recensioni LENIN, HEGEL AND WESTERN MARXISM

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recensioni LENIN, HEGEL AND WESTERN MARXISM
recensioni
LENIN, HEGEL AND WESTERN MARXISM
di Stefano Garroni
Esiste una vasta e varia tradizione di lettura che, dopo aver
messo in luce le indubbie discrepanze fra le pagine di
Engels e di Marx, sottolinea
come quello secondo-internazionalista sia stato sostanzialmente un marxismo ‘engelsiano’ e che lo stesso Lenin (buon
allievo di Kautsky e di Plechanov – dunque, di due maestri
della II Internazionale) abbia
costruito il proprio orientamento
filosofico-scientifico
più sulla base della lezione di
Engels appunto, che non su
quella di Marx.
Codesta tradizione di lettura,
dunque, si caratterizza per
operare due separazioni – di
Engels da Marx e di Lenin da
Marx -, finendo in questo
modo col mostrarsi non tanto
interessata alla correttezza filologica, quanto ad esorcizzare il
‘pericolo’ politico Lenin.
In Italia, ottimo esempio di
questa tradizione fu Lucio
Colletti, il quale introdusse
con un lungo saggio la versione italiana dei Quaderni filosofici di Lenin che, com’è noto,
sono massimamente dedicati
al commento delle opere di
Hegel.
I Quaderni leniniani – nell’interpretazione collettiana - mostrano con grande chiarezza
quanto negativamente pesi su
Lenin l’eredità engelsiana, nel
senso che proprio quest’ultima impedì al dirigente russo
di apprezzare fino il fondo la
rottura esistente fra dialettica
hegeliana e riflessione marxiana, portandolo piuttosto ad
‘hegelianizzare’ Marx.
In effetti, è per noi oggi difficile rendere con chiarezza ciò
che Colletti, in quella sua
Introduzione, diceva di Hegel e
di Marx (e quindi anche di Lenin), perché – dissolta oramai
da tempo una certa ‘magia’
dellavolpiana, che aveva incantato buona parte dell’intellettualità
comunista
(specie giovanile) - nulla ci impedisce di apprezzare fino in
fondo l’autentico stravolgimento del pensiero hegeliano
che, in quel testo, Colletti operava, con la conseguenza di lasciare il lettore in una condizione di smarrita maraviglia
(chi mai sarà lo Hegel, di cui Colletti parla!?).
Naturalmente della disinvoltura filologica collettiana anche Lenin faceva le spese; Lenin, che appariva subalterno
alla lezione engelsiana e, per
questo, non adeguatamente
consapevole di quanto la dialettica di Marx rappresentasse
un radicale voltar pagina rispetto ad Hegel.
L’americano Kevin Anderson
tenta, al contrario, un’operazione che è l’opposto di quella,
che abbiamo finora descritto:
nel suo Lenin, Hegel, And Western Marxism, infatti, intende mostrare come il pensiero
di Lenin vada emancipandosi
da influenze secondo-interna-
zione, non si studia in concreto e
non si approfondisce, questa subordinazione effettiva agli intellettuali: ogni sviluppo organico
delle masse contadine, fino a un
certo punto, è legato ai movimenti degli intellettuali e ne dipende”. (Q.12); e, infine, per la
necessità di superare la loro rappresentazione letteraria classica:
“La vita dei contadini occupa un
maggior spazio nella letteratura,
ma anche qui non come lavoro e
fatica, ma dei contadini come
‘folclore’, come pittoreschi rappresentanti di costumi e sentimenti curiosi e bizzarri(..)”
(Q.23).
La tradizione, l’antico, dunque,
segue le forme sovrastrutturali
delle classi dominanti, ma
all’interno di quella tradizione,
resa non più funzionale alla sovrastruttura ideologica complessiva e liberata dalle incrostazioni sedimentate del senso comune, c’è comunque una sostanza che ne salvaguarda
l’originalità identitaria, non in
senso etnico, ma di quella identità degli esclusi che si propongono come classe liberatrice
dell’intero assetto sociale.
Per riprendere la connessione
con la questione meridionale, il
ruolo dell’intellettuale del Mezzogiorno, espressione della rottura storica del vecchio blocco
rurale, non è solo ideologico o
puramente culturale, ma politico e organico, funzionalmente, a
una nuova egemonia. Mentre il
meridionalismo idealistico o comunque di impronta liberale,
può esprimere una rottura nel
cielo delle elaborazioni astratte,
qui la rottura avviene nel fuoco
delle contraddizioni materiali.
E, nel campo sovrastrutturale, libera gli elementi culturali specifici da una funzionalità diretta
alla cultura dominante.
4In un unico Sud, tutti
nuova unità
pagina precedente
i Sud del mondo
Le elaborazioni di Gramsci, il
ruolo e la scrittura di Scotellaro,
parlano un linguaggio nuovo.
Rintracciarne i fondamenti oggi,
non è affatto mera scolastica accademica. È l’unico linguaggio
che oggi può comprendere in un
unico Sud, tutti i Sud del mondo. L’attualità loro sta qui:
Gramsci nel fuoco della lotta politica e poi dal buio del carcere,
Scotellaro dal ventre della propria terra, riescono a universalizzare i contenuti meridionalistici e pongono la rigenerazione
dell’intellettuale come necessità
di definitiva liberazione ed
emancipazione. Cinquant’anni
dopo, il fenomeno della “globalizzazione” tende allo sradicamento e rende periferia un numero sempre più esteso di territori e collettività: ma la linea di
confine è sempre più tenue. Il
confine è labile, non regge: e il
Sud si estende, si allarga e cinge
d’assedio la cittadella fortificata.
La contaminazione tra culture di
popoli rimescola continuamente
la cultura, le culture dominanti.
Ma l’imperialismo, culturale in
questo caso, tende ad escludere,
non a integrare: e lo sradicamento diventa estraniamento. Ecco
perché alla globalizzazione ci si
contrappone rivitalizzando le
radici culturali dei popoli: perché
l’altra
risposta,
l’omogeneizzazione sotto il dominio dell’imperialismo, è regressiva e fuori tempo storico. Il
meridionalismo non può che ritrovare insieme, sia il legame
con i popoli e le proprie radici,
sia la massima apertura
all’universo-mondo. L’uno senza alcuna contrapposizione
all’altra, anzi, in stretta connessione dialettica. La connessione
dialettica è anche coscienza di
una lotta permanente per
} L’americano Kevin Anderson intende
mostrare come il pensiero di Lenin
vada emancipandosi da influenze
secondo-internazionaliste attraverso
la lettura di Hegel; e mostrare come
il marxismo di Lenin divenga sempre
più precisamente rivoluzionario,
anche sulla base dello studio diretto
delle principali opere di Hegel
~
zionaliste appunto attraverso
la lettura di Hegel; conseguentemente, l’analisi attenta e minuziosa, che K. Anderson fa
dei Quaderni leniniani ha lo
scopo – paradossale, se valesse l’ottica collettiana - di mostrare come il marxismo di Lenin divenga sempre più precisamente rivoluzionario, anche
sulla base dello studio diretto
delle principali opere di Hegel.
Com’è ovvio, anche Kevin
Anderson sottolinea la forte
influenza secondo-internazionalista subita da Lenin; ma,
del tutto correttamente, individua tale influenza nelle opere leniniane del primo Novecento, vale a dire in scritti, che
vogliono essere ‘materialistici’
e ‘scientifici’, in un senso assai
vicino al positivismo, che
d’altra parte influenzava largamente appunto il marxismo
di Kautsky e di Plechanov.
Altrettanto certamente, Anderson coglie la diffusa presenza della lezione di Engels
nelle pagine leniniane, non
mancando però mai di sottolineare quanto Lenin fosse consapevole delle conseguenze
inevitabili, che la volontà divulgativa (per altro dichiarata
esplicitamente) aveva sulle argomentazioni engelsiane.
Quando, nel 1914 a Ginevra,
Lenin decide lo studio diretto
dell’opera hegeliana, in realtà
inizia, per il dirigente russo,
un lavoro di approfondimento
che si concluderà solo nel
1924, ovvero con la sua morte.
E questo approfondimento
modificò profondamente il
punto di vista leniniano.
In primo luogo, permettendogli di capire non solo il carattere formalmente non dialettico
della rigida opposizione fra
l’emancipazione senza la perdita del senso comunitario. Il segno
della
scrittura
(e
dell’impegno) scotellariana è
esplicito in questa direzione, è il
segno distintivo della sua esperienza di vita: “perché per la prima volta in vita sua sentiva dire
che si deve stare da una parte
sola, a lottare o a morir di fame
(...) Dovevo fare la mia parte,
gridare nelle strade, come allora
gridavano i galli, l’indomani,
nella polvere rimescolata”. (Uva
Puttanella, pag.43 e 45, ed.
1977).
La rivolta sociale è corale, impegna non un personaggio-eroe individuale, ma domanda un protagonismo all’intera collettività
subalterna, chiamata, oltre che a
contrastare l’egemonia della
strutturazione capitalista, a proporre una nuova egemonia costruita sull’arresto del processo
di deculturizzazione e affermazione in sé di nuovi valori costituenti, proprio perché non eterodiretti, ma interni alla propria
identità culturale.
I toni del diniego non sono quelli del “pessimismo classico”:
“oggi e ancora e duemila
anni/porteremo gli stessi pan-
ni./Noi siamo la turba/la turba
dei pezzenti/” (da Pozzanghera
nera il 18 aprile), ma è il grido di
dolore che traduce un pessimismo della ragione e un ottimismo della volontà tipicamente
gramsciani, cioè l’urlo che deve
spronare alla lotta “quelli che
strappano ai padroni/le maschere coi denti/) come è nella
strofa successiva e nell’intero
impegno di Scotellaro. Ma è dalle espressioni del comportamento sociale, dalle ansie, dai bisogni, dalle rinunzie che segnano
l’esistenza delle classi popolari
che bisogna partire, in una sorta
di ‘realismo dialettico’ che è la
vera impronta di alterità irriducibile della prospettiva di liberazione collettiva.
Scotellaro, così come Gramsci,
può essere letto oggi da un meridionale di ogni latitudine e da
tutte le coscienze avvertite delle
cittadelle del Nord del mondo. Il
poeta di Tricarico e lo scienziato
politico sardo, diventano oggi,
com’era nel loro spirito più profondo, viandanti del mondo e
compagni dei popoli che anelano alla loro liberazione e a diventare padroni del proprio destino.
6/2003
materialismo e idealismo, ma
anche che andava intesa come
mera semplificazione la tesi
engelsiana dell’eterna lotta tra
materialismo e idealismo appunto, che dovrebbe caratterizzare l’intera storia della filosofia. In realtà, se vale la prospettiva dialettica, non esistono rigidi steccati, che isolino
una categoria dall’altra e la
storia effettiva (anche della filosofia) è piuttosto un continuo processo di rovesciamento dell’opposto nel proprio opposto e, così, di reciproca implicazione tra gli opposti.
Com’è chiaro, mettere in crisi
il materialismo marxista (nella
comune accezione del termine), comporta l’abbandono
deciso di ogni utopico dissolvimento della filosofia nella
scienza e nella politica, ma
piuttosto la riscoperta dell’inevitabilità della dimensione filosofica, anche allo scopo
di dare un adeguato fondamento teorico alle ricerche
scientifiche.
Ma un’altra fondamentale
conseguenza della lettura diretta di Hegel fu, per Lenin, riscoprire la differenza di struttura logico-formale tra movimento, nel senso dell’evoluzionismo positivistico (e del
marxismo di un Plechanov, ad
es.), e movimento, nel senso
propriamente dialettico.
Il centro della differenza sta in
concetti come quello di rottura,
di salto, di cambio della quantità
in qualità, i quali rendono la
concezione dialettica del movimento capace di piena autonomia, ovvero, di non avere
assolutamente bisogno di una
fonte esterna del mutamento
(dio o qualche eterna legge). In
questo senso, il movimento
dialettico è rivoluzionario,
per la sua stessa forma, in
quanto capace di essere se
stesso e la negazione di sé, di
affermarsi nella continuità dinamica, nello stesso momento
in cui si rivela capace di creare
a se stesso gli ostacoli, le opposizioni.
Le due conseguenze fondamentali, che derivano dalla
lettura che di Lenin propone
K. Anderson sono: da un lato,
mostrare come la radicalità rivoluzionaria del marxismo leniniano derivi (anche) dall’assimilazione dell’opera hegeliana, iniziata nel 1914.
Dall’altro, far risaltare i momenti di continuità fra ‘hegelismo’ leniniano e certe opere di
marxisti successivi, come Lukàcs, Korsch e Marcuse (ad
esclusione, si badi, della Scuola di Francoforte). A questo
‘marxismo occidentale’ Kevin
Anderson contrappone esplicitamente autori che, come
Althusser, sulla base anche di
influenze culturali à la page in
un certo momento, hanno teso
con estrema disinvoltura ad
isolare questo o quel testo di
Lenin, per farne un critico radicale di Hegel.
4Note
masse popolari, era stato apprezzato
dallo stesso Gramsci. La rivista di
Gobetti Rivoluzione liberale aveva
stabilito, dall’autunno 1924, un forte
legame con i gruppi meridionali, con
quegli intellettuali, come Giuseppe
Stolfi, Mario Grieco, Edoardo Persico, Guido Dorso, Tommaso Fiore,
E.Azimonti, Camillo Puglionisi, che
firmeranno nel dicembre 1924 un
‘appello ai meridionali’ che Gramsci
considerò di rilevante e indubbio valore politico e culturale, cfr. P.Spriano, Gramsci e Gobetti, Einaudi, 1977,
in part. Pag.130.
7 La testimonianza di Pedio: “Non
aveva più gli interessi di un tempo.
L’autore dell’Uva Puttanella apparteneva ad un mondo che a me sembrava lontanissimo, un nuovo mondo borghese. (..) Non capisco se c’era
rimpianto o distacco dal mondo del
passato.”, cfr. R.Scotellaro, Lettere a
Tommaso Pedio, cit., pp.34/35
8 Cfr. A.Gramsci, Quaderni dal carcere, Q.1(XVI), ed. Einaudi, a cura di
Valentino Gerratana, 1975, vol..I,
pag.48. Nello stendere queste note,
che sono del 1929, Gramsci ha presente la prima edizione del libro di
Guido Dorso La rivoluzione meridionale, P.Gobetti ed., Torino, 1925.
Giovanni Ansaldo, ne Il Lavoro di
Genova del 1 ottobre 1925, aveva polemizzato con gli assunti di Dorso
che apprezzavano l’impostazione
gramsciana espressa fino a quel momento (cfr. anche Q.19(X), ivi, vol.III,
pag.2022/23). Dorso aveva scritto
che “la rivoluzione italiana sarà meridionale o non sarà”, cit., pag. 221.
Per l’intellettuale irpino “l’opposizione tra il Mezzogiorno e lo Stato ha
obiettivamente un contenuto rivoluzionario. L’autonomismo coincide
per Dorso con questa opposizione intransigente, la quale può raggiungere il suo obiettivo nazionale se riuscirà a spezzare il sostegno che gli agrari assicurano nel Mezzogiorno allo
Stato, ‘guardiano delle loro terre’.
Egli concentra la sua attenzione su
un punto, debole e vitale insieme, del
sistema nazionale, il blocco agrario
meridionale, e cerca nella sua rottura
l’avvio decisivo alla ‘rivoluzione liberale’.”, cfr. Il Sud nella storia
d’Italia-antologia della questione
meridionale, a cura di R.Villari, Bari
(1961), ed. 1977, pag. 519.
9 Ivi, Q.19(X), 1934/35, pag.2041
1 Il libro è quello del sociologo Franco Cassano, cfr. Il pensiero meridiano, Laterza, 1996, che nella controcopertina recita: “Occorre restituire al
sud l’antica dignità di soggetto del
pensiero, interrompere una lunga sequenza in cui esso è stato pensato da
altri.”
2 Non gridatemi più dentro/non soffiatemi in cuore/i vostri fiati caldi,
contadini./Beviamoci insieme una
tazza colma di vino!/che all’ilare
tempo della sera/s’acquieti il nostro
vento disperato./Spuntano ai pali
ancora/le teste dei briganti, e la caverna/l’oasi verde della triste speranza/lindo conserva un guanciale
di pietra../Ma nei sentieri non si torna indietro./Altre ali fuggiranno/dalle paglie della cova/perché
lungo il perire dei tempi/l’alba è nuova, è nuova./, in R.Scotellaro, È fatto giorno, (a cura di F.Vitelli), ed.
Mondadori, 1982. La poesia, senza
data certa, presumibilmente è del
1948.
3 Nella nota di presentazione della rivista teorico-politica del PCd’I che
veniva pubblicata a Parigi si legge:
“Lo scritto non è completo e probabilmente sarebbe stato ancora ritoccato dall’autore, qua e là. ”, riportato
in A.Gramsci: La questione meridionale, a cura di Franco De Felice e Valentino Parlato, Editori Riuniti, 1966
(ed.1974, pag. 131)
4 Riportato da R.Salina Borello, Linguaggio e ideologia in Scotellaro, in
AA.VV., Il sindaco poeta di Tricarico,
Basilicata ed., 1974, pag. 64, che nella
prima parte raccoglie le relazioni
svolte al convegno tenuto a Torino il
23 febbraio 1974.
5 Cfr. R.Scotellaro: Lettere a Tommaso Pedio, Venosa, 1986, pag.77.
6 Cfr. M. Alicata, La cultura meridionale, in Rinascita, a.VI, nr.10, ottobre
1949. Per comprendere meglio, dunque, c’era stato un meridionalismo
tradizionale di impronta crociana, un
primo nuovo meridionalismo di carattere progressivo ma con limiti e insufficienze di stampo idealista e un
nuovo meridionalismo di impronta
gramsciana. E l’importanza del secondo, per il duplice compito di rottura storica con la funzione dei ‘grandi intellettuali’ e di genesi del meridionalismo di tipo nuovo legato alle
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