Intervista R Pergamo (CREA-CIN)_Agronotizie su filiera canapa

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Intervista R Pergamo (CREA-CIN)_Agronotizie su filiera canapa
Il CREA sta studiando le possibili
estensioni di coltivazioni a base di canapa
per stimolare la creazione di una filiera
nazionale ad hoc
A cura dell’Ufficio Stampa
Canapa, per gli agricoltori una coltura "da
sballo"?
La canapa è una coltura che richiede poche cure e assicura buone produzioni, ma in Italia mancano
ancora macchinari ad hoc, impianti di trasformazione e mercato. Per non parlare dell'aspetto di
accettazione sociale
L'Italia ha una lunga storia nella coltivazione di canapa sativa o canapa utile (una specie del
genere cannabis). La pianta veniva coltivata un po' in tutto il Paese per produrre fibre tessili e carta.
A Carmagnola, in Piemonte, e a Ferrara c'erano i due centri più importanti di coltivazione e lavorazione.
Tuttavia con l'avvento dell'industria chimica e del proibizionismo le estensioni andarono contraendosi fino
a scomparire quasi del tutto.
Oggi però in molti guardano alla canapa come ad una coltivazione che promette di garantire quegli utili che
altre colture estensive ormai non assicurano più. I presupposti ci sono tutti: la canapa è una pianta rustica,
che cresce bene in terreni fertili, sciolti e drenati, ma che si adatta anche alle aree marginali. Produce
volumi importanti di biomassa e semi oleosi per uso industriale e alimentare.
La canapa viene infatti coltivata per due ragioni: produrre fibra e semi oleosi. Il fusto della canapa può
arrivare fino 5-6 metri di altezza (come per la varietà Carmagnola), mentre il diametro può variare da pochi
millimetri ad alcuni centimetri. E' composto per il 25-30% dalla corteccia, con un contenuto di circa l'80%
di cellulosa e del 6% di lignina. Il canapulo è invece la parte interna, di colore bianco (e per questo in
passato usatissimo per produrre carta), contenente il 77% di cellulosa e il 19% di lignina.
Le fibre vengono lavorate e possono essere utilizzate in edilizia, ad esempio per i pannelli fono-assorbenti,
o per produrre filati ad uso tessile. In passato la zona di Ferrara era diventata assai ricca producendo il
cordame per la flotta della Repubblica di Venezia. Le parti meno nobili vengono invece usate come
pacciamante o come lettiera in zootecnia.
La semina per produrre paglia si colloca tra marzo (Sud) ed aprile (Nord), e avviene come per i cereali, con
una distanza tra le file di 15/20 centimetri e una densità di 50 chili per ettaro. Il seme deve essere interrato
a massimo due centimetri e il terreno deve essere umido, ma privo di ristagni di acqua. Durante
l'emergenza e fino ad una altezza di 40 centimetri la pianta cresce lentamente e può subire la concorrenza
delle malerbe, ma successivamente accelera e sovrasta le altre specie rendendo inutile il diserbo.
La mietitura avviene tra luglio e agosto. I fusti vengono lasciati in campo ad essiccare per poi essere raccolti
in rotoballe e inviati agli impianti di prima lavorazione. E qui veniamo al primo problema per chi vuole
coltivare canapa. “Di impianti in Italia ce ne sono pochissimi”, spiega ad AgroNotizie Margherita Baravalle,
di Assocanapa srl, società piemontese che fornisce i semi agli agricoltori e ritira i raccolti. “Le paglie di
canapa sono molto voluminose: un camion ne carica 80 quintali, mentre di fibra lavorata e pressata ne
trasporta 300. Non avere impianti in loco, come in Francia, ha un impatto economico importante”.
E veniamo dunque alla parte cruciale, i soldi. I costi di semina e raccolta sono simili a quelli dei cereali. Le
piante non hanno bisogno di diserbo, non necessitano di irrigazione (a meno che non ci si trovi in areali
siccitosi e ventosi), né di fertilizzanti. Subiscono l'attacco di alcuni parassiti che però sono sostanzialmente
ininfluenti sulle rese. Un chilo di semente viene venduto intorno ai 6 euro da Assocanapa, quindi siamo
intorno ai 300 euro all'ettaro.
La resa varia molto da varietà, areale, condizione meteorologica ed esperienza dell'agricoltore. Oscilla tra
gli 80 e i 130 quintali per ettaro di prodotto secco che viene comprato da Assocanapa, dati del 2016, a 15
euro a quintale. Stimando una produzione intorno ai 110 quintali il ricavo è di 1.650 euro, a cui vanno
sottratti sementi e costi di lavorazione, ma a cui vanno sommati i contributi Pac (variabili tra 100 e 450 euro
ad ettaro).
Fino a qui abbiamo parlato di fibra, veniamo al seme. La densità di semina in questo caso è più bassa, sui 35
chili per ettaro, da marzo a maggio, con varietà monoiche tardive o medio precoci. La raccolta avviene a
fine settembre o inizio ottobre con mietitrebbia e i semi devono essere immediatamente essicati per
evitare il deterioramento.
Assocanapa acquista i semi ad 1,5 euro al chilo, salendo a 1,8 euro per il biologico (dati 2016). Ogni ettaro
può produrre dai 7 ai 10 quintali. Per l'agricoltore un utile di mille euro, in caso di biologico con produzione
di 8 quintali, compreso il costo della semente.
A causa della produzione di biomassa importante c'è anche chi coltiva canapa per la produzione di biogas.
Ma i numeri riportati in questo articolo confermano che non si tratta di una scelta economicamente
vantaggiosa.
Che si punti al seme o alla fibra parliamo di numeri di tutto rispetto, che fanno della canapa una coltura
interessante, anche dal punto di vista ambientale. Le radici (fino a un metro e mezzo di profondità)
migliorano la tessitura del terreno e le foglie, che prima della mietitura cadono, aumentano la fertilità del
suolo.
“Ma in Italia le estensioni sono ancora molto basse, intorno ai 100-120 ettari”, spiega ad AgroNotizie
Raffaella Pergamo, ricercatrice del Crea. “Nel 2015 in tutta Europa siamo arrivati a 25 mila ettari,
prevalentemente in Francia. Come Crea siamo impegnati a studiare questa coltura per identificare
le varietà migliori per il nostro territorio e stimolare la creazione di una nuova filiera”.
Le motivazioni del ritardo dell'Italia sono tre: la meccanica, la trasformazione, il mercato.
Partiamo dal primo punto: la mancanza di macchinari agricoli ad hoc. Se nella canapa a paglia grossi
problemi non ce ne sono, quando si deve raccogliere il seme le cose si complicano. “Non esistono
mietitrebbie studiate per la canapa perché le estensioni limitate rendono la produzione antieconomica”,
spiega Baravalle. E anche i contoterzisti attrezzati sono pochi. Risultato: con le mietitrebbie tradizionali si
perde fino al 40% del seme.
Per ridurre le perdite si devono scegliere varietà più basse o, come detto prima, monoiche. In quest'ultimo
caso la quota a cui si trovano le inflorescenze è stabile (anche se con il Carmagnola può arrivare anche a 5-6
metri) rispetto a quelle dioiche.
C'è poi il grande problema della trasformazione. Se in Francia in ogni zona di coltivazione c'è un impianto di
prima lavorazione per processare gli steli di canapa ed estrarre la cosiddetta 'lana', in Italia sono in numero
estremamente limitato. Su questo fronte Assocanapa e Cnr stanno cercando di mettere a punto
degli impianti per il mercato italiano.
Il mercato, appunto. Quello dei semi ad uso alimentare è piuttosto sviluppato in Nord Europa. Ma le
industrie, ad oggi, si approvvigionano per la maggior parte dall'estero, Cina in primis. E anche l'industria
della fibra non è così sviluppata da generare una domanda che giustifichi una crescita importante delle
estensioni coltivate.
C'è poi una questione di accettazione sociale della canapa. Non è raro infatti che passanti, madri
preoccupate o solerti cittadini denuncino alle forze dell'ordine chi coltiva canapa temendo di trovarsi al
centro di un'attività illegale. Così non è. Anche se la legislazione è carente, la coltivazione di canapa è
assolutamente legale, purché sia di alcune varietà (come il Carmagnola, il Cs o Futura75) che hanno un
contenuto di Thc, il principio psicoattivo della marijuana, inferiore a 0,02%. Sono pochi però i pubblici
ufficiali che sono ferrati su questo campo e si rischia di passare ore e ore in questura per assicurare a tutti
di non essere narcotrafficanti.