L`acciaio è sviluppo

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L`acciaio è sviluppo
Assemblea Annuale 2012
RELAZIONE
DEL PRESIDENTE
Milano, 5 giugno 2012
L’acciaio
è
sviluppo
Relazione Presidente.indd 1
21/05/12 10:42
Assemblea Annuale - 5 giugno 2012
È nell’industria il futuro dell’Italia
Relazione del Presidente Antonio Gozzi
Assemblea Annuale
Milano 5 giugno 2012
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Assemblea Annuale - 5 giugno 2012
Autorità, Cari Colleghi e Amici,
voglio innanzitutto ringraziare i siderurgici italiani che mi hanno chiamato alla testa della loro
organizzazione. È un vero onore per me, e per la mia azienda, rappresentare gli interessi e i problemi
di un settore vitale del capitalismo nazionale, fatto soprattutto di persone e famiglie che continuano a
lavorare e investire nelle loro aziende, nonostante tutto e nonostante i tempi difficili che stiamo vivendo.
Pensare a ciò che si può fare per il Paese prima che a quello che il Paese può fare per noi.
Ecco è questa - credetemi - la nostra vera forza…. Quella che ci dà diritto ad esistere e ad avere la
parola ovunque e sempre. Anche e soprattutto nei confronti di chi non sa chi siamo e cosa facciamo e
spesso dice stupidaggini sulle imprese siderurgiche e sulla loro presunta obsolescenza.
Negli ultimi cinque anni 2007-2011 il settore ha realizzato in Italia investimenti fissi per oltre 5,5 miliardi
di Euro (di cui quasi 1 miliardo di Euro in attività legate alla tutela dell’ambiente e alla sostenibilità di
lungo periodo); dà lavoro tra diretti e indiretti a circa 70.000 persone. Senza spirito di lealtà e di
generosità nei confronti delle nostra aziende, dopo la “bonanza” degli anni antecrisi, avreste, avremmo
potuto prendere i soldi e scappare. Invece smentendo un luogo comune certamente falso almeno per
noi (famiglie ricche e imprese povere) abbiamo continuato senza sosta a modernizzare, migliorare,
inventare processi e prodotti; avete, abbiamo continuato a creare occupazione e ricchezza battendoci
per la sopravvivenza e lo sviluppo di un settore strategico per l’economia nazionale.
Sono orgoglioso - lo ripeto - di essere uno di voi. Vi ringrazio per la fiducia che mi avete accordato e
spero di non deludervi. Consentitemi di ringraziare in particolare una persona: il mio e vostro amico
carissimo Giuseppe Pasini che ha retto, con straordinaria saggezza ed equilibrio e significativi successi,
la Presidenza di Federacciai negli ultimi dieci anni e che oggi mi passa il testimone. Grazie Beppe per
tutto quello che hai fatto! Ti chiedo - e me lo devi - di aiutarmi a non farti rimpiangere troppo!
La mia Presidenza coincide con un momento molto difficile dell’economia italiana affondata nella
crisi più vasta del mondo occidentale globalizzato e dell’Europa in preda alle convulsioni finanziarie
e sociali del debito. Questa crisi dagli esiti incerti per l’inadeguatezza a fronteggiarla, soprattutto in
Europa, da parte delle classi dirigenti e dei decisori politici almeno un merito lo sta avendo. Fa capire
a tutti, anche ai più ubriachi di monetarismo e finanza, il ruolo e l’importanza dell’industria e della
manifattura nei sistemi economici moderni.
Da questo punto di vista l’Italia è un esempio e un aiuto per l’intero continente. La nostra tenuta in
questi mesi difficili, la si deve soprattutto alla tenuta, sia pure sofferta e stressante, del nostro sistema
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industriale e del suo originale modello, diffuso, in buona parte export oriented, focalizzato sull’efficienza
e l’adattabilità ai cambiamenti, sulla qualità dei prodotti e guidato da un capitalismo famigliare che
quando c’è tempesta tiene e non fugge, mantenendo saldi valori e ispirazioni di base.
Parlare di crescita significa parlare di economia reale e allora di industria e di sviluppo, di ricchezza e
di occupazione creati con fatica e lavoro di lunga lena dalle imprese manifatturiere. Essere consapevoli
di ciò significa, anche per il Governo Italiano, favorire e sostenere, per la crescita e in ogni modo
possibile, il sistema industriale e manifatturiero nazionale e all’interno di esso la siderurgia come
comparto strategico in sé e per tutte le filiere a valle.
1 - L’economia internazionale e le sfide della globalizzazione per l’Europa e per l’Italia.
Bisogna essere consapevoli che tutto il resto del mondo che non è Occidente oggi ha il vento della storia
dalla sua. Le difficoltà e il declino dell’Occidente coincido con l’ascesa di tutti gli altri: non solo Cina
ma anche l’intero mondo dei BRIC sta diventando il mondo della crescita e della modernizzazione.
È stato fatto giustamente notare che i paesi vincitori nell’attuale competizione economica sono quelli
che hanno sposato una globalizzazione moderata e graduale, la globalizzazione del modello del
dopoguerra di Bretton Woods nato sotto la guida politica di Franklin D. Roosevelt e quella teorica di John
Maynard Keynes. Quel modello, importante per ricostruzione della libertà di scambio e la promozione
del commercio internazionale, consentì tanti miracoli postbellici da quello italiano e tedesco a quello
giapponese. Ma si trattava come detto di una globalizzazione parziale: le monete non erano libere
di fluttuare, i movimenti di capitale erano sottoposti a restrizioni, le frontiere si aprivano con gradualità.
L’economista americano Dani Rodrik osserva che tutte le potenze in ascesa in questa fase storica hanno
un approccio gradualista e selettivo alla globalizzazione che ricorda, appunto, il mondo ordinato di
Bretton Woods.
La Cina resiste da anni alle pressioni occidentali sul fronte monetario e continua a mantenere il renmimbi
in un limbo di non completa convertibilità. L’India ha posto limiti rigorosi alla libertà di mercato in un
settore chiave per la globalizzazione finanziaria, le operazioni sui futures e sui derivati legati alle materie
prime agricole e ha imposto dazi altissimi sull’export di molte materie prime considerate strategiche per
lo sviluppo del Paese come ad es. il minerale di ferro. Il Brasile tassa la speculazione finanziaria e
applica le quote di “imponibile di manodopera nazionale” sulle società estere che vogliono investire
nei settori strategici.
Tutti questi governi agiscono in modo pragmatico: niente dichiarazioni di guerra ideologiche contro
l’Occidente, ma un calcolo lucido e tenace dell’interesse nazionale.
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Di fronte a tutto ciò l’Europa mostra enormi difficoltà di comprensione e adattamento. La vicenda
industriale in generale,e siderurgica in particolare, sono l’esempio di questa difficoltà che prima di tutto
è culturale e di vision delle classi dirigenti e dei decisori politici. La retorica, e anche la presunzione,
di essere sempre i “primi della classe” e di proporre sempre e comunque modelli per i quali basta solo
parlare di innovazione, servizi, ambiente, diritti, beni comuni, per garantire la crescita e il benessere,
ci appare in tutta la sua drammatica illusorietà e inefficienza. L’idea stessa, estremizzata, che la
liberalizzazione degli scambi sia sempre e comunque a somma positiva, la visione sempre win-win
del commercio mondiale in cui tutti possono stare meglio contemporaneamente mostra il suo tratto
dogmatico e ideologico e quindi risulta inadatta ad una gestione intelligente dell’economia.
In questo quadro, con riferimento al nostro settore, per troppo tempo abbiamo percepito in Europa
un vero disinteresse o addirittura avversione. Un clima nel quale a proposito dei settori dell’economia
esistevano i buoni e i cattivi.
Da una parte i buoni rappresentati dalla finanza, dai servizi, dalle imprese innovative o presunte tali;
dall’altra i brutti, gli sporchi e i cattivi vale a dire le industrie di base che sono state percepite come
inquinanti, energy intensive, obsolete nei processi e nei prodotti comunque non più alla moda e di
cui, di fatto, non sembra interessare il sia pure rilevantissimo impatto occupazionale diretto e indiretto.
Tali imprese sono spesso le più esposte ai venti di una globalizzazione violenta, ma gli europei,
diversamente dagli americani, non ritengono che sia compito dell’Unione difendere le industrie e i
lavoratori in difficoltà per effetto della troppo rapida apertura del commercio internazionale.
È in atto un gigantesco rimescolamento di carte all’interno del settore siderurgico a livello mondiale con
la comparsa di nuovi soggetti, la scomparsa di altri, l’imporsi di nuove regole del gioco. In particolare,
dal punto di vista della generazione del valore economico si assiste ad una profonda riallocazione e
redistribuzione dello stesso all’interno della filiera. Infatti la ricchezza si sta spostando poderosamente
dal downstream (laminazioni, trasformazioni e finiture dell’acciaio grezzo) all’upstream (materie prime e
loro primo trattamento, produzione di ghisa, produzione di acciai grezzi e semilavorati).
In questo contesto i produttori siderurgici più vicini a mercati del consumo finale dell’acciaio sempre
più sofisticati ed esigenti, ed in particolari quelli europei, nordamericani e giapponesi, soffrono della
loro strutturale debolezza nell’upstream e hanno grande difficoltà a trasferire gli aumenti dei costi delle
loro produzioni di acciai grezzi (materie prime, energia, ambiente) sui prezzi di vendita dei clienti.
Tale tendenza all’indebolimento delle siderurgie tradizionalmente più concentrate nel downstream che
nell’upstream, ha invertito quella in atto nei trenta anni precedenti che aveva spinto i produttori europei,
americani e giapponesi a investire capitali enormi in innovazione di processo e di prodotto con le quali
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rispondere sempre meglio alle esigenze degli utilizzatori finali.
Come detto nel nuovo scenario dell’economia mondiale sono favoriti i produttori di acciaio delle nuove
economie emergenti per due sostanziali ragioni:
- La prima è che la domanda di acciaio cresce soprattutto in queste regioni del mondo per le loro
fortissime dinamiche di sviluppo;
- La seconda è che queste economie e questi paesi godono, molto spesso, di vantaggi competitivi
naturali (basso costo delle materie prime e dell’energia, basso costo del lavoro, modesti o nulli vincoli
ambientali ecc) vantaggi che le siderurgie dei paesi sviluppati non hanno più o non hanno mai avuto.
2 - L’Europa vuole ancora un’industria dell’acciaio?
Se tutto ciò è vero è altrettanto vero però che l’industria europea ha ancora un grande bisogno di
acciaio. Dal comparto delle costruzioni, alla meccanica, all’auto, all’oil and gas, alla stessa industria
delle energie rinnovabili, sorge una domanda europea che, sia pure lontana dalle dimensioni del
2007-2008, si attesta pur sempre intorno ai 150 milioni di tonnellate/anno.
Si può seriamente pensare che tale domanda sia soddisfatta solo con le importazioni? Vogliamo
lasciare interi settori dell’economia continentale dipendenti dalle forniture di acciaio di mondi che
stanno diventando nostri concorrenti anche nelle filiere a valle? Nessuno dotato di normale buon senso
può pensare ciò!
Eppure il tema della difesa dell’industria dell’acciaio quale presidio di quella che, finalmente in molti,
definiscono necessità di “reindustrializzazione” del continente non è all’ordine del giorno. Anzi…..
gli anni dai quali veniamo mostrano atteggiamenti e decisioni che vanno in senso totalmente opposto
a quanto vado dicendo. Vi sono innumerevoli esempi di ciò affondati nella produzione politica e
normativa europee degli ultimi tempi.
Citerò alcuni casi lampanti di questa vera e propria distorsione cognitiva che riguarda l’approccio della
governance europea nei confronti del settore siderurgico e degli altri settori di base.
Il primo tema è quello della CO2 e della gestione europea del Protocollo di Kyoto. Continuo a ritenere
che sia da dementi far gravare solo sull’industria di base europea (che rappresenta meno del 10% delle
emissioni mondiali) tutto il peso economico del Protocollo senza alcuna reciprocità con i sistemi industriali
e siderurgici di tutto il resto del mondo. Agendo sul 10% delle emissioni non si risolve ovviamente nulla in
termini di riscaldamento dell’atmosfera, ma si ottiene il brillante risultato di spiazzare, forse definitivamente,
la siderurgia europea rispetto al resto della concorrenza mondiale. E ciò non riguarda solo la siderurgia
da altoforno e a ciclo integrale, ma anche quella da forno elettrico che paga il conto delle CO2 attraverso
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il forte rincaro dell’energia elettrica la cui produzione è gravata dai costi del Protocollo.
Non convince la decisione recente della Commissione relativa all’attenuazione del cosiddetto “carbon
leakage” e ciò per due ragioni: la prima è che l’attenuazione concessa è solo parziale, la seconda
che il finanziamento della misura viene demandato agli Stati membri con il forte rischio, in momenti di
crisi finanziaria e budgettaria come questi, di creare nuove distorsioni e differenze tra le varie economie
industriali dell’Unione.
L’altra questione riguarda la vicenda del rottame. Il rottame è l’unica “miniera” di materie prime per la
siderurgia disponibile in Europa. È chiaro che per noi ha un valore strategico fondamentale. Ebbene,
da un lato solo recentemente l’Unione è giunta, finalmente, a definire il rottame un non-rifiuto e quindi a
semplificarne la circolazione e il riciclo (anche se come vedremo l’applicazione e il recepimento della
normativa europea in Italia ha avuto non poche incertezze e problemi). Dall’altro nonostante le reiterate
richieste nostre e di Eurofer alla Commissione per giungere a una qualche forma di protezione delle
nostre “miniere” dalle incursioni a Nord e a Sud di soggetti extraeuropei che vengono a fare incetta del
nostro rottame, ci siamo sentiti opporre sempre ragioni di presunto fair trade totalmente astratte perché
non basate sul alcun serio principio di simmetria e di bilateralità.
È clamoroso al riguardo il caso del rottame russo. La Russia dalla fine del 2011 è entrata a far parte
del WTO e, giustamente, ha chiesto all’Unione di eliminare il sistema di quote che regolava gli ingressi
di semis e prodotti finiti russi in Europa. Peccato che nella revisione del Trattato la Commissione abbia
concesso alla Russia di mantenere un dazio all’uscita del rottame russo del 15%. In altri termini si è
concesso all’industria siderurgica russa, che vuole proteggere anche la sua miniera di rottame, pur
essendo ricchissima di miniere di ogni tipo (comprese di coal e di iron ore) ciò che si continua a negare
all’industria siderurgica europea.
È proprio vero che il Signore acceca quelli che vuole perdere!
La questione di fondo che voglio porre e riproporre alla Vostra attenzione è quella relativa a cosa
voglia effettivamente fare l’Europa nei confronti della sua industria di base. Dobbiamo promuovere e
suscitare questo dibattito, non dare tregua ai decisori politici sull’argomento, sollevare proposte e idee
utilizzando non modelli protezionistici e dirigistici, ma richiamando tutti al rispetto delle regole di mercato
simmetriche nel commercio internazionale, alla loro applicazione corretta, alla gestione intelligente ed
equilibrata dei rapporti internazionali specie quando toccano settori strategici.
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3 - La siderurgia italiana come settore di “eccellenza” dell’industria nazionale. Quali sono le condizioni
per salvaguardare e far prosperare questa eccellenza?
L’Italia, come detto, continua ad essere il secondo maggior produttore di acciaio fra i Paesi dell’UE
dopo la Germania. Il primo per la produzione da forno elettrico.
Tali primati si basano, per un Paese totalmente sprovvisto di materie prime e con i costi energetici tra
i più alti del mondo, sull’evidente eccellenza gestionale delle imprese siderurgiche nazionali, basata
non solo sull’ingentissima e continua mole di investimenti già richiamata, ma anche su una straordinaria
flessibilità e capacità di adattamento ai contesti di mercato e su un’efficienza che non ha eguali in
Europa.
I protagonisti di questa eccellenza sono certamente gli imprenditori siderurgici, ma anche tutti i loro
collaboratori dagli operai, agli impiegati, ai quadri che con uno straordinario orgoglio di mestiere e
con un buon esempio di coesione sociale lottano ogni giorno per mantenere competitive ed eccellenti le
loro aziende perché sanno che dalla salute delle stesse dipende il benessere loro e delle loro famiglie.
Cosa dobbiamo fare per salvaguardare e far prosperare questa “eccellenza”?
Seguendo l’impostazione di fondo che ho voluto dare a questa mia relazione diciamo innanzitutto cosa
dobbiamo fare, o continuare a fare noi.
Il primo dovere degli industriali è di continuare a investire nelle proprie aziende. Come detto lo abbiamo
fatto e lo continueremo a fare anche in questi anni difficili. Viaggiamo come visto su un piede di 1
miliardo di euro medio annuo, con punte che in certi anni hanno sfiorato i 2. La maggior parte degli
investimenti sono concentrati in:
- Investimenti in innovazione che nel nostro settore è soprattutto di processo;
- Investimenti in ambiente, eco-compatibilità, risparmio energetico.
Il nostro Rapporto Ambientale 2011 che vi è stato consegnato insieme a questa Relazione mostra
efficacemente lo sforzo gigantesco dell’industria siderurgica italiana che, senza alcun aiuto da parte
dello Stato, ha trasformato in pochi anni l’impatto ambientale del settore rendendo le nostre imprese
esempi per il mondo intero. Lasciatemi richiamare quelli che abbiamo chiamato “i numeri verdi della
siderurgia italiana”. Noi li conosciamo a memoria, ma voglio ripeterli per i ciechi e per i sordi:
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uasi il 15% del totale degli investimenti annuali in siderurgia è dedicato a interventi di carattere
ambientale. Nel solo 2008 tali investimenti hanno superato i 200 milioni di Euro e si sono mantenuti
sopra i 150 nel 2009-10 e 11 cioè anche in anni di crisi;
- il 100% degli impianti siderurgici italiani adotta le migliori tecniche disponibili (BAT) per la prevenzione
e controllo integrati dell’inquinamento;
- oltre il 70% della produzione nazionale di acciaio viene realizzato in impianti dotati di sistemi
volontari di gestione ambientale certificati ISO 14001;
- l’acciaio è il materiale più riciclabile e riciclato al mondo. L’Italia è il primo Paese europeo per riciclo
di materiale ferroso, con una media di circa 20 milioni di tonnellate annue di materiale che viene
rifuso nelle acciaierie nazionali;
- circa il 70% di tutti i rifiuti generati dai processi siderurgici sono avviati a recupero per ricavarne nuove
materie prime o prodotti (il 100% della loppa di altoforno, il 75% della scoria di forno elettrico, il 90%
delle polveri dei fumi delle acciaierie);
- la siderurgia italiana ha ridotto di oltre il 40% le proprie emissioni specifiche di CO2 a partire dal
1990;
- la siderurgia italiana negli ultimi 5 anni ha ridotto di circa il 40% le proprie emissioni specifiche di
polveri in atmosfera;
- i consumi specifici di acqua per usi industriali delle acciaierie italiane si sono complessivamente ridotti
del 14% dal 2005 a oggi;
- i consumi energetici per tonnellate di acciaio prodotto in Italia si sono ridotti di circa il 20% dal 1990
ad oggi. La siderurgia italiana si colloca tra i grandi produttori europei per l’efficienza energetica
complessiva.
Investiremo in energia, in particolare negli Interconnector, sulla base degli impegni assunti e dei
progetti che Terna sta predisponendo e che ci troveranno pronti alla realizzazione che vorremo curare
direttamente. Tale realizzazione ci darà accesso più facile ai mercati europei dell’energia ancora
molto più competitivi del nostro mercato interno che, nonostante l’overcapacity (che dovrebbe favorire
il compratore) è afflitto storicamente dal grave e inaccettabile extraprezzo del gas rispetto a tutto il resto
di Europa. Tale extraprezzo è causato dal peso dell’incumbent e dal ritardo nell’apertura del mercato
in tema di connessioni, sbottigliamenti, stoccaggi.
Il tema dell’interconnector mi consente di soffermarmi più in generale sul tema dell’energia che, come
tutti sappiamo, è un tema vitale per il nostro settore. Gli anni dai quali veniamo hanno visto Federacciai
estremamente impegnata su questo fronte a causa del grave spiazzamento competitivo provocato
dall’alto costo dell’energia elettrica in Italia (oltre che da quello del gas) rispetto ai nostri competitors
europei. L’obiettivo di questa azione è stato ed è di portare il costo dell’energia elettrica per gli utenti
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energivori a livello dei costi medi europei. Ci siamo avvicinati in questi anni all’obiettivo grazie al
servizio di Interrompibilità divenuto un elemento stabile del servizio di dispacciamento e un importante
fattore per la sicurezza dell’intera rete nazionale.
Soltanto nel corso del 2011, anno certamente di non altissima congiuntura, le imprese siderurgiche
italiane hanno avuto oltre 100 interruzioni dei loro processi fusori, con gli annessi costi, per fronteggiare
necessità urgenti del sistema elettrico nazionale.
L’obiettivo di avere costi energetici allineati alla media europea è però vanificato da una parte dagli
extra costi del gas soprarichiamati e dall’altra dall’aumento degli oneri di sistema conseguenza degli
incentivi troppo alti a favore delle energie rinnovabili ed in particolare del tumultuoso sviluppo degli
impianti fotovoltaici che oltre al costo dell’incentivo provocano importanti costi di sbilanciamento
del sistema elettrico come Terna ci ha dimostrato. Non voglio fare polemica con il Ministro Clini sul
tema della valutazione dell’incidenza di questi costi comparati con quelli relativi all’interrompibilità e
all’interconnector che comunque sono servizi di sistema. L’opportuna decisione dell’Autorità dell’Energia
di pubblicare i dati e di consentire una trasparente analisi della situazione reale, decisione per la quale
voglio pubblicamente ringraziare il Presidente Bortoni, mi pare sia la migliore risposta a forzature e
strumentalizzazioni a cui si sono prestate alcune dichiarazioni del Ministro sull’industria siderurgica e sui
suoi costi energetici.
In un’ottica di mercato e di contenimento dei costi di sbilanciamento i siderurgici sono in grado di offrire
al sistema elettrico nazionale un’ulteriore opportunità con l’utilizzo di un’interrompibilità programmata
su base volontaria che potrebbe alleviare, a basso costo, gli squilibri di sistema provocati dal regime
orario del fotovoltaico.
Passando a ciò che dobbiamo fare come membri di Confindustria, lasciatemi dire davanti al Presidente
Squinzi, che sono particolarmente sensibile al tema, che dobbiamo lavorare perché sempre di più
Confindustria sia la casa dell’industria manifatturiera italiana, della sua rappresentanza politica,
dell’esigenza di preservarla e farla crescere; la casa delle energie e delle intelligenze imprenditoriali
che rappresentano il futuro del Paese e la sua possibilità di continuare la sua partita tra i grandi del
mondo.
Dopo aver elencato i nostri doveri e confermato l’impegno ad assolverli come tratto fondante della
nostra legittimità economica e sociale credo sia lecito, avviandomi alle conclusioni, che i siderurgici
si rivolgano al Governo della Repubblica per sensibilizzarlo su ciò che essi ritengono essenziale per il
futuro del settore.
Innanzitutto noi chiediamo al Governo di fare ogni cosa possibile per contribuire ad una politica di crescita
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e di sviluppo. L’acciaio è un indicatore di ciclo e il suo consumo dipende, inscindibilmente, dalla salute
e dal tono dell’economia generale. Circa il 40% del consumo totale di acciaio è legato alla domanda
del settore delle costruzioni. Una stasi prolungata di questo settore e di quello della realizzazione di
infrastrutture causerebbe gravissimi danni anche a quello della siderurgia. Ogni intervento che favorisca
il settore delle costruzioni è sicuramente un intervento assai positivo per il comparto della produzione
di acciaio. Salutiamo perciò con assoluto favore il Piano recentemente annunciato dal Ministro Passera
per lo sblocco di fondi pubblici destinati alla realizzazione di infrastrutture. Seguiremo passo passo
l’implementazione del Piano convinti che il vero successo e la vera novità nelle politiche di Governo sarà
nella capacità di trasformare l’annuncio in realizzazioni concrete.
La secondo cosa che chiediamo al Governo è che rappresenti a livello europeo le esigenze di un
grande Paese industriale come l’Italia e che sia protagonista di una battaglia per il futuro dei settori
manifatturieri nel continente ed in particolare dei settori di base a cui apparteniamo. Chiediamo al
Governo italiano e agli economisti che ne fanno parte di avere il coraggio di contrastare in Italia e in
Europa un pensiero unico declinista e l’orgoglio di difendere e promuovere lo straordinario potenziale
industriale nazionale senza il quale questo Paese rischia di non avere futuro. Ciò significa comprendere
che la globalizzazione va gestita con intelligenza e gradualità, senza dogmatismo e ideologismi che
l’economia reale non è in grado di reggere. Questo è l’auspicio e l’augurio che rivolgiamo al Governo
Monti e ai suoi Ministri.
Che Dio protegga l’Italia e l’acciaio italiano. Grazie a tutti!
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