- Villaggio Globale

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Testo didattico adottato dalla SICOOL, dalla Scuola Olistica del CONACREIS
e dall'Accademia Olistica del Villaggio Globale di Bagni di Lucca.
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MANUALE DI
COUNSELING OLISTICO
Il Counseling come processo di aiuto alla Crescita Umana
Manuale teorico pratico di Psicologia Olistica
Curato dal Dott. Nitamo Federico Montecucco
Docenti: Prof. Enrico Cheli, Dott. Roberto Sassone,
Dott. Mario Betti, Dott. Luisa Barbato, Dott. Marifa De Benedetti,
Dott. Massimo Marini, Dott. Lucia Vigiani, Kapil Pileri,
Dott. Giuseppe Pagliaro.
AGGIORNAMENTO AGOSTO 2010
A cura di Antonella Nanni
In verde: materie fondamentali da studiare dettagliatamente, temi precisi delle domande d’esame
In giallo: materie importanti da studiare bene, possono essere argomenti delle domande d’esame
In azzurro: parti da leggere e capire, possono essere temi generali delle domande d’esame
Adattamento dal dattiloscritto della “Settimana di Formazione in Counseling Olistico”
Villaggio Globale – Villa Demidoff – Bagni di Lucca
25 Agosto / 3 Settembre 2005 - 26 Agosto / 1° Settembre 2006
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INTRODUZIONE GENERALE
Dott. Nitamo Montecucco
Il Manuale del Counseling Olistico è una introduzione generale alle basi culturali, teoriche e pratiche
del Counseling orientato alla Psicologia Olistica. Abbiamo deciso di redigere questo Manuale perché non
mi risulta si possa trovare né in Italia né all’estero un testo introduttivo alla Psicologia Olistica per
Counselor di questa ampiezza e di livello così elevato, ossia che tratti della “relazione di aiuto” del
Counseling come processo di crescita umana e di sviluppo del potenziale umano.
Ogni disciplina psicologica ha le sue caratteristiche, i suoi modelli, i suoi linguaggi e una propria visione
terapeutica, e di fatto, tranne in pochissimi casi, non esiste una relazione trasversale tra le varie scuole.
L’essere umano è uno e necessita di un aiuto ai suoi disagi e alle sue malattie di tipo unitario.
Il Manuale, di tutto il vastissimo ambito delle culture spirituali e delle psicologie, ha il proposito di dare
una visione orientata alla crescita umana.
Questo Manuale rappresenta una reale sintesi tra le varie scuole di psicologia, di neuropsicologia, di
meditazione; frutto di un lavoro di più di trent’anni portato avanti dalla nostra scuola e individualmente
da tutti i suoi docenti. Il nostro intento è fornire strumenti psicologici di base, fare una sintesi dell’enorme
massa di informazioni in modo che non sia necessario perdersi in troppa lettura, e possano essere ben
chiari i propri limiti da una parte e la bellezza della psicologia dell’essere dall’altra.
L’approccio Olistico al Counseling, trattato nel Manuale, fornisce un’idea generale della Psicologia
secondo le normative europee della formazione al Counseling, che richiedono la conoscenza delle basi di:
psicologia generale, psicologia dell’età evolutiva, psicodinamica, psicopatologia, deontologia
professionale, setting.
Il “Manuale del Counseling Olistico” si basa su termini, nozioni e concetti esposti in modo preciso ed
esaustivo nel libro “Psicosomatica Olistica” di Nitamo Federico Montecucco, Ed. Mediterranee Roma2000, il principale testo di riferimento.
Tratteremo, nel primo capitolo, della Cultura Planetaria e l’Evoluzione Umana, continueremo con un
secondo capitolo più pratico sul Counseling Olistico, un terzo capitolo più psicologico sulle Basi
Teorico-filosofiche della Psicologia Olistica e un quarto sulle Basi Scientifiche della Psicologia
Olistica.
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LA CULTURA PLANETARIA E L’EVOLUZIONE UMANA
Cultura planetaria ed evoluzione umana
Il “Manifesto nello Spirito della Coscienza Planetaria” è uno dei più importanti documenti della nuova
cultura, firmato nel 1998 da artisti, scienziati e Premi Nobel per la Pace. "Abbiamo raggiunto un punto di
cruciale importanza nella nostra storia. Siamo all'inizio di un nuovo periodo di evoluzione sociale,
spirituale e culturale. Stiamo evolvendo verso un sistema interconnesso, basato sull'informazione, che
abbraccia l'intero pianeta. La sfida che ora dobbiamo affrontare è quella di scegliere il nostro futuro. La
nostra generazione è chiamata a decidere il destino della vita su questo pianeta, a creare una società
globale pacifica e cooperante, continuando così la grande avventura dello spirito e della consapevolezza
sulla Terra".
Il nostro pianeta si sta trasformando in modo velocissimo, e così anche il nostro modo di vivere si è
modificato in modo drammatico nel giro degli ultimi decenni senza permetterci di adeguarci. La scienza e
la tecnica si sono sviluppate molto più rapidamente della nostra coscienza, il risultato è un evidente
malessere globale identificabile con: guerre, stress, inquinamento, disastri ambientali, confusione nelle
relazioni, paura di vivere, mercati impazziti, ansia, disuguaglianze sociali e razziali, futuro incerto.
La maggior parte delle persone vive passivamente questo stato di crisi globale e disgregazione aspettando
che qualcuno (Lo stato? L’ONU? Il comune?) risolva questi problemi.
I creativi culturali
Una parte consistente della società, circa il 35% della popolazione adulta, secondo le ricerche
sociologiche della American Demographics, si è invece spontaneamente attivata per creare un
cambiamento, per migliorare la vita in ogni suo aspetto, per far emergere una nuova cultura migliore di
quella attuale. Questa creativa e ottimista massa in rapido sviluppo (negli anni settanta era intorno
all’1%), crea cambiamenti culturali che influenzano e influenzeranno sempre più profondamente non solo
le loro stesse vite, ma anche la società nella sua globalità. Il sociologo americano Paul Ray e la psicologa
Sherry Anderson, gli autori della ricerca, li hanno chiamati “Creativi Culturali” in quanto stanno dando
forma ad un nuovo tipo di cultura per il XXI^ secolo, che nasce da un profondo cambiamento di valori,
delle priorità e dello stile di vita. Sono coloro che effettuano un cambiamento di paradigma
comportamentale e mentale rispetto ai vecchi schemi di riferimento, in qualunque ambito svolgano la
propria opera. I creativi culturali sono distribuiti trasversalmente nella società, il 60% sono donne!
La nuova cultura del benessere globale
Le ricerche hanno rivelato che la nuova cultura emergente è caratterizzata da serie prospettive ecologiche
e globali, visione olistica della vita, enfasi sulle relazioni, orientamento alla spiritualità e allo sviluppo
psicologico, alla medicina naturale e olistica, all’apertura transculturale e alla coscienza planetaria,
insoddisfazione verso le grandi istituzioni della vita moderna e rifiuto del materialismo come base della
vita e dello stato sociale. Nascono così – spontaneamente – operatori creativi e attivi nelle cinque
principali aree della nuova cultura:
1) ecologia, ambiente e sostenibilità: formata da - ambientalisti, animalisti, verdi, bioarchitetti, le
associazioni che si occupano di rispetto dell’ambiente (WWF, Lega Ambiente, Green Peace,
World Watch Institute), esperti di diritti degli animali, di riciclaggio, etc.
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2) salute naturale e medicina olistica: formata da - medici omeopati e agopuntori, erboristi,
naturopati, macrobiotici, massaggiatori, vegetariani, chiropratici, che propongono e praticano le
medicine “alternative”.
3) pace, cultura globale e diritti umani: formata dalle associazioni pacifiste, neo global,
transculturali, dalle associazioni di volontariato, dagli artisti e gli attori impegnati, i garanti delle
minoranze e dei diritti umani (Amnesty, Survival, Emergency, etc.).
4) economia e consumo etico: formata dagli economisti e finanzieri etici, i gruppi di consumo
critico, le associazioni per il Commercio Equo Solidale, la Banca Etica, Altro Consumo, etc.
5) la ricerca di sé e la spiritualità: formata da tutti coloro che sono orientati alla ricerca interiore,
da tutte le associazioni di yoga, di preghiera e di meditazione, dai terapisti transpersonali che
propongono gruppi di crescita e di evoluzione, che trasmettono nuove e antiche vie al divino e
nuove tecniche di consapevolezza.
Tutti questi operatori fanno parte di un unico grande movimento culturale planetario, anche se non ne
sono ancora pienamente coscienti, in quanto vivono realtà separate. La consapevolezza di essere parte di
questa unità può creare una grande forza coesiva e un movimento di opinione capace di fare mutare il
nostro pianeta verso un futuro sostenibile.
Il paradigma olistico: dalla divisione alla coscienza globale
La nuova cultura emergente - pur nella sua estrema varietà di visioni - si muove sulla base di un
Paradigma Olistico, che offre una visione unitaria e globale dell’essere umano e del pianeta. L’essere
umano viene quindi visto come un’unità psicofisica che si manifesta nel corpo fisico, nelle emozioni,
nella psiche e nell’animo profondo; il pianeta non è percepito solo come un insieme di stati e di specie
animali e vegetali, ma come “Gaia”, un’unità vivente, una rete globale di interrelazioni che creano
l’equilibrio della natura e delle società umane.
Uno dei punti chiave di questa nuova cultura è che lo stato di crisi globale del pianeta rappresenta il
riflesso macrocosmico dello stato di divisione in cui vive ogni singolo essere umano (separazione
dell’essere umano da se stesso, dagli altri e dalla natura) e che l’unica via per il suo superamento è lo
sviluppo di una nuova coscienza e del potenziale umano individuale, che porti a ritrovare l’unità e
l’armonia interiore ed esteriore.
Il drammatico stato del pianeta è espressione dell'inconsapevolezza umana che da millenni viene
tramandata come modo di vivere, di pensare e di agire. La risposta alle innumerevoli questioni aperte dalle guerre alla sovrappopolazione, dall'inquinamento alle malattie degenerative - non può essere calata
dall'alto come in passato, ma deve necessariamente nascere dal possibile risveglio della coscienza umana,
e dal passaggio dall'attuale stato di ristrettezza egoica ad una dimensione planetaria che abbracci
l'ecosistema e l'umanità in modo unitario. Il malessere globale di ogni individuo, che riflette la profonda
crisi ecosistemica e umana del pianeta, è una sfida alla trasformazione globale di se stessi e della propria
vita.
La rivoluzione interiore
Partendo da questi presupposti, la risoluzione della crisi globale implica una trasformazione globale
dell'esperienza di se stessi, la realizzazione di una profonda unità interiore che, modificando e
sviluppando le potenzialità del nostro cervello e della nostra coscienza, si manifesti in una nuova logica
creativa del vivere e in una visione unitaria dell'uomo e del pianeta.
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"Oggi, ad un bivio cruciale nella storia dell'umanità - scrive Ervin Laszlo, filosofo della scienza e
presidente del Club di Budapest - abbiamo bisogno di nuovi concetti, nuovi valori, ed una nuova visione
per guidare i nostri passi verso un futuro umano e sostenibile. La consapevolezza deve innalzarsi e
trasformarsi da locale ed ego-centrica a globale e di dimensione planetaria. La nuova coscienza richiede
una visione olistica di noi stessi, delle nostre società, della natura e del cosmo. Il grande compito, la
sfida del nostro tempo, è cambiare se stessi”.
Tuttavia non possediamo né strumenti, né modelli, né informazioni adeguate che ci permettano di
comprendere in modo globale le logiche e le modalità di questa trasformazione interiore e planetaria; per
questo è necessaria una nuova figura professionale, un agente attivo che operi sul benessere globale delle
persone, che utilizzi semplici ma efficaci strumenti di consapevolezza e di trasformazione, integrando
differenti conoscenze e tecniche pratiche di salute psicofisica, di rilassamento e meditazione, di ecologia
quotidiana, di comunicazione interpersonale, di sviluppo del potenziale umano e di ricerca eticospirituale. Su queste esigenze culturali e sociali è nata la figura dell’operatore olistico.
LA FUNZIONE CREATIVA ED EVOLUTIVA DEL COUNSELOR OLISTICO
L’operatore e il counselor olistico: una professione interdisciplinare per un pianeta in
trasformazione
L’Operatore/Counselor Olistico è una figura chiave della nostra epoca, è un catalizzatore della
trasformazione umana, un facilitatore del benessere psicosomatico e della crescita personale, quindi un
educatore alla consapevolezza globale di sé e del pianeta. L’operatore olistico si forma attraverso un
percorso di apprendimento integrato e unitario delle materie essenziali di tutte e cinque le aree della
nuova cultura, diventando un esperto in cultura globale con specializzazione in una o più delle aree
suddette. L’operatore olistico, grazie a questo training formativo, diventa una figura professionale
interdisciplinare di grande importanza, che utilizza informazioni, consigli di vita, etiche e tecniche di
ricerca interiore. L’operatore olistico è un operatore socio-culturale del benessere globale, che agisce
individualmente sulle persone o collettivamente nei gruppi, offrendo strumenti di consapevolezza e di
crescita umana. L’operatore olistico è molto spesso un counselor.
Il Counselor - colui che aiuta e orienta - è una figura professionale riconosciuta in gran parte del mondo,
dall’Europa ai Paesi con il più alto livello di cultura (Canada, USA, Australia, Giappone, etc.). In Italia la
figura professionale del counselor olistico è sostenuta e tutelata dalla SICOOL (Società Italiana
Counselor e Operatore Olistico - www.sicool.it) che opera per il riconoscimento di questa figura
professionale. Un counselor deve avere almeno un diploma di scuola media superiore e deve frequentare
dei corsi – come il Corso Triennale di Formazione per Operatori e Counselors Olistici del Villaggio
Globale - in cui specializzarsi in crescita umana e salute globale, studiando le basi di psicologia generale,
sociale, evolutiva, di medicina energetica, olistica e psicosomatica, insegnate da docenti laureati o
abilitati. Il ruolo del counselor/operatore olistico è di aiutare la persona a ritrovare la consapevolezza
globale di sé e parallelamente comprendere e superare gli errori (alimentari, comportamentali, energetici,
emozionali, psicologici) che la portano alla malattia. L’operatore/counselor olistico deve formarsi
attraverso un percorso di crescita personale e training specifici che lo pongano in condizione di essere un
elemento catalizzatore di entusiasmo, di ricerca della gioia, di nuova vita. I suoi strumenti sono
innanzitutto la sua stessa consapevolezza e la sua presenza capace di trasmettere energia e amore.
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Lavorare sulla parte sana
L’operatore olistico, esperto in salute globale e crescita umana, opera sulle persone sane o sulla parte
sana delle persone malate, facilitando la salute e l’evoluzione globale. L’operatore olistico aiuta la
persona a ritrovare l’armonia psicofisica attraverso l’uso di tecniche naturali, energetiche,
psicosomatiche, artistiche, culturali e spirituali, stimolando un naturale processo di trasformazione e
crescita della consapevolezza di sé. L’operatore olistico non è un terapista, non fa diagnosi e non cura
malattie fisiche o psichiche; non prescrive medicine o rimedi, e quindi non si pone in conflitto con la
medicina ufficiale e con la legge per l’abuso di professione medica. Ciò che rende fondamentale
l’operatore olistico è la sua consapevolezza della situazione culturale globale e l’importanza del lavoro
sulla coscienza umana per orientare l’attuale stato del pianeta verso una direzione positiva e sostenibile.
Il Curriculum Olistico: una rivoluzione nella formazione educativa
Una delle “piccole rivoluzioni” che siamo riusciti ad ottenere - grazie ad una grande collaborazione tra
innumerevoli centri, associazioni, medici, psicologi, terapisti e operatori di tutta Italia - è stata la
creazione della Scuola Olistica Nazionale CONACREIS e della SICOOL che si basano su un unico iter
formativo di 900 ore per gli operatori e counselor olistici. Questo iter formativo è uno dei sistemi
educativi più avanzati e intelligenti che possiamo trovare sul pianeta perché comprende un equilibrio tra
educazione teorica e pratica, tra insegnamento e sperimentazione diretta degli argomenti appresi, che
contempla un’esperienza spirituale almeno in tre differenti scuole, in modo da non creare settarismi e
chiusure ideologiche, inoltre dà valore a tutte quelle esperienze umane che non possono rientrare nei
normali curriculum ufficiali. Invito a scaricare il Curriculum Olistico dal sito della SICOOL
(www.sicool.it) o della Scuola Olistica Nazionale del CONACREIS (www.scuolaolistica.it) o
dell’Accademia Olistica del Villaggio Globale (www.globalvillage-it.com/accademiaolistica), e provare a
compilarlo, segnando tutti i percorsi didattici seguiti, i gruppi, le conferenze, ma anche le esperienze
umane che sono state fondamentali nella propria vita. Ci si renderà conto che diventare operatore o
counselor è possibile e utile. Solo dando valore a ciò che realmente ha valore potremo cambiare il mondo.
La Scuola Olistica Nazionale CONACREIS per la Salute Globale e la Crescita Umana
La Scuola Olistica è un progetto unico nel suo genere e di grande importanza in quanto creato per formare
operatori olistici e per sviluppare una visione della salute profondamente legata alla crescita umana. Dopo
alcuni anni di preparazione e di organizzazione all’interno del CONACREIS (il Coordinamento
Nazionale Centri di Ricerca Etica, Interiore e Spirituale) con il sostegno del progetto Porto Franco della
Regione Toscana e del Club di Budapest, siamo arrivati alla strutturazione finale della Scuola Olistica
Nazionale per la Salute Globale e l’Evoluzione dell’Uomo e del Pianeta. Questo è uno dei progetti
didattici di medicina olistica e crescita umana più articolati e strutturati che sia possibile trovare in Italia e
all’estero. Una delle caratteristiche più interessanti della Scuola Olistica Nazionale è di essere formata da
una serie di centri operanti su tutto il territorio nazionale e organizzati in rete dal CONACREIS. Una
Alleanza di realtà diverse ma riunite dal senso e dall’impegno di contribuire ad un benessere globale
dell’uomo e del pianeta. La Scuola Olistica Nazionale, come abbiamo accennato, propone un Programma
Triennale di Formazione per Operatori/Counselor Olistici di 900 ore, con un primo anno generale di 300
ore nelle otto differenti aree didattiche (lavoro sul corpo, lavoro sulle energie, lavoro sulle emozioni ed i
condizionamenti, arte terapia, comunicazione e counseling, empowerement e sviluppo del potenziale
umano, ricerca interiore e spirituale, coscienza planetaria) che devono essere sperimentate da tutti gli
allievi, ed un biennio di specializzazione di 600 ore in una o più delle stesse otto aree.
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LE BASI TEORICO-FILOSOFICHE DELLA
PSICOLOGIA OLISTICA
La logica del Counseling Olistico: lavorare globalmente sulla parte sana della persona
In questa parte dell’introduzione tratteremo soprattutto di Counseling e di Psicologia Olistica,
continuando a ricordare la differenza tra un operatore olistico e uno psicoterapeuta psicologo o medico.
Questi ultimi hanno la possibilità di utilizzare le tecniche a fini di risoluzione di patologie, che sono
interventi sulla parte “malata” della persona o supposta “malata”, mentre il ruolo di Counselor è un ruolo
di sostegno, un ruolo di aiuto. La traduzione italiana più vicina del termine inglese Counselor è: “colui
che si prende cura”, “colui che dà aiuto”. Quindi “prendersi cura” di una persona che sta male, a cui
offrire strumenti di crescita, di salute globale e di consapevolezza. L’aiuto è offrire una modalità per
superare i propri problemi attraverso un percorso di crescita personale, attraverso tecniche di salute
naturale, energetica, emozionale e interiore. La funzione del Counselor non è quindi quella di guarire,
ma quella di facilitare l’evoluzione personale di una persona.
La logica del counseling olistico è polare a quella della medicina e della psicoterapia ufficiali, quindi non
in conflitto ma complementare ad essa.
La logica meccanicista della guarigione ufficiale è: io curo la tua patologia con una diagnosi, una serie
di prescrizioni farmacologiche e terapie. La malattia è una parte negativa, un errore che devo eliminare,
estirpare e combattere con ogni mezzo. Non c’è nulla di utile nella malattia.
La logica olistica del counseling è invece: io non curo la malattia, ma mi prendo cura di te nella tua
globalità e ti aiuto, rinforzando la tua parte sana, vitale e consapevole, con strumenti e tecniche
energetiche, naturali e psicosomatiche, al fine di ritrovare un migliore equilibrio e un’armonia psicofisica.
La malattia spesso è una espressione dell’inconsapevolezza del nostro modo innaturale di vivere o di
qualche parte di noi che abbiamo negato. La malattia, quindi, può diventare un elemento di crescita e
comprensione che ci aiuta ad evolvere e a conoscere meglio noi stessi.
Tutte e due le logiche, in situazioni differenti, hanno una loro applicazione pratica e un’utilità reale.
Lasciamo ai medici e agli psicologi il compito, a volte grato e a volte ingrato, di dover affrontare la parte
dura del problema, che significa anche la possibilità di sbagliare, di sbilanciare la persona, la possibilità di
creare anche danni secondari come nell’uso degli psicofarmaci. L’operato di un Counselor, invece, agisce
sulla parte sana della persona, la sua vitalità, la sua coscienza. L’Operatore Olistico, nato nel 1995 e
strutturato nel 2000 con il CONACREIS, è stato definito come colui che lavora sulla parte sana della
persona o sulla parte sana della malattia. Benché la persona sia malata, ha comunque un potenziale vitale
da cui il Counselor può attingere le risorse per facilitare una serie di processi di crescita. Facciamo un
ulteriore appunto. Quando parliamo di medicina olistica o di psicologia olistica o di meditazione globale,
intendiamo essenzialmente la stessa cosa: nel passato le medicine o le psicologie olistiche erano fuse in
un unico sistema - dal corpo fisico, alle emozioni, al lavoro sulla psiche, al lavoro sullo spirito - inteso
come un unico processo di guarigione/evoluzione. Pian piano nelle civiltà più potenti, più rilevanti, si
sono venute a creare scuole come ad esempio la Scuola Ayurvedica, la Scuola Tantrica Tibetana, la
Scuola Taoista Tradizionale Cinese. All’interno di questo grande corpus di guarigione si sono poi venute
a creare le scuole di alimentazione, le scuole di massaggio, le scuole di fitoterapia, le scuole di
meditazione, le scuole di agopuntura e così via. Ad esempio nella Medicina Tradizionale Cinese della
guarigione globale, una parte trattava la guarigione mentale. All’interno della guarigione tibetana
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possiamo trovare testi sulla psichiatria interessantissimi, così come nella scuola ayurveda e nelle altre
scuole, che hanno creato specializzazioni nei processi di guarigione. Oggi la visione unitaria è andata
quasi completamente perduta. Non esistono praticamente più scuole complete, conoscenze globali, non
esistono più testi estesi e completi, ma conoscenze piuttosto frammentate. Esiste qualche manuale di
psichiatria tibetana, perché è stato tradotto in inglese e in italiano. Il resto si trova in volumi antichi spesso
fuori pubblicazione.
In questo contesto cercheremo di concentrare queste informazioni per dare una visione il più possibile
congrua e unitaria.
Coscienza come energia intelligente: la base della guarigione-evoluzione olistica
Uno dei presupposti della guarigione-evoluzione olistica antica e moderna (e quindi anche della nostra
psicologia olistica) è che l’essere umano è un anima, è una coscienza, è un centro di consapevolezza che
vive in un corpo, che nel momento della vita è cosciente, sensibile e vivo.
Riunendo le informazioni simili (perché ogni scuola aveva le sue visioni particolari) ed i minimi comuni
denominatori delle scuole olistiche dell’antichità, troviamo che l’esistenza è vista come una Unità. Tutto è
Coscienza. Questa Coscienza Infinita chiamata Dharma, Vuoto, Tao, Grande Spirito, Wakantanka, Logos,
aveva aspetti diversi. In quasi tutte le grandi tradizioni la struttura dell’essere umano, dell’esistenza,
veniva differenziata in corpi, in livelli. Quello che è sempre stato il comune denominatore è che l’intera
esistenza ha una vita cosciente che permea ogni singola struttura.
Mentre il Paradigma Olistico antico aveva una base prevalentemente spirituale, in cui la “coscienza” –
come anima, atman, spirito – rappresentava l’elemento unitario centrale dall’atomo all’intero cosmo, il
Paradigma Olistico moderno si fonda su una consistente base scientifica, quantistica, cibernetica,
neurofisiologica e sistemica in cui la “coscienza” rappresenta l’elemento cognitivo funzionale che unifica
gli elementi in un Tutto, la “struttura che connette” e che permette di trasformare una “rete di energie e
informazioni” in un sistema organico.
Il più importante contributo dalla fisica quantistica al paradigma olistico fu dato dal fisico David Bohm,
collega di Einstein e Pauli, che espresse il concetto di wholeness – l’unità globale, il Tutto, in cui si
manifestano due grandi principi inscindibili: l’ordine implicato e l’ordine esplicato, concetti che
corrispondono perfettamente alla res cogitans e res extensa. Un altro contributo viene dal premio Nobel
per la letteratura Henry Bergson che ha parlato di un flusso di vita cosciente, l’élan vital. L’élan vital
presuppone una coscienza di fondo, che è stata percepita da alcuni vitalisti, anche se sono sempre stati
una minoranza esclusa dal main stream della grande cultura. Dobbiamo arrivare a Reich, nel periodo della
grande scuola psicoanalitica di Vienna, per riavere un approccio scientifico alla comprensione della vita
come energia. Reich venne incarcerato, un tribunale sentenziò che (testuali parole) “l’energia orgonica
non esiste e quindi lui è un millantatore”. Si pensi all’incredibile potenza di questo concetto di energia
intelligente. Energia intelligente come unica forza sensibile che può avere, tuttavia, infiniti livelli di
aggregazione o di evoluzione.
Nella prima parte vedremo la parte fisica scientifica di questa componente di base della psicologia, ossia
l’evoluzione degli esseri viventi, in particolare delle loro strutture nervose che portano a una complessità
di organizzazione delle stesse strutture nervose e che alla fine permettono, nell’essere umano in
particolare, di arrivare al processo delicatissimo definito autocoscienza. Vedremo il percorso della
coscienza che esiste già a livello atomico, a livello cellulare, e che rimane tale e in modo integro. Ogni
essere vivente ha coscienza di sé, ma non ha coscienza di essere cosciente. Questa acquisizione avviene che noi sappiamo - nell’essere umano. In alcuni primati c’è già un accenno, ma il meccanismo a livello
neuronale, il meccanismo di feed-back, è come un’informazione: “io sono cosciente”, “io sono
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automatico, totalmente istintivo in questa mia coscienza”, “io sono un animale e conduco la mia vita,
scappo dal dolore, ricerco il piacere, ho un’intelligenza, ripongo le cose per l’inverno, creo strutture, ho
una vita di relazione complessa e ho coscienza, ovviamente, di me.” Ma questa coscienza è diretta,
istintiva e totale. Poi, in una fase dell’evoluzione, nell’essere umano primitivo, nel passaggio dai primati
agli ominidi, è avvenuto il salto di autocoscienza.
La consapevolezza di sé: il feedback della coscienza
Definiamo la prima forma di autocoscienza: rendersi conto di esistere. Una volta sono entrato in un fiume
dove c’era un fascio di luce che filtrava attraverso gli alberi, illuminando l’acqua. L’acqua era
fermissima, mi sono sporto in avanti e mi sono visto nell’acqua: ”Ah, sono io!” ho pensato. Nel momento
in cui mi sono visto ho sentito che ero lì, che esistevo. Ho immaginato che questo processo potesse essere
avvenuto ad una scimmia evoluta che un giorno si è guardata e ha iniziato ad avere il primo feed-back, ad
avere il processo che riporta l’informazione in sé: ”Ah, sono io.” “Cogito ergo sum”. “Io sono io”. “Sono
cosciente quindi esisto”. “Esisto in quanto sono cosciente di esistere”. È un feed-back di coscienza, un
feed-back d’informazione. Il feed-back di consapevolezza si sviluppa in maniera straordinaria nel
cervello più evoluto dell’essere umano, dal centro del cervello che ancora pochissimi neurofisiologi
considerano il centro dell’essere. Lo posizionano nella corteccia, perché fanno il gravissimo errore di
considerare l’Io della persona come il centro della persona stessa.
A livello di psicologia consideriamo l’Io una struttura sociale, quindi periferica, mentre il Sé è una
struttura totale, quindi anche fisica. Questo centro del Sé deve essere ritrovato nel nucleo più primitivo
del cervello, qualsiasi animale lo possiede: il nucleo più primitivo del cervello rettile ha in sé il centro
della coscienza. Poi da lì si evolve l’emozione che è un feed-back maggiore, poi si evolvono i pensieri
che sono ancora più periferici, ma il centro di coscienza rimane al centro. Questa esperienza dell’essere –
il Sé – è stato da noi tradotto in un modello scientifico: Cyber, il primo modello olistico di coscienza,
l’Unità (Fig.1) e il suo modello energetico associato Cyber7, la Complessità (Fig.2).
Fig.1
Fig.2
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In questi modelli, da noi studiati a livello neurofisiologico, c’è la chiave per comprendere il processo di
crescita. Una delle cose, a mio avviso straordinarie, come opportunità per un Counselor, è quella di
riuscire a capire che il processo di crescita della consapevolezza di sé - il centro di tutto il nostro lavoro cioè ritornare alla presenza, è un processo assolutamente centrale del sistema umano, del sistema
biologico. Essendo un processo assolutamente naturale, è parte del lavoro del Counselor - che può per un
attimo lasciare da parte la patologia, la guarigione - riportare la persona in uno stato di presenza, in uno
stato di centratura. Come vedremo poi dagli esperimenti sul cervello, una persona che è in uno stato di
presenza trasmette ad un’altra persona questo stato di presenza in modo diretto, se si crea quell’empatia
che lo permette. Se la persona è capace di creare uno spazio di comunicazione empatica, la trasmissione
della presenza diventa automatica, istantanea, anche in chi non ha mai fatto un’ora di meditazione in tutta
la vita. Questo processo è un processo naturale. Significa riportare il sistema nervoso, il sistema
biologico, al suo stato di normale e naturale stato di funzionamento e semplicemente esserne consapevoli.
Questo non implica un atto terapeutico, implica un atto umano, più che di trasmissione, di scambio di
empatia o, se vogliamo, di entusiasmo. La persona in stato di presenza ha uno stato tale di equilibrio tra
energie fisiche e psichiche - riunite nell’ambito dell’unità - da avere un bassissimo livello di tensione e un
altissimo livello di energia. Quindi, è come se la propria macchina funzionasse al suo meglio: è in quinta,
va tantissimo e consuma pochissimo.
Il riconoscimento profondo dell’essere: la presenza empatica
Quando lo stato di presenza - una stabile calma fisica e un’elevata attenzione e consapevolezza - viene
trasmessa empaticamente, la persona arriva istantaneamente ad un equilibrio di rilassamento e di
centratura. Vedremo come questo processo di riconoscimento dell’essere, di empatia, di risonanza tra un
Counselor e una persona (cliente) diventa poi il nucleo centrale della persona. È proprio la mancanza di
questa presenza empatica tra genitori e figli, agli inizi della vita, che porta a non sentirsi accettati e che
genera la chiusura del cuore e del senso di identità, da cui nasce la patologia, cioè la creazione dei blocchi
psicofisici. La prima azione del Counselor è quindi quella di ricreare una dimensione empatica che
permetta alle persone di sentirsi profondamente accettate e quindi di poter superare i propri blocchi e
sviluppare una coscienza di sé.
Mentre una volta - ed era congruo con i tempi di allora - si riteneva che fosse più importante il blocco
della libertà fisica e sessuale delle energie, noi oggi alziamo il tiro, perché è congruo con la situazione
sociale di questo momento storico, capire che quello che ad un bambino o ad una bambina manca, come
punto centrale della propria crescita, è il riconoscimento di se stesso/a da parte dei genitori o delle
persone che gli sono vicine e che gli trasferiscono la percezione globale dell’essere. È come dire “tu sei
tu”. Questo riconoscimento, che di solito dovrebbe essere caricato di quella energia che noi chiamiamo
amore, affetto, presenza, entusiasmo da parte del genitore o comunque dell’educatore, è il principale
nutrimento del senso dell’identità profonda: IO ESISTO. Esisto, perché vengo riconosciuto. Esisto, ma se
non c’è il feed-back, manca il nutrimento. Questo punto centrale è quello che noi vorremmo potesse
essere il principale punto di azione dell’Operatore o Counselor Olistico. Attraverso una presenza
silenziosa si manifesta l’empatia, la profonda risonanza con la persona che chiede aiuto. La presenza
empatica non richiede scambio di energia, non richiede a volte nemmeno scambio di parole. Richiede
semplicemente un training di presenza dell’Operatore/Counselor in modo che questa presenza passi,
risuoni nell’altro. Quando la presenza empatica si realizza, la persona si sente capita, riconosciuta,
accettata nell’animo e quindi si apre. Porto un aspetto che mi appartiene: avevo una nonna calma e
tranquilla, qualsiasi cosa facessi andava bene. Mi guardava, mi sorrideva e c’era uno scambio di presenza
empatica. Era vedova, viveva da sola, le piaceva la sua vita semplice e naturale, fluiva. Io stavo da Dio
con lei, mi sentivo me stesso. A casa, invece, mio padre era spesso teso, e per ogni cosa che facevo mi
sentivo dire: “stai attento, non va bene!”. Non avevo lo spazio di esistere com’ero. Credo che questo tipo
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di esempio sia abbastanza comune. Può essere che si crei empatia, che la stessa persona cambi l’energia,
come accadeva a mio padre: quando si rilassava io avevo un contatto immediato con lui. A volte la sera
prima di andare a letto ci prendeva e ci leggeva un libro. In quel momento c’era una presenza fisica, un
calore, il riconoscimento avveniva e nutriva un senso di benessere. Quello che normalmente avviene a
livello inconsapevole può invece diventare uno strumento cosciente di vivere e di operare. Questo è uno
strumento centrale, qualsiasi sia la propria specializzazione.
L’individuo come unità e le sue modalità caratteriali
Roberto Sassone
Il mio compito è di dare delle definizioni un po’ più tecniche, quindi non tanto quello di definire in
maniera precisa le strutture caratteriali, ma di dare la possibilità di cogliere, al di là di una definizione del
carattere, alcune modalità di funzionamento delle persone, che possano indicare qual’è il tipo di problema
di fondo che esse esprimono. Anche se è utile definire in linea di massima i caratteri e le patologie ad essi
connesse, in questo ambito di counseling è più funzionale sottolineare le modalità di relazione con
l’ambiente, le forme di pensiero, gli atteggiamenti proiettivi ed il modo di percepire la realtà. Questi
segnali, che vanno aldilà della diagnosi, ci possono aiutare a vedere come la persona funziona e dove è
pericoloso spingerla.
Naturalmente, per iniziare, dobbiamo vedere sempre di più l’individuo come un’unità e in essa cogliere i
vari tipi di percezione della realtà che egli ha. Vi sono delle caratteristiche specifiche che derivano dal
tono emotivo della persona, dal taglio che l’emozione fondamentale dà a quella persona, che consentono
di vedere la sua emozione di base. In base a questo, l’interpretazione degli eventi di quella persona e il
contatto che essa ha con gli altri, assume una caratteristica specifica di quel colore. Ed è con quel colore
che l’individuo filtra la realtà e si impedisce di guardare che cosa esiste sul serio di fronte a lui. Se noi come operatori - lavoriamo su quella coloritura non facciamo una psicoterapia, ma diamo la possibilità al
nostro cliente di diventare consapevole del tipo di proiezione che sta facendo sulla realtà; in questo modo
creiamo un atto profondamente trasformativo, ma che non va a toccare le dinamiche profonde a cui un
operatore olistico non deve avvicinarsi.
Nitamo Montecucco
Il confine è sempre molto labile. Lo psicologo dice “io curo i tuoi disagi psichici”, mentre il counselor
dice “io sono qui per aiutarti in un processo di consapevolezza globale, utilizzando semplici strumenti
nell’ambito della salute globale del benessere, non della guarigione, non della medicina, della psicologia,
non della cura diretta, ma della cura indiretta, nel senso di favorire un ripristino dell’equilibrio.” Nel
corso della Settimana della Psicosomatica, attraverso le tecniche di respiro, si impara a sentire il corpo, ad
entrare nel cuore, nella consapevolezza dei blocchi, senza dover necessariamente tirare fuori emozioni
che possano turbare l’equilibrio. Per contro, chi ha una formazione psicologica o medica adeguata, può
entrare nella sfera emozionale prendendosi la responsabilità del proprio lavoro.
Roberto Sassone
Per lo psicoterapeuta, la difficoltà caratteriale di un individuo o qualsiasi conflitto o problema che egli
pone riguardo alla sua incapacità di percepire la vita e se stesso, diventa un punto di partenza per andare
ad approfondire il conflitto, vedere le cause e far emergere le emozioni dolorose che spesso sono rimosse.
Per un Operatore/Counselor Olistico questo materiale offre invece la possibilità opposta, vale a dire
che il conflitto ha qualcosa da insegnare al suo cliente. Il conflitto significa: “guarda, c’è una modalità
che devi imparare, il conflitto ti sta mostrando che hai la possibilità di apprendere qualcosa di
importante, che hai in qualche modo dimenticato o di cui non hai voluto tenere conto, quindi hai una
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grossa opportunità di evoluzione.” A seconda di come si tratta un conflitto, si può andare in una
situazione profonda che fa emergere l’ombra che gli Operatori non devono toccare, oppure si può mettere
l’attenzione sulla possibilità evolutiva che essa offre. Questa possibilità evolutiva è lo scopo del
Counselor Olistico.
Nitamo Montecucco
Quanto appena definito è la base di ciò che chiamiamo “la crescita umana o lo sviluppo del potenziale
umano”. Il nostro modello di base è che ogni persona dovrebbe vivere con un centro di coscienza e con
infiniti strumenti nella vita. Quindi, ha i piedi per camminare, le gambe per correre, le mani per prendere
e per abbracciare, gli occhi per vedere, le orecchie per sentire, la bocca per parlare. Ma se qualcosa nella
vita inizia a togliere le orecchie e gli occhi, chiudere la bocca, segare le gambe, si vivrà una vita che non è
piena, una vita che non è nella sua completezza.
Se parliamo di questa metafora a livello psicologico, abbiamo delle funzioni psichiche e delle funzioni
energetiche. Abbiamo la vitalità, la sessualità, l’affettività, la creatività, la comprensione, lo scambio, il
divertimento, la creazione. Tutto questo è parte dell’universo psichico. La complessità di queste forze ci
dà una vita piena, rotonda. Ci rendiamo conto che viviamo in una società altamente innaturale che si è
allontanata dalla natura e dagli eventi del cuore umano e che in tutte le scuole del mondo non esiste una
materia che sia cuore, che sia relazione, che sia piacere di esistere, intelligenza emozionale. Si sta
iniziando ad introdurla nelle scuole più elevate, ma l’intelligenza emozionale non è ancora cuore. E tutto
ciò è devastante. Un bambino/una bambina con delle grandi potenzialità non viene nemmeno preso/a in
considerazione: “se sai bene la matematica, bene, se non sai prendi quattro e vieni rimandato, punto”.
Consideriamo che la vita ci ostacola nell’espressione o nel funzionamento di alcune attività fisiche o
psichiche, se prendiamo anche solo coscienza di questa mancanza possiamo in qualche modo aiutare la
persona a riprendere il gioco della vita, e quindi riprendere possesso di un potenziale che per qualche
motivo è stato inutilizzato.
Gli strumenti operativi del counselor olistico
Nel lavoro dell’Operatore o del Counselor Olistico lavoriamo con il processo della consapevolezza:
non utilizziamo strumenti terapeutici, ma strumenti di consapevolezza. Anche solo mettendo la persona
in contatto con quello che le è mancato nella vita, aiutandola a prendere consapevolezza dei propri limiti,
ogni evento della vita può diventare un evento utile alla crescita. Perché ogni evento ci dà un senso, una
comprensione, da non intendere, come ipotizzano i New Agers, che "ogni evento ha un senso" come se
tutto fosse completamente preordinato. Questo è un punto che bisogna rimarcare, perché mentre
all'interno del meccanicismo vige il principio opposto secondo cui "niente ha senso e tutto avviene per
caso o per causa effetto", nella parte più immaginifica della New Age “tutto ha un senso”. Ogni volta che
vado alle conferenze incontro qualche signora che mi guarda con aria commossa e mi dice: “Ah, dottor
Montecucco, finalmente ci incontriamo e naturalmente niente avviene per caso”. Sì, certo, esistono
sicuramente nella vita degli avvenimenti sincronici che sono dei momenti rari, non comuni. Si incontrano
casualmente migliaia di persone e poi, ogni tanto, s’incontra una persona che fa la differenza, che è
sincronica con la nostra anima, e diciamo: ”Ah, questo è un incontro fondamentale!” A volte si va a
cercare questa persona, si vanno a cercare i maestri spirituali, i guaritori. E quando arrivano diventa un
evento sincronico, altamente significativo per la vita.
Quindi noi abbiamo una vita altamente casuale con degli eventi altamente significativi. E man mano la
nostra evoluzione cresce, man mano la nostra vita da casuale - perché siamo inconsci - diventa
consapevole e quindi significativa. E allora la vita la scegliamo noi e moltiplichiamo la sequenza degli
eventi significativi. Così è anche nella malattia.
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Il caso e la sincronicità: una visione di equilibrio
Il crollo della diga del Vajont, che ha ucciso migliaia di persone, è stato assolutamente casuale. Non che il
karma di quelle persone sapeva che la diga sarebbe stata costruita male ed ha fatto sì che le anime si
incarnassero in quel luogo per espiare. Non che tutte le persone che soffrono e muoiono in Africa hanno
fatto del male e sono lì per espiare, così da ripulirsi da un cattivo karma. È un’idiozia pensare che
qualsiasi malattia sia dovuta a una causa ben precisa. Gli esponenti della scuola di Dethlefsen e altri simili
che sostengono che “tutto ha un senso”, a mio avviso, sbagliano. Tant’è vero che se avesse un senso e lo
si conoscesse, si riuscirebbe a curarlo. Se fosse qualcosa di psichico che dipende dalla volontà, anche
inconscia, la si farebbe diventare conscia e questo processo di trasformazione andrebbe a curare, cosa
tutt’altro che vera.
Esistono malattie di cui non si ha alcun dato, non ne sono a conoscenza i medici, i maestri spirituali, gli
illuminati. Esistono malattie in cui c’è una quantità di casualità, una quantità di significatività, di karma,
di psicosomatica. In questi casi si può migliorare grandemente la situazione lavorando sulla parte
significativa. Esistono malattie dovute ad un’alterazione psichica ed in quel caso, se le persone lo
vogliono veramente, ci sono buone possibilità di guarigione. Sappiamo tutto questo con la nostra
intelligenza e apertura.
Sappiamo, come in tutte le antiche tradizioni, che il mondo è diviso in una parte di Caos e in una parte di
Logos. Esistono due leggi in fisica: la legge dell’entropia che causa il decadimento, e la legge della
sintropia, della negaentropia per cui pian piano le cose si aggregano, crescono e si sviluppano. Queste due
energie (Caos e Logos) sono contemporanee. Kamas è l’energia che tende alla disgregazione al basso;
mentre altre energie, tra cui l’inerzia, portano il fuoco verso l’alto. Così la pianta può crescere. Quindi
ogni cosa ha un ciclo, la pianta cresce e poi muore. Il corpo da una cellula diventa un corpo vivo e vegeto
per tanti anni e poi c’è l’involuzione e la morte. Si pensi a quanti codici genetici errati si vengono a creare
(ricordiamo il disastro di Cernobyl), ai tumori da sostanze chimiche, le leucemie infantili. A volte non c’è
dentro il karma, c’è solo un evento casuale. E se un medico, o psicologo o counselor, comprende la
casualità dell’evento, questo può diventare un evento significativo. Quindi non c’è alcuna colpa, e
l’accettazione di quell’evento può mettere in uno spazio di consapevolezza di essere nell’esistenza.
L’accettazione della realtà così com’è
L’accettazione della realtà così com’è è una grandissima comprensione. Le scuole di spiritualità
invitavano i discepoli a vivere ogni evento della vita, anche quelli casuali, come significativi per la
propria crescita. Siamo esseri viventi nella grande esistenza, ogni tanto accade qualche cosa - un
incidente, un lutto - e abbiamo un grande dolore. Possiamo provare rabbia, rifiutare l'evento, tentare di
ignorarlo, oppure dire semplicemente “ok”, “lo accetto”, “accetto anche la parte negativa”. E questo porta
ad una crescita umana enorme, apre il cuore. Se non lo accettiamo chiudiamo il cuore e andiamo nella
cupezza. Se apriamo il cuore, lo accettiamo anche senza comprendere il perché. E accettare che non c’è
un perché fa accadere un profondo processo di crescita.
Roberto Sassone
Esiste un fatto energetico ben preciso, perché l’accettazione profonda di una sofferenza e di una difficoltà
non avviene mai attraverso una semplice presa di coscienza dell’evento (è qui la differenza del Counselor
Olistico), ma avviene perché si riesce ad attivare il livello del cuore. Il livello del cuore è il livello della
vera presenza e coscienza di sé. Il livello del cuore corrisponde ad un centro dinamico di energia molto
potente, che, fra le varie qualità, ha quella di trasformare le energie che non riescono ad essere utilizzate o
che si collegano su una polarità negativa. Quindi, è importante comprendere che c’è una differenza
fondamentale tra il far capire al cliente un suo problema e far comprendere il problema, perché
comprendere non tocca il livello mentale, ma quello della sua presenza nel cuore, capace di trasformare.
È un grande strumento terapeutico in chiave positiva.
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La presenza centrata ed accogliente che non va specificatamente a cercare qual è la causa, è già un modo
per avviare un processo che la persona può portare avanti.
Comprendere vuol dire ‘prendere dentro’, ‘prendere in sé con la capacità trasformativa del cuore’.
L’accettazione è di per sé una capacità trasformativa: il cuore accetta e accoglie.
L’Operatore Olistico deve seguire un percorso d’individuazione e quindi avere una pratica meditativa,
perché se non è in grado di entrare in questa percezione di presenza, tutti questi discorsi decadono.
Transfert e controtransfert: la logica delle proiezioni
Luisa Barbato
Il transfert è il punto più delicato del counseling. Dopo alcuni incontri, inevitabilmente si crea il transfert.
Una delle obiezioni che viene fatta è che se si rimane anche solo in accettazione avviene il transfert. Per
chiarire, qualsiasi processo di cambiamento psichico ha bisogno di una relazione, non avviene per caso.
Già uno stato di centratura, di accettazione o di empatia dell’altro crea subito una relazione preferenziale.
Quindi, l’altro viene letto come il testimone, colui che accoglie preferenzialmente le nostre tematiche:
questo legame è detto transfert. Il transfert è proiettivo, per cui quando inizia il transfert, se l’altro è in
uno stato neutro, di accoglimento, automaticamente diventa lo specchio delle cose dette. Se il cliente ha
avuto un genitore persecutorio, in questa posizione di neutralità leggerà subito un’inquisizione, ovvero
qualcuno che lo sta giudicando. Se il bisogno è trovare un accoglimento, cercherà una persona che lo
accoglierà, nel silenzio possiamo leggere l’accettazione. Quindi è importante capire come gestire il
transfert, cioè il legame preferenziale che la persona crea con l’operatore. È fondamentale riuscire a
vedere il momento in cui si sta sviluppando troppo, nel qual caso è necessario fare da ponte in modo che
questo transfert si ricrei con uno psicologo o psicoterapeuta.
Nitamo Montecucco
Ogni volta che si instaura una relazione non neutra, immediatamente la persona tenderà a proiettare il
padre o la madre o l’amico o l’amante. Essenzialmente proietterà sul Counselor una figura che ha avuto
più a cuore, e attraverso questa proiezione viene veicolata un’enorme quantità di emozioni. Il livello
emozionale è estremamente carico: non semplicemente “ti voglio bene, sei una cara persona, mi stai
aiutando”, ma c’è tutta un’aspettativa che è conforme alla figura che sta proiettando. Nasce una serie
enorme di istanze e non solo, perché anche se la proiezione non avviene in modo eclatante, comunque si
vengono ad instaurare, nel rapporto, una serie di proiezioni emozionali. A titolo di esempio, se la persona
è abituata da tutta la vita ad arrabbiarsi, naturalmente si arrabbierà anche con l’operatore. Quindi, può
accadere che la persona arrivi al rifiuto dicendo “ma questo io l’ho già fatto, ma cosa mi stai dicendo!”
oppure al compiacimento dicendo “sì, sì, hai ragione, certo, certo”. La comprensione del transfert è
fondamentale. L’arte dell’Aikido terapeutico è quella di permettere a queste energie di muoversi con
fluidità, con coscienza, sentirle, non far finta che non ci siano, ma muoverle in modo assolutamente
congruo per quello che è il lavoro del Counselor/Operatore. Lo psicoterapeuta deve operare ad un altro
livello di intervento.
Per questo è importante che si abbia una conoscenza delle strutture caratteriali. Si provi ad immaginare
l’effetto del lavoro di un operatore olistico che, di fronte ad uno psicopatico, per fargli capire delle cose lo
contraddice; o che di fronte ad un orale, che vive nella continua richiesta d’amore, si propone come un
grande seno per cercare di soddisfare questo suo bisogno, facendo così il suo gioco.
Il contro-transfert, nella sua accezione più semplice, si crea quando l’Operatore ha delle aspettative o
delle proiezioni sulla persona. Una situazione classica, che può capitare agli operatori olistici, è quando la
persona racconta di aver paura di staccarsi dall’ambito familiare. L’operatore, avendo lavorato sulla
stessa paura ed essendone uscito in due-tre anni, ora si aspetta che il cliente ne esca in tre mesi. Piuttosto
comuni sono le proiezioni tipo: “ma che bell’uomo!” oppure “ma che persona antipatica” o “ma che
persona dura, sembra mia mamma, adesso gliela faccio vedere, le farò i punti psicosomatici più dolorosi.”
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La risoluzione più facile, se si riesce, è lo stato di presenza che corrisponde allo stato naturale dell’essere
che non ha proiezioni, non si identifica con l’ego. Quindi il cliente non ha più bisogno di proiettare
quando dimora nello stato di presenza, il counselor non ha bisogno di proiettare o di avere aspettative
quando è stabilizzato nello stato di presenza. Tuttavia è raro trovare un cliente in tale stato, nonostante
questo sia il nostro obiettivo. Si deve sempre tener presente che, se non si riesce a portarlo in stato di
presenza significa che anche l’Operatore non è realmente in uno stato di presenza.
Il concetto di “malattia”
Nitamo Montecucco
Una delle considerazioni generali nell'ambito della psicologia olistica e della crescita umana, è che la
“malattia” veniva considerata come una non comprensione delle leggi dell’esistenza. La legge del Tao, la
legge del Dharma, è semplicemente la legge di come va il mondo, non come va il mondo degli esseri
umani. Dobbiamo avere la consapevolezza che il mondo degli esseri umani va in una direzione innaturale
che è bene conoscere, e da cui possiamo dissociarci. Le leggi dell’esistenza, ovvero l’accadimento degli
eventi nel positivo e nel negativo, sono una base di saggezza che possiamo acquisire, a cui possiamo
attingere attraverso esperienze, letture etc. Se riusciamo a conformarci con questa legge dell’esistenza,
siamo in uno stato non solo di presenza interna in noi stessi, ma di presenza all’interno di una vita: è la
nostra vita. Un processo semplice, il senso di come la vita e la morte continuano il loro ciclo.
Un esempio: nella nostra iconografia sociale e culturale la coppia è un archetipo finto, è un falso storico, è
“vissero felici e contenti fino alla fine dei loro giorni”. Quante sono le coppie realmente serene e appagate
che arrivano alla fine dei loro giorni? Le nostre strutture sociali non ci danno una reale visione di ciò che
è una vera relazione, per cui non abbiamo un reale senso di cos’è la legge dell’esistenza. La nostra vita
sociale mette in evidenza, per esempio della sessualità, una serie di aspetti eclatanti, le grandi
performances di “Nove settimane e mezzo” ed elimina tutta una serie di istanze reali, dove la morte non
viene quasi mai affrontata, dove l’arroganza sociale, il divario sociale, non vengono quasi mai toccati, per
cui chi ha più ego, chi è più arrogante, vince. E va bene così. Dobbiamo assolutamente essere consci della
legge dell’esistenza nella sua accezione più vasta. Il grande mistico nordamericano Alce Nero parlava del
Grande Cerchio del mondo, il Grande Spirito della Terra. Percepì il mondo e la sottile esistenza, fatta di
vita e di morte, di relazioni. Comprese il senso globale di questo sottile elemento che è l’armonia,
l’amore, l’intelligenza tra le relazioni, tra i più semplici esseri viventi e tra i più complessi.
Quando riusciamo a capire il senso di come realmente l’esistenza si muove, possiamo cogliere il cuore
profondo che batte dentro gli esseri umani, dentro le relazioni, riusciamo a far fare anche dei passi non di
conoscenza o di scienza, ma di una sottile saggezza che può arrivare in ogni momento. E se anche non
arriva, possiamo attendere, possiamo entrare in uno spazio vuoto. Nell’antica tradizione a volte le
malattie venivano curate semplicemente con l’attesa, mentre alcune malattie psichiatriche venivano curate
con il silenzio. La persona malata veniva messa in uno spazio di relativo isolamento, nel quale poteva
rivedere che cosa era successo. A volte anche questo diventava un processo di cura.
Counseling come presenza empatica
Nitamo Montecucco
Quello che di base è fondamentale, per il Counselor, è l’atteggiamento della presenza, soprattutto il
silenzio. Quando si ascolta la persona, e già dall’inizio della relazione questo avviene, se si entra in uno
spazio di profondissimo silenzio – di meditazione, di silenzio ricettivo – ci si svuota di tutto quello che
accade dentro di sé e si ascolta, si va in uno spazio di relativa saggezza, dove la persona si sente accolta e
dove inizia a nascere, ad accadere qualche cosa su un livello umano. Già questo rappresenta un livello
alto di guarigione, di consolazione, di prendersi cura, di aiutare una persona. Le si offre un contesto dove
riversare le tensioni emozionali e psichiche; uno spazio di apertura, ricettività, presenza dalla persona che
è lì per te… anche se non farà niente, semplicemente c’è e ti ascolta.
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All’interno dell’Accademia propongo una serie di esercizi che rappresentano la differenza tra il fare e il
non fare ed entrare in uno spazio di silenzio. Chiedo di mettersi uno di fronte all’altro in silenzio e
semplicemente attivare la percezione del contatto tra cuore e cuore, tra pancia e pancia, tra testa e testa,
ed entrare poi in uno spazio di silenzio. Oppure osservare le caratteristiche della persona in modo
giudicante e poi cercare di spogliarsi dei giudizi e vedere dietro la faccia-maschera della persona, gli
occhi, la presenza, il silenzio.
Presenza è anche quando si è attivi, si può fare un massaggio ed essere molto presente. Mentre si perde lo
stato di presenza quando, durante un massaggio, si pensa: “Adesso vado in automatico e intanto penso a
cosa devo cucinare per cena”. Non è essere nel qui e ora, non si è centrati su di sé, perché quando si è
centrati si è in uno spazio vuoto, che permette di agire in un modo particolare. Questo, a mio avviso,
dovrebbe essere il punto centrale di ogni scuola di psicoterapia.
Personalmente ho puntato enormemente sull’Operatore Olistico e sul Counselor Olistico perché ritengo
che, nonostante non posseggano le grandi conoscenze che si acquisiscono in sette anni di medicina o
negli anni di psicologia, abbiano invece colto il senso umano più profondo e importante. Possono
trasmettere la presenza, l’accettazione, il cuore, i valori umani in modo diretto, semplice e a basso costo,
perché costa meno fare una visita da un operatore olistico che non da un medico, e inoltre si moltiplica
l’ibridazione, la trasmissione anche del lavoro su di sé. Questo può permettere alla nostra società di
accelerare il processo di superamento della crisi che ormai è imminente. Anche se ancora oggi non
sappiamo se riusciremo a superarla.
Durante un incontro avvenuto a Lucca nel giugno 2005, ho citato un articolo apparso su La Repubblica:
“Entro 5 anni il barile di petrolio costerà 100 dollari”. Io ho aggiunto: “Se va bene accadrà fra tre anni; se
va male, come purtroppo immagino, tra due anni/due anni e mezzo”. Nel 2008 il barile costava già 150
dollari! Ma cosa succederà quando nel 2012 il petrolio arriverà ai 300 o 400 dollari al barile? Stiamo
accelerando la situazione di crisi energetica in modo pazzesco.
Quindi l’unica cosa che possiamo concepire - e lo dico con grande consapevolezza - è che l’Operatore
Olistico (pur avendo un training medio-breve) può acquisire importanti strumenti di crescita umana e
trasmetterli alle altre persone, fare in modo che la consapevolezza individuale aumenti velocemente e
quindi che, a livello sociale, si possa arrivare al raggiungimento della massa critica delle persone
consapevoli. Questo è fondamentale per bilanciare la tremenda forza delle multinazionali e dei gruppi di
potere che, invece, vogliono un mondo ricco ma completamente devastato ecologicamente.
Abbiamo questa grande opportunità: l’acquisizione della consapevolezza come Counselor e Operatori
Olistici.
Quello che a noi in questo momento serve, è capire l’Unità umana. Stabilire con molta precisione la
percezione di essere una Unità. Questo è il punto fondamentale: questa percezione, questa coscienza
unitaria - la possiamo chiamare il Sé, l’anima, o in altri modi - ha come caratteristica di essere nel corpo.
È una percezione che parte dal corpo e resta nel corpo. Non sono viaggi astrali, non sono percezioni
extra-corporee, è una percezione che è parte del corpo ed è legata al corpo.
Le persone non hanno una percezione globale di sé
Il punto di partenza fondamentale è che le persone normalmente non hanno la percezione di sé.
Se l’essere umano è fatto di tante parti, e se queste parti corrispondono ad una psiche, nel momento in cui
non c’è unità significa che le persone sono frammentate, hanno un Io formato da tante sub-personalità.
Questo è un dato acquisito dalla psicologia moderna: le persone presentano una serie di sub-personalità.
La tecnica del Dialogo delle Voci non è psicoterapia, ma è una tecnica di Counseling molto dolce, forte e
utile. Il Dialogo delle Voci mette in evidenza il Sé e si possono osservare salti molto evidenti da una
personalità all’altra.
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Il punto fondamentale da cui partiamo è che, quando la persona arriva (a meno che non abbia già fatto un
lavoro su di sé), non ha una percezione integra del proprio essere, né nel corpo né nella mente. Se
l’Operatore chiede: “Chiudi gli occhi e senti tutto il corpo”, la persona sente tutto il corpo, se va bene, al
20-30%. Se la invita a sentire una singola parte del corpo, la sente benissimo, ma se le viene detto:
“Sentiti un’unità, sentiti un insieme”, non riesce a farlo.
Ogni anno, in estate, c’è il gruppo della ‘Guarigione della Mente’. È un gruppo fondamentale del
processo di crescita. Tutti, indiscutibilmente, anche le persone che fanno meditazione, yoga o altre
pratiche da tanti anni, se invitati a sentire il corpo unito, lo sentono, se va bene, al 30%. Le persone che
riescono a sentirlo molto bene sono al 50%. Dopo due giorni di lavoro di gruppo, di integrazione delle
parti corporee, di consapevolezza delle energie corporee, orientate alla presenza, le persone arrivano ad
avere degli sprazzi, dei momenti di pochi minuti, in cui hanno una percezione di sé che supera il 50%.
Questo lavoro di integrità delle energie normalmente - nelle vecchie tradizioni - richiede dai sette ai
quattordici anni di meditazione costante. È un training lunghissimo, non si acquisisce facilmente. Durante
questo training, le varie parti del corpo, le gambe, la psiche, la creatività, l’amore, la rabbia, la paura
vengono re-incluse e comprese nell’unità psicofisica. Quindi la psiche alla fine si trova ad essere un
processo di inclusione di tutte le energie. È un centro che non importa quale sia, è un centro – come
diceva Gurdjieff – di gravità permanente.
Immaginiamo lo stato psicofisico di una persona che ha somatizzato una chiusura del cuore già da
bambino: i genitori non avevano presenza, non avevano coscienza, non potevano trasmetterla. Qualche
volta nella vita normale la presenza era un po’ di amorevolezza, un po’ di affetto, un po’ di gioco ma il
punto centrale - che da bambini si chiude - è il senso dell’esistere come totalità. E questo significa che si
chiude il cuore, le energie sono basse, ristagnano nella pancia perché non salgono al cuore, le energie alte
non scendono. Quindi nascono i grandi blocchi – il blocco della gola fra la testa e il cuore, il blocco del
diaframma tra il cuore e la pancia, il blocco del bacino tra la pancia e il sesso, il blocco del sesto livello
tra le energie centrali della testa e le energie di apertura verso l’alto, i blocchi classici delle gambe (piedi e
ginocchia) perché non c’è una messa a terra, i blocchi delle spalle, dei polsi e delle mani perché il cuore
non può fluire in maniera naturale verso la periferia. Questi blocchi somatici provocano una parallela
frammentazione a livello psichico.
Quindi la frammentazione dell’identità è il nostro stato acquisito a livello culturale nel nostro tempo
presente. Se noi ritorniamo, attraverso un lavoro psicologico, emozionale, fisico, energetico, a far fluire e
liberare le emozioni ed i pensieri che bloccano le varie zone del corpo, ritorniamo a un corpo sano,
normale, ad uno stato di presenza fisica, integra. Da questo stato di presenza fisica ci auguriamo che la
persona riesca a ritrovare una centralità dell’essere ancora più forte, e attraverso i processi di meditazione
possa arrivare ad un livello dove l’energia interna diventa assolutamente viva, esuberante, intensa, ed
eventualmente arrivare a quello spazio di fusione, di unità, che tutte le scuole del passato e del presente
continuano a ricordarci.
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NEUROPSICOLOGIA: L'UNITA' DI
COSCIENZA E I BLOCCHI PSICOSOMATICI
Quando entriamo in meditazione profonda e non abbiamo più la sensazione di divisione fra testa e corpo,
tra noi e gli altri, il campo di coscienza, di energia luminosa, che scorre in tutto il corpo nella sua
interezza, sfuma allargandosi pian piano verso l’esterno. Questo è il primo modello a cui facciamo
riferimento, l’unità della coscienza. Se questa energia si allarga, contemporaneamente, l’ “uovo di
energia” è in movimento.
Il primo blocco psicosomatico: la chiusura del centro della coscienza
Immaginiamo il cervello come ologramma cibernetico dell’essere umano. Partendo dalla concezione
olografica del neurofisiologo Karl Pribram, abbiamo applicato i modelli psicosomatici e il modello
olistico Cyber al cervello (e al sistema nervoso), considerandolo come un ologramma cognitivo che
elabora e gestisce l’intera massa delle informazioni fisiche, emotive, mentali e coscienti. Il cervello non è
la mente, ma solo il suo strumento operativo. Questa mappa raffigura il cervello visto dal basso, inserito
in sovrimpressione nel modello olistico Cyber, per metterne in evidenza l’unità funzionale e le differenti
aree evolutive.
•
L’area rossa è il ponte bulbo-cervelletto, correlata al cervello rettile;
•
L’area verde è la parte della corteccia temporale laterale che scende giù, correlata al cervello
mammifero (limbico);
•
L’area blu è la parte alta del cervello – soprattutto i lobi frontali e prefrontali – la parte più evoluta
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dell’intero sistema, correlata al cervello neocorticale;
•
L’area gialla è il talamo-ipotalamo, il centro del cervello, il centro della coscienza, appena sotto il
chiasma ottico, l’incrocio dei nervi ottici. È la parte piccola del nostro essere in cui sintetizziamo
tutte le informazioni fondamentali, un sistema dinamico capace di sincronizzare i vari livelli
d’informazione dell’intero encefalo e darne un senso unitario. Tutte le informazioni arrivano in
questa zona e da qui vanno o al cervelletto o al sistema limbico, dal sistema limbico alla corteccia
e poi… ritornano sempre qui. Un giro che definiamo il feed-back della coscienza.
Se volessimo antropomorfizzare questo livello, la parte gialla corrisponde esattamente alla zona sottodiaframmatica; la parte rossa corrisponde alla pancia; la parte verde corrisponde al cuore e alla fascia
intermedia; la parte neocorticale azzurra corrisponde al cervello umano superiore.
Il punto centrale del cuore cerebrale ritorna ad essere esattamente sul cuore fisico. Nel cervello rettile, in
basso, vi sono i centri istintivi-motori sessuali; nel cervello mammifero, in mezzo, vi sono i centri
emozionali-affettivi; nel cervello umano, la neocorteccia in alto, vi sono i centri cognitivi-intellettuali,
razionali-intuitivi. Ma il centro dell’essere è comunque dove noi ci segniamo con la mano quando
diciamo “io”, sul cuore.
Riportare tutto al centro dell’essere: la I^ Tavola delle Equivalenze Psicosomatiche
La prima tavola delle Equivalenze Psicosomatiche rappresenta l’unità del sistema cervello-mentecoscienza. Ci ricorda che: il centro funzionale energetico-informatico del cervello si posiziona nella zona
centrale encefalica: il talamo-ipotalamo, che sincronizza le tre parti del cervello e del corpo e le due
polarità neuropsichiche.
Nell’area talamica identifichiamo la natura funzionale del “senso d’identità” o “coscienza di sé”.
Questa mappa ci ricorda che: se il punto di coscienza centrale è attivo, tutte le parti del corpo-mente sono
in contatto con il sé, il centro dell’identità, e quindi anche tra di loro; mentre se il centro è addormentato o
chiuso ogni parte sarà a sé stante, senza un centro realmente operante, e la persona si sentirà isolata,
frammentata, divisa. È il modello dell’unità della complessità e del centro. Questa prima mappa,
volutamente semplificata, è fondamentale per capire come nell’essere umano si può immediatamente
riconoscere il primo blocco: il vuoto del centro dell’essere.
La persona che abbiamo davanti è tutta di testa, tutta di emozioni, tutta fisica, oppure è integra tra tutte le
sue parti? Il campo della persona è coerente, armonico, oppure no? La persona ha o non ha un centro di
autoconsapevolezza? Ha un’identità? Ha una sua forza interna? È una forza mentale, una forza egoica,
una forza d’identità strutturata oppure ha veramente un centro di profondità? Sente veramente di vivere la
sua vita?
Da questo blocco centrale nascono tutti i principali blocchi e disturbi, cioè nasce la frammentazione del
nostro essere. Così, in modo assolutamente semplice, ci ricordiamo anche il punto essenziale del
counseling olistico: quello di riportare ogni elemento al centro dell’essere, ossia di risvegliare
l’esperienza dell’essere. Avremo - per quanto riguarda la totalità dell’essere - persone che saranno
parzialmente prive di questa percezione centrale, di questa coscienza centrale dell’intero essere: avranno
poco contatto tra il sé ed il corpo, non sentiranno il corpo, non sentiranno i limiti del corpo, non saranno
in contatto con la loro forza, le energie fisiche-mentali-emozionali-biologiche-sessuali non saranno fluide
tra loro. Avremo persone che non hanno il contatto tra l’identità centrale e la parte emozionale, quindi
con il cuore chiuso; avremo persone che non hanno contatto con la parte intellettuale; altre persone che
hanno la parte fisica estremamente radicata e forte, sono fisiche e legate ai bisogni primari (cibo e sesso).
Avremo persone che vivono essenzialmente sul piano emozionale, quindi completamente perse nel
mondo delle relazioni affettive. Infine persone che hanno optato per la mente e sono completamente perse
nella testa: ogni cosa viene fatta attraverso il pensiero, nell’amore e nell’amicizia pensano, vivono il
corpo e pensano.
19
La polarità maschile-femminile: la II^ Tavola delle Equivalenze Psicosomatiche
Uno degli aspetti importanti del cervello è la dualità: la complementarietà funzionale e psicologica tra i
due emisferi. Una metà del cervello è maschile ed una metà femminile, e fra le due parti, se scorre bene
l’energia, si crea l’unità, il piacere. Due aree diverse con funzioni molto differenti che vengono sempre
integrate. L’emisfero sinistro è dominante nei processi linguistici, è specializzato nei processi che
richiedono logica, razionalità. L’emisfero destro è dominante nei processi visivi, è specializzato nel senso
della bellezza, nell’intuizione, fantasia e abilità artistiche.
Questa dualità così unitaria e complementare ci riporta, per analogia, alla cellula uovo fecondata che darà
vita a tutto il nostro essere, dove i cromosomi materni e paterni, e quindi le energie del DNA femminile e
del DNA maschile, si intrecciano. Già la prima unità contiene, quindi, gli aspetti complementari del
maschile e del femminile.
La mappa rappresenta un altro dei capitoli importantissimi della polarità psichica, maschile/femminile. In
altre parole le zone fisiche del cervello corrispondono alle zone psichiche-emozionali del cervello. Ogni
area del cervello è come se fosse una mente, una psiche, un’anima che la anima e la fa crescere. Quando i
mammiferi si sono sviluppati sui rettili, hanno sviluppato una parte che era già presente nei rettili, ma gli
hanno dato più spazio, più elaborazione.
Questa mappa integra le funzioni dei due emisferi destro e sinistro del cervello, con i due sistemi polari
simpatico e parasimpatico del sistema nervoso autonomo, associandole alle polarità energetiche yin e
yang dello shen di milza e fegato della mappa taoista e della parallela polarità maschile e femminile dei
centri energetici Surya/solare e Chandra/lunare e dei canali Ida e Pingala della mappa yogica-tantrica.
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L’attività dell’emisfero sinistro/maschile/razionale, corrispondente alla parte destra del corpo, è correlata
con l’attività del sistema simpatico/attivo/yang, che viene sostenuto dall’energia calda attiva dello Shen
del fegato (a destra), corrispondente al Surya Chakra, centro solare della tradizione yogico-tantrica.
L’attività dell’emisfero destro/femminile/intuitivo, corrispondente alla parte sinistra del corpo, è correlata
con l’attività del sistema parasimpatico/recettivo/passivo/yin, sostenuto dall’energia tiepida femminile
dello Shen della milza (a sinistra), corrispondente al Chandra Chakra, centro lunare della tradizione
yogico-tantrica.
Tutti gli organi (reni, polmoni, testicoli, ovaie) sono speculari, tranne il fegato che è sulla destra, il centro
yang/maschile, e la milza, a sinistra, l’energia femminile. Sono gli unici due organi del corpo che non
hanno una polarità.
Di fronte ad una persona ci dobbiamo chiedere: “I due sistemi sono in equilibrio? La persona è integra
nelle sue polarità o ha un lato maschile/femminile in eccesso o in difetto? Questi due sistemi sono polari
come una coppia che si ama? Il cervello funziona nei suoi emisferi maschile e femminile come una
coppia le cui energie circolano armonicamente? Le energie sono fluide nel corpo e nella mente o sono
interrotte? Quanto sono fluide? Quanto sono interrotte? Totalmente, parzialmente? È una persona che
vive in uno stato di eccitazione o di apatia, è sempre troppo attiva o è troppo passiva? Ha la mente troppo
razionale o troppo intuitiva? Funziona di più il fegato o la milza? Queste attività sono in equilibrio o sono
differenziate? Sono ben differenziate e armoniche o ben differenziate e schizofreniche?”
Quando vediamo una persona, quindi, la prima domanda da porsi è quanto è frammentata; la seconda
domanda è relativa alla polarità maschile/femminile: quanto questa persona è polarizzata o depolarizzata
su queste due energie, quanto sono fluide, quanto ha appreso dei modelli vecchi e li ha incorporati e
quanto invece ha fatto una sintesi e vive in equilibrio.
I tre cervelli e le tre energie psichiche: la III^ Tavola delle Equivalenze Psicosomatiche
21
Questa tavola riunisce i dati relativi alla triplice divisione dell’essere umano. Riunisce ed integra le
funzioni relative ai tre foglietti embrionali, ai tre cervelli e alla tripartizione umana (testa/torace/pancia),
in un modello psicosomatico coerente, in grado di recuperare la mappa taoista dei tre tan-tien e quella
yogico-tantrica dei centri. Partendo dal concetto di unità olografica del cervello, ipotizziamo che i tre
cervelli – rettile/istintivo, mammifero/emozionale, mentale/sensoriale – siano connessi con le tre parti del
corpo umano – addome, torace, testa - che identifichiamo come le aree somatiche dove si manifestano le
attività specifiche dei tre foglietti embrionali – endoderma, mesoderma, esoderma.
Se la persona ha perso il suo centro, non ha più l’integrazione del cuore come profondità tra testa, cuore e
pancia. Il sé (la parte centrale gialla del cervello) non riunisce più il mentale, l’emozionale, il
fisico/biologico e si hanno le grandi divisioni. La prevalenza di una di queste tre energie nell’essere
umano genera una specifica tipologia. Queste tre strutture corrispondono perfettamente al concetto di
Gurdjieff di uomo numero uno, due e tre: fisico, emozionale, mentale.
La terza tavola permette di interpretare l’essere umano come un sistema globale di comunicazioni,
differenziato in tre principali reti energetico/informatiche interconnesse, che operano con differenti
specifiche funzioni nel mantenimento dell’armonia globale. I tre principali blocchi di comunicazione tra
il cervello umano, il mammifero ed il rettile, sono somatizzati ai blocchi tra la testa, il cuore e la pancia.
Questi sono i tre blocchi principali che riflettono la “schizofisiologia” quotidiana, vale a dire le difficoltà
di comunicazione tra la mente razionale/intuitiva, il piano sentimentale/emozionale e quello
fisiologico/istintivo.
La terza tavola della psicosomatica ci permette di vedere con relativa facilità quanto una persona è nei
propri istinti (quindi ha più sviluppato il cervello rettile), nelle proprie emozioni (maggiore sviluppo del
cervello limbico), nelle proprie logiche (maggior sviluppo del cervello mentale). La mappa ci evidenzia
come le persone, dalla nascita, possono essere geneticamente equilibrate fra le tre aree/funzioni o
svilupparne una in particolare dando luogo a specifiche strutture di personalità (Mappa PNEI).
Le tre aree (fig.19 del testo Psicosomatica Olistica) furono identificate da un neurofisiologo, Paul
MacLean, che sin dall’inizio scoprì che, nell’essere umano, non sono in contatto armonico tra di loro.
MacLean parlò di schizo-fisiologia del sistema nervoso. Queste tre grandi funzioni sono come delle
“neuro-personalità”, tre grandi energie psicosomatiche che non sono vissute in modo naturale e fluido, ma
sono inibite, bloccate, squilibrate o iperstimolate.
Le persone sono troppo “fisiche” o “di pancia”, se sono troppo istintive;
sono troppo “di cuore” se sono molto emozionali;
troppo “di testa” se sviluppano molto il polo mentale.
Queste tre categorie corrispondono a delle iper-attività o a delle inibizioni dei tre cervelli.
Le tre parti del cervello corrispondono alle tre parti del corpo umano:
· cervello rettile/istintivo – pancia/gambe
· cervello mammifero emozionale/circolatorio – cuore/torace
· cervello mentale/intellettuale - testa
Pancia: il cervello rettile/istintivo→Sede delle funzioni primarie, vitali. Connesso con il sistema
metabolico, ossia produttore di energia, rappresentato psicosomaticamente dall’addome, in cui troviamo
la maggior parte degli organi derivati dal foglietto interno, l’endoderma. Il cervello rettile è descritto
come il centro di integrazione di una rete di informazioni istintivo/metaboliche, caratterizzato da un
livello di coscienza primitivo/pulsionale, associato agli istinti primari. Corrisponde al secondo chakra
22
della tradizione yogico-tantrica, al centro Hara della tradizione giapponese, al Tan Tien inferiore sede di
Ming della tradizione taoista. Vi confluiscono i canali energetici yin della parte bassa del corpo (punti 4-6
di Vaso Concezione).
Torace: il cervello mammifero/emozionale→Associato ai sistemi circolatorio/immunitario, osteo/
muscolare e sessuale derivati dal foglietto intermedio, il mesoderma. Psicosomaticamente è rappresentato
dal torace, sede del cuore. Il cervello mammifero può essere considerato il centro di integrazione della
rete circolatoria, connessa con l’aspetto emozionale/affettivo del sistema limbico. Corrisponde al quarto
chakra dello yoga e al Tan Tien medio sede di Hsing. Vi confluiscono i canali energetici yin e yang (punti
17-19 di Vaso Concezione).
Testa: il cervello umano/mentale→Rappresenta il centro di elaborazione del sistema sensoriale derivato
dal foglietto esterno, l’esoderma, che governa il pensiero e la coscienza. La neocorteccia rappresenta il
centro di integrazione della rete sensoriale/informatica che è preconscia e conscia. Corrisponde al sesto
chakra (terzo occhio) e al Tan Tien superiore sede di Hui. Vi confluiscono i canali energetici yang (punti
19-22 di Vaso Governatore).
La figura (dal testo “Psicosomatica Olistica”) raffigura, secondo la tradizione taoista, la mappa dei tre
fornelli o tre riscaldatori:
·
·
·
il fornello Tan-Tien inferiore, nell’addome, dove risiede il polo vitale e la sessualità.
il fornello Tan-Tien intermedio, all’altezza del cuore, dove dimora il senso dell’essere.
il fornello Tan-Tien superiore, nel centro della testa, chiamato anche Tao o Dao, il sé spirituale.
Una delle considerazioni importantissime per la professione di Counselor è quella di comprendere il
benessere come “piacere di essere”, sensazione generata dall'endorfina.
23
Le aree raffigurate in viola sono le aree del cervello dove maggiormente viene prodotta endorfina. Le
zone del talamo e ipotalamo sono tra le due maggiori produttrici. Come dire, quando il funzionamento di
questa parte centrale del cervello è ottima, il cervello produce endorfine che danno la sensazione del
piacere di esistere.
Il talamo/ipotalamo è una zona immutata sia nel cervello rettile che nel cervello mammifero che nel
cervello umano. Tutti gli animali, tutte le specie, tutte le cellule producono endorfine, tutto produce
“senso di piacere”.
Tutti gli animali hanno un centro di coscienza, basti pensare che l’ipotalamo pesa 4 grammi in tutti gli
animali superiori, compreso l’uomo, dove gestisce il 90% delle sue funzioni di neurointegrazione globale.
Non è mai stato modificato. È come un centro di soggettività che rimane assolutamente uguale. Cambia
leggermente il numero di connessioni, di complessità, ma la struttura è uguale. È come dire, la coscienza
di sé è uguale per tutti. La coscienza di un uomo o quella di un rettile non cambia. Tutti gli animali,
quindi, hanno il sé, ma non hanno l'auto-coscienza di sé. Il rettile ha solo il cervello rosso, i mammiferi
hanno solo la parte verde, più una piccola parte blu. Quando invece la parte blu si sviluppa, come
nell’essere umano, l’informazione gira dalla corteccia all’ipotalamo e dall’ipotalamo alla corteccia. Si
dice, in cibernetica, che diventa un “flusso di informazioni ricorsivo” e “autoreferente”. Le informazioni
diventano operative. Si viene a creare un feedback di conoscenza e di autoconoscenza.
Rapportandoci alle mappe, osservando il cervello umano, possiamo vedere il processo di evoluzione dal
rettile come un’energia che passa e che ritorna sempre a trovare il proprio centro. Tutto il sistema nella
sua complessità ha un unico centro di coscienza, a cui arrivano e da cui ripartono tutte le informazioni. Il
movimento del campo elettromagnetico dal centro va all’esterno e ritorna giù a spirale. Il campo
elettromagnetico umano, dalla testa ai piedi, va esattamente nello stesso senso, continua a girare e non
solo all’interno, ma anche all’esterno. Ciò che noi chiamiamo aura, il campo elettromagnetico intorno
all’essere umano, viene studiato esattamente come una forza che continua a girare. Le informazioni
girano e continuano ad arrivare alla coscienza. ‘Io sono tutte le informazioni che ho e che ritornano al mio
centro’. Non si deve dimenticare che ognuno di noi era un’unica cellula che si è differenziata nei tre
sistemi, i tre foglietti embrionali, così come la luce si differenzia in rosso, blu e verde, i tre colori
fondamentali. I tre sistemi nascono dall’unità e rimangono unità.
La terza mappa serve a verificare velocemente quali sono le energie preponderanti o più represse.
Osservando una persona si può capire se è in equilibrio fra i sistemi.
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Di fronte ad una persona dobbiamo chiederci: “Quanto è in equilibrio fra queste aree? Quanto è mentale,
‘di testa’? Quanto è ‘di cuore’, quanto è se stessa nelle proprie emozioni? Quanto usa il cervello rettileistintivo? Quanto è ‘di pancia’?”
Si può vedere quanto la persona ha inibito i suoi istinti. Se le si chiede quante volte ha esternato la sua
rabbia, risponde che non lo fa mai ed elenca una serie di motivazioni che la portano a contenersi. Se le si
chiede se si lascia andare nella vita sessuale, risponde che arrivata a “quel momento” blocca tutto.
L'energia va tutta nella testa, tutto il calore fisico sale alla testa e viene inibita la parte bassa. I Cinesi sono
esemplari in questo, lo yang deve essere basso, i piedi caldi, le gambe solide.
Per alcune persone la parte bassa non ha importanza, hanno sviluppato maggiormente la parte intermedia.
Sono attratte dal sentimentalismo e dal pettegolezzo, non hanno sviluppato la propria vita e vivono la vita
degli altri, non usano la testa ed invidiano quella di un altro. Il livello intermedio delle emozioni è in
realtà bloccato e tutto esteriorizzato: vivono attraverso gli altri. I blocchi emozionali si vedono
istantaneamente, le persone non comunicano. Hanno normalmente la bocca stretta, spalle strette, la
struttura di comunicazione è controllata. A volte, diventando vecchi, la bocca diventa rugosa e contratta:
come la bocca hanno chiuso la vita.
Le persone ipereccitate nella testa studiano molto e dopo pochi mesi dimenticano il 95%; c’è iperattività
mentale, ma la testa è aperta? Il pensiero è libero o anche sul pensiero c’è stata inibizione? Molte persone
credono di non essere intelligenti, non hanno il coraggio del proprio libero pensiero, non hanno
l’intelligenza negli occhi, si nascondono, guardano basso, pensano di essere non adeguati. Con la scusa,
ad esempio che non hanno studiato. Non è affatto vero. È una convinzione, magari inculcata dai genitori,
dalla scuola, da un’istituzione.
Una persona equilibrata dovrebbe esprimere tutte le potenzialità: pensare, sentire, comportarsi
istintivamente in modo equilibrato; tuttavia sappiamo che questo non è nella natura del nostro mondo
occidentale e così come nel cervello ci sono delle frammentazioni, così nel corpo ci sono le grandi
fratture psicosomatiche. In tal modo una persona invece di sentire quello che è giusto, pensa a quello che
dovrebbe essere giusto. Invece di sentire con il corpo quello che vuole, pensa per sentire quello che vuole.
Ogni volta che segue un istinto o un’emozione, la mente interviene col controllo o col giudizio e
l’emozione le va in testa, e la persona invece di provare emozioni, invece di agire spontaneamente,
continuerà a pensare. Bisogna distinguere tra le piccole informazioni razionali che ci aiutano a vivere
bene e l’iperattività mentale che condiziona ogni cosa. Anche quando vogliamo entrare nella sessualità,
restiamo nella testa e non ci lasciamo andare, non viviamo una buona sessualità. Anche quando
vorremmo colpire qualcuno che ci ha fatto del male entra il “Super Io” della testa che blocca le emozioni
ed i comportamenti. La rabbia non viene esternata e brucerà come risentimento nel fegato, appesantirà il
cuore e dopo un po’ che la reprimiamo andrà in testa ed esploderà. La testa continua a funzionare
incessantemente, non viviamo le emozioni e la gioia del corpo, non abbiamo nessuno schema reale di
soddisfazione. Dal sesso alla meditazione, le cose belle che facciamo permettono realmente di rilassarci,
di aprirci anche “in basso”.
Questa mappa aiuta a comprendere, fisicamente ed emozionalmente, dove è il centro primario della
persona, e quindi dove riequilibrarlo, dove agire per ribilanciare. Se una persona è troppo “materiale” è
necessario spiritualizzarla, se è troppo “alta” occorre concretizzarla. Ai ragazzi tutti “di testa”, è
consigliabile spingerli all'attività fisica: il corpo fisico man mano si allarga, la pancia si riapre, la testa va
dentro le gambe.
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La Mappa delle Energie Psicosomatiche Essenziali
La Mappa Psicosomatica Essenziale rappresenta la sintesi della tradizione yogica e taoista classica
dell’antichità. Entriamo nel vivo della concezione psicosomatica. Questa mappa descrive il movimento
delle energie emozionali umane, delle varie energie-coscienza in relazione al cuore che riceve tre energie
calde dal basso (rene, fegato, milza) e tre energie fredde dall’alto (polmoni, testa, cielo).
Per creare la luce, il sé globale (parliamo dell’anima, dell'essere, dell’io profondo, non dell’ego della
testa), per avere la sensazione, che i buddhisti chiamano bhodi-citta - coscienza luminosa - abbiamo
bisogno di fondere le sette energie primarie.
I primi tre chakra sono le unità fondamentali del cervello rettile.
La prima è l’Energia rossa della Forza, viene dai piedi, dall’energia dei Reni, dall’energia ancestrale,
quella che i Cinesi dicono risieda nel Ming Men: il punto di mezzo tra i Reni, la carica vitale che è come
una pila che non potrà essere ricaricata, che terminerà con la nostra morte. Una parte della nostra Energia
potrà essere ricaricata, ma la parte di Energia ancestrale è quella che è: o c’è o non c’è. Secondo i cinesi
dipende del grado orgonomico/energetico con cui i due genitori interagiscono, con cui si amano o hanno
una buona relazione sessuale. Dall’insieme di queste forze fisiche ed emozionali interiori nasce questo
elemento energetico.
La prima Energia sale diritta dalla Terra al Cuore: è l’Energia primaria di Terra, di Reni, di forza, è il
grounding, è la forza che fa spostare con vigore nel corpo, è quella che fa sentire vivo e forte, è quella che
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ci tiene sulle gambe, che ci dà la presenza fisica, l’energia della kundalini. Nasce sotto i piedi, attraversa
la zona sessuale e arriva al cuore, dove diventa coraggio: la forza di essere se stessi. Finisce a livello
esterno sul quinto livello e poi si interiorizza e va energeticamente nel cervello rettile. Il canale associato
yang di “vescica” è doppio posteriormente, sale su per la schiena. È l’energia più carente in senso
assoluto nella nostra società. È il canale della volontà di vivere. È il senso del piacere quando mangiamo,
lavoriamo o facciamo l’amore. Se questa Energia è viva, dà calore, c’è il senso dell’identità, e la
psiche/l’anima si sente incarnata, si sente nel corpo fisico. Se questo canale è debole, è quasi assente, la
persona non ha più la parte bassa, non ha più le palle (testicoli e ovaie). È da ricordare che a livello
genetico nel feto esistono due gonadi che diventeranno testicoli o ovaie a seconda dello sviluppo dei due
sistemi: i dotti del Muller e del Wolf; se si sviluppano i dotti di Muller le gonadi si differenzieranno in
ovaie, determinando il sesso femminile; se si sviluppano i dotti di Wolf, le gonadi si differenzieranno in
testicoli, determinando il sesso maschile. Tuttavia noi abbiamo la totalità della potenzialità, le gonadi
sono uguali, tanto negli uomini, tanto nelle donne, cambia solo la loro funzionalità.
La seconda Energia è l’Energia della Milza che sale da Terra, secondo la vecchia tradizione sia
tibetana sia cinese. Prende l’energia del primo chakra, passa attraverso la milza e arriva al cuore dal lato
sinistro. È l’Energia della dolcezza, della sensualità, della maternità, senso di accoglienza e contenimento,
del lasciarsi andare, del godere il piacere delle piccole cose. È l’energia che dà calore e forza a tutte le
altre energie. È l’energia femminile per eccellenza, fondamentale nella vita. Quando c’è questa energia
c’è un’identità nel bambino che cresce. Il bambino ha bisogno di questa energia fisica, ha bisogno di farla
crescere negli anni, affinché si manifesti con pienezza, nella maturità, come integrità del sistema. È di
colore rosa-violetto, ma veicola anche le energie giallo-linfatiche della pancia.
La terza Energia della vitalità dinamica, passa principalmente dal Fegato, nasce da Terra, prende
l’energia del primo chakra, elaborandola più verso l’esterno, e la porta al cuore. È l’energia che
chiamiamo vivacità, giocosità, movimento, dinamica, intelligenza attiva, Yang. È di colore verde, a volte
arancio, o rosso se c’è rabbia.
Quando queste tre Energie sono in equilibrio tra di loro, il bambino ha il cuore aperto e vivo. Sente il
corpo fisico, sente la sua vivacità, è felice di giocare, sente la sua tenerezza, sente il calore della mamma
che lo abbraccia, è felice di lasciarsi andare. Il sistema simpatico e parasimpatico sono attivi, con scambio
armonico tra i due.
Il cuore è il centro pilota: il Cyber del sistema
Dall’alto scendono al cuore le tre energie sottili di quinto, sesto e settimo livello.
L'Energia di quinto livello, della creatività e della comunicazione, scende dalla radice del naso e si
biforca nei Polmoni; è l’Energia dell’aria, fortemente associata alla mente. In tutte le tradizioni antiche
l’aria e la mente, vento e psiche, sono quasi sinonimi. È l’Energia della curiosità, dell’intelligenza attiva,
creativa. È il bambino che scopre, conosce, si muove. Questa Energia è del quinto livello e permette alla
persona di respirare. È un’energia che alimenta fortemente il Cuore, che gli dà respiro. Il colore è azzurro,
indaco o rosato.
L’Energia Psichica di sesto livello, l’Energia della mente, della coscienza, scende dal centro della testa
(ipofisi) direttamente al cuore. Il colore è blu-indaco.
L’Energia Spirituale di settimo livello, scende dall’alto come luce viola, a volte dorata, entra nella testa
dalla fontanella e arriva al cuore sul canale centrale, connesso al primo livello.
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Quando la persona vive integralmente, le sette energie sono armoniche tra loro ed il cuore trasmette vita a
tutto il corpo, connettendo la pancia (II^, III^ chakra) alla testa (V^, VI^ chakra), mentre il I^ chakra si
connette al VII^ sul canale centrale-posteriore. I sette colori sono coerenti tra loro, si uniscono e
producono un’unica luce. L’organismo diventa un “corpo di luce”, realizzando il Cyber.
Questa mappa rappresenta uno schema semplificato biologico o neurobioenergetico per interpretare in
modo corretto le patologie psichiche e le alterazioni, da quelle leggere a quelle più gravi. Nelle situazioni
più gravi c’è una rottura degli equilibri, nelle situazioni lievi c’è un momentaneo squilibrio.
I processi psichici, a livello energetico, sono stati studiati con un discreto livello di conoscenza già 3000
anni fa in Cina, in Tibet e nell’Ayurveda, le tre più importanti discipline di psicologia olistica.
Nel “Ching Su Wen”, un trattato di medicina cinese di 2000 anni fa, è riportato un lavoro di
bilanciamento dell’energia a livello psichico. Il dottore visita la figlia dell’Imperatore, inappetente e
chiusa, e sentendole i polsi comprende che ha un Cuore chiuso e un intasamento della Milza. La Milza è
andata in chiusura, è scarica, perché l’apporto affettivo è stato scarso e quindi non è arrivata energia
affettiva al Cuore. Da questo nasce la depressione, il rimuginamento, l’ossessione. Il dottore, facendola
arrabbiare (era sufficiente darle del “tu” invece di chiamarla Sua Altissima Santità), le cambia l’energia,
facendola muovere dall’energia femminile (interiorizzata, introversa e chiusa) a quella maschile (attiva,
esteriorizzata) salvandole così il Cuore.
I sette livelli di nutrimento dell'essere e dell'identità
Quando il bambino nasce ha bisogno di mangiare, di dormire, di stare al caldo, altrimenti muore: primo
chakra. Ha bisogno della mamma che gli vuol bene, lo accarezza e gli dà il seno con amore: secondo
chakra. Ha bisogno di vivere la sua vita, andare in giro, esplorare, conoscere, farsi anche del male, sentirsi
libero, sentire che ce la può fare: terzo chakra.
Se questa energia verde intenso non viene bloccata diventa l’energia vitale, del conoscere, del fare, del
prendere iniziative. Quindi è un livello meno intimo, più rivolto all’esterno.
Il bambino ha bisogno di essere amato, quindi il cuore è la base. Il cuore è un’energia verde chiaro a volte
giallo dorato. Il cuore è l’unico organo che ha due funzioni, due livelli: quello più esterno dell'amore e
quello più interno dell'identità. Prendiamo il cuore normale: la funzione è che il bambino deve sentirsi
amato, cioè riconosciuto per quello che è. Non è un amore condizionato. L’amore condizionato è il
veleno del cuore “ti amo solo se fai quello che dico io”. In tal caso il bambino non si sente amato e chiude
il cuore. Il cuore è un punto centrale che fa girare tutte le energie.
Il bambino sin dall’inizio parla, comunica. E la comunicazione è fondamentale. La comunicazione inizia
ancor prima della nascita. Comunicazione, ascolto, empatia, contatto, presenza: quinto chakra.
La comunicazione in tutte le discipline energetiche antiche è anche il veicolo della mente, il sesto chakra.
La voce, quinto chakra, è il comunicatore del sesto, la mente. Per i tibetani, i cinesi, attraverso l’aria si
comunica l’intelligenza, attraverso la voce si comunica il sesto chakra.
Dietro la domanda: “Perché esisto?” c’è il settimo chakra.
Quando al cuore arrivano tutti e sei gli altri livelli, va in profondità. Si apre la dimensione globale che noi
chiamiamo l’Essere. Che è un io libero, sono io, io esisto, io vivo tante cose e mi sento me stesso. Il Sé va
in profondità. Il Sé si connette con gli altri chakra, soprattutto con il settimo. E a volte prende anche
un’energia ancora più profonda ed impersonale, si connette con il primo, entra nella materia.
Vediamo in dettaglio le 7 energie essenziali:
1 - Il Sé del bambino deve ‘nutrirsi’ innanzitutto delle energie basilari della sopravvivenza: la forza
protettiva del padre e la sicurezza rilassata data dalla madre (mediate dalla serotonina). Deve crescere con
la sensazione di sentirsi fisicamente forte e sicuro, di stare bene nel proprio corpo. La carenza di queste
energie, per padre assente o violento (mediate dall’adrenalina e testosterone) o madre ansiosa e tesa
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(mediate dal cortisolo e gaba), crea un ‘io’ debole, caratterizzato da paure, tendenza all’ansia, distacco
progressivo dal corpo in generale (autismo, schizofrenia), dalle gambe/addome in particolare.
2 - Il Sé del bambino deve essere nutrito dall’affetto, amorevolezza e tenerezza dei genitori (mediati
dall’ossitocina). La carenza di queste energie yin crea un ‘io’ affettivamente debole e dipendente,
tendente alla depressione e alla sfiducia nelle relazioni sentimentali.
3 - Il Sé del bambino deve essere nutrito dalla libertà di giocare e di esplorare data dalla madre, e deve
ricevere l’energia dinamica e avventurosa del padre (mediate da testosterone, vasopressina e
noradrenalina). Deve crescere sapendo di poter contare sulle proprie capacità dinamiche
sperimentandole prima con gli amici poi nella società. La mancanza di gioco crea un ‘io’ chiuso e
reattivo, incapace di sentirsi a proprio agio con gli altri, di prendere rischi, portandolo a vivere una vita
senza emozioni.
4 – Il Sé del bambino deve essere nutrito di amore e accettazione, di gioia di vivere (mediate dalla
dopamina) che riceve e condivide con i genitori. Deve crescere sentendo di poter essere così com’è. La
carenza di questa energia fondamentale crea un ‘io’ dal cuore chiuso, isolato, incapace di amare, di gioire
e sentire il senso della vita.
5 – Il Sé del bambino deve essere nutrito attraverso una costante comunicazione reale ed empatica con i
genitori e con le persone. Deve crescere sentendo di potersi esprimere e di poter ascoltare ogni
sensazione, emozione, pensiero, senza sentire giudizio o vergogna. La carenza di questa energia crea un
‘io’ introverso, controllato.
6 – Il Sé del bambino deve essere nutrito dalla conoscenza e intuizione dei genitori, deve sentirsi
apprezzato per la propria intelligenza e capacità di comprensione. La carenza di questa energia crea un
‘io’ che non si fida della propria intelligenza e intuizione, che crede in quello che gli altri dicono in
maniera acritica.
7 - Il Sé del bambino deve essere nutrito di spazi silenziosi, della sacralità delle piccole cose della vita. Il
‘riconoscimento spirituale’ è l’energia più importante per il nutrimento del Sé. Se i genitori vivono una
reale (non ideologica) spiritualità, il bambino si sentirà riconosciuto come anima, spirito libero, e crescerà
nella percezione del lato profondo di sé e della vita. La spiritualità è mediata dalla coerenza tra
serotonina, endorfina e dopamina. La carenza di questa energia crea un ‘io’ che si identifica con
l’aspetto superficiale o culturalmente accettato delle cose, e non sente il proprio sé profondo.
Una piccola parentesi…. Una volta feci una intervista ad Osho e gli chiesi del modello olistico in
psicologia. Mi parlò del sé centrale, di tre livelli dell’inconscio più in basso e di tre livelli del
superconscio più in alto. E mi disse: “Quando scendi ti ricordi delle tue vite passate, prima umane, poi
anche animali”. Il difficile, disse Osho, è entrare nell’inconscio cosmico, quello della materia.
“E sopra i tre livelli. Di autoconsapevolezza di te, di autocoscienza spirituale non solo della tua anima ma
anche del mondo delle anime attorno a te. Quindi la visione sottile, la presenza, i maestri, fino ad aprire
ancora di più: il Dio di tutte le cose. Il grande spirito dell’universo è lì, è un salto infinito. Queste sono le
nostre potenzialità”.
La sede della coscienza
La coscienza, psicosomaticamente (come percezione diretta), ha sede nel Cuore e, parallelamente (neurociberneticamente), ha sede nel centro del cervello, che prende coscienza dello stato dell’essere attraverso
il Cuore, il centro tra la testa e la pancia.
Quindi, quel punto che abbiamo visto essere il Cuore del cervello, nel corpo corrisponde al Cuore fisico.
Sono due punti in totale parallelismo, in totale equilibrio. Quindi, se l’intelligenza viene sviluppata, se
l’occhio vede la mamma e riceve amore, se la mamma respira e gli dà vita, se è affettuosa, se c’è una
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giocosità, se c’è una percezione del corpo fisico, il bambino cresce naturale.
La mamma con un blocco di primo chakra, non ha tanto radicamento nel corpo, appartiene alla tipologia
“di testa”, non è fisica, trascura o abbandona i figli. Questo aspetto lo troviamo in tutti gli animali
soprattutto i superiori.
I gatti, invece, hanno una mamma che c’è. Nella gatta il Rene fa scattare le surrenali, in caso di pericolo
tira una graffiata negli occhi e ti acceca. Questa Energia dell’aggressività è una presenza. Anche una
scrofa quando è gravida è pericolosa, questo centro è vitale. Mentre i piccoli fanno partire
istantaneamente queste energie – i cuccioli hanno sempre spazio per giocare, vivacità e tenerezza – la
mamma non li perde mai di vista.
Già negli animali inferiori questo tipo di equilibrio può essere devastato. Ho fatto un esperimento molto
interessante. Avevo due galline, una bianca e una nera. Quella bianca era simpatica e amorevole, la
gallina nera era isterica e nervosa. Fecero due nidiate in una stalla - in due ceste diverse - ma alcune uova
furono mischiate, per cui quando nacquero i pulcini alcuni erano scambiati. Se qualcuno si avvicinava la
gallina bianca era tranquilla, mentre la gallina nera mandava segnali ai pulcini che scappavano. I pulcini anche quelli neri - che erano stato allevati dalla gallina bianca erano tranquillissimi; i pulcini - anche
bianchi - che erano stati allevati dalla gallina nera erano isterici. Per noi il punto fondamentale è che
queste Energie, che dipendono anche da centri cerebrali ben precisi, possono essere alterate. Se mamma
gatta muore, e quindi viene a mancare tutta la parte di tenerezza e dolcezza, i gattini vanno a succhiare i
vestiti perché non hanno avuto o non è stato soddisfatto il riflesso della suzione, non è stato concluso, per
cui per tutta la vita avranno un bisogno affettivo (sono diventati orali) e continueranno a ciucciare il latte.
Oppure mamma gatta è troppo nervosa e aggressiva e li fa diventare troppo aggressivi, oppure la gatta
non lascia giocare i piccoli. Nel caso della gallina nera che non lasciava andare i suoi pulcini fuori, l’asse
prevalente del Rene era sulla paura, non sulla forza. Quindi ipertensione: i pulcini non giocavano, non si
godevano la loro vita con pienezza.
Shen: il cuore e l'anima emozionale degli organi
Già nel regno animale abbiamo un’infinita serie di esempi di alterazioni delle energie psichiche primarie.
Queste Energie vengono chiamate dai Cinesi “Shen”, gli spiriti, le anime degli organi. Lo spirito centrale
è sul Cuore, è quello a cui arrivano tutte le anime del corpo, così come al centro di coscienza del cervello
arrivano tutte le informazioni del corpo. Dobbiamo capire che l’anima del Cuore vive realmente e
cresce solo se viene nutrita da tutte le anime somatiche. L’Imperatore, simbolo del cuore centrale, vive
ed è potente se riceve nutrimento, denaro, forza da tutto l’insieme del regno. Se ne riceve poco, diventa
debole. Se ne riceve pochissimo, può collassare.
Questo processo lo possiamo rivedere nell’immagine della Mappa Psicosomatica Essenziale:
Il Centro del Cervello della Percezione Globale dell’Essere, è a metà tra la destra e la sinistra, tra davanti
e dietro, l’alto e il basso, dove i Cinesi o le tradizioni tibetane fanno arrivare tutti gli Shen. La chiamano
la Stanza della riunione delle Anime, le anime dei vari organi.
A livello psichico immaginiamo questo come il centro del cervello: la parte corticale, la parte intermedia
emozionale, la parte più istintiva. Tutte queste energie devono arrivare in questo punto per produrre una
percezione intelligente dell’essere. Se una persona non riceve le Energie basse sarà una persona senza
corpo, senza radici. Ciò che noto di più nelle persone è la totale scarsità di energia nelle mani, sia nella
comunicazione che nella stretta. Talvolta sono mani grassocce, sudate, come se non ci fossero o come se
fossero delle pinze, delle cose esterne. A volte, invece, si dà la mano ad una persona e si sente la persona,
parla con il chakra della mano, è nel Cuore. Sembra che i canali arrivino proprio al palmo della mano. Ma
se questo Cuore è debole, perché l’energia del Cuore viene frammentata a livello di spalle-gomito-polso,
abbiamo questa forte alterazione.
Si viene a creare, quindi, proprio sulla zona del Cuore un’interferenza fortissima che ha un parallelo
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anche meno evidente sulla testa. Ci sono due punti sul Ren Mai relativi al Cuore: il punto psicosomatico
del Cuore, quello emozionale, è sulla linea mediana tra i due capezzoli. Noi posizioniamo il Cuore,
invece, a livello energetico, leggermente più in alto, 2 o 3 cm più su, che corrisponde proprio alla radice,
all’anima, all’essenza del Cuore. È l’area del sé.
A livello di pancia si riuniscono i 7 meridiani Yin principali: tre da una parte e tre dall’altra che salgono
dalle gambe, più il meridiano di Vaso Concezione che passa nel mezzo. È la zona della vitalità, il punto
evidente di una carica enorme. L’altro, a livello cerebrale, al centro della testa a cui arrivano i vari
meridiani del Tan Tien Superiore.
Piacere, paura e inibizione del cervello istintivo
Facciamo una brevissima riflessione sulla crescita umana dei tre cervelli.
Il cervello inferiore è quello della vitalità, essenzialmente orientato alla sopravvivenza di sé: “io esisto e
voglio sopravvivere”. Ci sono alcuni passaggi fondamentali, in cui l’energia del Rene e delle surrenali
sono fondamentali: attacco o fuga. Se è più piccolo di me, lo attacco e lo mangio; se è più grande di me,
scappo e mi salvo la pelle; se non posso fare niente mi abbandono e mi lascio andare, vado in inibizione
dell’azione e perdo completamente la funzione degli istinti, perché non posso più fare niente. La gazzella
scappa con tutte le forze, ma se viene presa si butta a terra, è inutile scappare, tanto vale morire in fretta,
non c’è più niente da fare, c’è il collasso delle funzioni. Il collasso delle funzioni del cervello rettile è
comunissimo (l’insetto, invece si finge morto per istinto di sopravvivenza: viene mangiato solo se si
muove).
Negli esseri umani questo processo è comunissimo nei contesti di inibizione dell’azione. A livello
neurofisiologico è stato studiato da Henry Laborit che ha osservato come i topi, per sopravvivere in una
gabbia divisa in due e data elettricità a mezza gabbia, saltavano nella metà opposta, per non prendere la
corrente. Poi, venivano elettrizzate entrambe le parti della gabbia ed i topi saltavano da una parte all’altra
cercando di capire dove non ci fosse elettricità. Fino a che si fermavano, come privi di vita, e non
reagivano più. Noi umani abbiamo esattamente la stessa funzione. Esistono specifiche caratteristiche nelle
persone che hanno delle strutture di carattere date dalla non-reazione. Di questo ne parliamo in
Accademia quando diciamo che hanno così tanto proiettato valori di paura o di arroganza sui genitori, il
prete, Dio, “Io non posso agire”, che anche quando si fa loro del male, non reagiscono. Quando incontro
questo tipo di persone faccio in modo di farle reagire. Normalmente una delle cose che faccio è di
spingere nel punto del diaframma, che spesso fa molto male. Quando vogliamo stimolare la respirazione
di una persona, dobbiamo schiacciare questo punto, la persona sblocca il respiro, le si apre il diaframma.
E dato che la compressione bassa è essenzialmente diaframmatica ed i Reni sono sotto-diaframmatici e
retroperitoneali, in questo punto si va proprio a stimolare quella zona di azione, si cerca di rimettere in
moto la reazione. Inizio a schiacciarlo e chiedo: “Qui, ti fa male?” Queste persone non reagiscono e
soffrono anche se faccio male. Allora insisto dicendo: “Adesso spingo più forte... “ e hanno una lieve
resistenza. E chiedo: “Allora ti fa male”? “Sì, sì un po’.” A quel punto spingo più forte e loro iniziano a
dire: “No, no, per piacere non mi faccia male.” Io faccio di tutto per mandarli in reazione e quando
finalmente iniziano a reagire, scatta l’inibizione del centro dell’istintività.
E glielo rifaccio fin quando loro non lo imparano. “Nessuno ti deve fare del male. Non accettare che
nessuno ti faccia del male!! Se qualcuno ti fa del male, non è più tuo amico”.
Se si fa del male ad un cane, anche se è il proprio cane, prima azzanna delicatamente ringhiando come per
dire “Che cosa fai? Guarda che ti mordo“, poi, se si continua a tenere la presa, guarda ringhiando ancora
di più, finché morde. Io l’ho sperimentato: quattro punti sulla mano. Era un cane sano!
I rettili quando crescono hanno un’energia estremamente forte per la vitalità. La vitalità è esattamente
quello che si vede nel mondo contemporaneo che, a mio avviso, dovrebbe essere chiamato il mondo
tecno-rettile. La parte razionale del cervello ha totale supporto dall’energia del cervello rettile. L’energia
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del cervello rettile è: mangiare, avere potere, avere territorio. Le multinazionali hanno l’estensione del
cervello rettile, cioè territorio, potere e se mai, meglio abuso che non il contrario. Meglio avere qualcuno
sotto che non sopra. Se posso schiacciare qualcuno, mi sento più forte e più sicuro. Quindi, questo centro
istintivo è quello che stimola ad arrivare al vertice della gerarchia - il maschio alfa - il che significa che
“io sono più cattivo di te, sono più grosso e più potente di te, ti metto sotto, ti massacro e quindi prendo le
femmine del gruppo, perché io sono il maschio migliore, quindi ho la genetica migliore”. Questo è legato
alla riproduzione, ma avviene anche all’interno di strategie fortemente di sopravvivenza, mentre invece
nelle società dove non c’è così bisogno di sopravvivenza, questo tipo di gerarchia si affievolisce, si
orizzontalizza. Quando parlo di società con maggiore o minore senso di sopravvivenza, mi riferisco al
fatto che laddove non c’era cibo, la sopravvivenza psichica di una società era fortemente orientata ad un
comportamento rettile ed ai bisogni primari. Dove non c’è da mangiare, si devono creare dei piccoli clan
per avere un minimo di forza e sopravvivenza. Quando invece si ha abbondanza di cibo tanto da buttarlo
via, non c’è più un orientamento alla sopravvivenza ed i livelli più alti iniziano a prendere prevalenza e
diventano più importanti. Quindi far ‘vivere’ il bambino, là dove c’è cibo in abbondanza, significa badare
ai lati più alti del suo essere.
La comparsa del cervello mammifero è la comparsa di un elemento caratterizzato dalla necessità di far
evolvere di più nel tempo ed in complessità i figli. Quindi, mentre i figli dei rettili vengono partoriti vivi o
escono dalle uova, nei mammiferi la prole è la società, è l’estensione del “self” non solo come “sé”, ma
come gruppo, figli, compagno, piccola società vista come “self-extension”. L’estensione del sé
all’entourage è assolutamente fondamentale, permette una maggiore complessità, una maggiore
evoluzione che ha dei tempi necessariamente più lunghi. Il cervello mammifero può inibire le funzioni del
cervello rettile. Quindi, la mamma che non ha cibo si depaupera per dare il latte ai figli. A volte mette a
rischio la propria vita per far vivere la prole. Ciò vuol dire che va contro la prima legge della
sopravvivenza, dell’autoprotezione di sé.
Nel cervello mammifero: “io sono vecchio, preferisco eliminare me e far vivere i miei figli, perché hanno
più probabilità di portare avanti me stesso in senso esteso”. È molto intelligente. Il cervello mammifero è
fortemente basato sulla comunicazione. Il cervello rettile invece ha tre tipi di meccanismi: il primo è la
paura, il secondo è l’aggressività-territorialismo, il terzo è il sesso. A questi meccanismi sono associati tre
differenti messaggi (conquista dell’altro sesso, apertura del territorio, allarme in caso di minaccia).
Il cervello limbico degli affetti e dell'amore
I mammiferi riprendono questi messaggi e li rendono estremamente più complessi. E non si tratta più di
un messaggio per sé, i mammiferi aprono il livello sociale, la famiglia, la comunità. Gli unici messaggi
collettivi dei rettili sono per l’accoppiamento, per paura o per intimidazione, ma non si tratta comunque di
messaggi sociali. Già gli uccelli sono paralleli al livello evolutivo del cervello mammifero.
Anche nell’accoppiamento dei mammiferi c’è un’inibizione del cervello rettile altrimenti la femmina,
subito dopo l’accoppiamento, andrebbe a cercare un nuovo compagno; c’è un’inibizione degli ormoni
dell’accoppiamento in modo che la mamma rimanga vicina alla prole, mentre l’ossitocina e la prolattina
agiscono per inibire il cervello rettile, per permettere al comportamento materno di emergere. È un livello
molto bello, molto interessante.
Con l’evoluzione dei primati ci siamo trovati a dover sviluppare, ad un livello ancora più elevato di mente
e di elaborazione, delle informazioni su livelli molto più avanzati. Già i mammiferi hanno un discreto
livello di intuizione, di razionalità. I canidi, ad esempio, adottano strategie di gruppo complesse per
accerchiare la preda. E tanto più è complessa la specie, tanto più si tende a raggiungere un livello di
accoppiamento che sia lungo nel tempo. Questa è una motivazione biologica, perché il bambino ha
bisogno di 3-5 anni per completare la prima fase e la struttura della coppia uomo-donna deve essere
precisa. Nella scelta tra un uomo e una donna prevale la ricerca di una stabilità, perlomeno per 4-5 anni,
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un ciclo. Da qui nasce l’idea della coppia perfetta, dell’amore, della famiglia che, a livello biologico, è
essenzialmente corretto. Non è corretto a livello umano, perché non siamo più a quell’istanza e comunque
la decisione di fare una famiglia non dipende più dall’età o dal sesso. Possiamo scorporare la sessualità,
l’affettività, l’amicizia dall’aver dei figli. Ma tutte queste energie sono assolutamente fondamentali nella
comprensione degli scompensi emozionali. Sono dei blocchi psichici. Nella formazione del carattere, se
queste energie non vengono sviluppate in modo naturale, possono creare una serie di tragiche alterazioni,
dove le energie di base o lavorano troppo o lavorano poco.
LE ENERGIE PSICOSOMATICHE ORMONALI-EMOZIONALI
Entriamo più dettagliatamente nel campo delle Energie Psicosomatiche Essenziali: gli Shen della
medicina tradizionale cinese e dei rispettivi livelli psicosomatici (fig. 44 o Mappa Psicosomatica
Essenziale). Ricordiamo che per tutto quello che riguarda i centri energetici - i Chakra - ed i loro rispettivi
livelli psicosomatici, dal punto di vista più tecnico, fisiologico e descrittivo, facciamo riferimento al testo
“Psicosomatica Olistica”.
Queste energie ormonali-emozionali essenziali sono una delle risorse principali del counselor per capire
lo stato delle persone ed aiutarle a ribilanciarsi.
Il primo livello psicosomatico
Il primo livello psicosomatico (il I^ Chakra e tutta l’area relativa), rappresenta il centro della prima
energia psicosomatica fondamentale. Ha la forza vitale del cervello rettile, è la sopravvivenza. Quando
funziona si esprime come: “Io ho bisogno di vivere e di sopravvivere”, “Io faccio le mie cose”, “Io sento
il mio corpo”, “Io mi sento vivo”. Se in una persona questo centro viene inibito, ”spento” e bloccato perché i genitori non l’avevano, o perché la persona è stata picchiata, o ha vissuto in una situazione in cui
non poteva esprimere l’energia primaria - sarà soverchiato dalla sua energia primaria negativa che è la
paura. Quindi tutte le paure di base, le ossessioni e le crisi di panico, sono blocchi di I^ Chakra. Nei
blocchi di primo livello l'energia vitale, la “reazione”, è stata spenta e si va in inibizione più o meno grave
dell’azione. La paura blocca il primo chakra, lo comprime, blocca l’attività reattiva, non si può né
attaccare né fuggire. Statisticamente la grande maggioranza delle donne che vengono aggredite non grida,
non si ribella realmente, c’è una paura paralizzante; i maniaci hanno una particolare attenzione
psicologica ad individuare la donna che non reagisce. Il meccanismo per inibire il primo chakra è la
punizione, meccanismo basato sul dolore e la paura. Grandissima parte dell’educazione è basata su
questo. È un’inibizione dell’azione. “Ti punisco, ti picchio, ti mando in castigo, ti schernisco, ti metto in
uno stato d’impotenza: io posso e tu no.” “Ti ho detto di stare fermo! Fai il bravo!” In realtà l’inibizione è
più complessa, ha una serie di sfaccettature, va ad agire sull’azione, sull’amore, sulla creatività,
sull’intelligenza (“Taci che sei stupido!”), ma la base è sempre sul I^ Chakra. Questa energia primaria di
Rene è potentissima, quanto più viene inibita tanto più può degenerare in malattia. Se le persone hanno
poca energia di base, devono essere valutati parallelamente tre fattori concomitanti, per poter capire a
fondo il carattere ed il blocco principale: 1) l’anima della persona, 2) la genetica della persona, 3)
l’ambiente.
Prendiamo ad esempio il carattere masochista, caratterizzato da un blocco delle energie attive di primo
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livello. Il carattere masochista, nella mia particolare visione, è tipico di un bambino cresciuto in una
famiglia dove geneticamente - se dovessi fare un parallelo con un animale - si è più nell’energia della
mucca, del bue, che non nell’energia del toro. È una persona generalmente pacifica o repressa, (la mucca
ubbidisce, il toro no, ma si può castrare e farlo diventare un bue che subirà per tutta la vita senza
ribellarsi). Quindi, ha già una conformazione genetica. In effetti ha tanta energia, ma quest’energia di I^
livello non arriva, è chiusa dentro. Quindi, questa persona può facilmente essere sottomessa e diventare,
attraverso un condizionamento esterno, un carattere di tipo masochista: non usare la reazione, ma subire.
Ha la pelle spessa, la conformazione del corpo più lenta, è più linfatico che bilioso (se fosse più bilioso
come il toro non si riuscirebbe a trattenerlo, ad imporgli di stare fermo).
Il livello familiare, genetico, di “terreno” dell’energia di base è già strutturato. Ovviamente, anche con
questa struttura di base, genetica, l’anima della persona può essere molto attiva e superarla, oppure le
situazioni esterne possono non toccare, ma tendenzialmente vi sono delle corporature o delle strutture
neuro-psico-fisiche che portano a vivere di più certe situazioni. L’indole è una base energetica che tutte le
scuole antiche riconoscono, può essere cambiata con opportuni esercizi. Ma c’è la genetica, per cui se una
bambina nasce in una famiglia dove c’è una mamma grassa e pesante, già da piccola sarà robusta. Non
farà cose veloci, ma lente e forti. Non diventerà sicuramente un’atleta, magari una lanciatrice del peso,
ma non una centometrista. Invece, se il bambino nasce in una famiglia di intellettuali magri e veloci, non
farà il sollevamento pesi, poiché non ha il fisico di base.
Quindi abbiamo la personalità “di pancia”, legata all’iperattività del cervello rettile, forte e
tendenzialmente più larga, con calore nel corpo. La tipologia “media” di cuore, con una struttura fisica
più in equilibrio, armonica, bella. La tipologia di testa, con figura alta e longilinea. Le tipologie
omeopatiche verticali “di testa” sono “fluorici”/“fosforici”, quelli medi sono i “sulfurici”, quelli fisici
sono i “carbonici”.
Il secondo livello psicosomatico
Il II^ Chakra è il livello della Milza, il sistema linfatico. Il linfatico è il sistema della mamma, la forma
della donna è rotonda. In tutte le vecchie tradizioni le “grandi madri” sono opulente. Come mai le grandi
Dee Madri “steatopigie” hanno queste forme? Devono essere così, perché in caso di carestia il magro
muore, mentre il grasso dimagrisce, ma sopravvive.
La mamma alleva i figli e quindi è "Dea Madre". Il carattere del secondo livello, che per i taoisti è
rappresentato dalla Milza, è sensuale, è una porta sul Cuore, che, attraverso la Milza, manda in circolo la
"linfa" il piacere e la dolcezza: come l’essere caldo, rilassato, lento. La mamma è la figura genitoriale che
accoglie, ci si abbandona dentro, si è nella sua energia di pancia. Non è “Andiamo! Facciamo!” Al
contrario, è lentezza, tranquillità, riposo. Se un uomo avesse questa caratteristica lenta – ricordiamo che
noi uomini siamo ancora geneticamente nella giungla – non andrebbe a cacciare, perché non porterebbe a
casa niente. Al massimo può diventare un buon contadino, aiutare in casa le donne. I maschi devono
essere veloci, attenti, cattivi, avere il fegato, avere l’uso dell’aggressività in modo intelligente, essere
l’Ulisse della situazione. Negli ultimi anni le donne sono dovute diventare un po’ maschili per
conquistare una civiltà maschilista, ma la vera forma del femminile è la lentezza e la pienezza. Questa
parte del corpo si muove, vibra, è presente, l’energia è la dolcezza, la bellezza, il rilassamento. È la
massima espressione del sistema parasimpatico, “me la godo”. Infatti, nella sessualità, i liquidi spermatici
o i liquidi vaginali sono essenzialmente linfatici, di secondo livello, di Milza.
Il terzo livello psicosomatico
Il III^ Chakra si osserva nella vitalità dei bambini, negli animali che corrono, nei cavalli nervosi,
sanguigni e scalpitanti; i gatti, i cani se vanno in giro si fanno anche del male, ma devono esplorare, fare
esperienze attive. Se si prende un animale e lo si mette alla catena, questo si arrabbia. Se è un animale un
po’ sbilanciato, si sposta sul lato passivo invece che attivo e va in depressione. Negli zoo gli animali
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vanno in depressione. Alcuni sono aggressivi, altri diventano ossessivi. Hanno il I^ Chakra caldo, hanno
voglia di girare, di mangiare, di accoppiarsi e invece sono imprigionati e alla prima occasione attaccano.
La rabbia è l’elemento che stringe questa parte, che invece dovrebbe essere aperta. La rabbia può essere
espressa, in una personalità Yang, oppure può essere trattenuta e resta interiorizzata: diventa rigida, dura e
può manifestarsi con la voce, come nel caso di un’offesa detta amabilmente. Questo tipo di energia è
assolutamente vitale nell’ambito delle esperienze della vita.
Il quarto livello psicosomatico
Il cuore, il IV^ Chakra, è sia il centro affettivo ed emozionale del nostro essere, sia, più profondamente, il
centro dell’identità e della coscienza di sé. Quando si dice “IO”, in ogni parte del globo, si indica il centro
del petto. Per questa ragione il lavoro sul quarto livello è il più importante e delicato di tutti.
Quando lavoriamo sulle esperienze infantili mediamente entrano in gioco questi tre livelli:
- il primo, parte dalla costituzione della mamma. Se la mamma non ha latte o ha latte ma non ha contatto
con il proprio corpo, il bambino non viene alimentato o non riceve nutrimento sensoriale sul corpo.
- il secondo è la mamma affettiva o non affettiva.
- il terzo è la mamma o il padre che dà lo spazio del gioco o che nega lo spazio del gioco.
Sono le tre variabili più importanti nell’ambito della biologia dello sviluppo psichico. Dall’altra parte
ricordiamo sempre il riconoscimento del Cuore: se il bambino non viene amato (la piccola creatura
percepisce di non essere amato o non voluto già dal concepimento), il senso di riconoscimento gli viene a
mancare, e gli viene a mancare il punto centrale dell’identità. È come l’impossibilità di dire “Io esisto”.
Facciamo una piccola parentesi. Nella scuola del Villaggio Globale, normalmente partiamo dal concetto
di base che l’anima non sia il corpo, ma che l’anima abbia una sua esperienza e che poi entri nel corpo e
si incarni. Possiamo anche prenderlo come ipotesi di partenza, per cui comprendiamo tante cose che
altrimenti sarebbero impossibili, come avere quattro figli tutti dementi tranne uno che diventa un
professore universitario o suona o fa delle cose incredibili perché le possedeva già.
Alcuni hanno la capacità di liberarsi da alcune condizioni: in alcune famiglie ci sono fratelli
assolutamente piatti e normali o appesantiti e abbrutiti dalla vita, e c’è uno che è diventato una persona
straordinaria, perché aveva già da bambino la capacità di cogliere la spiritualità delle cose.
Facciamo un esempio classico: la tradizione di non essere amati dalla mamma viene tramandata. La
mamma è cattiva, t’insegna ad essere cattivo e tu trasmetti la cattiveria ai figli. Un maggiore agio
economico ha fatto sì che la vita fosse meno orientata alla sopravvivenza e che ci fosse un incremento
straordinario d’amore verso i figli nel giro di tre, quattro generazioni. Adesso c’è un numero inferiore alla
media di bambini non amati, mentre nella mia generazione era superiore alla media. Era impensabile che i
genitori giocassero con i figli: tiravano due calci al pallone o andavano insieme al mare qualche volta. Per
tradizione il figlio era lasciato alla moglie mentre il marito andava a lavorare o al bar.
Quindi, esiste anche la possibilità di scavalcare queste consuetudini. ma lo rispetterà come anima libera.
Altrimenti è “Sei mio/a”, “Fai quello che ti dico io!”. Quando il padre agisce da padre padrone, devasta la
vita: non esisti, il tuo “io” deve essere come quello che vuole il tuo genitore, devi seguire il suo modello,
devi entrare nel suo schema.
Prendiamo l’esempio dei cani, alcuni sono contenti di ricevere un pezzo di pane e non chiedono
nient'altro, altri muoiono di crepacuore se non ricevono affetto. Ho avuto un cane, Dick, ricevuto da un
vicino di casa "malefico", un uomo cattivo, chiuso di cuore, una presenza negativa, picchiava i suoi figli.
Un giorno venne da me e mi chiese se volevo un cane. Io rifiutai. Dopo qualche giorno vidi nel suo cortile
un pastore belga tutto ossa e spelacchiato, emanava un’enorme tristezza. Il cervello rettile del padrone era
sicuramente più rettile del cervello del cane che invece aveva un cervello mammifero più sviluppato.
Decisi di prenderlo e nel giro di due mesi è diventato un batuffolo di peli. Non era triste solo perché era
alla catena, ma lo era perché non si sentiva amato, lo si vedeva negli occhi. È stato un cane
amorevolissimo e umano.
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Quindi nella logica di queste energie il riconoscimento (può essere anche un cane) fa nascere questo
timolo. Se questo stimolo non c’è - cosa comunissima - o si ha dentro una forza straordinaria, o si è
fortunati e si trova qualcuno che ci ama e ci fa crescere, altrimenti questo centro resta chiuso. Si
dimentica la vera natura e si sostituisce il cuore con la testa: tutto quello che si dovrebbe sentire con il
cuore si pensa con la testa. Si assumeranno comportamenti meccanici: “Devo fare così, scelgo la donna
che va bene alla mia famiglia, se devo fare l’amore penso come farlo”.
Il cuore qualche volta spaventa, perché porta in contatto con il dolore, con il buco affettivo profondo.
Il quinto e sesto livello psicosomatico
Il V^ e il VI^ Chakra spesso funzionano insieme. Il quinto centro parte già dall’infanzia, ma si sviluppa
soprattutto nell’adolescenza. Il bambino deve esprimersi. Tutte le energie che abbiamo passato in
rassegna si esprimono attraverso la voce. Il V^ Chakra è costituito da sette vertebre che corrispondono ai
sette centri energetici: ognuna deve esprimere la sua natura. Se viene impedito di esprimersi con il canto,
il gioco, il riso, il pianto (“Non arrabbiarti! Non ridere!”) si blocca tutto il livello nel corpo, e si può
sviluppare una serie ampia di tumori alla tiroide, noduli, tiroiditi di Hashimoto. Lavorando sulle
emozioni, sull’apertura emozionale, la persona può sentirsi libera di esprimere il positivo e il negativo.
Il VI^ Chakra si sviluppa a partire dai 4-5 anni e per tutta l’età scolare, ancora di più dopo i 18 anni, ed è
quella caratteristica che i genitori riconoscono: l’intelligenza. Il genitore stupido pensa che l’unico modo
di vivere sia il suo, si deve fare come dice lui e questo castra l’intelligenza del figlio. Oppure, gli fa paura
l’intelligenza del figlio, perché si sente stupido, e quindi continua a castrare, a tagliare a livello mentale…
“ Sei stupido!” “Che cavolo vuoi sapere, taci!”, “Qui è come dico io, se ti piace va bene, se non ti piace
va bene lo stesso”. Spesso la castrazione dell’espressione e la castrazione dell’intelligenza vanno di pari
passo, i genitori castrano il V^ e il VI^ livello insieme. Quando il bambino gioca in modo intelligente, se
lo amano gli danno un rinforzo; se gli dicono “Smetti di fare casino”, che significa bloccare l’energia di
fegato, è come se gli dicessero che è stupido, che quello che lui sta facendo non va bene. Ed il bambino,
da queste apparentemente banali comunicazioni del genitore, deduce di essere stupido.
All’inizio, il V^ e il VI^ Chakra sono molto importanti per la fiducia che la persona ha nel cuore e nelle
energie basse istintive. Quando riapriamo le energie basse, il lavoro di apertura del IV^, del V^ e del VI^
livello sarà più veloce. Si acquisisce la forza e quindi l’energia.
Tutte le scuole indiane e cinesi dicono che gli occhi sono l’anima. L’occhio fisico è il Fegato, intorno
l’occhio è il Rene, dentro l’occhio è il Cuore. Gli occhi rossi sono il Fegato, gli occhi cerchiati di scuro
sono il Rene, gli occhi luminosi o spenti sono il Cuore. Nella visione dell’occhio, se si riaprono le energie
di fegato e la vitalità, immediatamente l’occhio si elettrizza. Se si rinforzano i reni, l’occhio diventa più
forte. Tuttavia non si può lavorare direttamente sull’occhio, è più semplice lavorare sui singoli problemi.
Il lavoro sul VI^ livello, sull’intelligenza, una volta che la base è stata riacquisita, è molto bello, molto
creativo. Dopo che la persona ha liberato le energie primarie del corpo, ha liberato le grosse istanze, può
continuare il lavoro psichico con gruppi avanzati: la Primal, la Family Constellation, la Co-Dipendency.
Il settimo livello psicosomatico
L’ultimo livello che viene bloccato, oltre all’intelligenza, è lo spazio vuoto. Paradossalmente, è il livello
più libero che abbiamo, perché la religione non ne capisce nulla (la religione, se va bene, si ferma al
Cuore, qualche raro mistico arriva al V^ livello).
Può essere oscurato dal VI^ livello che crea la cappa (“Io non capisco nulla”) o dal I^ livello (“Ho le
energie basse”), perché il I^ Chakra ferma le attività del VII^”. Se si apre il primo livello, l’energia sale
facilmente al settimo che si apre con estrema facilità. È il livello della meditazione spontanea, naturale,
della percezione globale dell’essere. Non interferisce con niente di quello che si è fatto, perché non si è
fatto niente del genere nella vita.
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Nel capitolo successivo verrà fatto un excursus fra le varie scuole di psicologia, il lavoro di alcuni
personaggi che hanno creato la psicologia contemporanea - facilmente consultabile su qualsiasi testo - che
potrà essere utile nell’impegno orientato alla crescita umana. Se una persona presenta un disturbo di
relazione grave, l’operatore/counselor potrà indirizzarla ad un lavoro di sistemica relazionale che
permetta di riaprire le relazioni, in un contesto più globale. Se invece la persona ha un disturbo della
prima infanzia, la potrà indirizzare alla terapia della “Primal”. Se vi sono blocchi profondi ancorati ad
episodi, sarà utile la bioenergetica o la gestalt. Con una visione ampia, si potrà orientare la persona ad un
lavoro specifico e mirato per il suo problema.
I GRANDI PERSONAGGI E LE GRANDI
SCUOLE DELLA PSICOLOGIA
La psicologia nasce con la civiltà umana. Oggi il punto di riferimento e inizio della psicologia
contemporanea è Freud, che ha saputo riunire i vari processi di psicologia preesistenti, che avevano
antiche e profonde radici.
LA PSICOANALISI DI SIGMUND FREUD
Luisa Barbato
Sigmund Freud si è inserito in un movimento di pensiero già presente nella cultura europea occidentale,
che esisteva da centinaia di anni nelle culture orientali. Lo studio dell’interiorità e della psiche (il termine
psiche deriva da anima) esisteva infatti già da moltissimo tempo nella psicologia dell’Oriente, che faceva
riferimento alla medicina antica.
Freud, partendo dalla scuola dell’ipnosi di Charcot, ha condotto numerose sperimentazioni, auspicando
che le ricerche future dessero una controprova fisiologica di quello che lui asseriva come movimento
della psiche. Queste controprove sono iniziate ad arrivare da Reich, che ha cercato di sperimentare quanto
affermato da Freud dal punto di vista del corpo; tuttavia non sono state accettate in primis da Freud e poi
da tutta la nomenclatura. La neurobiologia era soltanto agli inizi.
La scoperta dell’inconscio
Sicuramente il punto di partenza fondamentale è l’asserzione e la scoperta dell’inconscio, l’esistenza di
una parte della nostra mente che non è consapevole alla nostra coscienza. L’idea che la psiche, quindi la
nostra consapevolezza, non include una parte della nostra interiorità, ha un peso importante nella nostra
vita. È l’inconscio, che esce fuori dal pensiero consapevole, dal pensiero razionale, a condizionare il
nostro agire. Questa intuizione arrivò dagli studi condotti sull’ipnosi: ipnotizzando le persone e velando il
livello di consapevolezza ordinaria, emergevano ricordi, vissuti, istanze che non venivano ricordate
appena si tornava al livello di coscienza ordinaria. Questo aprì un grande varco nel contesto storico
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dell’epoca (tra il 1870 ed il 1880), dove vigeva una forte morale borghese ed il tema centrale era la
grande separazione della cultura dalla parte istintuale e quindi sessuale. Ciò che Freud iniziò ad intuire
era relativo alla grande depressione dell’energia, che chiamò funzionale-libidica. Nella nostra cultura le
patologie fanno molto meno riferimento alla inibizione sessuale e toccano altri contesti; ma all’epoca
iniziò ad emergere l’agire delle forze sessuali represse, che i canali inconsci diventavano consci, e che
esisteva un collegamento tra l’assetto fisico della persona e il materiale che non era reperibile alla
coscienza ordinaria della persona stessa. La semplificazione che Freud vedeva era che il materiale
rimosso era la pulsione fondamentalmente libidica, quindi la sessualità a cui non era possibile dare corso.
Oggi sappiamo che le cose sono un po’ più complicate. Se ragionassimo sul nostro approccio attuale,
diremmo che c’era un blocco di secondo livello che veniva percepito, o un blocco di primo per quanto
riguarda l’aggressività. In realtà adesso sappiamo che tutti i livelli interagiscono e che ciascuno di essi ha
delle componenti di cui non siamo consapevoli finché non lavoriamo a quel livello o su quel blocco.
Quindi, l’idea iniziale era che esiste una parte inconscia relativa a forze funzionali che sono a loro volta
relative all’aggressività, alla libido (negli anni successivi si scopre che riguarda l’autoaffermazione, il
narcisismo). Nella parte istintiva Freud vedeva soprattutto il lato affermatività come funzione di
sopravvivenza, libido e aggressività.
Fece un corollario e identificò tutte le patologie in relazione alle parti che venivano rimosse. Questo portò
all’analisi dello sviluppo dell’essere umano e del bambino: identificò le fasi nelle quali il bambino evolve
con le specifiche strutture funzionali - la fase natale, la fase relativa all’allattamento e all’oralità, la fase
anale in cui avviene il controllo degli sfinteri, la fase genitale in cui arriva la parte edipica e dove, in
teoria, avverrebbe una prima maturazione genitale dell’essere umano.
Il complesso di Edipo
Sul complesso di Edipo Freud fissò gran parte della sua costruzione teorica. L’impossibilità, per il
bambino, di avere un accesso anche sessuale alla madre, fa sì che una parte libidica venga rimossa. Lo
stesso vale per la bambina, ma in questo contesto non verrà preso in esame.
In realtà il complesso di Edipo ha una sua valenza anche attuale. Inizialmente si era accantonata la visione
del pansessualismo (in realtà i temi sull’Edipo sono molto più complessi), ma l’importanza di questo
pensiero, che a mio avviso va tenuto presente, sta nel sostenere che l’emergere del complesso di Edipo che avviene intorno ai 5/6 anni - sancisce l’entrata del bambino nel mondo della cultura. L’idea di fondo,
ottocentesca ma con una sua valenza, era che affinché ci sia cultura, affinché ci sia socializzazione,
occorre sacrificare una parte istintiva funzionale. Quindi, la società e la cultura si costruiscono sulla
repressione di una parte di noi: quella relativa alle pulsioni, agli istinti. È una concezione molto classica,
relativa alle società primitive, all’orda primordiale. L’evoluzione socio-culturale, l’accesso alla
conoscenza e alla tecnica, in qualche maniera comportano una repressione di una parte istintuale.
Questo aspetto è molto importante, perché pone le basi di una concezione di fondo quasi pessimista, che
si ritrova nella psicoanalisi in generale: se c’è una repressione delle pulsioni accade un dissidio
insanabile. A quel punto non potrà mai esserci una vera infiltrazione delle forze istintive della persona
con la cultura e la società, perché i due sono in conflitto.
Quando Freud parlava della guarigione, era molto lucido su questi punti e non aveva molte illusioni:
affermava che l’analisi aveva buon esito se portava una persona dalla sofferenza patologica - cioè
dall’avere molto materiale istintivo non espresso, molta aggressività rimossa, molta libido rimossa - al
riconoscimento di questo, e quindi passava dalla sofferenza della patologia alla normale infelicità
dell’essere umano. L’infelicità dell’essere umano è in qualche maniera data, perché è strutturale al
sistema sociale.
In seguito Freud fece un passo avanti, ebbe un’evoluzione dalla sua concezione forse un po’
semplicistica: esistono forze funzionali, che vengono represse dalla cultura e dalla società, che si
strutturano in fasi diverse dalla vita. La patologia nasce dal conflitto tra cultura e istinto.
38
Nitamo Montecucco
A livello di psicoterapia tradizionale, le persone vengono trattenute – uso questo termine un po’ pesante
ma reale – all’interno di una struttura psicanalitica freudiana, per tempi molto lunghi, fino a 10-12 anni, i
più lunghi in assoluto. Sono psicoterapie con un’impronta molto strutturata che spesso spinge, più che al
riconoscimento di alcuni blocchi o complessi psichici interni, alla loro fortificazione. Se si ha un minimo
di conflitto con i genitori e si entra in una psicologia freudiana, si tende a ingigantire i rapporti di potere
all’interno o alcune problematiche interne fortissime. Una cosa a mio avviso reale e molto pesante, è la
presenza, nella struttura del setting psicanalitico freudiano, di uno strapotere del terapista e
dell’impossibilità da parte del paziente di concludere la terapia. Ho avuto molti pazienti che hanno
impiegato due anni per finire un’analisi che durava da dieci anni. Non riuscivano ad affrontare il terapista
e ogni volta che lo facevano si sentivano dire “Vediamo un pochino perché stai tirando fuori queste
resistenze”. Non c’era mai un ascolto reale alla frase “Mi sento, dopo molti anni, di aver finito l‘analisi,
non mi sta dando più niente”. Tra l’altro i freudiani hanno un’origine economica di tipo classico, si deve
pagare la sessione anche durante le vacanze, anche se si manca alla seduta. È una struttura economica
rigidissima e quindi, tranne qualche personaggio tra i freudiani di grande rilievo, percepisco spesso la
tradizione freudiana come un rallentamento della crescita umana. Sicuramente il primo anno è utile, ma
poi diventa una stasi da cui è molto difficile uscire. Qui lo dico, qui lo nego.
Luisa Barbato
Schema delle aree della psiche
Freud ha cercato di spiegare come opera l'inconscio e ha proposto una struttura suddivisa in tre parti:
•
•
•
Id o Es – la parte profonda
Ego o Io
Super-Ego o Super Io - in alto
ES
L’ES è il luogo delle nostre forze pulsionali, dove sono tutti i ricordi ed i fantasmi che non sono
addomesticabili. Viene rappresentato come il processo di identificazione – soddisfazione dei bisogni di
tipo primitivo. È l’insieme delle forze primitive che agiscono, la parte istintiva dell’uomo. Tutto il tessuto
infantile che si è imparato a dominare e a rimuovere.
IO
L’IO è l’istanza della consapevolezza, la nostra parte che si relaziona con il mondo e di cui siamo
consapevoli, per cui vi entra anche la personalità che si relaziona con il mondo. L‘Io è in realtà in contatto
con l’Es, nel senso che molte delle cose che l’Io esprime derivano dalle forze dell’Es che si muovono.
L'Io si frappone tra Es e Super Io per bilanciare sia le istanze di soddisfazione dei bisogni primitivi, sia le
spinte contrarie derivanti dalle nostre opinioni morali ed etiche. Un Ego ben strutturato garantisce la
capacità di adattarsi alla realtà e di interagire con il mondo esterno, soddisfacendo le istanze dell'Es e del
Super Io. Possiamo fare un esempio: una persona con una forte aggressività che viene rimossa e alla quale
probabilmente non ha accesso, può essere una persona che nella struttura, nella relazione con il mondo si
presenta incapace di agire. Quindi è una struttura apparentemente passiva, dove l’io si presenta remissivo;
questo atteggiamento è consapevole e la persona si sente timida e molto bloccata, sente che non riesce a
reagire alle situazioni. In realtà è una situazione di copertura di una forza aggressiva che è completamente
inconsapevole, alla quale l’Io reagisce da controaltare.
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SUPER IO
L’istanza detta SUPER IO, si forma alla fine del complesso di Edipo, vale a dire quando il bambino
sancisce la rinuncia funzionale alla madre e accetta l’istanza culturale e sociale reprimendo il suo
desiderio verso la madre. Questo processo di rimozione del contenuto funzionale di sé avviene tramite
l’identificazione dei genitori. Il bambino non potendo contrastare la rivalità del padre, avendo paura della
punizione che sarebbe la castrazione che il padre dà se lui ha accesso alla madre, in qualche maniera si
identifica con questa figura paterna della quale ha paura, quindi prende le caratteristiche del padre o di
entrambi i genitori. C’è un’adesione completa, per cui fa sue le norme morali e sociali sotto forma delle
caratteristiche caratteriali dei genitori. In generale si identifica con la norma, con la legge, con l’istanza
regolatrice. Quindi, il Super Io ha questa valenza di essere istanza regolatrice, quella che dà il senso del
dovere, della moralità, il senso dell’organizzazione della propria vita. Ed è, appunto, l’ultimo che viene
costituito. Rappresenta la coscienza e si oppone all'Es con la morale e l'etica. L’Es è completamente
inconscio, ma anche una parte del Super Io è inconscia. Questo è molto importante, perché vi sono istanze
morali e del senso del dovere che sono inconsapevoli: agiscono inconsapevolmente, è quella parte di noi
che rimprovera. Ad esempio: se non vengono rispettate determinate regole del dovere scatta il senso di
colpa. Quindi, è un meccanismo dell’inconscio, perché l’identificazione con i genitori è talmente
profonda da diventare totalmente inconscia.
Questa struttura è molto importante e verrà poi ripresa da molte scuole di psicologia transazionale. È
importante anche perché definisce una divisione con le strutture psicotiche, borderline e nevrotiche.
Ad esempio, riteniamo che una struttura psicotica sia una struttura dominata dall’Es, dalle parti istintive.
Da tener presente che gli psicotici hanno un Io fragile, debole che di fronte agli assalti di queste forze
istintive – anche Freud lo sostiene – manca di connessione con la realtà. È un mediatore molto fragile che
stabilisce il contatto con gli altri e con il reale.
Sintomatologicamente, quando il counselor ha uno psicotico davanti, vedrà dei fenomeni eclatanti. In uno
psicotico conclamato si hanno fenomeni di delirio e di allucinazione in cui viene confuso il livello del
reale. Quando lo psicotico dice che ha le allucinazioni, effettivamente sente le voci, come lo
schizofrenico. È la sua interiorità che proietta le voci sull’esterno.
In qualche maniera il limite dell’Io fra interno ed esterno della realtà, cade anche quando si vivono stadi
meditativi molto avanzati e si diventa il tutto. La differenza è che mentre in stati meditativi avanzati c’è
una consapevolezza, nelle psicosi manca totalmente la coscienza.
Gli stati di borderline
Lo stato di borderline è lo stato in cui la persona ha l’Es, uno sviluppo dell’Io ma manca l’istanza
superiore, la parte super-egoica. Il borderline è colui che rischia realmente di entrare in uno stato di
alterazione della propria identità che noi chiamiamo ‘stato psicotico’.
Come viene riconosciuto? Una persona borderline (significa che cammina sul limite) è una persona
apparentemente integrale, perché ha un Io che riesce a interagire, però gli manca un’istanza di
regolazione. Uno dei sintomi della persona borderline è la mancanza di etica. Di solito sono persone che
hanno una morale per conto loro, in cui esiste l’imbroglio, in cui creano situazioni a loro piacimento.
Inoltre, dal momento che manca l’istanza regolatrice del Super Io, quindi il senso del dovere, hanno una
funzionalità e istintività che alle volte deborda e non viene per niente repressa. L’Io ha una funzione di
mediazione, ma ciò che veramente struttura la persona è il Super Io. Si riconoscono anche perché quando
dovrebbero prendere consapevolezza ed esserci, non ci sono. Non si responsabilizzano, si arrabbiano
subito se vengono attaccati nella loro difesa, hanno un’impulsività molto forte. Sono persone tranquille
che hanno scatti improvvisi di ira che travalicano qualsiasi regola di comportamento e di relazione.
Perdono totalmente la ragione e infieriscono sugli altri. È un processo differente rispetto a quello che
accade normalmente alle persone che si arrabbiano. Il borderline è in una situazione che ha sotto uno stato
patologico reale, che può essere organico o psichico o avere altre origini, ma è un reale squilibrio. Può
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entrarci da tante porte diverse, dalla depressione maniaco-depressiva, dalla schizofrenia, dalla psicosi
pura e semplice, ma è comunque difficile riportarlo indietro. Quindi non è un eccesso recuperabile, è un
eccesso che travalica i confini e rompe un sistema di equilibrio interno. La patologia borderline è in
grande aumento nella nostra società, è dilagante. In qualche modo la nostra società sta andando verso una
deregolarizzazione che non è sostenuta da una centratura. È una deregolarizzazione che va verso la
licenza. Il voler tutto e subito e non rispettare le regole.
Il Super Io come “Giudice Interiore”: il condizionamento impiantato nella psiche
Nitamo Montecucco
È importante ricordare che questo schema dei primi del ‘900, è uno schema che ha come base di
riferimento una società molto chiusa e conservatrice. Lo scopo della psicoterapia era di fare rientrare una
persona nella sua società e sopravvivere nella normale tristezza esistenziale. Questo significa che in Freud
e in tutta la sua scuola, non c’è realmente il concetto di “cambiamento”, ma c’è l’adeguamento e il ritorno
alla norma. Man mano vedremo che già da Freud a Jung e ancora più intensamente agli autori più
moderni, questo elemento del “cambiamento”, e per contro del Super Io, diventa molto differente. Il
Super Io non è necessario per una persona che abbia una consapevolezza risvegliata. Il Super Io, nelle
scuole spirituali degli ultimi anni, diventa chiaramente un ostacolo alla crescita, perché è ciò che la
società, i genitori, la religione hanno introdotto nella psiche contro la propria volontà e consapevolezza,
contro la propria vera natura. È ciò che subdolamente “comanda” l’Io dall’interno.
Il Super Io è il “giudice interiore” che continua a massacrare ripetendo i giudizi negativi, i codici morali,
le parole dei genitori o delle persone a cui si è dato potere. È l’interiorizzazione di tutte le regole sociali,
alcune delle quali sono palesemente vecchie, obsolete e negative. Il lavoro sul Super Io e il giudice
interiore è diventata una parte obbligatoria anche nella nostra scuola di formazione. Solo quando una
persona va oltre l’Io sociale e ritrova il Sé, il suo Super Io si affievolisce e nel tempo si esaurisce del
potere che aveva ricevuto.
Le basi dell’evoluzione psichica: bisogni fisici, affetto e riconoscimento del sé
Luisa Barbato
Negli anni ’20 del secolo scorso, con Anna Freud iniziò un filone di pensiero che mise l’accento su fattori
differenti, ripreso successivamente da Klein e Winnicot. Quest’ultimi, studiando i bambini piccoli,
scoprirono che ciò che il bambino cerca veramente non è la soddisfazione libidica, ma la relazione.
Quello che veramente determina la struttura dell’individuo non è la soddisfazione degli impulsi e degli
istinti, ma la relazione. Quindi il bambino non cerca il nutrimento ma il calore umano. Tutta la persona si
struttura sulla base della qualità delle relazioni oggettuali (padre, madre, ecc..) che definiscono dei tratti
incisi che rimangono dentro e che poi diventano inconsci. Non significa che non esista la parte inconscia
o l’Io, ma non è il conflitto con la pulsione, bensì la relazione con l’altro che la definisce.
Tra gli esperimenti sui cuccioli che avvalorano questa realtà, ricordiamo quello della scimmia di peluche.
Da una parte venne posta una struttura fredda che aveva un biberon con il latte, dall’altra venne posta una
grande scimmia di peluche senza il biberon. Il cucciolo di scimmia affamato preferiva, tuttavia, lo
scimmione di peluche, caldo e soffice, anche se non aveva il latte, piuttosto che la struttura fredda che
aveva il latte. Quindi non era il latte che cercava, ma il calore.
Nitamo Montecucco
È importante sottolineare che Freud parte da una società che ha ancora alla base la sopravvivenza, quindi
le pulsioni libidiche e il piacere – il latte, la fisicità – sono visti come una cosa essenziale. Cinquanta anni
dopo, Winnicot e la scuola kleiniana spostano il livello dalla pancia al cuore, e diventa relazione. La
relazione può vacillare quando la madre è fredda e rigida, anche se ama il figlio. Oggi oltre al bisogno e al
piacere fisico di Freud, oltre al calore umano e alla relazione di Klein e Winnicot, dobbiamo portare il
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punto centrale dell’intero processo evolutivo infantile sul riconoscimento del sé, sulla percezione che il
bimbo riceve, dalla madre, di essere accettato e riconosciuto come Io. Ho seguito molte persone che
hanno superato abbastanza facilmente i limiti fisiologici della mancanza di allattamento, o di una mamma
poco affettiva, quando questa era capace di dare riconoscimento, era presente e dava una sensazione di
identità al figlio. È probabile che fra 50 anni il peso si sposti ancor più in profondità. È un processo in
evoluzione.
Biografia (Giuseppe Pagliaro)
Sigmund Freud nasce il 6 Maggio 1856 a Freiberg, in Moravia. La sua è una tipica famiglia di
commercianti. Laureatosi in medicina nel 1881 e dopo un trasferimento di tutta la famiglia a Vienna,
lavora per un certo periodo nel laboratorio di neurofisiologia diretto da Brücke. Nel 1882, per ragioni
economiche, abbandona la ricerca scientifica e si dedica alla professione medica, specializzandosi in
neurologia. Nel 1885 ottiene una borsa di studio che gli permette di accedere alla leggendaria scuola di
neuropatologia della Salpetrière, diretta dal celebre Charcot. Nel 1886 si sposa con Martha Bernays, che
in seguito gli darà ben sei figli (la più famosa tra loro è Anna Freud, continuatrice della ricerca del padre
nell'ambito della psicoanalisi infantile). Dopo aver utilizzato le tecniche classiche di quel periodo,
sperimenta l'ipnosi e nel 1989 si reca a Nancy per approfondire la conoscenza di questa pratica. Tornato a
Vienna, si dedica completamente alla professione di neurologo. Nel frattempo stringe amicizia con Josef
Breuer, con il quale pubblica nel 1895 gli "Studi sull'isteria" e con cui inizia la grande avventura
intellettuale e clinica che lo porterà alla fondazione della psicoanalisi. Nel 1899 (ma con data simbolica
del 1900) Freud pubblica un'altra opera dagli esiti rivoluzionari e per certi versi sconvolgenti:
"L'interpretazione dei sogni". E' una tappa che segna una svolta dell'intero pensiero occidentale,
attraverso i parallelismi fra logica razionale e logica del sogno e il disvellamento del linguaggio
"geroglifico" attraverso cui i sogni parlano all'essere umano concreto che ne è portatore. All'alba
dell'avvento dei drammatici fatti che segneranno l'Europa, l'epilogo di questa epopea intellettuale non
poteva che esser tragico. Nel 1933 a Berlino i nazisti ormai al potere bruciano, in un rogo libresco
tristemente famoso, anche le opere dell'ebreo Freud, complice oltretutto di una strenua resistenza
all’avanzare della barbarie nazista. Nel 1938 la situazione è talmente insostenibile che è costretto ad
andarsene. Si trasferisce a Londra dove, dopo un solo anno, muore per un cancro alla mascella. È il 23
settembre 1939, la seconda guerra mondiale è alle porte, epitome di quell'istinto di morte così presente
nelle opere del grande rivoluzionario del pensiero.
Testi consigliati:
-L'interpretazione dei sogni (1900)
-Psicologia della vita quotidiana (1901)
-Tre saggi sulla vita sessuale (1905)
-Il motto di spirito e le sue relazioni con l'inconscio (1905)
-Totem e tabù (1912-13)
-Introduzione alla psicoanalisi (1915-17)
-Metapsicologia (1915-17)
-Autobiografia (1925)
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LA PSICOLOGIA DEL SÉ DI CARL GUSTAV JUNG
La scuola freudiana classica andrà avanti per molto tempo ma due grandi personaggi si separarono dalla
scuola di Vienna: Jung e Reich.
Jung ha fatto un passo in avanti rispetto a Freud. È stato il primo vero psicologo ad introdurre l’aspetto
spirituale all’interno della psicanalisi. Parlando di questi processi “noumenici”, da “Nous” che è il termine
greco per lo spirito, l’anima, approda ad una spiritualità profonda. Jung era uno psichiatra svizzero, aveva
una grandissima sensibilità ed era affascinato dai fenomeni parapsichici e parapsicologici che invece
terrorizzavano il vecchio Freud. Si racconta che un giorno si trovavano in una libreria e discutevano dei
fenomeni di percezione, di anticipazione degli eventi. Il vecchio Freud, in disaccordo con Jung, li definì
la “melma dell’oscurantismo” e gli ingiunse di smettere di ricercare in quella direzione. Probabilmente
anche socialmente aveva molta paura di inficiare con i fenomeni di parapsicologia e di occultismo, un
livello molto alto di psicologia. In quel momento di tensione tra i due, Jung disse a Freud: “Sta per
accadere un evento” e dopo un attimo cadde un libro. “Hai visto?” Freud lo negò, ne discussero e Jung
previde che il fenomeno si sarebbe ripetuto e infatti il fenomeno riaccadde per la seconda volta. Era
inverosimile che un evento venisse previsto per due volte consecutive, per Jung si trattava di
“sincronicità”, era certo dell’esistenza di una psiche che travalica i confini fisici.
Jung si isolò dalla scuola di Freud e subì un vero attacco psicotico, vivendo un momento di grandissima
disperazione. Ebbe un periodo di allucinazioni talmente pesanti che lo portarono a scrivere un libro
intitolato “Sette sermoni ai morti”, in cui descrisse di vedere gli spiriti che bussavano, descrisse quello
che gli dicevano e le cose che gli facevano, una serie di situazioni tra l’immaginario, il mistico e
l’allucinato. Tuttavia riuscì a superare questo periodo di grande turbolenza psichica includendo le
allucinazioni all’interno del proprio Io e raggiunse un traguardo d’integrità. Riuscì ad espandere
estremamente la propria coscienza.
Jung ebbe anche un’altra serie di esperienze e la bellissima descrizione di questo passaggio si trova in
un’intervista che la BBC fece a Jung. Gli chiesero: “Ma qual è il centro della tua psicologia?” E lui
rispose: “L’anima umana, perché è successo a me”. Raccontò che si era ammalato, rischiava di morire,
era ormai dato per spacciato e muore. Esce dal corpo, si allontana addirittura dalla terra – quindi era un
grande spirito – e vede un asteroide come un tempio, dove trova un maestro che lo accoglie e lo induce in
uno spazio di meditazione. A questo punto lui è felicissimo, ha raggiunto la propria vita interiore,
spirituale. Non vuole più ritornare indietro e ad un tratto (un classico delle NDE, Near Death Experience,
le esperienze vicino alla morte) vede arrivare dalla terra lo spirito del suo medico che gli dice: “Non puoi
morire, devi ritornare indietro, il tuo compito non è finito. Devi portare queste esperienze sulla terra.”
Jung sente che è vero e ha la folgorazione che per salvare la sua anima il suo medico cederà la propria.
Jung ritorna, si risveglia dal coma e riesce lentamente a guarire. Dopo poco tempo il suo medico muore.
Jung attraverso queste esperienze comprende la natura non materiale dell’anima, pur essendo
assolutamente d’accordo sul fatto che l’anima comunque entra nel corpo, nella mente e nel cervello
attraverso una serie di funzioni biologiche. Mette al centro questa rivoluzione dell’essere umano e
struttura una serie di processi psichici tra cui forse il più importante è l’individuazione, ed espande questo
modello a una parte estremamente più profonda (proiezione). Se questo è l’inconscio, diventa l’inconscio
collettivo. L’inconscio collettivo in realtà è poi un super conscio collettivo.
Jung è il primo che aiuta la comprensione dei processi psichici di alcuni testi tipo Tao The Ching, “I
Ching-il Libro dei Mutamenti”, “Il Mistero del Fiore d’Oro” di Lü Tsu, dove è spiegata la fisiologia
sottile del processo dell’evoluzione della coscienza interiore, della meditazione. Per Lü Tsu è il TanTien
Superiore, la mente conscia, che deve proiettare la propria energia luminosa nell’inconscio e
comprenderlo, fondendosi con esso e creando un essere pienamente cosciente. In questo caso l'Io della
mente viene trasformato in Sé, l’Io è quindi parte del conscio sociale, il Super Io è quello che condiziona
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l’Io a vivere la sua vita nella società. Se l’Io, però, ritrova un suo Sé più elevato e più profondo che
diventa il centro, questo Super Io diventa una matrice di consapevolezza estremamente più dilatata.
L’animus, l’anima e il mito dell’eroe
Altro contributo fondamentale di Jung è l’aver capito che, nelle persone normali, l’io è multiplo:
abbiamo molte sub-personalità. Questo concetto junghiano lo vedremo in tutte le scuole future, che lo
codificano però in maniera differente.
L’identità è unica ma abbiamo un Animus e un’Anima: Animus è la parte più positiva e luminosa, lo Yang
della testa - è posizionato nella testa, la luce della coscienza – che deve scendere nell’inconscio oscuro
dove c’è la fanciulla, lo Yin, l’Anima che deve essere salvata. In questo abbiamo ritrovato (non so se l’ha
trovato anche la scuola analitica), studiando da altre scuole, il processo mitico della discesa dell’eroe
negli inferi per ritrovare la fanciulla smarrita (e qui troviamo una serie di racconti mitici: da Euridice, a
Proserpina a Gilgamesh) e riportarla alla luce del sole. Ma a questo punto lui non è più un uomo, ma un
semidio. Acquista un carattere divino e la fanciulla di solito ha delle caratteristiche sia di donna sia di dea.
Ad esempio la figlia di Demetra la dea della natura, Proserpina, viene rapita dal dio degli inferi (e la terra
diventa secca perchè la madre natura è triste), l’eroe salva la fanciulla e la natura rifiorisce. È un’analogia
molto forte con la vita umana.
Questa polarità deve originare una fusione da cui si genera l’anima. Quindi l’anima si genera dall’unione
degli opposti, come maschile e femminile generano un figlio, come una nuova coscienza da una vecchia
coscienza. Jung afferma che in ogni uomo c’è una componente femminile codificata come anima, e in
ogni donna una componente maschile codificata come animus: ogni relazione amorosa è, in realtà, una
relazione a quattro; questo ne spiega, almeno in parte, la complessità.
Gli archetipi e l’inconscio collettivo
In questo processo Jung espande i livelli della coscienza e scopre una cosa fondamentale: in tutte le
tradizioni del mondo esistono archetipi, basi psichiche strutturate come modelli; ciascuna base psichica è
una forza. Gli archetipi sono forze solitamente positive, che a volte possono diventare negative, ma
comunque sono energie psichiche universali. Gli archetipi non sono solo il Bene, la Saggezza, l’Amore,
ma sono le forze che vengono raffigurate con simboli riconosciuti dalle varie tradizioni.
Jung era sicuramente un’anima evoluta, è stato il primo ad introdurre l’elemento transpersonale nella
psicologia. La psicologia transpersonale, in realtà, non viene fatta partire da Jung e personalmente ritengo
che sia realmente una delle basi fondamentali. Per approfondire l’argomento ci sono due edizioni italiane
del libro “Il Mistero del Fiore d’Oro”: una, con la prefazione di Richard Wilhelm, spirituale e mistica;
l’altra, con la prefazione di Jung, psicologica. A volte non riusciva a capire i termini meditativi orientali,
ma riusciva a trasferirli in linguaggio psicologico con un fortissimo senso di realtà. Ha dato vita a scuole,
ha collaborato con i gruppi cristiani autentici.
Ho fatto alcuni anni di analisi con Dora Kalf che ha sviluppato il Sand Play il “Gioco della Sabbia” e ha
lavorato in collaborazione con i monaci tibetani della Svizzera. In una riunione della scuola junghiana si
sente realmente un clima di tensione spirituale, anche se per la maggior parte, questi personaggi hanno
più una spiritualità istintiva, intuitiva che non una vera pratica di meditazione.
L’Ombra: il lato oscuro della forza interiore
Una delle grandi intuizioni – già presente, ma Jung la esprime e rivaluta in un modo estremamente utile è il concetto di Ombra. Questo concetto, che nasce dalla bipolarità coscienza/inconscio - coscienza
luminosa e inconscio oscuro - ci descrive come l’Io sociale debba necessariamente, per la prima parte
della propria vita e per identificarsi a livello sociale, accettare una serie di istanze psichiche che gli fanno
rifiutare e rendere inconsci alcuni suoi poteri e potenzialità ed accettarne degli altri (perché il Super Io
non è solo il padre e la madre che dettano le regole). Quando c’è questo tipo di meccanismo, l’Ombra
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diventa il rimosso, vengono rimossi elementi dell’inconscio per bilanciare l’identità. Nasce il concetto di
recupero dell’Ombra come potenziale (che poi viene sviluppato da tutte le scuole moderne), una specie di
rivalutazione del pozzo nero dove è rimosso un trauma, un uovo dove sono state nascoste delle
potenzialità. Quindi, se vengono recuperate con la ragione, se… l’eroe della coscienza scende
nell’inconscio e recupera la fanciulla che è debole ma preziosa perché saggia e portatrice di intensità,
recupera delle potenzialità. Baumann, uno dei grandi allievi di Jung, diceva che è proprio quando
tocchiamo il fondo al limite della depressione, possiamo realmente andare a recuperare gli elementi
dell’Ombra, che sono elementi della nostra anima che sono stati misconosciuti. Quindi, nell’inconscio c’è
tutto, anche il negativo, ma nell’Ombra c’è il concetto di una parte di inconscio positivo. Lo stesso Jung
rinacque dalla depressione - andando oltre i bordi della normale patologia - facendo un vero e proprio
processo alchemico. E possiamo anche dire che alcune persone che si sono risvegliate senza aver fatto un
approfondito e reale lavoro sul proprio inconscio, hanno vissuto alcuni periodi della loro, chiamiamola
Illuminazione, in una fase assolutamente depressiva o addirittura psicotica.
Per citare un dato molto interessante, in India c’era un grande maestro che abitava a Poona, uno dei più
grandi maestri del suo tempo. Si chiamava Meher Baba, girava per l’India a recuperare i pazzi illuminati,
persone che avevano attinto all’infinita energia dell’esistenza e avevano fuso Es, Io e Super Io. Il Sé si era
espanso, ma avevano un Io fragile, un Io sociale non strutturato e quindi tutta quella forza che Jung
direbbe archetipica o transpersonale, li aveva bruciati e si erano ridotti in uno stato semi-estatico. Questo
maestro li prendeva, li ripuliva e insegnava ai suoi discepoli a guardarli negli occhi.
Questo lo facevano già i maestri tibetani che dicevano “Mettiti lì e guardalo negli occhi e impara”.
Questa è una parte del pensiero junghiano che per noi è molto utile per lavorare.
Una parte degli archetipi verrà poi ripresa da Ken Wilber come matrici profonde della psiche proprio a
livello transpersonale.
La sincronicità
Jung comprese il processo “viennese” della relazione causa-effetto e il principio “sincronico” degli
eventi. I sogni, gli incontri, i momenti speciali diventano momenti sincronici. Lui definisce la sincronicità
come la legge dello spirito, dei processi profondi, ed in questo si fa aiutare da uno dei grandi fisici
quantistici, Wolfang Pauli, autore del basilare “principio di esclusione”, che è appunto un principio di
sincronicità: gli elementi atomici che girano attorno al nucleo, gli elettroni, anche a distanza enorme
“sentono” il moto e lo spin di rotazione degli altri elettroni, istantaneamente. C’è una legge di
comunicazione (diciamo della coscienza) delle informazioni che permette questo passaggio, che non è
quindi fisico. Dalla sincronicità degli eventi deriva la degenerazione new-age che “tutto ha un senso”. Ma
ciò non è vero, viviamo in un mondo che è altamente “non sincronico”, casuale e caotico, con dentro
degli elementi rari di sincronicità. E quanto più si evolve nel campo dello Spirito, tanto più questa legge
della sincronicità viene messa in evidenza e si entra in un mondo che diventa sincronico. Possiamo dire
che un illuminato vive in un mondo altamente sincronico, dove l’elemento del caso esiste (anche gli
illuminati si ammalano e muoiono), ma è un livello minoritario: l’attenzione è più sulla sincronicità che
non sul caos.
Lavorando con il premio Nobel della Fisica, Wolfang Pauli, che era fuori di testa ed aveva un’energia
pazzesca, Jung entrò in contatto con tutta una serie di forze strane. Pauli era capace di mandare in tilt i
macchinari scientifici, i suoi amici lo sapevano e non volevano che andasse da loro. Un giorno, in un
laboratorio in Germania saltarono alcuni apparati e tutti dissero: “Se fosse stato qui Pauli, avremmo
sicuramente dato a lui la colpa”. Quando gli fu raccontato, si scoprì che esattamente in quel momento lui
passava con il treno in quella zona. È un evento casuale. Wolfang Pauli era discretamente fuori ma,
attraverso la pratica psicanalitica con Jung, risolse una grossa parte dei suoi problemi.
Pauli, una volta guarito, iniziò a ragionare sul principio di indeterminazione: sullo stesso orbitale (in un
atomo, intorno al nucleo, ci sono gli orbitali su cui muovono gli elettroni) non possono stare due elettroni
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che girano dalla stessa parte: uno gira da una parte e l’altro gira dall’altra, devono avere spin opposti
altrimenti non possono stare. Ma questo portava un problema gigantesco: come fa l’elettrone che gira in
un senso a sapere che sullo stesso orbitale, a distanza, c’è un altro elettrone che gira in senso opposto? Da
lì partì il concetto di sincronicità, di una comunicazione sottile tra eventi simili.
Jung parlò di sincronicità quando avvenne l’episodio con Freud in libreria. Inoltre riportò degli esempi:
mentre una persona gli raccontava di aver sognato uno scarabeo dorato, entrò dalla finestra uno scarabeo
dorato. Iniziò a comprendere che addirittura intere civiltà, come quella cinese, si erano basate sull’I Ching
non rifacendosi al concetto di causa-effetto, di uno che genera un altro, ma al concetto di sincronicità.
Vuol dire che lanciando le bacchette (all’inizio non c’erano le monete dell’I Ching, ma usavano le
bacchette delle pianta di Achillea) in quel momento si genera una situazione. È come quando si sceglie
una carta e quella carta è significativa in quel momento, s’incontra una persona che è significativa in quel
momento. Quindi, esiste una serie di nessi acasuali, ma significativi. Questo è il concetto di sincronicità,
il concetto che bilancia il caos. Arrivò ad intuire così le basi fisiche dell’informazione della coerenza
elettromagnetica, che poi si svilupperà nel lavoro sul cervello.
Jung fu veramente un grande personaggio. Un accenno al lavoro fatto da Jung sui sogni: Freud fu il primo
a strutturare l’analisi dei sogni, ma Jung la portò molto più avanti. Attraverso l’analisi dei sogni, Jung si
accorse che nel nostro inconscio sono presenti una serie di archetipi come per esempio i Mandala, che
sono comuni a tutte le tradizioni. Il Mandala è un termine che significa sia centro sia circonferenza, è una
rappresentazione dell’essere umano: il cerchio o il centro può rappresentare l’identità umana o l’universo,
il micro e il macrocosmo. Jung scoprì che i pazienti, in alcuni stati di coscienza, entravano in questa
rappresentazione simbolica di se stessi e facevano dei mandala.
Jung non è passato attraverso una scuola di risveglio interiore e quindi, a sua volta, non è riuscito a creare
una scuola di risveglio. Non ha passato e trasmesso nessuna tecnica pratica reale per risvegliare le
coscienze dei suoi allievi e pazienti, se non un valore profondo che gli altri hanno colto come intuizione,
come concetto di grande valore, anche se non avevano una pratica concreta per realizzarlo
profondamente.
Ho personalmente collaborato con le psicoterapie junghiane, c’è un carattere più umano, un incontro tra
persone; si hanno bei risultati di comprensione e di armonizzazione interna (non posso dire altrettanto
delle psicoterapie freudiane).
Biografia (Giuseppe Pagliaro)
Carl Gustav Jung nacque nel 1875 a Kesswil (Svizzera). Il padre era un pastore protestante, cappellano
dell'ospedale psichiatrico di Basilea. Il nonno era stato un medico famoso e rettore dell'Università di
Basilea. In questa città, Jung compì gli studi secondari e nel 1885 si iscrisse alla facoltà di medicina, e si
laureò nel 1900. Negli anni universitari si interessò di parapsicologia e spiritismo e nel 1902 pubblicò la
sua tesi di laurea dal titolo Psicologia e patologia dei cosiddetti fenomeni occulti. Nel dicembre del 1900
cominciò a lavorare nell'ospedale psichiatrico di Zurigo, all'epoca diretto da Bleuler. Tra il 1902 ed il
1903 fu a Parigi a prendere lezioni da Janet ed al suo ritorno sposò Emma Raushenbach. Nel 1907 Jung si
reca da Freud che lo ritiene il suo successore. Nel 1910 fu eletto presidente della Associazione
psicoanalitica internazionale e direttore dello "Jahrbuch", la rivista ufficiale della società. Negli anni
l'idealizzato rapporto tra Freud e Jung si incrina sempre di più, ma la rottura ufficiale avvenne solo nel
1913 al congresso di psicoanalisi, e la causa principale fu la pubblicazione da parte di Jung, nel 1912, del
suo testo fondamentale sulla teoria della libido La libido: simboli e trasformazioni. Nell'ottobre
successivo Jung si dimise dalla carica di direttore dello "Jahrbuch", nell'aprile del 1914 da quella di
presidente dell'Associazione e uscì definitivamente dal movimento psicoanalitico. Negli anni seguenti
Jung si dedicò all'attività psicoterapeutica privata, a lunghi viaggi (Nord America, Nuovo Messico, India,
Egitto e Kenia), nonché alla formulazione di innovative teorie ed alla stesura di nuovi libri. Nel 1930
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Jung fu nominato presidente onorario della Associazione tedesca di psicoterapia. Nel 1944 ha un
incidente ed un successivo infarto. In coma vive una esperienza pre-morte che descriverà nel suo testo
autobiografico Ricordi, sogni e riflessioni. Muore il 6 giugno 1961, dopo una breve malattia.
Testi consigliati:
·
La libido simboli e traformazioni (1912), Newton Compton
·
L'inconscio (1914-1917), Mondadori
·
Energetica psichica. 1928 (1928), Bollati Boringhieri
·
La sincronicità. 1952 (1952), Bollati Boringhieri
·
Coscienza, inconscio e individuazione, Bollati Boringhieri
·
L'Io e l'inconscio, Bollati Boringhieri
·
Analisi dei sogni, Bollati Boringhieri
·
Tipi psicologici, Newton Compton
·
La psicologia dell'inconscio, Newton Compton
·
L'uomo e i suoi simboli, Tea, Opere (18 volumi), Bollati Boringhieri
LA PSICOLOGIA ENERGETICA DI WILHELM REICH
Roberto Sassone
Reich, allievo di Freud, fu il primo a rendersi conto che non si poteva condurre una psicoterapia davvero
efficace senza restituire al paziente la sua corporeità. Constatò che tutte le difese ed i condizionamenti, in
pratica ogni nevrosi, si strutturano nel corpo. Tratterò di Reich secondo la mia esperienza di vita, tutto ciò
che ho sperimentato dall’inizio della mia terapia reichiana che risale al 1972. Da quel momento ad oggi
ho fatto un percorso reichiano insieme ad altri percorsi di meditazione, per cui la mia vita è intrisa
dall’esperienza reichiana non già in una chiave teorica, ma soprattutto come esperienza profondamente
corporea ed emozionale. Per questo motivo preferisco parlarvi di Reich non tracciando la sua storia, ma
spiegandovi sinteticamente quelli che per me rappresentano i punti fondamentali del suo lavoro, adatti al
contesto di counseling.
Considero Reich un ricercatore con aspetti transpersonali, anche se la maggior parte dei suoi seguaci
ignora o non considera questo aspetto del suo pensiero. In effetti tutta la sua teoria reca la possibilità
continua di una dialettica tra l’individuo come unità psicosomatica, ma soprattutto come unità energetica,
e la realtà energetica e cosmica in cui è continuamente immerso. Cioè, per comprendere l’essere umano,
non si può prescindere dal fatto che l’individuo è immerso nell’energia, che Reich chiama energia
orgonica cosmica, e che è proprio questo continuo scambio a regolare l’esistenza. Un altro tema
fondamentale di Reich, equivocato dalla maggior parte di studiosi (e mi assumo la responsabilità di
questa affermazione) e che anche alcuni reichiani non hanno capito, è la sessualità: l’hanno banalizzato e
ridotto esclusivamente allo sblocco di una funzione fisiologica che certamente è importante, ma è soltanto
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l’aspetto visibile e limitato di un processo più complesso che riguarda l’intero biosistema dell’essere
umano.
Piacere-espansione e dolore-contrazione
Reich realizzò il sogno di Freud che aveva il desiderio di trovare la base biologica della libido. Con
semplici esperimenti dimostrò che la percezione del piacere è legata alla maggiore o minore capacità
del corpo di espandersi o di contrarsi. Ciò significa che laddove ci sono dei punti del corpo più
contratti muscolarmente, la sensazione del piacere è ridotta o assente; quando invece nel corpo c’è una
maggiore distensione muscolare, è consentito un flusso maggiore della libido (del piacere) che viene
percepita chiaramente. Questo fenomeno è fondamentale, perché oggettiva nel corpo la funzione di
controllo e di repressione che Freud chiama Super Io. L’introiezione delle regole morali e dei divieti si
manifesta nel corpo come contrazione. I blocchi muscolari hanno lo scopo di trattenere le emozioni che
altrimenti fluirebbero liberamente (dall’Es) in barba ad ogni regola sociale. Stiamo entrando nel vivo del
corpo. Se repressione è uguale a contrazione muscolare, liberazione non è un fatto ideologico, ma è la
possibilità di sentire il flusso energetico-vitale che scorre in sé. Questa affermazione ci conduce ad un
altro enunciato basilare: il recupero di una libera funzione sessuale è la conseguenza dello sblocco
dell’energia vitale a livello totale dell’individuo, inteso come unico biosistema. Inoltre bisogna
sottolineare che il campo unitario energetico-vitale dell’individuo è inserito nel più vasto campo della
terra ed anche del cosmo. Reich lo chiama campo di energia orgonica cosmica ed entra così nella schiera
dei ricercatori integrali ed olistici.
Andiamo sugli elementi fondamentali. Reich era uno degli allievi più promettenti di Freud. Anch’egli
quindi assume il concetto di Es, ma ne evidenzia l’aspetto qualitativo: l’Inconscio è uno stato di non
consapevolezza; tutto quello che non viene percepito, non viene vissuto e non viene conosciuto (non è
consapevole), è Inconscio. Quindi, ci sono le emozioni inconsce, le strutture inconsce del Super Io e tutti i
modelli stereotipati e culturali di cui non si è consapevoli. Tutto questo materiale represso, rimosso e
compresso lo si può cominciare a leggere nello sviluppo del bambino – nelle fasi di sviluppo libidico di
cui Freud parlava – nel percorso della formazione della corazza caratteriale che si struttura gradualmente
dagli occhi alla bocca (fase orale – allattamento) e successivamente nella fase anale o, meglio, fase
muscolare (controllo della muscolatura), fino alla fase genitale (Edipica). Tutta la storia individuale la si
può leggere quindi nel corpo. Reich dice chiaramente che il corpo è il serbatoio dell’inconscio, nel senso
che realmente nel nostro corpo bloccato c’è tutto il materiale rimosso, che ha una valenza energetica e
emotiva reale e che determina anche la struttura non solo muscolare, ma anche psichica.
Un’altra scoperta di Reich è l’identità funzionale: l’energia è unica pur manifestandosi a livello psichico e
somatico. Cosa vuol dire questo? Lo psichico ed il somatico hanno come fonte la stessa energia vitale.
Questa unità Reich la chiama Identità Funzionale. Quindi, un blocco corporeo è anche un blocco
psicologico. E il blocco psicologico è anche un blocco corporeo. È lo stesso blocco che deve essere visto
nella sua modalità energetica e nella sua modalità psichica.
La scoperta dell’identità funzionale tra psiche e corpo va a sanare la frattura storica tra mente e corpo che
tanto ha condizionato lo sviluppo della psicologia, oltreché l’approccio metodologico inerente l’uomo.
La sessualità e la funzione dell’orgasmo
Nitamo Montecucco
L’impostazione di Reich fu di forte impronta vitalista e lo portò a studiare e a fare ricerche scientifiche di
grande spessore sull’energia vitale, da lui chiamata energia “orgonica”, e sulla natura del piacere. Sono
famose le sue ricerche sulle basi della vita: i bioni (specie di precellule luminose che tendono ad
aggregarsi e crescere) e i bacilli T (T da Tanatos, la morte) che nascono da tessuti malati e privi di
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vitalità. Da queste scoperte derivò le sue analisi di laboratorio, che, attraverso l’analisi della vitalità del
sangue o dei liquidi, permettono di comprendere quanto l’unità psicosomatica umana sia integra o
frammentata. Reich, dopo le ricerche sull’energia orgonica ed i bioni a Oslo, si trasferisce negli USA
dove crea l’Orgone Istitute. Qui crea una scuola di terapisti e sviluppa una serie di apparecchiature, gli
accumulatori orgonici, per facilitare la guarigione nei pazienti in cui l’energia vitale-sessuale era ormai
troppo bassa o compromessa. Gli accumulatori orgonici diedero dei risultati sorprendenti ed inaspettati.
Attraverso elettrodi applicati ai genitali e le zone erogene, dimostra che la sessualità è energia fisica, ed è
misurabile. Non solo, è energia che non dipende dalla funzione ma dal contesto della funzione. Se ti tocco
non produco una sensazione piacevole, ciò accade se abbiamo una relazione. Reich scopre l’energia
vitale, o per noi riscopre quella che i cinesi chiamano Chi, i buddhisti R'lung, gli indiani Prana, la scopre
all’occidentale, senza i canali, i circuiti, ma come la capacità di fluire o di essere bloccata.
Reich concepisce una personalità di tipo “genitale”, l’uomo o la donna sessuale naturali, capaci di vivere
normalmente, fisicamente, e di avere quel momento di piacere che noi chiamiamo orgasmo. Le
importantissime ricerche sull’energia sessuale e sull’orgasmo, iniziate in Norvegia e proseguite negli Stati
Uniti, lo portarono ad una serie di scoperte fondamentali sul ruolo dei sistemi viventi, sulla genesi delle
patologie e sulla loro risoluzione attraverso una differente consapevolezza di sé e della propria natura
espansiva legata al piacere di vivere. È il primo a fare una diagnosi energetica delle malattie, dei tumori,
facendo emergere come sotto i tumori c’è sempre una rabbia trattenuta perché c’è un’energia sessuale
bloccata.
Ricordiamoci che una parte della liberazione sessuale che si è avuta nel 1968 fu promossa da gruppi
reichiani. Reich parlò di sessoeconomia ad indicare il fatto che l’energia sessuale è sia modalità interna
che di scambio relazionale che fornisce, nell’economia di un sistema, l’energia primaria. Sviluppa tale
visione dicendo che tale energia deve salire dal sesso, che è il suo canale naturale (primo chakra o per i
cinesi “il canale del rene”). Se viene fermata, se il canale viene bloccato si ha una dicotomia: se voglio
fare una qualsiasi azione che mi dà piacere e vengo bloccato, vivo una dicotomia (lo faccio, non lo faccio,
conflitto, colpa etc.). Il blocco dell’energia crea una depressione: questo è un modello psicoenergetico
fondamentale. Il Sé originario delle persone che è molto fisico, molto energetico, viene bloccato a tanti
livelli e genera delle patologie, o meglio genera dei caratteri. I caratteri, come le forme psichiche di Jung,
sono molteplici. Il carattere è una modalità per cui, sulla base di un blocco, una persona sviluppa come
forma di adattamento, dei comportamenti che non sono i suoi originali, ma quelli con cui poi si identifica.
Reich è quindi anche il primo padre della psicosomatica. Scopre i primi blocchi energetici, scopre
l’energia vitale, scopre l’orgone, inventa gli accumulatori di energia, scopre le energie catartiche, crea la
curva dell’energia. Un genio. Non solo, pur essendo antireligioso, o meglio contro qualsiasi forma di
ideologia, non conoscendo altre forme di religione che quelle occidentali, passa da un ateismo scientifico
ad un misticismo cosmico. Scopre che la nostra energia (per noi è ovvio) deriva dall’energia del cosmo e
si inventa una sorta di agopuntura planetaria: piantò dei tubi, collegandoli all’acqua che catalizzava
energia, e li puntò per due giorni verso il cielo, facendo piovere in pieno deserto, in Arizona, alla presenza
dei giornalisti. Quella zona è rimasta verde per qualche anno. Pensava che il dio delle religioni fosse
un’assurdità, che è l’energia viva dell’esistenza. Non ha fatto l’ultimo salto nello spirituale, non riuscendo
a capire che l’energia è cosciente, intelligente. Pur non conoscendo le tecniche di meditazione, riescì ad
avere dei momenti di estasi, di percezione altissima della relazione che connette il cosmo.
Per la limpida spregiudicatezza di queste ricerche Reich venne espulso dalla Norvegia e venne
perseguitato negli Stati Uniti fino alla sua incarcerazione e alla morte in carcere per attacco di cuore. La
sentenza della corte fu che Reich doveva essere incarcerato in quanto colpevole di aver sostenuto
l’esistenza dell’energia orgonica che “non esiste”. Il suo laboratorio venne distrutto dal governo
americano ed i suoi libri messi al bando in tutti gli Stati Uniti. A pieno diritto possiamo considerare
Wilhelm Reich un tantrico ante litteram.
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L’analisi del carattere
Roberto Sassone
Nella sua pratica clinica osservò che ogni emozione repressa viene bloccata e trattenuta mediante la
muscolatura e che esiste uno stretto legame tra l’insieme delle tensioni, la formazione delle difese e la
struttura del carattere. Il modo corporeo di ogni individuo è allo stesso tempo modo psichico. La struttura
del corpo equivale al nostro come emotivo, affettivo, mentale e comportamentale. Questa scoperta
dell’identità funzionale tra psiche e corpo sancisce il passo decisivo verso la psicologia olistica che
concepisce in maniera unitaria e correlata ogni funzione dell’essere umano.
Quando Reich ha iniziato a concepire e strutturare l’analisi del carattere, ha fatto un discorso
incredibilmente articolato, perché l’analisi del carattere comprende diversi piani di lettura, secondo un
principio sistemico: l’analisi del funzionamento dei sette livelli e la loro correlazione, i comportamenti e
gli atteggiamenti nei confronti del mondo che corrispondono al modo corporeo di funzionare, le strutture
difensive comportamentali ed i loro agganci muscolari. È evidente ancora di più che psichico e somatico
sono l’uno lo specchio dell’altro.
Nella visione di Freud il superamento della nevrosi consiste nel sapersi reinserire e adattare nella vita
sociale, aderendo alla logica di quel sistema, altrimenti non c’è la possibilità di avere veramente un Io
solido. Con Reich si ribalta tutto: le ideologie sociali sono il prodotto del carattere nevrotico ed
esprimono la logica di questa repressione. Quando la natura dell’uomo si struttura in maniera
disfunzionale non può che generare una cultura che avvalla la repressione stessa della natura.
Ma nel corpo esiste un principio di autoregolazione che viene attivato dalla terapia e che contribuisce a
recuperare la percezione del proprio corpo, sbloccando le emozioni e liberando il rimosso attraverso un
reale sentire e non attraverso l’atto cognitivo. Il paziente impara fisicamente ad entrare in contatto con la
sua ombra (termine junghiano), a conoscerla e a non averne paura, e libera le forze vitali al servizio
dell’io, che stimolano il processo di autoregolazione di se stessi e della propria realtà. In tal modo accade
un fatto singolare, ovvero che l’individuo che attiva il processo di autoregolazione, sciogliendo le catene
del super-io ed entrando in contatto con se stesso, sviluppa un funzionamento etico. Questo è il senso
profondo dell’anarchia. La repressione e la necessità di una legge è necessaria per frenare gli impulsi. Ma
quali parametri si assumono per decidere quali impulsi e come devono essere frenati, cioè chi decide se
quell’impulso è cattivo o buono? Allora facciamo dell’ironia: la sessualità è un impulso “cattivo”… per
carità, bisogna gestirlo bene, perché se uno gode troppo non riesce a fare più il suo dovere! Invece il
presupposto è quello contrario e cioè che gli impulsi naturali hanno una loro logica vitale e un loro senso
profondo di realizzazione. Chi fa un lavoro psicocorporeo su di sé non ha bisogno di leggere Reich, ma
sentendo se stesso, percepisce anche l’altro come essere vivente e individuo reale.
Se io vedo te e sento te non posso più vederti in maniera virtuale, perché ti rispetto, non perché c’è
un’ideologia che mi fa pensare che è giusto rispettarti, ma perché tu sei come me, ti sento. E ciò vale
anche per la natura, ma se io non sono più natura, perché non sono più in contatto con la mia natura e
temo la percezione vegetativa del mio flusso vitale, come posso rispettare qualche cosa che io temo?
Il grosso impedimento alla relazione con la natura sussiste perché nella repressione sessuale, e quindi
nella repressione degli impulsi naturali, c’è la paura di sentire il piacere. Perché tutti questi divieti ai
bambini, tutta questa necessità di imbrigliarli? Perché il bambino ricorda profondamente quella libertà
vitale che l’adulto, nella sua repressione, ormai si è negato. Gli crea quasi un problema, fa paura, fa
vedere quello che ha perduto. Lo deve controllare, lo deve di nuovo inscatolare per rassicurarsi
profondamente e non entrare in contatto con ciò che si è negato. Quindi, chi ha paura della vita è perché
non ha il contatto con la vita e naturalmente la uccide per poter rientrare in una sua rassicurazione. Questo
è il motivo per cui una società si fonda sulla repressione (Psicologia di Massa del Fascismo di W. Reich).
È inutile creare delle strutture sociali, anche ben congegnate che dovrebbero funzionare benissimo,
quando poi le strutture caratteriali delle persone che le gestiscono sono esse stesse malate, sono strutture
di potere che negano la vita.
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Reich cominciò a lavorare sul corpo infrangendo un tabù grandissimo della psicoanalisi: non si deve
toccare il paziente. Il corpo non poteva essere toccato, perchè subito si presentava il mostro della
sessualità. Avendo sancito l’identità funzionale tra corpo, emozioni e carattere, Reich ha sviluppato una
metodologia psicoterapeutica che esce dall’esclusiva dimensione verbale e cognitiva e include
l’espressione emotiva, il contatto tra terapeuta e paziente, la respirazione e la percezione corporea.
Ogni successivo approfondimento dei metodi psicocorporei nasce da Reich. Dalla sua scuola si sono
sviluppate numerosissime vie terapeutiche che hanno contagiato tutta la moderna concezione
psicosomatica della crescita umana: dalla Bioenergetica di Lowen alla Core Energetica di Pierrakos, dalla
Vegetoterapia di Federico Navarro alla scuola di Baker, a tutte le moderne terapie basate sulla crescita
umana e sul decondizionamento.
Il corpo ed i sette livelli
Il corpo è l’individuo, è la possibilità di essere coscienti della vita e nella vita, è la percezione che
sostiene la coscienza. È veramente difficile avere una relazione con la realtà che non venga interpretata in
maniera mistica. Secondo Reich l’atteggiamento mistico è l’atteggiamento di colui che apre dei canali di
coscienza (anche attraverso delle pratiche di meditazione) senza avere prima una percezione sana del
proprio corpo. Ne consegue che l’apertura di questi canali, l’esperienza di stati di coscienza più vasti, che
genera una grande energia, finisce per creare uno scollamento ulteriore con la percezione corporea. Si può
creare una confusione tra stati che Wilber chiamava “pre-egoici”, intrauterini, in cui si perde l’identità, e
stati più integrati di coscienza nei quali ci si collega con dimensioni cosmiche, senza perdere il centro
dell’identità.
Per cercare di recuperare questa dimensione di coscienza del corpo, Reich individuò nel corpo sette livelli
- come degli anelli o metameri- che ripercorrono la storia dell’individuo che si imprime profondamente
nel corpo. Ogni livello ha un suo linguaggio ed una sua funzionalità nello sviluppo dell’individuo.
Tramite questi livelli - ognuno dei quali integra l’aspetto muscolare, emozionale ed energetico - si può
leggere sul corpo la storia dell’individuo e dove la sua energia vitale è maggiormente bloccata.
Dobbiamo tener sempre presente che il corpo siamo noi finché siamo incarnati. Noi siamo qui, siamo il
nostro corpo e direi che addirittura il Sé è profondamente radicato al corpo e dobbiamo sentire e
realizzare questa unità. Questi livelli partono dall’alto con il livello degli occhi che comprende non solo i
bulbi oculari, ma tutta la parte frontale della testa, il talamo, la neocorteccia, l’occipite, il naso e le
orecchie. Gli occhi rappresentano quindi il primo imprinting fondamentale che si ha alla nascita,
esprimono il primo contatto con il mondo quando si viene alla luce. Nei nostri occhi c’è tutta la nostra
storia, dall’intrauterino alla nascita, sino a ciò che siamo noi attualmente. C’è la nostra visione del mondo,
la consapevolezza con cui stiamo in esso. Reich decide di iniziare il processo di scioglimento della
corazza partendo dagli occhi, sostenendo che l’energia vitale, libidica, si dirige dalla coda (bacino) alla
testa. Se questa energia potente viene liberata in un movimento verso l’alto, tende a caricare ulteriormente
i livelli alti, soprattutto gli occhi, rafforzando il blocco. Liberare invece prima il livello degli occhi aiuta a
consolidare una consapevolezza più chiara, a dare maggiore presenza all’individuo, ad essere più nella
realtà. La maggior presenza degli occhi aiuta ad affrontare le emozioni più profonde bloccate negli altri
livelli. Quindi, Reich sostiene che, dato che il processo energetico avviene dal basso verso l’alto,
dobbiamo lavorare in senso contrario sbloccando dalla testa fino alla coda, in modo da liberare sempre di
più il cammino all’energia che si sprigiona dal basso verso l’alto. Personalmente non sono pienamente
d’accordo su questo approccio, pur riconoscendo che nel percorso psicocorporeo bisogna sempre fare in
modo di non caricare gli occhi, ovvero di avere un’attenzione particolare alla capacità che il cliente ha di
accogliere ed integrare il materiale emotivo e cognitivo che emerge. Bisogna quindi lavorare sul
grounding, sulla messa a terra, sul contatto con il suolo, per rafforzare le radici dell’individuo. Gambe ed
occhi sono profondamente collegati.
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Il I^ livello è il livello degli occhi (6ɍ e 7ɍ chakra), su cui sono fondamentalmente ancorate le esperienze
di base di contatto con il mondo. L’atto del nascere è anche detto “vedere la luce”. Gli occhi esprimono,
pertanto, il primo contatto con la realtà. Spesso all’atto del guardare non corrisponde l’atto del vedere. È
guardando una persona negli occhi che ci si accorge del livello della sua coscienza, della profondità,
lucidità. Una persona che non guarda negli occhi, che è sfuggente, ha paura di entrare in contatto (talvolta
è molto evidente questa paura o quest’assenza di sguardo ed è consigliabile porre molta attenzione nel
trattare quel cliente). L’occhio vitreo o l’occhio vuoto fa immediatamente chiedere “dove sta quella
persona?” “dove sta quell’identità?”. Gli occhi sono un mondo: possono essere spenti, spaventati, assenti,
impenetrabili, penetranti, inquietanti, cattivi, luminosi, profondi, sfuggenti, fissi, agitati, sognanti, accesi,
buoni, attenti, maliziosi. Gli occhi rivelano, dunque, l’essenza di un uomo, il suo grado di presenza, la
qualità del contatto che ha con se stesso e con il mondo. Nel linguaggio reichiano “avere occhi” significa
“esserci”, “non avere occhi” significa “non esserci”.
Uno degli esercizi più efficaci è chiamato “naso-cielo” che consiste nel far convergere gli occhi verso la
punta del naso e successivamente guardare un punto di fronte. La mancanza o la difficoltà di convergenza
indica un blocco agli occhi e di conseguenza manifesta la presenza di temi di relazione con la madre e
con la realtà interna o esterna. Ricordiamo che un blocco muscolare significa un blocco emotivo e che
quindi è presente una tema caratteriale legato a quel blocco. Per esempio può accadere che si riesca a
guardare la punta del naso solo con un occhio e che l’altro fugga. Questa è già un’indicazione interessante
e senza fare facili schematizzazioni possiamo dire che l’occhio destro bloccato è legato a tematiche con la
figura maschile o con il proprio maschile o con la figura autoritaria esterna, che potrebbe essere anche
una madre che funge da legge, (il che si può rapportare all’energia Yang). Se, invece, non riesce a
convergere l’occhio sinistro, abbiamo delle tematiche riguardanti il rapporto con il proprio femminile (ciò
vale anche per l’uomo), con gli aspetti sensitivi, interiori o con la madre (tutto ciò che riguarda lo Yin).
Il II^ è il livello della bocca (5ɍ chakra) che comprende le labbra, la mandibola, i denti, la lingua, la nuca.
Poiché la bocca è collegata alla fase dell’allattamento e dello svezzamento, a questo livello si strutturano
tutte le problematiche orali che sono attinenti alla relazione con la madre, quindi il rapporto con
l’affettività ed il tema del bisogno e della dipendenza. È importante sottolineare che non è tanto la
quantità, ma la qualità di ciò che si è avuto dalla relazione. Nei sette livelli si struttura il blocco con la
relativa tematica, però il blocco è l’effetto di un tipo di relazione che si è perpetuata in quella fase di
sviluppo del bambino. Il tipo di relazione che è avvenuta sarà la modalità base di relazione che ognuno di
noi ha in quella determinata situazione. Ce ne possiamo accorgere dalla conformazione della mandibola,
che può contenere, insieme al mento, forti cariche di rabbia trattenuta. Lo possiamo vedere dalle labbra
più o meno strette o carnose, da atteggiamenti come mordersi le labbra o le dita, dal modo di parlare. Ad
esempio attraverso la voce si individua a quale età quella persona si è fermata: può avere una voce da
bambina piccola pur essendo adulta. Quindi, conoscere la storia di un blocco e liberare le emozioni che
sono collegate ad esso, ci dà la possibilità di vedere effettivamente quale storia quella persona ripete
continuamente nelle relazioni affettive. Lavorare su questo livello fa emergere il tema del bisogno, della
richiesta, della rassicurazione. E’ presente il timore di non avere sufficiente attenzione e considerazione o
al contrario c’è il rifiuto di ogni dipendenza, la sfiducia, il timore di essere invasi e la fuga continua di
fronte all’amore.
Il III^ è livello del collo, che comprende anche l’interno della gola. Naturalmente bisogna sempre avere
presente che ogni livello sfuma in quello successivo. Ciò è molto evidente con la gola che è al confine tra
il secondo ed il terzo livello. Esprime le tematiche narcisistiche, è un indicatore della struttura del Super
Io, di quanto la persona sia capace o meno di lasciarsi andare, quale sia l’immagine che l’Io ha di se
stesso, che tipo di immagine di sé stia recitando nel mondo. Ad esempio chinare la testa (sottomissione),
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avere la testa alta (orgoglio), avere la testa sulle spalle (responsabilità), non piegare mai la testa
(intransigenza), sono atteggiamenti posturali che indicano l’atteggiamento verso se stessi e la vita. Nel
lavoro sul collo, gola e attaccatura del trapezio, c’è tutto il percorso per riuscire ad abbandonare la rigidità
del Super Io ed allentare la struttura di controllo. La gola è la saracinesca per bloccare le emozioni che
salgono dal cuore. Può diventare una vera barriera che separa la testa dal resto del corpo. Testa e cuore
finiscono così col non comunicare e le emozioni vengono soffocate.
Il IV^ livello corrisponde al torace (4ɍ chakra). Dal momento che nel percorso dell’Accademia si dedica
una particolare attenzione al centro del Cuore, c’è la necessità di dire che il centro del Cuore ha due
livelli: un livello più di superficie che è quello emozionale e un livello di profondità, la percezione più
profonda del centro del Cuore, la percezione dell’IDENTITA’. Dietro il livello del Cuore emozionale c’è
l’Anima o, secondo Sri Aurobindo, il centro psichico. Egli fa una distinzione tra lo psichico e lo
psicologico: psicologico è tutto ciò che è relativo all’ego, alla personalità sociale, mentre lo psichico è la
nostra vera identità che si va formando oltre i ruoli.
Il livello del torace è fondamentale perché in esso c’è la percezione della propria identità nel mondo, ma è
anche un livello che esprime con che identità ci rapportiamo ad esso.
Le spalle esprimono il tema del masochismo, della sopportazione, della paura e della rabbia serrate tra le
scapole. Spalle curve, sottomesse oppure che possono sostenere qualunque peso.
A questo livello incontriamo anche le tematiche di respirazione e di cuore che vanno interpretate nella
chiave di qual è la capacità di dare, del tipo di relazione di cui si è capaci, di come ci si manifesta nel
mondo. I polmoni esprimono, pertanto, il rapporto con l’energia vitale. Il torace può essere gonfio,
incapace di abbandonarsi nell’espirazione. Può essere scarico, con poca energia ed incapace di inspirare,
di riempirsi. Nel cuore vi sono emozioni profonde da esplorare, tenute ingabbiate, negate, congelate.
Ci sono toraci con il petto in fuori, gonfi, sempre espansi, una vera gabbia per proteggere il cuore ferito o
per contenere una forte rabbia o odio. Nello psicopatico la situazione è più evidente. Le emozioni del
cuore sono soffocate ed è presente una grossa carica energetica; per contenere bisogna bloccare il
diaframma, separandosi dagli impulsi vitali ed emotivi. Questa è una delle situazioni più frequenti, per cui
se si ama non si riesce a fare l’amore (tipico comportamento degli uomini, ma sta diventando più
frequente anche tra le donne). L’oggetto d’amore non può essere desiderato, perché l’amore è una cosa
nobile, mentre il sesso è sporco, per cui certe cose non si devono fare con la persona amata; invece
quando manca la relazione d’amore si riesce ad avere una relazione sessuale. Questo blocco è una tipica
separazione tra la parte istintiva e la parte emotiva, o l’una o l’altra.
Oppure c’è il torace scarico, che indica una depressione. E’ caratteristico dell’orale che sta con il bisogno
continuo di avere conferme e rassicurazioni, con una continua richiesta, come gli uccellini che stanno con
il becco spalancato aspettando che gli arrivi dall’esterno il nutrimento. C’è il bisogno di alimentare il
cuore perché c’è una richiesta d’affetto precedente che non è stata soddisfatta.
A livello del torace c’è anche l’atteggiamento aggressivo o propositivo o rinunciatario, la determinazione
o la rassegnazione. Ricordiamoci che il torace è l’identità, ma significa come io mi rapporto, come
manifesto questa identità. Ed è con le braccia e con le mani che si agisce sulla materia. Con gli occhi una
persona può anche avere una relazione di contatto, ma se non porta questa relazione di contatto dagli
occhi al torace e al cuore e quindi alle mani, non è reale. E’ lì che il contatto diventa una vera possibilità
di realizzare, di incontrare e di fare.
Il V^ è il livello del diaframma (3ɍ chakra). Tutte le discipline di contatto, di approccio anche spirituale
per iniziare ad entrare in contatto con la percezione di sé, si basano sulla respirazione. È proprio
bloccando il respiro che ogni emozione può essere controllata e repressa. Il diaframma è la principale
barriera che spezza il corpo in due, separando la parte istintuale dal cuore, bloccando in gola ogni
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impulso, ogni piacere, ogni intensità. Il blocco del diaframma, molto comune nella nostra cultura,
impedisce all’energia di arrivare ai genitali, diminuendo l’energia sessuale. Il diaframma sancisce il
rapporto con la nostra energia vitale.
Reich faceva fare una respirazione piena ed intensa da cui è nato il Rebirthing, o la respirazione
olotrofica. Le tecniche di respiro possono avere due tipi di funzione:
- La prima è pompare ed intensificare. Infatti la respirazione che cos’è in fondo? Un movimento di
energia vitale. Più energia immetti, più avvengono una serie di reazioni nel corpo. Provate a far respirare
una persona soltanto per dieci minuti con una respirazione profonda e veloce, e vedrete che inizieranno ad
accadere alcune cose: formicolii nel corpo, tetania alle mani e piedi. Cosa succede in pratica? L’aumento
della carica energetica mette in evidenza le contrazioni muscolari. È come un evidenziatore. C’è l’attrito
tra l’aumento del flusso di energia vitale e il blocco muscolare che fa resistenza. Quindi, da una parte si
crea una corrente che è una liberazione, perché il muscolo comincia a decontrarsi; dall’altra, però, c’è
l’opposizione del muscolo e si crea una tetania. Questo è l’aspetto legato alla respirazione quasi per
cercare di stimolare le reazioni e per mettere in evidenza le contrazioni muscolari ed i blocchi.
- La seconda funzione della respirazione è quella di essere strumento di concentrazione. Ad esempio la
meditazione Vipassana è un’osservazione del respiro mirata allo sblocco di una situazione o ad
evidenziare una situazione emotiva, ma mette l’attenzione sulla percezione. È chiaro che il blocco del
diaframma è un po’ la base su cui si deve lavorare per poter riattivare la coscienza di sé. Il blocco del
diaframma è proprio il punto cardinale. Da lì si dovrebbe iniziare per fare un lavoro spirituale.
Il VI^ è il livello della pancia (2ɍ chakra). È da tenere presente che il sistema dei Chakra ed il sistema
dei livelli di Reich sono simili ma non sovrapponibili. E anche nel sistema dei Chakra, i primi tre sono
molto connessi tra di loro.
Lavoriamo a livello di sperimentazione, quindi, quando lavoriamo sul VI^ livello, le persone esprimono
una serie ampia di emozioni viscerali. Durante una respirazione si lavora sul diaframma e di conseguenza
si attivano tutti i livelli del corpo, poiché sono funzionali e non c’è uno sbarramento tra di essi. Ogni
livello continua e sfuma nel successivo. È il diaframma a consentire la respirazione. È un livello che
comprende la milza, il fegato, il pancreas, lo stomaco e la parte posteriore della schiena. C’è il tema della
digestione, di come viene assimilato il cibo. Questo livello può diventare un ancoraggio che paralizza il
bacino e blocca la sessualità, essendo strettamente collegato al VII^ livello che comprende le pelvi, i
genitali, le gambe ed i piedi e che corrisponde al 1ɍ chakra.
Il VII^ è il livello del bacino e ha per tema la relazione fondamentale con il mondo. L’intensità del
nostro piacere dipende molto dalla quantità ed intensità di energia libidica che si scarica attraverso i
genitali. Il blocco delle pelvi limita ed a volte impedisce questa scarica, insieme al blocco degli altri
livelli. Nelle gambe c’è il tema del radicamento, della fiducia o sfiducia nella vita, della solidità,
dell’equilibrio. Tutta la tematica delle gambe, sembrerà paradossale, non è legata solo alla sopravvivenza,
ma anche per esempio a come noi spendiamo il denaro. Ci sono persone che non riescono mai a trovare
una stabilità, non riescono mai a trovare una casa, ad avere qualcosa di solido, un minimo di certezza
pratica. Hanno un problema di 1ɍ chakra (la sopravvivenza), per cui non riescono a costruire le basi della
loro vita. C’è, pertanto, una tematica molto vasta che non è soltanto legata al cibo da procacciarsi, ma
anche all’incapacità di crearsi un habitat nel mondo. Alcune persone vagano continuamente cercando di
realizzare qualche cosa, non riuscendo mai ad affermarsi né a consolidare niente.
Nella lettura del corpo bisogna osservare due parametri opposti: una eccessiva carica, tensione,
contrazione muscolare (iper) o una mancanza di carica, di tensione (ipo) per cui i muscoli sono scarichi,
flosci, poco vitali. Lo si può osservare nel corpo, dove se c’è una parte iper carica è per compensare una
parte scarica. La cosa è complessa, tuttavia l’operatore olistico può farsi un’idea sufficientemente chiara
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del cliente osservando come le tensioni muscolari siano dislocate nel corpo e come si alternano con i
vuoti. Se una persona ha i muscoli molto contratti nelle gambe non ha una buona messa a terra, non ha
radici, ha paura. Dal momento che ha paura della vita - probabilmente per un trauma intrauterino, una
minaccia di aborto, un parto difficile - si regge a fatica, non ha fiducia e teme di non farcela, di cadere. La
messa a terra è una percezione molto chiara e per niente astratta della fiducia, fa sentire che la vita ci
sostiene. Questa esperienza, però, deve esser stata trasmessa dalla madre, acciocché il corpo possa
imparare. Non serve dire a parole “devi aver fiducia”. Bisogna indurre un’esperienza positiva attraverso il
corpo magari con tecniche di respirazione o esercizi semplici di radicamento al suolo, in modo che si
possa percepire realmente che è possibile stare in contatto con la terra, con i piedi e le gambe.
Biografia (Giuseppe Pagliaro)
Wilhelm Reich nasce nel 1897 a Dobrzcynica, in Galizia, in una famiglia di agricoltori di lingua tedesca.
Nel 1910, quando Wilhelm aveva solo tredici anni, raccontò al padre della relazione tra il proprio tutore e
la madre, che forse per questo si suicidò. Quattro anni dopo morì anche il padre e Wilhelm si fece carico,
diciassettenne, di gestire l'impresa familiare ed i possedimenti agricoli. Dopo la guerra si iscrisse a
giurisprudenza, ma poco dopo cambiò facoltà e passò a Medicina (sempre presso l'Università di Vienna)
ove si laureò in soli quattro anni, nel 1922. Nel 1919 divenne membro della Società Psicoanalitica di
Vienna e tre anni dopo sposò Annie Pink, un'altra famosa psichiatra, inizialmente sua paziente come il
discepolo Alexander Lowen. La stima di Freud per Reich aumentò incondizionatamente fino al 1927,
anno della sua iscrizione al Partito Comunista e della pubblicazione del libro "La funzione dell'orgasmo"
che poneva Reich in contrapposizione con i colleghi, tutti appartenenti alla borghesia. In questo periodo
maturò in Reich la convinzione che vi sia un nesso tra repressione sociale e repressione della sessualità.
Ormai isolato dalla comunità scientifica, negli anni trenta Reich sostenne di aver scoperto una specie di
energia collegata con l'orgasmo, che chiamò per questo orgonica, supponendo che fosse contenuta
nell'atmosfera e nella materia vivente. Questa sua opinione non fu mai accettata, ma sempre contrastata,
dal mondo scientifico. Quando nel 1933 pubblicò Psicologia di massa del fascismo, questa fu messa al
bando dai nazisti e Reich decise di fuggire dall'Austria e si trasferì in America nel 1939. Nel 1947, a
seguito di una serie di articoli sull'energia orgonica, la Food and Drug Administration (FDA) lo accusò di
ciarlataneria e fu condannato a 2 anni di reclusione. Nell' agosto del 1956 i suoi appunti furono bruciati
dalla FDA. Reich morì in prigione per un attacco cardiaco un anno dopo.
Testi consigliati:
•
L'analisi del carattere. (1933), SugarCo Edizioni srl - Milano 1982, Esedra Srl, 1994.
•
Sessualità e angoscia. (1935-36), SugarCo Edizioni srl - Milano 1983, Esedra Srl, 1994.
•
La scoperta dell'orgone, volume n. I - La funzione dell'orgasmo (1942), SugarCo Edizioni srl Milano 1975, Esedra Srl, 1994, Tascabili SugarCo.
•
La scoperta dell'orgone, volume n. II - La biopatia del cancro. (1948), SugarCo Edizioni srl Milano 1975, Esedra Srl, 1994, Tascabili SugarCo.
•
La teoria dell'orgasmo ed altri scritti, Lerici, Milano 1961.
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LA PSICOSINTESI DI ASSAGIOLI
Kiran Lucia Vigiani
Roberto Assagioli, il fondatore della Psicosintesi, nasce a Venezia nel 1888 e muore a Capolona (AR) nel
1974, dopo aver passato gran parte della sua vita tra Firenze e Roma. Assagioli è stato un pioniere di
quella che poi è stata definita la corrente olistica, sviluppata in anni più recenti. È interessante considerare
il contesto storico nel quale ha mosso i primi passi esponendo le sue idee. All’inizio del ‘900 già parlava
di Psicosintesi, della confluenza di più approcci per la crescita umana. In Italia la Psicosintesi non è molto
conosciuta e soprattutto non è stata riconosciuta nella sua accezione trasformativa. Al contrario, negli
Stati Uniti e nei Paesi anglosassoni la Psicosintesi è tenuta in grande considerazione. Assagioli si è
rivelato essere un uomo con un notevole spessore sia umano che culturale, ha avuto relazioni in tutto il
mondo, nelle correnti culturali emergenti. Ha partecipato alle riviste fiorentine dell’inizio del ‘900 e al
fervore innovativo di quegli anni. Era medico psichiatra, aveva fatto la sua tesi sulla psicoanalisi,
diventando il pioniere della psicoanalisi in Italia. Aveva preparato la sua tesi all’ospedale psichiatrico di
Zurigo, sotto la supervisione di Jung ed era stato incaricato da Freud di diffondere le sue idee in Italia.
Quindi, è estremamente interessante seguire il cammino di quest’uomo che ha precorso un po’ tutte quelle
correnti che si sono affermate negli anni successivi.
Nella Psicosintesi troviamo una concezione olistica, perché è presente in essa una visione bio-psicospirituale, dell’essere umano. Ciò significa vedere un individuo sotto il profilo fisico-biologico, sotto
quello emozionale-psicologico e dare importanza e spazio alle sue possibilità di espressione ed
espansione sul piano spirituale. Adesso può apparire del tutto normale, 70 anni fa era una visione del tutto
nuova.
Era in contatto con Alice Bailey, prima teosofa e poi fondatrice della scuola esoterica Arcana, ispirata da
un maestro di saggezza tibetano. Ha conosciuto Freud e Jung; ha collaborato con Dane Rudyard alla
diffusione dell’astrologia esoterica ed era in rapporto diretto con molti altri personaggi di grande
rilevanza dell’epoca. Fisicamente era molto minuto, quasi etereo, ma, al contrario, era un personaggio di
grande spessore. Era ebreo ed aveva vissuto le persecuzioni razziali della seconda guerra mondiale, tra
cui la dura prova della prigionia. Nell’occasione, aveva trovato la forza e l’ironia per uno scritto sulla
libertà in prigione, nel senso che era talmente forte questo suo sentire che l’essere umano è una creazione
a molti livelli, e non è solo un’identificazione con il corpo, che lui riusciva a sentirsi libero anche in
prigione. È vero che si possono rinchiudere i corpi, ma non si possono uccidere le idee.
Tutta la Psicosintesi rientra in quella che è considerata la corrente della psicologia transpersonale. Quindi,
è una psicologia con direzione. Chi è che dà la direzione? Con questo concetto di direzione c’è già
un’enfasi sull’essere umano nella sua accezione più profonda: è lui che può dare la direzione alla propria
esistenza.
È anche un punto che ci chiama ad una grande assunzione di responsabilità, perché se so che posso dare
la direzione alla mia esistenza, significa che devo uscire dall’atteggiamento un po’ paranoico di vedere
tutte le colpe all’esterno. La persona si mette in una posizione in cui si interroga e si chiede: “Cosa sto
facendo per direzionare la mia vita là dove vorrei che andasse?”. Bisogna uscire dal ruolo di vittima, dal
ruolo della persona che prende tutto quello che gli piove addosso e iniziare a dire: “Io posso scegliere
dove voglio mettere la mia energia e dove voglio andare.” Questo è un punto di fondamentale importanza.
La psicosintesi considera l’uomo un centro di coscienza in rapporto con una molteplicità di contenuti
consci ed inconsci. I suoi metodi e le sue tecniche mirano a comporre tale molteplicità in una sintesi più
evoluta ed armonica (psicosintesi personale). Tale sintesi, allargandosi alla relazione umana, tende
all’integrazione e alla comunione fra tutti gli esseri umani e l’ambiente in cui vivono (psicosintesi
interpersonale). La concezione psicosintetica dell'evoluzione umana vede l’uomo come un’entità in
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continua crescita, capace di raggiungere sintesi sempre più ampie fino ad andare oltre la coscienza
personale ordinaria, identificandosi con la coscienza del Sé e realizzando così una psicosintesi universale
(psicosintesi transpersonale).
Lo scopo della psicosintesi è di unificare in una sintesi armonica i vari aspetti della personalità umana che
vanno dal fisico all’emotivo, al mentale e spirituale. Il tema della relazione umana acquisisce valore e
bellezza, ha per scopo l’integrazione e l’armonia fra gli uomini e si propone come una "scienza dei
rapporti umani". Contempla l’uomo come un essere in evoluzione, orientato alla consapevolezza,
all’espressione e attuazione delle sue potenzialità verso sintesi sempre più ampie che comprendono i
contenuti della dimensione che va oltre la coscienza ordinaria. I campi di studio della psicosintesi sono:
educativo, terapeutico, autoformativo, interpersonale, sociale, planetaria.
L’ovoide di Assagioli: la prima mappa psichica transpersonale
La prima mappa della strutturazione psichica secondo la Psicosintesi, raffigura un uovo diviso in tre parti.
L'ovoide, che Assagioli considera immagine dell'anatomia della psiche, descrive i livelli e le parti dello
psichismo umano. Le linee sono tutte tratteggiate, poiché le parti debbono essere "distinte, ma non
divise". La mancanza di distinzione, infatti, non ne permetterebbe il corretto uso: l'uomo deve essere
educato a percepire la provenienza delle sue istanze psichiche, per comprenderle e finalizzarle. D'altra
parte la divisione impedirebbe l'azione della volontà: l'uomo dev'essere guidato alla familiarità con le sue
intrinseche diversità che, se vissute come parti comunicanti di una unità, sono coordinabili dalla volontà e
sono anche la sua ricchezza.
Quindi i campi non sono divisi in maniera netta perché esiste un’osmosi tra tutte le energie:
la parte bassa, che corrisponde al n. 1, è l’area dell’inconscio inferiore;
l’area centrale, contrassegnata con il n. 2, è l’inconscio medio;
l’area superiore, indicata come n. 3, corrisponde all’inconscio superiore;
una piccola area rotonda centrale che si sovrappone all’area 2 è la n. 4 che è il campo della coscienza;
accanto c’è un’altra piccola area rotonda, la n. 5 che è l’Io o il Sé personale;
sul punto superiore dell’ovoide sta il n. 6 che corrisponde al Sé transpersonale;
esterno a tutto l’ovoide, è il n. 7, l’inconscio collettivo.
L’inconscio inferiore è relazionato a tutti quei complessi psichici che sono più lontani dall’accesso della
nostra coscienza. È un contenitore dove hanno sede e luogo i nostri complessi relativi al passato, che
hanno colorazioni emozionali molto forti, che rimangono dentro di noi e si imprimono dentro di noi. In
questo inconscio ci sono le parti istintuali meno accessibili alla coscienza, tipo un’aggressività non
riconosciuta, oppure una sessualità tenuta molto compressa.
L’inconscio medio è un inconscio più plastico, c’è la fase di “ricordo-dimentico” di alcune cose che
arrivano alla nostra consapevolezza e che poi rivanno via, perché non riusciamo a fermarle né a
trattenerle. Significa che è più facile che i contenuti dell’inconscio medio arrivino nel nostro campo della
coscienza o possiamo richiamarli più facilmente rispetto a quelli che sono immagazzinati in un inconscio
più profondo.
L’inconscio superiore è la sede delle nostre potenzialità, le intuizioni, le aspirazioni, gli slanci altruistici.
Tuttavia siamo ancora fuori dal campo della coscienza. Così come sono inconsce alcune istintualità tipo
l’aggressività o la sessualità, sono inconsce anche le nostre potenzialità creative.
Il n. 4 è il campo della coscienza, quello che Jung chiamava l’isoletta nel Mare Magnum dell’inconscio. Il
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campo della coscienza è uno spazio minimo, una quantità di consapevolezza molto ridotta rispetto a
quello che è tutto il nostro inconscio. Più noi portiamo del materiale che ha sede nel nostro inconscio - sia
inferiore sia medio che superiore - a livello della coscienza, più portiamo terra alla nostra isola nel Mare
Magnum del nostro inconscio. Possiamo dire che è il campo dominato dall’Io.
Il n. 5 è l’Io o Sé personale. Alcune scuole identificano l’Io con l’Ego, altre scuole con il Sé. Nella
psicosintesi il Sé personale è quella parte di divino dentro di noi che potremmo chiamare il Testimone,
quella parte immutabile che non si identifica con alcun contenuto, è l’Osservatore.
Il n. 6 è il Sé transpersonale che potremmo chiamare il Divino onnipervadente. Ognuno di noi ha il
proprio modo per identificarlo, ma il 6 è il Divino in assoluto, il Divino cosmico. Il n. 5 è la scintilla del
divino cosmico che è all’interno di noi. Esiste un collegamento tra il 5 e il 6.
Il 7 è l’inconscio collettivo. Il patrimonio inconscio dell’umanità che si è strutturato nei secoli con il
contenuto inconscio dell’umanità, che ritroviamo sotto forma di simboli, di archetipi o nelle cosmogonie
delle varie tribù che, pur trovandosi geograficamente agli antipodi, usano gli stessi simboli.
Il Sé personale e il Sé transpersonale o superiore
Nella psicosintesi il Sé personale, ovvero il Sé interiore che è il riflesso del Sé transpersonale, è
preesistente alla strutturazione della personalità. Ciò è importante poiché significa che dal momento che
nasciamo, siamo portatori di questo Sé. Poi, può verificarsi che passiamo tutta la vita senza riuscire mai a
contattarlo per tutte le sovrastrutture, le impostazioni mentali, per i credi, perché il nostro livello
evolutivo ci porta altrove.
Invito a pensare cosa significa, nel processo di counseling, trovarsi di fronte ad una persona che
strutturalmente è a pezzi e che ha mille problemi, e vederla come persona oppure riuscire a vederla come
anima. Quindi, è molto significativo ritenere che questo “quid” di divino esiste in ogni essere umano ed è
preesistente a tutta la strutturazione della personalità. Può trattarsi quindi di una persona portatrice di
handicap fisici o mentali, ma è sempre portatrice di un’anima. Oppure potremmo dire che è un’anima che
ha scelto di fare quel tipo di percorso servendosi di quel corpo.
Questa strutturazione ci fa capire che ci sono vari livelli e che noi possiamo arrivare a contattare questa
parte di divino interiore, del Sé interiore, attraverso tante tecniche. Nella Psicosintesi vengono usate
moltissime meditazioni e visualizzazioni per arrivare allo scopo che ci siamo prefissi: quello di parlare,
contattare, sentire, entrare in contatto con il nostro Sé interiore. Forse una delle meditazioni più
interessanti della Psicosintesi è la meditazione della ”disidentificazione”. Altre meditazioni vengono fatte
con simboli e archetipi, e molto lavoro viene fatto sui sogni. Sono tutte tecniche che possono essere a
nostra disposizione per poter sentire in maniera esperienziale i vari livelli dentro di noi. Credo che sia
interessante riuscire a percepirli, a farli diventare esperienze che possiamo sentire ed interiorizzare
affinché non rimangano solo a livello della nostra mente concreta.
La volontà - Assagioli ha condotto uno studio estremamente interessante sulla volontà (“L’atto della
volontà”), ambito che è stato molto poco indagato. Il suo testo parla dell’atto di volontà come funzione
dell’Io, e fa una disamina di tutti i passaggi del processo di attuazione della volontà, dei punti deboli dove
noi andiamo in pezzi e dove non riusciamo a rimanere fermi nei nostri intenti.
Ritornando ai livelli, quando abbiamo compreso che siamo una strutturazione di tutti i livelli, è nostra
responsabilità capire che dobbiamo mantenerci puliti, che ognuno di questi livelli ha bisogno di un certo
tipo di nutrimento. Proprio perché abbiamo parlato di bio-psico-spirituale, dobbiamo andare ad
individuare i nostri blocchi sul piano fisico, sul piano psichico, sul piano emozionale, sul piano spirituale
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e rimuoverli attraverso quelle modalità che agiscono in maniera specifica.
In realtà il nostro Inconscio è una spugna, sia l’Inconscio medio, che l’Inconscio inferiore che quello
superiore. Assorbiamo ogni cosa. Quindi, se ci nutriamo di cibo cattivo, letture cattive, frequentazioni
energetiche molto basse, di luoghi che vanno a nutrire solo le parti più basse, il nostro Inconscio
Superiore rimane scoperto, affamato, ha bisogno di altro nutrimento. È importante che ci prendiamo la
responsabilità di scegliere chi vogliamo frequentare, cosa vogliamo leggere, quale atteggiamento
emozionale vogliamo avere nella nostra vita. È un punto da tenere molto presente sia per noi, sia nella
nostra relazione - come counselor - con il nostro cliente.
All’inizio, nella nostra interazione, siamo indifferenziati, siamo un tutt’uno. Poi, pian piano nella
strutturazione della nostra personalità, si strutturano tanti piccoli Io (n.5, Io o Sé personale) con i quali noi
ci identifichiamo. Chiedendo alle persone “Chi sei?” ci viene risposto “Sono la madre, Sono la figlia,
Sono l’autista, etc.” Ognuno di noi si identifica maggiormente con qualcuna di queste strutture che
Assagioli chiama sub-personalità.
Le subpersonalità sono strutture che hanno una vita propria, una loro autonomia, una loro coscienza, i
loro bisogni ed una loro volontà. Nella nostra vita giocano dei ruoli che fanno la parte del leone. Come se
fossimo vissuti da tutti questi Io dove, a seconda delle circostanze che noi viviamo, una di queste parti
prende il sopravvento e noi pensiamo di essere quello. Se andiamo a lavorare in profondità sulla
coscienza, piano piano capiremo che quella è solo una parte di noi, non è la nostra totalità: è
un’identificazione con una sub-personalità. Le sub-personalità non si strutturano a caso, ma si strutturano
come parti di noi che servono a proteggerci nel cammino della nostra vita. Ci servono per sentirci sicuri,
tutelati, perchè vanno a proteggere la nostra vulnerabilità. Il dramma è quando una persona rimane molto
identificata in una di queste strutture, tipo il grande manager che si sente sempre il grande manager, non
entra in contatto con le altri parti di sé, quali potrebbero essere il bambino, l’adulto gioioso, il ragazzo che
ha voglia di amare e quindi uscire fuori dal suo schema. La considerazione ultima è che fino a quando,
nella nostra vita, saremo agiti da queste sub-personalità, non saremo padroni della nostra vita.
Come già detto le sub-personalità si formano per proteggere le nostre parti fragili, il Sé personale ed altre
sub-personalità. Ad esempio la personalità dell’aggressivo o del competitivo può proteggere la
personalità del bambino fragile. Dobbiamo vedere le sub-personalità come giochi energetici dentro di noi,
ed attuare il processo per riconoscerle e far sì che dentro tutto questo coacervo comandi l’Io consapevole,
il Sé personale. Ciò che Assagioli chiamava il “direttore d’orchestra”. È come se tutte queste subpersonalità fossero degli strumenti. Se questi strumenti suonano ognuno per conto proprio, anziché una
sinfonia, avremo un caos. Solo quando l’Io personale, la nostra centralità, si mette alla guida, trasformerà
il caos in una sinfonia e sceglierà consapevolmente la parte da portare fuori. Non possiamo dire che non
abbiamo bisogno della nostra parte competitiva o impositiva, perché ci saranno situazioni nella vita dove
essere impositivi o autoritari oltre che autorevoli può salvarci la vita, può salvarci da certe situazioni.
Dobbiamo avere a disposizione tutto quanto. E che cos’è che discerne quando è opportuno un certo
comportamento oppure no? È la coscienza, è questo Io consapevole o Sé personale.
Se rimaniamo identificati in una di queste parti, dobbiamo imparare a disidentificarci, ad andare in quella
posizione del testimone e vedere che abbiamo a disposizione tutte queste possibilità. E non significa che
una è migliore dell’altra, perché tutto quanto ha un motivo per essere. Tutto quanto si struttura perché c’è
una motivazione profonda per la sua strutturazione. Basta solo trovare la chiave per capire quale è il
messaggio che ci vuole dare. Non esiste un’energia cattiva e una buona. È energia, è l’utilizzo che ne
facciamo che cambia le cose. È come l’energia atomica: se usata per la bomba atomica diventerà
un’energia distruttiva, se usata per realizzare cose utili all’umanità sarà energia positiva. Siamo noi che
diamo direzione alle nostre energie.
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Assagioli parlava anche di “io molteplice”, il che significa che noi siamo questa folla di personaggi
interni, siamo il caos che deve passare attraverso un processo di integrazione di tutte le parti sotto la
direzione della nostra parte consapevole, della nostra parte saggia, della nostra parte che sa.
Nella psicosintesi l’uomo viene considerato nella sua totalità bio-psicospirituale e il processo
autorealizzativo (“conosci-possiedi-trasforma te stesso”) è promosso e focalizzato a due livelli:
* psicosintesi personale (sviluppo psicologico ed espressione delle potenzialità, integrazione dei ruoli e
dei compiti quotidiani in una vita più ricca e più piena);
* psicosintesi transpersonale (contatto con i livelli superiori della psiche, risveglio interiore, scoperta di
significati esistenziali).
Il “Conosci” è in relazione alla coscienza, alla consapevolezza che esiste una coscienza che può essere
sempre più amplificata. Quando lavoreremo sulla fase del “conosci” andremo ad utilizzare tutte le
tecniche che ci permetteranno di sapere come siamo fatti, di cosa abbiamo bisogno, di come è strutturato
il nostro corpo. “Conosci” significa conoscere tutte le dinamiche mentali nelle quali noi ci imbattiamo,
che utilizziamo inconsciamente, come tutte le proiezioni. Assagioli è partito da questo presupposto: se
Freud ha lavorato tanto sull’inconscio inferiore ed ha strutturato degli assunti, è inutile che io vada a
ripercorrere tutte queste vie. Utilizzerò le sue tecniche e cercherò di andare avanti. Quindi, Assagioli ha
ripreso molto sia da Freud sia da Jung o dalla bioenergetica, e ha creato una sistematizzazione di ciò che
già era disponibile aggiungendolo alla sua visione ed elaborazione personale. Nel processo di “conoscipossiedi-trasforma” vediamo che dentro c’è tutto. Il “conosci” significa la possibilità di utilizzare tutto
quello che è possibile per portare sempre più materiale dall’inconscio – sia quello inferiore sia quello
superiore - al nostro campo della coscienza. Ciò significa portare l’energia dal suo rinnego, dal suo
demonico alla nostra consapevolezza, il che implica anche trasformarla.
Il “Possiedi” è centrato sull’essere, sul sé, sull’identità profonda, sulla parte di noi che deve gestire e non
essere gestita. Il “possiedi” è un grande lavoro sull’identità, perché significa metabolizzare, significa far
diventare ossa, carne, sangue quello che noi stiamo dicendo. Quindi, dobbiamo portare profondamente
dentro di noi - sia sul piano fisico che emozionale e mentale - le esperienze della vita. Significa
principalmente ”disidentificarci da” e “identificarci in”. Se sono una persona collerica che si arrabbia
continuamente, che si arrabbia appena sente qualcosa che è un po’ diverso da ciò che vorrebbe sentire, da
quello che si immaginava o si aspettava, è necessario che io mi disidentifichi dal mio personaggio
collerico e dica: “Ecco la mia parte collerica che è venuta fuori a fare la parte del leone!”. Quindi, è
necessario riconoscerla e disidentificarsi, prendere distanza e identificarsi con la parte capace di vedere il
processo.
Il “Trasforma” è il processo del divenire. È una parte molto bella e interessante che va a lavorare
sull’attivazione delle nostre potenzialità latenti. Questo cambia moltissimo le cose, perché implica che
l’operatore/counselor non lavora soltanto su quello che vede (dipende su quale livello sta trattando la
cosa), ma lavora anche su quello che può essere la persona. Cerca di tenere presente quello che la persona
può diventare, la sua potenzialità di crescita.
Uno psicologo estremamente interessante, Viktor Frankl (un ebreo che ha vissuto l’esperienza dei campi
di concentramento), ha fatto un discorso centrato sul valore dell’atteggiamento, il poter vedere oltre, il
poter vedere qual è il potenziale in divenire, per cui io assumerò un atteggiamento diverso rispetto a una
persona che percepisco come anima, anziché rimanere centrato solo sulla patologia. È chiaro che se c’è
una patologia devo vederla ed essere anche competente nel saperla affrontare con tutte le metodologie che
ho a disposizione, fisiche, psicologiche, psichiatriche o altro.
Crediamo di avere molta paura dei nostri limiti, di avere molta paura di non essere mai abbastanza, siamo
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molto influenzati dai nostri complessi d’inferiorità. Sono fermamente convinta che abbiamo altrettanta
paura, se non di più, nell’affrontare le nostre potenzialità. Vale la pena di soffermarci un poco. Poter
iniziare a pensare alle nostre grandezze anziché alle nostre limitazioni, implica un’assunzione di
responsabilità. Se io so che non sono piccola, ma sono grande, devo prendere la responsabilità di
comportarmi come una persona grande. Ciò significa stare nella vita, scegliere come voglio stare nella
vita. Voglio stare nella vita vivendo in un metro cubo tutta ripiegata perché sono piccolina, perché non so,
perché non ce la faccio, oppure voglio pensare che il mio metro cubo si espande sempre di più, e sono un
essere che nella sua vita può stare con tutta la sua energia, la sua potenzialità?
Possiamo stare nella vita portando tutto quello che sappiamo, aperti a tutto quello che arriva, con
l’atteggiamento che nella vita siamo un po’ come in una scalata, dove ci sarà sempre qualcuno che sa più
di noi, al quale tendiamo la mano, e qualcuno che sta iniziando, dietro di noi, al quale diamo la mano. E
questo non vuole dire che siamo maestri, che siamo insegnanti, ma significa semplicemente che siamo
esseri umani che facciamo un’assunzione di responsabilità, con grande umanità e con il cuore molto
aperto, nel dire che una cosa che è servita a noi, per la nostra crescita, la mettiamo a disposizione di
qualcun altro. Questo diventa una responsabilità per tutti noi, qualunque cosa facciamo, è un
atteggiamento che possiamo portare nella nostra vita. Tutti siamo “allievi” e “maestri”.
È evidente come queste cose sono sempre attuali e facilmente riportabili nella nostra vita e in quello che
noi possiamo fare con gli altri. In questo contesto si sentirà parlare molte scuole e voci diverse, si avrà
l’opportunità di estrapolare gli strumenti che possono servire ad ognuno nel proprio lavoro quotidiano.
Quindi, il “conosci-possiedi-trasforma” è da tenere sempre presente.
Questa cosa molto semplice in realtà richiede una grande conoscenza di tantissime tecniche. Sarà diverso
lavorare sul piano fisico o emozionale e dipende da cosa si ha davanti. Ciò significa che si deve avere una
conoscenza enorme e tirar fuori, a seconda della propria sensibilità, della propria conoscenza e
preparazione, ciò che può essere più utile a quella persona in quel momento specifico. Quindi, il percorso
della psicosintesi è molto lungo, proprio perché si avvale di tecniche ed esperienze che richiedono anni di
formazione.
Quando Assagioli parla dell’aspetto fisico, lavora molto con il contributo dello yoga, con il respiro,
insistendo sullo stile di vita e le norme di igienistica. È importante che il corpo respiri bene, è importante
che si nutra correttamente, è importante che si faccia il movimento perchè serve anche alla mente, al
sistema circolatorio, alle ossa ecc. Dobbiamo fare attenzione a cosa si dà priorità nell’arco della propria
giornata.
Nel momento storico presente, anche gli ambienti scientifici più chiusi si stanno aprendo a scienze nuove
come la PNEI, la psico-neuro-endocrino-immunologia. Tutti i sistemi interagiscono e si condizionano a
vicenda, c’è un’interdipendenza tra loro. Ciò significa che se psichicamente, emozionalmente stiamo
bene, andiamo ad interferire sul sistema endocrino, che andrà a sua volta ad influenzare a cascata il
sistema immunitario. Tutti i nostri sistemi sono in questo equilibrio dinamico. Possiamo anche essere
perfettamente equilibrati, ma se improvvisamente sentiamo una notizia che ci disequilibra, dentro di noi
tutto l’assetto farà in modo di rimettere tutto a posto e riportare equilibrio. Ad esempio a livello fisico, il
nostro PH del sangue è in un range molto stretto, e ogni volta che ci sarà un elemento che andrà ad
interferire, si metterà in moto una serie di meccanismi affinché l’equilibrio ritorni. Tutto tende
all’equilibrio, che è comunque dinamico e non statico. Se conduciamo uno stile di vita dove diamo spazio
anche a un rilassamento, a un ascolto, ad una presenza attenta, andremo inevitabilmente a influenzare gli
altri campi. Assagioli aveva chiaro tutto questo già all’inizio del ‘900. È stato un grande innovatore.
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Il sogno da svegli
Sul piano emozionale un lavoro interessante può essere fatto ad esempio con la bioenergetica, sul piano
del profondo possiamo utilizzare le visualizzazioni avvalendosi anche del “sogno da svegli guidato”.
Alcune persone non riescono a ricordare i sogni, hanno un rifiuto o una difficoltà nel ricordarli: nella
psicosintesi si può lavorare sul sogno da svegli. Si mette la persona in uno stato di assoluto rilassamento e
poi si inizia una storia guidata, ad esempio: ”Stiamo camminando su una spiaggia, senti il corpo quando
entra nell’acqua, cosa vedi, cosa provi …” Ha un’assonanza con il “Gioco della sabbia” di Dora Kalf,
allieva di Jung. Sono tutte tecniche per andare a lavorare sul piano psico-emozionale, insieme a tutto il
lavoro sui simboli e sui sogni. E sul piano spirituale è chiaramente la meditazione l’esperienza per
arrivare a percepire la propria identità profonda, lo spazio di silenzio e di collegamento con il tutto, e può
essere fatta attraverso modalità diverse.
Con il “Dialogo delle voci”, le sub-personalità possono essere rappresentate graficamente con disegni
oppure possono essere mimate o descritte. Da questo lavoro emergono dei messaggi che ci fanno
comprendere cosa c’è dietro. Se una persona, facendo un sogno guidato, visualizzerà un uomo terrificante
e minaccioso e accanto a lui una donna piccolina e timida, e il nostro cliente è nel mezzo a queste due
persone, possiamo capire subito come vive il rapporto genitoriale. E magari se glielo chiediamo
razionalmente minimizza, scappa, non si ferma, non vuole entrare nell’impatto emozionale. Sono tecniche
che ci permettono di andare ad accrescere il campo della coscienza, e questo significa diventare esseri più
liberi di scegliere. Altrimenti, anziché essere noi che scegliamo, siamo semplicemente scelti. Pensiamo di
essere noi gli artefici, ma in realtà non lo siamo. Tutte queste sub-personalità, queste energie che abbiamo
dentro, anziché sottostare al nostro direttore d’orchestra, si mettono a suonare ciò che vogliono e quando
vogliono. Può essere creativo, però possono creare un grande caos.
L’esercizio della “meditazione della disidentificazione” è molto interessante. Si induce un profondo
rilassamento e si fa percepire il corpo fisico - “tu hai un corpo fisico, ma non sei un corpo fisico”. Questo
corpo fisico è come un abito che dobbiamo amare, rispettare, curare, ma non siamo questo corpo fisico.
Scendendo più in profondità, sentiamo il corpo emozionale. Sentiamo le emozioni, le visualizziamo come
un lago calmo e le sentiamo in noi, ma non siamo queste emozioni. Scendiamo ancora più in profondità e
sentiamo che abbiamo un corpo mentale, abbiamo dei pensieri che a volte ci sostengono e a volte ci
disturbano, ma di nuovo noi non siamo questo corpo mentale. E quindi ci chiediamo: “Ma, allora, chi
sono io veramente?” E scendiamo in uno spazio di grande interiorità per poter contattare il nostro Sé, il
testimone. In molte visualizzazioni viene fuori il vecchio saggio che è il nostro Sé che osserva, non si
identifica, è senza giudizio e ci fa da specchio. Dare giudizio significa accettare o rinnegare qualcosa, e
significa che si danno ancora valori discriminanti alle energie.
C’è un altro esercizio molto interessante che faceva fare Assagioli, il “modello ideale”, che è una tecnica
dell’agire “come se”. Se la persona dice: “Ma io non sono capace, non potrò mai andare via di casa
perché ho paura, perché non avrò mai questo, non avrò mai quello …” … possiamo suggerire la tecnica
dell’agire “come se”. Invitiamo la persona a creare un modello ideale raggiungibile e attuabile. Ad
esempio se la persona si sente vittima o molto debole, le suggeriamo di creare nella sua mente un modello
di persona più realizzata, più energica che riesce ad affermare se stessa. Le suggeriamo la visualizzazione
di incarnare una situazione dove vede che il modello che ha creato, vive dentro di sé quella serie di
qualità che per lei erano deficitarie, fino ad arrivare a sentirle anche fisicamente. Poi le facciamo
visualizzare una modalità dove incarnando queste qualità può riprendere una situazione vecchia,
ritornando dentro una condizione di blocco, e trasformare qualcosa che la teneva vittima e debole. Questo
diventa possibile nella misura in cui riesce ad integrare dentro di sé le nuove qualità.
Questa tecnica la possiamo applicare anche su di noi nella nostra vita quotidiana, perché tutti noi abbiamo
le nostre paure, i nostri momenti fragili, i momenti in cui vorremmo essere un poco di più di quello che
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siamo, e non vi riusciamo per mille motivi. Questa tecnica può veramente aiutarci ad immaginare di agire
come se noi fossimo portatori anziché di una debolezza, di una forza, e quindi essere capaci di cambiare
una situazione.
La stella di Assagioli
È una stella a sei punte e un campo centrale o della coscienza, il nostro Sé. La stella rappresenta quella
che Assagioli definisce la fisiologia della psiche. Descrive l'operatività dell'io personale, centro
unificatore di elementi psichici vari ed eterogenei. L'azione dell'Io personale avviene attraverso l'uso di
sensazioni, impulsi, emozioni, pensieri, immagini ed intuizioni che, conosciuti come funzioni, possono
essere usati in modo armonico per costruire il futuro personale e di relazione. In questo modo si evita di
subire deterministicamente, e riprodurre meccanicamente il passato.
1. Sensazione: osservazione esteriore ed interiore
2. Emozione/Sentimento
3. Impulso/Desiderio
4. Immaginazione
5. Pensiero
6. Intuizione
7. Volontà
8. Io o Sé personale
Se una di queste punte è in iper-funzione, dalla parte opposta avremo una ipo-funzione. Ad esempio: Se
una persona è estremamente attiva, dalla parte opposta avrà bisogno di capacità di rilassamento, di
introspezione e di silenzio. Questo è anche alla base del “Dialogo delle voci”.
C’è analogia tra la visualizzazione, ‘incarnare una situazione’, e il rinforzo del pensiero positivo.
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Praticamente il concetto è un po’ lo stesso, vale a dire che se mi sento molto carente in una mia qualità (e
questa mia qualità pregiudica la riuscita in certe situazioni, e sono quindi incapace di risolverle), e se con
il mio pensiero riesco a capire qual è la polarità opposta che devo integrare, posso fare la visualizzazione,
attuare il pensiero positivo, per poter agire poi nella stessa situazione incarnando questa qualità. È molto
importante capire che ciò non accade per magia, accade perché metto in atto un processo legato alla
consapevolezza, al prendere coscienza di cosa accade dentro di me. Ho quindi un atteggiamento attivo.
Normalmente nelle scuole che hanno la finalità della realizzazione del Sé, a meno che l’Io non sia troppo
fragile, per cui va prima rinforzato, un rafforzamento con il pensiero positivo è considerato
controproducente alla risoluzione dell’Io nel Sé superiore.”
Anche nella Psicosintesi, queste tecniche vengono usate con chi ha già un Io strutturato, e vanno a
rafforzare delle qualità. È un tipo di lavoro che può essere fatto con personalità che sono sufficientemente
integrate, mentre è sconsigliato nei casi di psicosi. Questo perché se una persona non ha la capacità di
andare al centro e lavorare da lì, una sub-personalità potrebbe prendere il posto dell’Io e quindi la
visualizzazione, seppur contenga un pensiero positivo, potrebbe essere alterata.
Questo vale anche per altre terapie. Se non c’è il senso dell’identità, non si conosce cosa si va a
rafforzare.
Biografia (Giuseppe Pagliaro)
Roberto Assagioli, medico psichiatra, nacque a Venezia il 27 febbraio 1888 e lì visse fino al 1904, anno
in cui la famiglia si trasferì a Firenze. Grazie alle solide possibilità economiche ed allo stimolante
ambiente familiare, Assagioli fin da piccolo potè sviluppare le proprie doti intellettuali. Frequentò
l'università a Firenze, iscrivendosi alla facoltà di medicina e chirurgia. La scelta di uno studio di tipo
scientifico non limitò, però, i suoi interessi culturali, che furono e restarono vastissimi: letterari, filosofici,
spirituali, tutti ad orientamento transculturale. Dal 1906 al 1908 fu bibliotecario della Sezione
Psicologica, inserita nell'insegnamento di Filosofia Teoretica dell'Università di Firenze. Nel 1907
presentò alcuni di quelli che saranno aspetti fondamentali della psicosintesi e, due anni dopo, in un
articolo intitolato "Per una moderna psicagogia" ne delineò tutta la traccia anche se sarebbe passato
ancora qualche anno prima che la psicosintesi prendesse tale nome. Sempre in quegli anni frequentò in
Svizzera l'Ospedale Psichiatrico Burghölzli, dove conobbe Jung col quale restò in amichevole rapporto
per tutta la vita. Nel luglio del 1910 conseguì la laurea in Medicina all'Università di Firenze, presentando
una tesi sulla psicoanalisi che aveva preparato all'Ospedale Psichiatrico Burghölzli, con la supervisione di
Carl Jung. Successivamente si specializzò in psichiatria e si dedicò a studi di psicologia e filosofia, alla
pratica della psicoterapia usando vari metodi e sviluppando il suo metodo integrale, la Psicosintesi. Nel
1913 fondò a Firenze il "Circolo di Studi Psicologici". Con lo scoppio della I^ Guerra Mondiale,
Assagioli venne arruolato come tenente medico; a guerra conclusa iniziò ad esercitare la professione di
psicoterapeuta. Nel 1923 nacque il suo unico figlio Ilario che scomparve prematuramente dopo lunga
malattia all'età di 28 anni, dopo essersi laureato in medicina e poi in lettere. Nel 1926 Assagioli pubblicò
l'opuscolo "Psychosynthesis, A New Method of Healing"; nello stesso anno, a Roma dove si era
trasferito, fondò l'"Istituto di cultura psichica", che nel 1933 prese il nome attuale di Istituto di
Psicosintesi, eretto in Ente Morale dello Stato nel 1965. Per alcuni anni l'Istituto svolse un'attività molto
intensa; successivamente, con lo scoppio della II^ Guerra Mondiale, i rapporti internazionali di Assagioli,
dovuti ai suoi molteplici viaggi e le attività umanitarie, suscitarono i sospetti del regime fascista. Nel
1940 Assagioli fu quindi costretto a chiudere l'Istituto. Nel 1973 con alcuni allievi e collaboratori fondò la
Società Italiana di Psicosintesi Terapeutica, scuola di formazione per psicoterapeuti fra le prime
riconosciute legalmente in Italia. Nel 1974, all'alba del 23 agosto, all'età di 86 anni, Roberto Assagioli
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moriva nella residenza estiva di Capolona d'Arezzo.
Testi consigliati:
•
Principi e metodi della psicosintesi terapeutica, Astrolabio Ubaldini, 1973
•
L'atto di volontà, Astrolabio Ubaldini, 1977
•
Lo sviluppo transpersonale, Astrolabio Ubaldini, 1988
•
Psicosintesi, Mediterranee, 1990
•
Comprendere la psicosintesi. Guida alla lettura dei termini psicosintetici,
Astrolabio Ubaldini, 1991
LA PSICOLOGIA TRANSPERSONALE DI MASLOW
Oltre Assagioli, un altro autore, da cui nasce la Psicologia Transpersonale, è Maslow.
Maslow (1908/1970 – conosciuto per la Piramide dei Bisogni Umani) ha scritto “Religions Values and
Peak-experiences”, Valori religiosi ed esperienze di vetta. Esperienze di vetta sono i momenti di satori,
di intuizione, di illuminazione che ci fanno entrare per un attimo nella nostra percezione allargata
dell’Essere. Il Sé si allarga, entriamo e rimaniamo nella meraviglia dell’Esistenza, concetto, come
vedremo, che è la base di tutte le religioni orientali.
CARL ROGERS E IL COUNSELING
Giuseppe Pagliaro
La nascita del counseling
Il counseling affonda le sue radici nella Psicologia umanistica di Rollo May e soprattutto di Carl Rogers.
Rogers ha introdotto questo termine nel 1940 col suo libro: “Counseling e Psicoterapia”. Fa seguito nel
1952 negli Stati Uniti, la nascita della Counseling Association, per formare il tumultuoso sviluppo
americano del Counseling come strumento di consulenza ed educazione. Negli anni Settanta del secolo
scorso il counseling arriva in Inghilterra, dove trova utilizzo nei servizi sociali e di orientamento,
soprattutto nel reinserimento dei reduci di guerra. Nel 1994 nasce in Europa l'EAC (European Association
for Counseling). In Italia arriva fra gli anni Ottanta e Novanta, e nel nostro paese, come nel resto
dell’Europa, sta oggi conoscendo una rapida diffusione ed ampliamento dei suoi campi di applicazione.
L’approccio centrato sul cliente
Nella forma attribuitagli originariamente da Carl Rogers, il counseling è un "colloquio centrato sul
cliente", in cui l’attenzione del counselor va focalizzata sulla persona, prima che sul suo problema, sulla
qualità del rapporto umano. Rogers considera la salute mentale come la progressione normale della vita e
la malattia mentale (e altri problemi umani) come distorsioni della "tendenza attualizzante". Quest'ultima
è una forza vitale che può essere definita come la tendenza fondamentale dell'organismo a realizzare le
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proprie potenzialità e di autocurarsi; essa opera sia sul piano ontogenetico che su quello filogenetico e
necessita di un contesto di relazioni umane positive, favorevoli alla conservazione e rivalutazione dell'Io.
Se la nozione dell'Io è realistica, ovvero se vi è corrispondenza tra le capacità che il soggetto crede di
possedere e quelle che effettivamente possiede, egli sarà congruente e potrà svilupparsi in modo unitario,
autonomo e soddisfacente. In genere il cliente si trova in una situazione di incongruenza tra l'esperienza
reale dell'organismo e l'immagine di sé che egli ha quando si rappresenta l'esperienza. Lo scompenso
psicopatologico nasce quando l’individuo, durante l’età infantile, vive situazioni insolite e anormali che
comportano gravi fratture, che non favoriscono il normale sviluppo.
L’identità organismica del bambino
Per Rogers è nell’infanzia che si forma il concetto di sé. Il bambino quando nasce, ha in sé la capacità di
scegliere o rifiutare in modo chiaro le esperienze in rapporto al modo in cui esse possono agevolare o
ostacolare le esigenze dell’organismo, in base a quello che Rogers chiama una valutazione organismica.
Se i genitori assicurano amore, stima, sicurezza, considerazione in modo incondizionato, accettando
anche aspetti negativi del bambino, il suo concetto di sé si plasmerà sull’esperienza in modo libero e
autonomo, le esperienze saranno vissute conformi rispetto al concetto di sé e ai bisogni organismici. La
tendenza attualizzante guiderà il bambino e poi l’adulto fino alla piena autorealizzazione. Se la
considerazione positiva viene data in modo condizionato, il bambino introietterà valori, mète, modi di
essere incongruenti con la propria esperienza organismica. A causa di questi condizionamenti, il concetto
di sé viene sviluppato su basi esterne e rigide e le esperienze verranno selezionate o distorte, affinché si
possa mantenere la coerenza del sé che si è formato. Le esperienze personali non fluiranno più
liberamente in accordo con l’organismo e con la tendenza attualizzante. Quando la frattura tra il concetto
di sé e l’esperienza è troppo grande e le difese non svolgono più la loro funzione di protezione, nasce uno
stato di incoerenza nel sé e comincia il disagio psicologico.
Counseling come processo di autoconsapevolezza
Secondo Rogers, il compito del counselor è, da una parte quello di innescare un processo di
autoconsapevolezza e di integrazione tra il sé e l’esperienza, che porti la persona a divenire consapevole
della propria condizione, dei propri stati d’animo e dei propri bisogni; dall'altra favorire la riattivazione
della "tendenza attualizzante". Rogers ritiene che una volta divenuto consapevole delle proprie
problematiche e delle proprie risorse interne, grazie ad un processo di autoregolazione, il cliente sarà in
grado di far fronte alla propria vita in modo autonomo. Questo significa che il counseling, a differenza di
altri approcci a carattere psicologico, non considera l'individuo come portatore di problemi, ma come
portatore e origine delle soluzioni. Nel promuovere questo processo, il counselor non impiega tecniche
direttive o d’interpretazione, così come avviene in psicoterapia, ma utilizza l'empatia.
Il concetto di empatia incondizionata
L'empatia (da empateia, passione; en patos, sentire insieme) viene intesa come la comprensione dell'altro
che si realizza immergendosi nella sua soggettività, senza sconfinare nella identificazione. Il terapeuta è
capace di considerazione o accettazione positiva incondizionata verso il paziente, nella misura in cui
sente di accettare incondizionatamente ogni aspetto dell'altro, ogni sentimento - espresso o non espresso sia quelli negativi, anormali che quelli buoni. È infatti proprio l’ascolto empatico che permette la libera
espressione del cliente, e crea le condizioni ottimali per la sua crescita e trasformazione, nella direzione
da lui stesso desiderata e determinata.
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L’integrità del counselor
Secondo Rogers, per essere capace di tale ascolto, il counselor deve essere “congruente”, ovvero essere
“integro”, in profondo contatto con i propri pensieri, emozioni, vissuti e di averne consapevolezza durante
la relazione col cliente. Ciò favorisce la capacità di essere reali e di non attribuire erroneamente aspetti di
sé alla persona che sta di fronte. Ovviamente, a questa predisposizione d'animo si accompagnano una
serie di tecniche messe a punto da Carl Rogers, che permettono di mantenere e rinnovare il contatto, ed
allo stesso tempo aiutare il cliente a prendere coscienza delle proprie emozioni. Si può citare ad esempio
la tecnica della riformulazione, nella quale il counselor, utilizzando adeguatamente formule tipo «quindi
secondo lei…» «allora lei pensa che…» ripropone al cliente le proprie stesse dichiarazioni, evitando di
giudicare, interpretare o indagare insistentemente, ed offrendogli, al contrario, la possibilità di
riesaminarle sotto una luce diversa. Anche se la parola rimane il veicolo principale attraverso cui la
relazione viene canalizzata, il counseling può avvalersi anche di tecniche corporee, artistiche e grafiche,
proprio perchè vi è la convinzione che la comprensione non avvenga solo e sempre sul piano mentalerazionale, ma anche su quello emotivo e corporeo. Spesso, su questi piani di consapevolezza ci si imbatte
nel limite del linguaggio convenzionale e si ha la necessità di utilizzare altri tipi di comunicazione non
verbale, che consentano di esprimere tali vissuti. Possiamo dire che il counselor, dal punto di vista delle
competenze specifiche, è un esperto di comunicazione che, mediante questi strumenti, accompagna la
persona nel diventare cosciente della propria condizione, comprendere i propri stati d’animo. In questo
percorso di autoconsapevolezza ed integrazione, il counselor non suggerisce soluzioni, ma facilita
l’emergere dei veri bisogni e delle risorse necessarie per soddisfarli; "aiuta la persona ad aiutarsi".
Biografia
Carl Rogers nasce nel gennaio 1902 in Illinois, in un sobborgo di Chicago in una famiglia molto unita,
con princìpi religiosi e morali piuttosto rigidi. Nel 1914, quando Carl aveva 12 anni, la famiglia Rogers
abbandona la città ed acquista una fattoria a 30 miglia da Chicago, dove Carl trascorrerà un'adolescenza
solitaria. Interessandosi di agricoltura scientifica, comincia gli studi di agraria, segue alcune conferenze di
carattere religioso e successivamente si orienta verso il ministero religioso. Nel 1922, con un gruppo di
studenti americani, partecipa in Cina ad una conferenza internazionale organizzata dalla Federazione
Mondiale degli Studenti Cristiani. In seguito a questa esperienza in Oriente, inizia a dubitare di alcuni
fondamenti religiosi di base, prendendo distanza sia dal contesto familiare che dalle vecchie credenze.
Dopo la laurea sposa Helen Elliot e con lei si trasferisce a New York dove frequenta una istituzione
liberale, allontanandosi progressivamente dalla prospettiva di un lavoro religioso per diventare psicologo.
Partecipa a seminari e conferenze di natura psichiatrica e psicologica e durante la sua frequenza al
Teachers College, gli viene offerto un incarico all'Institute for Child Guidance, dove trascorre un anno in
cui, lavorando, si trova a confrontarsi con altri professionisti. Successivamente viene assunto al "Child
Study Department" della società di Rochester per collaborare attivamente a progetti volti alla prevenzione
della crudeltà sui bambini. In questo periodo approfondisce la riflessione sulla relazione terapeutica che
diverrà materiale didattico nell'ambito dei suoi corsi universitari: all'Università dell'Ohio, come
professore di psicologia, alla Chicago University e infine alla University del Wisconsin. A Chicago si
ferma 12 anni, con grande successo fra i pazienti, anche se i colleghi non lo vedevano di buon occhio; ad
esempio l'Istituto di Psichiatria dell'Università negava apertamente ogni forma di collaborazione con
Rogers. Nel 1951 dà alla stampa "La terapia centrata sul cliente" che rappresenta una sintesi del suo
pensiero. Finalmente l'Associazione degli Psicologi Americani, che per molto tempo lo aveva osteggiato,
ne cominciò a riconoscere i meriti e ad attribuirgli riconoscimenti ufficiali. Con il suo quinto libro, 'On
Becoming a Person', pubblicato nel 1961, raggiunse una fama tale che si sentì pronto a lasciare gli
incarichi accademici per trasferirsi a La Jolla al Western Behavioural Sciences Institute,
un'organizzazione non-profit, dove portò avanti le sue ricerche sulle relazioni interpersonali. Lavorò
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ininterrottamente fino agli ultimi anni della sua vita, viaggiando per tutto il mondo e dedicandosi alle sue
teorie sul conflitto sociale. Nel 1985 riuscì a far incontrare i leader di 17 paesi in una conferenza
'residenziale', per farli parlare di pace nel mondo e disarmo nucleare. Muore all'età di 85 anni, appena
dopo essere stato nominato per il Premio Nobel per la Pace.
Presentandosi con un curriculum vitae su 'La terapia centrata sul cliente', Rogers enumera una serie di
'scoperte' che crede di aver fatto, sia relativamente a se stesso, sia riguardo ai rapporti interpersonali di
varia natura. Ecco alcune di queste 'scoperte'.
-Occorre avere fiducia nell'intuizione interiore, che non è di natura intellettuale.
-La valutazione degli altri non può essere per noi una guida, semmai un semplice riferimento.
-L'esperienza è la massima autorità, essendo più sicura delle idee.
-Quando si comunicano pensieri e sentimenti, si risveglia una risonanza molto forte negli altri.
-L'uomo è dotato di una forza costruttiva: quanto più si sente compreso ed accolto, tanto più tende a far
cadere le false 'facciate' per muoversi in direzione del miglioramento.
Testi consigliati:
- La terapia centrata sul cliente, Martinelli 1970.
- I Gruppi di incontro, Astrolabio 1976.
- Psicoterapia e relazioni Umane, Bollati Boringhieri.
LA PSICOLOGIA SISTEMICO RELAZIONALE DI PALO ALTO
La teoria dei sistemi in psicologia
Mario Betti
Partendo dal concetto di sistema, Von Bertalanffy negli anni ’30 del novecento elaborò la cosiddetta
teoria generale dei sistemi.
Definiamo un sistema un insieme di elementi che interagiscono secondo determinate regole. Tale
concetto ci permette di affrontare qualsiasi contesto di studio scientifico. Si può parlare di sistema solo
nel caso in cui i singoli elementi che lo compongono interagiscano tra di loro, cioè siano funzionalmente
connessi tra loro e abbiano determinate regole. Un orologio smontato è un insieme di elementi, ma non è
un sistema. Il discorso interessante della teoria dei sistemi è che rispondono a determinate leggi che
valgono per qualsiasi sistema. Come se l’universo fosse strutturato in modo da formare dei dati che
interagiscono secondo regole uguali.
Tra i numerosi sistemi, in questo contesto prenderemo in considerazione quello relazionale umano. Il
sistema relazionale condiziona l’uomo così fortemente da indurlo a comportarsi in una data maniera
piuttosto che in un’altra. Infatti, in questo momento a nessuno di voi – in ascolto all’interno di una stanza
- verrebbe in mente di giocare a pallone o mettersi a cantare. Se lo facesse sarebbe un comportamento
anomalo per questo contesto, non appartiene al nostro sistema. O la persona lo spiega e quindi noi
sappiamo che il suo comportamento rientra in un altro sistema che in questo momento interpreta il nostro,
oppure è un comportamento anomalo e incomprensibile per gli altri. Infatti, molti dei comportamenti
della patologia mentale vengono interpretati secondo la teoria dei sistemi come dei comportamenti
difformi dal contesto, perché è come se la persona agisse legata ad un contesto che non è quello presente.
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Le caratteristiche dei sistemi: totalità, struttura, confini, progettualità, finalità e storia
La prima caratteristica è la totalità. Questo concetto è conosciuto sin dall’antichità. Lao Tse nel VI^ sec.
a.C. sosteneva che la somma delle parti non costituisce il tutto, cioè la somma dei pezzettini dell’orologio
non ci aiuta a capire il senso dell’orologio. Se noi prendiamo un quadrante o una lancetta, non ci fa capire
nulla sulla misurazione dell’ora. L’orologio ha delle caratteristiche in più che non sono contenute in
nessuna delle parti che lo compongono. In questo momento, all’interno del nostro sistema, abbiamo delle
capacità o delle proprietà in più che non sono proprie di nessuno di noi preso singolarmente, ma unite
insieme realizzano la totalità.
Il secondo concetto: la struttura. Ogni sistema ha una sua struttura, cioè si suddivide in sottosistemi.
Prendendo il nostro sistema in questo momento, i sottosistemi sono i docenti e gli allievi. Volendo ci sono
tanti sottosistemi: allievi maschi e femmine, quelli seduti sulle sedie o seduti per terra e così via. Questi
ultimi sottosistemi hanno poco significato ai fini del funzionamento di questo sistema. I sottosistemi che
più saltano alla luce nell’organizzazione del nostro sistema sono gli allievi ed i docenti. Comunque se si
entra nell’analisi dei gruppetti, di come sono seduti, potremmo scoprire tanti sottosistemi che stanno
interagendo senza che ce ne rendiamo conto.
Il terzo concetto: i confini. È un sistema aperto che scambia informazioni con altri sistemi esterni che
ciascuno di noi ha: la famiglia, l’ambiente di lavoro, gli amici, che influenzano il nostro sistema di
adesso.
Il quarto concetto è la progettualità. Si è detto che ogni sistema interagisce secondo determinate regole.
Ogni sistema tende a perseguire un proprio progetto. Il progetto dell’orologio è segnare l’ora,
dell’automobile lo spostarsi, il progetto del nostro sistema ‘qui e ora’ è quello di focalizzare e apprendere
alcune nozioni su un inquadramento olistico, sulle principali correnti e tecniche psicologiche e
psicoterapeutiche. La progettualità è uguale alla funzionalità. Se un orologio non persegue il suo compito
di segnare l’ora, l’orologio non funziona. Si dice che è disfunzionale, non persegue il proprio progetto. A
livello individuale può essere un progetto di vita, in questo nostro contesto è un progetto di
apprendimento. Quindi, se alla fine del nostro incontro non si fossero apprese alcune nozioni relative a
quello che ci proponevamo, vorrebbe dire che è stato un sistema disfunzionale. Quanto più riusciamo ad
apprendere ed a focalizzare meglio queste nozioni, tanto più funzionale è il sistema.
Altro concetto importante è la finalità. Consiste semplicemente in questo: se si prendono due sistemi, pur
conoscendo la situazione iniziale, non sappiamo quale sarà l’esito finale. Due sistemi inizialmente uguali
possono andare incontro ad esiti differenti come sistemi differenti possono avere un esito simile. Vale a
dire che l’effetto non è legato alla causa in maniera determinata, ma al come interagiscono nel tempo i
vari elementi ed i vari sistemi confinanti. Ad esempio nel contesto familiare, non tutti i bambini oppressi
da una madre soffocante sviluppano la tendenza all’alcolismo. In alcuni casi la sviluppano, in altri no.
Quindi, vuol dire che dipende da come si interagisce. Questa è una nozione molto importante, perché
modifica una visione meccanicistica legata a molte correnti della psicologia, come le correnti del primo
comportamentismo che vedeva causa ed effetto in maniera lineare, e la psicanalisi iniziale che sosteneva
che se c’è un trauma infantile di conseguenza ci sarà una nevrosi nell’adulto. Non è così semplice e
lineare, dipende da una miriade di fattori che interagiscono, il che rende più complesso lo studio.
Altro concetto è la storia, l’ultimo concetto fondamentale della teoria dei sistemi. Ogni sistema ha una
sua evoluzione storica, un suo ciclo vitale. Ci sono dei sistemi che hanno una vita breve: il nostro gruppo
ha un ciclo che dura pochi giorni o poche settimane. Ci sono dei sistemi che possono essere momentanei,
per esempio il sistema di un gruppo di persone a cena, che al momento della cena o di una festa creano un
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particolare sistema con determinate regole, che poi si scioglie. L’Ultima Cena non si è limitata all’ultima
cena. Si è definito il rituale che stabilisce le regole: per esempio l’eucarestia che è collegato con l’Ultima
Cena, si è mantenuto nel tempo stabilendo una storia millenaria.
Tipico è il sistema familiare che ha una durata lunghissima. Una famiglia dura almeno quanto la vita di
un individuo, ed anche oltre, perché una persona nasce appartenendo ad una famiglia in senso lato, visto
come sistema di figure relazionali significative. Il minimo di una famiglia è una madre con il padre e il
figlio, poi altre eventuali figure. Pensate a quanto può condizionare un sistema psicologicamente. Basta
entrare in una chiesa e ci sentiamo condizionati dal nostro comportamento. In una chiesa non ci riesce
avere lo stesso comportamento che avremmo se fossimo assieme a dei tifosi allo stadio a fare il tifo per la
squadra del cuore. Anche se proviamo a farlo non ci viene nella stessa maniera oppure non abbiamo lo
stesso stato d’animo, lo stesso comportamento o modo d’interagire. Insomma il sistema ci condiziona
fondamentalmente. Figuriamoci un sistema come la famiglia che dura tutta la nostra vita.
Modificando un elemento del sistema si modifica il tutto
La teoria dei sistemi parte dal presupposto che modificando un elemento del sistema, si modificano
automaticamente tutti gli altri. Per esempio una terapia familiare in forma classica, in genere è così
strutturata: la famiglia è all’interno di una stanza assieme ad un terapeuta. Un altro terapeuta, collegato
con un citofono, sta in una stanza adiacente e attraverso uno specchio unidirezionale osserva cosa succede
nella stanza, potendo comunicare in qualsiasi momento con l’interno. Lo scopo è cercare di mettere a
fuoco i meccanismi ridondanti che perpetuano certi comportamenti (un comportamento conflittuale, un
comportamento che genera patologia) per cercare di modificarli. Perché può essere essenziale che ci siano
due terapeuti, uno dentro il gruppo e l’altro fuori? Perché quello che è dentro a contatto con la famiglia, si
puo’ lasciare invischiare nel sistema familiare, perdendo di vista una serie di elementi fondamentali. Chi
sta fuori ha una visione più oggettiva, può facilmente individuare i punti chiave e comunicarli, mettendo
in evidenza comportamenti automatici del gruppo. La presa di consapevolezza può portare a modificare
certi comportamenti nella relazione, portando alla risoluzione di conflitti, di patologie.
Un lavoro, spesso efficace, è collegato con le patologie del comportamento alimentare. Le anoressiche
spesso hanno un loro comportamento che viene perpetuato da una serie di dinamiche relazionali a livello
familiare. Modificandole, si può arrivare anche a modificare radicalmente il comportamento anoressico.
Mesmer: le radici storiche
C’è un ultimo aspetto importante che aiuta ad inquadrare il discorso della psicologia sistemicorelazionale. Vista così sembra abbastanza meccanicistica, vale a dire che ogni persona è un elemento che
interagisce. Quindi, un po’ comportamentistica. In realtà le potenzialità di questo approccio sono molto
più ampie e conosciute fin dall’antichità.
Un autore di grande rilevanza è stato Mesmer, un grande psicoterapeuta (visse a cavallo tra la fine del
‘700 e l’inizio dell’800) che ha parlato di magnetismo animale, oggi definito ‘energia’. Studiò come
questa energia, questo magnetismo poteva essere utilizzato per curare e guarire diverse malattie. Mesmer
introdusse il sistema dei passi magnetici (movimenti ripetuti e ipnotici sul corpo), che anticipò la moderna
pranoterapia con risvolti terapeutici estremamente interessanti. Nelle sue sperimentazioni introdusse il
sistema della terapia di gruppo. Creò una tinozza piena di limature di ferro e di bottiglie d’acqua (quindi
secondo le concezioni dell’elettricità del tempo, con dei buoni conduttori) con delle maniglie di ferro,
mise delle panchine intorno, fece sistemare delle persone in cerchio, attorno alla tinozza. Mesmer passava
accanto alle persone dando stimoli – toccandoli leggermente o facendo fare delle emissioni sonore alle
persone – finché alcune di queste persone avevano le cosiddette crisi catartiche. Una che soffriva di asma
poteva avere una crisi asmatica, un’altra una crisi epilettica e piano piano la crisi di una persona si
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trasmetteva quasi come per induzione, per contagio a tutte le altre. Era capace di dare contenimento a
questa situazione e fu famoso terapeuta sia individuale che di gruppo. Probabilmente, come in tutte le
terapie, ci saranno stati dei casi di guarigione, casi di ricadute e casi di miglioramento. Probabilmente ciò
che pubblicava erano i casi meglio riusciti, ma sicuramente ebbe un grosso seguito e un grosso successo.
Lavorò in Austria, a Vienna, poi a Parigi dove ebbe un grosso successo. Ma ebbe una persecuzione da
parte dell’ambiente medico che lo definì un ciarlatano.
Il mesmerismo, altrimenti conosciuto come magnetismo animale, dopo Mesmer ebbe una larghissima
diffusione in Europa e in America, dando origine a tutta una serie di fenomeni. Di grande rilevanza fu lo
studio degli stati profondi di coscienza ad opera di un suo allievo, Puységur. Attraverso i passi magnetici
induceva gli stati di trance e fenomeni di conduzione addirittura fino all’infanzia o alle vite precedenti.
Dal mesmerismo nacque l’ipnosi e tutti gli studi d’ipnosi fino ad arrivare al nostro tempo. In particolare
in Francia nacque una scuola a Nancy e una con Charcot a Parigi, dove studiò Freud. Nacque lo
spiritismo e varie fratellanze di studi, sia spiritici sia esoterici, fondati sulle tecniche di catena e le
tecniche di guarigione anche a distanza. Quindi, nell’800 ci fu una grande espansione di concetti legati
alla psicologia di Mesmer che poi confluì anche nella psicologia di Freud. Freud all’inizio lavorava con
l’ipnosi, avendo imparato l’ipnosi da Charcot e studiato i fenomeni dal mesmerismo. Questo è
interessante, perché in genere si considera Freud come lo scopritore dell’inconscio, l’inventore della
psicanalisi, lo scopritore della sessualità infantile, delle dinamiche psicologiche. Sicuramente fu
l’inventore della psicanalisi, dando il nome al sistema che realizzò, ma in realtà Freud fu un abile e
intelligente organizzatore. Egli riuscì a sistematizzare nella sua dottrina e nella sua pratica una serie di
conoscenze che al suo tempo erano di pubblico dominio. La sessualità infantile, ad esempio, era
normalmente conosciuta e descritta dai teologi morali della chiesa cattolica protestante. Si parlava
dell’inconscio già nel periodo del romanticismo a partire dal ‘700. Il filosofo Leibniz aveva elaborato il
concetto dell’inconscio già molto tempo prima di Freud.
Mesmer è stata una figura centrale nella storia della psicologia occidentale. È interessante vedere come
viene condizionato il nostro stato d’animo in una cena con amici, in una chiesa o altro, dove si viene a
creare una specie di anima collettiva, come una specie di coscienza di gruppo o di coscienza collettiva
con degli aspetti inconsci, che crea dei comportamenti e dei modi di sentire simili. Qui si rientra in un
altro settore, quello che abbiamo definito assieme a Nitamo psicologia sistemica transpersonale o
sistemica olistica, cioè una sistemica che utilizza tutte le conoscenze dello studio sistemico scientifico
classico, ma le introduce in una visione più umana, più legata alla coscienza o alle emozioni, al
sentimento e anche a quello che è una coscienza collettiva. Rientra in un ambito in cui la sistemica
assume una dimensione un po’ diversa da quella con cui viene comunemente usata.
IL DIALOGO DELLE VOCI DI HAL E SIDRA STONE
Kiran Lucia Vigiani
Il “Dialogo delle voci” è una bellissima tecnica iniziata da Hal e Sidra Stone, due psicologi californiani.
Questa tecnica è stata messa a punto alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, successivamente portata in
Italia nel 1993-94 da Manuela Adelman. È una tecnica sull’indagine dei nostri personaggi interiori
definiti “voci”. Parte un po’ dal concetto Junghiano delle sub-personalità per poi andare molto più in
profondità anche rispetto alla psicosintesi di Assagioli. Quindi, è un lavoro di vera e propria indagine
interiore fatta con una modalità gestaltica.
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Le sub personalità
Il “dialogo delle voci” può essere applicato in molti campi. Pur avendo detto che si parte dall’animo
molteplice e dalle sub-personalità adottando la modalità gestaltica, non stiamo facendo una psicoterapia.
Il “dialogo delle voci” può essere usato in molti ambiti, anche come supporto psicoterapeutico, in ambito
artistico, per interpretare dei sogni o in un lavoro corporeo. È una tecnica che viene usata per capire cosa
succede dentro di noi, e per comprendere cosa accade a livello di dinamiche tra tutte le nostre subpersonalità.
Partiamo dal concetto che dentro di noi esistono molti personaggi, molte “voci”. Secondo questo metodo
possiamo asserire che esistono delle “voci primarie” e delle “voci rinnegate”. Partiamo dall’assunto che ci
sia come un’asse polare, dove noi siamo identificati con molte sub-personalità o “voci” (c’è un’analogia
tra i due termini). Se lavoriamo con delle “voci primarie”, significa che nella polarità opposta ci sono
delle “voci rinnegate”. Questo ci rimanda alla stella di Assagioli, vista precedentemente. Il concetto è lo
stesso dell’asse polare: se da un lato c’è una parte iper-trofica, dall’altro lato ci sarà sicuramente una parte
ipo-trofica.
Abbiamo molti personaggi interni e la nostra tendenza è di identificarci o di rappresentarci di più con
qualcuno di questi personaggi, che sono definiti “voci primarie”. Quasi sempre questi personaggi sono
quelle parti che ci proteggono, le parti con le quali ci sentiamo più a nostro agio, ruoli con i quali siamo
più abituati a stare e ci sentiamo più sicuri. Le “voci rinnegate”, invece, sono le nostre parti rimaste più
nell’ombra, nell’inconscio medio o inconscio profondo, di cui potremmo non conoscerne neanche
l’esistenza.
Le parti del “Dialogo delle voci”
Le parti che giocano nel “Dialogo delle voci” sono:
·
le “voci primarie” in cui ci identifichiamo di più
·
le “voci rinnegate” che sono in noi, ma che rimangono più in ombra, sono più inconsce;
·
un “ego operativo” che è la parte di noi che si identifica nei ruoli (ad es. mi identifico con il mio
ruolo di insegnante)
·
un “ego consapevole” che è il nostro testimone, la parte di noi che non si identifica con le varie
voci, ma semplicemente le osserva;
·
“la visione lucida” o “awareness” che è il momento in cui noi possiamo vedere attraverso l’ego
consapevole.
Essendo il “dialogo delle voci” un metodo molto poco invasivo e rispettoso, può essere usato con
chiunque tranne in casi di psicosi conclamate. È una tecnica che si svolge in maniera energetica, e quando
s’invita a parlare una “voce” si sente se parla solo da un livello mentale o con la propria parte energetica.
Vediamo come si svolge.
Quando il cliente arriva gli viene chiesto cosa vorrebbe andare a investigare o chiarire, si cerca dunque di
definire un ambito. Nella descrizione iniziale, il facilitatore può già crearsi una mappa di cosa sta
succedendo nell’altra persona, e a seconda di come si esprimerà, potrà individuare quali sono le “voci”
che stanno parlando. Chiaramente questo non viene rivelato alla persona per non influenzarla. Si invita la
persona a spostarsi usando la modalità gestaltica. La persona si muove in un’area e anche in una
posizione a sua scelta nello spazio. Si entra in una condizione più meditativa invitandola ad entrare più in
profondità. Il facilitatore le fa una sorta di intervista per indagare, conoscere, raccogliere dettagli sulla
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voce che sta parlando.
Un esempio pratico. Diamo il nome di Maria alla cliente che abbiamo davanti e poniamo che nell’arco
della sua esposizione abbiamo sentito emergere una “voce primaria” quale potrebbe essere “il critico”. Le
chiediamo di spostarsi e di ricontattare l’emozione che era molto presente, domandandole: “Tu sei quella
parte di Maria che si è espressa dicendo che Maria non è in grado di fare certe azioni, perché Maria non
ha studiato abbastanza… perché Maria non è brava abbastanza. Ti posso chiedere chi sei… da quanto
tempo sei nella vita di Maria… in quale parte del corpo di Maria sei… quale è il tuo alleato dentro Maria
ecc. ecc.?” In tal modo andiamo a parlare con il personaggio emergente (“critico”) facendo una sorta di
intervista, e risponderà dicendo: “Io sono quella parte di Maria (“critico”) che c’è da tanto tempo…. Sono
io che la inibisco in continuazione, perché altrimenti lei si espone troppo e ciò mi fa arrabbiare…. Non
sopporto Maria quando fa vedere le sue fragilità… ecc.” Nel proseguo dell’intervista vengono fuori
tantissimi dati, per cui scopriamo da quanto tempo si è strutturata questa “voce”, con quali modalità e
soprattutto il perché della sua esistenza nella vita di Maria.
Scopriremo che le nostre voci primarie si strutturano per proteggere il bambino vulnerabile. Solitamente
nella nostra vita il “critico” ci massacra, non ci fa vivere, ma inizialmente è venuto fuori proprio per
proteggere la nostra fragilità. Una parte di noi critica noi stessi, il che sarà meno doloroso che non uscire
in un contesto aperto e sentirci criticare dagli altri. Quindi, all’inizio queste voci primarie si sono
strutturate per proteggere la nostra vulnerabilità. Allora, qual è il problema? È che anziché essere delle
voci che sono rimaste circoscritte, sono diventate onnipervadenti e hanno preso il sopravvento e
controllano la nostra vita. Tanto che un “critico” molto attivo può diventare una voce fortemente
distruttiva, può diventare massacrante.
Fintanto che queste energie rimangono ”ombra” (per usare una terminologia junghiana) significa che
rimangono inconsce, sono energie demoniche che possono essere distruttive se non le conosciamo.
Quindi, il compito è di riconoscerle sempre di più portandole nel nostro campo della coscienza (se
parliamo di psicosintesi) e di andare sempre di più a rafforzare l’ego consapevole, se parliamo del
“Dialogo delle voci”. Cambiano le terminologie, ma il concetto base è sempre lo stesso.
Quindi, si fa l’intervista alla persona per capire al meglio questa “voce”, per capire da quanto tempo c’è,
che spazio ha nella vita della persona, come si relaziona con gli altri personaggi e come ne condiziona
l’esistenza.
Le voci più importanti che ritroviamo un po’ tutti sono: il “critico”, il “giudice”, il “patriarca” o la
“matriarca” per le donne, il “bambino” fragile e vulnerabile, il bambino giocoso che ha voglia di vivere e
di esprimersi ma che quasi sempre rimane soffocato. Il bambino è estremamente fragile ed è molto
difficile che venga fuori al primo incontro. Il “bambino” ferito o abusato viene fuori con molta fatica e
questo accade solo se si sente molto accolto e non giudicato. Quando viene fuori il “bambino ferito”, ha
una voce molto flebile, spesso la postura è piegata in avanti, il tono è piagnucoloso. Il facilitatore deve
entrare in una relazione energetica ed empatica con quella voce, anche con il tono di voce che sarà
sommesso, e chiederà: “Ti senti impaurito a venire fuori?… Cosa ti fa sentire paura…Quali sono le cose
che ti fanno sentire più minacciato… Cosa ti è mancato… Cosa vuoi che faccia Maria per te?” E Maria
potrebbe rispondere: “Io sono il bambino di Maria… Maria non mi ha mai ascoltato… Lei si è sempre
vergognata di me…Ogni volta che avevo voglia di una cosa non era mai il momento giusto ecc.”
Altrettanto interessante e bello è quando vengono fuori la forza o la rabbia, e le persone riescono a sentire
queste energie potenti dentro di loro. La “voce” parla attraverso la persona finché esprime la propria
energia, poi sentiamo che si scarica e comincia a subentrare la noia oppure un calo energetico. A quel
punto si sente che non c’è altro da dire, per cui ringraziamo la “voce” qualunque essa sia stata, anche se è
stata distruttiva, perché dobbiamo onorare tutte le parti dentro di noi. E dobbiamo farlo senza giudizio.
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Quindi, dopo aver ringraziato la “voce”, chiediamo alla persona di ritornare al centro. Ritornare al centro
significa ritornare nella posizione dell’ego consapevole. Qui riparliamo con la persona chiedendo come
ha vissuto l’esperienza, se ha scoperto parti nuove di se stessa, se ha sentito le diverse energie che
portavano le voci, se ha sentito energeticamente ed emozionalmente che relazione avevano con il corpo,
come queste voci abbiano trovato spazio o rinnego nella vita della persona.
Molte volte mi sono trovata con delle persone apparentemente deboli che scoprivano quanta forza
avevano soffocato dentro e quanta voglia avevano di farla venir fuori.
Vorrei ripetere la differenza tra la “gestalt” e “Il dialogo delle voci”. Nella Gestalt le voci possono parlare
tra di loro, mentre nel “Dialogo delle voci” ogni volta che una voce ha parlato si ritorna all’ego
consapevole. Questo ci permette di radicare sempre più la “voce rinnegata”.
Perché ci spostiamo fisicamente? Cosa significa ciò? Spostandoci in un altro spazio entriamo in un’altra
energia, e possiamo generare un’identificazione più profonda nella voce che andiamo a contattare e che
vogliamo investigare.
L’obiettivo del “Dialogo delle voci”
Questa tecnica permette di andare ad indagare e sentire le varie energie che sono dentro di noi, per poterle
portare sul piano della coscienza. Il punto centrale è poter prendere coscienza di queste parti e attraverso
il nostro ego consapevole portare sempre più terra all’isoletta della coscienza, perché più noi siamo
consapevoli, meno ombre ci sono, più siamo liberi. È lo stesso discorso del “direttore d’orchestra” che fa
suonare gli strumenti quando decide e in quale modo decide di farli suonare, e non lascia ad ogni
strumento la possibilità di agire fuori da un progetto. Ricordiamoci sempre che nessuna energia va
condannata, perché sono tutte parti di noi che dobbiamo integrare, abbracciandole e comprendendole per
portarle alla luce. Così anche le energie demoniche si trasformano e diventano energie a nostra
disposizione. Una grande rabbia, che può diventare aggressiva se non riconosciuta, può trasformarsi in
una grandissima forza di aiuto per noi stessi se la integriamo portandola nel campo della coscienza.
Quindi, avere a disposizione la nostra rabbia è molto importante, come è importante avere un centro che
decide consapevolmente come usare la rabbia, per non cadere in balia della rabbia e scattare in
continuazione. È agire la rabbia anziché essere agiti dalla rabbia. Questo è il concetto fondamentale al di
là di qualunque ambito o tecnica usata, che sia psicanalisi o “il dialogo delle voci” o altro.
Tutte queste energie sono al servizio della difesa. Quando vengono portate nel centro, in parte vengono
purificate dalla necessità di difesa infantile che non è più necessaria, in parte diventano energia pura
disponibile per l’ego integrato. Un esempio: dopo aver lavorato con la voce di una persona - ad esempio il
“sabotatore” che ha rotto le scatole tutta la vita, che ha sempre detto “non sei in grado, non sei
abbastanza, ecc.”-, nel momento in cui la persona inizia a fare un percorso di trasformazione, accade che
intervistando il “sabotatore” questi risponderà: “Sono proprio stanco, sono un personaggio vecchio, ho
voglia di andare in pensione.” Quindi, si capisce che quell’energia è obsoleta, non ha più motivo di
essere, si è consumata. Ed è bello quando nell’intervista viene fuori il personaggio che si riconosce
vecchio, perché significa che c’è stata una trasformazione, che qualcos’altro si è strutturato per
rafforzarci, per darci sicurezza e non c’è più necessità che il sabotatore ci tenga a freno.
Noi siamo portatori di molti tipi di energie. Il “bambino” è una figura basilare nella nostra vita. Potremo
avere cento anni e avremo sempre il nostro bambino interiore, e per fortuna, perché è un’energia pura,
frizzante, gioiosa. Il “bambino” sarà sempre portatore dello stesso tipo di bisogno, che è amore totale. È
quando il bambino viene ferito o abusato che diventa il bambino ribelle, il bambino piagnucoloso. Ed è
per questo che si strutturano tutte le voci primarie che sono tutte voci che proteggono la vulnerabilità.
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Tutti noi, se analizziamo la nostra vita e le nostre esperienze, vediamo quanti compromessi abbiamo fatto,
quanto potere abbiamo dato via per essere amati. Tutti noi abbiamo degli imprinting, dei ricordi delle
situazioni, per cui mettiamo in atto delle strategie di sopravvivenza. Allo stesso modo succede anche al
bambino, che alle richieste dei genitori reagirà solitamente in due modi: o diventerà il bambino
compiacente o il bambino ribelle oppure un po’ tutt’e due, a seconda delle circostanze o degli
impedimenti. È importante vedere che il bambino ha entrambe le due forme di atteggiamento. Se il
bambino avesse avuto il soddisfacimento del bisogno primario che è l’amore, non avrebbe avuto bisogno
né di diventare compiacente né ribelle, ma sarebbe stato nella sua essenza. Ricordiamo che comunque il
bambino ha bisogno di un confine, altrimenti si perde. Noi possiamo anche rimproverare un bambino, ma
con amorevolezza. Se lui sente che c’è una relazione d’amore, anche se fa qualcosa di sbagliato e viene
rimproverato, riconoscerà questo amore e non avrà ferite laceranti.
Il “Dialogo delle voci” è una tecnica molto articolata della quale si sta dando soltanto qualche idea.
Esistono tanti personaggi al nostro interno e sarebbe interessante capire le loro modalità di strutturazione,
le loro interazioni con gli altri personaggi, le dinamiche che si creano, per avere una visione più allargata
della nostra vita. È veramente molto bello, anche perché c’è il grande rispetto nell’agire. Come abbiamo
già detto, all’inizio del lavoro, partiamo sempre dai ruoli e dai personaggi primari che sono quelli dove ci
sentiamo più forti. Non è una modalità invasiva, perché rispettiamo chi c’è, e vediamo che per primi
emergono quelli più sicuri di sé, che generalmente sono le voci che agiamo di più e sono più accessibili.
È difficile che in una persona che arriva con una problematica dolorosa, possa uscire subito il bambino
vulnerabile. Ecco perché è molto importante questo gioco: la persona arriva, c’è il primo inquadramento
dell’argomento che porta, poi viene invitata a spostarsi nello spazio, intervistando i vari personaggi. A
volte questi personaggi hanno un nome, a volte la persona stessa dà il nome, altre volte sono delle energie
indefinite molto diverse fra di loro. Una volta ci parla l’energia della “forza”, un’altra volta quella del
“controllore” o del “protettore”ecc. Quando poi si invita la persona a tornare al centro, può uscire
un’energia molto diversa e cioè un’energia più fragile, timorosa, che può essere totalmente in antitesi con
la prima voce. Non si deve mai interrompere una voce, è importante lasciarle tutto il tempo che necessita
per potersi esprimere. L’importante è che il facilitatore sia sempre lì, in relazione empatica ed energetica,
perché se una voce si sente giudicata immediatamente si richiude e non si esprimerà più. Se il facilitatore
percepisce che mentre la voce si sta esprimendo è cambiata l’energia, non deve interromperla, ma deve
farlo presente dicendo ad esempio: “Sento che ti stai esprimendo con un’energia diversa, ma sei ancora
tu?”
Nel “Dialogo delle voci” si chiede sempre il permesso per avere accesso ad una voce, e soltanto quando si
invita la persona a ritornare al centro le si chiede: “Hai sentito che energia era? La senti? L’hai
riconosciuta?”. Poi si prosegue con l’intervista ad altri personaggi. Il tutto può durare circa un’ora.
L’importante è che il processo non venga interrotto.
Ricapitolando, la sessione si svolge con l’intervista alle “voci”. Dopo che l’ultima voce si è espressa, si
invita la persona a tornare al centro dove si parla a livello dell’ego consapevole, si porgono domande per
portare consapevolezza sul come ha vissuto le voci. Segue poi un momento estremamente bello, la
“visione lucida” o awareness, in cui si chiede alla persona di mettersi dietro al facilitatore, con gli occhi
chiusi, e di rimanere in ascolto molto cosciente e consapevole – senza intervenire – come se fosse un
testimone. È il momento in cui il facilitatore riassume tutta la sessione usando le parole dette dalla
persona, quelle che ha usato la “voce”, senza interpretare ma semplicemente riportando quanto detto in
modo fedele. La persona che è dietro ascolta come un testimone, si rivede non più coinvolta, osservandosi
con distacco. Si può immaginare che forza potente si sprigiona in tale momento.
La persona torna di fronte al facilitatore, le viene chiesto se è rimasto qualcosa in sospeso, se vi sono parti
che desidera approfondire. Non si deve lasciare andare via una persona da una sessione se è a pezzi. Deve
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uscire da un incontro, magari con tanto lavoro da elaborare, ma con la sua integrità. Questo vale per
qualsiasi tecnica che viene usata. Per quanto riguarda i bambini, dal momento che è una tecnica molto
strutturata, può essere improntata come un gioco usando tecniche molto morbide – come il disegno, la
voce, la teatralità - con dei confini più sfumati, indefiniti, proprio perché il bambino è in fase di
strutturazione della personalità.
Con il tempo e l’esperienza sarà sempre più evidente che queste “voci” parlano come parlavano i genitori.
Si potrà capire più facilmente perché si sono strutturate. Avranno lo stesso linguaggio del padre o della
madre. Quindi, è molto importante farlo notare alla persona, anche se spesso lei stessa si accorge di
questo aspetto e lo riconosce.
In questa pratica, il tutto viene fatto con grande rispetto, perché i personaggi escono quando c’è una
situazione pronta per accoglierli. Non esce mai una “voce” se non c’è il contesto giusto per ascoltare.
Ecco perché il facilitatore deve essere in stato di presenza e capacità di ascolto, molto empatico e capace
di sentire cosa succede con le energie e contemporaneamente andare a sentire cosa succede dentro se
stesso, perché funzioniamo tutti come delle casse di risonanza: entriamo in co-vibrazione.
Credo che un’altra cosa molto importante per il counselor o il terapeuta in generale, sia entrare nel
coraggio dell’imperfezione, perché accettare la propria imperfezione è un grande atto di coraggio:
accettare i propri limiti ed imparare a comunicarli per rispetto di se stessi e degli altri. Quindi il
facilitatore non può dire sì a tutto e a tutti, perché una persona che arriva può portare tematiche dove lui
stesso sta ancora lavorando e quindi non può esserle di aiuto.
È veramente un lavoro alchemico, perchè la stessa cosa detta da una persona o detta da un’altra, cambia
vibrazione; per questo non si può entrare nella stessa sintonia con tutte le persone. In questo caso il
facilitatore deve avere il coraggio di dire che sente di non essere nella giusta polarità e indirizzare la
persona verso qualcos’altro. Se viene detto con onestà e amorevolezza, la persona lo apprezzerà. È
imprescindibile che per poter lavorare con gli altri si deve aver lavorato su se stessi, e quanto più lavoro si
è fatto su se stessi, sempre più si potrà essere accoglienti. D’altro canto non si può aspettare di essere
‘perfetti’ per iniziare a lavorare con gli altri. Questo significa che ci sarà sempre un margine dove il
counselor sarà vulnerabile. È assolutamente indispensabile che un counselor sia capace di entrare nel
silenzio, in uno spazio di ascolto, uno spazio di visione attraverso il proprio testimone interno. Solo così
può accorgersi che la persona che ha di fronte gli porta qualcosa che risolleva la propria problematica
personale, il proprio dolore; è necessario capire se è una situazione ingestibile, da cui deve tirarsi indietro
e indirizzare la persona da qualcun altro. È molto importante che il facilitatore a sua volta veda la
problematica irrisolta con il proprio supervisore. È fondamentale affrontare le sensazioni che lo
rimandano ancora nei buchi di tristezza, di senso di abbandono, di fallimento e quant’altro. Guai se pensa
di essere arrivato. Personalmente ho molto timore e sospetto verso quelli che fanno soltanto i terapeuti e
che non vanno mai a fare un lavoro di supervisione. Lo stesso Jung diceva che poteva portare il paziente
soltanto al punto in cui lui era arrivato. Questo è il cardine: capire il punto in cui noi siamo, significa stare
nella nostra dimensione, e sapere che ci sono degli esseri molto più avanti di noi e affidarci a loro.
Questo, però, non deve farci sentire falliti, ma degli esseri responsabili che umanamente passano quello
che hanno, e si affidano ad altri esseri superiori. Se impariamo a fare questo, siamo veramente in grado di
portare grandi contributi ad un’umanità che soffre. C’è un grande dolore attorno a noi, sia a livello del
pianeta che della razza umana. Ognuno di noi, là dov’è, può portare molta luce e “guarigione” e balsamo
su tante ferite. Tutto questo richiede molta professionalità, un cuore aperto e una mente che sia in grado di
fare un passo indietro e creare silenzio per accogliere e rielaborare tutto.
Per quanto riguarda il lavoro del “Dialogo delle voci” vi sono due livelli molto distinti: il lavoro
individuale e il lavoro di gruppo. Con le sessioni individuali si comprende dov’è una persona, e se è
pronta le si può suggerire il gruppo più appropriato in relazione alle proprie problematiche, perché se non
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ha fatto nessun lavoro su se stessa ed entra in un gruppo con dinamiche forti, le può portare una chiusura
anziché beneficio. È doveroso precisare che i gruppi sono sempre delle grandi accelerazioni, perché nel
gruppo diventiamo tutti specchio l’uno per l’altro. Ciò che avviene in un anno in un percorso personale,
può avvenire in una settimana all’interno di un gruppo. È importante ricordare che prima di affrontare un
gruppo è necessario aver iniziato un viaggio individuale per avere un minimo di riferimento, anche perchè
è preferibile che alcune problematiche siano risolte o quantomeno affrontate in ambito personale. Non si
può mai generalizzare, quindi sono due dimensioni da prendere in considerazione.
Biografia (Giuseppe Pagliaro)
Il Dott. Hal Stone si è laureato in psicologia nel 1953 all’Università di Los Angeles. Da allora si è
dedicato alla psicoterapia, all’insegnamento e alla scrittura. Dal 1953 al 1957 è stato psicologo
nell’esercito, ottenendo il grado di Capitano. Successivamente ha iniziato la pratica professionale privata
e ha completato la formazione junghiana presso l’istituto C.G. Jung di Los Angeles nel 1961. Per tutti gli
anni ’60 e i primi anni ’70 ha lavorato come analista. La formazione junghiana e il particolare interesse
per i miti, i sogni e le favole lo hanno guidato nel suo cammino di esplorazione interiore. Durante gli anni
’60 è stato membro dell’American Board of Examiners in Professional Psychology (ABEPP), consulente
e insegnante al Dipartimento di Psichiatria e Psicologia del Mount Sinai Hospital di Los Angeles. Nello
stesso periodo è stato anche uno dei coordinatori del programma della nuova California School of
Professional Psychology. La fine degli anni ’60 ha segnato un momento di ricerca ed esplorazione di
nuove modalità di lavoro trasformativo e in questo ambito il dott. Stone ha coordinato una serie di
programmi che, attraverso l’Università della California, hanno diffuso questi nuovi modelli ad un
pubblico più vasto. Nel 1973, Stone ha creato il Center for the Healing Arts, forse il primo Centro per la
Salute Olistica negli Stati Uniti, un centro all’avanguardia nell’ambito della psicologia e delle medicine
non convenzionali. Nel 1979 ha iniziato una collaborazione attiva con sua moglie, la Dott.ssa Sidra Stone.
Tre anni dopo, hanno iniziato a viaggiare e ad insegnare il loro lavoro negli Stati Uniti e all’estero, attività
che continua ancora oggi. Nei primi anni ’70 Hal e Sidra iniziarono a sviluppare il Voice Dialogue come
metodo per lavorare con le sub-personalità. Attraverso la loro relazione personale (sono sposati dal 1977)
e la collaborazione professionale il lavoro si è trasformato in una metodologia per lavorare con i sé
interiori e in un sistema teorico completo, che è stato definito la Psicologia dei Sé. Attualmente la
maggior parte del loro insegnamento si svolge a Thera, la loro casa a Mendocino County sulla costa
settentrionale della California. Qui conducono seminari, danno consulenze private e scrivono. Hanno
cinque figli e quattro nipoti.
La Dott.ssa Sidra Levi Stone è nata a Brooklyn, New York ed è cresciuta durante la Seconda Guerra
Mondiale, in un’epoca in cui era fortemente sentito il desiderio di dare il proprio contributo al bene
dell’umanità. I suoi studi al Barnard College hanno avuto una grande influenza nel suo sviluppo come
donna indipendente: già allora questo istituto incoraggiava le donne a laurearsi ed a prepararsi per una
professione. Nel 1957 si è diplomata con il massimo dei voti e nel settembre dello stesso anno si è sposata
e si è trasferita a Baltimora, dove si è laureata presso l’Università del Maryland. Dopo essersi trasferita a
Washington, negli anni ’60 ha iniziato a lavorare come psicologa clinica. Ritornata a New York, ha
lavorato come psicologa clinica al Veterans Administration. Dopo la nascita della seconda figlia, ha
preferito lavorare part-time come psicoterapeuta al Lincoln Center for Psychotherapy in modo da poter
godere anche le gioie della maternità. Nel 1967 si è trasferita con la famiglia a Los Angeles, dove ha
continuato ad esercitare la professione privata, finchè nel 1968 è diventata consulente psicologa alla
Hamburger Home, una casa per ragazze adolescenti, di cui è stata anche Executive Director nel 1972,
77
dopo la nascita della sua terza figlia, Recha. In quel periodo trasformò l’Hamburger Home in un centro
per il trattamento residenziale per adolescenti acting out, introducendo tecniche olistiche e mettendo a
punto un programma che combinava tecniche comportamentistiche, modificate con la psicoterapia
individuale e di gruppo basata su principi psicoanalitici. Il programma era arricchito dall’arte-terapia, la
scrittura creativa, i giochi teatrali, lo yoga ed esperienze di campeggio in zone selvagge della California.
Si poneva inoltre attenzione agli aspetti nutrizionali, allo stile di vita e alle attività atletiche. Nel 1979
Sidra lasciò l’Hamburger Home per riprendere l’attività professionale privata a tempo pieno e iniziare una
maggiore collaborazione con Hal, collaborazione che è stata estremamente creativa sia sul piano
personale che professionale. Il lavoro di psicologi e docenti di Hal e Sidra è sempre stato strettamente
connesso alla loro relazione di coppia, che a sua volta è stata arricchita dalle loro esperienze di
psicoterapeuti.
Testi consigliati:
-Tu ed io, Hal e Sidra Stone, MIR Edizioni, 2003.
-Il dialogo delle voci, di Hal e Sidra Stone, Ed. Amrita.
LA PSICOLOGIA TRANSPERSONALE DI KEN WILBER
Luisa Barbato
Ken Wilber è un personaggio a cavallo tra la meditazione e la psicologia. Non è uno psicologo, ma un
meditante praticante molto avanzato, con una grande capacità di raccordare pensieri. Si dice che riesca a
leggere fino a dieci libri al giorno. Ha scritto il suo primo libro a 20 anni.
Il punto di partenza di Wilber è che la via occidentale all’interiorità è la psicologia moderna, partendo
dalla psicanalisi. La via all’interiorità delle culture orientali tradizionali plurimillenarie - e quindi
sicuramente più stratificate di quelle occidentali - è, invece, quella della meditazione e della saggezza.
L’oggetto di questa indagine è sempre l’uomo, e il fine ultimo è la sua evoluzione.
Il quesito di Wilber è: “dov’è il raccordo?”. Deve essere possibile, in qualche maniera, conciliare le strade
orientale ed occidentale che appaiono separate e sembrano agire su cose diverse, o - paradossalmente sugli stessi fenomeni. È opinione comune che nella pratica si possa fare psicoterapia e meditazione
insieme, o una dopo l’altra. Wilber ha cercato di strutturare dei modelli teorici, e per far questo si è
avvalso della teoria dei sistemi e di tutta la conoscenza dell’olismo.
Da una parte ha fatto una concettualizzazione olistica che tiene conto del tutto, dall’altra si è basato sulla
teoria dei sistemi, per cui tutti gli organismi fanno parte di sistemi organizzati, che funzionano secondo
determinate regole. Una di queste regole attesta che i sistemi sono gerarchici e la complessità è in ordine
crescente. Un’altra regola importante è che un sistema più complesso si costruisce inglobando il sistema
precedente, e non è possibile che ci sia un’evoluzione del sistema più semplice senza che quello
complesso non inglobi la conoscenza del più semplice. È un sistema evolutivo in cui il gradino successivo
fa sua la conoscenza precedente e la trascende. Però, per trascendere una conoscenza precedente bisogna
averla integrata. Essendo questi sistemi olistici e gerarchici li definì con il termine ‘oloarchico’.
Altro concetto importante della teoria dei sistemi è quello dell’entropia: ogni sistema a complessità
maggiore in realtà crea maggiore sintropia (la sintropia, o nega-entropia, è la tendenza dei sistemi viventi
ad organizzarsi e a creare maggiore ordine, informazione e complessità; mentre i sistemi meccanici
tendono ad involvere e a degradarsi). Sono sistemi di complessità sempre maggiore, sempre più sintropici
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e sempre più organizzati, quindi in qualche maniera diminuiscono il caos. Secondo Wilber questo schema
si applica anche agli esseri umani, sia filogeneticamente sia ontogeneticamente. La storia viene letta come
una serie successiva di evoluzioni gerarchiche, in cui ogni società o gruppo successivo ha assorbito o
subìto le conoscenze precedenti e le ha trascese, le ha migliorate. Ogni individuo è un processo di sistemi
sempre più complessi che evolvono fino all’età adulta. Filogeneticamente vi sono tappe di sviluppo dalle
quali non si può prescindere.
Dopo di che si arriva ad un livello in cui la successiva evoluzione diventa scelta soggettiva.
Lo schema di organizzazione gerarchica ed evolutiva non è così scontato; molti psicologi sostengono che
non c’è evoluzione ma successione.
Questo è lo schema psicologico disegnato da Wilber:
I^ livello PSICOTICO - organizzazione molto legata all’istinto, alla materia, alle parti primarie della
vita in cui non esiste ancora un Io, un’organizzazione che si relaziona; è la parte più
ancestrale.
II^ livello BORDERLINE
III^ livello NEVROTICO - c’è il conflitto tra le varie istanze psichiche
IV^ livello CENTAURO - l’integrazione di tutte le parti, la possibilità per un individuo di scorrere su
tutti i livelli
Possiamo vedere la stessa definizione dal punto di vista orientale, e suddividendo in: mente, corpo,
emozioni. Ovviamente le connessioni non sono così meccaniche: corpo non vuol dire necessariamente
psicotico. Possiamo piuttosto considerarlo corrispettivo del livello più ancestrale, più primitivo, quella
che in psicologia - nel senso di un’organizzazione superiore - viene definita psicosi. In un certo senso
siamo tutti psicotici per una certa fase, nel senso che manchiamo di relazione e di strutturazione
successiva. Poi arriva la parte emozionale, la parte che in psicologia viene molto rafforzata alle posizioni
borderline oppure nevrotico, la posizione di conflitto forte emozionale che non riesce ad integrare. Il
centauro invece è la parte che riesce ad integrare e a comunicare sulle tre parti.
Tutto questo si può raccordare allo schema dei tre cervelli, mettendo all’interno il cervello rettile, al
centro il cervello limbico e all’esterno il cervello umano.
Visto così è uno schema piuttosto grossolano, tuttavia è utile come schema di riferimento. Esiste un
preciso corrispettivo fisiologico nel cervello di quella che è un’organizzazione già definita dagli albori
della cultura orientale, e trova un corrispettivo nelle strutturazioni definite dalla psicologia. Per quanto
riguarda questa parte della psicologia, Wilber l’ha articolata in tutte le fasi della psicologia della madre,
con una scansione di 13 livelli, estremamente complessa, ma con un’idea base. Siamo sempre in una
dimensione che può essere pre-personale - cioè prima della costruzione dell’Ego come parte psicotica e
borderline - o personale con la parte del nevrotico e del centauro (nel senso che siamo nella struttura della
persona). La differenza tra il nevrotico e il centauro è che il centauro è colui che ha un’integrazione,
un’accettazione dei vari livelli. Riesce ad integrare, ad accettare e a scorrere funzionalmente - come
dicono i reichiani - dalla parte istintiva alla parte emotiva a quella cognitiva.
A questo punto potremmo dire che il centauro è colui che ha risolto, colui che sta bene.
Sulla parte che Wilber chiama del centauro, in realtà c’è già stato un interrogarsi - soprattutto in America
- sul centauro come colui che, avendo risolto, risultava un individuo soddisfatto. In realtà si è scoperto
che ci sono dei bisogni che non sono strettamente collegati alla patologia, ma ad un’esigenza che a questo
livello è ancora un’esigenza esistenziale (affrontati da Rogers e dalla psicologia umanistica). Il che vuol
dire che le persone si rivolgono alla psicologia e all’analisi non perché abbiano qualche particolare
disagio, ma perché cercano piuttosto un senso nella loro vita o cercano di sviluppare delle parti che non
hanno ancora sviluppato, ad esempio il gioco, l’amore per l’avventura o la riflessività, tutte capacità o
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potenzialità che non sono ancora state espresse.
Questa fascia della psicologia umanistica ha segnato un grosso passaggio perché ha sganciato la
psicologia dalla patologia. È inesatto dire che la psicologia si occupa soltanto della patologia.
Essa si occupa di processi psichici, ma all’interno di questi vi sono le istanze da sviluppare anche dalla
persona apparentemente soddisfatta. Però non è finita qui, perché siamo sempre in un livello personale e
già essere dei centauri significa avere un buon livello di integrazione. La saggezza orientale dice, invece,
che lo sviluppo della persona può andare oltre. Fino al livello del centauro siamo in quello che garantisce
il piano del lavoro della psicologia occidentale, quello che dovrebbe essere quasi automatico nello
sviluppo dell’individuo. Se le condizioni sociali, culturali e della famiglia funzionano bene l’individuo
dovrebbe arrivare ad essere centrato. E questo è ciò che - dice Wilber - si raggiunge con la maturità, entro
i 40 anni. Perché “centauro”? Centauro è una figura mitologica metà cavallo e metà uomo, quindi è una
personalità che integra la parte istintiva con la parte psichica. A questo punto arriva lo sviluppo
dell’individuo che, invece, non necessariamente è definito ontogeneticamente, non è scritto nel percorso
dello sviluppo psicofisico, perché in realtà anche la psiche è materia.
Nitamo Montecucco
Qui c’è un riferimento all’uomo n. 4 descritto da Gurdjieff (il n. 1 è quello fisico, il n. 2 emozionale e il n.
3 mentale, e tutti e tre possono essere patologici, normali o equilibrati).
Il n. 4 è quello che parte dal centauro, cioè dall’uomo equilibrato, attraverso un lavoro che Gurdjieff
chiama di scuola, perché individualmente è quasi impossibile avere questo equilibrio e anche perché
richiede un confronto con persone che stanno crescendo e non con persone ‘normali’ della propria
quotidianità. Le persone che stanno crescendo fanno da specchio su quello che lui chiama gli angoli acuti
della propria personalità e dei propri condizionamenti; si riesce così ad integrare queste prime tre parti e
ad entrare in una fase trans-personale.
Luisa Barbato
Fino a che siamo identificati in corpo, emozioni e mente, siamo sempre nella materia. Anche la mente è
materia, anche se materia più sofisticata, molto meno densa. Si è già detto che ogni livello evolutivo e
successivo trascende l’altro. Sono potenzialità perché la persona sviluppi i piani successivi, che non sono
più personali ma trans-personali (oltre la persona). Sono piani non materiali, di una densità sempre più
rarefatta. Wilber ha svolto uno studio sulle antiche tradizioni, cercando i pari livelli di sviluppo relativi
alla meditazione dalle culture buddista, Vedanta, confuciana (e così via) costruendo i relativi schemi. E
questa tendenza alla schematizzazione (caratteristica piuttosto naturale in un americano come lui) ha
portato a queste definizioni:
Livello SOTTILE
“
CAUSALE
“
SPIRITUALE, cioè quello dell’Anima (e l’anima è comunque duale)
“
NON DUALE, l’Assoluto in cui non esistono più distinzioni.
Nitamo Montecucco
L’Anima è il riflesso spirituale dell’individualità, l’Anima è il Sé. Io sono un’anima, il che vuol dire che
sono ancora un Io, comunque separato ancora dal resto, cioè mi identifico. Io come corpo sono più ampio
o sono più sottile, ma è comunque un’identità e quindi il Sé è ancora quello che viene chiamato l’Io
spirituale. Quando una persona fa un lavoro di VI^ - VII^ livello, entra in uno spazio definito ‘non duale’
(nirvanico, o del vuoto, o coscienza cosmica o piano Adi), sperimenta un’evanescenza della divisione io, te, noi, gli altri - ed entra in uno spazio di coscienza unitaria, di fusione. È la sensazione dell’energia
che sale, travalica i confini individuali, diventa ampia e trans-personale. Nella storia delle religioni e del
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misticismo, l’inizio dell’espansione della coscienza inizia al I^ livello. Coloro che hanno avuto questa
esperienza riportano, ad esempio, come la propria coscienza trasparente si sia allargata nello spazio (si
può chiamare satori o samadhi) e sia poi ritornata allo stato precedente. Detto in prima persona: “Ho
avuto questa grande esperienza, ho capito delle cose, però sono ancora io”.
Poi si può arrivare alla fase non duale, che è quella della meditazione dove non si torna (o meglio non si
tornerebbe) più indietro. Nelle meditazioni, ad un certo momento si entra nel samadhi senza il Sé: il corpo
si ferma, la mente si ferma, si resta in catatonia a volte per ore, e si ‘brucia’ il senso della separazione.
Le persone che hanno raggiunto questo spazio sono spesso degli illuminati che restano fissi e rimangono
nello spazio non duale.
Chi ha sperimentato l’anima, la luminosità, la presenza, l’intensità incredibile dell’anima e poi ritorna
nell’Io della mente… non può vivere bene nell’Io della mente. Cercherà di rientrare in contatto con
l’esperienza dell’anima. Quando l’anima si apre… in quel momento è come far parte di Dio e avere una
comprensione… poi si torna indietro e non si è capito nulla. Si sente che l’espansione arriva fino ad un
certo punto ma potrebbe arrivare molto più in là.
Io ho avuto un’espansione di V^ livello. Dopo c’è il VI^ livello (planetario) e il VII^ - raccontato nel
libro di Yogananda “L’autobiografia di uno Yogi”- che arriva a tutto il cosmo: lui è tutto il cosmo e il
cosmo è lui, la coscienza si è espansa. La gioia è tale che viene da ridere o da piangere dalla
commozione.
Luisa Barbato
A questo punto Wilber si è posto il problema degli strumenti, e per ciascun livello ha definito il tipo di
terapia più adatto, aggiungendo che quando si arriva sui piani trans-personali la metodologia del lavoro
cambia. Nello studio scientifico degli stadi di meditazione ha osservato che, ad esempio, tra una
meditazione buddhista o una vedanta ci sono livelli diversi, per cui la persona ha percezioni differenti, ma
la conclusione è uguale; arriva comunque allo stesso livello di coscienza, un livello non duale. E questo è,
secondo me, il senso delle parole del Dalai Lama quando dice che nella concezione evolutiva
dell’individuo, la psicologia occidentale ha avuto merito di avere chiarito tutte le tappe evolutive, le
strutturazioni della mente e dei livelli precedenti allo sviluppo trans-personale, di cui gli orientali non si
sono occupati.
Nitamo Montecucco
Pur avendo un grande rispetto per il pensiero di Wilber e per la sua visione psicologica, vorrei rimarcare
che - per quanto riguarda la Psicosomatica Olistica ed in particolare le attività degli psicoterapisti e dei
Counselor Olistici - è profondamente scorretto utilizzare una scala mista dove tre livelli su quattro sono
"patologici". È una visione a mio avviso che implica un approccio troppo giudicante: ‘se sei evoluto sei
sano, se sei normale o poco evoluto sei malato’. Sicuramente tutti noi abbiamo dentro dei livelli caotici
profondi, quello del sogno e del sonno senza sogni.
Chiamerei, invece il livello "nevrotico", un livello "duale". Posso avere un livello duale, ma la definizione
nevrotico ha un altro senso, perché la dualità è normale mentre il livello nevrotico o psicotico sono
sinonimo di patologia, e questo è profondamente lesivo per un reale rispetto della persona e della visione
dell'essere umano "normale".
Questo schema dal caotico al non duale è presente in tantissime tradizioni orientali. Il fatto è che in
Oriente nella strutturazione degli schemi non si trovavano tali e tante malattie psichiatriche, e quindi i
pochi psicotici e pochissimi nevrotici venivano considerati degli esempi fuori dalla norma, mentre tutti
abbiamo dentro non un livello psicotico, ma un livello caotico profondo, dove il caos è l’inconoscibile
caotico inconscio. Questi livelli sono abbastanza conosciuti dalle filosofie del Tantra, del Buddhismo, che
non conoscevano i metodi per curare uno psicotico come ha fatto l’Occidente.
Certo il Dalai Lama non si riferiva tanto alla cura delle malattie psicotiche gravi, anche perché gli
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psicotici in cura sono pochissimi.
Quindi la potenza delle tradizioni orientali era quella sul ramo evolutivo (considerando l’evoluzione dal
secondo livello in poi). Sono infinite scuole con infiniti sistemi diversi, alcuni che badano anche agli
aspetti meno violenti della malattia psichica. In Tibet si può vedere ancora oggi come vivono le famiglie:
c’è una dolcezza e un’armonia tra di loro che non permette la nascita di malattie psichiche; per questo non
lavoravano sulle malattie psichiche. Ci saranno anche tanti abusi piccoli e grandi, ma nel complesso c’è
una civiltà che ha alla base una tale armonia interna che non porta alla schizofrenia della mente.
Bisogna dire che il contributo di Wilber è stato enorme, nei termini di una traduzione trans-personale alla
psicologia, specialmente in un momento in cui - soprattutto negli Stati Uniti - c’era una nuova psicologia
che stava emergendo. Ha avuto il merito di mettere insieme due mondi.
Alla fine degli anni ’70 lavoravamo tra le psicoterapie e le meditazioni di tutte le scuole con la stessa
divisione, solo che ‘caotico’ era un termine usato nella psicologia di I^ livello, la psicologia dell’uomo
malato. La psicologia dell’uomo sano (quella umanistica), la psicologia di Buddha che poi diventerà la
trans-personale, sarà la psicologia di coloro che hanno in parte già trasceso attraverso la loro esperienza il
‘centauro’, l’uomo normale e che sentono e hanno la percezione intuitiva o diretta del risvegliato, dello
spirito interno e diventano così dei veri ricercatori. Lavoravamo già con quello schema ed eravamo un
piccolo gruppo, e quando conobbi l’approccio di Wilber ed i suoi libri ne fui molto contento.
Luisa Barbato
Vorrei sottolineare che si riesce a passare al livello successivo solamente quando si è integrato
completamente il livello precedente. Quindi uno sviluppo evolutivo armonico richiede l’integrazione a
tutti i livelli. Se si salta una fase (cosa che può accadere nella pratica) si arriva a degli scompensi e a
patologie. Wilber sostiene, ad esempio, che quando una persona non ha ben integrato la parte delle
energie istintive e delle emozioni e va direttamente su uno stato trans-personale, se queste esperienze non
hanno una base solida non vengono integrate, e quindi danno luogo a degli scompensi.
Nitamo Montecucco
Per integrare non s’intende prendere atto di quello stato e accettarlo per quello che è; questa è una
comprensione intellettuale. Integrare significa realmente elaborare psicosomaticamente una situazione,
riportarla realmente nella propria vita vissuta, ossia sciogliere quella situazione critica di blocco che può
essere diversa e su diversi livelli, sul corpo, sulle emozioni o sulla mente.
Ci sono molte scuole spirituali che non fanno nessun lavoro sul corpo e quindi si trovano ad avere
persone tutte di testa che parlano dei massimi sistemi, di energia altamente spirituale, come i teosofi
attuali. Sono a volte personaggi un po’ patetici, che raccontano mille cose sulla coscienza Adi o sul piano
non duale…ma hanno un corpo devastato, non hanno vitalità, hanno conflitti emozionali enormi, un
rapporto con i figli disastroso, una vita sessuale scadente. Allora ci si può chiedere: “Ma che cosa hanno
imparato?” Hanno aperto a volte intuitivamente i livelli alti ma devono ritornare nel corpo reale per
“integrare” e rifare il lavoro semplice. Come sostiene Wilber, un sistema più alto deve includere quello
basso, che fa da ‘motore’.
La seconda considerazione è proprio il processo visto nello schema precedente, quello della totalità.
L’esperienza spirituale è un’esperienza di totalità, di unità di tutto il sistema. Quindi se il sistema ha
dentro delle parti che non sono integrate, ha emozioni che non sono state sciolte e concezioni psichiche
rimosse, non si può arrivare alla totalità del sistema (che diventa carente), e non è un vero sistema
unitario. E quindi Ken Wilber giustamente riprende il discorso di Gurdjieff, di Osho, dei Sufi, che è un
lavoro di scuole, in cui si deve lavorare sul I^ livello fisico, sul II^ livello emozionale, sul livello della
coscienza mentale per integrarli tutti insieme ed avere così un processo evolutivo totale.
82
Luisa Barbato
Wilber afferma: ”Tutti questi livelli esistono sempre e contemporaneamente, ma sono livelli di sviluppo e
d’integrazione.” Alcune persone sono disastrate sui livelli emozionali e fisici ma hanno grandissime
aperture trans-personali. Insomma: c’è sempre uno scivolamento continuo di tutti noi su tutti i piani, e
questo non può apparire nello schema rigido visto in precedenza. Finché non si è arrivati al ‘centauro’
non si può arrivare alle altre dimensioni? Certamente non è così, perché in potenza ci sono tutte. Possono
essere – dice Wilber - anche a livelli di sviluppo molto diversi. Nella pratica: per chi vuole fare il
counselor olistico è molto importante avere in mente questo schema, perché quando si presenta una
persona con una tematica emozionale molto forte, si deve lavorare su quello stesso livello e non le si può
proporre un’apertura meditativa. Allo stesso modo: per una persona i cui problemi sono cognitivi - e
riguardano il funzionamento e la percezione delle cose - lavorare sulle emozioni può essere inadeguato.
Questo schema aiuta in qualche maniera a capire il punto in cui ci si trova con quella persona.
Nitamo Montecucco
In Occidente sappiamo che esiste realmente qualcosa di psicotico dentro di noi, qualche cosa di
borderline e sicuramente di nevrotico. Se partiamo dal ‘centauro’ - che è una persona normale - il lavoro
da fare è costantemente doppio, perché è in questo ambito che il counselor ha in particolare a che fare con
le persone, e non per il contatto con problematiche borderline o psicotiche (non è previsto). Parliamo
delle persone ‘normali’ che si trovano ad un certo livello tra le nevrosi e l’equilibrio. Una parte di lavoro
sarà in negativo e un’altra parte in positivo; si deve sviluppare necessariamente nelle due dimensioni, e
quanto più si riesce a capire quali sono i blocchi di una persona tanto più la si può aiutare a sciogliere
anche solo i blocchi fisici, a livello energetico, prendere coscienza un minimo delle emozioni, anche solo
comunicare per scioglierle: questo è il lavoro solo sul negativo. Contemporaneamente, ogni volta che c’è
lo scioglimento di un blocco - e quindi di un’emozione - l’energia bloccata a livello fisico si libera, e
viene reintrodotta nell’ambito della totalità come una delle energie fondamentali. Come dicevamo prima,
l’importanza del potenziale dell’ombra.
E quello è un pezzo in più dell’energia che mancava per procedere un poco nella consapevolezza. Quindi
il lavoro è su e giù, nell’ombra e nella luce. C’è un bellissimo racconto (“Le sette valli”) della tradizione
dei Sufi, in cui un uomo ‘normale’ sperimenta un primo picco di meditazione e gli dà un nome bellissimo
del tipo ‘la vetta dell’estasi’. Ma dopo la vetta c’è sempre una valle. Si sale una vetta più alta della prima,
fino ad arrivare a sette valli e sette vette: a ogni picco di altezza e di consapevolezza corrisponde una
discesa nella valle. Questo serve a riconoscere il proprio lato negativo. All’inizio, quando si fa un lavoro
individuale e si scende nell’inconscio, si scende per quella che è la propria coscienza. Poi si può aprire ed
espandere quella energia e si può entrare ancora di più nella coscienza negativa, in una valle più
profonda, e quindi di malessere. Magari un anno prima c’era la sensazione di star bene e di aver superato
il problema, mentre dopo un po’ di meditazione si sta peggio. Questo succede perché c’è più coscienza,
più consapevolezza, e la maggiore sensibilità permette di vedere gli abissi, i condizionamenti, le cose
dolorose ancora più intensamente. Può essere considerato un ‘regalo’, ed è parte del lavoro. E pian piano
le sette valli corrispondono alle sette vette, ma fino a quando non si arriva a un punto finale non c’è un
vero equilibrio, ma un continuo alto e basso di energia.
Luisa Barbato
Fino ad un certo punto della sua vita Wilber ha continuato a scrivere, ad andare a conferenze, a dibattere.
Poi si è fermato e si è allontanato, non condividendo il fatto che lo schema fosse troppo utilizzato; molti
erano diventati trans-personali, ma lavorando ciascuno a proprio modo e soprattutto in modo molto “new
age”. Ha deciso pertanto di non partecipare più ad alcun dibattito e a comunicare soltanto tramite i suoi
libri ed il suo sito internet. Infine si è ammalato, ed ha seguito intensamente per due anni la sua compagna
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malata di cancro sino alla morte di lei (ha scritto anche un libro “Grazia e grinta” in cui parla della storia
con sua moglie). Si chiese come mai non riusciva a riconoscersi in tutti coloro che si definivano transpersonali e si rifacevano proprio a lui. Si chiese quale era la concezione di Jung e quella della New Age,
elaborando ciò che lo differenziava da Jung (visto che molti lo definivano junghiano) e dalla New Age.
La nascita rappresenta un’incarnazione di un’anima e il bambino quando nasce ha tutta una serie di
poteri; è in uno stato molto vicino alla spiritualità. Quindi l’incarnazione è un ‘cadere’ nella materia, in
qualche maniera con una graduale perdita dei poteri, della conoscenza e anche delle connessioni
spirituali. Anche il bambino perde questa connessione ed è come se perdesse un Eden, qualcosa che gli
apparteneva, e c’è una forma di nostalgia per qualcosa che aveva ed ha perso. Questo è lo sviluppo fino
all’età matura, dopodiché c’è il recupero di questa dimensione fino ad arrivare alla morte (che dovrebbe
essere una morte piena di consapevolezza). C’è insomma un processo ciclico.
Wilber in realtà nega che questo sia il suo pensiero. Lui ha iniziato gli studi sul piacere, sulla madre e
tutta la psicologia infantile, arrivando ad affermare che il bambino non ha niente di spirituale. È
semplicemente istinto. Quindi non c’è un ritorno, ma c’è una progressione dello spirito che parte come
materia e istinto per passare poi alla parte razionale, alla parte cognitiva, e poi diventa spirito. Wilber
sostiene che le concezioni ‘new age’ fanno confusione tra il pre-personale (corpo/emozioni) e gli stati
spirituali. Pensa che gli stati pre-personali iniziali dello sviluppo dell’individuo (che possono avere punti
apparentemente in comune con il percorso spirituale, cioè una certa semplicità e immediatezza nel sentirsi
diverso) in qualche maniera vengono confusi. Dice che anche Jung era caduto in questa idea. Si è
ingenerata una confusione tra il livello pre-personale e il livello spirituale. Quindi ciò che molti
movimenti new age propugnano non è vera spiritualità ma un nostalgico livello pre-personale, che dal
punto di vista evolutivo e dello spirito è un ritornare indietro.
Nitamo Montecucco
Il bambino viene condizionato, e non ha la consapevolezza di questo: è un buddha, ma non lo sa. Quindi
ha la sensibilità che non è ancora consapevole. Poi, però, perde la spontaneità e la naturalezza dell’essere,
perché viene bloccato nelle funzioni fisiologiche, biologiche, emozionali e psichiche; queste devono
essere ripristinate per portare la persona allo stato di normalità, e se ciò viene fatto con consapevolezza
possono diventare degli strumenti di elevazione.
Il bambino è vicino a se stesso come lo è un animale. Dalle ricerche di un professore universitario
americano (Jan Stevenson) sui ricordi di reincarnazione, si rileva che i bambini fino all’età di quattro anni
hanno un elevatissimo ricordo di vite passate. Stevenson ha viaggiato in tutto il mondo raccogliendo una
casistica di un migliaio di casi. Un esempio: un bambino australiano raccontava di essere vissuto
nell’Inghilterra del 1700, ricordando il paese e la casa. I genitori hanno voluto verificare andando in
Inghilterra, e una volta arrivati nel posto indicato dal bambino, quest’ultimo ha raccontato particolari
molto precisi della casa, come il tipo di pavimento che aveva allora la stalla. I genitori hanno buttato per
aria la stalla, dove - dopo strati diversi di pavimento - hanno trovato il pavimento disegnato e descritto dal
bambino.
Mia figlia di quattro anni mi raccontava delle sue vite passate (come farebbe una vecchia donna che
racconta la sua vita) parlando dei suoi tre figli, della guerra. Poi quando aveva cinque anni le ho chiesto di
raccontare ancora quella storia… ma lei non la ricordava più. Non l’aveva più nella memoria, era come se
si fosse staccata da una matrice. Quindi c’è non solo una corporeità.
Un altro esempio raccontato da Jan Stevenson riguarda un bambino dello Sri Lanka, di famiglia induista.
Insisteva a dire che era stato un prete buddhista, e si ricordava del fatto che girava con una macchina
rossa. Dopo alcune ricerche si scoprì che era realmente esistito un grande monaco buddhista, un grande
oratore, a cui un americano buddhista aveva lasciato una grande macchina decapottabile rossa con cui
andava in giro a fare conferenze. Aveva anche uno dei primi giradischi con i dischi in vinile che c’erano
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ancora sull’isola. Inoltre quando gli fecero vedere la foto con tutti i monaci di vent’anni prima, lui vi si
riconobbe. Questo ricordo rimase fino ai 4-5 anni.
Luisa Barbato
Wilber ammonisce - nella sua concezione molto evolutiva - a non confondere il piano spirituale con il
piano pre-personale (il ritorno nostalgico al piano pre-personale è ciò che molti movimenti new-age
propongono). E tra l’altro che cosa comporta questa idea evolutiva da un punto di vista non solo
individuale ma globale del pianeta? Wilber dice - mutuando il pensiero di Aurobindo - che la coscienza
si incarna a livello collettivo e passa per l’ombra, per la materia (e questo è un passaggio obbligato). Ciò
che è vero per il singolo è vero per il collettivo, in qualche maniera questo è anche il processo della
coscienza collettiva: la coscienza si incarna, passa per l'esperienza fisica, reale, materiale e poi verso il
processo evolutivo. Questo comporta una grande differenza tra Wilber e la new age (e una certa
spiritualità junghiana tradizionale): lui trova che il ‘900 con la sua cultura, la sua violenza, con tutto il
disordine e il caos che comporta è molto più spirituale di quel che erano le epoche precedenti. È come se
fossimo passati da epoche pre-personali - quindi più semplici, più immediate - ad epoche di maggiore
incarnazione e consapevolezza, e siccome stiamo scendendo molto nell’ombra e l’incarnazione sta
andando molto nel profondo… questo è il segnale che l’evoluzione andrà verso l’alto.
È dunque in contrasto con i movimenti new-age, quando sostiene che - con questa spiritualità - non
bisogna ritornare alle civiltà precedenti più semplici. E si chiede: “Perché sono saltati i sistemi religiosi,
perché sono saltati i sistemi locali, perché questo mondo va verso questa globalizzazione che macina
tutto, frantuma tutto e non ricrea su livelli più elevati?” Rispetto alle cose del passato possiamo certo
avere delle nostalgie, perché c’era una cultura locale che conteneva le persone, e anche una spiritualità
locale… però non è più il momento per queste cose.
In altre parole secondo Wilber questo momento di brutture è molto più spirituale di quanto lo erano le
epoche precedenti, e sostiene che Assagioli è stato un precursore della trans-personale, perché aveva
capito proprio questo. Anche Assagioli ha questa concezione evolutiva che lo differenzia dalle concezioni
tradizionali, cioè una concezione sull’incarnazione della coscienza e sulla maggiore spiritualità della
nostra epoca rispetto alle precedenti, malgrado l’apparenza dica il contrario. Il disordine attuale è il segno
dello spirito che sta lavorando nella materia (un concetto che prende come riferimento da Aurobindo
Nitamo Montecucco
Le componenti new-age degli ultimi 30 anni si possono considerare utilissime, perché comunque ispirano
molte persone a intraprendere un cammino interiore, ma vissute ad un certo livello sono assolutamente
false e pericolose perché sono delle assurde illusioni: ci sono tanti falsi maestri dell’ultima ora che si
spacciano come illuminati, le canalizzazioni da ‘altre dimensioni’ che raccontano banalità, il concetto che
la via spirituale è una via di rose e fiori. Non c’è il concetto di realtà, di responsabilità reale della vita, c’è
quasi un concetto di fuga dalla vita per cui bisogna elevarsi, non c’è il lavoro pesante dell’ombra. Su
questo sono assolutamente certo: la via interiore è una via intensa e pesante che a volte porta anche a
confrontarsi con questa parte caotica. In alcuni casi - se ci sono stati dei traumi pesanti - può diventare
chiaramente psicotica. Ho visto tante persone normali entrare in profondità a livello prenatale o natale per
poi vivere in uno stato psicotico anche per una giornata (ed è capitato anche a me). È un lavoro pesante e
difficile. Anzi, senza voler fare l’elogio del negativo – non si deve necessariamente soffrire per stare
meglio – le persone che hanno vissuto questo negativo possono utilizzarlo per fare dei notevoli passi
avanti. Tra i miei amici, coloro che hanno acquisito livelli di consapevolezza elevati sono quelli che
hanno avuto le peggiori situazioni di vita familiari e sono riusciti ad uscirne.
Alcune scuole spirituali di psicologia raccontano come le anime elevate a volte scelgano incarnazioni
difficili, dato che comunque quando si incarnano passano il processo di dimenticanza. Vale a dire che
una volta che sono incarnati tanto vale giocare pesante, perché se la partita prevede che la madre e il
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padre ti vogliono bene e la famiglia è tranquilla… tu diventi un bravo bambino. Se, invece, hai una
situazione di ampio conflitto, ma hai un’anima di cui ti fidi, hai la tua forza, riesci ad un certo momento a
trovare la via d’uscita. Questo significa – se sei un bodhisattva, o più semplicemente un’anima che lavora
nel sociale - aver trovato lo stesso tipo di meccanismo con cui aiutare un sacco di persone che poi
troveranno la propria strada.
Biografia (Giuseppe Pagliaro)
Ken Wilber è nato nel 1949 ad Oklahoma City. Ha completato i suoi studi scolastici a Lincoln,
(Nebraska), e iniziato gli studi in Medicina alla Duke University. Durante il primo anno perse ogni
interesse nel perseguire una carriera nelle scienze, e iniziò a leggere di psicologia e filosofia, sia Orientale
che Occidentale. Ritornò in Nebraska per studiare Chimica. Conseguita la specializzazione in biochimica
lasciò il mondo accademico per dedicarsi interamente allo studio e alla scrittura. Con 20 libri sulla
spiritualità e la scienza - tradotti in 25 lingue - Wilber è oggi il più tradotto autore accademico degli Stati
Uniti. È visto come il più importante esponente della psicologia trans-personale (che emerse negli anni
‘60 dalla psicologia umanistica), che ha per argomento il sé e la spiritualità, e da cui Wilber si è evoluto
verso la Visione Integrale. A causa della natura fondamentale e pionieristica delle sue concezioni, Wilber
è stato chiamato ‘L’Einstein della coscienza’. Per oltre quindici anni ha studiato e si è dedicato allo Zen
buddhista. La psicologia trans-personale aveva avuto in Abraham Maslow il suo iniziatore negli anni
sessanta, e in Roberto Assagioli il suo primo codificatore, ma in Wilber trova il contributo più vasto e
importante, che lo porterà alla Visione Integrale.
Testi consigliati:
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Spectrum of Consciousness (1977)
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Sex, Ecology, Spirituality (1995-2000)
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The Atman Project (1980) A Brief History of Everything (1996)
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Up from Eden (1981) The Eye of Spirit (1997)
·
The Holographic Paradigm (1982)
.
Marriage of Sense and Soul (1997)
·
A Sociable God (1982) One Taste (1999)
·
Integral Psychology (2000)
·
Quantum Questions (1984) A Theory of Everything (2000)
·
Spiritual Choices (1986)
·
Transformations of Consciousness (1987)
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L'INTENSIVO DI ILLUMINAZIONE DI CHARLES BERNER
Giuseppe Pagliaro
Charles Berner nasce nel 1929 a Los Angeles, California.
Cresciuto con una formazione scientifica, dopo una educazione formale in Fisica, lavorò per un breve
periodo come ricercatore tecnico per il governo degli U.S.A.
Nel 1950 cominciò una intensa indagine sulle vite passate e sulle esperienze di morte e di "dopo-morte".
Ebbe la sua prima esperienza di Illuminazione prima di avere vent'anni e da allora studiò e sperimentò
centinaia di tecniche volte allo sviluppo della consapevolezza ed alla crescita personale.
Charles Berner attuò una sintesi tra la filosofia e la letteratura dell'oriente e dell'occidente studiando
comunicazione, nutrizione, anatomia, sogni e dinamiche mentali di entrambe le culture.
Nel 1964 fondò l'Istitut of Ability, basandolo sulla trasmissione delle tecniche e dei principi che
favoriscono le relazioni spirituali tra individui. Grazie a questo istituto potè sperimentare le sue pratiche
su centinaia di persone, sia all'interno di una struttura di gruppo che all'interno di una struttura "one to
one" (diadica). Oltre che sviluppare ed insegnare tecniche per la pulizia della mente, per il rilascio
emozionale di traumi e per il miglioramento delle capacità relazionali, Charles Berner sviluppo
interessanti ed originali lavori nel campo della Teologia, della Metafisica e dell' Esistenzialismo.
Nel 1968, durante un ritiro spirituale su una montegna di Santa Cruz, ebbe l'intuizione sull'essenza
dell'Intensivo di Illuminazione e da allora iniziò a svilupparne la struttura formale fino a quando, cinque
anni dopo (1973), fondò la Dyad School of Enlightment che sarà il centro ufficiale di formazione per
conduttori di Intesivi di Illuminazione.
Nel 1973, mentre viaggiava in India, Charles incontrò il suo Guru, Swami Kripalvananda, che lo iniziò
allo Yoga Naturale e gli diede il nome sanscrito Yogeshwar Muni. In seguito a questa esperienza fondò il
Santana Dharma Foundation per importare in occidente i principi della "Eterna via della Verità". Dal
1977 si è ritirato dal lavoro sull'Intensivo di Illuminazione per praticare ed insegnare il Santana Darma e
la religione dello Yoga. Il 24 giugno 2007 Yogeshwar Muni ha lasciato il suo corpo fisico. Le ceneri ora
si trovano in un semplice reliquiario, come da suo desiderio, a Merimbula, in Australia, dove ormai
viveva da molti anni, perché possano essere di ispirazione a tutti i praticanti dello yoga.
Testi consigliati
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Handling Suppressive Patterns in Relating
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Communication Mastery
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Natural Meditation
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A guide trougth the after death experience
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How to rice and have a children
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LA PSICOLOGIA NON DUALE
Marifa De Benedetti
Volevo fare una specie di meditazione ad occhi chiusi semplicemente per richiamare lo stato di presenza,
dato che parlerò essenzialmente dello stato di presenza nel lavoro di counseling: quello che riguarda la
cosiddetta saggezza non duale.
Provate a sentire come vi sentite adesso, com’è in questo momento il vostro stato di qualità, il vostro stato
di presenza, il vostro esserci, e poi immaginatevi 5 anni fa. Non c’è bisogno che troviate dei fatti
specifici, ma cercate di percepire in questo momento com’era allora il vostro stato di presenza, il vostro
esserci. E poi, andate ancora indietro nel tempo fino a più o meno 20 anni. Non c’è bisogno di nuovo di
avere ricordi precisi, ma centratevi a sentire, percepire com’era, com’è, il vostro stato di presenza. E
anche se c’è uno stato di cambiamento nel vostro stato di presenza. E poi, ancora andate indietro fino
all’adolescenza fino ai 13, 14 anni: com’era e com’è lo stato di presenza, il vostro esserci. E ancora,
tornate indietro nel tempo fino ai 6 anni e di nuovo cercate di percepire com’era lo stato di presenza,
come vi percepivate. E ancora indietro, fino ai primi mesi di vita, quando avevate gli occhi aperti al
mondo, com’era lo stato di presenza, allora, e se c’è differenza con lo stato di presenza, adesso. E poi,
fate uno sforzo maggiore, non seguite la logica ma affidatevi a come viene, cercate d’immaginare come
era lo stato di presenza quando lo spermatozoo s’inserì nell’ovaio e, immaginatelo come un punto
adimensionale che nello stesso tempo è posizionato nel centro del cuore. Entrate in questo punto senza
dimensioni ed uscite dall’altra parte espandendovi all’intero universo, cercando di percepire com’è lo
stato di presenza oscillando da questo punto -adimensionale nel centro del cuore- all’intero universo.
Espandendovi all’intero universo, vedete se percepite i confini, andando ai confini dell’universo lo stato
di presenza si arresta lì e include anche questi confini. E adesso… come lo sentite lo stato di presenza: è
diverso, espanso in tutto l’universo, in questo punto dimensionale che crea tutto l’universo.
Pian piano aprite gli occhi. Cercate di mantenere questo stato di presenza, è la stessa presenza per ognuno
di voi. Questo stato di presenza, che è anche lo stato dell’essere, è uno stato di non separazione, che non
ha confini, che non ha limiti. Questo stato si può utilizzare per eliminare la sofferenza. Esiste un gruppo
di terapisti non duali o saggi non duali che usano anche degli strumenti terapeutici per arrivare allo stato
di presenza in comunione con il cliente, per cui terapeuta e cliente non sono più divisi ma sono nello
stesso stato di coscienza, in cui si può affrontare in modo diverso dal solito e molto più efficace e
risolutivo il problema della sofferenza.
Da cosa è causata la sofferenza?
•
dalla perdita del contatto con la propria natura, con la parte vera di sé.
•
dal fatto che ci si considera un individuo separato dal resto del mondo, separato dal resto degli
individui. E in quanto ci si considera un individuo separato si creano dei confini, delle barriere, delle
difese dalla realtà che è parte di quello che siamo come natura essenziale. Questo di nuovo crea
sofferenza: l’essere separato ci impedisce di unirci, di scoprire, di sentire quello che siamo sin dalla
nascita: presenza. La presenza non ha confini. Se l’avete percepita durante una meditazione, vi potete
espandere nell’universo, ma siete ancora presenza. Certo, una presenza focalizzata in un corpo fisico, ma
in realtà non ci sono confini. Ci sono solo delle localizzazioni di un certo tipo di percezione all’interno di
una cosa che non ha assolutamente confini. Per difendere questi confini, questo senso di separazione,
questo senso di identità che si assume nella relazione con il padre e la madre, o in relazione con il mondo
e così via, si acquista una personalità che non accetta la realtà così com’è. Voi potete immaginare
qualunque cosa, anche piccolissima che voi non accettiate così com’è, non vi va bene, non volete che sia
in un certo modo, vi contraete, soffrite.
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Quindi c’è la possibilità di eliminare la sofferenza, non importa quali siano le cause (traumi infantili, il
rapporto con la madre non riuscito, karma difficile). Il punto è di accettare la realtà così com’è. Ma come
si fa ad accettare la realtà così com’è? Come si fa a vederla? Nel momento in cui si entra in uno stato di
presenza - se si riesce a mantenere il contatto con il proprio essere - la presenza non rifiuta, la presenza
accetta quello che è così com’è. E se c’è un problema, quando si è in uno stato di presenza, il problema
non arreca disturbo. Questo non vuol dire che è già risolto, ma la soluzione al problema può
tranquillamente col tempo far saltar fuori uno stato di presenza, invece di usare la mente per cercare di
uscire da una situazione in cui si è. Con la presenza, invece, si è al di fuori da questa situazione, la
include, è molto più vasta, perché ha molti più strumenti per risolverla: il problema diventa molto più
piccolo, molto meno persecutivo, molto meno ossessivo. Si è più rilassati e ci sono più possibilità di
poterlo risolvere. Certo, non è facile arrivare a un senso di presenza sufficientemente stabile per far tutto
questo tipo di lavoro. Quando si lavora con persone che presentano blocchi emozionali, fisici o altro, si
possono usare altri strumenti terapeutici per sbloccare la persona in modo che si rilassi, si espanda e possa
entrare in uno stato di presenza. Se la persona non ha conosciuto, assaggiato lo stato di presenza (a parte
il fatto che lo conosce proprio perché fa parte della sua vera natura), l’operatore può comunicarlo per
empatia al cliente, e perché questo avvenga lo deve conoscere, deve averlo, essere stabilito in questo stato
di presenza. È la terapia più avanzata che si possa fare usando tutti gli strumenti terapeutici che
l’operatore ha a disposizione nella sua cultura, nella sua esperienza personale. Per risolvere
completamente il problema della sofferenza non si può fare altro che usare la propria vera natura, il
proprio stato di presenza, il proprio essere. L’incarnazione di per sé è uno stato di sofferenza, perché la
vera natura (idea non da tutti accettata, ma è una possibilità) si chiama “the core wound”, la ferita
centrale, originaria; incarnandosi si passa da uno spazio infinito, senza limiti e senza confini, in uno
spazio limitato. Si può, però, con la consapevolezza, capire e accettare di essere infinito e senza limiti e di
vivere, almeno parzialmente, in uno spazio limitato. Quando si parla di un certo tipo di verità non è
possibile parlarne in un modo lineare. Un certo tipo di verità è descrivibile solo usando spesso gli opposti
contemporaneamente validi e non più in opposizione, ma in coesistenza. Troppo difficile? Allora
proviamo in questo modo: provate a mettervi in uno stato di attesa senza attesa o di ascolto senza
ascoltare. Ascoltate senza ascoltare. Non è possibile mentalmente, dovete andare in uno stato di silenzio.
Questa è la parte della terapia non duale. Essenzialmente, la cosiddetta psicoterapia e saggezza non duale
è un modo di operare che si sta manifestando sempre più nel campo della psicoterapia. Operatori che
hanno fatto molto lavoro con dei maestri o meditazioni per anni e hanno aggiunto una certa percezione
dello stato di presenza, dello stato di non separazione, riescono a fare questo tipo di lavoro con il cliente
ottenendo dei risultati non avuti con le normali psicoterapie.
Per quanto riguarda l’indirizzo tecnico, accenno solo ad alcune piccole cose. La cosa più semplice è
guardarsi negli occhi, che può essere molto intenso o molto soft. Questo può aiutare ad arrivare a una
comunione e uno stato di presenza. Il respiro può essere energetico o rilassato. La percezione del corpo e
del corpo energetico può innestare uno stato di presenza, ma se il terapeuta è già focalizzato sul proprio
stato di presenza può aiutare il cliente ad entrare in uno stato di presenza.
È da ricordare l’esperienza di un illuminato inglese, Douglas Harwey (de “La via senza testa”). Si è
illuminato durante un viaggio in India, sull’Himalaya, dove si era illuminato il Buddha. Ha scoperto
improvvisamente di non avere una testa. Noi siamo condizionati sin da bambini ad avere una testa.
Usate una percezione priva di memorie di quello che avete imparato nel passato e usate il dito per
indicare quello che vedete. Cosa vedete? La gamba, la testa. Così percepite lo spazio e dentro questo
spazio c’è il punto zero che non potete vedere. Avete la concezione che le cose che vedete sono fuori di
voi, invece sono dal vostro corpo, ma non fuori di voi. Dentro questo spazio c’è tutto, quello che vedete e
quello che non vedete, c’è la vostra coscienza, la presenza. Questo semplice esercizio può essere usato
per aiutare la persona a percepire in modo diverso se stesso, aiuta a trovare il senso di presenza e spazio.
È la percezione fatta dal di dentro, dalla distanza zero. Al centro c’è il vuoto che è totalmente cosciente.
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LA PSICOLOGIA SUFI DI A.H. ALMAAS
Molto interessante è il lavoro del maestro sufi Almaas. A.H Almaas è un maestro dell’Arabia Saudita, che
ha vissuto per tanti anni negli Stati Uniti. Ha pubblicato molti libri, tra cui: “Essenza”, “Il cuore del
diamante”, “L’elisir dell’illuminazione”. Almaas chiama la ‘natura vera’ la presenza, natura essenziale o
essenza. Studiando la psicologia delle relazioni oggettuali e il come si crea il senso del Sé, si scopre che
nei primi anni di vita si crea nel rapporto oggettuale tra il bambino e la madre soprattutto, il rapporto del
soggetto con l’oggetto, il rapporto del bambino e un oggetto esterno, il bambino e il padre. La relazione
oggettuale passa attraverso diverse fasi: autismo infantile, simbiosi, processo di separazione (quando è in
grado di muoversi verso il primo anno) che si completa verso il terzo anno di vita. Queste relazioni
oggettuali tra il bambino e la madre sono percezioni di sé: cinestesiche, corporee, sensazioni varie, e un
affetto, un’emozione, un colore affettivo che veda le due immagini del Sé. Queste poi si combinano,
oggetto ed emozione, fin quando non si arriva ad un struttura più complessa che diventa l’immagine di sé
e poi da lì si arriva a strutture ancora più complesse che formeranno l’Io, l’Es e il Super Ego.
Almaas ha studiato i primi tre anni di vita di un individuo, teorizzando, con il sostegno di dati
sperimentali, che il bambino nasce con una natura essenziale incontaminata che ha un certo tipo di
potenziale da dove fluiscono diverse qualità che possono essere: volontà, presenza, contatto, valore.
Qualità essenziali che non sono concettuali, sono pre-concettuali, cioè uno sa e si sente valore,
semplicemente il suo potenziale è essere valore, è suo potenziale avere la qualità della forza. Poi questo
potenziale si può usare per fare delle cose in un certo modo.
Ha scoperto il modo in cui si sviluppa il bambino anche con le frustrazioni dell’ambiente e la necessità di
adattarsi ad esso. Nasciamo con la necessità di essere riconosciuti e di essere amati. Se non veniamo
amati in modo opportuno, arriviamo a dei compromessi. Quasi sempre dobbiamo reprimere certe
manifestazioni della vera natura. Reprimiamo una, due tre volte finchè questa natura essenziale va
nell’inconscio e viene distrutta, o meglio, viene velata dalle strutture difensive che si formano. Le
strutture difensive sono strutture concettuali, mentali. La natura essenziale non è mentale.
Almaas ha scoperto:
1) che l’essenza nei primi tre anni di vita viene quasi completamente mascherata
2) che certe qualità vengono mascherate prima e altre dopo. Comunque nei primi tre anni il bambino
perde quasi completamente il contatto con la propria natura essenziale.
Le difese che vengono costruite talvolta sono simili a quelle essenziali, ma non sono essenziali.
Quando si va a lavorare psicanaliticamente sulle difese che costituiscono la struttura dell’Ego, si
smantellano le difese e si crea una lacuna, un vuoto. Da questo vuoto, se il terapista ha spiegato che tipo
di lavoro si sta facendo, la natura essenziale - che è stata velata dalle difese - può riaffiorare. L’individuo
riacquista così pienezza e totalità in modo non concettuale, ma in modo vero, che è molto più vero di
qualunque forma-pensiero di origine concettuale. Questo è un processo di guarigione che diventa una
guarigione totale. Nel lavoro di Almaas le tecniche sono lunghe quanto le tecniche psicanalitiche o quelle
bioenergetiche che durano 3, 4, 5 anni. Non è un lavoro veloce.
Nitamo Montecucco
Un lavoro di Almaas è sulle “Latifa”, le energie essenziali connesse con i colori, le emozioni e gli stati
d’animo. I mistici sufi sono riusciti ad entrare nei colori energetici dell’essere umano, nei chakra e nelle
energie. Ogni centro o energia ha un colore, talvolta è tenue, a volte forte, a volte a tinte pastello o a tinte
intense. Hanno definito il bianco del vuoto, il bianco della luce, il bianco freddo, il bianco opaco, e così
per il colore rosso. Ci sono infinite gradazioni per entrare nelle emozioni del rosso o del bianco. È
esattamente quando vediamo un giglio bianco e ne siamo rapiti, perché ci risuona con il bianco di quella
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qualità dell’essenza dell’anima. Ci sono molte variazioni di rosso: rosso sangue, il rosso che chiamano
‘colore rosso granata del melograno’ che è la passione spirituale più calda, i rossi pallidi, le tinte stinte
che corrispondono a stati di sessualità cadente, di emotività vuota, di finta energia. Ogni gruppo, della
durata di alcuni giorni, si tinge di un colore. Si percorrono tutti i colori dell’anima, e, passando attraverso
i colori e le varie personalità dell’eneagramma, si sviluppa il lavoro che riconduce all’essenza, all’anima.
Kapil Pileri
Questo lavoro si basa sui LATIFA, che sono le qualità essenziali, rappresentati da cinque colori principali
bianco, nero, rosso, giallo, verde, e su una parte finale che si chiama la guida interiore. È un lavoro che
arriva dalla tradizione sufi, ma si ritrovano molte similitudini anche nel lavoro di Gurdjieff.
Si basa su quattro pilastri.
Il primo è l’Eneagramma, il riconoscimento della nostra struttura della personalità. In questo tipo di
lavoro si usa la struttura della personalità per riconnetterci all’essenza, quindi c’è una totale accettazione e
riconoscimento di come questa struttura della personalità si è formata, come sistema di difesa per la
sopravvivenza. Le nostre esperienze da bambini vanno a formare questa struttura. In realtà noi siamo tutte
le strutture della personalità, ma una in particolare è un po’ come la nostra colonna vertebrale. I nove
enneatipi si dividono in tre parti, tre numeri sono legati al centro istintivo, tre al centro del cuore, tre al
centro mentale.
Un altro pilastro alla base di questo lavoro è il Giudice Interiore e tutto il lavoro di reazione,
accettazione-non accettazione che ci provoca questo giudice, identificazione col bambino compresa. Non
si lavora con il contenuto del giudizio, ma si lavora con la modalità che usa il giudice, che può essere
aggressiva o manipolativa. E la tendenza è di creare delle vere e proprie separazioni da quelle che sono le
nostre energie essenziali.
Un’altra tecnica è la Teoria dei buchi (esposta nel libro “Il cuore del diamante”), un lavoro molto
particolare, bello e intenso, che richiede un tempo di alcuni anni. Tra le strutture della personalità,
l’attacco del giudice, e il momento in cui portiamo queste energie all’interno, andiamo a toccare cose
particolari di noi che sono dei veri e propri buchi energetici. Tali buchi a volte sono abbastanza coperti, e
nella parte interna del buco, che ci riporta alla nostra essenza, generalmente troviamo tutto il lavoro
emozionale. Quindi per riconnetterci alle nostre qualità essenziali dobbiamo riattraversare tutte le
identificazioni, memorie, condizionamenti, esperienze generalmente, ma non necessariamente, non
piacevoli.
Il quarto strumento che si utilizza, e che per la mia esperienza è molto interessante per questo tipo di
lavoro, è quella che viene definita Praticare Presenza, ancora molto legata alla colonna vertebrale e al
plesso solare. Questo tipo di indagine è chiamato Inquiry (non ha una vera traduzione in italiano), vale a
dire inchiesta, indagine, un po’ come tante cose messe assieme, dove si lavora con la parte della memoria,
quindi col ricordo. Andiamo ad esplorare fisicamente nel corpo nel momento presente, nel qui e ora,
aprendo grandissimi spazi, abbastanza comodi dove ci possiamo permettere di avvicinarci ai buchi,
vederli, prenderci contatto, disidentificarci da quella che è la struttura della personalità. E ancora lì è un
movimento molto semplice, perché con la struttura della personalità l’energia va fuori, si gira, e la
riportiamo dentro e ci permette soprattutto di fare un lavoro sul giudice interiore, il gradino più duro per
tutti, per andare poi ancora più in profondità a riscoprire quella che è la nostra vera natura. In questo
senso trovo Latifa un lavoro splendido.
Kapil Pileri
Giudice Interiore
È quello che cerca sempre di mantenere lo status quo delle situazioni, che non ci permette di andare
semplicemente in quello che è lo sconosciuto, che non ci permette di stare continuamente presenti in ogni
momento. A volte è proprio una voce che dice: «Ah non sei in grado» oppure «Sei senza cuore». A volte
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è molto sottile, a volte è una precisa sensazione nel corpo di non riuscire a sentirsi dal diaframma in giù.
Il giudice interiore si forma intorno ai primi sei-otto anni di vita, principalmente con i nostri genitori. È la
nostra modalità di adattarci a loro, è la nostra maniera di castrarci, principalmente per avere quello che ci
serve - mangiare, dormire, amore -. Io vi trovo un grande legame (a parte che questo lavoro riprende il
lavoro di Freud) con Reich. Il concetto di carico e scarico. Praticamente quello che succede nei primi anni
di vita è che il nostro sistema generalmente carica o non scarica. La maggior parte di noi ha un eccesso di
carico. E questa energia viene trattenuta nel sistema nervoso, principalmente quello centrale, e poi nel
sistema simpatico e parasimpatico. Se immaginiamo di essere una grande cellula, un’unica piuttosto che
milioni di cellule, l’equilibrio o il benessere dovrebbe essere tanta espansione e tanta contrazione. Se non
si può esprimere l’espansione c’è un irrigidimento della membrana della cellula, che viene trattenuta nel
sistema nervoso. Queste tensioni diventano i blocchi psicosomatici. Rispetto al lavoro del giudice
interiore, spesso non sentiamo la voce ma sentiamo un effetto fisico, vero e proprio, quando siamo sotto il
suo attacco. Il primo passo è di smettere di dare la colpa agli altri e di prenderci la responsabilità “Cos’è
che mi sta succedendo veramente in questo momento”. E sentirsi rientrare ancora in contatto col corpo.
Quando il giudice attacca c’è sempre una parte del corpo specifica che subisce l’attacco Ci sono segnali
ben precisi, come la rigidità della nuca, il non sentirsi dal diaframma in giù (cosa abbastanza comune).
Questi segni specifici indicano che dentro di noi c’è un attacco deciso del giudice interiore. A volte si
sente la voce, diventandone consapevoli. Il giudice usa ovviamente le stesse parole che usavano i nostri
genitori. La stessa voce.
Nel Dialogo delle voci, il giudice interiore è sempre il più forte tra tutti quelli che hanno fatto parte della
famiglia, quello che da bambino ha imposto le regole della vita.
E si può riconoscere proprio di chi è la voce, papà o mamma. Se siamo in contatto profondo col corpo e
se sentiamo in quel momento, ad esempio, la mamma che ci dice “Sei senza cuore”, ci sentiamo come un
bimbo. Si entra in quello spazio e ci comportiamo esattamente come un bambino che ha davanti mamma
che gli dice che è senza cuore.
È un lavoro molto intenso, perché ci riporta in spazi di una delicatezza incredibile. In quel momento
stiamo facendo di tutto per avere l’amore della mamma, la percezione fisica è di castrazione. Oppure non
sentiamo lo spazio del cuore. Chiunque abbiamo davanti, la vediamo come se fossimo un bimbo, non
vogliamo l’incontro con la persona che realmente è davanti, ma con nostra madre.
Si lavora principalmente con la consapevolezza e con questo tipo di autoindagine che si definisce inquiry,
e poi in maniera più precisa si va a lavorare con due tipi di energie essenziali: quella del bianco che è la
qualità della presenza “se mi sento nel corpo in questo momento posso riconoscere esattamente quella
memoria molto precisa e non mi faccio attaccare dal giudice”, e quella del rosso – con cui si lavora
inizialmente – dove si lavora con l’aggressività. Non si lavora mai sul contenuto del giudizio, ma sulla
modalità che utilizza il giudice per attaccare, che può essere aggressiva o manipolativa. Il giudice taglia il
corpo, porta fuori, non vuole che si cambi nulla di se stessi. Quindi si va a ricontattare quella energia che
ci è stata tagliata da piccoli, che principalmente è quella dell’aggressività. Per difenderci dal giudice
dobbiamo ricontattare quell’energia e fermarlo. A volte c’è la sensazione fisica di fare a pugni con
qualcuno, molto forte e intensa. L’energia dell’aggressività è principalmente legata all’energia sessuale,
quindi si tratta di rimettere in movimento all’interno del corpo un’energia che ci siamo completamente
dimenticati di avere ma non abbiamo mai perso. Secondo me non è un lavoro psicologico, ma energetico.
Molti lo prendono come un lavoro psicologico, ma per la mia esperienza, non ho notato grossi
cambiamenti a livello psicologico sulle persone. Mentre quando il lavoro è energetico e di presenza, il
semplice ricontattare quello che veramente siamo, fa una grande differenza. Se il giudice blocca significa
che è già molto sviluppato. Si vive l’esperienza dei genitori così come li abbiamo interiorizzati. Non li
vediamo proprio, non possiamo amarli semplicemente, perché si continua a vedere quella idea che ci si è
fatti di loro. Il giudice rappresenta una modalità che conosciamo benissimo, una modalità storica. E ci
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identifichiamo con il bambino/a, torniamo in uno spazio infantile dove subiamo il giudizio. Al di là di ciò
che dice il giudice interiore, la modalità del suo lavoro ha la finalità di massacrare. Una volta che siamo
riusciti a staccarci da questo, nel momento che riusciamo a vedere come i nostri genitori sono realmente,
esseri umani, quando il giudice interiore dice «Stai sbagliando» e può essere vero, da ‘giudice’ diventa
‘guida interiore’. Noi siamo esattamente nostra madre e nostro padre. Il giudice è una parte di noi, nel
senso che è una strategia. Se siamo in una condizione di pace dove accogliamo tutto, abbracciamo tutto,
anche il giudice. Ma prima di arrivare a ciò se non ci difendiami, ci massacra. Il lavoro sul giudice
interiore dura anni, perché lui diventerà sempre più sottile. Non basta riconoscere il giudice, si deve
rigirargli l’energia. Quello che serve per andare oltre è sì ricontattare l’aggressività e le altre energie, ma è
anche un praticare presenza che porta sempre più in contatto con l’amore per se stessi.
I Latifa
È un lavoro tradizionale dei Sufi. Ognuno dei 5 colori principali: bianco, rosso, nero, giallo, verde (che
oltretutto hanno una corrispondenza con il lavoro dei 5 chakra tibetani) corrisponde ad una qualità
essenziale. Il bianco è la presenza; il rosso è il coraggio, la forza, la passione; il nero è la pace (bianco e
nero sono molto legati alla tradizione zen); il giallo corrisponde alla gioia ed è legato al cuore; il verde
corrisponde alla compassione. Nel Sufismo è molto sviluppata la qualità del rosso, legato allo spazio del
cuore, alla mamma, la devozione, ricevere la grazia e riversarla.
Latifa è un lavoro dove la tradizione dei sufi viene trasmessa al limite tra la modernissima psicologia e la
meditazione. Parliamo di psicologia transpersonale e tecniche tradizionali dei sufi. Vengono date tutte le
corrispondenze fisiche perché ogni colore ha una corrispondenza fisica specifica e principalmente
corrisponde a come somatizziamo nella prima fase della nostra vita, le energie trasmesse dai nostri
genitori. Con l’andare del tempo questi condizionamenti si radicano nel corpo, condizionano il
movimento, l’espressione, la modalità che abbiamo di nutrirci, di relazionarci con gli altri. A mio parere,
tra i lavori sperimentati, è quello più preciso.
A livello di tradizione, le meditazioni si basano sul lavoro di tutti e tre i centri. La meditazione “No
dimension” è, secondo me, quella più potente per centrarsi, perché ci porta nella pancia, col cuore aperto.
Il movimento delle braccia amplifica l’apertura del cuore e della gola. Il suono che esce lavora sull’osso
pubico, oltre che aprire la gola va a liberare questa zona dove (secondo la tradizione sufi) viene
interiorizzata la rabbia.
Rispetto ai chakra, dove le qualità essenziali sono la fiamma della lampada, nell’essenza è l’olio che
brucia. L’essenza non è un’idea, un qualcosa di psicologico, l’essenza siamo noi.
PSICOLOGIA DALLE ANTICHE SCUOLE SPIRITUALI
Il Vedanta e i cinque corpi dell'essere umano
Kiran Vigiani
È interessante poter vedere queste diverse mappe in termini di strumenti della nostra crescita. Strumenti
per un’interpretazione della realtà, per poter entrare sempre di più in contatto profondo con noi stessi.
Credo che questo sia l’elemento che stiamo cercando di perseguire, perché farà una grande differenza su
come noi possiamo andare a relazionarci con le altre persone. Credo sia fondamentale prenderlo come
assunto di base. La scuola alla quale ora mi riferisco è il Vedanta. Mi interessava passarvi a grandi linee
questa mappa della strutturazione. Parliamo di vari corpi, perché l’uomo non ha un’unità monolitica ma
ha varie strutturazioni in vari corpi.
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Il primo corpo è Annamayakosha, il corpo fisico, il corpo che ha bisogno del nutrimento attraverso il
cibo, il corpo che è legato all’azione, al movimento, al divenire interno. È la nostra parte più esterna, la
parte tangibile, che possiamo toccare, vedere, che ha una sua strutturazione, una sua motivazione di
essere, che ha dei nutrimenti specifici per la sua sopravvivenza. Dove ci sono blocchi che impediscono la
loro funzione o potenzialità per la nostra crescita globale. Questo vale per tutti i corpi.
Il secondo corpo è Pranamayakosha, il corpo energetico. È il corpo che non ha più una tangibilità
materiale, ma è legato alla circolazione energetica, al respiro, e quindi il nutrimento di questo corpo sarà
di natura più sottile. È legato al linguaggio, alle emozioni. È costituito dalla rete dei canali energetici, Ida
e Pingala, che partono dal perineo e vanno a confluire rispettivamente nella narice destra e sinistra, e
Sushumna, il canale energetico centrale nel quale scorre l’energia Kundalini, che sale verso i chakra.
Il terzo corpo è Manomayakosha, il corpo della nostra mente più esterna, più concreta. È la mente legata
alle opinioni, ai pensieri, alle simbologie più codificate. In questa corrente di pensiero la mente viene
suddivisa in quattro strutturazioni: Manas, la mente più esterna, più superficiale, che ha il chiacchiericcio
della mente, alla quale arrivano tutte le sensazioni, tutto il contenuto del vissuto più esterno. Quando noi
ci identifichiamo, lo facciamo a questa mente più esterna. È la mente più impressionata dalle cose esterne,
è la mente con cui facciamo le identificazioni con i nostri ruoli. Citta è la mente ad un gradino più
interno, possiamo considerarlo come un serbatoio, la mente che contiene le memorie e quindi potrebbe
essere, sul piano psicologico, confrontato con quella parte di inconscio dove sono anche i nostri
imprinting. Andiamo poi ad un passaggio ancora più interno, Ahamcara, la mente che potremmo
rappresentare come cerchi concentrici.
È la mente più interna dove siamo già a livello di quella che è la mente più sottile, Vijnamayakosha, il
quarto corpo. Questa Ahamcara ha a che fare con tutto ciò che è la nostra identità più profonda, sul chi
siamo, quindi su un nostro senso di identificazione. Per scendere in quella che è la mente più profonda,
Buddhi, la mente illuminata. Quando arriviamo a Buddhi arriviamo a quella qualità della mente dove ha
sede il nostro testimone, è la mente di una qualità estremamente più raffinata, dove non esiste più nessun
processo di identificazione con tutti i fattori esterni, con le emozioni, le sensazioni, le memorie, con il
vissuto. Essere nella qualità della mente Buddhi significa stare nello spazio di silenzio, dal quale
possiamo prendere uno spazio-tempo di distanza in quello che è il meccanismo stimolo-risposta. Quindi
dove noi usciamo dall’effetto delle cose per poterci mettere in uno spazio di osservazione.
Per arrivare nello spazio di Anandamayakosha, il quinto corpo, lo spazio gioioso, il corpo della
beatitudine, che potrebbe essere considerato un po’ come un’emanazione del Brahman, cioè della causa
prima, della gioia assoluta. È uno stato estremamente profondo come qualità dell’essere che possiamo
sperimentare. Significa andare a sperimentare quelle esperienze che non sono estremamente al di là di
noi, della nostra possibilità esperienziale. Credo che a tutti sia capitato un momento, magari per frazioni
di secondi, di allargamento di coscienza, un momento in cui abbiamo sentito di fare quell’esperienza di
assoluta unità, dove non c’è più frammentazione e tutti i nostri corpi sono allineati con l’Hatma, il centro
del cerchio. Uno spazio di silenzio totale, di collegamento totale con noi stessi, con il Tutto. Credo che a
tutti possa essere successo, guardando un tramonto, in uno scambio d’amore, un momento di
compassione, in uno slancio particolare, di essere passati attraverso questa esperienza, un momento in cui
ricordarci di andare a riscoprire chi siamo veramente. Perché poi la maggior parte dello stato di coscienza
nel quale viviamo sono identificazioni con tutte le sovrastrutture, con le personalità e sub-personalità,
dipende a quale scuola di riferimento ci rifacciamo per poterle così definire. È quello stato di beatitudine
originaria che noi abbiamo perso nello sperimentare il nostro percorso di vita e di crescita così com’è. E
quindi il discorso delle peak experiences, la possibilità di scendere in queste esperienze così profonde, è
proprio il ricordarci qual è la nostra origine. E allora possiamo veramente sentire che siamo delle scintille
divine e che abbiamo un po’ perso la direzione, ma che siamo qui proprio per cercare di ritrovarla. Credo
che, prima di tutto, queste cose debbano essere sperimentate dentro di noi, perché solo se le conosciamo
poi possiamo riconoscerle nell’altro e possiamo prenderle in considerazione nella persona che abbiamo di
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fronte. Possiamo così cominciare a vedere la persona non più come un disagio o una patologia, vederla
non per quello che è in quel momento, ma per quello che può diventare. È la nostra psicologia che ha una
direzione, che viene data proprio dalla parte più profonda. Questo senso profondo di noi stessi, se lo
sperimentiamo dentro noi, possiamo riconoscerlo negli altri. Se non andiamo prima a lavorare su noi
stessi, diventa illusorio pensare di portare qualunque tipo di aiuto a chiunque altro.
Potremo riprendere questa mappa in modo esperienziale lavorando sulle meditazioni – come la vipassana
o la meditazione dei maestri himalaiani - che hanno modalità diverse ma la stessa finalità, quella di
portarci a sperimentare il punto di coscienza dentro di noi. È importante che ognuno le conosca per poter
sentire qual è la modalità che gli corrisponde di più, dove sente che vibra maggiormente.
Nitamo Montecucco
I Skandha
Come il Vedanta riconosce 5 corpi o kosha, la tradizione buddhista considera l’essere umano composto
da 5 skandha o aggregati, che illusoriamente circondano la coscienza vuota.
Rupa-skandha è l’aggregato fisico, della coscienza del corpo.
Vedana-skandha è l’aggregato dei sentimenti, le percezioni, le emozioni viscerali.
Samjna-skandha è l’aggregato della mente analitica, riflessiva e discorsiva che corrisponde a Citta, la
mente inferiore.
Samkhara-skandha è l’aggregato delle forme creatrici che corrisponde a Buddhi, la mente alta.
Vijnana-skandha è l’aggregato totale, che rappresenta la potenzialità della coscienza in forma pura.
I 7 LIVELLI DI COSCIENZA: la multidimensionalità dell’essere
Per una comprensione olistica dell’essere umano, inteso come sistema unitario, è necessario comprendere
parallelamente anche la sua complessità. Nelle antiche medicine sacre venivano considerati i vari “corpi”
dell’essere umano, da quello fisico a quello spirituale. Nella moderna concezione olistica possiamo
scientificamente comprendere almeno una parte di questi livelli, come espressione di un processo
evolutivo ininterrotto, che ha visto crescere in parallelo le strutture fisiche-neuronali ed i sistemi psichicicognitivi ad esse collegati.
Queste tradizioni sono state codificate nel modello Cyber 7, dove ognuno dei sette livelli identifica una
dimensione evolutiva della coscienza. L’essere umano, pertanto, si manifesta in sette dimensioni
energetico-informatiche sempre più sottili, visualizzate come sfere concentriche con al centro il corpo
fisico.
PRIMO CORPO – è il livello fisico/anatomico che corrisponde all’evoluzione atomica-chimica del regno
minerale. È il piano delle percezioni e dei bisogni fisici primari: meccanismi di sopravvivenza,
metabolismo-alimentazione, attacco-fuga, aggressività-paura, sonno, piacere-dolore somatico. Queste
funzioni sono già presenti nei sistemi neuro-psichici più primitivi dei cordati e degli insetti.
SECONDO CORPO – è il livello energetico, (del Ci, dei meridiani di agopuntura, del prana e dei chakra).
Scientificamente è l’aspetto bio-elettro-magnetico che sostiene i processi biologici, dalla polarizzazione
delle membrane cellulari all’attività muscolare-cardiaca o nervosa. Corrisponde all’evoluzione biologicacellulare fino al regno vegetale. È il livello delle sensazioni somatiche primarie: affetto, calore materno,
forza vitale, sesso, senso di benessere o malessere energetico. È fortemente legato allo sviluppo
dell’archipallio, il cervello antico tipico dell’evoluzione neuro-psichica di pesci e rettili.
TERZO CORPO – è la dimensione emozionale-istintiva. Corrisponde all’evoluzione del regno animale,
che sviluppa ormoni e neuropeptidi, le “molecole delle emozioni”. È fortemente legato allo sviluppo del
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cervello limbico tipico dell’evoluzione neuro-psichica dei mammiferi e degli uccelli.
QUARTO CORPO – è il primo livello mentale, dove usiamo la mente inferiore, la mente legata ai sensi, ai
desideri, al piacere. Ampiamente presente negli animali, si sviluppa con l’evoluzione, tipica del regno
umano, dei sistemi cognitivi superiori legati alla neo-corteccia.
QUINTO CORPO – il primo corpo spirituale, corrisponde a Buddhi, la coscienza intuitiva. È il livello della
consapevolezza di sé o autocoscienza. Corrisponde all’attivazione dei circuiti neuro-psichici autoreferenti
talamo-limbico-cortico-talamici, che portano le informazioni dal centro alle aree periferiche e di nuovo al
centro, generando i processi circolari di coscienza. Processi tipici e presumibilmente esclusivi degli esseri
umani più evoluti.
SESTO CORPO – è il livello di espansione della consapevolezza all’intera Terra, è la dimensione
impersonale della coscienza planetaria. Raggruppa tutte le coscienze e le energie intelligenti del pianeta,
l’insieme delle gigantesche forze gravitazionali, elettriche, magnetiche, vitali della Terra.
SETTIMO CORPO – è il livello di coscienza più raro ed espanso, la dimensione in cui si sviluppano livelli
di consapevolezza più elevati. Prerogativa di grandi mistici e maestri spirituali che hanno vissuto l’unità
con la coscienza cosmica del Tutto.
LA PSICOLOGIA OLISTICA
LA SINTESI DELLE VARIE SCUOLE PSICOTERAPEUTICHE E MEDITATIVE PER LO
SVILUPPO DEL POTENZIALE UMANO E L’EVOLUZIONE DELLA CONSAPEVOLEZZA
GLOBALE
Nitamo Montecucco
Dopo aver visto i principali autori che hanno contribuito a creare le basi della psicologia moderna,
entriamo nell’argomento centrale di questo testo: la Psicologia Olistica, le sue basi e la sua evoluzione.
Alla fine degli anni sessanta inizia la rivoluzione dello “Human Potential Movement”, il movimento del
potenziale umano e dei gruppi di crescita personale che, dagli Usa, si propagano in tutto il mondo. Il
concetto di sviluppo del potenziale umano implica che esistano nell’essere umano potenzialità nascoste o
inibite dalla società, che possono essere sviluppate per realizzare una vita più autentica e completa. Le
potenzialità non vanno intese come ‘poteri psichici o mistici’, ma come qualità umane profonde, naturali
e universali: consapevolezza, sensibilità, intuizione, amorevolezza, pace interiore, verità, intelligenza, che
se fatte crescere possono condurre ad una vita degna di essere vissuta.
Questo movimento, iniziato storicamente nella famosa comunità terapeutica di Esalen in California, è poi
dilagato negli Usa e nel resto del mondo. All’interno di questo movimento si sviluppano metodiche di
grande profondità ed efficacia terapeutica come la Gestalt di Perls, la Primal Therapy di Yanov, la
vegetoterapia di Reich, la Bioenergetica di Lowen, gli Encounter Group di Rogers, lo Psicodramma di
Moreno, L’Intensive Enlightenment di Berner…..
Grazie allo yoga, al buddhismo, al tai c’i, alla filosofia di Aldous Huxley, di Alan Watt, e alla psicologia
transpersonale di Assagioli, Maslow e Wilber, le tecniche di meditazione iniziano ad entrare nell’ambito
terapeutico e nei gruppi di crescita. Nel 1974 il maestro spirituale Osho riunisce a Poona, in India, un
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grande numero di psicoterapisti, medici, group leaders, di ogni nazione, scuola e religione che, catalizzati
dalle sue potenti tecniche di meditazione attiva, creano un ulteriore evoluzione nella sintesi psicosomatica
tra psicoterapia ed evoluzione interiore. Per la prima volta, in un unico centro diventano costantemente
disponibili decine di differenti gruppi. Questa opportunità richiama a Poona milioni di persone da tutto il
mondo, e fa diventare l’Ashram di Osho il più grande centro di terapia e di crescita interiore del mondo.
Quindi, dopo un grande inizio, questo lavoro continua integrando e contaminando scuole di tipo
differente, con approcci differenti.
Qualche anno fa il Dalai Lama fece un’importante dichiarazione: “La psicoterapia moderna, in particolare
quella dei gruppi, è uno strumento essenziale per la crescita spirituale”.
È il cambiamento del nostro pianeta che ha portato a questi risultati. Negli ultimi venti anni c’è stata
un’evoluzione delle psicoterapie di gruppo con il processo, chiamiamolo di “ibridazione” collettiva che
non ha paragoni. Al Villaggio Globale di Bagni di Lucca, si tengono ogni anno circa 30 gruppi di terapia,
e tra i conduttori non c'è uno che non abbia fatto la P.N.L., Primal, Bioenergetica, Gestalt, ecc. Non
appena un nuovo maestro propone qualcosa, il popolo dei terapisti sperimenta il lavoro con uno scambio
enorme che porta al miglioramento. Nella fisica e nella scienza olistica - che è stata in parte anche
sperimentata a livello scientifico - l’autore dei campi morfogenetici, Rupert Shaldrake, ha creato l’idea
della sincronicità degli eventi attraverso la ripetizione. Porto un esempio a livello scientifico: una ditta
deve creare un farmaco e venderlo in forma cristallizzata; la cristallizzazione richiede dei tempi
lunghissimi e molti laboratori lavorano per produrre lo stesso farmaco. Fino a che, quando in un
laboratorio riesce la cristallizzazione, quasi contemporaneamente accade negli altri laboratori. È come se
l’energia di una forma si trasmettesse, l’energia di un’emozione si trasmettesse, l’energia di una
evoluzione di consapevolezza si trasmettesse. Cosa succede? La spiegazione sta nel fatto che nel nostro
tempo sicuramente c’è stato un aumento di energia. E quello che per me è stato un lavoro di almeno 5
anni di gruppi, con tre/ quattro ore al giorno di meditazione, adesso diventa possibile in due o addirittura
un anno. È come se la maturazione collettiva creasse una risonanza che facilita i processi di evoluzione
della consapevolezza.
Noi riteniamo che:
1 - L’energia del pianeta si è elevata e trasformata su un buon livello di maggiore densità e intensità. Un
fenomeno di risveglio della coscienza collettiva che è stato previsto da molte tradizioni antiche e che ha
dato vita al concetto di New Age.
2 – Si osserva un incremento e un riverbero globale di esperienze di risveglio della coscienza individuale
e di liberazione delle emozioni che hanno creato un “campo morfogenetico” planetario, come lo chiama
Rupert Sheldrake, che facilita ulteriori processi simili. A questo proposito si ricordi l’esempio della
centesima scimmia: in una società di scimmie, pochissime scimmie avevano imparato a lavare le patate
dolci buttate nella sabbia mentre per tanti anni il gruppo le aveva mangiate con tutta la sabbia; da un
giorno all’altro tutta la società delle scimmie iniziò a mangiare le patate lavandole. È come se un piccolo
gruppo di persone cresce lentamente e ad un certo punto raggiunge la massa critica. Si parla
simbolicamente della centesima scimmia, come se fosse un decimo della loro società, che ad un certo
momento passa di là e fa catalizzare un’intera società di scimmie. Questa è una parte della teoria delle
catastrofi.
Ci auguriamo che, attraverso il lavoro collettivo che stiamo cercando di fare con la formazione dei
counselor e delle tecniche di sviluppo del potenziale umano e di crescita umana, possiamo arrivare a
creare una massa critica che possa catalizzare anche la nostra società globale.
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LO SVILUPPO DEL POTENZIALE UMANO
E L’ARTE DI FACILITARE L’ “ESPERIENZA DELL’ESSERE”
Nitamo Montecucco
Lo sviluppo del potenziale umano, in questo momento storico di cambiamento, deve essere diretto con
decisione all’”esperienza dell’essere”.
Nel testo “Cyber, la visione olistica” c’è una parte iniziale sul concetto del funzionamento del cervello.
Molti neuroscienziati sostengono che usiamo il 10% del nostro cervello, a mio avviso ne usiamo il 150%
(come lo intendono gli scienziati), mentre usiamo soltanto il 10% della nostra sensibilità, della nostra
coscienza, della nostra consapevolezza, del nostro essere. In definitiva stiamo iperutilizzando la mente e
sottoutilizzando la nostra consapevolezza.
La nostra “Mappa semplificata” (sul testo “Psicosomatica olistica”), parte dalla consapevolezza dello
stato di frammentazione attuale, in cui mancano parti dell’emotività, sesso, potere etc. In uno spazio
assolutamente “taoista” di accettazione, lavoriamo, a seconda delle tecniche, contemporaneamente sul
negativo (depurazione e decondizionamento) e sul positivo (rivitalizzazione e sviluppo del potenziale
umano), vale a dire, parallelamente sull’Ego (i blocchi psicosomatici e psicologici che hanno generato la
nostra personalità) e sul Sé (recupero delle energie “pulite” e positive, sciolte dalle negatività del passato,
che ricostituiscono il senso dell’unità interiore e quindi del nostro Essere). Questo duplice lavoro
sull’ombra e la luce della coscienza, porta ad una pratica articolata che sfocia continuamente in un
sempre maggiore livello di consapevolezza, di unità. Quindi continuiamo a passare da stati di
inconsapevolezza a stati di consapevolezza, da stati di frammentazione e disequilibrio a stati di maggiore
equilibrio.
Una delle basi del Pensiero Olistico è, come abbiamo visto, il “Centro di Coscienza”. Noi siamo un
centro di coscienza, non siamo frammentati. Questo centro di coscienza ha delle polarità nel corpo e nelle
energie. Man mano possiamo diventare più complessi e vedere che la nostra energia è molto veicolata dai
vari chakra, o essere condizionata da alcuni eventi. Il Sé è il testimone silenzioso, a volte si identifica e
diviene: “io sono un depresso, un irascibile, o un debole…”
Abbiamo un punto centrale, le varie divisioni: binaria (maschile, femminile) e ternaria (testa, cuore,
pancia); poi possiamo arrivare ai sette punti dell’agopuntura, i nove tipi dell’enneagramma, i dodici di
altre tradizioni.
È fondamentale capire che alla periferia abbiamo le identificazioni, i caratteri, le personalità (dal latino
persona = maschera) che possiamo interpretare. Fino a quando le interpretiamo va bene, ma se ci
identifichiamo vuol dire che non abbiamo più il nostro centro. Io posso ridere, arrabbiarmi ed essere
consapevole di me, oppure perdere il ‘mio io’ e provare paura perché il mio io non è più presente, diventa
la mia paura. In quel momento non mi posso fermare, non mi posso osservare, sono completamente
dentro quello spazio.
Questo è il modello di base. Al suo interno abbiamo elaborato una mappa, che è quanto di più sincretico e
sinergico abbiamo sviluppato in tanti anni.
Abbiamo riunito in modo chiaro ed intelligente una serie di mappe di scuole antiche: quella
dell’agopuntura, gli shen degli organi, quella dei chakra della tradizione indiana e tibetana, le funzioni
primarie della bioenergetica, i sette livelli di funzione d’organo della tradizione reichiana, il modello
neuro-fisiologico. Siamo riusciti a fare un discreto lavoro, poiché questa mappa ci permette di riconoscere
delle personalità su una base energetica molto semplice. E soprattutto di riconoscere se una personalità è
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stata squilibrata e come può essere riequilibrata.
Se possiamo fare un appunto al modello di Assagioli, possiamo vedere che la polarità principale è verso
l’alto, non verso il basso. E verso il basso cosa c’è? Noi siamo polari e c’è sicuramente una polarità bassa.
Reich aveva preso solo la polarità bassa, come un’energia che sale potente e che può essere stoppata.
Assagioli in basso non mette nulla, mette solo quella in alto. Per noi la mappa è sia in alto che in basso,
dobbiamo sperimentare tutte le direzioni e dobbiamo entrare nel corpo molto più di quanto potessero
anche solo immaginare prima della guerra: era inimmaginabile come il corpo dovesse essere
spiritualizzato. Prima della guerra tutto il percorso esoterico era “tira su e spiritualizzati” vivi nel corpo,
trattalo bene ma l’energia spirituale è verso l’alto.
Abbiamo intere scuole orientali dove l’energia spirituale fluisce verso il basso: si chiama grazia.
Prendiamo l’energia cosmica, la risucchiamo, la riportiamo nel corpo e spiritualizziamo il nostro corpo.
Proprio questo corpo è il Buddha. Questo mondo è il loto del paradiso. Questo è un messaggio Zen.
Portare giù l’energia fa scoppiare il primo chakra, non il settimo che diamo per scontato perché è già
aperto… e l’energia del settimo scende, oppure è bloccato in basso.
Come in alto c’è Supercoscienza, un punto di alta coscienza, in basso c’è un Supercoscienza cosmica,
materiale, che è l’energia della Kundalini, l’energia della terra. Il cielo è sottile, la terra è pesante: noi
abbiamo bisogno di tutti e due i poli. Se non tiriamo giù l’energia verso la terra, la terra va come sta
andando. Se abbiamo i piedi per terra iniziamo ad intervenire nel mondo anche fisicamente,
energeticamente, con la coscienza. Noi dobbiamo sviluppare tutte e due le dimensioni. Non solo, vediamo
come alcune persone hanno già un primo chakra molto aperto e dobbiamo tirarlo su, è il lavoro della
Kundalini, della ascesa; mentre alcune persone hanno il primo chakra quasi chiuso, sono estatiche, a volte
psicotiche, hanno il corpo devastato dalla paura e dai condizionamenti; togliendo i condizionamenti,
queste energie scendono e loro diventano persone vive, reali, piene di energia. Il canale da aprire è dal
settimo al primo. Altre volte dal primo al settimo. Il flusso è bidirezionale. Ad esempio nella meditazione
Kundalini dapprima l’energia va dal basso verso l’alto, poi nella terza e quarta fase c’è l’apertura e si
assorbe l’energia dall’alto. Davanti ad un maestro mi è capitato di sentire che venivo aperto dalla testa e
da lì mi entrava l’energia. Come durante le iniziazioni Buddhiste in cui ho sentito una luce che dall’alto
passava nel primo chakra per poi fuoriuscire dai piedi. È un po’ come la rappresentazione simbolica della
manna dal cielo, il nutrimento è quello dell’anima, non semplice cibo.
Una donna racconta: “Tutto avvenne in un secondo e fu il momento più importante della mia vita. Era la vera
realtà. Prima di questo vivevo in un lungo sonno e d’improvviso mi sono svegliata. Perfino l’aria che respiravo
sembrava essere viva. Ogni cosa acquistava un senso e le sue conseguenze pratiche non erano certo meno intense
del sentimento profondo che provavo.”
Enzo Maiorca racconta: “Il dio che incontro laggiù negli abissi è diverso dal dio che preghiamo qui sulla terra.
È un dio senza suono d’organo, senza liturgia, immenso e turchino. Lo ricordo dal silenzio assoluto, dal suo
misterioso messaggio di eternità.”
Giovanni Pascoli ha detto: “Ad un tratto vidi una palla d’oro cadere dal cielo con grande lentezza. E immerse
nel gran verde, in silenzio molle. Oh! La palla del cielo! Non era il piccolo lampo della tua canna, uomo mortale.
Scendeva dagli azzurri calma e tacita…. Dimenticai molte sciagure, vidi in un sogno scendere le stelle luminose, e
le vedo sempre, come pastore seduto sulla pietra… E non mi dolse d’essere una stella che illuminando discende
nell’ombra… E sentii la mia vita confusa col gran tutto.”
Quindi abbiamo due canali ben precisi. Il punto centrale di tutto è il cuore: il senso dell’identità reale.
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IL PROCESSO DI CRESCITA E LE SUE QUATTRO FASI
I^ fase - La consapevolezza dello stato di frammentazione in cui ci troviamo
II^ fase - Il decondizionamento o liberazione da ciò che non è nostro
III^ fase - La riappropriazione o sviluppo del potenziale umano
IV^ fase - La realizzazione o consapevolezza globale di sé
Le quattro fasi hanno una sequenza temporale anche se in realtà vanno tutte insieme
La consapevolezza dello stato di frammentazione
La prima fase è la consapevolezza del proprio stato di frammentazione. Per iniziare il cammino per lo
sviluppo del potenziale umano è necessario avere consapevolezza del proprio stato, del proprio male
interiore.
“Sto male e voglio crescere” oppure la consapevolezza che c’è qualcosa “oltre”. “Io ho tutto, sto bene, ma
sono in un momento di crisi. Sento che devo cambiare vita, fare qualcosa di nuovo. Anche se non so che
cosa.”
In questa consapevolezza l’operatore/counselor olistico può avere un ruolo importantissimo, anche come
amico. Se trasmette il senso che ha acquisito attraverso esperienze di meditazione, di respiro o altro alle
persone, ne influenza lo stato positivo, fa comprendere loro che è possibile liberarsi dal negativo, dando
consapevolezza che esiste uno stato di unità più bello, più maturo, più umano.
Decondizionamento e disinquinamento: Il lavoro sul negativo
Il secondo passaggio lo definiamo disinquinamento e decondizionamento: è il lavoro sul negativo, il
lavoro sull’ombra. È la fase di disintossicazione globale del corpo, delle emozioni e della psiche, da tutte
le inibizioni e le informazioni negative che ci hanno avvelenato e condizionato fino ad ora. È necessario
ripulire il sistema e togliere tutte le tossine psichiche (le nostre paure). Possiamo farlo solo lavorandoci ed
entrandoci con consapevolezza. La paura è come un tappo su qualche cosa che è sotto. Bene.
Guardiamola! Cosa ci può succedere? Al massimo ci spaventiamo ancora di più. Normalmente dietro la
paura c’è uno stato di emozioni che non vogliamo vedere. Al di là di qualche ora di pena o di down tutto
si risolve. È come se ci trovassimo al buio dove i fantasmi emergono, diventano grandi. Alla fine si
accende la luce e non rimane più niente. Anche se abbiamo paura, dobbiamo riconoscerla. Questo è
estremamente importante: la paura c’è, ma c’è anche la parte di forza. Si sente la rabbia, ma allo stesso
tempo si sente anche la parte di amore. Si sentono le varie emozioni pesanti che paralizzano, ma si
percepisce anche la parte che bilancia. La parte del disinquinamento e decondizionamento è metà del
grandissimo lavoro che viene fatto partendo da qualsiasi punto del corpo.
Il primo passo concreto per iniziare un lavoro sulla salute globale e lo sviluppo del potenziale umano è
certamente il comprendere come si “alimenta” un essere umano sui suoi sette differenti livelli di realtà,
dal piano più fisico ai piani più emozionali e mentali. Si inizia necessariamente con il lavoro sul negativo,
ovvero con l’opera di disintossicazione (nel corpo) e di decondizionamento (nella mente).
I processi di disinquinamento e decondizionamento viaggiano in parallelo. Personalmente preferisco
svolgere prima il lavoro sul negativo e poi il lavoro sul positivo, perché ho fiducia nelle persone. Tuttavia,
bisogna fare una precisa valutazione all’inizio del lavoro, perché potrebbe essere necessario, con alcuni
clienti che hanno un io fragile, fare prima il lavoro della riappropriazione e dopo quello del
disinquinamento. Il punto determinante nel counseling è la percezione dell’io della persona. Se c’è fiducia
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reciproca e la persona ha una parte di solidità, si può iniziare il lavoro sul negativo. Se invece la persona è
in un momento di fragilità (ad esempio sta passando il momento di collasso dell’identità per crearsi un
sé), è necessario lavorare sul disinquinamento partendo dal corpo fisico.
La prima regola per disintossicare il primo corpo, quello fisico, è quella di evitare ogni sostanza tossica
dannosa per il corpo che indebolisce il fegato e il sistema immunitario. È quindi assolutamente necessario
sapere quali veleni sono presenti nel nostro “cibo” ed eliminarli dalla nostra dieta. Sono preferibili cibi
biologici, frutta e verdura. Sono consigliabili carni, latticini, uova e pesce di certa provenienza biologica e
allevati all’aperto. Lo zucchero bianco è dannoso per il sistema nervoso, è preferibile miele, malto o
zucchero grezzo. L’acqua è la sostanza più femminile e recettiva. Il nostro corpo è costituito in gran parte
di acqua e ogni funzione biologica utilizza l’acqua (liquidi intra ed extracellulari, siero, linfa, liquido
cefalorachidiano). La sua capacità di includere e contenere altre sostanze è enorme e per questo viene
facilmente inquinata attraverso il semplice contatto con sostanze tossiche, veleni, residui e gas atmosferici
derivati dai processi industriali e di combustione (piogge acide). Se possibile bisogna bere acque di
sorgente, oppure acqua minerale in bottiglie di vetro, in quanto la plastica delle comuni bottiglie rilascia
residui tossici. L’aria del nostro pianeta, come l’acqua, non è più pura. Se si vive in città devono essere
usati ionizzatori e depuratori, meglio uscire nei fine settimana a riossigenare il corpo in collina, al mare o
in montagna.
Mentre per l’alimentazione del primo corpo il punto principale è l’architettura degli atomi in molecole
complesse (vitamine, proteine, acidi grassi polinsaturi, ecc.), che devono restare il più possibile integri
nella loro forma originaria, per il secondo corpo è necessario che questi stessi cibi conservino la loro
vitalità. Quando ci nutriamo al secondo livello sentiamo “piacere”. Nella sua parte più grossolana è
rappresentato dall’energia elettromagnetica biologica e cellulare. La più importante alimentazione del
secondo corpo può essere considerata la luce solare. Il secondo corpo è un corpo di energie viventi ed
altamente organizzate che si ciba di energie elementari, quindi il primo punto per una sua corretta
alimentazione è cibarsi di alimenti vivi e integri. Il corpo vitale si ciba di vita e affetto, e quando manca
affetto il cervello si blocca. La migliore alimentazione per il secondo corpo è quindi vivere nella natura
viva, in contatto con gli elementi, respirare aria pura, carica di ioni, bere acqua fresca di fonte o di fiume,
camminare sulla terra, lavorare e scaldarsi al sole, andare a letto al tramonto, dormire di notte, risvegliarsi
all’alba, mangiare frutta e verdura appena colta e così via. Quindi i quattro elementi: aria, terra, sole,
acqua. Sono da evitare tutte le fonti di inquinamento, perché a livello energetico l’inquinamento è
parallelo a quello fisico. L'energia vitale è costituita, nella sua componente più fisica, da campi
elettromagnetici. Un essere con molta forza vitale trasmette un forte campo elettromagnetico. Per
disinquinare il secondo corpo bisogna conoscere i campi elettromagnetici artificiali e limitarne gli effetti
dannosi. Le onde elettromagnetiche e ionizzanti provocano infatti un’alterazione del normale campo
vitale che può portare a numerose e anche gravissime malattie come leucemie e tumori.
Il terzo corpo è quello emozionale istintivo e si ciba ovviamente di emozioni. Insieme al quarto corpo
mentale, a cui è particolarmente connesso, è uno dei corpi più inquinati e condizionati e richiede un
attento lavoro di pulizia. Le emozioni sono come i sapori che mettiamo sui cibi: colorano gli eventi di
tinte forti o sfumate. Ogni momento di gioia o dolore è in realtà un momento di normale realtà colorato
emotivamente - in positivo o in negativo - dal terzo corpo. Disinquinare e decondizionare il terzo corpo
significa diventare consapevoli del piano emozionale e discriminare ciò che è utile da ciò che è dannoso.
Ogni film dell’orrore, di violenza, alimenta il nostro terzo corpo di emozioni basse, pesanti e negative.
Alimenta centri già devastati come quelli della paura, della rabbia, della lussuria o dell’invidia. Spesso le
pubblicità alimentano emozioni di inferiorità/superiorità, di competizione/arrivismo o di smodato
desiderio. Allo stesso modo esistono persone, luoghi, cibi, sport e situazioni che alimentano basse
emozioni e istinti negativi. Negli antichi testi orientali si invitano coloro che iniziano il cammino della
ricerca a frequentare veri amici, sensibili e dello stesso livello di evoluzione, con cui scambiare le proprie
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impressioni emotive positive e fortificare i propri sentimenti elevati. L’incontro con un grande
personaggio o con un maestro spirituale è un evento che porta con sé un’enorme carica di impressioni
emozionali elevate che rimangono poi indelebilmente legate alla relazione stessa.
Il quarto corpo mentale o psichico si ciba di informazioni. Il massimo di informazioni si sperimenta nel
vuoto e nel silenzio della meditazione: il silenzio è il cibo dell’anima. Ma la nostra società apprezza solo
il pieno e teme il vuoto e il silenzio perchè non li conosce. Il quarto corpo può esistere in due modalità e
quindi richiedere due alimentazioni; per comprendere questa dualità ricordiamo che il chakra del cuore
nella maggior parte delle persone è aperto verso il basso, ossia verso i primi tre livelli più esteriori e
materiali, ma può aprirsi anche verso l'alto portando la persona a percepire i livelli più sottili ed elevati
del proprio essere. Così il quarto corpo, quando il cuore è orientato all'esteriorità, si ciba di nozioni
mentali, concetti intellettuali, dati e opinioni, mentre quando il cuore è orientato ai livelli spirituali, si ciba
di amore incondizionato e silenzio. Le informazioni mentali di cui si ciba il quarto corpo inferiore
possono a loro volta essere negative o positive.
Da quando il bambino nasce, i genitori e la società lo “istruiscono” parlandogli o dandogli testi da
leggere, lo alimentano di informazioni mentali. Essendo la mente collettiva degli ultimi duemila anni
orientata alla separazione, all’aggressività, alla mancanza di tolleranza e al potere dell’uomo sull’uomo,
appare evidente che genitori e maestri, pur animati da ottime intenzioni, continuano da millenni a
trasmettere ai bambini una cultura materiale e priva di valori, perpetuandone così la validità sociale. È
assolutamente fondamentale comprendere che siamo tutti condizionati in profondità dalla vecchia cultura
e dai suoi perversi valori, basati sul senso del peccato e della colpa, sulla coercizione e sulla completa
mancanza di reali valori umani, ecologici e spirituali. Questo è uno dei livelli in cui il decondizionamento
deve essere più profondo. La nuova cultura globale può svilupparsi solo da un radicale abbandono dei
vecchi valori mentali. Questo certamente non significa gettare secoli di arte, scienza e storia, ma liberare
la mente dai falsi preconcetti che non permettono l’evoluzione della coscienza globale. Finché non
saremo liberi da tutto ciò che alimenta l’ego, ossia l’”io” sociale, non potremo avere una mente
individuale e pronta all’evoluzione.
Il quinto corpo spirituale si ciba di energie/informazioni sacre. È importante capire che la religiosità
ufficiale, imposta dalla famiglia e dalla società fin dalla prima infanzia, essendo accettata dalla mente in
maniera passiva e spesso coercitiva, difficilmente potrà rappresentare una vera alimentazione del quinto
corpo. Solo quando facciamo esperienza di noi stessi come Sé, della nostra autentica natura e sviluppiamo
una vera forma di religiosità iniziamo ad alimentare il quinto corpo. Tra tutti i condizionamenti del
passato, quello spirituale è stato senza dubbio uno dei più forti. È sufficiente sostituire l’esperienza diretta
della propria coscienza con una serie di concetti e frasi fatte. La religione cattolica, come praticamente
ogni altra religione fondata su dogmi e gerarchie, trasforma un potenziale ricercatore spirituale in un
“fedele”. Il quinto corpo non si ciba di “fede” ma di esperienze dirette, non è sufficiente dire: “io sono
un’anima divina e sono figlio di Dio” perchè questo sia vero. Ai bambini vengono insegnate frasi fatte,
prive di esperienza diretta e di senso interiore. Il risultato è un quinto corpo spirituale denutrito e
atrofizzato, che si accontenta di una messa alla domenica o di un rito nella sinagoga o nella moschea
senza avere la grazia di sperimentare la beatitudine dell’esperienza del silenzio e della comunione col
Divino. È necessario che ai bambini (e agli adulti) venga trasmesso il senso della ricerca e del profondo
mistero della coscienza, che vengano insegnate tecniche di differenti scuole e religioni, per sperimentare
gli stati spirituali, affinché ogni essere umano trovi il suo vero cammino attraverso l'esperienza diretta.
Il sesto livello è planetario, universale, sacro. Il vero cibo per il sesto corpo è l'esperienza oceanica di
sentirsi parte della natura vivente e intelligente della Terra. Ogni energia e informazione che alimenti la
nostra visione globale verso la coscienza planetaria nutre comunque il sesto corpo. Siamo a livelli evoluti,
entriamo nell’intimo dell’esperienza sacra dei grandi santi e mistici, ma anche, in alcuni casi, dei grandi
scienziati e pensatori che hanno portato l’umanità più vicina ad una cultura globale e ad un sentimento
universale dei diritti umani ed ecologici. San Francesco, James Lovelock, l’Ipotesi Gaia, libri come La
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coscienza cosmica di Bucke o correnti psicologiche come quella di Jung, Reich, Assagioli, Maslow,
visioni ecumeniche allargate come quelle nate ad Assisi negli ultimi anni, le grandi associazioni
internazionali come Amnesty International, Green Peace, la Croce Rossa, L’ONU, il WWF, e molti altri
stanno contribuendo ad alimentare il sesto corpo sui suoi vari livelli.
L’unico decondizionamento è costituito ancora una volta della sopravvivenza degli ego limitati che non
vogliono un’unica Terra e un’unica Umanità per paura di perdere i loro interessi personali e le loro
identificazioni culturali.
Il settimo corpo si ciba di esperienza di Infinità, di Totalità, di Assoluto, di Vuoto, di DIO: qualità
ovviamente onnipresenti e che quindi possono essere ritrovate in ogni granello di polvere, in ogni istante.
Questo è il cibo che alimenta in noi la coscienza del Tutto, il corpo trascendente, e per raggiungere questo
stato è necessario il vuoto totale della mente e l’apertura dell’anima profonda. In questo vuoto assoluto
anche il Sé svanisce e con esso l’illusione della separazione, la goccia di rugiada si perde nell’oceano, il
Divino esiste ed ogni cosa è lui.
Decondizionare la mente
Il processo di decondizionamento avviene attraverso la consapevolezza dei condizionamenti attuali e,
soprattutto, grazie allo sviluppo di un centro di coscienza superiore all’"io della mente", che coincide con
l’esperienza dell’essere e lo sviluppo del Sé. Esistono ormai numerose possibilità di alimentare il corpo
mentale in modo estremamente positivo. Libri, film, musiche, dipinti, conferenze, incontri di livello
culturale superiore possono veicolare al nostro animo sentimenti superiori e alimentare il nostro senso di
bellezza, di saggezza, di bontà, d’amore, di verità, di giustizia. A livello più umano e concreto,
decondizionare la propria mente significa innanzitutto cambiare i propri comportamenti portatori di
malessere o di divisione. Tutti i modi di relazionarci con gli altri, gli amici, i partner possono essere
profondamente modificati in senso armonico e nel pieno rispetto per la propria identità e libertà. È
necessario, quindi, abbandonare tutte le situazioni di famiglia, relazione, amicizia e lavoro che non fanno
sentire liberi e a proprio agio.
Riappropriazione e sviluppo del potenziale umano: Il lavoro sul positivo
Il terzo punto della crescita umana è la riappropriazione. Corrisponde al parallelo lavoro sulla riapertura
del corpo, delle energie, delle sensazioni, degli affetti, della mente, delle percezioni sottili e
dell’esperienza del nostro essere in modo positivo. Per riappropriazione s’intende che quello che siamo
adesso non è veramente tutto quello che siamo. Il concetto di riappropriazione è lo sviluppo del
potenziale umano. Significa che abbiamo un potenziale che non conosciamo, a cui non abbiamo accesso.
La cosa fondamentale da capire è che dentro di noi ci sono potenziali positivi che non sono stati espressi e
dei potenziali negativi che si sono trasformati in paure. La paura taglia le gambe, toglie forza e paralizza
il movimento, non lascia tirar fuori l’energia ormonale (il testosterone, l’adrenalina).
La realizzazione di sé
L’ultimo passo dello sviluppo del potenziale umano si chiama realizzazione. È l’opera di riconoscimento
della nostra natura profonda, la riscoperta dell’anima e del sé e degli stati di coscienza spirituali. Qui il sé
in realtà non è un vero stato di coscienza spirituale, ma è uno stato di identità spirituale. La via che ha un
cuore: dall’ego al Sé. L’ego è una falsa identità, vivere per l’ego significa perdere una vita per seguire
doveri e schemi che non sentiamo nostri. Il Sé è la nostra vera natura, è semplice, profonda e immediata.
L’ego si impara inibendo le naturali energie umane, sessuali, emotive, psichiche e spirituali, e
sostituendovi comandi e comandamenti basati sull’”inibizione dell’azione” e sul timore di Dio e
dell’autorità. Il Sé è frutto di un senso di amore impersonale per se stessi, per gli altri e per la vita stessa.
Il Sé porta un sorriso autentico che viene dal cuore: il quarto centro. Don Juan diceva a Carlos Castaneda
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che l’uomo di conoscenza è colui che diventa consapevole della mancanza di senso della vita e che quindi
decide di seguire la via che ha un cuore. Passare da un comportamento controllato ad uno fluido e
spontaneo è uno dei sistemi più sicuri di decondizionarci. Nel processo di trasformazione dobbiamo
ascoltare le donne e le energie femminili che sono portatrici di qualità più sensibili, intuitive e sottili, e da
millenni sono state condizionate a comportarsi secondo codici patriarcali. Statistiche americane indicano
che la presenza femminile nei gruppi orientati all'ecologia e alla trasformazione è maggiore di un quinto
rispetto a quella degli uomini. Ascoltate la vostra anima femminile, la vostra sensibilità, i vostri
sentimenti autentici e lasciate che siano essi a dirigervi nel caos della vita attuale.
Quando sentiamo tutto il corpo bello aperto e ci siamo, siamo in uno stato di presenza. Questo è il
minimo che viene richiesto ad un operatore o counselor olistico, ma non è l’essere. L’essere è quando si
va veramente in meditazione, si perdono l’ego e il sé. Per noi, tuttavia, il sé è fondamentale, perché le
persone meno evolute non vanno nello spazio del vuoto o se ci entrano, è solo per un po’ e poi ritornano
all’io. La creazione di un sé, cioè di una percezione globale dell’essere, di un’identità integrata globale, è
assolutamente funzionale alla vita. Quindi, si deve sostituire l’io della mente con le sue trappole e i suoi
trucchi, con un sé che è molto più fluido e vivo. Le persone che fanno molta meditazione, pian piano in
qualche anno di esperienza si spostano verso un io spirituale (io preferisco chiamarlo un sé). È ancora un
ego, solo che è vero. È ancora una struttura parzialmente illusoria. Abbiamo ancora una nostra energia e
una nostra pelle, però possiamo anche aprirla.
Consiglio di leggere nel testo Cyber la “teoria del campo”. Il campo in fisica è una delle cose più
straordinarie che siano mai state inventate. Il campo è un centro che può essere un qualsiasi corpuscolo
energetico elementare. Qualsiasi particella subatomica è un campo di energia, genera un campo di
energia. Il campo ha una sua densità, può essere isolato, può avere una sua raffigurazione, ma in realtà
entro il suo limite c’è il suo confine, dove c’è un irraggiamento che va all’infinito. Il campo è fuso con
l’unità di tutti i campi, l’awareness di tutto l’universo. Quindi, abbiamo il campo che è l’illusione parziale
di essere un’unità, un qualcosa di concentrato, ma parallelamente, il paradosso è che ci sentiamo anche
nell’infinito. È un’unità non isolata. È come essere dentro la funzione della particella come corpuscolo,
con la sensazione del sé. Il che è vero, perché siamo una particella, ma dovremmo vivere anche con la
consapevolezza parallela che siamo parte di un Tutto. “Cyber”. Io esisto, Io sono cosciente perché esisto.
A questo proposito, l’inconscio collettivo di Jung è quello degli archetipi, è un bene positivo e negativo
comune a tutta l’umanità e agli animali. C’è una percezione unitaria, anche solo interna, della
consapevolezza di essere formato da tanti pezzi: anche se perdo una parte di me sono sempre “uno”. Il sé
sono io, è la mia vera natura, che esiste. Io ho una parziale consapevolezza di essere separato e una
parziale consapevolezza di essere unito. Queste due realtà coesistono. Io sono sia sé sia non-sé. In questo
spazio si è nella natura delle cose.
Concludiamo questa ultima parte, la realizzazione, ricordando che ogni volta che l’operatore libera un
pezzo del negativo sta liberando l’energia bloccata delle persone. Per questo il negativo è un lavoro
fondamentale, perché dietro ogni rabbia repressa, pianto represso, amore represso, c’è una quantità di
energia stagnante separata dall’unità. La paura è una delle energie più potenti, perché lavora sul I^ chakra,
il senso del corpo. Se abbiamo paura stringiamo il primo chakra ed il corpo si sente debole, insicuro,
senza stabilità. E dove prendiamo l’energia? La paura è un’illusione, ma taglia la genesi dell’energia. E
allora per riprendere l’energia si può saltare, fare esercizi energetici yin-yang che portano a sentire la
pancia, le gambe ben radicate a terra. È un’opera di pulizia, un’opera di sviluppo di un potenziale di
sensibilità e di energia nelle gambe che porta, alla fine, alla realizzazione di ‘esserci’.
Ogni operatore/counselor ha a disposizione varie tecniche: il lavoro sul corpo a livello psicosomatico, il
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lavoro sul respiro, il lavoro sull’energetica - la consapevolezza e il movimento -, le tecniche di
meditazione. Tutto ciò deve essere fatto parallelamente con un lavoro sul negativo, sulle energie bloccate
che devono essere ricompattate per ritornare all’unità, e un lavoro sul positivo come riscoperta del
potenziale ancora inespresso, cioè i segni sottili che non sono mai stati sviluppati.
Quindi, una persona ha bisogno di aprire il I^ chakra e poi aprire quella dolcezza e poesia che magari
aveva da bambino e non ha mai espresso. Quello diventa un potenziale. Oppure ha sempre pensato di
essere timido e quindi non ha mai usato il potenziale della comunicazione che può diventare enorme.
L’operatore può aiutare le persone ad entrare in campi psichici, andando più in profondità nelle memorie
passate. L’apertura delle percezioni sottili e della sensitività è un dono enorme. A volte le persone
sviluppano queste doti proprio dalle energie represse che liberano dal pianto o della pancia. Ad esempio
sviluppano la matrice del cuore che viene dalla milza e che è in grado di percepire le energie eteriche.
Alcuni sviluppano il meccanismo dell’aria sbloccando la gola che porta un’intelligenza sottilissima nei
processi, arrivando a capire cose che prima non comprendevano. Io portavo gli occhiali fino a 35 anni: è
come se si fossero aperti, si fossero allineati i due emisferi.
La maggiore difficoltà che si può incontrare nell’approccio con il cliente è di sbagliare l’inquadramento
della persona, ovvero capire se ha bisogno di tanto o di poco.
Il counselor deve entrare in un ruolo che è il ruolo primario: è lui che gestisce il gioco. Ha, quindi, una
caratteristica di potere che se usato in modo intelligente aiuta a sviluppare il potere anche nell’altra
persona. Le persone che non hanno mai avuto il potere o hanno paura di gestirlo in modo diretto, possono
avere dei grossi problemi. Il counseling dà loro una possibilità per superarli. Il counseling in questo
ambito deve essere visto - soprattutto se sviluppato sulla ricerca personale, sulla crescita umana – come
un lavoro da investigatore dell’anima, che cerca qual è il punto forte su cui lavorare, qual è il punto che si
è rotto nello psicosoma della persona, dove ha originato il primo grosso conflitto o uno dei principali
conflitti. Quindi la persona può ritornare indietro, ricostruire e rivivere, perché tutto ciò permette di fare
un salto di consapevolezza sciogliendo un processo.
“Qual è la via d’accesso più intelligente al cuore della persona? Qual è il punto per riportarlo su di sé?” Si
deve trovare il suo punto d’accesso, dove la persona si rilassa. A volte può essere ottimale usare
un’energia forte, perché la persona ha bisogno di qualcuno che la porti, la conduca nei meandri dello
psicosomatico. A volte è necessario tenere l’energia bassa, perché la persona ha paura di inoltrarsi, di
affrontare, preferisce stare ferma o fare il minimo. Altre volte la persona ha bisogno di un’energia
materna, a volte di un’energia neutra oppure paterna. Quindi se l’operatore prende una posizione che non
è in risonanza con la persona, questa diffida. E allora si cambia approccio.
In questo ambito bisogna fare attenzione al gioco delle proiezioni. Capiterà di lavorare su vari tipi di
caratteri e ognuno avrà i suoi lati stupidi, intelligenti, sensibili o pesanti, ma è necessario lavorare senza
giudizio. Se lavorando con uno psicopatico, dentro si pensa che è un figlio di buonadonna, si è finito di
lavorare con gli psicopatici. Se si pensa che l’orale è un debole, si è finito di lavorare con gli orali. È
fondamentale uno stato neutro di presenza, e togliere energia all’identificazione col giudizio. Non è
semplice. Il pensiero viene, non si può evitare, almeno all’inizio, che venga il giudizio in forma di
pensiero. La strategia più giusta è lo spostamento dalla testa al cuore.
Provando ad immaginare una prima sessione, appena si è di fronte alla persona, si deve cercare di
decifrare la bolla energetica in cui vive. Si osserverà il volto, le caratteristiche somatiche, la postura… si
cercherà di intuire anche solo in parte cosa sta vivendo e che cosa le potrebbe essere utile. La cosa
importante è che al di là dei convenevoli il cliente, se vuole chiedere qualcosa, lo fa. Con il cuore aperto,
si sta in ascolto e nell’accoglienza. Con più presenza e centratura, l’operatore ascolta le proprie
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sensazioni, che emergono nell’ascolto dell’altro. Proverà a vedere gli aspetti che fanno parte della
maschera della persona. Deve cercare di sentire che cosa ha questa persona dentro, nella sua parte interna,
qual è il suo potenziale. Si chiederà: “Perché questa persona ha ancora questa maschera? Che cos’è che si
porta addosso? Potrebbe lasciarlo? Che cos’ha dentro? Che evoluzione ha la sua consapevolezza?” “Se io
fossi al suo posto, se io fossi un’anima con quella maschera, se io fossi una coscienza in quella situazione,
cosa potrei fare? Questa persona davanti a me può fare qualche cosa?” Ha la possibilità di uscire dalla sua
maschera? Ha le facoltà, le risorse per un processo di trasformazione? E come lo può fare?
L’operatore invita la persona a rilassarsi e sentirsi… “Lascia andare le tensioni nel corpo, fai un bel
respiro profondo, chiudi gli occhi e rimani un attimo in silenzio ascoltando semplicemente il tuo respiro.”
Si entra nel silenzio, cercando di vedere la coscienza dietro la maschera e ascoltando quello che arriva.
Chi c’è dentro questa persona? Aprendo il cuore, c’è un canale che passa da cuore e cuore.
La persona potrà stendersi per una respirazione, o può restare seduta a raccontare le sue storie.
L’operatore deve guardate oltre, andare oltre la maschera, sentire cosa c’è oltre la persona. Può anche
fermarla e farle delle domande, annotandole nella scheda personale. Potrebbe essere una persona molto
preparata. All’inizio si può chiedere che lavoro ha già fatto su di sé (psicanalisi, yoga, reiki). Chiedere
qual è la sua religione e come vive l’autorità, può essere utile per capire se usa la sua energia o ripete ciò
che le è stato detto. È importante farle rimarcare quando usa la sua energia, perché è una forza da cui può
attingere.
Dopo il colloquio la persona si sdraia, chiude gli occhi. L’operatore chiede dove le fa male toccandola nei
centri energetici: che reagisca o no, la invita a respirare. Se ride, va bene, perché sblocca il diaframma,
porta l’energia della pancia al cuore e alla gola. Già così si cambia l’umore: se si riesce a far ridere un
depresso, metà del lavoro è già fatto. Tutto ciò può durare circa mezz’ora. Dopodichè la invita a sentire
tutto il corpo, dalla testa ai piedi. Se non sente i piedi, invita la persona a prendere coscienza dei piedi
mentre glieli tiene con le mani. L’operatore continua a dirle di respirare nel cuore e nella pancia per
sentirsi tutta intera. Solitamente le persone non sentono i piedi, perché non mollano la pancia. Anche
l’operatore deve avere un respiro fluido, deve mollare. E si rimane così, nel silenzio, per un po’. Se
all’inizio le ha chiesto di sentire il corpo, alla fine le chiederà dove finisce la sua energia. La persona può
rispondere di non sentire più il corpo, di sentire di espandersi fino a non sentire più il limite. Bene, lì è in
fusione: si è spento il senso dell’identità, è come se stesse dormendo in modo cosciente. Siamo sul quarto
livello di coscienza. Se, invece, la persona ritorna alla mente, l’operatore, massaggiandola, potrà
sussurrare: “Benissimo, continua a sentire il cuore che si apre sino a respirare in cima alla testa. Senti la
pancia bella calda.” In questo stato riprende lo stato di vuoto, molla tutti i muscoli, abbandona la testa, le
tensioni, e nel silenzio sente soltanto il respiro… tutto il corpo è intero e l’energia è tutt’attorno al corpo
…. pian piano molla e sente che l’energia si espande. La coscienza non ha più un limite sensoriale.
Quando l’operatore è a questo punto può dire: “Apri il cuore (non sempre è aperto), senti la gioia e il
piacere di stare in questo spazio vuoto.” “Senti chi sei. Questa è la tua essenza, la tua anima, l’energia che
ti anima. È un’energia vuota, ma sensibilissima e viva. Respira.” E ancora: “Sentiti. Senti tutto il corpo. È
vivo. Senti questo spazio silenzioso, questa è la tua natura. Stai bene, stai bene con te stessa.” Se la
persona aveva all’inizio una rabbia, una tensione, un problema, l’operatore può chiedere: “In questo
momento dov’è finito il problema? Senti il dolore? (se è un dolore fisico, c’è ancora) Tu come stai?
Adesso come ti senti?” La persona può rispondere: “Non c’è più il problema”, oppure se c’era un dolore
fisico “Sì, lo sento, ma è diminuito, è più piccolo, è lontano”. E pian piano da questo spazio che è di
pancia, è impersonale, la riporta al cuore. “Apri bene il cuore, senti come potresti stare bene in questo
spazio. Ci abbiamo messo pochi minuti ad entrarci. Puoi farlo in tutti i momenti della giornata. Questo
spazio è la tua natura. È disponibile. Devi solo portare dentro la tua consapevolezza.” E pian piano le
massaggia il cuore o le fa mettere la sua mano sul cuore. Per rinforzarla le fa dire: “Esisto” provando a
sentirsi totalmente, non soltanto con la mente. “Esisto”. “Bene, questo è il tuo spazio di coscienza. Questo
106
è il tuo sé.”
Una delle strutture più importanti di tutto il lavoro sono le risorse. Le persone non escono dal loro stato di
malessere, perché non hanno le risorse. Lo stato di coscienza è la loro risorsa. Se l’operatore vuole fare un
po’ di PLN transpersonale, quando la persona è in questo spazio le fa – ad esempio - rivedere quella cosa
che non riusciva a fare o vedere: “Avevi il conflitto con tua madre/padre/moglie/marito/sorella/fratello.
Non riuscivi a dire o fare qualcosa. Va bene. In questo momento cosa diresti stando nel cuore? Prova a
dire “Amore”. Parti dal cuore. Cosa cambia?” oppure “In quella situazione che per te è critica o senti
dolore allo stomaco, prova con la tecnica di Atisha. Respiraci dentro col cuore. Che bello!” Alle persone
che si sentono infelici l’operatore può dire: “Come ti senti adesso con il cuore aperto? Dicevi che non ti
senti amata. Senti adesso che questo amore ce l’hai tu”. E pian piano rinforza il senso dell’identità. “Ce la
fai. Senti che bel cuore hai.” “Ce la fai. Tu ci sei. Fallo adesso”. In quel momento si è in simbiosi: la forza
dell’operatore con la forza della persona, cuore con cuore. C’è una trasmissione, un canale aperto. In
questo momento, senza perdere un grammo di energia, perché la simbiosi genera più energia, l’operatore
trasmette saggezza. È un processo catalitico, è una risonanza. Entrambi guadagnano più coscienza e più
cuore. Quando si riesce a lavorare a questo livello, anche l’operatore ne trarrà benessere. Se invece il
depresso è più forte di lui e non molla, l’operatore uscirà dalla sessione come uno straccio. Attenzione! Si
deve uscire bene anche se stanchi. L’energia deve essere pulita.
PSICOLOGIA DELL'EVOLUZIONE UMANA
LA GENESI DEI BLOCCHI PSICOSOMATICI
Nitamo Montecucco
Tratteremo ora un argomento fondamentale della psicologia, l’evoluzione umana, in termini decisamente
più ampi di quanto non si faccia all’interno delle normali scuole di psicologia, dove il concetto di
evoluzione si ferma all’inizio della maggiore età. Normalmente gli elementi psicopatologici, presenti in
un paziente, vengono fatti risalire alle origini genetiche, epigenetiche, infantili, ai condizionamenti, alle
strutture sociali che la persona ha vissuto. Per noi è molto più di questo. Per noi l’evoluzione psicologica
umana rappresenta un processo “spirituale” che si espande all’intero arco della vita. Per questo motivo
faremo un excursus generale dal concepimento alla morte e cercheremo d’integrare le varie informazioni
dei passaggi della vita con quelle sulle strutture dei blocchi, dei caratteri e della creazione della
personalità. Recuperiamo tutte le informazioni finora viste e proviamo a mettere in evidenza le forze
interiori ed esteriori che un bambino o una bambina, quando nasce, possiede, e che possono essere
sviluppate o trattenute, che si possono incrementare o che possono essere inibite o addirittura castrate.
Attraverso questo processo vedremo la formazione del carattere, delle personalità psicofisiche, vedremo
come certi elementi o certe forze psicofisiche o psicoenergetiche vengono – come abbiamo in parte già
visto – in evidenza o vengono inibite. Per noi è molto importante avere un quadro molto preciso, seppure
semplificato, di cosa una persona, con particolari problemi, deve fare per poterli risolvere.
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L’ipotesi coscienza: la vita come evoluzione della consapevolezza
Nella visione olistica delle antiche scuole tradizionali, come nella moderna visione transpersonale, esiste
il concetto di anima che si incarna. Fin quando non potremo fotografare o misurare scientificamente
l’anima, prenderemo la coscienza globale di una persona come un’ipotesi di lavoro. Partiamo con cautela
parlando di ipotesi di coscienza, di anima, perché nella nostra visione questi concetti possono offrire un
profondo senso delle cose umane, hanno una loro precisa logica interna, ma non possono essere validati
scientificamente. Quello che diciamo può essere vero o falso, e con questo presupposto iniziamo il
percorso dell’anima che inizia il suo percorso nella vita.
Con questa ipotesi di partenza, immaginiamoci l’esistenza come un processo di evoluzione: come esseri
viventi abbiano livelli diversi di evoluzione – gli invertebrati, gli insetti, i rettili, i mammiferi, gli umani.
Partiamo dalla semplice considerazione, che sarà di immensa importanza nel processo della crescita
umana, che possono esistere categorie diverse di esseri umani, nel senso di coscienza, di consapevolezza
di sé. Ma ricordiamo che il fatto che un rettile, una lucertola o un gatto siano inferiori a noi nella scala
evolutiva della consapevolezza, cioè che abbiano una coscienza minore della nostra, non ci dà il diritto di
sopprimerli né di lederli in nessun modo. Il ruolo gerarchicamente superiore degli uomini non significa
che li comandano, come vorrebbero far credere molte religioni, che Dio ha creato l’uomo per essere a
capo di tutto il mondo, ma al contrario implica da parte degli uomini dei doveri etici verso chi è meno
evoluto. Pur esistendo categorie diverse di anime, cioè di risveglio delle anime, possiamo avere un
contesto quasi al contrario, vale a dire che le anime più evolute sono quelle che, secondo me, hanno
maggiori responsabilità. L’anima più evoluta di un essere umano, invece di schiacciare la lucertola,
potrebbe amarla, aiutarla. Con questa logica, l’evoluzione delle anime non comporta una gerarchia dove
quelle più evolute comandano quelle inferiori. Semmai quelle più evolute hanno più comprensione, hanno
più diritti-doveri rispetto a quelle meno consapevoli. Per noi un’anima più cosciente ed evoluta avrà
maggiore libertà di scelta della propria vita, meno condizionamenti, più integrità, più amore e più potere
per essere e realizzare se stessa.
Il concepimento: inizia il viaggio
L’anima a un certo livello viene attratta da due genitori, c’è una situazione umana congrua per entrare in
incarnazione. L’energia luminosa della coscienza entra nel momento del concepimento e si trova ad
essere il punto centrale “superimponendosi” ai due singoli codici genetici del padre e della madre che si
stanno fondendo in una nuova doppia elica di DNA.
Innanzitutto è da precisare che, sulla base di centinaia e centinaia di casi, abbiamo osservato che ci sono
anime che vogliono incarnarsi e anime che non vogliono incarnarsi, ma che “devono” o si sentono
costrette ad incarnarsi. Durante le tecniche di regressione quando chiedevamo alle persone che
partecipavano all’esercizio che cosa sentivano nel momento del concepimento, ricevevamo due risposte
polari molto evidenti: “voglio entrare” oppure “non voglio entrare”. I positivi sono la maggioranza, più
dell’85% dei casi, i negativi sono comunque consistenti e spesso sono associati allo sviluppo di
esperienze emozionali o psicologiche negative, depressioni gravi in particolare.
Quando lo spermatozoo raggiunge l’ovulo, per l’anima che si deve incarnare c’è a disposizione il codice
genetico dei due genitori che ha caratteristiche specifiche fisse (ad es. pelle gialla, occhi scuri, ecc.), ma
che – in quello specifico istante - può essere combinato e polarizzato in infiniti modi diversi (se non
avvenisse tutti i figli sarebbero uguali). Quindi l’energia-informata di quella specifica anima influenza e
polarizza una specifica ricombinazione dei geni materni e paterni e in particolare una attivazione o
inibizione dei tre foglietti embrionali, dai quali si svilupperanno il sistema fisiologico-istintivo, il sistema
emozionale-comunicativo e il sistema mentale-sensoriale.
L’anima ha caratteristiche psichiche-energetiche. Immaginiamo ad esempio che la nostra anima abbia dei
108
colori più sviluppati di altri, ad esempio il blu che è il colore della mente, o il giallo-verde che è il colore
del cuore, o il rosso-arancione che è il colore della pancia. Può influenzare una forte pancia che catalizza
il sistema del foglietto embrionale basso, metabolico; oppure può influenzare e attivare un sistema
nervoso più sensibile e intelligente; oppure può stimolare lo sviluppo emozionale di un grande “cuore”
che bilancia i due elementi polari, testa e pancia, con il foglietto medio. L’energia dell’anima non agisce
“materialmente”, ma catalizza per “risonanza” e “coerenza” i codici genetici andando così a stimolare i
due codici che in quel momento si stanno unendo.
Quindi sin dall’inizio l’anima ha una base genetica fissa (costituzione generale, razza, colore, caratteri
genetici dominanti, ecc.) e una serie di caratteri personali (costituzione energetica-psichica, stimolazione
o inibizione di alcune funzioni neuro-psico-endocrine, ecc.).
A questa base naturale e psico-energetica si aggiunge il fattore casuale. Il bambino, come qualsiasi
macchina che esce da una catena di montaggio, può subire dei difetti di partenza che non sono voluti, ma
che a volte sono tecnicamente inevitabili. È il caso delle malattie genetiche, dove i geni subiscono
mutazioni per radiazioni ionizzanti o sostanze radioattive (come i bambini deformi o leucemici di
Chernobil), o per malattie infettive nella donna in gravidanza (come la cecità del bambino in caso di
rosolia della mamma), oppure la mamma prende una medicina come il Talidomide e la bimba nasce
focomelica. Questo non è un karma, un castigo divino dovuto alle cattive azioni passate, ma una
situazione casuale che può accadere anche ad animali innocenti. L’anima sceglie dei genitori che hanno
molto cuore, però entrambi possono avere nel loro DNA un gene recessivo per una malattia che
ricombinandosi può diventare dominante e manifestarsi nel corpo del bambino. L’anima non può
scegliere tutto. L’anima entra nel corpo e inizia il viaggio.
Le grandi scuole taoista, cinese o tibetana sostengono che nel momento del concepimento l’energia è
orgastica, fisica, ma anche animica dei genitori, ed essa crea una forza di base della vita di questo essere
che ci sarà e che continuerà per tutta la vita. Quindi, a volte abbiamo persone che partono già con una
forte carica, a volte invece abbiamo una carica debole. Può essere una carica più fisica, più emozionale,
più psichica o in alcuni casi anche più spirituale. E pian piano inizia il percorso dentro l’utero. A due mesi
e mezzo di gestazione inizia a formarsi il sistema nervoso, il sistema sensoriale, pertanto il feto inizia ad
avere prima delle percezioni, chiamiamole, indirette, e poi dirette, nel corpo – sensazioni – di quello che è
l’ambiente fisico, emozionale e psichico della mamma.
Il cuore della Mamma è la vita del bimbo
Quando un bimbo è concepito ha la necessità di essere “nutrito” su tutti i sette livelli. Ha bisogno di
nutrimento fisico che viene dal canale ombelicale, ma ha altrettanto bisogno di nutrire il proprio cuore di
amore, di sentirsi accettato e desiderato dalla mamma. Se già dai primi mesi di gravidanza la mamma è
depressa, triste, preoccupata, arrabbiata o ha degli incidenti, se non ha il tempo di ascoltare il bimbo nella
propria pancia, questo bimbo nascerà con una chiusura più o meno grave del cuore e del livello
emozionale. Non che “non abbia un cuore”, ma il suo cuore verrà fortemente ostacolato. Se questa anima
ha un cuore poco sviluppato, più di tanto non gli interessa; se, invece, è un’anima evoluta e ha grande
bisogno di amore questo creerà un blocco, un ostacolo nella sua vita futura. Ricordiamo che il cuore è
anche il centro fisico dell’identità, della coscienza di sé, e per questo motivo queste considerazioni sono
particolarmente importanti.
Il periodo intrauterino
Roberto Sassone
Il carattere di una persona è il segno inciso e per Reich è soprattutto il modo in cui un individuo si è
potuto strutturare adattandosi all’habitat in cui progressivamente si è formato. Il carattere reca in sé anche
la difesa che l’individuo, per sopravvivere, ha strutturato in modo da rapportarsi alla realtà; la difesa è
funzionale alla sua salvezza ed è il modo migliore in cui ha potuto adattarsi. Questo è un altro discorso
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molto importante, perché dalla modalità, da come un individuo si manifesta nella relazione, noi possiamo
comprendere da che cosa si è dovuto difendere e anche qual è la potenzialità da sviluppare, allentando la
difesa che è stata funzionale alla protezione in quel determinato momento della sua vita.
Tuttavia, quando ci riferiamo al carattere, pensiamo alla parte più evoluta di esso: al modo di comportarsi,
di rapportarsi, alle modalità con cui agiamo e quindi anche all’emotività che manifestiamo, al tipo di
emozioni che ci concediamo. Secondo questa definizione, visto che il carattere si struttura nel nostro
corpo, poiché abbiamo tutta la relazione con la vita attraverso l’impatto fisico e quindi emotivo, questo
impatto lo abbiamo dal momento del concepimento fino alla morte. Quindi, possiamo iniziare a parlare
anche dell’intrauterino, ovvero l’individuo inizia ad esistere nel momento in cui lo spermatozoo e l’ovulo
si incontrano. È la carica energetica delle due cellule, così come lo stato di coscienza e l’energia vitale dei
due genitori al momento del concepimento, a caratterizzare l’inizio di una nuova vita. Il piccolo grumo di
cellule, in relazione con una parete che lo definisce e il tipo di relazione – anche se non è una relazione
consapevole – determina già il suo modo di funzionare. Il codice genetico che deriva dalla fusione dei due
codici maschili e femminili determinerà l’impalcatura. Ma è fondamentale l’habitat in cui si sviluppa.
L’utero non è solo un contenitore, ma esprime l’assetto energetico della madre durante i nove mesi di
gestazione. Il feto è come se fosse un organo della madre, tutto quello che accade alla madre passerà al
feto. Ecco perché è importante comprendere il tipo di madre che la persona ha avuto, ma non tanto per
l’aspetto psicologico, ma proprio per caratteristiche fisiche, energetiche ed emotive. Vale a dire, che
habitat consentiva al feto questa madre? Era una madre depressa, con poca vitalità, ansiosa, oppure una
madre sovraeccitata, con una struttura molto rigida, con un accumulo di energia molto forte, una madre
con attacchi di panico, una madre psicotica? Tutto ciò ci dà la possibilità di vedere il quantum energetico
di base che è presente nel big bang dell’incontro dello spermatozoo e dell’ovulo e di osservare se il feto è
cresciuto in un utero ricco di energia vitale oppure no.
Detto questo, ecco perché è importante anche comprendere la relazione tra i coniugi, cioè il modo in cui
si è strutturata la relazione tra il padre e la madre, che non dà soltanto la capacità di comprendere le
successive fasi evolutive dell’individuo, ma dà anche il senso di una qualità eventuale che può avere
questo feto. La relazione tra padre e madre non la dobbiamo vedere soltanto come la relazione tra due
individui, come relazione psicologica-emotiva, ma c’è anche la qualità interiore. Ovvero, ci può essere
una madre o un padre che pur avendo una serie di situazioni nevrotiche, hanno una qualità interiore,
un’anima, una qualità sottile di buon livello e che quindi passano, al di là della modalità strettamente
psicologico-emotiva, un contenuto spirituale. Anche la qualità animica dei genitori si trasmette
esattamente quanto la qualità o la disfunzionalità psicologia, energetica, ecc.
Voglio quindi sottolineare che è importantissimo porre l’attenzione sul Cuore della persona che viene da
noi. Ci si può trovare di fronte a persone con una storia veramente disastrata. Mi viene in mente una
donna con una madre alcolizzata, violentata ripetutamente dai sei-sette anni da uno zio, e rinchiusa di
giorno dal padre in uno stanzino buio e sporco. Questa donna avrebbe potuto diventare facilmente
schizofrenica o autistica. Chiaramente c’era in lei un grande rifiuto della sessualità, perché ovviamente
viveva lo schifo della violenza subita. Era cresciuta poco in altezza e in più era grassottella e sgraziata.
Non era un fatto genetico: era tutta compressa per riuscire a resistere a quella vita.. eppure era
bellissima!!! Ho scoperto sin da subito, lavorando con lei, che aveva un’anima meravigliosa. Era una
persona che, bastava tu le aprissi la possibilità di sentire la sua dimensione interiore, immediatamente si
apriva. Avevo la sensazione che in lei ci fosse una potenza pronta ad emergere. Questa persona ha
sviluppato nel giro di tre anni - su un altro si sarebbe dovuto lavorare molto di più - una spiritualità, una
comprensione che l’ha aiutata a sciogliere e ad affrontare questi traumi pesantissimi che, secondo me, non
avrebbe mai potuto affrontare usando soltanto gli strumenti psicologici. Lei, invece, ha usato la potenza
della sua anima individuale che io chiamo il centro psichico (usando il linguaggio di Aurobindo), per
reggere ed elaborare questa storia così pesante.
Pertanto sostengo che soltanto un operatore olistico o uno psicoterapeuta a orientamento transpersonale o
110
comunque con un’esperienza interiore, possa aiutare una persona con questo vissuto. Da noi verranno,
anche un po’ per contagio, persone un po’ particolari. Per una questione di empatia e di trasmissione di
ciò che noi siamo veramente, si avvicineranno a noi persone che chiederanno altre cose, persone che
avranno anche bisogno di lavorare sulla loro struttura caratteriale, ma essenzialmente questo lavoro sarà
per loro un’occasione di risveglio interiore. Vogliono avere la possibilità di contattare il livello del cuore,
ma attenzione! Non il livello del cuore esclusivamente emotivo, ma quello che sta dietro, più in
profondità, cioè il contatto con la propria anima. Il contatto con la propria anima è la percezione di
esistere. Noi potremo aiutare queste persone se avremo un’attenzione particolare a questo tipo di
“Presenza”, se entreremo in contatto empatico con questa presenza profonda che chiede, al di là delle
parole, di essere riconosciuta.
La densità energetica
Luisa Barbato
L’unione tra il padre e la madre non solo unisce le loro cariche energetiche distinte, ma la loro interazione
definisce qualcosa che viene considerata la carica energetica, cioè un quantum energetico che viene
stabilito alla nascita e che è immodificabile. Lo si colloca nel primo chakra o, per i cinesi, tra i due reni, e
viene chiamato il Ming Men – la porta della vita. Sono le pile della vitalità che continueranno per tutta la
vita. Il deficit energetico non è recuperabile, nessuna psicoterapia potrà agire, ma si può provare a
compensarlo. È una delle cause principali, una delle condizioni perché ci sia un sistema psicotico, perché
le persone psicotiche hanno una bassa densità, una mancanza di quantum energetico. Questo, tuttavia, non
vuol dire che poi la persona non sviluppi, in fasi successive della vita, una struttura di copertura che dia
l’impressione di essere forte, rabbiosa, incisiva. In realtà il deficit è molto profondo, si struttura a livello
di vita prenatale, nella relazione primaria con la madre. Se la madre, durante i nove mesi di gestazione,
non passa un sufficiente quantum energetico, sarà altissima la probabilità che il bambino venga con un
vuoto di base.
Nitamo Montecucco
La considerazione di base è che nelle gravi mancanze, all’atto del concepimento i due genitori non
stavano bene: lei soffriva o aveva subito una violenza o non volevano un figlio, o non lo voleva uno dei
due, c’era disarmonia. Oppure la mamma, durante la gravidanza, non ha avuto contatto con la propria
pancia, non voleva un figlio, non lo desiderava. E questo comporta una mancanza energetica di fondo, per
cui il I^ chakra, il rinforzo fisico primario, viene a mancare. Il II^ livello è importantissimo soprattutto in
quel momento, quando l’anima sensibile di una persona ha bisogno di quel nutrimento di amore o di
riconoscimento ancora più profondo e non lo riceve. Va in una situazione di grandissimo disagio. È come
se non avesse il diritto di esistere. Non ha lo spazio, non gli viene dato né fisicamente né emotivamente
né spiritualmente il diritto di esistere e, quindi, ha una serie di buchi.
Ho avuto persone con genitori che stavano bene insieme, ma erano il terzo figlio non desiderato, o il
primo figlio non programmato. In questi casi c’è una debolezza del senso dell’identità sul cuore e sulla
presenza profonda. Quanto detto da Roberto Sassone è importantissimo. Noi possiamo avere dei casi
gravissimi, casi intermedi e casi dove c’è un buco ma non grave. Ma soprattutto nei casi intermedi o
borderline, a volte il solo esercizio terapeutico non è sufficiente. Dobbiamo andare a ripescare e a
sviluppare nella persona il senso della presenza dell’identità e farle sentire che comunque lei è un’anima
al di là di quello che è successo. Questa forza (spesso anche la spiritualità come dio o forze più grandi di
noi con cui noi siamo intimamente e profondamente in contatto) ci dà un punto di riferimento importante,
perché ricrea quel centro di identità che durante il concepimento o la gravidanza non c’è stato. E quindi
permette di recuperare un momento veramente critico.
L’anima si porta dentro l’archetipo dei sette chakra. Abbiamo definito anima come l’insieme di tutte le
energie coscienti, di tutti gli spiriti degli organi; al centro c’è la parte profonda che chiamiamo spirito, che
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ha una natura transpersonale. Finché rimaniamo nella natura personale, tutte le cose che ci accadono,
nutrono o impoveriscono l’anima.
Traumi e tensioni intrauterine
Roberto Sassone
Provo a dare una chiave complementare all’intrauterino. In questa fase possono accadere cose molto forti
e possono segnare dei traumi. Il tipo di situazione energetica della madre, il tipo di tematiche che ha ci
fanno avere un’idea, ma se vogliamo collegarci con gli aspetti più evidenti che scandiscono il percorso
del feto, sicuramente una delle cose più gravi che può verificarsi è la minaccia di aborto. Oppure,
addirittura, un tentativo di aborto da parte di una madre che non vuole avere un figlio.
La situazione che abbiamo descritto è per il feto una minaccia di morte. A questo punto dobbiamo
ricordare che i due movimenti complementari dell’essere vivente sono la contrazione e l’espansione.
Quindi, la contrazione è fondamentalmente legata alla difesa, alla paura, come se uno cercasse di fare
corpo con se stesso, mentre l’espansione è legata al piacere. Nel ritmo della vita queste due pulsazioni
devono essere complementari per dare movimento alla vita stessa. Se c’è un trauma molto grande, esso va
a segnare la struttura dell’individuo con una contrazione che rimane incisa nella memoria del corpo.
Quindi una minaccia di morte in un feto che non ha ovviamente ancora la consapevolezza di sé e, quindi,
non ha la possibilità di elaborare il vissuto traumatico, è un segno inciso molto forte. Ci si porta dentro un
riverbero molto forte di morte. Cionostante vediamo l’aspetto positivo di tutto questo.
Si è visto che persone che hanno nella storia dell’intrauterino traumi di questo genere, sviluppano anche
come necessità potenziale una forma di allarme, che però diventa anche una grande sensibilità a cogliere i
pericoli. Proprio perché in loro, dentro, profondamente, c’è stata la necessità di difendersi da questa
minaccia, hanno acuito con lo sviluppo psichico successivo, dopo la nascita, una grossa sensibilità a
cogliere le cose. Quindi, l’aspetto positivo è che le persone che hanno avuto questo tipo di trauma
intrauterino sviluppano una capacità che diventa quasi intuitiva nel cogliere il pericolo nella vita. Sono
persone che riescono a cavarsela, sono persone che proprio per questa sensibilità riescono a muoversi e
vivere in dimensioni che per altri sarebbero più difficili. Quindi, non sottovalutiamo o dimentichiamo
l’aspetto positivo. Ciò dimostra che ogni trauma può essere adoperato come lezione di vita. Ed è
altrettanto importante l’atteggiamento dell’operatore che può o sottolineare l’aspetto dell’ombra in una
chiave esclusivamente patologica, oppure andare ad esaminare e sottolineare l’aspetto dell’ombra come
possibilità per sviluppare la qualità che quell’ombra mette in evidenza.
Come operatori, dobbiamo lavorare su quello che c’è ed in tutta semplicità, senza fare troppe
interpretazioni, per non rischiare di creare un codice, un sistema rigido. Il sistema deve essere molto
flessibile per dare la possibilità di includere una serie di esperienze che non rientrano nel sistema.
Un sistema è forse più utile per uno psicoterapeuta, anche se pericoloso. Per un operatore che è legato più
all’ascolto che alla presenza, è importante che quello che c’è, che viene manifestato come tematica, sia
vissuto come una possibilità per l’altro, anziché entrare nell’interpretazione di cosa può significare a
livello del profondo. Poi, se è una qualità dell’anima, quella parla da sé. Noi non possiamo fare molto. Se
c’è una qualità dell’anima, ognuno di noi ha una sua potenza, una forza archetipica propulsiva che gli
viene in aiuto. La raccolta dei dati sull’intrauterino per un operatore è molto importante, perché
l’anamnesi del cliente può dare la visione d’insieme delle varie fasi di sviluppo dell’individuo. Anche se
il cliente non lo può ricordare, può fare un’indagine successiva parlando con la madre o altri familiari.
Il contatto o il non-contatto intrauterino
Nitamo Montecucco
Una cosa che accade a livello intrauterino - partendo da due genitori che comunque vogliono il figlio, che
hanno qualche problema generale più o meno normale - è che la mamma non ha “contatto” con il proprio
corpo e quindi con il bimbo o la bimba. Sono venute da me tantissime mamme al quarto-sesto mese di
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gravidanza che non si toccavano mai la pancia o non si mettevano in ascolto del bambino. A questo
proposito, prendendo ad esempio la civiltà indiana, ci sono un’infinità di pratiche di massaggio della
pancia, ed i canti (c’è un libro bellissimo di Leboyer sui canti indiani delle mamme al proprio figlio). È
chiaro che non arriva la parola, ma gli arriva la vibrazione. Questo è un grandissimo nutrimento che tutti i
popoli primitivi hanno compreso e che da noi esiste molto poco. Da una mamma che non si massaggia,
che non parla al bambino in grembo, il bambino non riceve il contatto e quindi è come isolato.
Il secondo caso, piuttosto frequente, è la mamma che non ha contatto con il corpo perché è troppo tesa:
lavora, è sempre nella testa, ha mille preoccupazioni e anche se ama il suo bimbo è come se trascurasse il
suo corpo. La base della meditazione è il profondo rilassamento. Senza un profondo rilassamento del
corpo non possiamo arrivare ad una forma di meditazione profonda. Una delle cose con cui l’operatore
può entrare in aiuto, è il MATERNAGE. Abbiamo strutturato il maternage con un semplice esercizio: in
posizione seduta, l’operatore apre le gambe e accoglie la persona, in posizione fetale, la testa poggia sulla
coscia dell’operatore; la si abbraccia come se fosse la propria pancia e la si coccola cantandole una ninnananna. Le persone che hanno avuto una mamma che si rilassava nella pancia, mollano la testa ed entrano
istantaneamente in una sorta di sonno/rilassamento profondo, si lasciano andare. Le persone, invece, che
hanno avuto una mamma molto di testa e poco nella pancia, non mollano.
Questo semplice esercizio fa ritornare in un clima in cui il bambino piccolo è protetto, amato e dove non
ci sono preoccupazioni né problemi, né tensioni. Le persone vivono questo spazio che dovrebbe essere lo
spazio reale intrauterino di base, dove la mamma si concede una grande pienezza e gioia e dove il
bambino se la gode e vive una sorte di Eden. È una situazione di grandissimo piacere che ogni giorno le
persone possono riprovare: ogni volta che vanno a letto, ogni volta che si rilassano possono rientrare in
quello spazio intrauterino. Non porta alcun tipo di alterazione particolare e può essere praticato a tutti.
Mollando la testa ed entrando nello spazio della pancia, l’operatore fa rivivere alla persona la tenerezza
della mamma. Come se l’energia di pancia abbracciasse tutta la persona, tutto il corpo della persona e
attraverso questo semplice movimento che induce il sonno, induce le onde lente del cervello riportandole
così a rivivere il periodo positivo dell’infanzia o a recuperare se ce n’è stato poco. Quindi si estende tale
esperienza e la si fa ritornare ad una delle esperienze di base della vita.
Roberto Sassone
Il contatto definisce l’individuo. Attraverso il contatto si inizia a strutturare l’individualità. Non stiamo
parlando del discorso più avanzato dell’individualità dell’anima, ma stiamo parlando della persona. La
persona cresce, si sviluppa all’interno della madre e ciò che è fondamentale è che il riconoscimento
dell’altro passa attraverso il contatto. Infatti, nella maggior parte dei disturbi della personalità, c’è un
grande disordine nella percezione della propria identità perché c’è un grande disordine del proprio
contatto. Questo contatto non è stato dato e non è stato preso.
Il contatto è qualcosa di più del toccare, perché il nostro corpo non finisce ovviamente dove finisce la
pelle. C’è il corpo energetico che normalmente si può chiamare eterico, l’emanazione energetica del
corpo fisico. Poi c’è il corpo astrale che è il corpo emotivo, e altri corpi ancora, ma questi due livelli
passano continuamente nella relazione. L’incontro tra due persone avviene prima con questi due corpi,
poi con il contatto fisico per cui è importante essere consapevoli come operatori di questo fenomeno.
L’assetto, la posizione, la presenza e le emozioni che ha l’operatore determina e influenza il
riconoscimento o meno del cliente che ha di fronte. Quindi non è un atteggiamento esteriore, la
benevolenza o l’accoglienza non può essere improvvisara, deve essere un reale accoglimento.
Il contatto definisce l’identità dell’ego e ricordiamoci, che per tutti i processi successivi di sviluppo una
buona identità dell’ego, cioè un equilibrio della struttura della personalità complessiva dell’individuo, è la
base su cui poggia e prende forma un autentico e reale percorso spirituale. Se vogliamo perdere l’ego che
è il nostro progetto di “ricercatori”, prima dobbiamo avere un ego armonico. Se non abbiamo un’armonia
nei nostri sottosistemi ovvero il rettiliano non è in armonia con il limbico, il limbico non è in armonia con
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il corticale e quindi questi sottosistemi non hanno una relazione di collaborazione, lo sviluppo spirituale
può avvenire in maniera alterata o sproporzionata rispetto la struttura di contenimento dell’individuo.
Il primo blocco psicosomatico: la percezione intrauterina di non essere amati
Nitamo Montecucco
Le persone che hanno un’anima molto sensibile e non ricevono, già a livello intrauterino in una normale
gravidanza, il contatto del cuore della mamma o il suo piacere/ benessere/ presenza, lo percepiscono
immediatamente.
Ho avuto un paziente che aveva avuto una mamma molto nevrotica. Quando, durante la sessione, entrava
nello spazio intrauterino si chiudeva. Gli arrivavano tutte le emozioni negative della mamma – ansia,
tensione – e lui andava in una reazione nevrotica di chiusura e protezione psichica. Si doveva stringere
dentro il suo uovo per non fare arrivare tutte le emozioni negative dalla mamma.
Altre persone, al contrario, sono già in uno spazio orale, sono lì con il cuore aperto: ogni tanto arriva un
po’ d’amore e poi non ne arriva più e già nell’utero hanno delle aspettative o a volte una frustrazione. Se
la persona ha un cuore non particolarmente sviluppato può andare in reazione.
Ho conosciuto persone che mi hanno raccontato che da bambini piccoli hanno immediatamente rifiutato il
latte della mamma. Erano già arrabbiati alla nascita. I motivi possono essere diversi: l’odore della
mamma, il sapore del latte, l’alito o il sudore maleodorante o anche un’incompatibilità tra madre e figlio.
Quindi, c’è un vero e proprio rifiuto da parte del bambino verso la mamma. Dobbiamo comprendere lo
stato di difesa che avviene già a livello intrauterino: o l’energia psichica della mamma non c’è, o il
bambino è egoico e non riceve quello che vuole dalla mamma e va in reazione
A volte le mamme sono molto amorevoli, ma un po’ ansiose o angosciate e il bambino le rifiuta
pesantemente. Quindi, c’è la relazione, ma il bambino ha più una reazione che non l’amore e l’affetto.
Il parto e la drammatica situazione di molti reparti di ostetricia
Nitamo Montecucco
Per quanto riguarda la mancanza di lattazione ci possono essere molti motivi. Il primo è che la mamma è
molto nella testa e non abbastanza nel cuore. Di questo sono molto corresponsabili gli ospedali che spesso
trattano le donne con durezza e con regole rigide, e a volte con una sorta di vero e proprio terrorismo
psicologico, dove il medico s’impone con arroganza tecnica e scientifica sulla madre, che non è più in
grado di essere in contatto con la propria sensibilità e intuizione femminile, non è libera di esprimersi.
L’ambiente è sterile, non è morbido, non c’è supporto per le donne. Questa violenza arriva alla mamma,
la fa rientrare completamente nella testa, la fa entrare in uno spazio gerarchico di potere - il dottore sa
tutto, tu non sai niente, tu ti devi fidare e gli devi ubbidire - e quindi la manda completamente fuori dal
suo centro pancia/cuore che è materno, facile, istintivo, intuitivo, libero. Tutto questo lo paga il bambino,
lo paga la mamma che diventa tesa e perde il latte.
Luisa Barbato
Basterebbero dei piccoli aggiustamenti, un minimo di assistenza umana, qualcuno che è accanto alla
donna e si prende cura di lei finchè non si assesta il tutto. Sono cose molto semplici, ma fondamentali.
Vorrei anche passare ad un tema preciso e importante di cui si parla molto poco ed è quello dei parti
prematuri. Per parti prematuri s’intendono i parti in cui la decisione di nascere non viene presa dal
bambino, ma viene presa dall’equipe sanitaria. Questa è diventata una piaga sociale.
Secondo il percorso naturale ad un certo punto, giorno più giorno meno, il bambino rilascia un ormone
che dà già l’anticipo alla mamma che sta succedendo qualche cosa. La mamma risponde con un secondo
ormone, c’è uno scambio ormonale per dire “va bene, è il momento”, a cui segue tutto il processo delle
contrazioni.
Non sappiamo quando è esattamente quel momento. In uno stato naturale è il bambino a decidere. Al
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giorno d’oggi, sempre più spesso, ‘questo momento’ non è rispettato, per cui prevale il bisogno di
programmare il parto o perché c’è un parto cesareo, o per una situazione di comodo del personale medico
(nel caso si prospetti il parto durante il weekend, si preferisce fare un’iniezione di ossitocina per
anticipare il parto), oppure c’è la situazione ansiogena, per cui appena superato esattamente il termine - in
realtà si potrebbe andare avanti altre due settimane - inizia una serie di controlli e alla fine si ricorre
all’ossitocina.
Dal punto di vista psicologico questo fatto non è neutrale, per cui una nascita prematura, in cui il bambino
non è pronto e viene improvvisamente spinto fuori, gli provoca una situazione di allarme. Esiste
un’ipotesi secondo la quale molte depressioni acute sono collegate ad una nascita forzata che ha
provocato un notevole calo di energia al bambino.
Tornando alle cause della mancata lattazione, si aggiunge la spinta all’utilizzo del latte artificiale da parte
delle case farmaceutiche, che addirittura finanziano l’ospedale se seguono la prassi della lattazione
artificiale. Dopo il parto, a volte passano anche quarantott’ore prima che scenda la montata lattea. Il
bambino ce la farebbe anche senza, ma lo allattano artificialmente e lo abituano così al biberon. Il
problema è che dopo bisogna fare un processo inverso per riportarlo al seno. Questo può portare problemi
orali e digestivi o intolleranze alimentari.
Nascite premature o forzate
Nitamo Montecucco
Quando affrontiamo in una sessione i rivissuti del parto abbiamo due situazioni da parte del feto:
Primo: “Voglio uscire, non ce la faccio più a stare qui dentro! Fate presto, lasciatemi uscire!”
Secondo: “Non voglio uscire, la mamma mi butta fuori”.
Sono situazioni molto comuni e vissute con precisione. In realtà l’interferenza può avvenire da tutte e
due: se la mamma è molto matura, può rilasciare questo ormone anche se non c’è un equilibrio con il feto.
Normalmente, nella legge naturale degli eventi, dovrebbe esserci questo accordo. A volte nonostante il
feto sia maturo, psicologicamente proprio perché non ha avuto abbastanza accoglimento e non si è sentito
forte, viene buttato fuori. Nelle matrici perinatali di Groff c’è questa analogia molto forte: se un bambino
ha vissuto bene l’intrauterino, questa esperienza è come un ritorno all’Eden, è come una situazione
ottimale di simbiosi, di fusione con il tutto che poi gli rimane, a cui, a volte, tende.
Roberto Sassone
Riprendiamo il principio che abbiamo assunto, ovvero che il tipo di esperienza che ogni individuo ha con
l’altro da sé, dà un’impronta specifica di come esso si relaziona con l’esterno. E, quindi, sono importanti
i passaggi da una fase all’altra. Il parto è il primo grande momento della separazione. È una cosa
banale, ma è fondamentale, perché lì c’è realmente un‘uscita da qualcosa. Si cambia completamente stato.
Innanzitutto, è da ricordare che si passa alla respirazione polmonare e quanto più è stata faticosa e
spaventosa per il neonato questa uscita, tanto più si fissa nel soggetto una modalità di questo passaggio.
Ciò significa che il come ci separiamo alla nascita dà l’impronta al come ci separeremo nella vita. Molte
difficoltà di separazione, ad esempio nelle coppie, sono ben determinate da quell’impronta fondamentale
della prima separazione. Poi, ci sarà la separazione dal capezzolo (lo svezzamento), poi ci sarà quella
edipica anch’essa molto importante. Quindi, noi abbiamo già tre modalità che ci possono dare indicazioni
su come l’adulto, che abbiamo di fronte come cliente, si orienterà nella sua vita.
Per quanto riguarda il parto diamo per scontati i traumi della nascita: la grossa fatica del nascere quando il
feto si trova incastrato nell’utero, oppure quando ha il cordone ombelicale attorno al collo che lascerà
nella persona il ricordo dell’esperienza di soffocamento, che potrebbe costituire il terreno su cui si
instaura la claustrofobia e la sensazione di sentirsi imprigionati. Sul piano psicologico ciò corrisponde
alla tendenza a sentirsi soffocati nelle relazioni affettive o nel lavoro. Se una persona si porta dentro per
esempio un’esperienza di soffocamento e di costrizione, questo è spesso un deterrente importante che
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sviluppa il desiderio di uscire dalla propria gabbia. È proprio l’esperienza negativa di essere rimasti
incastrati che sviluppa all’interno della persona un’aspirazione o un desiderio di riuscire a respirare, di
riuscire a rompere la chiusura, e diventa lo strumento e l’inizio di un percorso di evoluzione e di
trasformazione.
Nitamo Montecucco
Prendiamo l’esempio di un parto normale. Se il bambino già nell’utero ha un sufficiente primo chakra e
quindi reattività, una sufficiente forza interiore, diventa una prova che lo rinforza nell’avercela fatta. Se,
invece, il bambino già nel grembo materno ha ricevuto poca attenzione e poca energia fisica vitale
primaria, il parto può essere vissuto come una morte già all’inizio della vita e quindi si chiude ancora di
più. Possiamo vedere, dalla forza interna della persona, come l’evento della nascita possa alterare a volte
la percezione stessa della vita.
Chi ha fatto sessioni di respiro con me avrà visto quanto a volte il respiro della nascita apre delle paure di
respiro e di vivere che sono degli imprinting che lo segnano nella totalità della sua esperienza.
Ripeto, l’energia primaria del corpo fisico del feto e l’energia del cuore (nel senso anche di sicurezza)
danno una forza che spinge l’individuo ad andare avanti nella vita con tutte le difficoltà, perché
fondamentalmente c’è una gran voglia di vivere. Mentre un feto, a cui i genitori hanno dato meno carico e
meno amore o meno intensità, può essere già segnato dal parto.
La fase orale
Roberto Sassone
La fase orale è il momento della nutrizione in cui il bambino attiva il riflesso di suzione, che è un riflesso
spontaneo. Da non dimenticare che lo stesso riflesso di suzione stimola ulteriormente il capezzolo della
donna a produrre latte, il che dimostra che anche qui c’è una comunicazione tra madre e neonato. È chiaro
che è fondamentale che ci sia un allattamento con il latte naturale che contiene una serie di sostanze che
favoriscono lo sviluppo delle difese immunitarie. Sia chiaro, tuttavia, che non è esclusivamente la sazietà
alimentare a soddisfare il neonato. Il capezzolo è anche dispensatore di contatto e di energia della madre.
In questo contatto c’è la comunicazione vera tra madre e figlio, la relazione di fiducia e di
riconoscimento, le radici su cui si struttura l’identità del bambino. Da qui si deduce che la vera carenza
nella fase orale, oltre ad essere quella del non allattamento, è soprattutto la carenza di presenza della
madre. Una madre che non sente il suo corpo, pur avendo tanto latte, non trasmette calore, che non è
soltanto fisico, ma quello che Reich definisce la pulsazione vitale trasmessa nel corpo energetico del
neonato e che attiva ulteriormente la sua vitalità. Tutte le carenze fondamentali di questa fase hanno alle
spalle la mancanza di contatto. Nella fase orale ci può anche essere non solo un difetto, ma anche un
eccesso: molte nevrosi sono causate dal troppo e non dal troppo poco. Una madre ansiosa che ha la
necessità ossessiva, principalmente per se stessa, di rassicurarsi sulla salute del neonato può essere una
madre profondamente invasiva. Può dargli troppo spesso da mangiare anche quando il neonato è sazio,
causandogli un senso di soffocamento.
È importante definire queste due modalità: la modalità per difetto e per eccesso. Se ci troviamo di fronte a
chi è carente, dobbiamo essere aperti alla donazione e aiutare l’altro ad essere capace di prendere. Una
modalità per eccesso del paziente, invece, innanzitutto determina una struttura reattiva che mette le mani
avanti, che dice “non mi invadere”. Molti operatori o psicoterapeuti o psicologi manifestano la necessità
di rassicurare se stessi, aiutando l’altro. Vogliono vedere il risultato e vogliono strafare. Il che impedisce
al paziente di vivere anche l’esperienza fondamentale del riuscire a trovare le chiavi per uscirne fuori.
Guai a non capire che c’è un individuo di fronte a noi che essendo stato asfissiato dal troppo “amore” ha
bisogno, al contrario, che l’operatore o lo psicoterapeuta tratti questa tematica dandogli la possibilità di
sentirsi libero.
Uscendo dal discorso strettamente orale, il come ci si relaziona diventa un come che si manifesta con la
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stessa modalità ripetitiva nelle varie fasi di sviluppo successivo: per esempio il come uno sceglie il lavoro
o il tipo di struttura conosciuta in cui egli sceglie di rimettersi perché dà maggiore sicurezza. Questo ci
aiuta ad affrontare il ‘qui e ora’ del cliente, perché, non dimentichiamolo, come operatori lavoriamo
soprattutto nel presente. Quindi, il sapere oltre al ‘qui e ora’ del cliente anche il suo come ripetitivo nel
presente, ci aiuta a dare una chiave interpretativa per fargli vedere meglio che è proprio il suo come che
gli impedisce di uscire da una certa situazione. Poi, il modo in cui ne uscirà potrà far parte o di una sua
esperienza o di un approfondimento terapeutico a cui potremmo orientarlo. La nostra funzione è di dirgli
“guarda e vedi questa cosa, questo lo ripeti puntualmente in tutte le situazioni che si somigliano”.
L’imprinting: il principio del condizionamento
Nitamo Montecucco
L’imprinting è stato scoperto dal premio Nobel Konrad Lorenz, etologo, che osservò come un’anatra
appena uscita dall’uovo identifica come ‘mamma’ la prima figura animale che vede vicino a sé. Lorenz si
mise vicino alle uova che si schiudevano e divenne così la ‘mamma’ delle anatre appena nate: lo si vede
in numerose immagini che nuota nel lago con le anatre dietro che lo seguono in fila. Questo è
l’imprinting: è una logica di identificazione vitale per cui ‘questa è la mamma’.
Tutti gli animali superiori, mammiferi e uccelli, nei primi momenti della vita, mostrano una tendenza al
condizionamento e all’identificazione con strutture psicofisiche genitoriali.
Nel momento iniziale dell’esperienza di vita, compresa anche la matrice prenatale che è fondamentale, le
logiche di vita dei primi giorni, mesi e anche due-tre anni, formano una serie di situazioni che sono
l’imprinting psichico di tutta una vita. Questo accade in tutti gli animali.
Dentro di noi abbiamo due forze giganti, una forza maschile e una forza femminile. Sono i due archetipi,
la dualità del Tao, la dualità della vita. Se all’inizio la forza della vita ha quell’imprinting, noi andremo a
riconoscere e codificare sulla nostra parte femminile, sul nostro cervello femminile, quel tipo di energia
come l’energia di base. E codificheremo subito dopo il maschile sul padre. È chiaro che un imprinting di
una mamma che fa o non fa certe cose, che ti dà amore o te lo toglie, che è rigida o triste o amorevole, dà
un imprinting che rimane come codice per tutta la vita. E rimarrebbe necessariamente quello per tutta la
vita se non fosse che l’essere umano ha un codice psichico capace di ristrutturarsi. Negli animali, se
hanno un imprinting di un certo tipo, non si riesce a toglierlo più di tanto: i cani bastonati quando li
accarezziamo sono tutti contenti, però basta un tono di voce più duro per vedere subito la coda tra le
gambe. È evidente il primo chakra in chiusura e un atteggiamento di richiesta di aiuto che non si toglie
più. Oppure se sono cani aggressivi o hanno reazioni in suzione rimangono così tutta la vita: si possono
coccolare o dargli tutto il cibo possibile, miglioreranno un pochino, ma quella reazione ci sarà sempre.
Viceversa nell’essere umano riusciamo a modificare l’equilibrio psichico in modo funzionale e profondo
per cui quel tipo di imprinting alla fine viene perso. Questo perché facciamo sempre appello alla parte
profonda, saggia e naturale, che attraverso il processo di autocoscienza viene a emergere. Quindi, è
l’autocoscienza la discriminante che ci permette di superare l’imprinting. Dobbiamo ricordare due cose:
1 - abbiamo un cervello più grande per cui abbiamo una serie maggiore di aree associative
2- dato che abbiamo un imprinting molto più lungo e articolato, questo ci permette di modificare. È la
coscienza che forma il cervello e gli dà le funzioni e non il contrario.
Porto un esempio classico di una bambina americana – che parlava regolarmente - con un tumore
nell’emisfero maschile del linguaggio. I medici le hanno tolto quella parte del cervello e lei smise di
parlare. Sulla base della conoscenza di chirurgia oncologica dissero che togliendo quella parte del
cervello la bambina probabilmente non avrebbe parlato più. La bambina aveva quattro anni, per cui aveva
ancora una certa plasticità neurofisiologica. Poiché lei voleva parlare nel giro di due, tre anni riuscì a far
funzionare l’emisfero opposto, che non viene considerato area di linguaggio, e ricominciò a parlare. Se
fosse successo, secondo loro, a sette anni, lei non ce l’avrebbe fatta perché la struttura a quell’età è ormai
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troppo forte. In questo caso c’è proprio un’ablazione di una parte del sistema nervoso. Noi, invece,
parliamo a livello funzionale di imprinting, di associazioni, che possono essere modificate con un lavoro
di consapevolezza. Abbiamo visto una serie di parametri - continueremo ad analizzare altri caratteri - ma i
contesti di esperienza vitale per eccellenza, ciò che abbiamo chiamato l’asse renale, il I^ chakra, il
cervello rettile per eccellenza, il cuore, la psiche, le associazioni affettive, vengono codificate con una
serie amplissima di varianti per ciascuno di noi.
L’EVOLUZIONE UMANA E LA FORMAZIONE DEI
CARATTERI
Roberto Sassone
È facile venire intrappolati in schemi e strutture, per quanto possano essere, nello stesso tempo,
fondamentali per fornire indicazioni. Nei corsi dell’Accademia Olistica di Bagni di Lucca, non ci
occupiamo della patologia, tuttavia dobbiamo saperla riconoscere proprio per evitare di ‘caderci dentro’.
Questa sarebbe una trappola, perché - come operatori olistici - cadere nella patologia del nostro cliente
significa non ‘segnare il territorio’ nella modalità che ci è utile nel nostro lavoro.
Malgrado gli sforzi che facciamo per definire un individuo, nel nostro linguaggio affiora continuamente il
senso della separazione tra il corporeo e il mentale; continuamente ribadiamo che questa separazione non
esiste, ma di fatto è difficile usare un linguaggio olistico che tenga conto di questa unità nell’essere
umano. Esiste una difficoltà verbale di esprimere questo tipo di realtà dell’individuo.
Quando penso all’essere umano, lo penso e lo sento come un’unità. E quando osservo il corpo di una
persona sempre più osservo in quel corpo l’espressione della sua coscienza.
O meglio possiamo dire che, osservando un corpo, possiamo comprendere anche quale rapporto emotivo
e quale impostazione mentale ha quella persona nei confronti della vita. È come se ci fosse una
dimensione unificata tra il modo di pensare, il modo di sentire e la loro dimensione più evidente, che è la
manifestazione corporea. Il presente manuale (insieme al libro Psicosomatica Olistica) ci dà una visione
teorica delle strutture caratteriali; per questo cercherò di prendere una dimensione un po’ diversa.
Proviamo ad immaginare che tutte le tappe dell’individuo - dalla vita intrauterina fino al momento più
prossimo alla morte - siano di per sé (sarà banale dirlo) esperienze fondamentali.
Ogni esperienza fondamentale è inscritta nell’individuo su quattro livelli:
- a livello fisico, e quindi diventa un segno visibile nel corpo;
- a livello emotivo, e diventa così un segno visibile nelle modalità di risposta emotiva;
- a livello mentale, diventando un segno visibile nel tipo di struttura mentale (collegata alle emozioni);
- se osserviamo con attenzione, quasi con uno sguardo che parte dalla coscienza del cuore, vediamo che
questi segni visibili diventano un imprinting che può essere anche qualitativo dell’anima dell’individuo (il
livello animico, che è il quarto livello).
Tutto ciò è importante, e lo scopo degli operatori olistici è riuscire a tradurre questi segnali corporei,
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emotivi e cognitivi (e quindi animici) per evidenziare le qualità possibili.
Il terapeuta lavora con un’attenzione specifica sul disturbo, per portarlo poi, in un processo di
trasformazione, ad un livello di armonia e consapevolezza. È già stato ribadito come il
counselor/operatore olistico porta l’attenzione sulle possibili qualità da sviluppare e quindi sulle risorse
dell’individuo, che possono essere stimolate dalle esperienze negative nelle varie tappe di sviluppo di
vita. Più che parlare di strutture del carattere, anche se faremo delle osservazioni in merito, cerchiamo di
comprendere ciò che viene toccato nelle varie fasi di sviluppo. Sono già stati fatti molti riferimenti al
periodo intrauterino e neo-natale, e quindi tralascio questo aspetto; mi limito a sottolineare che tutto
questo periodo è collegato allo sviluppo del primo chakra.
Carattere “schizoide”: il “distacco” del corpo
Il primo chakra - rappresentato nel corpo fondamentalmente dalla pancia, dalle gambe e dai piedi esprime la tematica della stabilità, della capacità di stare nella vita, quindi della sopravvivenza. Il primo
chakra dà l’indicazione fondamentale di quanto un individuo è capace di trovare nella propria esistenza
una radice su cui far crescere il resto della propria vita, ovvero quanto è capace di crearsi una struttura
importante, di avere una solidità. Questo chakra indica in modo efficace la capacità di avere un luogo in
cui stare, una posizione solida in cui attecchire, ed anche il proprio rapporto con il denaro, cioè la capacità
di creare una struttura che consenta, in ogni occasione della vita, di poter sopravvivere. Quanto più una
persona è in grado di sopravvivere tanto più ha una solidità del primo chakra, vale a dire un buon
grounding, la capacità di stare coi piedi per terra. Possiamo avere anche una chiara indicazione del
contrario (cioè l’instabilità), nel caso di una persona che non riesce mai a stare da nessuna parte… non
solo fisicamente, ma nemmeno dentro di sé. E una persona così ha una caratteristica: l’eterna paura di
vivere.
La paura è l’emozione base del primo chakra. La carenza di primo chakra (e quindi la mancanza di
contatto profondo con la propria fisicità) naturalmente genera delle grosse rigidità corporee, e una specie
di separazione con il corpo. Chi non riesce a sentire il proprio corpo o lo vive come un oggetto da
utilizzare o una carrozzeria in cui stare, e magari non sente il dolore… chi è in grado di affrontare
situazioni estreme (e non perché c’è una vera forza ma piuttosto un’insensibilità) ha sicuramente una
struttura che è la base del carattere schizoide, che significa scisso, separato dal proprio corpo. Vivendo il
corpo come un oggetto può fare anche cose incredibili, ma ha una grande difficoltà a sentire, ad aprire il
cuore, perché l’energia di base - quella del cuore - è l’energia più chiusa. Il cuore ha una grossa difficoltà
ad aprirsi in una struttura del genere. Lo schizoide non sente fondamentalmente il bisogno degli altri,
perché non sente il bisogno come tale. Il bisogno è piuttosto la tematica del carattere orale.
Luisa Barbato
Nella diagnostica della patologia c’è una specie di ‘asse’ che va dalla manifestazione più grave (la
schizofrenia) alla meno grave (carattere schizoide o con tratti schizoidi). Anche se stiamo semplificando,
in realtà ognuno di noi è una manifestazione della coscienza, per cui ci sono moltissime variabili che
entrano in gioco: la densità energetica dei genitori, il carattere del concepimento, la gravidanza,
l’imprinting durante la gravidanza, eventuali allarmi che la madre ha dato, eventuali minacce di aborto,
esposizioni temporali diverse ad eventi traumatici durante la gravidanza. Quanto più lunga è la durata di
esposizione ai traumi tanto più profondo sarà il segno lasciato nella persona. Le variabili sono moltissime
ed è molto importante non entrare subito nella categorizzazione.
Nella nostra concezione energetico-sistemica una situazione di allarme che avviene in un periodo
intrauterino (ma non così prolungata e devastante) può portare ad una situazione schizoide. Questo vuol
dire che c’è una separazione di una parte dal sé, e la parte fisica e la parte emozionale non sono ben
integrate. Nella persona schizoide la separazione avviene soprattutto nella parte emozionale, e una
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persona così la si può riconoscere perché è una persona non realmente in sé e con il corpo frammentato,
che si ritira nella testa e vive in un mondo tutto suo. Sceglie deliberatamente di vivere in questo mondo
interiore fantastico rifiutando il contatto con gli altri, contatto che lo metterebbe di fronte alla necessità di
relazionarsi con tutti i suoi livelli (la fisicità, l’emotività e la parte intellettiva). Questa persona non può
mettersi in relazione, perché l’altro gli fa da specchio e quindi vedrebbe nell’altro la propria separazione.
Questa separazione inizia prima nel corpo, poi entra nell’emotività e infine nella testa.
La patologia schizoide è sempre riferita ad un allarme - minaccia di morte - che in questo caso si riferisce
al periodo prenatale. Tuttavia è importante tenere presente che la patologia su tutti i livelli è sempre
collegata alla paura, perché è questa che determina la contrazione. Lo schizoide non è una persona
psicotica. Quello che, però, si trova più frequentemente è il tratto schizoide. Le persone presentano delle
caratteristiche che rimandano all’essere schizoide in compresenza di altri fattori. Il tratto schizoide è
molto in espansione nella nostra cultura, perché la mancanza di integrazione viene vissuta fin dal periodo
intrauterino, porta alla separazione e all’incapacità di sentirsi sia fisicamente che emozionalmente. Quindi
i suoi rapporti non sono veramente pieni, di contatto.
Nitamo Montecucco
È come se la matrice iniziale di cervello rettile, di I^ chakra, di grounding, di fisicità fosse venuta a
mancare; come se l’anima non fosse veramente scesa nel corpo…un corpo che non si è sentito nutrito,
amato ed energizzato.
Sono persone sfuggenti, ‘non ci sono’. Si vede già nei loro occhi l’identità mancante o la paura di esistere
o la sensazione di non aver diritto di esistere. Quando chiediamo loro di sentire il corpo, non sentono
nulla. Normalmente con queste persone usiamo le tecniche più elementari di massaggio, percezione del
corpo, rallentamento, amorevolezza, cura. Lo schizoide è tenacemente nella testa e anche quando gli
viene fatto un massaggio non sente veramente il corpo, è ‘meccanico’. In realtà la paura porta un estremo
disagio nell’entrare nel corpo, perché lì si rievocano esperienze emozionali molto dolorose, come ad
esempio il non essere stato amato quando doveva essere amato.
Non è una cosa che smuove in poco tempo, però anche con un massaggio, con l’affetto e con la
percezione del corpo si hanno dei risultati. E’ un lavoro da fare con profondità, perché si deve riaprire il
senso di esistere, dell’essenza della persona, e recuperare quello spazio mancante che lo ha portato a
ritirarsi.
Anche nella patologia classica del masochista vediamo essenzialmente una persona che ha paura di
sentire le energie forti primarie, una persona che si è protetta, però è diversa da quella paura più profonda
ed assoluta del carattere schizoide. Quella del masochista è più una paura pratica, causata da un
impedimento (“mi hanno controllato”, “mi hanno detto di non farlo e io mi sono abituato così”). Sotto c’è
più un’emozione calda che raccoglie delle rabbie, delle inibizioni, delle tensioni, ma è più umana; a volte
sembra un blocco più duro dell’altro, ma in realtà è più flessibile. Il carattere schizoide richiede invece
una presenza e un lavoro più di profondità.
Roberto Sassone
Aggiungo ancora qualche dato sulla struttura fisica dello schizoide. Gli schizoidi hanno una grossa
padronanza del loro corpo, proprio perché non lo sentono. Il corpo è un robot in cui loro abitano. Hanno
una percezione smembrata di se stessi. Se gli si fa sentire il proprio corpo dopo un certo lavoro, sentono il
braccio staccato dalle spalle, le gambe staccate dal tronco: non hanno la percezione unitaria di sé. Hanno
anche una grossa resistenza al dolore, e una struttura con una profonda tensione interna: sono magri e
longilinei. Grazie a questa grossa padronanza del proprio corpo possono fare cose incredibili. Molti
ballerini classici sono schizoidi: stanno alla sbarra per ore, giorni, anni con una disciplina rigidissima.
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Il carattere “orale”: il buco affettivo
Luisa Barbato
Una cosa da tener presente è che ormai non si riesce più a dare una definizione univoca. In altre parole
l’operatore dovrebbe chiedersi “Com’è stato l’intrauterino di questa persona? Com’è stato il parto?
Com’è stato lo svezzamento? Com’è stata la fase anale, edipica, l’adolescenza e così via?” Ogni fase di
sviluppo ha una sua qualità, una sua caratteristica e l’insieme di questi tratti dà un’idea di come è la
struttura di quella persona. Ad esempio se una persona ha avuto una fissazione prevalente in fase orale,
vuol dire che il parto è andato bene ma poi non ha avuto l’allattamento, oppure la madre, ansiosa, lo
allattava molto; questa persona è molto nella bocca, per cui si dice che il tratto orale è prevalente. Ma
potrebbe essere che una persona con un tratto orale prevalente - collegata sempre con un situazione di
richiesta e di energia bassa - ha avuto poi un rapporto edipico con la madre di grande conferma e
accettazione, per cui sviluppa una struttura esterna molto seduttiva e affascinante; in tal caso avremo un
tratto isterico di copertura con sotto un’oralità. Quando togliamo questo tratto di aggancio alla sessualità
troviamo una persona richiedente, una persona orale, perché il suo tratto in realtà è l’oralità che viene
compensata. Quindi c’è una mappa più complessa che sicuramente l’operatore non dovrà affrontare.
Nitamo Montecucco
È come se i blocchi fossero paralleli: in certe situazioni ne emerge uno e in altre situazioni ne emerge un
altro, ma possono in qualche modo coesistere ri-bilanciandosi tra di loro. Rifacendoci a quel che si è detto
sulla personalità multipla: quando non esiste ancora un Sé centrale, un senso dell’identità profonda
globale, esistono tante sub-personalità. I cinesi le chiamavano le personalità d’organo, per cui l’organo
Rabbia può prevalere sull’organo Tristezza o sull’organo Gioia di vivere, oppure può stabilirsi una serie
di equilibri tra di loro. Li possiamo vedere come caratteristiche d’informazione di strutture di personalità,
li possiamo vedere come qualità dei chakra… e questo in contemporanea perché funzionano tutti.
Un esempio: quando facciamo il lavoro per l’apertura del II^ livello, possono uscire emozioni diverse.
Nell’80% delle persone esce il dolore per la mancanza d’amore con la mamma, e quindi l’energia più
comune è quella della tristezza e del pianto.
Esiste, però, un’ampia serie di articolazioni: troviamo persone che chiudono la gola e non parlano più,
persone che continuano a piangere e a parlare, persone che dicono di sentire un’esigenza ma rifiutano
ogni aiuto esterno e - andando sul Fegato - decidono di fare tutto da sole; altri vanno sulla Milza e sono
persuasi che la loro vita sarà sempre così perché ‘se la mamma non mi ha voluto bene nessuno mi potrà
voler bene e neanche mi cercherà’. Altri ancora continuano a tenere viva la ferita e continuano a dire “io
ho bisogno, bisogno, bisogno…”; infine quelli che non esprimono nulla, e non per reazione o rabbia, ma
perché chiudono e negano. Sulla caratteristica del bisogno orale, che è molto presente, abbiamo tutte
queste varianti a seconda dell’alchimia in cui gli organi e le energie delle persone si muovono.
Ritornando al bambino (che vive una serie di eventi altamente significativi), ricordiamo che il parto stesso
è un grande processo di passaggio. Al parto sono stati dedicati molti studi, dai quali è emerso che - a
livello psicologico - i bambini nati con parto cesareo hanno un ‘rito di passaggio’ in meno. È come insito
nello schema della vita il doversi conquistare le cose, fare una certa fatica per ottenere un risultato.
Ricordiamo anche i neonati prematuri, che vengono messi nelle incubatrici senza poter avere così alcuna
possibilità di contatto e di riconoscimento immediato. Quindi il bambino vive questi momenti come i più
delicati della sua vita fuori dalla pancia della mamma, dentro la quale si sentiva protetto e in cui le
condizioni di alimentazione erano lineari. Inoltre abbiamo visto come la carenza (o la relativa privazione)
del latte materno o della presenza materna amorevole può creare una serie di bisogni psicologici nel
bambino, che si manifestano genericamente nel carattere orale.
Roberto Sassone
Con la struttura orale entra in funzione il secondo chakra: il piacere.
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Siamo nella fase dell’allattamento, del contatto con la pelle della madre; quanto amore reale, ovvero
quanta energia, quanto calore reale si trasmette! Il tema del piacere è fondamentale, perché è l’elemento
che fa sorgere l’esistenza - quindi la percezione - dell’‘altro da sé’.
Quando siamo nel primo chakra - quindi in una tematica di sopravvivenza- l’aspetto fondamentale è la
dimensione del preservare noi stessi e di trovare uno spazio in cui riusciamo a sopravvivere; attivandosi il
secondo chakra nasce il desiderio, che è un aspetto fondamentale su cui si sviluppa ogni forma di
relazione… perché il desiderio è la spinta verso qualcosa che sta apparentemente fuori di noi.
Desideriamo qualcosa fuori di noi. Il desiderio è una molla potente al movimento. Il bambino, come
inizia a sentire il desiderio, è spinto ad alzarsi o ancora prima a stendere le mani per afferrare qualcosa, e
questo perché si è inserito un nuovo circuito neuro-muscolare che trova la sua radice energetica nel
secondo chakra, ovvero in questa spinta al desiderio. Il desiderio insoddisfatto si trasforma in bisogno.
La differenza tra desiderio e bisogno è sottile, ed è necessario comprenderla. Nel bisogno c’è una
frustrazione, nel desiderio c’è una spinta affermativa. Però ogni desiderio può diventare un bisogno. Ad
esempio se io desidero mangiare e non mangio, questo si trasforma in un profondo bisogno di mangiare;
se invece il desiderio è soddisfatto c’è la gratificazione, il circuito viene completato e si può passare ad un
altro tipo di attenzione. Possiamo ben capire quanto le tematiche orali del desiderio/bisogno - che sono
tematiche affettive profonde - interessino tutti noi in maniera così diretta, ma indipendentemente da
un’eventuale preminenza orale, risultato di una grossa carenza nella fase dell’allattamento/contatto. E
possiamo anche vedere quanto sia un cavallo vincente il riuscire - come operatori - ad aiutare l’individuo
a recuperare la spinta positiva che sta dietro il bisogno. Ma è importante non lavorare sulla frustrazione
(come farebbe un terapeuta) ma lavorare sulla possibilità di individuare un desiderio e quindi una spinta
gratificante che possa rimettere in movimento quel meccanismo inceppato dalla frustrazione. Il carattere
orale ha chiaramente un buco nel cuore molto forte, ha un atteggiamento di richiesta nei confronti della
vita e si sente in credito d’amore; ovviamente tutte le sue relazioni avranno la venatura di questa pretesa
d’amore. Si può dire quasi che la sua bocca-cuore è una ventosa. Questa dimensione diventa però passiva,
perché aspettando che il mondo soddisfi la sua esigenza, il movimento per realizzarlo in maniera
autonoma viene paralizzato.
Ovviamente sto estremizzando per definire questo concetto; non esistono mai strutture caratteriali così
definite. Ma è pur vero che noi dobbiamo vedere la venatura, la caratteristica, la qualità.
Essendo in credito di cibo-amore è anche scarico energeticamente. Si tratta di strutture corporee per lo più
esili, con il cuore chiuso, quindi con le spalle chiuse per proteggere il cuore-buco d’amore. C’è un’eterna
richiesta e la sensazione che non gli venga mai dato quello che merita. E la sua ricerca del piacere è quasi
come quella di un marinaio che vaga di porto in porto sperando che arrivi quello migliore in cui poter
finalmente riposare. La tematica del bisogno-desiderio è la tematica del rapporto con il piacere.
Non propendo per l’ipotesi (che altri fanno) di attribuire tutti i disturbi alimentari gravi - tipo anoressia o
bulimia - alla struttura orale, perché queste sono situazioni molto più gravi. Non siamo in presenza di una
richiesta d’amore; siamo addirittura a livelli, come nel caso dell’anoressia, di rifiuto della vita, cioè la
paralisi di un impulso vitale fondamentale. Io li considererei disturbi di primo chakra, come negazione
della vita. Nel caso della bulimia siamo in un eccesso altrettanto distruttivo, perché non è la fame che
riesce ad appagarsi parzialmente come quella dell’orale (che trova tanti piccoli appagamenti che non
colmano il vuoto ma che ha la capacità e duttilità di cercarne ancora). Nel bulimico il pozzo è talmente
grande da essere senza fondo, senza possibilità di riempimento; è davvero un disturbo molto grave che in
questo momento non toccheremo.
Lo sviluppo va avanti ed entra in funzione il terzo chakra. Questa prerogativa è legata al piacere - esiste
ancora una relazione stretta con la madre dalla quale il neonato non si può ancora staccare - ma acquista
una dimensione ancora più vasta in quanto nasce la muscolarità. Pian piano il bambino inizia a compiere
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atti muscolari… come alzarsi in piedi, che corrisponde davvero ad un salto evolutivo. Il mondo inizia a
diventare un territorio da esplorare. Non c’è più un mondo che deve andare verso il bimbo come
nell’orale. In questa nuova fase in cui si inizia ad avere il controllo della propria muscolarità, si ha la
possibilità di sviluppare l’aggressività, vale a dire la spinta a realizzare; quindi la vera autonomia inizia
con la muscolarità. Si può immaginare come in questa fase sia importante che il bambino senta da una
parte che gli è concessa la libertà dell’esplorazione, e dall’altra parte che c’è lo sguardo ed il sostegno del
genitore. È molto bello questo momento, da vedere nell’aspetto positivo, non nella patologia. Perché in
questo aspetto positivo possiamo ritrovarci come counselor dando proprio questa dimensione. Cioè il
counselor può aiutare il proprio cliente a sperimentare cosa avviene in questa fase della muscolarità, e lo
può fare con il lavoro sul corpo, aiutandolo a riconoscere delle risorse nuove, a fare dei piccoli progetti, a
risvegliare la capacità di curiosità e di esplorazione.
Però ‘ci deve essere’, e l’esserci non può mai essere una menzogna. Una persona, se c’è, si deve ‘sentire’
che c’è…e al di là di tutto quello che può dire di sé. Un genitore, se c’è, non ha bisogno di dire molte
cose; se un genitore ‘c’è’ il figlio sente il suo sguardo, e lo sguardo non è più come il contatto nella fase
orale. C’è un movimento da sé all’altro, ma passa attraverso il contatto del cuore più che attraverso il
contatto fisico. Sono entrambi contatti importanti, ma uno è più essenziale: quello viscerale della madre.
Quando si passa al quarto chakra del genitore il contatto passa attraverso lo sguardo. Uno sguardo che
non passa attraverso il cuore non è uno sguardo. In altre parole vedere il mondo è sempre un atto di
consapevolezza e di presenza per tutti noi; non ci illudiamo che ‘vedere’ sia semplicemente uno stimolo
neurofisiologico. Se vedo un figlio mio…e il mio sguardo non nasce dal cuore, è come vedere un oggetto
fuori di me. Vedere è ‘esserci’, quindi allo stesso modo di un genitore che c’è - e non ci si può creare
un’illusione ingannevole - un terapista/counselor deve essere ‘sentito’, perché questo crea la possibilità
del progresso nel cliente. Se c’è questa capacità di stimolare il movimento, allora si attiva la muscolarità.
Ma che cosa accade? Che generalmente i genitori hanno paura, e sappiamo che le nostre paure sono le
nostre proiezioni. Ovvero nella maggior parte dei casi ci inventiamo il mondo, cioè creiamo un mondo
che è lo specchio delle nostre paure o dei nostri rifiuti, e attribuiamo all’altro una serie di prerogative che
non gli appartengono. Pertanto, un genitore che ha paura crea nella sua mente una serie di disastri che
vengono assorbiti dal bambino come timore del pericolo, ma di un pericolo che è immaginario e non
reale; quindi il mondo viene vissuto come una esclusiva fonte di pericolo. Il genitore in questo modo
paralizza il movimento, e dal momento che in questa fase muscolare tutto l’impulso vitale va verso il
movimento, bloccare il movimento significa contrastare un impulso fondamentale che è quello
all’esplorazione, e quindi creare i presupposti per una struttura masochista.
Il carattere “masochista”: l’inibizione alla libertà
Roberto Sassone
Proprio perché ha dovuto frenare tutto l’impulso vitale è anche capace di sostenere grandi carichi, è
allenato a trattenere, quindi a reggere e a sopportare. In questo reggere e sopportare c’è anche una qualità,
una determinazione che l’operatore/counselor può sfruttare come risorsa nel trattare un caso del genere.
Come nell’orale c’è la risorsa del movimento del piacere, nel masochista c’è la risorsa della
determinazione. Mentre l’orale ha un corpo scarico, si affloscia, e quindi attivare il piacere per l’orale
significa attivare la possibilità di nutrirsi e gratificarsi in maniera più autonoma, nel muscolaremasochista incentivare il movimento e la sua determinazione significa la possibilità di sbloccare la
paralisi che lo porta a contenere un quantitativo di energia enorme; perché il masochista ha molta energia
da spendere se trova realmente la causa giusta, quella che corrisponde alla sua aspirazione profonda.
Quanto alla struttura fisica: così come l’orale (in quanto scarico) ha un torace infossato, spalle chiuse,
gambe esili e poco grounding, la struttura fisica del masochista (proprio perché ha questa capacità di
reggere) è molto più solida e a volte tozza, con spalle grosse, il collo incassato e taurino, torace gonfio, e
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spesso con gambe come tronchi. Essendo abituati a trattenere il loro movimento, hanno grosse contrazioni
al livello della zona delle natiche, della zona anale, del pavimento pelvico e la parte interna delle cosce.
Se cerchiamo di simulare l’atteggiamento del trattenere, cosa accade? Ogni parte del corpo è chiusa e
contratta. Quando si lavora con una persona con una struttura masochista, la prima cosa che viene fuori è
che si sente imprigionato, e già questo vuol dire molto, significa essere consapevole, percepire un peso
che prima la persona non sentiva. Questo è valido per qualsiasi struttura caratteriale.
L’indicazione è questa: prima dello scioglimento di un blocco, riuscire a passare attraverso la sensazione
del disagio e della contrazione in una determinata parte del corpo è la base per poter poi aiutare a
scioglierlo. I primi contatti con il corpo sono dolorosi, a seconda di dove uno ha le proprie contrazioni,
perché finalmente sente quello che già c’era… ma non veniva percepito.
E una contrazione non può essere gradevole. Se si passa attraverso il dolore si dà all’altro la possibilità di
portare l’attenzione su dove si può sciogliere. E questo significa dargli la possibilità di passare dalla
sensazione fisica - che viene individuata - all’emozione che è collegata a quella sensazione fisica. Perché
bisogna ricordare che emozione e contrazione sono due facce della stessa medaglia, cioè il corpo è tutto
emotivo, non si può sciogliere veramente una contrazione - leggi una difesa - se non c’è la liberazione
consapevole dell’emozione tenuta bloccata da quella parte del corpo.
Andando avanti nel processo di crescita individuale, l’esplorazione porta naturalmente ad un altro evento
che accade gradualmente: man mano che la muscolarità diventa sempre più sviluppata - e quindi c’è la
libertà del movimento - si inizia ad attivare un altro livello del desiderio-piacere. Non siamo più nel
livello del piacere diffuso nel corpo come nell’oralità, ma si comincia a sviluppare il primato dei genitali.
La zona dei genitali si attiva intorno al terzo anno di vita. Questo piacere - legato alla sensazione dei
genitali - introduce un’altra tematica, che non è più la tematica del piacere indifferenziato, ma quella
dell’attrazione maschile-femminile. Su tale tematica ci sarebbe davvero molto da dire; ora consideriamo
fondamentalmente che anche qui vengono fatti danni molto evidenti. La libertà del piacere è la base della
libertà del pensare (la base della sesso-economia, come diceva Reich).
Nitamo Montecucco
Nella crescita, se tutto va bene, osserviamo un secondo periodo critico. In realtà quello che accade molto
comunemente è che la rigidità della struttura familiare - che può essere della mamma, del padre o della
nonna che vive ancora nel passato - condiziona la crescita del bambino. Comunemente viene a crearsi una
polarizzazione dove il bambino in crescita (è come un animaletto che si muove, comincia a sgattaiolare,
guarda, tocca, fa mille cose) inizia a venire fortemente condizionato dalle ansie, dalle paure, dal controllo
della struttura materna o familiare. La mamma ha paura e non lo lascia muovere, lo continua a
controllare, è tendenzialmente ansiosa e continua a trasmettere il senso di incertezza e insicurezza in tutte
le cose. Nel passato non esistevano i pannolini, per cui ogni volta che il bambino si sporcava innestava un
maggiore controllo degli sfinteri anali da parte della mamma che trasmetteva ulteriori ansie, paure e sottili
angosce (volte tendenzialmente a controllare tutti gli esercizi primari di espansione psicomotoria del
bambino).
Quindi tendenzialmente creavano nel bambino un bisogno di controllo, un meccanismo purtroppo molto
comune. Non è tanto il controllo sfinterico ad essere prevalente al giorno d’oggi (pensiamo alla
sostituzione dei moderni pannolini usa e getta), lo è molto di più invece, nelle giovani generazioni, il
controllo generale: mentre, fino a qualche decennio fa, i bambini potevano essere relativamente liberi con
spazi maggiori (vivevano maggiormente in campagna) o tempi più dilatati, ora vivono tra le macchine, la
televisione, in case sempre più piccole e con tempi sempre più ristretti, con un’ansia di controllo
maggiore. Il tipo di meccanismo sottostante genera una tipologia molto comune del carattere masochista.
Il masochista è ovviamente un termine molto pesante. Una volta comprendeva il carattere anale, ma dato
che negli ultimi due/tre decenni si è visto calare fortemente questo tipo di controllo, è stato – si può dire sostituito con un altro, per cui una certa tipologia comunque continua a sottostare.
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La mia sensazione è che, più che di controllo anale (si può dire che fosse un’identificazione messa in
evidenza da Freud), si può parlare di un carattere della mamma o della famiglia che continua ad
interferire con l’apertura psicofisica del bambino.
Roberto Sassone
Agganciamoci a questo discorso del periodo che Freud chiamò della fase anale (e che noi possiamo
invece tradurre in una chiave più moderna e funzionale). In realtà il fatto che Freud abbia parlato del
carattere anale (e lo abbia collegato allo sfintere legato alla funzione dell’evacuazione) ha anche un
significato fisiologico in termini più generici. Il bambino, finché non riesce ad alzarsi in piedi, non
cammina e non ha la capacità di controllo sulla sua muscolatura, non può fare tutta una serie di operazioni
di trattenimento, perché il corpo non glielo consente. È verso i due anni di età che inizia ad avere il
controllo volontario della propria muscolatura.
Il tratto anale del masochista è il tratto di una persona che è impedita nella sua possibilità di agire la
propria vitalità, per cui trattiene con la sua muscolatura generale e blocca il suo movimento vitale: blocca
le sue emozioni, la sua azione, la sua aggressività.
Quindi la struttura del masochista è una struttura carica di energia. Il suo corpo, al contrario del corpo
dell’orale (che ha un corpo più esile, con un torace scarico e una dimensione di richiesta), è un corpo
capace di contenere e assorbire grosse cariche di energia e di sostenere molte responsabilità. Nella tipica
dinamica familiare si trova una madre che ha il potere, ha la direzione e il comando, e un padre
sottomesso o assente. Questo tipo di madre induce nella relazione con il bambino un messaggio: tu devi
fare come ti dico io! Assecondando la madre, il bambino trova il modo per avere il suo amore, per cui
viene a trovarsi nella situazione in cui se vuole essere amato dalla madre deve fare quello che lei gli
impone… e non può dire di no, non può rifiutarsi. Per essere se stesso dovrebbe, invece, dire di no alla
madre, il che gli è impossibile perché significa la negazione della relazione con essa. Allora impara a
soddisfarla e a trattenere tutti i suoi impulsi, tutto ciò che lo porterebbe verso l’affermazione,
l’espansione, verso il gioco e la scoperta.
Nitamo Montecucco
Non è detto che questo tipo di madre imperante si esprima sempre con le parole; può anche mostrargli
un’iper-gentilezza e iper-attenzione… e quindi essere una mamma buona. E in questi casi quando il
bambino - al suo primo anno di vita - inizia a muoversi, lei è lì che interviene prepotentemente e lo
blocca. Il bambino vive in un continuo trattenimento, rifiuta tutte le attività vitali forti. Vuole bene alla
mamma che gli mostra attenzione, ma ciò che passa in definitiva è l’autocontrollo e la paura e quindi tutta
l’energia vitale – soprattutto quella del Fegato e dell’espansione - viene contenuta e diventa una carica
interna: è come se la pelle dovesse irrigidirsi e contenere tutto.
È evidente, ad una prima analisi, la chiusura della testa, la sua rigidità. Sente poco il corpo, ha paura di
muoversi, paventa una perdita del controllo. Sua madre gli ha trasmesso mille paure e ansie, e soprattutto
l’idea che per lui l’apertura è pericolosa.
Roberto Sassone
Ciò mostra in maniera più chiara che quello che passa nella relazione tra madre e figlio non è tanto il
linguaggio verbale, ma il reale tipo d’intenzione sottostante. La madre è apparentemente buona e
sorridente e può essere talmente inflessibile da far comprendere che il suo sorriso si spegnerà se il
bambino non è come lei vuole.
Questa struttura caratteriale, quindi, è una struttura che è portata ad accontentare l’altro e ad assumersi
responsabilità. Può anche essere una grossa qualità una volta che viene estrapolata dalla situazione
nevrotica caratteriale, poiché queste persone hanno comunque una grossa capacità di lavoro, affidabilità,
molta determinazione, una grande capacità di sopportare gli sforzi. Diventa un pregio se la persona riesce
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a liberarsi dalla sua trappola caratteriale e diventa un individuo capace di determinare la propria scelta
nella vita, usando qualità che sono state formate paradossalmente dalla sua nevrosi. Ed è qui che
l’operatore può intervenire e trasformare quella che era un’incapacità in una possibilità maggiore di
affermarsi nella vita. Dato che la struttura masochista ha la necessità di contenere le sue emozioni, blocca
fondamentalmente la sua energia dalla gola fino a tutto il torace (in genere sono persone con strutture
grosse), nel diaframma e nell’ano (interessato alla necessità di contenere). Questo lo possiamo vedere
fisiologicamente. Se abbiamo un minimo di contatto con il corpo, ci accorgiamo che le nostre natiche si
stringono quando dobbiamo controllare o quando abbiamo paura. Il corpo fa questo del tutto
spontaneamente, per cui è bene imparare a ‘sentirlo’.
Se il masochista non si nascondesse più dietro la sua disponibilità e gentilezza, scoprirebbe che è molto
arrabbiato. Ricordiamo a questo proposito più di un fatto di cronaca dove improvvisamente una persona
gentilissima e perbene uccide un parente.
La grande difficoltà del masochista è proprio la possibilità di provare il piacere. Per lui ottenere il piacere
significa fare un’operazione corporeo-energetica opposta a tutto quello che ha imparato a fare per poter
accontentare la madre. Il masochista per eccellenza contiene; al contrario vivere il piacere è mollare,
lasciare andare…cosa che viene sentita terrorizzante, perché essendo vissuto con l’esperienza di sé anche fisica - di eterna contrazione, sperimentare il cedere viene vissuto quasi come una perdita di
identità. Ha paura di smembrarsi, di cadere, di rompersi, d’impazzire.
Quindi nel trattamento con il masochista bisogna tener conto di tutto ciò. La relazione terapeutica con il
masochista è molto complicata, ma interessante. Con il masochista l’errore più grande che si possa fare è
cercare in tutti i modi di farlo reagire, di farlo sbloccare e di fargli tirare fuori la sua emozione, perché in
questo modo si agirebbe come la madre, chiedendogli ancora una volta di fare il bravo, e rinforzandogli
proprio la dinamica da cui il masochista deve affrancarsi.
A questo punto vediamo cosa si deve fare e cosa non si deve fare con il masochista. Anzitutto bisogna
saper creare una relazione in cui lui abbia i suoi tempi di scelta nel ‘mollare’. Bisogna dargli la possibilità
di poter scegliere il momento in cui può lasciarsi andare. Non deve viverlo come un dovere, e neanche
come il dovere di accontentare il terapeuta. Quindi per gli operatori il lavoro sul corpo è più un accennare
una possibilità di respiro, di mollare anche un poco il torace con un tocco dolce e lasciare che sia lui a
fare il resto.
Per questo motivo è importante vedere il percorso delle varie fasi. Per esempio nella struttura masochista
è utile vedere che cosa è avvenuto nella fase dell’allattamento con una madre con i tratti di controllo e di
predominio. Anche nell’alimentazione è molto facile che il masochista abbia subìto un’invasione rispetto
all’orale che energeticamente è più scarico. La madre del masochista non tiene conto dell’esigenza del
figlio, non la rispetta, ma vede soltanto la sua necessità, secondo il suo schema e il suo progetto, invece di
ciò che è il meglio per il bambino. Quindi un masochista, anche in relazione al nutrimento che ha avuto, è
facile che sia pieno e abbia la tendenza ad ingrassare.
Nitamo Montecucco
Una delle cose che ho notato nel mio lavoro è che masochisti un po’ si nasce. Ho trattato ad esempio una
coppia con due figlie. La madre è normale mentre il padre è di tipologia masochista, un po’ pesante,
fisicamente pieno. Una figlia è normotipo ed è carina, l’altra figlia ha una conformazione pesante ed è
diventata un carattere masochista. Quando si dice in omeopatia “carbonica in generale e calcarea in
particolare”, si parla di una struttura dove l’intelligenza somatica, l’intelligenza viva è ridotta. In questo
caso specifico la seconda ragazzina è decisamente meno perspicace della sorella. Nonostante il fatto che
la madre e il padre non esercitassero con lei più controllo rispetto all’altra, lei si è creata una struttura
fortemente masochista, al contrario della sorella. Aveva già un fenotipo che l’avrebbe certamente portata
più facilmente ad essere di quella tipologia. La sorella, invece, aveva una tipologia più normotipo e più
esteriore, ed il condizionamento del controllo e delle pressioni familiari su di lei non ha avuto molta
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presa. Nella concezione più piena, dove nel sistema linfatico prevale la rotondità del corpo e la lentezza,
prevale la tendenza a fermarsi e a chiudersi. Quindi un carattere orale classico magro, se viene bloccato
diventa piuttosto un nevrotico, un reattivo, frustrato o nervoso, ma non diventa un masochista. In
definitiva, in questa tipologia particolare c’è, a mio avviso, una forte base di struttura fisica di partenza,
una predisposizione, ed il resto lo fa sicuramente la struttura materna.
Quindi, nelle famiglie molto spesso i figli hanno tipologie e caratteristiche diverse. Quello veloce riesce a
lasciare la casa paterna più in fretta, l’altro rimane in casa e su di lui si riversa tutto l’investimento futuro
per la vecchiaia dei genitori. Quest’ultimo, nel peggiore dei casi - dove la mamma è più imperante o dove
la struttura è più rigida - non si muoverà più di casa. Oppure - se va via di casa - sarà perseguitato da un
controllo continuo.
Normalmente quando c’è questa situazione nell’inconscio del bambino, nell’orale c’è comunque il grande
desiderio di avere la mamma, oppure un po’ di rabbia per lei (che ‘non mi ha dato il seno’), ma c’è pur
sempre una dinamica di cuore aperto. Nel masochista spesso la mamma lo fa ‘sentire’ amato, ma non lo
ama veramente; gli crea così un’idea della donna tale che nella vita non avrà voglia di sposarsi, avrà una
chiusura di fronte ad ogni relazione; oppure si crea una situazione dove la moglie gli fa da mamma
dominante, e quindi si sentirà protetto.
Roberto Sassone
Una semplice considerazione: nei primi anni di vita, la relazione con la figura femminile ce l’ha sia il
maschio che la femmina, ma soltanto il maschio nel suo sviluppo libidico continua poi la relazione con la
madre e poi con una donna. La femmina ha la relazione con la madre, ma nel suo sviluppo deve
incontrare un altro oggetto d’investimento libidico, ovvero il padre e successivamente un uomo. Ha più
possibilità di sganciarsi perché va verso un maschile, quindi non c’è un rinforzo. Questo aspetto - che può
sembrare banalissimo - è fondamentale.
Nitamo Montecucco
Infatti chi rimane in casa è più facilmente ‘il cocco di mamma’ piuttosto che “la cocca di mamma”.
Questa è una tipologia di carattere comunissima. Qualche anno fa uno dei gruppi in Accademia
presentava una fortissima predominanza di comportamento da tipologia masochista. Non avevano tanto il
conflitto con il padre e neanche con la madre; avevano una ‘pesantezza’ con la mamma (la amo, non
posso distaccarmi). Nel gruppo dell’apertura del cuore non è uscito quasi nulla.
Mentre nell’orale a volte il cuore è ‘tanto’ e nello psicopatico è ‘pieno’ perché rinforzato dalla mamma,
nel masochista il cuore è molto ‘ristretto’ e respira poco, il corpo è piuttosto rotondo, la pancia piena.
Roberto Sassone
Nel masochista il torace sta fondamentalmente in inspirazione, perché non riesce a sgonfiarsi. Mentre
l’orale non riesce a prendere, il masochista è pieno e non riesce a svuotare.
Bisogna dire che quando c’è una madre che controlla ossessivamente e un figlio che la soddisfa in tutto
per farsi amare - se poi il padre è veramente debole e insignificante – ci sono i presupposti perché si
sviluppi un’omosessualità. Ci sono molte situazioni di omosessualità con questo quadro: vivono con la
madre che li ha castrati definitivamente, quindi l’aggressività virile non c’è più. Non c’è l’identificazione
con il padre, e per essere amati dalla madre si toglie energia all’organo maschile. Questo tipo di
omosessualità è di carattere passivo. Ma è un tema troppo complesso per essere approfondito in questa
sede.
È da tener presente che le nevrosi sono sociali e culturali. I caratteri proposti e analizzati da Freud è
difficile vederli ai giorni nostri.
127
Nitamo Montecucco
Uno dei meccanismi chiave dell’omosessualità è il condizionamento sociale a non riprodursi. Questa è
una delle tante basi, anche perché all’interno di una società iper-popolata come la nostra la polarizzazione
maschio/femmina non è più così necessaria. Tutto è molto mediato per cui la polarità diminuisce, e c’è un
codice genetico che scatta. In sovrappopolazione non è più necessario avere figli. Dall’altra parte,
scattano dei meccanismi psicologici dati dalla mancanza di polarità tra i genitori o tra genitori e figlio.
Il tratto “nevrotico”: iperreattività da stress e incapacità di relax
Nitamo Montecucco
Il carattere nevrotico è una personalità caratterizzata da uno stato cronico di stress, di tensione e ipereccitazione del sistema globale, in particolare del sistema nervoso. La tipologia nevrotica nasce quando
non vengono rispettati i ritmi lenti naturali di equilibrio tra il sistema nervoso, il sistema cardiaco e il
sistema fisico; il sistema nervoso subisce un condizionamento all’iperattività. Comunemente si definisce
la persona ‘nervosa’. Questa caratteristica nervosa prevale enormemente nelle donne negli ultimi
trent’anni, da quando le donne - grazie al processo di emancipazione che il femminismo ha portato avanti
- si sono accordate ad una tipologia sociale che era assolutamente maschile, per ottenere gli stessi diritti
degli uomini. Quindi, tra le altre cose, hanno cominciato a fumare come gli uomini, tanto che
l’incremento della crescita della libertà delle donne è parallela al numero di sigarette fumate ed all’entità
della malattia del cancro che si è diffusa tra loro. C’è un parallelismo anche con la diminuzione del seno
come apertura e dolcezza, con le forme rotonde, i tempi lenti.
Tutto questo è stato in qualche maniera sovvertito, e le donne hanno sviluppato una struttura rigida,
nervosa, che è diventata comunissima. Questa tendenza è anche parallela alla diminuzione della lattazione
da parte delle donne ‘industrializzate’.
Lo stress era perlopiù una caratteristica maschile, perché l’uomo si trovava a gestire il mondo del lavoro,
l’economia, una società in rivoluzione. Man mano che le donne si sono avvicinate al modello maschile
hanno assunto anch’esse una sottile nevrosi, hanno perso in parte la loro lentezza ed armonia non
seguendo più i naturali tempi biologici.
Le nevrosi della donna passano automaticamente ai figli. Si è rilevato infatti che nelle famiglie con un
livello intellettuale e sociale nella media o superiore, i figli assumono frequentemente il carattere
nevrotico. Nella comunicazione c’è sempre un filo di rabbia. C’è questa tendenza ad avere una rigidità
della spina dorsale, seppur in forma minore del carattere schizoide, e a vivere le cose con una sottile
negatività, con una sottile conflittualità.
Quando si fa una maternage ad uno schizoide… lui non c’è, rimane teso, tutto deve essere sotto controllo.
Se viene fatta ad un nevrotico lui si lascia andare, si accuccia, lo sente, però rimane sul mentale, dice
subito che non è molto contento e crea un ‘conflitto’. È una tipologia molto comune che può contaminare
tutti i caratteri, è trasversale, però è estremamente sensibile alle terapie. Non ha particolari problemi:
basta talvolta appoggiargli una mano sulla fronte o sul cuore e si lascia andare. Sono quelli che si
appassionano, giocano, sono in qualche modo intraprendenti. Non essendo tanto gravi, nel counseling si
hanno risultati in tempi brevi. Quando, invece, questa tipologia sfocia in altre caratteristiche, come il
rigido, la cosa diventa più difficile.
Il carattere “psicopatico”: la sfida alla vita
Nitamo Montecucco
Vediamo innanzitutto la differenza tra il masochista e lo psicopatico per metterne a fuoco la dinamica.
Abbiamo detto che il masochista deve accontentare una madre che gli impone la sua autorità, e quindi una
madre castrante. Lo psicopatico ha una relazione importantissima con la madre, ma di altro tipo. Lo
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psicopatico è una struttura che viene montata da una madre che vede nel figlio la possibilità di realizzare
il sogno della sua vita. Suo figlio è meraviglioso, è intelligentissimo, è un figlio che la riscatterà dal padre
o addirittura che prenderà il posto del padre. Questo accade quando il padre muore o si allontana, il
bambino è ancora in tenera età e lei si trova sola con lui… che diventa il suo mondo. Anche qui c’è un
bambino che impara a soddisfare la madre, ma non è una madre imperativa e castrante bensì una madre
che si allea con il figlio e gli fa credere di essere speciale. E al contrario della madre castrante del
masochista, gli dà molte possibilità, gli fa fare sport, suonare strumenti musicali, gli lascia sviluppare una
grande intelligenza. Dobbiamo immaginare che questo meccanismo sia un meccanismo vincente, nel
senso che realmente poi questo bambino inizia a ricevere delle conferme. Infatti gli psicopatici hanno
sempre successo per tutte queste caratteristiche enunciate. Ma qual è l’aspetto fondamentale dello
psicopatico? Lo psicopatico è talmente centrato su se stesso che tutto il resto del mondo è semplicemente
uno strumento; perché ovviamente tutta la sua realizzazione è dimostrare il suo grande valore con la
complicità della madre. Lo psicopatico non sa amare, e vede gli altri come oggetti che può usare a
piacimento. Può addirittura, in forme psicotiche molto gravi, tagliare le persone a pezzi, perché per lui
sono realmente degli oggetti da rompere.
Roberto Sassone
Nello psicopatico c’è l’esasperazione delle aspettative dei genitori, per il maschio soprattutto le
aspettative della madre e per la femmina quelle del padre. Bisogna tenere presente che queste strutture
caratteriali nascono in epoche storiche, e quindi - visto che la nevrosi è il prodotto di una situazione
sociale - le nevrosi cambiano o si evolvono a seconda di come cambia una società. È per questo che
oggigiorno non ci ritroviamo più con queste definizioni, perché nel frattempo è cambiata la società, e
quindi è cambiato anche il tipo di dinamiche caratteriali. Lo psicopatico è la persona che vive per il
potere, che deve realizzare le grosse aspettative della madre. In genere è un bambino che viene pompato
con le parole (“sei super intelligente, realizzerai e avrai successo nella vita”). Quindi lo psicopatico
collega la realizzazione del successo e del potere con l’amore; come se il suo modo per ottenere amore (in
modo inconsapevole) fosse riuscire a diventare qualcuno nella vita. Tutto questo esaspera alcuni
atteggiamenti quali: il potere sugli altri, la necessità fondamentale di avere sempre ragione, lo sviluppo di
una forte mentalizzazione. Lo psicopatico è una persona molto intelligente che è capace di avere anche un
potere mentale sugli altri, è capace di strutturare forme-pensiero e una serie di ragionamenti che riescono
realmente a mettere l’altro in difficoltà. Quindi è un leader.
Lo psicopatico è una struttura che deve chiudere il cuore, perché in qualche modo ha venduto il suo cuore
alla madre, e il prezzo che ha pagato è quello di diventare il migliore. Una struttura così è più portata agli
attacchi di panico o al suicidio per fallimento, dal momento che la sua identità è il successo. È una
struttura ad alta densità energetica, mentre l’orale è a bassa densità. A differenza del masochista (che ha
alta densità energetica ma un ristagno di energie), lo psicopatico ha molte energie in movimento perché le
spende, le agisce. Quindi porta tutta l’energia in alto. Inoltre ha una buona sessualità, ma ancora più
esasperata del fallico-narcisista (che deve dimostrare la sua potenza per farsi bello), e ciò a patto che sia
un atto di potere, per mostrare alla donna quanto è potente, quanto ha valore.
Luisa Barbato
Secondo una lettura energetica dello psicopatico, si può dire che è fondamentalmente una persona che
stabilisce un contatto diretto tra il corpo, gli istinti, il cervello rettile con la corteccia.
È un movimento verticale diretto che in qualche maniera salta la parte limbica. Quindi non avendo
contatto con la parte emotiva/affettiva riescono a considerare gli altri come ‘oggetti’ e non li connotano
con l’emozionalità, il senso di colpa o il senso morale che noi tutti abbiamo.
Si tratta di un’intelligenza lucida sorretta dall’istinto e dalle sottostanti forze primitive. Questo schema è
anche lo schema della nostra società e della nostra cultura vincente; è il rischio culturale di massa del
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nostro sistema. Quando Nitamo Montecucco definisce la nostra società tecno-rettile fa riferimento ad una
società psicopatica. Pensiamo ai casi estremi, agli adolescenti che uccidono la propria famiglia o che
gettano i massi sull’autostrada. Ci sono tantissimi giovani che sentono questo tipo di disagio, proprio
perché spesso sono in questa dimensione rettiliana, sono molto sull’istinto; ciò che viene anche espresso
dalla tecnica, dove l’uso della tecnologia e la formazione dell’intelligenza è garantita attraverso lo studio
scolastico ma che non prende mai in considerazione la parte affettiva
Ogni volta che c’è un caso di psicopatia eclatante, ciò che colpisce è la mancanza di affettività dei
protagonisti. È inquietante il fatto che le perizie psichiatriche su questi soggetti tendano a sottolinearne la
capacità d’intendere e volere, la consapevolezza e lucidità. Ciò che però non viene mai valutato di queste
persone è la capacità di provare emotività e affettività. Tra l’altro la psichiatria classica sostiene che
queste persone non sono ‘trattabili’, perché questa mancanza difficilmente viene recuperata, essendosi
costituita in un periodo molto lontano dello sviluppo, e malgrado queste persone siano molto abili nel
condurre e sedurre per la loro intelligenza seduttiva. Vediamo il caso di Erika di Novi Ligure, che stava
già riuscendo ad uscire dalla prigione, perché aveva sedotto e convinto della sua innocenza chi lavorava
nella struttura. Ed è cosa nota il fatto che abbia ricevuto centinaia di lettere di ammirazione da parte di
giovani. Negli Stati Uniti, quando ci sono detenuti psicopatici, di solito l’equipe cambia in continuazione
per evitare che si possa cedere alla loro seduzione.
Nitamo Montecucco
La mia lettura è che lo psicopatico ha di base una forte mancanza di apertura del cuore. Guardiamo gli
animali: ci sono in effetti animali che uccidono senza cuore. Il leone non ci dà questa sensazione, mentre
è diverso per le iene. Pensiamo agli usurai, ai mafiosi, a coloro che commerciano in armi, a quelli che
fanno del male gratuitamente. È chiaro che in quei casi non c’è il senso del cuore, oppure è così poco che
- rispetto ad altre istanze psicofisiche - è irrilevante. È auspicabile una società dove il cuore diventi
simbolo di civiltà, una base di civiltà. Ora invece il cuore manca, perché la società è organizzata per il
guadagno, per l’apparenza, per l’avere e il possedere, e diventa facile - con un minimo di intelligenza uccidere, massacrare, vendere, guadagnare, essere famosi.
Tutti questi caratteri non sono mai unici. Ad esempio per gli psicopatici abbiamo decine di strutture: ci
sono quelli moderatamente psicopatici, quelli che hanno avuto un sostegno forte da parte della mamma
che li ha rinforzati in una parte di ego… ma non è detto che tutti abbiano risposto alla stessa maniera.
Alcuni sono diventati dei palloni gonfiati, altri sono diventati delle persone determinate, altri ancora non
ce l’hanno fatta per mancanza d’intelligenza o volontà di riuscire e così via. Quindi abbiamo tantissime
strutture, e ci sono anche dei buoni psicopatici in grado di amare. Ci sono persone che da un cervello
puramente rettile si rendono conto di aver fatto del male e si ri-bilanciano. Quindi lasciamo aperto il
campo, e facciamo attenzione quando identifichiamo una struttura: a volte si può vedere forte, piena…
ma a volte è meno evidente, e solo per un tratto.
Roberto Sassone
In proposito si può leggere nel libro “Il corpo non mente” (di Luciano Marchino) un passaggio breve ma
veramente esemplare: “Mentre lo schizoide si tiene insieme per non andare in pezzi, l’orale si tiene stretto
per non sentirsi abbandonato, il masochista tiene fuori resistendo alle invasioni e ai soprusi e tiene dentro
rinunciando all’auto-espressione per non perdere l’oggetto d’amore, lo psicopatico si tiene su per sentirsi
all’altezza della situazione, il rigido si tiene indietro per non farsi coinvolgere nell’amore.”
130
Il piacere
Che cos’è il piacere? E soprattutto il piacere nella dimensione della relazione con l’altro genere?
Proviamo a unire due elementi. Nella spinta del movimento c’è la grande possibilità di andare incontro al
mondo. E quindi c’è la libertà dell’esplorazione. Senza questa spinta aggressiva non si può arrivare alla
genitalità, perché ovviamente anche il movimento di desiderio dell’uomo verso la donna - e viceversa - è
un movimento di aggressività. La spinta è ‘andare verso’, per la soddisfazione del piacere. Siamo ancora
ad un livello animale ma con una grossa opportunità, e non è quindi dispregiativo. Tra gli animali è
evidente la lotta per la conquista della femmina, perciò l’aggressività è necessaria a questo scopo, è legata
alla riproduzione. Anche nell’uomo è così (la fase rettiliana per la spinta riproduttiva), ma si attiva anche
la parte limbica, l’affettività, l’emotività, che è la porta per il contatto con il cuore. Non si deve
confondere la porta del cuore con quella dell’emozionalità; quando parliamo di contatto con il cuore
parliamo di esperienza dell’identità e dell’intensità d’amore che porta con sé. Perché nell’esperienza
dell’identità (che non è quella dell’ego) c’è la percezione del collegamento continuo con l’altro da sé,
ovvero c’è l’esperienza che l’altro in realtà non esiste come separato ma come continuo collegamento con
la nostra presenza interiore. Spesso ho sentito parlare – anche equivocando - del fatto che bisogna stare
nel cuore. E stare nel cuore non è sentimentalismo, ma un atto di presenza amorevole, silenziosa e
concreta. Torniamo in argomento: questo movimento aggressivo va verso il femminile o verso il
maschile. Ma cosa sono il maschile e il femminile?
Ricordiamo una cosa fondamentale: ognuno di noi è un’unità. Quindi sia l’uomo che la donna contengono
in sé entrambi i principi, l’uomo contiene dentro sé il principio femminile e la donna quello maschile.
Forse non si dovrebbe più parlare di maschile e femminile, perchè significa dare una connotazione
culturale. Il principio femminile per l’uomo è l’attivazione di un altro tipo complementare di percezione
della realtà, vale a dire la percezione della realtà con l’emisfero destro, attraverso l’intuizione, attraverso
una percezione diretta, un’empatia. È il contrario della discriminazione (e credo sia stato più un fatto
culturale, il motivo per cui è favorita questa funzionalità nella donna rispetto all’uomo). Di fatto in questo
movimento aggressivo - sopra accennato - c’è un elemento importantissimo (e naturalmente per quanto
riguarda l’uomo mi riesce più facile dirlo): la molla del piacere è anche qui un’occasione di incontro di un
altro da sé, che però è il catalizzatore di una funzione poco sviluppata. Ovvero l’uomo attraverso il
contatto con il femminile risveglia all’interno di sé una funzione fondamentale senza la quale non può
essere interamente un individuo (cioè non diviso). E finché c’è uno yin e uno yang - un femminile e un
maschile - che non comunicano all’interno di noi, diventa estremamente difficile comunicare all’esterno
di noi con un maschile o con un femminile. Quindi questa molla del piacere è una grande occasione per
realizzare un piacere ancora più vasto, che non è esclusivamente il piacere sessuale, ma lo stesso piacere
che - attraverso il collegamento con il canale del cuore - diventa riconoscimento dell’altro come parte di
sé. Non è più esclusivamente un atto in cui l’altro è oggetto di desiderio (come avviene a livello animale,
in cui ha una funzione importante), ma l’altro diventa possibilità di unità. Non è un caso che poi, facendo
un altro salto qualitativo, proprio l’energia sessuale (in alcune vie come quelle tantriche) diventa
strumento di base da affinare e da trasformare per realizzare l’unione - attraverso l’altro/a - con questa
parte di sé. Quindi recuperare l’esperienza della libertà del piacere (ricollegandomi a quanto detto prima)
significa recuperare la capacità di scegliere la vita. Il piacere ci mette in contatto con l’energia vitale, che
non è patrimonio dell’individuo. L’individuo è immerso nella vita, e la vita non è un termine astratto ma
un campo ancora più grande di energia che consente il continuo ricambio e la possibilità continua di
azione finché non si esaurisce - con la morte - questa possibilità corporea.
Tornando alla sessualità come funzione primaria, quando essa viene in qualche modo compromessa ne
soffre il rapporto con il piacere. Ma siccome questo movimento verso il piacere rimane la base (una delle
spinte che non possono essere paralizzate), questo movimento viene deviato.
Coloro che hanno superato più o meno indenni le prime tre fasi e sono arrivate alla fase della genitalità
(vale a dire sono in contatto con il piacere) nella nostra cultura incappano in un grosso tema: quello del
131
senso di colpa, della morale. E nelle strutture che hanno raggiunto questo livello (il fallico, falliconarcisista, la donna isterica, le persone che usano la sessualità come strumento di relazione e di
seduzione) il senso di colpa determina una scissione tra il piacere e l’amore.
Ovvero, mi muovo verso il piacere, anzi imposto tutta la mia vita sul piacere, seduco molto, e tutto il mio
atteggiamento è proiettato ad avere una relazione con l’altro basata su questa seduzione, ma a patto di non
amare la persona che mi suscita questo tipo di desideri, perché se la amo la sporco… in quanto sono
arrivato alla genitalità, ma questa si è caricata del timore del peccato. Non a caso in tutte le religioni si
parla della necessità di reprimere la sessualità.
Dicevamo che la sessualità è libertà, e che se un individuo non è libero di scegliere il piacere, vuol dire
che non è libero di sceglierlo ad altri livelli. Non dobbiamo immaginare il piacere come legato
esclusivamente ai nostri genitali; il piacere è la libera circolazione dell’energia nel nostro corpo.
Il piacere significa la capacità di accettare la gioia di godere di qualsiasi manifestazione della vita.
Quando una persona non riesce ad avere un orgasmo e ad accettare di perdervisi, difficilmente accetta il
piacere di perdersi in un ideale o in un progetto, di credere profondamente in una struttura. Direi quasi
che c’è un pensiero genitale e un pensiero non genitale. Una persona genitale pensa genitalmente e
viceversa. Una persona avara ha un corpo avaro, un pensiero avaro; una persona che ha un bisogno, ha un
corpo di bisogno; una persona seducente ha un corpo che seduce e un pensiero che seduce. Non si può
considerare un pensiero come se fosse altra cosa di un corpo, o viceversa un corpo come se fosse altra
cosa di un pensiero. Il corpo è pensiero. Aurobindo (e non solo lui) diceva che in molte tradizioni si parla
della mente del mentale, della mente delle cellule, della mente del corpo. Come se ci fosse un ‘mentale’
che ha vari livelli, il livello dell’energia del pensiero, dell’energia della emotività, dell’istinto, del vitale,
come se la cellula fosse la base della struttura di un individuo. Si potrebbe rendere l’idea di tutto questo
con un pensiero molto sintetico: il corpo è un grumo di pensiero.
Quindi allo stesso modo della paura di vivere nello schizoide, della paura dell’abbandono nell’orale, della
paura dell’azione nel masochista, del fallimento nello psicopatico, così nel fallico (e fallico-narcisista) c’è
la paura della gioia, dell’abbandono, oppure c’è il grosso desiderio di realizzare il piacere… ma il prezzo
da pagare è il senso di colpa.
I caratteri e la sessualità: il rigido, il narcisista e l’isterico
Roberto Sassone
Ora vediamo le differenze tra carattere psicopatico e rigido come indicazioni di massima, al di là
dell’approccio reichiano. Nella nomenclatura del rigido fondamentalmente si inseriscono due strutture
caratteriali: il fallico-narcisista e l’isterica.
L’isterica (un termine che trovo desueto) ha come contraltare maschile il fallico-narcisista. Ha la
caratteristica di essere arrivata ad una sensazione piacevole dei genitali, di avere avuto anche una
relazione di complicità con il genitore di sesso opposto; ma è una relazione in cui l’angoscia del genitore
(che sente questo gioco seduttivo) ha fatto sì che questo movimento verso il piacere sia stato bloccato
dalla paura del genitore stesso. Al piacere si associa la sensazione che sia qualcosa di sporco, che non
deve essere agito fino in fondo. Da questa caratteristica viene fuori che queste due strutture (fallico
narcisista e isterica) è come se arrivassero sempre ad un punto in cui poi non realizzano mai, come il
tipico momento in cui la donna o l’uomo scappano per non essere in qualche modo coinvolti. Quindi il
piacere non è mai portato fino alla fine. Queste persone hanno una buona carica energetica, perché sono
arrivate quasi vicino alla genitalità, hanno attraversato abbastanza indenni le fasi precedenti che abbiamo
descritto, e l’energia vitale circola nel loro corpo. In genere le isteriche si riconoscono dal movimento
sinuoso dei fianchi e da come camminano; tutto quanto è un accenno alla loro femminilità. Anche gli
uomini li si vede ostentare in qualche modo la loro virilità. Ma le persone che essi amano non possono
essere coinvolte da un eros passionale perché è come sporcare questo ideale d’amore, mentre le persone
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non stimate e ritenute oggetto sessuale possono sì essere desiderate e vissute con un’alta carica erotica…
ma il cuore viene separato dai genitali.
Mentre lo psicopatico ha una relazione con la madre - relazione ovviamente edipica - in un’alleanza
emozionale e proiettiva che ha il fine di realizzare il successo e il potere, nella relazione edipica del rigido
(o fallico-narcisista) non c’è da parte della madre la richiesta “tu sei quello che deve diventare grande
nella vita”, ma è una vera e propria relazione seduttiva sul piano dell’affettività e non del progetto di
realizzazione. La madre riversa la sua affettività sul figlio, amoreggia (cosa che può essere anche bella e
sana, se è misurata e senza richieste implicite), senza richiedere al figlio di essere speciale o superiore agli
altri. Quindi c’è la relazione edipica, ma è più sull’affettività e sulla seduttività.
Il vero grande problema del carattere rigido o fallico-narcisista è che questa struttura ha passato
abbastanza indenne tutte le altre fasi e incontra finalmente la madre come oggetto d’amore.
A questo punto bisogna tenere presente una cosa importantissima (che crea difficoltà nel genitore di sesso
opposto): il bambino non fa differenza tra amore e sessualità. Egli ama totalmente, per cui il suo desiderio
di contatto e la sua manifestazione di sessualità - che non è di genitalità - è un contatto di cuore innocente
e pulito, se ha fatto gli altri percorsi con semplicità. È la madre (o il padre) che si spaventa di questo tipo
di relazione, perché ovviamente in questo contatto c’è sessualità. Ed è il timore e la sensazione di allarme
del genitore (che invece vive il senso di colpa o comunque una dimensione un po’ sporca della sessualità)
a mettere in allarme il figlio.
Nel caso del rigido o fallico-narcisista la madre propone l’incontro manifestando la seduttività nei
confronti del figlio, ma a condizione che non ci siano manifestazioni sessuali. Ed è veramente il dramma
del fallico o dell’isterica (quindi del rigido/a) che ha accesso ai sentimenti erotici e di cuore (che sono
ancora uniti!), ma se vuole avere una relazione con la madre deve scindere i sentimenti erotici dal cuore.
Può avere un rapporto di cuore, ma la sessualità non è consentita.
Qui nasce un fatto culturale negli uomini (che sta diventando sempre più frequente anche nelle donne)
ovvero che gli uomini possono avere rapporti sessuali forti ed eccitanti con donne che non amano, mentre
la donna che amano - ‘nobile’ e angelicata - non può essere oggetto di desiderio. Si trovano ad essere
meno potenti quando sono innamorati e più potenti quando non c’è un investimento d’amore.
L’aspetto del fallico-narcisista è piacevole; è una persona che ha una buona mobilità energetica perché
comunque è giunto alla genitalità, però è un seduttivo (come la madre con lui).
Se prescindiamo dai caratteri, il meccanismo che descrivo è un meccanismo frequente e che possiamo
chiamare anche in un altro modo. Ma se - da operatori - cerchiamo di capire aldilà delle definizioni che
cosa accade quando ci sono questi tipi di vissuti, diventa più facile operare. Il fallico-narcisista ha una
ferita d’amore, per cui fa il movimento, erotizza l’oggetto e poi si ferma perché si trova nell’angoscia di
questa sensazione. Ha magari una grossa potenza e una grossa carica energetica, ma non può viverla
insieme all’affettività. Quindi è anche il ‘bello irraggiungibile’ che si manifesta e fugge, come fa a sua
volta l’isterica. È seduttivo, ma poi alla fine si tira indietro: un uomo così è la dannazione della donna. Il
rigido quindi ha una struttura abbastanza mobile, però è ‘tirato’. Il suo vero problema è la paura: ha paura
di amare. Su di lui si lavora sulla sua paura di amare, sul dargli la fiducia e sul fargli sentire che il suo
affetto non viene negato.
Per quanto riguarda il problema di Edipo c’è un triangolo in questo caso. Mentre nelle situazioni descritte
in precedenza c’è un rapporto duale - la storia tra il bambino e la madre nelle varie fasi - quando entriamo
nella fase edipica c’è un reale confronto con il padre, ed è il vero triangolo. Quindi è molto importante
vedere che relazione c’è tra il padre e la madre. Bisogna capire effettivamente perché la madre riversa la
seduttività sul figlio anziché viversi in maniera più piena la sua femminilità con il proprio compagno. A
volte può esserci un ottimo rapporto intellettuale o un rapporto di stima con il proprio compagno, però
manca la sessualità. Quindi la parte erotico-affettiva della donna viene negata ed il figlio maschio le offre
la possibilità di esprimerla.
133
Ad ogni modo queste sono donne più sane, con una capacità di contatto d’amore. Non stiamo parlando come per la donna degli altri modelli precedenti - di incapacità di contatto, di madri che non sentono il
proprio corpo oppure donne ansiogene, ossessive, prevaricatrici o violente.
Questa è una situazione molto più accettabile.
Luisa Barbato
Una situazione molto comune, che viene definita come una delle caratteristiche importanti del nostro
sistema sociale, è questo investimento della madre sul figlio (che diventa ad un certo punto
simbolicamente il compagno). Il compagno viene privato della funzione sessuale che viene
successivamente trasferita sul figlio. È una situazione collettiva di screditamento del ruolo dell’uomo,
perché c’è un’assenza del padre. Personalmente mi capita di vedere molto spesso questo passaggio dove il
figlio viene eletto a compagno simbolico.
Per quanto riguarda le donne sarebbe più facile parlare dell’isterica secondo Freud, ma in questa sede è
più opportuno trattare in maniera più semplice del carattere isterico vero e proprio e della ragazza che è
arrivata al primo sviluppo genitale (il che avviene intorno ai 5-6 anni). A tale proposito c’è un’ipotesi
molto interessante, che sostiene che in realtà filogeneticamente lo sviluppo dell’essere umano sarebbe
completo entro i 5-6 anni ed entro i 10 anni vi sarebbe una maturazione genitale. In realtà se non ci fosse
stato uno sviluppo del sistema della corteccia si sarebbe pronti a 5-6 anni; lo sviluppo di tutte le facoltà
corticali pertanto determina un periodo di latenza fino alla pre-adolescenza.
Nello sviluppo dell’uomo, quindi, c’è una doppia fase che non è riscontrabile negli animali. E’ come se la
maturazione sessuale slittasse in avanti per permettere lo sviluppo di tutte le facoltà cognitive e
intellettive che altrimenti non si potrebbero sviluppare. Che cosa comporta questo doppio stadio?
In realtà, come detto, si arriverebbe almeno dal punto di vista energetico ad una maturazione intorno ai 56 anni e quindi c’è tutta la triangolazione edipica.
È una fase in cui i bimbi si scoprono, si toccano, girano nudi con disinvoltura. Dopo gli otto anni diventa
un tabù: non ci si tocca, ci si deve vestire. Nei campi nudisti le uniche che hanno le mutande sono le
ragazze dagli otto ai quattordici anni (il periodo premestruale e dell’inizio delle mestruazioni). In effetti è
l’epoca più delicata, di cambiamenti e di vergogne emotive.
Nel caso della bambina c’è l’impossibilità di andare verso il padre, perché ciò viene inibito dalla madre.
Spesso le bambine richiedono il contatto fisico con il padre, contatto energetico che ha anche delle
sfumature di sessualità che la madre permette. Se questo processo non viene completato la bambina
sviluppa una patologia isterica: va verso il padre, verso l’uomo, ha la maturazione, “ci sono, sono
disponibile… poi però non è possibile”.
In questo processo ci sono coloriture diverse: se la madre permette ma il padre blocca questo processo, o
nasce l’identificazione positiva con la madre o si sviluppa una situazione di conflittualità e di maggior
rifiuto della femminilità.
Chi è l’isterica? Dal momento che in una persona dal carattere isterico tutte le fasi precedenti si sono
sviluppate normalmente, l’isterica è una persona che ha una certa mobilità fisica. Ha una certa agilità, una
certa sensualità, esercita seduttività e fa del maschio il suo riferimento prevalente, perché è lì il blocco.
Quindi di fronte a ragazze che sono completamente prese dal gioco della seduzione, avremo il tema
edipico: un blocco interiore edipico.
Ciononostante questo è uno schema teorico su cui ho personalmente dei dubbi, perché a mio avviso nella
realtà non è mai così. Ormai trovare una ‘vera’ isterica è difficile. Sarebbe augurabile ci fossero solo le
isteriche, perché vorrebbe dire che ci sono tutte le strutturazioni pre-edipiche: l’oralità, la separazione del
parto, e la fase anale si sarebbero svolte bene.
In realtà non è così. È necessario fare delle distinzioni. Si definisce la reazione isterica, che è la più
superficiale, l’improvvisa reattività che poi viene definita isterica, che ha poco a che fare con la genitalità.
134
Mentre possiamo definire il tratto isterico un tratto di copertura, e questo si trova più frequentemente. È il
gioco di seduttività delle donne, l’esser molto puntate sul maschio, sulla conquista, sul piacere, sull’essere
ammirate, sulla leggiadria. Ma è spesso un tratto di copertura, nasconde ben altro.
Nelle varie posizioni isteriche possiamo distinguere molte sotto-posizioni. E’possibile togliere il tratto
isterico nel giro di poco tempo (perché è un tratto di copertura), e a quel punto emergono le posizioni
sottostanti che coloriscono il tratto isterico. Ad esempio c’è un’isteria che copre un tratto fobico, è
l’isteria di conquista e fuga: seduco e poi abbandono. L’isteria che copre un’oralità è molto comune, e fa
disperare gli uomini: la donna si presenta con un tratto isterico molto seduttivo e leggero, e quando arriva
allo scopo tutto il gioco di seduzione serve solamente a colmare il buco affettivo, l’uomo serve da
riempitivo, deve continuamente riempire il bisogno, la deve nutrire… e quindi c’è l’attaccamento.
Esiste poi un’isteria che è di copertura a un tratto fallico. È una donna che nella relazione con il padre ha
in realtà sviluppato un processo di conflitto e di identificazione, cioè non è riuscita ad andare verso il
padre perché si è creata una situazione di competitività. Si è identificata con il padre anche perché c’è
stata un’impossibilità d’identificazione con la madre, per cui la situazione seduttiva diventa una
situazione di sfida nei confronti dell’uomo. Vive rapporti amorosi che vanno in escalation simmetriche:
c’è una grande seduttività, poi c’è un abbandono, poi ci sono le urla e le grida, poi la ripresa e così via.
Tutto questo perché dietro c’è una posizione femminile d’isteria di copertura di una posizione fallica in
competitività con l’uomo.
Le più comuni tipologie
Nitamo Montecucco
Abbiamo definito, per le tipologie primarie, alcuni elementi che possono essere importanti - se riusciamo
a identificarli - per avere un’idea generale delle strutture di base, di come si è venuto a creare il loro
blocco, e dei punti deboli, su cui eventualmente si può fare un’azione di aiuto e di sostegno.
Per questo, vorrei entrare nella struttura della vita media e fare un excursus sui casi più normali di
strutture critiche delle persone che potrebbero rivolgersi all’operatore/counselor.
Partirei non tanto dalle personalità, quanto dalle cose che capitano più frequentemente. Ad esempio:
comunemente arrivano dal counselor persone che chiedono svariate cose, ma in realtà stanno chiedendo
di farli uscire dalla depressione. Raccontano mille cose, ma essenzialmente che hanno un processo di crisi
interna e hanno bisogno di aiuto.
Un’altra delle tipologie assolutamente comuni sono le persone in un momento di crisi esistenziale: attorno
a loro sta cambiano il mondo, stanno cambiando le relazioni, sta cambiando il lavoro, stanno cambiando i
loro sentimenti che li connettono con la rete delle relazioni. Si rivolgono all’operatore/counselor con una
piccola scusa - per l’abbandono del fidanzato, per la moglie che rifiuta l’intimità - ma in realtà si osserva
facilmente che sono in un momento di passaggio ed hanno semplicemente bisogno di un centro. È la crisi
esistenziale.
Abbiamo già messo in evidenza come, soprattutto in questo momento storico, molte persone che sono già
normalmente con il cuore aperto l’hanno dovuto chiudere. Dentro hanno un cuore che batte e che soffre, e
fuori tutta la sofferenza che non riescono più a gestire. In questi casi, il counselor ascolta quello che di
positivo c’è dentro queste persone.
È necessario imparare a riconoscere i casi. Finora abbiamo parlato di caratteri: lo schizoide, il rigido,
l’orale ecc. Ma a volte arrivano persone che sono borderline o che sono psicotiche oltre misura, e
l’operatore non ha assolutamente gli strumenti per poterle aiutare. Quello che si può fare per aiutarle è
consigliare loro un buon psicologo, un buon medico, una buona struttura, oppure di entrare in un iter di
crescita che comprende un lavoro di profondità.
Le persone depresse hanno bisogno a volte di una psicoterapia o di uno psichiatra. Se la persona piange
tutto il giorno è inutile intervenire con un massaggio o una meditazione. Evidentemente ha dentro un
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meccanismo contorto che non gli permette di vivere la sua vita e che deve essere risolto con degli
strumenti potenti. Se, invece, la persona ha una depressione psicofisica lieve ed è un po’ insoddisfatta, le
si può dare un’enorme aiuto: sia questo caso che quello della persona con crisi di relazione o crisi di
identità in senso semplice, sono situazioni intermedie (per esempio una persona che non vuole fare più il
suo lavoro, oppure la donna che per anni è stata una brava moglie e ora non ce la fa più).
In tutte queste situazioni, quello che l’operatore/counselor può fare è applicare le norme generali di
empatia con la persona e le pratiche di sua competenza. Si articola il suo bisogno nella realtà.
Abbiamo visto degli ottimi risultati con lo shiatzu, con la danzaterapia, con il respiro, con il craniosacrale
e altro, quello che spesso succede è l’atto magico che risolve il bisogno della persona.
Se la persona è particolarmente tesa e rigida si fa tanto lavoro sul corpo. Se non sente il corpo è utile il
massaggio ayurvedico. Se, invece, è un carattere masochista con un corpo duro e coriaceo, il rebalancing
lo scioglie nelle strutture di profondità. Se ha subìto incidenti o operazioni chirurgiche è utile una
sessione di craniosacrale e il lavoro sulle cicatrici. Quindi, qualsiasi tecnica venga usata, ciò che esce è
l’emozione. Spesso esce l’emozione del momento in cui la persona si è fatta male, e non il dolore fisico:
esce la rabbia, la paura, la tristezza. Facendogli rivivere l’incidente magari esce il dolore del recente
abbandono della fidanzata.
Ognuno ha la propria tecnica con delle sue specifiche funzioni, ma ciò che voglio veramente trasmettere è
l’importanza assoluta di come l’operatore/counselor entra energeticamente ed interiormente in contatto
con la persona. Tante persone pagano un analista per parlare al muro mentre l’analista scrive due cose e
tenta invano di non addormentarsi. Il counselor può fare lo stesso lavoro con meno danaro e molto più
cuore e presenza.
Lo schema generale della struttura della personalità
Per riassumere quanto detto fino ad ora sui caratteri e le qualità umane, per la comprensione delle varie
identità, ci avvaliamo di uno schema globale composto da 5 schemi sottostanti:
1.
l’Identità: quanto la persona ha realizzato il suo centro, la sua essenza.
2.
la Polarità: quanto la persona è polarizzata sul maschile-yang o sul femminile-yin
3.
le Tre Strutture: quanto la persona è polarizzata su pancia-istinti, cuore-emozioni, testapensieri.
4.
i Chakra - Shen: quanto la persona è polarizzata sulle sette energie essenziali dei centriorgani
5.
le Personalità secondo la bioenergetica, l’enneagramma, la psicologia transpersonale,
l’astrologia, ecc.
Al punto 1) troviamo le persone con un’identità integra e stabile; quelle con un io debole e vacillante;
quelle con alterazioni più gravi di perdita o vuoto di identità, di psicosi. (I^ Tavola delle Equivalenze
Psicosomatiche).
Al punto 2) troviamo persone più neutre e bilanciate; quelle più nell’energia femminile-yin, dolce e
intuitiva; quelle più nell’energia maschile-yang, decise, intraprendenti, razionali. Oppure usando i codici
indiani: quello più tamasico (basso-denso), quello più sattvico (equilibrato-armonico) e quello più
rajasico (focoso-energetico). (II^ Tavola delle Equivalenze Psicosomatiche).
Al punto 3) abbiamo le personalità di pancia, più istintive, fisiche; le personalità di cuore, più affettive,
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emozionali; le personalità di testa, più mentali e intellettive. (III^ Tavola delle Equivalenze
Psicosomatiche).
Al punto 4) troviamo le sette energie psicosomatiche essenziali, riprese dalle tradizioni indiane e taoiste,
che ci offrono un punto di riferimento estremamente articolato e complesso con cui interpretare le qualità
delle persone. (Mappa Psicosomatica Essenziale).
Attraverso questa comprensione complessa delle varie personalità si riconoscono i loro tratti, i loro
schemi fisici, energetici, neuropsichici di base, e ciò serve per capire la struttura dell’identità.
Anche in ogni contesto spirituale si trovano maestri di tutti i tipi: quelli orientati sul cuore, quelli orientati
sulla mente, o quelli molto fisici. Facciamo qualche esempio semplice: sicuramente Gesù era molto di
cuore sul lato destro, era un personaggio che non si faceva dire di no da nessuno (“piuttosto la morte ma
io vado avanti sulla mia strada”). Yogananda era una persona di cuore completamente sul lato affettivo,
della dolcezza, della comprensione. Krishnamurti, così come i lama tibetani, è sul lato mentale-razionale.
Osho (è un 7 dell’enneagramma) ha la caratteristica di essere una tipologia di testa che fa la sintesi di
tutto. Poi ci sono quelli più orientati alla volontà, al potere, al fisico come BodhiDharma, Gurdjieff, molti
maestri zen, gli yogi. Bisogna tenere sempre presente che queste sono delle caratteristiche di maggiore
polarizzazione, perché tutti hanno anche le altre parti.
I caratteri e le energie psicosomatiche essenziali
Nitamo Montecucco
Trattiamo ora le caratteristiche principali delle varie personalità anche alla luce della mappa energetica
tradizionale indo-cinese o indo-tibetana.
Roberto Sassone
Basiamoci sulle strutture caratteriali già trattate. Iniziamo dallo schizoide.
Che caratteristiche ha lo schizoide? L’inizio della sua vita è legato alla paura, per cui fondamentalmente
non ha le radici, ha paura di entrare in contatto con la realtà. Quindi è coinvolto il I^ chakra, che significa
la sopravvivenza e nel corpo corrisponde fisicamente ed energeticamente ai piedi, alle gambe, ai due reni
(Ming men = i due centri della vita) i cui canali scendono al sedere e giù fino ai piedi. Il blocco della
paura avviene quando i reni vengono bloccati dall’inibizione, energeticamente sono contratti o in vuoto e
generano - sempre a livello di energie - il blocco di tutta la zona bassa. Fondamentalmente la muscolatura
della zona lombare blocca perché è rigidissima, e dal momento che questo è l’unico asse centrale/asse
spirituale, i cinesi lo connettono con tutti i disturbi, per cui se manca questo polo a terra tutta l’energia
sale verso l’alto. Queste persone hanno bloccato il corpo, il centro dell’incarnazione da cui parte l’energia
verso il cuore che dà la carica, e se questo non avviene tutta l’energia va tendenzialmente alla testa.
In questo caso la paura è totale ed è generalizzata, la contrattura muscolare si trova in tutto il corpo.
Nitamo Montecucco
Inoltre, dato che il cuore è il foglietto embrionale medio che tiene insieme gli altri due, se si ha un buco
sul cuore ed il cuore frena la sua funzione di connettore tra testa e pancia, tra istinti e mente. Ricordiamo
che il sistema cardiaco gestisce il sistema sanguigno, il sistema muscolare, il sistema immunitario e
l’apparato scheletrico. Quindi è assimilabile alla “struttura che connette” di Gregory Bateson.
Una patologia che negli ultimi anni ha avuto un incremento enorme è la mialgìa generalizzata. È
facilmente diagnosticabile, specialmente se si lavora sul corpo, poiché ovunque lo si tocca è dolorante.
Ciò significa che il cuore è completamente bloccato: tutti i muscoli sono in tensione, il dolore del cuore
vive in tutti i muscoli del corpo. Sicuramente la mancanza di riconoscimento e di vitalità del I^ chakra fa
sì che la persona riviva questa energia nella testa. Quindi il corpo è molto gracile. Immaginiamo un
137
bambino che nasce, e sin dall’inizio può avere l’energia della mamma dentro la pancia (di amore e
accettazione), oppure può avere un’energia non di amore, e gli manca quella luce che lo fa sentire vivo. Il
bimbo nasce, la mamma lo allatta e lo accudisce ma è tesa, nervosa e manca il contatto con gli occhi, il
suo vero sorriso. Non comunica, non parla al bambino, non lo ascolta. La pelle (sistema nervoso) sostiene
ma non contatta, non c’è il secondo livello, il movimento comune, il gioco. Questa è l’energia primaria.
Se il bambino nasce con questo centro di libertà, potrà fare i capricci, potrà anche andare contro ai
genitori, sostenere il confronto. Vuol dire che già nei primi anni il centro dell’identità è forte, libero corpo
in libero pensiero, libera emozione in libero cuore. Il bambino si sente sufficientemente amato, è
un’anima libera, sa che può contare sull’amore dei genitori anche se c’è il contrasto. Viceversa se manca
il nutrimento del cuore (se vogliamo, dell’anima) il bambino diventa fragilissimo, è dipendente perché gli
manca la cosa essenziale, e attraverso il ‘cibo’ del cuore lo si condiziona ad avere un blocco. In tal modo
il bambino diventa un carattere, che non ha il contatto col corpo, diventa quello che la mamma vuole
perché sotto c’è questo tremendo bisogno di essere accettati; è come se la mamma dicesse «io in realtà
non ti accetto, ma se fai questa cosa un po’ ti accetto» e per essere accettati si fanno cose incredibili.
Roberto Sassone
Passando all’orale, a lui è mancata l’alimentazione e l’affettività e tale mancanza innanzitutto gli provoca
a livello del corpo una protrazione verso l’avanti di tutta la testa e la bocca. Questa postura è molto
evidente nell’orale e denota colui che aspetta qualcosa… qualcosa che non arriva. L’irrigidimento dei
muscoli della zona sub-occipitale provoca un blocco alla gola, la mandibola è serrata e le spalle vengono
portate in avanti come se la persona si volesse proteggere perché manca questo alimento.
L’orale si riconosce anche dall’espressione degli occhi, perché sono imploranti e richiedenti (ricordiamo
ad esempio Bambi). Cosa ci suggerisce la persona con gli occhi da cerbiatto? Che cerca amore ed affetto,
tipicamente un affetto di cuore e di milza, un affetto materno e dolce che gli è mancato, soffre per la
mancanza dell’alimento e continua a chiederlo.
E proprio perché c’è una pena e una necessità quasi di ‘farsi da nido’ - proprio perché non arriva questo
contatto - il torace tende ad essere incavato, svuotato come se volesse proteggere il centro del cuore, il
collo è proteso in avanti, la gola e la mascella sono contratte, c’è una tensione nel cingolo scapolare e
nelle spalle. Le braccia sono poco irrorate, sottili e vissute come impotenti, non essendo disponibili per
l’azione auto-assertiva.
Le gambe dell’orale sono generalmente esili, e proprio perché non ha molto contatto con il suolo
cammina un po’ a papera. Il bacino è ritratto, perché questa mancanza d’amore porta una certa paura
genitale. Quindi bisogna lavorare sulla fiducia, sul “grounding”, sulla riattivazione del canale principale
del I^ chakra, in maniera tale che si possa iniziare ad avere una percezione di stabilità, di ‘esserci’.
Nitamo Montecucco
Una persona con queste caratteristiche avrà i canali della forza di reni (che salgono al cuore) un po’ in
vuoto. I cinesi parlano di solito di vuoti di milza, cuore e reni, perché la forza manca, perché a livello
genitale non c’è potenza e la potenza deriva dal riconoscimento della fiducia di sé. Quindi c’è una scarsa
fiducia in se stessi, e l’energia non viene ‘tirata su’ e vissuta pienamente.
Questa tipologia di persone può facilmente andare in depressione che è chiaramente definita come
un’iperattività negativa, un vuoto di milza. Bisogna ricordare che i counselor non sono abilitati a “curare”
questo tipo di persone, ma possono aiutarle attraverso una serie di interventi: anzitutto aprire il cuore,
aprire la vitalità e virare sulla vivacità e la giocosità. A volte la persona non vuole davvero uscire dallo
stato in cui si trova, da quel mal d’amore…ma se il counselor riesce – e appunto non è detto che riesca - a
farle muovere il corpo (con la meditazione della Kundalini o con la danza), a farla divertire, ridere e
scherzare, sciogliere le tristezze, è possibile che in poco tempo possa recuperare. Ciò significa ribilanciare l’asse sinistro con un’iperattività dell’asse destro.
138
Qual è la caratteristica principale dello psicopatico? Anzitutto l’ottimismo: ha molta energia, ha i piedi
per terra, l’asse centrale funziona bene, è connesso con la testa, l’intelligenza è attiva e pratica, lavora
molto con la vivacità e giocosità. Ricordiamo che l’asse centrale è il centro dell’identità. Nell’orale è
debole perché non è stato amato, ed anche nello schizoide è spesso debole, ma nello psicopatico invece
l’ego è stato rinforzato. Anche se in una forma primitiva, c’è il riconoscimento sociale dell’ego (e non del
Cuore), ma questo basta per sentirsi amati. Ecco perché lo psicopatico usa molto l’energia primaria della
terra, la forza del fegato; non riesce, invece, a usare la dolcezza e la sensualità della milza. Quindi questa
parte - che è quella umana, attenta e affettuosa - non arriva al Cuore e li fa diventare carenti della parte
che noi chiamiamo amorevole ed etica e che loro ritengono una debolezza.
Roberto Sassone
Lo psicopatico è proprio l’opposto del masochista (dalle gambe grosse e apparentemente ben piantate al
suolo). In realtà il masochista non ha un vero riconoscimento di sé, esiste solo in funzione
dell’accontentare l’altro. Ha una struttura pesante che gli serve esclusivamente per contenere il suo vuoto,
e la sua solidità è solo apparente. In realtà non ha contatto con il suolo. Sembra che abbia contatto con la
terra per le gambe grosse, ma non ha forza, perché non ha l’energia. Ha paura di crollare anche se si sente
stabile. Facendo l’esercizio del “grounding”, mentre l’orale reagisce presto iniziando a tremare e
oscillare, il masochista resta anche un’ora senza reazioni. Ha una struttura sicuramente ristagnante e
compressa. Bisogna ri-mobilitargli l’energia. E chissà quante volte gli hanno detto “dai! muoviti!” (ma
così si ferma ancora di più).
Nitamo Montecucco
Proviamo per un momento ad immaginare il contrario. Il masochista ha già da bambino un corpo molto
solido e tozzo, dove l’elemento linfatico è spesso in abbondanza. Questi bambini non sono esuberanti,
giocosi e vivaci; anzi, sono un po’ goffi. Mentre nell’orale c’è l’attenzione sulla milza ma la milza è vuota
(perché il cuore è vuoto di affettività), nel masochista c’è una madre iperprotettiva che gli ha dato troppo,
lo ha soffocato. Quindi l’aspetto materno è ‘tanto’, ma di cattiva qualità, gonfio e stagnante.
Mentre nello psicopatico la respirazione è molto attiva (perché deve tenere il cuore aperto, deve lavorare
tanto e quindi deve anche respirare tanto), nel masochista c’è una respirazione lenta, non è mai una
respirazione vivace e veloce. Quando si mette una persona con una struttura tendente al masochismo
sdraiata a respirare e si riesce a farle abbassare il torace, si gonfia la pancia. Cioè molla il torace ma erge
immediatamente una difesa in un’altra zona (in questo caso la pancia). È tipico, ed è veramente un
segnale interessante. Se si fa respirare velocemente un masochista significa che non è grave oppure è già
in grande miglioramento; significa che apre già i canali. Quando invece si fa respirare un orale (che ha i
polmoni vuoti), spesso si muove, va in iperventilazione in fretta, va in tetania.
Proviamo ad associarli con gli animali: il masochista potrebbe essere un animale da tiro tipo una mucca o
un bue, è lento ma va avanti; l’orale invece sarebbe della categoria di animali tipo cani o gatti (piccoli e
più veloci), mentre lo psicopatico si può assimilare ad un leone o un lupo con il proprio potere gerarchico.
Vediamo l’ultimo carattere che solitamente non ha ricevuto grandi blocchi a livello primario, cioè
l’isterico-fallico-narcisista. Ha l’affettività mediamente aperta, è vivace e presente perché l’energia dei
Reni c’è. Allora quale potrebbe essere la sua caratteristica? Una certa dicotomia: è come se l’energia
arrivasse al cuore…ma troppo superficialmente. È come se sul cuore ci fosse un ostacolo, una ferita.
Un esempio: il papà fa fare il cavalluccio sulle sue ginocchia alla sua bambina di undici anni, poi
improvvisamente sente che la bambina ha un seno e di colpo s’interrompre il gioco, non è più la sua
bambina, non la prende più in braccio. Anzi, inizia a contrastarla vietandole alcune cose, controllando con
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chi esce e dove va, oppure nel triangolo con la mamma (che vive questa energia attraverso la figlia che a
sua volta ama il padre) il cuore della bambina va in corto circuito. Da adulta ogni volta che si innamorerà
di un uomo sarà aperta nelle energie base ma sarà bloccata nel cuore, perché è rimasto chiuso.
Questo ego strutturale cade abbastanza facilmente. Quando sono intelligenti (e a volte non lo sono) hanno
anche una certa vivacità, per cui quando gli si propone di aprire i sentimenti spesso ciò che viene fuori è
una serie di banali condizionamenti sociali. Se si riesce a pulire questo si può arrivare spesso al cuore.
Parliamo del VI^ Livello: l’espressione e l’intelligenza.
Avevo un amico schizoide, quasi completamente bloccato nel sistema muscolare-scheletrico, e la grande
energia con cui non era riuscito a vivere nel corpo l’aveva trasferita in testa. Era geniale. Un giorno mi ha
raccontato che da bambino sua mamma non lo lasciava troppo solo e libero di vivere, per cui si è
rinchiuso, ha iniziato a leggere e studiare ed è diventato un genio in matematica. Praticamente ha
trasferito il piacere più genitale, di fegato e di milza nella testa. Era come se la testa non fosse realmente
in contatto con il resto del corpo. Non riusciva ad usare l’intelligenza del cuore né della pancia.
Abbiamo detto più volte che non dobbiamo formulare dei giudizi.
Nella mia accezione più normale mi scatta il giudizio sul masochista. È un tipo di mente con una lentezza
di formulazione. Ricordiamoci che la vivacità del fegato finisce nel punto in cui entra nel polmone. I
polmoni prendono l’energia del fegato. La loro vivacità diventa curiosità, la giocosità diventa intelligenza
creativa. Quando questo lato diventa inibito (dietro c’è spesso una mamma che non lascia giocare) la loro
mente diventa legata a delle strutture molto forti e non c’è assolutamente la vivacità del pensiero che
permette la rivoluzione.
L’intelligenza del masochista è più logica-formativa che non intuitiva, mentre nello psicopatico
l’intelligenza è molto stimolata.
Come abbiamo già detto, nello psicopatico manca il canale di milza con l’affettività che corrisponde al
secondo chakra (l’energia del cordone ombelicale, dell’utero, della mamma). Se la mamma non dà questa
energia (e anzi lei diventa un ‘maschio’ che lo stimola a rappresentarsi all’esterno), questa parte etica
viene fortemente a mancare e il cuore - se è tutto fuori - non può essere tutto dentro.
Avendo sempre il torace pieno d’aria, uno psicopatico può essere aiutato nella respirazione
appoggiandovisi sopra e chiedendo cosa sente. In alcuni casi ha sensazione di panico perché ha paura a
svuotarsi, perché l’immagine di sé, del suo ego, è la pienezza. Non può permettersi di essere perdente,
perché altrimenti crolla tutto. Questo accade con gli psicopatici chiusi e ottusi. Quelli più intelligenti e
bilanciati hanno un cuore più aperto. Ho avuto dei pazienti manager d’azienda molto determinati che
avevano fatto del bene; hanno lavorato molto su di sé e hanno sostituito le loro energie di terra forti
riscoprendo il loro lato femminile che non utilizzavano.
La stessa cosa può succedere alla donna che viene ingabbiata nel modello di “madre e moglie”.
Io la reputo già di base una persona con un carattere masochista, e dato che questo in Italia è un dato
estremamente comune, c’è un enorme numero di figli di madri masochiste che hanno preso il carattere di
chiusura e di adattamento alla situazione (non farsi troppe domande, avere dei figli e andare avanti). Di
buono c’è che sono delle madri stabili, ma dall’altra parte non sono donne realizzate, perché si sono
identificate troppo in un ruolo sociale all’interno della famiglia. Fortunatamente sono sempre di meno, e a
volte assumono un ruolo autoritario, direi quasi “sadico”. Questo si può spiegare, perché la masochista ha
avuto un ordine forte e quando cambia il ruolo da figlia a madre, ribalta quella tendenza: “Adesso sono io
che comando e ti do la vera legge della verità! Fai come ti dico io, perché così mi ha detto mia madre e
ora devi farlo anche tu!”
140
Roberto Sassone
Non è la regola che il masochista diventi sadico. Se il masochista riesce a toccare il suo sadismo significa
che si è liberato dall’odio che aveva dentro. Ma questo lo fanno un po’ tutti. Ovviamente, tra tutte le
strutture, il masochista è quello che meno si può permettere di esprimere la sua violenza. La sua
distruttività è una forza molto potente, che viene imbrigliata nella contrattura molto forte della sua
muscolatura e nella distruttività verso se stesso. E si può vedere realmente quanto il masochista sfoghi
tutta la rabbia contro di sé.
Nitamo Montecucco
Riprendiamo le energie di una mamma in gravidanza
Se la mamma è molto fisica ha un bel canale rosso, e il bambino riceve una carica vitale nel suo primo e
secondo chakra. Se invece la mamma ha il primo chakra chiuso e non riesce a vivere serenamente l’amore
di coppia, il bambino riceve sul primo e secondo chakra un senso di fastidio.
È ovvio che l’energia vitale non è l’atto d’amore in sé; solo se la mamma ha il cuore aperto tutto il suo
sistema sarà gaudente e anche il bambino ne avrà beneficio, ricevendo questa energia di piacere. Tutti i
problemi e le preoccupazioni della mamma vanno sulla pancia, e il bambino potrà avere già nella
gravidanza il cuore che si chiude. Se la mamma è ‘di testa’ e ossessiva - vale a dire con la milza e cuore
bloccati e l’iperattività del cervello superiore - il bambino riceve una banda di onde beta costante che lo
massacra. Se la mamma è una iper-emotiva e ansiosa, il primo chakra è tirato, e al bambino arriva una
costante banda di onde theta.
Primo caso: la mamma è staccata dal corpo e dal cuore e vive molto nella testa, il bambino ha subìto già
un trauma (tentativo d’aborto, una caduta, una paura), per cui è possibile che abbia lo stesso blocco già
dalla nascita (schizoide). Il bambino riceverà una doccia di paura e tensione per nove mesi, nascerà con
quel codice, avrà il primo chakra bloccato o poco funzionante, nascerà con la predisposizione a non
sentire il corpo (dato che non ha sentito il contatto con il corpo della madre). Neanche dopo la nascita la
madre lo ri-bilancerà, o lo farà solo parzialmente.
Secondo caso: la mamma ha un blocco di secondo chakra. È depressa, è orale, con un grande buco sul
cuore. Ha un buco di milza, di energia affettiva (che non riesce a sentire per il bambino che ha in
grembo). Questa energia povera di milza non nutrirà il feto. Il bambino nascerà con quella codifica: poco
calore ed energia affettiva. Avrà un cuore ansioso, bisognoso, con un’energia femminile povera di
vitalità, piacevolezza, rilassamento.
Terzo caso: la mamma ha un blocco di terzo livello. Sin da bambina non ha potuto giocare nel corpo, non
ha potuto sperimentare sulle proprie gambe la propria autonomia, la propria dinamicità, nella vita non si
sente dinamicamente presente e non sa come divertirsi. Può anche essere tesa, nevrotica, rancorosa. Primo
chakra, fegato e cuore sono un po’ induriti, tutto sul lato destro. Il bambino nel grembo sente questa
codifica.
Quarto caso: la mamma ha una chiusura del cuore (quarto livello), una mancanza enorme. Ne abbiamo
già parlato, pertanto analizziamo il caso contrario, in cui la mamma ha un cuore aperto, è sensibile e di
cuore. Può avere un blocco di primo o secondo chakra, un po’ di depressione.
Accade che la gravità dell’influenza viene minimizzata, e il bambino avrà delle turbe ma saranno molto
meno gravi rispetto ad un altro bambino con le stesse strutture materne di crescita ma con una mamma col
cuore chiuso, che non lo ama. Insomma: se la mamma lo ama, lo sente, il bambino lo percepisce perché
tale energia passa attraverso il corpo. Se la mamma è un po’ depressa e abbraccia poco il bambino, lui
avrà un po’ di sofferenza, sarà poco incline alle emozioni, poco facile al sorriso. Ma avrà un cuore aperto,
sarà una bella persona.
La consapevolezza amorevole, la presenza empatica è la prima cura della persona, la prima terapia.
Questa presenza empatica è assolutamente necessaria per il counselor, perché chiunque abbia davanti è un
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‘essere’ e su quella base cercherà di tirare fuori tutto il possibile. Si può facilmente lavorare con persone
col cuore aperto, mentre con le persone che palesemente non hanno un cuore bisogna fare molta
attenzione; a volte è meglio non lavorare… o meglio, se si è dei massaggiatori, degli shatsuka, operatori
di cranio-sacrale, è preferibile fare le tecniche conosciute (con grande rispetto e grande amore), ma senza
lavorare con il counseling, perché il cuore chiuso è già una patologia. Il counselor potrà dire: «Io non
posso aiutarti sulle cose di cuore, di profondità, di psiche e di emozioni. Posso darti qualche piccolo
consiglio, lavorare sul corpo per ritrovare la giocosità e vivacità, ma senza andare oltre nel processo di
crescita, perché io non me ne posso occupare».
Se invece, anche in una situazione tirata, il counselor riesce a sentire che ha un cuore che risponde, allora
potrà lavorare, senza ovviamente fare psicoterapia. Se la persona ha davvero il cuore aperto riesce a dire
«Io voglio uscire da questa situazione». Se la persona ha il cuore chiuso dirà «Non credo che riuscirò ad
uscire da questa situazione, non ho fiducia» (il che significa “non ho fiducia in te né in me”). In
quest’ultima situazione non si deve minimamente forzare, perché significa che la persona ha subìto una
tale ristrettezza di amore da crearle un blocco profondo nell’identità. In questo caso si può lavorare molto
sul corpo, darle strumenti, aiutarla a ritrovare un po’ di leggerezza, ma senza dire alla persona «Ti posso
aiutare ad aprire il cuore». Magari si riesce ad arrivare ad aprire il cuore attraverso il corpo, l’amicizia,
ma non attraverso il counseling diretto e consapevole.
Quinto caso: una mamma con il blocco della gola, che non comunica. Nelle famiglie in cui i genitori non
comunicano le emozioni, i figli cresceranno senza comunicare emozioni o con un grosso blocco.
Sesto caso: la stessa cosa dicasi per il centro della mente (la tipologia di sesto livello), in cui la mamma
trasmette ideologie, condizionamenti.
Riprendiamo un attimo questo schema e rivediamo i casi opposti. Finora abbiamo analizzato le carenze;
ora vediamo gli eccessi. Immaginiamo che il bambino nasca senza aver ricevuto energie pesanti o
particolari blocchi di chakra. La gravidanza è stata abbastanza normale. La mamma abbastanza
equilibrata, minimamente di cuore. Il bambino nasce normale.
Se la mamma comunque ha un blocco sul primo chakra trasmette al figlio questo tipo di energia.
O gli pompa o gli svuota il primo chakra. E può anche farlo contemporaneamente.
Da una parte dice «Ah finalmente sei nato, avrò cura di te e ti darò tutto il meglio dalla vita», dando al
bambino un’impostazione di primo livello forte, fisica, strutturata; ma allo stesso tempo crea una spinta
sul primo chakra fisico dove il bambino si sente investito da una serie di cose mentali che vanno
istantaneamente a fortificarlo. Non è tanto un rinforzo narcisista ma è come dire «Tu devi essere un bravo
ometto responsabile, aiuterai se ci sarà bisogno»; oppure «Sei una brava figliola responsabile, dovrai
aiutare i tuoi fratelli, non darmi preoccupazioni». La parte utile che può essere fisica, economica, viene
rinforzata. E nella psicologia della persona questa prenderà parte della sua energia fisica - o solo mentale
- e si sentirà investita di una forza enorme.
Dall’altra parte la mamma potrebbe dire «Accidenti aspettavamo un maschio e sei nata femmina» oppure
«Mi aspettavo che diventassi un uomo forte come il nonno avrebbe voluto», e c’è quindi un processo di
castrazione.
Già nei primi mesi di vita il bambino manifesta istantaneamente un’attività fisica. Ad esempio già a due
mesi si tira su con le gambe. Il genitore può fare due cose: bloccare la vitalità e fermare le gambe - magari
fasciandole - oppure permettere che sgambettino gioiosamente. Nel primo caso il bambino viene castrato,
ci sarà un’inibizione di primo chakra e successivamente del fegato. La parte muscolare del movimento
fisico, del riconoscimento fisico dell’indipendenza verrà bloccata. Sarà una persona che tenderà ad
ascoltare il lato un po’ pauroso, ansioso o molto protettivo della mamma e svilupperà un carattere
introflesso. Saprà sostenere la madre, diventando come un bue castrato psichicamente, rimanendo in
un’energia di primo chakra debole. Nell’altro caso è l’opposto: svilupperà un primo chakra forte.
È possibile che queste due forme siano contemporanee. La scorsa settimana è venuto da me un uomo
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forte, determinato, capace nella sua vita professionale, ma nella vita familiare ridiventa un bambino
rispettoso. Ha una postura col torace espanso e sicuro, ma quando gli si chiede della famiglia assume una
conformazione masochista. “Io sono un guerriero ma non devo fare nessuna guerra, devo proteggere i
miei genitori”. All’esterno, nella vita sociale, è determinato, ma una volta tornato a casa subisce i
genitori. È l’amministratore delegato dell’azienda di famiglia, in pratica il capo, ma in realtà comandano
sempre i genitori. Quindi vi è una doppia azione: “Fuori sei un imperatore, dentro uno schiavo, devi
essere il nostro bravo figliolo, per quanto riguarda la famiglia e le emozioni sei sotto di noi”.
Prendiamo il carattere di milza: la mamma che non ama il bambino crea un carattere orale, con il classico
buco dell’abbandono, un buco di secondo livello, dove il cuore è in continua richiesta ogni volta che
incontrerà una persona. Ma c’è anche il caso opposto dove la mamma iper-protegge, rassicura sempre.
Esiste una media, una giusta affettività al momento giusto. Questo atteggiamento spinge verso una certa
personalità: ad esempio nel caso di una bambina si svilupperà un carattere molto femminile, ed il maschio
tenderà a diventare molto maschile per reazione (parliamo sempre del secondo livello: caratteri sessuali).
La madre si è insinuata nella sua psiche e ha condizionato un comportamento in eccesso, senza lasciarle
la libertà di essere ciò che è. Avrà una sessualità e affettività spiccate (nel caso femminile la Brooke
Shields della situazione).
Altro esempio è il pompaggio o la decompressione del fegato. Il ragazzo spinto di fegato è il classico
sportivo (e spessissimo c’è dietro il papà): una personalità fisica, dinamica, sportiva, che impara presto a
cavarsela e ad essere autonomo. Se mischiata ad altri caratteri, può diventare un elemento caratteristico
fondamentale. Se il genitore spinge a cavarsela da solo già nell’adolescenza, dà autonomia al figlio, che
verrà su dinamico e forte delle sue esperienze.
La contrattura del diaframma
Nitamo Montecucco
Per quanto riguarda il blocco del diaframma - dal momento che la respirazione è trasversale - bisogna
vederne l’intensità. Lo sblocco del diaframma si effettua un po’ con tutte le respirazioni, anche se ci sono
tecniche più specifiche. Riprendiamo lo schema dei meridiani di energia. Se il cuore si chiude, si chiude
la gola e il diaframma, che sono le prime due porte del cuore, le più importanti. In realtà il cuore ha sette
porte. C’è la porta anteriore che è quella del dare, e la posteriore che è quella del ricevere. Vi sarà già
successo che quando un amico sta male vi viene istintivo mettergli una mano dietro sulla zona del cuore,
tra le due scapole, per sostenerlo. Un’altra porta del cuore è quella dell’energia del cielo, dell’alto (dove si
entra nello spirito).
Ho fatto un’esperienza di vita in una comune per circa tre anni e ho conosciuto migliaia di persone di
tutte le razze, tutte le età e di tutte le conformazioni psicologiche: orali, masochisti, schizofrenici. Vi
erano persone con vari problemi di salute, ma tutte avevano una caratteristica fondamentale: quella di
avere un’anima. E ogni anima si era manifestata nel mondo con quel tipo di blocco o quella vita, partendo
da una particolare genetica e condizione ambientale, dove le energie potevano o non potevano uscire,
anche con patologie gravissime o problemi psichici rilevanti. Ebbene: quando si risvegliava la coscienza
centrale, queste persone cambiavano, si ri-bilanciavano. Il carattere che avevano prima non c’era più.
C’erano delle tracce della vecchia struttura, e qualche volta emergeva ancora, ma veniva sostituita dalla
consapevolezza della realtà. Tutta la mia formazione universitaria e post-universitaria in psicologia, che
sosteneva che la personalità di un individuo si struttura al massimo fino ai diciotto anni, veniva vanificata
da quella esperienza diretta dove anche persone di settant’anni cambiavano personalità nel giro di uno-tre
anni. Per me è stata una rivoluzione concettuale: quello che cambiava era l’anima, il contatto di
profondità e l’osservatore di se stessi. Ho visto delle trasformazioni enormi e questo è stato il grande
motivo che mi ha indotto a studiare il cervello e la psicosomatica.
143
Le ricerche sulla coerenza e la sincronizzazione cerebrale
Nitamo Montecucco
Dagli inizi degli anni novanta, come Istituto Cyber Ricerche Olistiche, abbiamo iniziato delle ricerche
scientifiche con l’intento di studiare la coscienza, il suo risveglio e la sua inibizione, in termini di
coerenza cerebrale. Come neuroscienziato ho iniziato a studiare la coerenza cerebrale con il proposito di
comprendere l’evoluzione individuale e collettiva. Le osservazioni sperimentali sono state effettuate
tramite il Brain Olotester 18c, un apparecchio di ricerca appositamente progettato per ottenere dei dati
sullo stato di salute globale della persona: consente un’interpretazione olistica delle principali bande
d’onda cerebrali (delta, theta, beta, alfa); calcola i valori medi di coerenza cerebrale tra diversi punti di
rilevazione inter e intra-emisferici; consente la rilevazione dei principali parametri psicofisiologici di
benessere/malessere.
Le ricerche fatte in Italia e in India, tra il 1990 ed il 2005, hanno portato a quattro assunti di base.
La prima scoperta è relativa alla relazione tra coerenza cerebrale e salute globale: esistono differenti stati
di coerenza EEG cerebrale (sincronizzazione). Le differenti aree del cervello possono comunicare tra loro
con più o meno coerenza in relazione a differenti stati di coscienza e salute psicosomatica: alti valori di
coerenza sono correlati con stati di benessere psicofisico, mentre bassi valori di coerenza sono associati a
stati di conflitto interiore e più in generale ad una depressione psicofisica. I valori di coerenza sono di
grande importanza nella diagnosi di patologie neurologiche e psicosomatiche.
La seconda scoperta è relativa all’esistenza di stati cerebrali meditativi ad alta coerenza, spesso associati
ad onde armoniche che sono tipiche di momenti di profondo benessere e stati di meditazione. Le ricerche
condotte su yogi e meditatori, hanno mostrato che in stati di profonda meditazione ed alta
consapevolezza, le onde cerebrali diventano altamente coerenti (sincronizzate), spesso evidenziando onde
“EEG armoniche”, come se tutti le differenti frequenze dei centri cerebrali stessero suonando la stessa
sinfonia. In tale stato le informazioni si distribuiscono attraverso l’intero cervello, e la persona sperimenta
un profondo senso di sé, come unità di corpo, mente e coscienza. Ogni essere umano può muoversi, nella
sua vita, fra differenti stati di coerenza, sperimentando perdita di senso così come integrità e
realizzazione.
La terza scoperta è relativa alla coerenza interpersonale tra cervelli. I cervelli di persone vicine, che
normalmente mostrano grafici cerebrali indipendenti (zero coerenza), possono diventare altamente
coerenti attraverso l’empatia, l’amore, il silenzio, lo scambio intellettuale.
La quarta scoperta è relativa all’esistenza della coerenza collettiva tra i cervelli di un gruppo di persone.
Abbiamo osservato e quantificato una forte sincronizzazione collettiva tra i cervelli di 12 persone sedute
in meditazione silenziosa, con un valore medio collettivo tra il 50 ed il 70%. Questo dimostra l’esistenza
di una coscienza collettiva, gli esseri umani possono comunicare un profondo senso di unità anche
attraverso il silenzio.
Possiamo verificare questi assunti osservando i quadri di coerenza cerebrale, riportati sul testo
“Psicosomatica Olistica”.
Nella fig. 48 è riportato il quadro di un contadino dell’Himalaya, un soggetto normale ad occhi aperti. Le
onde delta e theta, tipiche degli stati di tensione e di ansia, sono basse; è presente un picco sulle onde alfa,
indice di piacevolezza e rilassamento; risultano basse anche le onde beta, connesse all’attività cognitiva.
La sincronizzazione è sui 68.
La fig. 50 è il quadro di una persona normale di Milano. Il cervello è un pochino più pieno, c’è
iperattività mentale con leggera asimmetria nelle beta di sinistra. Manca l’onda sul cuore. La media è di
66. Si può vedere come non c’è un’onda a sinistra uguale a quella di destra. Si direbbe che è una di quelle
144
persone che vivono senza una vera ragione e non se lo sono mai chiesti.
La fig. 52 è il quadro di un soggetto in forte stato di stress. Si osserva uno squilibrio a sinistra, tutte le
bande d’onda del lobo frontale dell’emisfero sinistro sono iperattive, ed è presente un avvallamento
(buco) sulle onde alfa del lobo destro. La coerenza eeg tra i due lobi frontali è vicina allo zero.
La fig. 53 è il quadro di un giovane ingegnere in stato di eccitazione mentale e fisica. È emozionalmente
bloccato. La sincronizzazione è alta, 95 di media.
La fig. 60 mostra il quadro di un soggetto in meditazione profonda. Le bande d’onda di entrambi gli
emisferi frontali sono armoniche con picchi regolari. La coerenza eeg è 96, quindi vi è un’elevata
integrazione-comunicazione tra le diverse parti del cervello.
La fig. 64 mostra la coerenza tra due amici in stato normale, in conversazione tra loro. Nonostante la loro
coerenza sia alta (84 e 77), la coerenza interpersonale (tra i loro due cervelli) è -2 (tra i loro emisferi
sinistri s1-s2) e 0 (tra i loro emisferi destri d1-d2).
La fig.65 mostra la coerenza tra i due amici che meditano insieme ad occhi chiusi. La loro coerenza
cerebrale è salita a 96 (s1-d1) e 90 (s2-d2). La coerenza interpersonale (tra i loro due cervelli) è salita
enormemente a +84 (tra i loro emisferi sinistri s1-s2) e +78 (tra i loro emisferi destri d1-d2).
La fig. 66 mostra la coerenza tra due persone innamorate. La cosa interessante è che la sincronizzazione è
alta ma in opposizione di fase, una polarizzazione necessaria all’attrazione sessuale.
La fig. 67 mostra la coerenza tra un terapeuta e una paziente; le onde sono ad altissima sincronizzazione,
ogni onda dell’uno si riflette sull’altra, il terapista trasmette la sua coerenza/armonia al paziente.
Tutto questo per far vedere e capire qual’è il meglio che si possa offrire alle persone in un processo di
counseling: un cuore aperto, una coerenza, una grande presenza che passa.
Le fig. 68 e 69 mostrano gli stupendi quadri di due persone trattate con rilassamento al villaggio globale
da operatori ben armonizzati ed in stato di presenza.
La fig. 70 mostra il quadro della coerenza collettiva prima della meditazione. Ogni linea orizzontale
corrisponde all’attività cerebrale di una singola persona. I 12 partecipanti hanno una coerenza di gruppo
che oscilla tra -20 e +20, inoltre le forme d’onda sono diverse. Questo significa che non sono in relazione
e non c’è un campo di coscienza collettivo.
La fig 71 mostra che le onde si uniformano nel momento di silenzio; fino a diventare sincroniche, fig. 72,
quando le persone chiudono gli occhi ed entrano in meditazione. Si realizza una forte sincronizzazione
collettiva, la coerenza interpersonale sale ad un livello molto alto e le forme d’onda sono così simili da
sembrare appartenere ad un unico cervello.
Questo breve excursus attesta l’estrema importanza della coerenza per comprendere il grado di integrità
psicosomatica di una persona e, nella pratica della sua crescita personale, per verificare l’avanzamento del
suo stato. È importante per stimolare la nostra comprensione dei processi empatici che trasmettono gioia,
coraggio, presenza. Nei testi di guarigione esoterica – tipo Alice Bailey – è scritto che il guaritore deve
agire su di sé per trasmettere la giusta energia all’altro. L’atto principale che proponiamo è quello del
lavoro e della presenza su di sé, dell’energia pulita in sé che automaticamente viene trasmessa agli altri.
145
SCHEMA SINTETICO DEI CARATTERI PSICOSOMATICI
I tre fattori che determinano un carattere: genetica-epigenetica, condizionamenti e anima-coscienza
Riassumiamo le informazioni relative ai caratteri secondo Reich e Lowen e proviamo ad integrarle con le
moderne conoscenze di psicosomatica e di neuroscienze.
La struttura globale della personalità è condizionata da tre principali fattori che, nei primi anni di vita,
interagiscono profondamente tra loro:
1) La componente genetica (il DNA-RNA): una parte è assolutamente immodificabile (colore della
pelle, struttura ossea, organi alterati, ecc.) mentre una seconda parte, detta “epigenetica” (metabolismo,
neurotrasmettitori, alterazioni fisiologiche, ecc.) è modificabile da 2) e 3).
2) I condizionamenti esterni: le influenze affettive, emozionali, familiari, ambientali e sociali,
modificano la struttura epigenetica.
3) L'anima, la coscienza profonda: può crescere e manifestarsi come Sé o venire inibita nella sua
attività funzionale e restare inconsapevole, identificandosi con una sua struttura genetica o con un
condizionamento familiare o sociale diventando un ego, un io della mente, una personalità (da persona =
maschera).
PERIODO FETALE: LA STRUTTURA GENETICA, MATERNA E ANIMICA
L'influenza genetica-epigenetica
L'influenza genetica è la principale base della personalità, ed è dovuta ai codici genetici derivati
dall'unione dei geni del padre e della madre. In particolare è importante la struttura genetica espressa
dallo sviluppo dei tre foglietti embrionali, con le loro specifiche tendenze neuro-ormonali. Una parte di
queste tendenze sono plausibilmente genetiche-immodificabili, una parte (sempre più vasta secondo le
ricerche internazionali) sono “epigeneticamente” modificate dagli influssi psico-neuro-endocrini della
madre.
I condizionamenti materni
I dati della ricerca internazionale evidenziano che già durante la gravidanza il feto riceve impulsi psiconeuro-endocrini dalla madre che condizionano alcuni schemi neuroendocrini (cortisolo, ecc.) in modo tale
che il piccolo, appena nato, presenta già una sua conformazione “genetica” strutturale che lo orienterà ad
una particolare personalità (stressato, spaventato, dipendente, dominante, scisso al corpo, ecc.).
È evidente come alcune delle più gravi patologie siano fortemente associate a situazioni di rifiuto al
concepimento o a forti traumi nella gravidanza.
L’anima e l’ ”ipotesi coscienza”
Al concepimento, nel preciso momento in cui il codice genetico materno e paterno si fondono,
ipotizziamo possa sovrapporsi (per “superimposizione”) l'influenza dell'anima, la quale potrebbe agire
stimolando o inibendo lo sviluppo dei tre foglietti embrionali e più in generale lo sviluppo dei centri
energetici e cognitivi attraverso processi di coerenza e risonanza elettromagnetica. Partendo da questa
ipotesi appare interessante puntualizzare che, nelle ultime generazioni, si è osservato un evidente sviluppo
cognitivo e di personalità dei neonati, già nelle primissime fasi della vita. Questi bimbi appaiono
particolarmente svegli, vivaci, determinati, sicuri dei propri sentimenti, e difficilmente condizionabili,
146
come se la loro “anima” o “Sé” fosse particolarmente forte, evoluto e maturo. Queste testimonianze,
associate ad osservazioni energetiche sottili, hanno portato a definire questi “bambini e bambine indaco”.
Secondo la nostra osservazione trentennale, la coscienza individuale (anima) può rientrare almeno in tre
diversi livelli di evoluzione, correlati con la coerenza elettroencefalografica e con le tre sfere della mappa
PNEI:
Coscienza bassa: la persona non ha una chiara percezione di sé e della sua autonomia, è essenzialmente
condizionata dagli eventi esterni (fisici, emozionali e mentali) e non prende decisioni autonome se non
sono in linea con le regole ed i modelli familiari, sociali e religiosi; ha una scarsa fiducia e stima di sé
(25-30 % della popolazione).
Coscienza media: la persona è identificata con i valori del cuore e della libertà anche se non riesce a
focalizzarli e realizzarli concretamente; si sente parzialmente se stessa, vive molti compromessi e si
attiene parzialmente ai codici esterni della famiglia, della società e della religione; sente le sue idee ma
spesso dubita di sé, vorrebbe avere più forza e decisione ma non sa come fare (60-65% della
popolazione).
Coscienza globale: la persona sente di essere se stessa, ha un suo pensiero relativamente libero e
autonomo, sente di vivere la propria vita ed è poco identificata con i bisogni esterni; ha una forte
sensibilità interiore e dedica la sua vita alla ricerca spirituale di sé e alla realizzazione dei suoi valori
profondi (10-15 % della popolazione).
I TRE CARATTERI PSICOSOMATICI ALLA NASCITA
La base “genetica” dei caratteri genera una evidente predisposizione ad alcune tipologie caratteriali e non
ad altre.
La tipologia fisica-istintiva e il cervello rettile
Se la principale struttura genetica sarà fisica-endodermica, il bambino avrà una corporatura spesso
robusta, una struttura fisica più larga, con movimenti poco fluidi, con maggiore sviluppo del metabolismo
fisico particolarmente identificato con i bisogni fisici primari (cibo, sesso, possesso di beni, benessere),
con il suo corpo e con la propria forza fisica (potere). Corrisponde al tipo “carbonico” dell’omeopatia”.
Queste sono le caratteristiche espressioni del cervello rettile/istintivo legate alla sopravvivenza personale:
massima attenzione ai bisogni somatici e scarsa tendenza alla comunicazione sociale. Le persone “di
pancia”, fisico/istintive, hanno particolarmente bisogno di sentire protezione, sicurezza e concrete
attenzioni che risaltino la loro bravura o forza. In base agli ormoni e gli schemi comportamentali (II^
tavola) avremo due caratteri: attivo e passivo. Il carattere attivo è orientato alla dominanza, alla forza
fisica, all’aggressività e al potere (testosterone, adrenalina, noradrenalina); il carattere passivo è orientato
a comportamenti rilassati e pacifici (serotonina) anche se può passare all’aspetto attivo quando
necessario.
Se l’aspetto attivo non è sufficientemente sostenuto dagli ormoni attivi o se c’è un condizionamento alla
paura (ansia delle madre, aggressività del padre), la personalità sarà orientata alla sottomissione,
evitamento e dipendenza. Questa tipologia fisica si manifesta socialmente con le personalità
dominanti/istintive (pochi individui) e personalità sottomesse/controllate (le masse).
147
La tipologia emozionale-affettiva e il cervello mammifero
Se la principale struttura genetica è quella emozionale-mesodermica, la più comune, avremo un bambino
di proporzioni equilibrate e particolarmente identificato con la dimensione delle emozioni, che
evidenzierà una particolare sensibilità ai bisogni affettivi e relazionali, alla comunicazione affettiva e
sociale, ossia le principali funzioni del cervello mammifero. Corrisponde al tipo “sulfurico”
dell’omeopatia. La persona ‘mesodermica’ è spesso associata ad una bella struttura fisica, benché risenta
dell’influenza degli ormoni fisici di base. Il sistema è equilibrato fra muscoli, ossa e sistema sanguigno,
quindi è una persona proporzionata ed abbastanza piacevole.
Sarà particolarmente suscettibile alle influenze affettive e relazionali familiari e sociali, basate
sull’apprezzamento, l’amore e la bellezza (i figli belli sono statisticamente più amati). Tali fattori
generano sicurezza emozionale e, nel caso siano sostenuti dagli ormoni dell’attività fisica, carisma e
fiducia in se stessi.
Le persone “di cuore” sono particolarmente sensibili all’attenzione affettiva (e alle relative privazioni),
all’accettazione personale, ai contrasti emotivi, alle tensioni relazionali. Hanno particolarmente bisogno
di amore e di attenzioni che mettano il luce le loro qualità relazionali: bellezza, bontà, simpatia. Il
carattere emozionale attivo/vivace produce molta dopamina, l’ormone della passione e ricerca del piacere,
producendo tipologie socialmente aperte e sicure. La tipologia passiva/sensibile, che deriva da una
mancanza di amore e rinforzo affettivo, sviluppa una caratteristica di bassa autostima, dipendenza
affettiva (bassa noradrenalina e bassa dopamina) e psicologica che, nel codice freudiano e reichiano, va
sotto il termine di personalità orale.
La tipologia nervosa-psichica e il cervello mentale
Se la principale struttura genetica è esodermica (sistema sensoriale e nervoso) il bambino avrà una
struttura fisica longilinea e delicata, meno fluida nei movimenti, che a volte sono scattosi e rigidi (gli
indiani dicono della personalità “di testa” che quando si muove scricchiolano le ossa).
Sarà perlopiù identificato con la dimensione psichica con un’evidente espressione del cervello mentaleneocorticale, spesso associata ad una particolare sensibilità (o ipersensibilità) del sistema sensorialenervoso-cognitivo. La tipologia mentale-esodermica vive di sogni, pensieri, concetti e astrazioni.
Corrisponde al tipo “fosforico-fluorico” dell’omeopatia.
Le persone “di testa” sono particolarmente sensibili alle privazioni cognitive e psicologiche, alla
mancanza di comprensione personale e di riconoscimento intellettivo, alla carenza di stimoli culturali.
Hanno particolarmente bisogno di ricevere attenzioni psicologiche che riconoscano la loro capacità
mentale di sensibilità o intelligenza.
Questa sensibilità psichica, se è sostenuta da un’adeguata spinta di energie fisiche ed emozionali
(ormonali, psicologiche, comportamentali), genera una personalità mentalmente sicura e forte; al
contrario se non viene sostenuta dall’asse delle energie ormonali attive, genera una personalità troppo di
testa, mentale, intellettuale, vaga, sognante.
La persona fisicamente concreta e attiva ha a disposizione il proprio emisfero razionale e intuitivo, che
può utilizzare in modo molto reale e quindi realizzare i propri pensieri razionali o di fantasia. Un
sognatore concreto diventa un Quasimodo, un amante della musica un Jim Morrison, un analitico diventa
un Einstein, se è legato all'intelligenza finanziaria diventa un Bill Gates.
Queste tre personalità genetiche possono essere bilanciate ed armoniche tra fisico, emotivo e mentale.
Possiamo ipotizzare che l'anima, più o meno polarizzata, o se vogliamo identificata, con le sue
componenti energetiche, emozionali e mentali, possa influenzare il maggiore o minore sviluppo delle
strutture fetali dei tre foglietti embrionali.
148
LO SCHEMA UNIFICATO DEI CARATTERI PSICOSOMATICI
FUNZIONALI (FLUIDI E INTEGRATI) E PATOLOGICI (RIGIDI E
CONDIZIONATI)
Dallo studio funzionale del cervello e dei neurotrasmettitori PNEI è nato uno schema di interpretazione
scientifica del sé, dei caratteri psicosomatici e della formazione dell’io o ego. La mappa dei caratteri
psicosomatici PNEI aiuta a comprendere la loro origine genetica e familiare, a sviluppare nuovi metodi
per riequilibrare le loro alterazioni trasformando i meccanismi istintivi in consapevolezza di sé.
Le tre sfere
Sfera del Sé in equilibrio consapevole - L’area circolare gialla, centrale, è il campo armonico
dell’essere, ossia il campo di energie e informazioni che costituiscono le parti dell’unità umana.
Rappresenta la sfera della persona con un’elevata coscienza: il Sé che governa, integra e armonizza le
funzioni PNEI comportamentali, emozionali e psicologiche in modo fluido, spontaneo e naturale (I^
tavola delle equivalenze psicosomatiche).
149
Sfera delle identificazioni dell’io - All’esterno della sfera gialla più “consapevole” e fluida abbiamo la
sfera intermedia dello squilibrio psicosomatico, in cui la persona ha una certa coscienza di Sé ma non
riesce a governare alcune funzioni PNEI comportamentali, emozionali e psicologiche, che diventano
eccessive, inibite o squilibrate (rabbia, paura, controllo, bisogno). Questi comportamenti, generati dalla
necessità di dover vivere o sopravvivere in situazioni difficili, sono rigidi, automatici e parzialmente
inconsapevoli. Da essi si generano delle sub-personalità, identificate con una specifica energia PNEI
(sono depresso, sono ansioso). L’area intermedia, pertanto, rappresenta la sfera dei comuni disturbi
psicologici e psicosomatici dove c’è un io-comportamento disturbato e un Sé che desidera unità e
armonia.
Sfera della patologia - L’area più esterna rappresenta la sfera delle grandi patologie psicologiche e
psichiatriche, dove si manifesta la rottura dell’unità e dell’equilibrio psicosomatico globale. La persona
ha pochissima coscienza di Sé, si sente squilibrata e totalmente identificata con la patologia di cui soffre e
con i comportamenti fisici, emozionali e mentali correlati con la patologia stessa. I comportamenti si
estremizzano e diventano inconsci, automatici, senza il normale equilibrio con i loro opposti.
Le due metà
La metà destra della figura umana evidenzia la polarità attiva/yang/simpatica; la metà sinistra esprime la
polarità passiva/yin/parasimpatica (II^ tavola delle equivalenze psicosomatiche).
Le tre aree psicosomatiche
L’area blu rappresenta la polarità mentale-cognitiva della persona, l’area verde la polarità emotivaaffettiva e l’area rossa la polarità istintiva-fisica (III^ tavola delle equivalenze psicosomatiche).
Questo schema evidenzia quindi le sei principali strutture caratteriali funzionali di ogni persona, che
dovrebbero essere fluide e sempre presenti, ossia le sei dimensioni naturali e piacevoli dell’esperienza
che ognuno, in momenti differenti della sua vita, dovrebbe poter vivere e “godersi”.
Le due polarità fisiche - istintive
Partendo dalla dimensione rossa, fisica-rettile, la più vitale e istintiva tra le energie o forze dell’intera
specie animale, abbiamo i due comportamenti alla base di ogni azione di sopravvivenza: l’attacco e la
fuga, la dominanza e la dipendenza. Queste energie sono assolutamente sempre presenti e ogni persona
dovrebbe sperimentare sia momenti attivi-yang di forza attiva-dinamica, di sana dominanza (mediati dal
testosterone e adrenalina), sia momenti passivi-yin di rilassamento, tranquillità, abbandono e obbedienza
(mediati dalla serotonina).
Le due polarità emotive
La dimensione emozionale affettiva è la seconda grande forza che sostiene la vita e la crescita di ogni
persona: essa rappresenta l’energia materna per eccellenza, l’amore, il calore e l’affetto, la tenerezza del
contatto. Ogni persona dovrebbe sperimentare da neonato e da bambino, come in ogni relazione intima,
questa energia recettiva e dolce, la sua emotività passiva come quando si ascolta chi soffre, si cura un
bimbo o un cucciolo; così come dovrebbe sperimentare la sua componente polare attiva, la sua emotività
sicura e carismatica, come quando si festeggia il proprio compleanno, quando si è tra amici e ci si sente
accettati e simpatici, quando si può anche rischiare e buttarsi.
150
Le due polarità mentali
Le due polarità attive e passive, sui livelli fisici ed emozionali attivano la rispettiva componente
neuropsichica o cognitiva, che è rappresentata in parte dai due emisferi cerebrali. Queste due polarità
sono connesse con la personalità yang mentale/autonoma/discriminante/realista o con la personalità yin
influenzabile/accettante/intuitiva/fantasiosa. Tutti abbiamo queste polarità e neuro-personalità, e quindi
dovremmo averne diretta e completa esperienza. Ognuno dovrebbe poter vivere la polarità mentale yangattiva quando prende decisioni pratiche, deve discriminare, risolvere problemi; o la polarità mentale yinpassiva quando sogna, crea con l’arte, si apre alla bellezza, intuisce le cose, libera la fantasia.
La Mappa Pnei permette una efficace identificazione delle polarità alterate in eccesso o difetto, e consente
un triplice orientamento terapeutico di bilanciamento: 1) le sfere esterne con quelle interne; 2) le polarità
attive-yang con quelle passive-yin; 3) i caratteri mentali-alti con quelli emozionali-medi e con quelli
somatici-bassi.
I caratteri patologici condizionati e rigidi
Ogni volta che uno di questi aspetti caratteriali si blocca o si cristallizza, la persona perde la
consapevolezza del suo centro e delle sue complessità emozionali e polari, e, alla coscienza di sé si
sostituisce un “Io”, una personalità con cui la persona si identifica completamente. All’esterno del cerchio
luminoso (giallo) troviamo le personalità cristallizzate, condizionate.
La descrizione di questi caratteri è stata fatta nei capitoli precedenti, la differenza è appunto nel grado di
identificazione e quindi nella possibilità per la persona di poter cambiare la propria vita o di sentirsi
prigioniera di un carattere.
Dalla patologia ai caratteri fluidi
Le vecchie concezioni psicologiche - da Freud, a Reich a Lowen – hanno utilizzato essenzialmente delle
tipologie patologiche o malate per definire i caratteri. Nella moderna Psicologia Olistica è invece
fondamentale rimuovere le terminologie patologiche dalla descrizione della “normale” tipologia
caratteriale e relegare queste terminologie ai soli casi realmente alterati e patologici. Alcuni di questi
caratteri non sono più nemmeno realisticamente rappresentati nella società.
Dal condizionamento “anale” al condizionamento all’esplorazione
Il condizionamento “anale” è diventato obsoleto, mentre era un condizionamento estremamente attivo
nell’Europa di un secolo fa. Con l’avvento di nuove forme di educazione e di nuova cultura e soprattutto,
con la creazione dei pannolini, il blocco “anale” non è più reale. Lo sostituiamo con il condizionamento
all’esplorazione e alla vitalità, che è un condizionamento muscolare-nervoso-mentale attuato dalle
mamme ansiose e angosciate che proiettano sui loro figli le loro paure ed i loro timori in larghissima parte
inesistenti. Le mamme ansiose diventano quindi “iperprotettive” e condizionano i figli ad avere paura di
ogni cosa, a non fidarsi di se stessi, a non poter godere della loro esplorazione fisica-cognitiva che,
attraverso la curiosità, sviluppa una base psicosomatica attiva, assertiva e dinamica.
Dal complesso di Edipo alla relazione affettiva
Edipo, nell’antica mitologia Greca, fu simbolo di incesto e di sessualità alterata. Edipo, non sapendo chi
fossero i propri veri genitori, uccise il padre e divenne il marito della madre. Questo mito sventurato e
drammatico aveva ovviamente la funzione di toccare i numerosi casi di incesto all’interno di sciagurati
151
nuclei familiari e di evidenziarne la gravissima colpa sia sociale e legale, che divina. Parlare di complesso
di Edipo nella struttura familiare contemporanea significa immaginare un incesto dietro ogni relazione
Madre-Figlio o Padre-Figlia. Pur ricordandoci che i casi di violenza e di abuso sessuale all’interno dei
nuclei familiari sono purtroppo ancora presenti, dobbiamo relegarli ai casi di relazione chiaramente
“patologica” e aberrante. Nella normale struttura di relazione familiare, dobbiamo invece eliminare i
riferimenti Edipici, come attrazione “sessuale” e “incestuosa” tra genitori e figli, e sostituirli con una
descrizione della “normale” tipologia caratteriale, sostituendoli con una descrizione più attuale e
“leggera” di rapporti di relazione-attrazione emozionale e affettiva tra genitori e figli.
APPROCCIO OLISTICO AL COUNSELING
LA PRESENZA EMPATICA
La presenza empatica come stato di consapevolezza globale di noi e dell'altra persona
Nitamo Montecucco
In questo capitolo tratteremo più dettagliatamente dell’approccio con il cliente. Proveremo a
concretizzarlo, a dargli delle regole, a capire come viene strutturato e soprattutto come si può facilitare
anche fisicamente l’approccio con una persona che chiede aiuto, nel setting, nel dialogo, nelle domande,
nel questionario. In primo luogo è importante creare uno spazio e fare in modo che la persona entri in
questo spazio.
Kapil Pileri, oltre ad essere il responsabile per il Villaggio Globale dell’area del “cranio-sacrale”, è anche
il nostro punto di riferimento per le esperienze meditative di profondità che ruotano attorno ai gruppi
dell’“Awareness Intensive”, del “Who is in?” e del “Satori”. Questo tipo di percorso per sperimentare
“l’esperienza dell’essere” ha una storia interessantissima che vi verrà descritta da Kapil.
Kapil Pileri
Il mio invito è a stare in uno spazio di ascolto. La cosa importante è iniziare a riconoscere i segnali del
corpo, a percepire come i sensi sono aperti e totalmente disponibili a far entrare quello che stiamo
ascoltando. Le parole di Nitamo penso siano molto importanti: quando siamo nello spazio della pancia è
come stare continuamente in un paradosso. Una sensazione, ad esempio, può essere contemporaneamente
paura ed eccitazione. È come la sensazione che “c’è tutto” e che da quel tutto vengono fuori le idee, le
sensazioni, le emozioni. I segnali da riconoscere possono essere: i suoni non danno più fastidio, c’è la
sensazione di vedere con gli occhi a 180 gradi, il calore nella pelle, la sensazione di sentire la spina
dorsale dritta. È necessario portare l’attenzione agli indizi individuali, perché in questo tipo di lavoro, per
come lo intendo io, la cosa fondamentale è che io non posso incontrare l’altro se non so chi sono io.
Pertanto entro in uno spazio che permette all’altro semplicemente di essere in quel preciso momento. La
parte finale di questo è l’espressione. Vale a dire che questo mio spazio, questo mio essere in uno spazio
152
di vuoto - e qui c’è ancora qualcosa di paradossale, nel sentirlo nella pancia - principalmente permette
all’altro come di ‘scivolare’ nella sua pancia e nella sua consapevolezza. In definitiva, bisogna portare
attenzione al corpo e stare con quello che c’è (anche difficoltà o paura); sentire queste sensazioni e
portarle più in profondità, dandosi il permesso di precipitare dentro.
L'intensivo di illuminazione di Charles Berner
Il lavoro di intensivo di illuminazione nasce nel 1968, dalla creatività del fisico, matematico e ricercatore
spirituale Charles Berner. Nel 1954 aveva fondato L’Institute of Ability, basando il suo approccio
sull’interazione relazionale fra le persone. Come direttore spirituale dell’istituto, lavorò con moltissime
persone, sia in gruppi che in incontri individuali, con l’intento di studiare i fondamenti della vita, il
miglioramento della capacità di relazionarsi e la liberazione dalle emozioni traumatiche. Creò i ritiri di
“Intensivo di Illuminazione”, (”Intensive Enlightenment”), basandosi su una tecnica potente in cui è
possibile avere un’esperienza diretta (non mediata da processi mentali di percezione) della propria natura
divina. Appassionato di Zen cinese, la grande intuizione fu di unire tecniche dell’antica tradizione Zen
della scuola Rinzai con moderne tecniche di comunicazione.
Trattando persone con problemi principalmente di comunicazione, ha iniziato ad usare l’antica tecnica del
lavoro col koan ponendo due persone una di fronte all’altra. I koan originariamente erano dei quesiti
irrisolvibili che potevano avere una soluzione solamente nel momento presente facendo esperienza diretta
(per esempio della dualità o del volto originario della persona). Charles Berner - partendo anche da
insegnamenti legati all’antica scuola indiana dell’Advaita Vedanta, o al grande illuminato Ramana
Maharishi o a diversi altri maestri tra cui George Gurdjieff - ha inserito “koan” esistenziali, del tipo “Chi
sono io?”, “Chi c’è dentro?” e in seguito: “Che cos’è l’amore?”, “Che cos’è la libertà?”, “Che cos’è la
vita?”.
Tecnicamente il lavoro si svolge a diadi, cioè due persone si siedono una di fronte all’altra, lo sguardo
fisso negli occhi, e seguendo le istruzioni a turno, una persona sarà nella parte attiva, cioè esplorerà il
koan, e l’altra in una parte passiva ascolterà la persona che esprime tutto quello che sente in quel
momento (per esempio “Chi sono io in questo momento?”). La persona nella parte passiva chiede il koan
e poi, completamente immobile, si apre completamente all’ascolto dell’altro senza fare cenni di assenso,
diniego o altro. Ogni cinque minuti suona un gong e le posizioni si invertono.
Berner iniziò questa pratica con tempi di mezz’ora, poi passò a venti minuti, dieci minuti, e infine trovò
che il tempo ideale fosse cinque minuti a testa. La sua esperienza dello zen lo portò a creare una struttura
che riprese completamente dai Seshin della tradizione Zen, vale a dire incontri a periodicità mensile (o
quindicinale) della durata di sette, cinque o tre giorni. Dopo vari tentativi arrivò alla formula ideale dei tre
giorni, con 14 o 15 sessioni al giorno. Si può avere, ad esempio, l’esperienza diretta di “Chi c’è dentro?”
in questo momento, e continuare a lavorarci e averla continuamente… e continuamente cambia. Si
diventa il koan, e la risposta viene fuori principalmente dal corpo, non dalla mente. Quindi non è una
risposta mentale o razionale, ma una risposta esistenziale. L’utilizzo del Koan esistenziale ci porta
continuamente a verificare cosa stiamo sperimentando nel preciso momento in cui siamo un facilitatore
per l’altro.
Se esprimo quello che provo senza giudizio sono nella presenza, dove non c’è separazione tra me e
l’altro.
Questa pratica ha avuto effetti potentissimi a livello di terapia, anche se non ha avuto effetti terapeutici
sui primi piccoli gruppi che hanno iniziato ad utilizzarla. Si è diffusa negli anni ’70 tra gli psicologi sia in
Germania che in Inghilterra. Dopo circa un anno e mezzo uno dei primi insegnanti della tecnica
153
raggiunse Osho a Poona e gliela presentò. I primi insegnanti sono stati poi Sudha (che lavora con la
Primal, col Satori e col Tantra), Ganga, Chandrakala (insegnante di arti marziali). Osho prese questo
processo di lavoro per rivederlo completamente. Inserì le meditazioni attive: la Dinamica a inizio
giornata, la Kundalini all’interno del lavoro, e una meditazione prima di pranzo (più o meno verso
mezzogiorno) lasciando inalterato il resto della struttura. Osho ha apportato un altro cambiamento: nell’
”Intenzione” di “Illuminazione” le persone si sedevano semplicemente l’uno davanti all’altro e restavano
immobili, ma secondo Osho quando la persona è attiva e sta esprimendo quello che prova, può alzarsi e
usare il corpo, quindi c’è la parte di consapevolezza del corpo. Il nome cambiò, quindi, da Intensivo di
Illuminazione a Intensivo di Consapevolezza.
Nell’Intensivo di Consapevolezza quindi l’obiettivo è l’esperienza diretta di ‘chi sono’ in quel momento.
Trovo che sia rivoluzionario avere la possibilità di muovere l’energia, perché consente di sentire,
percepire, ‘vedere’ le difficoltà in quel momento… ma anche le risorse. Quindi il corpo può dare
costantemente una visione olistica di ‘chi sono’ nel momento presente. Sentire il corpo ed esprimerlo
elimina questa divisione tra corpo e mente, mentre invece nel primo tipo di lavoro manca proprio il corpo,
l’esperienza diretta, ed è un lavoro molto più contemplativo. Osho utilizza come percorso “La ricerca dei
10 tori Zen”. Sono dieci tavole che Rinzai ha messo a punto, dove si trovano tre modalità di esprimere ‘il
sentiero’ o ‘il percorso’ o ‘la Via’ che non è altro che ‘la Vita’:
1.
una raffigurazione grafica
2.
una parte in poesia
3.
una parte in racconto
Questo vuol dire semplicemente “trova qual è la tua maniera di esprimerti”, trova dentro di te qual è la tua
maniera di vivere la vita e di essere. Il Toro o il Bue sono utilizzati come simboli dell’energia. Qui c’è la
ricerca del Toro, poi c’è una scoperta delle orme, la scoperta del Toro stesso (quindi della propria
energia interiore), la cattura del Toro (diventare consapevoli della propria energia), e poi il momento di
domarlo (una parte molto interessante).
Un’altra cosa attinente allo Zen tradizionale sono i Quattro Passi Magici:
1.
LA DIREZIONE
2.
L’INTENZIONE
3.
LO “STARE CON QUELLO CHE TROVI”
4.
L'ESPRIMERE
Lavoriamo con la Direzione nei due giorni del “Who is in?”. La Direzione è “dentro”.
L’Intenzione è fondamentale se veramente voglio sapere “Chi sono?”; se veramente voglio andare in
profondità, tutta la mia energia va in quella direzione.
Stare con quello che trovi è il punto centrale in quasi tutte le tecniche di meditazione: qualunque cosa
trovo, anche la più orribile, è quella che mi riporta in contatto con me stesso…che sia la rabbia, la
reazione, la paura, la gioia.
La chiave diventa l’Esprimere, l’essere totale nell’espressione, cioè esprimere con consapevolezza
qualunque cosa trovo. E che succede di quella che viene chiamata ‘guarigione’? La presenza è lo spazio
del non giudizio (questo aspetto è fondamentale), è lo spazio di una breve meditazione dove io trovo il
paradosso, dove non trovo confini, dove non c’è differenza né separazione tra me e l’altro, e dove
154
qualunque cosa trovo dentro di me… semplicemente la inglobo. Quindi “Who is in?” significa tornare al
centro, tornare all’unità. È il punto fondamentale per poi andare a esplorare dall’unità tutti gli aspetti che
si manifestano nell’esistenza e nel mio processo dell’esistenza. Perché se io sperimento qualcosa di me
ma non dal centro, in verità sto vivendo qualcosa che non esiste: sto esprimendo un condizionamento, un
imprinting, non sono io veramente, e qui l’esperienza è ancora paradossale.
Quindi queste sono le quattro regole che principalmente utilizziamo per fare l’enquiry dentro di noi. Un
esempio è l’approccio alle mie sessioni di cranio-sacrale, ma potrebbe essere qualsiasi altro tipo di
tecnica, perché la base è identica. Cosa faccio? Mi siedo, trovo una posizione comoda, porto tutta
l’attenzione al corpo e comincio. A volte è più semplice, a volte no. La maggior parte delle volte il lavoro
che faccio con il cranio-sacrale è più nell’accogliere la persona al suo arrivo. A volte trovarsi in uno
spazio di non giudizio automaticamente le fa scattare qualcosa dentro. Supportarla in questo modo può
essere una direzione abbastanza semplice per me (magari col dialogo durante una sessione di ‘cranio’),
però - e qui io sono assolutamente tranquillo - in questo spazio solamente dell’essere il lavoro cambia
completamente. Quindi mi siedo e sento dove sta andando la mia energia: se va fuori, riconosco che va
fuori. Questo processo è molto veloce, e la direzione c’è già, perché se sto andando fuori e lo riconosco…
giro semplicemente la direzione. Osho la chiamava inversione di 180 gradi, Gesù la chiamava
‘conversione’, e non era andare a convertire gli altri, ma era ‘girare l’energia dentro’.
La direzione
La direzione è energia, è attenzione al ‘dentro’, mentre di solito siamo proiettati all’esterno e quindi
diamo la colpa a chiunque altro per non vedere mai veramente in maniera diretta ed esperienziale ciò che
sta succedendo dentro. Invece: è vero che la mamma può aver fatto questo o quest’altro, ma quello che è
attivo dentro di me è quella ferita vissuta allora che si sta manifestando ora. Quindi c’è una risposta a
livello fisico del sistema nervoso, del sistema connettivo; c’è un condizionamento e un’identificazione
con una sensazione del corpo. È rarissimo che si provi a verificare veramente cosa ci sta succedendo nel
momento. È una sensazione nella pancia… il sistema nervoso e la mente la chiamano paura, o magari è
eccitazione per una bella giornata, per vivere una situazione completamente nuova, o nel sentirsi in una
maniera completamente diversa. Quindi l’invito a connetterci al “dentro”, a qual è la direzione,
immediatamente ci porta in contatto con tutte le identificazioni ed i condizionamenti a livello mentale. La
chiave è sempre, in questo caso, il corpo.
L’intenzione
Se vado a verificare cosa c’è veramente in questo momento, si presuppone che io abbia l’intenzione di
fare questo. L’intenzione è una cosa non semplice da definire, perché per ognuno di noi è una esperienza
differente: è qualcosa di diverso dalla volontà, che comunque porta in profondità. Può accadere solo
quando c’è presenza. Si può provare praticamente in questo modo: “chiudo gli occhi e mi connetto
dentro, sento l’intenzione di farlo e le sensazioni fisiche che mi dà ”. Infatti c’è una sensazione fisica, e
questa esperienza per ognuno di noi è completamente diversa. Quindi questo andare dentro, questa
intenzione è un invito a riscoprire la propria individualità, e provare a sentire che c’è già un “Chi sono
io?” che si sta rivolgendo dentro. È importante la sensazione fisica, e la domanda: “In questo momento
chi sono io?” Siamo abituati a vivere la meditazione principalmente come una sorta di “osservazione”, e
con una domanda di questo tipo, soggetto e oggetto sono già uno perché io cerco chi sono io.
L’intenzione mi viene abbastanza in automatico, perché io personalmente lavoro col koan “Chi sono io?”,
e lo sento più adatto alla mia energia yang. Per me è spontaneo e naturale: ci lavoro praticamente
qualunque cosa faccio, e queste due cose (direzione e intenzione) vanno molto veloci.
155
Trovo quello che c’è in quel preciso momento: difficoltà, fastidio, imbarazzo, a volte fatica, a volte
piacere, a volte la gioia di fare una sessione, e semplicemente dentro mi do il permesso di sentire ciò che
sto veramente provando in quel momento. Ciò che fa la differenza è l’essere completamente onesti con
noi stessi: dirci la verità, la nostra verità soggettiva. E questa cosa automaticamente (a volte ci metto un
secondo, a volte quattro sessioni) mi porta in profondità, in questo spazio che non è più uno spazio
passivo, ma in cui l’energia inizia a diventare circolare. Viene fuori un equilibrio tra dare e avere con
l’altro, perché non c’è assolutamente una reale separazione con l’altro. Sto molto attento alle ‘parole’ del
corpo, e naturalmente ho abbastanza chiare le mie indicazioni per riconoscere se quello che sento è vero o
non è vero. Anche qui: semplicemente riconoscerlo. Quindi in verità è una cosa di una felicità estrema,
perché comunque siamo quello che siamo. Ricordiamoci che comunque lo strumento principale è il
corpo, e se non riesco a sentirmi completamente vuol dire che c’è qualcosa che mi sta attaccando e che la
mente è nel giudizio. Allora… semplicemente ritorno a sentire i miei piedi a terra, il sedere sullo sgabello,
mi risento in tutto il mio corpo e automaticamente e immediatamente sento quella forza e torno presente.
Nitamo Montecucco
Dopo questo intervento si può capire quanto può essere fuorviante il proposito “io devo fare il Counselor,
devo raggiungere questi risultati, devo considerare la persona, devo giudicarla sulla base di alcuni
parametri, devo raggiungere un certo scopo, mi devo mettere in un certo atteggiamento”. Tu in quel
momento sei quello sei… e poi vedremo come trovare una direzione. C’è un aspetto centrale: la persona
arriva con una sua direzione all’esterno e con una sua intenzione (per esempio di risolvere un problema, e
quasi sempre all’esterno). Il compito del Counselor è farle rigirare il problema verso di sé. Il lavoro è su
di sé e la persona lo fa da sé. Il Counselor deve solo prestare l’energia sufficiente, lo spazio, l’atmosfera,
la presenza affinché questo processo venga catalizzato, ma in uno spazio di totale libertà e sincerità,
perché si è quello che si è. Non si sta mettendo una maschera.
Kapil Pileri
Se qualcuno viene in sessione in preda alla rabbia, devo valutare se non l’ha ancora espressa, oppure se
l’ha espressa ma senza un fattore per me fondamentale: il lavoro della consapevolezza. Se la persona
esprime la sua rabbia con consapevolezza, quella rabbia la porta a vedere l’altra faccia della medaglia, ci
va attraverso e può diventare di colpo consapevole di ‘che cosa è’, ed entrare nello spazio per poter
scegliere. Perché prima, di fronte ad una sola faccia di quella medaglia, è convinta di scegliere ma in
realtà non sta scegliendo. Io non spingo la persona, essa va dove vuole andare, ma piano piano la invito a
tornare al corpo, a sentire …. Il punto nodale è sempre quello di fare tornare al corpo. Si può avvertire il
cambio di direzione dell’energia, l’intenzione di andare dentro in profondità, il cambio energetico… dalla
voce, dagli occhi.
Una cosa che spesso accade, è che le persone immediatamente si perdono. Vanno ad una sessione per
portare un problema e poi si perdono, iniziano a raccontare delle storie. È un punto che generalmente ci
aggancia. Io posso anche non ascoltare il racconto della persona, mi è sufficiente guardarla. Non l’ascolto
non perché non la voglio ascoltare, o perché sono superiore, ma perché so che la storia mi aggancerebbe.
Molto spesso dico “No, questo non interessa… descrivimi quello che ti sta succedendo nel corpo”. “Prova
ora a sentire su di te che cosa succede…” “Se provi qualche sensazione, restaci dentro e vedi che altro
accade”.
Questo è un punto importante: fare lavorare con l’intenzione. Far avere quella che si chiama l’esperienza
diretta, anche in piccole cose in cui la stessa domanda ha già la risposta dentro (è una cosa totalmente
soggettiva). Non posso essere io che do la soluzione. Io posso supportare ed accompagnare. Capita che io
156
dica “È probabilmente meglio andare da un medico”. Oppure talvolta mi chiedono cose per cui preferisco
dir loro che è meglio che si rivolgano ad altri, perché quella richiesta non fa parte del mio lavoro. Altro
esempio: il terrore, il non sapere come stare in una situazione. Questo è un aspetto che molto spesso
riesce ad agganciarci.
Lo “stare con quello che trovi”
Quando si passa dall’intenzione allo stare con quello che trovi, quello che si apre è proprio lo
‘sconosciuto’. Personalmente ho notato che questo stato non è ben chiaro a molte persone. Lo stare con lo
‘sconosciuto’ può essere semplicemente chiamato ‘stare con il non sapere’.
Un’altra cosa importante che viene fuori da questo tipo di lavoro è ‘dire la verità’, la propria soggettiva
verità. Se ad esempio mi trovo in difficoltà in sessione, posso dire che ‘non so cosa dire’ oppure che
posso informarmi. È fondamentale prima di tutto essere onesti. Il lavoro da fare è anzitutto un lavoro con
noi stessi. E se si riesce veramente a stare in questo tipo di spazio per tempi abbastanza lunghi, ci si rende
assolutamente conto che - qualunque cosa si prova - non c’è una cosa migliore o peggiore. In questo
spazio per qualcuno può essere utile fare la meditazione Dinamica, per qualcun’altro la No Dimension, e
in queste tecniche l’operatore può supportare la persona per quello che è la sua esperienza diretta.
Lo stare con quello che trovi è, a mio avviso, un’esperienza molto forte, perché è uno stato di non
separazione dall’altro; questo non vuol dire che io perdo la mia individualità, ma piuttosto che l’ ‘io’
sparisce e avviene il ‘sono’. È come se in quello spazio di vuoto questo ‘essere’ si manifestasse. Non è
una cosa irraggiungibile. Quella che noi chiamiamo ‘illuminazione’ è una grandissima assurdità, perché è
lo stato naturale dell’essere. Non è un dio bello o brutto, buono o cattivo. Quando noi nasciamo siamo in
totale sintonia col tutto; è la nostra condizione naturale. Anche da qui viene fuori la grande difficoltà di
comunicare le cose che teniamo dentro noi stessi e che ci sembrano troppo grandi per noi, o non adeguate
o altro ancora. Comunque siamo, abbiamo il diritto di essere, ed è quel che ci porta ad andare avanti. E
l’esperienza farà rendere conto che il lavoro non finisce mai. Non c’è un punto di arrivo, come non c’è un
punto di partenza.
Questo passo significa non cambiare assolutamente quello che trovo, stare, senza tentare di cambiare quel
preciso momento. Ciò che trovo va bene. Tuttavia la prima cosa che scatta generalmente nelle persone è il
giudizio. Nella tradizione Zen il giudice viene chiamato “il cane che abbaia”, e la funzione del cane è
quella di abbaiare; bisogna riconoscere la reazione, accettare la difficoltà e abbracciare anche quella. Se
io in questo momento ho un giudizio e ho difficoltà a stare con questo giudizio… è bellissimo, perché la
consapevolezza di questo è ‘ciò che c’è’ in questo momento. Se c’è la mente… c’è la mente, se c’è una
emozione… c’è una emozione, se c’è una sensazione… c’è una sensazione. Quello che succede a questo
punto è che i sensi si aprono: “lascia che lo stare con quello che c’è permetta di creare spazio dentro”.
Questo è uno dei punti chiave nel lavorare con gli altri: qualunque cosa trovi ti porta sempre e comunque
a te stesso, a ‘chi sei’ in quel momento. Non c’è uno spingere, un guidare l’altro; c’è solo un continuo
invito a darti il permesso di essere quello che sei nel qui ed ora. Quindi il giudizio lo puoi sperimentare
prendendolo e mettendolo da parte, perché come stai vedendo quel giudizio, come lo stai sentendo, come
lo percepisci, come ne sei consapevole, lo puoi semplicemente appoggiare da una parte e dopo -se vuoipuoi riprenderlo. Per esempio l’ascolto: in questo preciso momento puoi percepire suoni e rumori attorno
a te, e puoi sentirtene infastidito… però li puoi ascoltare totalmente, ed è uno spazio che si percepisce
principalmente a livello della “Hara”, nella pancia, sotto l’ombelico. Questo punto fisico del corpo è
molto sottile, energetico; è un po’ come la casa dell’Essere. Si può percepire questo punto sotto
l’ombelico provando ad ascoltarne i suoni, o magari lasciando emergere immagini. E diventando
consapevole del percepire te stesso. E comincia, per esempio, ad osservare il respiro. Non c’è una tecnica
di respirazione: il respiro entra ed esce, quando inspiri la pancia si espande, quando espiri ti rilassi dentro.
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Da questo spazio è possibile sperimentare quella che viene chiamata l’esperienza diretta. Non c’è più
l’osservazione del respiro… sono quel respiro; non c’è l’ascoltare un suono… sono quel suono. Sono
percezione. Non provo più amore, sono amore.
Comincia ad ascoltare dalla pancia il tuo cuore: com’è? Non cambiare assolutamente niente. Com’è
sentire il cuore dalla pancia? Permetti al cuore di aprirsi come Essere, e non come terapista, dottore,
psicologo… lascia che la consapevolezza si espanda a tutto il corpo. E il corpo non è qualcosa di
preciso… ma molto indefinito. Un po’ come esserci e non esserci. È come se le sensazioni e le percezioni
potessero essere contemporaneamente tante cose completamente diverse. Immagina ora, per un momento,
di ascoltare, di incontrare qualcuno veramente da questo spazio. Prova per un attimo ad aprire gli occhi e
guardare le persone che hai vicino, e senti fisicamente la differenza. Riesci ad immaginare una sessione di
lavoro (che sia Shiatsu, Cranio Sacrale, Riflessologia) da quello spazio? Cambia qualcosa? Non
necessariamente deve cambiare.
L’esprimere
Nella posizione del facilitatore, la parte finale - legata all’espressione, alla comunicazione - è anche
estremamente connessa alla creatività, perché da questo spazio non si sa mai quello che si trova, quello
che succede. Ciò che arriva è proprio il corpo ad esprimerlo, non c’è più il discorso del dubbio, della
scelta: è qualcosa che si manifesta fisicamente e direttamente dall’Essere. Per il facilitatore vuol dire stare
in uno spazio di presenza, di ascolto, di fare senza fare. È qualcosa di estremamente “rotondo”, non è un
processo lineare né un processo razionale. E quando questa cosa succede, per la persona accade
esattamente la stessa cosa: cioè un ‘esprimere’.
Esprimere non è solo parlare o raccontare; esprimere è movimento, è silenzio, odore, sapore. Abbiamo
quindi veramente la possibilità di utilizzare qualunque cosa si manifesti in quel momento. Non c’è un
“questo va bene, questo non va bene”. Per esempio rispetto al dialogo: a volte le persone dicono delle
piccole cose …e lì ci può stare un’intera sessione. La persona entra in contatto con un’intelligenza che
viene da una connessione con qualcosa di più grande, di più profondo, e da sola trova la strada, la
modalità, la forma per esprimerlo… la soluzione: un po’ come quando nella domanda c’è già la risposta.
Kapil Pileri
Tornando alla scuola originaria americana, l’assunto fondamentale era che imparare semplicemente a dire
le cose come stanno (e darsi la possibilità di farlo) affina sempre di più la nostra capacità di comunicare.
Se si ha una persona davanti e le si dice la verità, si crea uno stato di apertura e di comunicazione che non
è solo comunicazione di parole, ma sono i movimenti del corpo, la forma del corpo, è la voce… e da dove
arriva e come cambia. Insomma, la comunicazione è qualcosa di molto vasto. Lì succede qualcosa fra due
persone.
Di questo si era accorto Charles Berner nel suo lavoro con coppie con difficoltà di relazione. Se
arrivavano comunque a lasciarsi, si separavano con la consapevolezza delle difficoltà e di non poter
andare avanti insieme. Berner ebbe grandissimi risultati, riuscendo a lavorare con dieci- quindici coppie
in un lavoro collettivo di consapevolezza. Ad un certo livello di essere c’è sempre un punto di
comunicazione e di totale comprensione e apertura verso l’altro, e quindi riconoscere la propria
soggettività in questo immenso dato che è la consapevolezza. Perché posso riconoscere nell’altro
qualcosa che esiste dentro di me. Si esprime energeticamente in un’altra maniera, ma lo posso riconoscere
ed entrarci in contatto.
(vedere capitolo CHARLES BERNER E L'INTENSIVO DI ILLUMINAZIONE
su “GRANDI PERSONAGGI E GRANDI SCUOLE DELLA PSICOLOGIA”)
158
LA PRATICA DEL COUNSELING PER CHI INIZIA
Il significato di counseling e il lavoro su di sé
Questa prima parte dell’approccio pratico al Counseling è rivolto in particolare alle persone che stanno
per iniziare e sono quindi ancora incerte, anche dubbiose sulle proprie capacità, ma soprattutto sentono
una certa difficoltà a prendersi sul serio, e diventare dei reali e corretti professionisti.
Il lavoro relativo a questo argomento è orientato essenzialmente a strutturare il percorso pratico di
incontro con la persona. Il Counseling è una relazione di aiuto in cui si entra con capacità e
specializzazioni differenti, con il lavoro sul corpo, sulle energie, sul respiro, con la meditazione o anche
eventualmente con il rapporto diretto d’indagine dei punti profondi della persona. La relazione da
instaurare deve avvenire secondo certi parametri. L’approccio è globale, di profondità. Di tutto il
Counseling Olistico consideriamo punto fondamentale la consapevolezza di sé, la PRESENZA o
meditazione.
Questo è ciò che distingue il Counselor Olistico dai medici, dagli psicologi e da tutti gli altri tipi di
counselor. La SICOOL e il CONACREIS hanno aderito a questo progetto comune di formazione che
inserisce, come materie fondamentali, il lavoro su di sé ed i gruppi di crescita sulle emozioni e sulla
meditazione. In questo contesto siamo tra i più avanzati a livello internazionale e questa formazione, per
la nostra scuola, rappresenta un passaggio formativo ancora più consistente. Tutti coloro che vogliono
avere la qualifica di Counselor presso L’Accademia Olistica del Villaggio Globale di Bagni di Lucca,
devono passare un esame di presenza “Dimmi chi sei?”. I Counselor della nostra Accademia devono
essere allenati a questo tipo di presenza ed ‘esserci’ è la cosa più importante che viene richiesta. Questo
allenamento comprende un ciclo di crescita di otto incontri sui vari livelli psicosomatici, con pochissima
teoria e molta esperienza diretta, un primo incontro di tre giorni sul “Chi sono io?” e alcune meditazioni
di varie scuole. Stiamo sperimentando il training necessario per il Counselor e la Scuola Quadriennale di
Psicoterapia Psicosomatica e Transpersonale, entrando con questo tipo di metodica anche nel ramo
psicologico.
Le modalità tecniche di incontro: pubblicità, parole chiave, correttezza.
Considerando l’importanza di restare in uno spazio di centratura e di presenza, e di fornire questa
opportunità alla persona che aiutiamo, iniziamo a vedere l’impostazione di questa relazione. L’inizio
della relazione può essere un biglietto da visita, un volantino, qualsiasi modalità con cui ci si possa far
conoscere in qualità di “operatori” esperti in un settore (in una delle otto aree: il corpo, le emozioni, le
energie, la mente, la spiritualità, ecc.) con l’eventuale qualifica di Counselor Olistico. Sarà estremamente
importante quello che trasparirà dalla descrizione che ognuno adotterà nel proporsi all’esterno. Inoltre
invitiamo a proporre la specializzazione in modo positivo. Sono assolutamente da evitare parole come
‘curare’, ‘guarire’, ‘patologie’; sono invece consigliate parole come ‘aiutare’, ‘sostenere’ o ‘favorire un
processo di guarigione’. Usiamo anche la parola anima-tore, poiché noi siamo “anima”tori. Gli animatori
normalmente sono quelli che fanno divertire nel corpo, meglio ancora se fanno divertire nello spirito.
Quindi persone che abbiano raggiunto un discreto livello di equilibrio e possano rappresentare un’energia
che catalizza processi di benessere, di crescita umana, di consapevolezza; che può aiutare a prevenire, a
ritrovare il proprio benessere oppure un buon equilibrio del corpo, a sciogliere le tensioni del corpo e a
livello emozionale.
L’operatore/counselor olistico non deve mai entrare nell’ambito delle malattie di pertinenza medica o
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psicologica. Non si deve esporre nell’ambito delle patologie, quindi non si può dire: ‘aiutiamo gli
psicopatici, i depressi ed i maniaco-depressivi’. Anche solo ‘aiutare’ implicherebbe essere psicologo. E lo
psicologo dovrebbe guarire, ma in realtà, se va bene, dà un aiuto. In maniera indiretta, ci si presenta come
esperti in una data tecnica, ad esempio la tecnica cranio-sacrale che si è rivelata molto utile nell’aiuto e
nell’alleggerimento delle tensioni della spina dorsale o dei traumi psichici. Il counselor non deve parlare
di sé ma della tecnica. Ci vuole molta attenzione, perché è partendo da lì che un medico irruente (che si
vede sottrarre un paziente) può denunciare per abuso di professione medica. È consigliabile, quindi,
muoversi nell’ambito del lavoro sulle tensioni e lo stress della vita quotidiana, perché si aiuta la persona a
ritrovare la propria tranquillità interiore. È indispensabile mettere sempre in evidenza che non si sta
“curando” una patologia, ma si sta “prendendo cura” di una persona che soffre di quella patologia,
fornendole strumenti di consapevolezza affinché possa ritrovare il proprio equilibrio.
Quindi le PAROLE CHIAVE sono: ritrovare la propria calma interiore, ritrovare il proprio equilibrio
psico-fisico, e rilassamento nel corpo e nella mente.
- Entrando nel vivo della relazione, è molto importante l’APPARENZA, il modo in cui ci si presenta alla
persona. È un aspetto fondamentale, poiché viviamo in una società delle apparenze e dobbiamo prenderne
atto curando il vestito e l’aspetto esteriore.
- Poi c’è la fase della PUBBLICITA’, che può essere fatta attraverso amici, o direttamente negli incontri.
Se si offre un’attività individuale bisogna porre attenzione alle informazioni che si danno e avere chiare
risposte alle eventuali domande. È il punto più delicato. La cosa fondamentale è cercare istantaneamente
un’apertura e spostare immediatamente l’attenzione sulla caratteristica fondamentale del
counselor/operatore olistico: il lavoro su di sé e la crescita umana. Si deve avere la massima chiarezza
della propria specializzazione, la scuola in cui ci si è formati, il proprio training e le sue caratteristiche.
“Sono un counselor esperto in tecniche di respirazione” o “Sono un counselor e opero con la
psicosomatica”.
- Quando questi parametri sono minimamente espressi bisogna mettere in evidenza il proprio
ENTUSIASMO. La parola entusiasmo parte dalle radici greche en theos che significa avere “dio dentro”.
Quindi l’entusiasmo è una matrice fondamentale e nasce dall’esperienza positiva vissuta sperimentando le
tecniche che vengono proposte; questa energia positiva caratterizza tutto il lavoro. Se si è turbati, se si è
depressi, non si devono fare sessioni. Perché lo stato d’animo con cui si lavora acuirà la depressione della
persona vicina. Questo è il nostro codice deontologico, dal momento che trasmettiamo non quello che
sappiamo, ma quello che siamo.
A questo proposito voglio raccontare un’esperienza altamente significativa.
Quando ho piccoli disturbi fisici vado ugualmente a lavorare… lavorando mi curo. Quando mi accadono
imprevisti non sempre riesco ad avvisare i clienti per annullare la sessione. Ebbene…è incredibile, ma
spontaneamente almeno i tre quarti delle persone che devono venire disdicono la sessione. E questo mi è
successo più volte. È come se si creasse un canale positivo: ‘se tu non ci sei, loro non vengono’. Quindi il
lavoro della presenza è fondamentale, ma deve essere anche rispettato: si lavora quando si sta bene.
Attraverso questi due elementi: la presenza (consapevolezza) e la compassione (amore), cioè l’elemento
del cuore che agisce nella comprensione (cum pathos = sentire insieme), si può entrare in risonanza
empatica ed emozionale con l’altra persona. Il passo successivo è di esporre con onestà le proprie
caratteristiche, dopodiché si cerca di definire un percorso di crescita insieme alla persona. Il che significa
che quando si cerca il contatto bisogna esserci, perché qualsiasi tecnica pratica si offre come base del
counseling, quello che in realtà si fa è lavorare su di sé. Le parole che saranno espresse dovranno
veicolare un messaggio di reale collaborazione e contatto.
Si possono trovare molti modi intelligenti per farsi conoscere. Se non si ha un buon giro di conoscenze, si
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possono trovare appoggi in un istituto sportivo, un medico o psicologo, chiunque abbia un giro più ampio
di conoscenze.
La cosa fondamentale nel primo incontro è riuscire a creare un contatto, è ascoltare e sentire,
trasmettendo la propria presenza, indipendentemente da dove ci si trova. Se non c’è un contesto per
parlare (l’incontro è avvenuto al bar o è un incontro occasionale), si accenna brevemente al proprio
lavoro, si dà il biglietto da visita e si invita la persona ad un incontro privato. Nella prima visita, che può
essere di prova e gratuita, si vede il problema e si decide se e come procedere. Già nel primo contatto è
necessario svuotarsi di tutto, essere presenti e ascoltare quello che realmente la persona sta chiedendo.
Immaginiamo di avere un incontro anche di pochi minuti in cui si dice di essere un Counselor Olistico, un
operatore del benessere, con conoscenza di diverse tecniche di rilassamento, di consapevolezza, di
energetica che possono aiutare la persona a ritrovare più energia e risorse dentro di sé. La maggior parte
delle persone comprenderanno questi termini anche se solo superficialmente. Non è come alla fine degli
anni ’70 quando la medicina naturale, la meditazione, le tecniche antistress si associavano con le sette.
L’omeopatia era ancora da scoprire, l’agopuntura era utilizzata pochissimo, il rebalancing e le terapie del
corpo erano scambiate per fisioterapia. Il termine “olistico” non esisteva.
Ho usato per la prima volta questo termine sui giornali “Essere secondo Natura” e “Il Giornale della
Natura” che per anni aveva utilizzato il termine Medicina Naturale. Dovevo spiegare che la medicina
naturale era un parallelo “verde” della medicina ufficiale, che, invece di usare le sostanze chimiche, usava
quelle naturali, ma non implicava nessun salto di consapevolezza nelle persone, aldilà di un generico
ecologismo di fondo, non proponeva nessun lavoro su di sé, né sulla coscienza, né sulle energie di
profondità. Quindi, dovevo spiegare che la Medicina Olistica tratta l’essere umano nella sua complessità:
dall’alimentazione naturale al lavoro sulle emozioni e la spiritualità. Non riuscivano a capire, fino a
quando, su mia insistenza, hanno accettato il primo articolo. Eravamo alla fine degli anni ’70 e nel giro di
qualche mese erano tutti olistici: estetiste olistiche, massaggi olistici, ecc. Nel giro di un anno ero riuscito
a catalizzare un’energia che ovviamente stava arrivando. Ero uno dei primi a portare l’Olismo in Italia,
mentre all’estero, in America, esisteva già da qualche anno. Per arrivare anche alla comprensione della
medicina psicosomatica si è impiegato molto tempo. Abbiamo dovuto spingere per anni per creare questo
ambito di cura globale che prima non esisteva. Oggi per noi Olismo significa esattamente una ‘presenza’,
un ‘lavoro sulla coscienza globale’.
Il pagamento e il problema del denaro
Come abbiamo già sottolineato, questa prima parte dell’approccio pratico al Counseling è rivolto in
particolare alle persone che stanno per iniziare la professione del counselor, che sono appena usciti dalla
scuola di formazione (quindi sono ancora incerti sulle proprie risorse) e, soprattutto, sentono una certa
difficoltà ad iniziare le prime sessioni a pagamento (dopo molte sessioni di prova fatte gratuitamente nel
periodo del training), a crearsi uno studio adeguato e a diventare dei reali professionisti. Il denaro, il
problema del “farsi pagare” diventa uno dei punti più importanti e decisivi. Se l’operatore riesce a farsi
riconoscere economicamente avrà superato il punto critico che separa gli allievi dai professionisti, il
punto che divide le chiacchierate da una vera sessione.
Se il counselor/operatore vuole farsi pagare la prima sessione (cosa che già denota una professionalità)
deve evidenziare una serie di atteggiamenti e modalità che, nel senso comune, vengono ritenute degne di
essere pagate. Se il primo colloquio avviene in un incontro casuale, ad esempio in un locale, ad una festa,
non c’è da dire nulla, ma se avviene dietro preciso appuntamento, la sessione dovrebbe essere a
pagamento. Oppure si invita la persona a fare una prima sessione di prova gratuita, dopodiché si deciderà.
161
Lo stesso vale per una sessione di massaggio, di cranio-sacrale o per una meditazione. Da tener presente i
tempi: se si tratta di un amico e la sessione dura un’ora, si dovrà impiegare almeno un quarto d’ora in più
per intrattenersi all’inizio e accomiatarsi da lui alla fine.
Il setting minimo
Se si vuole fare la prima sessione a pagamento si deve utilizzare un setting formalizzato. Ciò comporta il
ricevere la persona in uno studio ed avere un approccio professionale. La realtà sociale impone che
dobbiamo formalizzare ogni intervento, perché altrimenti non siamo creduti. Se si riceve la persona in
casa sulle poltrone del salotto non si è credibili e non si viene pagati. Anche l’abito da indossare deve
essere congruo al lavoro che si fa, altrimenti si perde di credibilità. Si potrà essere creduti come amici, ma
non pagati come professionisti. Dobbiamo essere creduti e pagati, perché in una società dove tutto ha un
prezzo quello che possiamo trasmettere alle persone ha un valore estremamente elevato. Per me la
consapevolezza e la crescita umana sono le cose più preziose, anche se poi decidiamo di “venderle” ad un
prezzo accessibile a tutti.
Quando si ha una persona davanti, anche fare solo un test ha il suo prezzo. Se si usa il “brain olotester”
che dà un test psicofisico, questo ha un valore ed un costo. Una semplice chiacchierata non ha valore.
Bisogna stare attenti a non confondere una chiacchierata con una sessione, se si vuole essere
professionali. Al bar, in giro, a una festa si fa ciò che si vuole, ma quando si crea uno spazio di counseling
si deve agire secondo regole professionali. Si può anche non farsi pagare da una persona perché è amica o
ha problemi economici, ma poi deve scattare una dimensione professionale di reciproco rispetto, che si
concretizza nel riconoscimento economico di una prestazione. Sin dal primo colloquio si entra in contatto
con la persona, ed è fondamentale che questo avvenga con delle regole e una modalità precisa e
funzionale, che chiamiamo setting.
Il setting minimo comprende tutte le modalità di una seduta, dal modo in cui si saluta una persona quando
arriva, al modo in cui viene fatta sedere e invitata a parlare di sé, alle caratteristiche di empatia e presenza
che l’operatore riesce a creare, alla capacità di dare e ricevere fiducia, al modo in cui avviene il
pagamento, si prende il successivo appuntamento e si conclude l’incontro accompagnando la persona alla
porta.
Quindi il counselor ‘c’è’, ha il cuore aperto, ha delle precise competenze tecniche, una forte deontologia
professionale, ascolta i problemi della persona, le fornisce delle nuove prospettive ed opportunità. Se tutto
questo avviene all’interno di una struttura di setting formalizzato, è un grandissimo punto di partenza.
Entriamo nel dettaglio degli elementi che caratterizzano la figura professionale del Counselor.
L’immagine professionale
Negli anni ’60 le multinazionali si sono rese conto che per avere buoni profitti dovevano curare anche
l’immagine professionale. All’interno delle grandi aziende c’era stata una liberalizzazione
dell’abbigliamento, e questa tendenza aveva dato esiti negativi, in qualche modo aveva influenzato
negativamente le entrate. Era necessario imporre di presentarsi a lavoro in giacca e cravatta, o comunque
in abbigliamento consono al tipo di lavoro per garantire l’immagine professionale. Non più l’impiegato
vecchia maniera, il “white collar”, né tantomeno l’impiegato sciatto e trascurato, ma si rendeva necessaria
una terza immagine dei “colletti bianchi”, professionale e più libera, ma certamente non trasandata e
sciatta. La soluzione fu quella di una persona curata e di buon gusto, con sobria eleganza, senza vestiti
firmati ma anche senza perdere di classe.
162
In definitiva se non bada al vestito, il counselor lavorerà poco. Il contenuto deve avere un contenitore
adeguato. Come medico terapista non posso permettermi di andare a fare una conferenza all’UNESCO di
Parigi con una maglietta Lacoste, che invece può andare bene in conferenze più amichevoli e ristrette.
Quindi ogni situazione deve avere un’immagine congrua con l’immagine del lavoro che si svolge.
È venuto da me un ragazzo di Milano fortemente depresso, che mi ha raccontato piangendo la sua triste
storia. Una persona molto bella con una grande intelligenza e creatività; aveva messo su una piccola
impresa di confezioni di moda che non ha funzionato. Nonostante ci avesse messo tutta l’anima e
nonostante le cose belle che faceva, non era riuscito ad andare avanti, aveva chiuso ed era disperato. L’ho
guardato e gli ho chiesto: “Ma quando andavi a vendere i tuoi capi vestivi in questo modo?” “Sì, perché?”
“Perché così non puoi vendere! Sei vestito con una qualità troppo bassa, e quindi non ispiri fiducia”
(indossava una maglietta normalissima, i capelli non curati, la barba di tre-quattro giorni) “Così non
vendi. O giri in Mercedes, per cui puoi permetterti di vestire come vuoi, o sei il figlio di Gucci e allora
indossi quello che vuoi e fai tendenza, altrimenti non vendi.” “O ti tagli la barba o ti fai crescere la barba.
Insomma devi conformarti ad una certa immagine che non è un’immagine individuale, è un’immagine
sociale.”
Anche se noi trattiamo con i creativi culturali, o con un tipo di società più libera, anch’essa ha dei
condizionamenti. Quindi l’immagine che si offre è fondamentale. È necessario curare interamente la
propria immagine, dai capelli fino alle scarpe.
L’ambiente di lavoro: essenziale, accogliente e personale
Se si va a fare una sessione da uno shiatsuka o da altri naturopati si può notare che gli studi hanno
principali caratteristiche: la prima è che sono molto conformati “naturale”. Solitamente hanno un
arredamento composto da due tavolini in legno naturale stile Ikea, due soprammobili, sedie standard e un
lettino o un futon per terra. Quello potrebbe anche essere il minimo se fosse essenziale e non banale. Io
posso lavorare in un ambiente del genere, ma preferisco un ambiente magari povero ma più personale,
meno standardizzato. Non è che l’essenzialità Zen debba confondersi con il banale. Ci sono tavoli
dell’Ikea che costano due lire in più ma sono già belli. Altre cose che noto in questi posti sono: cristalli,
collanine, immaginette, amuleti, incensi che fanno molto “ambiente” o “New Age”. Io personalmente non
lo consiglio. È da evitare anche, con estrema attenzione, di non trasformare una stanza da letto in uno
studio, lasciando il divano letto e altri mobili e mettendoci una scrivania; è un compromesso poco
professionale e le persone lo percepiscono, va perso il valore professionale. Inoltre non consiglio di
mettere un armadio nello studio solo perché fa comodo, non è assolutamente piacevole entrare in uno
studio e sentirsi a casa dell’altro. Lo studio deve essere un ambiente impersonale.
La mia visione, avendo lavorato nei più grossi centri di medicina olistica del mondo, è che lo Zen è Zen.
Essenziale e molto personale. Nella stanza, se si vuole lavorare solo a terra, vanno messi bei materassini o
futon puliti, essenziali; le pareti pulite, magari con un colore pastello caldo (non colori pesanti né il
bianco gelido). È difficile proporre immediatamente ad una persona che viene per la prima volta di
sedersi per terra. La cosa migliore, se si vuole lavorare a terra, è avere una scrivania con due sedie dove
iniziare la prima parte del colloquio. Le sedie devono essere comode, decorose e uguali. Non servono
tante cose. L’ambiente può essere anche vuoto, “povero”, ma bello, personale. Fare attenzione anche
nella scelta dei quadri o dei mobili: che siano congrui con l’ambiente. Se poi si ha una bella pietra, un
bell’oggetto si può metterlo, purché faccia parte di uno studio e non di una camera della casa.
Per quanto riguarda la luce: la stanza non deve essere buia ma luminosa, non illuminata con un neon
dall’alto, al limite con una luce alogena (anche se consuma di più). È ottimale una luce che non renda uno
studio troppo buio, né troppo abbagliante che toglie intimità.
163
Questi sono elementi di prossemica, cioè lo studio dell’uso che l’uomo fa dello spazio, per cui a seconda
di come lo si struttura, può avvicinare o allontanare gli altri nei rapporti quotidiani. È importante, quindi,
entrare in uno studio e trovare immediatamente un buon contesto, una buona energia. Sarebbe ideale
avere una piccola sala d’aspetto, possibilmente con un’entrata ed un’uscita separate, altrimenti bisogna
essere abili nel mantenere la precisione del tempo con le sessioni.
Se il counselor lavora in un centro o va a cercarne uno per inserirsi con il proprio lavoro, deve andare
nello studio come se fosse il cliente e osservare com’è strutturato lo spazio, la luce, l’arredamento, i
colori, l’ambiente dove è locato (a volte anche il quartiere può essere fondamentale). Deve pensare di
poter avere sia un cliente povero che uno ricco, mediamente con la puzza sotto il naso che non vuole
andare in un posto un pochino trasandato e fuori dal suo ambiente. Se un cliente povero va in uno studio
troppo bello e ricco, quando entrerà si chiederà quanto gli costerà la sessione. Ma se il prezzo della
sessione è tenuto nella media (che normalmente si attesta attorno ai trenta/quaranta euro) tutta la
preoccupazione rientra. Il counselor deve mettersi nel contesto di queste due tipologie di persone che
entrano nel suo studio e si trovano bene perché è accogliente, anche se semplice.
Riguardo al profumo nella stanza: si possono usare profumi reali (che si trovano difficilmente), mentre da
evitare quelli a base di benzine e altri aggreganti chimici. Ottimale è l’uso degli olii essenziali naturali:
una goccia, ovunque nella stanza, crea un ambiente gradevole.
Un altro degli elementi chiave è la musica. Va benissimo la musica New Age, ma che non sia troppo
indiana, troppo ritmata o troppo sdolcinata, vale a dire musica troppo caratterizzante che piace molto o
per nulla. È indicata una musica in filodiffusione, di fondo, una musica gradevole che non si impone, ha
toni bassi e permette di parlare; una musica che crea uno spazio in cui è piacevole entrare.
LA RELAZIONE CON LA PERSONA (IL CLIENTE)
La relazione con il cliente
Fatte le premesse sull’IMMAGINE e sull’AMBIENTE, entriamo nel vivo della RELAZIONE. Ciò che
consiglio di fare è di inaugurare lo studio con una serie di sessioni per ‘prendere la mano’ sul counseling,
ma soprattutto per sciogliere l’imbarazzo iniziale. Affrontiamo i punti base della prima sessione.
Iniziamo dall’incontro con una persona. Le prime sessioni sono imbarazzanti. Non si sa per quale strana
ragione, il proporsi verso un altro è una dimensione che molti temono, su cui molti hanno forti proiezioni.
A volte il terapista fa delle cose bellissime…ma sempre con questo atteggiamento del “sì, sì, però io non
sono mai abbastanza”, e questo crea una sottile tensione che è meglio non ci sia. Consiglio di fare le
prime sessioni gratuitamente, anche per imparare l’arte dell’incontro, oltre che l’arte del lavoro.
Lavorando poi ci si accorge che pian piano ci si allontana dallo schema che si è appreso, per trasformarlo
in uno schema proprio.
Quando una nostra collaboratrice ha iniziato a lavorare da noi, si è lamentata del fatto che non le
insegnassi come si lavorava, perché provenendo da una scuola dove insegnavano tutto lo schema, si
aspettava la stessa cosa anche al Villaggio Globale. All’inizio non capiva che era meglio non avere il mio
schema, bensì tanti strumenti di cui poter usufruire. Ha continuato a lavorare, ha fatto esperienza e adesso
ha uno stile suo personale. Di tutti questi strumenti, dato che ognuno di noi ha una propria energia, ne
verranno usati alcuni che funzioneranno benissimo e altri no. Quindi è inutile spiegare tutto, perché è la
persona stessa che deve sentire e scegliere cos’è meglio per lei.
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Io ad esempio sono un tipo molto Yang, per cui la mia energia stimola il movimento energetico attivo.
Ovviamente, nel lavoro funziona bene nel movimento. Se, invece, avessi un’energia molto Yin, non
potrei fare questo lavoro, oppure avrei degli altri risultati. È evidente che se si ha un’energia più attivante
si dirà alle persone “io sono in grado di aiutarti in alcune forme di disagio, perché ti posso dare energia”.
Ma se la persona che si rivolge all’operatore è già molto Yang, è nervosa e irascibile, non potrà aiutarla
molto. Si può anche modificare la propria energia se la situazione lo richiede, ma non si può stravolgere
la propria energia di base. Quindi a seconda di qual è la nostra energia, le persone parlano di lavoro, altri
di sesso, altri raccontano le relazioni, qualcuno si mette a piangere o altro ancora, perché ognuno di noi
catalizza forme diverse di energia. E non possiamo sapere prima cosa catalizziamo. Quindi bisogna fare
per un po’ di tempo sessioni gratuite, facendo il lavoro di base di addestramento, e una volta che si avrà
un minimo di chiarezza e di sicurezza, si inizierà a lavorare.
Non c’è una seconda occasione per avere una buona “prima impressione”
Negli USA si dice che: “Non c’è una seconda occasione di avere una buona prima impressione”. Può
essere l’abito, l’ambiente, ma soprattutto l’operatore/counselor, che si gioca proprio se stesso. Quando la
persona suona, entra nella stanza e c’è l’incontro, già in quei primi minuti si entra direttamente in contatto
con la persona che sta chiedendo aiuto, e che quindi è in un ruolo estremamente delicato. Se la persona va
in una sessione per fare solo un massaggio (senza counseling), tutto si risolve con il massaggio. Ma se
anche come massaggiatore si vuole fare del counseling, si fa accomodare la persona per un colloquio
durante il quale è da evitare che qualsiasi forma di giudizio o di durezza blocchi la persona nelle sue parti
più femminili, più intime, più delicate. Se si entra in empatia si può accedere ad informazioni che
diventano preziosissime nella prima fase del lavoro.
La tecnica di base che io insegno agli allievi della Scuola in Psicosomatica al Villaggio Globale è la
seguente: prendersi almeno cinque minuti, prima che entri la persona, per fare la meditazione di Atisha, il
respiro nel cuore, in modo che quando la persona arriva si ha addosso quel tipo di energia, si è in stato di
centratura e in uno spazio di accoglienza. La persona si siede… e soprattutto la prima volta c’è l’incontro.
Dopo qualche parola di convenevoli, si riporta la persona al motivo per cui è lì… e inizia l’ascolto.
Se si ha un problema, una preoccupazione, è necessario svuotarsi del proprio (ognuno adotterà la tecnica
o meditazione di cui necessita), mettere da parte se stesso ed entrare nel vero ascolto dell’altro.
Empatia e “rispecchiamento”: la bolla psichica della persona
Uno degli elementi di base del Counseling in tutte le categorie in cui si manifesta - il counseling
relazionale, il counseling sistemico, rogersiano ecc. - è il rispecchiamento.
La persona entra in una ‘bolla’ che è poi la sua energia, la sua mente emozionale e comportamentale mente/emozioni/corpo, tutto insieme - e il counselor deve immediatamente percepire questa bolla ed
entrare in sintonia con essa. Non significa che diventa come la persona che ha di fronte, ma che la ‘sente’:
crea un’empatia. Se la persona che arriva in sessione ha subìto un lutto, lo deve cogliere istantaneamente
senza farlo vedere. Empatia significa cogliere la bolla, aprirsi, ascoltare, entrare in contatto e lasciare
entrare. Solo successivamente si bilanceranno le sue polarità.
Vediamo dal lato pratico: Come può essere una bolla? Come può essere l’energia generale della persona?
·Yang: la persona entra con energia, è dinamica, parla velocemente e un po’ ad alta voce, racconta
molte cose in modo concitato.
·Yin: entra lentamente, si siede, non parla, all’invito di raccontarsi sospira, è tutta sull’interno.
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·È tutta di testa: può essere anche depressa, però descrive tecnicamente la sua situazione.
·È molto emozionale: la persona può avere emozioni veloci o lente, emozioni dichiaratamente
positive, e solo alla fine sfiora il suo problema catastrofico.
·È depressa e pesante
Personalmente ho il mio livello di onestà, per cui anche se l’aggancio è sul parlare – cioè la persona
vuole qualcuno con cui parlare - io non le faccio perdere tempo più di tanto. Voglio lavorare. Mi
interessa ascoltarla per capire la situazione, ma poi devo riportarla al problema, non continuare a
chiacchierare. Vedo dov’è questa persona, vedo se è nel corpo, vedo com’è il suo corpo, le sue
caratteristiche strutturali… vedo se è aperto, se è depresso, se è iper-eccitato. La cosa fondamentale è
cogliere la bolla in cui vive. Guardo il viso di una persona e ne colgo gli atteggiamenti che denotano dei
caratteri, delle emozioni, degli scompensi, delle tensioni. Ha gli occhi intelligenti o stupidi? La persona è
viva o è spenta? E comincio a fare una sorta di mappa, ma poi vado oltre.
“Leggere” empaticamente la persona oltre i giudizi
Lavoravamo moltissimo - in questo modo - in India e negli Stati Uniti. Si faceva scuola di terapia in
gruppo: si prendeva una persona e le si chiedeva che cosa c’era di sbagliato in lei. Tra l’altro la si faceva
spogliare, ognuno diceva tutto ciò che vedeva di negativo… alla fine della sessione questa persona - che
all’inizio era normale - era distrutta, collassava. Poi si rigirava il tutto e dentro di sé il ‘terapista’ si
diceva: “Bene, invece di giudicare questa persona o dire ciò che ho imparato con la testa, provo a sentire
‘chi è’ in realtà, provo a cogliere in questa persona quello che c’è dentro. Intanto è una persona viva.”
Ricordiamo che ogni suo punto del corpo, nel carattere, nelle sue emozioni, è una ferita che si porta
dietro. Se ha una tipologia arrogante - o invece è depressa - è perché ha avuto in ogni caso una famiglia
che, con modalità diverse, l’ha massacrata; se ha gli occhi tristi o altro ancora è perché porta delle ferite.
Ecco cos’è veramente fondamentale: imparare a sentire l’anima della persona.
Durante l’Accademia si fanno spesso esercizi in coppia in cui si entra in contatto con gli occhi dell’altra
persona (‘leggi gli occhi, leggi dentro gli occhi’). Gli occhi sono una porta esterna, già dagli occhi è come
se leggessimo il corpo, tutta la sua vita: leggiamo se è sballato, stralunato, presente o assente, se è
intelligente o realmente un po’ stupido, il suo grado di attivazione energetica (se l’occhio è vivo o è
spento). E poi al di là di questo si prova ad entrare ‘dentro’: qual è l’anima di questa persona? È un’anima
giovane o un’anima antica? È un’anima che ha vissuto oppure no? Ha il cuore o non ce l’ha?
Personalmente ho avuto pochi pazienti senza cuore… ed in questi casi si fa più fatica a lavorare.
Ho un ricordo in particolare di molti anni fa: un paziente molto cattivo che a 17-18 anni andava a
sprangare i “comunisti” e se ne vantava. Era il classico psicopatico senza cuore. Mi raccontava di aver
avuto una donna che aveva molto maltrattato, fino a che lei lo aveva lasciato. Aveva fatto di tutto per
ritornare insieme, semplicemente per avere il gusto di usarla sessualmente. Era veramente duro, freddo.
Tutto il lavoro è stato portarlo a capire, oltre ogni giudizio, che era senza cuore. Ci siamo avvicinati molto
a questa comprensione, anche senza farcela profondamente come desideravo, ma comunque alla fine si è
reso conto di non riuscire a mettersi nei panni di lei, di avere una visone unilaterale, egoistica. A quei
tempi non avevo ancora tutti gli strumenti che ho oggi (non avevo “Il dialogo delle voci”, alcuni
strumenti di PNL), altrimenti gli avrei fatto fare il lavoro di entrare nei panni di lei per fargli sentire cosa
lei provava per lui e cosa aveva sperimentato quando lui la tradiva o la brutalizzava.
Sia in questi (che non hanno cuore) che in coloro che sono stati molto feriti, il cuore apparentemente non
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c’è. Questi ultimi hanno il cuore in profondità, coperto esternamente da una massa di dolore o di rabbia
(più o meno è la stessa cosa), a volte di tutt’e due. È necessario cogliere questa bolla e uniformarsi.
Nelle varie scuole di Counseling si suggeriscono alcune arti di rispecchiamento. Il rispecchiamento ha
quella matrice un po’ scimmiesca, da primati, per cui se qualcuno ha il tuo stesso atteggiamento … scatta
immediatamente un’empatia, una risonanza. In realtà si può fare a meno di entrare nel rispecchiamento;
semplicemente aprire le porte del cuore (cosa che non insegnano nella maggior parte delle scuole),
permette di entrare lo stesso in risonanza. Inoltre - quanto al rispecchiamento - bisogna tenere presente
che se una persona è tanto depressa e triste si deve animare in qualche modo un suo stato di coscienza
anche se in quel momento non lo si condivide; mettersi al suo livello, ascoltarla a cuore aperto senza
giudizi. Questo è il modo per aiutarla ad aprirsi.
Già Rogers e tutta la psicologia umanistica, hanno sviluppato l’ascolto dell’altro nello stato di presenza
con il cuore. Non avevano la meditazione, che noi aggiungiamo a questo come profondità e intensità, ma
era già un buon livello.
Transfert e controtransfert: il gioco incrociato delle proiezioni
E qui parte immediatamente il controtransfert: il counselor gli fa da amico, da padre, da fratello (a volte
anche da amante) e ne è totalmente consapevole. Non si può negare che il transfert o il controtransfert
non esista, ma viene giocato con estrema sincerità.
Mi sono trovato a confrontarmi con donne con cui, se incontrate fuori dallo studio, sarebbe scattata la
molla sessuale. Ho incontrato persone con cui avrei fatto a pugni o che avrei potuto detestare per le cose
orribili che avevano fatto; altre che avrei potuto ammirare per le cose belle che avevano fatto. Invece no:
entro in uno spazio di assenza di giudizio e quello che sento me lo proiettano nel tempo e poi io lo
dichiaro. A volte nei transfert - o controtransfert - ci siamo dichiarati che saremmo stati rispettivamente
un padre o un figlio ideale. Ho avuto come paziente una ragazza che è andata oltre il limite,
provocandomi. Usava la depressione per attirare l’attenzione di suo padre. Non voleva mai che io le
dicessi che stava meglio… perché se fosse stato così io non l’avrei più amata (nel transfert aveva
proiettato su di me la figura del padre). Ad un certo momento ha iniziato a dirmi cose terribili, fino a
minacciarmi che se si fosse suicidata sarebbe stata tutta colpa mia. Era la fine della sessione, mi aveva
appena pagato. Ho preso i soldi e glieli ho tirati addosso invitandola ad uscire dal mio studio, e dicendole
che non mi importava assolutamente nulla di quello che avrebbe o non avrebbe fatto, che con lei non
volevo più lavorare, che non volevo stare ai suoi giochi da bambina. Lei è uscita non sapendo se piangere
o ridere. Tutto questo era completamente fuori dal contesto terapeutico classico. Mi ha richiamato dopo
15 giorni chiedendomi scusa e dicendomi che aveva capito di aver detto cose assurde, e da allora è
migliorata enormemente. Ho dato dignità a lei e a me stesso, dicendo e facendo ciò che ho fatto non tanto
da terapista, ma da essere umano a essere umano. Quella era la terapia della provocazione, che qualche
volta può capitare. Quando la persona va oltre un certo limite si deve dirle “questo è troppo, io così non
lavoro”.
Dicendo la verità si va a rompere tutta la struttura del transfert e del controtransfert. Può capitare poche
volte, ma quando accade è molto forte. Altrimenti io dichiaro tutto il transfert che c’è… e, se va bene ad
entrambi lavorare così, questo diventa una consapevolezza, e non resta nell’inconscio. Io lavoro pulito.
Ritengo in questo modo di avere dei bellissimi risultati.
Quindi si deve cogliere l’energia della bolla della persona che si ha davanti. Se lei è triste, si entra
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nell’energia della tristezza. Se la persona mi chiede un attimo di attenzione consolatoria… io rompo
completamente il distacco del rapporto terapista-paziente: io sono un counselor e lei è una persona da
aiutare. Se piange io la prendo e l’abbraccio, se sento che sia il caso. Le sono vicino così come mi sento
di fare nella mia professionalità, ma anche nella mia onestà di sentimenti, di percezioni e spontaneità del
comportamento. Devo essere quello che sono. Piano piano entro in questa bolla e cerco di assorbire
l’informazione più completa che posso. Normalmente dopo che la persona mi ha raccontato il nucleo del
problema, decido come lavorare.
Già quando arriva la persona, anche senza parlare della bolla, io sento se è in un certo spazio. Per
esempio: arriva un uomo, imprenditore, molto scettico, carattere determinato. Mi dice che è venuto
esclusivamente perché l’ha mandato sua moglie - che crede nella meditazione e cose del genere - mentre
lui non sarebbe mai venuto perché a queste stupidate non crede. A quel punto tiro fuori tutto il mio ego
sociale accettando tutto quello che mi ha appena espresso, ma gli dico che queste cose funzionano
comunque anche al di là della sua volontà e delle sue credenze, anzi… funzionano anche meglio. Così mi
metto in posizione di assoluta parità. Lui è un grande businessman, anch’io sono un grande businessman.
Entro nel suo personaggio, entro in quello che lui vuole che in quel momento io sia. E questo non lo
faccio per falsità, non lo faccio per accaparrarmi un cliente; lo faccio perché è l’unico modo per entrare
nel cuore di quella persona e indurlo a lavorare su di sé. Nella sua illusione di quel momento, lui ha
bisogno di una certa energia di riferimento a cui potersi affidare. Se io sbaglio la sua proiezione, lui
abbandona la sessione ed io perdo l’occasione di aiutare qualcuno. Posso, invece, accondiscendere, e così
mi metto in un contesto dove uso la voce un po’ nasale, un po’ da terzo chakra come lui vorrebbe che io
fossi. Io so giocare anche questa energia, non ho problemi. Anzi, non lo invito a fare meditazione ma a
respirare un po’, e a prendere coscienza del suo corpo e del suo intero essere: è una situazione
neurofisiologica, non è meditazione. Gli dico le stesse cose in un altro modo. Lui comunque mi stima,
perché posso essere un bastardo come lui.
Allo stesso modo: se arriva una donna anziana non le dirò “entriamo nella neurofisiologia dell’estasi”, ma
mi “empatizzo” a lei, divento anch’io un vecchietto, anche come voce e atteggiamento, e la invito a
respirare un po’. La metto a suo agio. Chi più chi meno, tutti siamo in grado di fare il rispecchiamento.
Torniamo al concetto di base: noi abbiamo mille personalità. Noi siamo all’inizio un aggregato di
personalità. I comici cosa fanno? Prendono una di queste personalità, la tirano fuori, le danno un po’ di
energia, la fanno diventare una caricatura e ci giocano su. Tutti abbiamo dentro tutti, ed entriamo in
risonanza con tutte queste energie.
L’empatia a questo primo livello è importantissima: si deve entrare nel cuore della persona. Una volta
entrati e stabilito un contatto… si ritorna alla propria identità e si potranno trasmettere informazioni che
verranno recepite. Trovando il canale giusto, il linguaggio e l’energia giusta con cui le persone vogliono
rapportarsi, si riuscirà a farle entrare e fare attuare loro una riconversione.
Ad un signore venuto per il mal di stomaco ho spiegato che il mal di stomaco poteva anche essere curato
con qualche medicina, ma che essenzialmente doveva imparare a sentire il suo nervosismo, a scaricarlo e
a non volerlo ricostruire. Ha compreso il mio suggerimento, ha iniziato a lavorarci e a stare meglio.
Quindi se si riesce ad entrare in contatto si ha il potere dell’alleanza, della percezione unitaria, dove la
persona sente, scatta il riconoscimento di gruppo, il riconoscimento di razza. Ogni essere umano deve
avere il suo gruppo di amici per formare una piccola tribù. Entrando in risonanza con la persona si è
riconosciuti come amico, della stessa conformazione e razza, una razza che lo sente, non lo giudica e gli è
utile. Una volta superata questa barriera inizia il processo della riconversione.
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Roberto Sassone
È il tema più spinoso nella relazione con il cliente-paziente. Il transfert è la proiezione del cliente nei
confronti dell’analista, cioè tutto quello che il cliente proietta sull’analista in base alla storia della propria
vita. Il contro-transfert - più importante per noi - è quello che il terapeuta o l’operatore proietta sul
cliente. È normale che il paziente abbia un transfert, anzi il transfert del paziente è utilissimo perché ci dà
le indicazioni sul tipo di relazione che normalmente ha nella vita con gli oggetti che investe
affettivamente. Quindi se emerge il transfert significa che compaiono le tematiche che devono essere
affrontate nel corso del progetto di crescita.
È molto importante perché il transfert offre la possibilità in vivo di osservare e sperimentare quello che
accade nella vita al paziente. Nel setting si potrà agire direttamente su questo tipo di relazione. Il vero
problema è il contro-transfert. In teoria non ci dovrebbe essere, ed in questo caso dovremmo essere degli
illuminati. In realtà noi abbiamo una responsabilità veramente grande: essere in grado di riconoscere il
nostro contro-transfert. Ed è a questo punto che viene fuori il collegamento tra la nostra storia personale e
il tipo di contro-transfert che noi agiamo.
Abbiamo visto che nelle varie strutture (schizoide, orale, masochista, rigido, psicopatico) vi sono delle
tematiche di fondo non risolte. C’è la paura di vivere nello schizoide, dell’abbandono nell’orale, la paura
dell’azione nel masochista, la paura del piacere nel rigido e quella del fallimento nello psicopatico.
Ognuno di noi deve riconoscere il tema fondamentale tra queste tematiche. Se ad esempio il mio tema
centrale è quello dell’abbandono è facile verificare come - nella relazione con una persona - è probabile
che le sue azioni nei miei confronti le leggerò con la chiave dell’abbandono, ovvero “quanto mi vuole
bene?” “quanto mi trascura?” Lo ‘psicopatico’ si chiederà “quanto mi stima?”. Oppure, quanto alla
tematica schizoide, l’operatore si chiederà “quanto realmente questa persona è in grado di reggere un
cambiamento?... perché io come operatore, avendo paura di un cambiamento, temo che non sia in grado
di attuarlo.”
Se l’operatore si sente instabile, la sua necessità è di avere sicurezza e stabilità; tutte le tematiche che
incontrerà di un paziente (che abbia problemi di instabilità oppure necessità di cambiamento), potrà
facilmente osservarle attraverso la ‘sua’ paura del cambiamento. Quindi la cosa fondamentale è che
ognuno riconosca i tratti caratteriali fondamentali, perché sono questi tratti che gli devono fare scattare un
campanello d’allarme tutte le volte che il cliente parla di tematiche affini al tratto che ha - o che non ha
ben risolto - e che in ogni caso deve sapere di non aver ben risolto. Il non sapere quali sono i temi di base
inevitabilmente creerà nell’operatore un contro-transfert. Perché in fondo il contro-transfert è la lettura
della realtà attraverso la griglia della propria tematica non risolta.
Insisto su questo fatto: è vero che l’operatore non è un terapeuta, e quindi non ha la responsabilità di
portare avanti un lavoro in cui si fa carico del transfert del paziente (e anzi lo usa per la terapia), ma
essendo comunque una persona che agisce su un altro individuo, se non ha l’obbligo - in quanto operatore
- di essere un esperto nel trattamento del transfert, ha comunque l’obbligo etico di conoscere molto bene
(e di avere lavorato) i propri tratti caratteriali, in modo tale da essere in grado - se non di risolverli - di
gestirli.
Perché un buon operatore - o terapeuta - non è colui che non ha questi tratti, ma colui che è in grado di
gestirli. Oltretutto il cliente ha un’abilità sottile, addirittura inconsapevole, di cogliere in maniera
empatica il contro-transfert eventuale del suo terapeuta, cioè afferra i suoi punti deboli e fa leva su di essi.
Quindi nel percorso di terapia avviene una sottile seduzione del paziente sull’analista, e questo sulla base
delle armi caratteriali che ogni cliente ha, e che sono individuabili, se abbiamo chiari i ‘caratteri’, sulla
base delle strutture caratteriali stesse.
In definitiva ognuno userà le proprie armi, che sono legate a come ha compensato la sua carenza
caratteriale. Quindi ogni serie caratteriale sviluppa compensazioni per crearsi una struttura di difesa e per
vivere meglio nell’ambito della disarmonia. Queste compensazioni diventano le modalità seduttive che
ogni struttura adopera per cercare di avere la relazione. Le strutture seduttive sono quelle che noi
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possiamo rintracciare facendo un’attenta anamnesi, ovvero: che tipo di richiesta la madre o il padre
avevano nei confronti del figlio? E il figlio come ha sviluppato la modalità per rispondere a queste
richieste? Il modo in cui è riuscito a rispondere alle richieste dei genitori diventa il modo seduttivo con
cui ha la relazione.
È chiaro che l’orale sedurrà fondamentalmente attraverso un atteggiamento che suscita tenerezza, e quindi
non bisogna mai accudire un’orale, perché rimarrà bambino. Un masochista attuerà la seduttività della
disponibilità totale, sarà il bravissimo paziente, cercherà di essere un modello, si prenderà cura lui stesso
della propria terapia, quasi quasi si prenderà cura del terapeuta stesso. Bisogna fare attenzione, è un modo
subdolo per farlo cadere in suo potere… e ovviamente se l’operatore ha un bisogno di essere confermato
nel proprio valore, se trova dall’altra parte una persona compiacente cade nella rete, non si accorge di fare
un contro-transfert ed una collusione, per cui si crea una relazione che sembra funzioni benissimo, ma in
realtà è una relazione che va bene a patto che non finisca mai. È una terapia in cui avvengono dinamiche
molto forti, di aggressività, di svilimento dell’azione del terapista, un attacco al suo valore; un attacco che
è anche giusto, perché gli attacchi dei pazienti sono da prendere molto in considerazione.
Non dobbiamo cadere nella facile tendenza di dire “è una sua proiezione” perché la proiezione spesso ci
azzecca. A questo punto possiamo immaginare il momento in cui incontriamo un’isterica o falliconarcisista: tutte le grosse problematiche di rapporti (non solo sessuali), di implicazioni emotive,
innamoramenti tra l’operatore e il/la paziente avvengono fondamentalmente con clienti che hanno una
componente isterica (o l’equivalente maschile fallico-narcisista). Abbiamo il dovere etico di riconoscere e
di gestire - attraverso il lavoro su noi stessi - i tratti non risolti, in maniera tale da impedire che si
accorgano quando li stiamo per agire. Magari la tendenza di agire c’è, ma una cosa è bloccarli e una cosa
è non bloccarli, perché non conoscendo quei tratti sembra quasi che quella azione terapeutica sia
funzionale al progetto terapeutico. In realtà è funzionale al progetto seduttivo del paziente che vuole
ricreare l’alleanza nevrotica con la madre o con il padre, e vuole riprodurre un meccanismo che è poi
l’unico che conosce.
Nitamo Montecucco
Si può dire che il paziente nel suo gioco va a coprire i buchi della mamma. Se la persona che arriva
dall’operatore lo rappresenta, penserà “Anch’io come lui ho avuto un papà che faceva così, o una mamma
iperprotettiva”. “E se io ho impiegato 15 anni ad uscire di casa, il paziente deve metterci 15 mesi.” Gli
darà dei consigli come “devi uscire di casa… se non lo fai non sei un vero uomo… se non molli quella
situazione non sei una vera donna… se vuoi essere te stessa devi lasciarlo”. Questi sono consigli, sono
proiezioni. Se l’operatore dice di fare una certa cosa (ad esempio una meditazione o un gruppo) e il
paziente non la vuole fare, l’operatore ne sarà risentito perché il cliente non è all’altezza di quello che
secondo lui dovrebbe fare. Questo nella pratica immediata si osserva molto spesso. L’operatore proietta
sulla persona (se non è ‘guarito’): “ah, non sei guarito… ma certo, io ti avevo detto di fare alcune cose,
non l’hai fatte ed è tutta colpa tua”.
Quindi il transfert e contro-transfert psicologico fa sempre presa sul bisogno dell’operatore. Quest’ultimo
deve sempre tenere a mente che se ha acquisito dentro di sé una modalità per cui ha dato un’enorme
importanza a certe cose, le pretenderà dalla persona che va da lui. Ad esempio se la madre dell’operatore
ha proiettato su di lui ‘devi essere qualcuno’, facilmente proietterà la stessa cosa sul paziente. Se la madre
è stata iperprotettiva, sarà allo stesso modo con il cliente. Che non è realmente essere d’aiuto, ma
piuttosto un’ansia che gli proietta addosso. Oppure gli può proiettare il piacere – è un bell’uomo, una
bella donna - e dicendo “una bella donna come te dovrebbe fare….” fa una proiezione. In realtà transfert e
contro-transfert sono qualcosa di più sottile, più psicologico. Queste sono le banali proiezioni che si
hanno sulle persone. Ad esempio pensare “dopo tre sedute non hai ancora capito come fare… non sono io
che non sono un buon terapista, sei tu che sei un cane come paziente”. Purtroppo di queste situazioni ce
ne sono tantissime. È vero anche l’opposto. Se l’operatore conosce bene queste strutture, perché ha
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lavorato bene su se stesso, potrà aiutare la persona che presenta lo stesso tratto, perché sa esattamente
dove andrà a parare, tutti i discorsi che fa e gli atteggiamenti che ha li vede come uno specchio.
Questo è stare con quello che c’è: la presenza con le cose vissute. E all’altra persona non si può dare un
consiglio, non si può indicare la strada, dire ‘devi fare così’. Il processo che si deve fare è induttivo,
educativo. Se l’operatore ha capito deve farlo capire all’altro, ma facendolo procedere con i propri mezzi,
senza dare consigli o suggerimenti. Perché così facendo lo svilisce. Se le chiede “tu cosa vuoi?”, in realtà
sa già la risposta, ma non gliela dice. Non le dice neanche di avere la risposta. Facendo una serie di
domande porta la persona in una certa situazione, ad un livello maggiore di comprensione.
La scheda di crescita personale
Entriamo nella pratica del contatto diretto con la persona. Si inizia utilizzando una “scheda di crescita
personale” che l’operatore compilerà e che la persona potrà portare a casa e riportare con sé alle
successive sessioni. Questo in modo da non infrangere né le leggi sulla privacy né quelle sul possesso di
materiale con dati personali sensibili. La scheda di crescita personale è uno strumento molto professionale
e quindi prezioso, che, essendo complesso, eventualmente all’inizio si può anche non utilizzare. Il nostro
consiglio è tuttavia di imparare ad utilizzarla da subito, perché dà immediatamente un’immagine di buon
livello professionale e di serietà nella modalità di lavoro.
LA SCHEDA DI CRESCITA PERSONALE.
1) Data di nascita (accanto scrivere l’età). L’età è fondamentale, perché da questa si vede la congruenza,
il suo modo di vivere il corpo, le energie, le emozioni e la mente rispetto all’età anagrafica.
2) Residenza: è interessante vedere se coincide con il luogo di nascita. È utile sapere con chi vive (è
single, divorziato/a, vive con la mamma o altro), e ciò aiuta ad impostare immediatamente il livello
psicologico d’inquadramento.
3) Professione
4) Numero dei figli (e la loro età). È diverso se ha 50 anni e due figli piccoli oppure 40 anni e un figlio di
23 anni. È bene chiedere se ha dei figli pur non essendo sposato.
5) Storia personale
6) Storia familiare
7) Osservazioni
8) Test
9) Percorso consigliato
Normalmente se il cliente dice che viene alla sessione per un motivo preciso (ad esempio, per farsi fare
un massaggio) l’operatore deve essere chiaro. Anche se lavora solo sul corpo, deve spiegare che il
colloquio è fondamentale. Questo vale per qualsiasi tecnica: se vuole lavorare nell’ambito dello sviluppo
del potenziale umano o nell’ambito realmente olistico, gli dovrà dire che, oltre alle tecniche conosciute e
proposte, è assolutamente fondamentale il contesto d’informazione generale della persona. Questo a
qualsiasi livello si lavori (sul corpo, con le emozioni, con la mente), perché le tensioni della mente o delle
emozioni si riflettono sul corpo o viceversa. In questo modo darà una giustificazione molto semplice e
profonda di quello che sta chiedendo. Quindi l’operatore deve sempre dare informazioni chiare, dicendo
che nel counseling prima di proporre un programma di lavoro si ha bisogno di acquisire una visione
171
olistica della persona.
Questo è un questionario olistico specifico; va intestato come ‘Questionario dell’Accademia Olistica”, in
modo che diventi un documento importante e non due appunti presi al volo. Se si dà importanza alle cose
che si fanno, anche il cliente darà importanza al lavoro, lo riconoscerà valido e sarà più semplice essere
pagati.
Si inizia con la
-
Storia personale:
Il primo dato da inserire è il tipo di blocco (ad esempio gastrite, abbandono dal fidanzato), cioè il motivo
per cui la persona è venuta. È importante ricordarlo al cliente dopo un po’ di tempo, perché può darsi che
non lo ricordi più. Ciò vuol dire che è avvenuta la riconversione.
Si parte dalle informazioni generali:
- Modalità della nascita: parto con il forcipe, parto normale, parto cesareo, etc.
- Tempo di allattamento
- Malattie particolari infantili e l’età d’insorgenza. Se portano una montagna di documentazione di tutte le
operazioni e indagini avute significa che sono devastati dal malessere. Basterà sapere che ne ha avute
tante, per cui si lavora su un altro livello.
Nella storia personale più recente verranno segnalate le cose più gravi che ha avuto (tipo ricoveri
psichiatrici, malattie di cuore, asma da ospedalizzazione, epilessie, schizofrenie).
-
Storia familiare:
Si annota se ha fratelli, sorelle, se è il primo figlio, il secondo, ecc.
Dopodichè possono essere usate domande tipo:
”Qual era l’ambiente familiare da bambino? Qual era l’atmosfera? “ (può essere stata serena, soffocante,
deprimente, in collegio con le suore, ha vissuto con la nonna, ecc.)
“Da bambino com’era tua madre? Affettuosa, nevrotica, depressa, assente, non ti guardava mai?”
“Com’era tuo papà quando eri bambino? Giocava con te? Ti stimava? E quanto? Ti spaventava? Si
arrabbiava? Ti faceva paura?”
Queste sono le radici di tutto il comportamento successivo
“I nonni: erano affettuosi o autoritari?”
-
Osservazioni:
In questa parte generalmente viene annotato ciò che viene osservato nel corpo, nelle energie della
persona, la sua bolla, la sua qualità energetica di fondo.
È utile fare qualsiasi tipo di test di propria conoscenza: iridologia, kinesiologia, respirazione. Ad esempio,
per quanto riguarda il test del respiro, va osservato il blocco del respiro… alto, medio o basso. A questo
proposito è importante evidenziare i blocchi secondari ed i blocchi primari, e chiedersi quale è il blocco
principale, quello da cui nascono gli altri. Una volta identificato, va annotato.
A volte chiedo alla persona se mi permette di farle da specchio. Se dice di sì… parlo come parla lei o
172
gesticolo come gesticola lei. Da ciò emerge la tipologia senza che io la giudichi, altrimenti si offende e
abbandona la sessione. Quando parte la proiezione energetica, istantaneamente sono già in un
controtransfert: vorrei la persona diversa da quella che è. Sto già facendo da padre e lei è figlia/o, già
sono marito e lei è moglie… ecc. Se mi accorgo che sto agendo un processo proiettivo che mette in moto
i miei problemi personali, me li devo rivedere… altrimenti non posso lavorare con lei.
Se, invece, metto questa persona come “other self oriented”, cioè la metto sul cuscino della moglie, del
marito o di chi altri le ha fatto del male, questa tecnica, se fatta bene, va immediatamente a bilanciare una
serie di cose.
Posso anche osservare che se cerco di parlare troppo, la persona diventa nervosa e inizia a parlare il
doppio. Posso avere la sensazione che lei ha male al cuore, anche se dice di avere un cuore sano. Oppure
posso improvvisamente sentire una grande tristezza. Tutte le osservazioni che emergono vanno annotate.
Le osservazioni da non dimenticare sono:
1) “Dimmi chi sei? Ci sei? Ti ‘senti’?” “Come ti senti nella tua vita? È la vita che tu desideri? Che
cos’è che ti dà il piacere del vivere? La tua vita è realmente la tua vita?”
In quel momento l’altro sente la presenza. Il punto importantissimo in questa serie di domande è arrivare
sempre alla fase critica. Quello che noi chiamiamo “riconversione” è il processo fondamentale.
Dobbiamo far riconvertire l’energia della persona (che solitamente è fuori) e farla ritornare verso
l’interno, dentro al suo nucleo.
I punti che la fanno ritornare a lei sono elementi molto evidenti e vengono riconfermati chiedendo:
2) “Sei davvero soddisfatto? E se finora non ti sei goduto la tua vita, cosa pensi di fare? Se in questo
momento io dovessi darti una bacchetta magica… cosa vorresti cambiare veramente della tua vita?” E se
rispondono: “Vorrei star bene”, è necessario fargli capire che è troppo generico, che sta evitando di dare
la vera risposta. Quindi bisogna insistere: “Pensa… che cos’è che tu vuoi? Che cosa non vuoi?” “Da cosa
ti vorresti allontanare? Verso cosa ti vorresti dirigere?” “Hai mai amato?”
Queste sono le domande fondamentali che mettono l’operatore in un rapporto esistenziale con la persona.
E dopo che la persona ha raccontato per sommi capi la storia della sua vita, i problemi, le sue malattie e
tensioni, se l’operatore ha creato i minimi presupposti (lo spazio idoneo, il setting appropriato), se è
presente e non ha commesso grossi errori…questo sarà più che sufficiente per entrare in contatto umano
con l’altro.
- Le Relazioni:
Se il counselor si trova con una persona in disarmonia con le relazioni (ad esempio ha difficoltà con i
genitori, con il sesso o sul lavoro), deve riportare l’equilibrio nella persona attraverso la bioenergetica, il
massaggio, la meditazione, le tecniche di respiro.
A volte per le relazioni, oltre alle amicizie generiche, si domanda: ”Hai un compagno/una compagna?
Come ci stai? Quanti ne hai avuti? Com’è finita? Quanto è durata?” “Come… con nessuno? Hai appena
28 anni, sei nel pieno delle tue forze e da tre anni sei senza una donna/ un uomo.” “Che dolore hai
provato, che paure hai provato?” “Nella tua vita sessuale riesci a lasciarti andare?” “Quanto ti controlli?”
È utile approfondire il punto sul controllo e sullo stress, perché è su questa parte istintiva che si può
intervenire con gli strumenti di meditazione e di evoluzione personale. E lì bisogna esserci.
Dalla storia delle relazioni si vede il cuore, la capacità di mettersi in contatto con gli altri; si può capire
dove sono. E ancora: “Come stai nella tua ultima relazione? È una relazione reale? Cos’è che ti fa stare
ancora con questa persona? Cosa ti permette di stare ancora con lui/lei?”
173
E la risposta può essere: “A letto andiamo d’accordissimo” oppure “Chiacchieriamo molto” o “Ci piace
viaggiare “ ecc. A volte non c’è una vera risposta, e in tal caso si deve chiedere: ”Perché stai ancora in
questa relazione se è così insoddisfacente?”
Partendo dal presente l’operatore prova ad invertire il processo, lavorando sul blocco interno.
La maggior parte delle persone non sente il proprio corpo. Se la persona è troppo gonfia, ha
caratteristiche ‘psicopatiche’ e non si sgonfia mai; se tiene duro e non sente niente è una ‘masochista’; se
è una persona ‘rigida’ e continua a parlare con la testa è il narcisista secondo Reich; se inizia a piangere
nel momento in cui si pone una mano sul cuore e sente soprattutto il dolore affettivo, è una persona orale.
- La Professione:
Le domande da fare sono del tipo:
“Il lavoro è soddisfacente? Ti piace? Lo fai per guadagnare? Se lo fai per guadagnare… allora cos’è che ti
fa vivere? Per che cosa vivi?” …e la risposta più frequente è: “Vivo per i figli”.
“Lascia perdere per un momento i figli (che sono sicuramente importanti nella vita di una persona)… ma
tu perché vivi? Tu non vivi per un altro, tu vivi per te. Cos’è che ti dà piacere?”
“Quando sei con il capoufficio che non ti stima, cosa succede?”
A questa domanda può non rispondere e ingoiare a fatica, oppure chiudere le spalle, oppure irrigidirsi e
non dire niente, o gonfiarsi come nel caso di un rancore trattenuto (struttura masochista). Pian piano,
semplicemente e con consapevolezza, si deve portarlo a sentire tutto il corpo, a sentire i blocchi.
Portandolo ad aprirsi, a raccontarsi. Con la presenza e l’ascolto si toccano le corde più profonde.
Questo è il Counseling Olistico che entra in profondità dell’essere della persona, nei punti critici dove è
possibile, auspicata e necessaria una riconversione. Il counselor/operatore porta con sé la cosa più
preziosa che può dare: la comprensione che è possibile girare la vita - anche di poco - e ritrovare la
matrice profonda dell’essere. Questo è il momento critico. Il counselor accetta quello che c’è, senza mai
spingere, lasciando che ci arrivino da soli. Quando iniziano ad emergere le insoddisfazioni si può
chiedere: “Ma tu che cos’è che realmente vorresti? Che vita vorresti?”
In questa fase bisogna stare attenti agli iper-critici che trovano da ridire su tutto e tutti. In questo caso, il
cambiamento della vita della persona avviene attraverso l’apertura del cuore e lo stop alla critica,
portandola nella condizione in cui può mettere in risalto la sua situazione, e inducendola pian piano a
esprimere quello che veramente è il senso della profondità dell’essere.
Le domande esistenziali
Riassumendo, le domande “esistenziali” che aprono la via ad una consapevolezza di sé e della propria
crescita personale sono:
“Come va la tua vita sessuale?”
“Sei soddisfatto della tua vita?” Se la risposta è “No” si domanda: “Perché?” “Cos’è che ti
manca?” “Cosa non ti soddisfa?” “Che cosa vorresti?”
È necessario lasciarli parlare finché non esprimono un disagio. Se l’operatore si sente forte e sente di
avere un buon canale o tanta empatia, riesce ad entrare direttamente nell’Io. A questo punto (soprattutto
se si è fatto il gruppo “who is in?”) si può chiedere:
”Ma tu chi sei? Chi pensi di essere? Cosa vorresti essere?”
174
Qualsiasi risposta darà i primi elementi per iniziare un lavoro semplice nella direzione dell’essenza,
perché possa ritornare a riaprire il corpo, a risentire il proprio ‘bene’ ed il proprio ‘male’.
Un’altra grande domanda è:
“Cos’è che ti impedisce di essere felice?” “Cosa ti impedisce di usare il cuore e di amare?”
Ognuno darà motivazioni che lo portano all’esterno. E la domanda sarà: “Stai cercando qualcosa
all’esterno che ti confermi… ma per confermare te stesso senza il bisogno delle cose
esterne, di cosa hai bisogno?”
(risposta frequente: “Ho bisogno di avere fiducia”). E allora “Io ti do fiducia, puoi ottenere più
fiducia in te partendo da te stesso”.
A questo punto l’operatore deve mettere insieme gli elementi e capire il livello evolutivo della persona.
Se commette un errore la persona scappa, perché le viene proposta una cosa sovradimensionata.
Per rinforzare il sistema centrale della fiducia, il counselor deve rinforzare il corpo, stimolare la mente,
far leggere dei libri, farle conoscere altre persone più mature che riconoscano le sue qualità; però non
deve dire ad una persona brutta che è bella, perché è disonesto.
Ascoltando i bisogni della persona l’aiuta a sviluppare il potenziale interno, e in ogni situazione la riporta
a sé, all’identità, al cuore e non alla testa, al proprio valore, le proprie energie.
La logica dei primi incontri
Un esempio concreto: davanti ad una persona ‘normale’ che mediamente ha un forte tratto masochista,
che vive male perché si crea delle ragioni per vivere male, quindi con un livello molto basso, l’operatore
spesso non può nemmeno proporre un percorso di crescita. Dovrà fare quel processo graduale di crescita
che chiamiamo la prima proposta di ‘percorso consigliato’.
Il percorso consigliato viene articolato mediamente in tre fasi:
Nel primo incontro si riesce ad avere un quadro generale. Se parlano molto, c’è molta storia (o piace
raccontarsi), gli viene proposto un nuovo incontro per fare un lavoro mirato al corpo. L’importante è
essere chiari sul modo di procedere. Se la persona si aspetta un massaggio e non lo riceve ma le viene
proposto qualcos’altro, non ritornerà più. A quel punto si deve spiegare che il Counselor fa il lavoro sul
corpo con il massaggio, ma oltre a questo lavora anche sulla parte emozionale che emerge dal massaggio
stesso. A questo punto si chiede se vuole un massaggio puro e semplice oppure se vuole lavorare sulla
profondità. Se la persona dovesse scegliere soltanto il massaggio, alla fine le si può sempre dire che da
questo sono emerse delle tensioni molto forti che andrebbero affrontate indagando ulteriormente. E se
accetta viene stabilito un nuovo incontro. Il lavoro sul corpo è fondamentale, perché la maggior parte
delle persone è “di testa” e ritrovare il contatto con il proprio corpo aiuta a far uscire sensazioni ed
emozioni; da lì il processo di riconversione è molto più semplice.
Ad esempio già con un massaggio alla schiena l’operatore può dirle che sotto quella sensazione dolorosa
c’è tristezza o rabbia, può indurre la persona a sentire le emozioni prima nascoste aiutandola a respirare
nella schiena, iniziando a direzionarla e a farle comprendere quel che c’è sotto. La persona, in tal modo,
pian piano inizia a comprendere che il lavoro da fare è su di sé, è quello di liberazione delle emozioni.
Se la persona dice, ad esempio, che ha problemi relazionali, l’operatore chiederà che tipo di dolori o
fastidi ha. Immaginiamo che dica che accusa dolori sul cuore. Prima di entrare negli altri test, se
l’operatore ha il minimo dubbio che questo dolore al cuore possa essere qualcosa di più grave, dovrà
chiedere se sono stati fatti esami clinici per accertarsi che sia solo di natura psicosomatica. Se ha avuto
175
esiti diagnostici deve essere segnato sulla scheda personale alla voce test. È importante che la persona
informi ad esempio se ha avuto un attacco cardiaco, perché se l’operatore la fa respirare in un certo modo
c’è un margine di rischio. Quello che interessa non è fare un’analisi medica, ma sapere se ci sono dei
particolari nella vita passata che potrebbero influenzare negativamente le tecniche di respirazione.
Le altre parti sono: storia famigliare, storia personale, osservazioni, percorso consigliato.
Se si riesce nell’arco di una prima visita generale o di due visite ad avere abbastanza dati o esperienze
sulla persona, quest’ultima arriva a percepire dove sono le tensioni e qual è il problema reale su di sé. A
questo punto è consigliabile proporre una serie di cinque-sei sessioni, al termine delle quali si farà il
punto della situazione.
Riassumendo:
1.
Primo incontro: questionario ed esperienza
L’operatore/counselor formulerà domande per avere le informazioni principali, farà sperimentare
dove sono realmente i problemi e le tensioni, se è bodyworker. Se è psicologo, invece, potrà indurre la
riconversione attraverso un’esperienza a livello emozionale diretto, portando piano piano la persona a
dire da sé - per induzione - dove è veramente il problema. È la persona stessa che deve percepire
quello che sente e prendere una decisione. Tutto ciò avviene preferibilmente se mediato dal lavoro sul
corpo.
2.
Prime sessioni di sperimentazione
L’operatore/counselor propone tre-quattro sessioni con un piccolo progetto di esperienze, e annota
sulla scheda personale il percorso consigliato. Queste sessioni servono a fare sentire il corpo alla
persona, a farle percepire direttamente il punto “interiore” e possibilmente “psicosomatico” da cui
parte realmente il problema, o il tema su cui l’operatore può realmente operare con successo. È
importante tenere sempre presente il motivo per cui il cliente è venuto. Se ad esempio, è una persona
che ha avuto una serie di operazioni all’anca non le si può ripristinare l’arto, però si può lavorare
sull’energia con cui vive la sua vita, sul piacere di esistere, mettendo in moto la parte sana. Un dolore
anche fisico che non è guaribile può essere tollerato se l’altra parte della vita lo bilancia. Viene, in tal
modo, impostatato un percorso consigliato, che rappresenta quello che la persona vuole come cura
generale e quello che l’operatore le ha consigliato per una riconversione della propria direzione.
Ad esempio, nel caso di una persona con il mal di stomaco che chiede d’intervenire esclusivamente su
quello, l’operatore potrà chiedere se accetta di fare tre sessioni di rebirthing, in modo da rilassare il
sistema nervoso e di conseguenza migliorare il mal di stomaco. Se accetta si passa alla fase
successiva.
3.
Incontri successivi: il “progetto di crescita”
Dopo la fase della sperimentazione, nella quale la persona comprende l’aspetto interiore dei suoi
problemi, si decide insieme un percorso di crescita personale, ossia un “progetto di crescita”.
Se, ad esempio, durante il lavoro di respiro la persona tira fuori delle emozioni, l’operatore le farà
prendere coscienza del corpo e della tensione allo stomaco. Sarà lei stessa ad accorgersi che
esternando il pianto ha allentato o sciolto la tensione allo stomaco. Alla fine le verrà sottolineato il
fatto che - se apre il cuore e scioglie il dolore - lo stomaco si rilassa e il fastidio diminuisce; si fa un
vero processo di guarigione, dove le pillole possono diventare inutili.
176
Il vero e il falso dei problemi
Nella prima o nella seconda sessione è fondamentale che l’operatore/counselor comprenda che ciò che sta
raccontando la persona è “relativamente falso”, nel senso che sta raccontando un problema o racconta di
sé in modo esteriore, come se la reale causa fosse sempre all’esterno e non in sé.
Riuscire ad invertire questa percezione del problema è essenziale per lavorare su di sé. Questo cambio di
prospettiva dall’esterno all’interno è quindi un punto della massima importanza.
Il lavoro sostanziale è riportare la persona alla realtà.
La persona porta un falso bisogno e l’operatore le riporta il bisogno sul livello di autenticità. È necessaria
attenzione e cautela. Come punto d’accesso deve considerare che la persona, non essendo in contatto
reale e profondo con se stessa, continua a raccontargli lo stesso problema, che è fuori di sé.
A volte, nonostante il grande lavoro che le persone fanno a livello psicologico, questo problema rimane
esteriore per anni ed in alcuni casi per sempre. Le persone che hanno avuto traumi continuano a buttare
fuori quello che hanno dentro, sono sempre arrabbiate, continuano a dire che tutto è dolore, il mondo è
pieno di paure: tutto questo è dentro di loro e continuano a proiettarlo all’esterno. Il problema sono gli
altri, il problema è sempre all’esterno, come nel caso di alcune donne che continuano a dire che si trovano
regolarmente in situazioni dove gli uomini le lasciano, oppure uomini che dicono: ‘mia moglie mi tratta
sempre nello stesso modo’, o ancora ‘non riesco mai a fare una certa cosa’.
Il punto è di rigirare la consapevolezza: a volte l’operatore riesce in breve tempo, a volte non riesce
(anche nei casi in cui il cliente ha fatto anni di analisi o lavori di gruppo).
L’operatore/counselor deve cercare di portare la persona all’interno, e il lavoro e il setting che crea,
soprattutto nelle prime due sessioni, servono per ri-codificare questo passaggio: la direzione da fuori a
dentro.
Le varie tecniche di psicosomatica, di respiro dolce, di meditazione, di energetica servono perfettamente
a questo scopo: portano l’attenzione sul corpo, sul respiro, sulle sensazioni interne… e quando la persona
è lì - dentro di sé - riparata dai suoi pensieri ricorsivi e dalle sensazioni ed emozioni del momento
presente, il counselor olistico può facilmente far capire come e dove il problema è somatizzato, riflesso
ed interiorizzato. Questa è la chiave! A quel punto può far comprendere alla persona che all’interno si
può agire direttamente – il corpo è il suo, il cuore è il suo – mentre all’esterno le persone non si
possono cambiare.
Se il counselor chiede alla persona che cosa vuole, solitamente gli risponderà che vuole “star bene”.
Questo fa capire che la persona è fuori di testa, chiede all’esterno di risolvere il suo problema. La
risposta corretta è “Io ho questo problema, per cui voglio lavorare su di me per cambiare!” “Voglio
andare oltre queste storie ripetitive, voglio liberarmi da queste emozioni di sfiducia per cui continuo a
dire che il mondo o le mie relazioni o gli altri sono negativi” “Voglio guardare me stessa, e sentire che
sono piena di questa stessa emozione che proietto all’esterno”.
È un lavoro difficile ed in alcuni casi anche dopo anni di lavoro non si riesce a farlo completamente,
soprattutto se le persone non riescono ad aprire il cuore. Ma è necessario provarci, per invertire anche
solo parzialmente quella logica.
Vale anche per gli aspiranti counselor: se hanno difficoltà ad aprire il cuore e avere presenza non avranno
l’abilitazione. Ho già avuto alcuni casi - una persona che ha fatto tre anni di Accademia, un’altra che ha
fatto ben tre scuole di Counseling (una sistemico/relazionale, una familiare e la Gestalt) - a cui non ho
dato il benestare. Posso dar loro la certificazione per la frequenza del corso, ma non il mio benestare per
esercitare la professione di Counselor. Lo avrà nel momento in cui lei/lui ‘ci sarà’. Questo non vuol dire
che debba essere una persona perfetta, ma che abbia raggiunto un minimo di equilibrio e di pulizia
interna.
177
La direzione esterna e interna
Ad esempio: se una persona va dal counselor perché ha la gastrite, lui le dirà che può farle una sessione
per aiutarla a rilassarsi e comprendere le cause della gastrite, sottolineando però il punto più importante:
che, parallelamente al lavoro che verrà fatto, la persona lavori su di sé. Questo vale con qualsiasi cosa il
counselor lavori: con le erbe, l’alimentazione, i massaggi, il respiro, la meditazione o altro ancora.
Quando si incontra una persona, si incontra il suo carattere, il suo io esteriore, ma si può immediatamente
sentire anche la sua profondità, il suo essere, il Sé. Quindi si sta parlando con una persona-carattere che
sta dicendo “io ho un problema, ho il mal di schiena, sono chiuso, ecc.”, e dietro tutte queste richieste si
potrà sentire che c’è una persona che non è in contatto con il proprio Sé. È una persona che ha la
direzione esterna e che quindi chiede qualche cosa di esterno.
In alcuni casi, soprattutto negli ultimi anni, le persone dicono apparentemente una cosa interna – ad
esempio “voglio sperimentare la meditazione o voglio sperimentare il tantra perché si fa meglio l’amore”
oppure ”voglio fare yoga per il mal di schiena” – ma in realtà è tutto esterno. Oppure dicono “ho letto che
le persone importanti hanno un Sé spirituale, per cui anch’io voglio avere un Sé”. È tutto esterno. Il
counselor deve addestrarsi a capire dov’è il problema reale della persona, dov’è il suo punto critico
psicosomatico, la parte su cui può operare un cambiamento di direzione da esteriore ad interiore: un
viraggio della coscienza.
Il “progetto di crescita”
Nelle prime sessioni il counselor porterà la persona a conoscere la sua reale situazione psicosomatica ed i
suoi blocchi. Una volta identificati i blocchi, il lavoro importantissimo è quello di farglieli percepire e di
creare insieme una linea di crescita personale. Il punto che il counselor non deve mai perdere di vista è
che la persona gli ha dato fiducia, vuole vedere dei risultati reali e deve sperimentarli su di sé. Si hanno
tre-quattro ore di tempo per fare questo: per migliorare il suo quadro, farle prendere ancora più fiducia,
sentire ancora di più i suoi conflitti e limiti, darle man mano una direzione di crescita.
“Non ti senti te stesso, vuoi aprirti… cos’è questa barriera verso te stesso?”
Tre-quattro ore sono molte, a volte basta meno. In ogni istante il lavoro deve essere in uno spazio di
feedback: la persona ‘sente’ ed il counselor deve farle prendere coscienza che sente, e ritornare sempre ai
modelli olistici che ha conosciuto.
I due modelli olistici principali che si possono utilizzare per spiegare metaforicamente alle persone il
processo di blocco e di crescita sono: quello del Centro e quello della Spirale.
La Spirale è un tutt’uno che gira. Se si ferma un solo anello della Spirale si ferma tutto il cerchio.
Se il Cuore c’è - e dà vita e luce a tutto - ma è oscurato da quella membrana di tristezza che noi
chiamiamo pericardio, tutto il sistema perde di luminosità. Quindi in quelle poche ore il counselor farà
sentire alla persona dove non sente la totalità, cosa non parte nel Cuore, cos’è che interrompe nel corpo…
e tornare sempre a lei. Le parole chiave che vengono usate sono “sei tu che hai in mano la tua vita”, “sei
tu che hai in mano le chiavi del tuo Cuore”. A questo punto, in questo processo, il counselor deve essere
assolutamente congruo con l’evoluzione della persona.
Ad esempio la persona va dal counselor con un problema ‘esteriorizzato’ emozionale: “Sto con mio
marito da più di 20 anni ma non sento più niente, lui mi rovina la vita… e poi anche il lavoro mi soffoca.”
Il counselor nelle prime sessioni la fa respirare nel corpo, le fa percepire dove quel suo malessere
“esterno” le crea dolore e tensione, dove sente i blocchi energetici, espressivi. A quel punto inizierà il
lavoro di interiorizzazione, dirà: “Non possiamo cambiare l’esterno, ma sicuramente possiamo migliorare
la situazione interna fisica, emozionale e psichica”. Il counselor può suggerirle di “riaprire il cuore che si
è chiuso, riattivare il senso della bellezza con le meditazioni o l’arte, imparare a comunicare meglio, ad
178
essere più centrata, a stimarsi di più.” Questo è la base del “progetto di crescita” che ad ogni sessione
diventa più preciso ed evidente.
Valutazioni e aspettative nel “progetto di crescita”
Importante da sottolineare: se la persona che va dal counselor è senza Cuore, ha saputo che utilizza
tecniche che l’hanno incuriosita ed arriva con molte aspettative pratiche, il counselor può mettersi
nell’atteggiamento che comunque le trasmetterà amore, e già un contatto fisico non potrà che farle bene.
Ma non deve aspettarsi tanto da chi ha il Cuore chiuso. Non deve fare proiezioni sulle persone che hanno
il Cuore chiuso. Usare entusiasmo con persone con il Cuore chiuso è come andare a parlare di Ufo ad uno
scienziato materialista. Non funziona, è controproducente.
Il progetto di aiuto, che abbiamo chiamato “progetto di crescita”, deve essere attuato dalla persona. Il
counselor deve sentire questa chiusura, e se vuole lavorare deve entrare in risonanza con questa chiusura.
Non può farla lavorare in un progetto di crescita normale.
Le persone che vengono in Accademia sono già selezionatissime, forse a una su venti dico di fare
l’Accademia. Ad altre persone che vengono da me per la prima volta non dico niente, non sono
all’altezza. Al massimo suggerisco di fare qualche gruppo, se sono troppo vecchi, o troppo sbandati, o
hanno troppi problemi o sono stupidi. Anche la stupidità è reale. Ci sono uomini percettivi e uomini
idioti. Il counselor deve essere molto chiaro sui limiti della persona, non deve imporre o consigliare un
lavoro di crescita, ma è la persona che deve chiedere di lavorare. Se il counselor dà di più ad una persona
che non se lo aspetta, la persona scappa, ha paura. Se dice ad una persona sempre arrabbiata e che ha
sempre vissuto in negativo “Io ti apro il Cuore e sarai felice”, la persona scapperà.
Un esempio negativo: ho conosciuto un ragazzo sensibile e intelligente, ma classico esempio di
masochista. È stato al Villaggio una settimana e non ha fatto quasi nulla, ma io non mi aspettavo niente di
più da lui. Era già un miracolo che accettasse di fare un gruppo. Non ho insistito tanto, perché lo
consideravo come perso, con un 5% di probabilità di miracolo. Viveva ancora con la mamma tiranna,
isolato e senza donne. Una situazione in cui è necessaria cautela. Con un caso del genere bisogna fare
attenzione, può stare due ore a raccontare assurdità. Di quello che gli si dice non sente nulla, non capisce
nulla. Con questo ragazzo masochista non potevo forzare. L’unica cosa da dire era “vai bene così, io ti
voglio bene così come sei”. Prima di partire mi ha chiesto se faceva bene ad andarsene a vivere da solo o
magari con una donna. Potrà trovarsi soltanto una donna che gli assomigli e che sia mediamente repressa
come lui (un masochista è fondamentalmente un represso), che abbia un po’ di cuore e un po’ di
sensibilità. Faranno poco sesso, ma in qualche modo riusciranno a stare insieme.
Il percorso di crescita deve essere congruo con i limiti della persona. Se la persona ha dei limiti, ha il
Cuore chiuso, il counselor deve parlare poco, perchè l’entusiasmo potrebbe essere controproducente, e
farle fare delle cose. Se invece vede che la persona ha già il Cuore aperto, può parlare un po’ di più,
spingere quel filo di entusiasmo un po’ di più… perché in quel caso l’entusiasmo è un nutrimento.
Quindi l’operatore deve moderare le energie, moderare l’entusiasmo, osservare il tempo di maturazione
della persona con relativa calma, portare la persona a sentire quelle determinate cose. Qualsiasi progetto
di crescita che sia soltanto un pochino troppo in avanti, crea paura. Deve dire le cose con molta cautela.
Se invece sente che la persona è più di Cuore, la deve prendere con il Cuore. Se sente che la persona ha
già fatto una serie di esperienze - anche banali ed edulcorate da New Age - deve andare a vedere quanto
c’è del suo ‘essere in contatto con il sé’, quanto è cosciente e libera la sua mente. Poi deve assicurarsi
sempre che tutto ciò che viene detto o fatto rimane tra l’operatore ed il cliente, in modo che quest’ultimo
ne abbia la certezza.
179
Motivi per cui il counselor non deve dare consigli
Una delle caratteristiche del counseling riconosciute a livello internazionale è quella di non dare consigli.
I motivi per cui il counselor non deve dare consigli sono molteplici: il primo è di non influenzare
psicologicamente, emotivamente, con giudizi o con una propria visione personale le scelte della persona
(cliente) che è venuta per ricevere un aiuto. Il lavoro del counselor è di “educare” le persone, nel puro
senso del termine latino di ex ducere (ossia di “portare fuori”) le loro potenzialità e risorse. I clienti
devono essere aiutati dal counselor a scoprire e a contare sulle proprie risorse personali, e sentire che le
loro esperienze ed abilità sono positivamente riconosciute dal counselor.
Secondo la “British Association for Counseling” il Counselor:
·
Non deve dare consigli, ossia non deve influenzare la persona.
·
Può indicare le opzioni di cui il cliente dispone e aiutarlo a seguire quello che sceglierà.
·
Può aiutare il cliente a esaminare dettagliatamente le situazioni o i comportamenti che si sono
rivelati problematici e trovare un punto piccolo, ma cruciale, da cui sia possibile originare qualche
cambiamento.
·
Deve rispettare lo scopo fondamentale è l’autonomia del cliente: che possa fare le sue scelte,
prendere le sue decisioni e porle in essere.
·
Dovrà essere sufficientemente fiducioso e autoconsapevole da essere una presenza supportiva e
non giudicante.
·
Non deve essere emotivamente coinvolto.
L’arte di non imporre la propria visione, di non consigliare ma di dare consapevolezza e di educare, ossia
di aiutare le persone ad esprimere i propri reali bisogni, progetti, desideri, decisioni è alla base di tutto il
lavoro del counseling olistico e tradizionale. Questo è il processo di induzione. Contrariamente alla
deduzione, che usa maggiormente la logica, ed i processi di causa-effetto che si propongono alla persona
per arrivare ad una conclusione, il processo di induzione tende a far sviluppare una risposta autonoma alla
persona, portandola con opportune domande ad una chiara visione del suo problema o situazione e a
comprendere le sue reali necessità e desideri.
Se una persona racconta che il suo malessere dipende da una situazione di relazione molto pesante, dove
il partner è ovviamente implicato, si hanno due possibilità: o dare dei consigli diretti (“ma perché non lo
pianti?” o “secondo me faresti meglio a chiudere”) oppure portare la persona a chiarire la sua situazione
chiedendole: “cosa senti realmente rispetto a questa relazione?” o “se ti ascolti bene ritieni di poter
sostenere a lungo questa situazione?”, o ancora “quali sono i sentimenti, anche contraddittori, che provi?”
Lentamente la persona, se si sente sostenuta e supportata dalla presenza empatica del counselor, dirà
quello che realmente vuole ed il counselor la sosterrà in queste sue scelte.
Il Mito di Chirone: il counselor non è un perfetto
Ricordiamo uno dei miti più importanti legati al guaritore e alla guarigione: il mito di Chirone. Per i Greci
Esculapio (il Dio della medicina) era una figura onnisciente, perfetta, che curava dall’alto dei cieli; noi,
come Counselor, non ci riconosciamo in questa perfezione e prendiamo il mito di Chirone, un centauro
(metà cavallo e metà uomo) con una parte divina.
Ha ricevuto in dono l’immortalità, ma non l’invulnerabilità. Quindi è come dire: noi siamo Chirone.
Abbiamo la pancia (cervello rettile) che è animale, il cuore che è umano o mammifero, e la testa… che
adesso è piena di mente-spazzatura, ma che (se fossimo realizzati) sarebbe pura coscienza e spiritualità.
180
Quindi noi abbiamo l’animale, l’uomo e il divino dentro di noi. Chirone rappresenta la nostra triplice
natura, e pur avendo il dono dell’immortalità è vulnerabile così come lo siamo noi: con un’anima
spirituale immortale e con un corpo vulnerabile. Chirone fu ferito e cercò tutta la vita di curarsi, imparò
tutte le medicine esistenti - dai massaggi alle erbe – ma non riuscì mai realmente a curarsi. Viene
considerato il guaritore per eccellenza, colui che porta le tecniche della guarigione.
Noi diciamo che l’Operatore/Counselor Olistico è il Chirone dei nostri tempi: è una persona che
sicuramente ha avuto delle ferite, che può averle ancora perché non è riuscito del tutto a curarle, che
riconosce la sua natura sacra e le sue ferite da semplice mortale, ma nell’accezione umana più nobile ha
dentro di sé una fondamentale spinta ad aiutare gli altri, a trasferire una parte delle proprie esperienze agli
altri, cosciente sia di non essere lui stesso completamente guarito sia, ovviamente, di non poter
completamente guarire gli altri. Questa è la base della relazione di aiuto. Quindi una persona può essere
anche paralizzata, malata o fortemente ferita e fare bene il Counselor. Ma se quella ferita non se l’è
ancora vista e continua a proiettare una parte della propria tristezza, rabbia o paura sugli altri, questo gli
proibisce di fare il Counselor, non perché debba essere perfetto, ma perché non ha il cuore abbastanza
limpido e pulito per poterlo fare. E questo deve essere molto chiaro.
Un esempio in proposito: prendiamo una persona che ha delle ossessioni. Ciò non gli impedisce di fare il
Counselor, se si rende conto che non può lavorare sulle ossessioni. Ancora: una persona che ha una base
di anoressia o bulimia o ha dei disturbi sessuali non può affrontare altre persone con lo stesso problema.
Ciò non toglie che non possa fare una serie di lavori in cui trasmettere quella parte di comprensione che
ha già vissuto in altri settori. A volte le persone che soffrono o hanno sofferto molto hanno un’incredibile
sensibilità alla sofferenza o un’incredibile empatia. E proprio la consapevolezza della paura, della
vergogna (superate del tutto o in parte) può diventare uno strumento di grande aiuto. Può benissimo dire:
“Anch’io nel passato avevo tante paure, ma lavorando su di me con questa tecnica di respiro oggi ne ho
molte meno, per cui te la trasmetto. Non è una cura finale, ma è un buon aiuto.”
Bisogna avere consapevolezza e onestà e dire alle persone che quel problema non è stato totalmente
superato, non si è perfetti.
Non siamo nel transfert o contro-transfert (per cui dovremmo mantenere una certa posizione e per questo
non raccontare la nostra vita privata). Non è così. Perciò riconosciamo e diciamo che siamo persone come
altre - che sanno fare bene una certa cosa - e ci offriamo di farla insieme ad altri.
Esistono dei contesti minimi in cui il counselor può essere o non essere presente. Se vive un momento
emozionale troppo intenso, non potrà lavorare, perché diventerà lui stesso proiettivo. Se è triste perché è
morto un genitore (una tristezza nella natura delle cose), o se è triste perché ha grandi problemi… non
può lavorare con gli altri. Se un operatore ha avuto una vita sfortunata, è andato in depressione, ma
attraverso l’uso delle tecniche ha risolto il 90% della depressione (che ancora lo tocca ma di cui è
consapevole), potrà fare un grandissimo lavoro sulla depressione. Anzi, questa esperienza gli lascerà un
grande entusiasmo, una saggezza che può addirittura farlo entrare in maggiore risonanza con chi è
depresso. Quindi: grande equilibrio, grande consapevolezza, grande responsabilità.
Trasparenza e sincerità
Un codice fondamentale e importante: non stiamo lavorando sull’auto-affermazione, non stiamo
lavorando sull’ego individuale, sulla sicurezza personale, ma sulla PRESENZA.
Ad esempio, se io sono triste e sono presente lavoro benissimo, ma lavoro in trasparenza. Personalmente
sono contro le scuole che presuppongono un “ruolo professionale determinato” che viene controllato
all’interno di un setting. Per quanto è possibile il setting non deve creare nessuna contestualizzazione del
processo di transfert e controtransfert. È quello che sto facendo da anni nel mio lavoro personale e con
181
tutti coloro che sono usciti dall’Accademia e che già stanno lavorando. Io gioco trasparente: se la persona
mi è realmente simpatica, le dico che mi è simpatica, e viceversa. Se sto male o sono triste per mie
ragioni e la persona mi chiede come sto, rispondo con sincerità che sto vivendo un momento un po’
particolare. Questa apertura nella mia pratica ha generato rapporti di grande empatia e verità. Se la
persona mi fa venire tristezza o irritazione le dico ciò che sento; con proprietà di linguaggio, in modo
neutro, positivo… ma glielo dico. Dico la verità. Se una persona mi provoca, non si fida di me o resiste,
all’inizio lavoro sulle resistenze, per renderla consapevole le faccio da specchio testimoniando quanto sta
avvenendo, ma, oltre un certo limite, le dico che non posso lavorare più con lei, perché non ci sono i
parametri minimi umani di lavoro, di relazione. Non credo realmente che sia utile e produttivo. E a volte
proprio questa franchezza ha generato un cambio di risposta emozionale della persona, una riapertura di
rapporto. Di moltissime persone che incontro professionalmente, ogni anno fermo il lavoro almeno con
due o tre di loro.
È chiaro che tutto il lavoro che inizia deve avvenire nell’ambito di un equilibrio tra presenza, realtà e
compassione. Se al momento quella persona risulta pesante ma l’operatore riesce ad essere in uno spazio
di compassione… ci può lavorare.
Ho avuto una paziente ossessiva, fortemente compulsiva (non borderline ma da ricovero, a mio avviso),
che mi ha chiesto di essere aiutata. Ho fatto molto fatica a lavorare con lei. Spesso mi faceva arrabbiare,
mi provocava, ma nonostante questo c’era una quantità di compassione e di apertura di cuore nei suoi
confronti che mi permetteva di lavorare con lei. Tra l’altro era venuta da me dopo esser stata da quattro
psichiatri che l’avevano buttata fuori dalla porta, ovviamente perché lei creava rabbia nelle persone.
Quando lei mi creava rabbia, glielo dicevo. Se lei insisteva e mi provocava, le dicevo che era andata oltre
il limite e smettevo di lavorare. E lei si rendeva conto che stava cercando di superare questo limite.
Quando lo superava e se ne accorgeva... chiedeva scusa e si riprendeva il lavoro.
Questo è un caso limite che spero non accada mai. Se, ad esempio, arriva una persona che chiede una
sessione di yoga, un massaggio o danza ed è uno psicopatico, si deve essere chiari che il counselor non
cura lo psicopatico. Se chiede un aiuto per sciogliere le sue tensioni corporee o desidera fare meditazione,
si può aiutare. L’importante è essere chiari che nel counseling non si cura una malattia, ma si aiuta una
persona. Se questa persona crea troppa tensione o scompiglio, sarà necessario dirle che non è possibile
proseguire, perché crea troppo disagio nel gruppo o nella sessione individuale. La cosa fondamentale è
chiarezza con se stessi e la persona, e creare un patto di onestà.
oooOOOooo
Una volta identificati i blocchi, il lavoro sarà quello di farli percepire al cliente e di creare una linea di
crescita personale. Finora abbiamo fatto una parte d’impostazione generale del SETTING, poi siamo
passati alla prima parte dell’INCONTRO, il riconoscimento della persona e della sua energia generale,
dell’atmosfera (della ‘bolla’) in cui vive, e dei primi semplici processi di approccio e di CONTATTO
diretto con la persona. Ora passeremo al lavoro sull’IDENTITA’.
Il lavoro sull'identità
Vorrei affrontare la tecnica di base del “CHI SONO IO?” non in ambito di gruppo ma in ambito
individuale, e la modalità per entrare in quella dimensione (che consiglio di fare da coricati e non in piedi
perché è molto più intensa) e per utilizzare il senso dell’identità con il fine di toccare punti più profondi.
Ricordiamo una cosa: nel percorso consigliato, aldilà di qualsiasi cosa si è detto, si può anche proporre il
respiro rilassante. A volte anche se l’operatore non ha lo spazio del colloquio (perché non ha ancora una
sufficiente professionalità per imporglielo), può iniziare semplicemente con tre-quattro sessioni rilassanti
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di respiro durante le quali inizia a mettersi in contatto con queste pratiche. Ma la cosa più importante è
che l’esperienza della totalità dell’essere non ha tempo né spazio, e non ha fretta. Lo può fare a chiunque
(dalla vecchietta di 80 anni allo psicopatico, dal manager d’azienda all’iper-razionale), e se riesce a
portare una persona ad un rilassamento profondo…questo fa sempre bene.
Ogni tecnica che insegniamo in Accademia – il massaggio dei piedi o della schiena, la respirazione nella
pancia, il rilassamento, l’apertura energetica, gli esercizi di energetica, di respirazione e altro – potrà
essere fatta in meditazione. Se l’operatore è in meditazione, diventa meditazione, diventa lo strumento
interno per veicolare. Quindi qualsiasi tecnica semplice, se si entra in uno spazio di profondità, trasmette
questo amore, questa sensazione, questa atmosfera…e un alto senso delle cose. È importante, alla fine di
ogni sessione, invitare la persona a sentirsi, a percepire le differenze rispetto a quando è arrivata in
sessione, ad entrare un attimo in quello spazio. L’operatore può mettere una mano sul cuore della persona
(o starle semplicemente accanto) e indurre la persona a vivere quello spazio interiore. Anche se sono state
usate tecniche non esattamente congrue con i suoi desideri di risoluzione terapeutica, utilizzando questa
componente di meditazione avviene una trasformazione, avviene un’alchimia.
Un’altra cosa da sottolineare è il senso di inadeguatezza che spesso coglie il counselor quando non è
laureato, pensando, erroneamente, che per fare questo lavoro sarebbe meglio avere una laurea. Ma se si ha
una laurea… è lo stesso. La paura è uguale, la tensione è uguale, e quel senso di inadeguatezza e
d’impotenza è uguale. È lo stesso per i medici, non solo per gli psicologi quando iniziano il lavoro. Una
delle cose fondamentali da capire è che la professione del Counselor (non l’operatore olistico che
potrebbe essere il massaggiatore privato) prende il ruolo che gerarchicamente viene riservato di norma al
Padre, all’Autorità. Quindi è di per sé una terapia per coloro che hanno un vuoto, una fragilità di identità,
e dato che questo stato, purtroppo, è una cosa molto comune, alcune persone possono avere un’enorme
guadagno. Il fatto stesso di poter entrare nel ruolo materno/paterno come autorità vera (che ha
autorevolezza, che ha una funzione primaria senza gerarchia, ma alla pari, “io ho l’informazione e la
saggezza e la trasmetto a te”) lo mette in una funzione di estrema utilità.
È bene che il terapeuta prenda coscienza di avere alcune cose da dare, e che esca dal ruolo
materno/paterno o dal ruolo filiale, cioè dal ruolo simbiotico. Per diventare grandi bisogna diventare
autorevoli; non aspettare più l’imboccata, non ripetere più le cose che gli hanno spiegato. Una volta
appresi gli strumenti, è l’energia personale che deve uscire nella relazione con l’altro. Tutti gli operatori
della stessa scuola sono diversi… a meno che non siano ‘uniformati’. L’indicazione è: svuotarsi, entrare
in uno stato di presenza e diventare autorevoli. Autorevoli semplicemente perché si ha questa energia. E
trasmettere attraverso il proprio stato di presenza, l’informazione. …. Il resto viene da sé. La cosa bella
della vita è imparare ad accettare la vita senza voler capire. Si è capito tutto nel momento in cui ci si
accorge che è troppo da capire, perché semplicemente si ha coscienza delle cose. Ascoltando la vita si
può risolvere un sacco di problemi.
Le norme di riconoscimento delle persone critiche
L’identità strutturata della persona, dell’IO della mente è formata da: un lavoro stabile, una vita fisica
stabile, una sessualità armonica, una relazione affettiva stabile, amici, interessi nella vita. Se la
persona/cliente ha un minimo di stabilità, non ci sono problemi. Ma nel caso di una persona che non ha
un lavoro, non ha una relazione sessuale, non ha interessi, vive da sola, ha tante angosce nelle emozioni,
non ha una stabilità…vuol dire che l’identità non è ben strutturata, è una persona fragile, a rischio, per cui
è necessario andare piano, e fare il rinforzo dell’identità. È utile fare la meditazione “vipassana” e le
tecniche di “Atisha” sul cuore.
183
PRIMA SESSIONE DI COUNSELING
Cosa si fa nella prima sessione di lavoro sul corpo? In realtà di ‘corpo’ ce ne sarà relativamente poco,
perché il counselor chiederà alla persona di essere quasi immobile. Se la persona si muove va in tensione,
e sente le tensioni muscolari. Se l’operatore le chiede di non muoversi, la persona rilassa i muscoli, si
alleggeriscono le tensioni e viaggerà molto di più sul corpo di energia, o anche più in profondità. Man
mano che l’operatore lavora sulla testa, sulla gola, sul torace, sente dove c’è un ostacolo. Ad esempio la
nuca è più tesa, o la gola è chiusa dalla tensione, o il torace non si espande bene, o non sente il cuore o le
mani. Questa è fino ad ora la parte generale.
Il counselor registra tutte le informazioni legate al suo ‘non respiro’. Quando è nello spazio di apertura,
quando ne ha percezione, deve dirle: “Chiudi gli occhi, senti tutto il corpo…” “Senti chi sei, senti la tua
energia adesso”.
Deve chiedere ad ogni istante un sottile feedback:
”Senti la testa? Apri la bocca… respira… passa bene l’aria?”… “Quando senti una tensione, molla,
rilassa”… “Portaci il respiro, lentamente”… “Apri le braccia, hai la sensazione di fluidità al cuore?
Percepisci il cuore, senti un sottile piacere del cuore che respira?”… “Senti la pancia, il torace, le
gambe?” Arriva l’energia fino ai piedi?”
Devono essere piccole domande, e preferibilmente anche le risposte (un sì, un no). Non si deve
interrompere mai la fluidità della meditazione. Nel counseling si ha un piccolo codice psicosomatico.
L’operatore porta la persona in profondità, le dà uno spazio di energia bellissima, percepisce quando
questo ‘uovo’, questo campo di energia si apre intorno al corpo… poi da questo spazio la fa ritornare, alla
fine, alla consapevolezza espansa.
Il counselor deve fare la meditazione insieme alla persona… sentirà questa apertura incredibile e le dirà:
“Senti chi sei, sei energia libera, sei una coscienza libera”. Proprio quando il nuovo dell’essere, delle
energie fisiche, si immobilizza, si entra nel respiro più lento, e la pancia, il corpo, l’energia inizia a
dilatarsi. È lì che si perdono i confini dell’identità, si è in un piccolo samadhi, in meditazione profonda, e
nel momento in cui si prova l’apertura, gliela fa testimoniare.
Pian piano da quello spazio si ritorna al corpo… il counselor le fa sentire la presenza di un’energia più
compatta, le fa sentire tutti i punti in cui il corpo non è luminoso, non è fluido, dove c’è tensione, dolore,
o c’è vuoto di sensazioni (i segni inequivocabili dei blocchi), e da lì si riaprono gli occhi.
La cosa importante è non ‘fare’ la tecnica, ma entrare in meditazione.
Dopo aver riaperto gli occhi il counselor inviterà la persona a ricapitolare tutti i punti negativi. In una
sessione successiva entrerà con il respiro consapevole in queste parti. Attraverso alcune tecniche
(meditazione kundalini, 7 suoni) andrà a riequilibrare dove ci sono blocchi. Se c’è una tensione muscolare
potrà ricorrere ad un massaggio, se è più respiratoria la farà respirare. Se la persona avverte un buco di
sensazioni, poggerà le mani aiutandola a ‘sentire’. Se c’è un eccesso di energia l’aiuterà a disperderla. Se
la persona non sente le gambe le farà fare un’ora di danza. E pian piano arriva l’esperienza emozionale di
essere nelle gambe, nei piedi, oppure di non esserci.
Alla persona, quindi, arrivano due cose: l’esperienza del proprio corpo ed eventualmente dei suoi blocchi,
e l’esperienza di un centro, di sentire il proprio corpo come energia, vivo e consapevole, il centro della
propria vita.
Da lì si parte, perché esperienzialmente il counselor le ha fatto toccare il sé, quel minimo di piacere di
essere quello che è, nel proprio presente. E chiederà: “In questo momento dov’è il problema, dov’è
l’ossessione della mente? Quel dolore che sentivi, in questo momento c’è?”
Questa è la prima sessione, usando la tecnica di base per invertire la domanda, la riconversione della
domanda e del problema.
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Un concetto fondamentale: il corpo energetico si cura attraverso il ri-bilanciamento, il corpo emozionale
si cura attraverso dei sistemi caotici, attraverso un lavoro di squilibrio (cioè di riequilibrio che
necessariamente passa attraverso una prima fase di squilibrio).
La psicosomatica ha due fasi
Nella prima fase si lavora sul corpo e sulle energie, attraverso il respiro e la consapevolezza. Un lavoro
orientato al riequilibrio.
La seconda fase è emozionale e psichica, orientata al riequilibrio attraverso uno squilibrio.
Nella prima fase delle energie e del corpo, se c’è una tensione va rilassata, se c’è un pieno di energia sul
cuore va dispersa, se c’è vuoto sul cuore va riscaldato, se c’è un muscolo flaccido va tonificato, un
ribilanciamento istantaneo.
Il lavoro invece sul livello emozionale, mentale (che è il lavoro del centro del problema psicosomatico)
passa necessariamente attraverso una fase di squilibrio. Lo squilibrio può essere leggerissimo: ad esempio
chiedendo alla persona di raccontare il momento attuale che sta vivendo, solo a parlare del problema può
scoppiare a piangere tirando così fuori l’energia negativa.
Verrà trattata la prima fase (energetico-fisica), in cui si può anche sentire il problema a livello emozionale
(per il momento non verrà trattato). Lavoreremo sul riequilibrio delle energie, per cui diamo al blocco
emozionale un contesto energetico più ampio. In definitiva è un lavoro sul positivo.
SIMULATA DI UNA SESSIONE DI COUNSELING
Nitamo Montecucco
Nella simulazione, la donna mostra una certa sicurezza, cura di sé, centratura. Ha un carattere forte.
Racconta di avere difficoltà nelle relazioni d’amore. Ha un problema di aritmia e ha accusato, in diversi
momenti della vita, un dolore fisico sul cuore. La prima volta che ha sentito il dolore aveva 24 anni,
quando si è separata dal marito per propria scelta, aveva due figli e altri due erano morti appena nati. Il
dolore è tornato altre volte, in situazioni particolari. Successivamente ha avuto una relazione di 12 anni
terminata con la morte del compagno (suo collega di lavoro). La donna parla del dolore al cuore in
termini fisici; emerge un cuore femminile, profondo, grande, e la sensazione è che non sia indurito da
questi eventi, è sensibile ma molto protetto. Per superare i suoi traumi ha dovuto dirsi “devo andare
avanti, la vita deve continuare, devo farmi forza”. Se lei ha questo buco sul cuore, è per la situazione
creatasi a 24 anni oppure è una riapertura di un vecchio blocco sul cuore? La donna racconta di aver
vissuto in collegio dai sette ai diciotto anni, e che i genitori si sono separati quando ne aveva dieci. Dice
di aver sofferto moltissimo questa situazione, pur vivendola come una necessità e mantenendo buoni
rapporti con i genitori. Crede che questa sofferenza, pur procurandole un profondo dolore nei rapporti con
gli uomini, non le ha impedito di avere una vita regolare. Esprime forti giudizi, sottolinea comunque
l’amore per i genitori ed il loro amore per lei bambina e adolescente. Ma di fatto l’hanno abbandonata,
anche se lei giustifica l’abbandono della madre come una necessità (doveva lavorare per vivere e non
poteva occuparsi delle due figlie). Avrebbe potuto odiare i genitori per il loro abbandono, invece ha scelto
di nascondere le cose negative e di mettere in risalto aspetti positivi dei genitori. Da come si muove, si
vede una bambina che ha imparato a tirar fuori la grinta e indurire le spalle per difendersi, per cavarsela.
Ma sotto c’è una profonda tenerezza.
Il corpo intero è sempre indicativo. Già dalla struttura del corpo si può ipotizzare un carattere.
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Osservando le mani, le spalle, il volto, il corpo, le gambe rispetto alla parte superiore, il torace, il petto, si
può vedere se c’è sicurezza o insicurezza; se è una persona che si cura, che tiene alla propria figura; se è
attenta oppure no, se sa badare a se stessa, se ha un suo centro… oppure no. Si può delineare la tipologia
caratteriale osservando l’equilibrio tra ciò che la persona mostra, ciò che fa vedere e quello che racconta.
Per entrare nella storia personale, della famiglia, è necessario avere un minimo di contatto con il cliente,
entrare in empatia con la persona. Definire i punti salienti. Quando la persona accenna alla propria vita
può arrivare a chi l’ascolta una forte emozione, di qualsiasi tipo, la si vive insieme. Non bisogna né
enfatizzare l’emozione né fare finta di niente… c’è presenza a partecipazione. Così si crea un pathos.
A questo punto si hanno tre domande di base: “quando eri bambina/o che atmosfera emozionale c’era in
casa?”; “com’era il papà?”; “com’era la mamma?”
Nella storia del padre e della madre le cose importanti sono: quanto amore è passato, quanto
riconoscimento è passato, quali sono le cose negative.
Se già c’è stato un forte contatto ci si può fermare qui, i dati sono più che sufficienti.
Si può procedere facendo distendere la persona, invitandola a mollare tutto, ad aprire la bocca e sentire il
respiro. Mentre la persona racconta, possono uscire le emozioni, le sta vivendo in quel momento.
L’operatore percepisce nettamente che lei le sta sentendo.
Il primo punto è il cuore. Si preme con la mano sul cuore chiedendo se fa male. Si procede toccando i
punti psicosomatici dei polmoni, il centro dell’identità, lo sterno, lo stomaco, la pancia, i fianchi. Con
l’attenzione al respiro.
Nel caso della donna, con il buco e la tristezza nel cuore, il terzo livello e gola vanno in chiusura, perché
sono le porte del cuore. Anche i due laterali delle braccia sono contratti e le mani possono essere fredde.
Potrebbe essere l’emozione del momento, e significa che l’emozione va a chiudere il cuore. La donna ha
spalle larghe… ma chiuse per contenere il cuore, tenere le emozioni. Deve sentire l’aria che entra dalla
bocca, attraversa la gola e arriva al cuore. La donna sta bene, sente un cuore grande, ma dentro ha un
grande dolore. È un po’ un’incongruenza. Tiene il mento contratto, come a trattenere.
<Dov’è questo dolore? Senti la tensione? Vai dentro questa tensione. Ti sto toccando delicatamente per
non mandarti in reazione. Cosa succede dentro? Cosa significa che questo dolore viene dal cuore?>
È necessario utilizzare con lei un meccanismo inverso rispetto a quello da usare con una depressa. A
parità di dolore, se fosse stata più debole, se avesse avuto meno affetto dai genitori, se si fosse sentita
meno riconosciuta, sarebbe andata in depressione. Quindi questo dolore che lei sente poco (perché ha
tonificato tutta la parte yang, attiva, bella), lo sentirebbe tantissimo. Al massimo si può fare un po’ fatica
a lavorare con lei perché non molla, e potrebbe avere qualche difficoltà ad entrare in contatto con le
emozioni, perché la sua tipologia caratteriale tenderà a sottovalutarle. Se al suo posto ci fosse una persona
con gli stessi eventi di vita ma dalla tipologia orale sarebbe già in lacrime. Lei ha una sofferenza sul cuore
ma porta molto in evidenza la parte positiva, riesce a gestire il dolore molto bene. Si è identificata con la
sua parte positiva piena, mentre un’orale depressa si identifica con la parte negativa vuota. Mostra
resistenza ad aprire facilmente, però al momento riesce a tirar fuori le emozioni.
Si deve andare a sciogliere il cuore, a ricanalizzare, e visto che lei ha una buona energia la si invita a
tirare fuori la voce, a liberare le cose dure, pesanti. Si può fare solo un lavoro parziale, positivo, sui livelli
energetici. In questo caso, se volessimo fare la seconda parte del lavoro (quella sul positivo) sarebbe
piuttosto facile, perché lei è collaborativa. Se dovessimo fare il lavoro sul negativo (quello tipico in
accademia) o respirazioni profonde, all’inizio lei avrebbe più difficoltà a liberare le emozioni. Ma è più
una questione di tempo e di energia, perché se - da una parte - dicendole di respirare e tirare fuori
l’energia, uscirebbe poca emozione, dall’altra parte mi posso sintonizzare con la parte emozionale, e lei
allora si libera.
Nel lavoro con le persone forti bisogna entrare in contatto con la loro parte debole, che loro ad ogni modo
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negano, minimizzano. Rinforzandole, comunque, l’idea che è accettata come persona forte. Anzi può
essere utile, con questa tipologia di persone, dire che la persona veramente forte è quella che può
permettersi di piangere. Lavorando sul torace per farla mollare, si può vedere che la persona non lascia
andare volentieri. E se le si chiede come mai, risponde che si sente sgonfiata, senza corazza, e uscirebbe
troppo il suo lato tenero. Si fa un lavoro leggero, e nel momento in cui emergono le emozioni, si lasciano,
si fa accettare questo lato debole, in modo tale che il lato forte aiuti quello debole ad esprimersi. Se si
manifesta il lato debole, diventa più rilassato il lato forte. E pian piano si crea un leggero equilibrio.
Con una persona di questa tipologia, con la respirazione si va a lavorare sull’identità profonda, che
riguarda il suo lato debole, fragile. Si tira fuori il lavoro sul bambino interiore, come si fa nella Primal, il
lavoro della liberazione delle emozioni negative. E pian piano si riequilibra.
Una delle cose importanti in questo senso - che si può fare in piccola parte usando solo energie positive è farla avvicinare all’idea di suo padre, che identificherà con una persona a lei molto vicina nel momento
presente. Descrivendo suo padre, potrà osservare le relazioni con gli altri uomini. Una delle cose che si
può fare, se si vuole lavorare energeticamente sulle relazioni, è chiedere: “Qual è l’energia che tiri fuori
nelle relazioni, e quale tiri fuori di meno?” O anche chiedere: “Quando i tuoi uomini si lamentano di te…
che cosa dicono?” La donna risponde: “Gli uomini non si lamentano… le mie relazioni si esauriscono
perché io vorrei, probabilmente, ancora più amore di quello che ricevo”.
Questo è un lavoro di primal, co-dependency, ma (non avendo tale competenza) si può lavorare sulla
consapevolezza che lei non ha avuto tanto amore nei primi anni di vita e sente ancora di averne molto
bisogno. Questo fa sì che nella relazione questo bisogno interferisca con la realtà, per cui anche se l’uomo
l’ama molto, per lei non è mai abbastanza. Questo potrebbe essere il lavoro di Atisha: di accettazione, di
amore verso se stessi. Lavorare energeticamente sul cuore e la propria identità in profondità, in
meditazione. Amore su di sé e accettazione del lato negativo. Quindi entrare in contatto con ”l’ombra”
(detto alla yunghiana).
Utilizzando il dialogo delle voci, il suo “sé primario” sarebbe il sé che l’ha difesa, ed il “sé secondario”
sarebbe molto più vicino al suo vero sé, all’anima. Ma dato che è fragilissimo per via di un grande dolore
intrinseco, deve essere molto difeso e trattato con molta attenzione. E giustamente, perché sotto c’è un
grande dolore. L’operatore deve lavorare pian piano con la meditazione, dandole sempre la sensazione
che la bambina interiore sofferente è il canale per l’anima, perché è l’anima che soffre e non la mente,
perché lei non ha vissuto con i genitori fin dai suoi sette anni. Una grande mancanza, un profondo dolore.
Una separazione - tra i genitori e lei - che ha poi cercato di bilanciare con tre matrimoni. Una ricerca mai
finita. C’è un lato negativo che lei non esprime tanto e che pian piano deve imparare a vedere.
La forza deve aiutare la bambina interiore che soffre, con consapevolezza. Mentre dall’altra parte la
rabbia profonda deve trovare uno sfogo.
È un lavoro bellissimo, dove non si va all’origine del suo nodo, ma viene bilanciato solo in parte. È
necessario ricordare che sia con l’accademia che con la primal si va a risolvere una parte (magari il 70%),
ma rimane sempre una parte che non si riesce ad afferrare. Alla fine di questo passaggio si riesce a farle
capire che il lavoro che si può fare non è migliorare le situazioni esterne, ma lavorare sul suo cuore
profondo.
E quindi la proposta potrebbe essere: “Ti farò dei massaggi per sciogliere un po’ il nodo, andremo ad
ascoltare questo dolore, me ne parlerai e lo farai emergere”. Attraverso le tecniche di meditazione si
cercherà di rinforzare l’accettazione della bambina sofferente (che deve emergere), altrimenti rimarrà
sempre un buco. Bisogna trovare la modalità per lavorare al meglio, trovando un punto in comune, e
stabilire un numero di sessioni, più una parte di lavoro che lei può fare a casa da sola. Dopo un ciclo di
sedute e dopo il lavoro di apertura, in base a quanto viene fuori, le si può consigliare di fare gruppi o
consultare un terapeuta per lavorare in modo più specifico (ad esempio sull’abbandono o sul bambino
interiore). Normalmente dopo cinque-sei sessioni si deve identificare, nel progetto di crescita, un piccolo
scopo. Questo può essere: “Facciamo queste cose con lo scopo di alleggerire almeno il 50% del dolore sul
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cuore (il restante 50% è emozionale e non ci si può lavorare), ti aiuto a sentire meglio il tuo corpo e a
stare in uno spazio più rilassato”. Dopo aver trovato un ‘centro’ un po’ più profondo, si sposta un po’
l’energia sul femminile, perché la parte femminile dà una maggiore elasticità, una poesia di vita più
soddisfacente. Dopo cinque incontri si dovrebbe avere raggiunto questo scopo, a meno che al primosecondo incontro sia venuto fuori qualcosa di molto forte e quindi ci si sofferma su quell’aspetto. Alla
fine di un ciclo di 5-6 sessioni sono usciti i sogni, le emozioni, c’è stata un’apertura, ma è venuto fuori
ancor più chiaramente un problema. Si può fermare il lavoro, per darle un po’ di tranquillità e riprendere
in un secondo momento quando ci sarà bisogno, oppure continuare con la seconda parte del lavoro. Lei ha
una certa identità, un buon contatto con il cuore profondo (anche se non lo ha mai sviluppato), è
autentica, si può lavorare iniziando dalle cose recenti. Sulla carta, alla fine del primo ciclo di sessioni, alla
voce 'percorso consigliato' si scriverà: cinque sessioni per aprire il cuore, sciogliere il dolore, contattare la
bambina interiore e sentire di più il corpo, in modo più rilassato.
Si provi ad immaginare la differenza tra questa sessione, reale iniziale, e una sessione di training. In
quest’ultimo caso, al primo incontro si può dire che si sta facendo un training, e procedere con tre-cinque
sessioni gratuite, sperimentando il lavoro su alcune tecniche. In questo caso si può evitare di compilare la
scheda personale, oppure scriverla successivamente. Saranno sufficienti poche informazioni (se ci sono
state malattie o altro) per inquadrare la situazione. Ascoltata la persona, inizia il processo di
comprensione del lavoro interno, oppure si può entrare già in quello spazio, entrando subito nella tecnica,
lavorando 30-45 minuti sul corpo. In genere nella prima sessione si inizia con una chiacchierata per poi
procedere con una respirazione, sentendo i punti del corpo. Nella seconda sessione si può fare la tecnica
dei 7 suoni o una vipassana, per sciogliere un po’ il nodo o il dolore.
LE BASI DEL COUNSELING
Il counselor, il cliente e l’incontro
Kiran Lucia Vigiani
In questa sezione approfondiremo le basi del Counseling Olistico utilizzando l’approccio psicosintetico.
Perché un Counseling sia possibile sono necessari tre elementi: il counselor, il cliente e l’incontro tra i
due.
Il Counseling può svolgersi in più incontri, oppure in una sola seduta, o può essere fatto per una
situazione di emergenza (quindi con un’unica possibilità). Questo fa capire quanto sia importante
l’incontro: o siamo totalmente presenti e ‘accade’ qualcosa, oppure è un’occasione mancata. Riuscire a
creare l’incontro è il punto fondamentale.
Il Counseling ha tre campi di azione - investigazione, e sono:
- il counseling psicoterapico
- il counseling esistenziale
- il counseling di crescita
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I limiti etici e deontologici del counseling e la psicoterapia
Il Counseling Psicoterapico è un lavoro sulle patologie psicosomatiche, psicosi e nevrosi. La psicosi è
quando la patologia colpisce l’identità, è come l’allagamento dell’Io, quando la persona non ha più il
senso di sé, quando c’è un caos totale con perdita dell’identità. La nevrosi, invece, è più in relazione alla
funzionalità dell’io. Credo che tutti abbiamo le nostre nevrosi che sono in relazione all’adattamento
rispetto al contingente, per cui è un discorso legato alla funzionalità. Teniamo sempre presente che questo
lavoro viene svolto dallo psicoterapeuta, oppure in alcuni casi dallo psichiatra, mentre gli altri due campi
– quello esistenziale e quello di crescita – possono essere gestiti dai counselors (il counseling esistenziale
è rivolto a tutte le professioni di aiuto). Quindi l’ambito di applicazione può diventare molto ampio
(familiare, di coppia, lavorativo, oppure in gruppi con particolari disagi o situazioni di emarginazione).
Quando il counselor si rende conto che il cliente ha bisogno di una psicoterapia, deve fargli sentire questa
necessità e indirizzarlo ad uno psicoterapeuta. Ma per capire quando il cliente può restare oppure no è
fondamentale conoscere la Psicopatologia, e quindi la differenza tra una psicosi e una nevrosi. Su una
nevrosi - un disagio esistenziale - possiamo lavorare come counselor, possiamo affiancare ed integrare il
lavoro di uno psicoterapeuta, mentre nel caso di una psicosi dobbiamo assolutamente aiutare la persona a
trovare lo psicoterapeuta o lo psichiatra più giusto per lei. È per questo motivo che il counselor dovrebbe
avere una preparazione psicologica di base, in modo da capire quali sono i confini. Se una persona cerca
aiuto significa che c’è un disagio esistenziale a qualche livello, c’è un malessere, ma la persona ha sempre
il senso della sua identità. Se invece arriva una persona che è totalmente fuori, che non sa più chi è, che
sente le voci, è ossessionata, dobbiamo immediatamente capire che ha urgente bisogno di uno
psicoterapeuta o talvolta anche di uno psichiatra.
È importante riuscire ad individuare una possibile schizofrenia, cosa che all’inizio non è facile da definire
se la persona si presenta con la sua parte integra. Solo in seguito il suo stato emerge, per il suo
atteggiamento, le sue irruenze e intemperanze. È importante cogliere dal racconto della persona se ci sono
atteggiamenti maniacali.
Per indirizzare la persona ad uno psicoterapeuta, senza che questa lo viva come un rifiuto, la si
accompagna facendo da supporto. Magari si telefona allo stesso terapeuta per proporgli di seguirla
insieme, dove lui si occupa della patologia ed il counselor di un lavoro di sostegno. Non dimentichiamo
che come counselor lavoriamo su tutti i piani. Se la persona che viene da noi ha un disagio fisico,
dobbiamo essere in grado di valutare se è necessario indirizzarla ad un medico, e sperare che il medico sia
‘illuminato’ e disponibile a fare un lavoro d’equipe. Anche se si lavora sul piano fisico c’è bisogno di un
supporto sul piano emozionale, sul piano psichico e su quello spirituale. Non perdiamo di vista che quelle
che sono state considerate psicosi da certe scuole psicologiche, altro non erano che forme dell’anima che
si esprimeva attraverso simboli, visioni, suoni o altre cose. Quindi dobbiamo mettere molta attenzione e
molta cura per distinguere se è una psicosi o un disagio esistenziale tra i contenuti della personalità ed i
contenuti dell’anima. È necessario fare attenzione, perché si possono causare danni gravissimi alla
persona se i contenuti non provengono dalla psicosi ma sono di carattere “spirituale.” Inoltre dobbiamo
essere certi che lo psicoterapeuta, a cui mandiamo il cliente, abbia una formazione olistica e conosca
l’esistenza di questa valenza spirituale, cioè sappia che può essere una manifestazione dell’anima (che ha
bisogno di essere presa in considerazione e manda messaggi di un certo tipo). In questo modo lo saprà
indirizzare verso un certo tipo di meditazione, verso certi percorsi e lo seguirà sul piano emozionale.
Purtroppo ci sono ancora troppo pochi operatori di questo tipo. Attenzione perché è comunque vero anche
il contrario. Noi vogliamo creare questa cultura ‘rotonda’, olistica, con la consapevolezza che siamo dei
pionieri.
Non abbiamo protocolli, non esistono, perché non sappiamo mai che cosa succede. Quando una persona
arriva da noi e ci porta un dolore allo stomaco e un po’ di tristezza, dobbiamo essere in grado di fare una
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valutazione sul piano fisico e capire se dobbiamo indirizzarla ad un medico. Bisogna capire anche cosa
c’è dietro un mal di stomaco, qual è l’emozione che sta dietro questi visceri che devono accettare tutto
quello che noi buttiamo giù… compresi i “rospi”. Chiediamoci quanto quella persona ingoia quello che
non vorrebbe. Prima del dolore fisico c’è un problema di atteggiamento, di struttura della personalità (che
può avere - o meno - la capacità di dire no quando dovrebbe esser detto).
Vediamo come sono collegate tutte queste cose per non arrecare danni. Facciamo inoltre attenzione a non
entrare in quelli che sono i deliri di onnipotenza del tipo “io ti curerò” oppure “so come fare, non c’è
bisogno della collaborazione di nessun altro.” È molto importante andare incontro ad una modalità di
lavoro che preveda sinergie, collaborazioni con altri. Inoltre è imprescindibile che ognuno di noi sia così
onesto e abbia fatto un lavoro su se stesso da capire il suo limite, cioè fino a che punto può accompagnare
una persona e da che punto in poi chiedere il supporto di qualcun altro. È una grande responsabilità che
dobbiamo assumerci.
Spesso le persone che avrebbero bisogno di uno psicoterapeuta non ci vanno perché non hanno né
l’educazione né l’attitudine per farlo, e preferiscono farsi una riflessologia plantare, un massaggio, una
visita naturopatica o fare yoga. Ed è in questo ambito che stiamo realmente cercando di creare delle figure
professionali nuove (la S.I.C.O.OL. è un’associazione nazionale di categoria professionale per
l’accreditamento di counselor e operatori olistici), perché insistiamo molto sull’aspetto ‘rotondo’ di
questo lavoro, e per ‘rotondo’ intendiamo che abbia competenze in vari ambiti. Ci saranno poi le
specificità per ognuno di noi, ma fondamentalmente dobbiamo avere la visione d’insieme di chi abbiamo
davanti e fino a dove possiamo arrivare. Sta a noi capire che di fronte abbiamo un universo umano
individuale, che dobbiamo trovare la chiave d’accesso per poterci entrare in relazione e per poi
accompagnarlo verso il percorso più giusto per lui, aiutandolo così a trovare il contatto con il proprio
guaritore interno. Quando entriamo in questo rapporto, comprendiamo quanto sono fondamentali, nel
counseling, l’empatia e l’incontro. Se non si crea questo non si va da nessuna parte. È importante creare
questa comprensione e accettazione senza nessun giudizio, per poter poi indirizzare la persona a fare un
certo tipo di lavoro. Ognuno di noi utilizzerà gli strumenti che ha a sua disposizione, e poi sarà la nostra
onestà intellettuale a capire se ciò che noi offriamo è sufficiente o se la persona ha bisogno di
qualcos’altro (per cui è bene indirizzarla altrove). Se facciamo le cose correttamente, le persone ritornano.
Dobbiamo avere la massima chiarezza verso noi stessi ed il cliente: noi non curiamo nessuno, ma siamo
un aiuto, un supporto per attivare nell’altra persona un processo di trasformazione.
Ricapitolando, per utilità didascalica ci sono tre settori d’intervento:
1. la psicoterapia (che è pertinenza degli psicologi, psicoterapeuti o psichiatri)
2. il counseling esistenziale (per tutti quei campi che abbiamo già visto)
3. il counseling di crescita
Sviluppo delle potenzialità umane e percorso di crescita
Quest’ultimo è rivolto soprattutto allo sviluppo delle potenzialità umane, il lavoro è volto ai nostri
potenziali più che ai nostri limiti. Spesso abbiamo la sensazione di trovarci di fronte a qualcuno che vive
sottodimensionato, cioè ha un grande potenziale ma lo usa pochissimo. Diventa nostra responsabilità che
la persona entri in contatto con le proprie potenzialità, che possono essere i propri punti di forza da
sviluppare, e che saranno le cose che le daranno il senso del proprio esistere. Abbiamo visto tutti come
diventano belle le persone quando trovano i loro canali espressivi! Oppure come i blocchi energetici ed
emozionali creano persone ripiegate e tristi. È importante aiutarle a ritrovare quello che può essere il
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proprio campo espressivo. È come una fioritura dell’essere. Questo lavoro sulle potenzialità umane è
importante, perché aiuta a sviluppare la nostra crescita interiore.
L’obiettivo del counselor è, quindi, aiutare la persona ad entrare in contatto con una parte di sé, con le
proprie potenzialità, superando i blocchi che non permettono questo contatto, e sostenendola in questo
cammino. E questo è molto impegnativo. Significa che il counselor deve avere una capacità e una
conoscenza molto allargata. Richiede una grandissima preparazione. Più siamo allargati ed inclusivi, più
ricchezza riusciamo a portare anche agli altri. E si arriva alla nostra responsabilità.
Per portare aiuto alle persone che si rivolgono a noi si possono usare tutte le tecniche possibili, ognuno
sarà specializzato in alcune. Possono essere tecniche corporee, energetiche, psicologiche o di altro tipo.
Dipende dal livello in cui andiamo a lavorare. Il counseling anzitutto, come abbiamo già detto, è
caratterizzato dal rapporto, dalla relazione. Quindi ritorniamo allo schema.
Abbiamo precedentemente parlato di tre campi a cui è rivolto il Counseling Psicosintetico e non solo. Ora
vediamo com’è la sua strutturazione, come si svolge e quali sono i punti fondamentali del counseling:
1. il Rapporto
2. le Tecniche
3. il Piano di Crescita
Il rapporto
In precedenza si è detto che il Counseling avviene quando c’è un terzo inserimento, l’Incontro. Quindi:
counselor-cliente-incontro.
Il rapporto è estremamente importante in una relazione di counseling. Prima di tutto deve essere un
rapporto umano dove la comunicazione diventa fondamentale. È molto importante, quindi, prestare
attenzione alla comunicazione verbale, come ad esempio il tipo di linguaggio che usiamo, l’intonazione
della voce, le pause, gli intercalari. E altrettanto importante è la comunicazione non verbale che passa
attraverso gli atteggiamenti, le posture, l’abbigliamento, la gestualità, il modo di entrare nella stanza: se si
guarda intorno; se è titubante; dove tiene le mani, se sono fredde, sudate o calde; dove ha lo sguardo;
com’è il colorito della pelle; se è sudata o ha freddo; come respira; il timbro di voce; se tende a ripetersi
oppure ha un’esposizione lineare. Insomma, tutti elementi preziosi che ci raccontano molto della sua
storia.
C’è ancora un altro elemento nel rapporto: la capacità di gestire l’incontro. Ci sono situazioni in cui il
cliente vuole ‘gestire’ l’incontro. Quando una persona arriva dal counselor per avere un aiuto, può essere
talmente grande il disagio di ‘sentirsi nella condizione di chi sta cercando aiuto’, che immediatamente
copre il disagio attraverso la razionalità e l’attività. Sarà molto nervosa, cercherà di fare delle domande e
di darsi delle risposte. È necessario essere molto centrati. La posizione del counselor è di estrema
centratura, deve capire subito dove vuole portarlo l’altro e non farsi manipolare. Questo è fondamentale.
Per questo motivo è importante chiedere subito alla persona perché è venuta. È un modo per far sì che la
persona ritorni a se stessa. Non è raro trovare persone che cercano di manipolare la situazione. È
necessario ricordare sempre che nel counseling sono molto importanti il rapporto umano, il livello della
comunicazione e la capacità di gestire l’incontro.
Le tecniche
Si è ampiamente parlato delle numerose tecniche che possono essere d’aiuto nel counseling, ma il punto
fondamentale è che il counselor deve essere in grado di capire quale tecnica usare per quella persona in
quel preciso momento.
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Dovrà avere ben chiaro se portare il cliente in uno spazio di meditazione (nel caso in cui la persona abbia
già una buona integrazione) oppure se fare un lavoro di ‘grounding’ attraverso tecniche bioenergetiche
(nel caso in cui sia decentrata e frammentata), per aprirle l’accesso a uno spazio di silenzio, di ascolto e di
collegamento con un’altra dimensione.
Allo stesso modo è importante lo stato psico-fisico della persona: se ha poca energia sarà utile darle dei
consigli pertinenti e scegliere tecniche adeguate. In questo caso è giusto portarla inizialmente in uno stato
di rilassamento, farle pian piano sentire il corpo e poi passare a tecniche energizzanti. Se, invece, si inizia
con tecniche catartiche troppo forti per lei, viene messa ko, e invece di essere sostenuta viene allontanata
e portata alla chiusura. Se il counselor sbaglia nell’approccio ottiene l’effetto contrario. Ci sono persone
che hanno bisogno di procedere in maniera molto lenta e molto graduale, quindi proporre qualcosa che in
quel momento è troppo forte per loro, le porterebbe a chiudersi piuttosto che aprirsi. Inoltre bisogna tener
presente la fase del percorso in cui si trovano. Nella fase iniziale dovranno essere usati accorgimenti che
verranno lasciati andare in una fase più avanzata del percorso.
Il piano di crescita
Il piano di crescita è il piano evolutivo, è la capacità di vedere le potenzialità dell’essere umano che
abbiamo davanti, non solo per quello che è, ma per quello che può diventare. Questo è un punto molto
importante in tutte le correnti transpersonali, e tanto più lo è nella psicosintesi, proprio perché lavora sul
potenziale umano.
Ciò implica entrare in contatto profondo con la persona, il che può non accadere la prima volta che la
vediamo, a meno che non succedano cose speciali. Solitamente nel primo incontro la persona porta i
disagi, le chiusure, i blocchi; pian piano, mentre si racconta, andiamo a scoprire che dietro c’è una
persona creativa, con molte potenzialità. A quel punto spostiamo il centro d’attenzione, e anziché lavorare
sui disagi l’aiutiamo a rafforzare il senso di sé e la sosteniamo. Ad esempio: se è una persona che dipinge
l’aiuteremo a trovare contatto con altre persone che possono darle delle indicazioni per incrementare le
sue qualità pittoriche, che possano aiutarla ad esprimersi di più, a portare degli elementi creativi in quello
che fa, e a far sì che nei suoi dipinti porti se stessa.
Se fa psicodramma, la si aiuterà ad entrare in una gestalt teatrale oppure ad usare la voce, e si lavorerà
insieme su questa e altro ancora. E può succedere che la persona si renda conto delle proprie capacità,
anche se non riesce ad esprimerle pienamente. Bisogna lavorare sul suo blocco (“non ce la faccio”, “non
me la sento”, “non sono capace”), lo riconosciamo, lo onoriamo e dall’altra parte le facciamo vedere che
c’è dell’altro. Dobbiamo essere in grado di far sentire alla persona che si trova nel tunnel, ma se guarda
avanti c’è la luce. In questi casi può aiutare molto “il Dialogo delle Voci”, dove si fa dialogare la persona
con le altre parti (è non solo un dialogo verbale, ma un’esperienza energetica).
Ecco, questo è un piano di crescita.
Prendiamo in considerazione cosa succede a livello soggettivo del counselor, cosa succede a livello
oggettivo e a livello di atteggiamento.
Nella psicosintesi, durante una sessione di counseling, annoto su una pagina ciò che succede a me che
sono il facilitatore (livello soggettivo): come mi sento con lo stomaco… il cuore… come reagisco a ciò
che mi dice l’altro; se sono centrato; se mi porta in una mia sub-personalità; se il suo dolore fa
immediatamente vibrare il mio. Se tutto ciò avviene, devo avere la capacità di riconoscerlo e di ritornare
al centro, altrimenti non riuscirò ad accogliere l’altro e fargli da specchio, ma al contrario entrerò nella
sua dinamica. Se rimango coinvolto nel suo problema non potrò aiutarlo. Oppure può succedere che la
persona mi porti una problematica che è anche la mia e su cui sto ancora lavorando. In quel caso devo
essere onesto e dirglielo, dopodiché devo indirizzarla a qualcun altro senza che lei si senta rifiutata.
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Semplicemente le dico, con tutta onestà, la verità.
Non è detto che se siamo counselor siamo persone risolte. Questo è un punto molto importante che vale
non solo per la psicosintesi, ma per qualsiasi tipo di counseling. Dobbiamo sempre chiederci se il
problema è suo o nostro. Ecco perché le sub-personalità sono importanti: perché dobbiamo capire se
facendo questo lavoro con l’altro stiamo entrando in una nostra sub-personalità, che può essere quella del
salvatore o della crocerossina oppure della vittima. A quel punto dobbiamo avere la capacità di
riconoscerlo e di ritornare al centro per poter accogliere o fare da specchio alla persona che abbiamo
davanti. È altrettanto importante - nel fare un lavoro con gli altri - l’aver risolto almeno i buchi
fondamentali su noi stessi, come ad esempio i buchi affettivi o il bisogno di essere riconosciuti, perché
tutto ciò potrebbe portarci al controtransfert.
Quindi lavoriamo con gli altri in totale presenza, chiedendoci sempre dove siamo.
È importante anche riuscire ad entrare in un’accoglienza intuitiva, perché spesso dal nostro intuito
arrivano risposte molto più fondanti e risolutive di quelle che arrivano dalla nostra mente razionale.
Inoltre, a livello di atteggiamento, nel counseling dobbiamo sentire che l’incontro con l’altra persona è
unico e irripetibile….e quindi rimanere nell’atteggiamento dove sentiamo di essere chiamati a dare il
meglio di noi. È anche molto importante, anziché continuare a chiedere alla vita (più soldi, più prestigio,
più salute), entrare in un atteggiamento dove ci chiediamo che cosa vuole la vita da noi. Questo cambia
molto la prospettiva, perché la vita vuole da noi eccellenza, che significa capacità di essere totalmente
presenti e di essere al meglio di quello che possiamo. Questo è un valore di atteggiamento fondamentale,
perché possiamo portarlo nella vita di tutti i giorni qualunque cosa facciamo… sia che lavoriamo con
un'altra persona, sia che stiamo facendo semplicemente del giardinaggio. Non dimentichiamo mai che la
vita ci chiede totalità e presenza.
All’inizio ho accennato ai tre fattori counselor-cliente-incontro. Vediamoli come un triangolo di cui
l’incontro è il vertice. E se noi ci incontriamo in quel punto, scompare la sensazione dell’ego, per cui
viviamo veramente un incontro di anima.
Ogni incontro è unico e irripetibile
Un altro punto importante, oltre che l’incontro è unico e irripetibile, è il vedere la persona per quello che
può diventare, vederla nella sua potenzialità. Solo allora l’incontro diventa un incontro tra due anime.
Questa visione del triangolo ci può veramente aiutare, perché se riusciamo a spostarci al vertice del
triangolo capiamo che non ci sono più tutti i giochi dell’ego. E poi, a livello oggettivo, dobbiamo pensare
che il cliente non è una patologia, ma è un Sé.
Questo ci porta a dover conoscere la persona che abbiamo davanti, e possiamo farlo applicando tutte le
tecniche o le indagini atte allo scopo. Possiamo iniziare un’indagine sulla sua situazione fisica: come sta,
se c’è qualcuno che la sta seguendo, se ci sono delle reali patologie, influenze genetiche e familiari, se fa
uso di medicinali ecc., per poi spostare l’attenzione sul lavoro. Ad esempio è importante sapere se,
essendo un temperamento artistico, si trova a fare un lavoro di precisione o estremamente di routine,
oppure se, essendo una persona pratica, sta facendo un lavoro manuale che lo soddisfa. Di conseguenza ci
saranno atteggiamenti emozionali diversi: ci sarà il soddisfatto e ci sarà il frustrato. Ecco che l’indagine ci
darà molti più elementi per capire chi abbiamo davanti, sia sul piano fisico che sul piano emozionale, sul
piano energetico o psichico o spirituale. L’indagine non dovrà mai essere un interrogatorio. Dobbiamo
rispettare le eventuali resistenze che una persona ha nel risponderci. Le possiamo già intuire, però
dobbiamo rispettarle e sapere che questa acquisizione dei dati è fondamentale in tutte le tecniche
terapeutiche, non solo nella psicosintesi. Perché è importante?
Perché con i dati che abbiamo raccolto possiamo fare una valutazione, anche se non completa; le vere
carenze emergono dopo, lungo il processo terapeutico vero e proprio. Per questa ragione dobbiamo essere
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molto elastici nei confronti di noi stessi, e sapere che la nostra prima valutazione potrebbe anche essere
sbagliata o carente e necessitare di ulteriori dati, anche perché la persona durante la terapia potrebbe
cambiare atteggiamento. Dobbiamo essere molto flessibili e accettare la mobilità del processo che ci fa
cambiare direzione o cambiare prospettive o considerazioni.
Anzi, è molto bello quando il cliente si accorge di aver cambiato il suo comportamento essendo capace di
uscire da certe coazioni a ripetere. È veramente un bel passo avanti. Quindi è molto importante la
comunicazione con l’altra persona, come è molto importante usare le parole che usa l’altra persona,
perché è un riconoscere l’altro. Se una persona sente che viene usato il suo stesso linguaggio si sentirà
certamente capita, sentirà empatia e si aprirà maggiormente. È superfluo dire che la capacità di ascolto
deve essere totale così come la capacità di creare il silenzio, perché se una persona non ha questa capacità
di silenzio - acquisito soprattutto con la meditazione - il vero ascolto sarà mancante.
È da ricordare che le relazioni sono essenzialmente di natura energetica, perché a parole possiamo dire
tanto, ma energeticamente possiamo trasmettere un’altra cosa. Ecco perché è estremamente importante il
concetto di ‘congruo’ fra l’atteggiamento e le parole, oppure l’accoglienza e l’ascolto. Non si può dire
qualcosa che parte dalla mente mentre tutto il resto non la sostiene; ci sarebbe incongruenza tra quello che
si dice e quello che arriva all’altra persona.
Ricordo una persona che veniva da me e portava problematiche sado-masochistiche molto forti. Dovevo
rimanere in un atteggiamento non giudicante. A volte, sentendola, mi veniva voglia di attaccarla al muro,
sia come donna che come essere umano. Poter rimanere in uno spazio neutro mi ha richiesto molta
centratura e molto lavoro, ma questo ha permesso il superamento del suo atteggiamento provocante.
Molte persone arrivano e ci mettono alla prova, vogliono vedere qual è il nostro limite. Quindi anche lì
dobbiamo avere la capacità di dire “no, ora basta!” oppure di accoglierle. Dobbiamo sempre valutare il
contesto. Ad esempio a volte ridere di una situazione può risultare molto giudicante; se, invece, vogliamo
usare quelle che in psicosintesi si chiamano ‘le tecniche paradosso’ possiamo anche metterci a ridere,
perché vogliamo portare all’esasperazione un atteggiamento.
Ci sono scuole che sostengono la necessità di rimanere assolutamente impassibili. A me, personalmente, è
capitato di piangere con persone che mi hanno portato e mostrato dolori che erano umanamente forti e
veri. Questo piangere insieme ha provocato uno sblocco incredibile, perché la persona ha sentito
l’umanità, l’empatia, la vera accoglienza. Questo ha fatto sì che cambiasse totalmente la relazione.
Ma come facciamo a dire quando si può piangere o ridere? È un lavoro di grande sensibilità che possiamo
fare tutti, purché lavoriamo su noi stessi. Ma senza questo lavoro su noi stessi, come facciamo a sentire
l’altro? Ricordiamoci che la “guarigione” non dipende da nessuno, perché è un atto sacro. È qualcosa di
estremamente profondo, e accade se noi siamo in quel punto al vertice del triangolo. Questo ci fa capire
che noi siamo solo uno strumento che permette all’altro di attivare il guaritore interno, e questa cosa è
sacra. Io cerco di avere questo atteggiamento e di passarlo a chi ho davanti. Quando entriamo in questo
campo e facciamo nostra un’affermazione di questo tipo, sappiamo che dobbiamo stare in un
atteggiamento di sacralità. E sacralità non è da intendere assolutamente in termini ecclesiastici, ma
significa una grande accettazione di essere strumenti di qualcosa più grande di noi.
Si è gia ampiamente parlato del setting del counselor, e sottolineato che la cosa principale nel counseling
è la capacità di incontrare l’altro. Se in una seduta non riusciamo a creare la magia dell’incontro con
l’altro, possiamo anche usare tutte le tecniche più raffinate, ma non accadrà nulla dell’ordine della
trasformazione. Non è ciò che faremo ma la modalità con cui lo faremo. Se non riusciamo ad attivare
quella qualità di amore e di accoglienza, la trasformazione non avviene. Lavoreremo sulla capacità di
tornare al centro, allo spazio di silenzio. Per poterlo sentire e riconoscere all’interno di noi, per poterlo
avere a disposizione tutte le volte che ne abbiamo bisogno. Non è necessario stare sempre in questo
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spazio di silenzio; a volte dobbiamo anche arrabbiarci o agire con modalità diverse, però la capacità di
entrare e uscire da una situazione deve essere gestita dalla nostra parte profonda, per non rimanere
identificati in uno stato e anzi per riuscire a vederlo. La differenza è proprio quella di essere sintonizzati
sulla causa degli eventi più che sull’effetto.
Un punto fondamentale per il counseling, e per la nostra vita, è riuscire a vivere da protagonisti, con la
capacità di scegliere.
Facciamo un passo indietro: quando parliamo di inconscio pensiamo immediatamente alla mente, ma
inconscio vuol dire anche come teniamo la schiena… l’inconscio è nella nostra pancia, in tutti i nostri
movimenti. Quindi penso sia molto importante lavorare sul corpo, per sentire che questa consapevolezza
è anche dell’ordine fisico. È importante per noi, perché il primo punto è sentire noi stessi, e solo così
potremo sentire gli altri, e potremo riuscire a far percepire il corpo ad una persona che ha la tendenza ad
andare fuori, a farle percepire i piedi, il proprio grounding, a farlo ritornare con il respiro nella pancia.
Bisogna ribadire un fatto: quando parliamo di meditazione, soprattutto parlando di gruppi, la prima cosa
che è inconscia è il corpo. Difatti vediamo nelle meditazioni che le persone assumono moltissime
posizioni.
Abbiamo già parlato dell’anatomia energetica che ritroviamo in certe tecniche in cui la meditazione è
anche un discorso energetico: se ad esempio la mia schiena è curva, storta, posso comunque meditare…
ma se assumo una posizione diritta agevolerò moltissimo il processo. E per fare questo il corpo ha
bisogno di essere preparato: in altre parole può essere uno sforzo enorme se cerco di stare dritto ma i miei
muscoli dorsali e addominali non sono abbastanza forti. E la mia concentrazione, anziché stare su un
mantra o sul respiro, starà sui dolori del corpo. È evidente che la schiena dritta, energeticamente, è la
posizione ideale per poter stare in meditazione. Ricordando i canali della tradizione yogica - le due nadi
ida e pingala che dal perineo salgono fino alle narici e si intersecano lungo la colonna nei punti in cui si
formano i vortici energetici o chakra - appare evidente come una posizione eretta della schiena sia
funzionale nella meditazione. Quindi bisogna lavorare affinché questa posizione sia piacevole e non
generi dolori o fastidi.
Per questo è necessario lavorare sul corpo, per sentire i radicamenti, per sentire cosa significa conscio e
inconscio nel corpo, e anche per osservare la postura degli altri e dare suggerimenti. E lavorare sul
respiro, che è quell’elemento che ci porta ‘dentro’. Tutte le diverse tecniche di respiro nelle tradizioni
orientali, attive e passive, che energizzano o che calmano, parlano un linguaggio comune. La respirazione
è un universo. Il respiro è l’elemento base che permette la relazione tra il mondo esterno e il mondo
interiore. Lo strumento che ci permette di ritornare in uno spazio interno. Quando siamo agitati, se ci
fermiamo un attimo, facciamo un paio di respiri, chiudiamo gli occhi, torniamo con l’attenzione
all’interno e al nostro respiro, immediatamente andiamo a modificare qualcosa dentro di noi.
A questo proposito voglio fare riferimento ad una tecnica dei maestri himalaiani che si basa
essenzialmente sull’osservazione del respiro, sulla recitazione di un mantra.
Il mantra è un suono, può essere una parola, più parole o sillabe. Può essere legato al significato o può
esser detto senza conoscerne il significato. Sappiamo che il suono è vibrazione, e la vibrazione è in stretta
relazione con il provocare nella mente un certo tipo di sensazione.
Il respiro ha la capacità di andare a calmare la mente, ma un respiro forzato può creare un disordine sul
piano del sistema nervoso centrale. Attraverso l’osservazione del respiro possiamo modificarlo senza
forzature.
…… Con gli occhi chiusi sentiamo l’aria che entra dalle due narici, che scende nel canale del respiro e
arriva fino alla parte bassa della pancia, facendola gonfiare. Espirando la pancia si contrae partendo dai
muscoli del pavimento pelvico, e l’aria torna fuori uscendo dalle narici. Il respiro deve essere calmo,
195
silenzioso, profondo, ritmato. Non esiste un respiro uguale a quello di un altro. Quindi dobbiamo sentire
qual è la lunghezza del nostro respiro, osservarla, e per dodici respiri proviamo a stare in questo spazio
prezioso di grande consapevolezza e osservazione del nostro respiro (possiamo usare le nostre falangi per
tenere il conto dei nostri respiri). Sentiamoci profondamente nel nostro tempio interiore. Quando abbiamo
finito i dodici respiri non apriamo gli occhi, e lasciamo il respiro senza alcun controllo. Entriamo nello
spazio della meditazione, dove nella tradizione dei maestri himalaiani la focalizzazione della mente è sul
mantra legato al respiro: inspiro con il mantra SO ed espiro con il mantra HAM. So-ham (io sono quello)
non è una parola qualsiasi del vocabolario sanscrito: è realmente il suono del respiro
Lentamente muoviamo le mani, e prendiamo tutto il tempo che ci necessita. Spesso addormentarsi è una
forma di difesa, di resistenza, ma se si fa meditazione quando si è molto stanchi può accadere.
Nella tradizione himalaiana l’allievo rimane con il SO-HAM per un certo periodo, poi passa attraverso
quella che è l’iniziazione personale.
Per essere precisi: gli insegnanti di yoga sono molti, ma pochissimi sono i maestri. Il maestro di yoga è la
persona autorizzata dalla tradizione, dal lignaggio, a fare le iniziazioni, dove per iniziazione significa dare
il proprio mantra personale. Il maestro sente in maniera intuitiva se la persona che ha davanti ha troppo
fuoco, troppa acqua, troppa stasi, se deve essere attivato, se deve essere calmato, e quindi sa che tipo di
mantra dare. Ricordiamo che il mantra è una vibrazione che va a lavorare sulla mente, per rimanere con la
mente focalizzata. I pensieri arrivano, ma invece di rincorrerli ne prendiamo atto e li lasciamo andare. Il
mantra personale è molto potente, e deve rimanere segreto; non va detto a voce alta, ma in modo mentale.
È come mettere un seme dentro la terra, quindi va tenuto dentro.
Questa è una preparazione alla meditazione. E lavorando sul corpo si può sentire cos’è lo stato
meditativo. L’istruzione non è di tenere gli occhi chiusi, se non all’inizio. Poi, nella maggior parte dei
casi, gli occhi si mantengono chiusi, e questo dipende dall’esigenza di lavorare sul corpo stando con
quella stessa qualità, che è molto interiorizzata. Ciò che mi interessa è destabilizzare l’idea, ancora
piuttosto diffusa, che la mente e la spiritualità sono una cosa, e il corpo è un’altra.
Vi sono due vie: si parte dalla mente e si scende nel corpo, oppure si parte dal lavoro sul corpo per
arrivare al lavoro sulla mente. Ma quello che è importante è l’esperienza che si vuol raggiungere, e capire
che noi possiamo fare spiritualizzare la materia, o materializzare lo spirito. Bisogna sperimentare cosa
significa questo centro di unità, dentro di noi.
È importante l’ascolto di una persona rimanendo su se stessi, nel proprio silenzio. Perché se noi siamo
persi, identificati con una parte della mente… tendiamo al giudizio, alla non accoglienza, a dare una
risposta perché pensiamo di aver capito. Dobbiamo portare l’esperienza nella vita di tutti i giorni... la
sacralità delle piccole cose. Ricordiamo che qualsiasi tipo di energia è neutra; ciò che cambia è l’utilizzo
che noi ne facciamo, che ha una valenza positiva o negativa, costruttiva o distruttiva.
I samskara
Sono i solchi della nostra mente, le abitudini mentali che si sono create e strutturate con la nostra
esistenza; sono le abitudini mentali che hanno un’incisione molto profonda nella nostra mente tanto che
poi diventano le abitudini, le risposte incondizionate. È l’inconscio. Possono essere inconsce o
consapevoli, ma in genere lavorano sull’automatismo stimolo-risposta. Quindi lavorare con le
meditazioni - ad esempio con il proprio mantra personale - significa creare delle abitudini nuove nella
nostra mente, ed uscire un po’ da quella dello stimolo-risposta.
196
Thich Nhat Hanh (detto Tai)
Monaco vietnamita della tradizione zen, da cui è nata la scuola del buddhismo impegnato socialmente.
Per i vietchong era filoamericano, per gli americani era vietchong. Ai tempi della guerra del Vietnam ha
lavorato per la pace… la pace come qualità della mente. Perché noi non possiamo fare niente se non
riconosciamo che dentro di noi c’è la persona che subisce un sopruso, e allo stesso tempo quella che lo
commette. Quindi fintanto che nella nostra mente ci sono i rifiuti, il rimosso di tutto quello che in termini
Yunghiani potremmo chiamare la parte ombra, non andiamo da nessuna parte, perché siamo sempre nelle
separazioni, nei giudizi. Si può vedere come gli assunti di base della nostra psicologia si ritrovano come
postulati essenziali nelle scuole di saggezza orientale. In termini cronologici ci rifacciamo a sapienze
antiche di 3000/5000 anni. Per Thich Nhat Hanh il primo assunto è il lavoro sulla consapevolezza
mentale, che altro non è che la base della Vipassana (significa visione profonda). Si tratta di una
meditazione che implica uno stato di presenza mentale dove si parte dal corpo, sentendolo nei minimi
particolari, focalizzati sulla posizione e consapevoli del respiro, arrivando alle percezioni delle
sensazioni, delle emozioni, a vedere i pensieri che attraversano la mente, la consapevolezza estrema di
tutto quello che c’è. È un lavoro per percepire il corpo, ascoltare il respiro, comprendere le sensazioni,
osservare i pensieri e capire da dove arrivano e dove vanno, per arrivare infine ad uno spazio di silenzio.
Thich Nhat Hanh insiste molto su tre punti: la consapevolezza mentale, da cui poi si arriva alla visione
profonda, e infine alla comprensione dell’interconnessione.
Thich Nhat Hanh suggerisce delle micropratiche per tornare continuamente alla presenza mentale; questo
per raccordarci con le sensazioni e le percezioni, per portare un elemento di frattura al meccanismo
stimolo-risposta. Significa rompere l’automatismo portando consapevolezza, perché la risposta parta dal
centro, anziché dalla sub-personalità. Queste micropratiche servono a sviluppare il campo di coscienza,
per portare sempre più consapevolezza a chi siamo, a come ci comportiamo, a cosa stiamo facendo.
Ad esempio se squilla il telefono, invece di rispondere subito … mi fermo, passo attraverso un momento
in cui mi dico ‘sto per rispondere’, facendo un respiro, cambiando così la qualità della risposta. La
risposta non è reattiva ma consapevole. Dobbiamo essere capaci di usare l’energia giusta, congrua per
quel momento. Può essere anche tagliente, estrema, ma io, consapevolmente, scelgo che sia così.
Nel dialogo delle voci si parla di energie primarie ed energie rinnegate, ma tutte le nostre energie devono
essere onorate. La nostra aggressività non è un’energia da tenere da parte, da disonorare, da rinnegare, ma
è un’energia che dobbiamo avere a disposizione, da usare quando decidiamo di usarla. E non deve essere
usata dall’aggressività, sono io a decidere che quell’aggressività è funzionale perché qualcos’altro
succeda. In tal modo non è reattiva, ma consapevole e costruttiva. Quindi prima diventiamo consapevoli,
accogliamo e comprendiamo ciò che sta succedendo; poi tralasciando la visione esteriore (di cose e
persone), che fa parte della mente più superficiale, più giudicante, entriamo in una ricerca e comprensione
più profonda, in quella che è definita ‘visione profonda’. Significa uscire dalla visione che fa scattare il
giudizio, e vedere oltre. Questo ci porta immediatamente al terzo punto che è l’interconnessione. Se
riusciamo a vedere più in profondità, comprendiamo e sentiamo che una cosa esiste perché qualcos’altro
esiste: siamo un tutt’uno. Ogni azione va ad interferire con l’esistenza di qualcos’altro.
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L’USO DELLE TECNICHE DI MEDITAZIONE PER IL
COUNSELING OLISTICO
Nitamo Montecucco
Il counseling olistico è una modalità di aiuto che parte essenzialmente da uno stato di presenza e quindi di
consapevolezza di colui che opera, quindi dell’operatore/counselor olistico.
Esiste un’ampia serie di tecniche di meditazione che costituiscono un ausilio pratico nel lavoro del
counselor. Il counselor può trasmettere l’armonia, l’apertura e l’accoglienza, ma il passo successivo è
quello di utilizzare tecniche – di concentrazione, contemplazione e meditazione - che possano permettere
alla persona di fermare la mente ed entrare in uno stato di presenza.
La tecnica della concentrazione aiuta la persona, che è un po’ dispersa, a focalizzare la propria coscienza,
quindi l’attenzione, l’energia, la percezione su alcune cose. Può essere un punto, una fiamma, una parte
del corpo, il centro della pancia; oppure si può creare una concentrazione mobile, che si sposta.
Le tecniche cinesi attivano i canali di energia, a partire dal perineo, l’inizio dei canali della “kundalini”,
che lavorano nella parte posteriore yang e nella parte anteriore yin come un circolo. La concentrazione su
un punto di energia mobile armonico, ritmico, dà una circolarità nel corpo. Durante la concentrazione
l’anima rimane nella condizione di uno spettatore senza spettacolo.
Una tecnica di concentrazione è la “Vipassana” di Birmania, dove attraverso il respiro consapevole, la
persona riscopre il piacere di stare nel proprio corpo.
Per la contemplazione esistono tecniche dove la mente si concentra nel dilatare il tutto, come ad esempio
nel “tantra”: si ascoltano tutti i suoni senza scegliere nulla, oppure si resta con gli occhi aperti senza
focalizzare nessuna immagine.
Si entra in una percezione allargata, una contemplazione che permette di entrare in uno stato di coscienza
globale, unitario. Da lì si entra nella meditazione.
Le tecniche di contemplazione sono soprattutto sensoriali. Alcune tecniche tibetane, per esempio, usano
la contemplazione per creare delle visualizzazioni tridimensionali, come “i mandala”. I monaci creano i
mandala con la sabbia colorata, le persone visualizzano con la mente dell’energie, delle emozioni, delle
divinità. Fin quando si è dentro al mandala, si è nel centro del mandala, si è il mandala. Il mandala è la
raffigurazione del cosmo con tutte le periferie complesse, con un unico centro di coscienza. All’inizio la
concentrazione viene posta su un punto del mandala, lo si visualizza fin quando diventa stabile; poi pian
piano si raffigura tutto il mandala, si è dentro, si crea uno stato di contemplazione a 360 gradi ed in quel
momento si entra nello spazio del silenzio e si abbandona qualsiasi ormeggio.
Queste fasi intermedie portano molto velocemente in uno stato di contemplazione, in uno stato in cui
sentiamo tutto il corpo vibrare. Non siamo ancora alla meditazione.
Nelle tecniche di meditazione non si usa più la mente, esiste solo uno stato di consapevolezza vigile. Si è
in meditazione quando la mente si ferma. Si ha la percezione dell’unità.
I grandi maestri dicono che se si è in meditazione, la mente si libera dell’oggetto che catalizza
negativamente la propria vita, il problema viene superato.
La meditazione avviene da uno stato di apertura energetica, che possiamo ottenere grazie a differenti
tecniche. Attraverso due funzioni principali: una è “Buddhi” e l’altra è “Ankara”.
Buddhi è la mente superiore, non esprime parole, è una pura intuizione, quindi attraverso Buddhi - la
mente luminosa - pian piano si inizia a sentire tutto il corpo. Si entra nel corpo di luce, nel corpo di
198
energia, nell’energia consapevole. Dopo si entra nella parte silenziosa, il vuoto, non c’è più l’identità. Si
inizia il lungo cammino della meditazione.
Tutti gli stati sono fondamentali, poiché non si può far arrivare una persona da uno stato di confusione
mentale ad uno stato di meditazione, senza passare attraverso i livelli intermedi, perché si creerebbe uno
spazio troppo aperto difficile da sostenere da una persona che non ha un centro.
Il grande maestro Krishnamurti diceva che l’identità in realtà è semplicemente la paura di abbandonarsi
all’energia oceanica del tutto; non è un laghetto tranquillo dove si fa il bagno.
Nella “kundalini”, nella prima fase di concentrazione energetica, si sente l’energia di tutto il corpo; è a
metà tra concentrazione e contemplazione. Nella seconda fase, ancora più dilatata, l’energia si muove e si
esprime. Poi si entra nelle due fasi di meditazione. Quando ci si siede, nella terza fase, si è in uno spazio
dilatato, non si sentono più i confini del corpo. Nell’ultima fase, si può andare ancora più in profondità, in
un totale abbandono, l’energia del corpo si dilata, in profonda consapevolezza silenziosa. Da lì, che è lo
stato di vera meditazione, a volte si entra nel samadhi. Nel samadhi non c’è più coscienza.
Lo stato di energia esplode in un’esperienza di unità di yoga, la liberazione dei limiti, in un‘espansione di
coscienza. L’espansione di coscienza non si dimentica, è come la nascita di un bambino o una morte.
In una mappa indiana, abbiamo quattro stati di coscienza:
• stato di coscienza di veglia
• stato di coscienza di sogno
• stato di coscienza di sonno profondo (coma)
• stato di coscienza Turya
I maestri dicono che noi non siamo coscienti, ma sogniamo durante il giorno: di avere una fidanzata, di
lavorare, di aver paura di qualcuno; ma non c’è niente di vero. A volte la persona cade in uno stato di
sogno completamente, definita malattia psichica, per paura dell’auto, paura dell’ascensore, paura dei
ragni. Stiamo parlando di malattie psichiche normali, depressioni, paure; quelle gravi sono un’altra storia.
Nel caso patologico è lo stato di sogno che entra nel mondo della veglia, quindi stiamo svegli e stiamo
sognando. Nello stato spirituale è lo stato di presenza consapevole della vita che entra nello stato di
sogno, come i sogni lucidi.
Il primo livello di consapevolezza, di spiritualità, è quello di entrare nella parte del sogno dell’illusione,
positiva o negativa, e svegliarsi. Il terzo livello spirituale è quando si scende con la coscienza allo stato
del coma, del sonno profondo senza sogni. Il quarto livello, Turia, viene chiamato dai giapponesi Satori.
Il counselor, di fronte ad una persona depressa, con il cuore oppresso, può utilizzare la tecnica dei sette
suoni, in modo da fare sentire alla persona i propri blocchi. È utile per sentire il cuore, dare l’energia e le
risorse per andare avanti.
Se una persona è molto dinamica, ma sente pochissimo le gambe ed il bacino, si può utilizzare la nataraj,
per risvegliare il piacere e la fluidità del corpo; se la persona è realmente bloccata non balla, non si
diverte, non apre il cuore.
Se la persona è molta inibita, controllata, si può utilizzare la “chakra breathing”, una sorta di sette suoni
in movimento.
199
Le tecniche di meditazione
La Tecnica dei Sette Suoni
Sin dall’antichità, tutte le tradizioni del mondo hanno usato i suoni per accedere alla spiritualità, per
fermare la mente, calmare l’iperattività delle funzioni mentali ed entrare in uno spazio profondo. Il suono
è come una parola senza senso, con un significato più profondo. Se tuttavia il suono (o mantra) è ripetuto
e, concentrandosi su una zona del corpo, si sente che una vibrazione sonora va a muovere la parte del
corpo, si sta facendo un processo di concentrazione dell’energia, di attenzione focalizzata, che permette di
sentire la zona del corpo e permette eventualmente il suo ribilanciamento.
La tecnica parte dal concetto che: il suono è un potere che può essere usato verso noi stessi, per entrare in
un contesto di profondità e riaprire le energie.
La tecnica dei sette suoni si basa sulla consapevolezza, facile da sperimentare, che i suoni generano
vibrazioni nel nostro corpo.
Si emette un suono e con una mano sul cuore, si osserva quale suono genera la vibrazione del cuore. In
generale, si hanno vibrazioni basse nella parte bassa del corpo, vibrazioni medie nella parte media del
corpo, vibrazioni acute nella parte alta del corpo.
Questa tecnica è relativamente potente, semplice e non ha controindicazioni, tutti possono farla. Viene
chiamata meditazione, ma in realtà il novanta per cento della tecnica è una concentrazione o
contemplazione del proprio corpo a livello sottile. Se si riescono a sentire le sette parti del corpo, una per
volta, facendole risuonare con la propria voce, nella prima salita si sentirà poco, poi pian piano, sempre di
più, si entrerà nel campo dell’energia. La salita e discesa, fatta ogni due minuti, permette esattamente di
sentire cosa accade nelle specifiche parti del corpo. L’invito è di fare questa tecnica senza visualizzare
niente, senza immaginare niente, ma sentire esattamente quello che c’è. Quella che chiamiamo energia è
una sensazione del nostro corpo. Se in una parte non c’è nessuna sensazione somatica, si sentirà il vuoto.
Ogni sensazione corporea va presa per quella che è. Il suono è energia respiratoria e sappiamo, inoltre,
che l’energia segue il pensiero e l’attenzione, quindi se focalizziamo l’energia in una certa parte del corpo
possiamo percepire lo stato reale di quella parte, un eventuale blocco, un’apertura, un vuoto, una luce, un
colore, un calore o corpo freddo. Il suono va sperimentato, per trovare quello che meglio fa vibrare quella
parte del corpo. Lo scopo di questa tecnica è di portare dentro, fare risensibilizzare il corpo, dare la
percezione dello stato delle singole parti del corpo, riarmonizzare le energie attraverso il canale
energetico.
La tecnica consiste in sette suoni, sette vibrazioni, le mani poggiate sui centri di energia, i centri del
corpo.
• Primo chakra - una mano davanti e una dietro che toccano il perineo
• Secondo chakra - una mano sotto l’ombelico e l’altra sulle vertebre lombari
• Terzo chakra - una mano sullo stomaco e l’altra sul rene
• Quarto chakra - mani sul cuore
• Quinto chakra - una mano alla gola e l’altra sulle vertebre cervicali
• Sesto chakra - mani sulle tempie o fronte-nuca
• Settimo chakra - mani poggiate sulla testa
Dopo i suoni nel primo chakra, la musica cambierà verso una tonalità più alta - questa è l’indicazione di
iniziare a sentire i suoni nel secondo chakra. Il processo viene ripetuto fino al settimo chakra, e mentre si
sale di chakra in chakra si lascia che il suono diventi più acuto. Dopo aver ascoltato ed aver emesso i
suoni del settimo chakra, la tonalità scenderà progressivamente attraverso tutti i chakra.
200
Si sente l’interno del corpo diventare vuoto come un flauto di bambù, permettendo che i suoni risuonino
dalla cima della testa alla base della spina dorsale.
Nella parte ascendente si resta circa due minuti per ogni zona, mentre la fase discendente è più veloce.
Le tre salite e le tre discese del suono servono come spazio di concentrazione, di contemplazione, per
riarmonizzare le energie e portare in uno spazio di meditazione.
La meditazione avviene gli ultimi quindici minuti. Si sta in silenzio, seduti, immobili, in uno spazio di
vuoto. Se c’è movimento non c’è meditazione. Il corpo deve essere lasciato andare, abbandonato. Il
respiro va da solo, fluisce naturalmente. Se si sta immobili si passa dallo stato di meditazione ad
un’apertura sempre maggiore.
La Meditazione Chakra Breathing
Chakra breathing significa respirazione nei chakra. I centri di energia sono molto intasati, sono molto
bloccati, a volte sono vuoti di energia, più spesso pieni di energia, perché non c’è uno scorrimento fluido
dell’energia. All’interno della pratica del Counseling bisogna creare un movimento su tutti i livelli. Se
all’inizio si vuole semplicemente far muovere le persone, si sta bassi di energia, ma è evidente che
l’efficacia della meditazione sta nella grande energia impiegata. Attraverso il movimento, il respiro e la
voce, si osserva realmente dove la struttura è bloccata. Quindi l’emozione, la tensione fisica, il pensiero
possono bloccare la fluidità del movimento e del respiro.
È una tecnica di concentrazione ed espansione di energia.
1. Il primo chakra è situato al centro della parte bassa del bacino, a metà tra la base della spina dorsale
dietro, e l’osso pubico davanti. Le funzioni di questo chakra includono la sessualità, la connessione con la
terra, la coordinazione fisica e la sopravvivenza.
2. Il secondo chakra è localizzato proprio sotto l’ombelico. La sua funzione concerne la sensualità,
l’abilità di sentire le emozioni e di sentirsi appagati.
3. Il terzo chakra è nella zona del plesso solare, sopra l’ombelico e sotto la cassa toracica. Dà vitalità,
potere, la forza per esprimere le emozioni e l’integrità per essere se stessi.
4. Il quarto chakra è nel mezzo del petto, nell’area dello sterno. Le sue funzioni sono amore
incondizionato e pace; rende capaci di amare se stessi e gli altri incondizionatamente.
5. Il quinto chakra è nella zona della gola. Le sue funzioni sono: creatività, ricettività e abilità di
comunicare.
6. Il sesto chakra, il terzo occhio, si trova nel centro della testa, dietro lo spazio tra le sopracciglia. Dona
la visione interiore, l´intuizione e l’abilità di conoscere se stessi.
7. Il settimo chakra è all’interno della sommità della testa, e si estende sopra la testa stessa. È l’apertura
verso la coscienza universale.
Queste collocazioni sono semplicemente indicative. Ognuno può scoprire da solo la giusta posizione di
ogni chakra nel proprio corpo.
La meditazione Chakra Breathing può aiutare a diventare consapevole e sperimentare ognuno dei sette
chakra.
La tecnica della chakra breathing è in due stadi:
Primo stadio (45 minuti di musica): si resta in piedi, ad occhi chiusi, i piedi alla larghezza delle spalle, in
uno spazio dove le gambe ed il bacino sono sciolti. Il corpo è morbido e rilassato. La colonna vertebrale è
fluida, il busto è fermo ed il bacino si muove in avanti e indietro. Il movimento deve essere sincronizzato
con il respiro, le mani sempre all’altezza del chakra su cui si sta lavorando. Con la bocca aperta, si respira
rapidamente nei chakra, iniziando dal centro più basso, il primo chakra. Ogni volta che suona la
201
campanella, il respiro va verso l'alto, nel chakra successivo. Il respiro dovrebbe farsi più rapido e sottile
mentre muove verso l'alto, attraverso ogni chakra. Ci si può muovere, scuotersi, fare qualsiasi movimento
delicato che dia supporto al respiro. Possono uscire lacrime, rabbia, paure; è necessario che tutto fluisca
mentre il movimento continua. Si deve lasciare che la consapevolezza sia principalmente con le
sensazioni dei chakra, piuttosto che con la respirazione o i movimenti del corpo.
Giunti al settimo chakra suoneranno i cimbali tre volte. Attraverso il respiro si torna lentamente al primo
chakra attraversando tutti i sette chakra. Il respiro e la consapevolezza scendono di nuovo verso il basso
attraverso ogni chakra. Questa respirazione all’indietro dura circa due minuti, ciascuno stabilisce quanto a
lungo respirare in ogni singolo chakra. Dopo aver terminato la prima sequenza si resta in silenzio per
alcuni istanti prima di iniziare la sequenza successiva.
Il ciclo si ripete tre volte. Le prime due salite hanno lo scopo di pulire; la seconda, in particolar modo, più
intensa, può essere usata in modo “sciamanico” nel senso simbolico di buttare fuori la pesantezza, i
pensieri, il marcio che si sente nel corpo.
Essendo una tecnica che richiede sincronizzazione, energia dinamica e forza, mette in movimento
l’energia dei vari centri. Alla fine, i centri di energia sono più allineati, aperti. L’energia è espansa intorno
a noi.
Secondo stadio (15 minuti): il movimento si ferma, si resta (seduti o in piedi) immobili, in silenzio. Il
corpo è molto carico, aperto, vibrante. L’energia elettrica pian piano si quieta. Si lascia andare il corpo,
entrando nello spazio di silenzio, osservando qualsiasi cosa accada.
La Meditazione Nataraj
Nataraj è il nome di Shiva danzante. Shiva crea l’universo danzando dentro ogni molecola dell’universo.
Ogni cosa che si muove è il Dio che danza. È una forza sacra, che muove dal di dentro le cose.
Shiva è la coscienza; la sua amata con cui è sempre fuso, Shakti, è l’energia.
È una meditazione di totale libertà, movimento puro, con una musica con diversi toni energetici ed
emozionali, che permettono di fare un giro nelle emozioni.
È danza trasformata in meditazione, ma è una tecnica meno potente delle altre per andare in meditazione.
La nataraj è molto utile per le persone che non si sentono libere, che si sentono controllate nel corpo e
nella voce, che si sentono sciocche a fare cose buffe.
La tecnica è entrare nel non fare: il movimento non è di testa dove i gesti sono pensati, o di cuore, dove si
sente la piacevolezza della musica e il movimento è spontaneo, ma è un movimento automatico, istintivo,
con un ritmo che va da solo.
Quindi la tecnica della nataraj mira a far emergere il cervello rettile, conduce in uno spazio di grande
intensità dove non si è più, dove c’è totale libertà dal controllo. Tenere la consapevolezza, ma lasciare
andare il corpo, la testa, il respiro. Se si balla “di pancia” il corpo entra in movimenti espansi, sciolti, di
energia, in cui perde il contatto con la propria identità. Shiva, l’esistenza, balla attraverso di noi.
Primo stadio (40 minuti di musica): danza ad occhi chiusi, come se fossi posseduto. Lasciati guidare
completamente dall'inconscio. Non controllare i movimenti e non cercare di restare testimone di cosa
accade: lasciati dominare totalmente dalla danza.
Secondo stadio (20 minuti): la musica si ferma, con gli occhi sempre chiusi, sdraiati e lasciati andare
completamente. Resta immobile, in silenzio.
Terzo stadio (5 minuti di musica): la musica riprende, il movimento è più delicato, danza e divertiti,
celebrando.
202
La Meditazione Vipassana
La Vipassana con il metodo Birmano è tra le meditazioni una delle più geniali, perché fa entrare nella
consapevolezza del respiro, il respiro naturale. Questa tecnica infatti non usa nessun controllo sul respiro.
Consapevolezza del respiro significa che non va alterato minimamente quello che si sta facendo, ma si
osserva semplicemente, ed in modo distaccato, quello che accade al respiro nelle varie parti del corpo. Se
si riesce a creare un’attenzione distaccata, si entra in uno stato di coscienza molto profondo. La
meditazione Vipassana è una tecnica che ha portato un gran numero di persone all’illuminazione. Non ha
nessuna controindicazione.
Nella Vipassana, che significa “osservare il respiro”, si entra nel respiro della pancia e dalla pancia si
sente tutto il corpo che respira. Poi il respiro si rilassa, si approfondisce, l’onda del respiro si affievolisce.
Pian piano la mente si ferma e si entra in meditazione, sempre più in profondità.
Questa tecnica può essere utilizzata anche nel counseling, con l’accortezza di iniziare in modo
progressivo.
Vipassana non è concentrazione. Quando affiorano pensieri, emozioni o sensazioni, oppure quando sorge
la consapevolezza di un suono, di un odore, dell’aria all'esterno, si lascia semplicemente che l’attenzione
li segua. Qualsiasi cosa affiori può essere osservata come una nuvola che scorre nel cielo: non ci si deve
attaccare, né respingerla. Ogni volta che si può scegliere cosa osservare, si torna alla consapevolezza del
respiro. Non esiste successo o fallimento, non c’è nulla da capire.
La tecnica parte dal naso, fa il giro del corpo, fino alla pancia, prima di entrare in meditazione. Tutto
diventa vivo, tutto diventa pulsante, sottile, consapevole. Questa sensibilità, questa apertura, porta ad un
altro modo di sentire il proprio corpo.
Si può stare appoggiati alla parete, seduti, o in alcuni casi (soprattutto nel counseling) coricati (senza
cuscino sotto la testa), per portare il respiro in basso.
◦◦◦◦◦◦◦◦◦○◦◦◦◦◦◦◦◦◦
Rilassa il corpo e prima di partire senti il tuo respiro.
Senti il corpo che respira, senti l’aria viva dentro di te, senti che respiri anche attraverso i pori. Senti il
piacere di respirare, l’aria entra ed esce dalle narici, entra più fresca ed esce più tiepida. Senti come
l’energia è viva, come nutrimento. Ora porta l’attenzione alla radice del naso, agli occhi, alla fronte, senti
tutta la fronte che respira, tutta la parte interna del cervello che respira. Questa energia si espande. Senti
che la testa respira, come fosse un palloncino si dilata e si contrae. La testa si rilassa. Le tensioni sugli
occhi e sulla mascella si rilassano. Attraverso il rilassamento della bocca, senti che si rilassa tutto il collo,
la testa e la gola sono un’unica cosa. Con dolcezza questa energia luminosa arriva alla nuca, alla parte
posteriore della testa.
Senti il petto, davanti e dietro. Senti il torace, apri la percezione del respiro che allarga i polmoni e le
spalle. Senti il centro del petto, il cuore, il sottile piacere del cuore che respira.
Prova a lasciare andare la testa, abbandona i muscoli delle braccia, senti il respiro che scende con
naturalezza fino alle mani... fin quando senti il cuore e le mani che respirano insieme. Allarga questa
sensazione, testa, gola, petto, braccia, respirano insieme. Senti l’energia, senza alcun movimento, lascia
ogni minima tensione. Il respiro va da solo.
Senti la parte bassa del torace. Il respiro dal cuore arriva al diaframma, allo stomaco; lascia andare
qualsiasi tensione sul diaframma. Senti il flusso del respiro che scende, in modo naturale, alla pancia.
Senti la pancia che respira spontaneamente.
Quando il respiro entra, avvertine il contatto all'inizio del condotto nasale: osservalo da quel punto. Il
respiro entra e tu lo senti entrare: osservalo. E poi accompagnalo, seguilo. Scoprirai che a un certo punto
si arresta. Si ferma da qualche parte vicino all'ombelico. Quindi, risale verso l'esterno: seguilo, di nuovo
percepisci il contatto del respiro che fuoriesce dal naso. Accompagnalo verso l'esterno: di nuovo arriverai
203
a un punto in cui per un attimo brevissimo il respiro si arresta. E il ciclo riprende un'altra volta.
Inspirazione, pausa, espirazione, pausa. Dentro di te quella pausa è il fenomeno più misterioso. Quando il
respiro entra in te e si ferma, non c'è movimento. Quando il respiro esce e poi si arresta, non esiste alcun
movimento. Ricorda, non lo devi arrestare tu, si ferma da solo. Se lo interrompi volontariamente,
quell'istante ti sfuggirà, perchè se agirai interferirai e scomparirà il testimone. Non devi interferire. Non
devi alterare il ritmo della respirazione, non devi né inalare né esalare. Lo segui quando esce e lo segui
quando entra.
Dalla pancia, vai nella zona posteriore, nella schiena, nel bacino. Senti come sta respirando il tuo corpo.
Lascia andare ogni tensione delle gambe, il respiro arriva fino ai piedi.
Senti questo flusso di respiro che parte dal naso… testa, nuca, collo, gola, torace, spalle, braccia, mani,
pancia, schiena, gambe, piedi. Tutto respira. Lentamente inizia a sentire tutto il corpo come una nuvola di
energia, non c’è movimento, la pelle non la senti più, comincia ad espandere l’energia del respiro tutto
intorno al corpo. Tanto più lasci andare la testa, i muscoli, il sistema nervoso, tanto più quel filo di respiro
si espande. Tutto il corpo è un’energia fluida, completamente piacevole. È totalmente rilassato, immobile.
Senti la sensazione di grande presenza. C’è solo il respiro, va da solo. Tutto è fermo. Tu non ci sei. Non
c’è una vera separazione tra te e tutto intorno te. Il respiro è dentro e fuori. La vita è dentro e fuori.
Lentamente senti di nuovo tutto l’asse tra il primo centro in basso, la colonna vertebrale, il cuore, la cima
della testa.
In questo respiro, dal basso in alto, senti con attenzione i punti dove s’interrompe il flusso di energia,
dove s’interrompe il flusso del respiro, dove sono le tensioni... Senti quali sono le parti del corpo che senti
poco, o per niente. Senti dove c’è tanta energia, pressione, formicolio, troppa pienezza. Quali sono le parti
più dure, più scure o più luminose, più piene o più dilatate. Portaci il respiro… Senti tutto il corpo che si
stira e si allunga spontaneamente. Prendi contatto con le parti più dense del corpo. Senti bene sul cuore
questa sensazione di esistere, “io esisto, come un’energia viva, sono un’anima”. Senti il piacere di avere il
corpo vivo, pulsante, sensibile e cosciente.
Lentamente sali con l’energia agli occhi, alla testa, apri lentamente gli occhi, ma senza focalizzare nulla,
sei presente. Alzati lentamente, con la stessa presenza. Trova l’equilibrio senza tensione. Continua a
respirare nella pancia. Cammina lentamente, con grande consapevolezza del respiro nella pancia.
Fai attenzione alla pianta del piede. Cammina fluidamente, muovi leggermente le braccia avanti e
indietro, ti aiuterà a non andare a scatti. Senti un modo di camminare leggero ed in equilibrio. Sii presente
e rilassato. Lasciati andare, centrato nella pancia, stai giocando ad imparare a camminare
consapevolmente.
La Meditazione Nadabrahma
La meditazione nadabrahma è semplicissima e geniale, perfetta per chi ha bisogno di svuotare la mente e
riaprire la vitalità del corpo. Nel counseling ha due effetti fortissimi: calma il sistema nervoso-muscolare
e rinforza le energie. Nella pratica del counseling questa tecnica è fondamentale, ma è da fare solo se la
persona è pronta. Se ha delle tensioni, è necessario iniziare con un lavoro sul corpo, per liberare un po’ le
energie psicofisiche. Poi si può passare alla nadabrahma se è rimasta un po’ di tensione.
Primo stadio (30 minuti): siedi in una posizione rilassata, con gli occhi chiusi e le labbra unite. Inizia a
emettere il suono "mmmmmmmmm", abbastanza forte da potere essere udito all'esterno, in modo da
creare una vibrazione in tutto il corpo.
Si utilizza un suono che non è propriamente un suono ma una vibrazione interna (come fare una emme a
bocca chiusa, lo humming) che viene espansa come percezione a tutto il corpo. Tutto il corpo vibra,
pregno di questo suono. Man mano, mentre vibri, entri in una ripetizione, si ferma il cervello superiore ed
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entra il cervello rettile. Non c’è alcuno sforzo da fare, è un suono naturale, breve. Man mano questo
suono ti addormenta, ti calma il sistema nervoso ed il sistema muscolare. Tonifica l’energia, l’energia
liberata dalla tensione muscolare diventa energia fluida.
Normalmente nell’arco di pochi minuti, dieci minuti al massimo, ti troverai almeno per qualche istante in
uno spazio definito il flauto vuoto. Non sei più tu a fare il suono, il suono è entrato in automatismo, il
cervello rettile lo fa andare avanti da solo. Il suono avviene. Sei un semplice ascoltatore. Non occorre
seguire alcun tipo di respirazione particolare. Puoi anche muovere il corpo, ma lentamente e con
dolcezza. Visualizza il tuo corpo come un tubo cavo colmo solo di questo suono.
Secondo stadio (7 minuti di musica): la musica cambia e molto lentamente muovi le mani, con i palmi
rivolti verso l'alto, in un movimento circolare diretto verso l'esterno. Partendo all'altezza dell'ombelico,
entrambe le mani si muovono in avanti per poi dividersi e formare due larghi cerchi speculari, uno verso
destra e l'altro verso sinistra, per poi ritornare all'ombelico. Senti di offrire la tua energia all'esterno,
all'universo. Il movimento è dall’hara verso l’esterno. In questo spazio avviene il latihan, il movimento
va da solo, fluisce fuori dal normale controllo. Senti che l’energia va, dalla pancia all’esterno, da te
all’esistenza. È un donare molto basso, materno, femminile.
Terzo stadio (7 minuti di musica): le mani sono girate con i palmi verso il basso, il movimento è lento,
dall’esterno alla pancia, a prendere energia. Le mani si muovono verso l'ombelico per dividersi verso
l'esterno sui lati del corpo, in cerchi concentrici. Senti di portare l'energia dentro di te. È una sensazione
fortissima, bellissima. Da dentro esce, da fuori rientra.
Quarto stadio (15 minuti ): la fase finale è in silenzio, seduti o sdraiati, immobili. Se si fa in coppia, il
momento del silenzio, si fa insieme. Ci si abbraccia e si resta abbracciati.
È utile a chi ha forti tensioni e nervosismo, a chi è molto nella testa e ha bisogno di contattare il corpo, la
pancia. Il suono, che è la forma più semplice della parola e del pensiero, frena l’attività mentale. Non ha
alcun senso, non ha alcuna direzione, anche se “nadabrahma”, suono di brahma, suono divino, dà un
contesto di diffusa spiritualità. Questo spazio vuoto è il terzo livello di coscienza, il livello di sonno senza
sogni, dove c’è solo il suono. Da questo stato, che è già di profonda meditazione, a volte ci sono momenti
di apertura.
I movimenti delle braccia possono indicare lo stato interno di una persona. Se è equilibrata i movimenti
sono equilibrati, mentre se la persona non è in equilibrio energetico, emozionale o psicologico, una delle
due fasi, dare o ricevere energia, è alterata.
Nella pratica del counseling, quindi, se una persona non ha una percezione chiara del proprio spazio di
dare e ricevere, la meditazione nadabrahma può dare una consapevolezza notevolissima, a base fisica.
È una tecnica che porta in meditazione dall’inizio… si ferma la mente. Già di partenza è una
contemplazione, perché invita a sentire la globalità del suono in tutto il corpo. Parte da un livello più alto
rispetto alla 7 suoni. Per contro nella 7 suoni la testa non si ferma, è ben presente in tutte le fasi. È una
concentrazione, non una meditazione.
La Meditazione Kundalini
La meditazione kundalini è una delle invenzioni di maggior rilievo di tutta la spiritualità moderna. Tra le
tecniche dinamiche è quella più usata al mondo. È una meditazione equilibrata, molto bella, creata e
realizzata da Osho per l’essere umano contemporaneo. Riassume tutta la parte di movimento energetico
sui chakra e sulla kundalini (energia primaria), il lavoro della liberazione del respiro, delle energie
interne, il lavoro della presenza, del rilassamento, fino ad arrivare alla meditazione più profonda.
"Quando dico di scuoterti, voglio che la tua solidità, il tuo essere pietrificato siano scossi alle
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fondamenta, così da diventare liquidi, fluidi, sciolti, liberi. E quando l’essere rigido diventa liquido, il
corpo lo seguirà. A quel punto non ti scuoterai più, esisterà solo lo scuotimento. Nessuno lo provocherà,
accadrà semplicemente. Allora colui che agisce non esisterà più." Osho, Meditazione: la prima e ultima libertà.
Nella kundalini abbiamo 4 fasi di quindici minuti ciascuna:
Primo stadio (15 minuti di musica): tenendo gli occhi chiusi rimani sciolto e lascia che tutto il tuo corpo
vibri e si scuota. Avverti le energie che salgono verso l'alto, partendo dalle mani e dai piedi. Lasciati
andare in ogni parte del corpo e diventa quello scuotimento. Quando sei in questo spazio, dopo
pochissimo, inizi a sentire tutta l’energia del corpo che si muove libera, ad onde. Hai la percezione di un
corpo completamente sciolto.
La tecnica di scuotimento serve a mettere in moto l’energia del corpo con un sistema ritmico. Invece di
avere un movimento dettato dalla mente o dal piacere del movimento, si ha un movimento di base
decisamente rettile. Il movimento di gambe sale alla pancia, a tutto il corpo, che va da solo. Le gambe si
muovono, il corpo vibra e si scuote, in equilibrio, completamente sciolto. Questo movimento possiamo
tenerlo basso, sentiamo il ritmo e va l’energia. Oppure possiamo sentire l’energia che si muove. La
ascoltiamo e la nutriamo. Noi siamo questa energia. Il movimento è a spirale, come fosse un serpente,
l’energia primordiale della vita, la kundalini che viene su da sola, dal basso verso l’alto. Normalmente gli
errori di questa prima fase sono: o di muoversi flettendo la schiena, andando avanti-dietro, o di tenere la
parte alta del corpo rigida.
Il ritmo può essere lento o veloce. Essendo 15 minuti di movimento ripetitivo, ipnotico, il cervello non
deve assolutamente pensare a come è il movimento. Deve solo prendere un ritmo, e una volta preso, va in
automatico. Tutta l’attenzione che noi abbiamo è concentrata su quella che è l’energia interna del sistema.
Questa tecnica scioglie gli organi, scioglie le tensioni, apre fino in alto.
Se all’inizio questa fase avviene, si passa automaticamente alla seconda fase, del movimento libero.
Secondo stadio (15 minuti): la musica cambia, lascia andare il corpo. Danza con totalità come più ti piace.
Senti le chiusure ed i blocchi, che la prima fase ha messo in evidenza; porta l’attenzione alle leggere
tensioni o le parti del corpo di cui non hai chiara percezione. La danza scioglierà il resto del corpo, aprirà
il cuore.
Terzo stadio (15 minuti): nella terza fase ti siedi o resti in piedi, immobile. Resta in silenzio, ascolta,
testimone di quanto accade dentro e fuori. Se arrivano dei pensieri, lasciali andare, ritorna a sentire. Tutto
il corpo è lì, in uno stato di presenza silenziosa. Senti tutta l’energia interna che poco prima era in
movimento dinamico. Prima è stata mossa all’interno, poi espressa e fatta circolare con la danza.
La prima fase alza l’energia, la seconda mette in moto il cuore, la terza fase porta all’interno, in
meditazione profonda.
Quarto stadio (15 minuti): nell’ultima fase sdraiati, completamente abbandonato, immobile, supino,
lasciando libere tutte le tensioni. Si entra nello spazio più profondo della coscienza. Vicino al sonno senza
sogni. Vicino a quello spazio di vuoto, a volte sembra di essere coscienti o addormentati, ma sei ancora
consapevole, entrando nella parte più profonda della meditazione. Se arrivano pensieri, lasciali andare.
Resta nel corpo ma lascialo andare, sii presente. Tutta l’energia del corpo si scioglie ed entri in uno spazio
silenzioso. Grande sensazione di apertura, grande abbandono, grande rigenerazione di energia. È come
nel sonno profondo della notte, dove rigeneriamo le forze: non c’è nessuna attività, né del pensiero, né
delle emozioni, né delle sensazioni corporee. Il quarto livello di coscienza inizia ad emergere.
La parte più profonda dell’essere, sacra, inizia ad entrare, dà dei flash, dà sensazioni profonde, silenziose,
come entrare in un oceano di silenzio. Alla fine ci sono tre gong. Lentamente ti alzi e riprendi contatto.
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Questa meditazione è utile per il mondo moderno, alla fine di una giornata di lavoro, si sciolgono le
tensioni e si torna al corpo, si alza il livello di consapevolezza, ci si ritrova con la mente silenziosa, le
energie riequilibrate. Praticare la kundalini ogni giorno conduce in un altro spazio. Non è un fare la
meditazione, è proprio l’energia kundalini a muoversi da sola.
La tecnica reale della kundalini è lasciare che questo movimento vada da solo.
Richiede un’intensità iniziale molto decisa, per fare salire l’energia fin sulla testa e rendere tutto il corpo
vivo. Se viene fatta con una carica bassa il risultato è poco soddisfacente. Se si mette tanta energia, al di
là del fatto che quando si muove l’energia si avvertono tutte le zone oscure e morte del corpo, sentirete
l’onda attraversarvi. Lasciatela libera, non abbiate alcuna paura.
La Meditazione Dinamica
La Meditazione Dinamica è la meditazione di Osho più essenziale e più conosciuta. È il più potente
strumento di liberazione emozionale che permette di elevare le emozioni basse facendole diventare
energia consapevole silenziosa e celebrativa.
Si compone di cinque stadi. I primi tre devono essere praticati con totalità, in modo che nel corpo non
resti alcuna energia statica; in questo modo la mente non avrà più alcun alimento per creare pensieri,
sogni e immaginazioni. Esaurendo l'energia nell'estroversione, all'improvviso ci si ritrova dentro di sé. Il
quarto stadio è un'osservazione silenziosa, un essere testimoni. Nel quinto si celebra e si danza. Questa
meditazione va fatta al mattino presto, a stomaco vuoto.
Primo stadio (10 minuti di musica): respira in modo caotico e rapido, attraverso il naso: profondamente,
rapidamente e con intensità, senza alcun ritmo. Usa il movimento naturale del corpo per aiutare la
respirazione e portala al massimo delle tue possibilità. In questo modo distruggerai i tuoi schemi mentali
e ti preparerai a liberare le tue emozioni represse.
Secondo stadio (10 minuti di musica): sentiti ed esprimi totalmente qualsiasi cosa affiori nella tua mente e
nel corpo. Ridi, urla, piangi, salta, scuotiti, nella più assoluta follia. Usa il gibberish o muovi
semplicemente il corpo, usa qualsiasi espressione corporea o verbale, purché non resti fermo. In questo
modo libererai il tuo organismo da ogni repressione.
Terzo stadio (10 minuti di musica): salta con le mani alzate, e urla a gran voce il mantra: "Hu! Hu! Hu!" e
stai attento a ricadere a terra sull'intera pianta del piede. Espira mentre emetti il suono, in modo tale che
tutto il respiro fuoriesca. Usa tutta la tua energia, esaurisciti totalmente. Questo mantra urlato colpirà in
profondità il centro sessuale dall'interno e l’energia fluirà verso l'alto; in questo modo, ogni cellula
diventerà più cosciente, non potrai più restare inconsapevole.
Quarto stadio (15 minuti di silenzio): fermati! Congelati esattamente là dove ti trovi, in qualsiasi
posizione tu sia. Non muoverti, non fare assolutamente nulla. In questo arresto improvviso verrai ributtato
nel centro. Diventerai un osservatore, un testimone del tuo stesso corpo e della tua mente.
Quinto stadio (15 minuti di musica): celebra e gioisci al suono della musica, danza, esprimi la tua
gratitudine al Tutto. E porta con te, per tutta la giornata, la vitalità ritrovata.
207
IL PERSORSO DI CRESCITA SPIRITUALE E I DISTURBI DELL’IDENTITÀ
Il persorso di crescita ed i disturbi dell’identità
Nitamo Montecucco
Il lavoro del Counseling Olistico permette l’applicazione di una vasta serie di interventi, ad eccezione dei
casi in cui si è di fronte ad un Io fragile, una struttura problematica, una situazione di crisi di identità che
può far emergere contenuti psicotici e caotici. Se si viene abbandonati, si subisce un lutto, un trauma, un
incidente grave, la struttura traballa. Alcune persone riescono a sostenere l’evento, altre invece crollano,
si rompe il meccanismo di equilibrio.
L’identità è un processo in gran parte sociale, “immaginario”, nel senso che gli uomini utilizzano l’Io
della mente (l’Io o l’ego sono usati in questo contesto come sinonimi). Quindi l’io è una struttura
familiare e sociale, e date le basi strutturali di fondo, biologiche, le persone reagiscono in modo tale da
strutturare un’identità che sarà il proprio ego.
Caratteristiche di costituzione e condizionamenti
Date le caratteristiche di fondo, nascendo in un tipo di famiglia e contesto sociale, la stessa situazione
genera delle risposte diverse.
Prendiamo una persona che abbia molto cuore e senta una propensione per gli affetti e la sensibilità: se
avrà una mamma amorevole si attaccherà moltissimo e sarà serena, se avrà una mamma poco amorevole
si attaccherà per soddisfare il suo bisogno e sarà infelice.
Se la persona è molto rigida e non sente il cuore, nel caso in cui la mamma le vuole bene è serena; se la
mamma è poco amorevole non ne soffre particolarmente perché più che altro ha bisogno di essere capita,
è più aperta sulla mente che non sul cuore. Ha bisogno di una mamma che le spieghi, che le permetta di
capire il mondo, che le trasmetta una saggezza. Se manca questa trasmissione andrà un po’ in crisi.
Se la persona è fisica, sarà serena se la mamma è presente. Se la mamma le vuole bene le dà la carica e
sarà scaltra, altrimenti sarà ugualmente scaltra, ma più cattiva e rabbiosa. Se la mamma cucina male o ha
poco latte, andrà in crisi. Su questa base, se la mamma è iperprotettiva, il figlio si chiuderà nel suo
bisogno fantastico di simbiosi con la mamma e resterà per tutta la vita accanto a lei. Di solito è una
tipologia masochista, bassa, pigra, non vivace nemmeno intellettivamente. È come un bue che attaccato
ad un carro pian piano tira, ma certamente non può fare i cento metri. Se il bambino fisico è amato dalla
mamma che lo lascia libero, va con le sue gambe, segue il suo bisogno di esplorare e fare esperienza; se è
integro e la mamma non lo dovesse lasciare libero, va lo stesso. Il bambino meno amato (magari più
curato) e inibito invece non scappa, preferisce chiudersi dentro. Se il bambino fisico ha un padre che lo
picchia, vive in una situazione molto chiusa, si comprimerà e diventerà un masochista compresso. È il
tipo che improvvisamente può esplodere e fargliela pagare.
Se invece il bambino è orale e subisce una situazione di grande chiusura, diventerà masochista ma senza
assumerne la struttura. Ci sarà un’associazione di tipologie.
Se la mamma non è amorevole, il figlio mentale inizierà ad elaborare teorie per la fuga; quello irascibile
gestirà l’arrabbiatura e si creerà fantasie di rivincita; quello orale piangerà e sarà un eterno bisognoso.
Quindi, da una parte abbiamo le patologie di base, che in medicina naturale vengono chiamate il “terreno”
o la “costituzione”.
208
Libertà e necessità
Ritengo che nell’incarnazione ci sia un ambito di libertà, seppur limitato, per cui si scelgono i genitori
facendo un contratto, un’alleanza: “Io nasco da te, perché tu hai questa situazione e permetti a me - che
ho bisogno di questa situazione - di poterla vivere.” Non è che si possa chiedere tutto. Se dentro di te, nel
tuo processo di evoluzione, hai il cuore molto aperto ma nelle tue memorie passate ci sono situazioni
pesanti, ad esempio non hai amato e quindi ti porti dietro un senso di colpa o disamore, scegli di
incarnarti pensando: “Per liberarmi dalla mia tristezza o rabbia, devo ‘entrare’ con una mamma che mi
faccia rivivere questo”.
Facendo un gruppo di profondità, mi sono ricordato una serie di vite passate. In una di queste mi sono
visto come una persona malvagia. Mi sono chiesto più volte, nella vita, perché mio padre picchiasse solo
me, lasciandomi segni sul corpo. Quando poi ho rivissuto questa vita passata, in cui ho fatto delle cose
malvagie anche uccidere altre persone, è emersa tutta la mia vecchia violenza. E ho rivissuto la violenza
di mio padre. Era come se mio padre facesse da specchio alla mia vecchia violenza: ero esattamente come
lui. Mio padre mi ha fatto del male, io ho fatto a qualcun altro molto più male di quanto ne avessi ricevuto
da mio padre. Posso perdonarmi, posso perdonarlo, posso lasciare andare. Ho compreso che quando
qualcuno ti fa del male prendi la sua energia, se non sei molto cosciente diventi come lui, usi la stessa
cattiveria che hai ricevuto.
Quando una persona ha sofferto molto a volte non riesce a ricordarsi con chiarezza le vite passate. Il
counselor deve osservare due punti importanti:
1.
All’inizio del processo di crescita, c’è l’arte della vicinanza e della condivisione della
sofferenza. L’operatore/counselor olistico ha l’attitudine ad essere vicino a chi soffre. Qualsiasi
essere vivente sofferente non gli è indifferente. È come se dentro ci fosse una matrice, per cui si
sente fratello e sorella soprattutto di chi soffre. E dato che siamo in una società molto vigliacca, i
ricchi, i furbi e gli arroganti maltrattano, sfruttano e truffano chi è meno fortunato, chi ha meno
mezzi (seppure con più potenzialità).
2.
L’immagine che il counselor deve avere dell’identità è che pian piano, nel tempo, la
persona può utilizzare la propria sofferenza come strumento nel processo di crescita.
La forza interiore
Ho conosciuto molte persone con esperienze infantili di brefotrofi o collegi, pur avendo entrambi i
genitori che vedevano ogni tanto. Queste persone sono riuscite a crescere ed a superare l’identificazione
con il proprio negativo. Ovviamente, all’inizio hanno riversato tutta la loro rabbia sul mondo intero, una
reazione comprensibile dato il forte disagio infantile.
A volte la persona non trova una ragione karmica per la propria condizione e va sull’accettazione,
pensando che sia un processo che si è ritrovato come prova da superare. Nel processo di crescita ogni
esperienza della vita, anche quella senza una ragione, è una prova da superare. Il punto finale è la
bellissima metafora della morte, disegnata dagli Egiziani, dove dopo la morte l’anima arriva al cospetto
degli dei che giudicano se l’anima andrà nel paradiso o nell’inferno. Al centro c’è una bilancia e su un
piatto della bilancia c’è una piuma. L’anima mette il cuore sull’altro piatto della bilancia e sarà il cuore a
giudicare: se il cuore è più pesante di una piuma l’anima andrà all’inferno, se il cuore è più leggero di una
piuma andrà in paradiso. Non importa quale sia stata la ragione, perchè non è una questione di ragione,
ma di cuore. Nella vita, ascoltando il cuore, si lascia andare. Se si ascolta la ragione e subendo dei torti si
va nella collera, il cuore vivrà sempre pesante e chiuso.
209
Quindi, aldilà di qualsiasi situazione, si può recuperare. Ho avuto come paziente un figlio di mafia, con
un padre omicida ed una madre che, ricattandolo con l’amore, lo educava alla malvagità. Quest’uomo
aveva abbandonato la famiglia con la determinazione di liberarsi del suo ambiente e del suo passato,
vivere pulito con il cuore aperto e amare i suoi genitori, pur sapendo che non sarebbero mai cambiati. È
riuscito ad aprire il cuore ed a vivere la sua vita.
Proviamo a comprendere l’identità: il bambino/a nasce in un contesto, ha alcune prerogative psico-fisiche
(ricordiamo che le tipologie corpulente o linfatiche o nervose hanno una psiche diversa) e l’anima porta
con sé la sua intensità. In qualsiasi monastero vecchio o nuovo – da Esalen a Findhorn, da Poona ad
Auroville o dai cristiani a Spello – tutte le tipologie di carattere hanno per obiettivo la ricerca spirituale
per il risveglio dell’anima.
Comprendere l’identità come forza interiore e libero pensiero
L’identità - essendo una struttura che cresce e si evolve dal corpo fisico, dalla struttura psico-somatica - in
parte viene dal risveglio dell’anima (che ancora non è veramente risvegliata altrimenti non si avrebbe più
un Io ma il Sé). È il punto d’accesso delle persone. Per tale motivo, all’inizio il counselor farà molta
fatica a riconoscere i livelli delle persone, perché tendenzialmente proietterà il suo livello di coscienza
sugli altri, o una serie di giustificazioni sugli altri. Potrà aiutarsi con una serie di semplici domande.
Le domande principali sono: “Quanto la persona è identificata con i suoi aspetti psicosomatici? Quanto è
identificata con il suo corpo (bisogni, sessualità, cibo)? Quanto è identificata con le sue relazioni? Quanto
è identificata con le sue emozioni (paura, rabbia)? Quanto è identificata con i suoi pensieri?”
La maggior parte delle persone è andata in chiesa da bambino, ha fatto catechismo, ha creduto alle
fantasie religiose (inferno e paradiso, diavoli e angeli), o a fantasie comuni (Babbo Natale, la Befana).
Cosa ci ha fatto fare il salto o dubitare di quelle cose?
Ho avuto come pazienti due ragazze schizofreniche. Entrambe erano alterate, non comprendevano
correttamente il limite tra vero e falso riguardo a ciò che avevano sentito dai preti su religione, sessualità,
peccato, diavolo, punizioni. Solitamente da ragazzi, quando s’inizia a sentire l’energia sessuale, non si
pensa: “prima lo faccio e poi mi pento”, trovando così una mediazione. Queste due ragazze, invece, si
sono letteralmente “spaccate” tra la mente razionale che diceva “questa è la verità” e l’esperienza istintiva
che diceva “io devo farlo”. La ragione e la vita sono andate contro e loro si sono scisse. Quando viene
fuori questa forma di sfiducia nella religione e nelle regole, quello che appare molto evidente è un
momento di panico “io sono da solo”, tradimento, pesantezza, vuoto esistenziale “ma allora di chi mi
fido?” La mente delle persone vuole la verità, e questa passa attraverso la propria esperienza.
Uno scienziato americano ha condotto uno studio sui topi, arrivando a sostenere che fossero più
intelligenti dell’essere umano. Fece un semplice esperimento con un labirinto, al centro del quale poneva
un pezzo di formaggio, liberava un topino che riusciva a fare tutto il labirinto, si mangiava il formaggio e
se ne ritornava nella sua gabbia. Togliendo il formaggio, il topo ritornava ancora un paio di volte a
cercarlo, poi non tornava più. La maggiore intelligenza dei topi sugli uomini sta nel fatto che gli esseri
umani continuano ad andare ancora nelle chiese e Gesù non c’è più da 2000 anni! Nelle chiese, la gran
parte delle persone non sperimenta direttamente l’esperienza dell’anima, la bellezza del divino,
l’espansione della coscienza, gli stati di estasi mistica dei santi. C’è un prete che parla, la gente ascolta e
si pente, dopo la confessione li assolve, fanno una piccola penitenza, la comunione e se ne tornano a casa.
L’unica cosa bella è il cantare insieme, è il sentire discorsi etici… ma è veramente troppo poco. Che
nutrimento reale c’è dello spirito? Ed è per questo che una persona, se ha a cuore la dimensione spirituale,
spesso diventa atea o segue percorsi che la portano a vivere la spiritualità e a nutrire i valori profondi.
210
Basta illusioni religiose: risvegliare la coscienza della realtà
Il tempo dei simboli è finito, non hanno nessun potere. Si può dare un potere ad un simbolo, altrimenti si
fa a meno del simbolo e si tiene il potere diretto. È come con il pendolino: non dice niente, sei tu che dici
qualcosa al pendolino. Hai bisogno di dirlo al pendolino e di leggerlo dalla tua mano con il pendolino che
oscilla su un foglio. Perché non lo senti dentro di te?
Ogni religione ha i suoi simboli di amore e pace, e infieriscono le une con le altre perché i simboli sono
leggermente differenti. Il potere va preso da dentro, da Dio. A cosa servono i santi ed i preti mediatori? È
necessario avere qualcuno che faccia da tramite, che sia un rabbino, un imam o un lama? Si può accettare
nel caso in cui si riconosca in un prete, un rabbino o un imam una vera spiritualità. E allora gli si può
chiedere come ha fatto a sperimentare il divino, gli si può chiedere di trasmettere la sua esperienza.
Ricordo il periodo in cui mi ero dedicato intensamente alla meditazione. Un giorno andai determinato dal
mio maestro per chiedergli che cosa fosse Dio e se era simile all’esperienza vissuta personalmente. Alle
persone che erano davanti a me diceva: ”Essere al cospetto del maestro significa non avere più nessuna
domanda”, oppure “Essere davanti al maestro vuol dire essere con il cuore aperto, in uno stato di presenza
e non avere alcuna domanda dentro la testa.” Quando venne il mio turno mi sedetti davanti a lui, mi
chiese: ”Hai qualche domanda?” E io gli risposi: ”Io non ho nessuna domanda, ma tu sicuramente hai
qualcosa da dirmi”. Prima si mise a ridere, poi diventò serio e mi disse: “Apriti che te lo dico col cuore”.
Mi mise un dito sulla fronte e sono svenuto. Ho sentito una grande energia luminosa che mi portava via.
Sentivo il mio piccolo ‘io’ che gli avrebbe voluto chiedere se quello che stavo sperimentando era Dio,
mentre lui mi teneva la mano sulla fronte. Lui era in silenzio, io ero completamente elettrico, ridevo, mi
muovevo, volevo ringraziarlo e lui mi invitò semplicemente a stare dentro. Dio non è una persona, Dio è
un’esperienza diretta!
Quindi, è l’ego quello che fa le domande, costruisce strutture, vuole arrivare ad un punto. Lì, invece, non
c’era alcun punto, ma apertura, c’era l’esserci. Può capitare di essere davanti a persone che credono in
Babbo Natale, in Gesù Bambino, credono nella verginità della Madonna, credono nella Torah e nei testi
Buddhisti. La maggior parte dei testi Buddhisti, almeno il 50%, riporta cose completamente inventate.
Buddha non ha lasciato nulla di scritto e non voleva che fosse scritta una riga. Dopo la sua morte, dopo
circa 500 anni, sono state scritte cose a suo nome, così come hanno fatto con Gesù. Gesù non ha scritto
nulla. San Paolo è arrivato molto dopo la sua morte, cosa poteva conoscere di quello che aveva detto
Gesù? Ma la gente ci crede. Anche nella New Age: alcune persone credono in Hari Krishna, nella sua
perfezione, che vive in un mondo chiamato Krishnaloka, un mondo spirituale della sesta densità. Alla
stessa stregua delle renne volanti di Babbo Natale.
Credere o sperimentare. Le ideologie uccidono la coscienza di sé
Mi succede a volte di spazientirmi anche con i sostenitori della Advaita Vedanta. La mia percezione è che
hanno avuto esperienza della non-dualità, come noi in questo nostro contesto, solo che non si riesce a
parlare di meditazione o di apertura spirituale diversa, perché tutto deve essere rigidamente “non-duale”.
C’è sotto una filosofia molto seria, anzi seriosa, “di testa”, che equivale a ciò che ha detto Gesù, a ciò che
ha detto Buddha, a ciò che ha detto Maometto. Se si dice a un grande maestro che ciò che sta dicendo è
una stupidata, lui si mette a ridere. Se invece si dice a un non-duale che quello che dice è finto, si arrabbia
moltissimo. Se si dice ad un mussulmano che forse Maometto non era un illuminato, ti taglia la gola. E
così la gente crede a chiunque promette benessere e ricchezza. Su queste basi marciano tutte le
nefandezze delle “guerre preventive” o di regimi dove si applica costantemente la pena di morte, il tutto
basato su terribili menzogne o sul tornaconto economico.
211
Bisogna smettere di credere, di illudersi, occorre risvegliare una coscienza profonda del reale e lavorare
per migliorare se stessi e il mondo. Credere significa essenzialmente fidarsi dell’esperienza di un'altra
persona invece di attivare la propria esperienza diretta. Occorre passare dal “credere quello che mi hanno
detto” alla sicurezza di “conoscere direttamente e realmente”. Chi ci invita a credere ha realmente
sperimentato su di sé quanto ci dice. E se davvero lo ha sperimentato, perché invece di invitarci a credere
non lo fa sperimentare direttamente anche a noi?
Più del 90% delle persone ha la mente oscurata dalle convenzioni e dai sogni. Quindi, nell’analisi
dell’identità, il counselor potrà chiedere: ”In che cosa credi veramente?” E senza dare alcuna
interpretazione, chiedere: ”Tu credi in Dio?” “Cos'è per te la religione?” “Credi realmente nella tua
religione o hai qualche dubbio?” E immediatamente potrà avere la percezione di cos’è l’anima di quella
persona. L’anima è libertà, l’anima è verità, l’anima è bellezza. I nomi di Dio sono Satian, Shivan,
Sundaram, cioè il Bene, il Vero, il Bello. Non c’è un Dio, c’è la Bellezza dell’Esistenza. C’è la Verità
dell’Esistenza.
Aprendo il cuore e stabilendo un contatto, il counselor può scoprire quanta intelligenza c’è nelle persone,
quanto sono unite, quanta scissione c’è tra la loro testa che dice alcune cose e la loro esperienza che ne
sente altre. L’anima è unità, Dio è unità. Quando vuole sentire l’evoluzione interiore di una persona deve
vedere quanto nella sua vita la persona è un’unica cosa, quanto ha unificato la mente, il cuore e la sua
bellezza. Il counselor pian piano capirà che può darle tantissimo, ma se vuole aiutarla dovrà darle
pochissimo. È importante ricordare che nell’entusiasmo di dare aiuto e sostegno, a volte si fa l’errore di
dare troppo e così si fa chiudere la persona.
Un altro errore è dare tutto in anticipo. Un bambino deve arrivare a chiedere che cos’è Dio, cos’è l’anima.
I bambini vanno in chiesa a fare catechismo da piccoli e gli dicono tutto quello che devono fare e pensare.
Loro non l’hanno chiesto. Quindi il bambino, crescendo, non pensa più, perché gli è stato già detto tutto:
“Ti sposerai vergine con chi scegliamo noi e sarai felice per tutta la vita. Questa è la tradizione della mia
famiglia, della tua famiglia, di tutta la nostra società. E ringrazia Dio che puoi sposarti, perché ci sono
anche gli schiavi che prendono solo bastonate.” “Oh, che bello. Grazie, papà!” Questa non è libertà.
I grandi Illuminati erano dei ribelli
Al mondo ci sono persone che hanno l’anima più risvegliata di altri e che ad un certo momento dicono:
”Ma che cosa dite?” I grandi maestri, che erano risvegliati e si rendevano conto di questa incredibile
illusione ideologica collettiva, hanno sempre creato trambusto. Socrate ha buttato all’aria tutta la filosofia
di Atene di un periodo storico. Gesù ha buttato all’aria tutta la concezione religiosa ebraica del suo
tempo. I Sufi, gli hassidici, i grandi maestri dello Zen, i grandi maestri del Buddhismo, hanno buttato
all’aria quello che c’era. Quelli erano i grandi maestri. I risvegliati. E non a caso molti di essi sono stati
perseguitati ed eliminati dalla loro società: Socrate, Gesù, Pitagora, Mansur, Giordano Bruno, Osho sono
solo alcuni degli esempi più conosciuti.
C’è una storia bellissima di un maestro Zen, che in punto di morte chiama il suo discepolo illuminato e gli
dice: “Sto morendo. Prendi in mano il monastero”. E porgendogli un libro aggiunge: “Questo è il libro
che contiene tutte le cose più vere e più preziose. Tienilo con cura.” Il discepolo risponde: “Grazie,
maestro”. Prende il libro e lo getta nel fuoco. Il maestro esterrefatto comincia a gridare: ”Ma cosa fai?” e
il discepolo di rimando: “Ma cosa dici? Che questo libro ha dentro la saggezza dello Zen? Lo Zen non
viene passato attraverso le parole. Se è un libro così, io lo brucio. Lo Zen passa attraverso di me,
attraverso la mia esperienza diretta e profonda, e non attraverso le parole. Le parole sono false, illusorie”.
Lao Tsü non ha mai scritto nulla. Il libro di Lao Tsü non l’ha scritto lui. Si racconta che un suo discepolo
212
ha bloccato Lao Tsü mentre andava a morire sull’Himalaya e l’ha convinto a scrivere il libro. Per me è
assolutamente falso. È stato il discepolo a scrivere il libro dopo la sua morte, perché Lao Tsü in vita non
glielo avrebbe permesso. Infatti, il discepolo ha scritto molto onestamente ciò che Lao Tsü diceva: ”Il Tao
non può essere scritto”. Una frase non può essere capita dalla mente, perché l’esperienza del Tao accade,
è quando la mente si ferma.
Il counselor deve capire il livello della persona e adattarsi umilmente al suo livello, mettersi nei suoi
panni e ricordarsi con realismo della sua infanzia, quando credeva a Babbo Natale o che il papà era il più
bravo del mondo e la mamma senza difetti. Dovrà veramente cercare di capire dov’è quella persona. E
chiederle: “Com’è la tua vita? Com’è il tuo lavoro? Quanto ti fidi di te? Ti piace vivere? Quanto vuoi
bene al tuo partner? Quanto tempo stai con i tuoi figli?” Queste semplici domande sono utili per fare
l’aggancio. A volte attraverso il cuore, a volte attraverso l’intelligenza, si suggerisce il processo.
Cambiare la direzione del problema
Rivediamo nuovamente questo processo fondamentale. La persona va dal counselor, ha un cuore, ha un
centro, ma non lo conosce. Il suo desiderio è verso l’esterno. La sua direzione va verso l’esterno, perché
dice: “Io voglio risolvere questo problema. Voglio fare questo, voglio andare là. Qui non sto bene, là
starò meglio.” La risposta sarà: “Sì, va bene. È una cosa giusta. Se hai il mal di stomaco e vorresti
risolverlo per stare bene, la direzione non è la pillola. La direzione è che devi prendere coscienza del
punto da cui viene il mal di stomaco. Io ti faccio un trattamento, un respiro, un massaggio, perché il mal
di stomaco può dipendere da una cattiva alimentazione che provoca una gastrite funzionale.”
Se la persona ha il mal di stomaco, il mal di cuore o è arrabbiato, o ha mal di testa, mal di stomaco e male
alla nuca significa che il cuore è chiuso, per cui si chiudono la nuca e lo stomaco. Inoltre se mangia male
perché è arrabbiato, viene il mal di testa. Oppure ha bloccato l’intestino o il sesso, per cui ha le gambe
morte o troppo piene di liquidi. Il counselor potrà dirle: “Posso farti il massaggio, farti ballare, farti aprire
il cuore, farti lavorare anche all’esterno, ma tutto ciò non basta. Occorre che tu intervenga e lavori
all’interno, per scoprire qual è il tuo vero cuore e cercare di risolvere.”
Ricapitoliamo i punti importanti del primo incontro con la persona:
La prima parte del lavoro consiste nel fare le domande, già menzionate in un precedente paragrafo.
Poi si passa a farle vivere nel corpo il suo disagio, la sofferenza, il dolore, il risentimento o altro,
chiedendole cosa direbbe se avesse la persona direttamente interessata davanti a sé. Le si fa immaginare
di averla davanti e di dirle le parole mai dette. Generalmente a questo punto le persone scoppiano a
piangere, perché comprendono che la persona immaginata è soltanto il riflesso di un dolore che hanno già
dentro e che esce con le stesse dinamiche. Possono esserci delle ragioni alla base della sofferenza, ma
queste non interessano. La ragione è una cosa, il cuore è un altra. Noi non vogliamo avere ragione,
vogliamo amare. Se si vuole avere ragione, ci si agita, ci si arrabbia, ci si impone. Se si vuole amare, si
apre il cuore.
Visti i tempi tecnici ed economici, consiglio di fare un ciclo breve di tre o quattro sessioni e portare la
persona a vivere internamente il problema – fisico/emozionale/psicologico – e cercare di trasmetterle il
senso della consapevolezza di sé. Se il counselor riesce a fare breccia, nei primi quattro incontri, e riesce
a farle sentire il corpo come se il tutto partisse dal nucleo, la persona acquisterà consapevolezza. Alla fine
della sessione le chiederà: “Com’è ancora il tuo problema?” Di solito le persone rispondono di sentire
molto meno il problema.
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A questo punto il counselor potrà proporre la terza parte, dicendo: “Possiamo fare 8-10 sessioni per
lavorare su quel punto che può essere anche diverso da quello iniziale, cioè il mal di stomaco. Magari è la
tendenza ad arrabbiarti spesso, oppure è la paura del sesso o la difficoltà di comunicazione. Proviamo a
lavorare sulla comunicazione, a lavorare sull’apertura, facendo un piccolo percorso che conduca a riaprire
la tua comprensione. Se tu sei centrato, le tue energie sono più forti, puoi risolvere più problemi, sei in
grado di superare certi ostacoli.”
Le persone hanno bisogno di conferme, di sicurezze. Suggerisco spesso di guardare sul libro “Cyber, la
visione olistica” il capitolo sul cervello, dove si vede che il cervello può funzionare a bassa o alta
intensità. La differenza tra alta e bassa intensità è il centro, il sentirsi uniti, un’unica cosa. Spesso le
persone, soltanto leggendo quel capitolo, comprendono.
“Invece di lavorare su una cosa che ti fa male o che non funziona, perché non apri e fai fluire le energie?
Cerca di star bene nel corpo e nelle emozioni. Riequilibriamo il tutto e poi entra in te e usa questa nuova
forza per superare un conflitto o un problema. Posso darti un aiuto per ritrovare il tuo centro, per far
funzionare corpo/mente/emozioni insieme in modo altamente sincronico.”
Tutto cio di cui si è parlato è un counseling generale. Sta al counselor scegliere la parte specifica sulla
crescita umana, e acquisire delle tecniche complesse anche a livello teorico, in modo da conoscerne il
funzionamento e poterle applicare nel suo lavoro.
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ELEMENTI DI PSICOPATOLOGIA
ANSIA, ANGOSCIA, PAURA E PANICO
Dott. Mario Betti
Quando si deve affrontare una situazione nuova c’è sempre un’aspettativa e un fondo di paura. Questo
sentimento è detto ANSIA. Che differenza c’è tra PAURA e ANSIA?
L’ANSIA è un sentimento penoso, di disagio, di attesa o di aspettativa verso qualcosa di spiacevole che
potrebbe accadere. Ma potrebbe esserci lo stesso sentimento anche verso qualcosa di piacevole.
Nell’Ansia c’è sempre il timore di non essere in grado di gestire ciò che potrebbe accadere. In altri casi
l’Ansia è un sentimento spiacevole proporzionato all’evento che sta per accadere.
Ad esempio si può dire: “Non so perché, ma mi sento in ansia”; “Sono in ansia perché potrebbe
accadermi qualcosa.” In questo caso l’Ansia è un sentimento penoso di attesa verso qualcosa di
minaccioso che non si riesce ad individuare, è un’ansia indefinita. Qualche volta è definita seppur in
maniera generica: “Sono in ansia per l’esame”.
Ancora diverso è dire: “Ho paura che mi boccino all’esame”, in questo caso esiste una paura concreta.
La PAURA è un sentimento di preoccupazione nei confronti di qualcosa che può essere pericoloso o
minaccioso: “Ho paura del buio”; “Ho paura di Gianluca perché mi picchia”.
L’ANSIA è più pervasiva, pervade tutto il corpo, sotto la pelle; è il sentimento primordiale che prova il
bambino verso un mondo che non conosce.
Possiamo dire che questi due sentimenti appartengono al filone della preoccupazione, della sensazione e
sentimento di minaccia che pervade ogni individuo sin dal momento della nascita.
L’ANGOSCIA è molto vicina all’ansia, ma è più legata al dolore. ‘Angor’ significa ‘dolore’.
Dal termine latino ‘angor’ deriva angusto, piccolo, stretto, senso di costrizione, dolore costrittivo. Crea un
senso di affanno, dà la sensazione di un peso sul petto o di un nodo alla gola.
Ad esempio quando una persona ha un’ostruzione alle coronarie si parla di ‘angina pectoris’; si parla
anche di angina per il mal di gola, un qualcosa che stringe alle tonsille. Alcuni stress ripetuti possono
portare uno stato di alterazione cardiaca (extrasistole e tachicardia), fino a creare vere e proprie
disfunzioni cardiache che possono causare l’angina pectoris o l’infarto.
L’Angoscia è un’oppressione che grava sul nostro corpo a livello del torace, del collo, della cervicale,
dello stomaco o delle spalle. Fa sentire schiacciati, compressi, costretti. È una situazione di costrizione
che dà l’impressione di essere intrappolati e di non avere una via d’uscita.
L’Angoscia è legata al senso di colpa. È un sentimento legato al presente, mentre l’Ansia è più proiettata
verso una minaccia di qualcosa che sta per accadere.
Nel PANICO troviamo una serie di aspetti simili a quelli legati all’ansia, alla paura, all’angoscia. È un
sentimento di terrore che pervade tutto l’organismo con forti ripercussioni a livello somatico.
In genere nell’attacco di PANICO si manifesta la tachicardia (un’accelerazione dei battiti cardiaci), la
dispnea (respiro affannoso), sensazioni di freddo e di caldo, sudorazioni, tremore alle mani e ai piedi,
dolori diffusi in tutto il corpo, la sensazione di svenire o di morire, di andare fuori di testa, d’impazzire;
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un insieme di sintomi che pervadono il corpo fino a dare l’impressione di non farcela a stare in piedi, di
crollare, di morire.
È una sensazione estremamente spiacevole, dolorosa, spaventosa; una sensazione di profonda angoscia.
In genere l’ATTACCO DI PANICO, che una volta veniva definito NEVROSI d’ANSIA ACUTA, è di
breve durata: dura da 20 minuti a 1-2 ore circa. La persona dopo l’attacco di panico si sente un po’ stanca,
prostrata; poi la sensazione passa. L’attacco può anche ripetersi, ma ha una durata limitata. Gli attacchi di
panico possono essere sporadici, ma quando si ripetono con frequenza (almeno tre attacchi in tre
settimane) si parla di vero disturbo di attacco di panico.
Negli attacchi di panico non vi sono fattori scatenanti endemici: all’improvviso una persona può essere
colta da attacco di panico senza motivo evidente, mentre cammina per strada. È ovvio, tuttavia, che
esistono motivi profondi, inconsci, antichi. Si verifica in concomitanza di una particolare situazione anche
in assenza di causa apparente. In genere dopo aver subito diversi attacchi di panico si sviluppa la paura ad
uscire di casa e la preferenza ad essere accompagnato negli spostamenti. La persona ha un’ansia
anticipatoria e quindi sviluppa quello stato mentale che si chiama AGORAFOBIA, paura degli spazi
aperti, paura di uscire da sola.
In genere si presenta in forma di attacco inteso come malattia, come appena descritto, ma si può parlare di
panico come TERRORE collettivo che prende gruppi di persone durante un evento scatenante, come un
terremoto, un incendio. Si tratta, in quest’ultimo caso, di PANICO reattivo di fronte ad una situazione
reale, ma accentuato dalla situazione di gruppo. In questo caso c’è un fattore di induzione di gruppo.
È noto che fare le meditazioni in gruppo o lavorare in gruppo accentui alcuni passaggi sulle emozioni, nel
positivo e nel negativo. La paura di un gruppo di persone si trasmette con contagio reciproco, aumenta la
paura a livelli parossistici.
Il termine panico deriva dal dio Pan, un po’ rude e con le zampe di capra, che viene successivamente
ripreso dalla tradizione cattolica per utilizzarlo ai fini dell’iconografia del diavolo. In realtà Pan, dio della
natura, si aggirava sempre nei boschi alla ricerca di donne o ninfe da possedere.
Con ciò vorrei sottolineare due concetti importanti: il Terrore/Panico che pervade tutto il corpo, ha in sé
anche una componente erotica; la Paura è l’altra faccia dell’eccitazione e l’Ansia l’altra faccia del
desiderio. Pensiamo agli sport estremi, dove c’è una condizione di estrema paura ma di grande
eccitazione: paracadutismo, parapendio, etc. Situazioni che scatenano fortissime sensazioni che
pervadono tutto il corpo (una sensazione panica) e contemporaneamente danno terrore e piacere quasi
estatico. Il vuoto esercita su di noi un doppio effetto: da una parte c’è l’attrazione e dall’altra terrore. C’è
un forte fascino nel vuoto, e l’eccitazione nel buttarsi nel vuoto è fortissima. Così come la PAURA ha
l’eccitazione come controparte positiva, il TERRORE/PANICO ha l’estasi panica.
E qui è l’aspetto del dio Pan che attraverso la musica - suonando il flauto - diventa un dio che conduce sul
cammino mistico ed estatico (il culto di Dioniso). Non a caso il culto di Pan lo ritroviamo nei sabba delle
streghe, poi stigmatizzati e perseguitati perché contrari a una dottrina cattolico-clericale. In realtà erano
culti pagani che persistevano nel medioevo: il culto di Diana e quello di Dioniso (culti prevalentemente a
carattere femminile e diffusi soprattutto nelle campagne). Le streghe non erano altro che adepte del culto
di divinità pagane femminili o maschili, ma naturalistiche, in cui c’è una emozione intensa dove
l’eccitazione e l’estasi vanno di pari passo con la paura ed il terrore.
Questo aspetto è interessante, anche perché può portare a trattamenti del panico, dell’ansia e della paura
di tipo trasformativo. È un filone di terapia che aiuta il sintomo ad evolvere in uno stato mistico (e dal
panico è molto più facile di quanto non si pensi).
Riguardo all’attacco di panico, oltre all’intervento farmacologico ci sono molti tipi di trattamenti. Fra
quelli maggiormente conosciuti ci sono le tecniche di rilassamento muscolare e le tecniche di
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respirazione. Queste ultime sono di due tipi: la respirazione rilassante e lenta (Pranayama, Vipassana) e la
respirazione intensiva (Vivation, la respirazione olotropica, la prima fase della meditazione Dinamica di
Osho) che tende a creare un’iperventilazione.
Attraverso le tecniche di respirazione lenta la persona può rilassarsi e sedare l’attacco di panico in arrivo.
È un trattamento di tipo allopatico: si cura con il contrario (cioè il panico eccita e io sedo). Non
necessariamente la cura allopatica è quella farmacologia. Può essere anche semplicemente bagnarsi con
l’acqua fredda se si ha caldo o mettersi vicino al fuoco se si ha freddo.
Mentre sentire freddo e mettersi a correre nella neve è una cura omeopatica (si cura con il simile).
Quanto alla respirazione intensiva, con questa si può indurre volontariamente un attacco di panico.
Quando la persona ha imparato – respirando - a creare un attacco di panico, ad entrarci dentro, starci
coscientemente e persistere, arriva ad un punto in cui l’attacco di panico non è più qualcosa da temere e
da combattere, ma qualcosa in cui si cala con tutto se stesso. A quel punto il coinvolgimento è tale da
trasformarsi e trasfigurarsi in uno stato di quiete.
È importante ricordare che il counselor può esclusivamente insegnare una tecnica respiratoria rilassante.
Oggi il concetto di nevrosi è superato e si preferisce usare la definizione di disturbo d’ansia. Nel disturbo
d’ansia c’è uno stato di ansia intenso e continuo, con assillanti preoccupazioni immotivate ed esagerate.
L’ansia è pervasiva, pervade tutto il corpo, è generalizzata. Non si è in ansia solo in una particolare
situazione, ma continuamente, e si protrae nel tempo, fluttuante.
Riguardo alla paura, c’è la paura primordiale (la più forte); la paura esistenziale (un po’ più
intellettualizzata); la paura del cambiamento, dell’ignoto; la paura del dolore.
Si pensi al bambino al momento della nascita: deve passare attraverso il canale del parto senza sapere
cosa succede… è spinto suo malgrado. La luce lo invade, il respiro va in apnea, appena viene tagliato il
cordone ombelicale sente di soffocare, i polmoni sono contratti. Alla nascita, infatti, i polmoni sono
collassati, sono come due sacchetti vuoti senza aria che il bambino deve dilatare a vuoto spinto, per cui ci
vuole una forza enorme. La disperazione legata alla sensazione di morire crea lo sforzo che porta
all’apertura dei polmoni. Il bambino, quindi, nasce con la sensazione di morire.
Anche se oggi c’è più attenzione - grazie agli insegnamenti della scuola di Leboyer - il bambino vive, alla
nascita, l’esperienza di disperazione perché si sente morire soffocato. È ineludibile. È la prima esperienza
d’angoscia della vita.
Noi siamo fondamentalmente animali strutturati per vivere in un mondo naturale con tutto il bello e il
brutto che c’è. Dobbiamo pensare a noi stessi come animali selvaggi della preistoria che si trovano di
fronte a un pericolo. Immaginiamo di essere una gazzella o un agnello con una belva feroce che ci
minaccia: qual è la prima cosa che si prova? Chi prova l’impulso di scappare, di attaccare, chi ha una
sensazione di paralisi, chi sente accelerare i battiti cardiaci, chi ha il respiro affannoso, tremori, chi sente
una contrattura o colica, chi ha il rilascio degli sfinteri, etc.
Cosa succede di fronte al pericolo? Si può immaginare di vedere entrare improvvisamente dei terroristi
con il mitra e con fare minaccioso. Il fatto stesso che sono armati configura lo stesso discorso
dell’animale attaccato da un altro animale più forte.
Ci sono tre tipi di risposta al pericolo: la FUGA, L’ATTACCO, LA PARALISI.
C’è chi istintivamente tende a scappare, e la fuga è legata all’emozione della PAURA. C’è chi reagisce
con il contrattacco, una risposta che è collegata all’emozione della RABBIA. Due reazioni fondamentali
che richiedono entrambe una grossa attivazione energetica. Cosa succede, invece, quando avviene la
paralisi? È un blocco dettato da un primo impulso, dove non c’è ragionamento. Dopo ci può essere
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un’elaborazione e arriva il pensiero di dove nascondersi, come muoversi, ma questo avviene dopo il
primo impulso istintivo di freezing. In genere chi è portato istintivamente a bloccarsi poi è portato ad
attuare una strategia per nascondersi; chi è più portato a fuggire elabora strategie per cercare un rifugio
lontano.
Inoltre c’è un altro risvolto: quello della PAZZIA, che permette di affrontare situazioni che altrimenti,
con il ragionamento, non riusciremmo a fronteggiare. Nella pazzia ci sono strategie di sopravvivenza che
eludono dal ragionamento della logica comune.
Ci può essere una strategia differita (tipicamente umana) dove interviene il ragionamento, la persona
gestisce la propria emozione, il proprio impulso e si chiede: “Qual è la strategia migliore per
sopravvivere?” Tale strategia è presente anche nel regno animale, ma rientra nei conflitti rituali della
stessa specie.
La prima reazione di fronte ad un pericolo potrebbe essere anche un urlo. L’urlo può assumere un
significato di fuga, può servire a spaventare l’altro, può essere di avvertimento per il branco del
sopraggiungere di un pericolo. Giocano pur sempre l’istinto di attacco o di fuga.
Torniamo all’animale che viene aggredito dall’animale più feroce, al terrore per la sopravvivenza
(relativo al primo chakra, il livello energetico di base): la reazione è di fuga o di contrattacco, oppure di
freezing, cioè cadere a terra come morto e rimanere immobile (in altre parole la paralisi del corpo).
Questo comporta in natura un fenomeno sorprendente: spesso la belva predatrice, di fronte all’altro
animale caduto come morto, se ne va senza aggredirlo. Ecco che la paralisi del corpo diventa una
strategia di salvezza. Nell’essere umano, la persona che si blocca non viene notata come una che scappa;
si mimetizza meglio.
Rivediamo cosa succede di fronte al pericolo per la propria vita. Il primo tipo di reazione è attacco o fuga,
dove l’organismo deve essere messo in funzione, l’energia deve essere attivata. Viene attivato il sistema
nervoso periferico che va sotto il nome di sistema nervoso simpatico. Quindi la reazione di attacco o fuga
comporta una attivazione del sistema nervoso simpatico: aumento del battito cardiaco, aumento del
respiro e dell’irrorazione dei muscoli.
Nella paralisi e nel crollo accade il contrario: il respiro diminuisce, i muscoli perdono tensione, c’è un
rilasciamento degli sfinteri (c’è spesso perdita di urina e feci) legato alla attivazione del sistema nervoso
parasimpatico.
Nell’ATTACCO di PANICO vengono attivati entrambi i sistemi: il simpatico e il parasimpatico. Da una
parte è come mettersi nella condizione di attaccare e fuggire, e dall’altra parte è come crollare morti.
Vengono fuori sintomi confusi: respiro affannoso anche se si ha l’idea di non poter respirare, tachicardia
(attivazione del simpatico), la sensazione di svenire, di perdere forza nelle gambe (attivazione del
parasimpatico), sensazioni di caldo (attivazione del parasimpatico) e di freddo (per attivazione del
simpatico). I muscoli sono irrigiditi, ma nello stesso tempo hanno degli scatti per fuggire o per
contrattaccare. Quindi l’attacco di panico non è altro che l’attivazione inconsapevole dei meccanismi di
difesa. È chiaro che il pericolo in questo caso non è una minaccia esterna, ma una minaccia interiore. Così
come nell’ansia di tutti i giorni, è un’ansia interiorizzata.
Cosa succede, invece, nella situazione di animale da branco, quando c’è la competizione per la
supremazia? È tipica la lotta fra i due maschi che si contendono il primato del gruppo, il diritto di
accoppiarsi con le femmine. Il combattimento rituale non ha mai l’intento di distruggere l’avversario. Al
massimo lo si immobilizza, procurandogli delle ferite. I due animali combattono, fanno movimenti
istintivi ritualizzati, fino a che uno dei due impone la sua supremazia e l’altro si arrende, si sottomette al
vincitore riconoscendolo come capo branco. Un sistema di resa è offrire il collo, la parte vitale, dove la
preda viene afferrata con il morso.
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Tra gli umani quasi tutti i comportamenti sono dei rituali.
Ho introdotto il combattimento rituale per arrivare al rituale di resa. Che cosa comporta?
Che sensazione si prova quando si sfida qualcuno nello sport, nell’ambito di lavoro, o il rivale per la
persona che si ama? Rabbia trattenuta, senso d’impotenza, frustrazione. Se hai fatto un rituale dove era in
gioco il tuo potere, il tuo prestigio, il senso di dignità di fronte al gruppo e sei stato sconfitto… il gruppo
ti rifiuta. Provi un sentimento di VERGOGNA. Questo è un’altro sintomo psicopatologico fondamentale
che si ritrova in tante patologie, legato a qualcosa del presente: al sentirsi il biasimo e il disprezzo di tutto
il gruppo per essere stati sconfitti e sottomessi. Il senso di abbandono, il senso d’inferiorità sono legati a
questo. Il sentimento di vergogna è il narcisismo ferito. Non a caso il narcisismo è legato al chakra del
collo, il V^ livello (alla corazza cervicale secondo Reich). L’umiliazione è legata al collo. Il termine di
vergogna deriva dal rituale antico della gogna (lo strumento di legno con un buco centrale in cui veniva
inserita la testa della persona che veniva esposta in pubblico). Vergogna nasce dall’essere esposti alla
gogna, sentire l’umiliazione. Il termine UMILIAZIONE è andare verso terra, abbassarsi all’altro che ti ha
messo a terra.
Nel regno animale, uno dei rituali di resa è offrire la parte posteriore al vincitore, come un’offerta
sessuale (“offro il mio corpo al tuo piacere”). Il maschio perdente imita la femmina, offrendosi
sessualmente al vincitore, perché così s’ingrazia e suscita benevolenza nell’altro.
In genere i rituali di combattimento più tipici sono quelli fra i maschi, ma - in forme diverse - esistono
anche fra le femmine. Inoltre vi sono femmine che assumono il ruolo di maschi in alcuni contesti o
viceversa, ma questo rientra un po’ negli aspetti antropologici dell’omosessualità.
Da un punto di vista fisiologico, oltre il 10% degli esseri umani ha prevalente orientamento omosessuale.
L’omosessualità, negli anni addietro, tendeva a non essere manifestata, poiché vigeva il marchio di
condanna. Oggi l’omosessualità è più accettata, viene dichiarata in maniera più aperta anche se ciò
implica preoccupazione e angoscia, soprattutto nel momento in cui la persona scopre le sue tendenze, le
deve accettare con se stesso e poi dichiarare a familiari, amici e altri. C’è una grande sofferenza, un senso
di vergogna profonda che è alla base di molti disturbi. Ritengo che ci siano dei motivi evolutivi
importanti alla base di una percentuale così alta di omosessualità. Anche se normalmente si pensa che una
volta l’omosessualità fosse contro natura, oggi dire ‘contro natura’ è un controsenso, poiché se
l’omosessualità esiste in natura è una cosa naturale. Nella nostra società, vi sono due espressioni
dell’omosessualità, due formazioni reattive: da una parte c’è il Gay Pride (cioè l’orgoglio omosessuale) e
dall’altra l’omofobia. Da una parte, per vincere la vergogna di dichiarare la propria omosessualità, si
esagera nell’ostentare con orgoglio questo essere ‘diverso’, il che ha una sua logica culturale, ma è pur
sempre una difesa. All’opposto c’è l’omofobia, per reprimere in se stessi quelle pulsioni omosessuali che
sono presenti in tutti, anche se in percentuali diverse. In questo c’è la PAURA del giudizio degli altri, la
paura dell’aggressione e dell’abbandono degli altri, la paura della punizione, la paura degli aspetti che si è
imparato a condannare per farsi accettare dalla cultura dominante.
Uno studio condotto in Svizzera sulle vacche, ha messo in evidenza che, finché nella mandria era presente
il toro, questo esercitava le sue funzioni ed il resto dei maschi stava in disparte.
Se veniva tolto il toro subentrava quasi sempre una delle vacche che assumeva il ruolo tipico maschile del
toro: il ruolo di protezione del gruppo, di difesa, di combattimento. Con il tempo assumeva anche
muscolarmente le caratteristiche del toro e arrivava a montare e simulare l’atto dell’accoppiamento con le
altre vacche. Questo significa che in certi contesti culturali si possono sviluppare aspetti omosessuali che
in altri contesti restano latenti: la vacca in un certo contesto si comportava come tale e in altri contesti si
comportava da toro. Quindi esiste un’influenza culturale, per cui avere molti individui con tendenze omo
o eterosessuali può essere funzionale alla sopravvivenza del gruppo.
Le donne di oggi sono spesso costrette ad assumere modelli e ruoli maschili per necessità economiche.
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Una volta la donna era culturalmente condizionata a reprimere le proprie valenze maschili legate
all’affermazione di sé, nella società, nel potere, etc. Oggi ci sono contesti dove è stimolata (anche troppo,
a volte) ad affermare questa parte di sé. Nei contesti culturali in cui l’uomo e la donna hanno avuto ruoli
diversi, questi si sono succeduti fin dall’antichità. Si pensi alle antiche civiltà matriarcali mediterranee e
orientali, in cui vi era una prevalenza della cultura femminile; alle società guerriere patriarcali, in cui il
femminile veniva represso per affermare un tipo di forza guerresca che si imponeva con la forza delle
armi. Contesti culturali diversi che si sono fusi in vari modi e ancora oggi continuano a sussistere.
È chiaro che in una situazione di pace tendeva a prevalere un modello più matriarcale femminile, e in una
situazione di guerra tendeva a prevalere un tipo di cultura patriarcale maschile: il guerriero che combatte,
che è forte, incrollabile che reprime le emozioni. In un contesto di pace, invece, è importante l’emozione,
la sensibilità, fare i figli e crescerli. Culture che comunque si intersecano in vari modi ed influenzano in
qualche modo anche la psicopatologia.
Roberto Sassone
Riconosciamo nel tema della paura - che è un’emozione sana, perché ci consente di affrontare e di
prepararci al pericolo - una serie di emozioni collaterali che possiamo chiamare le emozioni dell’ansia,
dell’angoscia, del terrore e del panico. Nel modo in cui ho descritto queste quattro emozioni, che poi sono
quattro modalità della paura, c’è una gradualità: nell’emozione dell’ansia c’è come caratteristica
fondamentale la sostenibilità di base (cioè si può vivere una situazione di ansia protratta nel tempo, ma
senza collassare); l’ansia ha come caratteristica una immaginazione anticipatoria, ovvero nell’ansia c’è
l’immagine mentale di quello che potrebbe accadere ma poi non accade. L’ansia si sente molto nel
diaframma, nella pancia.
Se l’ansia entra in uno spazio di maggiore condensazione entriamo nell’angoscia. È una situazione in cui
ci si sente imprigionati, si soffoca. Nell’angoscia è più forte la paura perché c’è la sensazione di non poter
fare niente. Mentre l’ansia è fluttuante, ci si può navigare dentro, nell’angoscia c’è la chiusura.
Fisicamente l’angoscia si sente di più nel torace.
Quando questa sensazione di essere chiusi, di non poter fare niente assume una dimensione d’impotenza
totale si arriva al terrore. Però anche qui angoscia e terrore possono essere reali, cioè di per sé queste
emozioni non sono patologiche, lo diventano quando ancora una volta non esiste una causa reale, la cui
gravità modula l’intensità di queste emozioni, dall’ansia all’angoscia fino al terrore.
Quando arriviamo all’attacco di panico, la caratteristica fondamentale è che condensa un ‘cocktail’ di
ansia, angoscia e terrore. Vediamo cos’è il panico da un punto di vista della struttura, e senza esaminare
gli aspetti del carattere (perché gli attacchi di panico possono accadere - come nella depressione - a
qualsiasi struttura caratteriale). L’attacco di panico è la percezione del crollo di tutta la struttura
dell’identità, ed è un crollo che porta la sensazione di morire (e questa è la paura fondamentale
nell’attacco di panico). È la paura di base perché l’attacco di panico va a toccare il primo chakra dove sta
il tema della sopravvivenza. Come si riconosce? Avvengono dei sintomi precisi e antagonisti. C’è un
aumento dei battiti cardiaci, tremiti del corpo e sudorazioni, giramenti di testa, senso di perdita
dell’equilibrio, affanno, sentimenti di angoscia e ansia. La respirazione da una parte viene attivata, e
dall’altra bloccata. Nell’attacco di panico realmente si perde la capacità di gestire qualsiasi tipo di atto
volontario. C’è un cortocircuito dell’io, e si va in una dimensione rettiliana, nella dimensione degli istinti
primordiali. Dal momento che nella scala di sviluppo dell’uomo questi istinti hanno più potere perché
hanno avuto più tempo per consolidarsi, in questa dimensione l’io non ha più capacità di gestione.
Nell’attacco di panico crolla il grounding - non a caso è di primo chakra - perché si entra in una
dimensione in cui si perde il contatto con la propria struttura di equilibrio. Le gambe ed i piedi non ci
sono più, ed è così anche oggettivamente perché chi ha un attacco di panico ha la tendenza a sentirsi
220
crollare. L’attacco di panico in chiave patologica è la perdita di ogni controllo, ovvero reca in sé (o nel
suo opposto: il controllo ferreo) la possibilità che ognuno di noi dovrebbe riuscire ad avere, ovvero di
perdere il controllo dell’ego, della personalità, essendosi già sviluppato un centro d’identità. La perdita di
controllo terrorizza in quanto identifichiamo la nostra identità con l’ego, ovvero con l’insieme di costrutti
mentali e storici che definiscono quella che chiamiamo identità. È chiaro che perdere l’identità equivale a
morire. Non a caso esiste la morte iniziatica che ha un valore completamente opposto al panico.
Nell’attacco di panico, proprio perché manca la struttura di base, significa che realmente non c’è stata la
possibilità di creare un centro. Come avviene? Perché alcune persone sono soggette all’attacco di panico?
Questo avviene quando un individuo ha raggiunto il limite estremo della sopportabilità nella propria vita.
Al di là dell’aspetto patologico è l’indicazione del fatto che non può ormai che crollare, non ce la fa più.
Quindi gli attacchi non avvengono fondamentalmente perché c’è un trauma. Una persona una mattina va
a lavoro, e dentro ad una galleria ha un attacco di panico. La sua struttura aveva già crepe e in quel
momento la galleria è la personificazione, la simbolizzazione della sua chiusura.
Il vero problema sta nel fatto che una volta che c’è stato un attacco di panico, visto che la paura di base è
quella di morire, si innesca il meccanismo di ansia anticipativa, vale a dire la paura che accada di nuovo.
Da qui si manifestano, in maniera progressiva, altri sintomi collaterali come la claustrofobia e
l’agorafobia, e per evitare l’attacco si inizia a limitare il proprio movimento.
Ogni sintomo ha una sua funzionalità precisa, sta dicendo qualcosa. L’attacco di panico è l’estremo
rimedio di chi non ce la fa più ad affrontare la responsabilità della propria vita, quindi limitando il suo
movimento sta realizzando un meccanismo per salvarsi da una vita che non viene fondamentalmente più
sostenuta.
L’elemento opposto è che in realtà questa perdita di controllo è la modalità di base che si deve ritrovare
in tutte le dimensioni dionisiache. La fusione col divino, l’immedesimarsi col divino anche nelle sue
forme e manifestazioni, passa attraverso una perdita della propria identità, dell’ego. Bisogna morire al
proprio ego per potersi perdere o nella manifestazione col divino - come avviene nelle cerimonie sacre - o
nell’esperienza del divino come avviene nelle dimensioni di coscienza cosmica o coscienza dell’unità. Per
cui la dimensione panica - del dio Pan - è una dimensione di estrema perdita di controllo, dell’immergersi
nel piacere, nella vita, nell’intensità dell’esperienza mistica.
Nitamo Montecucco
Proviamo ad immaginare il sistema della difesa corporea: il simpatico della difesa va in eccesso fin
quando ad un certo momento scoppia, con sudorazione, respirazione affannosa, tachicardia ma anche
blocco della circolazione periferica, con possibile mal di stomaco e giramento di testa (tutti sintomi
classici della paura d’attacco).
Nella storia delle crisi di panico - oltre a quella appena trattata e propria della fase adulta (cioè della
persona che arriva a ‘caricare’ fino a non poterne più) - ci sono anche le forme giovanili, diventate
comunissime. Nel 95% dei casi dietro c’è un padre che li spaventava o che li picchiava, mettendo in moto
il blocco di primo chakra ed il blocco da paura dell’aggressività (per cui la reazione può essere solo
collassare). Oppure dietro c’è una mamma molto ansiosa. Quindi si ha il sistema maschile che non può
reagire e deve subire, e la mamma che riempie la testa di paure che non esistono. E poi arriva la paura
della paura. Questo sistema - aumentando la tensione enormemente - arriva a un punto di rottura e quindi
arriva la crisi.
Ho conosciuto un ragazzo con crisi di panico potenti. Aveva un papà un po’ duro che lo aveva picchiato e
una mamma ansiosa. Aveva crisi di panico con senso di morte, di non controllo. Era molto sensibile e
quindi andava in tensione. Era comunque una situazione gestibile. Gli abbiamo insegnato un po’ di
meditazione, le basi del craniosacrale e della respirazione per sentire quando andava in tensione e mollare
221
il tutto. Non ha avuto più crisi di panico.
Le persone che hanno avuto un padre ‘normale’ e una mamma molto ansiosa hanno realmente crisi di
panico più leggere. Le persone con un papà duro ed una mamma normale possono vivere momenti di
panico, ma riescono a gestirli se sono in grado di capirne la struttura.
L’intervento dell’operatore olistico potrà essere quello di lavorare sul sistema maschile - il simpatico - per
rilassarlo, utilizzando massaggi e trattamento cranio sacrale; e ri-vitalizzare il sistema femminile del
rilassamento. Una cosa fondamentale da ricordare: l’operatore non cura le crisi di panico.
Se la persona ha crisi le si può dire: “Ti posso aiutare tonificando e riattivando il tuo sistema
parasimpatico. Posso aiutarti a sentire quando il simpatico - cioè la tensione - va in eccesso e attraverso la
meditazione e la pratica della presenza, imparare a calmarlo. Lasciati andare, anche solo quando balli o
fai l’amore, o canti in macchina. Tutti quegli eccessi - dove scarichi la pressione del sistema simpatico - si
possono rilassare.”
La crisi di panico ha dentro dei meccanismi che sono attinenti al lavoro di uno psicoterapeuta (argomento
trattato in precedenza da Sassone). L’operatore/counselor non può occuparsi di crisi di panico, non le può
curare, ma può alleviarne i sintomi (ad esempio attraverso un massaggio alla pancia). È importante che
l’operatore ne conosca la genesi, per fare in modo che il movimento panico, rettile, emerga di più, e la
persona un po’ troppo controllata possa mollare, liberare quello che è sotto ed è coperto dall’ansia e
dall’angoscia. La si può aiutare tantissimo a farla divertire, ballare scatenata, perdere il controllo e i
giudizi formali.
Roberto Sassone
Uno degli aiuti che un operatore può dare ad una persona, proprio per la mancanza di centro di cui
parlavamo, è la meditazione sul cuore. Aiutarla a percepire che esiste un centro, all’interno del suo cuore,
le dà la sensazione di un punto a cui aggrapparsi.
È da precisare che la parte del corpo in cui si localizza il sintomo è l’indicazione chiara di qualcosa che è
realmente accaduto in quella parte del corpo. E ne fornisce anche il significato. Ad esempio nel caso di un
soffocamento è successo qualcosa alla gola, al quinto chakra. Bisognerebbe fare l’anamnesi, ovvero: da
che livello parte questa sensazione? È un livello neonatale, cioè legato al parto, al cordone ombelicale
intorno al collo? Se è così dà già un’indicazione di quanto affonda il sintomo.
Se non è così, si può andare avanti e ipotizzare che il soffocamento sia legato alla presenza di una persona
soffocante. C’è tutta una tematica della difficoltà della persona di esprimersi e di realizzarsi nella propria
vita. Possiamo avere delle indicazioni precise, e in questo caso parliamo di una fobia che non fa
collassare come negli attacchi di panico, ma fa vivere questa paura come si può vivere comunemente - ad
esempio - la paura dei serpenti.
222
FOBIE, OSSESSIONI E COMPULSIONI
Dott. Mario Betti
La FOBIA è una paura esagerata e immotivata per un particolare oggetto o situazione.
Un esempio è la fobia per gli insetti; è una vera e propria emozione archetipica, perché l’insetto ha delle
forti valenze simboliche sul quale proiettiamo alcune nostre parti represse: l’aggressività, la vergogna, il
terrore, la paura. Tutte le parti con cui non vogliamo avere a che fare, le rimuoviamo nell’inconscio e poi
le proiettiamo sugli esseri a noi così lontani, diversi e subdoli. L’insetto diventa così un ricettacolo delle
nostre proiezioni. Infatti gli ‘esercizi sull’insetto’ consistono nell’identificarsi con esso e quindi
modificare la nostra struttura, rimuovere i blocchi e riattivare un percorso di crescita. Il lavoro sugli
insetti è riconducibile a scuole dell’antico Messico, alla scuola di Castaneda e scuole simili, il cui lavoro
consiste nel cercare di evocare la struttura dell’insetto, struttura che è opposta alla nostra: gli insetti hanno
una corazza esterna forte e l’interno morbido, a differenza di noi che abbiamo una colonna vertebrale
rigida. È un lavoro molto complesso, che inizia con l’identificazione con l’insetto.
Esistono FOBIE per oggetti, animali e situazioni. Per quanto riguarda gli oggetti, possono essere degli
oggetti acuminati, spilli o coltelli, e la reazione alla vista di tali oggetti può essere anche di terrore.
Oppure ci può essere la fobia degli spazi chiusi (claustrofobia) o degli spazi aperti (agorafobia).
Le OSSESSIONI sono pensieri e idee che si impongono alla nostra mente in maniera iperattiva e
ripetitiva contro la nostra volontà. Per esempio una persona prima di alzarsi dal letto - pur non avendone
‘bisogno’- deve contare fino a tre… altrimenti ‘porta male’.
La COMPULSIONE è una spinta a compiere un’azione in maniera costrittiva e contro la nostra volontà.
Un esempio di compulsione è quando una persona continua ad acquistare lo stesso oggetto cinque, dieci
volte. Un tipico fenomeno ossessivo-compulsivo dell’infanzia è quello del bambino che deve camminare
lungo le linee del marciapiede o delle mattonelle. Un altro esempio è quello di controllare molte volte,
prima di andare a letto, se il gas è chiuso bene.
Anche la CLEPTOMANIA fa parte della stessa serie; è un impulso a compiere un’azione e realizzata
l’azione si scarica la tensione. La compulsione, invece, è ripetitiva e continua, la persona non vuole
pensare ad una cosa e suo malgrado ci pensa sempre.
L’IMPULSO è una spinta ad eseguire un’azione anche complessa, come l’impulso patologico del gioco
d’azzardo. Il giocatore d’azzardo sotto sotto non vuole vincere, gioca per un impulso masochistico a
perdere, per sentirsi accomunato nel vittimismo con le persone che perdono. È difficilissimo farlo guarire.
Uno degli impulsi più deleteri (tipici femminili) è l’impulso allo shopping. Le donne, quando entrano in
ansia, spendono un patrimonio traendone piacere. Negli uomini accade di meno. In loro prevale di più
l’impulso alla molestia sessuale, soprattutto se è rinforzato da una dinamica di gruppo.
La BULIMIA è tipicamente femminile e fa parte dei disturbi del comportamento alimentare, mentre
l’impulso all’abbuffata è una forma che rientra in un’altra categoria.
All’impulso appartiene anche il sintomo CONTROFOBICO (o formazione reattiva): “Ho paura di
gettarmi nel vuoto, così vado su un aereo e mi butto con il paracadute.” Quindi d’impulso si sceglie di
fare quella cosa che fa paura, per vincere e superare la paura. Tanti atti di eroismo durante le guerre sono
riconducibili a questo tipo di sintomo.
Sia la COMPULSIONE che l’IMPULSO possono essere curati in modi diversi. La compulsione è legata
più ad un vissuto di depressione, mentre l’impulso è un’aggressività che si scarica (tipo sbattere la porta
in un raptus di rabbia); sono insomma due cose diverse.
223
Per il bambino è diverso (soprattutto per quanto riguarda le ossessioni e le compulsioni), perché impara a
controllare e gestire le emozioni. Alcune fasi di ossessioni del bambino vanno ritenute fisiologiche, ma
non sono più tali se si protraggono troppo nel tempo.
Ricordo, per inciso, che l’Ansia si può trovare molto spesso in altri disturbi: nelle ruminazioni ossessive,
nella depressione, nella schizofrenia, nell’eccitamento maniacale, nel sintomo ossessivo/compulsivo
come il bisogno di allineare perfettamente gli oggetti o ricontrollare il gas, nella nevrosi fobica, nella
blutomania (la mania di lavarsi sempre le mani fino a procurarsi delle vere e proprie lacerazioni della
pelle).
PSICOSI E NEVROSI
Passiamo ai disturbi maggiori, che nelle loro forme più gravi possono essere definiti PSICOSI. La
differenza tra NEVROSI e PSICOSI è che le nevrosi hanno quadri più leggeri (per cui si parlava di
nevrosi d’ansia, o di nevrosi ossessiva/compulsiva), mentre le PSICOSI sono stati mentali più gravi che
alterano profondamente il contatto con la realtà.
Prendiamo in esame i seguenti quadri fondamentali:
·
la DEPRESSIONE
·
l’ECCITAMENTO MANIACALE
·
la SCHIZOFRENIA
·
il DISTURBO PARANOIDE o PARANOIA
LA DEPRESSIONE
La DEPRESSIONE è l’abbassamento del tono dell’umore, dove per tono dell’umore s’intende lo stato
affettivo in cui ci troviamo in un determinato momento. Lo stato affettivo è l’insieme dei sentimenti, delle
passioni, delle emozioni che si muovono dentro di noi. Quando questo aspetto affettivo-emozionale è
scarico, il tono dell’umore è più basso, e si parla di depressione.
Si può parlare di depressione come sintomo o di depressione come vera e propria malattia.
Un esempio di depressione come sintomo è quando una persona litiga con il più caro amico, rimane male
e si sente abbattuto. Viceversa nella depressione vera e propria l’abbassamento del tono dell’umore è
intenso e costante. Esistono ovviamente molti tipi di depressione, e ci sono forme leggere e molto gravi.
Una volta si definivano depressioni nevrotiche e depressioni psicotiche. Oggi si parla di depressioni
minori e depressioni maggiori.
Nella DEPRESSIONE MAGGIORE - che è il quadro più intenso - abbiamo un abbassamento del tono
dell’umore con profonda tristezza, apatia, sentimenti di vuoto. Tutte le funzioni fisiologiche sono alterate:
l’appetito diminuisce fino alla inappetenza, oppure aumenta nell’iperfagia, (specialmente se è associata ad
una quota ansiosa); c’è insonnia oppure alterazione del ritmo sonno/veglia.
Nelle forme di DEPRESSIONE PRIMARIA il momento più terribile è la mattina, quando la persona
deve affrontare la giornata. La sera, invece, va a rifugiarsi nel sonno, anche se può svegliarsi dopo
qualche ora e rimanere con gli occhi sgranati in preda a una forte sofferenza.
224
Nella NEVROSI d’ANSIA, invece, la persona sta peggio la sera: la mattina si sveglia rilassata, poi nel
corso della giornata accumula tensioni e stress che aumentano le quote d’ansia, cosicché la sera è in preda
a una forte ansia; quando va a letto fa fatica a prendere sonno, e si addormenta in genere molto tardi con
dei picchi di ansia.
I sintomi della depressione sono in generale: astenia, adinamia, la mancanza di energia per compiere le
cose di tutti i giorni, anedonia (mancanza di piacere nel fare le cose quotidiane).
C’è una sofferenza profonda: spesso la persona non si sente capita dagli altri, il tempo non passa mai,
manca il futuro, non c’è un progetto di vita ma il rimuginare del passato, sensi di colpa spesso immotivati.
Nelle forme gravi c’è spesso il desiderio di morte, perché la vita non merita di essere vissuta, la vita non
ha più senso; ci possono essere frequenti crisi di pianto, oppure l’incapacità di piangere come accade
nella depressione arida, dove la persona si sente in colpa perché non riesce a piangere. Fino ad arrivare ai
casi estremi di idee suicide o tentativi di suicidio reali.
Spesso le persone sono ipertimiche, cioè piene di verve, di gioia di vivere, allegre, divertenti, di
compagnia e poi improvvisamente piombano in uno stato depressivo. La depressione ha comunque una
predisposizione genetica a cui si aggiungono fattori ambientali. Ci sono fattori che possono essere
depressogeni, come le situazioni di abbandono nell’infanzia, perché la depressione è legata molto
all’abbandono. Alla base di una depressione c’è spesso una perdita (reale o temuta o immaginaria), come
la perdita dell’oggetto d’amore, la perdita di un genitore o figlio, la perdita del lavoro, etc.
Nel caso dell’animale che viene aggredito e ucciso, il cucciolo viene abbandonato e si trova disperato e
solo al mondo, ed è come se si lasciasse morire.
Tutti noi, quando viviamo situazioni di paura, attraversiamo anche la depressione, perché quando
vogliamo la mamma e lei non risponde subentra il sentimento di abbandono, di non essere curati e amati.
Quindi esperienze di tipo depressivo ci sono sempre e si accumulano negli anni.
Poi ci sono le situazioni di per sé naturali come i lutti. Se una persona ci abbandona o muore, il lutto
richiede un periodo di elaborazione. All’inizio c’è grande sofferenza, la persona viene sempre in mente,
c’è voglia di piangere, sembra che la vita non abbia più un senso. Questo periodo - che può durare da
qualche mese a uno/due anni - si chiama elaborazione del lutto.
Le depressioni che si sintonizzano con i ritmi circadiani del giorno o con i ritmi stagionali non sono delle
vere e proprie depressioni, ma sono forme di depressioni lievi secondarie all’ansia: la persona si sente
rinascere con il giorno e morire la sera, ma c’è molta empatia in tutto questo, e non c’è un distacco
profondo come nella depressione. Nella depressione c’è qualcosa che si rompe dentro, de-sincronizza dal
tempo esterno, per cui non c’è più futuro, né mattina né sera. Al mattino c’è l’angoscia di affrontare
un’altra giornata senza scopo. E poi il pericolo più grande è sempre quello del suicidio. Possiamo trovare
la depressione in tante altre situazioni: nella vergogna, nei disturbi schizofrenici, nei suicidi su base
impulsiva. Se al counselor capita un depresso deve indirizzarlo ad un buon specialista.
La depressione spesso risponde bene ai farmaci antidepressivi che non sono tanto pesanti dal punto di
vista della tossicità. È chiaro che quanto più si riesce a lavorare sulle cause ed i sentimenti che sono alla
base della depressione, tanto più si guarisce. Altrimenti con la cura farmacologica si esce dall’episodio
per poi ricadervi, perché il problema di base persiste.
Nelle forme di depressione grave uno degli interventi più efficaci è l’elettroshock, che viene tuttora
applicato dalla maggior parte dei medici con formazione organicista, che vedono tutto in funzione
dell’attivazione cerebrale dei neuroni. Il criterio è “se i neuroni non rispondono ai farmaci, bisogna dare
una scossa ai neuroni”. Come dire: se cambiando la pila all’orologio continua a non funzionare, si prova a
prenderlo a martellate per vedere se qualche circuito ritorna un po’ in funzione. L’elettroshock è un
intervento pesante: il paziente viene sottoposto a scariche elettriche profonde che si scaricano nel
cervello, nella colonna vertebrale ed i nervi periferici. In passato l’elettroshock andava a determinare una
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contrattura spasmodica di tutti i muscoli scheletrici (flessori e tensori), procurando spesso delle vere e
proprie fratture ossee. Oggi il problema viene risolto facendo una leggera anestesia – quindi la
respirazione è assistita – dopodiché il paziente viene curarizzato, cioè gli viene somministrato il curaro
che induce una paralisi in modo che la scarica elettrica non provochi contrazioni muscolari.
In alcuni casi dopo sette-otto cicli di elettroshock la depressione si risolve.
Una volta si applicava la pireto-terapia (utilizzando il plasmodio della malaria o altre sostanze) per
procurare eccessi febbrili che potevano provocare convulsioni. Si ricorreva anche allo shock insulinico,
procurato con iniezioni d’insulina di tipo ipoglicemico. Oggi queste due pratiche sono cadute in disuso,
mentre l’elettroshock viene ancora applicato nelle cliniche, soprattutto nei casi in cui non c’è risposta ai
farmaci e nei casi di depressione molto inibita.
Ritengo che i casi di depressione inibita rispondano molto efficacemente alle tecniche di maternage. A
mio avviso queste ultime dovrebbero costituire un settore importante nella formazione dell’operatore
olistico. Gli interventi di maternage consistono nel dare molta presenza e contatto alla persona. Ci sono
varie forme di maternage e le applicazioni sono lunghe. Occorre sapere come usare le mani, entrare in
contatto con le pulsazioni, entrare in sincronia con il respiro, conoscere gli accorgimenti sulla
comunicazione corporea non verbale. È utile fare esperimenti in proposito.
Il trattamento di maternage deve durare dalla mattina alla sera, per cui gli operatori devono darsi il
cambio. Danno risultati incredibili: aiutano la persona ad uscire definitivamente dalla depressione, o
perlomeno sbloccano l’episodio depressivo in maniera non cruenta, ma estremamente accogliente, umana.
È una bellissima esperienza, faticosa ma molto bella, dove la persona si sente estremamente accolta, come
un bambino abbandonato nel mondo che viene raccolto.
Invece nell’elettroshock c’è un’amnesia (procurata dalla scarica elettrica) di tutto quello che ha procurato
la depressione, salvo poi ritornare come prima. Da un certo punto di vista l’elettroshock è anche etico,
perché quando una persona trascorre mesi di depressione, non può più muoversi, resta bloccato, non
risponde a nessun tipo di farmaco e passa la sua vita così, deperendo anche organicamente, in ultima
analisi può essere corretto ricorrere all’elettroshock. In alcuni casi funziona, e non sarebbe da
demonizzare. Ma se ci sono tecniche di accoglienza non solo più umane, ma anche più efficaci, vanno
certamente sviluppate. Il maternage è poco conosciuto, non viene insegnato nelle università né nelle
scuole infermieristiche. In alcuni casi sono riuscito a farlo utilizzare da alcuni infermieri, ottenendo anche
dei risultati.
Siccome la caratteristica della depressione è che ‘il tempo non passa mai’, tutte le tecniche che
contribuiscono ad accelerarlo sono le tecniche allopatiche.
Nelle forme di depressione grave, però, questo non funziona: pur venendo sollecitata, la persona non ce la
fa, perché è proprio la volontà che manca. Anzi, sentendosi sollecitata e non riuscendo a farcela, si sente
anche in colpa e incompresa, e tutto ciò aggrava la depressione. Se quando siamo tristi e un po’ giù di
umore arriva qualcuno che mette musica rock, ci procura fastidio perché non ci sentiamo in sintonia.
Invece se si siede accanto a noi o mette musica soft, delicata, entra nel nostro spazio, nasce una sintonia.
Avviene un cambiamento. Dopo non è più una malinconia disperata, ma diventa un entrare in contatto e
armonizzarsi con l’esterno attraverso il sentimento di depressione. Pertanto, oltre al maternage, tutte le
tecniche di musica, di movimento, di creatività possono aiutare la persona a sintonizzarsi con l’operatore
e con l’esterno. Questo aiuta ad uscire dal tunnel.
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MANIA ED ECCITAMENTO MANIACALE
Nell‘ECCITAMENTO MANIACALE c’è l’innalzamento del tono dell’umore. La persona si sente
allegra, euforica, scherzosa, logorroica, esageratamente piena di energia. Però non è la semplice euforia o
allegria; la persona ha un continuo fluire di idee senza freno come se fosse presa da una corrente, senza
possibilità di controllo. Per questo motivo questi soggetti sono molto disturbanti verso gli altri. Non
riescono a progettare nulla in questo vortice di idee, di parole; spendono tutto facendo regali inutili. Se
qualcuno vuole frenarli diventano aggressivi, si arrabbiano, rispondono male, offendono senza controllare
quello che dicono, esagerano, infastidiscono. Hanno una carica energetica enorme, mangiano molto,
senza limite, la notte dormono pochissimo, sono irascibili (anche se sono meno pericolosi dei depressi).
Passano dalla logorrea alla disporia, all’umore nero. Vengono spesso ricoverati con i ricoveri coatti nei
TSO - Trattamenti Sanitari Obbligatori.
In questo miscuglio di idee, di movimenti, di gesti, vivono come trascinati dal tempo: per loro non c’è né
futuro né passato. Nell’eccitamento maniacale ‘rave’, cioè psicotico, c’è un affaccendamento
improduttivo, a-finalistico, inconcludente. Non riescono a concludere le cose. Tutto questo eccitamento
per non sentire in realtà la profonda sofferenza che c’è sotto.
Poi ci sono gli ECCITAMENTI IPO-MANIACALI, dove c’è un po’ di euforia, ma viene mantenuta la
capacità di rapportarsi all’altro in maniera rispettosa.
Il DEPRESSO non si nota, è tranquillo e passa inosservato; il MANIACO lo si nota subito. Sembra non
essere vero, ma la mania e la depressione sono la stessa cosa. Infatti si parla di psicosi maniacodepressiva, una malattia che è caratterizzata da fasi di depressione (si abbassa il tono dell’umore), fasi di
normalità ed equilibrio affettivo, e fasi di eccitamento.
Nella depressione si ha un rallentamento del tempo, del corpo, delle idee; la depressione è all’impronta
del rallentamento. Ogni tecnica di rallentamento tipo le asana dello yoga o il Tai Chi può entrare in
contatto con gli aspetti depressivi e trasformarli. Anzi, si può dire che la depressione è quasi un tentativo
irrealizzato, inconcluso di modificare il proprio modo di essere per realizzare uno stato di coscienza, uno
stato di essere diverso. Ecco perché utilizzare tecniche analoghe può essere di aiuto.
Nell’eccitamento maniacale si tenta la strada opposta: con le danze estatiche, le danze dionisiache, quelle
guerriere, dove si danza tutta la notte in modo frenetico, e l’energia sale sempre di più fino ad un punto di
rottura mentale in cui si può avere un’esperienza mistica. Nel maniacale succede lo stesso e si ha l’arresto
improvviso che viene definito ‘stupor maniacale’. È l’equivalente di una condizione di estasi, però
realizzata in maniera patologica ed incompleta. Ecco l’analogia: sia la depressione che l’eccitamento
maniacale sono quasi dei tentativi di trasformazione analoghi a tecniche di trasformazione dello stato
mentale, ma realizzato in maniera diversa.
Posso portare l’esempio di un uomo pesantemente sofferente di eccitamento maniacale a cui proposi,
assieme ad un’infermiera, la tecnica ‘dinamica‘ di Osho. Durante la dinamica, venne fuori che l’unica
cosa che gli riusciva bene erano gli urli. Quindi urlammo e saltammo tutti e tre per circa mezz’ora, finché
fu lui stesso a fermarsi e stette bene. Questa esperienza non l’ha guarito definitivamente (ha avuto delle
ricadute alcuni mesi dopo), ma ha prodotto un’interruzione dell’episodio senza ausilii farmacologici. E
questo è interessante, perché si è creata la prescrizione paradossale del sintomo, invece di invitarlo a star
calmo e fermo lo abbiamo incitato ad urlare, facendolo insieme a lui, per cui si è creato un contesto che si
armonizzava con il suo stato e, infine, lo abbiamo aiutato a compiere quel processo che in lui era
spontaneo, quello dell’eccitazione. È una tecnica simile a quella delle danze estatiche o dei tarantolati
che, se portata a termine, porta la persona a realizzare un suo percorso. È una terapia omeopatica, anzi
psico-omeopatica. Mentre con il depresso va bene il maternage o il rapportarsi con musiche calme, con
lui andava bene entrare in questa ‘danza estatica’ comune. Non è semplice, perché bisogna individuare
caso per caso la modalità in base a quello che il paziente sente, e crearla con lui. In questa circostanza,
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creare un contesto in cui ‘urlare insieme’ voleva dire vivere in sé un’esperienza profonda. Chiaramente
non è facile utilizzarlo, è un sistema che richiede strutture adeguate (tipo stanze insonorizzate), ma alla
fine si possono ottenere dei buoni risultati. È importante ricordare che nell’eccitamento maniacale, dietro
la frenesia, il ridere, il parlare incontrollato c’è un fondo di sofferenza e di solitudine profonda.
LA SCHIZOFRENIA: ALLUCINAZIONI E DELIRI
SCHIZOFRENIA per la sua etimologia greca significa mente divisa o mente dissociata. Alla base della
schizofrenia c’è un distacco dalla realtà. Pensiamo al povero animale che si trova in balia di una minaccia
terrificante: non può combattere, non può scappare e ad un certo punto crolla.
Nel mondo di oggi non siamo più nelle condizioni dell’animale primitivo in cui il pericolo era dato dalla
minaccia di un altro animale. È raro trovarsi in queste situazioni, tranne in guerra o per attacchi
terroristici. Quotidianamente, però, viviamo una miriade di micro-minacce: la minaccia dell’esame, la
minaccia del professore, del padre, dei compagni che ci giudicano, del capoufficio. Viviamo i rischi di
non essere compresi, di essere disprezzati, di perdere la stima; sentiamo l’ostilità, la diffidenza, la
vergogna, il rifiuto, l’indifferenza degli altri. Viviamo continui attacchi che ci suscitano rabbia (e quindi
reagiamo), o ci suscitano paura (e allora andiamo in ansia). A volte ci sentiamo tristi, incompresi, soli e
andiamo in depressione; a volte reagiamo facendo gli spiritosi (atteggiamento di tipo maniacale). Queste
manifestazioni in fondo le viviamo tutti, solo che nelle malattie acquisiscono un peso più eclatante. Nella
schizofrenia si staccano i contatti dal mondo reale, un mondo tremendo che ci minaccia, che può essere
anche il frutto di minacce risalenti all’infanzia. E quando i contatti sono staccati - come per l’animale che
crolla di fronte ad un altro animale che lo minaccia - si perde il contatto con la propria mente.
Se l’io non controlla più i pensieri, cosa succede? Cosa succede in un’orchestra se manca il direttore?
Ognuno suona senza ascoltare gli altri, e anziché una sinfonia si realizza una cacofonia di suoni in
conflitto fra loro. Questa è la schizofrenia. Nella schizofrenia abbiamo un’incapacità di entrare in contatto
con gli altri. Il soggetto è chiuso, autistico. Il pensiero è dissociato, le frasi sono sconclusionate, senza
senso. Nelle forme più gravi c’è la cosiddetta SCHIZOFASIA, dove il linguaggio è dissociato. Oppure ci
può essere la cosiddetta PARANIMIA, dove si esprimono le emozioni in contrasto con quel che si
dichiara.
Un altro sintomo tipico della schizofrenia sono le ALLUCINAZIONI, cioè percezioni di oggetti o
situazioni che non esistono e che il soggetto è convinto siano reali (possiamo dire “percezioni senza
oggetto”). Possono essere allucinazioni visive, uditive, tattili, gustative. Le più frequenti sono quelle
uditive. Tipiche sono le voci che commentano le azioni. Come se fosse il pensiero a commentare se
stesso, ma è un pensiero sonorizzato, come se fosse una voce che dice: “Sto camminando, sto parlando...”
oppure sono voci di auto-critica: “Guarda che scemo che sei, guarda che non sei all’altezza” (quindi voci
svalutative, offensive). Oppure si sentono voci che colloquiano fra loro: il buono e il cattivo, l’angelo e il
diavolo, persone che parlano con altre persone. Per il delirante le voci sono sempre esterne e quindi non è
lui che le immagina, ma è qualcuno che lo perseguita: “Mi mandano le voci perché ce l’hanno con me,
perché mi vogliono offendere, perché mi vogliono trattare male.” La persona si sente oppressa e assillata
da queste voci.
Poi ci sono le allucinazioni visive, ma sono più rare (come vedere il diavolo o la Madonna). Oppure
quelle olfattive, in cui si percepiscono odori.
Un altro sintomo tipico della schizofrenia è il DELIRIO. Il delirio è una convinzione errata ma
saldamente radicata nel soggetto, una cosa di cui il soggetto è estremamente convinto, per cui non recede
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né alla critica né alla dimostrazione del contrario. Ad esempio: “Sono angosciato perché tutti gli agenti
della CIA si sono alleati con Putin e il KGB e mi vogliono fare la pelle.” Si vede in qualsiasi situazione e
oggetto una prova del complotto e della persecuzione. E in tutto questo c’è una grande sofferenza.
DISTURBO PARANOIDE o PARANOIA
C’è una differenza tra il DELIRIO PARANOIDE e la SCHIZOFRENIA.
Nella schizofrenia c’è la dissociazione delle idee, paranimia, insalata di parole, chiusura autistica,
comportamenti bizzarri. Lo schizofrenico si nota subito. Nella paranoia c’è un delirio cronico, lucido,
sistematizzato, incistato, in assenza di altri sintomi. Il paranoico, però, ha conservato ancora una buona
struttura della personalità, per cui è difficile individuarlo. È convinto di ciò che pensa e dice, è
difficilissimo smantellarlo.
Sapete quanti paranoici sono fra noi e non ce ne rendiamo conto? Un delirio piuttosto comune è stato il
delirio da Echelon, il satellite che si diceva controllasse tutti i computer. Alcune persone hanno sviluppato
dei deliri su di esso, pensando ad esempio: “Tutte le volte che accendo il computer si mette in contatto
con me, perché sa che io non la penso come Bush. Sicuramente mi hanno individuato, e se io scrivo una
cosa mi perseguiteranno, per cui non posso collegarmi con internet. Dal satellite riescono ad osservare
tutti i miei movimenti.”
Il ricevitore satellitare in automobile in ogni momento dà la posizione in cui si è, la strada da prendere.
Quindi questi deliri si sviluppano con facilità. Una volta c’erano le streghe, i fantasmi, gli agenti segreti; a
seconda del contesto culturale si sviluppavano i deliri persecutori. La PARANOIA è una forma di psicosi,
poiché c’è una alterazione profonda della realtà.
Nella SCHIZOFRENIA ci può essere un delirio di tipo paranoico, ma in genere è meno strutturato.
Mentre un paranoico, durante il counseling, dirà tutto e porterà le prove, lo schizofrenico non sarà così
strutturato. Quindi il paranoico è mentalmente una persona integra, ma con delirio. Al di fuori di questo
delirio (per questo è incistato, come se avesse una ciste del pensiero) è una persona normalissima, spesso
intelligente, brava, di compagnia. Se, però, si va a toccare quel tasto, lo disturba.
È chiaro che il counselor non può prendere un caso di schizofrenia, mentre invece può trattare con un
massaggio un caso di paranoia.
Nel caso del DELIRIO, si fa presto a definirlo ‘giudizio errato di realtà’, ma chi decide che è sbagliato?
D’altronde…pensiamo a come sono nati i santi: qualcuno ha iniziato a dire “Lei ha fatto il miracolo e mi
ha guarito”. I santi sono nati dalle convinzioni che altri hanno avuto di essere stati guariti o miracolati.
Può essere anche vero, ma può essere che io ho conosciuto lei ed il suo contatto mi ha creato un qualcosa
che mi ha fatto star bene. Però se lei è devota alla Chiesa cattolica può essere fatta santa, ma se è dedita
ad altri culti … per la Chiesa cattolica non è più santa. La domanda sarebbe: “È lei che mi ha fatto guarire
o sono io che grazie alla relazione con lei ho attivato un percorso di guarigione in me?”
Quindi è delirio o non è delirio? Il delirio può nascondere altre cose. È chiaro che i deliri nella loro
grossolanità sono evidenti. Una persona può dire: “C’è una trama contro di me, mi vogliono uccidere …
eppure io sono il capo del mondo.” Cosa c’è sotto? C’è il bisogno di dire che valgo qualcosa, il bisogno di
affermare me stesso? I deliri ci parlano, per cui forse se li ascoltiamo seriamente il delirio si destruttura.
Di fronte a un delirio si possono erroneamente tenere due atteggiamenti opposti: uno è quello di
rinforzare il delirio dandogli ragione, l’altro è quello di dargli torto. La via giusta consiste, invece,
nell’accogliere la sofferenza che sta sotto senza entrare nel merito del delirio. Perché il delirio è la
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copertura di qualcosa che sta sotto.
Per esempio di fronte all’affermazione: “La gente ce l’ha con me… vogliono farmi la pelle” il counselor
può rispondere: “Certo che nelle condizioni in cui ti trovi devi sentirti molto angosciato.” E dicendogli
questo non entra nel merito del delirio, non gli dice se ha ragione o torto. Per il delirio non funziona,
quello è un suo mondo, una sua creazione, ma l’angoscia che trasmette è quella con cui si può entrare in
contatto. E la persona si sente accolta nella sua angoscia e non ha più bisogno di usare il suo delirio per
esprimerla. In tal caso si toglie potenza al delirio, in altri casi verrebbe rinforzato.
Il delirio è una costruzione immaginativa per dare un senso alla propria sofferenza. Ma tutti i costrutti
teorici sono così. Quando si dice “Esiste la meditazione, esiste la cosa che do per scontato”, sono
costruzioni della mente. Però è una verità e resta verità fintanto che è condivisa da chi è partecipe di un
certo modo di pensare. Oppure quella costruzione della mente, se è confermata da più persone, diventa
verità. Ma alla fine, è un delirio o è una convinzione culturalmente indotta? Non è un delirio, ma un
costrutto culturale.
Importante è vedere queste cose anche con un po’ di umorismo… non su chi soffre, ma su di noi. Noi
cadiamo in queste cose e non ci rendiamo conto. Quindi è importante avere sempre una buona elasticità
mentale e rendersi conto che le nostre verità non sono assolute, come è importante avere una maggiore
comprensione e accettazione per la verità dell’altro.
AMPLIAMENTI AL RICONOSCIMENTO E TRATTAMENTO DELLE PATOLOGIE
Nitamo Montecucco
Dopo aver ampiamente parlato delle forme patologiche, amplieremo l’argomento con la descrizione di
come si fa a riconoscerle. E una volta riconosciute si può decidere se lavorarci o meno. Aggiungeremo gli
elementi pratici e tecnici della psicopatologia.
Ricordando che - come psicopatologie - indichiamo degli stati “scompensati”, possiamo dire che tutti noi
abbiamo dentro gli elementi dell’ansia, angoscia, fobie, ossessioni, psicosi, nevrosi, compulsioni,
depressione… però riusciamo a compensare. Abbiamo una struttura di sopravvivenza, di identità, di
lavoro, di stabilità che ci permette di vedere questi elementi, percepire il momento di sbilanciamento, ma
anche di superarlo; quindi anche di minimizzarlo. Può capitare di vivere qualche settimana in depressione
o con fobie, ma poi la nostra struttura riesce ad andare oltre. E allora in questi casi non parliamo di
patologia, ma piuttosto di momenti tristi, difficili. Immaginiamo che questi momenti diventino tragici, in
cui una forma che noi abbiamo sperimentato in uno stato leggero (uno stato dove comunque avevamo
un’identità, una struttura che riusciva a contenere questa forza maligna che esplodeva dentro di noi) ora
tenda all’esubero. Non riusciamo più a contenerla, e andiamo in crisi, in un momento “patologico.”
La persona entra in un momento difficile della propria vita, non ha voglia di andare dal proprio medico o
da uno psichiatra o da uno psicologo perché non si sente pazza, ma si rivolge all’operatore/counselor per
un aiuto umano.
I casi più comuni che possono capitare sono le depressioni, che sono state codificate.
Per depressione s’intende un momento di down psico-fisico, dove l’elemento caratteristico è un buco sul
cuore, un buco di amore che porta immediatamente ad un buco più esteso: il senso del valore della vita.
La vita non è più piacevole. Non abbiamo più gioia nel fare le cose, ci chiudiamo, ci introflettiamo.
Quindi la depressione è facilissima da riconoscere anche se la persona non lo dice, perché si presenta
triste, demotivata, svuotata. Il counselor, in modo leggero, può chiedere: “Lei ha qualche momento di
depressione?” E da lì iniziare…
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La depressione colpisce tutti i tipi di persone, in particolare gli orali, dove è anche facilmente intuibile.
Accade a tutte le categorie (ai rigidi, ai masochisti, agli psicopatici…), perché nel caso di un abbandono
tutti possono entrare in un tratto orale. Oppure arriva una defaillance sessuale, economica, un lutto, e si
cade nella depressione, che viene vissuta in modi diversi, con sopportazione o tragicamente. Possono
essere momenti passeggeri e leggeri, o brevi e molto forti, ma comunque il tratto distintivo è un cuore che
soffre. La persona avrà proporzionalmente meno desiderio di vivere. Quelli più sani, che sicuramente
l’operatore può trattare, sono quelli che comunque hanno il cuore aperto.
Non consideriamo la depressione una malattia, ma un momento in cui non stiamo più vivendo la nostra
vita. Possiamo anche vivere una vita falsa, che falsamente ci dà uno scopo, fin quando ‘funziona’ va
benissimo. Ma poi molti vanno in depressione perché si rendono conto di avere ‘indossato’ un
comportamento che non riescono più a sostenere, a gestire, non sanno neanche cosa fare, non sanno dove
andare. Cambiano ma hanno paura, vivono con una tremenda paura per qualsiasi cosa possa succedere.
Il punto critico da focalizzare immediatamente è: la persona ha il cuore aperto?
Nel caso di un depresso, avrà il cuore aperto se piange ed esterna la sua sofferenza; avrà il cuore chiuso se
nasconde e tace.
Se la persona ha un cuore aperto, o comunque sente il cuore, dice che sta male e vuole uscirne, che ha
bisogno di un aiuto, la si può aiutare facendole fare le meditazioni, la respirazione di Atisha per aprire il
cuore. Si può fare qualche massaggio, e ascoltarla per lasciare sciogliere le tensioni.
E tutto ciò con presenza, empatia, meditazione. Si può fare il processo della dis-identificazione, facendo
domande alla persona per farla staccare dal problema, per farglielo vedere dall’esterno.
“Va bene, questo è il tuo problema… ma tu chi sei? Cosa vuoi? Qual è il tuo sogno? Lascia una porta
aperta!” Se c’è un contatto di cuore con la persona - che mantiene un lato positivo e capisce che è malata
ma ha un cuore per uscirne, per cambiare - allora il lavoro è relativamente possibile. Quando invece la
persona ha un cuore chiuso, sta male ma non vuole (né chiede) un aiuto, ma vuole ad esempio solo un
massaggio, è meglio limitarsi al massaggio e non dire altro. Il ‘contratto’ con lei sarà: fare un massaggio
per rilassare la schiena. Se vuole continuare a venire per il massaggio, va bene… e dopo potrà capitare
che si parli della sua depressione. In questo caso si può suggerire alla persona di andare da uno
psicoterapeuta (perché non dire niente potrebbe essere interpretato col fatto che la si può aiutare solo col
massaggio). Non sarebbe un consiglio o una proiezione, ma un gesto tecnicamente doveroso, perchè non
dire nulla è un’omissione di soccorso. Teniamo presente che dalla depressione, se non si trova una
soluzione, si può arrivare alla morte.
La depressione può essere aperta, agevolata in mille maniere. Essenzialmente la depressione è un
momento da cui la persona non ha strumenti per uscire. Alla persona si possono dare questi strumenti…
anche solo suggerendo dei libri da leggere, facendo insieme una meditazione, o suggerendo strutture o
gruppi terapeutici (primal, gruppo sulla paura) che possono aiutare nei problemi di relazione, d’infanzia,
di paura. E si apre così una porta amorevole.
Nella medicina cinese la depressione è ‘vuoto di cuore e milza’ e spesso fegato-reni e primo chakra;
quindi significa che ci sono altri sistemi pieni di energia ma staccati. Il cuore ha una situazione di
grandissimo dolore per mancanza d’amore, ma anche per troppo carico (la persona sarà pletorica, cioè
rossa, paonazza, calda), quindi in depressione in uno stato di pienezza. Ma il cuore come emozione - non
come fisica ed energia - è in spazio di vuoto, gli manca l’amore, gli manca il senso dell’anima. La
depressione è una malattia dell’anima.
Una struttura che invece è estremamente più difficile da vedere e da curare è la sindrome maniacodepressiva. La depressione associata alla mania è la cosiddetta depressione bipolare, che è molto più
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complessa. C’è dietro una serie di traumi molto più articolati. La persona passa ciclicamente da un vuoto
di milza all’eccesso di fegato, quindi da cuore chiuso - che non vive più l’amore - ad un canale maschile
(I-III-IV chakra) iperattivo, con iperattività mentale, fisica, sessuale. Passa da un orale svuotato di energia
ad uno psicopatico in eccesso che si sente padrone del mondo e ne combina di tutti i colori. È molto
difficile da curare, e in questa situazione l’operatore non può entrare, e nemmeno mettere una parola.
BORDERLINE
Roberto Sassone
Il termine significa “linea di confine”. Come si fa a riconoscere un borderline? Bisogna diffidare di una
persona che non è in grado di sostenere lo sguardo, che manifesta continuamente - anche nel suo modo di
pensare - una mancanza di contenuti, vaga col pensiero, oscilla come se non avesse mai un punto fermo,
una chiarezza. È interessante anche vedere quanto gli occhi sono allineati nello sguardo o quanto un
occhio guarda e l’altro no; con un po’ di attenzione si può vedere uno sguardo che non è capace di
convergenza (un indizio di una possibile situazione di borderline).
Il borderline è molto diffuso tra i giovani, e vi è una tendenza sempre maggiore nei nostri ragazzi a
sviluppare una tale personalità, perché il tipo di educazione che in qualche modo passa come educazione
libertaria, in realtà è un tipo di educazione in cui non esistono punti fermi. Il borderline è caratterizzato da
una grossa mancanza di struttura del super io, e non avendo punti fermi tende a oscillare nelle emozioni, a
oscillare nelle scelte, con progetti fumosi. Si scompensa facilmente, non entra in una crisi psicotica vera e
propria ma non ha solidità nelle gambe, è sempre in un equilibrio delicato. È destrutturato, incongruente.
È un giovane che non si impegna in nulla, non concretizza, e non sente l’esigenza di avere una stabilità;
vive senza la proiezione nel futuro, senza immaginare una continuità nella propria vita. È portato alla
droga e a tutte quelle situazioni di vaghezza, senza avere regole, senza un senso di disciplina.
Il rischio del borderline è che può sviluppare una nevrosi di compensazione.
Ricordiamo le strutture caratteriali e proviamo ad immaginare che una struttura del carattere - visibile e
identificabile - non affonda le radici realmente in una storia personale, ma è semplicemente la copertura
per inventarsi una solidità che nasconde invece la rarefazione interiore. I borderline con copertura sono
più pericolosi. Se all’operatore capita, facendo una respirazione profonda o delle tecniche liberatorie e
catartiche, di smontare o creare un varco in questa struttura nevrotica - che però è utilissima, perché
‘contiene’ sotto il nucleo psicotico del borderline - il borderline scoppia. Un soggetto così ha bisogno di
avere un punto fermo. È un soggetto da strutturare, non si può farlo lavorare sulle emozioni, perché è
‘sfrangiato’, e se si potesse vedere l’aura di un borderline la si vedrebbe sfrangiata. Un’indicazione
possibile per questi casi è lavorare su un punto fermo e fare da contenitore (ognuno può farlo a suo
modo). Penso comunque che debba essere seguito da uno psicoterapeuta, perché può essere pericoloso.
Nitamo Montecucco
Ribadiamo il concetto che un operatore-counselor olistico aiuta a sciogliere gli elementi negativi, aiuta
sul lavoro dell’identità, attraverso processi di meditazione e dis-identificazione, ma non va a destrutturare.
Anche il processo di dis-identificazione lo porta avanti lavorando sul positivo, non sul negativo. Non dice
“Molla tutto… così andrai bene” buttando giù la corazza della persona (uno schermo sotto il quale non
c’è nulla), perché questa poi collassa.
Il nostro lavoro consiste nel lavorare sulla parte sana: depurare, disintossicare la mente, le emozioni, ma
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sempre lavorando con estrema delicatezza… e solo quando la persona dice “Sì, voglio, consento, libero
questo pianto.” Solo allora la si ascolta senza spingere a fare, a liberare, perché altrimenti si forza la
destrutturazione di una persona. Magari non è ancora il momento di tirare fuori il pianto. Magari questo
pianto trattenuto ha dentro un dolore così grande che, se si incita a liberare la rabbia e il pianto, crolla il
sistema.
Porto un esempio da cui ho imparato tantissimo, perché è stato un mio errore terapeutico. Una volta è
venuta da me una psicologa. Durante la sessione è venuta fuori la mamma, con sotto una rabbia enorme.
Ed io - sbagliando non solo come counselor ma anche come psicoterapeuta - mentre lei sentiva tutte
queste emozioni a cui non riusciva a reagire, e confidando sul fatto che era psicologa e quindi aveva fatto
un lavoro su di sé, le ho detto di tirare fuori la rabbia, di dire ciò che sentiva per sua madre, spingendola a
liberarsi. Lei ha tirato fuori tutta la rabbia verso sua madre. Dopo era in totale crisi d’identità, non si
ricordava più chi era. È stata 2-3 ore in completa assenza. Quindi aveva una struttura di copertura che io,
spingendo, ho fatto crollare, lasciando emergere una fragilità estrema.
Ora non spingo più, è il paziente che deve arrivare a tirar fuori ‘solo’ quello che sente.
Come già detto, il counselor olistico non cura la crisi di panico o la psicosi; attraverso tecniche dolci aiuta
la persona a rilassarsi, lavora sul positivo e mai sul negativo. Non spinge le emozioni, non formula
consigli sul cambiamento della vita, perché deve essere la persona a farlo. In definitiva, da parte
dell’operatore/counselor, qualsiasi cosa capiti, ci deve essere un’assoluta pulizia. Se una persona dice che
non se la sente, che ha paura, non deve dire “Sì sì… vai avanti e vedi”, ma dovrà dirle: “Fermati… cosa
senti? Di cosa hai paura?” Se è una paura mentale (‘non voglio perché poi faccio tardi per il treno’) si può
andare avanti e aiutare a ‘sciogliere’, ma se è una paura più profonda ci si ferma.
Se durante una meditazione di gruppo una persona va in panico, l’operatore la fa fermare e la fa stare
vicina a lui, oppure la accompagna fuori. Se il gruppo dovesse essere piccolo e la persona troppo
coinvolta, per una volta si può fermare il gruppo e lavorare insieme su una paura.
Ho avuto in Accademia un ragazzo borderline (o piuttosto direi psicotico) che seguivo con attenzione.
Poco dopo l’inizio dell’accademia sua madre lo ha bloccato e lo ha mandato da uno psichiatra che lo ha
imbottito di farmaci. Questo ragazzo è caduto nella psicosi dopo aver fatto un corso (in un centro Osho
nelle Marche) dove non solo gli hanno fatto fare delle respirazioni pesantissime, ma quando lui diceva
“ma no, io sento così”, pur avendo visto palesemente che aveva una struttura di carattere molto rigida, gli
hanno detto che per diventare qualcuno, per avere un ego più forte, doveva fare le respirazioni anche
nell’acqua gelata. Tutto questo lo ha mandato fuori di testa. Gli hanno potenziato quello che la mamma
gli aveva passato.
Se si lavora male con una tecnica si corrono seri rischi. In Accademia non vengono insegnate tecniche
pesanti, ma grande attenzione e contatto empatico. È necessario stabilire sempre un contatto col cuore, e
nel caso non si riesca ad averlo non si lavora. Se poi qualcuno arriva e dice ad esempio: “Sono venuto per
dimagrire”, oppure “Voglio fare un’esperienza perché ho letto una cosa a riguardo”, senza dire chi è
veramente e cosa sente, è meglio non lavorarci. Meglio dire che - prima di ogni cosa - bisogna fare
un’apertura del cuore, avere un contatto diverso. Quando le persone sono resistenti - a volte hanno anche
tutte le ragioni per esserlo perché hanno dei nuclei nevrotici forti o nuclei psicotici controllati - è meglio
non lavorarci. Se invece una persona è in una situazione pessima ma ha un buco sul cuore, è bene aiutarla.
Bisogna dire con chiarezza “Non stiamo curando la patologia, ma stiamo aprendo il cuore.”
Se una persona, durante un massaggio o una respirazione, inizia a fare cose emotivamente strane o
sconnesse, bisogna rallentare o fermarsi, perché verosimilmente non ha una struttura, un super io di
contenimento. Se una persona non guarda negli occhi, oppure lo fa ininterrottamente, la si può portare a
sentire il contatto con il corpo, facendola ‘rientrare’ nel corpo con danze e massaggi.
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Roberto Sassone
Al di là dei segni indicativi, la persona comunemente nevrotica (cioè con una serie di problematiche) non
ha la percezione dello strano o dell’estraneità. Una persona che ha problemi di abbandono, di angoscia che sono poi i problemi di una storia difficile - ma manifesta comunque una normale umanità, cioè una
forma di pensiero identificabile nella comunicazione, si riconosce facilmente.
Invece nei casi sopra accennati, non c’è neanche bisogno di fare una diagnosi, al primo gesto si vede che
quello è “strano”, perché non parla come parlano tutti, non si muove come tutti, non è ‘la persona con la
difficoltà’. È facile notarlo, ci si accorge subito; è lì che deve scattare un campanello d’allarme, a quel
punto ci si chiede se è il caso di prenderlo. Perché prenderlo potrebbe significare entrare in situazioni
delicate e sgradevoli, perché con queste persone si possono creare rapporti molto stretti, e possono
arrivare a chiedere… e poi ad arrabbiarsi se non ‘hanno’, non ‘ricevono’. Ci si può trovare in una spirale
difficile da interrompere. Quindi non bisogna solo chiedersi “Sono in grado di prenderlo?” ma “Vale la
pena di prenderlo?”
Nitamo Montecucco
È un discorso delicato. Qualche anno fa è arrivata una ragazza mandatami da uno psicologo di Firenze,
che mi descriveva una situazione di ossessione, di compulsione. Dopo una mezz’ora di colloquio,
improvvisamente le è scattato qualcosa. Mi ha detto che ne aveva già parlato con lo psicologo e non me
ne voleva parlare. L’ha ripetuto più volte… ovviamente voleva raccontarmela. L’ho invitata ad ascoltare
quello che stava succedendo: stava tirando fuori un elemento pur continuando a dire che non voleva
parlarne. È uscito un delirio, il fatto che lei era cattiva, che la mamma la accusava, che lei non aveva una
vita, aveva fobie anoressiche. Mi ha chiesto col cuore di aiutarla ed io ho accettato. Nel giro di due
sessioni non ho visto miglioramenti, e anzi ho capito perché lo psicologo me l’aveva mandata: tanto più
io cercavo di entrare nel lavoro positivo, tanto più lei tirava fuori l’ossessione di non andare bene, di
essere negativa. Mi accusava di volerla mandare in clinica, mi tempestava di telefonate e se non
rispondevo mi accusava di abbandonarla. Un caso difficile: era in una situazione psicotica, per cui le ho
detto di lavorare in un certo modo, con una certa logica. Sentivo di non avere l’energia giusta per lei; ero
un uomo con una certa energia e forse le occorreva una donna con molta più pazienza e che lavorasse su
tempi più lunghi. Così le ho consigliato di andare in clinica e abbiamo interrotto la psicoterapia.
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RELAZIONI INTERPERSONALI E PERSONALITA’: IL
CONTRIBUTO DELL’ENNEAGRAMMA E DEL DIALOGO
DELLE VOCI
Prof. Enrico Cheli
Vi sono vari metodi per l’analisi delle relazioni interpersonali che in questa sede verranno però solo
accennati, mentre ci soffermeremo su due in particolare: l’enneagramma e il voice dialogue, mettendo a
fuoco alcuni punti su cui essi concordano, pur essendo nati in luoghi ed epoche storiche molto diversi.
Iniziamo dall’Enneagramma, che è storicamente il più antico dei due metodi. Esso fu divulgato in
occidente da Gurdjieff all’inizio del 1900 – prima dunque che fosse elaborato qualsiasi altro modello
psicologico sulla personalità - ma le sue origini sono ben più antiche in quanto sembra che i Sufi già lo
utilizzassero da secoli se non millenni. Tale modello parte da due distinti livelli psicologici: l’essenza e la
personalità e mostra come si passa dall’una all’altra durante l’infanzia. Ci aiuta anche a capire come e
perché differenti personalità entrano in conflitto oppure in armonia. La teoria dell’enneagramma è stata
poi ripresa ed elaborata da autori posteriori a Gurdjieff, in particolare O. Ichazo e C. Naranjo.
Altre teorie sono nate nel XX secolo nell’ambito della psicologia occidentale, grazie ad autori che non
conoscevano l’Enneagramma e che, tuttavia, sono arrivati a conclusioni simili. Tra questi possiamo
ricordare la Psicologia analitica di Jung che mostra come ognuno di noi, durante l’infanzia, sviluppa solo
alcune parti della personalità mentre le altre rimangono in ombra. Alcune parti della nostra essenza
rimangono cioè del tutto inesplorate o addirittura represse e quindi, pur essendo presenti come
potenzialità, non vengono sviluppate e restano inconsce.
Il metodo del Dialogo delle voci parte da questo concetto junghiano, per poi sviluppare il discorso in
maniera molto più dinamica e interpersonale. Secondo tale metodo ognuno di noi ha una personalità
molteplice, cioè composta da varie sub-personalità. Quindi, il mito dell’uomo tutto d’un pezzo, che molti
anni fa era assai sentito in occidente, è del tutto privo di fondamenta. Appena si parla di una personalità
molteplice si pensa, erroneamente, ad una patologia, come nel caso del “Dottor Jeckill e Mister Hide”: la
prima personalità era quella nota e l’altra era la sua ombra. In realtà anche gli individui sani hanno più
sub-personalità, alcune delle quali consapevoli e altre in ombra. L’aspetto psicopatologico nasce nel caso
in cui alcune sub-personalità siano così tanto represse che su di esse si va a concentrare una grandissima
quantità di energia psichica. Il dottor Jeckill viveva nella società vittoriana che era molto repressiva sulla
sessualità, sulla trasgressione. Di conseguenza tutte le energie bloccate andavano a convergere in
un’unica sub-personalità, innescando in tal modo una patologia.
Un'altra patologia spesso causata da un eccesso di repressione è quella dei cosiddetti “indemoniati”, ben
esaminata da Aldous Huxley nel suo libro “I diavoli di Loudun” da cui negli anni ’60 è stato tratto anche
un film diretto da Ken Russel. La storia è incentrata su un convento di suore molte delle quali
manifestano comportamenti da indemoniate. Ciò dipende, secondo Huxley, dal fatto che l’energia
sessuale delle suore, ovviamente repressa, viene attivata dall’arrivo di un giovane prete che le fa
innamorare una dietro l’altra. Poiché non possono ammettere neanche a se stesse di essersi innamorate di
un uomo, le loro forti energie sessuali fuoriescono sotto forma di deliri che vengono interpretati dalla
mentalità dell’epoca come possessioni demoniache: si gettano a terra, si strappano le vesti, si denudano,
dicono oscenità dando così sfogo alla loro sessualità repressa. Era l’unico modo in cui potevano
esprimere questa energia. Quando la repressione è molto forte, l’inconscio cerca delle vie di sfogo che
possono andare in due direzioni: o esprimersi verso l’esterno o retroflettersi contro se stessi. Poiché la
modalità di manifestazione dipende in larga misura dal contesto sociale, fino a tempi recenti l’unico modo
di esprimere quel tipo di energia era svenire o il delirio delle indemoniate.
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L’altra possibilità è di dirigere queste energie contro noi stessi (retroflessione) e questa è una modalità
che sta alla base di molte malattie psicosomatiche. Un organo viene eccessivamente caricato di energia o
indebolito e si crea un corto circuito. Una persona identificata come un/a bravo/a ragazzo/a che ha una
forte rabbia dentro e non può esprimerla, inizierà a manifestarla sotto forma di tensioni muscolari, di
digrignamento dei denti, di tensioni diaframmatiche, che a lungo andare potranno creare delle patologie
fisiche o psichiche, compresi gli attacchi di panico.
Un'essenza tante personalità
Ciò premesso iniziamo a fare un po’ di ordine. Intanto fissiamo il concetto base: la personalità è
molteplice in quanto dentro di noi ci sono tante potenzialità, tante energie diverse, tanti desideri diversi.
Proviamo a immaginare tale molteplicità come tanti semini diversi di una pianta; ognuno di noi ha un
corredo di semi, alcuni sono uguali per tutti - tutti abbiamo la pulsione sessuale, l’istinto di
sopravvivenza, la propensione al contatto con gli altri - mentre altri sono semi peculiari: c’è chi ha più
propensione al movimento motorio, chi ha una propensione artistica o musicale, chi è più di cuore, e chi
più intellettuale etc. Già nei neonati notiamo alcune differenze: c’è chi è più estroverso, chi è più vorace,
chi mangia poco, ma il grosso delle differenze si vede man mano che procede la crescita, perché questo
pacchettino di potenzialità inizia a scontrarsi con il “terreno di coltura” cioè la famiglia e la società in cui
il bambino vive. Non tutti i semi che vengono seminati germogliano. Dipende dal tipo di terreno, da
quanto vengono innaffiati (le emozioni) e da quanto sole (amore consapevole) ricevono. Questi tre fattori
influenzano la crescita dei semi che costituiscono il corredo dell’essenza, ciò che ognuno di noi è,
potenzialmente, al momento della nascita. Le essenze non sono uguali per tutti. I punti comuni validi per
tutti noi sono: la voglia di sopravvivere, il bisogno di dare e ricevere amore, il bisogno del contatto fisico,
il bisogno di interazione sociale.
L’essenza deve confrontarsi con il terreno di coltura, cioè la famiglia e la società in cui viviamo. Quale
cultura predomina nella nostra famiglia: bigotta, atea, comunista, apolitica, rigida, flessibile, impegnata
verso i figli, permissiva? È una famiglia che sostiene i figli? I genitori comunicano il loro amore ai figli?
Glielo fanno sentire? E quanto? Ci sono tanti figli? Più figli ci sono in una famiglia, più l’amore viene
ripartito: una buona regola sarebbe che ci fosse un adulto per ogni bambino, possibilmente attento e
capace di dimostrare amore, perché non basta pensare di amarli, l’amore va dimostrato nei fatti e con le
modalità appropriate a un bambino. Ciò che conta è l’amore che effettivamente si riceve, non le buone
intenzioni dei genitori.
L’amore
Dell’amore occorre sia la quantità giusta sia la qualità appropriata. Iniziamo dalla quantità. Il bambino ha
bisogno di cure e attenzione costanti. Negli orfanotrofi si è vista un’enorme differenza tra bambini toccati
e quelli non toccati dalle infermiere. È importante che il sole irradi parecchie ore al giorno, altrimenti il
bambino non cresce. Ci sono, purtroppo, famiglie troppo numerose che non riescono nemmeno a gestire il
primo figlio che già arriva il secondo. La procreazione consapevole non è soltanto decidere di avere un
figlio, ma chiedersi se è il momento opportuno o se si è in grado di accudirlo oltre che di averlo.
È altrettanto importante la qualità di questo amore, poichè è l’amore di alta qualità che nutre. Molto
spesso noi chiamiamo amore ciò che amore non è, ma è possessività, dipendenza e altro.
Il terreno e la cultura
Il secondo aspetto altrettanto fondamentale è il terreno: è un terreno fertile o ci sono molti sassi (cioè
blocchi, vincoli). In una famiglia iper controllata alcuni semi cadono in terreni non fertili o addirittura
dove c’è del diserbante: “Sta attento, non toccarti lì” oppure “Non fare la femminuccia, non fare il
maschiaccio”. Così si reprimono alcune potenzialità, mentre altre potenzialità non vengono stimolate,
perché non riconosciute per incapacità della famiglia stessa. Se il piccolo Mozart fosse vissuto in una
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famiglia rozza e ignorante non avrebbe avuto quasi certamente alcuna occasione di esprimere il suo
talento. Oltre la cultura della famiglia c’è l’ambiente della scuola, dove il bambino passa molto tempo.
Anche la cultura proposta a scuola fa sì che alcuni lati dell’essenza si trasformino in personalità cosciente
oppure no. Lo stesso vale per i mass-media: i bambini, già a partire dai due anni di età, vedono molti
cartoni animati che sono tutt’altro che neutri. Si pensi a quelli più innocui, come ad esempio ‘Tom e
Jerry’, basati su una lotta continua, un mondo in cui vale la legge del più astuto o del più forte. Sembrano
carini, ma sono altamente diseducativi.
Le emozioni
Infine l’acqua, le emozioni. Supponiamo che il nostro bambino - potenziale Mozart - un bel giorno
trovando un pianoforte in casa - se non c’è il terreno adatto l’acqua è del tutto inutile – inizia a
strimpellare, provando emozioni di sorpresa, meraviglia, entusiasmo. Come reagisce la famiglia? Lo
lascia fare? Lo incoraggia? O invece gli dice che il rumore dà fastidio o che non suona bene?
A seconda dei comportamenti familiari al riguardo, si producono nel bambino emozioni positive o
negative che rinforzano o inibiscono certi tratti e manifestazioni. Ad esempio, quando il bambino fa il
prepotente, quale atteggiamento assumono i genitori? Se gliela danno vinta, per il meccanismo del
rinforzo, quel comportamento tenderà a ripetersi. Se non gliela danno vinta quel comportamento tenderà
gradualmente a scomparire.
È importante chiarire, a margine, che l’aggressività non va considerata a priori negativa; come ogni altra
capacità umana essa è di per sé neutra, e diviene positiva o negativa a seconda di come e in che contesto
viene usata. Aggressività deriva dal latino ‘ad gredior’, dunque significa “andare verso” e in termini
orientali potremmo chiamarla energia yang, attiva, direzionata. Quindi, una certa quantità di energia
aggressiva è importante per difendersi, per far valere le proprie ragioni, mentre in eccesso essa può
divenire distruttiva. Ciò che fa la differenza è il modo in cui sappiamo gestire questa energia. È un modo
consapevole o è un modo automatico? Molte persone hanno paura dell’aggressività, specialmente molte
donne, salvo poi cercarsi un partner forte, sicuro di sé, magari anche un po’ prepotente. In realtà, non è
dell’aggressività che dobbiamo aver paura, ma della nostra (e altrui) incapacità di gestirla. Purtroppo la
cultura dominante non ha mai compreso appieno questa cosa, per cui andiamo avanti per dualismi: o sì o
no. Senza pensare che ogni energia è un continuum tra due poli che, a seconda della situazione, può
essere o non essere appropriata. Nessuna energia è negativa in assoluto. Tutto ciò che esiste nell’essere
umano ha un qualche scopo relativamente a certe situazioni. Se mi stanno per uccidere, la capacità di
contro-aggredire può salvare la vita a me, ai miei figli, ad altri. Una persona allevata in una cultura
quaquera o giainista, altamente contrarie alla aggressività, nel momento del bisogno potrebbe non essere
capace di difendersi per evitare di farsi ammazzare.
Quindi, si entra nel campo del relativismo. A seconda della cultura in cui cresciamo certi tratti possono
esprimersi, non esprimersi o venire repressi. Quelli che possono esprimersi vanno col tempo a costituire
‘la personalità’. In realtà noi impariamo tante modalità diverse. Impariamo in alcune situazioni ad essere
gentili ed accondiscendenti, in altre invece impariamo a picchiare i pugni sul tavolo, in altre ancora
impariamo a proteggerci. Ognuno di noi sviluppa le sue sub-personalità consentite, il suo mazzolino di
fiori, quelli che hanno trovato terreno, luce e acqua.
Poi c’è l’ombra, per usare la terminologia di Jung, o i sé rinnegati nel linguaggio degli Stone (i creatori
del Dialogo delle Voci). I sé rinnegati sono quelli che sono stati repressi volutamente, mentre parleremo
di sé inespressi riferendoci a quelli che non hanno mai avuto l’occasione di germogliare, perchè in
famiglia quella sfera di vita non esisteva e mancava quindi qualsiasi terreno di coltura.
Un modello grafico
Immaginate un ovale diviso in tre aree: l’area superiore contiene i sé non espressi, al centro ci sono quelli
consapevoli, in basso i sé repressi. Tutto l’ovale è l’insieme delle nostre potenzialità, il pacchettino di
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semi di cui ne germogliano sì e no un terzo, quelli al centro; quelli repressi vanno in basso, perché Freud
parlava di sub-conscio al di sotto della consapevolezza. Assagioli e in parte anche Jung parlano di superconscio, al di sopra, che, però, è anch’esso inconscio (non conscio). Quelli in basso sono connotati
negativamente, sono quelle parti di noi che non ci piacciono e di cui ci vergogniamo al punto da averli
rimossi poiché repressi o comunque valutati negativamente nel nostro ambiente familiare. Quelli nell’area
centrale sono i tratti che ci è stato possibile esprimere e coltivare, quelli che la nostra famiglia permetteva
e magari incentivava. Infine i sé nella zona superiore sono neutri (se il potenziale musicista di talento
prima accennato fosse nato in una famiglia contadina, probabilmente non avrebbe ricevuto da essa nessun
giudizio negativo contro la musica, ma semplicemente non avrebbe avuto l’occasione di praticarla); i sé
dell’area superiore sono quelli che in genere ammiriamo negli altri.
Tutto questo ci dice una cosa importantissima: le relazioni interpersonali che abbiamo da adulti sono
un’occasione per riappropriarci delle parti mancanti di noi stessi, che abbiamo perso per strada. Le
persone che troviamo fortemente antipatiche sono un alleato prezioso, perché ci permettono di entrare in
contatto con uno o più sé rinnegati. Analogamente, quando ci innamoriamo di una persona o proviamo
ammirazione per un artista o uno scrittore, dovremmo sapere che essa esprime dei tratti che sono
potenzialmente anche in noi ma che non abbiamo mai scoperto né sviluppato.
Spesso il nostro atteggiamento è di criticare le persone antipatiche e di allontanarci da loro, ma in tal
modo perdiamo l’opportunità di ristabilire il contatto con le parti di noi che quelle persone rispecchiano.
Analogamente, sbagliamo atteggiamento anche verso le persone che ammiriamo, o perché ce ne teniamo
troppo a distanza o perché, pur avvicinandole, ci limitiamo ad ammirarle senza imitarle, mentre sarebbe
corretto chiedersi “Se io ammiro in lui/lei questa qualità significa che da qualche parte è dentro di me. Ho
voglia di andare a cercarla e svilupparla?”
Specie se è un’ammirazione che dura nel tempo ed è molto intensa, è senz’altro un messaggio della nostra
essenza o anima che ci manda a dire di sviluppare questa parte.
Per quanto riguarda i sé rinnegati è l’eccesso di orgoglio che ci fuorvia, mentre relativamente ai sé latenti
è spesso la mancanza di autostima che ci taglia le gambe.
Una persona che ci suscita forti sentimenti negativi potrebbe esserci assai utile per riconoscere e
sviluppare una parte mancante di noi, un sé rinnegato. Il campanello d’allarme dovrebbe scattare con chi
giudichiamo “troppo” negativo, perché grazie al suo troppo ci possiamo accorgere del nostro poco.
L’errore che fanno spesso molte persone è di credere che accettare l’altro comporti divenire come lui, e
ovviamente nessuno vuole diventare tanto negativo. In realtà non occorre assumere dosi massicce di
qualità negative (o presunte tali) ma semmai una dose “omeopatica”, per esempio “egoismo alla 5CH”
oppure “arrivismo alla 10CH”. Ciò stimolerà la giusta dose di quella qualità. Dopodiché lui/lei viene
lasciato al suo destino, ma ci si arricchisce della qualità che è importante per la propria crescita e
benessere.
Se noi adottassimo queste due regole molto semplici non ci sarebbero più guerre, non ci sarebbe più
bisogno di combattere: “ah, ma quelli adorano il falso dio”… Non guasterebbe un pochino di politeismo
nelle religioni monoteiste, come pure un po’ di monoteismo nelle religioni troppo politeiste. Predomina
invece la legge del tutto o niente. Il punto fondamentale è che esistono le gradazioni, e per comprenderle
bisogna avere una mentalità adulta. I bambini non capiscono le gradazioni, che difatti si imparano
crescendo. Purtroppo, molti adulti hanno mentalità per molti versi infantili: non riescono a comprendere
la legge fondamentale dell’armonia, dove due forze opposte, se giustamente miscelate, creano
un’armonia.
Tornando all’ovoide della coscienza, possiamo dire che la mancanza di autostima, l’orgoglio e la paura barriere che noi utilizziamo per dividere la parte conscia dalla parte inconscia - sono le forze che ci
tengono lontani, una volta adulti, dall’interagire in maniera costruttiva con quelle persone che ci
potrebbero far crescere. Tali forze ci impediscono il confronto con il diverso da noi, ci portano a
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disprezzarlo invece di osservare e capire quell’energia. Interpretandola in altro modo, essa ci può servire
per crescere.
In Oriente c’è un detto che suona più o meno così: “Se trovi una persona che ha un potere maggiore del
tuo e tu lo accetti, quel potere diventa tuo.” Quindi, per confrontarsi con qualcuno diverso da noi ci vuole
apertura, disponibilità, coraggio e umiltà, nelle giuste dosi. Inoltre ci vuole intraprendenza e autostima,
bisogna saper osare.
Una delle cose che Gurdjieff ha portato in Occidente è: la legge del tre.
Egli sosteneva che nel nostro mondo sono all’opera tre forze, che lui chiamava santa affermazione, santa
negazione e santa conciliazione. Potremmo chiamarle positiva, negativa e neutralizzante. L’affermazione
è quella maschile, yang. La negazione è il femminile, lo yin. La terza forza è la conciliazione tra le due
parti, come negli atomi. I neutroni sono la conciliazione tra i protoni e gli elettroni che sono opposti e che
da soli si distruggerebbero o si allontanerebbero, mentre grazie ai neutroni riescono a convivere. Nei
rapporti interpersonali la terza forza, o conciliazione, si chiama amore consapevole.
L’Enneagramma come tipologia di personalità
A questo punto torniamo all’Enneagramma da cui siamo partiti. Esso è uno schema grafico che si basa sia
sulla legge del 3 sia sulla legge del 7 (o legge dell’ottava); tale schema si può applicare a una molteplicità
di fenomeni, tra cui la personalità. In tal caso si chiamerà enneagramma della personalità. Anche se le
persone sono l’una diversa dall’altra, si riscontrano tra loro delle somiglianze, che possono dar luogo a un
raggruppamento per tipi. L’Enneagramma - ennea/nove e gramma/grafico - propone una suddivisione
delle personalità in nove tipologie principali: dal tipo 1 al tipo 9. Ognuna di queste tipologie ha
un’ulteriore suddivisione in tre sub-tipologie (sottotipi). Quindi, in tutto si ottengono 27 possibilità.
Ogni tipologia principale (dall’1 al 9) può articolarsi in tre sottotipi: conservativo, sociale o sessuale.
Quindi, 9 tipi principali x 3 sottotipi = 27 complessivi. Adottando questa semplice griglia siamo in grado
di classificare tutti i tipi, naturalmente non perfettamente (nel senso che comunque ogni tipologia è
sempre una approssimazione), ma sufficientemente da poterne capire e prevedere il comportamento.
Se un individuo è totalmente identificato in un tipo esclude dalla manifestazione esterna gli altri otto tipi.
Il presupposto di una sana crescita dell’essere umano è che sia in grado di muoversi in tutti e nove i tipi,
pur avendone uno come predominante, che non sia ostacolato e che possa, all’occorrenza, esprimere
anche le caratteristiche degli altri otto tipi. Quanto più una persona è rigida, quanto più è tutta d’un pezzo
e si identifica in uno solo dei nove enneatipi, tanto più è patologica. Sta male e fa star male tutti gli altri.
La crescita avviene in primo luogo aprendosi agli altri enneatipi e facendoli propri, quindi
disidentificandosi da qualsivoglia personalità.
L’Enneagramma è rappresentato graficamente in una stella a nove punte inscritta in un cerchio. Ogni
vertice o punta rappresenta un enneatipo. La numerazione è in senso orario dove il 9 si trova a
mezzogiorno.
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Secondo alcuni autori, gli enneatipi sarebbero a loro volta raggruppabili in tre macroaree: i soggetti che
hanno un orientamento più emozionale, i soggetti più intellettuali ed i soggetti più corporei.
I tipi 2, 3 e 4 sono quelli più emozionali; i tipi 5, 6 e 7 sono quelli più intellettuali (più freddi e distaccati);
i tipi 8, 9 e 1 sono quelli più viscerali.
Cerchiamo di capire il cuore di questo modello che, a mio avviso, è molto utile per alcune cose e molto
limitato per altre. Intanto, abbiamo detto che quanto più una persona si colloca su uno solo dei punti,
tanto più è rigida e tanto più è patologica.
Una volta individuato a quale enneatipo la persona appartiene, bisognerebbe poi capire quanto è rigido,
oppure se nella sua vita permette anche la manifestazione di caratteristiche che appartengono agli altri
enneatipi. Per esempio il tipo 1 è un tipo molto serio, ha valori molto fermi, è conservatore, però può
essere un 1 flessibile o un 1 rigido. Se è un 1 flessibile si permetterà, ad esempio, alcune manifestazioni
tipiche del tipo 7 (sul grafico della stella a nove punte c’è una linea che collega la punta 1 con la punta
7). Le frecce del punto 1 e 7 si collegano anche con il punto 4, formando un triangolo. Nel momento in
cui il n. 1 si apre un po’, le direzioni in cui gli è più facile muoversi sono il 7 e il 4. Quindi, già da un 1
imperniato su se stesso all’1 che inizia ad oscillare sul 7 e sul 4, inizia il processo di crescita che, però,
non basta.
Diamo adesso qualche cenno sulle caratteristiche principali di ciascun enneatipo. Ad esempio: l’8 è il
capo, è quello che vuole essere sempre dominante, quello che in tutti i contesti deve comandare, deve
essere al centro dell’attenzione, spesso è piuttosto autoritario, non ammette critiche. Il 4, il 5 e un po’ il 6
sono i tipi più introversi dell’enneagramma, ma lo sono in modi diversi. Il 5 è un introverso sfuggente che
non entra mai in relazione, rimane piuttosto in superficie. Il 4 è un introverso che manifesta, ma la sua
estroversione è solo per lamentarsi. Il 6 è meno sfuggente del 5 e talvolta può sembrare anche gioviale,
ma raramente esterna ciò che veramente pensa e sente, limitando la propria estroversione a contenuti
superficiali che non lo espongono. Il 7 è, invece, un estroverso per eccellenza, anche se un po’
superficiale o inconcludente. Anche il 2 è molto estroverso e così il 3.
Nessun enneatipo è di per sé migliore o peggiore degli altri. Tutto dipende dal grado di evoluzione.
Quanto più è evoluto tanto maggiore sarà la presenza di caratteristiche degli altri otto enneatipi nella sua
manifestazione esterna. Pian piano ogni individuo, sul cammino del risveglio interiore, dovrebbe allargare
le sue manifestazioni a tutti i numeri del cerchio, in modo da raggiungere una personalità integrata (per
ulteriori approfondimenti rimando al mio libro Percorsi di consapevolezza (Xenia edizioni).
Le persone che lavorano su se stesse, è improbabile che siano un enneatipo rigido e tutto d’un pezzo,
perché il percorso di crescita, se ben condotto, tende proprio ad allargare i propri orizzonti e ad integrare i
lati mancanti.
Ogni enneatipo presenta in genere qualche caratteristica dei due enneatipi adiacenti, che vengono
considerati come sue “ali”. Per esempio le ali del n. 8 sono il 7 e il 9. Quindi, se consideriamo che ogni
enneatipo ha due ali e due frecce, possiamo dire che il comportamento di ciascun individuo, a seconda
della situazione, potrà oscillare su cinque diverse manifestazioni. Quello che conta è la modalità di
gestione di questa oscillazione: è un’oscillazione consapevole oppure meccanica? Sono io che scelgo di
adottare un certo stile o è lo stile che adotta me, perché in quella certa situazione scatta un automatismo
incontrollato? Su questo l’enneagramma non dice molto mentre, come vedremo, il Dialogo delle Voci è
molto utile.
L’utilità dell’Enneagramma dipende da chi lo usa e come lo usa. Se una persona lavora solo
sull’Enneagramma - e di specialisti oggi ce ne sono veramente pochi - la sua utilità è soltanto quella
diagnostica. Se, invece, alle potenzialità diagnostiche dell’enneagramma si abbina uno strumento di
intervento psicoterapeutico, come ad esempio la gestalt o il voice dialogue, si ottiene un modello
integrato assai potente. Il counselor legge l’enneagramma come diagnosi e poi, a seconda del lavoro da
fare, orienta la persona ad uno specialista o ad un gruppo tenendo sempre presente che bisogna lavorare
sulle cose in difetto, sviluppandole, e su quelle in eccesso, limandole.
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Gurdjieff: essenza e personalità
Riprendendo la terminologia che usava Gurdjieff e che in qualche modo appartiene all’enneagramma,
parliamo di essenza e di personalità. L’essenza è la nostra anima, la nostra parte spirituale prima di
rivestirsi di questo involucro che è la personalità che dipende dalla famiglia, dalla cultura, dal terreno.
Naturalmente una personalità è necessaria e non ne possiamo fare a meno. Alcune tradizioni spirituali la
chiamano semplicemente Ego e sostengono che “Bisogna uccidere l’ego, bisogna fare a meno dell’ego” il
che vuol dire che bisogna eliminare la personalità. Secondo me, queste espressioni sono fuorvianti. Per
prima cosa, non si tratta di uccidere nessuno, se abbiamo una personalità ci dobbiamo fare i conti per tutta
la vita. Ciò che possiamo fare è renderla più fluida, più integrata e più ampia. Secondo, per uccidere
qualcosa bisogna averlo. La maggior parte delle persone non ha un vero e proprio ego, ma dei pezzettini
di ego frammentati e incomunicanti tra loro. Quindi, prima di uccidere l’ego bisogna averlo: prima di
poter fare a meno della personalità bisogna avere una personalità abbastanza forte, sicura e salda da
permetterci anche l’atto di coraggio di metterci a confronto. Se io so di avere una personalità solida,
salda, che mi protegge, posso anche avere il coraggio di farne a meno. Se, però, sono insicuro e poco
protetto, non posso fare a meno della personalità poiché essa è come una corazza che mi protegge
dall’esterno, dagli altri e dai miei stessi comportamenti. Purtroppo si tratta di una corazza che ci difende,
ma ci impedisce anche molti “movimenti”, ci fa fare un giro più largo, esattamente quello che facciamo
comunemente quando ci rapportiamo agli altri. Ad esempio invece di dire: “Io vorrei passare un po’ di
tempo con te, perché mi sei simpatica e perché con te sto bene”, per insicurezza e vergogna si inizia a fare
dei “giri allargati”. Gurdjieff lo chiamava “cercare mezzogiorno alle tre”. Facendo giri larghi i messaggi
non sono diretti e l’altro, a sua volta, li riceve sulla propria corazza che li filtra. Ecco che la
comunicazione si altera a tal punto da creare una commedia degli equivoci. Le nostre relazioni sono tutte
una commedia degli equivoci e solo raramente ci esprimiamo in maniera diretta.
Vi faccio un esempio. Prendiamo l’enneatipo 2 che ha come caratteristica principale quella di essere
molto generoso, di donare. In realtà è un meccanismo attraverso il quale il tipo 2 cerca di ricevere.
L’enneatipo 2, come tutti, ha bisogno di amore: lo vuole dare e lo vuole anche ricevere. Nel darlo non ha
problemi, ma per riceverlo come fa a chiederlo? Ognuno dei nove enneatipi ha sviluppato una sua
strategia per “cercare mezzogiorno alle tre”. L’enneatipo 2 ha sviluppato questa strategia: “Io voglio
amore da te, cosa faccio? Ti do per primo il mio amore sperando che così tu contraccambi.” Di solito
l’enneatipo 2 si trova dei partner a cui dà e loro sono felicissimi di tutto questo amore che gli arriva e non
pensano minimamente di restituirglielo, perché la loro strategia prevede un’altra strada. Se questa persona
chiedesse esplicitamente “voglio il tuo amore”, l’altro risponderebbe “sì, posso/voglio dartelo” oppure
“no, non te lo posso/voglio dare”. Facendo, invece, il giro largo non si sa. Può soltanto fare delle
supposizioni interpretando secondo il proprio modo di vedere. Magari pensa secondo un meccanismo del
tipo “tutto mi è dovuto” che è il modo attraverso il quale una persona si difende dalla carenza d’amore. Si
crea una relazione rigida dove uno è sempre nel dare e l’altro sempre nel prendere. A lungo andare quello
che dà si stufa e allora o dà ancora di più pensando di non dare abbastanza, oppure se ne va. Il partner del
2, a sua volta, non vuole solo prendere ma anche dare, però non riesce a farlo, perché con uno che è così
esageratamente generoso non riesce ad inserirsi. Alla fine sono entrambi scontenti.
Non entrerò nelle dinamiche dei vari tipi, l’importante è ricordare che ognuno di noi, in funzione della
personalità che ha, distorce sia i messaggi che riceve sia i messaggi che emette. Come mai avviene
questo? Fondamentalmente per due motivi: primo, perché da bambini non abbiamo ricevuto abbastanza
amore e, secondo, perché al posto dell’amore abbiamo ricevuto molta disapprovazione. Questo è un po’ il
peccato originale: tutti noi nasciamo in un contesto deprivato d’amore, perché i nostri genitori non sanno
amare, perché a loro volta non sono stati amati. È una catena che si perde nella notte dei tempi. Pensate
che la civiltà odierna è forse la prima in cui i genitori iniziano ad esprimere un po’ d’amore verso i propri
figli. Fino a cinquant’anni fa non c’era spazio per l’amore, non era previsto dalla cultura, c’era solo
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l’educazione repressiva, severa, autoritaria. È un percorso storico che è iniziato a partire dal ‘700, ma se
ne sono cominciati a vedere i frutti dagli anni ’50, ’60 del secolo scorso. Lo spartiacque è, secondo me,
tra la fine della seconda guerra mondiale ed i primi anni ’50, e non è uguale per tutti ma a seconda delle
zone geografiche. Se prendiamo mille persone nate negli anni ’40 e mille persone nate negli anni ’50
troviamo un abisso di centinaia di anni!
Inoltre, con la controcultura degli anni ’60 sono stati scardinati i modelli autoritari sia a scuola sia in
famiglia. In effetti, il modello autoritario era non solo antidemocratico ma non funzionava più. Tuttavia
non è stato sostituito da un modello equilibrato ma siamo andati all’estremo opposto, dall’autoritarismo al
permissivismo che è altrettanto nocivo, perché i bambini hanno bisogno di una guida che non sia rigida e
autoritaria ma che non rinunci al ruolo di guida. Il permissivismo, in realtà, è una non-guida: quando il
genitore permette al figlio di fare qualsiasi cosa e non lo indirizza, lo manda allo sbando. Il bambino si
sente non amato sia con genitori severi sia con genitori permissivi. È chiaro che il figlio di genitori
autoritari ha un certo tipo di comportamento (iperadattato), mentre il figlio di genitori permissivi ne ha
uno apparentemente opposto (piccoli tiranni) ma in realtà la causa è sempre la mancanza d’amore. Poiché
la risposta giusta è sempre nel mezzo e occorre trovare un punto d’incontro fra autorità e permissività. Il
punto d’incontro ce lo dà la terza forza, che nel “Voice Dialogue” si chiama ego consapevole, cioè la
capacità di scegliere consapevolmente valutando la situazione. L’ego consapevole è in grado di
comprendere la situazione in cui si trova, la persona o le persone con cui è in relazione, per poi scegliere
la modalità migliore tra quelle possedute. Non che l’ego consapevole sia infallibile, però sceglie a ragion
veduta e non sulla base di automatismi o proiezioni.
Quando diciamo che la prerogativa umana è il libero arbitrio, ci dimentichiamo che la maggior parte delle
persone non è in grado di esercitare questa capacità. Il libero arbitrio non è un qualcosa che abbiamo per
nascita, è qualcosa che dobbiamo sviluppare e ciò dipende dalla consapevolezza. Se non siamo
consapevoli non siamo liberi di scegliere. Quando la persona sa di avere tre possibilità, conosce effetti e
conseguenze di ognuna, opera una scelta e lo fa liberamente. Tutt’al più potrebbe sbagliare, però se ha
sbagliato in maniera consapevole tornerà indietro e sceglierà una delle altre due alternative. Se, invece, si
muove per automatismi continuerà sempre a sbagliare, perché la persona che non sceglie
consapevolmente e non valuta la situazione prima di agire, non la valuta nemmeno dopo aver agito.
Quindi, una persona consapevole valuta tutte le possibilità per poi sceglierne una; la persona
inconsapevole ha semplicemente una sola risposta ed è sempre quella. “Due persone sposate devono fare
così, non possono fare cosà” oppure “Un bravo studente non deve comportarsi così”, “Un bravo figlio
deve agire così”. Questo è l’insegnamento alla meccanicità. Se da bambini non veniamo allenati alla
consapevolezza e, quindi, ad esercitare la capacità di scelta, da adulti saremo degli automi.
Apparentemente sembriamo liberi, ma non è così. Di solito una persona di ampia cultura è un po’ più
elastica di una persona di bassa cultura. Però, non è l’unica variabile in gioco.
Il nucleo base: essere riconosciuti per quello che siamo
Ritorniamo al nostro nucleo base, cioè il nostro bisogno di essere amati: esso implica anche il bisogno di
essere riconosciuti per quello che siamo. Da bambini nasciamo con una certa essenza, con un pacchettino
di semi, e vorremmo che questa essenza fosse riconosciuta. Invece, come abbiamo visto, la famiglia ne
riconosce solo una parte, un’altra parte non la riconosce e una terza parte la disprezza e la reprime. Questa
è già una ferita profonda ed è questa ferita che ci porta, secondo Hal e Sidra Stone, a creare la personalità.
La personalità viene così a strutturarsi in due blocchi:
- alcuni sé ritenuti positivi dall’ambiente familiare e sociale di appartenenza vengono sviluppati fino a
divenire “sé primari”, quelli in cui la persona si identificherà;
- altri sé invece, giudicati negativamente dall’ambiente familiare e sociale di appartenenza o per i quali
non vi è terreno di coltura, verranno rimossi (sé rinnegati) o mai sviluppati (sé latenti) e finiranno
rispettivamente in cantina o in soffitta. Questa scissione nasce dal bisogno di protezione, perché a
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nessuno piace sentire la disapprovazione, tanto più dei propri genitori e quindi ciascun bambino tende a
enfatizzare i tratti approvati e a nascondere quelli disapprovati.
Il primo sé che noi sviluppiamo è, secondo gli Stone, il “protettore/controllore”. Sono proprio le prime
ferite che riceviamo a spingerci a sviluppare una sub-personalità che ci protegga da ulteriori ferite. Come
fa a proteggerci? Evitando quei comportamenti che vengono sanzionati dalla famiglia, dalla scuola, ecc.
e, invece, rinforzando quelli che vengono premiati. Dal momento che in alcune famiglie vengono
premiati alcuni comportamenti e in altre famiglie vengono premiati altri, gli individui sono diversi tra
loro. Alcune famiglie sono severe, altre sono permissive. Magari sono severe e disordinate, per cui il
disordine in casa loro non è una cosa negativa. Nell’altra famiglia permissiva, invece, si può far tutto ma
non il disordine. Così si innestano aspetti su aspetti che danno un mix di tipologie. E così già a due/tre
anni di età si forma il controllore/protettore che inizia a dire: “questo sì e questo no” e inizia a creare la
distinzione tra tratti permessi e aspetti repressi. Nel corso degli anni questo “protettore” formerà la
personalità, in funzione dell’ambiente in cui il soggetto vive. Nessuno di noi è stupido, ognuno anche da
piccolo ha ben presente il concetto di rinforzo e punizione. Se metto in atto un certo comportamento,
ricevo un premio o una punizione? Funziona o non funziona per avere più amore e più considerazione?
Il problema sorge quando abbiamo strutturato una certa personalità che funziona nella propria famiglia
ma non funziona altrettanto bene in altri contesti.
Iniziamo una relazione con una persona che viene da un altro contesto e tutte le strategie che
funzionavano nella propria famiglia saltano. Oppure ci troviamo in un ambiente di lavoro con colleghi
con i quali quel tipo di strategia non funziona e questo ci mette in discussione, ci manda in crisi, per cui o
diamo loro la colpa o rivediamo le nostre strategie. Ci accorgiamo che quelle strategie vanno bene
solamente in certe situazioni. Comunque è bene che noi troviamo degli attriti, perché se dopo essere
cresciuti ci trovassimo amici, colleghi e partner più o meno identici a nostro padre o nostra madre
saremmo forse sereni, però non arriveremmo mai al nucleo di ciò che siamo. Avremmo una situazione
priva di conflitti, ma anche priva di crescita.
Tra tutte, le relazioni di coppia sono quelle che più mettono in discussione l’ego, grazie alla forza
dell’innamoramento che ci costringe a confrontarci a fondo e a lungo con una persona diversa da noi,
spesso molto diversa. L’innamoramento è proprio una forza che ci fa sentire attrazione per il
simile/diverso da noi, perché una persona solo simile può diventare nostro amico, ma raramente nostro
amante.
Ho una mia teoria sull’innamoramento e cioè che ci si innamora delle persone che in qualche modo ci
possono permettere di entrare in contatto con le nostre energie represse. E visto che questo contatto è
doloroso, solo se è compensato da una forte attrazione noi rimarremo in contatto con quella persona.
Altrimenti, se non ci fosse quell’attrazione che noi chiamiamo innamoramento, dopo pochissimo tempo ci
divideremmo. Quindi, il dolore ed il confronto con la diversità è in parte compensato dall’attrazione, dalla
sessualità, dal piacere di stare insieme. È sì doloroso, ma ha anche dei ritorni. Quando il dolore è troppo,
la relazione si rompe. Alle volte quando il dolore è troppo può far soffrire anche dopo la rottura della
relazione.
Ognuno deve saper scegliere la propria dose di sopportazione. La relazione che non porta dolore non
porta nemmeno crescita e nemmeno molto piacere. Tutti noi sappiamo, per le nostre esperienze amorose
passate, che una storia intensa, dai sapori forti, inevitabilmente porta anche dolore. È un gioco di dosi,
come per il piccante: se è troppo poco non si sente, se è troppo brucia. Ci vuole la dose giusta.
Non va bene né la storia straziante, quella passionale di grandi travolgimenti ma anche di dolore
insostenibile, né la storia tranquilla, tutta armoniosa della coppia felice che non litiga mai. Ritengo che
quest’ultima sia una coppia di poca crescita e di poco piacere; non va bene dal punto di vista evolutivo.
Dal momento che siamo parte di un processo che va al di là di noi - un processo di evoluzione - che lo
vogliamo o no, abbiamo questa spinta all’evoluzione. Entro certi limiti la possiamo anche decidere noi,
243
entro altri limiti no. Se la ostacoliamo del tutto, moriamo.
Ci sono persone che sembrano vive, ma in realtà non lo sono; anche se oggi, almeno in occidente, c’è una
grande apertura emozionale e relazionale. In modi diversi molte persone sono in contatto con questa
energia di crescita e di cambiamento, ma sono sempre pochi coloro che la cercano veramente,
attivamente. La maggior parte la subisce, perché l’ideale è avere un’esistenza tranquilla e felice.
Tranquillità e felicità non necessariamente vanno d’accordo. Realizzante, ma non conflittuale: non c’è
realizzazione se non si affrontano i conflitti.
Il fatto che non siamo realizzati dipende dall’avere delle forze in conflitto dentro di noi, conflitto che da
piccoli abbiamo creduto di risolvere rinchiudendo una parte delle nostre sub-personalità in cantina e
vivendo solo l’altra parte. In realtà tutte le nostre forze, tutte le nostre energie, le nostre qualità hanno un
polo positivo e un polo negativo e quindi contengono in sé dei potenziali conflitti. Il disordine non ha
senso senza l’ordine, la promiscuità non ha senso senza la fedeltà, il piacere non ha senso senza il dolore.
Tutte queste cose sono in realtà dei continuum tra due polarità. Per essere sani e stare bene occorre stare
nel mezzo, in equilibrio fra gli opposti, ma questo equilibrio non è facile da conseguire e non si raggiunge
una volta per tutte. È un equilibrio dinamico che dobbiamo mantenere ogni volta in ogni situazione, in
ogni momento della nostra vita, perché domani non sarà uguale ad oggi. L’esistenza ci metterà di fronte a
situazioni sempre diverse, perché noi siamo diversi e quindi dobbiamo adattarci continuamente. Non
bisogna fermarsi mai.
Il comportamento della persona sana è fluido, mentre la persona non sana si distingue per la rigidità; ad
esempio la nevrosi può essere considerata una fissazione su uno o più momenti brutti: può trattarsi di un
trauma episodico, come riteneva Freud, o di un lungo periodo sofferto, come ritiene invece la psicoterapia
più moderna. Tuttavia è patologico anche l’essere fissati su momenti belli della propria vita, poiché essi
sono comunque passati e se continuiamo a stare in attesa che si verifichino ancora tali e quali, perdiamo
la possibilità di sperimentare nuove possibilità, nuove esperienze, anch’esse positive ma diverse da quelle
passate. Sia nell’uno che nell’altro caso non si vive il presente, anzi, lo si vive male perché si ricrea il
ricordo del momento del passato. Dobbiamo comprendere semplicemente che siamo il frutto di tutto il
dolore e di tutto il piacere che abbiamo provato, tutti e due ci hanno aiutato ad essere quello che siamo,
tutti e due sono necessari. La domanda chiave in tali casi è: “Vuoi rimanere attaccato a quella sofferenza
oppure cerchi di sbloccarti? Vuoi rimanere fissato su quel momento bello ma passato oppure aprirti al
nuovo?”
A questo proposito il “Voice Dialogue” è veramente magistrale. È la teoria psicologica che più si
avvicina a questo ideale di armonia e di equilibrio. Innanzitutto per essa non esiste un solo polo, ma esiste
anche il polo opposto. “A me piace molto il mio compagno per la sua forza maschile, la sua virilità, però
mi fa paura la sua aggressività, la sua immodestia, la sua presunzione”. Questa persona sta dicendo che di
questa polarità unica apprezza solo una parte. Queste forze vanno insieme. Non è possibile che una
persona sia forte e sicura di sé, ma che non abbia al contempo anche un’aggressività. Non sta nella natura
delle cose. Nel momento in cui la persona comprende che questi due gruppi di qualità stanno insieme
inscindibilmente, e sono manifestazioni diverse di un unico continuum energetico, inizia a sviluppare un
diverso atteggiamento. Inizia a capire che il problema è suo, che dentro di sé ha spezzato in un momento
della sua infanzia questo continuum, una parte l’ha accettata e un’altra l’ha repressa. Occorre reintegrare
la dualità. Integrarla vuol dire, per esempio, unire il maschile e il femminile che sono due macrocategorie. Così come non esiste il coraggio senza la paura. Se comprendiamo che non esiste l’una senza
l’altra, le integriamo dentro di noi.
Entrare in questa dinamica vuol dire pian piano riabilitare quelle parti di noi che abbiamo tagliato via.
Vedendole negli altri ci è più facile. Per fare questo lavoro occorre un ego consapevole. Per arrivare
all’ego consapevole occorre la visione lucida, cioè il testimone.
244
La meditazione è una metodologia attraverso la quale si impara ad allenare la consapevolezza. Prima di
tutto la consapevolezza di sé, il che vuol dire stare in silenzio ad occhi chiusi e sentire il respiro (la
meditazione Vipassana). È un esercizio in cui si allena la propria capacità di essere consapevole, si presta
attenzione alle sensazioni fisiche che il respiro produce all’interno. È molto semplice.
In questo momento state seduti, ma non avete consapevolezza dell’esser seduto. Solo adesso, dopo che vi
ci ho portato l’attenzione, vi rendete conto del corpo che appoggia sulla sedia e dei piedi a contatto col
pavimento. Ovviamente non si può essere sempre consapevoli su tutto. In questo momento la vostra
attenzione è focalizzata sulle mie parole, per cui il 90% è sul sistema uditivo, il 10% sul sistema visivo e
tutto il resto è fuori.
La meditazione insegna ad allenare la consapevolezza, a dirigerla intenzionalmente prima sulle sensazioni
corporee, poi su quelle emozionali, poi su quelle energetiche o sottili, e infine su quelle interpersonali.
Di solito la meditazione orientale si ferma all’interiorità dell’individuo, le relazioni non vengono
considerate. Quindi, anche la spiritualità orientale ha dei grossi limiti, perché noi viviamo in un mondo di
relazioni. Tuttavia è vero che non possiamo essere consapevoli della relazione se non siamo consapevoli
di noi stessi. Si deve iniziare da se stessi, poi però dobbiamo estendere la sfera della nostra
consapevolezza anche all’altro, pena il chiudersi in uno sterile individualismo da asceti che forse poteva
avere un senso in passato ma certo non oggi. Man mano che diventiamo più consapevoli delle nostre
sensazioni, delle nostre emozioni, dei nostri comportamenti, ci rendiamo meglio conto dei modi in cui
parliamo all’altro, dei nostri sguardi, insomma della comunicazione verbale e non verbale. E non solo,
occorre anche essere consapevoli dei vari stati emozionali che attraversiamo durante l’interazione con
l’altro. Se ad esempio siamo arrabbiati, probabilmente nel dire una cosa, butteremo involontariamente un
po’ di rabbia sull’altro. Se ne siamo consapevoli possiamo rimediare, scusandoci; se siamo ancora più
consapevoli possiamo addirittura riuscire a prevenire alla fonte il possibile problema.
Ho conosciuto molte persone che fanno meditazione da 20-30 anni e nella relazione sono degli analfabeti
totali, perché si sono chiusi in se stessi. La meditazione è diventata un bozzolo, un guscio protettivo, una
concezione della spiritualità in cui il rapporto è fra se stesso e dio, incurante degli altri. Non è così.
Una volta che abbiamo sviluppato una buona consapevolezza di noi stessi (corpo, mente, emozioni),
entrando in relazione arriva una nuova forma di consapevolezza, la consapevolezza dell’altro. Occorre
osservare l’altro, ascoltarlo, sentirlo emozionalmente. Per esempio parlando con una persona, captiamo
per empatia la sua difesa attraverso un segnale che arriva dallo stomaco. Guardandola negli occhi,
vediamo che ha cambiato espressione. La domanda può essere: “Ho detto qualcosa che ti ha ferito?” E lì
si affronta la situazione.
Ci sono corsi sulla comunicazione interpersonale che sono del tutto inefficaci, perché partono dalla
consapevolezza dell’altro senza pensare che a nulla serve se prima non si ha una consapevolezza di se
stessi. Tutto viene filtrato dalla propria interpretazione. Il giusto è nel mezzo: né troppo sull’altro come in
occidente, perché da noi siamo molto nel sociale, né troppo su se stessi come in oriente.
Da anni sentiamo parlare di pace. È inutile parlarne tanto se prima non la creiamo dentro di noi; ma è
altrettanto vero che, come accade in Oriente, non va bene dedicarsi solo a se stessi senza curarsi
dell’esterno. Sono necessari entrambi i poli: io e l’altro. La meditazione aiuta ad entrare in contatto con se
stessi e poi ad entrare nella relazione.
Occorre, quindi, sviluppare la capacità di essere testimoni, che nel Voice Dialogue si chiama Visione
Lucida. In questa, la consapevolezza è nella meditazione e poi la consapevolezza nella relazione. Quanto
più noi esercitiamo questa capacità, tanto più l’ego consapevole si forma e si struttura. Bisogna
distinguere bene fra consapevolezza ed ego consapevole. La consapevolezza è la qualità in gioco, l’ego
consapevole è il modo in cui questa energia si cristallizza e diventa stabile. All’inizio una persona che fa
meditazione può anche sperimentare sprazzi di consapevolezza, ma non ha ancora un ego consapevole.
Poi, pian piano questi sprazzi aumentano e man mano che si sviluppa questa energia, si cristallizza e
245
diventa stabile. Questa persona è sempre meno in balia degli eventi esterni ed è sempre più in grado di
scegliere. È l’ego consapevole che sceglie. Questo è ciò che in termini gurdjieffiani potremmo chiamare
“centro di gravità permanente”.
Consapevolezza, Ego Consapevole e Visione Lucida
Quello che normalmente si chiama consapevolezza gli Stone la chiamano Visione Lucida, ed è un
momento di consapevolezza che tutti possiamo avere. Quando questi momenti invece di essere uno o due
diventano ore o giorni, quando nella nostra vita siamo sempre più consapevoli e scegliamo, questa
energia sottile e impalpabile in qualche modo si solidifica. Loro l’hanno chiamata l’ego consapevole.
Potremmo definirla consapevolezza cristallizzata/stabile per distinguerla dalla consapevolezza episodica.
Non è mentale, ma è una struttura dell’essere. L’ego consapevole è simultaneamente consapevole dei
processi mentali, dei processi emozionali e dei processi corporei. Quanto più l’abbiamo sviluppato, tanto
più scegliamo liberamente e consapevolmente; siamo comunque soggetti ad errori, ma saremo capaci di
correggerci velocemente e fluidamente. Anche i grandi maestri sbagliano: Gesù, Maometto, Osho o
Gurdjieff hanno sbagliato né più né meno degli altri. Un maestro illuminato non è infallibile, ma se
sbaglia non è a causa di automatismi o proiezioni, semmai perché i dati disponibili non erano
sufficientemente chiari. Inoltre raramente ripete due volte lo stesso errore. Alcuni libri di basso livello ci
presentano i Maestri come esseri onnipotenti che guariscono qualsiasi malattia. Come mai, allora, anche i
maestri illuminati muoiono di malattia? In effetti, gli illuminati sono persone che hanno raggiunto un
centro di gravità stabile, e quindi l’equilibrio e la consapevolezza, e sono in grado di agire nel modo
migliore all’interno dei limiti ambientali e socioculturali di una data situazione. L’illuminazione non si
estrinseca in poteri soprannaturali, ma in una vera libertà di essere padroni di se stessi, di soddisfare i
propri veri bisogni, di essere consapevoli delle relazioni con gli altri e vederli come specchio di sé.
Quando c’è questo centro di gravità, questo ego consapevole, tutti e tre i centri entrano in risonanza
armonica. Non c’è più conflitto distruttivo, ma solo costruttivo nel gioco delle polarità. A quel punto
siamo in uno stato di beatitudine, di felicità. Alle volte questo stato si raggiunge in pochi attimi durante
una meditazione, in cui i tre centri sono allineati; altre volte, invece, si consegue con gradualità finché
diventa uno stabile sottofondo della propria esistenza.
Ampliare la nostra personalità
Come ho ampiamente mostrato nel mio libro Percorsi di consapevolezza (Xenia edizioni), il percorso di
crescita ci porta ad ampliare progressivamente la nostra personalità e renderla più fluida.
Nell’Enneagramma, per esempio, si passa dall’avere ed esprimere le caratteristiche di un solo enneatipo
al disporre di più opzioni, tipiche di più enneatipi. Nel Voice Dialogue si passa da una famiglia interiore
ristretta ad una famiglia allargata. Se fino ad oggi permettevo solo a sei delle mie sub-personalità di
manifestarsi, pian piano ne riabilito e sviluppo altre finora rinnegate o latenti e così la mia famiglia
interiore si amplia e passa a 7, 9, 12 o più sub-personalità. La nostra essenza - il nostro pacchetto di
potenzialità - è molto più varia e colorata di quanto noi immaginiamo, e se non lo vediamo è solo perché
siamo stati condizionati dall’esterno.
Bisogna scoprire quali sono le nostre vere caratteristiche: non quelle che crediamo essere, ma quelle che
realmente siamo. È un percorso lungo e complesso, ma di immenso valore.
E adesso una nota di metodo: quando si fa un percorso di crescita o quando si facilita un’altra persona a
farlo, è importante non creare conflitti tra la vecchia personalità e la nuova, ma, anzi, creare alleanze. La
nostra vecchia identità non va buttata via, ma va cercata una sintesi, andando dalle qualità che già si
possiedono verso quelle che ancora non si possiedono. Nel Voice Dialogue quando si vuole lavorare su
qualche sé rinnegato e portarlo alla coscienza, si stabilisce per prima cosa una alleanza con i sé primari,
quelli già ben consolidati, riconoscendone il fondamentale apporto, perché ciò che noi siamo oggi - anche
246
se per certi aspetti può non piacerci (personalità rigida o diffidente o protetta) - è la parte di noi che nel
passato ci ha permesso di sopravvivere. L’ego è fondamentalmente una modalità di adattamento a quello
che è stato un ambiente privo d’amore, di attenzione, di consapevolezza. Ognuno di noi ha fatto del suo
meglio e per quanto abbia fatto, per quanto imperfetto sia, quella personalità ha avuto comunque una sua
precisa utilità. Quindi, bisogna onorare ciò che siamo e nello stesso tempo non rimanere lì. Molte persone
hanno più facilità ad andare da un estremo all’altro. Andare all’estremo opposto è limitante, risolve alcuni
problemi ma ne crea di nuovi. È un po’ come i farmaci allopatici: per il mal di schiena si prende il
Voltaren, passa il mal di schiena ma viene il mal di stomaco, si prende un altro medicinale per il mal di
stomaco ma viene il mal di testa. Fino a che si lavora per estremi, inevitabilmente un estremo comporta il
suo contrario. Quindi occorre lavorare sull’armonia.
Ad esempio: perché le medicine omeopatiche hanno molti meno effetti collaterali se non addirittura
nessuno, rispetto alla medicina allopatica? La medicina omeopatica non introduce un fattore esterno, ma
semplicemente stimola l’organismo a reagire da solo, ad andare verso l’equilibrio. Viceversa,
l’assunzione di fattori esterni porta ad uno squilibrio.
Per ribadire il concetto, di fronte ad una persona che chiede aiuto e che presenta una problematica in cui
alcuni suoi lati sono evidentemente in eccesso, il counselor deve fare attenzione a non disconoscerli.
Deve evitare – come accade in alcuni “gruppi di potere” – di denigrare una sua parte e accettarne un’altra.
Deve, invece, condurre la persona verso una sintesi costruttiva, dove possa riconoscere l’utilità anche
della parte che nel passato l’ha aiutata molto, e che oggi non le serve più, almeno non in quella dose
massiccia. Pur riconoscendo che quella parte non le serve nella situazione presente, ne conferma
comunque la dignità e l’importanza. Dal momento che le sub-personalità agiscono come delle vere e
proprie persone, non si può dire da un momento all’altro ad una di esse: “Prendi la porta e vattene”.
Diventerà una nemica e farà di tutto per sobillare e creare problemi. Al contrario bisogna dirle: “Guarda,
in questa situazione di oggi il tuo apporto non è indicato, però ti ringrazio molto per tutto quello che hai
fatto fino ad oggi e per tutto quello che farai ancora, perché potresti essermi di nuovo utile in futuro. Oggi
però deve entrare in gioco quest’altra persona, quest’altra sub-personalità, perché è più adatta a questa
situazione e ti prego di non opporti. Fatto così non è un’estromissione, e quindi non crea un conflitto.
La vecchia personalità non va mai persa, nessuna nuova personalità va a sostituire la vecchia. La nuova
personalità è la sintesi tra i vecchi sé primari e i nuovi sé, prima rinnegati e adesso emergenti. Se si
immagina un gruppo di tre persone, le decisioni le prendono in tre. Poi viene a far parte del gruppo un
quarto soggetto e le decisioni le prendono in quattro. E poi in sei, e poi in dieci. Automaticamente il
potere dei primi tre si ridimensiona, perché uno su tre conta molto, ma uno su dieci conta meno. Quindi,
non c’è bisogno di defenestrarlo, anche perché può essere pericoloso.
La personalità si espande, cambia nella sua globalità, ma alcuni aspetti rimangono inalterati. Ogni subpersonalità rimane inalterata, sta all’ego consapevole il giusto dosaggio della gestione delle vecchie e
nuove sub-personalità, purché faccia stare meglio l’individuo.
Per concludere, noi siamo esseri globali e dobbiamo imparare a rispettare tutti i nostri bisogni e a trovare
l’equilibrio fra tutti, cosa tutt’altro che facile. Per prima cosa, dobbiamo rispettare le tre dimensioni
principali: corpo, emozioni, mente. Ad esempio se una persona fa un lavoro intellettuale, si deve
bilanciare il sistema con l’attività fisica. Se una persona è molto emozionale, molto viscerale, si deve
bilanciare con uno stacco mentale e un po’ di attività corporea. È solo l’inizio… Se la persona che si
presenta per la prima volta all’operatore non ha mai fatto nulla, già dirle di fare tre volte a settimana una
passeggiata nella natura può cambiarle la vita.
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L'ANALISI OLISTICA DEI SOGNI
L’analisi dei sogni è un lavoro tipico del processo di crescita personale che inquadra i sogni in un modo
molto differente da quello ordinario. Al giorno d’oggi ogni scuola - junghiana, freudiana, tibetana analizza i sogni secondo una propria modalità, creando così un caos di informazioni che non trovano
molta coerenza tra loro.
L'analisi olistica dei sogni è una pratica complessa, che si espande a differenti scuole, orientata a
risvegliare la coscienza centrale della persona attraverso la consapevolezza dei suoi condizionamenti,
desideri, caratteristiche e limitazioni. Nella nostra scuola, partiamo dalla considerazione scientifica più
riduttiva che i sogni essenzialmente sono delle rivisitazioni neurofisiologiche dei vissuti della giornata e
quindi delle rielaborazioni di emozioni non completamente elaborate, di paure non risolte o di pensieri e
progetti non terminati che riecheggiano nella nostra mente e che di notte trovano, nel sogno, una loro
possibile espressione.
A questa considerazione di base aggiungiamo la componente psicologica più analitica e simbolica che, a
iniziare dalla scuola psicoanalitica viennese di Freud, giunge ai nostri giorni. Su questa parte entreremo
nel dettaglio con l'analisi dei vari livelli.
L'ANALISI DEI SETTE LIVELLI DEL SOGNO
Per una vera analisi olistica dei sogni dobbiamo utilizzare il modello olistico di essere umano, ossia la sua
unità profonda ed i suoi differenti livelli di esistenza: un livello fisico, un livello energetico, un livello
emozionale-astrale, un livello mentale, un livello spirituale e altri livelli più sottili.
Così come esistono 7 corpi, esistono 7 livelli di sogno. Partiamo da questa considerazione e creiamo una
struttura di analisi dei sogni sui differenti livelli. Il primo maestro che ha fatto un’analisi integrata della
struttura dei sogni sui sette corpi è stato Osho (vedi il libro “Psicologia dell’Esoterico”). Su questa base –
sulla quale abbiamo lungamente lavorato come scuola – il lavoro si è successivamente evoluto.
I^ livello: i Sogni Fisici
Il corpo fisico ha dei bisogni e delle pulsioni: se una persona ha fame, sogna di avere fame; se desidera
fare sesso con il vicino di casa, sogna di farlo. Anche quando la testa è contraria, c’è qualcosa
nell’inconscio che esce energeticamente come azione diretta nel sogno e così “trasmette” messaggi e
segnali.
II^ livello: i Sogni Sensoriali (Energetici)
Sul secondo livello abbiamo i sogni del presente, legati alle sensazioni di piacere o disagio, di
rilassamento o fatica. Spesso sono sogni legati a situazioni di relazione affettiva. I sogni del secondo
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livello sono spesso semplici, banali rivisitazioni di situazioni della giornata appena trascorsa, sogni di
atmosfere normali. Dietro le atmosfere di questi sogni emergono i caratteri delle energie. I Tibetani li
interpretano come un codice energetico dei bisogni fisici. I bisogni fisici sono reali, per cui se un bambino
sogna di voler fare la pipì, la fa a letto e si sveglia bagnato. I sogni di secondo livello vengono inscritti
direttamente nel campo energetico, sono i sogni che evocano i 4 elementi. Nei sogni c’è un elemento che
è o in eccesso o in difetto. Quando si sogna l’elemento acqua, si sogna il mare alto o una palude. Quando
si sogna l’elemento aria, si sogna troppo vento, una tempesta, o di non avere aria a sufficienza. Ciò
significa che l’elemento aria nel proprio corpo è in eccesso o in difetto. Se si sogna di avere difficoltà di
respiro significa che l’elemento aria è in vuoto energetico. Così per l’elemento terra, se si sogna una
valanga di melma o al contrario la mancanza di terra, non si ha il terreno sotto i piedi. Oppure l’elemento
fuoco: si sogna che brucia la casa o che si ha freddo.
Nei sogni di II^ livello l’elemento energetico, le sensazioni fisiche, possono diventare simboliche,
analogiche. Per esempio si sogna di trovarsi o troppo in alto o troppo in basso. Nel sogno emergono le
percezioni in modo simbolico. I sogni di I^ e II^ livello possono essere interpretati in quanto c’è una
componente simbolica, dove per esempio all’elemento acqua può corrispondere, per quella persona, il
simbolo associato alla vitalità o alla sessualità, l'aria alla libertà, il fuoco alla passione e così via.
III^ livello: i Sogni Emozionali
Mentre i primi due tipi di sogni sono quasi sempre nel presente o nell’immediato passato, i sogni di III^
livello, chiamati emozionali o “astrali”, oltre a darci le impressioni emotive del presente, ci permettono di
viaggiare anche nel passato, fino all'infanzia e, a volte, anche oltre. I sogni del terzo livello, oltre agli
elementi reali, hanno un “tono” emozionale di fondo, una loro specifica “atmosfera emozionale”. In
questo caso l’associazione simbolica non è più legata ad un bisogno fisico o ad un bisogno energetico
sensoriale, ma ad un bisogno emozionale strabordante che può anche essere “mediato” dal conscio. Il
sogno di terzo livello ci fa rivivere “virtualmente” le nostre paure ed i nostri desideri. Per esempio se
nella realtà si desidera fortemente fare l’amore con il proprio direttore, cosa che il conscio pensa
assolutamente impossibile, nel sogno l’inconscio fa fare l’amore con un collega più vicino (il che è più
facilmente realizzabile), che rappresenta una mediazione simbolica tra conscio e inconscio. In questo caso
non è tanto il bisogno quanto l’emozione che viene trasferita su di un oggetto possibile per essere
realizzata.
Altre volte i sogni fanno rivivere “virtualmente” le nostre paure diurne, così da sognare un incidente che
semplicemente abbiamo temuto e immaginato nella veglia, o sognare la morte “accidentale” di qualcuno
per il quale proviamo odio o rancore, mentre nella veglia non ci permettiamo nemmeno di poterlo
pensare.
Nei sogni di III^ livello si esprime anche il rapporto con la propria infanzia, con l’aggiunta sia di elementi
della memoria emozionale che elementi simbolici/mentali che vogliono dire altro. A volte c’è
un’ibridazione dei vari livelli del sogno.
IV^ livello: i Sogni Mentali
I sogni di IV^ livello sono molto importanti, sono i sogni dei condizionamenti della nostra mente. Si
sogna la propria casa, la propria relazione, il proprio lavoro, e all’interno del sogno vi sono elementi reali, immaginari o simbolici - che caratterizzano i blocchi di coscienza, i blocchi di comportamento, i
vissuti negati della propria vita. Un esempio classico: “C’era una persona che mi faceva male, ma io non
riuscivo a dire niente, non riuscivo a muovermi”. Tutto questo esprime un condizionamento psichico ben
preciso. Non è un bisogno, è una situazione che si ripercuote dove non si può o non si riesce a parlare. “E
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perché non riesci a parlare?” “Perché quella persona mi faceva paura, perché aveva più potere di me”.
“Cosa vuol dire questo schema, che tu sei più debole e lui è più forte? Conosci questo schema? Chi è
stato più forte con te nella tua vita?” Risposta: ”Mio padre... forse... non mi permetteva di essere me
stesso...” E in pochi passaggi si arriva ai punti generali del condizionamento.
I sogni di IV^ livello sono sogni psichici, spesso simbolici, che parlano di situazioni mentali/intellettuali o
intuitive, che possono avere una grandissima rilevanza.
Una persona mi raccontò: “Una volta sognai una ragazza che gridava: <Aiuto, aiuto, quella donna è una
strega, mi vuole fare del male.> Le risposi: <Non preoccuparti, ci sono qui io.> Ma la strega mi
riconosce, prende tre cani e me li scaglia contro. Io capisco che è una maga che mi sta facendo una magia.
I cani dapprima piccoli, diventano improvvisamente grandi come leoni. Lei li incitava ad avventarsi su di
me. Io non avevo paura e quando mi furono vicini anch’io divenni enormemente grande, più grande di
loro, feci un urlo terrificante e loro scapparono via. Io ero cosciente del sogno, che quella era una cattiva
magia e che l’avrei facilmente debellata, perché potevo fare quello che volevo. E quindi in quel momento
tiravo fuori tutta l’energia e la rabbia e li spaventavo. Loro ridiventavano piccoli e scappavano.”
Questa persona stava immaginando ed esibendo la sua forza verso forze negative, suo padre era stato
molto duro e violento con lei ed il sogno era simbolicamente molto significativo.
I sogni che non hanno senso: la vita inutile
Il sogno è spesso un’accozzaglia di esperienze vissute durante la giornata, prive di senso, esattamente
come la giornata. Solitamente alla domanda: “Che cosa hai sognato questa notte?” rispondono: “Ho
sognato di essere andata a fare la spesa, ho comperato del succo di frutta, poi mi sono imbattuta in un
cane un po’ strano con il pelo marrone o grigio, poi non riuscivo a trovare la macchina, ecc. ecc.”
Raccontano esattamente ciò che hanno fatto il giorno prima. Ma il sogno che senso ha? Zero. Che senso
ha quel momento della vita? Zero. A volte viviamo un periodo turbolento, per cui nel sogno esce sia
l’elemento fisico disturbato sia l’elemento emozionale psichico che rivela che abbiamo la mente affaticata
e non riusciamo a staccare.
Nella maggior parte dei sogni più intelligenti, il sogno diventa invece un processo di elaborazione di ciò
che nella vita non possiamo vivere o che immaginiamo potrebbe accadere. Ad esempio: “Ho sognato che
andavo fuori strada con la macchina, facevo una sbandata, ma riuscivo a buttarmi fuori dalla portiera.”
Cosa vuol dire? Vuol dire che da qualche parte durante la giornata, magari per un attimo, la persona ha
pensato “Se dovessi uscire di strada…..” E un attimo dopo ha pensato cosa avrebbe fatto… e lo fa nel
sogno, perché l’azione è rimasta nella mente. Oppure conclude una cosa lasciata a metà durante il giorno.
I sogni ripetitivi invece nascono dal bisogno di chiudere uno schema non concluso.
È interessante capire i simboli contemporanei. Per esempio i simboli della macchina e della casa sono
molto spesso analogie del corpo. Sognare che: “Eravamo in macchina ma guidava mio padre” è
estremamente significativo di un super-io paterno ancora incombente. Sognare una nuova casa bella e
luminosa può rappresentare l'inizio di un periodo di crescita e di risveglio.
V^ livello: i Sogni Spirituali
Nei sogni di V^ livello inizia ad entrare l’elemento anima. Questi sogni hanno l’elemento spirituale
sempre più dilatato e quindi toccano la coscienza. Una volta data questa interpretazione per densità (sogni
più densi e sogni più sottili) proviamo ad analizzare la loro funzionalità.
I sogni spirituali più semplici contengono un elemento che caratterizza il sogno di grande bellezza e
grande luminosità. Per esempio: “Ero in una città che non conoscevo e c’era una bellissima sensazione di
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luminosità nell’aria. Non l’avevo mai vista prima, ma sentivo che avrei voluto vivere lì. Era la mia vita”.
È un messaggio molto elevato che non ha nulla a che fare con il fisico, ma con la bellezza. Oppure: “Sono
in un bosco con delle persone e c’è tra di noi un rispetto magico.” Oppure “Incontro un vecchio che mi
racconta delle cose e mi dice ‘perché non ti svegli’?”. Oppure sogni di satori. “Stavo camminando per
strada e vedevo ‘oltre’: vedevo come in trasparenza la terra, oltre le pietre e l’asfalto. E di colpo attorno a
me era l’unità. Tutto era perfetto così com’era. E io mi sentivo pervaso da questa bellezza. Questa
sensazione mi accompagna ancora da sveglio”.
I sogni lucidi
A questo livello appartengono anche i sogni lucidi in cui, mentre si sogna, si ha la consapevolezza di stare
sognando, per cui si decide di fare quello che si vuole, di decidere della propria vita.
Ci sono delle tecniche bellissime di lavoro sulle meditazioni del sogno. Quando si riesce ad entrare in
questo contesto avviene qualcosa di magico: può essere in negativo o in positivo.
In un periodo della mia vita, mi sono addestrato al sogno lucido con le tecniche di Castaneda,
guardandomi le mani nel sogno oppure ricordandomi di me volendomi svegliare nel sogno. Un’altra volta
mi sono messo in testa di ricordarmi di quando finiva il sogno e iniziavo a svegliarmi, volevo ricordarmi
del momento del ritorno nel corpo, sentire come avveniva. Di solito nei miei sogni sono all’estero oppure
in volo. Una volta stavo volando e mi ripetevo: ”Devo ricordarmi di me, non devo addormentarmi, devo
stare sveglio…” Sentivo che stavo tornando a casa ma atterravo su un’altra casa, su cui c’era un
abbaino… all’improvviso sono ritornato nel corpo e mi sono svegliato. L’abbaino era il VII^ chakra
aperto. Dell’abbaino mi ricordo fin quando ero dentro al corpo per metà, poi quando sono entrato per
intero era come se l’anima entrasse e mi sono risvegliato dentro il corpo.
Attraverso queste esperienze si comprendono una serie di processi, si comprendono una serie di libertà, ci
svegliamo nel sogno e ci svegliamo anche nella vita di tutti i giorni. Nella vita di ogni giorno, che è come
un sogno, possiamo dire: “Svegliati! Svegliati! Stai facendo una cosa meccanica. Stai facendo sempre la
stessa vita.” Ma chi ci dice qual è la vera realtà?
Chuang Tzu raccontò ai suoi allievi che era sconvolto perché aveva sognato di essere una farfalla e
diceva: “Non capisco bene se sono io che ho sognato di essere una farfalla o se è la farfalla che ha
sognato di essere Chuang Tzu”. A modo suo stava trasmettendo ai suoi discepoli la sensazione che stiamo
dormendo. Magari siamo convinti di essere noi, come nel sonno siamo convinti di essere una farfalla…
I sogni di vite passate
Una delle cose straordinarie del piano spirituale è che può spingersi nel passato, arrivando anche a
rievocare le vite passate. I sogni di vite passate sono relativamente comuni. Una delle cose più
interessanti del sogno è che non si è nel proprio corpo.
Se il counselor olistico chiede ad una persona di rivivere il sogno, mentre ascolta il racconto percepirà
un’energia molto precisa, un’intensità profonda. Sentirà se la persona è nel corpo o nelle emozioni. È
fondamentale riuscire a cogliere l’elemento emozionale o psicologico delle vite passate. C’è un contesto
di energia che si muove e che si percepisce, a volte più emozionale e a volte più profonda. Se il counselor
chiede alla persona in che “corpo” è, com’è il suo corpo in quel momento, la persona descriverà per filo e
per segno il corpo in cui si trova, il colore dei capelli, l'età, il sesso che spesso si rivela differente da
quello attuale. La scena è spostata in un altro tempo ed in un altro spazio, come se tutto fosse normale,
perché in quel momento si riapre l’ologramma del sogno.
251
VI^ livello: I Sogni Illuminati
Nei sogni di VI^ livello incontriamo i maestri, le presenze spirituali, il divino. Nei sogni illuminati ci
sono espansioni di coscienza, si accede a dimensioni divine, si vede il proprio futuro. A questo livello
appartiene anche il famoso sogno di Jung che raccontò di essere uscito dal corpo, come se fosse morto, e
di aver visto il pianeta Terra dall’alto, di essere entrato in un tempio su un piccolo asteroide e di aver
avuto un forte contatto spirituale.
Sono illuminazioni, è la coscienza planetaria, la grande vita, è un livello alto di visione. Possiamo
richiamare quello stato di coscienza nella vita di tutti i giorni, la coscienza allargata dentro di noi, rivivere
quella stessa sensazione. Si possono sentire delle presenze o delle voci, sentire che non è una presenza
fisica, ma qualche Maestro o uno Spirito. Oppure si sogna la spiritualità: “Era come se fossi un
illuminato. Camminavo tra la gente e sentivo un grande amore attorno a me.” Nel sogno di VI^ livello
qualcuno ha visto se stesso da vecchio e attorno una grande armonia nelle cose.
VII^ livello: I Sogni Infiniti
I sogni di VII^ livello sono i sogni di vuoto, di spazio infinito, di eternità. Non c’è più niente. C’è un
senso di immensità e tu esisti… non più come te stesso… sei infinito.
L'INTERPRETAZIONE OLISTICA DEL SOGNO
L'interpretazione simbolica soggettiva e oggettiva
Nell’analisi del sogno vi sono livelli contemporanei. Quando una persona racconta un sogno, prima
ancora che ci chieda qual è il senso o il significato del sogno, possiamo chiederle che cosa vuol dire per
lei. Molto spesso l’interpretazione simbolica diventa immediata. Per esempio: “Ho sognato che c’era una
bambina per strada, a cui davo delle cose e poi la portavo con me”. Domanda: “Secondo te, che cosa vuol
dire questo sogno?” La persona può interpretare che nel sogno lei sentiva di essere quella bambina, che
“rappresentava la parte bambina”; questo è il primo livello, soggettivo, un’analisi immediata del sogno
che è un’interpretazione reale e significativa.
Il secondo livello è più profondo dell'associazione simbolica soggettiva e spesso richiede la presenza
attenta di un osservatore esterno che, prendendo atto dell'intera situazione e utilizzando strumenti
specifici come l'analisi del tono emozionale e l'analisi delle parti del sogno, mette in grado la persona di
comprendere una dimensione più ampia e profonda. Si entra nell’analisi più profonda degli elementi
onirici, cioè l’interpretazione oggettiva.
Questo è stato il grande contributo della psicoanalisi freudiana e junghiana e dell'analisi classica del
sogno. Se si vuole entrare ancora più in profondità e fare un reale lavoro di crescita personale, occorre
acquisire alcune ulteriori comprensioni sulla natura virtuale e olografica del sogno.
252
Ologrammi della realtà
Partiamo dalla considerazione che la mente è virtuale, ossia che il cervello, attraverso le fantasie ed i
sogni, rappresenta una bolla psichica virtuale, un “ologramma” della realtà che appare a tutti gli effetti
assolutamente realistico, come quando, per esempio, sogniamo una situazione di paura e ci svegliamo
gementi e grondanti di sudore, come se fosse stato tutto vero. Usiamo la parola “ologramma” per
identificare una “bolla” di esperienza psichica completa, dove abbiamo sensazioni fisiche, emozioni,
sentiamo musiche o profumi particolari, abbiamo percezioni psichiche complesse. Il cervello, quando
sogna o quando entra in un processo di regressione, ci dà l'illusione di essere realmente in quella realtà,
autentica o immaginaria che sia, proprio come se tutto fosse vero. Questo significa che se utilizziamo la
capacità mentale di creare sogni e ricordi e poi entriamo consapevolmente in questi “ologrammi”,
possiamo trasformare le vere radici psichiche che sono alla base di un problema, di un trauma o di uno
shock.
La mente “virtuale”
Il sogno rappresenta quindi una incredibile opportunità “virtuale” di trasformazione e di evoluzione
umana. Il sogno ci permette di entrare nelle parti profonde del cervello: le immagini che si aprono nel
sogno sono immagini reali. La visione olografica della psiche, di giorno come di notte, fa vedere cose che
possono essere vere o possono essere immaginarie. È come se sognassimo di notte nel sogno e di giorno
nella realtà. Quindi, una persona che di notte sogna di avere una crisi di panico su un problema che non
c'è, può avere la stessa paura anche di giorno, su un pensiero o problema che non esiste. Vi do un
esempio: se di notte sogno un leone che mi spaventa o sogno che qualcuno mi rincorre e non riesco a
muovermi, sicuramente è una paura che ho anche di giorno: la paura che qualcuno mi aggredisca e mi
faccia del male, il pensiero di non avere la possibilità di fuga. Questo è un sogno ricorrente nei ragazzi
con genitori molto pesanti e oppressivi. Se di notte sogno di avere paura perché mi trovo da solo in
ascensore, la stessa paura irreale può generare un’ansia irrazionale e una crisi di panico non appena vado
in ascensore. Nel sogno possono accadere cose straordinarie: se si ha il desiderio di volare, nel sogno
accade. Magari accade anche nella realtà: quando si vive qualcosa che fa paura, si sente di non poter
scappare, si vola via con la testa o si tende ad evitare ostacoli e situazioni pesanti che potrebbero, tuttavia,
aiutarci a crescere.
Entrare coscientemente nel sogno: l'ologramma onirico
Nello sviluppo dell’analisi dei sogni una delle cose più interessanti, e che l’operatore/counselor non deve
fare se non è psicoterapeuta di grande esperienza, è la possibilità di entrare nei sogni. Durante una
sessione di analisi dei sogni, generalmente la persona è sdraiata su un lettino, racconta il sogno mentre
l’operatore scrive ed analizza, restando sul livello verbale. Raramente lo si fa ad occhi chiusi.
Personalmente ho sviluppato una tecnica di analisi del sogno una decina di anni fa e pian piano l’ho
portata avanti: quando le persone vivono dei sogni che hanno un grande senso, dove hanno toccato una
parte vera di sé, le conduco a rientrare nel sogno come in un reale ologramma onirico.
La tecnica è quella di fare entrare la persona in meditazione profonda, ossia in stato di “consapevolezza
globale di sé”, cosa che faccio aprendo le sensazioni di tutto il corpo, portando la persona a sentire il
corpo pian piano che diventa energia che si espande e va ancora più in profondità... e si “dimentica” di
tutto quello che lo circonda. In quel momento la persona è in “stato ipnagogico” ossia nelle onde delta e
theta (non è più nelle beta della mente attiva verso l'esterno) e inizia ad entrare consapevolmente in quel
253
preciso sogno, e il sogno si riapre, l'ologramma onirico ritorna alla memoria e diventa vivo. Quindi, mi
racconta di nuovo il sogno, ad occhi chiusi, da questo stato delta/theta, dal livello ipnagogico. A questo
punto le chiedo: ”Dimmi dove sei. Descrivimi tutto, fammi “vedere” ogni particolare del tuo sogno”. E
pian piano racconta dove è ed altri particolari prima non menzionati. La cosa straordinaria è che ha la
consapevolezza del sogno. E nel sogno vive emozioni o paure, ma sapendo che il sogno è virtuale e
simbolico, può decidere se vuole rientrarci e riviverlo consapevolmente.
Non forzare mai la persona! Accettarne i limiti e le paure
Se non vuole riviverlo mi fermo e parliamo con tranquillità del sogno e - se lo desidera - di ciò che crea
timore nell'affrontare quella situazione onirica. Se mostra disagio o paura nell'affrontare le situazioni del
sogno, mi fermo e cerco di mettere la persona a suo agio, di farla sentire accettata anche se sta fuggendo
da memorie, fantasie o da qualche cosa ancora più misteriosa dentro di sé. In nessun caso la persona deve
sentirsi giudicata male perché non ha avuto coraggio o presenza di affrontare le sue paure. Al contrario
deve sentirsi supportata, deve capire che quella “paura” è segno di una ferita dell'anima, di una memoria
traumatica che richiede più tempo per essere affrontata e superata.
È importante ricordare che affrontare una paura senza la centratura necessaria può portare ad un dissesto
della personalità, a fare riaffiorare una crisi rimossa e mai superata. Si deve quindi invitare la persona a
comprendere questo punto delicato e a lavorare su se stessa per fortificarsi, per acquisire più fiducia,
consapevolezza, potere e radicamento nel corpo.
Se invece la persona vuole entrarci, iniziamo l'esplorazione. Se nel sogno emerge la paura, con estrema
attenzione e presenza, chiedo se vuole vederla, se desidera capire il perché di quella paura, e, lentamente,
la invito ad analizzare il sogno dal di dentro. “Sei nel sogno, senti paura… perché hai paura?” Ogni
persona darà risposte diverse. E di fronte alle risposte, alle diverse situazioni, chiedo se vuole affrontare
quella situazione. Se non sente di affrontarla, ci si ferma e si continua il lavoro in modo più descrittivo
attraverso associazioni o riferimenti simbolici. Se invece si sente sufficientemente pronta e desidera
affrontare quella situazione, le chiedo di essere più presente, vitale e centrata dentro il sogno e, grazie a
questa risorsa, di sentire che cosa vorrebbe fare in quel momento per evitare lo stato di paura o per
superarla.
Quando le persone si sentono sostenute, mettono in moto la loro componente più creativa, vitale,
profonda e rispondono attivamente ad una situazione di blocco cronico, di inibizione.
Infrangere i tabù alle radici della coscienza: la porta “virtuale” del cambiamento
A livello onirico, profondo, ogni cambiamento può creare un cambiamento di stato, una “rottura del
vecchio equilibrio”, una trasformazione che muta le radici della mente e che porterà ad un differente
futuro. Positivo o negativo. I traumi sono da considerarsi come dei “tabù” psichici, delle interruzioni di
un ciclo vitale e naturale di comportamenti, emozioni, pensieri. Quando prepariamo la persona a
rinforzare il proprio senso di sé e la portiamo ad entrare nell'ologramma di quel preciso blocco e, quando
possibile, ad “infrangere il tabù”, essendo l'ologramma una realtà psicologica virtuale attiva, è come se
portassimo indietro la persona in una macchina del tempo, fino a poter cambiare quello specifico evento
che ha causato un blocco cronico nella sua vita. Cambiando la radice cambia l'intera struttura della pianta,
cambiano anche i frutti.
Quindi, le persone possono essere aiutate a rivivere intensamente un sogno, dove cambiano
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comportamenti e strategie di vita e contemporaneamente sono coscienti, la consapevolezza testimoniante
è vigile. Sono nell’inconscio con la memoria profonda, con la mente cosciente vedono l’illusione delle
loro paure, delle loro emozioni, dei loro condizionamenti e li possono rompere. Possono entrarci dentro e
possono cambiare la vita. A volte non ce la fanno, c’è come una barriera che il counselor non deve mai
forzare. Il counselor deve facilitare la persona a conoscere se stessa, a capire i suoi meccanismi ed a
sentirsi più fiduciosa nelle proprie possibilità.
L'analisi del tono emozionale
Una delle componenti più interessanti dell'analisi olistica del sogno è la consapevolezza del tono
emozionale. Dopo aver ascoltato il sogno e la sua elaborazione, si chiede alla persona: ”Raccontami qual
è l’emozione di fondo all’interno del sogno o nelle singoli parti del sogno.” Ci si può accorgere
immediatamente che l’elemento emozionale, a volte, è completamente separato, quasi scisso dal contesto
psicologico generale. Ad esempio la persona racconta un sogno apparentemente bello tipo: “Mi trovavo al
mare con gli amici, era caldo, l'acqua era limpida...” ma se le si chiede quale era il tono emozionale di
fondo risponde: “Sentivo una sensazione di ansia tremenda... un grande disagio”.
Oppure a volte il sogno sembra drammatico: “Ero in uno spazio strano, come dopo una tempesta o
disastro naturale, sentivo delle persone che gridavano o litigavano, era tutto buio...” e chiedendo qual era
il tono emozionale potrebbe rispondere: “Tuttavia mi sentivo bene, ero calmo e distaccato da tutto quello
che mi circondava...”
L'analisi del tono emozionale si rivela fondamentale nella tecnica di entrare coscientemente nel sogno.
Questo ci permette di seguire la direzione emozionale più intensa e profonda e di arrivare più
velocemente alle radici del problema.
Lasciare andare l'inconscio...
Ricordo una ragazza che aveva un grande problema con il padre non più in vita. Un giorno mi ha portato
un sogno pesantissimo: era vicino alla bara di suo padre che sprofondava nella terra e lei sprofondava con
essa. Le feci prendere atto che era sprofondata e le chiesi che cosa voleva fare. Espresse il desiderio di
aprire la bara di suo padre, su mio invito lo fece e vide il padre morto. Le chiesi che cosa voleva fare e mi
rispose di volersi mettere al suo posto e di chiudersi dentro. Lo fece. Le chiesi come stava, qual era il suo
“tono emozionale” (mi aspettavo che fosse pesante e negativo), lei mi rispose: “Sto molto bene, mi sento
tranquilla e protetta!” Quel giorno la sessione finì così. Alla sessione successiva mi disse: ”Questa cosa di
essere chiusa in una bara al posto di mio padre mi è rimasta proprio qui. Ma perché lo devo fare?” “Non
lo so – risposi – eri tu che lo volevi, anzi mi sembrava proprio che ti stesse bene.” Mi disse che in realtà
non le piaceva molto l'idea di essere in una bara, decise (con la mente cosciente) di non volerlo fare più...
ma poi la sua mente inconscia la faceva ricadere. Lei, per simbiosi affettiva, ritornava e si
impersonificava con il padre, viveva la sua sofferenza come morta. Infatti, dalla morte del padre lei era
veramente un po' come “morta”. Aveva avuto un enorme conflitto con il padre. Alla sua morte, non aveva
avuto più nessuno con cui risolvere il conflitto, sentiva di avere dentro l’amore che non aveva dato al
padre ma anche tutto l’odio che non era riuscita a trasmettergli. Per questo non riusciva a lasciarlo andare.
Continuammo ad entrare nel sogno. “Sono ancora lì nella bara...” “Che cosa vuoi fare?” “Uscire”. “E
cosa c’è attorno a te?” “Della gente che mi dice di uscire e mi tira una corda per salire fuori... ma io non
riesco ad afferrarla, mi scivola dalle mani“. Abbiamo continuato così per quattro intere sessioni, senza
spingere, con molta accettazione di ciò che c'era in quel momento. Nell’ultima sessione vi è stata
255
un'evoluzione. Lei spontaneamente ha lasciato andare il padre: “La bara è diventata come una barca
sull'oceano... sul quale lui se ne va... sembra la nave che porta via il Profeta di Khalil Gibran... mi
dispiace lasciarlo ma non posso farci niente... Lo saluto, sono felice per lui”. La situazione si era risolta,
ma con i suoi tempi e le sue modalità. L’inconscio le ha messo dentro il senso di colpa, l’identificazione
con il padre, la voglia di morire per stargli vicino, la voglia di ritornare a vivere. Alla fine lei aveva detto
al padre delle cose importantissime, sia belle che brutte, sciogliendo un vero e proprio “bubbone”. Nel
sogno aveva potuto fare delle cose che ovviamente con il padre non poteva più fare. Si sentiva liberata!
L'analisi delle parti del sogno: il sé osservante, l'io e le sub-personalità.
Così come nel modello olistico di essere umano abbiamo un sé osservante centrale e degli io, ossia delle
personalità esterne, allo stesso modo nel sogno abbiamo un osservatore centrale che testimonia gli eventi,
un io principale, e delle sub-personalità (dall'etrusco “persona” la maschera degli attori) che interpretano
le varie parti del dramma onirico. Normalmente l'io principale è il protagonista, la personalità primaria
con cui ci identifichiamo, le personalità secondarie sono gli elementi del sogno con cui ci relazioniamo o
anche ci opponiamo e litighiamo. Tutto il dramma onirico avviene dentro di noi, nella nostra mente.
Noi siamo il regista occulto, il protagonista e gli attori. Il sogno è quindi una vera messa in scena virtuale
in cui prendiamo a prestito le fattezze di amici, genitori, amanti e personaggi più o meno conosciuti e
decidiamo come li animiamo, come fossero veri attori. Dobbiamo ricordare, tuttavia, che ogni
personaggio del sogno non è in alcun modo reale ed autonomo, ogni personaggio del sogno è una parte
di noi, un elemento che abbiamo interiorizzato nella nostra mente più o meno conscia (super-io) e che noi
facciamo o lasciamo agire nel nostro sogno.
Una signora mi raccontò uno strano sogno che l'aveva alquanto turbata: “Entravo nella stanza da letto e
trovavo mio marito con mia figlia di 10 anni, in atteggiamento sessualmente compromettente, restavo
esterrefatta e uscivo dalla stanza, mentre mio marito si lamentava che l'avevo disturbato.” Chiesi alla
signora che cosa le diceva questo sogno (analisi simbolica soggettiva) e lei mi disse di come a volte il
marito le sembrava troppo “intimo” con la figlia, anche se capiva che lui in realtà era assolutamente pulito
e amichevole, e che la bimba, in periodo “edipico”, stava ritrovando una nuova relazione di amicizia col
padre. In realtà la donna, una personalità assolutamente dominante, si rendeva conto che quando il marito
giocava troppo con la figlia, si sentiva a disagio e si irritava come se perdesse controllo e potere. Dopo
questa analisi soggettiva siamo entrati più in profondità alla ricerca della dimensione oggettiva profonda.
L’ho fatta entrare in meditazione globale e pian piano è rientrata coscientemente nel sogno, me lo ha
descritto di nuovo come personaggio principale (moglie-mamma) con cui si identificava, con maggiori
particolari. A questo punto le ho chiesto se era interessata a diventare il marito. Mi ha risposto di sì, che
era curiosa di entrare in quel personaggio. C'è stato un salto di intensità emozionale, mentre come
personaggio protagonista vedeva il marito come incestuoso, ora percepiva tutto come quando da ragazza
si sentiva controllata affettivamente e sessualmente da sua madre, che entrava nel bagno o nella sua
stanza privandola di una necessaria intimità con se stessa. Ha compreso il comportamento verbale del
marito che nel sogno si lamentava di essere stato disturbato... cosa che lei da ragazza non aveva mai avuto
il coraggio di dire a sua madre. Le ho chiesto allora se voleva diventare la bimba, lei ha accettato e, quasi
istantaneamente, ha iniziato a piangere, raccontandomi episodi infantili dove desiderava attenzione dal
padre senza avere mai soddisfazione di questi bisogni. L'analisi oggettiva del sogno si conclude così, con
un quadro psicologico e umano estremamente più ampio e articolato, dove lei comprende come marito e
figlia hanno solo dato corpo ai suoi stati mentali più inconsci e profondi. Anche la sua relazione familiare
risulterà migliorata, più accettante e meno direttiva.
256
Pericoli del lavoro sul sogno
Una delle cose che il counselor non deve assolutamente fare è forzare il sogno delle persone, non deve
indurre le proprie immagini o immagini “positive” (visioni piacevoli, pensiero positivo, ecc), non deve
proiettare i suoi desideri o i suoi valori sui sogni di un'altra persona. Con il sogno si lavora con una zona
dell’inconscio che è potentissima e delicatissima. Non deve lavorare sui sogni traumatici o che comunque
contengono grandi paure. Il lavoro sul sogno negativo richiede una professionalità e una presenza che si
può avere solo con anni di pratica e di supervisione dei sogni e del lavoro infantile, perché con i sogni
traumatici le persone entrano in contatto con le aree bloccate della mente. Quindi è un lavoro
psicoterapeutico che non è consentito al counselor. Il lavoro sul trauma è vietato perché può emergere
e slatentizzare una psicosi, una schizofrenia, una ossessione, una perdita di identità. Stati sui quali, il
counselor, non ha legalmente e tecnicamente le capacità per intervenire. Questo perché si apre la porta
dell’inconscio di una persona che quindi rimane senza protezione, ed il counselor non può in alcun modo
sostituire la propria mente cosciente con la sua mente inconscia. È necessario avere una grandissima
attenzione e sensibilità, perché se si sostituisce la propria mente a quella della persona dicendole
consciamente o inconsciamente cosa fare, si incorre in un errore gravissimo. È uno dei peggiori abusi di
potere che si può fare, anche se fatto a fin di bene. Il counselor non deve mai sostituirsi alla coscienza
della persona, ma facilitarla nei sogni semplici e leggeri, dove emerge una paura o una piccola cosa (per
esempio la fuga da un esame non dato a scuola). Può chiedere cosa vorrebbe fare e la aiuta a farla. È un
aiuto a farle cambiare l’energia. È importante ribadire che rivivere ed esplorare i sogni, soprattutto se
contengono elementi di paura, di terrore o di negatività, è pericoloso, perché si sconfina in una zona
inconscia critica, si destabilizza la struttura di protezione dell'io, che si è costruito proprio per
difendersi da quelle antiche paure. Per farlo si deve essere psicologi o psicoterapeuti con lungo training
e di provata esperienza spirituale. Si deve aver già lavorato con le psicosi, con le schizofrenie, con
l’inconscio profondo, con le grandi paure, perché solo così si può acquisire una sicurezza che permette di
trattare gli elementi negativi con estrema attenzione. Invece del lavoro “terapeutico” sul negativo, il
counselor opera sul positivo e lo sviluppo del potenziale umano.
Il counselor e la terapia del risveglio
Invece di affrontare le grandi paure del passato e dell'inconscio, il counselor può aiutare la persona a
risvegliarsi nel sogno e diventare consapevole che la vita reale è disponibile e possibile. Quando riesce a
lavorare in meditazione, ossia in stato di consapevolezza globale di sé e della persona che segue, accade
una magia, una sincronicità che apre le porte dell’anima, che risveglia forze positive e valori profondi.
Durante la sessione deve essere in uno stato di grande presenza, deve portare la persona in uno stato di
meditazione profonda. Può far rivedere i sogni, far rivedere gli elementi e farglieli raccontare invitandola
a svegliarsi nel sogno! La chiamiamo “terapia del risveglio”. In un sogno medio, dove non ci sono
grandi paure o problemi, la persona può fare la terapia del risveglio soltanto se ha una minima identità di
sé, una sua centratura ed un Io formato. Si può così lavorare con la disidentificazione.
Buddhi in sanscrito significa risveglio, coscienza risvegliata. La grandissima risorsa del counselor olistico
è la possibilità di utilizzare le tecniche di consapevolezza e di risveglio della coscienza, che pochissimi
psicologi e medici conoscono e applicano. Nonostante gli elementi negativi che compaiono nel quadro
del disagio della persona, la ‘terapia del risveglio’ opera sulla parte sana, sulla coscienza di Sé, sulle sue
risorse profonde, sull’energia vitale, sull’intelligenza potenziale e la voglia di esistere in modo libero e
amorevole. Il nucleo di questo lavoro è il contatto profondo, la sinergia tra la coscienza del counselor e
quella della persona, che definiamo “presenza empatica”. Questa risonanza è la base del processo di
fiducia e di integrità dell’intero lavoro di crescita personale.
257
IL C O D I C E D E O N T O L O G I C O
SICOOL
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norme a cui il Counselor e Operatore Olistico deve attenersi nell'esercizio della propria professione. Oltre
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258
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Art. 8 - Pubblicazioni didattiche
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professionale. In ogni caso, i soggetti coinvolti debbono essere messi al corrente delle finalità d’uso del
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lealtà e correttezza. II Counselor Olistico, facendo proprie le finalità dell’Associazione, promuove e
favorisce rapporti di scambio e collaborazione. Può avvalersi dei contributi di altri specialisti, con i quali
realizza opportunità di integrazione delle conoscenze, in un’ottica di valorizzazione delle reciproche
competenze.
259
INDICE GENERALE
INTRODUZIONE GENERALE .................................................................................................................. 2
LA CULTURA PLANETARIA E L’EVOLUZIONE UMANA ............................................................. 3
Cultura planetaria ed evoluzione umana............................................................................................... 3
I creativi culturali.................................................................................................................................. 3
La nuova cultura del benessere globale ................................................................................................ 3
Il paradigma olistico: dalla divisione alla coscienza globale................................................................ 4
La rivoluzione interiore......................................................................................................................... 4
LA FUNZIONE CREATIVA ED EVOLUTIVA DEL COUNSELOR OLISTICO................................ 5
L’operatore e il counselor olistico: una professione interdisciplinare per un pianeta in trasformazione5
Lavorare sulla parte sana ...................................................................................................................... 6
Il Curriculum Olistico: una rivoluzione nella formazione educativa.................................................... 6
La Scuola Olistica Nazionale CONACREIS per la Salute Globale e la Crescita Umana .................... 6
LE BASI TEORICO-FILOSOFICHE DELLA PSICOLOGIA OLISTICA ................................................ 7
La logica del Counseling Olistico: lavorare globalmente sulla parte sana della persona..................... 7
Coscienza come energia intelligente: la base della guarigione-evoluzione olistica ............................. 8
La consapevolezza di sé: il feedback della coscienza........................................................................... 9
Il riconoscimento profondo dell’essere: la presenza empatica ........................................................... 10
L’individuo come unità e le sue modalità caratteriali......................................................................... 11
Gli strumenti operativi del counselor olistico..................................................................................... 12
Il caso e la sincronicità: una visione di equilibrio............................................................................... 13
L’accettazione della realtà così com’è ................................................................................................ 13
Transfert e controtransfert: la logica delle proiezioni......................................................................... 14
Il concetto di “malattia” ...................................................................................................................... 15
Counseling come presenza empatica .................................................................................................. 15
Le persone non hanno una percezione globale di sé........................................................................... 16
NEUROPSICOLOGIA: L'UNITA' DI COSCIENZA E I BLOCCHI PSICOSOMATICI........................ 18
Il primo blocco psicosomatico: la chiusura del centro della coscienza .............................................. 18
Riportare tutto al centro dell’essere: la I^ Tavola delle Equivalenze Psicosomatiche ....................... 19
La polarità maschile-femminile: la II^ Tavola delle Equivalenze Psicosomatiche ............................ 20
I tre cervelli e le tre energie psichiche: la III^ Tavola delle Equivalenze Psicosomatiche................. 21
La Mappa delle Energie Psicosomatiche Essenziali........................................................................... 26
La sede della coscienza........................................................................................................................29
Shen: il cuore e l'anima emozionale degli organi ............................................................................... 30
Piacere, paura e inibizione del cervello istintivo ................................................................................ 31
Il cervello limbico degli affetti e dell'amore ....................................................................................... 32
LE ENERGIE PSICOSOMATICHE ORMONALI-EMOZIONALI..................................................... 33
Il primo livello psicosomatico ............................................................................................................ 33
Il secondo livello psicosomatico ......................................................................................................... 34
Il terzo livello psicosomatico .............................................................................................................. 34
Il quarto livello psicosomatico............................................................................................................ 35
Il quinto e sesto livello psicosomatico ................................................................................................ 36
Il settimo livello psicosomatico .......................................................................................................... 36
I GRANDI PERSONAGGI E LE GRANDI SCUOLE DELLA PSICOLOGIA ....................................... 37
LA PSICOANALISI DI SIGMUND FREUD........................................................................................ 37
La scoperta dell’inconscio .................................................................................................................. 37
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Il complesso di Edipo.......................................................................................................................... 38
Schema delle aree della psiche ........................................................................................................... 39
SUPER IO........................................................................................................................................... 40
Gli stati di borderline .......................................................................................................................... 40
Il Super Io come “Giudice Interiore”: il condizionamento impiantato nella psiche........................... 41
Le basi dell’evoluzione psichica: bisogni fisici, affetto e riconoscimento del sé............................... 41
LA PSICOLOGIA DEL SÉ DI CARL GUSTAV JUNG........................................................................42
L’animus, l’anima e il mito dell’eroe ................................................................................................. 44
Gli archetipi e l’inconscio collettivo................................................................................................... 44
L’Ombra: il lato oscuro della forza interiore ...................................................................................... 44
La sincronicità..................................................................................................................................... 45
Testi consigliati:.................................................................................................................................. 47
LA PSICOLOGIA ENERGETICA DI WILHELM REICH...................................................................47
Piacere-espansione e dolore-contrazione.............................................................................................48
La sessualità e la funzione dell’orgasmo.............................................................................................48
L’analisi del carattere.......................................................................................................................... 50
Il corpo ed i sette livelli ...................................................................................................................... 51
Testi consigliati:.................................................................................................................................. 55
LA PSICOSINTESI DI ASSAGIOLI..................................................................................................... 56
L’ovoide di Assagioli: la prima mappa psichica transpersonale ........................................................ 57
Il Sé personale e il Sé transpersonale o superiore............................................................................... 58
Il sogno da svegli ................................................................................................................................ 62
La stella di Assagioli............................................................................................................................63
Testi consigliati:.................................................................................................................................. 65
LA PSICOLOGIA TRANSPERSONALE DI MASLOW ................................................................... 65
CARL ROGERS E IL COUNSELING .................................................................................................. 65
La nascita del counseling .................................................................................................................... 65
L’approccio centrato sul cliente.......................................................................................................... 65
L’identità organismica del bambino ................................................................................................... 66
Counseling come processo di autoconsapevolezza............................................................................. 66
Il concetto di empatia incondizionata ................................................................................................. 66
L’integrità del counselor ..................................................................................................................... 67
Biografia ............................................................................................................................................ 67
Testi consigliati:.................................................................................................................................. 68
LA PSICOLOGIA SISTEMICO RELAZIONALE DI PALO ALTO ................................................... 68
La teoria dei sistemi in psicologia ...................................................................................................... 68
Modificando un elemento del sistema si modifica il tutto.................................................................. 70
Mesmer: le radici storiche .................................................................................................................. 70
IL DIALOGO DELLE VOCI DI HAL E SIDRA STONE .................................................................... 71
Le sub personalità ............................................................................................................................... 72
Le parti del “Dialogo delle voci” ........................................................................................................ 72
L’obiettivo del “Dialogo delle voci”................................................................................................... 74
LA PSICOLOGIA TRANSPERSONALE DI KEN WILBER .............................................................. 78
Testi consigliati:.................................................................................................................................. 86
L'INTENSIVO DI ILLUMINAZIONE DI CHARLES BERNER......................................................... 87
LA PSICOLOGIA NON DUALE .......................................................................................................... 88
LA PSICOLOGIA SUFI DI A.H. ALMAAS......................................................................................... 90
PSICOLOGIA DALLE ANTICHE SCUOLE SPIRITUALI..................................................................... 93
261
Il Vedanta e i cinque corpi dell'essere umano......................................................................................... 93
I 7 Livelli di Coscienza: la multidimensionalità dell'essere....................................................................95
LA PSICOLOGIA OLISTICA ................................................................................................................... 96
LO SVILUPPO DEL POTENZIALE UMANO..................................................................................... 98
IL PROCESSO DI CRESCITA E LE SUE QUATTRO FASI ........................................................ 100
La consapevolezza dello stato di frammentazione............................................................................ 100
Decondizionamento e disinquinamento: Il lavoro sul negativo........................................................ 100
Decondizionare la mente...................................................................................................................103
Riappropriazione e sviluppo del potenziale umano: Il lavoro sul positivo....................................... 103
La realizzazione di sé........................................................................................................................ 103
PSICOLOGIA DELL'EVOLUZIONE UMANA ................................................................................. 107
LA GENESI DEI BLOCCHI PSICOSOMATICI ................................................................................ 107
L’ipotesi coscienza: la vita come evoluzione della consapevolezza ................................................ 108
Il concepimento: inizia il viaggio ..................................................................................................... 108
Il cuore della Mamma è la vita del bimbo ........................................................................................ 109
Il periodo intrauterino ....................................................................................................................... 109
La densità energetica......................................................................................................................... 111
Traumi e tensioni intrauterine........................................................................................................... 112
Il contatto o il non-contatto intrauterino .......................................................................................... 112
Il primo blocco psicosomatico: la percezione intrauterina di non essere amati ............................... 114
Il parto e la drammatica situazione di molti reparti di ostetricia ...................................................... 114
Nascite premature o forzate .............................................................................................................. 115
La fase orale...................................................................................................................................... 116
L’imprinting: il principio del condizionamento................................................................................ 117
L’EVOLUZIONE UMANA E LA FORMAZIONE DEI CARATTERI ............................................. 118
Carattere “schizoide”: il “distacco” del corpo..............................................................................119
Il carattere “orale”: il buco affettivo ................................................................................................. 121
Il carattere “masochista”: l’inibizione alla libertà ............................................................................ 123
Il tratto “nevrotico”: iperreattività da stress e incapacità di relax..................................................... 128
Il carattere “psicopatico”: la sfida alla vita ....................................................................................... 128
Il piacere............................................................................................................................................ 131
I caratteri e la sessualità: il rigido, il narcisista e l’isterico............................................................... 132
Le più comuni tipologie ................................................................................................................... 135
Lo schema generale della struttura della personalità ........................................................................ 136
I caratteri e le energie psicosomatiche essenziali ............................................................................ 137
La contrattura del diaframma............................................................................................................ 143
Le ricerche sulla coerenza e la sincronizzazione cerebrale .............................................................. 144
SCHEMA SINTETICO DEI CARATTERI PSICOSOMATICI ............................................................ 146
I tre fattori che determinano un carattere: genetica-epigenetica, condizionamenti e anima-coscienza146
PERIODO FETALE: LA STRUTTURA GENETICA, MATERNA E ANIMICA......................... 146
L'influenza genetica-epigenetica ...................................................................................................... 146
I condizionamenti materni ................................................................................................................ 146
L’anima e l’”ipotesi coscienza” ........................................................................................................ 146
I TRE CARATTERI PSICOSOMATICI ALLA NASCITA............................................................ 147
La tipologia fisica-istintiva e il cervello rettile ................................................................................. 147
La tipologia emozionale-affettiva e il cervello mammifero..............................................................148
La tipologia nervosa-psichica e il cervello mentale...........................................................................148
LO SCHEMA UNIFICATO DEI CARATTERI PSICOSOMATICI FUNZIONALI (FLUIDI E
262
INTEGRATI) E PATOLOGICI (RIGIDI E CONDIZIONATI) …..................................................149
Le tre sfere.........................................................................................................................................149
Sfera del sé in equilibrio consapevole...............................................................................................149
Sfera dell'identificazione dell'io.........................................................................................................150
Sfera della patologia..........................................................................................................................150
Le due metà........................................................................................................................................150
Le tre aree psicosomatiche.................................................................................................................150
Le due polarità fisiche - istintive ...................................................................................................... 150
Le due polarità emotive ................................................................................................................... 150
Le due polarità mentali......................................................................................................................151
I caratteri patologici condizionati e rigidi ......................................................................................... 151
Dalla patologia ai caratteri fluidi ...................................................................................................... 151
Dal condizionamento “anale” al condizionamento all’esplorazione ................................................ 151
Dal complesso di Edipo alla relazione affettiva ............................................................................... 151
APPROCCIO OLISTICO AL COUNSELING ........................................................................................ 152
LA PRESENZA EMPATICA............................................................................................................... 152
La presenza empatica come stato di consapevolezza globale di noi e dell'altra persona ................. 152
L'intensivo di illuminazione di Charles Berner ................................................................................ 153
La direzione ...................................................................................................................................... 155
L’intenzione ...................................................................................................................................... 155
Lo “stare con quello che trovi” ......................................................................................................... 157
L’esprimere ....................................................................................................................................... 158
LA PRATICA DEL COUNSELING PER CHI INIZIA...........................................................................159
Il significato di counseling e il lavoro su di sé.................................................................................. 159
Le modalità tecniche di incontro: pubblicità, parole chiave, correttezza. ....................................... 159
Il pagamento e il problema del denaro.............................................................................................. 161
Il setting minimo ............................................................................................................................... 162
L’immagine professionale ................................................................................................................ 162
L’ambiente di lavoro: essenziale, accogliente e personale ............................................................... 163
LA RELAZIONE CON LA PERSONA (IL CLIENTE)...................................................................... 164
La relazione con il cliente ................................................................................................................. 164
Non c’è una seconda occasione per avere una buona “prima impressione”..................................... 165
Empatia e “rispecchiamento”: la bolla psichica della persona ......................................................... 165
“Leggere” empaticamente la persona oltre i giudizi......................................................................... 166
Transfert e controtransfert: il gioco incrociato delle proiezioni ....................................................... 167
La scheda di crescita personale......................................................................................................... 171
Le domande esistenziali.................................................................................................................... 174
La logica dei primi incontri............................................................................................................... 175
Il vero e il falso dei problemi ............................................................................................................ 177
La direzione esterna e interna .......................................................................................................... 178
Il “progetto di crescita” ..................................................................................................................... 178
Valutazioni e aspettative nel “progetto di crescita”.......................................................................... 179
Motivi per cui il counselor non deve dare consigli........................................................................... 180
Il Mito di Kirone: il counselor non è un perfetto .............................................................................. 180
Trasparenza e sincerità...................................................................................................................... 181
Il lavoro sull'identità ......................................................................................................................... 182
Le norme di riconoscimento delle persone critiche...........................................................................183
PRIMA SESSIONE DI COUNSELING .............................................................................................. 184
263
SIMULATA DI UNA SESSIONE DI COUNSELING ....................................................................... 185
LE BASI DEL COUNSELING ............................................................................................................ 188
Il counselor, il cliente e l’incontro .................................................................................................... 188
I limiti etici e deontologici del counseling e la psicoterapia............................................................. 189
Sviluppo delle potenzialità umane e percorso di crescita ................................................................. 190
Il rapporto.......................................................................................................................................... 191
Le tecniche ........................................................................................................................................ 191
Il piano di crescita............................................................................................................................. 192
Ogni incontro è unico e irripetibile................................................................................................... 193
I samskara..........................................................................................................................................196
Thich Nhat Hanh (detto Tai)..............................................................................................................197
L’USO DELLE TECNICHE DI MEDITAZIONE PER IL COUNSELING OLISTICO........................ 198
Le tecniche di meditazione................................................................................................ 200
La Tecnica dei Sette Suoni ............................................................................................................. 200
La Meditazione Chakra Breathing .................................................................................................... 201
La Meditazione Nataraj..................................................................................................................... 202
La Meditazione Vipassana................................................................................................................ 202
La Meditazione Nadabrahma ............................................................................................................ 204
La Meditazione Kundalini ................................................................................................................ 205
La Meditazione Dinamica................................................................................................................. 207
IL PERSORSO DI CRESCITA SPIRITUALE E I DISTURBI DELL’IDENTITÀ............................ 208
Il persorso di crescita ed i disturbi dell’identità................................................................................ 208
Caratteristiche di costituzione e condizionamenti ............................................................................ 208
Libertà e necessità............................................................................................................................. 209
La forza interiore............................................................................................................................... 209
Comprendere l’identità come forza interiore e libero pensiero ........................................................ 210
Credere o sperimentare. Le ideologie uccidono la coscienza di sé................................................... 212
I grandi Illuminati erano dei ribelli................................................................................................... 212
Cambiare la direzione del problema ................................................................................................. 213
ELEMENTI DI PSICOPATOLOGIA ...................................................................................................... 215
ANSIA, ANGOSCIA, PAURA E PANICO......................................................................................... 215
FOBIE, OSSESSIONI E COMPULSIONI........................................................................................... 223
PSICOSI E NEVROSI.......................................................................................................................... 224
LA DEPRESSIONE ................................................