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L’allergia alimentare nel 21° secolo Muraro M. A., Lazzarotto F. Centro di Riferimento Regionale per lo Studio e la Cura delle Allergie e delle Intolleranze Alimentari- Dipartimento di Pediatria – Università di Padova Autore per la corrispondenza: Antonella Muraro Centro di Riferimento Regionale per lo Studio e la Cura delle Allergie e delle Intolleranze Alimentari- Dipartimento di Pediatria – Università di Padova Via Giustiniani, 3 35128 Padova Tel. 049 821 2538 Fax 049 821 8091e-mail: [email protected] Riassunto. Il cibo è al centro di quasi tutti i nostri legami sociali e rappresenta una potenziale minaccia per l’individuo con allergia alimentare ovunque egli si trovi. Il 2-4% degli adulti e il 3-8% della popolazione pediatrica presentano un’ allergia alimentare, definita come una reazione avversa al cibo su base immunologica (IgE o non IgE mediata). Un piccolo numero di alimenti sono responsabili della maggioranza delle allergie alimentari: latte vaccino, uovo, soia, grano, arachidi, frutta secca e pesce. La predisposizione genetica e una precoce esposizione agli allergeni alimentari sono stati descritti come fattori di rischio per allergia alimentare. Le manifestazioni cliniche dell’allergia alimentare comprendono sintomi cutanei, respiratori, gastrointestinali e lo shock anafilattico. L’iter diagnostico dell’allergia alimentare include prick test cutanei, dosaggio delle IgE specifiche per l’alimento, dieta di eliminazione e test di scatenamento. Recentemente è stato proposto l’utilizzo del patch test, ma è necessaria un ulteriore standardizzazione. La maggioranza dei bambini con allergia a latte, uovo e grano raggiungerà una tolleranza entro i primi tre anni. Tuttavia in un 25-35% dei bambini, l’allergia alimentare persiste anche in un’età successiva. L’allattamento al seno combinato con l’esclusione di cibi solidi per i primi 4-6 mesi sembra essere la misura preventiva più efficace nei bambini a rischio elevato, mentre le formule con idrolisati proteici estensivi vengono raccomandate come sostituti. Un potenziale effetto dei pre- e probiotici è stato suggerito avere un ruolo di immunomodulazione della flora intestinale. L’eliminazione del cibo responsabile è il principale trattamento dell’allergia alimentare. Tuttavia, studi sull’immunoterapia sublinguale e orale sono in corso con risultati preliminari incoraggianti. Abstract. Food is at the center of almost all our social connections and presents a potential threat to the food allergic individual everywhere he or she turns. 2%-4% of the adult and 3-8% of the pediatric population are reported as having a food allergy (FA) defined as an immunological adverse reaction to a food (IgE or not-IgE mediated). A small number of foods are responsible for the majority of FA: cow’s milk, hen’s egg, soybean, wheat, peanut, tree-nuts and fish. Genetic predisposition and an early exposure to food allergens have been described as risk factors for FA . The clinical manifestations of FA encompasse skin, respiratory, gastrointestinal symptoms, and anaphylactic shock. The diagnostic work-up of FA includes skin prick test, measurement of foodspecific IgE, elimination diet and food challenges. Recently the atopy patch test has been proposed, but further standardization is needed. The majority of children with allergy for milk, egg and wheat will achieve tolerance within the first 3 years. Nevertheless there is evidence that in 25-35% of the children FA persists at a later age. Breastfeeding combined with avoidance of solid food for 4-6 months appears to be the most effective preventive regimen in high-risk children, while extensively hydrolized protein formulas are recommended as substitute. A potential effect for pre-and probiotics has been suggested due to the immunomodulation role of the intestinal flora. The elimination of the offending food is the main treatment of FA. However, studies with sublingual and oral immunotherapy are ongoing with encouraging preliminary results. Parole chiave: allergie alimentari, allergeni, diete di eliminazione Key words:food allergies, allergens, avoidance diets Definizione Per allergia alimentare si intende una reazione avversa all’alimento scatenata da un meccanismo immunologico. Tale reazione si differenzia dall’ipersensibilità non allergica, o intolleranza, in cui causa delle manifestazioni sono fenomeni di tossicità, determinati per esempio da contaminanti tossici (per esempio sindrome sgombroide, tossine secrete da Salmonella, Shigella e Campylobacter), proprietà farmacologiche di alcuni cibi (caffeina nel caffè, tiramina nei formaggi fermentati), o deficit enzimatici (deficit di lattasi). Le reazioni avverse ad un alimento su base immunologica (allergia alimentare) si presentano solo in alcuni soggetti, dopo l’ingestione anche di minime quantità di alimento e non sono correlate con nessun effetto fisiologico dell’alimento stesso. Tipicamente si distinguono reazioni IgE mediate e reazioni in cui tali anticorpi non sono rilevabili (non-IgE mediate) [Johansson 2001] (vd Fig.1). Fig 1: Classificazione dell’ipersensibilità alimentare Ipersensibilità alimentare Allergia alimentare Allergia alimentare IgE mediata Ipersensibilità non allergica Allergia alimentare non IgE mediata [Johansson S.G.O., O’B Hourihane J., Bousquet J. - A revised nomenclature for allergy. Allergy 2001, 56: 813-824] Epidemiologia La prevalenza delle allergie alimentari è estremamente variabile [Rona 2007]. Infatti, se da un lato il 30% degli adulti ritiene di avere un’allergia alimentare, solo nel 2% risulta poi confermata da un appropriato iter diagnostico [Young 1994]. Analogamente il 35% dei genitori dei bambini in età scolare ritiene che il proprio figlio presenti un’allergia alimentare. [Eggesbo 1999] Nella popolazione pediatrica la prevalenza, con un corretto iter diagnostico, sembra essere del 6-8% nei lattanti e del 3-5% nei bambini fino a 8 anni [Bock 1987]. I problemi principali per la valutazione della prevalenza sono, in realtà, costituiti da differenze metodologiche nei vari studi riguardanti la definizione di allergia alimentare, la presenza di sensibilizzazione IgE, l’esecuzione del test di provocazione alimentare (gold standard per la diagnosi), la selezione della popolazione. In alcuni lavori, infatti, la prevalenza della malattia è stata valutata nella popolazione generale in studi su coorti, in altri in popolazioni selezionate come pazienti con dermatite atopica o afferenti ad ambulatori di allergologia di terzo livello. Frequente è inoltre in letteratura la valutazione della prevalenza sulla base della sintomatologia riferita dal paziente o sui risultati delle IgE specifiche in vivo e in vitro, con significativa sovrastima del problema. Esistono marcate variazioni geografiche nella prevalenza dell’allergia alimentare ai singoli alimenti, in parte dipendenti dalle abitudini alimentari della popolazione in causa. Ad esempio, benché l’allergia al latte e all’uovo siano presenti in tutto il mondo , esistono picchi di prevalenza di allergia alle arachidi negli Stati Uniti e Gran Bretagna o alla mostarda in Francia. Allergeni alimentari Gli allergeni alimentari sono suddivisi in: - allergeni di classe 1, glicoproteine idrosolubili con PM dai 10 ai 70kD non denaturabili con, acidi, calore e proteasi. In questa classe sono incluse le proteine del latte, della frutta secca, dell’uovo e la lipid transfer protein (LTP). La sensibilizzazione verso tali allergeni avviene per via gastrointestinale e può determinare sintomatologia sistemica. - allergeni di classe 2, proteine termolabili, omologhe alle proteine del polline di betulla; la sensibilizzazione a tali proteine si verifica in seguito alla sensibilizzazione agli allergeni pollinici per via respiratoria. Gli allergeni di classe 2 tendono a dare sintomatologia prevalentemente orale [Sicherer 2006]. Gli allergeni alimentari più frequentemente implicati sono usualmente in relazione alle abitudini alimentari della popolazione. Nei paesi occidentali sono prevalenti latte, uovo, grano, soia, pesce, arachide, noce, nocciola, con incidenza variabile a seconda dell’età del paziente (vedi Tabella 1). Tabella 1: Alimenti responsabili della maggior parte delle reazioni allergiche Lattanti Bambini Ragazzi/Adulti ____________________________________________________________ latte vaccino uovo arachidi soia latte vaccino uovo arachidi soia grano frutta secca pesce, crostacei arachidi frutta secca pesce crostacei Tali alimenti sono tra l’altro, parte di una lista di allergeni emanata dalle Commissioni regolatorie europee e statunitensi [Commission Europeenne: 2005] con l’obbligo di indicazione nell’etichetta degli ingredienti di un prodotto alimentare commerciale. Studi di coorte in età pediatrica hanno evidenziato una prevalenza dell’allergia al latte vaccino del 2,2-2,8% a 3 anni di età nei bambini alimentati con formula e dello 0,7-1% in quelli allattati al seno. L’allergia all’uovo nella stessa coorte oscillava dall’ 1,7 al 2% [Host 1990]. Nella popolazione adulta l’allergia alimentare è spesso correlata ad allergeni vegetali per lo più come espressione di una reattività crociata con pollini di betulla e graminacee. Molti di questi sono allergeni termolabili presenti nella frutta e verdura fresca, ma in alcuni casi si tratta di allergeni resistenti al calore come la LTP. In altri casi la sensibilizzazione è verso panallergeni presenti sia sul polline sia sui vegetali come la profillina. Recentemente una meta-analisi sulla popolazione pediatrica e adulta ha evidenziato una prevalenza di allergia alla frutta variabile da 0,1% a 4,3%, di allergia a vegetali/legumi dallo 0,5% al 2,2%, di allergia alla soia del 3%, di allergia alle nocciole del 4%, di allergia al grano dello 0,5% nei bimbi e >3% negli adulti [Zuidmeer 2008]. Fattori di rischio La presenza di una genetica predisponente per la dermatite atopica e l’asma è stata da tempo comprovata, quindi è lecito pensare che esista una predisposizione genetica anche per le allergie alimentari. Difficile dimostrare se gli stessi polimorfismi genetici responsabili dell’asma lo siano anche dell’allergia alimentare o se quest’ultima sia caratterizzata da polimorfismi propri [Lack 2008]. Recentemente sono stati individuati alcuni polimorfismi del gene delle interleuchine, che sembrano predisporre all’allergia alimentare [Campos 2008]. La presenza di dermatite atopica nei primi mesi di vita risulta strettamente correlata al rischio di sviluppare un’allergia alimentare soprattutto a latte, uovo e frutta secca e tale rischio è tanto più elevato quanto più precoce (<6 mesi) e grave è la dermatite. Un quesito importante è la precocità dell’esposizione agli allergeni alimentari, sia nella dieta del bambino, che nella dieta materna durante la gravidanza. Numerosi studi individuano nel mancato o ridotto allattamento al seno, un fattore di rischio per malattie allergiche; infatti la precoce introduzione di proteine del latte nella dieta del bambino, sembra favorire la comparsa della sensibilizzazione. Recentemente in letteratura sono emersi altri possibili fattori di rischio come la riduzione di grassi animali nella dieta [Kull 2006], la riduzione del consumo di verdura e frutta fresca, con conseguente ridotto introito di agenti antiossidanti, l’eccesso (e per alcuni) il deficit di Vitamina D [Milner 2005; Camargo 2007]; tali ipotesi non sono ancora suffragate da una valida base scientifica. Fisiopatologia Il meccanismo eziopatogenetico delle allergie alimentari non è ancora completamente chiarito vista la complessità dei meccanismi che sottendono l’acquisizione della tolleranza orale. ö stato dimostrato infatti fin dal 1946 in un modello animale che la somministrazione per via orale di un allergene sensibilizzante per contatto (2,4 di nitro-cloro benzene) non portava a sensibilizzazione, bensì preveniva lo scatenamento di una risposta immunitaria nelle successive iniezioni sottocutanee e nei test di provocazione percutanei [Chase 1946]. Si definisce tolleranza orale l’instaurazione di uno stato di non risposta del sistema immunitario ad un antigene somministrato per via orale [Mayer 2004]. Diversi sono i fattori che sottendono una corretta acquisizione della tolleranza orale: forma e dose dell’antigene, età, costituzione genetica e flora microbica dell’ospite. Forma dell’antigene: Gli enzimi digestivi e gli acidi gastrici frantumano gli antigeni lasciandone un 2% intatti immunologicamente. Gli antigeni solubili sono captati dalle cellule epiteliali intestinali e sono in grado di stabilire più facilmente la tolleranza. Gli antigeni particolati vengono captati da cellule M specializzate sulle placche di Peyer (vd Figura 2). Fig 2: Manipolazione dell’antigene a livello della mucosa intestinale Chehade M, Mayer L. J Allergy Clin Immunol 2005 Jan;115(1): 3-12. Clinicamente si è visto che i pazienti con allergia alimentare con anticorpi IgE specifici per sequenze “lineari” dei peptidi sviluppano più difficilmente la tolleranza, mentre quelli con IgE dirette verso le sequenze “conformazionali” spesso superano la loro allergia o possono tollerare forme cotte dell’alimento. Dose dell’antigene: Nel modello animale alte dosi di antigene alimentare provocano anergia o delezione dei linfociti, mentre piccole dosi sembrano attivare le popolazioni T linfocitarie “regolatorie”. Età: Nei modelli animali le risposte immunitarie ad una proteina alimentare intese come acquisizione della tolleranza sistemica o sensibilizzazione sono in relazione all’età in cui l’antigene viene incontrato per la prima volta. Reazioni immunologiche più intense ad antigeni alimentari sono state dimostrate nei neonati durante i primi 3 mesi di vita. E’ stato ipotizzato che un aumento della permeabilità intestinale per gli antigeni alimentari a questa età possa giustificare tale risposta. Tuttavia studi nei neonati hanno dimostrato che una matura permeabilità intestinale si raggiunge entro il quarto giorno dalla nascita. Genetica: Modelli sperimentali nel topo hanno dimostrato, che esiste una variazione nell’acquisizione della tolleranza nei diversi ceppi genetici e che topi C3H/HeJ, se privi di toll like receptor R4, sviluppano più facilmente anafilassi ad uovo e arachide. Flora microbica: Nel modello murino di allergia alimentare è stato evidenziato come topi allevati in ambiente sterile non sono in grado di sviluppare tolleranza orale e che la ricostituzione della flora microbica intestinale con bifidobatteri in tali topi “germ-free” poteva indurre tolleranza immunologica solo se la supplementazione avveniva nel periodo neonatale. Esistono studi clinici, in cui la somministrazione di lactobacillus R e GG in una formula di idrolisato estensivo ha migliorato l’efficienza della barriera intestinale e altri in cui sembra essere presente un’efficacia della somministrazione perinatale di probiotici alle madri atopiche a ai lattanti fino ai 6 mesi di età. Meccanismi immunologici La comprensione dei meccanismi dell’allergia alimentare presenta ancora molte lacune. In particolare non sono conosciuti gli eventi che a livello molecolare o cellulare portano alla perdita della tolleranza o alla sua riacquisizione. Reazioni IgE mediate: Le attuali conoscenze concordano nell’affermare che una perdita dei meccanismi di tolleranza è favorita dalla up-regolazione delle citochine (IL-4, IL-13, IL-5) prodotte dai linfociti T helper 2 e indirizzate verso la sintesi degli anticorpi IgE, e dalla down-regolazione dei meccanismi di controllo attuati dall’ IL-10 e TGFβ. Come conseguenza i pazienti con allergia alimentare IgE mediata presentano, nel siero e sulle superfici mucose, IgE specifiche contro antigeni alimentari; tali anticorpi presentano un’alta affinità verso recettori (FcεI) presenti su mastcellule e su basofili e bassa affinità per recettori (FcεII) presenti su macrofagi, monociti, linfociti, eosinofili e piastrine. Le IgE legandosi a tali recettori, causano il rilascio di mediatori come istamina, prostaglandine e leucotrieni. Tali sostanze determinano vasodilatazione, contrazione del muscolo liscio e secrezione mucosa, con aumento della permeabilità intestinale ed ulteriore passaggio di allergeni alimentari dal lume alla lamina propria [Chehade 2005]. Reazioni non IgE mediate: Molte manifestazioni cliniche di allergia alimentare non riconoscono un meccanismo IgE mediato chiaramente dimostrabile. Esistono studi nel topo che evidenziano vie alternative di downregolazione dei linfociti T regolatori con attivazione dei meccanismi di infiammazione allergica e reclutamento e infiltrazione di eosinofili nelle mucose [Chehade 2005]. Sintomatologia Nessun sintomo è patognomico per allergia alimentare, che è caratterizzata da un’ampia variabilità di espressioni cliniche. Manifestazioni cutanee: Dermatite Atopica (DA): rappresenta il sintomo più tipico di allergia alimentare nel bambino. Si presenta come una dermatite eczematosa accompagnata da prurito intenso, che se non trattata può, nelle forme più gravi, evolvere in una forma impetiginizzata, e necessitare di terapia antibiotica sistemica. La DA compare nel 45% nei primi 6 mesi di vita e entro i primi 5 anni nell’85% dei casi. L’esordio nell’adolescenza riguarda solo il 16,8%. La sensibilizzazione agli allergeni alimentari è associata al 30-40% delle DA e correlata con la severità e la persistenza della sintomatologia [Werfel 2007]. Orticaria: la forma acuta con associato angioedema rappresenta uno dei più comuni sintomi di reazione indotta da allergene alimentare, anche se l’esatta prevalenza non è conosciuta. Comune è anche l’orticaria acuta da contatto con l’alimento. L’ orticaria cronica (sintomi perduranti oltre le 6 settimane) riconosce raramente come causa l’allergia alimentare [Sampson 2004]. Manifestazioni respiratorie: La prevalenza effettiva dei sintomi respiratori indotta dall’allergia alimentare è molto difficile da stabilire. E’ molto elevata in effetti la convinzione da parte del paziente di episodi asmatici scatenati da allergia alimentare. Quando, tuttavia i pazienti sono stati indagati accuratamente, anche con i test di provocazione alimentare, la diagnosi è stata raramente confermata. L’incidenza di allergia alimentare, varia dal 2-8% in bambini e in adulti negli studi che comprendevano il gold standard diagnostico costituito dal test di provocazione alimentare [Onorato 1986; Nekam 1998]. I pazienti asmatici con allergia alimentare sembrano avere un maggiore fattore di rischio rispetto a quelli senza allergia alimentare per quanto riguarda la gravità delle crisi asmatiche [Roberts 2003; James 1996]. Gastroenteropatie: Le manifestazioni gastrointestinali di allergia alimentare presentano un ampio spettro di sintomi e di meccanismi immunologici variabili anche con l’età del paziente. Reazioni IgE mediate e non-IgE mediate possono essere isolate o coesistere venendosi a configurare il quadro di una reazione mista IgE e non IgE (vd Figura 3). Fig 3: Classificazione patogenetica delle gastroenteropatie allergiche IgE Non-IgE Ipersensibilità gastrointestinale immediata Oral allergy sindrome (SOA) Esofagite allergica eosinofila Gastrite allergica eosinofila Gastroenterocolite allergica eosinofila Enterocolite da proteine alimentari [Sampson H A. Update on food allergy. J Allergy Clin Immunol 2004, 113: 805-19] Forme IgE mediate: - Ipersensibilità gastrointestinale immediata caratterizzata da esordio rapido in circa 2 ore, con sintomi che variano dalla nausea, a dolore e crampi addominali, vomito e/o diarrea. - Sindrome Orale Allergica (SOA), che si presenta come un’angioedema che si sviluppa alcuni minuti dopo il contatto tra la mucosa orale e faringea e l’allergene alimentare. I sintomi possono variare da un lieve prurito delle labbra, bocca e gola ad edema delle labbra e della lingua, fino ad un severo angioedema della mucosa faringea. La sindrome orale allergica si può presentare isolata o associata a sintomi cutanei e/o respiratori fino all’anafilassi. La SOA può essere la prima manifestazione di esordio di un’allergia alimentare, colpisce spesso pazienti con sensibilizzazione a certi pollini soprattutto betulla, assenzio e ambrosia; esiste infatti una cross-reattività tra pollini e vegetali. Pazienti con sensibilizzazione per i pollini di Ambrosia possono reagire con l’ingestione di melone fresco e banana, mentre quelli con sensibilizzazione alle graminacee possono manifestare sintomi con il pomodoro crudo. D’altro canto in pazienti con sensibilizzazione alla betulla possono comparire reazioni per ingestione di patata cruda, carota, sedano, mela, pera, kiwi e nocciola [Breiteneder 2000]. Forme non-IgE mediate: - Enterocolite da proteine nella dieta: si presenta comunemente nel primo anno di vita, ed è caratterizzata da vomito e diarrea, anche ematica, fino al collasso cardiocircolatorio. Latte vaccino e soia sono gli alimenti più comunemente in causa, anche se altri alimenti come pollo, manzo, grano possono essere implicati. Tipicamente si osserva un aumento dei neutrofili nel sangue periferico dopo 6 ore dall’ingestione dell’alimento. Viene considerato diagnostico un aumento dei polimorfonucleati superiore a 3500 cellule/ml. Le biopsie del colon nei pazienti con enterocolite rilevano ascessi criptici e un diffuso infiltrato cellulare infiammatorio dove prevalgono le plasmacellule. Le biopsie del piccolo intestino mostrano invece edema, infiammazione acuta e modesto danno a carico dei villi. I test cutanei nell’enterocolite sono usualmente negativi. Il test di provocazione alimentare nei pazienti con enterocolite va effettuato con cautela per la possibilità di evocare manifestazioni cliniche molto gravi fino allo shock. Il test va effettuato in ambiente protetto con disponibilità di un accesso venoso per la pronta infusione di liquidi. - Proctite da proteine nella dieta si presenta nei primi mesi di vita ed è generalmente causata da proteine del latte e della soia. Anche in questo caso i test cutanei sono negativi e spesso anche l’esame delle feci, patologica invece è la biopsia intestinale, che rileva edema della mucosa con infiltrazione di eosinofili nell’epitelio e nella lamina propria. La strategia terapeutica si basa sull’eliminazione dalla dieta dell’allergene responsabile. La patologia si risolve usualmente verso i due anni di vita. - Celiachia: infiammazione cronica del piccolo intestino, che compare in individui geneticamente predisposti, a seguito dell’ingestione di glutine. La sintomatologia classica è caratterizzata da diarrea, algie addominali e malassorbimento e nel bambino da un difetto di crescita staturale e ponderale. Le manifestazioni cliniche in alcuni casi possono essere subdole solo con epigastralgie, anemia o lieve alterazione delle transaminasi. Il sospetto diagnostico è avvalorato dalla positività degli anticorpi anti-transglutaminasi, ma il gold-standard della diagnosi è la biopsia duodenale positiva per atrofia dei villi, iperplasia delle cripte ed incremento dei linfociti intraepiteliali [Green 2008]. Forme miste IgE e non IgE mediate: - Gastroenteropatia Eosinofila Allergica, di cui fanno parte l’esofagite eosinofila, la gastroenterite eosinofila e la proctocolite eosinofila a seconda del distretto dell’apparato digerente maggiormente coinvolto. Le manifestazioni cliniche consistono spesso in sintomi aspecifici quali nausea, vomito, dolore addominale, diarrea, difetto di crescita nel bambino e perdita di peso nell’adulto. Tipicamente si osserva un’infiltrazione eosinofila della lamina propria gastrica e/o intestinale con eosinofilia periferica nel 50% dei pazienti. Gastroenteropatie di tipo eosinofilo dovrebbero essere prese in considerazione in ogni paziente che abbia sintomi gastrointestinali cronici comprendenti dolori addominali ricorrenti, vomito, diarrea, sanguinamento gastrointestinale e nel bambino arresto di crescita. Le biopsie della mucosa intestinale sono obbligatorie per la diagnosi e dovrebbero essere effettuate anche quando l’osservazione endoscopica della mucosa appaia normale. Un infiltrato eosinofilo dell’esofago >20 per HPF (high-power microscopic field) è altamente suggestivo di esofagite eosinofila, mentre un’eosinofilia <15 per HPF e un miglioramento con gli antiacidi suggerisce una patologia da reflusso. Il trattamento della gastroenteropatia eosinofila associata con l’allergia alimentare consiste nell’identificazione degli alimenti responsabili e in un’appropriata dieta di eliminazione che può arrivare ad un’alimentazione esclusiva con una formula di aminoacidi per quattro settimane. I corticosteroidi per uso orale dovrebbero essere utilizzati solo nei casi più gravi per un miglioramento dei sintomi finché non si instaura una dieta di esclusione [Sampson 2004]. Anafilassi La manifestazione clinica più temibile di un’allergia alimentare è l’anafilassi, reazione allergica sistemica potenzialmente fatale, scatenata da pochi minuti a due ore dopo l’assunzione dell’alimento scatenante. L’anafilassi da alimenti costituisce la causa principale di anafilassi nel bambino e nell’adulto al di fuori dell’ambiente ospedaliero. L’epidemiologia dell’anafilassi da alimenti è difficilmente valutabile perché una quota di tali pazienti non afferisce ai Dipartimenti di Emergenza. Viene segnalato recentemente dai database dei medici di famiglia inglesi un aumento di 7 volte dell’ospedalizzazione per anafilassi negli ultimi 15 anni per lo più nella fascia di età compresa tra 0 e 14 anni [Anderson 2007; Muraro 2007]. La caratteristica principale dell’anafilassi da alimenti è costituita dall’insorgenza di sintomi respiratori più frequentemente, che non i sintomi cardiovascolari. Parallelamente la coesistenza di asma rappresenta un fattore di rischio per anafilassi grave nei pazienti con allergia alimentare. Nell’anafilassi indotta da esercizio fisico alimento dipendente, si registra un’associazione cronologica tra il consumo di un pasto ed esercizio fisico. Separatamente i due eventi non determinano nessuna sintomatologia, ma la loro associazione temporale determina la comparsa dei sintomi dopo un intervallo di tempo variabile di circa 2 ore dall’ingestione di un pasto. Una volta identificato l’allergene alimentare responsabile, ne va evitata l’ingestione da 4 a 5 ore prima di qualsiasi attività fisica. Diagnosi La storia clinica del paziente, la descrizione del tipo e delle modalità della reazione in relazione all’ingestione del cibo incriminato sono elementi critici nella valutazione di una sospetta allergia alimentare. L’iter diagnostico appropriato in un’allergia alimentare prevede pertanto inizialmente l’esclusione di altre possibili cause responsabili dei sintomi prima dell’instaurazione di una dieta di eliminazione. Quando un alimento pare altamente implicato nello scatenamento delle reazioni, tale alimento andrebbe tolto dalla dieta per un periodo variabile di 15-20 giorni (dieta di eliminazione diagnostica) per verificare il miglioramento della sintomatologia (vedi Figura 4). Fig.4: Flow-chart per la diagnosi di allergia alimentare Anamnesi/Esame obiettivo Suggestivo per intolleranza o altre malattie non immunitarie Suggestivo per allergia alimentare cellulo mediata Confermare la diagnosi alternativa Dermatite atopica moderata/grave, gastroenteropatie eosinofile (con biopsia positiva) Dosaggio IgE specifiche per gli alimenti sospettati Confermare la diagnosi con test diagnostici (endoscopia, sierologia per celiachia, etc.) Considerare dosaggio delle IgE per verificare la fisiopatologia Possono essere necessari ulteriori accertamenti (Breath-test, esami delle feci, dieta di eliminazione e reintroduzione Dosaggio delle IgE specifiche verso gli alimenti sospetti per eliminarli dalla dieta o altrimenti impostare una dieta di eliminazione su variabili epidemiologiche Dieta di eliminazione Dieta di eliminazione Risoluzione? Risoluzione ? NO SI SI Riconsiderare la diagnosi e i possibili alimenti coinvolti Eliminare l’alimento Negativo Positivo Anamnesi positiva per anafilassi dopo ingestione di un singolo alimento e/o valore del test diagnostico NO Riconsiderare la diagnosi e i possibili alimenti coinvolti Test di provocazione orale Positivo Suggestiva di allergia alimentare IgE mediata Test di provocazione orale E’ probabile che l’alimento sospettato sia in realtà tollerato, ma se l’anamnesi è altamente suggestiva, valutare l’esecuzione di un test di provocazione alimentare in aperto controllato Considerare un test di provocazione se la causa non è chiara Positivo Negativo Negativo Reintrodurre l’alimento Positivo Eliminare l’alimento Negativo Reintrodurre l’alimento Eliminare l’alimento Reintrodurre l’alimento Rivalutazione periodica in base alla storia naturale dell’allergia alimentare per quel specifico alimento, all’età del paziente e al tipo di manifestazione clinica [Modificata da: Sicherer SH. Food allergy. Lancet 2002;360:701-10] Si parla di dieta di esclusione mirata quando l’esclusione coinvolge un unico alimento, più complessa è la situazione nel caso non venga identificato specificatamente un alimento responsabile. In tale situazione si utilizzano diete empiriche oligoantigeniche in cui vengono utilizzati alimenti meno frequentemente implicati nello scatenamento delle reazioni anche sulla base del risultato delle indagini allergologiche. La diagnostica per allergia alimentare prevede la valutazione della presenza di una sensibilizzazione IgE mediata con test in vivo (test cutanei/prick test SPT) e in vitro con la misurazione delle IgE specifiche per l’alimento nel siero. Test cutanei/prick test: I prick test per alimenti sono gravati dalla difficoltà sia di standardizzazione degli estratti che dal problema del mantenimento di tutti gli allergeni alimentari rilevanti nelle varie fasi di preparazione dell’estratto. La presenza di un test positivo per un alimento indica una sensibilizzazione a questo alimento e non è diagnostico di allergia alimentare. Il valore predittivo positivo di un test cutaneo alimentare è di circa il 30-40%, mentre il valore predittivo negativo supera il 90% con lieve discrepanza per l’età <2 anni, dove il valore predittivo negativo è inferiore per la scarsa liberazione di istamina nel lattante atopico. Nel caso l’allergene indagato sia un vegetale la sensibilità della metodica può essere molto bassa per la labilità dell’allergene implicato. In questi casi risulta più attendibile eseguire il prick test direttamente con l’alimento fresco, in cui l’allergene non viene alterato dai processi di estrazione, tale metodica diagnostica prende il nome di prick by prick. IgE specifiche: La misurazione delle IgE nel siero, soprattutto se eseguita con le metodiche di ultima generazione semiquantitative come il CAP FEIA, presenta una sensibilità e una specificità pari a quella dei test cutanei. Il dosaggio delle IgE specifiche nel siero viene in particolare utilizzato quando le manifestazioni di allergia alimentare sono per lo più a carico della cute, come per esempio nei casi di eczema atopico, e non consentono l’esecuzione dei test cutanei. Un’altra indicazione è costituita dai casi in cui un forte sospetto di allergia alimentare si accompagna a negatività dei test cutanei. In caso di presenza di sensibilizzazione per alimenti, in vivo e in vitro, si deve valutare, caso per caso, l’indicazione all’esecuzione di una dieta di eliminazione per ottenere una remissione della sintomatologia. Inoltre sono stati recentemente proposti dei valori soglia di IgE specifiche per alimenti al di sopra dei quali esiste una possibilità dal 90-95% di reazione al test di provocazione. Tali valori soglia di IgE specifiche(cut-off) definiti diagnostici per allergia alimentare presentano tuttavia delle variabilità legate alla popolazione di riferimento, all’età dei pazienti e alla metodica di dosaggio in vitro utilizzata. [Sampson 2004] (vd Tabella 2). Tabella 2: Valore predittivo positivo (PPV) dei livelli di IgE specifiche per un alimento ___________________________________________________________________ 95% del valore predittivo positivo Allergene Uovo - lattanti ≤ 2aa Latte - lattanti ≤ 2aa Arachide Pesce Frutta secca Soia Grano [kU/L] PPV 7 2 15 5 14 20 15 30 26 98 95 95 95 100 100 95 73 74 [Sampson HA. J Allergy Clin Immunol 2004, 113: 805-19] Atopy patch test: L’ atopy patch test consiste nell’applicazione dell’alimento fresco sulla cute con una procedura mediata dal patch test utilizzato per la diagnosi delle dermatiti da contatto. Allo stato attuale della letteratura questo test non sembra presentare una superiorità rispetto al dosaggio delle IgE specifiche nella diagnosi di allergia alimentare [Turjanmaa 2006]. Più promettente sembra l’utilizzo diagnostico di tale metodica per le gastroenteropatie eosinofile da allergia alimentare. [Spergel 2007] Test di provocazione alimentare: Se la dieta di eliminazione si dimostra efficace, il nesso causale tra alimento e scatenamento della reazione deve essere confermato dal test di provocazione alimentare che consiste nella riesposizione in maniera controllata all’alimento in causa [Muraro 2004]. Il test diventa indispensabile nel caso delle reazioni non-IgE mediate, dove non sono disponibili parametri di utilizzo nella routine clinica quotidiana per valutare la sensibilizzazione. In tali manifestazioni a volte la reazione compare tardivamente anche a distanza di 24 ore come ad esempio può verificarsi nella dermatite atopica e in alcune manifestazioni gastrointestinali. Si rende pertanto opportuno un allestimento del test di provocazione appropriato in durata e modalità per verificare un’eventuale reazione tardiva. Il test di provocazione alimentare può essere effettuato con procedure variabili, identificate sulla base delle specifiche reazioni del paziente, distinte in: test in aperto (quando sia il paziente che il medico sono a conoscenza di quale alimento viene somministrato), test in singolo cieco (quando il paziente non è a conoscenza del tipo di alimento) e in doppio cieco contro placebo (quando sia il medico, sia il paziente ignorano quale alimento venga assunto con un’alternanza tra pasti contenenti l’alimento incriminato e pasti contenenti un placebo). Quest’ultima modalità è particolarmente utilizzata quando si voglia incrementare l’oggettività del test e per scopi di ricerca. [Niggemann 2007] Terapia La terapia dell’allergia alimentare consiste in due principali aspetti: - terapia causale con dieta di eliminazione “terapeutica” - trattamento sintomatico delle reazioni allergiche anche gravi Terapia causale La terapia sicuramente efficace per l’allergia alimentare consiste nella dieta rigorosa di esclusione dell’alimento o degli alimenti in causa per un periodo di tempo variabile a seconda del tipo di alimento, età del paziente e grado di sensibilizzazione. L’allergia al latte sembra guarire più frequentemente rispetto all’allergia all’uovo con circa il 70% dei pazienti che raggiunge la tolleranza all’età di 3 anni, mentre l’allergia all’uovo sembra risolversi per lo più in età scolare. Esistono tuttavia segnalazioni che una quota di pazienti allergici all’uovo anche gravi può guarire più tardivamente, verso i 14-15 anni [Savage 2007]. L’allergia all’arachide e più largamente alla frutta secca sembra persistere per tutta la vita con solo il 20% dei pazienti in grado di tollerare l’alimento verso i 10 anni di età. La prescrizione della dieta di eliminazione terapeutica richiede un’accurata strategia educazionale volta ad evitare trasgressioni alla dieta per contaminazioni o ingestioni accidentali, nonché la prevenzione e la gestione delle reazioni gravi che possono comunque verificarsi. La dieta di esclusione richiede inoltre un accurato monitoraggio nutrizionale, soprattutto in età pediatrica, e supplementazione di calcio quando sia coinvolto il latte vaccino, che ne è la principale fonte. Nel suo complesso l’evitare rigorosamente uno o più alimenti, con a volte il pericolo costante di reazioni che possono arrivare allo shock anafilattico, altera profondamente la qualità di vita del paziente e dei suoi familiari [Flokstra-de Blok 2008] Per tale motivo si sono ricercate alternative terapeutiche in grado di risolvere completamente e rapidamente l’allergia alimentare. Trattamento sintomatico: Reazioni di gravità variabile fino allo shock anafilattico possono comparire in caso di assunzione accidentale dell’alimento. L’anafilassi si presenta clinicamente come una grave sindrome sistemica coinvolgente l’apparato respiratorio e/o cardiovascolare. Se non tempestivamente trattata, la reazione può rapidamente progredire con aggravamento dei sintomi fino ad un esito fatale. Nelle forme IgE mediate la reazione compare non oltre le 2 ore dall’esposizione all’alimento, spesso entro 30 minuti. L’ adrenalina intramuscolo rappresenta il farmaco di I scelta nel trattamento di una reazione anafilattica. Tramite l’effetto α-adrenergico l’adrenalina incrementa le resistenze vascolari periferiche, la pressione arteriosa, la perfusione coronarica con riduzione dell’angioedema e dell’orticaria. L’anafilassi coinvolgendo l’apparato cardiovascolare determina tachicardia e ipotensione, di conseguenza la somministrazione di fluidi è fondamentale per sostenere i parametri vitali del paziente. I β2-agonisti per aerosol devono essere somministrati in caso di broncospasmo in associazione ad O2 terapia. Gli antistaminici per os o endovena costituiscono un trattamento d’elezione quando vi è solo interessamento cutaneo e per le reazioni allergiche non anafilattiche. Analogamente i cortisonici non dovrebbero essere considerati come trattamento di prima scelta nell’anafilassi non esplicitando un’azione rapida [Muraro 2007]. I pazienti che hanno un’anamnesi positiva per anafilassi, anafilassi indotta da esercizio fisico, anafilassi idiopatica e un’ allergia alimentare con concomitante asma persistente devono essere provvisti di adrenalina autoiniettabile predosata [Muraro 2007] Esistono controversie sul numero di dosi di adrenalina autoiniettabile di cui il paziente dovrebbe essere provvisto, in quanto sembra che ben il 35% dei pazienti con reazione anafilattica, abbia utilizzato una seconda dose per la completa risoluzione della sintomatologia [Jarvinen 2008] Nuove terapie Negli ultimi anni sono stati applicati dei protocolli di desensibilizzazione, con somministrazione orale (oral immunotherapy) [Meglio 2008; Patriarca 2007; Niggemann 2006; Longo 2008] o sublinguale [Enrique 2005] di dosi crescenti dell’alimento, con lo scopo di indurre una tolleranza permanente o almeno aumentare la soglia alla quale compaiono reazioni gravi. Mancano tuttavia studi controllati e a lungo termine per confermare se si tratta di una vera e propria tolleranza, a durata permanente o di desensibilizzazione transitoria all’alimento in causa, dove le reazioni potrebbero comparire in caso di sospensione temporanea dell’alimento stesso. Non emergono inoltre dalla letteratura indicazioni nè per quanto riguarda la popolazione di pazienti da sottoporre a questa immunoterapia orale nè per i dosaggi degli alimenti da somministrare. Analogamente le percentuali di successo variano molto dal 36 al 77%. Gli alimenti per cui più comunemente si sono sperimentati questi protocolli di ricerca sono il latte vaccino, seguito da uovo e pesce [Burks 2008]. Recentemente è stato fatto un protocollo sperimentale in doppio cieco in pazienti allergici all’arachide, che ha utilizzato anticorpi monoclonali IgG1 anti-IgE con l’ipotesi di ridurre l’incidenza delle reazioni anafilattiche. Lo studio ha dimostrato che nei pazienti trattati con l’anticorpo monoclonale si innalza la soglia di reazione al test di provocazione. L’utilizzo dell’anticorpo monoclonale potrebbe pertanto essere considerato in vista di una maggiore protezione nei pazienti gravi in caso di assunzione accidentale. Invece nelle gastroenteropatie eosinofile la ricerca si sta concentrando sulla sperimentazione di anticorpi monoclonali anti-IL5, interleuchina coinvolta nella proliferazione e attivazione di tali cellule. In un protocollo sperimentale la somministrazione di questi anticorpi ha determinato un’effettiva diminuzione dell’infiltrazione degli eosinofili tissutali e circolanti, ma senza significativa efficacia sulla sintomatologia [Leung 2003]. Prevenzione primaria Il ruolo della prevenzione primaria dell’allergia alimentare è stato ampiamente dibattuto negli ultimi decenni. Da una recente revisione sistematica della letteratura emergono delle raccomandazioni per i bambini ad alto rischio atopico per familiarità positiva in uno o entrambi i genitori o in un fratello[Muraro Part III 2004] (vedi Tabella 3). Tabella 3: Raccomandazioni per la prevenzione primaria dell’allergia alimentare in bambini con rischio atopico __________________________________________________________________ • allattamento materno esclusivo per almeno i primi 4 mesi • introduzione di cibi solidi dopo il 4 mese • utilizzo di formule idrolizzate estensive per i primi 4-6 mesi Non sembra esserci un sicuro effetto preventivo della dieta dopo i 4-6 mesi d’età [Modificata da: Muraro MA., Dreborg S., Halken S. et al. – Dietary prevention of allergic diseases in infants and small children. Part III. Pediatr Allergy Immunol 2004, 15: 291-307] Inoltre non vi sono dati convincenti di un effetto preventivo della dieta materna durante la gravidanza e l’allattamento e l’utilizzo degli idrolizzati parziali non sembra ottenere lo stesso effetto preventivo degli idrolizzati estensivi. Va sottolineato che una dieta di prevenzione oltre i 4 mesi non sembra presentare efficacia preventiva. Recentemente si è focalizzata l’attenzione sulla capacità immunomodulatoria della flora batterica intestinale e sulla possibilità di un intervento preventivo pro-attivo. Studi preliminari suggeriscono che la supplementazione della dieta della madre con probiotici sia nelle ultime settimane di gravidanza sia nelle prime settimane di allattamento riduca l’insorgenza e l’entità delle manifestazioni cutanee dell’eczema atopico [Prescott 2007; Savilahti 2008]. Non sono stati dimostrati in questi studi effetti sulla sensibilizzazione IgE, per cui risulta ancora oscuro il meccanismo di azione di tali probiotici. Esistono inoltre alcuni aspetti controversi riguardanti i ceppi di probiotici da utilizzare nella prevenzione, i dosaggi, l’epoca di vita più opportuna per la somministrazione e la popolazione su cui effettuare l’intervento. Futuri studi controllati saranno in grado di definire più chiaramente il ruolo della flora microbica intestinale nell’acquisizione della tolleranza orale. Bibliografia Anderson HR., Gupta R., Strachan DP. Et al. – 50 years of asthma: UK trends from 1955 to 2004. Thorax 2007, 62: 85-90. Bock SA. – Prospective appraisal of complaints of asverse reactions to foods in children during the first 3 years of life. Pediatrics 1987, 79:683-688. Breiteneder H., Ebner C. – Molecular and biochemical classification of plant-derived food allergenes. J Allergi Clin Immunol 2000, 106: 27-36. Burks AW., Laubach S., Jones M S. – Oral tolerance, food allergy, and immunotherapy: implications for future treatment. J Allergy Clin Imunol 2008, 121 (6): 1344-1350. 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