il governo punta sull`anticipo pensioni "su misura" con

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il governo punta sull`anticipo pensioni "su misura" con
ANNO I N. 19
10/9/2016
RASSEGNA STAMPA DAL 1/09/2016 AL 9/092016
4 settembre 2016
IL GOVERNO PUNTA SULL'ANTICIPO PENSIONI "SU
MISURA" CON OCCHIO ALL'AUMENTO DELLE MINIME
(Teleborsa) - Un piano pensioni del Governo dalle molte novità, che potrebbe essere varato con "Decreto" addirittura prima
della Legge di Bilancio. A "riposo" con anticipo a richiesta, quindi, secondo le necessità di ciascuno. Naturalmente avendo
compiuto in ogni caso i 63 anni di età, con un massimo di 3 anni e 7 mesi prima di quanto prevede la norma attualmente
in vigore. Una, per così dire, forma di "flessibilità allargata", con cui il lavoratore potrà individualmente scegliere quanto
vorrà farsi anticipare sul proprio "quantum" di pensione, se il massimo o una qualsiasi percentuale più bassa a seconda di
desideri e delle necessità personali. Un progetto in cui il Premier crede molto, in ogni caso dai costi molto alti. Si parla,
infatti, di "qualche" miliardo di Euro, due ad essere ottimisti. E Renzi punta anche all'innalzamento delle "minime". Si tratta
di un prestito concesso dalle banche tramite Inps, coperto da un'assicurazione, che a fronte dell'anticipo richiesto dal
lavoratore sarà restituito ratealmente in 20 anni. Di regola a partire, appunto, da quei 66 anni e 7 mesi, soglia da cui parte
al momento la "quiescenza". Ma con una "decurtazione" sostenibile, perché se troppo onerosa potrebbe far fallire l'intera
operazione. L'idea del Governo sarebbe quella di detrazioni in misura fissa, appunto per favorire le categorie dai redditi
più bassi. Ovviamente, sarà penalizzato in misura crescente chi dispone di un buon reddito. Agli "esodati" l'Ape la pagherà
lo Stato, mentre per si trova tra gli "esuberi" ci penserà l'Azienda dove ha prestato la sua opera. Conti e simulazioni sono
ormai in dirittura d'arrivo. Martedì 6 settembre ripartirà il confronto con i sindacati, preceduto, tuttavia, da una riunione a
Palazzo Chigi di Premier, per stabilire esattamente quel che nei fatti si può fare. Renzi e il suo staff sono consapevoli della
"delicatezza" della questione pensioni e sanno che una discussione con le parti sociali prima che "a cose fatte" potrebbe
evitare uno scontro che non converrebbe proprio a nessuno. Il costo del "pacchetto" dovrebbe aggirarsi attorno ai 2 miliardi,
senza considerare interventi sui trattamenti minimi, e comprende 7 misure: l'Ape, ovvero l'anticipo pensionistico, la
"quattordicesima", gli interventi a favore dei "lavoratori precoci" e per quelli impegnati in attività "usuranti", l'eliminazione
delle penalità per chi lascia l'occupazione prima di aver compiuto i 62 anni avendo maurato 40 anni di contributi, la no tax
area, la ricongiunzione gratuita per i contributi versati in diversi fondi. Operazione, quest'ultima, altamente molto onerosa,
e di fatto quasi impraticabile. Sull'Ape, tuttavia, incombe l'incognita Ue. L'Unione europea potrebbe, infatti, intervenire
inserendo dei paletti.
4 settembre 2016
LAVORO, CRESCITA, DEFICIT, 80 EURO, FONDI ALLA SANITÀ, MUTUI E
INVESTIMENTI: QUELLO CHE LE 30 SLIDE DI RENZI NON DICONO
Il premier ha scelto accuratamente i numeri da usare per raccontare agli italiani, in occasione dei suoi primi 30 mesi a
Palazzo Chigi, "come stavamo prima dell’arrivo del nostro governo" e "come stiamo adesso". Nessun cenno all'aumento
del debito pubblico, al fatto che l'occupazione sale solo per gli over 50 e alla restituzione del bonus. Quanto al pil,
l'andamento negativo del 2013 viene confrontato con un "+1%" che è il dato - non paragonabile - relativo al primo trimestre
“Trenta slide per trenta mesi”. Il premier Matteo Renzi non cambia verso: la settimana dopo il terremoto del Centro Italia,
e nel giorno in cui dall’Istat è arrivata la notizia che gli occupati hanno ricominciato a calare, per rivendicare i risultati
ottenuti dal governo in due anni e mezzo di lavoro non ha rinunciato alle usuali diapositive con numeri in caratteri cubitali.
Improntati come sempre all’ottimismo e alla lotta ai gufi “seminatori di odio e di bugie”. Secondo il premier quei numeri
raccontano “come stavamo prima dell’arrivo del nostro governo” e “come stiamo adesso”. Numeri, “non chiacchiere“,
chiosa il presidente del Consiglio nella sua enews, perché “le cifre non mentono“. Ma per comprimere trenta mesi in trenta
slide sono state scelte accuratamente, cosa che non può non influenzare il quadro che ne risulta. Basti dire che il debito
pubblico non compare da nessuna parte. Non solo: i numeri da soli – senza contesto, riferimenti temporali e spiegazioni –
difficilmente danno informazioni sufficienti per “conoscere la verità” “in modo semplice e chiaro”. Soprattutto se si ricorre a
quelli che Mario Seminerio sul suo blog Phastidio definisce “mezzucci da perfetto venditore di fumo come il cherry picking
(la scelta dei numeri migliori, ndr) sui dati realizzato cambiando l’orizzonte temporale di riferimento”. Proprio per fare
chiarezza Ilfattoquotidiano.it ha contestualizzato i principali dati economici che Renzi ha deciso di evidenziare.
Aggiungendo i numeri su cui l’inquilino di Palazzo Chigi ha sorvolato
03/set/2016
SINDACATI BANCARI A RENZI: ADESSO BASTA, SCIOPERO GENERALE
"MOBILITAZIONE CONTRO L'EUTANASIA DEL SETTORE"
Milano, 3 set. (askanews) - Sindacati dei bancari sul piede di guerra, con la minaccia dello sciopero generale. In un
comunicato unitario di tutte le sigle sindacali del settore, i bancari affermano: "L'affermazione del presidente del consiglio
Renzi circa la necessità di ridurre, in 10 anni, di 150mila lavoratori bancari (15 mila all'anno supponiamo), il numero degli
addetti nel settore creditizio, merita una sola risposta: Sciopero Generale!!!". "Adesso Basta! A chi vuole l'eutanasia del
settore creditizio - scrivono ancora - occorre rispondere con la mobilitazione". Secondo i sindacati, prima di fare queste
dichiarazioni "che rischiano di destabilizzare l'intero settore", il premier "aveva l'obbligo di consultare le parti Sociali (Abi e
sindacati), fare valutazioni di opportunità. La sua analisi si basa invece sul fatto che sua moglie usa lo smartphone invece
di recarsi allo sportello bancario. Con il più bieco populismo dichiara che bisogna ridurre gli occupati (ma un Presidente
del Consiglio non deve pensare a come incrementare l'occupazione visto anche gli esiti negativi del Jobs Act?), ridurre il
numero delle filiali, aggregare le banche e che la politica deve stare fuori da questi processi". Affermazioni "contraddittorie",
secondo Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Sinfub, Ugl Credito, Uilca e Falcri Silcea. "Infatti - sottolineano - ci chiediamo: se la
politica deve stare fuori dalle banche (e noi lo affermiamo da sempre) perché il governo deve imporre il numero delle filiali,
delle banche, degli addetti? Ma Renzi non ci ha spiegato fino a ieri che 'E' il mercato bellezza!". I sindacati dei bancari
nvitano quindi anche l'Abi "a prendere posizione contro queste sconclusionate affermazioni del premier. Anche perché
Renzi deve spiegare a tutti i cittadini, chi pagherà i costi sociali di questa drastica riduzione del personale? Con quali soldi?
Con quali strumenti? Oppure Renzi, con le sue esternazioni, vuole invitare i banchieri a licenziare personale, decisione
che contrasteremo ferocemente?". "Se il presidente del Consiglio non convocherà immediatamente le parti sociali avvertono i sindacati - inizierà una contrapposizione e una mobilitazione totale da parte del sindacato del credito per la
difesa dei posti di lavoro e della dignità professionale delle lavoratrici e dei lavoratori". Nel loro lungo comunicato, i sindacati
ricordano poi al premier che "un suo predecessore (Romano Prodi) alla fine degli anni '90 di fronte alle prime avvisaglie
della crisi delle banche convocò un tavolo a Palazzo Chigi con le parti sociali" e che "da lì scaturirono soluzioni che ancora
oggi hanno una validità fondamentale per il settore e servono da ammortizzatori sociali senza costi per la collettività".
"Invitiamo il presidente del Consiglio - aggiungono - a parlare di meno e a studiare un po' di più gli atti parlamentari e gli
strumenti fiscali e previdenziali. Ma soprattutto gli consigliamo di stare alla larga da certi finanzieri d'assalto, con residenza
all'estero, che probabilmente lo mal consigliano". "Il sindacato del credito - proseguono - ha dato prova di grandi capacità
elaborative, costruttive e concertative per la risoluzione dei problemi del settore. Ciò è dimostrato da una contrattazione
tra le parti che ha portato negli ultimi 10 anni ad esodi volontari tramite il Fondo di sostegno al reddito di circa 50 mila
lavoratori e l'appoggio dato alle fusioni annunciate. A differenza delle affermazioni del premier attraverso il nostro Fondo
per l'Occupazione, finanziato dai lavoratori, abbiamo creato, in questi ultimi 4 anni, oltre 12 mila posti di lavoro in più". "Ma
oggi - affermano - il piatto è colmo. Non si può più accettare che un presidente del Consiglio si ostini sistematicamente a
stimolare tagli di personale per accreditarsi quei poteri forti che lo hanno sostenuto". "Nei prossimi giorni - concludono i
sindacati dei bancari - i nostri Uffici Studi produrranno documentazioni che contestano e contraddicono quanto affermato
dal premier sia sul numero delle filiali che del numero delle banche in relazione al mercato europeo, soprattutto, sul costo
del personale e sui trattamenti fiscali e gli oneri pubblici abbondantemente disallineati con quelli pagati dalle altre banche
europee. Dati, tra l'altro, che saranno molto simili a quelli presentati dal presidente Abi Patuelli lo scorso luglio"
05/09/2016
VIAGGI, POSTE E SERVIZI: ITALIA MAGLIA NERA D'UE
LA FIDUCIA DEI CONSUMATORI È IN PICCHIATA
Rachele Nenzi
Se gli europei dovessero scegliere un Paese, non vivrebbero certo in Italia. Il Belpaese, infatti, è maglia nera in Ue per il
funzionamento del mercato e per la fiducia dei consumatori.
Lo rileva la Commissione europea nel Quadro di valutazione 2016 dei mercati al consumo, che analizza il grado di fiducia,
aspettative, possibilità di scelta, disguidi e lamentele per 44 mercati al consumo differenti. Gli indici di performance italiani
sono tutti in aumento rispetto al 2013, ma rispetto all’Europa l’Italia resta ferma a 77,1 punti, vale a dire 2,7 punti sotto la
media Ue a 28, mentre nello specifico la penisola resta sotto i valori Ue in 42 mercati al consumo sui 44 analizzati.
Servono quindi "norme favorevoli ai consumatori, riforme del mercato e un’efficace applicazione delle norme a tutela dei
consumatori stessi", ha ricordato il commissario per la Giustizia e la tutela dei consumatori, Vera Jourova.
I mercati dei beni continuano ad essere valutati più positivamente rispetto ai mercati dei servizi, nonostante i notevoli
miglioramenti registrati da questi ultimi. Fra i mercati dei beni, i mercati al dettaglio dei beni di largo consumo, come
bevande analcoliche e pane, cereali e pasta, che nelle precedenti edizioni avevano conseguito buoni risultati, hanno perso
terreno rispetto ad altri. La valutazione dei consumatori del mercato dei servizi ferroviari è notevolmente migliorata dal
2013. Il funzionamento del mercato dell'energia elettrica non è pienamente soddisfacente. Molti problemi si riscontrano
nei mercati delle telecomunicazioni. È in questi settori, tra tutti quelli analizzati, che i consumatori subiscono nel complesso
i maggiori danni. È aumentato il numero di consumatori che hanno cambiato fornitore, un'operazione che in alcuni mercati
resta però difficoltosa. In particolare, però, sono i servizi postali, i mezzi pubblici e i servizi in generale a non convincere
particolarmente i consumaori.
TERREMOTO: LA SOLIDARIETÀ DELLE BANCHE DEL
TERRITORIO
(6 settembre 2016) Ampia e tempestiva la risposta delle banche all’invito dell’Associazione bancaria italiana ad avviare
misure di supporto alle vittime del terremoto che ha colpito il Centro Italia lo scorso 24 agosto, in attuazione dello
specifico Protocollo di intesasottoscritto con la Protezione civile e le Associazioni dei consumatori il 26 ottobre 2015 e
teso ad assicurare ovunque nel Paese equità e tempestività degli interventi a favore delle popolazioni colpite da calamità
naturali: sulla base delle prime adesioni raccolte dall’Associazione è stato già raggiunto il 100% di copertura in termini di
sportelli presenti nei comuni interessati dal sisma.
Tra le più significative iniziative finanziarie che le banche stanno adottando:
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oltre a quanto previsto dall’Ordinanza del Capo dipartimento della Protezione civile n.388, emanata in coerenza
con il protocollo di intesa di fine 2015, ampliamento dei termini di sospensione fino a 12 mesi delle rate dei mutui
relativi a edifici residenziali, commerciali e industriali distrutti o inagibili o inabitabili, anche parzialmente. In alcuni
casi la misura di sospensione è estesa anche a prestiti personali, finanziamenti e leasing;
messa a disposizione di plafond e linee di credito dedicate per assicurare la rapida ricostruzione degli immobili a
uso residenziale, commerciale o industriale e così favorire un progressivo ritorno a una situazione di normalità
oppure fornire a privati e imprese liquidità straordinaria a tassi agevolati a copertura delle spese emerse in seguito
agli eventi tellurici;
attivazione di conti correnti finalizzati alla raccolta di donazioni, in generale senza prevedere l’addebito di costi
e/o commissioni.
Le banche operanti nei territori investiti dal sisma sono al contempo impegnate per alleviare i disagi sopportati dai clienti
che per effetto del terremoto hanno smarrito carte, libretti degli assegni, documentazioni bancarie. Sono stati inoltre attivati
servizi informativi attraverso numeri verdi dedicati per trasmettere indicazioni aggiornate circa l’operatività delle filiali nelle
aree danneggiate.
Nell’ambito dello sforzo collettivo di solidarietà avviato dal mondo bancario a favore dei terremotati, l’ABI ha invitato le
proprie associate a considerare l’opportunità di non riscuotere commissioni su bonifici o altre forme di trasferimento di
fondi disposti a favore di iniziative a sostegno delle popolazioni coinvolte nel sisma.
Tra le molte manifestazioni di solidarietà va annoverato anche l’impegno diretto del mondo del credito, che si è mobilitato
grazie all’impegno delle segreterie nazionali delle organizzazioni sindacali di categoria dei bancari (Fabi, First/Cisl,
Fisac/Cgil, Sinfub, Ugl/Credito, Uilca e Unisin) e dell’Associazione bancaria italiana: assieme Abi e sindacati hanno
concordato l’immediata attivazione di una raccolta di fondi dedicata al supporto delle popolazioni colpite attraverso la
Fondazione Prosolidar.
6 settembre 2016
LICENZIAMENTI NELLE BANCHE: IL SOSTEGNO DEL
GOVERNO
Scivoli per il prepensionamento e incentivi alle uscite attraverso il recupero dei fondi versati dagli istituti di credito alla
Naspi
Pa
Sono 16 mila gli ulteriori lavoratori previsti in uscita dal settore bancario da qui al 2020 secondo i calcoli dei sindacati.
Per aiutare le banche a tagliare (un invito più volte arrivato anche dal governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco) il
governo starebbe studiando l'opportunità di rendere disponibili fondi ad hoc per sostenere i processi di uscita dal settore
del credito.
Dopo lo scivolo per il prepensionamento, che è già stato portato da 5 a 7 anni di anticipo, arriverebbero anche risorse per
consentire alle banche di incentivare le uscite. Ma non viene spiegato, attingendo alla fiscalità generale quanto "liberando"
le risorse che le stesse banche versano per gli ammortizzatori sociali.
Una prima apertura, intanto, è arrivata dal viceministro dell'Economia Enrico Morando, secondo il quale si può
"eventualmente discutere di un ulteriore intervento del pubblico, come si è fatto in tantissimi altri settori", anche se "fino ad
oggi, e spero che possa essere così anche domani, il sistema del credito ha gestito in proprio gli ammortizzatori sociali del
settore e non ha avuto soldi dello Stato".
La strada, spiegano diverse fonti, potrebbe quindi essere quella di consentire agli istituti di credito di "recuperare" - o
quantomeno di attingere secondo le necessità volta per volta - i circa 200 milioni che le banche versano ogni anno per la
Naspi per tutte le categorie di lavoratori, senza però usufruire del meccanismo visto che il settore ha un suo Fondo esuberi
che entra in campo per "coprire" le uscite anticipate.
Questa soluzione, già suggerita dalla Fabi a inizio agosto, consentirebbe di gestire il problema. (ANSA)
07 settembre 2016
UBIS, SINDACATI BANCARI: IL 9 SETTEMBRE È SCIOPERO
Presidio di solidarietà di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin, contrari al processo di esternalizzazione
Il 9 settembre, dalle ore 9, presidio di solidarietà in via Magliocco, nei confronti dei lavoratori dell'Ubis, che lo stesso giorno
incroceranno le braccia contro l'esternalizzazione dell'azienda. Anche a Palermo le segreterie territoriali di Fabi, First Cisl,
Fisac Cgil, Uilca e Unisin esprimono solidarietà ai lavoratori di Ubis (Unicredit business integrated solution) società del
gruppo Unicredit, che hanno deciso di scioperare contro l’ennesima cessione di attività e di lavoratori. Una parte del gruppo
sarà ceduta a una interbancaria, la Sia, società partecipata della Cassa depositi e prestiti.
Questa volta a essere interessati sono i lavoratori che si occupano della gestione informatica delle 'carte'. Ma in questi
ultimi anni centinaia e centinaia sono stati i colleghi coinvolti da processi di esternalizzazione, che - secondo i sindacati
dei bancari palermitani - non hanno portato i risultati economici che Unicredit dichiarava di volere raggiungere, ma che
hanno determinato, invece, un impoverimento professionale e occupazionale nel territorio siciliano e palermitano, con
ricadute pesanti.
“Esprimiamo preoccupazione per la strategia seguita da questo gruppo, basata quasi esclusivamente sul taglio di attività
lavorative e contenimento dei costi, in particolare del costo del lavoro, senza cercare d'incrementare i margini di redditività
e senza, come nel caso di Ubis, tagliare le numerosissime e onerose consulenze esterne – affermano Carmelo Raffa di
Fabi, Mimmo Crivello di First, Elia Randazzo di Fisac Sicilia, con delega su Palermo, Giuseppe Gargano di Uilca –. In
relazione a ciò, preoccupano le affermazioni del nuovo ad, Jean Pierre Mustier, che ripropone per il prossimo piano
industriale di Unicredit la stessa ricetta di tagli, con cessioni di filiali e di partecipazioni (Fineco, Pioneer, Pekao ecc.).
"Insomma, un piano 'lacrime e sangue', sempre e solo per i lavoratori. Tutto questo, in un settore come il nostro, in cui il
premier Renzi, in maniera improvvida, dichiara esuberi pari alla metà del personale attuale. Questa politica di Unicredit, a
nostro avviso, può determinare conseguenze perniciose dal punto di vista sociale, economico e occupazionale, soprattutto
nel nostro territorio, che è debole, dove ancora conta il rapporto tra operatore bancario e cliente, e le ripercussioni sono
più forti che in altre parti d'Italia”, concludono i sindacati di categoria.
NOTIZIE RADIOCOR - PRIMA PAGINA
REFERENDUM: GOLDMAN SACHS, SE VINCE NO
PROBLEMI PER BANCHE, MENO PER TITOLI STATO
Al 40% probabilita' di bocciatura modifiche costituzionali (Il Sole 24 Ore Radiocor Plus) - Milano, 07 set - Goldman Sachs
punta i riflettori sul referendum italiano, che sulla scia della Brexit "sta riaccendendo le ansie degli investitori". Gli analisti
della banca assegnano il 40% di probabilita' di successo del No, numero inferiore a quello suggerito dai sondaggi, ma
comunque elevato. E' poco probabile, secondo la banca d'affari Usa, che una vittoria del No porti ad elezioni anticipate,
ma sarebbe una battuta d'arresto per il cammino delle riforme di cui l'Italia ha bisogno per la crescita. In questo scenario,
diminuirebbero le possibilita' di una ricapitalizzazione di mercato delle banche italiane piu' deboli, a cominciare da Mps,
mentre i titoli di Stato italiani, sostenuti dal Qe della Bce, soffrirebbero meno. GS si attende che il referendum venga
fissato il 20 o 27 novembre. Una vittoria del Si' dovrebbe portare all'adozione di riforme strutturali piu' incisive, con il
premier Renzi pronto a capitalizzare il successo con "un'agenda di crescita", con un probabile aumento della spesa
pubblica, che non dovrebbe trovare forte resistenza dal resto della Ue, visto il ciclo politico in Spagna, Francia e
Germania. Se dovesse vincere il No e Renzi decidesse di dimettersi, GS si aspetta che il presidente Mattarella faciliti un
rimpasto di Governo, con un allargamento della maggioranza. Gli analisti della banca assegnano il 60% di probabilita' a
questo scenario, il che sulla base delle chance di successo del No (40%), risulta in un 25% di possibilita' di uscita di
scena di Renzi entro inizio 2017. Nel caso di elezioni anticipate (probabilita' del 15%) con le attuali regole, il voto
probabilmente porterebbe a un 'hung Parliament', con Pd e M5S entrambi al 30%. Quanto all'impatto sui mercati, GS
stima che la vittoria del Si' si rifletterebbe in una riduzione del rischio sovrano, con l'annullamento o il calo del
differenziale sui titoli spagnoli (ora tra 10 e 20 pb nel settore 5-10 anni). Nel caso opposto, il differenziale potrebbe salire
fino a 40 punti base, con qualche rischio di contagio per i periferici. Nell'insieme, comunque, GS ritiene che "sia
decisamente poco probabile a questo stadio un allargamento degli spread oltre tali livelli o addirittura una crisi
dell'Eurozona con ripercussioni sistemiche". Per le banche una vittoria del No influirebbe negativamente sulla
ricapitalizzazione di Mps: "gli investitori potrebbero preferire di aspettare in attesa di maggiore chiarezza, con ricadute
anche per altri istituti", alle prese con il nodo degli Npl. Concludendo, "un governo piu' forte che va avanti sulle riforme,
mitiga i timori degli investitori e riporta l'attenzione sulle valutazioni. Il verificarsi, invece, di turbolenze politiche in
autunno e una stop alle riforme ridurrebbe le chance di una soluzione di mercato per le banche deboli e aumenterebbe la
probabilita' di una ristrutturazione degli istituti con denaro pubblico".
7/9/2016
IMPOSTA PATRIMONIALE IN
ARRIVO? ECCO I DETTAGLI
Come in ogni crisi che si rispetti (o che stia per arrivare), ecco giungere proposte finalizzate a tassare la ricchezza degli italiani attraverso l’introduzione (o l’inasprimento) di imposte patrimoniali.
Con la crescita economica che arranca, il bilancio statale in cronica difficoltà è necessario ottenere gettiti fiscali aggiuntivi. Quindi, cosa
di meglio di una balla imposta patrimoniale? dicono. Dei cinque rischi capitali dei quali da anni si parla in questo blog, trovo che l’imposta patrimoniale sia quello che presenta maggiori maggiori difficoltà applicative, sia a causa degli aspetti tecnici, sia a causa della sostenibilità politica di un’imposta del genere, che tuttavia piace e viene evocata da molte parti politiche.
Di seguito vi propongo un mio ultimo lavoro che riprende e aggiorna i precedenti contributi. Si tratta di un articolo pubblicato su Investors’ mese di maggio.
Buona lettura.
Quando si parla di imposta patrimoniale, la mente tende a correre al lontano 1992, quando l’allora Presidente del Consiglio, Giuliano
Amato, durante la notte, operò un prelievo una tantum del 6 per mille sulle giacenze dei conti correnti.
Benché in forme differenti rispetto al 1992, imposte patrimoniali sono già presenti nel nostro ordinamento tributario e si chiamano principalmente IMU e Imposta sostitutiva sulle attività finanziarie; ma ne esistono anche altre minori. Al netto delle modalità censurabili con
cui venne effettuato il prelievo dai conti, a differenza della patrimoniale di Amato del 1992, quelle attuali sono addirittura più invasive poiché, essendo strutturali, colpiscono periodicamente le attività possedute in forma di patrimonio immobiliare e attività finanziarie
(conti correnti, fondi comuni, dossier titoli ecc). Scopo di questo articolo è quello di cercare di capire in che modo si potrebbe essere
colpiti da un’imposta patrimoniale e quali sono le attività più esposte a questo rischio.
Quindi, cerchiamo di capire quali difficoltà potrebbero riscontrarsi nell’applicazione di una simile imposta. Preliminarmente, va osservato che il governo potrebbe contare su un ”extragettito”, semplicemente inasprendo il prelievo fiscale sulle imposte patrimoniali già in
essere. Ciò potrebbe esser fatto agevolmente alzando le aliquote del prelievo sia per l’IMU, che per l’imposta sostitutiva sulle attività
finanziarie. Nel caso dell’IMU, inoltre, per ottenere lo stesso risultato, ad aliquote immutate , sarebbe sufficiente una rivalutazione degli
estimi delle proprietà immobiliari, tali da attribuire agli immobili un valore superiore, aumentando così la base imponibile da colpire
e favorendo quindi un aumento di gettito. Questa soluzione, per quanto di facile applicazione, presenterebbe comunque delle controindicazioni delle quali il Governo dovrebbe tenerne conto, almeno si spera. Innanzitutto, nel pensare ad un eventuale inasprimento del
prelievo fiscale relativo alle imposte patrimoniali già presenti, non si potrebbe non tenere in considerazione gli effetti che questo determinerebbe alla luce del quadro congiunturale decisamente debole, dopo un lungo periodo di recessione, che ha colpito duramente il
reddito delle famiglie italiane (Figura 1).
Figura 1: Il Grafico mostra l’andamento dei redditi reali nei vari paesi considerati, ponendo come base 100 i redditi nell’anno 1995.
Come si osserva i redditi degli italiani sono precipitati ai livelli del 1995 e nessuno dei paesi considerati vanta un prima così negativo.
Elaborazione di Paolo Cardenà su dati Eurostat.
Si consideri che, un eventuale aumento dell’imposizione, per quanto limitato che sia, andrebbe a colpire il reddito disponibile delle famiglie, e pertanto produrrebbe una ulteriore contrazione dei consumi e quindi aggraverebbe anche il ciclo economico, già per nulla bril-
lante. Questo, inoltre, potrebbe comportare una diminuzione più o meno marcata della capacità di rimborso dei mutui al sistema bancario, impattando sugli istituti di credito che, a quel punto, si troverebbero nella condizione di dover esporre ulteriori sofferenze potenzialmente idonee ad abbatterne il patrimonio, aggravando così una situazione già complessa (confronta Investors’ n. 1). In tal senso, ad
esempio, un aumento della struttura impositiva dell’IMU (realizzata attraverso un aumento delle aliquote o anche attraverso una rivalutazione della base imponibile), rischierebbe di essere troppo severo o addirittura insostenibile per coloro che non dispongono di una
capacità di reddito adeguata per poter sopportare un esborso aggiuntivo rispetto a quanto pagato in ragione alle regole attuali.
Tutt’altro ragionamento potrebbe esser osservato in caso di aumento delle aliquote patrimoniali sulla ricchezza finanziaria, ossia quella
ricchezza investita in titoli, obbligazioni, azioni, fondi comuni ecc. In questo caso, benché sia già prevista una imposta sostitutiva dello
0,20%, ciò che rende possibile un ulteriore inasprimento dell’imposizione fiscale, risiede proprio nella natura dell’investimento stesso.
E cioè, il fatto che questo sia “immobilizzato” e quindi potenzialmente escluso dal soddisfacimento diretto dei bisogni, e quindi dal sostenimento del ciclo economico attraverso la spesa di parte delle risorse investite.
Figura 2: La tabella riporta i dati relativi alle attività reali delle famiglie italiane nell’anno 2013. Elaborazione di Paolo Cardenà su dati
Banca d’Italia.
Veniamo ora alla ricchezza finanziaria, quantificata in 3897 miliardi di euro, tentando di comprendere in che modo potrebbe essere interessata da un’eventuale imposizione patrimoniale.
Figura 3: La tabella riporta i dati relativi alla ricchezza finanziaria delle famiglie italiane nell’anno 2014. Elaborazione di Paolo Cardenà
su dati Banca d’Italia
Per il ragionamento sopra esposto, quindi, escludendo le componenti sopra descritte, la ricchezza che rimarrebbe rilevante ai fini di un
imposizione patrimoniale, per lo più in forma liquida, sarebbe poco più di 2000 miliardi come è possibile desumere dalla figura n. 4.
Figura 4: La tabella riporta i dati relativi alla ricchezza finanziaria delle famiglie italiane nell’anno 2014, a parere dell’autore “facilmente”
tassabile con imposte patrimoniali straordinarie. Elaborazione di Paolo Cardenà su dati Banca d’Italia.
A rigor di logica, da questo stock di ricchezza finanziaria così determinata, dovrebbero essere scomputate le passività che ammontano
a circa 912 miliardi di euro, restituendo un imponibile tassabile di circa 1100 miliardi di euro. Riducendo la base imponibile da colpire, il
pericolo è proprio quello che l’azione dello Stato, a parità di gettito atteso, possa concentrarsi su patrimoni molto più piccoli e quindi colpire
in maniera indiscriminata anche una platea diffusa di piccoli risparmiatori. Infatti, tenuto conto che i depositi bancari e postali si avvicinano,
già di loro, alla soglia dei 1000 miliardi, ciò significa che questi sono distribuiti su tutto l’universo dei risparmiatori italiani, piccoli compresi.
Giova ricordare che in Italia vige un sistema di garanzia dei depositi di conto corrente fino a 100 mila euro, che dovrebbe quantomeno
escludere prelievi straordinari fino a tali somme, riducendo ulteriormente la base imponibile da colpire. Ma su questo, personalmente,
nutro qualche dubbio e comunque, dipende dagli obbiettivi di gettito prefissati dallo stato, e soprattutto dallo stato di bisogno.
In altre parole, proprio perché sono risorse investiste in attività finanziarie, in un certo qual modo, sfuggono dalla disponibilità del titolare
e quindi anche dalla possibilità di spesa, seppur con le dovute eccezioni del caso. Il risparmiatore, nel sostenimento delle proprie spese,
difficilmente intaccherà le risorse investite in strumenti finanziari anche se, in questa crisi, ciò potrebbe essere parzialmente smentito,
poiché sempre più frequente sembra essere il ricorso all’utilizzo di risparmi per integrare o sostituire un reddito che si è contratto o è
venuto meno per effetto della crisi. Quindi, in teoria, il governo potrebbe intervenire per inasprire l’imposizione sulla ricchezza finanziaria,
senza con ciò determinare, in maniera proporzionale, una diretta diminuzione dei consumi.
Ma anche una simile impostazione potrebbe risultare del tutto discriminante per talune categorie di investimenti o di cespiti, che potrebbero essere oggetto di imposizione. Si pensi, ad esempio, a due risparmiatori che dispongono entrambi di un patrimonio di 500.000 euro
e che uno di questi abbia investito i propri risparmi in fondi comuni o titoli, mentre il secondo acquistando un immobile. Ebbene, nel primo
caso, operare un prelievo a fronte dell’entità del patrimonio, risulterebbe di agevole portata poiché basterebbe aumentare l’aliquota di
imposizione e la società di gestione del fondo comune o l’intermediario finanziario provvederebbe immediatamente ad operare la ritenuta,
anche vendendo titoli per crearsi la liquidità necessaria al pagamento dell’imposta. Analogo ragionamento potrebbe essere svolto nel
caso di azioni o obbligazioni in custodia su un dossier titoli intrattenuto presso qualsiasi banca. La quale banca, in questo caso, addebiterebbe l’importo dell’imposta sul conto corrente agganciato.
E nel caso non si dovesse disporre della liquidità necessaria al pagamento dell’imposta, che si fa? In estrema ratio, si potrebbe comunque
vendere dei piccoli quantitativi di titoli ed integrare il saldo del conto corrente, in modo da poter consentire alla banca di operare il prelievo
necessario al pagamento dell’imposta. Una soluzione simile a quella appena descritta, potrebbe comunque avere delle controindicazioni
soprattutto nel caso in cui dovessero essere introdotte delle patrimoniali straordinarie o una tantum; ma di questo parleremo a breve.
Come dicevamo, il discorso si complica, e non poco, nel caso di immobili. Il risparmiatore che ha investito le sue disponibilità, magari prosciugandole, nell’acquisto di un immobile avvenuto in tempi più favorevoli, oggi potrebbe trovarsi nella condizione di non poter provvedere
al pagamento dell’imposta patrimoniale, magari aumentata rispetto alle aliquote attuali. In questo caso, il contribuente in esame, non potrà
certamente vendere una frazione dell’immobile per poter provvedere all’obbligazione tributaria. E ciò per evidenti ragioni. E in questo
caso, cosa si potrebbe fare? A questo interrogativo, al momento, non è stata fornita alcuna risposta a mio avviso praticabile. A meno
che non si facciano suonare le trombe della cavalleria e, attraverso l’ente di riscossione (Equitalia), si aggredisca il patrimonio del contribuente. Ma questo, a parer di chi scrive, cozzerebbe con gli elementi cardine di uno stato democratico e di una economia avanzata: ossia
la tutela del risparmio e della proprietà privata, peraltro prevista costituzionalmente.
Inoltre, l’immobile acquistato potrebbe essere assistito da ipoteca a fronte del mutuo contratto per l’acquisto; quindi una passività. E’
evidente che, dal punto di vista del contribuente, è del tutto legittimo considerare a scomputo del valore del cespite da colpire con imposta
anche le passività finanziaria a fronte dell’acquisto, e quindi l’eventuale mutuo. Aspetto, questo, che avrà comunque una marcata rilevanza
in caso di applicazione di imposte a carattere straordinario, poiché, queste, verosimilmente, oltre ad impattare in modo più significativo,
sconterebbero aliquote progressivamente più alte in ragione del patrimonio posseduto. Quindi, nel rispetto di elementari ed intuibili principi
di equità, sarebbe discriminante colpire in maniera identica due patrimoni, nel caso in cui uno di questi risulti assistito da un mutuo
(quindi una passività), ancorché esprimano identici valori patrimoniali. In buona sostanza, se così fosse, verrebbe confermata l’attuale
impostazione dell’IMU che, come noto, colpisce il “valore” degli immobili a prescindere dall’eventuale passività (mutuo) in capo all’immobile stesso, rendendo l’imposta profondamente iniqua.
Senza dimenticare, poi, che un ulteriore inasprimento dell’imposizione tributaria sugli immobili, causerebbe nefaste conseguenze anche
sul valore, deprimendolo ulteriormente. Circostanza, questa, che non esaurirebbe i suoi effetti solo in capo al proprietario dell’immobile,
che, a quel punto, si vedrebbe diminuire il valore dell’immobile; ma produrrebbe effetti pericolosi anche nel mondo bancario attraverso la
diminuzione dei valori posti a garanzia di eventuali mutui, con conseguenze del tutto immaginabili.
Come abbiamo visto sin qui, un inasprimento della imposizione patrimoniale presenta numerose difficoltà applicative, soprattutto se si
dovesse agire nel rispetto dei principi di equità che dovrebbero essere comunque garantiti ed imprescindibili.
Alle imposte patrimoniali presenti nel nostro ordinamento, sebbene abbiano carattere strutturale e quindi ripetute negli anni, tutto sommato, appartiene la caratteristica della sostenibilità in termini di possibilità da parte del contribuente di poter adempiere all’obbligazione
tributari; benché in un contesto di deterioramento delle capacità reddituali e di evidenti difficoltà, soprattutto in alcuni strati della popolazione. L’applicazione di una imposta patrimoniale straordinaria, troppo spesso impropriamente evocata da parte dei nostri politici, verosimilmente, viene pensata sulla base di un feroce inasprimento delle aliquote impositive, tale da poter utilizzare il gettito straordinario per
abbattere in modo proporzionale il debito pubblico di qualche centinaio di miliardi. Senza addentrarci nei numeri che, a parer di chi scrive,
smentiscono (almeno in via di principio) le aspettative di gettito auspicato dai vari politici che evocano l’introduzione di una patrimoniale
straordinaria, vediamo come possono complicarsi le cose nel caso che questa imposta venga effettivamente introdotta. Andiamo con
ordine.
E’ evidente che l’eventuale applicazione di una imposta patrimoniale feroce e magari progressiva, dovrebbe quantomeno considerare
non solo i patrimoni facilmente colpibili come nel caso delle imposte già in vigore, ma l’intera ricchezza del soggetto o del nucleo famigliare a cui l’imposta è rivolta. E ciò per evidenti ragioni di equità impositiva, secondo cui chi più possiede più paga in termini di imposta. E
quindi, cosa comprendere? Cosa potrebbe essere considerato nella definizione di patrimonio?
Sicuramente gli immobili, anche perché offrono un’ ottima base imponibile che, tuttavia, dovrebbe quantomeno essere abbattuta delle
passività (mutui) . Certamente anche il patrimonio mobiliare (azioni, titoli, obbligazioni, depositi ecc ecc). Ma, oltre questa ricchezza,
peraltro già ampiamente tassata, cos’altro potrebbe essere considerato nella definizione di patrimonio del contribuente? E qui, potremmo
sbizzarrirci con tutto ciò che possa costituire asset suscettibile di valutazione economica, purché visibile ed individuabile dal fisco. Ecco
quindi che potremmo considerare il valore della partecipazione ad una società ancorché non quotata, il valore della nostra impresa, o una
barca, un’automobile, e quant’altro possa essere individuato e definibile nella sua dimensione patrimoniale.
Sicuramente, l’estensione delle tipologie di assets a cui applicare l’imposta patrimoniale, oltre ad offrire una base imponibile tanto più
ampia quanto più estese saranno le specie e i volumi di patrimonio considerati, tenderebbe a favorire il rispetto di elementi di maggior
equità. Tuttavia, qui emergerebbero fin da subito le prime difficoltà applicative. Innanzitutto, non sempre ciò che costituisce un valore
patrimoniale è ben identificabile ed individuabile da parte del fisco. Si pensi, solo per citare alcuni esempi, a dei quadri di valore, a
delle opere d’arte, a vasi antichi, o una collezione di arazzi. Questi, in genere, sono beni che talvolta possono rappresentare dei grandi
valori, ma difficilmente intercettabili da parte del fisco, poiché raramente censiti e quindi conosciuti all’anagrafe tributaria nella dimensione
patrimoniale (valore) e nella sua collocazione. Ma questi, non sono gli unici valori patrimoniali che potrebbero sfuggire all’interesse del
fisco. Si pensi, ancora, al denaro contante, a monetati aurei, a lingotti in oro o altri metalli preziosi, detenuti anche fuori dal perimetro
bancario. Ecco quindi che, in questi casi, risulta impossibile che il fisco possa colpire beni di cui non ne conosce il valore e soprattutto la
collocazione. A meno che lo stato non obblighi il contribuente a produrre una dichiarazione patrimoniale dalla quale emerga anche le
ricchezze non note al fisco.
Ragionando invece su altre tipologie di patrimoni quali, ad esempio, aziende, quote di partecipazione in società, o più semplicemente
una piccola impresa individuale, si porrebbe il problema di attribuire un valore a queste attività, che tenga conto di moltissime variabili e
fattori, attraverso i quali, tuttavia, non sempre si riesce a valorizzare in maniera pertinente l’esatto valore di questi patrimoni. E ciò,
neanche attraverso apposite perizie effettuate da professionisti. Il rischio, quindi, è proprio quello di subire una valorizzazione amministrativa da parte dello Stato attraverso delle procedure che, in maniera più o meno arbitraria, possano valorizzare determinati attivi. Ecco
quindi che l’applicazione di imposte patrimoniali straordinarie incorpora molteplici difficoltà che tendono ad aumentare anche in ragione
al gettito che si vorrebbe ottenere.
Alcuni esponenti politici, nel recente passato, hanno addirittura evocato una tassa patrimoniale di 400 miliardi di euro, destinata alla
riduzione del debito pubblico ( Si confronti, ad esempio, LInkiesta del 24 febbraio 2014 http://www.linkiesta.it/it/article/2014/02/24/la-pat
rimoniale-e-il-boomerang-del-governo-renzi/19778/). Per comprendere se è possibile estrarre un gettito così rilevante dalla ricchezza
degli italiani, è opportuno considerare qualche numero fornito dalla Banca d’Italia, nel suo ultimo rapporto sulla ricchezza delle famiglie
italiane.
Secondo la Banca d’Italia la ricchezza degli italiani è così costituita:
Attività reali 5.848 miliardi
Attività finanziarie 3.793 miliardi
Passività 912 miliardi.
Le prime due macro classi di attività, dedotte dalle passività, costituiscono la ricchezza netta degli italiani, che quindi viene quantificata
in euro 8.477 miliardi di euro.
Il dato, essendo multiplo di oltre quattro volte lo stock di debito pubblico, fa un po’ impressione e suscita l’interesse di chi vorrebbe che,
almeno parte di questa enorme ricchezza, possa essere utilizzata per abbattere il debito pubblico confinandolo entro volumi di maggio
sostenibilità.
Più in dettaglio, osservando i dati riportati nella figura n. 2 (Le attività reali delle famiglie italiane) si desume che la parte prevalente della
ricchezza è costituita da abitazioni, già ampiamente tassata con l’IMU o con altre imposte minori (ma non marginali). Gli oggetti di valore,
essendo per lo più costituiti da beni non registrati (preziosi, oggetti di antiquariato, d’arte e da collezione), come abbiamo detto, sfuggono
dalla possibilità di poter essere tassati, per il semplice fatto che il fisco non potrà mai tassare ciò di cui non ne conosce la collocazione e
quindi la proprietà.
I fabbricati non residenziali e i terreni, sono anch’essi già tassati. Mentre gli impianti e i macchinari, attrezzature e avviamenti (capitale
fisso), rientrando prevalentemente nelle disponibilità delle imprese per l’esercizio delle proprie attività, non potrebbero essere tassati,
poiché ciò graverebbe sulle imprese che già scontano livelli di prelievo fiscale insostenibile. Quindi, la parte di ricchezza effettivamente
tassabile e che desta l’attenzione da parte del fisco è costituita dai 5 miliardi delle abitazioni, peraltro già ampiamente tassata. In sintesi,
da questa ricchezza, è pressoché impossibile estrarre rilevanti gettiti tributari rispetto a quelli già ottenuti dalla tassazione in vigore.
In questa categoria di ricchezza sono ospitate un numero di attività che, l’analisi prodotta da Bankitalia, sostanzialmente, scompone
come riportato nella figura n. 3.
Molta materia imponibile da colpire con un’imposta patrimoniale feroce, si direbbe! Ma le cose non stanno esattamente in in questi termini.
Vediamo perché.
Prima di tutto occorre scomputare il denaro contante: tassare il contante, fino a quando questo rimane tale, è un esercizio impossibile da
praticare. Non deve sorprendere, infatti, che sempre più spesso si sente dire che il mondo politico sarebbe favorevole ad una progressiva
abolizione del denaro contante. Ciò perché, per obbligo normativo, questo verrebbe depositato in banca e quindi diverrebbe individuabile
da parte del fisco, facendo emergere materia imponibile da colpire.
Esistono inoltre altre categorie di attività che, sebbene parzialmente note al fisco, tassarle con un’imposizione patrimoniale, risulterebbe
abbastanza difficile e soprattutto rischierebbe di fare più danni che altro. E’ il caso, ad esempio, dei crediti commerciali. Tassare un credito
vantato da un’azienda, benché tecnicamente possibile -obbligando ogni impresa a rendere noti al fisco i rispettivi crediti commerciali
attraverso apposita comunicazione- appare poco ortodosso, oltreché distruttivo. E poi, è evidente che al credito di un’azienda, corrisponda un debito di un’altra azienda. Siccome sarebbe ragionevole attendersi che il credito possa essere scomputato dal debito, alla fine, la
base imponibile sarebbe comunque limitata e un’eventuale imposizione patrimoniale, anche in questo caso, graverebbe sulle imprese
che già scontano livelli di prelievo fiscale insostenibile.
Discorso del tutto simile può essere osservato per le riserve assicurative. Anche queste potrebbero essere tassate, ma non senza difficoltà, contraddizioni, e non senza arrecare più danni che guadagni. L’applicazione di una imposta patrimoniale feroce, verosimilmente,
andrebbe a colpire anche i fondi pensione e i fondi assicurativi, verso i quali un numero non del tutto indifferente di risparmiatori hanno
riposto le speranze per ottenere l’integrazione pensionistica, al fine di integrare (o sostituire) la pensione erogata dai vari enti previdenziali. Sotto questo punto di vista, le scelte del governo volte all’applicazione di una imposta patrimoniale straordinaria, contrasterebbero
con le politiche di welfare e con le varie riforme pensionistiche varate negli ultimi 10/15 anni, o forse più. Al riguardo, vale la pena ricordare
che tali politiche hanno impresso uno stimolo allo sviluppo di forme pensionistiche alternative, capaci di integrare i flussi finanziari del
risparmiatore in età pensionabile, al fine di arginare la progressiva diminuzione delle prestazioni garantite dai veri enti pensionistici. Non
un problema da poco, direi
Anche la ricchezza riconducibile alle partecipazioni in società di capitali non quotate (circa 562 miliardi di euro) o alle partecipazioni in
società di persone o quasi società (circa 211 miliardi di euro) è di difficile imposizione poiché, essendo questa una ricchezza riconducibile
essenzialmente a partecipazioni in piccole società che non hanno una valutazione di mercato giornaliera (come invece avviene per le
società quotate), oltre ad essere del tutto astratta, occorrerebbe definire un criterio attendibile di valutazione della partecipazione. Benché
sia possibile effettuarlo per via amministrativa, il rischio è proprio quello di subire una valorizzazione arbitraria da parte dello Stato attraverso delle procedure che possano valorizzare determinati asset non in maniera pertinente. In sostanza, è un po’ come oggi avviene
con gli studi di settore per la quantificazione dei redditi di impresa. E anche in questo caso l’esperienza ci conferma quanto possano
risultare arbitrarie e non pertinenti la determinazione del fisco. Inoltre, nel caso di imposte patrimoniali applicate ad imprese o aziende,
c’è da dire che queste comporterebbero anche un’ulteriore abbattimento della competitività della imprese che, a quel punto, dovrebbero
compensare la compressione di redditività patita con l’imposta applicata, attraverso un aumento di prezzi che le renderebbero ancor
meno competitive, aggravando una situazione già critica.
Figura 4: La tabella riporta i dati relativi alla ricchezza finanziaria delle famiglie italiane nell’anno 2014, a parere dell’autore “facilmente”
tassabile con imposte patrimoniali straordinarie. Elaborazione di Paolo Cardenà su dati Banca d’Italia.
Gli investimenti finanziari (ossia in titoli di stato, fondi comuni, azioni ecc) per loro natura, si prestano ad essere colpiti con maggiore
attitudine rispetto ad altre tipologie di asset. Ma anche in questo caso, l’applicazione di una imposta patrimoniale straordinaria fortemente
invasiva in termini di prelievo fiscale, rischierebbe di produrre più danni che guadagni. Pensiamo, ad esempio, ad un pacchetto di azioni detenute da un risparmiatore, supponiamo per 100.000 euro, e che vengano colpite da un imposta straordinaria di qualche punto
percentuale. In questo caso, se il risparmiatore non dovesse disporre di liquidità sufficiente per provvedere al pagamento dell’imposta,
egli sarebbe costretto a liquidare parte del proprio investimento al fine di ottenere le risorse necessarie per provvedere al pagamento
dell’imposizione tributaria. Questo, se effettuato su scala rilevante, determinerebbe pericolose distorsioni di mercato. Si pensi, ad esempio, alla caduta dei prezzi che si potrebbero determinare su un titolo: il risparmiatore ne risulterebbe doppiamente penalizzato poiché,
oltre a subire una diminuzione del patrimonio per effetto dell’imposizione fiscale, subirebbe anche il deprezzamento del proprio portafoglio
titoli per effetto delle vendite sui titoli. Questo appare tanto più vero nel nostro mercato finanziario, il quale, essendo di modeste dimensioni, risulta particolarmente esposto alla possibilità di variazione di prezzi anche con capitali relativamente esigui. Inoltre, ciò rischierebbe
di avvantaggiare investitori stranieri (quindi esenti da imposta), che in quest’ultimo caso, potrebbero acquistare pacchetti azionari a buon
mercato per effetto della depressione dei prezzi causata da una patrimoniale feroce. Evidentemente. le conseguenze nefaste non si
esaurirebbero con le casistiche appena descritte, ma andrebbe ben oltre.
Discorso analogo potrebbe essere effettuato per le obbligazioni societarie (soprattutto bancarie) e i titoli di stato. Ma, in quest’ultimo caso,
occorre effettuare qualche ulteriore ragionamento in virtù del fatto che, il titolo di stato, essendo un debito dello Stato che si vorrebbe
abbattere proprio attraverso l’imposizione patrimoniale straordinaria, lo Stato potrebbe essere tentato di operare una compensazione tra
il suo credito derivante dall’imposizione tributaria e il suo debito rappresentato dal titolo di Stato nel portafoglio del risparmiatore. In altre
parole, in questo caso, laddove non si dispongano di risorse necessarie per poter corrispondere l’imposizione tributaria, lo Stato potrebbe
effettuare una compensazione tra il proprio credito (imposta patrimoniale) e il proprio debito (titolo di stato), diminuendone o azzerandone
gli interessi previsti o, nei casi più “estremi”, decurtandone il capitale alla scadenza del titolo. In buona sostanza, un default mascherato
da una patrimoniale.
Concludendo, le classi di attività che si prestano ad essere colpite con maggior attitudine, anche con imposizioni feroci, sono proprio
quelle liquide (ad esempio depositi bancari, di conto corrente, o postali), poiché aggredire tali patrimoni costituisce, per lo stato, garanzia
della celerità e del buon esito della pretesa tributaria. In tal senso, anche quelle attività in cui lo stato risulta essere debitore (titoli di stato)
si prestano con particolare attitudine a soddisfare le proprie esigenze, in quanto, lo stato, potrebbe agevolmente compensare la sua
posizione debitoria con il credito emerso per effetto dell’imposizione fiscale.
Analogo discorso può essere osservato per le obbligazioni bancarie, le quali, come noto anche per via della recente introduzione della
normativa sui salvataggi bancari, potrebbero essere sottoposte all’azzeramento (o alla riduzione) al fine di obbligare il risparmiatore a
contribuire al salvataggio di qualche banca che potrebbe trovarsi in stato di difficoltà.
A mero titolo informativo, giova segnalare la proposta di iniziativa popolare avanzata dalla Cisl. La proposta avanzata dal sindacato
prevede l’introduzione di un’imposta patrimoniale ordinaria sulla ricchezza netta che cresca al crescere della ricchezza mobiliare e immobiliare complessiva, con l’esenzione totale sugli imponibili delle famiglie fino a 500.000 euro di ricchezza, con l’esclusione da tale
computo della prima casa. L’imposta andrebbe a colpire l’ammontare complessivo dei valori mobiliari ed immobiliari con aliquote crescenti
su diversi scaglioni di valore, dai 500 mila euro in su (si veda Il Sole 24 Ore del 2 settembre 2015,http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/
2015-09-02/fisco-legge-popolare-targata-cisl-via-tassa-prima-casa-e-bonus-mille-euro-i-redditi-fino-40mila-euro-105824.shtml?uui
d=ACaTgaq&refresh_ce=1).
Pensare che con un’imposizione patrimoniale straordinaria possa ottenersi un gettito di 400/500 miliardi di euro come quanto auspicato
da “autorevoli” commentatori, appare del tutto irrealistico, oltreché destabilizzante per uno stato di diritto, ove la proprietà privata e la
tutela del risparmio è anche garantita costituzionalmente. Ma ciò non toglie che questo patrimonio possa essere comunque esposto al
rischio di qualche forma di imposizione patrimoniale o, peggio, confisca.
L’imposta patrimoniale, oltre ad essere una tassa iniqua ed ingiusta per definizione (poiché andrebbe a colpire anche i patrimoni realizzati
con flussi di reddito già ampiamente tassati), comporterebbe il concretizzarsi di un evento deprecabile che comprometterebbe in maniera
sostanziale anche la già precaria fiducia dei risparmiatori nei confronti dello Stato. Tuttavia, i risparmiatori dovrebbero comunque adottare
quelle strategie più idonee (anche in relazione al proprio status e alla composizione del proprio patrimonio) a limitare l’impatto di un’eventuale inasprimento delle imposte esistenti o dall’introduzione di qualche forma di imposizione patrimoniale straordinaria.
8/9/2016
4 BANCHE: AL VIA I RIMBORSI. FEDERCONSUMATORI A DISPOSIZIONE DEI
CITTADINI PER PRESENTAZIONE ISTANZE INDENNIZZO
ATTENDIAMO RISPOSTE PER LA TUTELA DI AZIONISTI E LAVORATORI.
(Federconsumatori) - All'indomani della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del provvedimento che ha aperto
la strada agli indennizzi, i responsabili e gli esperti della Federconsumatori stanno lavorando instancabilmente
per tutelare i cittadini interessati e far ottenere loro quanto gli spetta.
Abbiamo partecipato ad incontri e confronti sia con Roberto Nicastro, l'AD delle 4 banche salvate, ovvero
Nuova Banca Etruria, Nuova Banca Marche, Nuova CariChieti e Nuova CariFerrara, sia con il Fondo
Interbancario Tutela Depositi, al fine di agevolare l'iter dei rimborsi e di chiarire alcuni aspetti rilevanti che
potevano creare dubbi per ottenere il previsto indennizzo.
Ad esempio, una delle questioni poste, per la quale abbiamo ottenuto quanto richiesto, è quella relativa
all'allargamento della platea dei possibili richiedenti: mentre prima avevano diritto al rimborso solo i
sottoscrittori delle obbligazioni, ora tale diritto spetta a tutti i cointestatari del conto (ovviamente qualora
posseggano i requisiti necessari).
Inoltre abbiamo chiesto e ottenuto la semplificazione e l'incremento delle modalità di trasmissione e inoltro
delle domande di rimborso, via raccomandata, ma anche via pec e tramite un apposito form sul sito del Fondo
Interbancario Tutela Depositi.
Si tratta di alcuni importanti passi avanti, ora ne aspettiamo ancora molti altri.
Il più importante ed urgente è senza dubbio l'accelerazione delle procedure per consentire l'avvio dell'arbitrato,
per dare finalmente piena libertà di scelta ai risparmiatori su quale percorso intraprendere. È intollerabile che,
a quasi un anno di distanza, ancora non sia stata resa operativa tale procedura.
Inoltre, nell'ambito di tali incontri, in relazione alla vendita degli istituti bancari abbiamo rivendicato soluzioni
che salvaguardino da un lato i lavoratori e l'economia locale, dall'altro gli azionisti. Nel dettaglio, per questi
ultimi proponiamo alcune soluzioni, ad esempio un warrant: ovvero il diritto di convertire le vecchie azioni nelle
azioni delle nuove banche (con modalità e criteri da definire insieme).
In attesa di risposte concrete su tali fronti invitiamo i cittadini a rivolgersi ai nostri esperti presso gli sportelli
Federconsumatori, presenti su tutto il territorio nazionale, per le informazioni, i chiarimenti e l'assistenza
necessaria ai fini della presentazione delle istanze di indennizzo.
I nostri consulenti competenti in materia ed i nostri legali sono a disposizione anche per fornire spiegazioni in
relazione ad ulteriori aspetti, ad esempio le problematiche legate a sottoscrittori deceduti e relative
successioni, nonché per richiedere alle 4 banche tutta la documentazione necessaria alla presentazione
dell'istanza e per l'assistenza successiva.
N
7/9/2016
Banche: Intesa Sanpaolo è la preferita di
Morgan Stanley, potenziale upside del
19%
di Titta Ferraro
Morgan Stanley predica ancora cautela sul settore bancario italiano nonostante le valutazioni attuali siano
decisamente a buon mercato, con i titoli che quotano a multipli pari a 0,4 volte il valore di libro tangibile
rispetto alle 0,9 volte del settore bancario a livello europeo. Secondo la casa d'affari statunitense è
consigliabile mantenere una posizione cauta alla luce dell'incombere del referendum sulla riforma
costituzionale che secondo MS al 65% darà un esito sfavorevole con la vittoria del no. Unica banca
italiana con rating overweight (sovrappesare) è Intesa Sanpaolo, su cui ha un target price di 2,6 euro,
con potenziale upside del 19% e dividend yield molto interessante (7,6%).
9/9/2016
Crisi, il vero problema dell'economia
mondiale? L'Europa e i suoi paraocchi
L’inizio “formale” della crisi economica si fa risalire al settembre del 2008, con il crollo della banca
d’affari americana Lehman Brothers. La data collima abbastanza bene con lo “svaccamento”
dell’Unione Europea che — con in più la coincidenza non del tutto casuale della crisi
dell’immigrazione incontrollata — ha radici sostanzialmente economiche.
Ha fatto comodo a molti in questi anni supporre che il crollo economico fosse globale. Pertanto, fa
effetto andare per il mondo e trovare che i riferimenti alla “crisi” non vengono bene compresi senza
specificare di quale crisi stiamo parlando. Ce n’è sono tante… I paraocchi messi dall’Europaper non
vedere troppo bene come stanno le cose altrove hanno prodotto una percezione sempre più distorta
del resto del mondo.
Per molti europei ad esempio è diventato articolo di fede che l’economia americana e il dollaro siano
in declino, quando è palesemente vero il contrario. Il dollaro è sempre di più — non sempre di
meno — la valuta di riserva dell’intero pianeta. Nuovi dati della BIS-Bank for International Settlements
indicano che la presenza della valuta americana nei $5,1 trilioni di operazioni di cambio quotidiane ha
raggiunto l’87,6 percento di tutte le transazioni, mentre l’indebitamento in dollari tra terzi fuori dagli Usa
è volato ai $9 trilioni. I dati BIS indicano che il volume dei cambi con l’euro da una parte dell’operazione
è invece scivolato dal 37% del 2007 al 31,3% di oggi.
Un altro indice di fiducia internazionale è quello delle valute scelte dalle banche centrali dei vari paesi
per costituire le proprie riserve. La parte del dollaro in questi “risparmi nazionali” è oggi tornata al
63,6%, il livello di dieci anni fa. La quota dell’euro invece è passata negli ultimi otto anni dal 28% al
20,4%, all’incirca dove si trovava il solo marco tedesco nei primi anni Novanta. Sono dati che mettono
la Federal Reserve americana, la “Fed”, in una posizione scomoda. La banca è oggi in pratica la banca
centrale del mondo intero—il che è un problema. Vuol dire che ogni volta che gli Usa danno segni di
volere alzare i tassi, le borse del globo tremano e gli americani si trovano costretti a rinunciare. Così, il
dollaro non solo è solido, costa poco e si allarga ancora di più sui mercati esteri.
Gli stessi paraocchi hanno confuso l’Unione Europea sulla Brexit, il cui esito è stato
notoriamente del tutto imprevisto dall’Ue. Anche qui c’è un dato semplice—seppure eclatante—che
la dice lunga. Tra il 2010 e il 2015 il Regno Unito ha, da solo, creato più posti di lavoro di tutti gli altri 27
stati membri dell’Unione presi insieme. Sì, è così, e l’ha fatto ignorando bellamente sia l’euro sia i
“consigli” economici dell’Ue, rendendo l’andamento inglese politicamente invisibile a Bruxelles. Si
ammetteva, questo è vero, un certo successo economico della Cina, ma quelli erano cinesi, con gli
occhi a mandorla e capaci di tutto. Intanto, il spesso preannunciato crollo cinese non è ancora arrivato,
ma forse verrà presto, specialmente perché il grande mercato europeo—per la scarsità di soldi—è
progressivamente meno capace di assorbire la produzione orientale. È semplice. Il problema
dell’economia mondiale è in larga parte l’Europa. La debolezza continentale è per molti versi la
causa delle difficoltà che supponiamo universali.
James Hansen
Notizie Italia
Stru
menti Utili
9/9/2016
Banche salvate: Giorgianni, risarciti 4.000
risparmiatori su 12.500
di Alessio Trappolini
Letizia Giorgianni, portavoce del movimento “Vittime del Salva-banche”, ha pubblicato un post su Facebook nel quale ha
denunciato che “Su 12.500 risparmiatori colpiti dal salvataggio delle quattro banche (Banca Marche, Banca Etruria,
CariFerrara
e
CariChieti)
di
fine
2015,
solo
4.000
riceveranno
i
rimborsi
promessi
dal
governo”.
L’esponente del movimento ha incontrato i rappresentanti di Banca d’Italia e del Fondo di Tutela dei Depositi (Fitd), fondo
partecipato da tutte le banche italiane. A margine dell’incontro ha accusato l’esecutivo in carica di aver “Azzerato
obbligazioni subordinate pari a 768 milioni, 430 dei quali in mano a clienti retail, oltre 10.000 dei quali sono piccoli
risparmiatori”.
Ricordiamo che affinché venga riconosciuto un indennizzo occorre che sussista una di queste due condizioni: reddito
complessivo inferiore a 35.000 euro o un patrimonio mobiliare inferiore a 100.000 euro.
9/9/2016
UniCredit: sottotono dopo le indiscrezioni
del Financial Times, si attende il piano
strategico entro fine anno
Oggi, 11:20
di Alessio Trappolini
Mattinata sottotono per UniCredit, che al momento registra la peggior performance del settore bancario. Sul titolo pesano
alcune indiscrezioni fatte circolare in mattinata dal Financial Times secondo cui l’ammontare di capitale fresco che l’istituto
dovrebbe richiedere al mercato per il prossimo aumento di capitale si aggirerebbe intorno ai 10 miliardi di euro.
Sempre secondo il giornale britannico, UniCredit sta valutando varie alternative da affiancare all’aumento di capitale. Oltre alla
cessione della quota di Bank Pekao, il board guidato dall’Ad Jean Pierre Mustier vorrebbe cedere l’intera quota di Pioneer.
Mentre sul fronte Bank Pekao il governo polacco ha espresso la volontà di voler procedere con l’acquisto di una quota
dell’istituto, per riportarlo sotto il controllo pubblico, per Pioneer non sono ancora state avviate trattative ufficiali. Alcune prime
indiscrezioni avevano riportato la possibilità di una fusione con Eurizon, il colosso del risparmio gestito di Intesa SanPaolo. Ieri
invece alcuni giornali avevano alimentato le voci circa l’interessamento al dossier Pioneer da parte di Poste Italiane.
Per gli analisti di Mediobanca Securities "Riteniamo che per Poste Italiane vi siano altre priorità in questo momento. Siamo quindi
scettici circa la possibilità che Poste Italiane potrebbe andare avanti con l'acquisto di una quota consistente in Piooner”.
Ricordiamo che la banca di Piazza Gae Aulenti ha conferito il mandato di esplorare possibili soluzioni per la vendita,
acquisizione o IPO di Pioneer a JP Morgan, per il quale rimangono varie piste da sondare. La valutazione data da Unicredit a
Pioneer è di circa 3 miliardi di euro.
Gli investitori rimangono alla finestra, aspettando il piano strategico che dovrebbe essere stilato entro fine anno. In questo documento
dovrebbero essere delineati con più chiarezza i piani per risollevare il Core Tier 1 dell’istituto che a fine giugno si attestava al
10,3%, in seguito ai risultati degli stress test pubblicati dall’Eba.
9/9/2016
Bancari in recupero, ma i dossier di Unicredit e
Mps pesano sull'intero settore
FTA Online News
Titoli bancari in recupero a Milano nonostante la debolezza di Unicredit (-0,08%) . L'indice di settore Ftse Italia
Banche segna un rialzo dello 0,42% sostenuto dal balzo di Ubi Banca (+1,37%) e Carige (+1,67%). Bene anche
il Banco
Popolare (+0,76%), Fineco (+0,56%), Bper (+0,39%), Bpm (+0,38%)
e Mediobanca(+0,36%)
e Intesa (+0,27%). Mps dopo un avvio fiacco segna un rialzo dello 0,12 per cento.
Nel suo ultimo report sul tema Morgan Stanley afferma che ormai le banche italiane quotano ad appena il 40%
del valore di libro tangibile contro il 90% della media europeo. Si tratterebbe insomma di un comparto estremamente
attraente rispetto a questo multiplo, ma la banca americana frena sui consigli di acquisto perché ritiene che il prossimo
referendum costituzionale possa influire sulla fiducia generale nel Paese e degli investitori domestici ed esteri.
Di recente il quotidiano MF aveva evidenziato che secondo i consulenti l'aumento di capitale di MPS lanciato prima del
referendum avrebbe potuto raccogliere sul mercato al massimo 2 miliardi di euro (contro i 5 miliardi previsti e garantiti dal
consorzio guidato da Mediobanca e JP Morgan). Dopo un referendum dall'eventuale voto positivo (quindi con il
cambiamento della carta costituzionale voluto dal governo) "ambienti finanziari" citati da MF ritenevano invece che i 5
miliardi di aumento di capitale sarebbero stati interamente coperti. A complicare le cose interviene ora la sostituzione
dell'amministratore delegato Fabrizio Viola (sembra proprio su pressioni del consorzio di garanzia).
Quel che conta in questo contesto è che il successo del referendum costituzionale, anche se il premier Matteo Renzi
ha affermato questa estate che non si dimetterebbe neanche in caso di bocciatura della proposta di riforma costituzionale,
viene abbinato anche nell'ultimo report di Morgan Stanley alla ricapitalizzazione di MPS e visto come un fattore
dirimente per la fiducia dei mercati.
Anche un report del 6 settembre di Goldman Sachs cerca di analizzare il peso e le conseguenze del prossimo referendum
costituzionale, pur ritenendo poco probabile alla fine un ritorno alle urne anticipato in caso di vittoria del "no". Di certo il
percorso di risoluzione della crisi di MPS si è reso più tortuoso dopo l'annuncio di una "Soluzione strutturale e definitiva
per l'attuale portafoglio in sofferenza" del 29 luglio scorso.
Con il rischio che il dossier della banca senese offuschi le prospettive dell'intero comparto bancario italiano travagliato
anche dal sofferto piano di ripatrimonializzazione di Unicredit e dalla complessa vendita delle quattro good
bank. Con tutto questo è difficile pensare che i prezzi convenienti di gran parte delle grandi banche italiane (almeno in
termini di rapporto sul valore di libro tangibile) non si trasformino in un riserva di valore da dispiegare sui prezzi.
A contribuire in maniera decisiva potrebbe essere lo sblocco del mercato degli NPL per il quale ora si prenota anche
DeACapital. Un discorso decisivo per il credito italiano, che però passa ancora una volta da Mps e Unicredit.
(GD)