Renato Bazzoni e l`Italia da salvare
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Renato Bazzoni e l`Italia da salvare
Renato Bazzoni e l’Italia da salvare Alberto Saibene Questo scritto è stato stampato in occasione della mostra “Conoscere e amare l’Italia. Le trasformazioni del Paese attraverso le fotografie di Renato Bazzoni, padre del FAI”. Dal 30 gennaio al 1 marzo 2015 FAI - Fondo Ambiente Italiano La Cavallerizza - via Carlo Foldi 2, Milano www.mostrabazzoni.it Coordinamento progetto Annamaria Morando Mostra a cura di Alberto Saibene Progetto allestimento Corrado Anselmi Ricerca iconografica Vincenzo Valastro Video Simone Pera Musiche Doriano Zurlo Coordinamento editoriale Paolo Barcucci Coordinamento grafico Valentina Pasolini Ufficio Stampa FAI - Fondo Ambiente Italiano Simonetta Biagioni, Novella Mirri Assistente progetto Raffaella Rogora La pubblicazione “Amare l’Italia e nutrirsi del suo paesaggio” è a cura di Antonella Cicalò Danioni Hanno collaborato: Marco Caputo, Elena Colombo, Francesca Cotugno, Francesca Decaroli, Alice Forni, Arianna Mascetti, Valentina Ranucci, Simona Sozzi, Giorgia Toso, Valeria Sessa, Alessia Stefanini, Ginevra Vitiello Un ringraziamento speciale a Carla Bazzoni che ha messo a disposizione l’archivio privato Andreina Rocca Bassetti per il generoso contributo a sostegno della mostra Agema Corporation per l’impegno costante nella valorizzazione della figura di Renato Bazzoni La mostra è organizzata con il fondamentale contributo e sostegno degli Amici del FAI 1 In una notte d’autunno del 1963 l’architetto Bazzoni si sveglia nel cuore della notte e scuote la moglie Carla. È sudato, gli tremano le mani, ma la voce è chiara: “Qui sta andando tutto alla malora. Bisogna fare qualcosa!”. Carla, che lo conosce bene, gli risponde: “Renato, piantala. Sei il solito esagerato. Torniamo a dormire”. Non so se questa scena sia realmente avvenuta, ma quando mi sono trovato davanti migliaia e migliaia di foto di Renato Bazzoni che rappresentavano l’Italia dalla fine dell’ultima guerra fino agli anni Ottanta, ho voluto saperne qualcosa di più sull’autore e ho provato a ricostruirne una parte della biografia. Nel 1963, per il sesto anno consecutivo, il prodotto interno lordo, cresce tra il 5 e il 6%. L’Italia sta vorticosamente cambiando: le stazioni di Milano e Torino registrano ogni giorno l’arrivo di migliaia di persone dal Sud in cerca di lavoro, nuovi quartieri periferici crescono attorno alle grandi città senza piani regolatori (in quell’anno Le mani sulla città di Francesco Rosi, cronaca dello scempio edilizio di Napoli, vince il Leone d’oro a Venezia), le campagne, le zone collinari e di montagna vengono senza rimorso abbandonate, lungo le coste del nord e la dorsale adriatica si costruiscono a ritmo forsennato le seconde case per il neonato ceto medio. Se L’Italia non è un paese povero (1960), come suona il titolo di un documentario che l’ENI di Enrico Mattei ha commissionato al grande regista olandese Joris Ivens, non è nemmeno più Un volto che ci somiglia (1960), per citare un libro fotografico sul nostro Paese a cura di Carlo Levi. Italo Calvino, autore di La speculazione edilizia (1958), il racconto della deturpazione della costa ligure di Ponente, parla di “un’inaspettata belle époque”. È la storia più volte raccontata, ormai un mito di fondazione, del nostro boom economico. Lo stesso Bazzoni, figlio di un artigiano mobiliere trapiantato dalla Toscana a Milano, gode del sopraggiunto benessere: nel suo studio progetta abitazioni, fabbriche, villette, edifici anche importanti per il Comune di Milano. Fonda e dirige «Architettura cantiere. Rivista di architettura tecnica ed industria edilizia», dedica una monografia al laterizio. Raggiunti i quarant’anni, è nato nel 1922, dovrebbe sentirsi un professionista «di successo», cogliere l’ebrezza del boom. Eppure è inquieto. Coltiva la passione, nata ai tempi del Politecnico, dove ora tiene un corso di Composizione Architettonica, per l’architettura ‘minore’ o spontanea, per le tecniche di costruzione. La Triennale del 1951, l’anno in cui si è laureato, è dedicata all’architettura spontanea, riannodandosi alle ricerche d’anteguerra sull’architettura rurale di Giuseppe Pagano. Bazzoni perlustra e fotografa l’Italia alla ricerca di tracce del passato, sia quello illustre dell’epoca romana, sia esempi anche modestissimi di architettura rurale: lo colpisce un basamento, l’utilizzo del legno nelle valli del Nord, le casupole contadine costruite con estrema perizia, che, con nomi diversi, sono sparse lungo tutta la Penisola. Il suo è uno sguardo ‘milanese’, di un architetto che ha abbracciato le idee del Movimento moderno, che vive nella città che trascina il resto del Paese verso la modernità. Si rende conto però, e sono veramente pochissimi in quel momento a comprenderlo, che la sua generazione è l’ultima che vedrà un’Italia ‘virgiliana’, che un patrimonio inestimabile è in via di estinzione. Ha letto i libri di Roberto Pane, l’architetto napoletano che sta fotografando e censendo gli stessi edifici nell’Italia meridionale, e ora vorrebbe fare qualcosa. 2 Italia nostra è nata a Roma nell’ottobre 1955 per iniziativa di un ristretto gruppo di persone: Giorgio Bassani, Elena Croce, Desideria Pasolini dall’Onda, Luigi Magnani Rocca, Hubert Howard, Pietro Paolo Trompeo (l’illustre francesista che ne trova il nome), Riccardo Musatti, Leopoldo Piccardi, Mario Salmi. Ognuno di loro ha una biografia interessante, nessuno una particolare competenza per i temi che l’Associazione si propone di affrontare. Sono uniti da un alto sentire civico ed estetico e da una nuova forma di amore per l’Italia, essendo ormai inservibile il patriottismo della generazione precedente che ha condotto ai disastri del fascismo e della guerra. Umberto Zanotti Bianco, senatore a vita e figura ‘mitica’ del nostro XX secolo (patriota, educatore, meridionalista, antifascista e fortunato archeologo dilettante), ne diviene il primo presidente. Li fiancheggia, fin dall’inizio, Antonio Cederna, di famiglia milanese, trasferitosi a Roma per perfezionare gli studi in archeologia ma che diviene giornalista e che, sulle colonne de «Il Mondo» e de «L’Espresso», ingaggia furibonde polemiche contro il sacco di Roma e le devastazioni del nostro Paese. La storia delle origini di Italia nostra è stata raccontata più volte da Giorgio Bassani e da Elena Croce che rileva come sia stato Zanotti Bianco, forte della sua esperienza nelle associazioni di volontariato e utilizzando il metro del «disinteresse» per giudicare chi si avvicinava al gruppo dei fondatori, a spingere l’Associazione a perdere l’élitismo d’origine e a divenire più democratica. Fin dall’inizio l’idea di farne un National Trust italiano, l’associazione privata inglese che possiede e gestisce beni di interesse culturale, è presente in alcuni soci. Alleata di Italia nostra è l’Associazione Nazionale Centri Storici Artistici che nasce a Gubbio nell’autunno 1960 per opera di un gruppo di architetti, urbanisti, giuristi, studiosi di restauro e dei rappresentanti dei comuni di Ascoli Piceno, Bergamo, Erice, Ferrara, Genova, Gubbio, Perugia e Venezia. Sono, si direbbe oggi, gruppi di pressione: hanno accesso alla grande stampa, riescono a farsi ricevere dai ministri, ma lo spirito del tempo è contro di loro. Riescono ad ottenere successi parziali, a bloccare gli scandali più evidenti. La battaglia simbolo di quegli anni è quella in difesa dell’area dell’Appia antica. In prima fila Cederna, soprannominato dagli amici “l’appiomane”, ma che, incurante dello scetticismo (e degli interessi) di molti ambienti romani, dimostra la sua tempra di erede dei grandi illuministi lombardi e di aver fatto sua la lezione di Carlo Cattaneo. 3 La sezione milanese di Italia nostra, nata nel 1959, è quella a cui Bazzoni propone una mostra sui danni che le trasformazioni del Paese stanno arrecando al patrimonio storico-artistico. Il titolo è Italia che rovina e Bazzoni coinvolge un gruppo di giovani - da allora diverrà un costruttore di affiatate comunità - la maggior parte dei quali neolaureati in architettura, nel compiere campagne fotografiche in giro per l’Italia. Roberto Brambilla, che ha poco più di 25 anni, ne diviene il braccio destro, ricorda che l’interesse suscitato dall’iniziativa è nei primi anni (1964-65) scarso. Si deciderà di coinvolgere il Touring Club, allora diretto dall’architetto Ferdinando Reggiori, associazione ben più grande e radicata nel territorio, per dare slancio alla ricerca. Un altro alleato è Arrigo Castellani, direttore della rivista «Pirelli», raffinato e intelligente house organ dell’industria milanese, che sul primo numero del 1966 dedica a Italia da salvare, questo il nome che diverrà definitivo, la copertina e un corposo dossier con gli articoli di Antonio Cederna, Franco Russoli (lo storico dell’arte, direttore della Pinacoteca di Brera, erede di Fernanda Wittgens, e che sarà tra i fondatori del FAI) e Roberto Guiducci, ingegnere divenuto sociologo e urbanista per studiare le evoluzioni della società. Cederna nel lungo articolo di apertura dal titolo «Italia da salvare. Partiamo da zero» - corredato da molte ed eloquenti foto di denuncia di Bazzoni e dei suoi collaboratori - dopo aver implacabilmente enumerato tutti gli scempi dell’ultimo decennio (aree monumentali, centri storici, distruzione del verde e del paesaggio, l’assalto ai litorali, il mancato rispetto verso i parchi nazionali) si chiede a cosa sia dovuto. Le risposte sono più d’una: un’attardata cultura idealista che riduce il paesaggio a uno stato d’animo, l’insensibilità culturale di molti “tecnici” che edificano senza tener conto della complessità storica e naturale del nostro Paese, la voracità della speculazione al servizio di una nazione che sta cambiando troppo in fretta e senza regole. Conclude: “il problema è naturalmente politico” e invoca una legge urbanistica che dia un nuovo assetto al territorio. La vittoria che ha bloccato la speculazione sull’Appia antica è solo un punto di partenza, “dobbiamo renderci conto che partiamo da zero”. Nell’introduzione al dossier si scrive che la mostra è prevista per l’autunno di quell’anno. 4 Il 1966 è l’anno zero della coscienza ambientalista del nostro Paese e la preparazione della mostra diventa improvvisamente importante. Il 19 luglio una frana causa il crollo di molti edifici di un quartiere di Agrigento, costruito senza regole negli anni precedenti. Gli abitanti riescono a mettersi in salvo, ma il panorama di rovine e la facile ricerca delle cause spingono il governo di centro-sinistra presieduto da Aldo Moro ad accelerare l’iter di approvazione di una legge urbanistica. Il tema aveva provocato aspre battaglie all’interno della stessa DC e la sconfessione della proposta di legge di Fiorentino Sullo che proponeva l’esproprio di una parte delle aree private a favore dei Comuni che poi avrebbero ceduto ai privati il diritto di superficie per le utilizzazioni previste dai piani regolatori. Sullo viene emarginato dal partito e Moro cerca di prendere tempo mentre nel frattempo la febbre edilizia non accenna a diminuire. La frana di Agrigento mette ognuno davanti alle proprie responsabilità. Nel piovosissimo autunno di quell’anno, il 4 novembre 1966, straripa l’Arno: Firenze è invasa da un fiume di fango e tutta la Toscana subisce danni. Il numero delle vittime è fissato in 35; i danni al patrimonio artistico sono incalcolabili: si staccano le formelle del Ghiberti dal Battistero del Duomo, i depositi degli Uffizi sono completamente alluvionati, così come i magazzini della Biblioteca Nazionale Centrale (la più importante d’Italia), il Crocifisso di Cimabue in Santa Croce è quasi irrimediabilmente perduto. Lo stesso 4 novembre, allora festa nazionale, l’acqua alta invade Venezia raggiungendo quasi i due metri. Gli effetti interessano almeno 20.000 persone. Sembra il colpo di grazia a una città già in via di spopolamento. Le immagini di Firenze e Venezia fanno il giro del mondo. La solidarietà internazionale è fortissima: non è solo l’Italia a essere colpita, ma il cuore della civiltà occidentale. L’impreparazione è però evidente: e ora che si fa? 5 «L’Italia da salvare» è ‘il fondo’ che compare il 7 aprile 1967 in prima pagina del «Corriere della Sera» a firma Indro Montanelli. L’articolo lancia la mostra Italia da salvare che si inaugura quel giorno nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale a Milano. I 50.000 visitatori e i 14.000 studenti che affollano nelle tre successive settimane la mostra sono colpiti, più che dai reperti artistici che arrivano dalle zone alluvionate, dalle 450 fotografie scattate da Bazzoni e dalla sua équipe, impaginate dal grafi- co Pino Tovaglia e disposte per pannelli nella sala semidistrutta che il Comune di Milano ha voluto lasciare così a ricordo delle distruzioni belliche. Alla mostra è unito un piccolo catalogo, con una memorabile copertina a opera di Tovaglia, in cui si spiegano ed esemplificano le ragioni della ricerca. Scorrendo i nomi del Comitato d’onore si ha l’impressione che l’intera classe dirigente nazionale abbia risposto all’appello: i grandi industriali hanno messo mano al portafoglio, i politici per una volta sembrano aver capito, il mondo intellettuale sostiene gli scopi della mostra. La direzione della ricerca è affidata a Renato Bazzoni che ha al suo fianco Roberto Brambilla e Pino Tovaglia. Un testo non firmato introduce il catalogo: “i problemi della tutela, presupposto fondamentale della cultura di un Paese veramente moderno, discussi finora solo da studiosi e da tecnici, devono essere conosciuti da tutti gli italiani, perché contribuiscano a formare una coscienza storica e un costume civile di vita. Soltanto così potrà attuarsi una politica attiva e coordinata per la salvaguardia di un patrimonio culturale di valore inestimabile, che appartiene all’intera umanità e deve essere tramandato alle future generazioni”. Gli stessi concetti sono ribaditi nell’Introduzione alla mostra: “la necessità di tutelare e valorizzare la eredità del nostro passato non può limitarsi alle singole opere d’arte di carattere eccezionale, ma deve estendersi ad abbracciare tutto il complesso dei valori storici, ambientali e naturali esistenti sull’intero territorio nazionale”. Si passa poi in rassegna, con una scelta mirata di fotografie, il patrimonio archeologico, i monumenti isolati, i centri storici e gli ambienti urbani e rurali, il patrimonio naturale, i parchi nazionali, le calamità naturali e la difesa del suolo, il rapporto tra uomo e natura, l’impatto delle infrastrutture (autostrade) sul paesaggio, quello delle industrie, l’inquinamento atmosferico ma anche dell’acqua e del suolo, le città senza piano ovvero il fallimento dell’urbanistica. Sono solo due i pezzi firmati: «Gli italiani e l’Italia» di Cederna e «Esperienza di una mostra» di Bazzoni. Il primo sintetizza gli argomenti di quasi 20 anni di impegno: scarso senso civico del nostro popolo, il falso mito del progresso che tutto giustifica e le conseguenze che riguardano soprattutto il degrado dei centri storici e la distruzione della natura. Il problema è politico “nel senso più ampio della parola” e riguarda non solo la classe politica, ma anche gli uomini di cultura e in genere gli italiani come sempre intenti al proprio particulare e conclude: “o continuiamo a fare del nostro paese l’espressione di un volgo disperso e senza nome, o lo trasformiamo nello specchio di una società ordinata e cosciente”. Bazzoni, dal canto suo, ricapitola la storia della mostra: “un primo anno di lavoro isolato e saltuario”, poi il coinvolgimento di Italia Nostra e del Touring Club e la compilazione di “una vasta bibliografia”. In una seconda fase si sono stati coinvolti Enti e Associazioni di tutta Italia a cui è stato inviato un preciso questionario e chiesta documentazione fotografica. Risposte poche ed evasive, in generale. Si decide allora di costituire gruppi di indagine regionale: “attraverso il lavoro di questi gruppi siamo finalmente arrivati agli italiani vivi, a quelli che non avevano paura, a quelli che sembrava non attendessero altro per sfogare rabbie represse”. Sette architetti hanno scattato 20.000 fotografie, altre 5.000 sono arrivate da altri fotografi professionisti locali o espressamente inviate. Da lì la mostra ha cominciato a prendere forma con uno schema di ricerca che viene pubblicato al termine del catalogo e che, dividendo tra paesaggio urbano, rurale e naturale, offre una prima classificazione e una metodologia all’imponente lavoro di indagine. Vista con l’occhio di oggi Italia da salvare ha l’importanza storica delle grandi inchieste parlamentari degli albori dello Stato unitario: l’inchiesta Jacini, la Franchetti-Sonnino, con la differenza però che fotografa una società nel momento della sua massima trasformazione. 6 Qualche giorno dopo l’inaugurazione giunge a Milano per visitare la mostra il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. È Bazzoni a fargli da guida. Saragat incontra anche Giulia Maria Crespi, proprietaria in quegli anni del «Corriere della Sera» insieme ad altri rami della famiglia. È lei, amica di Fernanda Wittgens e di Elena Croce, a battersi perché i temi ambientali siano tra le priorità del giornale. Proprio nel 1967 fa assumere Antonio Cederna che, con Alfredo Todisco, terrà desta l’attenzione su questi temi. Una fotografia ritrae Saragat con la Crespi e Bazzoni. La signora, poco più che quarantenne, punta il dito verso il Presidente come ad ammonirlo di fare sul serio. Bazzoni la guarda tra lo stupito e l’ammirato. Sono quasi coetanei e si sono conosciuti nella sezione milanese di Italia nostra, presieduta dall’avvocato Giorgio Bergamasco, futuro senatore del PLI. Il 6 agosto 1967 il Parlamento, appena prima delle sospirate vacanze, approva la tanto attesa legge urbanistica, la cosiddetta “legge Ponte” che disciplina le licenze edilizie, tutela i piani urbanistici, pone un freno allo sviluppo edilizio incontrollato. Non basta, ma è un primo segnale di ravvedimento dopo vent’anni di cementificazione selvaggia. Nel mese di ottobre, allestita da Bazzoni (come sempre avverrà), la mostra riapre i battenti al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Ad inaugurarla il Presidente del Consiglio Aldo Moro, cui seguiranno le visite di Giacomo Mancini, ministro dei Lavori Pubblici, di Giulio Andreotti, ministro della Difesa e di altri ministri e personalità. La mostra avrà, nel 1968, successive tappe a Verona, Venezia, Bologna. In quello stesso 1968, su impulso di Elena Croce e sull’onda dell’entusiasmo suscitato dall’esperienza di Italia da salvare, nasce l’idea di fondare un equivalente italiano del National Trust, sotto il patronato di Stefano Siglienti, allora presidente dell’IMI, intitolato «Alessandro Manzoni». L’esperienza si esaurisce dopo una serie di riunioni e uno statuto in via di approvazione. Tra i partecipanti Giulia Maria Crespi e Renato Bazzoni. 7 Già nel 1968 l’interesse dell’opinione pubblica per i temi della tutela e della difesa del territorio sembra affievolirsi. Il ministro della Pubblica Istruzione Luigi Gui, che aveva rappresentato il governo nell’inaugurazione milanese di Italia da salvare, deve ora fronteggiare la protesta studentesca. Solo una pattuglia di giornalisti generosi tiene desta l’attenzione: oltre ai ricordati Cederna e Todisco per il «Corriere» diretto da Giovanni Spadolini, Mario Fazio e Paolo Monelli per «La Stampa» diretta da Alberto Ronchey. A loro si unisce l’azione di qualche amministratore più attento di altri, la lungimirante attività di Giovanni Urbani all’Istituto Na- zionale del Restauro. E Bazzoni? Prosegue l’impegno di divulgazione, specie sul tema del paesaggio, su riviste settoriali, sul bollettino di Italia nostra, fa conferenze in giro per l’Italia e l’Europa, continua a fotografare. Sono gli anni in cui si occupa di Venezia con un’analitica campagna fotografica che documenta il progressivo degrado della città, ma anche la possibilità di una vita diversa da quella imposta dai ritmi del progresso. Inoltre si occupa di una versione internazionale di Italia da salvare, Art & Landscape of Italy, too late to be saved? L’occasione la offre il fatto che il suo più stretto collaboratore, Roberto Brambilla, fa ora l’architetto a New York e riesce, attraverso i buoni uffici di Susanna Agnelli, a far sì che la mostra si inauguri al Metropolitan nell’aprile 1972. La rassegna stampa è notevole, i maggiori organi di stampa statunitensi se ne occupano, qualcuno fa notare che l’esposizione offre un aspetto dell’Italia complementare a quella che si può vedere negli stessi giorni al MOMA: Italian Domestic Landscape, la celebre mostra di Emilio Ambasz che consacra il design italiano a livello internazionale. Art & Landscape of Italy avrà 19 tappe in giro per i maggiori musei degli Stati Uniti e una londinese alla Serpentine Gallery. Il responsabile, sotto il cappello di Italia Nostra, è Roberto Brambilla e a lui si può attribuire il testo non firmato che apre il catalogo e spiega le ragioni della ricerca: “1) to focus world attention on Italy’s preservation problems in their larger meaning of interrelationships beetwen causes and effects; 2) to provide a case-study model to other countries faced with the same process of accelerated growth and change”. 8 Bazzoni, pur seguendo con partecipazione tutto il cammino della mostra americana, non andrà mai negli Stati Uniti. In quel periodo è impegnato nel lavoro di ricerca per la Prima relazione sulla situazione ambientale in Italia, un’indagine promossa dalla Tecneco (una società dell’ENI) in collaborazione col «Corriere della Sera» tra il 1972 e il 1973. L’architetto, accompagnato da Paolo Parigi, ha l’occasione di fotografare da un aereo da turismo buona parte delle coste italiane e dell’Italia meri- dionale: quello che è avvenuto nei dieci anni precedenti non ha bisogno di commenti. La ricerca, che forse per l’ENI è un’occasione di riscatto dopo aver provocato una serie di danni ambientali in varie parti della Penisola, viene presentata a Urbino nel giugno 1973 ed è subito attaccata da Giovanni Berlinguer sulle pagine de «L’Unità», con l’argomento che non si può chiedere a chi inquina di disinquinare. Un ragionamento limitato che non coglie la buona volontà di una delle principali industrie del Paese. Disilluso, anche se per motivi diversi, anche Bazzoni che partecipa al convegno con un intervento sulle coste italiane che così conclude: “queste nostre denunce sono soltanto esercitazioni accademiche, minuetti al suono di un carillon che si scarica alla fine della esercitazione. Infatti chi potrebbe provvedere non è qui fra noi. Non è mai fra noi, impegnato com’è in altri minuetti”. 9 Nel giro di un lustro la classe politica ha perso il suo credito verso chi si occupa di tutela e ambiente. La società civile capisce che è il momento di fare da sé. Il 1973 si chiude mestamente, dopo che è scoppiata la prima crisi energetica che ha come conseguenza per l’Italia il piano “austerity” varato dal governo Rumor. È ancora vivo in chi ha vissuto quegli anni, anche bambino, il ricordo delle domeniche a piedi, delle targhe alterne, delle trasmissioni televisive che finivano alle dieci di sera. L’età di un progresso illimitato, il quarto di secolo trascorso dal dopoguerra, è finito. Risuonano parole ed espressioni nuove: ecologia, limiti dello sviluppo, mutazione antropologica. Nel 1974 Giulia Maria Crespi vende le sue quote del «Corriere della Sera» ad Andrea Rizzoli. Vorrebbe dare un segno a nuova fase della sua esistenza, le piacerebbe regalare un grande parco alla città di Milano, ma Bazzoni, con cui non si sono mai persi di vista, insiste che bisogna fare il National Trust italiano e lei è la persona giusta. Sono anni che se ne parla. Bassani come presidente di Italia nostra è sempre stato molto scettico. Nel 1966, in occasione del primo congresso nazionale, usa nel discorso di apertura un tono sarcastico: “Che dire di quegli altri, soci o simpatizzanti, che, ad imitazione del National Trust, amerebbe vederci trasformati in grossi proprietari immobiliari, sollecitando a nostro favore lasciti di storiche ville medicee, di nobili rocche piemontesi o calabresi, di dimore palladiane? “. Anche se nell’Associazione non tutti sono d’accordo - Roberto Pane la abbandonerà in polemica, Pier Fausto Bagatti Valsecchi, amico dai tempi del Politecnico di Bazzoni, continua a credere nella possibilità di un National Trust italiano - non risulta che Bassani, presidente fino al 1980, abbia cambiato idea. La nascita del FAI è stata raccontata con brio narrativo e molta ironia da Elena Croce, secondo la Crespi la prima ispiratrice della possibilità concreta di fondare un National Trust nostrano. Per la figlia di Benedetto Croce il FAI “aveva avuto una penosissima incubazione attraverso numerose sedute con manager di avanguardia troppo occupati i quali, alzandosi per correre in aereoporto, lasciavano in garanzia il monito: occorre innanzitutto costruirsi una «filosofia». Quei personaggi importanti non davano mai il tempo di spiegare che la filosofia, e la conseguente prassi, erano già da cinquant’anni presenti in Inghilterra. Ma infine non si sarebbero più tenute riunioni, perché il FAI era stato istituito dalla sola Giulia Maria Crespi che lo affidava alla gestione competentissima dell’architetto Renato Bazzoni”. 10 “Avvennero profondi cambiamenti nella mia vita, e quando decisi di dedicare le mie forze unicamente all’ambiente, l’architetto Bazzoni mi convinse a seguire i consigli di Elena”. Così la Crespi, in un breve ricordo di Elena Croce, rammenta la genesi del FAI - Fondo Ambiente Italiano che avviene il 28 aprile 1975. Insieme a lei, Renato Bazzoni, Franco Russoli e Alberto Predieri, un avvocato fiorentino cresciuto alla scuola di Piero Calamandrei. I primi anni del FAI sono stentati. Il nuovo è sempre arbitrario e tutto deve essere fatto per la prima volta: acquisire una proprietà, restaurarla, gestirla, comunicarne l’esistenza. Nel novembre 1980 esce il primo numero del «Notiziario del FAI». L’editoriale, come tutti i successivi è di Bazzoni, che si scusa per la povertà tipografica ma pronostica al giornaletto di quattro fogli un grande avvenire. Gli iscritti al 1981 sono poco più di mille, ma l’ottimismo della volontà, tratto comune di personalità così diverse e complementari come Bazzoni e la Crespi, fa sì che le difficoltà siano gradualmente superate. Quando Bazzoni muore il 9 dicembre 1996, dopo aver dedicato gli ultimi 15 anni della sua vita pressoché interamente al FAI, le proprietà sono diventate 15 e i beni tutelati 7. “La pattuglia della democrazia si accresce di gente che si è rivelata a se stessa, avendo trovato l’occasione di tradurre in sistema quelle idee vaghe e isolate che aveva dentro”. Parole che hanno il valore dell’autoritratto per Renato Bazzoni: l’occasione è stata Italia da salvare, il FAI il suo inveramento. Gli scritti di Renato Bazzoni sono raccolti in Tutta questa bellezza, a cura di A. Cicalò Danioni. Prefazioni di A. Carandini e G. M. Mozzoni Crespi, Rizzoli Milano, 2014. Sulla nascita di Italia nostra: Giorgio Bassani, Italia da salvare. Scritti civili e battaglie ambientali. Prefazione di G. Ruffolo. A cura di C. Spilla, con una nota di P. Bassani, Einaudi Torino, 2005; Elena Croce, La lunga guerra per l’ambiente, Mondadori Milano, 1979. Qualche notizia in R. Pane, Attualità dell’ambiente antico, La Nuova Italia Firenze, 1967. Su Antonio Cederna, è molto completo www.archiviocederna.it a cui si può aggiungere F. Erbani, Antonio Cederna. Una vita per la città, il paesaggio, la bellezza, Legambiente Morciano di Romagna, 2012. La rivista «Pirelli» (1948-1972) è oggi reperibile interamente online: www.fondazionepirelli.org/rivista. La storia di Italia da salvare non era stata ancora ricostruita. Oltre al catalogo Italia da salvare (senza data, ma 1967), esiste una Rassegna stampa con data aprile 1968 che raccoglie i principali articoli sulla mostra, a cui sono da aggiungere le testimonianze a me rese (dicembre 2014- gennaio 2015) da Pier Fausto Bagatti Valsecchi, Roberto Brambilla, Giulia Maria Mozzoni Crespi che qui ringrazio. Per Art & Landscape, too late to be saved, Centro Di Firenze, 1972, oltre al catalogo, fondamentale la testimonianza di Roberto Brambilla e la rassegna stampa che mi ha messo a disposizione. Della Prima relazione sulla situazione ambientale del paese, a cura della Tecneco. Roma, Casa editrice. Carlo Colombo, 1973, 4 vol., qualche notizia in B. Zanardi in Un patrimonio artistico senza. Ragioni, problemi, soluzioni, Skira Milano, 2013. Sulla nascita del FAI Elena Croce, Due città, Adelphi Milano, 1985 da integrare con la testimonianza di Giulia Maria Mozzoni Crespi in Elena Croce e il suo mondo. Ricordi e testimonianze, CUEN Napoli, 1999 e Il libro del FAI, a cura di L. Borromeo Dina, Skira Milano, 2005. Sull’impegno di Bazzoni al FAI mi hanno reso testimonianza Marco Magnifico, Annamaria Morando, Vincenzo Valastro che qui ringrazio insieme a Carla Bazzoni che mi ha aperto l’archivio del marito. Alberto Saibene, consulente editoriale, editore, studioso della storia della cultura italiana del XX secolo. Cura la pubblicazione degli scritti di Adriano Olivetti. Milano, 7 aprile 1967 Renato Bazzoni assiste fra il pubblico all’inaugurazione di Italia da salvare In copertina: foto Vittorio Pigazzini © FAI - Fondo Ambiente Italiano Il FAI è una fondazione non profit che opera grazie al sostegno di cittadini e aziende per la tutela dell’arte, della natura e del paesaggio italiani. Un compito infinito che non ammette soste: per questo abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti. Anche del tuo. Per informazioni: La Cavallerizza, via Carlo Foldi 2 - 20135 Milano T. +39 02 4676151 Fax +39 02 48193631 Per iscrizioni: T. 02 467615260/05/59 [email protected] - www.fondoambiente.it Per donazioni: ccp n. 11711207 intestato a FAI oppure con carta di credito, assegno o bonifico bancario