unità 5 - l`organizzazione e le funzioni del corpo umano
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UNITÀ 5 - L’ORGANIZZAZIONE E LE FUNZIONI DEL CORPO UMANO Lezione 1 – Struttura, apparato tegumentario e salute Approfondimento - La pelle può ustionarsi: come prevenire e curare Attenzione all’abbronzatura L’esposizione della pelle all’aria e al sole ne favorisce l’ossigenazione e la produzione di vitamina D. Va tuttavia ricordato che l’esposizione eccessiva ai raggi ultravioletti (UV), quelli che provocano l’abbronzatura, può esser molto dannosa per le cellule del derma. L’eccessiva esposizione alle radiazioni, infatti, oltre a provocarne l’invecchiamento precoce, può causare scottature anche gravi (ustioni), una irritazione detta “eritema solare” e tumori maligni come i melanomi. Perciò quando ci si espone al sole bisogna prendere alcune precauzioni: ♦ iniziare con pochi minuti al giorno e aumentare pian piano il tempo di esposizione; ♦ evitare di stare al sole nelle ore più calde (dalle 11 alle 16); ♦ proteggere sempre la pelle con creme od oli solari con potere filtrante e ripetere l’applicazione più volte al giorno, soprattutto dopo le nuotate; ♦ scegliere la crema od olio solare in base al fattore di protezione solare (SPF) e al tipo di pelle: per pelli chiare è consigliato un fattore di protezione alto, mentre per le carnagioni più scure un fattore di protezione medio; ♦ proteggere il capo con un cappello e gli occhi con occhiali con le lenti scure; ♦ bere spesso acqua per sostituire i liquidi persi. Come comportarsi in caso di ustioni 1. per prima cosa bisogna mettere la parte ustionata sotto l’acqua fredda (almeno 5 minuti) per abbassare la temperatura ed evitare che l’ustione si estenda in profondità; 2. togliere intorno alla parte colpita eventuali anelli, orologi, cinture, calze ecc. poiché potrebbe gonfiarsi a seguito dell’irritazione; 3. coprire la zona ustionata con una benda sterile. Attenzione: è sempre opportuno rivolgersi al medico per fargli controllare la lesione. Che cosa non bisogna assolutamente fare? - non va versato sopra alcol; - non vanno applicate pomate, oli o grassi in genere; - non vanno messi cerotti; - non vanno staccati vestiti o altro nel caso si siano attaccati alla pelle nella zona ustionata; - se si formano delle vesciche non vanno forate. 1 UNITÀ 5 - L’ORGANIZZAZIONE E LE FUNZIONI DEL CORPO UMANO Lezione 1 – Struttura, apparato tegumentario e salute Approfondimento - L’individuazione di una malattia attraverso la diagnosi La diagnosi consiste nell'individuazione di una determinata malattia: essa viene espressa dal medico che, per definirla, si avvale dell’esame oggettivo (osservazione diretta del paziente), dei sintomi riferiti dal paziente, spesso di esami di laboratorio o strumentali e di referti medici specialistici. Anche l’anamnesi, cioè la documentazione storica personale del paziente, è molto utile al medico per effettuare una corretta diagnosi. Evidentemente più precoce e precisa risulta la diagnosi di una malattia, più tempestiva sarà la prescrizione della cura adeguata. Per ottenere delle diagnosi precoci spesso si ricorre al check-up, che consiste in un’indagine individuale periodica, che si effettua generalmente in ospedale in assenza di sintomi soggettivi. Tale verifica ha lo scopo di riconoscere precocemente eventuali malattie nascoste o asintomatiche. Lo screening, invece, è un’indagine che viene effettuata su intere popolazioni o su particolari gruppi di individui “a rischio”, per evidenziare determinate malattie (per esempio il tumore al retto o all’utero). Generalmente sono stati osservati nei pazienti due comportamenti, opposti ed entrambi scorretti, nei confronti della prevenzione: ♦ il paziente che, sentendosi bene, ritiene superfluo sottoporsi a qualsiasi accertamento medico; ♦ il paziente che, in preda all’ansia, richiede e si sottopone continuamente ad accertamenti diagnostici, per la maggior parte inutili. Logicamente il comportamento corretto è quello di chi segue le norme di prevenzione per evitare di esporsi a eventuali malattie e che, anche in assenza di sintomi, si sottopone periodicamente a una visita medica di controllo. Infatti, fare prevenzione non consiste unicamente nel sottoporsi a un elevato numero di esami o visite mediche, ma piuttosto nel seguire alcune norme di comportamento adeguate all’ambiente in cui si vive e si lavora, al fine di eliminare o ridurre i rischi di una malattia prima che questa possa essere contratta o di curarla alla sua prima manifestazione. 2 UNITÀ 5 - L’ORGANIZZAZIONE E LE FUNZIONI DEL CORPO UMANO Lezione 1 – Struttura, apparato tegumentario e salute Approfondimento - Come curare le malattie infettive con i farmaci La somministrazione di chemioterapici, cioè di farmaci per curare le malattie infettive, ha avuto un considerevole sviluppo con la scoperta dei sulfamidici e degli antibiotici. Sono, queste, le sostanze che uccidono o inibiscono la crescita di microrganismi patogeni che hanno già infettato un organismo. La prima tappa dell’era degli antibiotici risale al 1928, anno in cui Alexander Fleming (1881-1955) pervenne alla sua celebre scoperta: la penicillina, una muffa che arresta la crescita dei batteri. Dopo anni di ricerca finalmente, nel 1940, egli riuscì a produrre il farmaco che da allora ha salvato un numero incalcolabile di vite umane. Da quel momento la scienza ha fatto passi da gigante e gli antibiotici a nostra disposizione sono oggi numerosissimi; molti sono prodotti da batteri e alcuni da funghi. Molti altri, tra cui la stessa penicillina, possono essere ora sintetizzati in laboratorio. Gli antibiotici contrastano i batteri con diverse modalità: ♦ impedendo la formazione della parete cellulare; ♦ inibendo la produzione di ATP; ♦ bloccando la sintesi proteica; ♦ distruggendo il corretto avvolgimento della molecola di DNA; ♦ inibendo l’espressione genica. Qualunque sia la loro modalità d’attacco, gli antibiotici impediscono la proliferazione batterica e permettono, così, alle difese immunitarie dell’organismo di organizzarsi e contrastare l’infezione. L’uso di tali farmaci ha salvato numerose vite umane, ma l’abuso che oggi se ne fa ha evidenziato un nuovo pericolo: la comparsa di ceppi batterici resistenti a questi stessi farmaci. Questi batteri devono la loro resistenza agli antibiotici a particolari geni che possono trovarsi o nel cromosoma batterico o nei plasmidi. Alcuni geni della resistenza sono ereditari, altri derivano da mutazioni casuali (tra i batteri sono molto più frequenti che tra gli eucarioti), altri ancora provengono da altri batteri attraverso meccanismi di coniugazione (v. unità 4, lezione 3, approfondimento on-line “Il Regno dei Batteri”). Infine, non dimentichiamoci che l’uso eccessivo di antibiotici può recare effetti indesiderati su flore batteriche non patogene, come, per esempio, quelle che convivono con noi nel nostro intestino. È stato riscontrato, infatti, che un’assunzione prolungata di antibiotici può sterminare intere popolazioni di batteri risparmiando solo quelli che risultano essere resistenti all’azione del farmaco. Queste cellule batteriche si moltiplicano e producono un’intera popolazione costituita da individui resistenti, che rendono in questo modo inefficace il farmaco[fig. 1]. Questa è una delle ragioni per cui i medici più accorti cercano di limitare l’uso degli antibiotici e i laboratori farmaceutici cercano di sintetizzarne sempre di nuovi. 3 UNITÀ 5 - L’ORGANIZZAZIONE E LE FUNZIONI DEL CORPO UMANO Lezione 4 – La nutrizione: l’apparato digerente Approfondimento - La dentizione e la carie dentale La dentazione I denti sono costituiti dalla corona, che è la parte libera visibile nella bocca, e dalla radice, inserita nell’alveolo; la zona di unione fra queste due parti è detta colletto. I denti sono formati da un tipo speciale di lamine ossee (avorio o dentina). Nella corona la dentina è ricoperta dallo smalto, nella radice dal cemento. All’interno di ogni singolo dente vi è la polpa dentaria, ricca di vasi sanguigni e di terminazioni nervose [fig. 1]. La prima dentizione, dentizione lattea, inizia con i primi denti verso il 6° mese di vita e a circa sette anni il bambino possiede 20 denti (mancano i molari). L’uomo adulto possiede 32 denti di forma diversa e con compiti diversi distribuiti nell’arcata dentale superiore e inferiore: anteriormente si hanno gli incisivi, in numero di 4 nel mascellare superiore e 4 nella mandibola. Essi servono ad afferrare e tagliare gli alimenti. I canini, forti e appuntiti, servono a lacerare: sono in numero di 4, uno a ogni lato degli incisivi. Vi sono infine i premolari (8) e i molari (12), che servono a triturare: questi hanno corone massicce e provviste di più rilievi [fig. 2]. Fig. 1. La struttura del dente. Fig. 2. Disposizione dei denti nelle due arcate dentarie. La carie dentale La malattia più diffusa dei denti è la carie dentale. Oggi si ammette che questa sia essenzialmente una malattia della civiltà, benché lesioni ai denti siano state riscontrate anche in scheletri di uomini preistorici (Pitecantropo e Uomo di Neanderthal). Infatti tra le popolazioni primitive questa malattia è abbastanza rara ed essa compare non appena questi popoli vengono a contatto con la civiltà. Si ritiene che la carie si formi in zone dei denti dove i germi ristagnano (placca dentaria) e trovano un ambiente favorevole al loro sviluppo. L’igiene e la cura dei denti consiste nella pulizia che deve essere fatta dopo ogni pasto, onde evitare il più possibile il proliferare dei germi patogeni. Il disinfettante più idoneo è il fluoro, che si trova nei dentifrici e anche in pastiglie da sciogliere lentamente in bocca. Importante è l’esame periodico della bocca da parte del dentista per riconoscere la carie allo stadio 4 iniziale (1° e 2° grado). In questo periodo la carie non dà fastidio e la cura, facile e non dolorosa, si limita all’otturazione. La cura della carie nel 3° e 4° grado richiede l’asportazione parziale o totale della polpa, seguita dalla otturazione del dente cariato o, in caso estremo, l’asportazione del dente ormai diventato irrecuperabile [fig. 3]. Fig. 3. Disegno rappresentante le diverse possibili evoluzioni della carie. Quando la penetrazione è estrema, il dente deve essere rimosso. 5 UNITÀ 5 - L’ORGANIZZAZIONE E LE FUNZIONI DEL CORPO UMANO Lezione 3 – Il trasporto: il sistema circolatorio e l’apparato escretore Approfondimento - I gruppi sanguigni Quando si verifica un’elevata perdita di sangue o per una ferita o perché un individuo viene sottoposto a un’operazione chirurgica, è necessario integrare quello perduto con altro sangue o dello stesso individuo o di individui diversi. Ciò è possibile mediante la trasfusione. I primi tentativi di trasfusione di sangue tra individui diversi si ebbero nel secolo scorso, ma si rivelarono estremamente pericolosi. Capitava, infatti, che chi riceveva sangue rischiasse di morire, a causa della formazione di piccoli ammassi che si formavano nelle arterie del trasfuso (la persona che riceve il sangue) e che andavano a occludere i vasi sanguigni. Già verso la fine del 1800 si era riusciti a scoprire che nel sangue erano presenti delle sostanze, le agglutinine, che avevano la proprietà di ammassare i globuli rossi e quindi di ostruire i vasi sanguigni. In seguito si scoprì che il sangue umano può appartenere a quattro diversi gruppi sanguigni. Pertanto, prima di effettuare una trasfusione, è essenziale stabilire che il sangue del donatore sia compatibile con quello del ricevente. sostanza che provoca La classificazione dei gruppi sanguigni è basata sulla differenza antigene: con l’individuo con cui viene a degli antigeni A e B presenti sui globuli rossi. Si distinguono contatto una reazione antagonista pertanto quattro gruppi diversi: A, B, AB e 0 (quest’ultimo che tende a eliminarlo. significa senza antigene) [fig. 1]: ♦ il gruppo A è presente nel 44% circa della popolazione italiana. Gli individui appartenenti a questo gruppo possono donare il sangue solo a individui dei gruppi A e AB e riceverlo soltanto da quelli del gruppo A e del gruppo 0; ♦ il gruppo B è presente nel 14% circa della popolazione italiana e gli individui appartenenti a questo gruppo possono donare il sangue a chi appartiene al gruppo B o al gruppo AB, mentre possono riceverlo soltanto da chi fa parte del gruppo B o del gruppo 0; ♦ il gruppo AB è piuttosto raro ed è posseduto solamente dal 3% circa degli Italiani che, sui globuli rossi, presentano sia l’antigene A sia l’antigene B. Essi possono donare il sangue soltanto a individui del gruppo AB; al contrario possono riceverlo da individui di tutti e quattro i gruppi (A-B-AB-0). Per tale motivo vengono detti riceventi universali; ♦ il gruppo 0 (zero) è posseduto dal 39% circa degli Italiani. Essi sono detti donatori universali perché possono donare il loro sangue agli appartenenti di tutti gli altri gruppi e possono riceverlo solamente da quelli del gruppo 0. Fig. 1. 6 Il gruppo sanguigno è un carattere che si eredita e la sua frequenza varia tra i gruppi etnici: gli Indios del Sud America, per esempio, appartengono in maggioranza al gruppo 0, mentre gli asiatici possiedono per lo più il gruppo B. Oltre ai quattro gruppi già indicati vi sono, poi, dei sottogruppi (chiamati M, N, MN e Rh) di cui si deve tener conto in casi particolari; fra questi, il più importante è il fattore Rh. Rh deriva da Rhesus, nome di una scimmia, Macacus rhesus, nel sangue della quale venne scoperto. Il fattore Rh è presente nell’85% degli individui. Tale fattore può essere presente sulla superficie dei globuli rossi e si indica, allora, con Rh+, cioè Rh positivo; se invece è assente si indica con Rh–, cioè Rh negativo. Il fattore Rh può creare problemi soprattutto in caso di gravidanza. Accade, infatti, abbastanza di frequente, che la madre sia Rh negativa e il figlio Rh positivo, avendo ereditato tale fattore dal padre. Nel corso iniziale della gravidanza la madre non subisce complicazioni, poiché non ha ancora avuto modo d’incontrare l’antigene del figlio. Però nelle ultime settimane, quelle vicine al parto, una certa quantità di sangue del feto si mescola al sangue della madre e la madre produce anticorpi anti-Rh+. Nel caso si verifichi una seconda gravidanza e il feto presenti un fattore Rh positivo, le agglutinine anti-Rh entrano nel sangue del feto e causano l’agglutinazione dei globuli rossi Rh positivi, provocandone la distruzione. Se non si interviene subito dopo la nascita, con immediate trasfusioni che hanno lo scopo di evitare la sensibilizzazione contro il fattore Rh del figlio, il neonato può morire [fig. 2]. Attualmente, però, a una madre Rh– che ha partorito un figlio Rh+ viene effettuata una cura per evitare eventuali rischi al feto nel caso di una seconda gravidanza. Fig. 2. Schema dei rapporti fra anticorpi materni e antigene Rh dell’embrione. A) Negli ultimi tempi precedenti il parto, alcuni globuli rossi del feto penetrano nella circolazione della madre stimolando la produzione di anti-Rh. B) Nella successiva gravidanza gli anticorpi materni raggiungono il sistema circolatorio del feto causando l’agglutinazione dei globuli Rh+. 7 UNITÀ 5 - L’ORGANIZZAZIONE E LE FUNZIONI DEL CORPO UMANO Lezione 5 – La difesa: il sistema immunitario Approfondimento - La scoperta dei vaccini Lo storico Tucidide, 2 500 anni fa, scrisse che i malati di peste potevano essere assistiti solo da coloro che ne erano già stati colpiti e che erano riusciti a sopravvivere. Si sapeva, già allora, infatti, che molte malattie infettive si contraggono una sola volta. Naturalmente nessuno aveva compreso che ciò era la conseguenza del meccanismo con cui era avvenuta la loro guarigione, cioè che l’organismo guarito da una malattia risulta immunizzato verso di essa. Il medico inglese Edward Jenner (1749-1823), alla fine del XVIII secolo, fu il primo a supporre che provocando malattie infettive “in miniatura” si sarebbe potuto evitare il rischio di contrarle in forme gravi, spesso letali. Egli aveva osservato, infatti, che le mungitrici che avevano contratto sulle mani il vaiolo vaccino, mungendo mucche infette, non si ammalavano di vaiolo. Il medico provò allora a inoculare una minima dose di pus provocato dal vaiolo bovino sulla pelle di un bambino. Dopo due mesi iniettò allo stesso bambino una dose letale di germi di vaiolo con il risultato che il bimbo non manifestò alcun sintomo della malattia. Non tutti compresero l’importanza di tale scoperta, tanto che i Francesi, per disprezzo, coniarono il termine vaccinazione (letteralmente, bovinizzazione) per ridicolizzare la pratica inventata da Jenner. Ben presto, però, i risultati diedero ragione al medico inglese: infatti, in soli 18 mesi, il tasso di mortalità per vaiolo si ridusse a Londra di due terzi. Il massimo tributo a Jenner risale tuttavia al 1978, anno in cui la campagna internazionale intensiva di vaccinazione è riuscita a debellare completamente il vaiolo! Il termine vaccinazione fu ripreso poi dallo scienziato francese Louis Pasteur (1822-1895) – questa volta in omaggio a Jenner – e usato per indicare l’introduzione volontaria nell’individuo di germi o virus (attenuati o uccisi) o di tossine private del loro potere tossico, al fine di procurargli uno stato di immunità attiva. Oggi la vaccinazione è una pratica molto comune e per produrre i vaccini si fa ricorso all’ingegneria genetica (vedi Unità 3, Lezione 4). 8