capitolo 10_159_174

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capitolo 10_159_174
10.
GLI INVESTIMENTI ESTERI DELLE
IMPRESE ITALIANE
10.1
Introduzione
In questo lavoro si cerca di approfondire il tema degli investimenti diretti
esteri (Ide) in uscita. Nella prima parte si richiama la nuova realtà economica
che si è delineata in questi ultimi decenni, in cui il commercio internazionale
non si effettua più soltanto attraverso le esportazioni e le importazioni ma anche con gli Ide, che danno luogo ad una produzione industriale internazionale. In questo contesto è l’esistenza di un vantaggio assoluto che determina
paese e settore nei quali si spostano fasi di processi produttivi.
Successivamente si analizza l’evoluzione della multinazionalizzazione attiva in Italia, che dagli anni ottanta ad oggi è stata positiva. Molte imprese italiane si sono infatti internazionalizzate, con effetti positivi per la loro crescita e
competitività, contribuendo a ridurre la distanza, che comunque rimane non
trascurabile, rispetto agli altri sistemi industriali. La ridotta presenza in Italia di
imprese di grandi dimensioni ha rappresentato finora un limite all’internazionalizzazione dei settori scale intensive, i quali tuttavia conservano un peso preponderante e pari al 42% del totale degli investimenti diretti esteri, pur se in
netta decelerazione rispetto alla metà degli anni ottanta, mentre hanno delle
quote molto modeste i settori specialistici e science based (intorno al 10%).
Tali differenze emergono chiaramente se si confronta la realtà italiana con quella francese e tedesca.
Infine è importante ricordare che gli effetti economici positivi degli Ide non
vanno solo in una direzione, dalla casa madre all’economia del paese ospite.
Nell’ultima parte del capitolo vengono passati in rassegna alcuni studi empirici recenti che mostrano come ci possono essere degli spillover tecnologici in
direzione opposta, ossia dall’economia ospite alla casamadre.
10.2
Dal commercio alla produzione internazionale
Negli ultimi due decenni gli investimenti diretti esteri hanno registrato tassi di crescita particolarmente significativi e decisamente superiori a quelli del
commercio internazionale, diventando una delle forme più rilevanti di internazionalizzazione delle imprese operanti nei paesi industrializzati. L’estendersi
della dimensione fisica delle imprese al di là dei confini nazionali attraverso il
controllo diretto esercitato su altre unità produttive ha mostrato d’altra parte di
avere a sua volta effetti non trascurabili sugli stessi flussi commerciali: il carattere complementare che esportazioni e Ide in molti casi rivelano è legato
anche al fatto che gli scambi intra-firm rappresentano una quota rilevante del
commercio orizzontale tra paesi.
Tale nuova realtà economica ha influito sulla divisione internazionale del
159
lavoro e ha reso necessario rivedere i modelli analitici del commercio internazionale. In tutti i modelli di commercio internazionale, infatti, data una certa distribuzione di tecnologie non trasferibili internazionalmente (Ricardo), o certe
configurazioni della distribuzione relativa dei fattori produttivi (Heckscher-Ohlin) o, ancora, l’esistenza di economie di scala nella produzione di certe merci (Lancaster-Krugman), il vettore dei prezzi di equilibrio mondiali assegna a
ciascuna economia nazionale il compito di produrre e vendere sul mercato
mondiale, un vettore specifico di prodotti finiti. Questa impostazione microeconomica ha una sua corrispondenza nella modellistica macro, lo scambio internazionale assume funzione di stimolo dell’attività produttiva interna attraverso la domanda di merci interamente prodotte sul territorio nazionale. La modellistica macro non si è mai occupata di modellare il commercio estero di prodotti altri da quelli finiti.
Da Ricardo in avanti la teoria del commercio internazionale ha identificato il concetto di divisione internazionale del lavoro con quello di specializzazione commerciale e produttiva, espressione con la quale si intende indicare
l’allocazione di interi processi produttivi a paesi diversi, processi produttivi identificati univocamente con il prodotto finale generato. L’impostazione ricardiana
del commercio internazionale appare poco adatta a spiegare le tendenze in
corso, e vari autori1 hanno suggerito l’utilità di tornare a considerare la concezione smithiana di divisione internazionale del lavoro e, in particolare, la frammentazione internazionale della produzione, la quale consiste nella rilocalizzazione all’estero di fasi specifiche di un processo produttivo tradizionalmente
integrato e condotto in un solo paese (un solo impianto). Nella concezione
smithiana la divisione del lavoro è esplicitamente ed esclusivamente segmentazione di un processo produttivo in fasi specifiche, ciascuna da affidare a gruppi di lavoratori specializzati nella conduzione di quella fase lavorativa.
La scelta di localizzare all’estero una o più fasi del processo produttivo è
sempre funzione di una qualche sorta di «vantaggio comparato» esistente nel
paese verso cui si delocalizza, ma il significato da attribuire a questo concetto è diverso dalla definizione ricardiana. Secondo Baldoni, Sdogati e Tajoli (vedi bibliografia) in un mondo in cui la produzione è internazionalmente frammentata, la scelta di quali e quanti fasi del processo produttivo da far eseguire all’estero non è necessariamente funzione di variabili di natura tecnologica
e/o della dotazione relativa dei fattori, come nell’originaria teoria dei vantaggi
comparati. Affinché abbia luogo la delocalizzazione internazionale della produzione è sufficiente, ad esempio, che esista un differenziale positivo del costo del lavoro per unità di prodotto: è l’esistenza di un vantaggio assoluto, indipendentemente dalla presenza o meno di un vantaggio comparato ricardiano, che determina paese e settore nei quali si spostano fasi di processi produttivi.
Adottare un modello di scambio internazionale che tenga conto della frammentazione internazionale dei processi produttivi implica che l’identificazione tra
economia nazionale e specializzazione merceologica, produttiva e commerciale
venga a cadere, poiché nessuno dei paesi coinvolti può essere considerato il
solo produttore della merce finita. Le singole economie nazionali si caratterizzano per il fatto di specializzarsi in segmenti più o meno estesi del processo produttivo: sarà sempre possibile che un paese si specializzi, ad esempio, nelle fasi capital intensive o in quelle skill intensive di un processo produttivo fram-
1 Dunning H. J., (1992) «Multinational enterprises and the global economy». Basevi G., Calzolari G., Ottaviano G. (2001) «Economia politica degli scambi internazionali».
160
mentato, ma si dovrà parlare allora di specializzazione in una fase del processo e non di specializzazione nella produzione di un determinato bene.
Le determinanti che sono alla base della produzione estera e quindi degli
Ide riguardano i fattori che possono ridurre i costi e/o aumentare i ricavi dell’impresa. In particolare possono essere suddivisi in tre categorie: country-specific,
industry-specific e firm-specific. Le determinanti country-specific (host location
specific) influenzano i costi e i ricavi che l’impresa potrebbe realizzare se decidesse di delocalizzare parte del processo produttivo nel paese ospite e includono la dimensione relativa del paese ospite, il costo relativo dei fattori produttivi
nonché la struttura tariffaria e il sistema fiscale del paese estero. Le determinanti
industry-specific includono, tra le altre cose, l’uso relativo dei fattori (l’intensità di
capitale, di lavoro qualificato, di R&S e di risorse naturali), le economie di scala, la mobilità dei prodotti e la dimensione del settore. Tali determinanti influenzano il volume della produzione estera attraverso il loro effetto sul costo relativo di produzione, per un dato livello di produzione. Inoltre, esse contribuiscono
a creare differenze nel ruolo delle barriere commerciali e nella profittabilità di localizzare la produzione vicino al mercato.
Le determinanti firm-specific sono tutti quegli attributi che differenziano le
imprese all’interno di un dato settore. Tra queste ve ne sono in particolare due.
La prima è l’esperienza multinazionale, che riflette la conoscenza che le imprese accumulano sul contesto in cui operano ed è funzione di quanto è estesa la
loro presenza in una data regione estera. Ci si può attendere che al crescere
dell’esperienza multinazionale diminuiscano l’incertezza e i costi di localizzazione e possa aumentare il profitto atteso di ulteriori insediamenti sul territorio. La
seconda variabile firm-specific riguarda la nazionalità d’origine delle multinazionali, che riflette un rapporto privilegiato con il sistema produttivo di provenienza
della stessa struttura industriale e del sistema innovativo nazionale di cui è
espressione, l’impresa potrà avere una diversa sensibilità ai fattori host location
specific che determinano le decisioni di investimento in una data regione.
10.3
L’evoluzione della multinazionalizzazione attiva in Italia
Come si pone l’Italia rispetto a questo nuovo fenomeno di internazionalizzazione? L’Italia solo recentemente ha mostrato tassi di crescita elevati degli investimenti diretti esteri in uscita, avviando quindi il fenomeno della produzione all’estero, precedentemente l’Italia mostrava una peculiarità in quanto
riceveva investimenti dall’estero, sebbene in misura inferiore rispetto agli altri
paesi europei (figg. 10.1, 10.2), ma la sua internazionalizzazione attiva era quasi inesistente. Il quadro che si contribuirà a delineare è il risultato di un periodo di profondi cambiamenti per l’integrazione internazionale dell’industria italiana. A metà degli anni ottanta la consistenza degli investimenti in uscita era
decisamente modesta in rapporto agli investimenti in entrata (tab. 10.1) e il numero dei dipendenti delle imprese italiane a partecipazione estera era due o
più volte quello dei dipendenti delle imprese estere partecipate dall’Italia.
Dalla metà degli anni novanta la realtà è cambiata ribaltando l’importanza degli investimenti in uscita rispetto a quelli in entrata. Nel 2004 la dinamica di crescita degli investimenti italiani all’estero rispetto a quelli esteri in Italia è più che raddoppiata. Tale notevole accelerazione non muta però le posizioni relative tra paesi: l’Italia rimane sempre dietro i grandi paesi industrializzati, superata nelle statistiche degli investimenti diretti in uscita anche da paesi medi, quali Olanda, Canada, Svizzera e Spagna (tab. 10.2).
161
Fig. 10.1 – Evoluzione degli investimenti diretti in entrata nei principali paesi
(Milioni di dollari)
350000
Francia
Germania
Italia
Regno Unito
300000
250000
Stati Uniti
200000
150000
100000
50000
0
-50000
1970 1972 1974 1976 1978 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002
Fonte: Unctad.
Fig. 10.2 – Evoluzione degli investimenti esteri in uscita nei principali paesi
(Milioni di dollari)
250000
200000
150000
Francia
Germania
Italia
Regno Unito
Stati Uniti
100000
50000
0
1970 1972
1974
1976 1978
1980
1982 1984
1986 1988
1990
1992 1994
1996
1998
2000
2002
Fonte: Unctad.
Tab. 10.1 – Evoluzione delle partecipazioni italiane all’estero nell’industria manifatturiera rispetto alle partecipazioni estere nell’industria manifatturiera
Totale partecipazioni
italiane all’estero (a)
al
al
al
al
al
al
al
1/1/1986
1/1/1991
1/1/1996
1/1/2001
1/1/2002
1/1/2003
1/1/2004
Totale partecipazioni
estere in Italia (b)
N.
Indice
N.
Indice
290
489
1.240
2.664
2.734
2.752
2.792
100
168,6
427,6
918,6
942,8
949,0
962,8
792
916
1.070
1.227
1.274
1.281
1.286
100
115,7
135,1
154,9
160,9
161,7
162,4
Fonte: elaborazioni su dati Reprint, Politecnico di Milano - Ice.
162
a/b
0,37
0,53
1,16
2,17
2,15
2,15
2,17
Tab. 10.2 – Investimenti diretti esteri in uscita, stock(a)
(Milioni di dollari Usa)
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
Lussemburgo
..
Norvegia
10.889,2
Stati Uniti
616.655,0
Regno Unito
229.306,7
Germania
130.760,3
F rancia
110.120,6
Olanda
102.599,7
Giappone
201.440,0
Svizzera
66.086,9
Canada
84.812,7
Spagna
..
Italia
60.195,3
Svezia
50.719,5
Australia
30.494,9
Danimarca
..
F inlandia
11.227,3
Austria
4.746,9
Irlanda
..
Portogallo
..
Corea
..
Messico
..
Grecia
..
Nuova Zelanda
..
Turchia
..
Ungheria
..
Repubblica Ceca
..
Polonia
..
Islanda
75,2
Repubblica Slovacca
..
Totale Ocse
1.710.130,1
..
12.149,1
643.364,0
232.140,8
150.517,4
129.900,5
112.184,8
231.790,0
75.880,8
94.387,4
..
70.419,3
54.797,6
30.897,0
15.612,0
10.845,3
5.993,6
..
..
..
..
..
..
..
..
..
..
101,1
..
1.870.980,6
..
11.794,4
663.830,0
221.678,9
154.741,3
156.326,6
116.012,8
248.060,0
74.412,2
87.867,3
22.034,4
70.382,3
48.844,6
34.559,6
16.305,7
8.564,6
6.584,5
..
..
..
..
..
5.899,0
..
223,6
..
101,0
98,1
..
1.948.320,8
..
12.717,7
723.526,0
245.628,9
162.365,0
158.750,3
114.657,5
259.800,0
91.570,3
92.469,1
24.017,8
81.086,6
45.522,5
40.503,6
15.799,2
9.178,2
7.974,2
..
..
..
..
..
4.430,7
..
224,6
181,4
198,0
113,5
..
2.090.714,9
..
17.648,0
786.565,0
276.743,8
194.523,4
182.331,8
138.786,0
275.570,0
112.588,0
104.308,0
30.049,5
89.688,3
60.309,0
47.786,3
19.613,7
12.534,0
9.514,1
..
..
..
..
..
5.896,2
..
291,2
300,4
461,0
148,5
166,4
2.365.822,7
4.703,4
22.520,7
885.506,0
304.864,9
233.107,4
204.430,3
167.073,7
238.452,0
142.481,4
118.106,1
36.221,1
106.318,6
73.142,5
53.009,0
24.702,5
14.993,2
11.832,0
..
4.406,3
..
..
..
7.675,6
..
278,1
345,5
539,0
177,2
138,5
2.655.025,0
4.695,4
25.439,1
989.810,0
330.432,5
248.634,1
231.112,8
190.580,6
258.608,9
141.586,8
132.321,9
40.537,6
117.278,0
72.187,8
66.857,9
27.601,6
17.666,0
13.059,8
..
3.953,9
..
..
..
9.293,1
..
265,3
498,0
735,0
240,1
185,0
2.923.581,2
1997
1998
1999
2000
2001
2002p
2003e
Lussemburgo
5.022,4
Norvegia
27.494,5
Stati Uniti
1.068.063,0
Regno Unito
360.796,3
Germania
296.274,9
F rancia
237.248,9
Olanda
194.247,1
Giappone
271.905,7
Svizzera
165.354,1
Canada
152.959,3
Spagna
50.272,2
Italia
139.437,2
Svezia
78.201,2
Australia
71.968,4
Danimarca
28.127,7
F inlandia
20.297,5
Austria
14.011,4
Irlanda
..
Portogallo
5.414,0
Corea
..
Messico
..
Grecia
..
Nuova Zelanda
5.646,0
Turchia
..
Ungheria
646,6
Repubblica Ceca
548,2
Polonia
678,0
Islanda
275,0
Repubblica Slovacca
236,4
Totale Ocse
3.195.125,9
7.982,8
31.578,2
1.196.021,0
488.372,0
365.195,7
288.035,9
220.707,1
270.037,5
184.237,1
171.784,7
70.056,1
176.985,2
93.533,7
78.647,9
34.857,3
29.405,9
17.468,4
20.314,4
9.622,4
..
..
2.792,2
5.490,8
..
785,1
804,1
1.165,0
360,5
408,2
3.766.649,3
8.467,8
31.871,3
1.414.355,0
686.420,4
411.952,0
334.102,9
253.812,5
248.778,0
194.598,5
201.446,8
112.793,3
181.855,5
106.273,8
89.583,6
45.574,7
33.850,3
19.127,3
25.232,1
10.330,8
..
..
3.217,9
7.006,2
..
924,2
697,9
1.024,1
451,8
346,0
4.424.094,8
7.927,0
33.651,4
1.529.725,0
897.844,8
484.854,4
445.087,0
296.671,6
278.444,1
233.385,2
237.646,9
159.901,8
180.273,6
123.234,0
83.442,4
66.227,8
52.108,7
24.819,9
27.925,0
17.169,7
..
..
5.851,7
6.065,1
3.668,0
1.279,1
737,9
1.018,0
662,9
379,1
5.200.002,1
8.592,8
..
1.598.072,0
869.700,5
545.168,8
508.842,0
322.208,5
300.116,4
253.551,9
250.441,1
184.711,7
182.373,3
122.893,1
90.717,3
70.133,3
52.224,4
28.510,6
34.336,8
23.490,5
19.967,0
..
7.020,4
7.608,6
4.581,0
1.554,5
1.135,6
1.156,0
840,2
506,6
5.490.454,8
..
..
1.751.852,0
921.445,1
654.927,6
586.095,8
374.191,5
304.234,1
295.402,6
272.000,7
225.191,3
194.488,3
144.356,9
91.380,1
75.913,6
63.920,9
39.744,1
34.769,3
31.870,5
22.578,0
13.187,3
9.000,6
7.759,0
5.047,0
2.161,4
1.473,1
1.453,0
1.111,6
485,6
6.126.041,2
..
..
..
1.128.583,6
..
..
..
335.503,3
344.115,9
308.849,9
281.687,0
..
189.408,5
125.778,0
..
68.702,1
55.824,6
..
38.543,1
..
14.156,3
..
8.417,5
..
3.921,1
1.911,6
..
1.420,7
633,2
..
(a) I dati sono convertiti in dollari usando il tasso di cambio medio; p: preliminare; e: stima.
163
Nel proseguire con l’analisi dell’evoluzione degli investimenti diretti esteri
italiani occorre tener presenti le distorsioni insite nei dati relativi agli Ide, che
derivano principalmente dal fatto che non è possibile con questi dati controllare la destinazione finale degli Ide nel caso essi transitino da un soggetto intermedio. In questo caso c’è la possibilità di sottostimare o di sovrastimare l’effettiva entità dell’investimento effettuato a fini produttivi. La banca dati Reprint
consente di superare tale ostacolo in quanto censisce direttamente i movimenti
di capitale a fini produttivi provenienti dalle singole imprese italiane.
Il biennio 1991-1992 è stato fondamentale per l’internazionalizzazione italiana in quanto le partecipazioni italiane all’estero hanno toccato livelli massimi sia in termini di numerosità delle iniziative che di dipendenti coinvolti; protagonisti di questa nuova spinta propulsiva sono state le più grandi imprese
del paese. Dalla metà degli anni novanta in poi la diffusione della presenza
italiana all’estero è continuata, ma a ritmi più contenuti e in forme diverse. L’attivismo dei grandi gruppi nazionali è diminuito ed è stato sostituito da quello
delle Pmi, che hanno proiettato all’estero la conformazione industriale italiana.
In vari casi tale processo si è avvalso di forme di collaborazione tra imprese,
con il sostegno del loro sistema associativo (vedi Appendice al capitolo, per
un richiamo di tali esperienze).
I settori maggiormente interessati a questa apertura internazionale sono
le costruzioni e le utilities (tab. 10.3). La recente liberalizzazione nei principa-
Tab. 10.3 – Evoluzione delle partecipazioni italiane all’estero nei principali settori
Investitori
Industria estrattiva
Industria manifatturiera
Energia elettrica, gas e acqua
Costruzioni
Commercio ingrosso
Logistica e trasporti
Servizi di informatica e telecom.
Altri servizi professionali
Totale
Imprese estere
2001
2004
%
2001
2004
%
23
2.664
29
213
2.575
355
462
114
4.740
24
2.792
33
218
2.600
359
482
124
5.415
4,3
4,8
13,8
2,3
1,0
1,1
4,3
8,8
14,2
198
5.080
249
673
6.058
807
369
861
14.295
212
5.414
353
740
6.155
814
452
918
15.058
7,1
6,6
41,8
10,0
1,6
0,9
22,5
6,6
5,3
Dipendenti
Industria estrattiva
Industria manifatturiera
Energia elettrica, gas e acqua
Costruzioni
Commercio ingrosso
Logistica e trasporti
Servizi di informatica e telecom.
Altri servizi professionali
Totale
2001
2004
%
2001
2004
%
11.752
833.740
6.535
28.398
101.126
8.410
70.570
22.476
1.083.007
11.714
873.763
7.549
32.376
101.473
8.237
53.143
20.722
1.108.977
-0,3
4,8
15,5
14,0
0,3
-2,1
-24,7
-7,8
2,4
13.684
146.244
2.164
3.379
72.813
3.591
20.664
4.507
267.045
14.377
150.296
4.761
4.278
68.347
4.004
15.131
4.431
265.625
5,1
2,8
120,0
26,6
-6,1
11,5
-26,8
-1,7
-0,5
Fonte: banca dati Reprint, Politecnico di Milano - Ice.
164
Fatturato (mln. euro)
li paesi europei e l’apertura dei mercati ha contribuito alla crescita delle partecipazioni italiane all’estero per il comparto dell’energia, dell’acqua e del gas.
L’industria manifatturiera mostra una crescita omogenea degli indicatori mentre stazionario è il commercio all’ingrosso. L’evoluzione della nuova economia
ha influito sensibilmente sull’andamento dei servizi di informatica e telecomunicazione, sino alla fine del 2001 gli indicatori hanno segnalato una forte crescita, come conseguenza della liberalizzazione, delle nuove applicazioni Internet e del notevole fiorire di nuove iniziative che ne è scaturito.
La distribuzione geografica delle partecipazione italiane all’estero (tab.
10.4) descrive sostanzialmente due fenomeni. Il primo è lo spostamento delle
zone di interesse economico dai paesi industrializzati come l’Europa, che perde quasi 14 punti percentuali dal 1986 al 2004, e il Nord America, ridottosi della metà nello stesso periodo, a quelli emergenti come l’Europa centro-orientale, in cui è triplicata la presenza italiana nell’ultimo ventennio, e l’Asia, in cui
è raddoppiata. Contemporaneamente si registra la diffusione degli investimenti delle imprese appartenenti ai settori del made in Italy, caratterizzati dalla presenza delle Pmi, alle quali in particolare si deve la crescita delle partecipazioni in Europa centro-orientale, dove c’è un vantaggio in termini di costo dei fattori produttivi ma non di tecnologia.
L’incremento degli Ide in uscita dei settori italiani del made in Italy, che
nel 2004 hanno superato il 35% del totale, ha ridotto la quota dei settori scale intensive, i quali tuttavia conservano un peso preponderante e pari al 42%
del totale, mentre rimangono con quote modeste intorno al 10% i settori specialistici e quelli science based. La posizione del comparto a elevata intensità
tecnologica è espressione della specifica fragilità del sistema innovativo italiano e dell’assai ristretto numero di grandi e medio-grandi imprese a base italiana in settori quali l’informatica, l’elettronica, le telecomunicazioni, la farmaceutica e la chimica fine, che a livello mondiale sono tra i principali protagonisti dei processi di multinazionalizzazione.
L’espansione delle partecipazioni all’estero è dovuta a pochi protagonisti:
F inmeccanica e la partecipata STMicroelectronics, accompagnate soprattutto
da imprese piccole e medie nel contesto internazionale della chimica e farmaceutica. Anche la situazione nel comparto specialistico non appare soddi-
Tab. 10.4 – Evoluzione delle partecipazioni italiane all’estero nell’industria manifatturiera, per area
geografica
Situazione al 1.1.1986
Unione europea (15 paesi)
Europa centro-orientale
Altri paesi europei
Africa
Nord America
America Latina
Asia
Oceania
Totale
Situazione al 1.1.1996
Situazione al 1.1.2004
N.
Quote
N.
Quote
N.
Quote
301
4
36
71
101
135
47
8
697
43,2
0,6
5,2
10,2
14,5
19,4
6,7
1,1
100,0
1.129
588
90
307
232
266
232
20
2.827
39,9
20,8
3,2
10,9
8,2
9,4
8,2
0,7
100,0
1.643
1.476
182
553
430
489
598
43
5.414
30,3
27,3
3,4
10,2
7,9
9,0
11,0
0,8
100,0
Fonte: banca dati Reprint, Politecnico di Milano - Ice.
165
sfacente: nonostante l’Italia vanti importanti punti di eccellenza e una buona
competitività in termini di commercio estero, essa è di fatto presente nei mercati mondiali prevalentemente con un insieme di Pmi, talvolta a elevato profilo qualitativo, ma non sempre dotate di strutture tali da garantire loro un sufficiente potere di mercato nell’arena oligopolistica internazionale. La dimensione delle imprese investitrici operanti all’estero rappresenta un punto fondamentale in quanto in alcuni casi è una condizione necessaria per sviluppare e
alimentare la multinazionalizzazione attiva.
Nel confronto internazionale la realtà degli investimenti italiani diretti esteri in uscita presenta delle differenze rispetto ai principali paesi europei come
F rancia e Germania (tab. 10.5). Nei primi anni novanta la composizione per
grandi comparti di attività risultava assai simile nei tre paesi considerati, la quota maggiore degli investimenti diretti esteri in uscita veniva dal settore dei servizi, poiché le imprese nazionali quando delocalizzano preferiscono avere come referenti in servizi quali il credito, la telefonia e i trasporti, imprese provenienti dallo stesso paese. Gli investimenti effettuati dalle imprese manifatturiere costituivano una quota ragguardevole in tutti e tre i paesi; la composizione
settoriale risultava però diversa.
Nei primi anni novanta la quota maggiore degli investimenti diretti esteri
in uscita effettuati dalle imprese manifatturiere italiane era costituita da imprese del settore chimico. Negli ultimi anni gli Ide italiani da tale settore, così come per F rancia e Germania, sono divenuti meno importanti in termini di quote relative, mentre si è registrato un sensibile incremento della multinazionalizzazione dei servizi, soprattutto in F rancia e in Germania dove ha toccato picchi pari all’80%; in Italia la quota degli Ide nei settori dei servizi è rimasta invece sostanzialmente la stessa dei primi anni novanta. Altra differenza rilevante è la quota di Ide in agricoltura in aumento in Italia in riduzione in F rancia e Germania. A conferma della specializzazione nel settore, la quota di Ide
delle industrie tessili italiane è il doppio rispetto agli Ide delle imprese tedesche e francesi.
Negli ultimi 2-3 anni la consistenza degli investimenti diretti esteri italiani
è risultata in decelerazione rispetto a quella degli altri paesi europei. Nei primi anni novanta gli Ide italiani erano pari al 50% di quelli francesi e al 30% di
quelli tedeschi; nel 2002 essi risultavano pari al 30% di quelli francesi e di
quelli tedeschi.
10.4
Le potenzialità degli investimenti diretti esteri in uscita
Gli investimenti diretti esteri in uscita non rappresentano soltanto un modo alternativo di produzione ma anche un mezzo per realizzare delle esternalità positive nel paese dal quale proviene il capitale. Negli ultimi anni vari autori hanno visto negli investimenti diretti esteri in uscita un canale attraverso il
quale si possono generare nuove conoscenze tecnologiche e quindi spillover
inversi ovvero dal paese ospite al paese originario dove ha sede la casa madre, e non soltanto verso la casa madre ma anche verso altre imprese nel
paese d’origine. L’idea alla base è che in talune circostanze le filiali estere non
forniscano solo un supporto tecnico alla realizzazione e all’adattamento di prodotti sviluppati nel paese d’origine; possono anche generare nuove conoscenze tecnologiche e accedere a fonti locali di innovazioni. In questi casi ci si può
aspettare che si verifichino flussi di tecnologia dalla filiale attiva all’estero verso la casa madre e anche verso altre imprese nel paese d’origine. Criscuolo
166
167
1,23
0,74
1990
7,65
2,73
0,71
4,96
75,37
100
100
TOTALE
Fonte: elaborazioni su dati Ocse.
0,00
100
0,00
ALTRI SETTORI
67,61
SETTORE TERZIARIO
4,81
Autoveicoli e mezzi di trasporto
0,98
Telecomunicazioni,
computers e macchinari
4,28
Prodotti meccanici e metalli
11,85
0,00
65,94
4,84
0,79
0,49
Petrolio, chimica, gomma
e prodotti in plastica
1985
5,33
23,76
Tessile e abbigliamento
0,80
1,57
12,40
0,88
Prodotti alimentari e bevande
31,12
1980
0,76
31,98
1,28
2,08
2000
SETTORE SECONDARIO
1995
100
0,00
80,15
4,41
7,46
2,27
6,27
0,58
1995
0,54
19,30
0,55
2002
100
1,20
49,54
3,07
6,56
7,20
16,44
1,82
2000
6,09
40,95
8,31
1990
3,22
2000
23,54
2,23
0,65
2003
6,27
3,41
0,46
4,25
73,24
100
-2,12
TOTALE
100
0,00
ALTRI SETTORI
56,04
SETTORE TERZIARIO
4,37
1,20
2002
100
-
81,32
4,61
-
2,07
3,36
0,68
1980
0,90
17,48
Autoveicoli e mezzi di trasporto
0,93
Telecomunicazioni,
computers e macchinari
4,11
Prodotti meccanici e metalli
13,68
Petrolio, chimica,
gomma e prodotti in plastica
1,88
2002
Tessile e abbigliamento
5,51
Prodotti alimentari e bevande
36,88
SETTORE SECONDARIO
9,20
1995
SETTORE PRIMARIO
SETTORE PRIMARIO
1990
Francia
Germania
Tab. 10.5 – Quota degli stock degli investimenti diretti esteri in uscita (milioni di dollari)
100
0,83
58,22
-
-
8,60
32,27
-
1985
2,24
33,61
8,17
1990
7,33
2000
11,36
2001
29,04
27,92
-
1995
15,47
-
-
-
100
1,22
64,83
100
TOTALE
1,35
ALTRI SETTORI
62,28
-
100
1,45
59,27
SETTORE TERZIARIO
-
Autoveicoli e mezzi di trasporto
-
Telecomunicazioni,
computers e macchinari
10,42
-
10,80
gomma
-
2000
2,45
Prodotti meccanici e metalli
26,00
chimica,
e prodotti in plastica
-
1990
Petrolio,
2,58
Tessile e abbigliamento
3,06
Prodotti alimentari e bevande
29,71
SETTORE SECONDARIO
5,45
1995
SETTORE PRIMARIO
Italia
100
5,04
57,65
3,7
-
9,48
-
1,44
2002
2,12
25,95
11,37
2002
e Narula2 hanno definito questa eventualità come «trasferimento inverso di tecnologia», sottolineando sia la potenzialità dell’internazionalizzazione attiva che
l’importante cambiamento di prospettiva rispetto al punto di vista tradizionale
che enfatizza invece il trasferimento unilaterale di tecnologia dalla casa madre
verso le filiali ed eventualmente verso le economie ospiti. Al fine di realizzare
questi effetti benefici inversi devono sussistere le seguenti condizioni:
i) divari tecnologici fra paesi, che necessitano di essere sufficientemente
ampi da generare spillover potenziali;
ii) grado di radicamento (embeddedness) delle filiali estere, che influisce
positivamente sulle possibilità di assorbire risorse e in particolare conoscenze
locale;
iii) grado di integrazione delle filiali nella rete interna alla multinazionale,
che determina il grado di trasferimento della tecnologia verso la casa madre;
iv) tipologia di R&S svolta all’estero, in quanto la ricerca esplorativa tende a favorire i trasferimenti di tecnologia (in entrambe le direzioni) più di quanto non avvenga nel caso di ricerca di puro adattamento di prodotti e processi
esistenti.
Assumendo che esista un divario tecnologico di qualche entità, le imprese che allestiscono un laboratorio di ricerca all’estero con un mandato esplorativo potrebbero essere in grado di assorbire conoscenze in loco. Questo assorbimento sarà tanto più consistente quanto più l’impianto è radicato all’estero. Se lo spillover è significativo e la rete interna alla multinazionale è sufficientemente integrata, potrà avvenire un trasferimento di tecnologia verso il
paese di origine. L’evidenza empirica raccolta dagli Autori è soltanto parziale
e preliminare per la conferma di questo meccanismo.
Da un punto di vista teorico ci sono diverse ragioni per cui gli investimenti
in uscita possono avere effetti positivi sul paese di origine. Se si considerano
gli investimenti che la teoria definisce verticali, ossia dove una o più fasi intermedie del processo produttivo vengono trasferite in un paese terzo con l’obiettivo di ridurre i costi di produzione, se la riduzione dei costi permette all’impresa di diventare nel complesso più efficiente, questa potrà guadagnare
quote di mercato ed aumentare l’output prodotto, compreso l’output (e l’occupazione) degli impianti rimasti sul territorio nazionale. Anche gli investimenti
orizzontali, ossia dove le fasi a valle del processo produttivo vengono duplicate in un paese terzo con l’obiettivo di acquisire maggiore competitività e quote di mercato in quel paese, se i beni prodotti all’estero sono complementari
a quelli prodotti in Italia e se l’investimento permette in effetti all’impresa una
maggiore penetrazione del mercato estero, l’output (e l’occupazione) degli impianti nazionali aumenterà. Se le attività di impresa sono poi soggette ad economie di scala, l’aumento dei volumi prodotti permetterà anche un guadagno
di efficienza.
Vari lavori empirici per gli Stati Uniti e il Regno Unito trovano che le imprese con investimento all’estero hanno una migliore performance di quelle
strettamente nazionali3. Per l’Italia una valutazione empirica dei miglioramenti
in termini di produttività e di efficienza di cui le imprese multinazionali italiane
2 «Asset seeking R&D investment as a channel for reverse technology transfer», Paper prepared within the Eu Aiteg Project, 2001.
3 Doms M., Jensen B., (1998) «Comparing wages, skills, and productivity between domestically and foreign-owned manufacturing establishments in the United States», in Baldwin R., Lipsey R. and Richardson J. (eds.) Geography and ownership as bases for economic accounting,
Studies in income and wealth Vol. 59, The University of Chicago Press, Chicago and London.
Criscuolo C., Martin R. (2002) «Multinationals, foreign ownership and Us productivity leadership: evidence from the Uk», Presented at the Royal Economic Society Conference 2002.
168
beneficiano internazionalizzandosi è stata di recente proposta da Castellani e
Barba Navaretti4. Dalla loro analisi empirica emerge che gli effetti netti degli
investimenti in uscita sulle attività in Italia sono positivi sia in termini di dimensione (fatturato ed occupati) che di efficienza. La dimostrazione si basa su
un esercizio controfattuale. Gli Autori confrontano due gruppi di imprese, che
mostrano gli stessi parametri in termini di propensione ad investire all’estero,
ma che nel periodo analizzato hanno avuto comportamenti opposti ovvero alcune si sono internazionalizzate altre no. L’esercizio controfattuale appropriato è necessario e strumentale proprio per provare gli effetti benefici degli investimenti diretti esteri. Anche in presenza di una riduzione dell’occupazione
nelle case madri delle imprese che investono all’estero, che delocalizzano, non
si può dedurre che gli Ide in uscita hanno un effetto negativo sull’occupazione dell’impresa; è necessario confrontare questa riduzione dell’occupazione
con l’ipotetica variazione che si sarebbe osservato se l’impresa non avesse investito. Questa ipotetica variazione è il controfattuale.
L’esempio tipo è il caso di un’impresa tessile che apre un impianto in Cina; di conseguenza l’occupazione negli impianti italiani dell’impresa cala. Ma
se l’impresa non avesse investito non è detto che l’occupazione in Italia sarebbe rimasta stabile, probabilmente si sarebbe ridotta ancora di più in quanto l’impresa non avrebbe avuto modo di difendersi dalla concorrenza delle importazioni da paesi a basso costo del lavoro. Non essendo osservabile, il caso controfattuale può solo essere identificato con opportune tecniche econometriche, che permettono di esaminare come la performance delle imprese che
investono all’estero cambi in seguito all’investimento e di confrontare questa
variazione con la performance di imprese con caratteristiche simili e che non
investono all’estero, continuando a produrre solo sul territorio nazionale.
Dall’analisi empirica emerge che le imprese che sono già multinazionali,
all’inizio del periodo analizzato, sono significativamente più grandi e più produttive delle imprese che non investono all’estero. Le imprese che cambiano
da solo nazionali a multinazionali con il passare del tempo si differenziano da
quelle che rimangono nazionali: diventano più grandi, più produttive e profittevoli, pagano salari più alti e sono meno integrate verticalmente. In particolare
i risultati suggeriscono che le imprese che si multinazionalizzano sperimentano un tasso di crescita del fatturato dell’8,8% maggiore rispetto a quanto avrebbero ottenuto se non avessero investito all’estero, e un tasso di crescita della
produttività più alto del 4,9%. Inoltre, questi effetti positivi sulle performance
non sembrano tradursi in perdita di occupazione, in quanto la crescita dell’occupazione delle imprese che hanno investito all’estero non è significativamente diversa da quella nel gruppo di controllo.
Bibliografia:
Zanfei A. (2002), «Gli effetti dell’internazionalizzazione sulle performance
economiche il progetto Aiteg dell’Unione Europea», Economia e politica industriale, N. 113.
Baldone S., Sdogati F ., Tajoli L. (2002), «F rammentazione internazionale
della produzione e crescita» in Cucculelli M., Mazzoni R. (a cura di), Risorse
e Competitività, Milano, F ranco Angeli Editore.
4 Barba Navarretti G., Castellani D. (2004), «Investiments abroad and performance at home: evidence from italian multinationals», Cepr Discussion Paper, N. 4284, March.
169
Reganati F . (2003), «L’impresa multinazionale: teorie, determinanti ed effetti», Cedam.
Basile R., Castellani D., Zanfei A. (2004), «La localizzazione delle imprese multinazionali in Europa: il ruolo delle politiche dell’Ue e le peculiarità dell’Italia» Rivista di economia e politica industriale, 3.
Mariotti S., Mulinelli M. (2004), « Italia multinazionale 2004», Le partecipazioni italiane all’estero ed estere in Italia, Ice
Barba Navaretti G., Castellani D. (2004), «Investments abroad and performance at home: evidence from italian multinationals», Cepr Discussion Paper,
N. 4284.
Appendice
Esperienze associative di supporto
all’internazionalizzazione
In questa appendice, con il contributo del Club dei 155, sono stati raccolti
alcuni esempi di iniziative del sistema Confindustria a sostegno dell’internazionalizzazione delle imprese associate. Non è quindi assolutamente un elenco
esaustivo delle iniziative attuate o in corso nel nostro sistema, ma piuttosto di
uno spaccato significativo di grande interesse trattandosi di una scelta delle iniziative fatte dalle associazioni delle 15 province più industrializzate d’Italia le cui
imprese hanno una presenza elevatissima sui mercati internazionali.
1) Supporto
Se negli anni passati l’internazionalizzazione era stata la risposta alle difoperativo
ficoltà di crescere sul mercato nazionale, stante l’oramai cronica carenza di
all’internazio- aree industriali e di manodopera, oggi è diventata esigenza vitale ed indinalizzazione spensabile premessa di una competitività che la globalizzazione mette sempre
di più in discussione. Anche per le Pmi è necessario internazionalizzarsi, superando le difficoltà tipiche delle loro dimensioni, per affrontare la riorganizzazione dell’impresa, imposta da questi processi.
Tra le risposte individuate dal Club dei 15 vanno sottolineate due tipologie di intervento: il diretto coinvolgimento del sistema nell’affrontare e gestire,
per conto delle proprie Pmi, le problematiche legate all’internazionalizzazione,
e la funzione per così dire aggregante di un’associazione per creare i presupposti di un’alleanza tra le imprese che porti al superamento delle difficoltà
tipiche della dimensione aziendale.
Alla prima tipologia appartiene il Progetto Samorin, realizzato dall’Associazione Industriali di Vicenza.
Samorin, località slovacca a pochi chilometri da Bratislava, è stata pre5 Il Club dei 15 raccoglie 15 province (Novara, Biella, Varese, Como, Lecco, Bergamo, Brescia, Vicenza, Treviso, Belluno, Pordenone, Reggio Emilia, Modena, Prato ed Ancona) che condividono le seguenti caratteristiche economiche ed occupazionali: i) una disoccupazione praticamente assente (3,1% rispetto ad una media nazionale del 9,0%); ii) rappresentano un quarto della produzione industriale nazionale rispetto ad un settimo della popolazione; iii) una presenza sui
mercati esteri eccezionale, le 15 province contribuiscono, infatti, a quasi il 30% delle esportazioni con un’apertura internazionale superiore al 60% mentre la media nazionale è del 45% iv) il
40% di occupazione nell’industria, il 35% del valore aggiunto generato direttamente dall’industria
ed un reddito pro-capite superiore ai 20 mila euro. Per converso questi territori hanno un’economia «delicata» perché proprio la competizione sui mercati globali limita le rendite e contiene la
redditività degli investimenti. Sono territori «costosi» perché hanno necessità di reti infrastrutturali più sviluppate, di servizi più sofisticati in tutte le aree del terziario avanzato, (finanza, consulenza strategica, internazionalizzazione, ricerca ed innovazione, formazione tecnico-scientifica,
ecc.) ed, infine, di un territorio disposto allo sviluppo.
170
scelta per realizzarvi un parco industriale tematico, dedicato alle produzioni dell’industria meccanica ed elettronica, con l’obiettivo di ricreare in Slovacchia un
ambiente quanto più possibile vicino all’idea di distretto industriale italiano; una
delle maggiori difficoltà dei processi di internazionalizzazione delle Pmi consegue dal processo di parziale abbandono del tessuto connettivo di prodotti e
lavorazioni complementari, tipico del distretto produttivo.
La specializzazione del parco, la sua ubicazione in un territorio dove sono storicamente presenti aziende e lavoratori specializzati nelle manifatture
meccatroniche, la gestione diretta, da parte dell’associazione e del consorzio
delle imprese coinvolte nel progetto, di servizi condivisi e strumentali all’attività
delle imprese, costituiscono gli elementi che qualificano questo tentativo di riproduzione del modello distrettuale.
Accanto a ciò, vanno sottolineati gli ovvi vantaggi di un progetto di internazionalizzazione integrata, a cominciare dall’opportunità di realizzare un progetto di infrastrutturazione del parco altamente flessibile, di elevata qualità tecnologica ed importanti economie di scala, nell’acquisto dei terreni e nell’appalto
delle opere individuali di realizzazione dei capannoni industriali.
Un progetto che radicando il sistema associazionistico sul territorio, fa conseguire vantaggi anche alle imprese non interessate ad investire all’interno del Parco, ma ad una serie di altri servizi collegati alla loro internazionalizzazione, quali
la creazione di filiere distributive, alla individuazione di sub-fornitori industriali ed
alla acquisizione di opportunità di investimento in altre parti del territorio slovacco.
Alla funzione aggregante del sistema appartengono altre esperienze interessanti, ad esempio quelle sviluppate dall’Unione Industriali di Treviso, con
l’avvio del progetto Unint.
Unindustria Treviso ha costituito il consorzio Unint a luglio del 2004, per
promuovere e realizzare alleanze tra piccole e medie imprese motivate a crescere ed a competere in un mondo che cambia. Unint opera come catalizzatore per la messa a punto di iniziative proposte da uno o più imprenditori e
per predisporre un primo business plan, inoltre, può anche assumere un ruolo operativo, agendo come soggetto giuridico che realizza l’iniziativa in nome
e per conto delle diverse imprese interessate.
I progetti già avviati sono:
Piattaforma commerciale a Mosca per un gruppo di imprese del fashion
(8 aziende)
Integrazione commerciale nel settore alimentare (4 aziende)
Integrazione commerciale dei componenti per l’industria dell’elettrodomestico (4 aziende)
Insediamento produttivo del fashion in India (7 aziende)
Tra le iniziative di aggregazione di sistema è da citare anche il caso di
F undatia Unindustria Treviso Romania, costituita nel 1995 per assistere le imprese trevigiane con unità produttive in Romania.
Progetto interessante perché, nato nel contesto dell’iniziativa territoriale, è
stato ben presto condiviso dal sistema associativo nel suo complesso, per confluire, nel 2003, nella nascita di un nuovo soggetto che dà voce alle imprese
italiane presenti in Romania, Unimpresa Romania.
Sempre nel quadro delle cosiddette iniziative permanenti è interessante ricordare che l’Associazione degli Industriali di Reggio Emilia, nell’ambito di un
progetto triennale finanziato dall’Unops (United Nations Organization for Project
Service) – realizzato in collaborazione con diversi partner istituzionali, ha creato in Serbia e precisamente a Kragujevach, un desk di prima informazione e
assistenza per le imprese italiane interessate a investimenti e collaborazioni
171
commerciali in tale area; per le informazioni relative alle imprese serbe, è stato predisposto un apposito data base anagrafico disponibile presso l’Associazione degli Industriali di Reggio Emilia e gli altri partner del Progetto.
2) Assistenze
specialistiche
sui temi
dell’internazionalizzazione
172
Le nuove esigenze che scaturiscono dai processi di internazionalizzazione propongono novità rilevanti anche su come le Associazioni territoriali si attrezzano per rispondere con efficacia alla richiesta di nuovi servizi, sempre più
specialistici ed adeguati alla crescita internazionale delle imprese.
Su questi temi sono estremamente interessanti alcune esperienze, ad incominciare dallo Sportello Europa realizzato dall’Unione degli Industriali di Bergamo e dall’Associazione degli Industriali di Brescia. Nato dall’esigenza sempre più forte di interazione con la normativa, con i programmi, con le disposizioni e le direttive a carattere europeo, questo servizio consente, da un lato,
di canalizzare le molteplici esigenze delle imprese verso un unico sportello direttamente in contatto con le istituzioni comunitarie, dall’altro serve a stimolare la domanda di nuovi servizi anche di tipo progettuale a beneficio dell’impresa. Ricerca di contributi e finanziamenti, informazioni tempestive sulle nuove disposizioni normative di settore, legislazioni in materia fiscale, aziendale e
ambientale, nuovi strumenti finanziari e più in generale le diverse opportunità,
vengono colte, sviluppate e mantenute secondo una filosofia di approccio sempre più orientata ad ottenere immediati risultati e visibilità per le due organizzazioni e quindi per le numerose aziende associate.
All’Area dei Servizi innovativi appartiene un’ulteriore esperienza dell’Unione degli Industriali di Bergamo che, in collaborazione con la locale Camera di
Commercio, ha creato Assist, sotto forma di società consortile a responsabilità limitata, che si caratterizza principalmente per le seguenti attività:
– consulenza manageriale, quali lo studio e lo sviluppo di progetti riferiti
a mercati critici di particolare valenza strategica e l’analisi comparativa di competitività, confrontando il produrre in Italia ed il produrre in altri paesi in termini economici ponderati e nel medio periodo:
– assistenza legale internazionale;
– ricerche di mercato;
– incontri con operatori locali;
– supporto nella registrazione di marchi, apertura di uffici di rappresentanza, ricerca di siti per la localizzazione di attività produttive, acquisizione di aziende, ricerca e gestione di risorse umane, costituzione di società in genere;
– organizzazione di iniziative promozionali a carattere collettivo.
Con l’idea di mettere a frutto il know how che le proprie imprese hanno
accumulato su uno specifico target geografico, l’Unione degli Industriali di Varese ha realizzato un Club Polonia. Scopo principale del Club è supportare le
imprese che si affacciano su questo mercato, sia a titolo commerciale sia di
investimento diretto, attraverso:
– la creazione di una rete di contatti privilegiati con interlocutori locali accreditati;
– la stipulazione di accordi specifici per l’accesso a servizi o facilities a
condizioni agevolate;
– l’organizzazione di iniziative (seminari, work-shop, missioni, ecc.) per favorire il sorgere di concreti scambi economici e promuovere il sistema produttivo locale e le sue eccellenze settoriali nei confronti degli interlocutori istituzionali e privati di questo paese.
Tra l’assistenza specialistica e la formazione si collocano, invece, i progetti editoriali curati dall’Associazione Industriali di Vicenza che, in rapida suc-
cessione, ha realizzato alcune Guide Paese, dedicandole al sistema giuridico,
societario e fiscale, dei 3 Paesi travet dell’internazionalizzazione del Nord-est,
la Cina, l’India e la Russia.
Una quarta guida, dedicata al censimento dei più importanti parchi e distretti industriali cinesi, si segnala per la novità dell’approccio scientifico e per
la volontà di offrire strumenti operativi di scelta della più opportuna localizzazione di un progetto di investimento da realizzare in Cina.
Sempre in questo filone si colloca l’idea di realizzare una sorta di «Atlante dell’Internazionalizzazione», sviluppato da un’idea congiunta di alcune Associazioni del Club, in particolare Vicenza e Belluno e destinato a fornire elementi di facile comparazione attraverso i quali guidare le imprese ad una scelta consapevole di dove piazzare le loro piattaforme logistiche.
Alla semplificazione delle attività di penetrazione commerciale sempre l’Associazione degli Industriali di Vicenza ha poi dedicato lo Sportello tecnico per
l’internazionalizzazione dei prodotti, rivolto soprattutto alle piccole e medie aziende, quale specifico servizio associativo a supporto del processo di internazionalizzazione, soprattutto nei Paesi extra Ue, con prevalenza dei paesi dell’Est (Russia, Cina e India) e America (Stati Uniti e Canada). Lo sportello si appoggia alle strutture esistenti in Associazione (Servizio Tecnico, Servizio Commercio Estero) con l’obiettivo di sviluppare stretti rapporti di collaborazione con Enti privati
ed Organismi pubblici allo scopo di agevolare il più possibile i processi di esportazione dei prodotti nei mercati extra-europei. I servizi erogati sono:
- conoscenza delle principali norme tecniche e disposizioni legislative per
fabbricare prodotti conformi alle regole vigenti nel paese di destinazione;
- assistenza tecnica ed amministrativa nell’applicazione delle procedure
per certificare i prodotti;
- consulenza specialistica, anche con consulenti esterni, per l’interpretazione
normativa e per la corretta progettazione dei prodotti da destinare all’estero;
- individuazione dei laboratori e degli enti notificati, abilitati per l’effettuazione delle prove e per l’ottenimento della certificazione-marcatura di prodotto;
- assistenza complessiva nell’iter autorizzatorio del prodotto, dalla progettazione alla vendita nel mercato estero;
- supporto alle aziende nell’individuazione dei laboratori, Enti di certificazione ed Organismi notificati presenti nei paesi esteri.
In linea con una delle priorità di Confindustria per il supporto e la tutela del
Made in Italy, Industriali Reggio Emilia e Industriali Vicenza hanno aperto il cosiddetto «Sportello Contraffazione». Con tale strumento viene fornita alle imprese associate, da parte degli uffici dell’Associazione ed eventualmente anche con
l’ausilio di professionisti esterni convenzionati, una prima assistenza gratuita, telefonica o scritta, sulla fattispecie per valutare, tra l’altro, se ci sia un illecito e
che tipo di azioni, anche a livello associativo, possano essere attuate. Lo sviluppo di queste iniziative prevede di dare alle imprese, sia la possibilità di intraprendere azioni giudiziali, a tutela dei loro diritti, su marchi e brevetti, con l’assistenza di professionisti esperti nella materia in base a tariffe convenzionate,
sia un supporto in materia di azioni anti-dumping e misure di salvaguardia.
Occorre infine considerare iniziative progettuali, spesso co-finanziate dalle
regioni e dalle imprese, che sviluppano diverse attività tra loro integrate. È questo il caso, ad esempio, dei Progetti «Investments in China», realizzato da l’Associazione degli Industriali Reggio Emilia e Unione Industriali di Modena, «China-Mech», realizzato da Industriali Reggio Emilia e dalla sua emanazione, Club
Meccatronica, che hanno visto un mix di interventi, quali informazione, formazione, ricerche partner, ricerche di mercato, attività promozionali, missioni eco-
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nomiche e partecipazione a fiere di settore. Alla promozione della filiera delle costruzioni è dedicato il progetto «Building with India», promosso dalla Unione Industriali di Modena con l’idea di favorire la conoscenza di un mercato dalle grandi potenzialità e la nascita di un osservatorio settoriale permanente.
3) La
formazione
innovativa sui
temi
dell’internazionalizzazione
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La formazione rimane al centro delle attività realizzate dal Club dei 15. Anche qui si segnalano però approcci nuovi, finalizzati a facilitare l’internazionalizzazione delle imprese attraverso un costante rinnovamento dei contenuti didattici. In molti di questi progetti viene poi concretizzata l’idea di preparare quadri
manageriali od intermedi stranieri, per fornire alle Pmi italiane i necessari punti
di riferimento con cui concretizzare i loro obiettivi di crescita internazionale.
Da questo punto di vista vanno ricordate le esperienze di Vicenza che,
unitamente alla F ondazione Cuoa, organizza periodici corsi di formazione manageriale dedicati ai mercati che di volta in volta presentano le maggiori attrattive per le aziende della provincia. Nel corso del 2005, ad esempio, corsi
di formazione manageriale dedicati a Russia, Turchia, Cina ed India, si affiancano alle esperienze passate che hanno toccato la Slovacchia, l’Area Balcanica, piuttosto che il Sud America o l’Area Meda.
Treviso punta decisamente alla Cina con un master per neolaureati cinesi,
organizzato insieme a Cassamarca e Camera di Commercio di Treviso; il corso
partirà ad ottobre ed avrà una durata di nove mesi. Interessante è la partnership
di ben 4 università cinesi, chiamate a cooperare per la riuscita dell’iniziativa.
Alla formazione di nuove figure aziendali, l’esperto di internazionalizzazione, punta l’Associazione degli Industriali di Brescia che, in collaborazione
con l’Ice ed il Consorzio Università&Impresa di Brescia ha istituito il Master in
internazionalizzazione delle Pmi, rivolto a 15 neo laureati in discipline tecnico
scientifiche e a 5 laureati occupati presso aziende, Associazioni di categoria,
Consorzi e Distretti industriali operanti nelle Regioni del Nord Ovest d’Italia.
Il Master, della durate di nove mesi è articolato in tre fasi: la prima, dedicata alle conoscenze introduttive e alle competenze basilari; la seconda, incentrata sulle competenze qualificate e specializzate, oltre ad un tirocinio presso aziende che abbiano avviato e consolidato significativi processi di internazionalizzazione; la terza, focalizzata sull’elaborazione di un project work individuale da realizzare all’estero presso gli uffici dell’Ice situati nei paesi della
Nuova Europa, della Russia e della Cina.
Nel quadro del Progetto Samorin si segnala poi l’avvio di un corso manageriale direttamente realizzato in Slovacchia, dall’Associazione Industriali di
Vicenza, in collaborazione con la Regione del Veneto e la Cciaa vicentina.
La realizzazione di corsi dedicati alla conoscenza di uno specifico mercato,
nei suoi più svariati aspetti, culturali, economici, politici e commerciali, è la formula lanciata invece dalla Unione degli Industriali di Como; fin qui dedicati ad
Stati Uniti, Cina, Russia e Svizzera, questi corsi potrebbero diventare uno strumento da utilizzare, in forma itinerante, per la preparazione della partecipazione
delle nostre imprese alle iniziative promozionali organizzate da Confindustria.
Attraverso il Cis, Scuola aziendale di formazione superiore degli Industriali di
Reggio Emilia, in collaborazione con i Centri di formazione dell’Api e della Lega
Coop di Reggio Emilia, è stato inoltre predisposto un progetto per costituire un centro di formazione e di diffusione di buone pratiche presso le aziende del Sud Africa della provincia di Limpopo. In particolare, accanto alla formazione tradizionale,
nell’ambito della quale Cis realizzerà il segmento dell’alta formazione, è prevista un
azione di training on the job. Ciò consentirà, evidentemente, l’avvio di rapporti preferenziali tra le aziende sudafricane e le nostre imprese coinvolte nel progetto.