dell'impero napoleonico,
influiscono profondamente sulla società europea negli anni dopo la Restaurazione in ogni
campo della scienza: dalla matematica alla fisica, dalla chimica alla biologia. Figure
rappresentative di questa epoca sono Alexander von Humboldt, Karl Friedrich Gauss,
Justus von Liebig in Germania, Jöns Jacob Berzelius in Svezia, Andrè-Marie Ampère,
Augustin Louis Cauchy, Louis Joseph Gay-Lussac e Dominique Arago in Francia,
Friedrich Wilhelm Herschel e Michael Faraday in Inghilterra, Hans Christian Oersted in
Danimarca, Amedeo Avogadro e Giovanni Battista Amici in Italia. Le università ed i
politecnici formano giovani sulla base della nuova acquisizione della scienza: si forma così
un gruppo sempre più efficiente di tecnici, da un lato, e dall'altro, di docenti ad ogni livello.
Alcuni rimangono presso le università attratti dal piacere e dalla curiosità della ricerca.
L'interesse per dibattere e confrontare i risultati scientifici spinge gli studiosi ad unirsi in
associazioni scientifiche, come la Chemische Gesellschaft in Germania, la Physical Society
in Gran Bretagna e la Sociètè Chimique in Francia. Esse gestiscono prevalentemente la
stampa di periodici per la pubblicazione dei lavori e delle ricerche contribuendo così alla
diffusione della scienza nel mondo. Le accademie, di solito sotto la protezione munifica dei
sovrani, nei secoli XVII e XVIII, accolgono scienziati di varie discipline, consentendo loro
di realizzare esperienze e soprattutto di discutere i risultati anche tra specialisti di varie
aree della scienza.
Alla loro azione di promozione della ricerca e di tutela dell'immagine del ricercatore
scienziato, si deve il progresso scientifico e tecnologico esploso al principio del XIX secolo.
I cultori delle scienze sono ormai troppo numerosi per esporre e dibattere i propri risultati
nell'ambito delle accademie e delle società scientifiche. Sono queste condizioni a suscitare
in Germania un movimento che porterà a realizzare delle riunioni annuali di professori e
cultori di scienze naturali, a cominciare dal 1822 per iniziativa del naturalista Lorenz Oken
e con l'appoggio dei Principi tedeschi. Segue la Gran Bretagna, ove la Association for the
Advancement of Sciences, tiene la sua prima riunione a York, nel 1832, sotto la presidenza
del fisico David Brewster. L'Italia, dal punto di vista politico, si può paragonare in quegli
anni alla Germania, dove pur non esistendo, come in Francia e in Inghilterra, un forte
stato unitario, vi è però una forte coscienza nazionale. In Italia, dove coesistono il Regno di
Sardegna, il Regno Lombardo Veneto-Trento e Trieste, il Regno delle due Sicilie, gli Stati
della Chiesa, il Granducato di Toscana, il Ducato di Modena, il Ducato di Parma, Piacenza
e Guastalla, gli interessi stranieri non permettono nemmeno una forma associativa tra i
vari Stati. Tuttavia, un gruppo di eminenti uomini di Scienza e di Lettere, di fronte ai
risultati così promettenti delle riunioni degli scienziati tedeschi, aperte anche agli ospiti
stranieri, prende l'iniziativa di seguire questo esempio e convoca a Pisa, per l'autunno
1839, la prima Riunione degli scienziati italiani, celebrata anche dal Giusti, nei noti versi:
Di sì nobile congresso/ Si rallegra con sé stesso/ Tutto l'uman genere.
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(3) Niente di nuovo nella storia d'Italia. Piccole minoranze si pongono alla testa di movimenti, pagano
in proprio, riescono a raddrizzare qualcosa e poi tutto viene fagocitato dal mostro della quotidianità,
dell'ipocrisia, dell'opportunismo e dell'indifferenza. Passeranno altri 100 anni per riavere un Fermi,
frutto di cinquant'anni di laicità dello Stato Unitario ed ecco pronto un Mussolini che di nuovo
distruggerà tutto con il Concordato e con le Leggi Razziali. Poi Amaldi che ricostruisce nel
dopoguerra e di nuovo la routine di tutti i governi che sembra abbiano in odio la ricerca scientifica in
un Paese in cui occorre essere accondiscendenti con il potere della Chiesa che controlla tanti piccoli
personaggi che neppure sanno cosa è ricerca scientifica, ma che hanno il potere di decidere.
Ho già accennato in nota (1) che, scoperta la pila, l'elettrolisi fu realizzata in Gran Bretagna.
Come in Gran Bretagna si svilupparono gli studi di Davy, di Faraday e di Maxwell; in Olanda quelli
di Lorentz; in Danimarca quelli di Oersted; in Francia quelli di Ampère; in Prussia quelli di Ohm, di
Hertz; .... solo per citare alcuni scienziati che si occuparono di fenomeni elettrici, tutti da localizzare
fuori d'Italia (ma anche fuori da Spagna e Portogallo, Paesi con analoga influenza religiosa).
Vi è un fatto che deve far rendere conto del nostro provincialismo culturale e delle sue origini.
Mentre in Europa lavoravano Kant, Hegel, Marx, Fichte, Schopenauer, Schelling, Saint Simon,
Comte, Stuart Mill, Owen, Malthus, Ricardo, Bentham, Lamarck, Darwin, Spencer, ... in Italia
discutevamo di libera chiesa in libero stato con Rosmini e Gioberti !
(4) Svariatissime furono le pile che vennero realizzate, ciascuno con un suo proprio merito ed una sua
particolare funzione. Riporto di seguito alcune di esse:
Pila Bunsen (1840)
Pila Daniell (1836)
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Pila Grove (1838)
Pila Wollaston (1816)
Pila a secco Leclanché (1868)
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Pila a secco Zamboni (1910-12)
Pila Grenet (1856)
(5) Napoleone fu un vero e grande "protettore" delle scienze e non solo a parole. Destinò una gran
quantità di fondi per la ricerca, potenziò le scuole politecniche nate dalla Rivoluzione, fondò dei
premi importanti, promosse contatti tra scienziati di vari Paesi e dimostrò anche capacità non
scioviniste assegnando, nel 1808, il premio del galvanismo a Humprey Davy, cittadino di quel Paese,
l'Inghilterra, contro cui la Francia era in guerra. La grande pila di figura, che Napoleone fece
costruire, fu messa a disposizione di giovani promesse della scienza francese, come Gay Lussac e
Thénard. Dalla politica di sostegno alla scienza di Napoleone, vennero fuori importantissimi
scienziati, come Malus, Biot, Fresnel, Arago, Dulong che seppero dare il primato scientifico alla
Francia. Con la Restaurazione le cose cambiarono e la Francia cedette il passo alla Gran Bretagna. ed
alla nascente Germania.
(6) § - Concezioni particellari nel XVII e XVIII secolo. La "crisi" dell'azione a distanza. Si riassume
la disputa continuità-discontinuità che riprese vigore sul finire del Rinascimento. Si passa poi a
studiare il ruolo dell'azione a distanza fino alla sua "completa affermazione"
§ - La nascita della teoria di campo. I lavori di Faraday e Maxwell
§ - La "verifica" sperimentale della teoria di Maxwell. I lavori di Hertz
§ - La Relatività da Newton ad Einstein (Cap 3). L'Ottocento: la nascita dell'elettromagnetismo,
l'ottica dei corpi in movimento, la termodinamica. La "crisi" della visione newtoniana del mondo
e, dopo quest'ultimo articolo (in realtà il capitolo di un libro), si deve proseguire fino alla fine del
libro che tratta la Relatività di Einstein.
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(7) E' inutile che dica che, anche qui, vi fu un fiorire incredibile di strumentazione per la misura di
correnti, sulla quale non mi soffermo.
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(24) Alessandro Volta - Opere scelte - UTET 1967
(25) A. Gigli Berzolari - 1795-1796; gli anni decisivi della sperimentazione voltianasulle
proprietà elettriche delle catene di conduttori; l'invenzione della pila, le prime discussioni
sul suo funzionamento, le sue prime conseguenze, tra verità ed errori - Quaderno di Storia
della Fisica (SIF), 1, 1997
(26) E. A. Giannetto - La relazione tra teoria ed esperimento nella fisica di Alessandro Volta
- Quaderno di Storia della Fisica (SIF), 5, 1999
(27) Donald S. L. Carwell - Tecnologia, scienza e storia - Il Mulino 1976
(28) André Marie Ampère - Opere - UTET 1969
(29) Georg Simon Ohm - Comunicazione provvisoria della legge secondo la quale i metalli
conducono l'elettricità di contatto (1825) - - in Quaderno n.14; La Fisica nella Scuola
XXXV, 2002
(30) Georg Simon Ohm - Determinazione della legge secondo la quale i metalli conducono
l’elettricità di contatto, insieme ad un abbozzo di una teoria dell’apparato di Volta e del
moltiplicatore di Schweigger (1826) - in Quaderno n.14; La Fisica nella Scuola XXXV, 2002
(31) Edward Tatnall Canby - Storia dell'elettricità - Mursia 1965
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