Castelli di carta: Il codice Brandis come fonte di

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Castelli di carta: Il codice Brandis come fonte di
Castelli di carta: Il codice Brandis come fonte di studio
di Walter Landi
Martedì 5 aprile, sala conferenze di Tangram, Merano
Il codice Brandis è un codice costituito da 105 fogli ,che misura 22,00 cm per 16,6 cm, già custodito presso l'archivio dei conti Brandis a Lana e ormai, da diversi anni, nei fondi dell'archivio
provinciale di Bolzano, dove è custodito con cura e su cui si sta studiando, non da poco. Esso
viene reso noto alla comunità dei “castellologi” già da Paul Klement in 2 interventi del 1886 e
1888. La riscoperta dei castelli in tutta Europa è un gran tema, soprattutto in area tedesca dove ancor oggi gli studi in materia di castellologia sono i primi in Europa, per il ruolo che il castello ha avuto anche all'interno della formazione del profilo nazionale del popolo tedesco, rispetto per esempio alla città per quello italiano. Paul Klement comunica per la prima volta l'esistenza di questo codice, importante, perché in queste 105 pagine sono incollati dei fogli di carta (da cui il titolo “Castelli di carta” ) con dei castelli disegnati ai primi del '600 da uno o più
autori autonomi su commissione sicuramente di un personaggio importante. Questo personaggio è stato già individuato dalla storiografia da mezzo secolo, grazie agli interventi di grandi
studiosi come Oswald Trapp, in un fondamentale saggio uscito nel 1973, e nel 1976 il volume
di Nicolò Rasmo, che per primo edita tutte le tavole relative a quello che è l'odierno Trentino,
ovvero la porzione meridionale dell'allora contea principesca del Tirolo. Edizione importante
perché, invece, le tavole relative alla porzione, possiamo dire, di lingua tedesca dell'allora contea del Tirolo aspettano ancora di essere pubblicate. Solo qualche disegno è stato pubblicato
da Paul Klement (4 pezzi a suo tempo) e alcune altre ancora da Oswald Trapp poco dopo il suo
primo intervento nel I volume del suo “Tiroler Burgenbuch” a metà degli anni '70. E' un volume che attraversa tutti gli studi castellologici della regione: lo ha tra le mani naturalmente il
grande Joseph Weingartner che negli anni '20 è iniziatore di una scuola di studi sui castelli in
area tirolese, che bene o male continua attraverso le figure del Trapp, di Magdalena Hörman,
Martin Winschnof fino ad ora. C'è una linea continua di studiosi che ancor oggi si occupano di
questa materia che definisce queste tavole come “leggiadre e virtuose” ma anche “precisine”
come vedute.
Non sono naturalmente le prime vedute di castelli di cui disponiamo per quanto riguarda la nostra regione. Conosciamo affreschi realistici che riproducono castelli della val Sarentino negli
affreschi di Castel Roncolo (realizzati tra 1389 e 1396). Negli stessi anni abbiamo la rappresentazione di Castel Stenico e del Buonconsiglio insieme a tutta la città di Trento negli affreschi di
Torre Aquila a Trento. Nel '400 abbiamo addirittura Dürer che si interessa dei castelli della valle
dell'Adige durante quello che probabilmente è il suo primo viaggio in Italia intorno al 1496 fino
al 1498. Ha lasciato bellissime vedute di castel Segonzano, del Doss Trento, del castello di Arco, della corte e della città di Innsbruck. Ma è proprio con i primi anni del '600 che gli studiosi
di area tirolese cominciano ad occuparsi del proprio territorio e ad approntare descrizioni particolareggiate dello stesso. Nei primi del '600 abbiamo una “triade” di studiosi quali Marsichit di
Wolkenstein Trotsburg (1563-1620) Mathias Burglechner (1573- 1672) Jakob Andreas von
Brandis (1569 -1629). Tutti questi ci lasciano una descrizione non solo della contea tirolese,
ma ci lasciano anche un inventario delle giurisdizioni, dei castelli, degli stemmari della nobiltà
locale, di cui abbiamo già parlato l'anno scorso. Siamo in anni successivi al concilio di Trento in
cui dalla storia ecclesiastica universale si passa alla storia ecclesiastica nazionale e attraverso
questo passaggio si comincia ad interessarsi anche della storia politica, non solo più universale
- imperiale, ma anche di quella patria dei diversi territori che compongono la realtà politica europea. In questa temperie culturale (nei movimenti culturali?) della seconda metà del '500 e i
primi del '600 nascono queste grandi descrizioni territoriali. Nessuna però, alla fine, per quanto
riguarda il Tirolo, andrà alle stampe, neanche quella del Wolkenstein custodita ora presso i
Francescani di Bressanone, edita poi in “Cultura Atesina” degli anni '50. Burglechner avrebbe
voluto pubblicare il suo “Tiroler Adler” in diversi volumi, ma fu il governo di Pontana a proibirglielo perché si temeva che venissero resi pubblici dati sensibili per il governo del territorio. C'è
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cioè una censura interna. L'opera con bellissime vedute di luoghi e castelli rimane chiusa negli
archivi di Pontana e poi passa a Vienna. Non vengono pubblicati altri lavori e sarà appena nel
1678 che un altro Brandis farà una raccolta di tutto ciò che in un secolo era stato fatto da altri
eruditi.
Il codice Brandis non è una raccolta di stemmi, né di storie familiari, né dei diversi giudizi che
formano la contea. Negli stessi anni si disegna il Codex di Pontanus Tertius, Innsbruck Codex
n. 3, anche questo è un codice che raccoglie vedute di castelli, è, come dice questa
annotazione successiva della prima metà del '700, “Una raccolta di vedute relative al territorio
della contea tirolese, soprattutto castelli, città, paesi”, intesi questi ultimi come dintorni e
paesaggi. Tutti i disegni di questa raccolta sono a matita e vanno ricondotti alla commissione,
se non alla mano stessa del già nominato Jakob Andreas von Brandis morto nel 1629. La
redazione del volume, o di quasi tutti gli schizzi, probabilmente va collocata tra il 1607 e il
1618.
Come si arriva a questa datazione del codice che di per sé non è datato? Si potrebbe utilizzare
l'analisi delle filigrane, cosa che però non è stata fatta. Ci si è arrivati invece attraverso
l'analisi di diversi elementi architettonici presenti nei singoli disegni. Ad esempio nello schizzo
di Castel Coldrano mancano le torri erette fra il 1606 e 1607. Quindi il disegno deve essere
anteriore rispetto al 1606. Nella veduta di Laces manca la modifica del campanile parrocchiale
del 1612. Mancano altri elementi in altri disegni per cui si può decidere se i vari disegni siano
stati fatti post o ante quem alcune date per cui il grosso dei disegni si può collocare tra il 1607
e 1618. Non sono sicuramente della mano del Burglechner, che non avrebbe avuto bisogno di
questo quadernetto per riproporre per esempio le città che lui ha nella sua raccolta. Non sono
neppure della mano del Wolkenstein che disegna in un altro modo. Si pensa quindi ad un
terzo personaggio. Quindi, poiché il codice proviene dall'archivio proprio di questa famiglia,
l'unico studioso del tempo a cui è riconducibile questo codice dovrebbe essere Jakob Andreas
von Brandis. Il codice si apre, ed è un'altra conferma di quanto detto, con la zona dove i conti
Brandis risiedevano, con la zona, cioè, della conca di Merano. Una carrellata sulle immagini del
Meranese: il castello Zenoburg già in rovina ma con la cappella ancora con il tetto perché in
funzione, la città di Merano, castel Tirolo senza il mastio eretto durante i restauri di fine '800.
Il codice si sviluppa secondo un principio topografico. Il disegnatore è in cammino; procede e
disegna ciò che incontra. La sua attenzione, ed è ciò che egli ricerca, è rivolta ai castelli o a ciò
che per “signorilità” è collegato ad essi come i monasteri della regione. Egli procede secondo
un percorso non casuale: avremo una ventina di vedute riguardante la conca meranese, si
passa poi da Tell, lungo la Val Venosta fino a Monastero (15 vedute). Da Passo Resia si scende
fino a Finstermünz e si entra nella valle dell'Inn (12 castelli). Torna probabilmente attraverso
passo Rombo verso il Meranese e da Merano verso Bolzano fino a Termeno (34 vedute).
Procede verso Salorno e da qui verso Trento e Rovereto (37 vedute in area trentina). Quindi la
zona coperta da questa mappatura con i disegni dei castelli bene o male parte dal Meranese,
passa in Venosta, passa nella valle dell'Inn, scende a Passo Rombo, procede per la Val Passiria
e la val d'Adige fino a Bolzano, arriva a Salorno, Trento, Rovereto e da lì poi prosegue nella
Valsugana fino al confine con la Repubblica Veneta. In totale 105 soggetti.
Dopo la zona di Castel Tirolo e Quarazze si passa verso Lagundo. Una veduta è dedicata a
Castel Fontana, ancora in rovina prima dei restauri di fine '800. A Lagundo si ha il disegno del
monastero di Steinach all'inizio del'600. Monastero fondato probabilmente dalla contessa
Adelaide di Tirolo in seguito alla partecipazione del padre alla crociata contro i Tartari nel 1241,
caduto in disgrazia durante il regno di Giuseppe II, riattivato nei decenni seguenti grazie
all'arrivo delle monache clarisse di Lienz. Dopo Steinach si incontra castel Foresta e poi si entra
in Val Venosta. Vi si entra attraverso quello che è un luogo di confine già dalla documentazione
altomedioevale. Incontriamo infatti Tell come Teiloneo zona di dazio con documentazione
scritta a partire dal XII secolo. Quando i vescovi di Coira parlano delle loro proprietà anche nel
Meranese sottolineano sempre questo confine indicando “sopra e sotto Tell”. Infatti una parte
era la “vecchia Venosta” , mentre ciò che stava sotto Tell era un nuovo territorio acquisito alla
diocesi, ma che non ne faceva parte fin dall'inizio. Questo territorio originariamente faceva
parte di quella che era detta ancora tra il IX e il X secolo vallis Tridentina, mentre la vallis
Vinusta iniziava da Tell. Lì c'era questo dazio che il disegnatore del Brandis raffigura e poi
cominciano i disegni dei primi castelli.
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Le prime residenze il disegnatore le incontra a Parcines con la Stachelburg che è un maniero
del XIII sec., acquistato nel 1540 da Georg Stachl che aveva ricevuto il titolo nobiliare von
Stachelburg in forza di questo possedimento. L'ultimo discendente cadrà nel 1809 nella
battaglia del Bergisl. La proprietà passerà ai Giovanelli e poi agli attuali proprietari i baroni von
Kripp. Nel disegno si vede il castello posto al centro del villaggio con quella che è la chiesa
parrocchiale di S. Pietro. La precisione dei disegni del codice si può confrontare con lo stato
attuale della costruzione e si può notare come si conserva ancora l'ala sud orientale, come
allora, anche se la merlatura è stata sostituita con un cornicione di impronta barocca, con
l'ercker. Rimane l'antico portone del '600, anche se leggermente modificato, con lo stemma
degli Stachelburg, la torre con una copertura piramidale, ma con le aperture tra i merli chiuse
successivamente. Rimane anche l'androne che permette di passare dal cortile anteriore al
retro.
A Naturno c'è il castello che porta il nome del paese, già menzionato nel 1237 in mano a
ministeriali dei conti di Tirolo, passò nel tempo agli Stackenberg, ai Maretsch e ai Fels Colonna.
Una famiglia importante sono i Tschötsch che lo tengono dal '500 e che mettono mano anche
alle strutture ai tempi della riforma luterana. Da questa famiglia viene anche costruita una sala
dedicata ai riformatori protestanti, una famiglia quindi non ben vista né a Coira né da parte del
principe territoriale del Tirolo. Anche questo è un maniero che si mantiene bene o male come
era all‟epoca e la veduta Brandis ripropone anche altri elementi del paesaggio di Naturno: ai
piedi del castello si nota ad esempio un campaniletto, quello della chiesa di S. Procolo, e sulla
sinistra il campanile della parrocchiale a S. Zeno, che in epoca barocca perderà l'alta cuspide,
sostituita da un ottagono e un “cipollone” di tradizione lombarda, spesso presente anche in
area tedesca nel '700.
Dall'altra parte della valle sorge castel Dornsberg (castel Taranto) che il disegnatore ritrae da
nord. Esso risale al '200, menzionato a partire dal 1217, costruito dai Tarants, ministeriali dei
conti di Tirolo che nel 1291 sono ormai presenti stabilmente nel castello, con un proprio
sepolcreto nella chiesa di S. Procolo, nell'altra parte della valle. Nel 1347 passerà agli
Annenberg che lo ristruttureranno nel '500 imponendovi all'interno un grande loggiato
stemmato, trasformandolo in stile rinascimentale e fortificandolo secondo le nuove esigenze
belliche. Passerà poi ai Giovonelli e da questi ai Fuchs e poi ad altre famiglie. Anche in questo
caso il disegno è fedele al dato storico che noi possiamo riconoscere ancora oggi. Si noti la
merlatura sulle mura che cingono il mastio verso nord-ovest, lo sporto sul lato settentrionale,
le torrette verso l'ingresso che sono aggiunte del '500. La struttura romanica dei primi del '200
è visibile nell'antico palazzo, che presenta alcuni elementi come le bifore (che in quegli anni si
andavano diffondendo avendo come modelli il palazzo vescovile di Trento e che
precedentemente erano sconosciute in regione) e la merlatura alla ghibellina che comincia a
risalire la valle fino a Coira e addirittura giunge fino all'alta valle dell'Inn, più a nord di qui non
si trova più.
Dall'altra parte della valle si riconosce anche oggi castel Juvale, una costruzione dalle
vicissitudini un po' travagliate. Menzionato a partire dal 1278, faceva parte del sistema
difensivo dei signori di Montalban, ministeriali e poi feudatari dei conti di Tirolo. Nel 1540 passa
ad un alto funzionario della corte di Pontana, il Sinkmoser, che ristruttura il castello secondo il
nuovo gusto rinascimentale. In epoca successiva però subirà un declino cadendo in rovina, e
sarà salvato ben due volte, l'ultima a partire dal 1983 dall'attuale proprietario Reinhold
Messner. Oggi è in ottime condizioni. Rispetto alla struttura disegnata nel 1607/18 oggi è
cambiato pochissimo. Si riconoscono ancora, pressoché identici, lo sporto, la torre portinaia, le
due torri che chiudono il castello verso meridione. L'unica cosa che manca è la parte ancor oggi
in rovina che è il castello superiore oggi ricoperto con una tettoia di vetro e manca anche la
copertura piramidale del mastio. Come l'abitante di questo castello ama arrampicarsi, anche il
disegnatore del '600, giunto a castel Juval, si interessa alle montagne intorno e riempie un
foglio ritraendo le rupi e le cime della bassa val Senales, perché attraverso la zona di Juvale,
(la parola deriva da jugum = passo) si riusciva ad entrare in val Senales. Qui già dal 1326
esisteva un monastero, che tutti i visitatori dovevano visitare. Era la Certosa degli Angeli,
fondata appunto nel 1326 dal conte Enrico III di Tirolo, figlio di Mainardo II, poi soppressa nel
1782. In quest'occasione tutto viene messo all'incanto come viene fatto con tutti monasteri
che verranno chiusi, perché in questo modo si possono riempire le casse imperiali che hanno
bisogno di moneta sonante. Legato a questo monastero esiste un interessantissimo resoconto
di viaggio del '700 di un conte marchigiano che aveva pensato di comprarlo per usarlo come
romitorio. E' un resoconto pieno di improperi nei confronti di questa zona inabitabile e
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selvaggia, al contrario di quanto gli avevano detto descrivendola come amena, bellissima, in
mezzo alla natura. Arriva a Senale e a gambe levate se ne ritorna da dove era venuto.
Dopo la soppressione la Certosa viene sfruttata al suo interno dai coloni come abitazione.
Infatti essa si presta a questo riutilizzo perché i monaci certosini vivono ciascuno in una
propria piccola dimora, una piccola casetta che comunica sul cortile comune. Queste casette
verranno sempre più ampliate. Il tutto però brucerà nel 1924 e molto di quello che era la
struttura originaria è andato distrutto, ma non tutto. Ancor oggi e meglio ancora poco prima
dell'incendio si può riconoscere la chiesa conventuale, trasformata nel nuovo duomo del
villaggio di Certosa. In funzione ancora la vecchia chiesa cimiteriale del monastero stesso,
anche se mancante del campanile. E' visibile la prelatura, dove abitava l'abate, con i suoi erker,
la zona degli edifici di servizio ampliati come abitazioni e tutte le casette dei certosini
trasformate in case dei contadini del luogo.
Dopo castel Juvale si arriva a Castelbello. Il disegnatore ritrae il castello dalla strada della
Venosta che come oggi passava ai suoi piedi. Il disegno è molto simile al complesso castellare
che ancor oggi abbiamo. Si vede la merlatura alla ghibellina che Castelbello ha mantenuto a
differenza di altri. Questo è un castello duecentesco citato per la prima volta nel 1238. A
partire dal 1531 feudo pignoratizio di una famiglia emergente nel Tirolo del tempo, cioè gli
Hendl, che lo terrà fino all'estinzione, recentissima, come nel caso di castel Montani secondo
un titolo di possesso molto antico, cioè feudale. Vi fu nell' '800 la possibilità per i diversi feudi
della contea tirolese dell'impero austriaco di essere riscattati da parte dei loro possessori,
trasformando i feudatari in proprietari. Alcune famiglie non riuscirono o non vollero riscattare
questi possedimenti, continuando a tenere il possesso di alcuni complessi castellari a titolo
feudale. Dopo il 1919 il titolo di possesso feudale austriaco passò al Regno d'Italia e continuò a
sussistere anche dopo il 1946 nel demanio statale del regime repubblicano che poi passò alla
Provincia di Bz. Il titolo si estinse con la morte dell'ultima erede, la contessa Hendl pochi anni
fa, che manteneva il diritto di abitare nella fortezza nonostante la Provincia continuasse a
restauralo e lo avesse aperto al pubblico. Si vedono ancora, come nel codice Brandis, le
rondelle aggiunte prima della signoria degli Hendl, una serie di merlature mentre altre
sommitali, che non troviamo nei disegni, sono forse il risultato di una rivisitazione
neoromantica dell'800.
Dopo la strettoia di Castelbello si arriva a Laces, che si presenta con la sua gran serie di chiese
e con al centro il castello di Laces stesso. Si riconoscono nella veduta disegnata innanzitutto la
chiesa di S. Maria, la Chiesa dell'Ospedale, la chiesa parrocchiale di S. Pietro e Paolo, la
piccola chiesa di S. Nicolò. Laces è una realtà particolare per la storia della val Venosta, già
citata nel IX sec. nell'urbario imperiale della Retia curiense. In questa zona esistevano, dopo la
divisione dei beni tra conti e vescovi di Coira, (fino a metà '800 il vescovo di Coira era anche
conte) vari territori appartenenti all'uno o all'altro e ciascuno creava intorno a sé una propria
clientela e quindi dei punti amministrativi. A Laces ogni chiesa, almeno le più antiche, faceva
riferimento a dei centri amministrativi fondiari facenti capo a signorie diverse. Ognuno
costruiva la propria chiesa per i propri rustici ed è per questo che Laces, paese ricco di signorie
di un certo livello capaci di costruire chiese per i propri homines, si trova ad avere una grande
concentrazione di edifici religiosi. Il castello, che si trova in mezzo al paese, è riconducibile a
ministeriali dei conti di Tirolo. Oggi si vede lo stemma posto in età recente degli Annenberg,
che ne furono proprietari, oltre ad altre residenze come il castel Annenberg dall'altra parte
della valle sopra Coldrano. Oggi, rispetto ai disegni, rimane la torre merlata con 4 merli come
allora, l'ala settentrionale con il suo sporto e un altro piccolo edificio che si addossa al mastio.
A questo punto il disegnatore attraversa nuovamente la valle e giunge a Coldrano dove disegna
due complessi castellani allora in pieno funzionamento e in ottime condizioni, ovvero castel
Annenberg in alto e in basso castel Coldrano. Il primo, più antico citato già nel 1252, si trovava
in mano a due rami distinti dei signori di Vanga, che probabilmente l'avevano ereditato da un
ramo estintosi appena un anno prima dei signori di Appiano, fortemente presenti nella zona di
Laces, prima dei conti di Tirolo. Nel 1315 fu affidato da Enrico di Boemia, figlio di Mainardo II
di Tirolo, al suo burgravio Heinrich di Parcines, il capostipite dei signori di Annenberg. Castel
Annenberg, con il '600 poco alla volta cadde in rovina. Infatti essi devono essere “mantenuti”,
soprattutto se feudi della contea tirolese. Allora si portavano alla camera tirolese i rendiconti
dei restauri e delle opere di modernizzazione per renderli più difendibili e si chiedeva un
contributo. Nel '600 questi castelli arroccati perdono importanza e soldi per il loro
mantenimento non vengono più dati. Inoltre anche la cultura abitativa in questo secolo cambia
e c‟era chi si trasferiva a valle o chi lo abbandonava perché non c'erano i soldi per mantenerlo.
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Castel Annenberg viene poi restaurato a partire dal 1826 da un capitano di cavalleria, Martin
Stocker, che lo innalza di un piano e lo rende perfettamente abitabile e in ottime condizioni è
giunto fino a noi anche grazie a restauri recenti (2010). Il '600 fu un secolo in cui molti castelli
caddero in rovina (dalla seconda metà dell'800 si inizia a metter mano ai castelli in forza del
rinnovato spirito tardo romantico).
Sotto c'è Castel Coldrano, che ha una storia diversa. Non è un castello d'epoca feudale, ma
viene eretto a partire dal 1475 dagli Hendl, una delle famiglie emergenti nella società tirolese
del tempo. Poco alla volta fu ampliato con il suo portone, le sue torri, ma solo due perché le
altre furono costruite intorno al 1607. Esso presenta una struttura leggermente differente da
quella attuale perché probabilmente la veduta della tavola del codice Brandis è successiva al
1606/7. L'autore comunque sottolinea la presenza del portone tardorinascimentale, che deve
aver impressionato il visitatore del tempo.
Proseguendo, nella stessa zona, sopra Laces, all'imbocco della val Martello, vengono disegnati
due castelli: Castel Montani di sopra (Obermontani) con la cappella di S. Stefano e Castel
Montani di sotto (Untermontani) con la chiesa di S. Antonio a Morter. Inoltre sono
rappresentate le rupi e la forra che introducono nella val Martello. La merlatura di Castel
Montani di sopra è identica a quella di oggi, anche se una parte è crollata. Le forme slanciate di
Untermontani sono riconoscibili ancora nelle rovine che ancor oggi si conservano: il mastio, già
in rovina nel '600 e la torre portinaia. Castel Obermontani è un castello duecentesco, citato per
la prima volta nel 1228, in forza di un compromesso raggiunto tra vescovo di Coira e conte di
Tirolo proprio in merito alla sua erezione. In questa zona, infatti, come già detto, si
concentrano possedimenti importanti: possedimenti imperiali, possedimenti che passano al
vescovo di Coira come vescovo, beni che passano al vescovo di Trento in quanto conte di
Venosta, che a sua volta li distribuisce agli Appiano e poi ai conti di Tirolo, suoi avvocati, e ai
suoi vassalli i signori di Vanga. Il conte di Tirolo aveva anche beni in feudo nella zona del
vescovo di Coira, e in particolare sul dosso dove ora ci sono i due castelli. Nessuno può
costruire un castello in terra altrui, ma nonostante ciò il conte costruisce un castello senza aver
avuto il permesso del vescovo di Coira, che protesta. Si raggiunge quindi un compromesso: il
conte riconosce di tenere il castello in feudo alla pari del terreno su cui si trova, cioè il
castellare. Anche questo è quindi un castello che continuerà a rimanere feudo anche dopo il
1919 e dopo il 1946, esempi di questi resti di diritto feudale rimasti oltre la metà del XX
secolo.
Altro castello disegnato è Castel Lichtenberg, nella zona a nord di Prato allo Stelvio. Per ragioni
a noi sconosciute il disegnatore salta la zona di Silandro con i suoi monumenti e castelli. Il
castello è del XIII secolo documentato nel 1228. Originariamente proprietà prima dei signori
di Tarasp, poi fortificata dai conti di Mazia o dagli Appiano stessi, passata poi ai conti di Tirolo.
Fu ampliato a partire dal 1513 soprattutto dai proprietari che lo terranno per secoli e lo
conserveranno in buone condizioni fino ai primi dell' „800. Il castello odierno però non è più
così come si vede nel disegno del Codice Brandis. Infatti mancano: la grande torre e la torre
meridionale, parte del palazzo è crollata, manca la chiesa che si trovava sopra l'ingresso del
castello. E' rimasto solo il campaniletto della cappella, mentre tutta la navata, un tempo a
crociera, è del tutto scomparsa. Da questo castello provengono degli affreschi di fine '300
paragonabili a quelli del palazzo orientale di castel Roncolo e oggi conservati presso il museo
Ferdinandeum di Innsbruck, ma alcuni frammenti sono ancora riconoscibili all'interno del
palazzo.
Si passa poi a Sluderno con Castel Coira ancora di proprietà di Oswald Trapp, primo grande
studioso con il suo saggio del 1973 del codice Brandis. L'edificio è rappresentato da due punti
di vista: il disegno in alto è visto da sud, dal villaggio di Sluderno, da una posizione piuttosto
elevata, probabilmente dal campanile, quello in basso da est. Castel Coira fu eretto a partire
dal 1260 dai vescovi di Coira per proteggere i propri possedimenti dalle ingerenze dei loro
avvocati, i signori di Matsch/Mazia, che invece di difendere la Chiesa ne rubavano le proprietà.
Non a caso è posizionato allo sbocco della val di Mazia nella val Venosta. Esso rimarrà poco in
possesso ai vescovi di Coira: già a fine '200 passerà ai Match stessi e i vescovi saranno
costretti a costruirsi un'altra fortezza a difesa dei propri possedimenti e cioè castel Fürstenburg
a Burgusio in loro possesso fino alla fine dell'800. I Mazia lo terranno fino al 1504 quando,
dopo una serie di aspre lotte fra gli eredi, viene assegnato ai Trapp che ancor oggi ne sono
proprietari. I Trapp sono presenti in regione già prima: essi entrano in Tirolo già a servizio del
duca Sigismondo, prendono prima possesso di castel Beseno e ottengono a fine '400 la
signoria di Caldonazzo Nel 1504, grazie ad un matrimonio fortunato, entrano in possesso di
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gran parte del patrimonio dei Matsch, in particolare la parte venostana. Da lì a poco
cominceranno ad espandersi in altre zone della contea principesca, come a Nalles, nella valle
dell'Inn e anche altrove. Già i Match lasciano ai Trapp un castello molto ampliato nelle sue
strutture, ma questi ultimi sono i protagonisti del rifacimento in chiave rinascimentale con
l'inserimento del loggiato interno, nella nuova definizione degli spazi interni, nel restauro
complessivo delle difese militari del complesso. Esso è una commistione dei lavori eseguiti dal
vescovo di Coira, dai conti di Match e dalla famiglia Trapp. Il mastio e le mura del palazzo sono
quelle del vescovo di Coira, le prime cinte esterne sono dei Matsch, tutti gli apprestamenti
difensivi, i camminamenti rinascimentali sono già inserti successivi al 1504. Confrontando la
veduta disegnata da sud e ciò che ancor oggi si vede ( anche se da un'angolatura più bassa),
rimangono pressocchè uguali il mastio, anche se sprovvisto di copertura, l'apparato per i
tornei, la torre del giardino, con le indicazioni araldiche che confermano i diritti di possesso
attraverso i matrimoni da parte dei Trapp, la salita alla torre portinaia, i giri di mura successivi
al nucleo duecentesco, i tre camini (questo dice molto sulla precisione del disegnatore). Il
mastio ci rimanda non a caso a quello del castel Arona sul lago di Como: è un mastio con
piattaforma sporgente ma mancante di beccatelli. Infatti i Matsch sono una famiglia che
intrattiene rapporti molto forti con Milano, da dove si fanno arrivare le armature che
conservano nel proprio castello. In quella città alcuni signori di Matsch vanno al soldo dei
Visconti come condottieri. A Milano si arriva attraverso la val Monastero, il passo dell'Ombreil,
si scende a Bormio, si percorre la Valtellina, e quindi si giunge nella città lombarda. E' questo il
percorso che lega l'alta Val Venosta con l'area lombarda da cui derivano varie influenze: come i
campanili della zona di Malles e di Laces. Il romanico lombardo, attraverso questa via, penetra
in questa zona alta della Val Venosta, si espande sotto la zona di Sluderno, supera Malles e
arriva a Glorenza, città commerciale che lega la via milanese alla città di Augusta. Attraverso le
vie commerciali si trasmettano anche stili artistici e architettonici.
La prossima veduta è quella dell'emporio di Glorenza, città sotto la giurisdizione dei Trapp nei
primi del '600, citata già nel 1298 e che allora aveva una estensione minore rispetto ad oggi.
Devastata nel 1499 dopo la sconfitta alla Calva, su volere di Massimilano I viene ricostruita e
rifortificata secondo canoni “moderni”, anche se in realtà un po' sorpassati. Oltre alla Torre
Flurin si vede il campanile della chiesa di S. Nicola. Fuori dalla città, oltre la porta di Tubre, c'è
la parrocchiale di S. Pancrazio fuori dalle mura, perché Glorenza è un villaggio di pieve come
tanti altri, mentre la parrocchiale si riferisce ad un territorio più vasto che arriva fino a
Lichtenberg. Prima della fondazione della città il villaggio vero e proprio si estendeva dalla
porta Sluderno fino Torre Flurin.
L'altra parte del villaggio si estendeva fuori dalle mura, ma non fu inglobata nelle mura
massimilianee tanto era la rovina di questa zona. Anche oggi si vede la chiesa di S. Pancrazio
fuori le mura, la chiesa di S. Nicola, la Torre Flurin (era la torre della signoria tirolese nella
città), la torre “Scarpatetti” mozzata, ma ancora riconoscibile, una vecchia residenza
cavalleresca duecentesca.
Nelle vedute dopo quella di Glorenza pare ci siano stati due disegnatori con aggiunte
successive.
Il castello successivo è Fürstenburg, in basso, a Burgusio, e più in alto Marienberg. Il castello è
della fine del '200. I vescovi di Coira, dopo aver perso Castel Coira, erigono a difesa dei propri
possedimenti in Venosta questo castello che manterranno fino al 1803 e dove abiteranno
diversi prelati in momenti di trambusto dovuto all'avanzare del protestantesimo. Questo
maniero è rimasto pressocchè immutato dall'epoca del Codice Brandis. Il mastio è crollato nel
1998 ma è stato ricostruito fedelmente come appare nei disegni. Si nota ancora una corona di
fori dove andavano infilate le travi che sostenevano un ballatoio esterno a metà della torre.
Nella veduta è visto da dietro ma è riconoscibile la sua struttura con il mastio in cui si notano i
fori. Anche qui è evidente la precisione del disegnatore.
Marienberg non gode della stessa precisione nella sua raffigurazione, ma è solo un abbozzo.
Dobbiamo ricordare però che nel '600 il monastero soffre di un grande momento di crisi. Infatti
siamo prima della grande riforma dell'abate svevo Grafingher, che porterà ordine in un
monastero bene o male finito non solo vittima dell'eresia luterana, ma anche spopolato dai
suoi abitanti.
Da Burgusio sulla strada commerciale per Bormio si va in val Monastero passando per Laudes.
Questa zona è, come Laces, interessante per la presenza di diverse chiese. Anche qui infatti si
concentrano possedimenti di diverse signorie importanti: prima i signori di Tarasp, poi i conti
di Appiano, i vescovi di Coira. Vi sono dunque molte chiese: la parrocchiale di S. Leonardo,
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quella di S. Lucio, quella di S. Cesario a Flutsch. La strada prosegue e porta verso Tubre,
strada difesa da 2 fortezze in mano ai vescovi di Coira, signori anche del monastero di Müstair,
e cioè castel Rotund e castel Reichenberg, ovvero Oberreichenberg e Unterreichenberg. Del
complesso farebbe parte anche una terza torre che però il disegnatore non riporta, perché
crollata nei primi del '500. Ai due castelli viene dedicato un altro schizzo: il Castel Rotund
ancora in piedi con la stessa struttura che nei medesimi anni riporta anche l'Innsbruck Codex
n.3. I due castelli come sono adesso sono caratterizzati entrambi da un mastio circolare, anche
se quello di Unterreichenberg è posto su una base quadrilatera. Castel Reichenberg visto
risulta identico alla struttura odierna.
Aggiungo ancora qualche castello di una sezione che il Codice cataloga come Oberinntall ma
che in realtà apparteneva, secondo i sentieri del tempo, all'alta Val Venosta. Il primo è la
Finstermünz che segnava il confine della Val Venosta. E' una chiusa che guardava i confini
settentrionali della valle verso la valle dell'Inn e quindi verso quello che era rimasto del ducato
svevo dopo lo scorporamento della Venosta nel 1027 da quel territorio. Essa è ripresa da 2
punti di vista. Uno da sud, dalla strada che scendeva da Nauders, attraversava il ponte e poi
proseguiva verso la valle dell'Inn, con un lato verso Landeck mentre l'altro risaliva verso Moritz
e la Valtellina. L'altra veduta è ripresa da settentrione, dalla strada che da Landeck portava da
un lato nella Venosta mentre dall'altra immetteva nella bassa Engadina. E' una struttura che
nel suo complesso ha origini antichissime: già usata in epoca romana, una frequentazione
documentata già nel 1078 e poi nel '200. Viene poi fortificata dal duca Sigismondo nel '400 con
la ricostruzione di un piccolo castelletto. Il duca poi chiuse tutta la zona con una torre portinaia
imponente su cui fa passare il ponte, con tre porte di accesso. La situazione che si vede nello
schizzo del 1607/18 è la stessa che venne ritratta nel 1824. Oggi invece il ponte è stato alzato
di circa un metro e quindi tutto il sistema della porta è stato stravolto e l'impatto gotico di
quella torre è scomparso. Fuori c'è una cappella che faceva riferimento alla fortezza, una
cappella molto tarda eretta alla fine del '400 da uno dei capitani della fortificazione. Il
castelletto era accessibile non solo da fuori, ma anche da una galleria in roccia che la collegava
ad un'ala della fortificazione. Oggi è stata restaurata , ma è rimasta come era stata sventrata a
metà 800: il vecchio piano del ponte alzato e quindi anche la porta più alta rispetto
all'originale.
Ultimo è Tarasp, anch'esso parte della contea di Venosta originariamente, strettamente legato
alle vicende venostane. Infatti da Tarasp provengono i rifondatori del monastero di Marienberg.
Il castello è caratterizzato da una grande torre abitabile di fine XI primi XII sec. Dopo la rivolta
dei Grigioni contro Sigismondo e poi grazie alle lotte successive che si protrarranno fino alla
guerra dei 30 anni, questa fortezza, dal 1648, diventerà un enclave tirolese in terra grigione e
rimarrà tirolese fino al 1803. Anche oggi si presenta come un castello fortificato in quanto
fortezza esterna ai confini territoriali degli Asburgo, importante dal punto di vista militare e
politico, ma anche religioso perché tutta la bassa Engadina è riformata, mentre la zona di
Tarasp è rimasta cattolica appunto sotto l'egida degli Asburgo.
Il giro finisce con le montagne che da Tarasp portano attraverso i passi sopra Burgusio di
nuovo nella zona di Marienberg.
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