Recupero energetico da potature di vite, olivo e frutteti: un

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Recupero energetico da potature di vite, olivo e frutteti: un
Newsletter n.67 – Settembre 2009
Approfondimento_4
ENERGIA RINNOVABILE - Recupero energetico da
potature di vite, olivo e frutteti: un’importante
opportunità per gli agricoltori
All’interno dello scenario energetico nazionale, il recupero energetico rappresenta un tema di
fondamentale importanza ed interesse soprattutto in considerazione di due fattori
contrapposti: la necessità di rispettare gli obiettivi di emissione dei gas serra previsti dal
Protocollo di Kyoto e il crescente fabbisogno energetico che, se da una parte necessita di una
organica politica di risparmio, dall’altra impone la ricerca e lo sfruttamento di fonti rinnovabili
in alternativa ai combustibili fossili. Gli impegni che l’Italia dovrà rispettare in relazione a
quanto sottoscritto dalla Comunità nell’ambito del protocollo di Kyoto pongono seri e urgenti
problemi in tema di utilizzo di fonti rinnovabili quale mezzo per produrre energia. In questo
scenario si colloca l’impiego energetico delle biomasse, definite dall’articolo 2 del D. Lgs.
387/03 come la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall'agricoltura
(comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse,
nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani. Come si evince dalla stessa
definizione di biomassa, l’agricoltura è uno dei principali settori per la produzione di
combustibili rinnovabili.
Il comparto agricolo è però in grado di fornire diverse tipologie di biomasse, passando dalle
colture energetiche erbacee a quelle legnose, dalle produzioni dedicate a quelle residuali.
Tuttavia, dal punto di vista dell’utilizzazione in impianti per la produzione di energia elettrica
e/o termica, al momento le fonti agricole concretamente utilizzabili sono le biomasse legnose e
fra queste principalmente il residuale. Il potenziale di biomasse residuali in agricoltura è
rappresentato dalle potature di vite, olivo e frutteto.
L’attuale gestione delle aziende agricole non prevede il recupero energetico di tale potenziale,
ma al contrario lo smaltimento è eseguito mediante bruciatura in campo, in netta
contrapposizione con quanto espressamente dichiarato dal D.lgs 22/97 (Decreto Ronchi).
OBIETTIVO: il recupero e la valorizzazione energetica delle biomasse residuali prodotte in
aziende agricole presenti sul territorio pugliese (sud orientale). Si tratta, in sostanza, di
realizzare una filiera di produzione del cippato (biocombustibile) a partire dagli scarti di
potatura di vigneti, oliveti e frutteti.
La filiera consiste essenzialmente nel trattamento della biomassa residuale (triturazione ed
essiccazione) per ottenere un biocombustibile (il cippato) da impiegare per la produzione
energetica, elettrica e termica (riscaldamento e/o raffrescamento).
La filiera presenta alcuni aspetti che devono essere ottimizzati, ma la sua applicazione
comporta una serie di vantaggi quali, il vantaggio economico delle aziende agricole stesse, il
risparmio di energia da fonte primaria fossile, lo sviluppo di sistemi di conversione dell’energia
da biomassa e lo sviluppo dell’indotto legato alla filiera.
Il problema principale dell’utilizzo della biomassa per la valorizzazione energetica rimane quello
dell’approvvigionamento. In Italia non sono presenti in maniera significativa sul territorio
colture dedicate altamente produttive (Short Rotation Forestry - SRF). Una possibile soluzione
al problema è incentrata sul settore agricolo: ogni anno le aziende agricole si trovano a
affrontare il problema di smaltire, a proprio costo, tonnellate di scarti della coltivazione e della
lavorazione dei propri prodotti.
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POTENZIALE DI BIOMASSE RESIDUALI DAL COMPARTO AGRICOLO IN ITALIA
È necessario analizzare la fattibilità tecnico-economica di impianti per il recupero energetico
degli scarti di potatura di vite, olivo e frutteti, evidenziando quale possa essere il potenziale di
questo tipo di biomassa sia sul territorio nazionale che regionale.
Le biomasse residuali derivanti dal comparto agricolo producono una ingente quantità di scarti
legnosi che attualmente non vengono valorizzati in maniera adeguata. Infatti ancora oggi gli
agricoltori considerano la gestione dei residui di potatura come un problema di smaltimento,
piuttosto che un’operazione potenzialmente produttiva. Tale situazione è estendibile a tutto il
territorio nazionale. Ciò che cambia è il tipo di coltura prevalente (vite, olivo, frutteti, ecc.).
L’agricoltura è uno dei principali settori per la produzione di combustibili rinnovabili. Il
comparto agricolo è però in grado di fornire diverse tipologie di biomasse, passando dalle
colture energetiche erbacee a quelle legnose, dalle produzioni dedicate a quelle residuali.
Tuttavia, dal punto di vista dell’utilizzazione in impianti per la produzione di energia elettrica
e/o termica, al momento le fonti agricole concretamente utilizzabili sono le biomasse legnose e
fra queste principalmente il residuale.
La stima della quantità di residui derivanti dal comparto agricolo è piuttosto complessa. Infatti
la base informativa, costituita dalle dichiarazioni effettuate ai sensi della legge 25 gennaio
1994 n. 70 attraverso il modello unico di dichiarazione ambientale (MUD), non è adeguata per
la stima dei rifiuti speciali prodotti dal settore agricolo, in quanto, ai sensi della normativa
vigente, sono previste numerose esenzioni dall’obbligo di dichiarazione per gli operatori
agricoli.
Sono esonerati dall’obbligo della dichiarazione MUD, a norma dell’art. 11 del D. Lgs 22/97 e
successive modifiche e integrazioni:
– gli imprenditori agricoli che producono esclusivamente rifiuti speciali non pericolosi;
– gli imprenditori agricoli, di cui all’art. 2135 del Codice civile, con volume d’affari annuo
non superiore ai 7.000 €.
L’obbligo di dichiarazione sussiste, pertanto, esclusivamente per i rifiuti pericolosi prodotti da
aziende agricole con volume d’affari annuo superiore ai 7.000 €. La base dei dati MUD pertanto
non è in grado di fornire un quadro esaustivo a causa l’assenza dell’obbligo di dichiarazione per
la maggior parte delle tipologie dei rifiuti agricoli, tra cui i residui legnosi, e per una quota non
irrilevante degli imprenditori in quanto non interessata al problema.
La stima del quantitativo di residui di potatura, sul territorio nazionale è possibile effettuarla
attraverso uno studio di settore. La quantità di residui agricoli può essere determinata
semplicemente moltiplicando la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) per un coefficiente che
descrive la produttività di residui in t/ha. Questo coefficiente varia in base al tipo di coltura ed
alla zona geografica.
E’ stato determinato dal CESTAA (Centro Studi sull’Agricoltura, l’Ambiente ed il Territorio) e
confermato dal SESIRCA (Servizio e Sperimentazione, Innovazione e Ricerca sull’Agricoltura).
La produzione media di residui (t/ha) ed il rapporto residuo/prodotto sul territorio nazionale
sono riportati in Tabella 1.
Tabella 1 – Quantità di residuo prodotto (t/ha) ed il rapporto residuo/prodotto in Italia
Pianta
Vite
Olivo
Melo
Pero
Pesco
Agrumi
Mandorlo
Nocciolo
Residuo
Residuo prodotto
(t/ha)
2,9
1,7
2,4
2,0
2,9
1,8
1,7
2,8
Sarmenti
Potatura
Potatura
Potatura
Potatura
Potatura
Potatura
Potatura
Residuo/prodotto
(wet basis)
0,2-0,8
0,5-2,6
0,1
0,1
0,2
0,1
1,9
1,9
La quantità di residuo prodotto varia con il tipo di specie e con la posizione geografica. Questo
è confermato dalla Tabella 2 che riporta i residui prodotti (t/ha) per il nord, il centro ed il sud
Italia. Le variazioni sono dovute alle differenti caratteristiche sia climatiche che del suolo.
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Tabella 2 – Quantità di residui (t/ha) nel nord, centro e sud Italia
Pianta
Residui (t/ha)
Nord
2,9
1,6
2,6
2,3
2,9
0,7
1,9
2,5
Vite
Olivo
Melo
Pero
Pesco
Agrumi
Mandorlo
Nocciolo
Centro
2,9
2,2
1,6
1,5
2,6
1
1,1
2,9
Sud
2,8
2,1
1,4
1,2
3,0
1,9
1,7
2,8
Considerando i dati ISTAT del 5° censimento generale dell’agricoltura dell’anno 2000, la
superficie agricola utilizzata in base alle principali colture riportate in tabella 1 sono:
Tabella 3 – Superficie agricola utilizzata e residuo prodotto sul territorio nazionale
Residuo
Residuo
SUA
Umidità
Pianta
Residuo
(mt wet
(mt dry
(hax1000)
(%)
basis)
basis)
Vite
Olivo
Melo
Pero
Pesco
Agrumi
Mandorlo
Nocciolo
Sarmenti
Potatura
Potatura
Potatura
Potatura
Potatura
Potatura
Potatura
1015,0
1139,2
82,0
39,9
78,7
183,4
118,2
69,3
2,9
1,9
0,2
0,1
0,2
0,3
0,2
0,2
45-55
35-40
35-45
35-45
35-45
35-45
35-45
35-45
1,5
0,9
0,1
0,05
0,1
0,2
0,1
0,1
Il grafico di figura 1 evidenzia come la vite e l’olivo siano le colture con la maggior produzione
di residui, rispettivamente circa 3 e 2 milioni di tonnellate annue.
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DESCRIZIONE DELLA FILIERA DI RECUPERO DEGLI SCARTI DI POTATURA
La filiera di recupero degli scarti di potatura consiste essenzialmente nel trattamento della
biomassa agricola residuale (le potature) attraverso processi di triturazione ed essiccamento,
per ottenere un biocombustibile (il cippato) da impiegare all’interno della stessa azienda per il
soddisfacimento delle sue esigenze energetiche (riscaldamento, raffrescamento, consumi
elettrici). Questo biocombustibile può essere utilizzato sia direttamente (combustione in
caldaia) sia indirettamente (impiego in un impianto di gassificazione).
La filiera di produzione del cippato da scarti di potatura si articola nelle seguenti fasi:
1. Potatura.
2. Raccolta della potatura e cippatura.
3. Stoccaggio ed essiccazione del cippato.
4. Conversione energetica del cippato.
In realtà, come di seguito specificato, si possono individuare due filiere che si differenziano
nella fase di raccolta delle potatura e in quella di conversione energetica.
Dopo la fase di potatura si procede alla raccolta delle stesse e alla loro successiva cippatura. Il
cippato ottenuto è successivamente conferito, mediante trasporto su camion, ad un silos di
stoccaggio. Al magazzino di stoccaggio del biocombustibile è collegata una coclea di
alimentazione di una caldaia a cippato (nel caso di combustione in caldaia) la quale deve
alimentare, a sua volta, un gruppo refrigerante/riscaldante ad assorbimento a doppio effetto,
in grado quindi di produrre acqua calda e fredda, oppure alimentare un gassificatore (nel caso
di gassificazione della biomassa).
Di seguito si riporta una descrizione delle singole fasi.
1. Potatura
La potatura é un'operazione destinata ad accrescere la produzione dei frutti e ad aumentarne il
calibro, a limitare l'alternanza e a frenare l'invecchiamento dell'albero eliminando il legno
superfluo.
E’ un’operazione pertanto che viene effettuata periodicamente ogni anno, precisamente nei
mesi di dicembre, gennaio, febbraio e marzo e dalla quale è possibile ricavare un considerevole
potenziale di biomassa che molto spesso non trova un impiego adeguato.
La potatura, sia quella d’allevamento che quella di produzione, è improntata su criteri di
praticità ed economicità ed è finalizzata all’ottenimento di produzioni abbondanti le cui qualità
sono ottenibili con il minor costo di produzione.
Gli scopi principali della potatura sono:
• dare forma alla pianta per sostenere le produzioni;
• consentire l’equilibrio tra attività vegetativa e produttiva;
• facilitare la meccanizzazione e l’esecuzione delle pratiche colturali;
• accelerare lo sviluppo dei giovani alberi al fine di ridurre al massimo la fase improduttiva;
• ottenere i massimi incrementi legnosi nelle piante da legno;
• migliorare la qualità dei frutti;
• mantenere la pianta in produzione il più a lungo possibile.
E’ comunque indispensabile che la potatura poggi su basi fisiologiche; essa, infatti, ha il
compito di mantenere un giusto equilibrio fra i diversi organi della pianta, chioma e radici,
frutti, germogli e gemme che sono tra loro in competizione nella richiesta di risorse,
convogliando però le maggiori risorse verso i frutti.
2. Raccolta delle potature
Giocano un ruolo fondamentale nel contesto della filiera di valorizzazione delle biomasse la
raccolta e la cippatura dei residui colturali. Infatti le potature si trovano sparse nel terreno
agricolo ed è necessario dunque raccoglierle, concentrarle e trasportarle. Esistono diverse
tipologie di macchine per la raccolta che determinano i requisiti fisici del materiale (massa
volumica, forma, pezzatura); queste caratteristiche incidono sia sulle successive fasi
(movimentazione, trasporto e stoccaggio), sia sulla scelta dell’impianto di trasformazione.
Con rarissime eccezioni le macchine per la raccolta delle potature derivano dalla modifica di
attrezzature agricole destinate ad un altro tipo di lavorazione. Il recupero del legno può seguire
due strategie molto differenti: una prevede l’imballatura e la movimentazione delle balle verso
l’utenza, l’altra la raccolta e la contemporanea sminuzzatura in campo delle potature.
L’imballatura è stata finora oggetto di maggior interesse essenzialmente perché basata su una
tecnologia più matura, disponibile da anni a livello commerciale. Con l’imballatura la
movimentazione del residuo è facilitata, perché ne diminuisce l’ingombro e lo organizza in
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unità omogenee per forma e dimensioni. Inoltre è più agevole lo stoccaggio della biomassa
anche in assenza di una preventiva stagionatura in campo e non si presentano problemi di
fermentazione che limitano l’uso del cippato. Le tipologie di macchine più idonee sono le
imballatrici parallelepipede standard, le rotoimballatrici standard e le rotoimballatrici leggere.
Per la sminuzzatura delle potature in campo si impiegano delle macchine che derivano da
trinciasarmenti alle quali sono state apportate modifiche per consentire la movimentazione in
campo del prodotto raccolto. La sminuzzatura in campo ancora non ha avuto grossa diffusione,
anche se il cippato può semplificare moltissimo la logistica del recupero comportandosi come
un fluido e potendo essere movimentato molto più agevolmente delle balle. Gli unici ad
applicare questa tecnologia su scala commerciale sono gli americani che utilizzano però
macchine troppo grandi e costose, difficilmente adattabili alla realtà italiana.
La scelta del metodo di raccolta delle potature, con imballatrice o con trinciacaricatrici,
comporta una differenziazione sostanziale della filiera e delle successive fasi.
3. Stoccaggio delle potature e cippatura
Le due metodologie di raccolta sopra riportate presentano delle differenze sostanziali per
quanto riguarda lo stoccaggio della biomassa. Nel caso delle trinciacaricatrici il cippato ottenuto
deve essere opportunamente stoccato ed essiccato al fine di avere, al momento
dell’utilizzazione, un contenuto di umidità non troppo elevato (8-10 %).
La fase di essiccazione del cippato può essere risolta con diverse approcci:
– essiccazione con ventilazione meccanica;
– essiccazione naturale in silos di stoccaggio coperti ed opportunamente areati, per
evitare l’innescarsi di processi di deterioramento causato da funghi o batteri.
L’essiccazione con ventilazione meccanica è la soluzione tecnicamente più efficiente per
ottenere il desiderato contenuto di umidità della biomassa. La seconda ipotesi presenta dei
problemi dovuti ad un aumento dell’umidità del materiale di circa un 15 %.
4. Cippatura
La fase di cippatura è necessaria per ottenere un biocombsutibile di caratteristiche
dimensionali compatibili con le apparecchiature di conversione energetica, anche nel caso in
cui si impieghino per la raccolta delle potature le trinciacariatrici, che producono un cippato di
scarsa qualità, risultando necessaria una successiva fase di cippatura per ottenere un
biocombustibile con caratteristiche idonee (pezzatura omogenea e dimensioni comprese fra 3 e
5 cm).
Per ridurre la balle di potatura alla pezzatura richiesta dalle macchine di conversione
energetica, cisi avvale di una macchina cippatrice; di queste macchine ne esistono vari modelli
e di varie marche,ma le caratteristiche generali sono più o meno similari.
In relazione all’intera fase di cippatura è necessario sottolineare che le balle hanno dimensioni
non compatibili con la bocca del cippatore e di conseguenza per automatizzare il processo
occorrerebbe utilizzare una cippatrice con bocca di carico uguale o superiore. Ciò
comporterebbe l’acquisto di una macchina nella sezione di mercato dei grandi trituratori (la
differenza con le cippatrici consiste nel diverso orientamento dell’asse dei rulli dentati,
orizzontale peri trituratori, verticale per le cippatrici) che, tradotto in valutazioni economiche,
significherebbe un investimento di circa 300.000 €.
5. Conversione energetica del cippato
La fase di conversione energetica del cippato può essere realizzata impiegando due differenti
processi:
- combustione;
- gassificazione.
La combustione prevede la conversione energetica del cippato mediante combustione in
caldaia. La centrale termica deve essere progettata in modo da accogliere il dispositivo per il
caricamento automatico della caldaia, di solito a coclea, un accumulo termico funzionante da
serbatoio tampone, l’impiantistica idraulica, la pompa primaria, il sistema anticonendensa, il
sistema di sicurezza e di espansione, l’impiantistica elettrica ed elettronica. Le tipologie di
caldaia per la combustione del cippato possono essere di due tipi: ad acqua calda o ad olio
diatermico.
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La massificazione è un processo endotermico a due stadi in cui un combustibile solido
(biomassa o carbone) è termochimicamente convertito in un gas a basso o medio potere
calorifico inferiore, variabile tra 4000 e 14000 kJ/Nm3.
Nel primo stadio i componenti più volatili sono vaporizzati a temperature inferiori a 600 °C da
un insieme di reazioni complesse. I componenti volatili sono gas di idrocarburi, idrogeno, CO,
CO2, nerofumo e vapore acqueo. Le sostanze carbonizzate e la cenere sono prodotti non
vaporizzabili, perciò nel secondo stadio questi composti devono essere gassificati in una
reazione con ossigeno, vapore e idrogeno. La parte incombusta delle sostanze carbonizzate
viene bruciata per fornire il calore necessario alle reazioni endotermiche di gassificazione.
CONCLUSIONI
Il potenziale di biomassa derivante dal settore agricolo è considerevole sia a livello nazionale
che regionale, ma attualmente non è sfruttato in modo adeguato.
Il recupero energetico dei residui di potatura, può offrire agli agricoltori un’interessante
opportunità di reddito, oltre che aiutarli a risolvere un problema pressante, quale quello del
loro smaltimento.
L’impiego tradizionale degli scarti di potature prevede che essi vengano bruciati sul posto con
pericolo non sempre trascurabile di incendi. Un impiego più oculato è rivolto alla
trasformazione delle potature in concime organico.
La valorizzazione energetica delle biomasse residuale mediante la realizzazione di una filiera di
produzione e trasformazione energetica di un biocombustibile, il cippato.
E’ possibile individuare due filiere che si differenziano per la fase di raccolta delle potature in
campo e per la fase di conversione energetica.
La filiera di recupero energetico degli scarti di potature presenta i seguenti vantaggi:
- risparmio di energia da fonte primaria fossile;
- vantaggio economico per le aziende agricole;
- sviluppo dei sistemi di conversione dell’energia da biomassa;
- sviluppo dell’indotto legato alla filiera.
Tale filiera deve essere comunque ottimizzata, soprattutto per quanto riguarda la fase di
raccolta delle potature, aspetto più critico dell’intera filiera, dipendente dal tipo di potatura e
dalle esigenze di essiccazione della biomassa.
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