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Raccontare la storia Narrare il fantastico Liliana De Venuto Susanna Daniele Speciale «Parole per strada - Terra mia» numero 9-10 rivista dell’associazione culturale di promozione sociale «il furore dei libri» - amici della biblioteca anno iv - settembre/dicembre 2013 - quadrimestrale IL FURORE DEI LIBRI In Questo Numero 2013 ∏ ISSN 2282-8044 numero 1 numero 2 numero 3 numero 4 numero 5 numero 6 numero 7 numero 8 A braccetto fra i guai umani Sandro Disertori La biblioteca di Antonio Rosmini Renato Trinco Strumenti da leggere, strumenti da guardare Diego Cescotti Nicotiana Tabacum ∑ Giuseppe Maria Gottardi numero 9-10 conversazioni bibliofile – libro chiama libro – rinvenimenti – biblioteca mon amour lo scaffale – il mestiere di scrivere – musicobibliofilia – il furore del rock e [tra libro e gioco] – libri di confine – parlando di libri – topi di biblioteca andar per biblioteche – promuovere lettura – promuovere cultura notizie dal furore – l'ultima pagina il furore dei libri - editore Sommario Rubriche Articoli 2 editoriale 4 Narrare la storia Liliana De Venuto 14 Raccontare il fantastico Susanna Daniele 20 Speciale «Parole per strada Terra mia» 32 A braccetto tra i guai umani 40 La biblioteca di Antonio Rosmini Renato Trinco 44 Strumenti da leggere strumenti da guardare Diego Cescotti 52 Nicotiana Tabacum Giuseppe Maria Gottardi 68 conversazioni bibliofile J.Lemaitre, Les Vieux Livres Giuseppe Maria Gottardi 72 libro chiama libro A Cheap Bibliophile David Cerri 75 Rinvenimenti Incerto Autore, De rerum iactura Stefano Tonietto 80 biblioteca mon amour Un raro commento garbiano Fabio Casna 84 lo scaffale Gabriele D’Annunzio Italo Bonassi 92 il mestiere di scrivere Il peggior amico dell’autore Gregory Alegi Sandro Disertori IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 1 95 musicobibliofilia Un Tristano di guerra Federica Fortunato 100 123 andar per biblioteche La biblioteca dei Cappuccini Peter Disertori Giacomo Radoani 120 128 il furore del rock B. Springsteen & J. Steinbeck parlando di libri... Colori e memoria promuovere lettura La comunità che apprende Livio Bauer Anna Maria Ercilli Adriana Pedrazza Prologo Livio Bauer 113 E Leggere, giocare, imparare Francesca Garello Caccia al tesoro... Livia Alegi 2 117 libri di confine I confini dei vecchi mondi 122 topi di biblioteca Scambio equo e solidale Rossella Saltini 137 notizie dal furore Eventi del Furore Per la prima volta con la RdF 143 l’ ultima pagina Stephane Hessel Carlo Andreatta 131 promuovere cultura speciale concorso La Vallagarina in prosa e in versi 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Editoriale N umeri 9 e 10. Dicono che nella vita di un periodico ci deve essere almeno un numero doppio, nel nostro caso il numero 9-10 coincide con la fine del primo lustro di vita della nostra Rivista e abbiamo pensato di celebrarlo con una copertina che riassumesse tutti i numeri finora usciti. Scorrendo i personaggi che identificavano il tema principale (nel senso che era trattato dal primo degli articoli) si può cogliere la linea editoriale che ha distinto in questi anni la rivista del Furore dei Libri: indagare i mondi della lettura, dal thrilling del numero 0 alle narrazioni di storia e di fantasia di questo stesso numero; condividere le scoperte che la passione di leggere ci permette di fare, siano le pagine ritenute perdute o inesistenti di un libro sulle streghe (n. 6), siano le parole morte della nostra civiltà (n. 2); assaggiare i nuovi sapori della scrittura con gli autori collettivi presentati sul n. 1 o immergersi nell’esperienza di un articolo a bivi, il primo mai apparso su una rivista italiana (n. 3); appassionarsi alle vicende umane di artisti noti attraverso i loro epistolari (n. 5). E ancora: riscoprire l’endecasillabo in un poema di più di 37.000 versi in ottave: l’Olimpio da Vetrego (n. 4). Che almeno una di queste copertine vi potesse intrigare tanto da farvi aprire il fascicolo, e che almeno uno delle decine di articoli di ogni numero fosse di vostra soddisfazione e di gradimento culturale, è l’impegno che ci siamo dati. A voi giudicare se ci siamo riusciti. Renzo Galli IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 3 Narrare la storia Riflessioni sulla scrittura di storia in Trentino di Liliana De Venuto 4 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI narrare la storia N «Io presento questo scritto come una storia, o se preferite come una favola, in cui il lettore potrà trovare esempi da imitare o da scartare» on è infrequente che se anche non mira a immediate filo studioso di storia, nalità didattiche, la “novella” serviimpegnato in ricerche rà a intrattenere: per una ragione o di archivio per far luce su una serie per l’altra si è sempre nel cerchio di avvenimenti o su un personagmagico segnato da Scheherazade, gio, quando si accinge a trasporche ogni notte raccontava una stotarne le notizie per iscritto, ceda ria al sultano Shahriyar “per non alla tentazione di rinforzare i dati morire”. documentali, generalmente aridi e Intersecatasi con la letteratura scheletrici, con apporti soggettivi d’invenzione, la ricostruzione delle al fine di vivificare persone ed vicende realmente accadute proeventi. Vi è spinto da quegli echi durrà un testo che, a seconda di coche la lettura dei documenti lascia me vengono dosati i due elementi – Cartesio, Discorso sul metodo quelli documentali e quelli soggetnella sua mente: immagini vaghe, emozioni e impressioni sensoriali, tivi – si configurerà come un’esposiche finiscono a volte per dare corpo a una figura, a un zione storica letterariamente elaborata o un vero e volto a una voce, quasi; di qui il passo ad arricchire le proprio racconto di fiction. gesta del protagonista di sentimenti ed emozioni, a viSi conoscono esempi illustri di “storia rielaborata” vificarlo come fosse persona realmente presente, è bre- che hanno dotato la letteratura di un genere di grande ve. fortuna: il romanzo storico. Sull’argomento, preso nel L’autore, di conseguenza, attrezza la sua penna attin- suo insieme, si è sviluppata un’ampia e illustre saggistigendo dalla letteratura e dalla narrativa in particolare ca, che ha considerato tanto la produzione classica mezzi espressivi più duttili: scompagina quindi, se- quanto quella moderna, fino alle propaggini del postcondo proprie esigenze inventive, la successione og- moderno (Margherita Ganeri, Il romanzo storico in gettiva degli eventi facendo ricorso a flashback e anti- Italia. Il dibattito critico dalle origini al postmoderno, cipazioni; introduce dialoghi in funzione rappresenta- Lecce 1999); e ne ha esaminato le varie forme, comtiva e drammatica; ricorre a un’idea centrale o a un prese quelle del romanzo “neostorico” (Giuliana Benplesso di sentimenti per legare insieme fatti e dare ad venuti, Il romanzo neostorico italiano. Storia, memoria, essi un senso. La storia si fa in tal modo “fabula”, dota- narrazione, Roma 2012). Considerata l’ampiezza di tale saggistica, non sembra ta di intrinseche finalità, che lo scrittore consegna ai lettori non senza un intento d’insegnamento. Non di- opportuno affrontare il tema da questa angolatura; può ceva Cartesio a conclusione del preambolo generale al essere invece di qualche utilità la riflessione su alcuni Discorso sul metodo «Io presento questo scritto come aspetti di esso con uno sguardo alla produzione trentina una storia, o se preferite come una favola, in cui il let- e a quegli autori che sono pervenuti alla scrittura del ractore potrà trovare esempi da imitare o da scartare»? E, conto a sfondo storico a partire da ricerche d’archivio. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 5 liliana de venuto N on mancano nell’ambito culturale della nostra regione opere storico-letterarie che meritano la qualifica di “romanzo storico”. Si distinsero in questo campo i fratelli Agostino e Carlo Perini, studiosi versati in varie discipline, fra le quali quelle storiche. Attingendo a fonti della storiografia trentina e di quella germanica, pubblicarono intorno alla metà dell’Ottocento racconti e romanzi, sullo sfondo delle vicende del Principato fra tardo medioevo e prima età moderna. Agostino scrisse vari racconti: Filiberta Madruzzo, I signori di Gresta, Emma Delmonte, e un romanzo, Matilde di Nomi; Carlo compose I castellani del Trentino nel secolo decimoquarto. La figlia di Agostino, Carlotta, seguì le orme del padre e dello zio nel comporre opere letterarie e nel condividerne l’ispirazione patriottica e romantica. Perciò scrisse canti in versi endecasillabi, nei quali popolarizzò figure e momenti della storia trentina, privilegiando le giovani donne vittime degli intrighi dei potenti. Emma dal Monte, Filiberta Madruzzo, Clara Particella sono al centro dei suoi componimenti più ispirati, svolti in versi di tono alto e colto: rispettivamente la prima è l’eroina della cantica I Bellenzani; le altre due sono invece le protagoniste di L’ultimo Madruzzo. Alla fine dello stesso secolo Pietro Alessandrini, ispirandosi alle opere dei Perini, scrive – o riscrive secondo la propria sensibilità – Nostra di Gresta Castelbarco e Cornelia di Pergine. Più variegata si presenta la produzione novecentesca per sensibilità e orientamento ideologico. Nella prima metà del secolo si contano L’amante del cardinale (Claudia Particella) di B. Mussolini, romanzo “d’appendice”, pubblicato a puntate sul giornale socialista «Il Popolo» nel 1910, e Irene d’Arco di Filippo Brunatti, uscito nel 1930. S ebbene queste opere appaiano lontane dalle propensioni ed esigenze del lettore di oggi, una rilettura potrebbe offrire l’occasione per sviluppare alcune considerazioni sulla loro qualità e sulla ideologia ispiratrice, inevitabile riflesso del clima politico coevo. A una rapida scorsa il blocco ottocentesco appare permeato dalle idee libertarie del grande romanzo di quel secolo: affermazione dei diritti di scelta individuali; preminenza degli affetti amorosi connessi alla volontà e alle inclinazioni del singolo; odio per il tiranno e per gli oscuri raggiri di corte che, nel caso del Trentino, s’identifica con la curia vescovile. Da rilevare anche l’amore per le vedute paesaggistiche, che vengono tratteggiate con gusto romantico e neogotico; si legga – per fare qualche esempio – il racconto I signori di Gresta di Agostino Perini, là dove si raffigura il lago di Sant’Andrea come fosse lo scenario dei deliri di dolore e di morte della protagonista, la nobile Nostra di Castelbarco. Più strettamente attinenti alla situazione politica locale sono lo sguardo verso la “patria” Italia e l’attesa della “redenzione” del Trentino dall’assoggettamento al “signore straniero”: molte ragioni erano dietro il misero stato del Principato, non ultima l’ “infermo dominio dei vescovi” (I castellani del Trentino nel secolo decimoquarto). Le vicende di Cornelia di Pergine, al centro di due romanzi comparsi nell’arco di appena un trentennio, servono egregiamente a “mettere in scena” questo plesso di sentimenti, giacché l’esaltazione dei membri • ...il blocco ottocentesco appare permeato dalle idee libertarie del grande romanzo di quel secolo • 6 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI narrare la storia della famiglia Bellenzani, quali campioni di fedeltà alle libertà comunali, serve a far maggiormente risaltare gli intrighi messi in atto dai Tirolo-Asburgo per dominare sul Principato e, di contro, la subalternità ad essi dei vescovi trentini. Questi sentimenti e idee erano d’altra parte condivisi dai lettori, come confermano le sottolineature a leggera matita qua e là nelle pagine dei libri durante la lettura, poste non a caso, ma nei punti salienti dove si manifestano le idee e i giudizi dell’autore sugli avvenimenti e sui personaggi storici. Si vedano le note e le postille del lettore di I castellani del Trentino nel secolo decimoquarto di Carlo Perini (edizione del 1879, esemplare della Biblioteca dei cappuccini di Trento, segnatura c-186 c 193), il quale – dopo aver segnato a matita i passi più partecipati del romanzo – nell’ultima pagina bianca del libro scrive: «Finito di leggere alle 5 ½ pom[eridiane] dei 30 aprile 1916, vigilia della mia partenza pel servizio militare sotto le armi austriache! Mentre i Fratelli combattono alle porte di Trento, per redimerla! Silvio Conci». L’intervento del lettore, tracciando con i suoi rilievi e chiose un parallelo “testo nel testo”, conferma ulteriormente il nesso inscindibile fra finzione letteraria e realtà – libro e vita – che si verifica nell’esperienza di lettura, anche di quella dei romanzi storici. Brunatti, Irene d’Arco, essi sono meno avvertibili a favore di una maggiore “libertà” inventiva. L’autore mostra di apprezzare maggiormente il sentimento amoroso nei suoi variegati aspetti fino a quelli prossimi al corpo e ai sensi; rivela spiccato gusto per l’avventura e le situazioni picaresche; tende infine a vivacizzare i caratteri femminili, non confinandoli nei tradizionali comportamenti di passività, ma conferendo loro dinamismo e inventiva quando dovevano contrastare le decisioni maschili a loro svantaggiose. Conserva ancora, tuttavia, quale retaggio della tradizione ottocentesca, quella “presa di distanza” dal mondo nobiliare, cui fa da contrappeso la non celata “simpatia” per i personaggi “popolari”: guardaboschi, paggetti, guardiacaccia insieme con le loro figlie e mogli; così come mantiene il gusto per le descrizioni paesaggistiche, che – sparse qua e là – abbelliscono il testo con vedute montane e lacustri della zona gardesana tratteggiate con tono idilliaco. Nei romanzi apparsi ai nostri giorni – di cui si fanno soltanto alcuni nomi: La rosa su la spada di Maria Pellegri Beber, edito nel 1969 e ristampato nel 1989 col nome La rosa e la spada, Il castello di Praga di Roberto Pancheri e Tre punti di rosso di Luisa Gretter Adamoli – l’ispirazione si fa ancora più libera, sì che non è facile accostare sotto una medesima etichetta autori molto diversi fra loro. Per una possibile differenziazione fra essi si possono prendere in considerazione i rispettivi percorsi formativi e le loro scelte stilistiche: se la Pellegri Beber e la Gretter Adamoli si caratterizzano per un’originaria vocazione letteraria, qualificandosi l’una quale autrice di testi per il teatro e per l’infanzia, l’altra per racconti di • ...nella produzione novecentesca questo intreccio di idee e assetto politico si fa forse meno evidente • N ella produzione novecentesca questo intreccio di idee e assetto politico si fa forse meno evidente. Se nel romanzo del Mussolini gli orientamenti dell’autore per le posizioni socialiste e anticlericali “incombono” ancora sulla trama e sui personaggi in modo pressante, nel romanzo del IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 7 liliana de venuto finzione e poesie, Roberto Pancheri giunge al racconto storico seguendo il cammino inverso: dalle ricerche di archivio alla storia rielaborata. I l nome più celebre che viene in mente in proposito è Umberto Eco, saggista e semiologo, che nel 1981 pubblicò Il Romanzo della rosa; a lui si può accostare – per percorso creativo e vicinanza di tempi – Laura Mancinelli, anch’essa saggista e filologa; questa pubblicò l’anno successivo I dodici abati di Challant col seguito di altre rielaborazioni letterarie di storia – Il miracolo di Santa Odilia e Gli occhi dell’imperatore – che insieme formano la cosiddetta “trilogia medievale”. Nei loro romanzi lo sfondo – tempi e spazi – è quello del Medioevo, mentre la struttura narrativa si serve di espedienti letterari tipici del romanzo moderno, precisamente del “romanzo giallo”, fra cui quell’ironia cosciente, che rende queste produzioni un piacevole divertissement. Roberto Pancheri potrebbe essere accostato appunto a questi autori per l’iter percorso: dagli studi storici e di storia dell’arte egli è pervenuto alla rielaborazione narrativa delle conoscenze acquisite, utilizzando quegli espedienti retorici indicati in apertura del discorso. La diversità dei percorsi – o forse un’intima ispirazione – spiega le scelte stilistiche compiute dai tre autori riguardanti tanto le forme narratologiche – sequenze temporali, fisionomia delle dramatis personae e loro contrapposizione in eventuali conflitti – quanto le scelte linguistiche del racconto diretto e delle parlate dei vari attori. Se il Pancheri si attiene – ancorché inconsapevolmente – al principio della congruità storica, attribuendo ai protagonisti idee e parole verosimili dal punto di vista della corrispondenza con l’effettiva realtà, le due su nominate autrici si mostrano meno sensibili a questo aspetto: danno maggiore rilievo ai risvolti affettivi delle vicende e inventano situazioni che obbediscono più alle ragioni del sentimento – di quello amoroso soprattutto – che a quelle della storia vera; indulgono a movenze e situazioni che possono richiamare il racconto edificante, nel caso di La rosa e la spada, o il romanzo sentimentale nel caso dei romanzi della Gretter Adamoli. ❧ Liliana De Venuto bibliografia G. Lukács, Il romanzo storico, Torino, Einaudi, 1972 C. Ginzburg, Postfazione a N. Zemon Davis, Il ritorno di Martin Guerre. Un caso di doppia identità nella Francia del Cinquecento, Torino, Einaudi, 1984 G. Duby, Il sogno della storia, Milano, Garzanti, 1986 R. Bigazzi et al., “I racconti di Clio. Tecniche narrative della storiografia”, in Atti del convegno di studi Arezzo, 6-8 novembre 1986, Pisa, Nistri-Lischi, 1989 L. Fava Guzzetta et al., L’età romantica e il romanzo storico in Italia, Roma, Bonacci, 1988 M. Moretti (a cura di), “Storia narrativa, storia narrazione. Tavola rotonda con Hayden White”, in Ricerche di storia politica, I, 2009, pp. 69-94. 8 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI narrare la storia da Pietro Alessandrini, Cornelia di Pergine – Romanzo storico Secolo XIV, Borgo Valsugana, Tip. Marchetto, 1891 A l momento in cui comincia questa storia, una fanciulla dalle forme elette e dai capelli biondi come l’ oro ed un giovine cavaliere passeggiano lungo il viale ombroso del giardino attiguo alla signorile dimora situata verso il colmo d’ un poggio che ha nome Moretta, poco lunge dalla vetusta borgata di Pergine. Le movenze della fanciulla appariscono mirabili per compostezza. La bocca sorride ingenuamente e l’ occhio celeste, specchio fedele di un’ anima innocente, si volge limpido alla fronte del giovane e splendente di tanta dolcezza ed espressione, da non lasciar dubitare quale sia il legame che li tiene uniti in sì dolce famigliarità. Prima di attendere al loro colloquio, sarà opportuno riferire chi fossero i due amanti. La gentil donzella era la figlia di Adriano discendente dai signori di Pergine, i quali sino al secolo XII dominarono più da feroci feudatari che da dinasti nell’ antichissimo Castello di stile longobardo che torreggia ancora abbastanza conservato sulla cresta del Colle Tegazzo, a ridosso di quell’ amena borgata. Orfana in tenera età, ultima erede d’ un vistoso patrimonio, se il dolce riso delle carezze materne non avea rallegrato la sua infanzia, ebbe però la fortuna d’ essere circondata dalle cure più che materne d’ una vecchia zia, la quale, sebbene avesse ricevuta una rigida educazione nel monastero delle clarisse che esisteva a Trento, pure era di modi pieni di squisita gentilezza, e in un dignitosi. Tuttavia nei momenti in cui le si porgeva l’ occasione di soccorrere chi n’ avea bisogno, diveniva l’ umile monachella tutta dolcezza, tutta bontà. E non è a dire com’ ella avesse il cuore aperto ad ogni affetto generoso. Il giovane che camminava a lato della graziosa fanciulla era figlio unico di Gaudenzio, signore di Povo, uomo di eletto ingegno, e giureconsulto di vaglia. I Trentini, come perito nella dottrina forense, lo salutavano principalissimo, i consoli ricorrevano sovente a’ suoi consigli, pei quali mostrava tutti il lumi di uno spirito eccellente. Disinteressato com’ era, prestava volonteroso l’ opera sua nel cercare il pubblico bene anche come paciere nelle controversie, specialmente a favore dei poveri, quando non si aggirava pei monti occupato ai diporti della caccia, di cui era appassionatissimo e assai valente. Donna Massenza, alla quale tredici lustri di età non aveano per anco ammorzato il brio de’ suoi occhi, e ser Gaudenzo erano legati da molti anni in amicizia, resa più stretta inquantoché egli da molto tempo avea assunto l’ incarico di amministrare la vistosa sostanza dell’ orfana Cornelia, per cui non è a meravigliare se ricambiavansi frequenti visite. Ogniqualvolta donna Massenza si portava nel castello del signore di Povo... [pagg. 5-6] IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 9 liliana de venuto L a posizione dei trentini già tanto critica per l’ improvvisa occupazione della Città e pel subentrato dominio dell’ ingordo straniero che assorbiva con prepotenza gli affari d’ una terra non sua, disponeva arbitrariamente degli antichi diritti nonché dei beni appartenenti al principato, quella posizione, ripeto, resa ancor più insopportabile per le estorsioni dei gabellieri e per le angherie della soldatesca, andò a peggiorare di gran lunga collo svilupparsi d’ un pestifero contagio che importato da alcuni Vascelli mercantili provenienti da Costantinopoli, dopo aver messo lievito in Sicilia e nella Toscana, dopo aver infierito nella Lombardia e nel Veneto, andò serpeggiando ora in un paese ora in un altro, finché arrivò ad apportare la costernazione e lo squallore anche nella città di Trento. Infatti correva il giugno dell’ anno di grazia 1348 quando la malignità dello spaventoso morbo cominciò ad apportare la moria nelle topaie, nei tuguri delle famiglie più misere del popolo e nelle luride abitazioni degli ebrei che stanziavano per entro i quartieri più sucidi ed angusti della Trento di quell’ epoca. Sul finire dello stesso mese, la fatale malattia, si diffuse rapidamente e infuriò con terribile veemenza in ogni luogo della città mietendo vittime anche nelle case dei benestanti e nei palagi di quelle famiglie agiate e ragguardevoli che, nelle angosce del dubbio, non aveano ancor risolto di fuggire al flagello col cercare altrove un più sicuro soggiorno. L’ agitazione, il terrore, la confusione pe’ gli orrori apportati dalla fiera calamità erano al di là di quanto si potrebbe immaginare. L’ andare e venire continuo di portantine, di lettighe, di barelle a cui si dava braccio per trasportare al Lazzaretto i colpiti improvvisamente dalla peste che si contorcevano gemendo sulle vie, nelle piazze, entro le chiese ove il popolo si affollava a calca, ovvero per raccogliere i languenti e i moribondi levati, talvolta strappati forzatamente dalle loro abitazioni, il cigolio dei carretti che giravano ovunque, finché ricolmi di cadaveri ignudi venivano scaricati senza esequie entro le ampie fosse scavate nei cimiteri delle pievi, i fuochi prescritti qua e là dalle commissioni sanitarie, sempre accesi e pronti a distruggere i cenci, i panni, le robe infette, la campana che ad ogni istante suonava a morto, tutto questo lugubre, miserando spettacolo faceva mesto contrasto col mormorio delle voci confuse ai gemiti e ai pianti misti ai compassionevoli lamenti di quanti imploravano per misericordia, sovente indarno, i conforti spirituali, o le cure pietose, dei parenti, dei vicini, dei medici o di altri funzionari. Per lo imperversare della pestilenza le officine eran chiuse, ogni industria scemata e poco meno che perduta, cosicché la città e tutto il circondario non offrivano che tracce profonde della desolazione e della morte. Ma la storia veritiera degli orrori apportati dal fiero e micidiale morbo bisognerebbe indovinarla, qualora non si trovasse la narrazione contemporanea lasciataci per avventura da quel canonico Giovanni Da Parma che imparammo a conoscere nel settimo capitolo del presente racconto1.[pagg. 140-41] 1 - L’ originale è in lingua latina e noi dobbiamo la traduzione a C. Perini che la riporta ancor più estesa nei Castellani del Trentino. 10 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI narrare la storia Un pittore veneto alla corte di rodolfo ii I l romanzo breve Nel castello di Praga di Roberto Pancheri può essere considerato un esempio di racconto storico letterariamente rielaborato. L’autore, studioso di storia dell’arte, ha raccolto in articoli e monografie i risultati delle proprie ricerche sulla produzione pittorica e scultoria del periodo che va dal manierismo al classicismo, non trascurando i contesti storici che ad essa fanno da sfondo e cornice. Seguendo il filo conduttore della genesi di un’ opera d’arte – l’Adorazione dei magi, che l’artista veneto Paolo Piazza, alias frate Cosmo, di Castelfranco Veneto (1560-1620) dipinse nella capitale boema per l’imperatore Rodolfo II di Asburgo – ne coglie i molteplici aspetti di creazione culturale, e insieme di punto d’incontro delle vicende personali del committente e dell’esecutore. I protagonisti della narrazione sono quindi due, il pittore e l’imperatore Rodolfo II di Asburgo; ciascuno di essi si muove lungo i fili del proprio destino, e nei luoghi assegnati loro dal fato: il Vene- IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 to e Praga. L’autore, grazie ai propri studi sulle accademie e le corti europee, ne disegna il profilo, seguendo le tracce delle loro più profonde pulsioni: la ricerca della sicurezza e della “copertura” per l’artista; la brama dell’accumulo e della conoscenza per il sovrano. Paolo Piazza si formò nelle botteghe di Paolo Veronese e di Palma il Giovane, avviandosi alla professione di pittore in un’età non felice per la creatività artistica e per gli equilibri degli assetti sociali e politici europei. «La pittura veneziana – si legge nel libro – era in mano ai figli e ai nipoti dei grandi»: Tiziano, Veronese, Bassano e da ultimo Tintoretto; a questa splendida generazione era succeduta una genia di continuatori, «che dissipavano senza ritegno il buon nome dei loro padri e congiunti, mascherando a fatica la propria mediocrità». Il giovane apprendista tentò la fortuna dapprima nella sua terra d’origine, la Marca trevigiana, poi a Venezia, senza tuttavia ottenere alcun riconoscimento. La scarsezza di committenza e una crisi esistenziale lo portarono a chiedere accoglienza ai frati cappuccini del convento del Redentore nella Giudecca. Qui fu accolto e prese il nome di frate Cosmo. Ai primi del Seicento fu inviato quindi, per disposizione dei superiori, nel monastero della famiglia dei cappuccini, appena eretto nella periferia di Praga sotto la direzione di fra’ Lorenzo da Brindisi e dallo stesso governato; gli era stato affidato l’incarico di dipingere la volta della chiesa conventuale, titolata a Maria Vergine degli Angeli. Venezia e Praga sono dunque i poli geografici della vicenda, colte nelle luci corrusche dell’incipiente 11 liliana de venuto età barocca. La Regina dei mari si mostrava ormai col volto di un’inesorabile decadenza: si aveva la sensazione che un’inevitabile «rovina materiale delle cose» incombesse sulla città, e che per ogni dove si aggirasse, con «la sua faccia da teschio», la trista figura del patrizio Zuane Mocenigo, il delatore di Giordano Bruno (e forse di Pietro da Massafra, per la famiglia cappuccina fra’ Fabiano) all’Inquisizione. Bastava una frase mal detta, un atto inconsulto per destare sospetti forieri di nefaste conseguenze. In questa situazione rovinavano l’aspettativa di sicurezza e, insieme, l’aspirazione alla tranquillità dell’anima, giacché, nel clima di diffidenza che si era istaurato nella città, «per le autorità civili e religiose eretico poteva essere chiunque». Timoroso e incerto, l’aspirante pittore pensò dunque di chiedere “protezione” a una famiglia di religiosi nella speranza che ne avrebbe ricavato “coperture” ideologiche e commesse di lavoro. Non meno sicura di Venezia era Praga, anche se in modi e per ragioni differenti. La capitale boema viveva gli anni febbrili precedenti la Guerra dei trent’anni; tempi inquieti per la presenza di sette religiose in opposizione, che rendevano incandescente il clima che vi si respirava. Bastava un nulla, perché divampasse un incen- 12 dio dalle proporzioni inimmaginabili, come in effetti avvenne. Hussiti, cattolici, luterani e utraquisti si fronteggiavano, pronti a confliggere fra loro non solo con dispute teoriche, ma anche con proditori attacchi d’armi, attribuiti immancabilmente dai responsabili alla parte avversa. Sopra tutti regnava l’imperatore Rodolfo II, figura che negli eccessi geniali e nelle stravaganze ridondanti racchiudeva e anticipava molti aspetti della civiltà secentesca: la smania collezionistica, ad esempio, che lo spingeva a raccogliere intorno a sé le meraviglie della natura e delle arti, ma anche il desiderio di penetrare i segreti delle leggi che governano il mondo e quelli insondabili che presiedono alle creazioni artistiche. Perciò si circondava di artisti nonché di maghi e alchimisti, spesso di ciarlatani, ma anche di astronomi di chiara fama, quali Giovanni Keplero e Tycho Brahe. Numerosi furono i pittori che lavorarono per sua committenza e, tra essi, fra’ Cosmo da Castelfranco. Questi dipinse per lui l’Adorazione dei magi, una tela alta venti piedi di composita ispirazione quanto alla fattura: un impianto scenografico di ascendenza veneziana, dove confluiscono elementi di chiaro gusto barocco, quali la tavolozza cromatica eccentrica e figure capricciose di esotica appartenenza, copia di oggetti visti nella Wunderkammer del Castello imperiale. Con la loro intrusione l’artista anticipava un genere, che nel nuovo secolo avrebbe incontrato un ampio successo: la pittura delle vanitas. Commistione ibrida, è evidente, lontana dalle auree leggi della pittura classica, ma significativa di una cultura e di un gusto che procedeva «per addizione»: la ridondanza piaceva agli uomini dell’età che si apriva, come la ricerca di inusitate combinazioni di spezie e di tecniche culinarie piace ai commensali amanti di mense abbondanti. La ricerca dell’eccesso, a ben vedere, non rispondeva soltanto a una tendenza del gusto, ma rappresentava un mezzo col quale uomini di libero sentire potevano occultare pensieri eccentrici e propensioni centrifughe, senza tuttavia negarli. L’imperatore, evidentemente soddisfatto dell’opera del Piazza, gli chiese di dipingere nella cappella del castello scene raffiguranti il paradiso e l’inferno. L’occasione offrì in tal modo all’artista di raffigurare, nel ciclo figurativo delle regioni infernali, i personaggi considerati eretici dai cattolici, da Simon Mago a frate Ochino, il vicario dell’ordine cappuccino, che nello scandalo generale era passato alla fede luterana. La tela dell’Adorazione dei magi non rimase nella capitale boema, trasmigrò a Vienna al declinare 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI narrare la storia del sec. XVIII e approdò, per vie ignote, nella chiesa di Sant’Egidio a Gumpendorf, un sobborgo della città; di essa si dimenticò perfino chi ne fosse l’autore, fino a quando nel 1998 lo stesso Roberto Pancheri lo identificò nel Piazza e, in un articolo dal titolo Paolo Piazza pittore rudolfino edito nella rivista «Arte Veneta» (n. 57, 2 (2000), pp. 42-50), ne attestò la paternità. L’importante scoperta fu probabilmente all’origine della stesura del romanzo; alla sua realizzazione hanno contribuito documenti di vario genere, come richiedeva la varietà stessa degli argomenti implicati. Quali fonti immediate d’informazione, si possono considerare gli annali e le cronache della famiglia cappuccina, diverse agiografie e perfino le carte di alcuni processi criminali celebrati nella Serenissima; quali testi remoti di riferimento, si devono richiamare i numerosi trattati di pittura – a cominciare dalle Meraviglie dell’arte ovvero Le vite degli Illustri Pittori Veneti e dello Stato di Carlo Ridolfi – le biografie di artisti, i cataloghi e i compendi d’arte, che furono per l’autore i testi fondamentali di formazione. Quando questo bagaglio di conoscenze affiora, le pagine del romanzo acquistano spessore e forza persuasiva. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 Riguardo alla tecnica compositiva, il Pancheri non si è limitato a operazioni di “taglia e incolla” dei contenuti documentali, ma ha applicato le regole della narrativa più sopra indicate, al fine di conferire plasticità drammatica a persone e avvenimenti reali; in primo luogo l’assunzione di un “punto di vista”, col quale sistemare i fatti. Tale focus narrativo si può identificare nel motivo della “dissimulazione”: arte che permetteva di «dimenticarsi della verità» e di vivere fra gente che pensava diversamente, pur serbando integro nel fondo dell’animo il nucleo più autentico delle verità personali. Teorizzata da Torquato Accetto nella prima metà del Seicento, la dissimulazione, detta “onesta” in quanto consentita, costituiva una scelta obbligata per molti uomini che ebbero la ventura di vivere nei secoli della Controriforma, quando le angustie di una società chiusa e perfettamente controllata impedivano ai singoli di prendere fughe liberatorie. Quest’arte è forse oggi meno menzionata a livello di comunicazione corrente, anche se non è meno praticata in diversi contesti della realtà sociale, giacché da questa non sono scomparsi del tutto i meccanismi della censura e della esclusione. [l. d. v.] Roberto Pancheri Il passaggio dalla composizione propriamente saggistica alla narrazione letteraria si è avuto dapprima con il libro-inchiesta Il giocatore di diabolo – apparso a Roma in due edizioni presso la casa editrice Il filo, 2008, 2011 – nel quale egli ha ricostruito la vicenda del furto dell’Indifferente di Watteau avvenuto nel Louvre l’anno 1939; in seguito con il romanzo La Venere di Hayez, uscito per l’editrice Curcu & Genovese nel 2010. In questo l’autore, prendendo lo spunto dalla commissione del quadro omonimo al celebre pittore veneziano da parte del conte Girolamo Malfatti, ultimo esponente di un antico casato trentino, si sofferma principalmente sulla misteriosa modella del dipinto: la ballerina Charlotte Chabert, in vero non nota alle cronache teatrali del tempo, come si precisa nella nota introduttiva al romanzo. Fa da sfondo storico alla vicenda la città di Trento di primo Ottocento, ancora tutta racchiusa nelle sue mura di origine medievale. Il lavoro gli è valso, nello stesso anno della stampa, il premio “Mario Soldati” per la narrativa, conferito annualmente dal Centro Pannunzio di Torino. Pancheri ha da ultimo pubblicato nel 2012, sempre per la Curcu & Genovese, il racconto Nel castello di Praga; nel 2013 l’opera si è aggiudicata il secondo posto, per la narrativa edita, del Premio Letterario Casentino, conferito dal Centro Culturale Fonte Aretusa di Arezzo. 13 Raccontare il fantastico di Susanna Daniele 14 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI raccontare il fantastico D polino le teorie del mesmerismo, al bianconiglio al gatdell' ipnotismo, dell' esoterismo, tonero, dall'unicorno senza dimenticare la curiosità nei al mostro marino, dalconfronti dell' occultismo. la vergine morente al vampiro, dalla Il racconto fantastico, così come casa infestata da inquietanti presenlo concepiamo noi, nasce in Gerze al mistero della camera chiusa, il mania fra la fine del ' 700 e l' inizio Fantastico è forse il più grande condell' ' 800, e la forma breve è consitenitore delle rappresentazioni derata fin da subito la forma ideale oscure, strane, terrificanti che agitano da sempre l' animo umano. Esiperché permette di mantenere la ste quindi una trasversalità del fantensione per tutto il tempo della Shakespeare, La tempesta, IV (158-160) tastico che non appartiene a un solo lettura. periodo storico o a una particolare I temi in parte sono anticipati nel forma letteraria. Non traccerò quindi un excursus della romanzo “gotico” inglese della seconda metà del Setteletteratura fantastica italiana dell' 800 ma cercherò di cento e costituiranno poi la fonte che alimenterà tutto coglierne le caratteristiche fondamentali e di capire la l' immaginario fantastico dei Romantici, forti della riragione per la quale in Italia ebbe scarso seguito. scoperta del medievalismo e delle tradizioni e leggenNell'ultimo paragrafo tenterò di individuare un nesso de popolari. I racconti fantastici della prima metà dell' Ottocento prenderanno il nome di “racconti alla fra fantastico e giallo. Hoffmann”. Il debito del racconto romantico nei confronti del Origini di un genere Nelle mappe antiche, quando si doveva rappresenta- racconto settecentesco francese, secondo Calvino, è re una terra sconosciuta, si raffigurava un essere mo- duplice: il gusto del “meraviglioso” da una parte e lo struoso oppure si scriveva: hic sunt leones. Era un mo- stile ironico e tagliente dei contes philosophiques di do per rappresentare il terrore del non-conosciuto. La stampo voltairiano. Scrive Calvino nell' introduzione letteratura fantastica, proprio perché espressione di all' antologia Racconti fantastici dell' Ottocento: “…il suo uno dei più forti sentimenti umani, la paura, ha anti- tema è il rapporto tra la realtà del mondo che abitiamo chissime origini. Alcuni critici le hanno intercettate nei e conosciamo attraverso la percezione, e la realtà del racconti di fantasmi di Plinio e Petronio; tutti sono mondo del pensiero che abita in noi e ci comanda. Il concordi nel sostenere che è nella seconda metà del problema della realtà di ciò che si vede … è l' essenza Settecento che i semi del Fantastico cominciano a ger- della letteratura fantastica”1. L' uomo sente il bisogno di mogliare. Settecento secolo dei Lumi e della Dea Ra- percorrere nuovi sentieri della conoscenza che riguargione, secolo delle grandi scoperte scientifiche e dano la realtà esterna ed interna. dell' applicazione alle tecniche che migliorano il lavoro Nasce il tema del doppio, dello specchio che ritrae umano, ma anche secolo in cui cominciano a fare ca- 1 - Vol. 1, Milano, Mondadori, 1983, p. 5. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 ...noi siamo della stoffa di cui sono fatti i sogni; e la nostra piccola vita è cinta di sonno 15 susanna daniele Altro, il non visibile. Nascono anche i temi, del Diverso che improvvisamente irrompe mostrando un aspetto terrorifico della realtà, fino a quel momento sconosciuto o semplicemente ignorato. La forma letteraria preferita è quella del racconto breve o short story che da quel momento ha avuto grandissimo successo. In Inghilterra prenderà il nome di gothic novel, in Francia avremo i contes fantastiques, gli Stati Uniti conosceranno le short story di Poe e Hawthorne che, peraltro, non godranno di fama pari a quella che conferì loro l' Europa. È stato lo stesso Poe a teorizzare i motivi della preferenza verso la forma breve: per lasciare nel lettore un' emozione profonda la storia deve essere letta in un' unica sessione. La tensione, la suspense, non può essere tenuta alta a lungo. Concezione moderna, ancora condivisa da chi scrive racconti di horror, gialli o noir. È Poe, scoperto, tradotto e diffuso da Baudelaire a partire dal 1848, il maestro indiscusso di un genere che passando dalla Francia si affermerà in tutta Europa. Classificazione del racconto fantastico La critica del ' 900 ha cercato di definire i confini del16 la letteratura fantastica, come gli antichi cartografi, creando delle classificazioni. Mi limiterò a ricordarne alcune. Calvino, nell' introduzione ai Racconti fantastici dell' Ottocento, suddivide i racconti contenuti nella raccolta in due categorie: quelli classificati all' interno del “fantastico visionario” che appartengono alla prima parte del secolo XIX, e i racconti del “fantastico quotidiano”, cronologicamente appartenenti alla seconda parte del secolo. I primi raccontano “ciò che si vede”, ovvero mettono in primo piano una suggestione visiva. Così apparizioni spettacolari e sconvolgenti turbano gli animi dei lettori. Si tratta dei racconti di Hoffmann, Scott, Balzac, Hawthorne e Gautier. Nella seconda metà del secolo invece il “fantastico quotidiano” è quello del caposcuola Poe, ma anche quello di Dickens, Maupassant, Bierce e James; è un fantastico meno spettacolare ma proprio per questo forse ancora più terrorizzante: il lato oscuro è tutto interiore. Edgar Allan Poe fu maestro in tutte e due queste classificazioni: alla prima appartiene Il crollo della casa degli Usher e alla seconda Un cuore rivelatore. 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI raccontare il fantastico Nel complesso, è l' Ottocento a regalare i grandi “classici” della letteratura fantastica: dal Frankenstein di Mary Shelley, al Dottor Jekyll e Mister Hide di Stevenson, a Carmilla di Joseph Sheridan Le Fanu, vampiro femmina che precorre la nascita del vampiro Dracula di Stoker. E in Italia? Il genere fantastico nacque in ritardo di decenni rispetto ai paesi del Nord Europa, e si afferma, anche se marginalmente, a partire dagli anni ' 60 del 1800. Poe fu conosciuto in Italia attraverso la traduzione francese del 1848 di Baudelaire, suo grande estimatore. Sono i giovani della Scapigliatura lombarda e piemontese, come Arrigo e Camillo Boito e Igino Ugo Tarchetti, a raccogliere il testimone di un genere letterario in un' Italia in fase di raggiungimento dell' Unità nazionale in cui gli intellettuali e gli scrittori si dividevano fra Classici e Romantici e riflettevano sulla questione della necessità di una letteratura come impegno civile. A questo IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 si aggiunge anche la scarsa dimestichezza della lingua inglese da parte degli intellettuali italiani che non permette loro di entrare subito in contatto con le novità della letteratura anglosassone. Leopardi stesso, nei Pensieri, affermava che nessun popolo crede meno agli spiriti degli Italiani e anche Alessandro Manzoni lasciava i fantasmi agli scrittori nordici, facendo prevalere nel suo romanzo una forma di realismo moderato, frutto di amore per il vero o almeno per il verosimile. Possiamo concludere che al Romanticismo italiano è mancata la componente “gotica” tipica del Romanticismo tedesco e anglosassone. Con il tramonto della stagione della Scapigliatura l' esperimento del fantastico italiano non si estingue ma, come un fiume carsico, riemerge in autori considerati appartenenti ad altre correnti letterarie. Soltanto per citarne alcuni dei più conosciuti, Luigi Capuana, Giovanni Verga, Federico De Roberto, Salvatore Di Giacomo, Vittorio Imbriani, Antonio Fogazzaro, Ma- 17 susanna daniele tilde Serao, Jarro, Emilio De Marchi. In particolare Luigi Capuana, nella sua lunga esperienza di novelliere, tratterà il racconto fantastico in tutte le sue declinazioni e Imbriani è considerato dalla critica un Gadda ante litteram per la sperimentazione linguistica. L' esplosione del Fantastico avverrà nel ' 900 e attraverserà tutti i generi letterari incontrandosi con le teorie psicanalitiche che in certo modo aveva intuitivamente anticipato. Dal Fantastico discende il poliziesco in tutte le sue forme e la fantascienza, entrambi generi che bene rappresenteranno la destabilizzazione dell' Io, l' esperienza angosciosa e il prevalere delle forze oscure che hanno permeato il ' 900. I “Misteri” Un filone letterario popolare che attecchì anche in Italia fu la serie dei cosiddetti “Misteri”. A dispetto del nome, non ha niente a che vedere con la categorie del Fantastico. Si tratta di una forma di letteratura popolare a sfondo sociale che arriva in Toscana tramite le traduzioni di romanzi francesi considerati archetipi del genere popolare: I misteri di Parigi di Eugene Sue (1848), Il fabbro del convento di Ponson Du Terrail (1873) e Il conte di Monte-Cristo di Alexandre Dumas père (1846). È “paraletteratura d' invenzione”, molto popolare anche perché pubblicata a puntate su giornali e riviste. Affronta i grandi temi sociali del momento: l' estrema indigenza delle classi lavoratrici, la spaventosa condizione minorile, la contrapposizione netta fra gli onesti e i malvagi. Sono viaggi attraverso le “classi pericolose”, nei bordelli, nelle galere, nei bassifondi delle città. Ha un messaggio umanitario e moralista; non manca mai il finale consolatorio perché il Bene trionfa sempre. L' iniziale portata sociale del romanzo francese arriva in Italia molto edulcorata. Dopo il 1860 in Toscana e a Napoli si assiste a un fiorire di romanzi genericamente intitolati “I misteri”. Francesco Mastriani, autore de I misteri di Napoli dice che “la smania d' imitare le cose francesi … fe' piovere Misteri da tutte le parti”. Anche Collodi si cimentò ne I misteri di Firenze. Scene sociali del 1857 tradendo la finalità moraleggiante 18 iniziale perché la sua cifra è quella dell' ironia. Argomenta che scrivere “misteri” a Firenze è impossibile, poiché tutti sanno vita, morte e miracoli di tutti. L' opera unisce alla parodia del genere dei “misteri” una amara critica della società fiorentina, moralmente e politicamente decaduta. “…se i vostri Misteri non sono misteri…; se il vostro romanzo non è un romanzo perché il romanzo sociale, a detta vostra, non può metter erba a Firenze; …si potrebbe almeno sapere …cosa intendete di fare con questo lavoro? Questo è un mistero: dirò di più: questo è il solo mistero che si trovi realmente nei miei Misteri di Firenze…”. Che Collodi, peraltro, non ignorasse alcuni temi cari al fantastico orrorifico lo si può notare dalla lettura di Pinocchio. Tutti abbiamo presente la figura del burattino che fugge dai suoi assassini cercando ospitalità nella casina bianca al limitare del bosco. Dalla finestra si affaccia una bambina-fata che parla senza muovere le labbra: “Sono tutti morti, anch' io sono morta e aspetto la bara che venga a prendermi”. Fantastico e giallo Lo scrittore argentino Borges in un capitolo di Oral dedicato al racconto poliziesco indica in Poe il capostipite degli autori di polizieschi con I delitti della rue Morgue. Auguste Dupin, primo detective della storia, è uno straniero, un gentiluomo francese molto stravagante, che esce di notte per passeggiare nelle strade deserte di una Parigi immaginaria. Il personaggio di Dupin, che vive con un amico io narrante delle storie, è l' archetipo di personaggi fortunatissimi della letteratura poliziesca di tutti i tempi come Sherlock Holmes e padre Brown. “Poe – scrive Borges – non voleva che il genere poliziesco fosse un genere realista, voleva che fosse un genere intellettuale, un genere fantastico… dell' intelligenza, non soltanto dell' immaginazione…”. Dupin quindi risolverà i delitti con il solo ausilio dell' intelligenza. La commistione fra fantastico e giallo continuerà ad esistere nella produzione di grandi autori anglosassoni come Wilkie Collins, Charles Dickens, R.L. Stevenson. 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI raccontare il fantastico Fra gli italiani va senz' altro ricordato come primo scrittore di polizieschi d' ambiente il napoletano Francesco Mastriani, autore de Il cadavere scomparso pubblicato nel 1953 e riedito nel 2011 nella nuova collana Gialli Rusconi. Altre origini ottocentesche del poliziesco si possono individuare in alcune opere di Jarro (alias Giulio Piccini), scrittore e giornalista amico di Carlo Lorenzini, che crea la figura dell' abilissimo commissario Lucertolo e pubblica una serie di quattro romanzi fra il 1883 e il 1884: L' ' assassinio nel Vicolo della luna, Il processo Bartelloni, I ladri di cadaveri, La figlia dell' aria. La figura del protagonista, commissario Lucertolo, potrebbe essere paragonata a quella di un Vidocq nostrano. Unisce elementi rocamboleschi a notevoli capacità pratiche. È, infatti, abilissimo nei travestimenti e scassinatore provetto e, allo tempo stesso, profondo conoscitore dell' animo umano ed esperto chimico. L' assassinio nel Vicolo della luna è una vicenda avventurosa in cui l' identità dell' omicida si confonde con quella della vittima, dando luogo a un' originalissima trama densa di colpi di scena. Il romanzo si ambienta nei primi decenni dell' 800 in una Firenze misteriosa come le ombre che s' annidano nei suoi vicoli. Nel 1883 il piemontese Cletto Arrighi (alias Carlo Righetti) dava alle stampe i noir La mano nera e Un suicidio misterioso. Ne La mano nera si narrano le vicende di un' organizzazione criminale il cui intento è distruggere i “ricchi” e il “capitale” per mezzo di furti e omicidi. È un romanzo che usa in modo sapiente le tecniche della suspense e dell' intrigo, ma è al tempo stesso uno spaccato sociale della città e dell' epoca.❧ Susanna Daniele Bibliografia Racconti fantastici dell’Ottocento, a cura di Italo Calvino, Milano, Mondadori, 1983 Notturno italiano, 2 voll., a cura di Enrico Ghidetti e Leonardo Lattarulo, Editori Riuniti, Roma, 1985 Fantastico italiano, a cura di Costanza Melani, BUR, 2009 Enrico Ghidetti, Il sonno della ragione, Editori Riuniti, 1987 Jorge Louis Borges, Oral, Editori Riuniti, 1981 Giovanni Falaschi, Racconti fantastici dell’Otto e Novecento, Paradigma, 1988 Ottocento nero italiano, Narrativa fantastica e crudele, a cura di Claudio Gallo e Fabrizio Foni, Nino Aragno editore, 2009 IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 19 Parole per strada 2013 Terra mia con interventi di MariaLuisa Mora – Giovanna Sirotti – Lucia Debiasi – Stefano Tonietto III B Linguistico - Liceo «Rosmini» di Rovereto – II B Classico - Liceo «Marchesi» di Padova 20 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI parole per strada 2013 - terra mia A nche quest’anno con il tema “Terra mia” Il Furore dei Libri promuove l’interesse ed il piacere verso la lettura stimolando negli autori invitati la consapevolezza che chi legge possa arricchire le proprie conoscenze pensando “al plurale”, condividendo saperi e culture, con l’obiettivo ultimo di permettere al lettore di comprendere meglio se stesso e i propri sentimenti. L’antologia, con i suoi 101 racconti brevissimi, vuol raggiungere tutti i lettori, sia quelli che amano leggere molto, sia quelli che per vari motivi leggono meno. Si propone inoltre alle diverse età ed è anche per questo che tra i propri autori adulti e professionisti nasconde dei giovanissimi che hanno scoperto il piacere della scrittura. Non dimentica nemmeno i lettori di altra nazionalità e per loro propone un bel gruppo di scrittori di altro idioma, dando così ai cittadini di Paesi Terzi l’opportunità di partecipare pienamente alla vita della nuova comunità in cui son venuti a trovarsi. Per un doveroso tributo alla nostra terra Trentina abbiamo invitato i figli dei nostri emigranti a scrivere il loro racconto sia in italiano che nella lingua del Paese dove vivono. E qui le sorprese non sono mancate e lasciamo ai lettori il piacere della scoperta. Tutto questo ha comportato un grande ed impegnativo lavoro alla redazione ed alla giuria, formata da elementi di diverse età ed esperienza dislocati in mezza Italia. Tra di essi abbiamo i ragazzi di due classi di istituti superiori, un bibliotecario, una giornalista, due insegnanti, la redazione di una casa editrice, un direttore di biblioteca, un assessore all’istruzione, un rappresentante de Il Furore dei Libri. Tante persone collaborano al progetto di Parole per Strada ed è con tanto affetto che ringrazio il Direttivo, la Commissione organizzatrice e gli Autori, che ormai sento tutti amici. Ringrazio inoltre le Istituzioni che con il loro contributo economico hanno permesso che questo progetto continui nel tempo ed è grazie anche a loro se Parole per strada è giunta alla quarta edizione. N on è impresa semplice la scrittura di un racconto breve. Occorrono spiccate capacità di sintesi, di rapida delineazione dei soggetti e di sicura eliminazione del superfluo, occorre una forte padronanza linguistica che eviti ogni vizio stilistico. Un buon racconto è “soprattutto privazione”, suggerisce, confida nel lettore per completare i particolari tralasciati, suscita emozioni. Tutto un non-detto che genera forte complicità tra l’autore e il lettore indotto a completare, a sua discrezione, quanto solo accennato. L’incipit stesso, tralasciando introduzioni esplicative, fa entrare, ex abrupto, in medias res, come dice Calvino. Così come la conclusione può essere una non-fine, oppure aprire a infinite soluzioni: corrispondenza inquietante con la mancanza di certezze e il disorientamento dell’uomo d’oggi. Ancor più, se il racconto deve catturare l’attenzione di chi cammina! Parole per strada lancia questa sfida: dare gambe alle parole perché rincorrano il passante e lo catturino invogliandolo a leggere. Giovanna Sirotti Assessore all’Istruzione e alla Condivisione dei saperi Comune di Rovereto Membro della Giuria di Parole per strada MariaLuisa Mora Presidente de Il Furore dei Libri IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 21 parole per strada 2013 - terra mia A settembre di questo anno ho incontrato il Furore dei Libri e il Concorso Parole per strada. Con gentilezza sono stata convinta a partecipare, con la mia classe, in qualità di giurati, al concorso letterario. È stata questa un’esperienza che ha arricchito la mia persona e mi ha fatto crescere professionalmente. Ho sempre amato insegnare letteratura italiana nonostante le molte difficoltà incontrate soprattutto a causa dello scarso interesse e motivazione che molti studenti di oggi dimostrano nei confronti della materia. Anziché scoraggiarmi questa è stata per me una sorta di sfida. Il mio scopo è stato, ed è tuttora, quello di cercare di far capire come, attraverso la lettura gli studenti possano arricchire la loro cultura personale, consolidare buone capacità e competenze linguistiche, acquisire una capacità critica e un’autonomia di pensiero e, non da ultimo, sentirsi, per una volta protagonisti. Parole per strada mi ha permesso di fare tutto ciò. La consapevolezza che la scuola italiana sta vivendo un momento delicato, la convinzione che la scuola deve essere antropocentrica, il mio personale timore di “addormentare gli alunni” mi hanno spinta ad accettare la sfida. Il lavoro è stato impostato in modo da sviluppare l’autonomia di lettura e di analisi, il confronto e la discussione, e, non da ultimo, la responsabilità di emettere un giudizio. Credo che tutto ciò li abbia arricchiti e li abbia fatti sentire partecipi di una bellissima esperienza culturale. Grazie Furore dei Libri! Lucia Debiasi Docente al Liceo “Rosmini” di Rovereto Membro della Giuria di Parole per strada I l tema di quest’ anno, Terra mia, si presta magnificamente alla metafora. Certo, in molti di questi racconti c’ è la terra nel senso più letterale del termine: la campagna, sfondo frequente di un’ infanzia mitizzata, e insieme marca di appartenenza a generazioni ormai al tramonto. Il mondo rurale, da cui pure tutti proveniamo, appartiene alla memoria di chi ha vissuto gli anni arcaici tra le due guerre, quelli di privazione tra secondo conflitto mondiale e dopoguerra, fino alla ricostruzione e al boom economico che ha accelerato la fine del mondo agricolo ancestrale. Mondo arcaico e arcadico, la campagna compare in questi racconti sovente attraverso l’ immagine dell’ albero, emergenza ineludibile nella memoria di un’ infanzia a contatto con la natura, per quanto ostile e dura, ricordata oggi con nostalgia. Da quest’ Arcadia rurale si deve fuggire per la fame, per la miseria, per la mancanza di prospettive di lavoro: l’ emigrazione appare così sullo sfondo di molti racconti. La guerra – quella mondiale per gli scrittori italiani, quelle balcaniche o africane più recenti nell’ esperienza di alcuni narratori stranieri – è insieme ricordo epocale e momento traumatico di rottura. La guerra talvolta segna la fine del paesello d’ origine, talvolta la fine della Patria stessa. L’ emigrazione dai Paesi africani o asiatici o dell’ Est europeo diventa – nella prospettiva del lettore italiano – immigrazione; e il grande tema virgiliano del dulcia linquimus arva si conferma eterno, universale. Ma, come detto al principio, molti autori di questi racconti (talvolta bozzetti, talaltra mere considerazioni che esulano dalla forma narrativa) hanno scelto di interpretare Terra mia in chiave metaforica; e piace ricordare l’ albero solitario del racconto omonimo: in un cerchio che si chiude, si torna alla natura dell’ infanzia, alla campagna, da dove eravamo partiti… Da dove tutti siamo partiti. Stefano Tonietto Docente al Liceo Classico “Marchesi” di Padova Membro della Giuria di Parole per strada 22 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Q parole per strada 2013 - terra mia uando ci è stato proposto di partecipare al concorso “Parole per Strada” come giuria, entusiasti abbiamo subito accettato poiché ci è sembrata un’esperienza nuova e diversa dalle altre. Essendo abituati ad essere noi giudicati abbiamo colto l’occasione per capire cosa si prova a stare dalla parte di chi valuta. Ci siamo resi conto che giudicare è più difficile di quanto si possa pensare, infatti abbiamo incontrato alcune difficoltà poiché dare giudizi implica una grossa responsabilità. Anche l’organizzazione non è stata semplice dato che le opinioni erano molte e abbastanza contrastanti. Ma nonostante questo è stato soddisfacente riuscire a gestire tutto da soli, senza aiuti da parte dell’insegnante. È stato bello vedere come i partecipanti hanno interpretato in modi diversi il tema di quest’anno, riferendosi alla propria terra d’origine, altri ad un punto fermo della loro vita, quali un oggetto o una persona. La lettura dei racconti è stata scorrevole e piacevole e alcuni che ci hanno particolarmente coinvolto, ci hanno portato a dibattiti e discussioni in classe. Siamo comunque convinti che sia stata un’esperienza molto positiva e costruttiva che ci ha aiutato a migliorare la nostra capacità critica e organizzativa; per questo alla domanda: “Lo rifareste?” risponderemmo all’unanime “Sì!”. Erzana: Un racconto che mi ha particolarmente colpito è “L’albero solitario”, dove un uomo racconta la sua vita, paragonandosi ad un albero, che “ha visto morire la speranza di un verde futuro in cui affondare le radici” e che dopo aver già dato tutto non ha più nulla da offrire, ma che nonostante ciò, è riuscito a trovare un posto al sole dove stabilirsi: la sua terra. Questo racconto richiama una realtà purtroppo presente e diffusa al giorno d’oggi, e anche se consapevole di questo fatto, leggere questo racconto mi ha comunque impressionato. Andrea: Tra i racconti che più mi hanno colpita, c’è “Sepolti vivi”, in cui il protagonista Nadir lascia la propria patria in cerca di fortuna. Il finale non è specificato, ma si riesce a capire che non ha un lieto fine e, aggiungendoci l’ottima fruibilità, posso affermare che ha avuto un forte impatto sulla mia sensibilità. trapelava con più sentimento l’amore e il rispetto per la propria terra. Giulia: Nonostante il racconto “Briru” non sia piaciuto a molti, mi ha colpito per il suo finale triste e mi ha dato la consapevolezza che ci sono persone nel mondo che sono alla ricerca di uno spiraglio che possa salvarli dalla crudele realtà in cui vivono. Caterina: Uno dei racconti che più mi ha colpito ed emozionato è “14 agosto 1914, venerdì” in cui l’autore riesce a farmi rivivere emozioni che il personaggio prova, descrivendo l’abbandono forzato della propria terra. Un uomo costretto a lasciarla per salire su un treno, non sapendo quale sia la destinazione, consapevole solo del fatto che segnerà la fine della propria vita. Carolina: Personalmente mi ha molto commossa il racconto “Clandestino”, in quanto il protagonista esprime le sofferenze delle sue speranze deluse, affrontando il problema della mancanza di lavoro, che proprio in Italia colpisce molti giovani. Nel brano infatti egli si paragona ad un cane randagio, il quale le sere viene morso dalla nostalgia e che con il passare del tempo sparge il suo cuore in ogni parte del mondo. Jessica: Mi ha colpito molto il racconto intitolato “Il pratosangiovanni” nel quale l’autore, con grande fruibilità, ha definito la sua terra attraverso una semplice immagine in cui dei ragazzini facevano della birra con della liquirizia; un particolare ricordo della sua infanzia in perfetta attinenza al tema. Erica Amistadi – Giada Andreolli – Andrea Bisoffi – Marta Bottesi – Emily Calabri – Carolina Cestarollo – Giulia Ciaghi – Giuseppe Francesco D’Amato – Martina Demozzi – Beatrice Francesconi – Erzana Hallidri – Jessica Martinelli – Denise Pancot – Alice Prandi – Layla Ulivieri – Caterina Viesi – Rachele Zambelli – Giorgia Zenatti Classe 3 B Liceo Linguistico “Rosmini” Rovereto Rachele: Nonostante la varietà di racconti, alcuni mi hanno trasmesso maggiore emozione poiché da questi IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 23 parole per strada 2013 - terra mia I sedici ragazzi e ragazze che hanno accettato di leggere e valutare i racconti fanno tutti parte della classe 2 B del liceo classico “Concetto Marchesi” di Padova: frequentano il quarto anno e quindi stanno entrando uno dopo l’altro nella maggiore età. Essi sono stati selezionati su un gruppo più ampio di 27 studenti, o, per meglio dire, si sono autoselezionati: infatti il primo criterio proposto dal docente per l’ammissione alla giuria era il semplice desiderio di farne parte. Un’esperienza nuova per tutti, visto che a scuola sono solitamente oggetto di valutazione (temi, verifiche, versioni, test ed elaborati vari) e non giudici attivi di produzioni altrui, se si eccettuano le “analisi del testo” inevitabilmente somministrate loro dai docenti in vista dell’esame di Stato. L’impegno è stato necessariamente casalingo, in quanto non era possibile né opportuno, con buona parte della classe non partecipante, utilizzare le ore curricolari per organizzare e seguire il lavoro; similmente, il lavoro è stato condotto in modo individuale, senza particolari momenti di condivisione di pareri e giudizi. In pratica, ogni studente ha lavorato come singolo giurato, in base ai propri gusti e alla propria esperienza di lettore, benché il giudizio espresso dal gruppo sia stato poi sintetizzato in un’unica tabella. [s.t.] «Sono rimasta molto soddisfatta di aver partecipato a questa iniziativa. Leggere (e valutare) questi brevi racconti è stata senza dubbio un’ esperienza interessante e il tema “Terra mia” si è rivelato molto più profondo e ricco di spunti di quanto avrei mai immaginato». [Laura Piva] Tutti gli Autori di Parole per strada - Terra mia Gregory Alegi – Livia Alegi – Meriam Al-Ghajariah Giorgio Anastasio – Andrea Angiolino – Wallace Armani Fabio Baldi – Rossella Baldi – Livio Bauer – Elena Belotti FeBe – Margherita Berlanda – Italo Bonassi – Luigi Brasili Roberto Caprara – Vittorio Caratozzolo – Giuseppe Carmeci Carla Casetti – Matteo Cermusoni – David Cerri Matias Cimadon Ramona Corrado – Diana Crispo Nives Cristoforetti – Pelagio D’Afro – Livio Dalpiaz Davide Daniele – Susanna Daniele Igor De Amicis Marcello De Santis – Margherita De Simone Patrizia DeBicke – Martina Dei-Cas – Gian Luca Del Marco Emanuele Delmiglio – Daniela Destefani – Giorgio Diaz Peter Disertori – Sandro Disertori – Danuta Dobkowska Dorina Dumbrava – Anna Maria Ercilli – Ornella Fait Gabriele Falcioni – Guido Falqui-Massidda – Lidia Filippi Gilberto Gagliardi – Davide Galati – Francesca Garello Karin Gelten – Vanessa Giolitti – Giuseppe Gottardi Marco Guarnieri – Luigi Guicciardi – InPagina Norberto Julini Marisa Lanzerotti – Gordiano Lupi Paola Malcotti – Carla Mannarini – Giacomo Manzoni Angelo Marenzana – Tiziana Margoni Gilio Donato Marinello – Caterina Rosa Marino Miriam Marino – Nadia Mariz – Carlo Martinelli Maria Grazia Masciadri – Rita Mazzon – Marta Minervino Armando Mondin – Noemi Nappo – Fabio Novel Rahma Nur – Gloria Odorizzi – Laura Oreglia Riccardo Ozog Francesconi – Luisa Pachera Morena Pedrotti – Marinette Pendola – Snezana Petrovic Biagio Proietti – Giuliana Raffaelli Giorgio Ragucci Brugger – Michela Rigotti Rossella Saltini – Emma Saponaro – Sarcitana Andrea Agbariah – Luca Barin – Elena Bortolato – Rebecca Ciriolo – Beatrice Fenato – Diletta Filippi – Giulio Fornaciari – Lorenzo Iannuzzi – Elena Lucchetta – Alberto Michielon – Laura Piva – Orysya Ratalska – Sofia Testa – Giulia Tiberio – Martina Tripaldi – Catalina Turuta Classe 2 B Liceo classico “Concetto Marchesi” Padova 24 Giovanna Sartori – Marco Savarese – Barbara Scovoli Catia Simone – Mirta Slomp – Abdelmalek Smari Andrey Josè Taffner-Fraga – Anna Tava – Giorgio Tosini Diana Ungureanu – Adelina Valcanover – Marco Vallarino Laura Vignali – Vittorio Vulcan – David Wilkinson Fulvio Zanoni – Paolo Ziino – Antonio Angelo Zurlo 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI parole per strada 2013 - terra mia Meriam Al-Ghajariah Plurale T erra mia: dove il nonno di mio nonno di mio nonno piantò questi ulivi. Terra mia: conquistata con il sangue degli eroi e protetta da alti bastioni. Terra mia: profumi di casa e suoni chiari della mia lingua. Terra mia: percorsi lungo piste che solo io conosco, e solo la sete e il sonno mi sono limite. Terra mia: comprata a prezzo vantaggioso da un manipolo di ambiziosi incapaci. Terra mia: l’alta scogliera che abbraccia il porto da cui partire alla conquista dei mari. Terra mia: dove scorre il mio sudore e guadagno il mio pane. Terra mia: il mio orto, le piante curate con amore sul balcone quando le gambe non possono portarmi più lontano. Terra mia: il profilo delle montagne che circondano la mia valle. Terra mia: novecentomila ettari e due miliardi di fatturato. Terra mia: quella che si appoggia sulle mie ossa, sotto la lapide che ricorda il mio nome. Terra NOSTRA: rubata, lacerata, sfruttata. Unica e indivisibile. Amata. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 25 parole per strada 2013 - terra mia Andrea Angiolino Igor De Amicis Tornerò Verso casa T di sicuro erra mia, ti penso sempre. Anche ora che siamo in pausa in fondo al campo. Con dieci minuti scarsi per tirare il fiato prima di tornare a raccogliere verdura, la schiena piegata che fa male da morire e il caporale che urla di fare più in fretta, ma con delicatezza per non guastare nulla. Chi è nato qua mi guarda dall’alto in basso, e non è solo una metafora: sono più slanciati di noi. E ci disprezzano, anche se andando indietro nel tempo i nostri antenati sono gli stessi. Nati dove sono nato io: i loro trisavoli erano “terricoli” quanto me, per usare il nomignolo con cui ci chiamano oggi i marziani. Che sono tutti, ovviamente, discendenti da coloni terrestri. Hanno fatto il possibile per far somigliare questo pianeta alla Terra, cominciando secoli fa da mari e atmosfera. Ce n’è voluto di tempo. Era un deserto, ora è un giardino per ricchi: ma si vede che è costruito, sa proprio di falso. Io sono venu to a servirne i padroni scappando dalla Terra vera, devastata e ipersfruttata. In cambio ottengo qualche soldo da mandare alla famiglia rimasta a casa e sguardi obliqui in cui leggo solo commiserazione o disprezzo. Alzo gli occhi. In questo periodo la Terra è vicina, si vede bene a occhio nudo: sembra una doppia stella vista da qua, lei azzurra e la luna più piccola accanto. Ancora qualche anno di risparmi per scampare alla miseria e me ne tornerò al mio pianeta, questo è poco ma sicuro. Per quanto maltrattato e povero possa essere. Amara Terra mia, amara e bella. 26 R ussia, 24 dicembre 1941 Benedetto Rinolfi si svegliò di soprassalto. Il fragore delle esplosioni risuonava nel vecchio magazzino. Le pareti spoglie tremavano e la terra sembrava voler sprofondare. Un altro bombardamento. Si guardò intorno, i suoi compagni si stavano alzando veloci e raccoglievano le loro cose: gavette, zaini, coperte. L’aria era gelida e il vento tagliava la faccia. Davanti a loro un’immensa distesa bianca di ghiaccio e neve. Dietro di loro l’Armata Rossa che avanzava inesorabile. Alcuni cadevano in silenzio e altri in silenzio avanzavano. Nessuno aveva la forza di fermarsi, chiedere, aiutare. Dovevano solo andare avanti. Verso ovest. Verso casa. Benedetto guardava il bianco sconfinato della neve e pensava al verde delle sue colline, ai lunghi filari di alberi che coprivano l’orizzonte, alla terra grassa e profumata dei suoi campi. Voleva tornare a casa. Doveva tornare a casa. Dalla sua famiglia. Si strinse ancora di più nel lungo cappotto militare. Un passo dopo l’altro fissando il bianco. Il vento crebbe di intensità. Arrivò la tempesta. Italia, 25 aprile 1991 Benedetto Rinolfi fissava il verde delle colline. Lunghi filari di alberi circondavano l’orizzonte. Si chinò depositando la piccola cassa di legno nella terra grassa e profumata dei suoi campi. Si sollevò con decisione, forte dei suoi venticinque anni. Un lieve sorriso si dipinse sul suo volto. Guardò la piccola cassa nell’abbraccio di quella terra morbida e accogliente. “Bentornato a casa nonno!” 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI parole per strada 2013 - terra mia Pelagio D’Afro Davide Galati Colori Anniversario L L’ a mia terra ha un colore diverso da tutte le altre terre, e io non sapevo perché. La prima volta che ho sentito dire “Che strano colore ha questa terra” avevo nove anni. “Ma ha il colore della terra” dissi; e il musungu dalla pelle rosa rispose: “La mia terra è bruna, questa è rossa.” È rossa, la mia terra. Chi non l’ha mai calpestata non può sapere com’è. È polverosa sotto il Sole che la secca, fangosa sotto la pioggia che la bagna, e il suo colore resta sui vestiti e sulle scarpe. E ci vuole tanto lavoro per far tornare le scarpe bianche come quelle che indossai il giorno in cui mi laureai in medicina. Per poi tornare nella terra dalla quale ho visto fiorire i padiglioni dell’ospedale che dirigo: baracche dalle tinte viola, indaco e blu come i petali assetati della mia terra. Ma impastati alla mia terra ci sono minerali gialli e petrolio nero, più importanti dei tanti colori del mio ospedale. E la guerra rende più della terra. E ora, legato con tutti gli altri davanti al muro viola del padiglione operatorio, in attesa dell’urlo incolore del kalashnikov, finalmente so perché la mia terra ha questo colore. Perché la mia terra è terra d’Africa, rossa come il nostro sangue che vi si mescola, intrisa delle grida delle vittime e dei carnefici. So long, musungu. È su questa terra rossa e su questo sangue rosso che voi tutti prosperate nelle vostre terre brune. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 uomo aveva i capelli bianchi, era seduto al tavolino del bar e guardava la neve cadere. L’interno era piccolo e raccolto, sulle pareti di legno le ballerine di Degas. Socchiuse gli occhi, poi avvertì il suo profumo. — Ciao, – disse lei appoggiando i guanti sul tavolo e togliendosi il cappotto – è molto che aspetti? — No. – mentì lui osservando i fiocchi di neve che le cadevano dai capelli ricci e soffermandosi sui suoi occhi profondi. — Bugiardo. – sorrise lei. — Mi piace stare qui ad aspettarti. Si sedette con un sorriso accogliente. Lui guardava con dolcezza le piccole pieghe che la pelle, col tempo, aveva fatto sul suo viso. La rendevano ancora più affascinante. La cameriera li fissò da lontano. Venivano ogni anno, l’otto dicembre, solo quel giorno. Lei era davvero una bella signora, molto elegante. Lui un po’ sovrappeso, ma con un certo fascino. Stavano lì un paio di ore, ordinavano sempre le stesse cose e parlavano, parlavano... parlavano. Guardandoli capivi che si volevano bene davvero. Lui scoppiò a ridere. Lei si illuminò. Gli occhi di lui divennero tristi, ma solo finché lei non gli strinse la mano. Risero ancora e continuarono a parlare e il tempo perse significato. Poi lei si alzò e si rimise il cappotto. La baciò con passione, poi lei uscì e lui la guardò allontanarsi nella neve. La cameriera si avvicinò per pulire e si lasciò sfuggire: — È davvero una bella signora... — Sì, è la mia casa... il mio punto fermo... la mia terra... è mia moglie! – rispose sorridendole. 27 parole per strada 2013 - terra mia Danuta Dobkowska Danuta Dobkowska Quale terra? Która ziemia? C i vuole una sterzata; la mia vita è diventata un dramma. Ero disubbidiente. Mio padre tuonava: “Devi finire gli studi e farti una famiglia!”. Sapevo che, se avessi fallito, sarei stata cacciata, ma qualcosa mi diceva di non ascoltarli. Ho fatto le valigie e sono partita alla scoperta del mondo. Il bisogno di amare mi faceva girare come una trottola, annusavo le vite e le terre degli altri, conquistavo le cose e un giro di amici, per poi ricominciare. Mi sentivo un’eterna forestiera, un’orfana, aggrappata al pezzo di cielo che può franare da un momento all’altro. Oggi percorro la strada dei canti smarriti portando in giro un’ombra stanca a ritroso fra il futuro, passato immediato o remoto sedimentato. Il corpo e il viso si sono consumati. La memoria vacilla. I discorsi dei vecchi amici sono estranei. La mia lingua madre è oramai sgrammaticata. Salgono i rimorsi dalle città dei morti. Stringo a due mani la vita che resta chiedendomi: quale terra? Dico addio quando l’aereo decolla. Le mie lacrime si disperdono come un patchwork di vite sospese; per quanto polverizzate, ritrovano l’unità nel rivelare che la mia terra è un piccolo orto nel Trentino, adagiato ad un muretto a secco dove le piante e gli animali si dividono i favori del sole e della pioggia. La vita si trasforma in danza: i lombrichi scavano la terra. Le rane cantano in coro, la mia gatta caccia le lucertole, con il buio osano le lumache. Qui mi sento felice, immersa nella lettura di un libro. 28 M oje życie stało się dramatem, potrzebna jest zmiana kierunku. Nie słuchałam rad rodziców. Mój ojciec grzmiał: “Musisz skończyć szkołę i założyć rodzinę!”. Wiedziałam, że jeśli nie zrealizuję planów, rodzina oddali się ode mnie. Coś mi mówiło, aby nie słuchać się ich. Spakowałam się i wyruszyłam poznawać świat. Potrzeba uczucia przenosiła mnie z miejsca na miejsce jak bączek, wąchałam życie i ziemie innych narodów, osiągałam przyjaźń, rzeczy materialne i już likwidowałam wszystko, aby żyć od nowa. Czułam się jak wieczny cudzoziemiec, sierota, przyczepiona do kawałka nieba, co może spaść z chwili na chwilę. Dziś mój zmęczony cień wraca do tych dróg, gdzie śpiewałam do utraty tchu, zagubiona między przyszłością i przeszłością. Sylwetka i twarz postarzały się. Pamięć osłabła. Rozmowy z dawnymi przyjaciółmi są obce. Język ojczysty nie kleci się. Z miast nieżywych wznoszą się wyrzuty sumienia. Przytrzymuję obiema rękoma pozostałe życie, zadając sobie pytanie: która ziemia? Żegnam kraj, gdy samolot startuje. Moje łzy rozpraszają się i realizują układankę tego rozproszonego życia. Wnet łączą się ujawniając, że moja ziemia to ten ogródek warzywny w Trentino pod naturalnym kamiennym murem, w którym rośliny i zwierzęta dzielą się dobrocią. Słońca i deszczu. Życie zamienia się tu w taniec: dżdżownice przekopują ziemię, żaby śpiewają w chórze, kot poluje na jaszczurki, w nocy urzędują ślimaki. Tutaj czuję się szczęśliwa, zanurzona w lekturze książki. 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI parole per strada 2013 - terra mia Francesca Garello Norberto Julini Tre chili Le noci di Al Mansura S ono tre chili, più o meno. Stanno tutti in soli sedici centimetri di diametro e quindici di altezza. Non è una cosa molto ingombrante da trasportare, magari non comodissima se si va lontano, e soprattutto se si va di fretta. Io sono andata via di fretta. Non ho portato molto di più con me, d’altra parte, quindi non è che mi abbia dato tutto questo disturbo. Avevo le mani abbastanza libere. Era il ’38. C’è voluto più impegno, semmai, nel trovargli ogni giorno un bicchiere d’acqua e proteggerlo dal freddo e dalle scosse del viaggio, che non è stato né corto né comodo. Ogni tanto ho temuto che non ce la facesse. Non sembra, ma il basilico è una pianta delicata. È talmente diffuso che nessuno ci fa caso se una pianta muore: se ne trova facilmente un’altra, si svuota il vaso e la si rimpiazza con una nuova. Ma io ci tengo a questa pianta, a questo vaso. Sul retro della casa avevo un piccolo orto. La terra la presi lì e la misi nel vaso perché il basilico volevo tenerlo sul davanzale della finestra, in modo da averlo sotto mano mentre cucinavo. Un vaso piccolo. Circa tre chili di terra. Così stava al riparo anche quando soffiava il vento, che dalle nostre parti è molto freddo. Anche adesso il basilico sta sul davanzale, un altro. Sta abbastanza bene, nonostante tutto. Potrei metterlo in giardino, forse. In America tutti hanno un giardino, e sono sicura che al basilico piacerebbe. Però mi spiacerebbe buttare la terra del vaso. È tutto quello che resta di casa mia. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 A l piccolo Geries piacevano le noci, ma la sua famiglia era povera, le noci costavano troppo. Un giorno vicino ad un villaggio abbandonato sui monti della Galilea con i ragazzi più grandi si imbatté in un noce che ne aveva lasciate cadere una gran quantità. Geries tornò a casa fiero di portare un dono prelibato ed inatteso. Papà Sa’ed invece lo rimproverò: — Dove le hai prese? Ti ho detto di non rubare, mai! — Le abbiamo trovate nel bosco e tutti ne hanno prese sotto l’albero – rispose Geries spaventato. — Quale albero? – insistette il padre. – Portami a vedere. Appena vide l’albero Sa’ed tornò precipitosamente a casa, aprì la finestra, buttò le noci. — Perché l’hai fatto? – chiese la moglie. — Erano noci di Al Mansura – rispose Sa’ed e si chiuse in un silenzio cupo. — Che cosa ho fatto di male? – chiese Geries alla mamma. — Nulla, ma devi sapere che quelle noci un tempo erano nostre, noi veniamo da Al Mansura. Là c’era la mia terra e la mia casa. I soldati vennero un giorno a dirci che dovevamo venire via e di non prendere nulla, soltanto di chiudere la porta a chiave. Saremmo tornati presto, dissero. Invece il giorno dopo arrivarono i bulldozer e distrussero tutto. Oggi ad Al Mansura c’è un parco naturale e i resti delle case sono segnalati come “ruderi romani”. Geries accompagna i pellegrini. Si rifiuta di pagare il biglietto d’ingresso, spiega da lontano la storia della sua famiglia e del suo popolo che aspetta il ritorno a casa. Ha ancora la chiave: la tiene appesa al muro come una croce. 29 parole per strada 2013 - terra mia Rahma Nur Rahma Nur Le radici nascoste in me Xididdada dhaxdeeyda ku qarsoon (Traduzione in somalo di Angelo [Abdiaziz] De Luca) V edevo solo nuvole bianche, soffici, un sole accecante; il rumore continuo dell’aereo che mi trasportava. Avevo solo cinque anni, se avevo paura di volare non me lo ricordo; forse in quel momento la curiosità e la novità erano le uniche sensazioni che occupavano il mio cuore e la mia mente, non avevo coscienza di dove andavo, né da dove venivo. Non c’era un parente, una mamma, ad accompagnarmi in questo volo. La mia unica “amica” era una hostess gentile, bionda, bellissima ai miei occhi di bimba africana, che ogni tanto veniva a controllare se stavo bene, se avevo bisogno di qualcosa: ma in quale lingua comunicavamo? La lingua universale dei gesti, la lingua di una donna e di una bimba, l’essenziale. Le mie radici erano state strappate bruscamente dalla terra che mi aveva vista nascere, ora me le portavo dietro, nascoste dentro di me ma allo stesso tempo visibilissime per chiunque: erano lì nella grana delicata e liscia della mia pelle, nei sof fici ricci che contornavano il mio viso, nelle parole che a stento uscivano dalla mia bocca per timore e timidezza in una lingua che presto avrei dimenticato, nel cibo che aveva riempito il mio piccolo stomaco nei primi anni della mia vita. Quelle stesse radici, di lì a poco, sarebbero state accolte da una nuova terra, fertile ma dura allo stesso tempo; avrebbero faticato ad aggrapparsi al terreno ma non a trovare nutrimento: la storia, la lingua, i sapori, le idee avrebbero subito iniziato il loro cammino vorticoso nella mia anima. 30 W axaan u jeeday caad cad, fudeed, qorax indhaha kaa cawireeyso, dhawaaq, aan istageen oo ka socdo dayaaradda i waddo. Waxaan jiray shan sano kaliyo, haddan ka cabsanaayi dulitaanka ma aan xasuusto, lakiinse waqtigaas, ku dimisteeyda waxaas cusub waxeey ila ahaayeen wax wadnaheeyga xil saarayo, iyo maskaxdeeyda ma aan garaneynin, meesha aan u jeedo iyo meeha aan ka imid. Dulitaankaan wax aan wahashanaayo hooyo iyo waalid ahaan ma ila socon. Wax aan saxiib iyo wahal ahaan u haastay waxey aheed gabadha ka shakheeydo dayaaradda ‘hostess’, oo aad u macaan, qurax badan tima cas indhabeega gabar yar oo afrikan ey ila muuqatay oo mar allale iga soo kor meereysay. Luqadda aan isla hadleyni ayaa dhibaato leheed, midda kaliyo luqadda summada. Waddanka aan ku dhashay kuna soo koray, ayaa leyga soo cirib tiray, hadda wey ila socotaa, dhaxdeeyda ayeey ku kharsoontahay xil darradas ley galay. Qof kastana akhoonsan karto hadduu i daawado korkeeyga jilacsan ayeey ka muukhataa timaheeyga fud fudud oo wijigeeyga salaaxayaan, hadallada oo afkeeyga yar xishoodka iyo cabsida ka soo baxaayeen, oo waqti dhaqsi leh aan ku ilaawi doono. Cuntada oo caloosheyda yar buuxiday, sanadaha yaranteeyda oo nolosheyda iyo xididdada aan ka soo as asmay si deg deg, dhul aan garaneynin ayaa i soo dhaweyndoono oo aad u adag la qabsigiisa. Isla waqtigaasna aan aad u dhibtoon doono. Lakiinse aan ku dheef heli doono, sheekada, luqadda, dhedhenka, fikradda dhaqsi nolosheyda la qabsan doonto. 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI parole per strada 2013 - terra mia Снежана Петровић Snežana Petrovic ЗЕМЉА КОЈЕ ВИШЕ НЕМА Il paese che non c’è più У I мрла је моја Земља. Умрла је од рана задобијених у последњем рату. Преживела је многе нападе страних непријатеља, али није могла да преживи грађански рат. Имала је све оно што чини лепом једну Земљу: прекрасно море, високе планине, језера и бање, реке и речице међу таласастим брдима, шуме пуне дивљачи... Њени становници су били добри људи, разних националности, менталитета и вера, којима је била заједничка љубав према Земљи у којој су рођени, у којој су одрасли и коју су градили. Они нису желели рат. Рат који је унишио њихову земљу изазвали су светски моћници. Та земља више не постоји. Када је о њој било речи, говорили су «бивша», као када умре човек што се каже «покојни». Њено име је брзо ишчезло, не помиње се више. Замењено је именима њених шест Република. Морала сам да одлучим којој ћу припадати, али то је било немогуће: моји родитељи су били различитих националности, рођена сам у једној, одрасла у другој а удала сам се у трећој Републици, а волела сам ту Земљу - целу. Када је умрла отишла сам, као многи који су остали без Ње. Мене је усвојила Италија. Она је као добра маћеха, али никада неће моћи да ми замени Земљу мог порекла, као што нико не може да замени мајку које више нема. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 l mio paese non c’è più. È morto per via delle ferite riportate nell’ultima guerra. È sopravvissuto a molte invasioni straniere, ma non è sopravvissuto alla guerra civile. I suoi cittadini erano brava gente di nazionalità e mentalità diverse, ma uniti dall’amore per il paese in cui erano nati e cresciuti. La guerra che ha distrutto il paese non era voluta da loro, era pianificata e provocata dai potenti del mondo. Questo paese non c’è più. Per un periodo davanti al suo nome si scriveva “ex”, come davanti al nome di una persona morta si usa il “fu”. Dopo breve tempo il suo nome è scomparso del tutto, sostituito dai nomi delle sue Repubbliche. Mi trovavo costretta a sostituire il mio paese con una delle Repubbliche, proclamate Stati indipendenti, ma si trattava di un’impresa ardua, perché i miei genitori erano di nazionalità diverse, io stessa sono nata in una Repubblica, cresciuta in un’altra e mi sono sposata in una terza; e le amo tutte quante. Alla fine me ne sono andata, come molti altri, orfani come me dal paese d’origine: sono stata adottata dall’Italia. È una brava matrigna, ma non potrà mai sostituire una mamma, una mamma che non c’è più. 31 A braccetto tra i guai umani di Sandro Disertori 32 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI a braccetto tra i guai umani È pacifico come ...che la situazione attuale tanto miserevole, soprattutto qualcosa che sarà in graquesta mia pre- se inquadrata nel grande affresco della storia umana, do di rimescolare con demessa dai toni possa considerarsi inedita, direi proprio di no. In ogni cisione le carte e ci salvepiuttosto drammatici ab- caso anche se in parte lo fosse, limiterebbe al settore de- rà, anche se talora non lo bia veramente tutti i titoli cisivo ma limitato del progresso scientifico e tecnico che, meriteremmo. per venir considerata tale. in effetti, nei due ultimi secoli si è ingigantito con legge Mi sembra ora inevitaIn effetti nei nostri cervel- esponenziale, con tutte le possibili conseguenze, utili o bile che debba venire per li ha già preso posto fisso, dannose che ne possano derivare. forza il momento nel quada tempo, un' altra ulte- In un brillante caleidoscopio fatto di mal governo e di le saremo costretti a legriore conferma di questo, scandali grevi di assoluto cinismo, spinti da un amaro gere e ad interpretare in ancora più grave: il modo cupio dissolvi, ci sembra di essere saliti inermi su un modo diverso e molto più pazzesco con il quale stia- treno senza freni e manovratore che stia sul punto di equilibrato la storia delmo gestendo il nostro de- schiantarsi, a folle velocità, contro gli edifici della pro- l' Umanità nei suoi corsi e stino e quello della stessa pria stazione terminale. A conferma e come immediata ricorsi. Essa ci aiuterà a terra che ci alimenta. Og- riprova della realtà di tale situazione e del grave perico- riflettere con nuovo spirigi l' uomo, una volta anco- lo incombente, è sufficiente accendere, a caso, il televisore to sui nostri problemi e ra, ha perso per strada dare un assetto più logico e guardarlo per un paio di minuti. gran parte dei principi alle nostre vite. Avremo È quanto basta per capire etici che si era faticosacosì scoperto per mano il perché. mente costruito e fissato della storia, soprattutto di dentro di sé, durante un innumerevole ordine di gene- quella comparata, che lo spirito umano ha potuto benrazioni. In pratica, disfattosi ora di freni morali, rite- sì continuare a cercare la ricchezza e il potere ma mai al nendoli d' inciampo al proprio personale benessere fi- prezzo del suo auto-annichilimento. sico, oggi sta di nuovo vivendo nell' egoismo più assoSarà allora proprio essa storia a mettere in luce come luto e continua a utilizzare la propria esaltante prepara- l' uomo però resti tendenzialmente pronto a partecipazione scientifica, anziché per il bene generale, soprat- re come protagonista al Paradiso Perduto di Milton, tutto pro domo sua, pur intuendo vagamente che, così ma anche a passare subito dopo, commosso ma mai facendo, il risultato ultimo sia già destinato a essere la contrito, al Cantico degli Animali di frate Francesco. Offro un esempio degli innumerevoli a disposizione. negazione di ciò che egli ha sempre cercato di ottenere. Anziché un essere libero, l' egoismo e la conquista della ricchezza ad ogni costo, forse in parte per colpa ono anni che tutti parlano dello scadimento dei della mela di Eva, lo stanno trasformando una volta di rapporti umani, del concetto di famiglia e della più in un semplice schiavo delle proprie brame e, di educazione dei figli, mal concepita e, in ogni caconseguenza, degli stessi successi tecnici che, usati sen- so, male condotta. za criterio, stanno rischiando di portarlo all' annichiliBene. Circa venticinque secoli fa, il già citato Platone, nell' ottavo libro della propria monumentale opera mento. La Repubblica, scandalizzato del decadimento dei coo ritengo per contro, e contro ogni apparente stumi del proprio Paese, si era rivolto ai propri conlogica, che quasi certamente e per nostra fortu- cittadini con queste poche frasi, tanto severe, ammona tutto questo non avverrà. Come avvenuto nitrici e sempre all' ordine del giorno, oltre che divimolte volte nel passato, giungerà in tempo qualcuno o natrici: S I IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 33 sandro disertori Quando un popolo divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere a capo dei malaccorti coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, son dichiarati reprobi e accusati di voler togliere la libertà. Ed avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito uomo senza carattere, servo: che il padre impaurito, finisce per trattare il figlio come suo pari e il figlio non ha più reverenza né timore dei genitori, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e li adula e costoro si fanno beffa di lui: che i giovani pretendono gli stessi diritti e la stessa considerazione dei vecchi e questi per non parere troppo severi, danno ragione ai giovani. L' anima dei cittadini si fa insofferente all' estremo, sì che dove venga caso di sottomissione qualsiasi, se ne sdegnano e non ammettono di ubbidire. E finiscono col non curarsi più né delle leggi scritte, né di quelle non scritte, al fine di non avere più riguardo né rispetto per nessuno. In mezzo a tanta licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannide. Infatti ogni eccesso suole apportare l' eccesso opposto tanto nelle stagioni, quanto nelle piante e nei corpi e massimamente poi nei reggimenti politici. Non si può negare come queste considerazioni sulla Grecia dei suoi tempi, vere allora, si adattino così bene al nostro tempo da sembrare scritte ieri sera. Platone aveva 23 anni quando, nel 404 a.C., si conclusero le cosiddette guerre del Peloponneso fra Sparta ed Atene, iniziatesi nel 431 a.C. Due anni prima della sua nascita, già nel pieno di quel conflitto, la peste si era portata via Pericle, il vero artefice forse degli anni del massimo splendore di Atene e della civiltà greca, a sua volta madre di quella occidentale e mediterranea. Il grande filosofo quindi aveva vissuto la sua prima giovinezza in uno dei periodi più difficili e bui della Grecia, 34 momentaneamente in declino, con l' inevitabile scadimento generale dei costumi e con il trionfo di una corruzione generalizzata che un quasi trentennale conflitto aveva inevitabilmente favorito. Le sue amare conclusioni sono quanto mai centrate. Tito Lucrezio Caro nel De rerum natura le aveva riproposte raccontando, da par suo ed in versi latini splendidamente aulici, gli orrori, l' atmosfera, la miseria morale di quei decenni. Q ualcosa di simile e con gli stessi miserevoli risultati è stato rivissuto, nel XVII secolo, da quasi tutta l' Europa centrale, stretta dalle spire di un' altra Guerra ufficialmente di religione, ma in realtà per ben altre ragioni, durata trent' anni esatti. Anch' essa fu accompagnata da un' epidemia di peste altrettanto spaventosa, magistralmente ricordata nella sua drammaticità dal nostro Manzoni, nel suo capolavoro. Da sottolineare che Schiller nella Trilogia del Wallenstein e Brecht nella toccante opera teatrale Madre coraggio e i suoi figli (Mutter Courage und ihre Kinder), hanno entrambi confermato oltre venti secoli dopo, le affermazioni preoccupate di Platone sulla crisi politica e morale del suo Paese, usando quasi le stesse parole e soprattutto gli stessi toni. Con questi due esempi arcinoti è evidente come non si possa seriamente sostenere che noi, oggi, solo per il fatto di essere riusciti a calpestare il suolo della luna, siamo diventati migliori o peggiori dei cacciatori preistorici che ci hanno preceduto sul pianeta e, tanto meno, che siamo diversi dai contemporanei di Platone, di Socrate e, più tardi, dal valoroso generale italiano Piccolomini e dal suo capo Wallenstein, entrambi affascinanti protagonisti della Trilogia schilleriana. Quindi è chiaro come, a cicli alterni quasi fissi e spesso perfino prevedibili per estrapolazione, l' uomo sia in grado di comportarsi da saggio, da eroe e da uomo d' ordine, ma anche, presto o tardi, di ripiombare nella bestialità più nauseabonda invocando, a propria giustificazione, le ragioni più insensate e sempre le stesse. Queste due facce tanto inquietanti della sua natura 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI a braccetto tra i guai umani spesso trasformano il suo spirito in una specie di Giano bifronte. A questo proposito è esemplare una sconvolgente risposta che Wallenstein un giorno diede al proprio monarca Ferdinando d' Austria, nel bel mezzo della Guerra dei trent' anni. Ferdinando era il capo supremo dello schieramento cattolico contro quello della riforma. Vista come conflitto di religione, in realtà era scoppiata per ragioni commerciali e soprattutto per sete di dominio, come era successo oltre due millenni prima con la guerra di Troia, ufficialmente scatenata per riprendersi Elena, rapita da Paride, ma scatenata invece solo per ragioni commerciali. L' imperatore Ferdinando intendeva inviare oltre diecimila uomini in Boemia contro i protestanti e su questo aveva chiesto il parere a Wallenstein che rispose con la massima calma: “Quel paese, Maestà, è troppo povero per essere in grado di mantenere sul suo territorio, senza reagire, un numero così imponente di soldati”. E concluse: “Sarà invece possibile realizzare e onorare questo vostro disegno, con successo garantito, e con la massima sicurezza, inviandone centomila”. Come si vede, il cinismo degli inevitabili sedicenti padroni del Pianeta di ogni tempo è rimasto sempre tale e quale. sistemi con i quali veniva gestita allora, con deplorevole debolezza, l' educazione dei figli. Egli mette in luce uno dei classici tratti della natura assai mutevole del carattere umano, la quale se in apparenza sa cambiare di faccia, in realtà non è in grado di modificare le sue radici e i suoi istinti più elementari. Se confrontassimo la nostra quotidianità con quanto succedeva allora ad Atene sarebbe arduo trovare differenze di un qualche rilievo. Anche certe nostre madri, le italiane soprattutto, anziché cercare di capire i problemi dei propri figli e cercare di collaborare con la scuola per risolverli assieme, arrivano al punto di aggredire gli insegnanti che R itorniamo per un momento all' Atene postpericlea di Platone. Dal grande genio ateniese possiamo sapere, ad esempio, i IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 35 sandro disertori osino bocciarli magari perché poco adatti allo studio, perché maleducati o, ancora peggio, perché portati a comportarsi da bulli, dentro e fuori le aule scolastiche. Non agivano forse allo stesso modo i genitori ateniesi, ottenendo gli stessi miserevoli risultati lamentati allora da Platone? È un fatto che oggi, come sempre succede ovunque, mentre uomini di grande spessore intellettuale ed umano cercano di creare, spesso fino al proprio sacrificio, un mondo migliore e degno di essere vissuto con onestà, con coraggio ed anche col sangue, figuri privi di scrupoli riescono a rendere così complicato il percorso terreno del prossimo e tanto irto di paletti da renderlo impervio e, al limite, spesso impraticabile. A nche Cicerone, nel primo secolo a.C., aveva denunciato apertamente Catilina nelle sue celebri orazioni ricordate con quel nome, come il classico esempio di ogni nefandezza dal quale guardarsi, dipingendolo come prototipo della violenza e della corruzione, quest' ultima inevitabile generatrice della prima. Ma Catilina era poi tanto diverso dagli squallidi malfattori che macchiano la nostra era? Quante volte e quanti di noi, da allora, hanno rivolto le stesse invettive, dapprima timidamente dentro di sé, poi a gran voce, sull' agorà, il proprio vibrante Quo usque tandem abutere, homo, patien36 tia nostra verso chi sta governando la Cosa pubblica in modo ignominioso? Quante volte nella storia dell' umanità si è ripetuto come un gioco rituale nel quale, tolti di mezzo alla fine i colpevoli diretti ed indiretti di tanti guai, essa si è ben presto rigenerata, ma sempre pronta a ripiombare, dopo un po' , nella corruzione e nella confusione morale e spirituale più totale! Fra gli altri esiste anche un altro pericolo sempre latente che grava minaccioso sul genere umano come foriero di altri guai. Si tratta della sistematica inattesa comparsa sul rissoso palcoscenico della commedia umana di un altro tipo di protagonista della vita pubblica, altrettanto nefasto. Si tratta del cosiddetto uomo della provvidenza. Questi vi si installa, in forza del proprio dannato carisma, e finisce per dominare la scena per periodi anche molto lunghi, proponendo le dottrine più affascinanti sedicenti apportatrici di ordine e di benessere, in realtà maledettamente false. Forse la peggiore di esse in assoluto è quella secondo la quale gli uomini sono tutti uguali e quindi in diritto di esigere, senza distinzione di merito e di qualifica ed in modo automatico, uguale trattamento e medesimi privilegi per tutti. Tale principio, molto invitante in sé, tuttavia non adattabile per la stessa natura dell' uomo, in breve viene pertanto imposto colla forza dal fanatismo del dittato2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI a braccetto tra i guai umani re e sostenuto ciecamente sia dall' idealismo acritico dei suoi seguaci, inconsapevoli sostenitori di inesistenti verità rivelate, sia da abili profittatori. Oggi parrebbe però che, se non tutto il pianeta, per lo meno il cosiddetto mondo occidentale risulti vaccinato in questo senso, tuttavia non è detto che tale sciagura una volta o l' altra non si ripeta. Come è successo moltissime volte nel passato, è da temere che essa, purtroppo, si ripresenti nel futuro, opportunamente ammantata con altre sgargianti livree. Per meglio rendere l' idea, mi permetto di proporre, con qualche pertinenza, un paio di prove indirette, sottolineandole con alcune piccole e grandi verità. Per farlo voglio utilizzare, anche per alleggerire il presente scritto forse un po' pesante, l' arguta ed ironica penna di Anatole France, premio Nobel della Letteratura degli anni Venti del secolo scorso. Traggo quindi alcuni suoi giudizi, pregni di sottile ironia, da un suo straordinario romanzo, assai spiritoso, realistico ma paradossale, arricchito dalla colossale cultura generale dell' autore. Esso ha per titolo Les opinions de M. Jérôme Coignard (Le opinioni del signor Gerolamo Coignard). M. l' abbé Coignard è appunto il personaggio nato dalla feconda fantasia di Anatole France e da lui preferito fra i tanti altri, come lo è stato Don Chisciotte, altrettanto mitico, per Miguel de Cervantes. È presentato come un uomo di età, ma felice e assolutamente disadorno di inutili orpelli tanto da risultare spesso sciatto e mal lavato. Gustoso ammiratore delle grazie muliebri e professore di eloquenza, egli è un ubriacone del tipo rabelaisiano ma anche raffinato buongustaio. L' abate Coignard era già apparso come l' impareggiabile protagonista di un precedente romanzo altrettanto famoso di Anatole France, La Rôtisserie de la reine Pédauque, il cui miniuniverso era composto dalla detta rosticceria, dal Petit Bacchus, il cui nome chiarisce subito la sua funzione, e dalla libreria A l' image sainte Catherine. Se i primi locali erano due sacrari dell' alimentazione fisica, il terzo era quello dello spirito e delle buone letture. Erano tutti e tre allineati lungo la Rue IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 Saint-Jacques, all' ombra protettrice della chiesa, ancora esistente, di Saint-Benoît-le-Bétourné (lo stordito). Dopo trascorsi burrascosi tanto gustosi quanto discutibili, l' unica occupazione dell' abate si era ridotta nell' insegnare il latino di gran livello, l' alta filosofia e, in generale, le scienze a Jacques Tournebroche, il figlio del rosticciere, chiamato così perché addetto al noioso funzionamento del girarrosto. Dei suoi spiedi, sempre carichi di sugosi polli, di anatre e di piccioni, l' abbé Coignard, considerandoli a saldo del proprio incarico, era uno dei più assidui utilizzatori finali, come lo sarebbe definito oggi, con la sua ripetitiva e noiosa eloquenza patavina, l' avvocato di Berlusconi. E cco come Anatole France nel prologo del suo citato romanzo, se così lo si può definire, riassume il pensiero storico-filosofico dell' immaginario abate sulla reale natura dell' uomo e, soprattutto, sul perché del suo comportamento, sempre così mutevole ed imprevedibile, prendendo quale spunto, direi assolutamente pertinente, la Rivoluzione francese: «In effetti niente quanto la filosofia dell' Abbé Coignard risulta meno simile a quella di Rousseau. La prima è improntata a bonaria ironia. È leggera ed indulgente. Sempre fondata sulle umane debolezze essa è, tuttavia, solida alla base. Alla seconda invece fa difetto del dubbio felice e di un leggero sorriso. Poiché essa si poggia sul principio non realistico della bontà originale dei nostri simili, finisce quindi per ritrovarsi in una posizione equivoca di cui essa stessa non riesce a vederne tutto l' aspetto comico. È la dottrina di gente che non sa ridere e che pertanto finisce per tradire, col cattivo umore, il proprio imbarazzo. Tuttavia questo sarebbe ancora il meno, perché in realtà una tale dottrina riconduce l' Uomo alla Scimmia per poi inalberarsi, quindi veramente a sproposito, quando essa poi si veda costretta a constatare come la Scimmia sia tutt' altro che un essere virtuoso. Per questo motivo, tale dottrina si fa crudele ed assurda. 37 sandro disertori Lo dovemmo constatare recentemente (afferma l' abbé Coignard), allorché uomini di Stato (francesi) vollero applicare il “Contratto Sociale” (di Rousseau) alla migliore delle Repubbliche. Robespierre venerava la memoria di Rousseau. Egli avrebbe immediatamente qualificato l' Abbé Coignard come un cattivo soggetto. Io invece, dal mio canto, non mi porrò il problema se Robespierre sia magari stato anche un mostro. E, in effetti, egli davvero non lo è stato. Pur essendo tuttavia un uomo di rara intelligenza e di specchiati costumi, era anche sfortunatamente un ottimista, in quanto credeva nella Virtù. Sia pure con le migliori intenzioni, uomini di Stato di siffatto temperamento, producono ogni danno possibile. In effetti, quando ci si metta in testa di voler governare la gente, non bisognerebbe mai perdere di vista come essa sia sostanzialmente formata da malevole scimmie. Forse solamente su queste basi l' uomo politico, alla fine potrebbe risultare di essere stato davvero umano e costruttivo. La vera follia della Rivoluzione fu proprio quella di voler imporre la Virtù sulla Terra. Quando, tutto considerato, si vogliano perfino trasformare gli Uomini in esseri buoni e saggi, moderati e generosi, si è poi fatalmente costretti ad ucciderli tutti. Robespierre credeva nella Virtù: creò il Terrore. Marat credeva nella Giustizia: chiese duecentomila teste. Mr. l' Abbé Coignard è, al contrario, fra tutti i grandi spiriti del XVIII Secolo, colui i principi del quale si contrappongono in maggior misura a quelli della Rivoluzione (francese). Egli, infatti, mai avrebbe sottoscritto una sola riga della “Dichiarazione dei Diritti dell' Uomo”, proprio a causa della eccessiva ed iniqua separazione fra l' Uomo ed il gorilla, di cui essa è permeata.» Se devo dire la verità, pure io riterrei che un qualche dubbio su un' adesione senza riserve allo spirito dell' affascinante Dichiarazione dei diritti dell' uomo in effetti sia sorto, come successe a me, anche a moltissimi altri. 38 Nella letteratura e nella storia parlata e scritta, infatti, su questo argomento troviamo conferme molto vistose. M a torniamo a noi. Anche nel passato più remoto dell' uomo, e questo fino ai nostri giorni, troviamo tanti esempi altrettanto probanti su tutto questo che, in fondo, non è che il racconto della lunga, complicata tenzone condotta senza respiro dall' umanità fra il bene e il male. A volte epica, in altre tragica in tutte le possibili varianti, con essa l' uomo ha sempre cercato di imporre, devo dire con disdicevole arroganza, la propria ingombrante e maleducata presenza sul pianeta. La storia del XX secolo, con le sue luci e le sue spaventose ombre, è forse ancora troppo attuale, avendola dovuta subire sulla nostra stessa pelle, per poterne parlare con autentica obbiettività. Anche in questo caso, come nel passato in altri casi simili, sono ben pochi i sopravvissuti che ne possano parlare con la dovuta freddezza. C' è stato solo un poeta, molto impegnato politicamente, il quale, a mio avviso, in soli quattro versi è riuscito a riassumere quelle vicende in modo tacitiano, anche se non proprio del tutto. Tuttavia con l' ' ultimo verso, egli se non altro è riuscito a mettere sull' avviso, con evidente sconforto, il proprio Paese sull' eventualità, senza un robusto colpo di timone, di arrivare al peggio. Intendo parlare del drammaturgo tedesco Berthold Brecht. Ecco uno dei suoi più famosi moniti nel quale egli paragona la Germania a Cartagine e alla possibile stessa ingloriosa fine senza ritorno di quest' ultima. Per fortuna il suo Paese ha tenuto subito debito conto della minaccia esistente in quell' ultimo verso ed è corso ai ripari in tempo utile. Eccolo: Das grosse Khartago fürhte drei Kriege. Es war noch mächtig nach dem ersten, noch bewohnbar nach dem zweiten. Es war nicht mehr auffindbar nach dem dritten. 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI a braccetto tra i guai umani (La grande Cartagine condusse tre guerre. Essa era ancora potente dopo la prima, ancora abitabile dopo la seconda. Non era più rintracciabile dopo la terza.) Q uando la Germania, per molti versi del tutto simile a Cartagine, essendosi resa conto, dopo la Seconda Guerra mondiale, di aver superato largamente i limiti del proprio delirio di grandezza, è tornata alla ragione. In tal modo ha reso inutile lo stretto assedio dei vincitori che la serrava e che la stava soffocando, mostrando finalmente, una volta per tutte, di aver ripudiato i suoi sogni insani e le violenze che l' avevano fino allora imbestialita. Pertanto, tempo una generazione, essa, dopo aver lavorato e pagato duramente, è riuscita ad ottenere in Europa quella supremazia che aveva cercato invano di ottenere con le armi, in due guerre mondiali bagnate da torrenti di lacrime e di sangue. Parrebbe, e questo lo sperano tutti, che essa abbia fatto tesoro, anche se in ritardo, di un profondo pensiero, anche se poco ricordato, di Camillo Benso di Cavour, che bene si adatta al suo caso: “Appena si sia instaurato uno stato d' assedio, reale o inventato che sia, saranno i più incapaci a comandare”. Devo dire che non molto dissimile è stato anche il comportamento dei giapponesi. Abbandonata la violenza e la sete di potere per le quali aveva finito per beccarsi le due prime bombe atomiche prototipo, speriamo anche ultime, su due delle loro città, sono giunti alla libertà e al successo, che in fondo meritavano, ottenuti però col lavoro e con il rispetto per se stessi e per i diritti degli altri. L a mia conclusione personale sull' attuale pessimismo che ci sta pervadendo, a causa della crisi profonda nella quale siamo piombati e che sta portando l' umanità a non credere più in un sicuro futuro di lavoro e di pace sociale che rischia di portarla ad una mortale resa senza condizioni, tuttavia resta ancora quella che ho già accennata all' inizio: decisamente ottimistica. Sono certo che la crisi morale e materiale quale viviamo oggi, dovuta alla nostra stessa natura che non cambierà mai, verrà superata, come è già avvenuto molte volte nel passato. Superata che sia, per un verso o per l' altro, dopo un po' noi ci metteremo, come sempre, di nuovo nei guai. Ci sarà però sempre un qualcosa di non ben definito che, a un dato momento, sotto spoglie ogni volta diverse e più adatte, si farà disponibile ed in grado sia di rimettere le nostre cose a posto sia di riportare il nostro treno sul giusto binario e via di questo passo, in modo ripetitivo. Questo strano giochetto, malauguratamente, risulta poi essere il nostro unico e normale modo di convivenza sociale: sarà inoltre sempre anarchico, da cicala, e condotto sempre con le stesse regole, o quasi. La sua durata avrà una fine quando noi o lo stesso pianeta, o forse insieme, scompariremo o avremo preso altre strade delle quali non abbiamo abbastanza fantasia per prevederne la natura e le sembianze.❧ Sandro Disertori il furore dei libri editore Leggete la Rivista del Furore! regallico •ISCRIVETEVI o RINNOVATE• IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 39 La biblioteca di Antonio Rosmini di Renato Trinco 40 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI la biblioteca di antonio rosmini V arcando la soglia di casa Rosmini si ha la sensazione di entrare in un’altra epoca; oltrepassando la porta della biblioteca se ne ha la conferma. La visione d’insieme è di grande effetto: un’elegante stufa in maiolica bianca spicca per imponenza e le dorate decorazioni, le policrome tarsie del pavimento e gli stucchi del soffitto racchiudono gli alti scaffali lignei che, rivestendo tutte le pareti, ospitano i 16.000 volumi costituenti il nucleo storico della biblioteca. All’epoca in cui visse Rosmini i libri erano sistemati in altre stanze dell’edificio, solo dopo la fine del primo conflitto mondiale furono raccolti negli attuali spazi1. Fra i propositi del giovane Antonio vi era quello di provvedere al riordino della casa, ed in particolare della biblioteca. Quest’ultimo progetto doveva trovare attuazione sulla base di un particolare criterio decorativo delle stanze a seconda dei libri in esse collocati: di ordine dorico con iscrizioni greche quelle destinate a contenere libri scientifici; di ordine ionico con iscrizioni latine per gli spazi dedicati alle Lettere; 1 - Giovanni Tiella, La casa natale di Antonio Rosmini, edito a cura del Comune di Rovereto, Rovereto 1946, pp. 20-21. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 infine di ordine corinzio con iscrizioni italiane per le Arti. Anche soffitti e pavimenti avrebbero dovuto seguire i medesimi principi ornamentali, in coerenza con le destinazioni delle sale. Tale proposito rimase tuttavia solo un ambizioso disegno nella mente del grande filosofo2. Ciò nondimeno è giunta fino ai nostri giorni una raccolta di volumi e stampe di pregevolissimo valore, formatasi grazie alla passione, alla dedizione e al vero amore per la conoscenza dapprima di Ambrogio Rosmini, zio del nostro, che incrementò il primitivo fondo paterno, successivamente dello stesso Antonio ed in parte minore anche di suo padre Pier Modesto. Nella cultura del Settecento il libro rappresentava, soprattutto per le classi più agiate, un oggetto da collezione, uno strumento per appagare una vasta curiosità enciclopedica come nel caso di Ambrogio (1741-1818), la cui vita sarà segnata dai libri, che scandirono tutta la sua esistenza di intellettuale, raffinato collezionista di stampe, pittore per diletto e architetto3. 2 - Giovanni Tiella, La casa natale di Antonio Rosmini, op. cit., pp. 24, 22; Ierma Sega, Antonio Rosmini - La casa natale, ed. Via della Terra, Rovereto 2006, p. 43. 3 - Stefano Ferrari, Le raccolte di un curioso, in “Le collezioni di stampe e di libri di Ambrogio Rosmini (1741-1820)”, a cura dell’Accademia La passione per i testi iniziò in Ambrogio in età giovanile, fin dalla sua esperienza universitaria ad Innsbruck, dove si iscrisse alla facoltà di Filosofia, per proseguire poi gli studi ad Urbino e quindi a Roma, giungendovi non ancora ventenne, con l’intento di intraprendere la carriera artistica, frequentando l’Accademia Capitolina del Nudo di San Luca. Fu proprio durante la permanenza a Roma, importante tappa del “Gran Tour” culturale europeo e meta dei viaggiatori stranieri desiderosi di ammirare le opere d’arte dell’antichità, che Ambrogio iniziò a comperare i primi volumi nonché numerose stampe. I libri acquistati furono di vario genere, non solo di carattere artistico, ma anche architettonico, letterario, storico e giuridico, sia italiani che stranieri, compresi numerosi volumi di autori francesi. Durante il soggiorno romano raccolse inoltre svariate stampe costituenti il nucleo iniziale di quella collezione, che Ambrogio incrementò costantemente fino a possedere non meno di ventimila incisioni di vario tipo, della quale oggi ne rimane purtroppo solo una piccola parte. Roveretana degli Agiati 1997, La Grafica, Mori 1997, p. 14. 41 renato trinco Nel 1763 egli fece definitivamente ritorno a Rovereto dopo un’assenza durata circa sette anni, continuando però a coltivare la passione per i libri e per l’arte, con oculatezza ed intelligenza, non lesinando denaro ed energie, ma senza compromettere il patrimonio della famiglia per ampliare la biblioteca4. Analoga passione per i libri fu anche di Antonio (1797-1855) trasmessagli dallo zio, il quale, avendo intuito le attitudini e le inclinazioni del nipote, lo assecondava, permettendogli ancora in giovanissima età di attingere ai molti e bei volumi della sua biblioteca, tanto che il futuro filosofo arrivava a preferirli a quelli scolastici. Un giorno il suo precettore don Francesco Guareschi sorprendendo il giovinetto, ormai dodicenne, ricurvo sul grande tavolo ottagonale, intento a leggere la Summa Teologica di San Tommaso, lo riprese severamente, perché non stava svolgendo i compiti di grammatica che gli erano stati assegnati, apostrofandolo dicendo: «Son forse libri per Voi codesti?»5. Crescendo, crebbe con lui la passione bibliofila; ne è un esempio 4 - Stefano Ferrari, Le raccolte di un curioso, in “Le collezioni di stampe e di libri di Ambrogio Rosmini (1741-1820)”, op. cit., pp. 14-29; Ierma Sega, Antonio Rosmini - La casa natale, op. cit., pp. 22-25. 5 - Guido Rossi, La vita di Antonio Rosmini, Arti Grafiche Manfrini, Rovereto 1959, p. 47. 42 l’acquisto fatto durante gli studi universitari a Padova della preziosa biblioteca appartenuta alla decaduta, ma un tempo illustre, famiglia veneziana Venier. Non disponendo del denaro necessario, egli cercò in tutti i modi di convincere suo padre ad assecondarlo in questo affare, facendo opera di persuasione sulla madre e sul suo professore don Pietro Orsi. In una lettera inviata a Pier Modesto e datata 3 gennaio 1818 egli scrive- va: «Non ho novità da raccontare, fuorché una, che la letteratura e i bei studi interessa. L’illustre famiglia veneziana Venier che tanta ebbe parte negli affari della Repubblica, decaduta e ridotta a mali passi, fu costretta a vendere la Biblioteca per una freddura. Che posso dire? Deh, che libri! Che edizioni rarissime! Che preziosa suppellettile, che raccolta di libri! Quante fatiche e quante spese a raccorli! Quel che è più, li comprò un libraio qui di Padova. … Io vi giunsi il primo a ve- derli dopo tratti dalle casse; e ne fui stupefatto. … Io però non ho potuto far a meno di pregare il libraio che non mostri a nessuno quei libri prima che io non abbia qualche risposta da casa mia». Lo stesso giorno indirizzò uno scritto alla mamma ed un altro a don Pietro Orsi. Alla prima si rivolse con parole piene di affetto: «So che Ella mi vuole bene. Or adesso me ne poterebbe dare un grandissimo segno. Io poterei acquistare per 800 fiorini una Biblioteca bellissima. Per altro qual più bella occasione per adoperare i suoi denari, per rendere a questo mondo contento un figlio che nulla ha in cuore salvo l’onore di Dio e la prosperità dei suoi amati genitori?». Al secondo riservò un tono supplichevole: «Si tratta d’acquistare una Biblioteca. Ho scritto al signor Padre, ma non pregandolo direttamente. Ella vegga d’incoraggiare mia Madre e so che Ella ha una grande autorità e forza sopra di lei. Da bravo usi la sua eloquenza: io non ne dubito. … Ella sa quello che Ella medesima m’impose: cioè fare una Biblioteca che faccia onore alla nostra città, e più che sia utile a tutti gli amici»6. I genitori si mostrarono sensibili alle richieste del figlio, il quale poté comperare l’agognata raccolta di libri. 6 - Ierma Sega, Antonio Rosmini - La casa natale, op. cit., pp. 33, 34; Guido Rossi, La vita di Antonio Rosmini, op. cit., pp. 143, 144. 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI la biblioteca di antonio rosmini Fra le curiosità della biblioteca di casa Rosmini vi è una particolare collezione di Bibbie, di varie epoche e in varie lingue che annovera ben 61 edizioni diverse: in latino, in italiano, in latino/italiano, in ebraico, in greco, in francese, in latino/ tedesco ed in inglese7. Il motivo di tale raccolta sta nel fatto che Antonio Rosmini riteneva la Bibbia il libro più importante in assoluto. Fra le opere degne di nota si trova la già citata Summa Teologica di San Tommaso, la cospicua letteratura straniera, i volumi del Petrarca, del Boccaccio, di mons. Della Casa, la Rerum Italicarum Scriptores di Ludovico Antonio Muratori del 1723 in 28 volumi, lo Statuto di Rovereto: Statuta Roboretana Civilia et Criminalia del 1737, con firma autografa di Ambrogio Rosmini, ed ancora i volumi di architettura di Andrea Pozzo del 1708 scritti in latino con traduzione tedesca in caratteri gotici. Altre preziosità bibliofile si rintracciano nell’appartamento di Antonio, occupato precedentemente dallo zio Ambrogio, in particolare nello studio dove sono collocati, in modo speculare sulle pareti opposte, quattro armadi fatti costruire da Antonio stesso. Sulle cimase di ciascuno spiccano a lettere dorate le parole che ne rivelano il contenuto. Due riportano la scritta Enchiclopaideia e contengono i 253 volumi dell’Encyclopédie Methodique di Denis Diderot e Jean B. D’Alembert, 7 - Ierma Sega, Antonio Rosmini - La casa natale, op. cit., p. 34. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 edizione Padova 1788, che riprende l’Enciclopedia Illuminista Francese, edita a Parigi nel 1752. Gli altri due armadi sono adibiti: uno alla Lexica, cioè ai vocabolari, tra i quali spicca quello della Crusca ed il Forcellini, mentre il secondo è riservato alle Ephemerides, le più belle raccolte delle riviste dell’epoca8. I volumi dell’Enciclopedia furono acquistati da Antonio dal libraio veronese Simone Occhi nei primi anni dell’Ottocento. Egli conosceva quest’opera per averla avuta in prestito dall’amico Uzielli e ne era rimasto tanto impressionato, al punto da voler opporre a questa, un’Enciclopedia cristiana, impresa che non vedrà mai completamente la luce9. In camera da letto, in un grande armadio di fondo, recante sulla cimasa la dicitura Philosophia, custodiva i libri considerati necessari agli studi filosofici e a lui così cari tanto da portarli sempre con sé, una volta lasciata definitivamente Rovereto, nei vari trasferimenti. Oggi in quello spazio è collocato l’archivio storico della famiglia. Infine nella stanza dove Antonio nacque, il 24 marzo del 1797, sono conservati in una vetrinetta, assieme ad alcuni indumenti personali, anche i tre tomi della prima edizione (nota come la Ventisettana) de I 8 - Renato Trinco, Il beato Antonio Rosmini, in “Le Tre Venezie - Rovereto città della Pace”, Mensile anno XVI - n. 107 - 2009, Eurosprint srl Quinto di Treviso 2009, p. 73; Ierma Sega, Antonio Rosmini La casa natale, op. cit., pp. 78, 79. 9 - Guido Rossi, La vita di Antonio Rosmini, Arti Grafiche Manfrini, Rovereto 1959, p. 163. Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, edita da Vincenzo Ferrario di Milano, con una chiosa autografa dello stesso Rosmini: «per dono dell’autore – Antonio Rosmini p.». Una copia della seconda edizione dello stesso volume edita nel 1840 dalla Tipografia Guglielmini e Redaelli di Milano, è conservata presso il Centro Studi Rosmini di Stresa e riporta una dedica autografa di Alessandro Manzoni che dice: «Non perché Rosmini mi legga, né mi rilegga, ma perché vedendomi fra i suoi libri, si rammenti qualche volta dell’autore». A Stresa si trovano anche i preziosi incunaboli di casa Rosmini, qui trasportati prima dell’inizio della “grande guerra” che tanto devastò Rovereto. Ancora oggi nelle sale della biblioteca Rosmini si respira quel profumo, quella temperie culturale che caratterizzò il XVIII e il XIX secolo e non si può che rimanere stupiti di fronte ad un patrimonio librario di così grande interesse storico, con libri che vanno dal Cinquecento fino ai primi decenni dell’Ottocento, messo a disposizione della città, degli studiosi e di coloro che hanno interesse a conoscerlo. È infatti possibile consultare in loco i singoli volumi, rivolgendosi alla Biblioteca Rosminiana, che occupa, a piano terra del palazzo, alcuni locali aperti giornalmente al pubblico.❧ Renato Trinco 43 Strumenti da leggere strumenti da guardare di Diego Cescotti 44 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI strumenti da leggere C osì viene presentato nell' edi«In uno spazio lontano da un con un ottavino, che è il più piccolo zione italiana il fortunato mondo che gorgheggia stupidità e strumento dell' orchestra e quello racconto di Patrick Süskind, fragore, un uomo racconta se stesso che ha il suono più penetrante, tanil quale mette al centro proprio attraverso il rapporto col suo stru- to da spiccare perfettamente nel bel quell' ingombrante e paradossale mento: il contrabbasso: uno stru- mezzo di un fortissimo generale. strumento che sembra fatto appo- mento che, per sua natura, costringe Anche il mondo degli strumenti ha sta per scatenare, in chi ci ha a che il musicista ad un ruolo musicale le sue ingiustizie. fare, dubbi di ogni tipo, problemi prevalentemente secondario». Quanti inconvenienti invece nel Patrick Süskind identitari, laceranti conflitti interiocontrabbasso! Pesante, scomodo da (Il contrabbasso, Longanesi 2006) ri, senza escludere la possibilità di trasportare, difficile da domare, oggetto d' ironia e di sbeffeggio, susciun contrastato amore. Strumento importante, anzi indispensabile in ogni tipo di compa- tatore di sentimenti di amore-odio, «vampiro da cui lagine («ci sono orchestre senza primo violino, senza fiati, sciarsi possedere»… Nei casi migliori può diventare senza timpani e trombe, senza tutto; mai senza contrab- una sorta di confidente con cui intrattenere un dialogo basso»), è al tempo stesso impossibilitato per sua natu- intimo: e questa di cercare nel proprio strumento ra ad emergere («Nessuno può notare un contrabbasso, un' anima palpitante non è una stravaganza da sentiudire un suo assolo»). Chi dunque sceglie di affrontare mentali ma una cosa sempre avvenuta in tutte le epotutti i disagi immaginabili per cavar fuori da quella ma- che. Ancora nel 1781 il severo Carl Philipp Emanuel teria ostile le tracce di un' anima sonora non può essere Bach era arrivato a comporre un affettuoso rondò dal che «un frustrato, uno sconfitto nell' animo e nel fisico». titolo «Un addio al mio clavicordo Silbermann» quando Le contraddizioni che questo voluminoso arnese re- gli era occorso di separarsi dallo strumento prediletto. ca in sé sono subito evidenti. Il suono che emette è così Ciò che non manca sicuramente al contrabbasso è grave e ciangottante da far pensare a un vecchio bron- l'attitudine teatrale: e difatti il testo di Süskind si pretolone o a un dio crucciato; ma al tempo stesso la sua sentava in origine come un monologo destinato alle forma lo qualifica come «il più femminile degli stru- scene. Edgar Degas, proponendosi di ritrarre uno scormenti, così pieno di curve e bisognoso di abbracci» – cio dell' orchestra dell' Opéra, ne ha effettisticamente sempreché si convenga di rimanere nei termini delle stilizzato il riccio e parte del manico all' interno di una taglie forti. Difficile, in ogni caso, qualificare tenerezza variegata accozzaglia di legni e archi. E Giovanni Botquella che è piuttosto una lotta corpo come non avvie- testini, uno dei pochi compositori che abbiano osato ne per nessun altro strumento. E poi non è bene met- elevarlo ad un impensabile ruolo solistico, ne ha fatto tersi in urto con i cugini violinisti e violoncellisti, che quasi un personaggio da opera buffa italiana. Qualcuper lunga tradizione reclamano a sé, forse non a torto, no però ha parlato anche di azione ' spiritualizzatrice' , il monopolio degli abbracci e degli scambi di amorosi sicché nemmeno a lui l' ingresso agli Olimpi sembresensi. Perché va detto che esiste tutto un sostrato di im- rebbe precluso. Quanto detto basta a far rilevare due cose: prima che maginario erotico che si accompagna a questi oggetti vibranti mai del tutto innocui e anzi fragili, preziosi, quella di Süskind è la pagina letteraria che in modo più volubili e dispettosi, bisognosi di cure assidue, vendi- diretto e puntuale di qualsiasi altra eleva uno strumencativi se li si trascura o li si tradisce con altri prototipi. to musicale a protagonista e alter ego; poi che egli stesSe poi allo scrittore tedesco fosse venuto in mente di so, per l' obiettivo narrativo che si era prefisso, non creare un contraltare dialettico altrettanto stuzzicante, avrebbe potuto fare una scelta migliore. È pur vero che avrebbe potuto mettere in rapporto il suo contrabbasso anche altri prototipi large-size come il basso-tuba o il IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 45 diego cescotti controfagotto sarebbero andati bene allo scopo, ma senza possedere un' uguale specificità antropomorfica. Il legno di cui il contrabbasso è fatto lo rende più antico, più ' romantico' rispetto al metallo degli altri due compari, e anche più fragile, quindi più umano. In un momento estremo di rabbia o di pazzia lo si potrebbe fracassare con discreta facilità, sfondarlo, sfasciarlo, gettarlo nel fuoco; ma provatevi a distruggere un groviglio di cilindri, ritorte e pistoni di ottone nichelato. D etto questo, riconosciamo che la letteratura non ha certo trascurato i tanti altri campioni della vasta famiglia strumentale, come sarà capitato di riscontrare a una qualsiasi persona di normali letture. Sarebbe bello sapere se qualcuno di quei lettori metodici dall' istinto catalogatorio abbia mai tenuto nota di tutte le narrazioni in cui ciò avviene. Ora farebbe comodo ai nostri scopi; ma in mancanza si può, senza troppo sforzare la memoria, ricordare qualche particolare significativo. In primo luogo sembra accertata una certa predilezione letteraria per il violino, dunque per la melodia spiegata e l' attributo lusinghevole, tentatore del suono. Come tale il violino è messo nelle mani di personaggi diversi ma tutti piuttosto interessanti come Truchačevskij, Zeno Cosini, Gerda Arnoldsen-Buddenbrook e Sherlock Holmes. Più raramente, ma assai efficacemente, può aversi un complesso di strumenti: il quartetto d' archi, ad esempio, che viene interpretato come un universo a sé stante ovvero un microcosmo in cui si concentrano sentimenti estremi di odio-amore, solidarietà-rivalità, gelosia-abnegazione. Una buona conoscenza di questo organismo affascinante e problematico (si danno casi di quartetti eccellenti i cui componenti non si sopportano) si trova nelle pagine del romanzo Una musica costante dello scrittore indiano Vikram Seth nonché in Il Quartetto Rosendorf di Nathan Shaham, dove la storia dei quattro concertisti si mescola al dramma della questione ebraica. Sono letture consigliabili e oltretutto dei rari esempi in cui lo specifico musicale è trattato con sicura competenza. 46 I l romanzo borghese, dal canto suo, non può privarsi del pianoforte, emblema di ogni salotto che si rispetti. Alla tastiera si esercita soprattutto la quota femminile della famiglia. Emma Bovary è tra queste, e con lei chissà quanti altri personaggi ora dimenticati che affollano le pagine di Balzac e di tanti autori di quell' epoca, fino ad arrivare ai casi più recenti di Elfriede Jelinek (La pianista), Wladyslaw Szpilman (Il pianista), Nina Berberova (L' accompagnatrice), Paola Capriolo (Il pianista muto), tutti molto conosciuti anche perché in gran parte fatti propri dal cinema. Clavicembali, spinette e arpe si immaginano facilmente nei romanzi del Settecento. Per Marianna Guillonk, la Perla di Labuan, Emilio Salgari ha immaginato un piccolo harmonium portatile dalle qualità assai seduttive: un oggetto raro e impensabile in quelle selvaggerie malesi. E c' è da scommettere che nel ricco fondaco della narrativa dickensiana non debba mancare almeno una figura di bizzarro e simpatico vecchietto che soffia nel suo flauto (il flauto è abbastanza spesso accostato a personaggi dall' indole erratica). Intanto altri archi si sono aggiunti di recente: Il violino di Auschwitz, di Maria Anglada Angels, La lezione di violino di Lucia Drudi Demby e anche una Violoncellista di Michael Krüger: dove gli strumenti si fanno tramiti di vicende esistenziali inquietanti e tragiche. E qui arriviamo a un dato di fatto difficilmente contestabile che emerge da quanto appena esposto: le persone di cui si racconta la diretta compromissione con la musica hanno tutte, poco o tanto, qualcosa di speciale, di anormale, magari di patologico, talora di eversivo, spesso di morboso, come se il commercio con la musica comportasse di per sé una condizione psichica stravolta o anche solo una perigliosa e invidiabile libertà di spirito. Appare pressoché impossibile, nella maggior parte delle narrazioni, veder dissociata la condizione di eccellenza intellettuale richiesta dall' esercizio dell' arte da un qualche squilibrio interno; la stessa componente di ipersensibilità riconosciuta come peculiare ai musicisti è spesso assimi2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI strumenti da leggere lata senza sconti alla nevrosi: una convinzione che a due secoli dal romanticismo è ancora dura a morire. È come se l’arte dei suoni, ormai immemore degli afflati mistici di chi la voleva essenzialmente atto d’ascesi, fosse ora degradata a emanazione diabolica il cui influsso si esercita attraverso forme di irretimento e smodatezza, egocentrismo iper-narcisistico e sperdimento annullante. Già nelle più antiche civiltà la musica aveva molto a che fare con i mondi proibiti, e lo stesso Orfeo dei Greci, prima di essere nobilitato a cantore sublime, era qualcosa di molto vicino al negromante e allo sciamano. D a qui ad annettere alla pratica musicale qualcosa di torbido o perverso, il passo è breve, come ben illustra la ricca filmografia sull' argomento. Nella convenzione cinematografica, affidare il consumo di musica (colta) a figure di assassini seriali, criminali nazisti e depravati a vario titolo è diventato quasi un cliché. Se proprio si vuol darne una rappresentazione più morbida, la si mette in riferimento a personaggi falliti, repressi, impotenti, deviati. Ricordiamo tutti L' arancia meccanica che accostava in orrido binomio l' ultra-violenza a Beethoven. Anche l' Anthony Perkins di Psycho aveva sul piatto del grammofono la sinfonia Eroica. E non sono che i casi più famosi. Se ne deriva che il riferirsi alla musica e a chi la pratica in termini di normalità, integrità e buona salute psicofisica è cosa che non giova all' interesse di un racconto. I l guaio aggiuntivo è che il cinema e le arti performative, diversamente dalla letteratura che può solo suggerire e alludere lasciando ampi margini di indeterminatezza, si trovano a dover risolvere in termini visivi il cruciale problema di rendere plausibile l' aspetto tecnico del suonare. Anche per il teatro una casistica esaustiva sarebbe desiderabile: limitiamoci a ricordare l' esempio di Casa di bambola di Ibsen, nel punto in cui Torvald Helmer accompagna al pianoforte la moglie Nora che balla una tarantella sfrenata: momento di falsa allegria che in realtà veicola presagi funesti. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 M a in realtà nel teatro di prosa è più facile che si richieda agli attori di cantare. Gli strumenti furoreggiano nel cinema, e purtroppo in questo uso ed abuso si assommano i più grandi e imperdonabili orrori estetici. Lo strumento che sembra prevalere sullo schermo è il pianoforte, assurto a simbolo tout-court della musica: importante, autorevole, efficace e con simulazione abbastanza semplice per qualsiasi attore (basta non inquadrare le mani, ovvero sostituirle nell' inquadratura con quelle di un pianista vero). Anche il violino fa il suo bell' effetto, ma è difficilissimo da rendere in una rappresentazione veritiera: già la posizione imposta al ' suonatore' , con la testa esageratamente piegata di lato e la spalla sinistra alzata (perché poi?), rimanda una sensazione di rigidezza veramente sgradevole. Il violoncello piace molto per la sua naturale ' coreografia' , tanto più se suonato da una giovane donna dalla capigliatura fluente (si veda per questo Hilary and Jackie di Anand Tucker, biografia romanzata di Jacqueline du Pré, non priva di risvolti morbid); ma anch' esso è irto di problemi nella sincronia del gesto. Tutti gli strumenti ad arco sarebbero da evitare accuratamente nella rappresentazione filmica perché nessun attore può essere realmente in grado di far scorrere l' arco perpendicolarmente alle corde (operazione che appare semplice solo a chi non l' ha mai provata), per di più rimanendo in sincronia con la musica che si sente sotto. Se impugnare l' arco si rivela un' impresa ardua, praticamente impossibile risulta il coordinamento dell' arcata con il fraseggio; e non parliamo nemmeno della mano sinistra vagante sulla tastiera nel modo più irrazionale ma per lo più lasciata assolutamente inchiodata a brandire il manico. Del resto, anche chi suona la chitarra dovrebbe ricordarsi di metter giù un accordo ogni tanto. C omprensibilmente il cinema privilegia gli strumenti più spettacolari alla vista, quelli che comportano gestualità ampie ed espressioni sofferte. Per questo funziona male l' oboe, che costringe l' esecutore a una postura innaturale delle labbra e delle 47 diego cescotti guance: chi ha ancora in mente il film Anonimo veneziano, ricorda che il maldestro attore non faceva nemmeno il gesto di respirare; né tanto diversamente andavano le cose in Mission di Roland Joffé. Il Carlo Verdone di Io e mia sorella è l' oboista più improbabile che si possa immaginare, ma almeno ha il merito di non atteggiarsi a genio e anzi di dare di sé l' immagine dimessa e provinciale di una persona qualsiasi che fa il musicista quasi per caso. I l saxofono si giova simpaticamente della forma di grande pipa ed è una presenza familiare in molti film. Anche il flauto traverso ha una resa interessante per via della posizione asimmetrica imposta al suonatore. Potrebbe funzionare bene il clarinetto, ma francamente non ricordo esempi filmici probanti al riguardo; e così vale per il corno e il trombone a tiro, che pure avrebbe molte chances con il suo gioco avanti e indietro della coulisse. Gli ottoni in genere funzionerebbero meravigliosamente per via dello sfolgorìo delle loro superfici tirate a lucido. E privilegiatissima sarebbe l' arpa, nel fasto delle sue quarantasette corde e dei suoi sette pedali: strumento arcaico, esotico, peculiarmente femminile e di sicura seduzione, ma decisamente al di là di ogni possibilità attoriale appena decente. Ugualmente impagabile l' organo, che più di tutti mette in movimento il corpo del suonatore nella multipla gestione dei manuali, della pedaliera e dei registri in frequente alternanza. Il cinema lo ha banalizzato riservandolo alla caratterizzazione di atmosfere gialle, situazioni delittuose e circostanze sinistre. Strano destino per lo strumento chiesastico per eccellenza. Vero è che per la sua mole imponente e per la sua meccanica complessa può facilmente incutere un certo timore. E il pieno volume di un grand orgue riverberato nelle volte di una cattedrale gotica è addirittura qualcosa di terrificante. S e molti, come s' è visto, sono gli esempi che il cinema può offrire, ciò che tutti li accomuna è l' inverosimiglianza della resa. Non si ricorda un solo film in cui uno strumento sia suonato con una 48 qualche parvenza di precisione: e non si dice solo del moto delle mani o delle braccia ma prima ancora della mimica del volto, della direzionalità dello sguardo, del respiro, della concentrazione, del rispetto dei tempi naturali di suoni e pause: in una parola dell' armonia generale del corpo che presiede al fatto di stare nella musica. Ciò avviene perché probabilmente le modalità di ripresa non lo consentono o perché l' attore non è uno strumentista e fa quello che può, e chi lo guida ne sa ancora meno di lui e ha deciso di non perdersi in minuti particolari di realismo rappresentativo. Tuttavia alcune trite convenzioni che ingombrano il campo potrebbero essere utilmente eliminate in quanto prive di ogni riscontro con la realtà. Nessun direttore al mondo sale sul podio battendo la bacchetta sul leggio, eppure trovate un solo esempio cinematografico in cui questo non avvenga. Così come è difficile pensare di star suonando in concerto e al tempo stesso fissare insistentemente altre persone nella sala o mostrare di avere il pensiero a tutt' altre cose (è l' equivalente di quando si vede uno guidare l' automobile mentre tiene lo sguardo girato da un' altra parte). L' attacco di un' esecuzione non può arrivare all' improvviso, senza un minimo di preparazione interiore, uno sguardo d' intesa, un cenno qualsiasi, anche solo un respiro. Sono momenti vuoti di azione ma straordinariamente carichi di tensione, che accomunano come per un segreto convergere delle singole volontà l' intera compagine, grande o piccola che sia e che sarebbe bello vedere riprodotti in qualche modo. Se poi ci vien fatta vedere una prova, è evidente che non si ha la minima contezza di come essa si debba svolgere: tutt' al più, se qualcosa non va, si ritorna da capo senza ragione, in un continuo vacuo ripetere le stesse cose. Altre volte viene mostrato un concerto pubblico che si conclude incomprensibilmente su un movimento intermedio della Sonata o della Sinfonia o che comincia direttamente dall' ultimo. Gli applausi del pubblico sono per lo più fuori posto, e se qualcuno commenta l' esecuzione lo fa immancabilmente in modo iperbolico: mai una critica, una riserva, un apprezzamento divergente come dovrebbe accadere in qualsi2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI strumenti da leggere asi pubblico pagante. Ma questo si spiega: nella finzione filmica il concerto equivale a un rito sacro: e si può forse dir male di una messa? Se poi è necessario alla narrazione che qualcosa vada storto, si fa fare al concertista di turno un errore di tale madornale elementarità che non ci si aspetterebbe nemmeno da un principiante. E d' altronde come rappresentare un errore di intenzione o di espressività? In tal modo però si fa passare l' idea che l' errore, in musica, sia solo di tipo tecnico, mentre tutti sanno che un concertista degno del nome le questioni tecniche se le è già messe tutte dietro le spalle, e se gli capita di sbagliare non lo farà mai in modo così scontato. Avvalorare l' errore come fatto di pura manualità è una cosa particolarmente fastidiosa perché banalizza immediatamente l' essenza musicale e l' estrema sottigliezza e complessità delle sue componenti stilistiche. L a totale incomprensione di cosa sia un' esecuzione musicale sfiora a volte livelli di massima assurdità. Si è arrivati a vedere (in Vier Minuten di Chris Kraus) una giovane ribelle (ma descritta come talentuosissima pianista) ' studiare' i brani mettendo le dita su una tastiera da lei disegnata sul tavolo della prigione in cui è rinchiusa, per poi eseguire quel pezzo magistralmente su un vero pianoforte. Cosa ci si vuol dire con questa trovata? Che suonare il pianoforte è una mera questione di digitazione, un autonomo sincronismo di giunture, e non conta nulla la cura del suono e il controllo di tutti i parametri tecnico-stilistici in gioco e meno che mai il possesso di una cultura storica. Con questa logica, una qualsiasi dattilografa ha buone possibilità di ambire alla carriera pianistica. Per altro verso non occorrerà soffermarsi troppo sull' infelice Helfgott e la sua titanica lotta per suonare da perfetto esagitato il diabolico «Rach3» (in Shine di Scott Hicks): vera epitome della peggiore platealità applicata alla musica. The Piano invece è il titolo poco originale di un film super premiato di Jane Campion dove lo strumento, già statico ornamento da salotto, viene malamente scarrozzato per i mari del Sud e nella IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 sua nuova improbabile sede darà origine a non poche tortuosità sentimentali. L' avvolgente sound di Michael Nyman fa la sua parte nello stendere un' agglutinata patina sentimentale sulla vicenda non priva anch' essa di qualche incongruenza. L a tromba è forse lo strumento che dà la resa visiva più convincente perché non richiede particolari prestazioni gestuali: difatti lo Zampanò de La Strada risulta abbastanza accettabile, anche se – diciamolo – nell' insieme della filmografia felliniana le sequenze con strumenti (invero non poche) sono piene di approssimazioni. In questi casi la risposta all' obiezione è sempre la stessa: le storie di Fellini non vogliono essere realistiche, vi prevale la dimensione onirica. Benissimo; ma quei poveretti che in Prova d' orchestra si ingegnano a mettere insieme il pezzo non sono credibili neanche per un minuto perché, ad onta della loro evidente goffaggine, la musica che suonano (registrata in studio da una vera orchestra) ha e non può che avere una resa impeccabile, rendendo del tutto incomprensibili le escandescenze del direttoredittatore che trova errori dappertutto. Il film si pone anche come una ingenua antologia di luoghi comuni sugli strumenti d' orchestra e sul rapporto che con essi hanno i relativi suonatori, tutti rientranti sotto la specie di una disarmante mediocrità umana. Prova d' orchestra è nei fatti un film cattivissimo, oltreché tra i più imbarazzanti quanto a resa visivo-musicale. F ederico Fellini rappresentava una tipica figura di intellettuale italiano: brillante e geniale in molti aspetti della cultura ma del tutto disarmato nei confronti dell' arte dei suoni. Egli stesso ammetteva di non saper dare un senso alla musica, di sentirla ostile, inafferrabile, pericolosa tanto più quanto essa si mostrava attraente e seduttiva. Sostanzialmente ne aveva paura. Se poi i suoi film sono rimasti famosi anche per l' apporto musicale è perché ha avuto la grande fortuna di imbattersi in Nino Rota, che capiva le sue intenzioni prima ancora che lui gliele 49 diego cescotti esplicitasse, ed era capace di arrangiargli in quattro e quattr' otto i motivi più giusti che si possano desiderare. P er il suo penultimo film, L' Intervista (senza Rota, ormai), la produzione aveva ingaggiato un gruppetto di suonatori da utilizzare in una sequenza; ma questi, arrivati alla loro postazione, non avevano trovato alcuna musica sul leggio. Non era proprio stata scritta. Quando si trattò di girare la scena, Fellini andò lì e cercò di rimediare al loro imbarazzo canticchiando un motivetto rimasticato (qualcuno sostiene essersi trattato di una danza dallo Schiaccianoci di Čajkovskij, remoto ricordo della scena delle terme di Otto e mezzo), illudendosi che quei professionisti abituati a suonare da uno spartito cogliessero al volo il suo labile suggerimento e lo improvvisassero lì per lì senza nemmeno il tempo di un accordo, di una prova qualsiasi. Il grande regista non si sapeva capacitare del perché fosse così difficile mettere in attuazione una richiesta per lui così banale. Alla fine è rimasta una scena agitata da un gran turbinare di coriandoli mossi da potenti ventilatori e una musica di sottofondo pressoché inudibile: del resto il montaggio l' aveva ridotta a un brandello di pochi attimi. L a conclusione è che i cineasti sensibili alla musica e soprattutto dotati di vera competenza in materia si contano sulle dita di una mano. Tanto più vanno salutati con simpatia certi prodotti della vecchia industria di Hollywood come il più che noto Some Like It Hot di Billy Wilder, dove Tony Curtis e Jack Lemmon, in veste di jazzisti, offrono una prova convincente di scioltezza e di buona coordinazione quando sono chiamati a (fingere di) suonare il saxofono e il contrabbasso. Purtroppo la musica classica, a differenza dell' altra, porta su di sé la condanna di dover essere raffigurata attraverso pose ieratiche, sguardi fatali e un complessivo gigioneggiare che servirebbe, secondo gli intenti di alcuni, a drammatizzare il momento, renderlo nobile e importante, con il risultato però di far apparire tutto maledettamente falso. 50 E questo è l' altro errore capitale in cui il cinema tanto spesso cade. U no dei paradossi della musica è quello di presentarsi sotto l' apparenza di entità astratta, invisibile, impalpabile, e al contempo di richiedere, per la sua stessa esistenza, l' azione ben concreta di un mediatore umano che ha l' ufficio di agire su strumenti all' uopo creati, mettendone in vibrazione con arte consumata le componenti materiali. Tutto questo lavorio di tasti premuti, corde sfregate, tubi soffiati può disturbare l' utente ' puro' , abituato ad un ascolto ad occhi chiusi da cui si ripromette di cogliere le tracce recondite di un percorso elevato, eminentemente spirituale. Qualcosa di quell' atteggiamento di concentrazione ed estraniazione lo si trova riprodotto in certe stampe o dagherrotipi dell' Ottocento laddove, attorno ad un pianista intento alla sua opera, gli occupanti del salotto borghese si raccolgono come per la celebrazione di un rito d' iniziazione. Se il pianista in questione era Franz Liszt non si trattava dell' atteggiamento giusto, o perlomeno non lo sarebbe stato se il concerto si fosse svolto in una grande sala pubblica. Era stato proprio Liszt a fissare le regole del moderno recital quale è arrivato fino ai nostri giorni, e soprattutto a imporre per il pianista la visione laterale. Prima di lui il pianista dava le spalle al pubblico, dimodoché quest' ultimo perdeva la possibilità di vedere il tracciato ideale dal pezzo musicale tradursi nella mimica sensibile di chi lo eseguiva. La ' musica poetica' , ossia di contenuto, che Liszt perseguiva come proprio fine estetico avrebbe perso molto del suo significato se depauperata di questa lettura di secondo livello offerta dall' intero corpo dell' autore-esecutore che la sostanziava e le dava forma coerente. Che egli fosse particolarmente attento a questi aspetti esteriori lo si deduce dalla sua stessa bellissima figura eretta, nobile, ispirata, i lunghi capelli ricadenti sulle spalle, la cappa di velluto che gli ricade attorno. P rima di lui, e in maniera più esuberante, Niccolò Paganini era stato suscitatore di entusiasmi deliranti anche per il messaggio che arri2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI strumenti da leggere vava dalla sua figura nervosa, segaligna, scomposta e quasi intenta a una danza grottesca, quale ci arriva da certe sorprendenti silhouettes che ne accentuano il tratto di stregone, di mago, di spiritello. Il suo violinismo, che non si sarebbe potuto immaginare espresso in forme classicamente sobrie, era trascendentale nel senso che oltrepassava di molto i limiti comuni dello strumento, e questo trasumanare accentuava la morbosità attorno alla sua figura, che era facilmente interpretata come diabolica (il violino, si sa, ha questa lontana taccia che non è mai riuscito a scrollarsi di dosso). La musica era agli albori della sua parabola romantica e tutto portava a questi eccessi di esteriorizzazione e spericolatezza, divenuti ormai abituali presso i cantanti rossiniani, le orchestre di Berlioz, i virtuosi della tastiera che a schiere gareggiavano in infuocate competizioni. I l secolo Ventesimo ha sancito che l' ascolto ispirato non è il modo migliore per recepire il fenomeno musicale, ed Igor Stravinskij, preoccupato di tenere il fatto musicale sotto stretto controllo razionale senza più smarrimenti e sviamenti mentali, si diceva diffidente nei confronti dell' ascolto con la testa tra le mani perché la componente visuale favoriva la perfetta comprensione del brano, ne era anzi la parte integrante. Possiamo essere del tutto d' accordo con lui se poniamo mente alla sua Sagra della primavera, specie per quanto riguarda il timpanista, che viene spesso collocato in una postazione elevata e centrale, direttamente in linea col direttore. Non c' è dubbio che soprattutto nell' ultima parte di questo pezzo (Danza dell' eletta) un solo errore del percussionista manderebbe a rotoli l' intera orchestra. È dunque necessario che lo jeu de résistance richiesto da questa pagina esaltante sia condotto in perfetto stato di lucidità tra i due poli opposti della compagine strumentale, che devono agire in assoluta intesa, quasi come in collegamento ipnotico. L o strumentalismo novecentesco ha preso un abbrivio addirittura impetuoso con l' opera generosa e fiduciosa di Paul Hindemith, già IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 concertista di viola e viola d' amore, ma anche conoscitore e praticante di quasi tutti gli strumenti, a cui ha dedicato almeno una Sonata, oltre a scrivere sette Kammermusiken per diversi organici, concepite in ideale analogia con i Concerti brandeburghesi. Di stile neobachiano si parla infatti riguardo alla sua musica, anche e proprio per via di quell' approccio pragmatico e ' artigianale' alla materia che si manifesta nella grande solidità dell' insieme, nell' inflessibile nervatura ritmica, nel controllo rigoroso di tutte le componenti. Nella sua musica si ritrova tutto l' antico piacere fisico del suonare insieme e anche quell' ineffabile senso di confidenza affettuosa verso il proprio strumento che è sempre stata propria di chi, professionista o dilettante, svolge questo compito con coscienza. Per questo la sua musica è idiomatica come poche e quindi spesso idonea al campo didattico; e se può essere abbastanza impegnativa, non costringe mai l' esecutore ad alcunché di forzato o di stravagante. O ggi, a cinquant' anni dalla sua scomparsa, possiamo riconoscere a Hindemith di aver costituito un argine contro l' aridità dello sperimentalismo puro, ponendosi nel solco di un nuovo umanesimo. A livello più diretto, egli si era posto il compito di rimediare al grande sfacelo del suo Paese operando una ricostruzione culturale che tenesse conto delle memorie storiche nazionali sedimentatesi nei secoli, dai canti dei Minnesänger ai corali luterani, dal concertismo dei Collegia Musica al complesso delle forme sonatistiche prodigiosamente fiorite nel periodo classico. Più vicina a noi spicca la straordinaria esperienza delle Sequenze di Luciano Berio, che in numero di quattordici esplorano, per ciascuno degli strumenti trattati, soluzioni timbriche inimmaginabili, modificando completamente l'approccio allo strumento da parte dell'esecutore e al tempo stesso il processo percettivo dell'ascoltatore, che ora si pretende quanto mai aperto ed evoluto.❧ Diego Cescotti 51 Nicotiana Tabacum di Giuseppe Maria Gottardi 52 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Nicotiana tabacum G Con questa pipa sacra camminerete ironzolando per gli affasciRifiutare questa visione comnanti meandri della Dor- sulla Terra, poiché la Terra è vostra porta usare, all’opposto, gli stessi dogna, nella splendida re- Progenitrice e vostra Madre, ed essa è termini di paragone. gione dell’Aquitania, nel sud della sacra. Ogni passo mosso sopra di Lei Il tabacco è sul banco degli acFrancia, sostammo, inevitabilmen- dovrebbe essere come una preghiera. Il cusati a partire dal 1986, ma questa te invogliati da antiche reminiscen- fornello di questa pipa è di pietra rossa; contestazione era iniziata ancora ze letterarie, nella bellissima città di esso è la Terra. Inciso nella pietra e ri- all’inizio quando, scoperto da CriBergerac. Quivi, percorrendo le an- volto verso il centro c’è questo vitello di stoforo Colombo, esso venne introguste ma straordinarie stradine che bisonte che rappresenta tutti i quadru- dotto in Europa. fecero conoscere al Mondo il miti- pedi che vivono su vostra Madre. Il Le “Autorità” (medici ed eccleco signor Cyrano, avemmo anche il cannello della pipa è di legno e rappre- siastici) si trovarono subito in confelice incontro con il più bel museo senta tutto quello che cresce sulla Ter- trasto. Se per i primi il tabacco era dedicato all’erba per tutti i mali: al ra. E queste dodici penne che pendono quasi un’erba santa, sacra, divina, qui dove il cannello si incastra nel for- per gli altri esso rappresentava l’erTabacco. Situato nella maison Peyrarède nello, vengono da Wanbli Gleska, l’A- ba di Satana, un’erba infernale, diaal n. 10 della via Ancien Pont, que- quila Chiazzata, e rappresentano l’a- bolica. sto museo ripercorre, con una ricca quila e tutti gli esseri alati dell’aria. Comunque sia, il tabacco, alla esposizione, la storia sociale e cul- Tutti questi popoli e tutte le cose dell’u- stessa stregua della vite, del mais e del turale del tabacco nel tempo e nelle niverso si uniscono a voi che fumate la caffè è una conquista dell’Umanità e pipa, tutti mandano le loro voci a Wa- la sua diffusione e i suoi modi d’imciviltà. Oltre agli affascinanti mate- kan-Tanka. Quando pregherete con piego esprimono le diverse civiltà e la riali esposti, tra cui una collezione questa pipa pregherete per e con ogni loro Weltanschauung. dal valore quasi inestimabile di ca- cosa. Così in America numerosi miti Hepaka Sapa (Alce Nero) lumets degli Indiani d’America, esassociano il tabacco al sacro e gli so offre, per il nostro particolare fusciamani-guaritori se ne servivano rore, una splendida biblioteca su questo tema di più di a fini terapeutici. Simbolo del legame tra gli uomini e 3.000 volumi, dove, sull’antichità dei molti, abbiamo gli dei, esso ebbe anche una valenza politica. Basti penlasciato umide ma invisibili tracce della nostra pas- sare al ruolo giocato presso le popolazioni dell’est in sione. America del nord, dal calumet fumato in comune, Ovviamente, al termine della visita, non ci la- scambiato durante le discussioni; una specie di sigillo sciammo sfuggire uno dei 2.000 esemplari dell’opera sociale fra compagni, addirittura salvacondotto in aldi Bernard Clergeot, il conservatore di questo museo. cuni casi. In altri casi il tabacco era segno dell’autorità di un capo; questo si osserva tra gli Aztechi ed i Sioux. razie alla dovizia d’informazioni storiche che Le pipe indiane furono di estrema varietà, spesso molci danno queste due opere parleremo di que- to simili al tomahawk, la scure peraltro introdotta dagli sto Tabacco che, nel bene e nel male, fa parte uomini bianchi; dalle pipe tubolari proto-storiche, ai del nostro patrimonio culturale. Infatti, questa pianta fornelli irochesi a becco d’uccello, alle pipe barocche è eminentemente culturale; essa ha accompagnato e dei Micmac, degli Tlinglit e Haïda della costa nordtuttora accompagna l’uomo nei suoi bisogni religiosi, ovest. alimentari, terapeutici, politici, sociali ed anche psiAl contrario, in Africa, il tabacco divenne oggetto cologici. di baratto durante l’epoca del commercio degli schiavi G IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 53 giuseppe maria gottardi e consumato in pipe e fornelli sempre più grandi a seconda del grado d’importanza del suo proprietario. Nel vicino Oriente, il narghilé, una pipa ad acqua di origine egiziana, diventa una pratica collettiva rispettosa però delle classi sociali. Alla stessa origine si rifà il chibouk turco. In Europa oltre la pipa, nei cui modelli si sono sbizzarriti anche grandi artisti, fiorirono le tabacchiere, i sigari ed infine le sigarette. Al contrario degli altri continenti, in Europa l’uso del tabacco è più legato a connotazioni individuali che rivestono la sfera della identificazione, dell’iniziazione, della affermazione sociale senza dimenticare la sfera sessuale. Non c’è nulla da fare: il tabacco non è una pianta indifferente. Esso ci stimola, ci allieta, ci degrada. Il rapporto con questa pianta si esprime in mille modi: etnico, psicologico, sociologico, economico, ecc. M a cos’è il tabacco? È una pianta del genere Nicotiana cha fa parte della famiglia delle Solanacee come la patata, il pomodoro, la melanzana e il peperone. Sono piante annuali a fusto erbaceo e ne esiste una sessantina di specie diverse. Essa si divide in tre sottogeneri: Rustica che comprende nove specie; Tabacum, sei e che sono tutte originarie dell’America del Sud; il terzo sottogenere Petunoide comprende quarantacinque specie origi54 narie dell’America del Nord, del Sud, dell’Australia e delle Isole del Pacifico. Lo stato attuale delle conoscenze storiche archeo-botaniche ritiene che l’uso di fumare, masticare ed anche bere il tabacco sia stato inizialmente praticato sul continente americano. È comunque accertato che gli aborigeni australiani masticavano, in tempi remoti, foglie della varietà Nicotiana Suaveolens. Recentemente un nuovo enigma si è posto con la scoperta di tracce di Nicotiana L. sulla mummia di Ramses II. Questa specie non è stata ancora definita. Benché qualcuno abbia ipotizzato la presenza di pipe in argilla fin dalla prima delle grandi civilizzazioni messicane, quella degli Olmetechi [1200-900 a.C.], i primi seri scavi archeologici riguardanti il tabacco vennero effettuati da Porter Muriel Noé nel 1948 nella regione messicana dell’Hausteca. Il materiale scoperto consiste essenzialmente in pipe angolari in argilla di cui, alcune, sono antropomorfe o zoomorfe. La datazione cronologica oscilla tra il 1100 e il 1200 dopo Cristo. Per una succinta storia del tabacco facciamo ora riferimento a Giuseppe Mauro con la sua Monografia del Tabacco, Napoli, Stabilimento Tipografico di R. Ghio, In S. Teresa agli Studi, 1866. Nello stesso testo è presente anche una interessante e curiosa Sinonomia del Tabacco. 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Nicotiana tabacum STORIA DEL TABACCO Intra gli svariati scrittori v’ha divergenza, per altro non sensibile, di opinione sulla origine della introduzione dell’uso del tabacco; noi, tra tutte, ci atteniamo in questo breve cenno storico, alla più accreditata tradizione. L’ardito scopritore del nuovo mondo, il Colombo, dava il nome di tabacco a questa pianta che trovava nel 1494 [1492-1493] in Tabaco, la più piccola delle Isole nelle Antille; o più verisimilmente in Tabasco provincia del Messico. Ciò che destò meraviglia profonda negli Spagnuoli, era il vedere tra le labbra di quelli abitatori talune foglie secche, accartocciate, che accese all’estremo mandavano un fumo denso ed aromatico. Questo piacque al loro gusto, e l’imitarono. Relativamente poi all’epoca della introduzione del tabacco in Europa, si stima dai più, che l’Ammiraglio Spagnuolo Cortes nel 1510 ritornando da’ suoi viaggi nel Nuovo Mondo, facesse un presente di IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 gran quantità di foglie secche di questa pianta al suo Monarca Carlo V; di poi, nel 1518 Francesco Hermandez fecesi a spedire al suo governo in Portogallo semi e piante di tabacco. L’odore, ed il gusto di siffatta pianta piacque tanto al Gran Priore di Lisbona, che avendone di continuo fatto elogio lussuosissimo, fece in quei luoghi acquistare al tabacco il nome di Erba del Gran Priore. Un dì, l’ambasciadore di Carlo IX presso la Corte di Portogallo, Giovanni Nicot, recossi a visitare l’Orto botanico di Lisbona. Quel direttore, il celebre Damiano di Goes, fece a lui dono di questa esotica pianta, e di buona quantità dei suoi semi, come pure d’una scatola di foglie di tabacco disseccate e ridotte in polvere. Immantinente l’Ambasciadore si premurò di fare invio di quel dono alla sua Regina Caterina dei Medici, la quale divenutane entusiasta, ne protesse l’uso non solo, ma volle che se ne fosse pur in Francia intro- 55 giuseppe maria gottardi dotta la lavorazione; è per questa regia simpatia e protezione che fu colà chiamato il tabacco Erba della Regina. Nel 1560 il Cardinale di S. Croce, Nunzio Apostolico presso la Corte medesima del Portogallo, sorpreso pur egli dal grato odore che tramandava il fumo di questa nuova pianta, ne inviava alcune al Pontefice in Italia, il quale ne commise la coltivazione ai Frati, che d’essa facendo uso grandissimo, ne estesero la coltura nei loro orti; e nelle province meridionali hawi tuttora una specie di tabacco, che era usata con predilezione dai Frati, la quale chiamasi Erba santa. Finalmente Walker, favorito della Regina Elisabetta, introdusse la pianta del tabacco in Inghilterra; ma per la inclemenza di quel clima non ha potuto giammai avere colà una rigogliosa vegetazione. Qualcuno, come Munay, mette in dubbio l’origine di questa pianta, non attribuendola all’America, poiché dice, la cognizione della stessa si ebbe in Oriente circa un secolo prima della scoverta dell’America, essendo in Persia e nelle Indie dai Sacerdoti usata per fumo, e dagli Augurii facevasi similmente uso di questa foglia, anco per fumo, affin di esaltarsi nelle loro vaticinazioni; ed apprestavasi colà pur come farmaco in varie malattie cutanee. Giovanni Menandré asserisce di poi, che gli antichi isolani dell’America ritenevano essere il tabacco un talismano acconcio a sedare qualunque tempesta pur furiosissima, e quando vedevano imperversare il mare, ed alta una burrasca, immantinente facevansi a spargere grossa mano di polvere di tabacco nelle onde. In generale una virtù soprannaturale essi attribuivano a siffatta pianta, che stimandola prodigiosa, la impiegavano con fede religiosa in ogni maniera di pericolo o fatto ardito, affin di vincerlo con sicurezza, e con mezzi oltre gli umani. Essi, per esempio, ne aspergevano la terra pria di dar cominciamento ad una battaglia; la bruciavano 56 nel fuoco Sacro in onore dei loro Idoli, affin di calmarne l’ira nei casi di calamità pubbliche, ed aspirandone in simigliante emergenza il fumo, stimavano le loro colpe perdonate; ecco dunque la ragione per la quale osservasi varietà di opinione tra i diversi Autori sulla sicura e vera origine della pianta Tabacco. Certo si è che i primi a farne stima ed uso furono gli Spagnuoli e Portoghesi per essere stati i più arditi navigatori e scopritori del nuovo mondo. In sul cominciamento della sua introduzione in Europa si ebbe il tabacco fanatici passionati, e quindi larghi apologisti, ed all’opposto pur violenti detrattori. Questa pianta novera anche nella sua storia il gran pensiero e la grande cura che si dettero alcuni governi nel moderarne o vietarne assolutamente l’uso nei loro Stati. Giacomo primo d’Inghilterra, la cui tempra violenta di natura, e l’avventatezza dei modi son troppo note nella storia di quella grande Nazione, con suo speciale editto vietò assolutamente l’uso del tabacco ai suoi popoli. Amurat IV colpito dalla irriverenza di taluni suoi famigliari che si permettevano fumare nella Reggia, ne proibiva chicchessia l’uso. Nelle Russie l’uso del tabacco per fumo si slargò tanto, che non eravi persona la quale non amasse fumare, e fin le donne in aurate pipe aspiravano il fumo di questa foglia; e siccome ogni abito descrive la sua scala di progresso, giungendo sino al fanatismo ed all’eccesso, così la pipa non si lasciava in quelle regioni gelide neanco in letto, e perché dal caldo del fumo ne traevano gratissimo un calorico al corpo assiderato, e perché avendo il tabacco la proprietà narcotica era assai acconcio a generare il sonno; – da siffatta eccedente abitudine nacquero inconvenienti spessamente seriissimi, poiché soventi volte quei cittadini restando incoscienziosamente preda di profondo sonno, la pipa abbandonata incendiava le coltri, e da queste l’incendio propagandosi, ebbero a lamentarsi non poche vitti- 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Nicotiana tabacum me umane e distruzione di edifizi. Quel Governo, sistematicamente dispotico, osservando con ira i non lievi danni che procedevano dall’uso del tabacco per fumo, comminava severissime pene, tra cui leggevasi pur quella di cinquanta colpi di bastone contro chiunque, niuno eccettuato, non avesse saputo scompagnarsi dalla condannata abitudine di fumare la foglia tabacco. Affin di afforzare con logiche ragioni, ed onestare provvedimenti che aveano tutta la fisonomia della violenza e dell’arbitrio, i governi che si fecero a proibire l’uso del tabacco per fumo, ogni cura si dettero nel far pubblicare opuscoli da distinti medici dei loro Stati, con i quali costoro tutta la vigoria dell’ingegno e della propria dottrina impiegarono per dimostrare il danno sensibile, profondo, che alla salute dell’uomo recava l’uso del fumo del tabacco, quasi dichiarandolo potentissimo un veleno. Il tempo però, grande operatore di prodigi, perché scopritore del vero, e distruttore gagliardissimo dei pregiudizii e degli errori umani e sociali, è surto gigante a dimostrare che l’uso, o non mai l’abuso, di questa foglia per fumo reca vantaggi non pochi alla salute, ed al vivere dell’uomo. Il fumo del tabacco corregge ed attutisce talune tensioni dello stomaco. È un preservativo contro i mali che procedono dall’umidità atmosferica che si è obbligati talune volte di assorbire, quindi i navigatori, e gli uomini che sono obbligati in virtù del loro mestiere a vivere nelle campagne, ed a coltivarle, utile grandissimo traggono per la loro salute dall’uso del fumo del tabacco. È ancora un preservativo per il mal di denti. È un compagno nell’isolamento. Fuga l’ozio, e con esso la noia. È un mezzo per distrarre l’animo dagli angosciosi pensieri che possono per avventura travagliarlo. Nei trasporti di violenta ira, spessamente quel fumo opera come un calmante sui nervi. Non pochi, ed in ispecie nella età avanzata della vita, o quando la tempesta di alcuna passione ci bolle IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 nel petto, veggono nelle ore solitarie della notte, ore tremende in che i più tristi pensieri si dan convegno e si aggruppano per torturarci la vita, il sonno disertarsi affatto; – ebbene, il fumo del tabacco lo richiama, lo mette sulle nostre ciglia, e ne procura quel riposo che è l’obblio dei mali, la calma dello spirito, il compenso alle forze affralite del corpo. Concentra l’animo alla meditazione, e lo rende atto a lavori intellettuali, per i quali stimavasi non essere la mente affatto disposta. Dopo non brevi fatiche durate, il fiuto del tabacco in polvere risveglia le facoltà dell’ingegno, e traendolo da quel torpore in cui si cade per fralezza, ad esso ridona tutta la prisca energia, rendendolo di nuovo acconcio a continuare un lavoro, che senza l’ausilio di quel fiuto, si era forse obbligati a differire. Il dottore Ruefz di Strasburgo dice ancora che il tabacco toglie alcune volte il luogo di alimento alla vita umana; ciò, egli soggiunge, risulta dagli sperimenti fatti da molti viaggiatori, ed all’uopo si fa a raccomandarne l’uso agli uomini d’arme. Insomma il tabacco ha per sé il più eloquente argomento che siavi al mondo; il fatto. – Certa cosa egli è che l’Universo oggi fuma e fiuta non solo, ma il consumo del tabacco cresce a dismisura, e tutto il mondo certamente mal non vive pel tabacco, poiché se ciò fosse, il suo uso sarebbe menomato, e forse anco distrutto, poiché il principio della propria conservazione è sovrano, e radicato sin dal nascere nel cuore dell’uomo; ed invece noi vediamo che se ne aumenta e propaga la consumazione, in ispecie presso le nordiche regioni, i cui abitatori fan mostra di sana vita, robustezza di corpo, e speciale longevità. In effetti, guardato l’uso del tabacco sotto il punto di vista igienico, leggiamo nelle opere pubblicate da Fawler, dotto e noto medico inglese, che il tabacco sia farmaco giovevolissimo nelle idropisie, ed all’uopo egli non si rimane dall’indicarne in lunghissimo novero gli svariati e numerosi successi 57 giuseppe maria gottardi ottenuti impiegandolo nella cura di detta seria infermità, e ne svolge con precise e minutissime particolarità tutti i fenomeni che presenta prima di compiersi la guarigione, dicendo, che esso produce dapprima una vertigine, la quale cessata, succedono immantinenti abbondanti evacuazioni ed emissioni di urine, per i cui meati si scaturisce quella quantità di siero che ristagnandosi nel corpo dell’uomo produce il morbo ferale. – Il Dottore Hurteaux medico della Manifattura dei tabacchi in Parigi accerta che nelle epidemie coleriche del 1836 e 1854, gli operai addetti a quello stabilimento furono i meno flagellati da quel morbo in ragione degli altri cittadini, essendone stati inviati all’Ospedale nel periodo più fervente del 1836, appena cinque uomini, e diciotto femmine. – Ed in sostegno di quanto il detto medico asserisce relativamente a Parigi, uno dei più antichi e distinti applicati alla Manifattura dei tabacchi di Napoli assicura che nello stesso anno 1836, quando il morbo asiatico più infuriava in questa città, in detta Manifattura erano contagiati appena nove uomini e venti donne, di cui succumbettero quattro dei primi e dodici delle seconde. – Noi possiamo ancora certificare, che nella seguente epidemia del 1854 i morti non sorvanzarono il numero di due, e nell’ultima invasione del 1865, comunque mitissima in riguardo alle precedenti, pure in ragione delle proporzioni serbate dal rapinare del morbo in tutta la popolazione, lievemente fu offesa la famiglia dei lavoratori nella fabbrica di Napoli, poiché in un numero di circa 3500 individui non si è lamentato che solo un morto, e pur dubbio, essendo stato parere di varii professori, che quello attacco procedea più da affezione tifoidea, che dal morbo asiatico. M. Poirson, infine, medico della facoltà di Parigi commenta l’uso della Nicotiana in tutte le malattie sierose, e specialmente nel male dei denti; e per lo scorbuto 58 si fa a raccomandarla caldamente ai marinari, ritenendola salutare medela, acconcissima ad allontanare, per quanto sia possibile, questo morbo, che sviluppa con frequenza nelle lunghe navigazioni. Noi, quando parleremo delle proprietà di questa pianta, ne svolgeremo le virtù salutari con più spicciolato novero. Fra gl’infiniti luoghi di produzione si distingue l’America, che ne ha formato uno dei suoi principali rami d’industria, divisa in tre grandi regioni distinte per tre qualità diverse di foglie, cioè 1° la Virginia, al Sud; 2° tutto l’Ovest (Kentuky Tenessé Missauri); 3° il Maryland con una parte dell’Ohio del Nord orientale fino al Messico, rappresentante le qualità, forte, mezzana, e dolce; ed apparisce dalle Statistiche di quella Nazione ascendere approssimativamente il suo prodotto ad oltre quint. 2,300,000. Il prodotto eccede poi tanto il consumo interno, che ne avvanza da venderne più della metà, e per conservare il credito alla produzione tiene a sé leggi provvide che ne sorvegliano la coltura e l’esportazione. Ad alcuni potrebbe sembrare strano ed esorbitante questo nostro calcolo; ma noi rispondiamo di aver attinte tali notizie dal rinomato economista M. Block nella sua relazione del 1852. La quantità poi del tabacco che si consuma in Europa non si può con precisione ben determinare; ma per dire alcun che su questa importante nozione, ci siam fatti a riscontrare scritti di chiari Autori e giornali Statistici per quanto ci sia tornato possibile, e dalle notizie tolte da coloro che abbiamo stimato meglio informati, benché nulla di preciso e sicuro avessimo potuto raccogliere, pare assai probabile che la cifra ascendesse presso a poco a quint. 5,017,000, dei quali un terzo e forse più si esporta dall’America e dall’Asia, e gli altri due terzi sono prodotti Europei in proporzioni diverse, cioè 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Nicotiana tabacum SINONIMIA DEL TABACCO Noi troviamo utile descrivere tutti i nomi che sono dati al tabacco dai differenti popoli, ed in diverse epoche. Garzia du Jardin e Maugnenus assicurano, che il vero nome di questa pianta presso gl’Indiani è picielt. Al Paraguay, ove il tabacco pare che vi abbia esistito in tutti i tempi, è conosciuto presso i Guaranis sotto il nome di pety, che sarebbe il medesimo di petun impiegato per distinguere sulle coste delle Amazzoni le piante del Brasile. Questi due nomi per effetto della maniera come vengono pronunciati indicano perfettamente il rumore che producono le labbra allorché lasciano scappare il fumo del zigaro o della pipa. Noi apprendiamo da Alfredo Demersay le diverse denominazioni colle quali viene designato il tabacco in Africa, e nell’Oceania. Pety, tabacco, d’onde il nome di petygua mensile di cui si servono per ingoiare o sorbire il tabacco; petynguara bevitore di tabacco; apetymbù che esprime l’azione che consiste a cacciare il fumo del tabacco dalla bocca e dalle narici. Questi vocaboli sono in uso presso i Guaranis del Paraguay. Nel Brasile si nomina petun o petum. Costatando la sua antichità dalle Indie occidentali, Pison il primo che ha ben descritto le piante del Brasile, ha dato a questa pianta il nome di petume o tabacum. Seguendo il dizionario della lingoa geral pubblicato nel 1795, questa pianta è designata sotto il nome di pytyma. Pytyma cui è il nome del tabacco in polvere, e la voce pytyma tyba esprime la coltura. Gli abitanti di Nicaragua lo nominano ynpoqueto. Si nomina ancora: Dai Messicani Quavhyelt, quauhietl o quauryell; Dai Caraibi: Secondo Laborde Y-oculi; Da Breton Youli; Da du Tertre Yoli. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 Nella Gujana Tamoui; In Haïti Cozobba o Cazoba; Nella Virginia Uppuvoc; Presso i Mandigues Siré. L’alterazione della parola tabaco ha prodotto le seguenti denominazioni: Presso gli Esquimali Tawac; Dai Bramini la pianta è denominata Ou-baco; Dagli abitanti delle Filippine E-baqué; Da quelli delle Caroline Tammako; Nel Ceylan il tabacco trinciato Kapada; Nel Bengala Tumac; Nell’Indostan Tambaca, o Bujjirbhang. Dagli altri popoli viene denominato: Nel Maryland Oroonoko; In Alemagna e Danimarca Toback; Dagl’Inglesi Tabacco e snuff; Dagli Arabi Dukan; Dai Giapponesi Bujjerbhang, e Tumbroeo; Dai Chinesi Sang-yen; Nella Cocincina Thuoc; Dagl’Indiani Tuwbaku; Dagli Spagnuoli e Portoghesi Tabaco; Dagl’Italiani Tabacco; Dagli Olandesi e Polacchi Tabak; Dai Malesi Tambracu; Dai Russi Tiotion; Dai Circassi Zchichir; Nel Sanscrito Dhumrapatra e Tamrakoota; Dai Tartari Tamer e Tutun; Dagli Arabi e Turchi Tuttun; Dai Greci Kαπνό 59 giuseppe maria gottardi una gran parte della Germania e dell’Olanda, parte poco minore della Russia, Austria ed Ungheria, poi del Levante e dell’Algeria, ed in quantità consimile dell’Italia, e minore degli altri Stati. Si calcola la somma totale d’imposta sui Tabacchi in Europa a circa 550,000,000 di lire. Certo che ove è più grande la coltivazione si osserva più familiare il consumo, e di conseguenza maggiore il contrabbando. Vi è chi asserisce che la Germania ricavi una tassa personale eguale al consumo di Kil. 5 di Tabacco a testa per ogni maschio sopra ai 18 anni, nel Belgio similmente di Kil. 4½; in Olanda e Danimarca di 4, e nell’Austria di 3½; questi calcoli li crediamo molto dubbi. Pare potersi asserire che tale imposizione indiretta considerata come dazio d’importazione ed esportazione, o altrimenti come privativa, dia un profitto al Regio Erario di circa lire 4 per testa, secondo l’estensione dell’uso più o meno diffuso. È da notare eziandio che queste cifre possono variare, anzi variano a causa del gran contrabbando che ovunque grandeggia, e che moderare si può, ma non mai intieramente estirpare, come in prosieguo a suo luogo si parlerà con molta specialità. Per esempio citiamo per ora l’Inghilterra, la quale non ostante l’inibizione della coltura, e le sue severissime pene d’importazione, è costretta soffrire anche il contrabbando, molto però di meno di quello che si sperimenta nei luoghi di produzione della nostra Europa. Cosa strana, dice Demersay, che durante l’antica denominazione del tabacco, si diffuse per l’Universo quella che un tempo fu adottata dagli abitanti del Paraguay e del Brasile. In alcuni Dipartimenti della Francia, e specialmente i Bretoni, disegnano il tabacco ancora sotto il nome di betum o betun. In Francia, atteso il carattere che distingue quella Nazione, questa pianta ha ricevuto diversi nomi che interessa descrivere. Nel 1556 Andrea Thevet 60 fu il primo ad importarla dandole nome di Erba angoulmoisine, da quello della provincia francese ove furono eseguiti i primi tentativi della coltura di questa pianta. Dopo quattro anni l’erba angoulmoisine senza alcun dubbio non era ancora pervenuta a quella Corte, allorché Giovanni Nicot la fece conoscere, ed a proposta del Duca di Guisa, fu chiamata Nicotiana, in ricordo di Nicot che l’aveva inviata dal Portogallo. Più tardi, siccome dicemmo, la Regina Caterina de’ Medici si dichiarò protettrice di questa pianta, ed i cortigiani non mancarono di denominarla erba della Regina, e perciò il tabacco per qualche tempo conservò questo nome. Di poi Giacomo Gohori, al quale si deve una piccola opera sul tabacco, cercò far prevalere il nome di Medicea o Caterinea in omaggio del nome e cognome della Regina, e con lo scopo ancora di fare accettare e nel contempo adottare alla Corte il suo libro; a quale oggetto egli s’indirizzo al Medico e Chirurgo Botal, unico borghese che avea accesso al Louvre. Il detto Dottore prese la cosa in particolare considerazione, ed egli racconta come il libro fosse presentato alla Regina madre del Re, a cui era stato dedicato, associandosi nella presentazione ad un altro dotto Medico a nome Vigor suo antico amico, per conoscere se sarebbe gradita a sua Maestà la proposta del nome; ed essendo stato accettato ne fu pubblicato il discorso, e quindi venne adottato il nome di Medicea. Qualche memoria del tempo riporta ancora che il gran Priore di Francia della casa di Lorena facea smodato uso del tabacco, e la sua avidità era tale da consumarne ottantuno grammo per giorno; e siccome era l’epoca che il tabacco principiava a mettersi in uso, coloro che ne prendevano, nell’entusiasmo del loro neofitismo, assegnarono al tabacco il nome di erba del gran Priore, e per qualche tempo 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Nicotiana tabacum ebbe l’onore di una tale nomenclatura, siccome abbiamo di fuga pur altrove cennato. Gli esaltati amatori di esso nella Spagna denominarono il tabacco panacea antartica; erba per tutti i mali; senza dubbio a causa della virtù che credevano in esso riconoscere. Lo chiamarono ancora Erba Santa Sacra, o divina, perché al dire di Brunet, certe persone credevano che essa aveva la facoltà di renderli sani e puri qualora ne usavano con moderazione, e come moderativo della concupiscenza, e correttivo degli umori del corpo che turbano gli organi dei sensi stimolanti della voluttà. Il Cardinale di S. Croce Nunzio in Portogallo, e Tornabuono Legato Apostolico in Francia furono i primi ad introdurlo in Italia, e perciò fu chiamato Erba di Santa Croce, o Erba Santa. Altri Autori lo chiamarono Erba baglossa antartica, ed i nemici accaniti la denominarono Giusquiamo del Perù, col fine di farla riguardare come pianta nociva, discreditandola presso i consumatori. Oviedo nel libro XI Capitolo V della sua Storia dice, che nelle Isole Spagnuole, ove a’ suoi tempi il tabacco vegetava in abbondanza, gli abitanti lo chiamavano perebeçenue, ma dalla descrizione che ne fa sembra a Garzia du Jardin che si rapporti allo giusquiamo nero. Infine è dovuto agli Spagnuoli, che lo conobbero i primi, il nome di tabacco, tratto al dire di molti autori da Tabago piccola Isola delle Antille, o da Tabaco provincia del Yucatan ove essi l’incontrarono per la prima volta, o pure da Tabasco Città del Messico. Ferdinando Denis poi ci fa leggere una lettera piena di erudizioni con la quale si sforza a provare che il nome di tabacco è nato da Tabacco, nome che gli abitanti di S. Domingo danno alle loro pipe primitive. Dall’altra parte Cristoforo Colombo prima di abbordare a Tabago aveva di già disbarcato sulla spiaggia di Cuba nel 1492. L’istoria di questo IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 grande uomo ci dice positivamente che esso inviò esploratori nell’Isola di Cuba, i quali incontrarono nel cammino uomini e donne indiane che aveano in bocca un piccolo tizzo acceso, composto di una sorta di erba d’onde ne aspiravano il fumo, e precisamente questi piccoli tizzi, zigari o pipe, avevano il nome di tabagos. Bartolomeo de Las Gazas scriveva nel 1527: «Gl’Indiani hanno un’erba da cui ne aspirano il fumo con delizia; quest’erba è situata in una foglia secca a fazione di quei moschettoni che fanno i bambini in occasione della Pasqua. Seguita col dire, che gl’Indiani l’accendono da una delle estremità e succhiano ed inghiottono dall’altra estremità il fumo che aspirano col loro fiato, il quale produce in essi un assopimento in tutto il corpo, degenerando poi in una certa specie di ebbrezza. Essi allora asseriscono che non sentono più la fatica. Questi moschetti o tabagos com’essi li chiamano sono in uso presso tutti i nostri coloni; e volendo reprimere questi cattivi costumi, essi rispondono essere impossibile potersene allontanare. Io non so qual gusto, e qual profitto vi possano trovare». Infine noi troviamo utile presentare la figura e la descrizione del primitivo istrumento al quale il tabacco deve il suo nome. 61 giuseppe maria gottardi Gl’Indiani delle coste dell’Isole fra gli altri vizi ai quali sono dediti, ve n’è uno più cattivo, cioè quello di prendere dei frantumi di una certa erba ch’essi chiamano tabaccos allorché vogliono uscire fuori di sensi, e questo appunto lo fanno col fumo e profumo della suddetta erba, la cui pianta è somigliante a quell’alberetto che in Castiglia si chiama volgarmente Veleno, altrimenti detto anebane o giusquiamo che raccolgono in certe ceste. I principali abitanti hanno dei piccoli bastoni vuoti, molto politi e ben fatti, della grandezza circa di un palmo, e della grossezza di un dito piccolo della mano, a cui sono unite due piccole cannette che terminano in una, come precisamente è qui dipinta, tutta di un pezzo, e che situano alle loro narici, mentre l’altra estremità semplice resta piena di erba che fuma bruciando. Essi bruciano ancora le foglie della Il grande successo della Nicotiana con libero consumo durò tuttavia per poco tempo perché, già nel 1604, iniziarono violente proibizioni da parte dei Governi. Per prima l’Inghilterra con Enrico VIII; il Giappone nel 1607-1609; l’Impero Ottomano nel 1611; l’Impero Mogol nel 1617; Svezia e Danimarca nel 1632; la Russia nel 1634; Napoli nel 1637; la Sicilia nel 1640; la Cina nel 1642; gli Stati della Chiesa sempre nel 1642. medesima erba molto frammischiate ed inviluppate, ricevendo in tal modo il vapore del fumo due tre ed anche più volte fino a che non cadono in un sopore e dimorano distesi per terra perdendo il sentimento, e restano per lungo tempo addormentati di un sonno grave e pesante; e quelli che non possono avere questi piccoli bastoni fanno uso di un tubo con una cannella di rosa, a mezzo del quale istrumento aspirano questo profumo detto tabacco. Come si vede, la voce tabago o tabacco è conosciuta molto avanti dell’Isola che più tardi prese il consimile nome, e per conseguenza è più probabile che il nome Spagnuolo fosse preso dall’istrumento o dalla materia di cui i naturali si servivano per fumare. Riguardo a quest’ultimo governo si fa riferimento alla Bolla di Papa Urbano VIII che puniva con scomunica chi avesse l’ardire di prendere tabacco, in qualsiasi modo, nelle chiese. Questa scomunica fu rinnovata con Papa Innocenzo X nel 1650; nel 1681 da Papa Innocenzo XI e nel 1690 da Papa Innocenzo XII, ma Benedetto XIII, lui stesso grande tabaccone, nel 1724 revocò le scomuniche. LA RIVISTA DEL FURORE GIOVA GRANDEMENTE ALLA SALUTE MENTALE DEI SUOI LETTORI 62 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Nicotiana tabacum B IL TABACCO NEI LIBRI enché, come abbiamo visto, il tabacco abbia fatto la sua comparsa in Europa fin dal 1510 con Cortes, occorre attendere il 1564 perché esso venga descritto in maniera esauriente. In alcune rappresentazioni precedenti da parte di Dodœns (1554) e Mattioli (1563) il tabacco appare tra le solanacee sotto forma di un misterioso ed indefinito giusquiamo. Il primo autore è quindi il medico e agronomo francese Jean Liébault nato a Digione nel 1535 e morto a Parigi il 21 giugno del 1596. Nel suo Agriculture et Maison Rustique edito dal suocero stampatore Charles Estienne nel 1564 e più volte ristampato fino al 1570 dedica, per primo, un lungo capitolo al tabacco. Lo definisce: «la prima tra le erbe medicinali a motivo delle sue virtù IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 uniche e quasi divine». Descrive la Nicotiana Rustica L. considerata come un petum femminile, opponendola alla Nicotiana Tabacum da lui definita maschile. Conoscendo Nicot sarà lui che proporrà di chiamarla nicotiana in onore di colui che per primo l’aveva introdotta in Francia. Nel 1569, Mathias L’Obel (1568-1616) e il suo collaboratore Pierre Pena (1520/35-1600/05) pubblicheranno un’importante opera di botanica e medicina: Stirpium Adversaria Nova nella quale definiranno il tabacco: «Indorum Sana Sancta Sive Nicotiana Gallorum». 63 giuseppe maria gottardi Nel 1571 Nicolò Monardes di Siviglia (1500-1578) pubblicò un’opera dal titolo: Secunda Parte de las Cosas que traen de las Indias nella quale fece sintesi delle conoscenze e leggende sul tabacco. Al già ricco catalogo del Liebault, Monardes aggiunse: «i morsi velenosi, le affezioni di petto di qualsivoglia natura, la cefalea, le tumefazioni, il reumatismo, il male di denti, i raffreddamenti, le congestioni, i mali di ventre, la stitichezza, i calcoli renali ecc.», in verità, tutte le malattie in cui il freddo fosse ritenuto la causa primaria. Per quanto riguarda il tabacco, questo libro divenne il punto di riferimento per i medici che parteggiavano per il tabacco e per tutti gli altri botanici o medici che scriveranno sul tabacco nel XVI e XVII secolo. 64 Jacques Gohory [alias Orlande de Suave o Leo Suavius], nato a Parigi il 20 gennaio 1520 ed ivi morto il 15 marzo 1576, fu il primo a dedicare un testo esclusivamente al tabacco. Nella sua opera Instructions sur l’Herbe Petum dite en France l’Herbe de la Reyne, ou Medicée propose di abbandonare il nome di Nicotiana e di sostituirlo con quello di Medicea in onore della Regina Caterina. 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Nicotiana tabacum La prima importante monografia sul tabacco venne alla luce a Leyda nel 1622 grazie all’impegno di Johannum Néander (1596-1630) di Brema. Quest’opera mostrò per la prima volta tre tavole nelle quali si vedevano degli Indiani d’America al lavoro in una piantagione di tabacco europea. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 Ma ormai i tempi sono maturi e le conoscenze botaniche vanno facendo consistenti progressi. Un’opera capitale nella storia della botanica è quella del francese Joseph Pitton de Tournefort (1656-1708) nato ad Aix-en-Provence. I suoi Eléments de Botanique ou Méthode pour connaître les plantes sono il primo esempio di classificazione metodica che aprirà la strada al grande Linneo. Per il tabacco egli classifica tre sole specie. 65 giuseppe maria gottardi Dopo la confusione del XVI secolo ed i tentativi di classificazione del Tournefort, un anno prima della morte di quest’ultimo, il 23 maggio 1707, nasce a Råschult in Svezia Carl Nilsson Linnaeus (1707-1778), considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi. Infatti la L., posta spesso a seguire delle indicazioni di nomenclatura binomiale nei cataloghi di specie, identifica il cognome dello scienziato. Nel suo testo fondamentale Species Plantarum (Stoccolma, 1753), egli distingue quattro specie nel genere Nicotiana: Tabacum, Rustica, Paniculata, Glutinosa. Per la Petunoide si dovrà attendere il 1837. 66 La strada era aperta e, a Linneo, succedette lo scozzese Georges Don (1798-1856) che nel 1832 pubblicò il suo A General system of gardening and botany nel quale propose una classificazione tassonomica delle specie di Nicotiana che rimase valido fino al 1954 quando Thomas Harper Goodspeed imporrà la sua speciale classificazione (ancora oggi insuperabile) determinata dai caratteri morfologici delle specie, dalla loro distribuzione geografica, dai caratteri citologici e dal comportamento dei loro cromosomi. Sarà lui a suddividere il genere Nicotiana in tre sottogeneri, contando infine sessanta specie. È comunque indispensabile ricordare il nostro Orazio Comes (Monopoli, 1848 - Portici, 1917), botanico 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Nicotiana tabacum sublime, per i suoi studi sulla fitopatologia del tabacco. Condusse delle sperimentazioni decisive nel Giardino Botanico di Portici e nell’Istituto Sperimentale dei Tabacchi in provincia di Salerno. Le sue opere sul tabacco sono celebri: Monographie du genre nicotiana comprenant le classement botanique des tabacs industriels, Napoli 1899; Histoire, géographie, statistique du tabac: son introduction et son expansion dans tous les pays depuis son origine jusqu’à la fin du 19. siecle, Napoli 1900. Infine, non possiamo dimenticare lo splendido lavoro di William Bragge: Bibliotheca Nicotiana; a catalogue of Books About Tobacco ecc., le cui prime sessantun pagine di bibliografia storica sono un’autentica miniera d’oro. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 Ai giorni nostri la battaglia contro il tabacco è un fiume in piena. Nessuno, con tute le fascine al cuert, può pensare di riproporre un uso terapeutico di questa pianta e nemmeno pensare a suoi possibili benefici. Le ricerche mediche attuali ne sconsigliano il consumo a tutti i livelli. Tuttavia, nel profondo, rimane un unico dubbio: perché Dio o la Natura, a seconda della credenza di ciascuno, ha creato o sviluppato una pianta così buona a fumarsi? State in salute… se potete.❧ Giuseppe Maria Gottardi 67 Conversazioni Bibliofile a cura di Giuseppe Maria Gottardi G li otto volumi gia- Non so saziare la brama di aver libri, avvegnaché già me aggiunta l’ ottavo liulteriore opera cevano separati molti, e forse più del bisogno io ne possegga. Ma avvien bro; un’ in mezzo ad un de’ libri, quello che di tutte le cose: più ti vien fatto cer- del Lemaitre: En Marge miscuglio eterogeneo di cando trovarne, e più l’ avidità d’ averne altri ti punge: des Vieux Livres non rileromanzi fantasy di varia anzi ne’ libri v’ è alcun che di singolare. L’ oro, l’ argento, le gata ma nella sua preziosa natura. Erano come dei gemme, le ricche vesti, i marmorei palagi, il terreno ben carta giallina. pesci fuor d’ acqua. Non colto, le dipinte tele, il bardato corsiero ed altre cose delle Benché il Lemaitre abera certo quello il loro po- sì fatte dànno un piacere per dir così muto e superficiale: bia raggiunto un suo posto. Erano già miei, appe- i libri ti recano un interno diletto, parlano teco, ti consi- sto nella storia letteraria na li vidi. gliano, e a te per certa viva e penetrante familiarità si francese grazie proprio ai Sei di essi godevano di congiungono. Né di sé stesso soltanto istilla un libro ai suoi studi e ritratti dei un’ ottima rilegatura che si suoi lettori amicizia, ma i nomi eziandio di altri gli sug- suoi Contemporanei, è rivelò, grazie alla micro- gerisce, e l’ un dell’ altro ingenera il desiderio. nell’ ottavo libro che io 1 Francesco Petrarca, vol. III, Lett. XVIII (1325-1374) cercavo materia per i miei scopica etichetta, opera della Petite Fusterie Librai- 1 - Francesco Petrarca – Delle cose Familiari libri ventiquattro, Lettere varie pazienti lettori. Da diverso tempo, inrie H. Robert di Genève. I libro unico, ora la prima volta raccolte e volgarizzate e dichiarate con note da Giuseppe Fracassetti. Felice Le Monnier, Firenze, 1863, Vol. Primo, p. 460 fatti, avevo incontrato dei dorsi portavano un cartel- . riferimenti di questo aulo in pelle con scritte dorate: j. lemaitre – les contemporins. contenevano l’ opera omnia, appar- tore alla bibliofilia, ma non mi era Il settimo, giustificato dal fatto di sa in vita di Jules Lemaitre – Les stato possibile rintracciarne il testo. Ed ora eccolo qua, ma, prima di essere uscito in edizione tre anni do- Contemporains. Études et portraits po, era a sua volta rilegato ma di ben littéraires il grande accademico presentarvelo è necessario fare una altra fattura pur mostrando un mal- francese e tutte, come possiamo os- piccola premessa. Nei primi nove numeri della nodestro tentativo di copiare i fratelli, ed servare, avevano le scritte sul carstra bellissima Rivista (ma si accetil cartello di colore diverso riportava: tello sbagliate. Per il prezzo di sette euro, che mi tano anche opinioni discordanti) lemaitre – les contemporans. Tutte e sette queste rilegature guardai bene dal discutere, ebbi co- abbiamo sempre presentato qualsiGiuseppe Maria Gottardi J. Lemaitre, Les vieux Livres 68 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI conversazioni bibliofile asi testo straniero con la sua traduzione. Qualcuno però (abbiamo ricevuto qualche osservazione in merito) ha avanzato l’ obiezione che non è sempre utile averla e che forse, laddove essa non presenti grosse difficoltà (per esempio un testo in lingua urdu), sarebbe forse più bello lasciare spazio alle conoscenze linguistiche dei nostri esimi lettori. Per questo motivo l’ articolo del Lemaitre viene presentato nella sua lingua originale. Tuttavia, qualsiasi richiesta, scritta o per email che ne richieda la traduzione, verrà evasa dalla Redazione.❧ Giuseppe Maria Gottardi François Élie Jules Lemaitre, nato a Vennecy il 27 aprile 1853 e morto a Tavers il 5 agosto 1914, fu scrittore e critico drammatico francese. Professore di Retorica al liceo di Havre, conferenziere alla Scuola superiore di Algeri nel 1880, incaricato di letteratura francese alla Facoltà di Lettere di Besançon nel 1882 e professore in quella di Grenoble nel 1883. Collaboratore della “Revue bleue” e del “Temps”, si fece un nome come critico drammatico nel “Journal des Débats”. Le sue critiche vennero raccolte ne: Le Contemporains (7 serie: 1886-1899) e nelle Impressions de théâtre (10 serie, 1888-1898). Nel 1884 rinunciò all’ insegnamento per consacrarsi in toto alla letteratura. Venne eletto all’ Académie française il 20 giugno 1895. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 jules lemaitre Les vieux Livres Lecture faite à l’ Académie française Messieurs, Il me semble que tous les collectionneurs – à moins que l’ objet de leur manie ne soit décidément absurde – sont respectables à quelque degré. Ils combattent et retardent, sur un point, l’ universelle et inévitable destruction. Ils sauvent et conservent du passé, et du passé choisi. Mais j’ estime que, parmi eux, celui qui s’ attache aux vieux livres est particulièrement bien inspiré. Car il ne conserve pas seulement, comme les autres collectionneurs, un objet, d’ art (c’ est ici la reliure qui, si elle est belle, est œuvre de l’ esprit autant que de la main): il conserve encore ce qui fut, par la lettre imprimée, l’ expression directe de l’ esprit. Il lui arrive même, par l’ heureuse réunion de ces trois choses; vieille reliure armoriée, texte important, provenance illustre, de posséder et de sauvegarder des fragments d’ histoire triplement vivante. Il y a quelques années, passa dans une vente l’ exemplaire, aux armes de Richelieu et annoté par lui, des Sentiments de l’ Académie sur le Cid; une autre fois, ce fut l’ exemplaire d’ Esther offert par Racine à Mme de Maintenon, avec dédicace autographe. Oh! Ne dites pas: «Qu’ est-ce que cela nous fait?» Quelle âme bien située et, par conséquent, respectueuse de l’ Académie, quelle âme amoreuse de Racine et intéressée par la jolie aventure de Saint-Cyr resterait froide devant ces deux livres, en songeant à qui ils ont appartenu, par qui ils ont été offerts, par qui ils ont été feuilletés, et quelle main, se posant sur leurs pages; conduisit la plume d’ oie dont ils ont entendu le petit cri et senti l’ égratignure, il y a deux cent soixante-dix et deux cent vingt ans? Mais ce sont là joyaux exceptionnels pour amateurs opulents. Il est des trésors plus accessibles et qui ont encore leur charme: par exemple, un bon vieux livre classique; contemporain de l’ auteur; en bonne condition, avec del bonnnes marges et reliure du temps, en maroquin s’ il se peut. Certes, je ne dis pas de mal des splendides reliures d’ aujourd’ hui. Elles sont extrêmement ingénieuses. Ce sont parfois de vrais 69 conversazioni bibliofile petits tableaux en mosaïque. On y met des lis, des iris, des chardons, des profils de femmes et des têtes de morts. L’ exécution est plus parfaite qu’ elle ne fut jamais. Même quand le décor ne consiste qu’ en filets, fers ou plaques, cela est d’ une netteté, d’ une exactitude à laquelle les doreurs de jadis n’ atteignaient point. Mais, le dirai-je? Une des choses qui me touchent dans les beaux dessins des antiques reliures, c’ est que jamais ils ne sont d’ une géométrie irréprochable; toujours quelque tremblement ou quelque hésitation des lignes nous rappelle et nous rend présente la main vivante et mobile de l’ ouvrier qui les exécuta. Joignez que le temps assourdit délicieusement les ors et qu’ il donne aux peaux, surtout aux rouges et aux vertes, des tons d’ une douceur, d’ une richesse, d’ une somptuosité à demi éteinte, d’ un fondu et, si je puis dire, d’ une onction que nul artifice ne saurait imiter. Et ce n’ est pas tout: le contenu de ces vieux livres y semble bien meilleur que dans une réimpression moderne. Je songe surtout, ici, à certains textes du second rang, qui sont curieux, qui ont jadis paru beaux, qui ont encore leur prix, mais dont la lecture, dans une édition d’ aujourd’ hui, est tout de même un peu laborieuse. Eh bien, lisez-les dans un volume, sur du papier et dans des caractères qui leur soient contemporains, la lecture, vous en deviendra facile. Ce sera comme si l’ aspect et le toucher du vieux livre vous inclinait à l’ état d’ esprit des ancêtres pour qui ces moralités et ces histoires furent écrites. Les locutions aujourd’ hui vieillies vous surprendront moins, et vous entrerez plus aisément dans le genre d’ affectation ou de pédantisme propre au temps où ce bouquin vénérable fut imprimé. J’ irai plus loin: je crois que les grands écrivains eux-mêmes gagnent à être lus dans une édition de leur âge. Que sera-ce dans la première édition, dans l’ édition originale! Ici, un homme sensé pourra dire: «Je comprends que l’ on recherche les vieilles reliures au même titre que les vieilles assiettes. Avec les vieilles reliures, d’ ailleurs, on fait de très jolis buvàrds… Mais qu’ est-ce qu’ une édition originale a de si excitant? En quoi la première édition d’ un 70 ouvrage classique diffère-t-elle de la deuxieme et des suivantes, sinon par une date sur le titre? Et cette différence justifie-t-elle des écarts de prix qui vont comunément à quelque centaines d’ écus?» Ah! Messieurs, que voilà des propos superficiels! J’ espère pour vous que, si vous aviez entre les mains l’ édition originale du Cid, d’ Andromaque ou de l’ École des femmes, vous sentiriez bien autrement. A coup sûr, vous entreriez en méditation et vous vous diriez: – Ainsi, les caractères imprimés sur ce papier jauni sont les premiers, – les premiers! – qui aient traduit aux yeux tel chef-d’ œuvre du génie humain. Ils sont les premiers où Corneille; Racine, Molière, aient reconnu leur pensee devenue visible, et détachée d’ eux-mêmes. Auparavant, ces œuvres n’ existaient que sur des feuilles manuscrites disparues et sous le front de leurs auteurs. J’ en tiens dans mes mains la première expression matérielle, publique et durable. J’ assiste, pour ainsi parler, à leur naissance, qui fut un moment auguste de l’ histoire littéraire. Ah! Ces yieux feuillets sont pleins de vie… Le veille, on ne les connaissait pas… Un jour, ils ont paru tout à coup, sous leur modeste et solide habit de veau ou de vélin; dans la boutique de Bárbin, au Signe de la Croix; ou de Ribeu, à l’ Image saint-Louis, sur le perron de la Sainte-Chapelle. Tel bourgeois plein de prud’ homie, tel gentilhomme oui telle dame, – habillés comme on les voit encore aujourd’ hui dans les pieces du repertoire, – ont aperçu à l’ étalage le volume tout neuf et l’ ont acheté trente sols. Mme Sévigné peutêtre ou Mme de Lafayette l’ a fait demander par son laquais, ou bien, passant par là, est descendue de sa chaise ou de son carrosse et, après avoir échangé avec Barbin quelques phrases obligeantes, elle a acheté elle-même son exemplaire, – un exemplaire pareil à celui que je tiens, celui-là même peut être, – et remontée dans sa voiture, elle s’ est mise à le feuilleter, en attendant la fin d’ un de ces embarras de rues décrits par Despréaux… Mais, Messieurs, à une âme véritablement éprise, l’ édition originale vulgaire ne suffit encore pas. Jadis, vous le savez, l’ impression d’ un ouvrage, même de proportions 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI conversazioni bibliofile modiqués, durait généralement de longs mois. On n’ était pas pressé. Les ouvriers imprimeurs étaient, pour la plupart, assez ignorants. En outre, les auteurs n’ étaient pas très attentifs à la correction de leurs épreuves, ou même s’ en remettaient à leur libraire. On tirait d’ abord quelques exemplaires. L’ auteur y jetait les yeux, et y découvrait des fautes, qu’ il faisait corriger dans le reste du tirage. Vous direz: «Ces exemplaires corrigés valaient donc mieux, et ce sont ceux-là qu’ il faut avoir.» Et vous répéterez de faciles railleries sur l’ amateur qui achète à prix d’ or, quand il peut le rencontrer, l’ exemplaire avant les cartons, «l’ exemplaire avec la faute.» Messieurs, la manie de cet amateur n’ est peut-être pas si absurde. Il se dit que trouver et tenir l’ exemplaire fautif, qui est vraiment le premier, c’ est faire une petite conquête de plus sur le passé, c’ est se rapprocher encore un peu de l’ heure émouvante où la pensée de l’ auteur s’ est exprimée pour la première fois par des signes typographiques. Et je ne parle point des cas où des corrections et des suppressions importantes et significatives ont été faites en cours de tirage, si bien que les exemplaires tirés d’ abord sont réellement beaucoup plus intéressants que les autres, – comme il est arrivé, par exemple, pour les Pensées de Pascal ou pour le Don Juan de Molière. Ici, mon amateur d’ exemplaires avant les cartons n’ a presque plus besoin d’ être justifié. Mais l’ homme sensé reprendra: «Ces textes primitifs et complets, vous les trouverez à moins de frais dans quelque édition moderne. Vos plaisirs, en somme, sont plaisirs de pure imagination.» Assurement; mais vous m’ accorderez qu’ ils sont innocents, et qu’ ils ont même leur noblesse. Ils impliquent certains sentiments ou certaines dispositions fort louables: respect, curiosité, don de sympathie. Et, si ce sont plaisirs d’ imagination, celui qui se les crée est donc, lui aussi, à son rang, un modeste inventeur de voluptés chastes, une manière de poète. Et enfin, à supposer que sa manie s’ amortisse un jour, il ne sera jamais complètement déçu, s’ il prend la peine de IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 lire ce qu’ il a collectionné. Ces bouquins, qu’ il recherchait principalement à cause de leur date ou de leur habit, ce sont des livres dont le texte vaut par lui-même: et ainsi la collection rare pourra bien être, par surcroît, la plus substantielle des bibliothèques. Je ne veux pas donner dans ce paradoxe banal, que les derniers venus n’ ont rien trouvé de nouveau, et que tout a été dit depuis qu’ il y a des hommes. Il est toujours vrai que tout a été dit: mais ce n’ est jamais tout à fait vrai. Il est possible que plusieurs écrivains du XIX° siècle aient été d’ une intelligence plus souple et plus étendue que les classiques, et il est possible que certains autres aient eu une sensibilité plus affinée. Je crois, en tous cas, qu’ ils ont singulièrement développé, enrichi et nuancé le contenu des livres d’ autrefois… Mais il demeure fort probable qu’ avec Corneille, Racine, Molière, La Fontaine, avec Rabelais, Montaigne, Descartes, Pascal, Bossuet, La Bruyère, on a déjà toutes les remarques essentielles sur la nature humaine, sur l’ homme religieux, l’ homme politique, l’ homme social. Et il faut avouer que ces réflexions, ces peintures, même ces lieux communs, ayant rencontré là, pour la première fois, une expression à peu près parfaite, gardent une fleur, une saveur, une plénitude, une grâce ou une force qu’ on n’ a guère retrouvées depuis. Il n’ est donc pas déshonorant de s’ en contenter, et il est, au surplus, délicieux d’ y revenir par le plus long, j’ entends après avoir joui des enrichissements ajoutés par les âges récents à ce trésor primitif et essentiel. Et alors c’ est une volupté complète de goûter, dans les dessins et les tons de la reliure que tant de mains ont maniée et polie, dans la couleur et le grain du papier, dans la date du privilège du roi, dans la forme des caractères typographiques, dans les sentiments ou les pensées que ces caractères expriment aux yeux, dans le tour même et l’ accent de ces pensées et de ces sentiments, – et dans tout cela à la fois, – le charme mystérieux du passé. 71 Libro chiama libro a cura di David Cerri C ome molti dei nostri lettori – almeno così mi immagino – anche chi scrive è un appassionato bibliofilo; non nel senso che dedichi molto tempo e un bel po’ di denaro (difettando l’ uno e l’ altro) alla sua passione, ma ingegnandosi di trarre il massimo profitto da quelle occasioni di “affari” che possono capitare: insomma un bibliofilo a buon mercato. “Affari” questi, beninteso, non in termini economici, trattandosi di transazioni che per principio non devono superare qualche diecina di euro (altrimenti che gusto c’ è), ma per la peculiarità della scoperta e l’ interesse dell’ oggetto. Si potrebbe già qui obiettare sulla definizione di un libro come oggetto, ma tant’ è, certamente non intendo diminuirne l’ importanza, ma semplificare le cose. Capita allora di trovarsi in giro, soprattutto in vacanza, quando la mente è più libera e vi è maggiore possibilità di perder tempo impolverandosi nella disagevole consultazione di scaffali; e, date le mie preferenze (e la capacità che mi attribuisco senza modestia di ben comprendere la lingua inglese scritta), la vacanza è spesso nel Regno Unito, ed è lì che ho avuto le maggiori soddisfazioni. Da molti anni frequento con una certa assiduità Londra, ed in particolare il quartiere di Chelsea, dove posso godere con la famiglia dell’ amichevole disponibilità di un alloggio per brevi soggiorni, e camminando camminando per quelle strade calme e pulite (e siamo ad un passo dal centro città), costeggiando quelle case dove apparentemente (quasi) a nessun architetto contemporaneo è venuto in mente di inserire sue creazioni multipiano accanto a bassi edifici del ‘ 700 (si capisce la mia anglofilia, vero?), già parecchio tempo fa ho scoperto uno di quei posticini da non consigliare agli amici, per paura che diffondano troppo la voce. Quasi in fondo a King’ s Road (a World’ s End, appunto) c’ è dunque questa piccola libreria di libri di seconda mano (tanti) e di antiquariato (meno), con il suo bravo settore di prime edizioni. Dalle prime visite, devo dire, il fasci- no è un pochino scemato, e solo perché l’ attività si è ammodernata; ha il suo sito internet, e soprattutto è più pulita ed ordinata, indubbiamente gravi difetti per chi ama l’ odore della carta invecchiata e dei volumi polverosi. Qualche scoperta di questi anni: la prima edizione U.S.A. (1950) di The Family Moskat di Isaac Bashevis Singer; quella inglese (1959) della trilogia di Samuel Beckett Molloy-Malone Dies - The Unnamable; quella dei racconti di Sean O’ Faolain The Heat of the Sun (1966); Two lives di Vikhram Seth (2005); anche comics, come l’ insuperabile antologia di The Far Side di Gary Larson. Così, insomma, ogni visita a Londra deve concludersi (non iniziarsi, perché c’ è di mezzo il desiderio sicuramente infantile di lasciarsi le cose migliori per ultime) con una passeggiata su King’ s Road, dopo essersi lasciati un po’ di spazio nelle valigie (rigorosamente sottoposte al regime delle compagnie low cost, quindi ai minimi termini; e c’ è da considerare che quasi sempre sono già o- A Cheap Bibliophile * 72 David Cerri * Un bibliofilo a buon mercato 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI libro chiama libro berate da almeno una prima edizione firmata dall’ Autore di un’ opera di narrativa contemporanea appena uscita, che una libreria –dal 1797– come Hatchard’ s offre immancabilmente in Piccadilly: tra le mie ultime scelte Pulse e The Sense of an Ending di Julian Barnes, Solar di Ian McEwan, A Man of Parts di David Lodge). In quel buchetto non c’ è solo narrativa, ma anche antiche enciclopedie, libri di storia, cinema, religione, grammatica e lingua in genere; tutto ciò spesso è occasione per consolidare la mia predilezione per quella civiltà (che senz’ altro sbaglio ad idealizzare, ma che ci volete fare…). Come quando nel settore Reference ho trovato un volumetto del ’54, che riuniva due opere esemplari di Sir Ernest Gowers, Plain Words e The ABC of Plain Words, sotto il titolo della prima1. Magari tornerò altrove su questo tipo di opere, ma – parlando prima dell’ Autore – diciamo anche qui che Sir Gowers è un esempio di grand commis di Stato, integerrimo servitore della Regina in diversi campi dell’ attività pubblica (per dirne solo due, durante la seconda guerra mondiale fu commissario regionale per la difesa civile per la zona di Londra, e successivamente presidente della commissione reale sulla pena di morte, esperienza dalla quale trasse un’ opera lodata nientemeno che da H.L.A. Hart che, per chi non lo conoscesse, è stato uno dei più grandi filosofi del diritto del secolo scorso). 1 - E. Gowers, The Complete Plain Words, London, Her Majesty’ s Stationery Office, 1954. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 Il motivo del mio particolare apprezzamento consiste nel constatare come quantomeno sin dagli anni Quaranta in Gran Bretagna fosse ben presente la necessità che il linguaggio dell’ amministrazione pubblica fosse plain, cioè semplice, comprensibile a tutti; perché l’ opera è diretta proprio agli officials, ai funzionari pubblici, affinché nella loro attività si esprimano in termini immediatamente disponibili agli interlocutori, utilizzando la lingua inglese scritta come “uno strumento del proprio ufficio”. E a dire il vero, non è al Novecento che si deve far risalire questa consapevolezza, ma a molto prima: Gowers pone ad epigrafe una citazione da un testo della seconda metà del Seicento, secondo la quale “Come se le parole semplici, utili e comprensibili istruzioni, non fossero altrettanto buone per l’ esquire, o per chi avesse ricevuto in incarico dal re, così come per chi regge l’ aratro”. Se non è spirito democratico questo, cos’ altro? Lo scopo dell’ opera è chiaramente espresso dall’ autore nella prefazione quando premette che essa non ha la pretesa di essere una grammatica della lingua inglese, ma di indirizzare “la scelta e la composizione delle parole in un modo tale da trasferire quanto più esattamente possibile un’ idea da una mente ad un’ altra”. Si capirà bene quale interesse tali affermazioni possano rivestire per chi è un giurista, ed un giurista pratico; e del resto l’ ambito entro il quale si muove l’ opera è il medesimo, tanto che un capitolo – sia pure in forma di digressione – è dedicato proprio al Legal English, e contiene molte interessanti osservazioni, come quella sulla distinzione tra il linguaggio degli atti legislativi od amministrativi e quello dei consulenti legali privati. Il primo è infatti dettato dalla necessità di evitare ogni ambiguità, e quindi può apparire più pedante, ripetitivo, perché il suo scopo è proprio quello di immaginare “ogni possibile combinazione di circostanze alle quali le sue parole possano applicarsi ed ogni concepibile errata interpretazione che potesse derivarne, e di prendere quindi ogni conseguente precauzione”. Alla base di tutto c’ è la considerazione che “le parole sono uno strumento imperfetto per esprimere concetti complicati con certezza” e che quindi ogni sforzo va impiegato nella direzione di ottenere chiarezza. Un altro grande inglese – John Locke – aveva dedicato una parte del suo “Trattato sull’ intelletto umano” giusto all’ “abuso delle parole”, nel quale si devono probabilmente trovare le radici delle posizioni di Gowers: così quando scrive che “essendo il principale scopo del linguaggio nella comunicazione quello di essere compreso, le parole non funzionano bene a quel fine… quando una parola non suscita nell’ ascoltatore la stessa idea presente nella mente di chi parla”2. Non sono banalità: tutto quanto ho scritto poco sopra avrà sicuramente 2 - J. Locke, Of the Abuse of Words, estratto da An Essay Concerning Human Understanding (1689), London, Penguin Books, 2009. 73 libro chiama libro suscitato nel lettore un impietoso confronto con la nostra realtà (e probabilmente oggi anche un lettore inglese farebbe analoghe considerazioni sul rispettivo stato della cosa pubblica). Nonostante qualche ammirevole sforzo (come le periodiche circolari, ed i manuali, anche regionali, sulle tecniche di redazione degli atti legislativi) né il nostro legislatore, né la nostra magistratura, né gli avvocati (che però, sia detto contemporaneamente a loro merito e disdoro, talvolta sono consapevoli di voler semplicemente confondere le acque) riescono nella maggior parte dei casi a farsi capire contemporaneamente dall’ inviato del re e dal contadino. È vero che non si può semplificare ciò che semplificabile non è (quante controversie comportano l’ uso di linguaggi strettamente giuridici di settore, o più propriamente tecnici), però che almeno si crei la consapevolezza che chiarezza (e concisione) siano elementi strutturali ed essenziali del linguaggio giuridico dovrebbe essere presente a chiunque si avvia ad una delle professioni forensi (includendovi quella del redattore delle leggi, che poi spesso è di fatto un magistrato od un avvocato); ma così non è, a partire dalle aule universitarie per proseguire fino alla pratica professionale, ed anche se le categorie stanno 74 cercando di porre rimedio a queste lacune. Perdonata la digressione sulla digressione, torno per concludere alle speranzose ricerche dell’ “occasione” che giustifichi il rischio che al check in aeroportuale si accorgano del sovrappeso; ebbene quest’ estate ho aggiunto un nuovo gioiello alla mia collezione di librai dell’ usato: un altro piccolo antro, sotto il castello di Edimburgo, sulla West Port nella città vecchia, che ha meritato il soprannome di Soho per la combinazione di vecchie librerie e locali di striptease (una libreria porta a porta con un club di lap dancing reca in vetrina questo slogan “per sole 2 sterline e mezzo un libro ti siederà in grembo [lap] per tutta la notte”), e che ospita dal 2008 il West Port Book Festival. Vale la pena di citare qualche riga della presentazione sul sito internet, che mette in guardia il visitatore dai molteplici pericoli che vi si annidano: dagli scaffali sovraccarichi che si lamentano “come alberi di una nave a vela durante la tempesta”, ai tappeti consunti e “quasi-orientali” che possono ingannare l’ occhio (e il piede), fino al devastante calore che può far generare fenomeni di combustione spontanea dei libri in vetrina sotto il “torrido sole scozzese” (fenomeno che probabilmente, considerate le or- dinarie condizioni climatiche di quei luoghi, l’ appassionato proprietario più che scongiurare, evoca…). In una brevissima incursione, dopo una faticosa giornata turistica, mi è stato possibile soltanto reperire – nel solito settore – un volumetto titolato The Book of Ignorance3, dedicato a sfatare una serie di luoghi comuni e verità consolidate con semplici notazioni scientifiche, in quello spirito un po’ eccentrico tipico degli inglesi, e notare l’ arguzia dei numerosi post-it appiccicati dal libraio sui volumi, con i suoi personali commenti; e, successivamente, lasciarmi andare ad un accorato rimpianto per aver seguito il saggio consiglio della coscienza (che aveva comparato l’ ormai scarso peso del portafoglio con quello notevolissimo della valigia che mi aspettava l’ indomani) di non acquistare una prima edizione rilegata dell’ ultimo romanzo di Zadie Smith, N.W., con tanto di lunga dedica dell’ Autrice a tale Helen (il cui nome sia consegnato ad eterna ignominia per essersi rivenduta l’ opera così affettuosamente consegnata). Ma, non amo che le rose che non colsi, no?❧ David Cerri 3 - J. Lloyd-J. Mitchinson, The Book of Ignorance, London, Faber and Faber, 2006. 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Rinvenimenti a cura di Stefano Tonietto Tra le innumerevoli divinità del pantheon romano, singolare è certamente Eiectatio (per i Greci Σφιγή), la dea dello “iettare”, gettare il malocchio su qualcosa o qualcuno. Nume temuto, cui si sacrificavano chiodi di ferro, rametti di corallo rosso e genitali di ariete, ma che ha lasciato scarsissime tracce nella letteratura latina, per l’ ovvia tendenza a non nominarla esplicitamente. Tanto colpisce l’audacia di questo poeta visionario che osò sfidare la mentalità comune, portando agli uomini l’audace messaggio razionalistico e antisuperstizioso della filosofia: la sfortuna non è frutto di malevolenza umana, come predicavano le caste sacerdotali, ma è connaturata alle cose, “nulla nasce dal nulla, solo la jella riesce a nascere dal nulla”. “L a cosiddetta questione omerica appare come una banale sciarada da ‘ Pagina della Sfinge’ di fronte all’ enigma rappresentato da quest’ opera”. Così Raurich von Wilamowitz-Peppermint7, primo editore del De rerum iactura, sconcertato anch’ egli, nella sua teutonica razionalità, dalla massa veramente enorme di ostacoli che questo classico minore della poesia didascalica frappone alla comprensione da parte del lettore moderno. La prima delle incertezze relative a questo testo pertiene all’ identità dell’ autore. I principali codici8 re7 - Incerti Auctoris De Rerum Iactura libri qui supersunt, ed. Raurichus von WilamowitzPeppermint, in aedibus Teubnerii, Lipsiae 18997. 8 - Il Mediceus 564 del sec. X (M), così chiamato perché appartenuto alla biblioteca del medico condotto di Campolongo Parmense, e il Kenyanus 112/B (K) altresì detto Oblongus per- cano la seguente intestazione: Incerti auctoris de rerum iactura liber I infel(iciter) incipit. Elementi interni al testo che rivelino qualcosa di più non ve ne sono. Si aggiunga che l’ opera non è citata in modo esplicito da alcun autore precedente ad Isidoro di Siviglia (VII sec.), il quale, dal canto suo, si guarda bene dal citarla in modo esplicito. Dobbiamo dunque rassegnarci ad utilizzare fonti tarde, la principale delle quali è una glossa umanistica a margine di un volgarizzamento duecentesco di un’ epitome redatta attorno al Mille del sunto d’ età ottoniana d’ una traduzione longobarda degli indici del Chronicon breviarium di Tecnezio (circa 550 d.C.). Il testo, noto anche come Vita Cotidiana, dal nome dell’ umaniché scoperto dallo studioso Mbongu Oblongu nell’ abbazia cistercense di Nairobi. sta olandese Willelmus Cotidius o Quotidius che la trascrisse nel 1502, prima della distruzione causa un incendio del volgarizzamento di cui sopra, è il seguente9: Incertus Auctor poeta nascitur, qui postea re familiari amissa, relictus ab uxore, invisus principi, propria se manu interficere non potuti. (Nasce il poeta Incerto Autore, il quale in seguito, avendo perso il patrimonio familiare, essendo stato lasciato dalla moglie, risultando odioso all’ imperatore, non riuscì ad uccidersi di propria mano.) Avremmo così il nome del poeta, Incerto Autore10, e alcuni dati relati9 - Corpus glossariorum aetatis humanisticae, MMCCXXXIV, 23.786. 10 - Vale appena la pena di menzionare le recenti teorie del Babbalucci (“Excerpta Philologica”, XXI (2003), pp. 3-6), il quale, mosso da eccessi- Stefano Tonietto Incerto Autore, De rerum iactura IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 75 rinvenimenti identificare il princeps cui Incerto sarebbe stato inviso, ma con scarsi risultati7. Gens e famiglia di Incerto sono ignote, a meno di non voler dare retta ad una notizia di Escremenzio (De vitiis illustribus) secondo cui il padre sarebbe stato un Ignotus Miles e la madre una certa Certa (mater semper Certa est…, XII, 34). Il testo del poema non fornisce chiare indicazioni circa la patria dell’ autore8; si può invece dedurne il livello culturale (bedauerlich, secondo lo Heinsius). Evidente è comunque l’ influsso ideologico che sul poeta ebbe la scuola filosofica di Dannunzio, lo Stocasticismo, che divinizzava l’ Atychia (sfortuna) ed in polemica con il materialismo epicureo sosteneva che “gli dèi esistono, poiché ce l’ hanno con noi” (fr. 2 Diels-Krantz). Pur senza nominarlo, anzi, Incerto Autore riteneva Dannunzio il proprio maestro, elogiandolo quale genio imperituro anche per i dettagli più bizzarri della sua vita privata, quale l’ uso di dormire in una bara (feretro recubans in acerbo, I, 143). Scarse le notizie sulla vita del poeta, ancor più scarse quelle relative alla morte: sappiamo solo che, fedele fino all’ estremo al suo fato, L’unica imagine rimasta di Incerto Autore. La notevole somiglianza con il poeta egli non riuscì nemmeno nel suiciAngustus (vedi “Rinvenimenti” sul n. 8 della RdF) è dovuta all’usanza dell’ epoca di ridio, ultima soddisfazione di un ciclare busti di personaggi non più di moda cancellandone il nome e sostituendolo con quello del nuovo acquirente. La scultura infatti doveva “non imitare il reale ma raffiguperseguitato dalla mala sorte quale rarne l’ essenza spirituale”. egli, certamente, fu.❧ vi alla sua biografia; dati che, nel loro insieme e singolarmente, non escludono, anzi, inducono fortemente a sospettare che si tratti proprio dell’ autore del De rerum iactura. Purtroppo il dato cronologico è carente, in quanto non sappiamo a quale anno della cronaca tecneziana fosse stata apposta la glossa in questione. Si è tentato di Stefano Tonietto vo ed anzi infantile entusiasmo, vorrebbe attribuire ad Incerto Autore testi latini come l’ Octavia del corpus tragico senecano o greci come il Reso pseudoeuripideo e il trattato anonimo Del sublime. 76 7 - Valgimigli pensava a Caligola, notoriamente superstizioso e dunque portato a considerare Incerto un vero menagramo. 8 - Estremamente dubbia è l’ interpretazione dei celebri versi dal proemio al libro II: Padua me genuit, sum Patavinus, Patavi / nascor, Patava urbs Medoaci ad arva me dedit (II, 13-4). 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI rinvenimenti Breve antologia del De rerum iactura Il poema consta di tre libri in esametri; risulta quindi ben lontano dalle ambiziose intenzioni dell’ autore (triginta volumina pandi, I, 43). Si aggiunga che anche dei tre libri superstiti sopravvivono appena singoli frammenti non collegati tra di loro7, e si avrà il quadro di un’ opera perseguitata dalla mala sorte. Il proemio del primo libro enuncia solennemente quale sarà l’ ardua materia del canto: Magna sed ingeniis tam formidata maiorum ut latuere diu, nec dicere fertur adhuc fas, ecce, insane, canam animo linguaque furenti, spretus omen, nomen fati: iuvat ire per atra. (I, 1-4)8 (Cose grandi, ma tanto temute dagli ingegni degli avi che a lungo rimasero nascoste, e che nemmeno oggi, si dice, è lecito riferire, ecco che io, o pazzo che sono, canterò con animo e linguag- Un’ opera del genere va intrapresa col massimo possibile di auspici favorevoli: tantae molis opus si tempto tempore tali. Attamen aggredior pede dextro, neque sinistro (I, 20-21) (*** se tento un’ opera di tal mole in un periodo del genere. Tuttavia mi accingo, col piede destro, non col sinistro.) Doveva seguire la celeberrima dimostrazione dell’ esistenza degli dèi, cardine del poema: l’ accanimento costante e attento nei confronti dell’ essere umano (attestato da continue e gravi sciagure, grandi e piccole) è evidentemente dovuto ad un disegno preordinato di entità superiori onnipotenti. Del complesso ragionamento ci rimane solo l’ enunciato fondamentale: gio invasato, sprezzando il presagio e il nome del fato; mi piace andare per i neri ***) Esse igitur numen quoddam divosque necessest. (I, 234) Dopo una lacuna imprecisabile, veniva una ben strana invocazione agli dèi: in sostanza, Incerto intona una preghiera alle divinità della sfortuna affinché… non lo assistano: (È perciò necessario che esistano una qualche divinità e gli dèi.) O mala Sors, Iactura, adversaque numina, fata pessuma, omnia, o, totiens contraria nobis: carminibus, quaeso, a nostris ite faventes. (I, 13-15) (Invero siamo sbattuti, innocenti, tra le avversità.) (O Sorte malvagia, Iattura, Numi avversi, Fati pessimi, insomma, o voi, tutte le cose che ci sono contrarie! Vi prego, Eppure, l’ umanità è innocente: Quippe per adversas nos res iactemur inulti. (I, 287)9 Osservare i guai altrui può sembrare piacevole, ma prima o poi la sciagura toccherà anche al compiaciuto spettatore: siate favorevoli, e allontanatevi dai miei carmi!) 7 - L’ archetipo da cui entrambi i codici derivano fu appena impostato dall’ amanuense, il quale aveva numerato in via preliminare tutte le righe di ogni libro, ma si era poi limitato a trascrivere gruppi di versi staccati, lasciando vistose quanto inemendabili lacune. Conosciamo dunque la numerazione esatta di ogni verso del testo frammentario a noi giunto. 8 - Verso 4: cfr. Ovidio, Met., XV, 147; Manilio, I, 13. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 Fluctibu’ Neptuni magna spectare per arva10 vexatas puppes, stans celso in litore, tantum extra discrimen salvus, quam saepe delector. At dum intueor, pendentium ecce ruina 9 - Verso giudicato spurio o corrotto dal Blitzkrieg. 10 - Cfr. Livio Andronico, Odusia, fr. 23. 77 rinvenimenti saxorum, pedibus moles prolabitur ingens et rapidissima me mergit de more sua vi7. Quos mirabar, nunc inversa vice delecto: derident rari nantes me in gurgite vasto. (I, 566-573) Quod male ire potest, ea non bene itura necessest. (I, 724) (Quanto spesso mi diletto ad osservare, dall’ alto di un’ eccelsa La condizione umana, per Incerto, dipende però anche dal comportamento individuale e collettivo: scogliera, standomene in salvo, fuori da tanto pericolo, il tra- (Ciò che può andar male, necessariamente non andrà bene.) vaglio delle navi tra i flutti sulle grandi distese di Nettuno! malferme, una gran massa crolla sotto ai miei piedi e in pochi Iactamus nostri similes nec non iactamur ab illis. (I, 801) istanti con la sua violenza mi travolge: come al solito! Ora, (Infliggiamo travagli ai nostri simili e ne riceviamo da loro.) Ma, mentre guardo attentamente, ecco che franano le rocce mutata la sorte, allieto coloro che osservavo: rari naufraghi mi deridono nel vasto gorgo.) La Sfortuna può colpire gli umani in qualunque manifestazione della loro vita; ma particolarmente sensibile è il suo intervento in ambito erotico: Il tormento dell’ arduo tema affrontato emerge anche dal proemio (purtroppo mutilo) al secondo libro: Pelaga permultos numquam temptata per annos aggredior demens incerta e litore pinu. (II, 1-2) (Mari profondi mai sperimentati da lunghissimo tempo io af- Nonne vides quotiens careas tentigine nervum tunc ubi formosam amplecteris ullam anhelus, audax atque aries tibi desit limine in ipso? haec sequitur rabies, lis, accedunt clamores, undique concurrunt servi, fit magna querela. Adde quod affertur de te mala fama per urbem: saepe sub aeria resonabis porticu aspre. (I, 709-715) fronto, pazzo che sono, dalla spiaggia [partendo] con nave insicura.) La trattazione si fa sempre più ardua: paulo peiora canamus (II, 123) (Cantiamo argomenti un po’ peggiori.) (Non vedi quante volte ti vien meno il turgore del nerbo allorquando abbracci, anelante, una bella donna, e l’ audace ariete ti vien meno proprio là sulla soglia? A ciò segue la rabbia, la lite; monta su un casino, da ogni parte accorrono i ser- L’ unico frammento del proemio al terzo libro, privo del principio e della fine, ribadisce la pericolosità del tema scelto: vi, ne nasce una grande contesa. Aggiungi che ti si diffonde una cattiva fama per la città, e che sotto gli spaziosi portici il tuo nome spesso risuonerà in termini spiacevoli.) Incerto arriva persino alla formulazione, con due millenni d’ anticipo, di qualcosa di molto simile alla famosa “Legge di Murphy”: 7 - Così emenda il Wolfsschanze il tràdito more suavi (“secondo la piacevole usanza”). 78 sidera, caeligenum semper vitanda vehiclis, Gorgon in lapidem ut conversura videntes. Quod nefas effari, ego canto; siste, viator8. (III, 5-7) (*** astri, che i veicoli dei nati nel cielo [gli dèi] sempre devono evitare come se vedessero la Gorgone pronta a trasformarli in pietra. Ciò che non è lecito dire, io canto; fermati, viandante.) 8 - Lo Schickaneder suppone qui un errore del copista, e sposta questi versi subito dopo i primi quattro del primo libro: a parer suo si otterrebbe, in questo modo, un senso compiuto. 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI rinvenimenti Dal libro terzo, dedicato ai remedia, alcune delle soluzioni pratiche consigliate contro la jella: florentis cytisi numerans bis bina *** (III, 588) Sunt quis ligna iuvant, qui gaudent tangere ferrum, quive viri suadent genitalia corpora7 tangi. (III, 444-445) Non doveva mancare un accenno alle piante dotate di virtù apotropaiche: L’ opera si chiudeva con la descrizione della peste di Atene, supremo esempio di sfortuna e monito per l’ umanità arrogante, eccessivamente fiduciosa nel progresso scientifico. La si può leggere ancora nel VI libro del De rerum natura di Lucrezio, il quale non si peritò di appropriarsene in toto senza citare la fonte: altro esempio della mirabile sfortuna che perseguitò, in vita e in morte, il nostro Autore8. 7 - organa nel codice K. 8 - Il Panzerkraftwagen e il Volkssturm, isolati, sostengono che Incerto Autore si sarebbe appropriato del brano lucreziano sulla peste, e non viceversa; ma è ipotesi ormai screditata. (Ci sono di quelli che si giovano del legno, altri che amano toccare il ferro, e coloro che consigliano di toccare le parti genitali del maschio.) IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 (del fiorente trifoglio contando le quattro [fogliette].) 79 Biblioteca mon amour Questa rubrica è a disposizione della Biblioteca civica «G.Tartarotti» di Rovereto L a Biblioteca Tartarotti possiede poco più di una ventina di codici “medievali”, e proprio su uno di questi vogliamo soffermarci per qualche più approfondita analisi. La Biblioteca Tartarotti venne fondata nel 1764 dopo che il Comune di Rovereto acquisì la biblioteca privata di Girolamo Tartarotti scomparso nel 1761. Nel primo nucleo della biblioteca si trovarono anche nove codici posseduti dal Tartarotti e descritti in un primo inventario realizzato dopo la morte dell’intellettuale roveretano. Fra questi nove manoscritti, nell’inventario sotto il numero 8 viene così descritto l’odierno Codice 3: «Sonetti e componimenti di Dante Alighieri … scritto sopra la canzone “Donna mi prega” di Guido Cavalcanti fatto per maestro Dino del Garbo di Firenze, dottore di medicina e volgarizato per m. Jacopo Mangiatroja, notaio e cittadino fiorentino (8° in membrana, cod. eximiae pulchritudinis)»1. 1 - Cito l’inventario da Rinaldo Filosi, I mano- Negli ultimi numeri della Rivista la rubrica “Biblioteca mon amour” si è occupata principalmente di opere a stampa (incunaboli e cinquecentine) ed è quindi parso opportuno spostarci per una volta verso una tipologia libraria differente ed unica: parliamo appunto del libro manoscritto. Il codice fu successivamente descritto da Hermann nel 1905 e quindi da Benvenuti nel 1908. Solo negli ultimi anni si è tornati a descrivere i codici della Biblioteca Civica di Rovereto: dapprima nella tesi di laurea di Mariella Brugnolli (19951996) e successivamente nei numerosi cataloghi di manoscritti allestiti con il patrocinio della Provincia Autonoma di Trento. Fondamentale in tal senso è il catalogo realizzato da Adriana Paoliscritti della Biblioteca di Girolamo Tartarotti, in «Navigare nei mari dell’umano sapere». Biblioteche e circolazione libraria nel Trentino e nell’Italia del XVIII secolo, Atti del convegno di studio (Rovereto, 25-27 ottobre 2007), a cura di Giancarlo Petrella, Provincia Autonoma di Trento-Soprintendenza per i beni librari e archivistici, Trento 2008, pp. 255-263: 259. ni (I manoscritti medievali di Trento e provincia, 2010), dove il codice in questione (n. 147 del catalogo) viene descritto accuratamente (anche se non esaustivamente, poiché manca una tavola completa del manoscritto con incipit ed explicit di tutti i componimenti poetici)2. Prima di soffermarci sul contenuto del codice stesso, che lo rende particolarmente interessante, è necessario descrivere in maniera più attendibile e tecnica il manoscritto. Per non appesantire troppo il discorso traiamo la descrizione, breve ed essenziale, dall’introduzione che correda l’edizione critica delle rime dantesche curata da Domenico De Robertis: «Membr., mm. 195 x 124 (Iª c. decurtata in basso di ca. 5 cm), di cc. I (incollata alla copertina), 62, I´, tutti quinterni con richiami + I f., numeraz. mod. a lapis 1-61 e ult. c. n. n.; scritto da una sola mano, comprese le rubriche, e in corpo as2 - I manoscritti medievali di Trento e provincia, a cura di Adriana Paolini, con la collaborazione di Marina Bernasconi e Leonarda Granata, Sismel-Edizioni del Galluzzo, Impruneta (Fi) 2010. Un raro commento garbiano Fabio Casna 80 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI biblioteca mon amour sai ridotto il commento delle cc. 52v-61v, della medesima, d’inchiostro più chiaro, varianti ai testi; due note di mano del sec. XX (nella prima si arguisce dalla Vita di Girolamo Tartarotti di Costantino Lorenzi che il cod. era appartenuto al primo; nella seconda si cita il Beschriebendes Verzeichnis der illuminierten Handschriften – in Osterreich di F. Wickhoff, I: Die illumin. Handschr. in Tirol, beschrieben von J. Herzmann, Leipzig 1920, p. 231), bianca la c. 62. Versi in col.; iniziali ad oro con fregio a meandri su fondo azzurro alle cc. 1r, 15r, 45v, le altre iniziali e segni paragrafali azzurri. Legatura ant. (sec. XVIII) in cartone rivestito di pergamena, taglio blu. DANTE OPERE MSS. Rime di Dante (della Vita Nova e canzoni); versi forse del copista; canzoni di Leonardo Bruni e di Guido Cavalcanti col commento di Dino del Garbo volgarizzato da Iacopo Mangiatroie, sonetto conclusivo anon.»3. Pur volendo tralasciare la tavola del manoscritto per rendere più agevole il discorso, devo sottolineare un aspetto che viene trascurato dalla scheda di De Robertis relativo alla possibile datazione del codice: esso infatti dovrebbe risalire alla metà del XV secolo (come si desume dalla scheda della Paolini), ma non ci sono indizi certi che possano dimostrare la data di confezione del pezzo manoscritto. Infatti 3 - Dante Alighieri, Rime, a cura di Domenico De Robertis, 1: I documenti, Le lettere, Firenze 2002, p. 628. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 la datazione si basa esclusivamente su ipotesi circa il materiale, la carta e soprattutto la scrittura utilizzata dal copista. D alla descrizione fatta da De Robertis si evince che la maggior parte del codice è dedicata alle rime dantesche, poi compaiono due canzoni di Leonardo Bruni e infine la canzone di Guido Cavalcanti Donna 81 biblioteca mon amour me prega con il commento di Dino del Garbo, non in latino, ma volgarizzato. L’interesse per questo codice non deriva quindi dalla presenza di nu82 merosi componimenti danteschi (su cui non ci soffermeremo, per rimandare invece ai magistrali e pluriennali studi di De Robertis e di recente all’edizione commentata curata da Claudio Giunta, che rappresenta la summa di tutto ciò che è stato scritto sulle rime di Dante), né tantomeno dalle due canzoni di Leonardo Bruni sulla felicità e in lode di Venere4, ma sulla presenza del commento garbiano volgarizzato. Sulla canzone Donna mi prega di Guido Cavalcanti si sono accapigliati numerosi studiosi dall’antichità ad oggi in cerca della più “giusta” interpretazione. Non possiamo quindi in poche righe cercare di riassumere un dibattito ormai secolare. In linea sintetica ha scritto Emilio Pasquini: «il cardine della poesia cavalcantiana, e insieme la liquidazione risolutiva del patrimonio stilnovistico, vanno ravvisati nella canzone Donna me prega, perch’eo voglio dire, nella quale si annida pure il segreto del configurarsi di Guido come spirito scettico e irreligioso. […] Gli studi di Nardi e di Gilson, di Kristeller e di Maria Corti, hanno provveduto a collocarla storicamente entro una fitta circolazione di idee, tra Bologna e Firenze, in un ambiente di medici e filosofi dal quale escono il Giacomo da Pistoia che dedica a Cavalcanti la Quaestio de felicitate (scritta a Bologna, sul modello del De summo bono di Boezio di Dacia) e insieme il primo commentatore di Donna me prega, quel fiorentino Dino del Garbo la cui Enarratio in Guidonem de Cavalcantibus de na4 - Per il testo delle due canzoni si veda Lirici toscani del Quattrocento, a cura di Antonio Lanza, I, Bulzoni, Roma 1973, pp. 331-335. 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI biblioteca mon amour tura venerei amoris ci è trasmessa proprio da Boccaccio. Che la canzone cavalcantiana sia stata precocemente oggetto di veri e propri commenti, è una riprova di come già i contemporanei ad essa annettessero il valore di un trattato dal significato universale, meritevole di una glossa non meno che i testi capitali dell’Aristotele latino (il De anima e l’Etica nicomachea) o lo stesso poema dantesco. […] Cavalcanti […] non si limita a una generica variazione sul materiale ormai collaudato nel solco del De amore di Andrea Cappellano, né tanto meno a ormeggiare le più sicure acquisizioni stilnovistiche, ivi comprese certe prese di posizione dell’Alighieri. Al contrario, Guido, […] provvede a innestare la teoria dell’amore sulla scientia de anima, costruendo uno schema concettuale degno di un trattato filosofico e adibendo un lessico tecnico, specifico di un sistema di pensiero com’è appunto l’aristotelismo radicale (non senza quelle punte di esaltazione “mistica” dell’energia intellettuale che hanno prodotto deformazioni esegetiche della canzone in senso latamente neoplatonico […])»5. Già da questa breve panoramica, attraverso le parole di Pasquini, si può comprendere la complessità interpretativa del componimento poetico: è proprio per questo che spesso la canzone fu accom5 - Emilio Pasquini, Il «Dolce stil novo», in Storia della letteratura italiana, diretta da Enrico Malato, I: Dalle origini a Dante, Salerno, Roma 1995, pp. 649-721: 699-701. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 pagnata nei manoscritti che la riportavano da un commento esplicativo. Ecco allora spiegato il motivo di tanto interesse rispetto a questo codice. Del volgarizzamento del commento garbiano esistono infatti, a mia conoscenza, solo tre manoscritti: il codice roveretano, il Magliabechiano VII.1076 e il Laurenziano XLI.20. Il testo fu edito per la prima e unica volta nel 1813 dal Cicciaporci, ma si tratta di stampa scorrettissima che non tiene nemmeno conto del codice di Rovereto. Quindi ci si augura che veda presto la luce una nuova edizione critica di questo tassello di critica cavalcantiana6. Il Mangiatroja spesso nel suo lavoro di traduzione/interpretazione però cade in errore e travisa il latino di Dino del Garbo e questo fatto fu già ravvisato dall’unico studioso che dedica un brevissimo saggio a questo argomento: J.E. Shaw, The commentary of Dino del Garbo on Cavalcanti’s Canzone d’amore compared with the italian translation (in “Italica”, 12 [1935], pp. 102-105). A conclusione di questi appunti sul codice 3 riporto alcune considerazioni di Armando Petrucci circa la tipologia libraria di questo manoscritto che possono far immaginare l’uso e 6 - Spero di poter al più presto giungere al termine del lavoro di edizione e commento del volgarizzamento che avrebbe dovuto essere oggetto – nelle mie intenzioni – della tesi di laurea in Filologia italiana. la destinazione di questo libro: «nell’ultimo quarto del secolo [XV] sempre più spesso i codici “cortesi” di lusso assumono un formato assai piccolo, si tratta in genere di libri membranacei eseguiti con somma accuratezza, abilmente scritti in umanistica posata o corsiva e generosamente ornati o miniati. Per la più parte questi codici contengono testi di autori classici latini privi di commento o di note e sono prodotti nei maggiori centri della cultura e della produzione libraria italiana del tempo: a Firenze, a Milano, nel Veneto, a Roma, a Napoli. Si tratta evidentemente di esemplari di lusso, destinati all’uso privato di lettura di personaggi socialmente e culturalmente eminenti, alla conservazione in biblioteche signorili private o principesche. A volte questi codicetti, così preziosi e lussuosi, così riccamente miniati, contengono anche testi volgari poetici; ma, quando ciò accade, si tratta sempre di un tipo particolare, anzi unico di testo: si tratta, cioè, delle Rime e/o dei Trionfi del Petrarca»7. Per una volta, di fronte all’onnipresente Petrarca, nella scena culturale italiana del Quattrocento, ha vinto il Dante non della Commedia ma delle più policrome e impegnate rime.❧ Fabio Casna 7 - Armando Petrucci, Il libro manoscritto, in Letteratura italiana, 2: Produzione e consumo, Einaudi, Torino 1983, pp. 499-524: 523. 83 Lo scaffale a cura di Italo Bonassi C onfesso che non c’è nulla di più complesso ed arduo che entrare nella poesia e contemporaneamente nel personaggio D’Annunzio. Comprendere l’uomo D’Annunzio è comprenderne anche il poeta, di cui è un tutto imprescindibile. Non si può amare D’Annunzio come poeta e insieme detestarlo come personaggio, ritenendolo un esaltato, un mitomane, un istrione. D’Annunzio è quello che è stato, il tipico prodotto di un’epoca, diciamo pure eroica, esaltante, con un Risorgimento alle spalle, la ricerca di un posto al sole in Libia e in qualche altra Colonia africana, una continua sfida con un’Europa piena di fermenti nazionalistici e colonialistici, e con imperi multinazionali e multietnici come quello austro-ungarico alle prese con tentativi scissionistici. In Italia il poeta più amato era senz’altro Carducci, e trionfava una corrente patriottica artistico-letteraria come il futurismo, l’e- Barbaro, ferino, raffinato, lussurioso, panico, eroico. saltazione dell’uomo e della civiltà della macchina. Il paganesimo storico del Carducci divenne il paganesimo sensuale di Gabriele D’Annunzio: egli volle fare della sua vita un poema, una rappresentazione eroica e pagana. Riuscì così a riempire del suo nome un vasto periodo della storia italiana, pur rimanendo in uno splendido isolamento, lontano dalle correnti letterarie di allora (come il post-romanticismo, la scapigliatura, il crepuscolarismo, il futurismo, l’avanguardismo). Un nome non solo come poeta e scrittore, ma anche come figura civile, nella vita pubblica, nella guerra, nell’impresa di Fiume e pure nella vita mondana, superando per vicende avventurose e stile di vita perfino il famoso George Byron. Gli aggettivi che gli sono stati affibbiati dai critici sono tra i più svariati e fantasiosi: barbaro, ferino, raffinato, visivo, lussurioso, panico, eroico, musicale. Ma nessuno ha mai messo in discussione la straordinaria liricità dei suoi versi, la loro più profonda adesione a ciò che s’intende poesia. E un poeta eroico e pagano, profetico e vaticinante, l’interprete poetico del Superuomo, non poteva di certo passare alla storia senza un cognome nobile e altisonante, non poteva firmarsi con il cognome assai ridicolo di Gabriele Rapagnetta. I suoi tanti avversari contestarono il fatto che lo avesse trasformato in D’Annunzio. Ma suo padre, Francesco Paolo, aveva in realtà due cognomi: D’Annunzio quello vero, Italo Bonassi Gabriele D’Annunzio 84 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI lo scaffale originario della sua famiglia, al quale era stato aggiunto in seguito all’affiliazione da parte di uno zio benestante il comico cognome di Rapagnetta. Quindi D’Annunzio in verità si chiamava Gabriele D’Annunzio Rapagnetta. Però nessuno poteva contestargli di trascurare il secondo cognome, quello dello zio di suo padre. Il mio segreto, ha scritto D’Annunzio, è una sensualità rapita fuor de’ sensi. E il grande critico Francesco Flora ha aggiunto che nell’arte dannunziana bisogna stabilire criticamente il significato della materia (e quindi della lussuria che tutta la assomma), e farne momenti di un dramma, il cui senso, per sé stesso, si urta contro il canto, e la parola ha i momenti in cui si fa divina e trascende la bruta materia su per l’aereo cielo della poesia. Ma la lussuria dannunziana è stata definita impassibile, d’una gelidità lunare nel suo senso perennemente ebbro: comunque lussuria della parola immaginifica, raffinata, tutt’altro che volgare come in certi scrittori alla Moravia o poeti alla Dario Bellezza. Ed è soprattutto nella sua poesia, più che nei romanzi o nelle tragedie, che si rivela lo straordinario uso della parola, che molti hanno definito divina. Tutta la sua vita fu un bilico tra il poema da vivere e il poema da cantare. Ma anche nei momenti “lussuriosi” della poesia dannunziana c’è un raffinato senso lirico, in cui la parola si forma sulla materia lussuIL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 riosa con un sentimento elementare di gioia che, nell’atto di chiarirsi in parole, indugia in una larvale malinconia. E la parola malinconia è voce frequente nelle pagine dannunziane. Quello che è certo è che un poeta come D’Annunzio, che l’intelligentia nostrana ha cancellato o quasi, per puri motivi politici, in qualsiasi altro Paese sarebbe considerato una gloria nazionale. Il grande poeta statunitense Ezra Pound in America era stato messo al bando e gettato in prigione, e poi costretto all’esilio. Ma tutte le antologie di tutto il mondo hanno continuato a dargli un posto preminente nella letteratura mondiale. Nessuno ha mai discusso il poeta Ezra Pound. Questo non è avvenuto in Italia, dove addirittura D’Annunzio è stato a torto considerato un fascista. Dimenticando che Mussolini lo teneva a distanza, temendolo, nel suo splendido isolamento di Gardone. Fra chi era stato a quei tempi davvero un fascista cito Giuseppe Ungaretti, Pirandello, Marinetti, Curzio Malaparte, Moravia, Montanelli, e anche il primo Benedetto Croce. Ricordo come esempio un aneddoto capitato proprio al Vittoriale, quando Mussolini, in uno dei rari incontri col poeta, dopo aver dovuto fare anticamera, se lo vide apparire in pantofole e vestaglia, per poi sentirsi apostrofare con la velenosa battuta: Salve, o lesto fante! (Mussolini aveva fatto il militare nella fanteria, come bersagliere. Era stato cioè un fante lesto, veloce: come si sa, i bersaglieri andavano di corsa, a piedi o in bicicletta). Non solo, ma anche i gerarchi che seguivano Mussolini ebbero la loro parte: D’Annunzio, puntando contro di essi il dito disse: Fur fanti anch’essi? (ossia: furono anch’essi dei fanti?). Questo, per poter inquadrare D’Annunzio nella sua giusta dimensione di uomo. Al massimo, si può dire che sarebbe stato ancor più grande se avesse scritto di meno, data la sua davvero enorme produzione. Un altro particolare tipicamente dannunziano è la sua strategia pubblicitaria, sia nella sua attività di poeta che in quella di uomo d’azione e anche di grande amatore. La famosa Isadora Duncan ebbe un giorno ad esclamare: D’Annunzio è 85 lo scaffale capace di dare a ciascuna donna la sensazione che essa sia al centro dell’universo! Le donne che lo amarono, anche le più famose, finirono con l’essere da lui lasciate: la Duse, che lui seppe sfruttare abilmente usandola come grande interprete delle sue opere, Maria Hardouin dei Duchi di Gallese, Barbara Leoni, Alessandra Rudini Carlotti (che per disperazione si fece suora), la contessa Giuseppina Mancini (che finirà pazza per le vie di Firenze), Natalia de Goloubeff, Romaine Brooks, Maria Gravina Cruyllas, ecc. Un altro eloquente esempio dell’abilità di D’Annunzio di farsi pubblicità, lo abbiamo quando, uscita da poco la sua raccolta di poesie Primo vere, che ebbe un grande successo, fece diffondere la notizia della sua morte, poi smentita con la contemporanea uscita della seconda edizione. Quest’abilità pubblicitaria seppe esercitare per tutta la vita, a prescindere dal fatto che nonostante ciò è stato davvero un grande poeta. I suoi discorsi erano sapientemente trascinatori, un delirio di massa che neppure Mussolini poteva permettersi, ma che aveva dalla sua una claque imponente. L’oratoria del Duce era quella di un capopopolo, piuttosto rozza e semplice, di una banalità declamatoria, quella di D’Annunzio era raffinata, colta: per lui la parola si faceva gesto, ebbrezza d’azione. Tra l’oratoria dei due un abisso: impetuosa, demagogica e grezza l’uno, costruita con sa86 piente arte letteraria l’altra. E D’Annunzio d’altronde considerò sempre il Duce un grezzo populista e un cattivo imitatore di idee, di atteggiamenti, di imprese, oltre che uno sfruttatore inadeguato dei modi e dei toni della propria oratoria. L’oratoria di Mussolini era tutta intesa a suscitare il cosiddetto delirio di massa con poche parole definite scultoree dai suoi esegeti. Quando nel corso della guerra di Spagna Franco conquista Barcellona ben sorretto dalle truppe italiane inviate da Mussolini, questi arringa la folla accorsa a Piazza Venezia con queste parole: La parola d’ordine dei rossi era: No pasaran! Siamo passati. Ed io vi dico che passeremo! Quando i rapporti con la Francia si fanno delicati, il Duce ricorre all’insulto volgare, che piace tanto alla massa: Ai nostri vicini d’Oltralpe noi diciamo che non sappiamo che farcene di fratellanze, di sorellanze e di cuginanze bastarde! Quale differenza con la sapiente e trascinante capacità oratoria di D’Annunzio, che sa ricreare la potenza aggressiva di uno spettacolo di entusiasmo e di delirio! Famoso il suo discorso alla folla, un capolavoro di oratoria da lui tenuto a Quarto, presso Genova, s’uno scoglio, il 5 maggio del 1915, e che praticamente spinse l’Italia alla guerra dichiarata 20 giorni dopo. La gioia di vivere di D’Annunzio si identificava in una miracolosa capacità di canto: nessun poeta ha così prodigiosamente mutato la pa- rola in musica. D’Annunzio giunge dove il Carducci, con tutte le sue pretese paniche e pagane, non riuscì mai ad arrivare. La trasgressione inventiva, in lui, trasforma le cose della natura in funzione della parola, cui dà la dignità nella volgarità e nella disfatta dell’esistenza. Il suo è il culto dell’edonismo verbale, della libidine delle parole godute come suoni e bevuti come musiche. Fresche le mie parole nella sera / ti sien come il fruscio che fan le foglie / del gelso ne la man di chi le coglie… // Laudata sii per il tuo viso di perla, / o sera, e pe’ tuoi grandi occhi ove si tace / l’acqua del cielo… // Dolci le mie parole ne la sera / ti sien come la pioggia che bruiva / tepida e fuggitiva, / commiato lacrimoso de la primavera… (La sera fiesolana) Si può anche detestare il virtuosismo stilistico e la raffinatezza del pensiero, ma non è vero che D’Annunzio sia tutto qui: non è vero che l’esuberanza panica sia in lui solo suggestione carnale e faunesca. D’Annunzio è anche il grande autore di tragedie come la Francesca da Rimini, la Gloria, la Gioconda, La figlia di Iorio, La fiaccola sotto il moggio, e soprattutto delle Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi, col suo capolavoro, Alcione. Un libro, questo, che da solo è il concentrato di tutta la poetica di D’Annunzio, e che fa di lui un vero poeta, anzi un Vate.❧ Italo Bonassi 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI lo scaffale Pastori Settembre, andiamo! È tempo di migrare. Ora in terra d’Abruzzo i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare: scendono all’Adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti. Han bevuto profondamente ai fonti alpestri, che sapor d’acqua natia rimanga ne’ cuori esuli a conforto, che lungo illuda la lor sete in via. Rinnovato hanno verga d’avellano. E vanno pel tratturo antico al piano, quasi per un erbal fiume silente, su le vestigia degli antichi padri. Oh voce di colui che primamente conosce il tremolar della marina! Ora lungh’esso il litoral cammina la greggia. Senza mutamento è l’aria. Il sole imbionda sì la viva lana che quasi dalla sabbia non divaria. Isciaquio, calpestio, dolci romori. Ah, perché non son io co’ miei pastori? IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 La sera fiesolana (solo la parte iniziale) Fresche le mie parole ne la sera ti sien come il fruscio che fan le foglie del gelso ne la man di chi le coglie silenzioso e ancor s’attarda a l’opra lenta su l’alta scala che s’annera contro il fusto che s’inargenta con le sue rame spoglie mentre la Luna è prossima alle soglie cerule e par che innanzi a sé distenda un velo ove il nostro sogno si giace e par che la campagna già si senta da lei sommersa nel notturno gelo e da lei beva la sperata pace senza vederla. Laudata sii per tuo viso di perla, o sera, e pe’ tuoi grandi occhi ove si tace l’acqua del cielo! Dolci le tue parole ne la sera ti sien come la pioggia che bruiva tepida e fuggitiva, commiato lacrimoso de la primavera, sui gelsi e su gli olmi e su le viti e su i pini dai novelli rosei diti che giocan con l’aura che si perde, e su ‘l grano che non è biondo ancora e non è verde e su ‘l fieno che già patì la falce e trascolora, e su gli olivi, sui fratelli olivi che fan di santità pallida i clivi e sorridenti… ……… Laudata sii per la tua pura morte, o Sera, e per l’attesa che in te fa palpitare le prime stelle! 87 lo scaffale Si dice che a volte basti una sola poesia per definire grande un poeta. Se fosse così, basterebbe la splendida Pioggia nel pineto, forse la più letta e la più famosa, così piena di omofonie e onomatopèe, di assonanze, allitterazioni, anafore, e vari espedienti tecnici di grande effetto, che danno alle voci e ai suoni di un bosco una straordinaria varietà di sensazioni. L’esile ed evanescente trama basata su una semplice passeggiata in una pineta assume in D’Annunzio un qualcosa di fantastico e arcano, parole e versi come musica, tutto un gioco onomatopeico di scrosci di pioggia, di gracidii di rane, di fruscii di fronde e di erbe, di una fresca vita arborea risvegliata dalla pioggia. La pioggia nel pineto Taci. Su le soglie del bosco non odo parole che dici umane, ma odo parole più nuove che parlano gocciole e foglie lontane. Ascolta. Piove dalle nuvole sparse. Piove su le tamerici salmastre ed aspre, piove sui pini scagliosi ed irti, piove su i mirti divini, su le ginestre fulgenti di fiori accolti, su i ginepri folti di coccole aulenti, piove su i nostri volti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi pensieri che l’anima schiude novella, su la favola bella 88 che ieri t’illuse, che oggi m’illude, o Ermione. Odi? La pioggia cade su la solitaria verdura, con un crepitio che dura e varia nell’aria secondo le fronde più rade, men rade. Ascolta. Risponde al pianto il canto delle cicale che il pianto australe non impaura, né il ciel cinerino. E il pino ha un suono, e il mirto altro suono, e il ginepro altro ancòra, stromenti diversi sotto innumerevoli dita. E immersi, noi siam nello spirito silvestre, d’arborea vita viventi: e il tuo volto ebro è molle di pioggia come una foglia, e le tue chiome 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI lo scaffale auliscono come le chiare ginestre, o creatura terrestre che hai nome Ermione. Ascolta, ascolta. L’accordo, delle aeree cicale a poco a poco più sordo si fa sotto il pianto che cresce; ma un canto vi si mesce più roco che di laggiù sale, dall’umida ombra remota. Più sordo e più fioco s’allenta, si spegne. Solo una nota ancor trema, si spegne, risorge, trema, si spegne. Non s’ode voce del mare. Or s’ode su tutta la fronda crosciare l’argentea pioggia che monda, il croscio che varia secondo la fronda più folta, men folta. Ascolta. La figlia dell’aria, è muta; ma la figlia del limo lontana, la rana, canta nell’ombra più fonda, chi sa dove, chi sa dove? E piove su le tue ciglia, Ermione. Piove su le tue ciglia nere sì che par che tu pianga, ma di piacere; non bianca IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 ma quasi fatta virente, par da scorza tu esca. E tutta la vita è in noi fresca, ardente, il cuor nel petto è come pesca intatta, tra le palpebre gli occhi son come polle tra l’erbe, i denti negli alveoli son come mandorle acerbe. E andiam di fratta in fratta, or congiunti, or disciolti (e il verde vigor rude ci allaccia i malleoli, c’intrica i ginocchi), chi sa dove, chi sa dove! E piove su i nostri volti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi pensieri che l’anima schiude novella, su la favola bella che ieri m’illuse, che oggi t’illude, o Ermione. Nella belletta Nella belletta i giunchi hanno l’odore delle persiche mézze e delle rose passe, del miele guasto e della morte. Or tutta la palude è come un fiore lutulento che il sol d’agosto cuoce, con non so che dolcigna afa di morte. Ammutisce la rana, se m’appresso. Le bolle d’aria salgono in silenzio. 89 lo scaffale Gabriele D’Annunzio 12 marzo 1863 Nasce a Pescara. 1879 Ancora convittore al Collegio Cicognini di Prato, pubblica la sua prima raccolta in versi, Primo vere. 1881 Compiuti gli studi ginnasiali, si iscrive alla facoltà di Lettere di Roma, dove si trasferisce. 1882 Pubblica la seconda raccolta di versi, Canto novo, e, subito dopo, un primo libro di racconti, Terra vergine. 1883 Sposa la duchessa Maria Hardouin di Gallese, dopo una fuga chiacchierata a Firenze, ed entra nella élite sociale. Da Maria avrà tre figli. 1887 Conosce Barbara Leoni, il suo “grande amore”, che durerà cinque anni, e alla quale dedicherà il romanzo in versi Elegie romane e il romanzo Il Trionfo della Morte. 1888 Si ritrasferisce in seguito a disavventure finanziarie in Abruzzo, a Francavilla, nella casa dell’amico pittore Michetti, e qui pubblica il romanzo Il Piacere. Si lega inoltre sentimentalmente con Barbara Leoni. 1891 Si trasferisce a Napoli, dove collabora a diversi giornali con Matilde Serao, alla quale dedica il breve romanzo Giovanni Episcopo. A Napoli conosce la principessa Maria Gravina Cruyllas Anguissola, dalla quale avrà due altri figli, e rompe definitivamente con Barbara Leoni. 1892 Esce il romanzo L’innocente. 1893 Pubblica il Poema paradisiaco. 1894 Esce il romanzo Il trionfo della morte. Venuto in contatto con la filosofia 90 di Nietzsche, ne abbraccia l’idea del superuomo, a cui si ispira in diverse opere. 1894 Inizia il travagliato e focoso rapporto con la grande attrice Eleonora Duse, e, da lei ispirato, pubblica diverse tragedie e opere teatrali, tutte aventi la Duse stessa come prima donna. 1896 Affitta nel frattempo a Settignano (Firenze) una villa, che battezza La Capponcina, accanto alla villa La Porziuncola, della Duse. 1896-1900 Pubblica Le Vergini delle rocce (romanzo), La città morta (romanzo), Il fuoco (romanzo). Va nel frattempo in crociera da Ancona a Venezia, e naufraga. Si salva a fatica. 1897 Viene eletto nel collegio di Ortona in una coalizione di Destra. 1898 La città morta viene recitata a Parigi, interprete la celebre Sarah Bernhardt. 1899-1909 Pubblica La Gioconda (1899), La Gloria (1900, interpreti la Duse ed Ermete Zacconi), la Francesca da Rimini (1901), La figlia di Iorio (1903), La fiaccola sotto il moggio (1905), La nave (1909), Fedra (1909). 1900 Passa alla Sinistra, dopo le cannonate di Bava Beccaris a Milano e le dure repressioni sociali. La tragedia La Gloria si ispira alle forti tensioni sociali di tale periodo, ed è un atto d’accusa contro il governo Crispi. Alle elezioni, si ricandida con la Sinistra, ma non viene rieletto. 1903 Conosce la contessa Giuseppina Mancini (la Giusini), di cui s’invaghisce. 1903-1904 Pubblica la sua opera drammatico-poetica fondamentale, Le Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi, il cui Libro III, Alcyone, viene considerato il suo capolavoro. Merope, il Libro IV delle Laudi, viene inizialmente censurato e sequestrato, perché troppo antiaustriaco. In esso così viene ad esempio definito l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe: L’angelicato impiccatore / l’angelo della forca sempiterna. 1904 Rompe definitivamente con la Duse, che, prima di morire, distruggerà tutto il ricco epistolario tra lei e D’Annunzio. Rompe anche con la Mancini e si unisce sentimentalmente con la contessa russa Natalia de Goloubeff, e contemporaneamente frequenta la pittrice russa Romaine Brooks. 1909 La Capponcina viene posta sotto sequestro giudiziario, perché, rotto con la Duse, non aveva più i soldi per mantenerla e neanche per continuare il tenore di vita cui era abituato. Inizia in questo periodo la sua passione per l’aeronautica e l’automobilismo. 1910 Persa la villa La Capponcina, si trasferisce in Francia. Qui scrive il romanzo autobiografico Forse che sì, forse che no, dedicato al suo grande amore per la Leoni, il breve romanzo La Leda senza cigno e, in francese, Il martirio di San Sebastiano, quest’ultimo con sommo scalpore perché ritenuto troppo scandaloso e blasfemo. 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI lo scaffale 1915 Rientra in Italia prima dello scoppio della Grande Guerra e s’impegna in una tournée di comizi nazionalistici e interventisti, di pretto sapore antiaustriaco, con folle quasi oceaniche, mettendosi in rotta col Governo Giolitti, che era filoaustriaco e neutralista. Pronuncia a Quarto un memorabile discorso durante l’inaugurazione del Monumento ai Mille, in cui incita la folla a chiedere l’entrata in guerra dell’Italia. Grazie anche alle sue orazioni, soprattutto ad una famosa affidatagli dal Governo Salandra, gli interventisti hanno la meglio, e l’Italia dichiara la guerra. D’Annunzio si arruola, combatte sul Carso e partecipa a imprese incredibili sul mare (nel 1916 l’audace Beffa di Buccari, un porto di Fiume difeso dalla flotta austriaca e da lui violato di notte con un MAS) e anche in cielo (il famoso volo su Vienna, nel 1918, per gettarvi migliaia di manifestini tricolori con stampato l’invito alla resa). Dopo la guerra, si fa portavoce dei reduci e parla della vittoria mutilata, della decisione (Progetto Wilson) delle potenze vincitrici di cedere la città di Fiume – che in un plebiscito aveva scelto quasi per la totalità di passare all’Italia – al neo costituito stato slavo. 1919 D’Annunzio parte da Ronchi dei Legionari (Monfalcone) e con un piccolo esercito di reduci marcia su Fiume, la occupa militarmente e vi istituisce la Reggenza, assumendo il titolo di Comandante della Repubblica democratico-socialista del Quarnaro. 1920 Fiume, con un altro plebiscito, si autoproclama Stato Libero del Quarnaro, e rifiuta di diventare jugoslava. Dopo un lungo assedio da parte della flotta italiana (24-28 dicembre 1920), che, su ordine del Governo Nitti, spara sulla città, in obbedienza al Progetto Wilson, con diversi feriti e case distrutte (lo stesso D’Annunzio viene ferito), Fiume ammaina la bandiera del Quarnaro, D’Annunzio cede i poteri alla comunità fiumana e se ne torna in Italia. Gli Alleati ora sono finalmente convinti dell’italianità di Fiume, e Fiume diventa italiana, entrando con l’Istria nella nuova regione, capoluogo Trieste, la Venezia Giulia (1921). 1921 D’Annunzio, deluso dai politici, si ritira nella sua villa di Cargnacco, in quel di Gardone, sul lago di Garda, e la trasforma, aggiungendovi la prua della nave militare Puglia. Diventa così una villa-nave unica nel suo genere, col nome augurale di Vittoriale. Il Vittoriale è la sua ultima dimora. Qui vive come in un eremo in solitario e sdegnoso esilio dorato, snobbato da Mussolini e dal fascismo, che vedono in lui un potenziale concorrente politico. Ormai ha quasi smesso di scrivere, e fa una vita di una seraficità ardente da San Francesco. 1935 Esce il suo ultimo lavoro, Cento e cento e cento pagine del Libro segreto, e compone una farsa in versi contro Hitler, mai pubblicata. 1 marzo 1938 Muore nella sua villa-vascello di Gardone. 1939 Esce, postumo, Solus ad solam, una sorta di autobiografia dedicata all’unica donna che abbia veramente amato, la Giusini, con tutti i particolari della tragica fine della donna che, brutalizzata dal marito geloso, dopo una lunga attesa di Gabriele, bloccato con la macchina in panne a Bologna, credutasi abbandonata, colta dalla follia, se ne va disperata di notte per Firenze, subendo anche l’onta di essere violentata da due loschi figuri. Bibliografia essenziale Vita e opere di Gabriele D’Annunzio, Mucchi, Modena, 1990 Gianni Oliva, D’Annunzio e la poesia dell’invenzione, Mursia, Milano, 1992 Renato Barilli, D’Annunzio in prosa, Mursia, Milano, 1993 Pietro Gibellino, Alcione, Einaudi , Torino, 1995 Annamaria Andreoli, Il vivere inimitabile, Mondadori, Milano, 2000 Vito Moretti, D’Annunzio pubblico e privato, Marsilio, Venezia, 2001 IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 Angela Tumini, Il mito dell’anima: Magia e folklore in D’Annunzio, Lanciano, Carabba, 2004 Annamaria Andreoli, D’Annunzio, Il Mulino, Bologna, 2004 Marilena Giamamrco, La parola tramata: progettualità e invenzione di D’Annunzio, Carocci, Roma, 2005 Renato Mammuccari, Dal naturalismo al simbolismo, D’Annunzio e l’arte del suo tempo, Marigliano, LER, 2005 91 Il mestiere di scrivere a cura di Gregory Alegi “I l grafico è il peggior nemico dell’autore.” Ricordo bene quando lo scoprii. Stavo lavorando a una rivista – anzi, un numero unico – che presentava una serie di problemi. Tra questi, la grafica. Il cliente aveva chiesto proposte (“creatività”) a diversi studi grafici, scegliendone con grande trasparenza uno che nessuno conosceva. I problemi iniziarono non appena cercai di riempire la “gabbia” (come si chiama lo schema grafico) con gli articoli. Benché ridotti al minimo in fase di impostazione generale, in pagina proprio non ci stavano. Pur essendo stato dato grande spazio alle immagini, non erano previste didascalie. Fu allora che il grafico se ne uscì con «gli eventuali testi». Eventuali? In una rivista? Dopo aver coinvolto la crema dei giornalisti specializzati? Pagandoli pure bene? Avevo la bava alla bocca. Con molta pazienza, lo spazio per le didascalie alla fine saltò fuori. Minime, però, perché secondo il grafico la didascalia giusta per l’immagine di un’auto monopo- sto rossa con un cavallino rampante nero sul fianco sarebbe stata “La Ferrari di Schumacher”, mentre io volevo almeno un paio di righe descrittive. Era un dialogo tra sordi. Scoprii solo dopo che lo studio aveva esperienza soprattutto nel “packaging”, cioè le confezioni, e quindi ragionava in termini di pubblicità più che di contenuti. Ecco perché diventavano «eventuali» i testi che invece per il redattore erano il messaggio essenziale. Per quanto estremo, il caso illustra l’importanza e la difficoltà del rapporto tra forma e contenuto di una pubblicazione. Un buon progetto grafico invoglia alla lettura, valorizza il contenuto, ottimizza l’uso dello spazio e rende agevole l’impaginazione. Come scrive John Lewis nel suo manuale di typography (cioè la grafica applicata all’impaginazione), i grafici dovrebbero “ricordare che il loro lavoro consiste nel comunicare, o almeno fornire un canale di comunicazione, tra autore e lettore” (Typography: Design and Practice, New York, Taplinger, 1976, p. 11). Quan- do questo accade, il grafico è il miglior amico dell’autore e del lettore. In caso contrario, il libro sarà più brutto, a qualcuno verrà un esaurimento nervoso o tutte e due le cose insieme. I casi di omicidio sono, per fortuna, molto più rari. Prima di soffermarsi sul ruolo del grafico, vale la pena di ricordare che i normali contratti editoriali specificano che l’autore non ha alcuna voce in capitolo sull’impaginazione del proprio lavoro. Probabilmente i grandi autori hanno qualche diritto in più, ma per tutti noi la realtà è un’altra: spesso gli editori ascoltano più il grafico che l’autore. Prima ci si abitua, meglio si vive. Il progetto grafico Sotto il profilo estetico, è auspicabile una certa affinità tra il testo e il suo aspetto. Un saggio universitario non può essere presentato come un libro d’infanzia, così come una rivista di auto non si può impaginare come una di giardinaggio. Dal punto di vista funzionale, ogni tipologia ha Gregory Alegi Il peggior amico dell’autore 92 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI il mestiere di scrivere caratteristiche specifiche: la rivista illustrata deve prevedere non solo didascalie, ma anche box, grandi titoli, sottotitoli, rubriche; il saggio dovrà avere le note, non importa se a piè di pagina, fine capitolo o fine libro. È in base a questi vincoli (più considerazioni tecniche, che incidono sui costi) che il grafico crea il progetto, che sarà tanto più efficace quanto più è al servizio del contenuto e quanto più invisibile (o almeno trasparente) agli occhi del lettore. La prevalenza della grafica è giustificata quando il testo è secondario, ma allora più che di un libro si tratta di un album fotografico, del catalogo di una mostra d’arte o dell’atlante stradale. Si può trasformare il testo stesso in grafica, ma la cosa ha senso solo per forme di scrittura sperimentali o d’avanguardia. Per rendere il testo leggibile bisogna scegliere il carattere giusto (i “bastoni”, soprattutto se light, non sono adatti ai testi lunghi, per esempio; quelli con le “grazie” possono essere troppo neri e pesanti) ma anche saper trovare l’equilibrio tra il corpo (tradizionalmente espresso in “punti”) e l’interlinea. In molti casi per migliorare la leggibilità basta aumentare lo spazio tra le righe, senza aumentare il corpo; in altri serve un po’ di spazio bianco intorno al testo, per farlo respirare. A proposito di bianco: esistono regole per costruire i margini IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 della pagina e la larghezza (“giustezza”) della colonna di testo. Una volta creato il progetto grafico bisogna applicarlo. Questo è il vero esame: come l’assaggio è la verifica della ricetta, così l’impaginazione porta inesorabilmente alla luce i punti di forza o di debolezza del progetto. Se è ben fatto, sarà utilizzato centinaia di volte: così fu per il progetto di Jan Tschichold (1902-74) per i tascabili Penguin. In caso contrario sono guai. In un lavoro piuttosto ampio, con tempi piuttosto stretti, saltò fuori che in una pagina del libro non entrava la quantità di testo necessario. Per far coincidere lo spazio disponibile con quello necessario, i redattori si sobbarcarono il compito di tagli mirati, in modo da salvare l’intelligibilità del testo; i grafici – si scoprì più tardi – provvedevano invece amputando la parte finale, con un criterio puramente metrico. Per evitare queste situazioni basta contare le battute, cioè le lettere, i segni di interpunzione e gli spazi bianchi del testo. Con la macchina per scrivere questo si faceva usando righe da 60 battute, 30 delle quali facevano una pagina (“cartella”). Oggi Word lo fa in automatico. Lo stesso si fa sul progetto grafico, impaginando un testo vero o simulato (il classico finto latino di Lorem ipsum) e contando le battute totali di un certo numero di righe (per quando l’artista ama il testo La nobile arte [di farsi dei nemici] è molto più che un divertimento grafico. È un libro concepito meravigliosamente. Benché Whistler fosse soprattutto un pittore, usava le parole con il rispetto di quanti amano usarle. Fu il primo grafico moderno a mostrare che l’arte tipografica è innanzitutto una questione di disporre le parole in modo che il loro senso diventi più chiaro, più acuto e più preciso. Tecnicamente, la grafica di Whistler è interessante per il modo in cui faceva uso dei caratteri piuttosto anonimi di cui disponevano le tipografie commerciali e per come riusciva a superare la loro altrettanto indifferente qualità di stampa. Questo era l’esatto contrario del punto di vista di William Morris e di gran parte dei successivi stampatori delle tipografie private, spesso ossessionati dal disegno dei caratteri e dai materiali sui quali stampavano. […] Non c’erano due persone meno simili di James McNeill Whistler e William Morris in quanto a simpatie e antipatie e nel proprio stile di vita. Eppure avevano almeno due cose in comune. Per questo non sorprende che per qualche tempo entrambi si siano interessati di grafica, e in particolare dell’aspetto dei propri libri. John Lewis, Typography: Design and Practice, New York, Taplinger, 1976, p. 18 93 il mestiere di scrivere esempio 15); a questo punto una semplice divisione fa ottenere il valore medio di battute per riga. Si contano quindi le righe in un certo numero di centimetri (o in una colonna intera di lunghezza nota), che grazie a un’altra divisione danno le righe per centimetro. Il gioco è fatto: se in una pagina ci stanno 32 righe di 90 battute, il totale è di 2.880 battute. Questo vuol dire che un articolo di 10.000 battute richiederà tre pagine e mezzo, un saggio di 100.000 battute 34,7 pagine e un romanzo di 350.000 battute 121 pagine. Per ottenere gli ingombri totali bisogna aggiungere titoli, aperture e chiusure, illustrazioni. Con un rapporto testo-immagine di 1 a 1, per esempio, l’articolo occuperebbe sette pagine. Se il progetto grafico non prevede pagine singole, è già chiaro che si dovrà tagliare (per stare in 6 pagine) o allungare (per portarle a 8). L’ideale è però prevedere anche pagine singole, per contenuti redazionali (per esempio rubriche brevi), per eventuali inserzioni pubblicitarie, per fronteggiare una tavola fuori testo o mille altri motivi. L’autore non è un grafico Il grafico non è un redattore. O, più esattamente, non è tenuto a capire niente di testi e contenuti. “Non mi 94 fare correggere le didascalie per telefono, perché non è il mio mestiere e poi le sbaglio”, mi diceva Dario Calì, con il quale abbiamo fatto riviste per anni. Aveva ragione, naturalmente. La scorciatoia si paga in correzione di bozze, quando bisogna prestare maggior attenzione per non lasciarsi sfuggire qualche strafalcione insidioso. È anche vero che talvolta i grafici esagerano anche nel proprio settore specifico, per esempio rovesciando una foto perché “è meglio se guarda verso destra.” Poi però l’uomo ritratto porta l’orologio a sinistra, indossa una giacca con abbottonatura da donna e le scritte negli specchi si leggono dritte. Così come il piombo non è gomma, anche le immagini non sono solo colori e forme. Attenzione però a dare al grafico o all’impaginatore tutte le colpe. Molte delle considerazioni sull’involuzione del processo produttivo (esternalizzazione esasperata del lavoro, con annessa precarizzazione delle professionalità) già fatte parlando del redattore, si applicano anche a chi è chiamato a impaginare, spesso con tempi ristretti e continue richieste di cambiamento da parte del committente o della redazione. Ma è anche vero il contrario: l’autore (o il redattore) non è un grafico e, a parti inverse, corre gli stessi rischi. Quando si chiede all’autore di mettere in pagina i propri testi riempiendo uno schema già sviluppato (come nei template di Word o nei servizi di autopubblicazione tramite internet), il rischio di inestetismi è molto alto. Come per il grafico, anche per l’autore saper manovrare un computer e un programma d’impaginazione non implica buon gusto, senso delle proporzioni, conoscenza delle regole base. E saltano fuori i papocchi, pagine inguardabili che il lettore scorrerà in fretta o salterà senza leggerle. Perché, sia chiaro, il risultato non dipende dal sistema tecnico usato, ma dalla cultura e sensibilità estetica: qualità che si possono imparare, ma che non vengono conferite dalla tecnologia. Si possono fare cose orrende con l’elettronica e pulite con macchina per scrivere e fotocopie, così come orrori con la stampante ad aghi e meraviglie con la fotocomposizione. È per questo che il manovratore di computer è una maledizione (oltre che destinato a sparire, in termini professionali), mentre un grafico con solide basi e lunga esperienza è una risorsa.❧ Gregory Alegi 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Musicobibliofilia Rubrica a cura di Federica Fortunato e Diego Cescotti “S eigneurs, vous plaît-il d’ entendre un beau conte d’ amour et de mort? … Signori, vi piace ascoltare un bel racconto d’ amore e di morte? È quello di Tristano e di Isotta la regina. Ascoltate come con gran gioia, con gran dolore, essi si amarono, poi ne morirono lo stesso giorno, lui per lei, lei per lui”. Riconoscete l’ inizio di quel ‘ romanzo simbolista’ di Joseph Bédier che dei multipli Tristani medievali è la sapiente e poetica riscrittura novecentesca. Sulle stesse parole del romanzo si apre l’ oratorio Le vin herbé di Frank Martin, con uno slancio vocale che subito si placa nella condotta piana accordale che è un tratto distintivo di tutta l’ opera. Titolo e generatore dell’ oratorio, in un primo tempo il filtro d’ amore era stato pensato come protagonista, sciolto dall’ ambivalente portato di passione e tragedia, emblema di un’ assolutezza del sentimento e della sensualità. Elemento moderno, continentale, assente nelle pri- me versioni celtiche, la bevanda ha introdotto una ‘ rivoluzione spirituale’ nella leggenda, concentrando le pulsioni umane in un catalizzatore esterno, garantendo la reciprocità della passione e rendendo dicibile, anzi celebrabile, ‘ la’ storia dell’ amore radicale e totalizzante. Rovesciata la tesi per cui la leggenda di Tristano e Isotta sarebbe all’ origine della concezione moderna dell’ amore (Denis de Rougemont), nel suo Le philtre et l’ amour del 1969 Michel Cazenave denuncia come la lezione erotica del Tristano sia stata soffocata e vinta da un altro modo di intendere l’ amore, quello cortese della purezza, della tensione idealizzante o della colpa da espiare. Ed è quella autentica modernità che, attraverso Bédier, entra nell’ opera di Martin. Quando Frank Martin comincia a comporre Le vin herbé / Der Zaubertrank è il 1938 e siamo a Zurigo, città in cui due anni dopo presenterà la prima versione, seguita nel 1942 da quella, ripensata e ampliata, che oggi conosciamo. Commissionato da Robert Blum (noto compositore soprattutto di musica per film, all’ epoca impegnato nella promozione di musica antica e contemporanea) per il suo Madrigalchor Zürich, Le vin herbé si serve di un organico essenziale: 12 voci (tre per quattro registri), 7 archi (violini, viole, violoncelli, contrabbasso), pianoforte. Nell’ oasi della Svizzera neutrale, durante gli anni di guerra Martin produrrà altri lavori per voce (soli e coro) con piccola orchestra in vari generi e su temi cha ondeggiano tra il favolistico e la meditazione sulla tragedia in corso: il balletto Das Märchen vom Aschenbrödel / La marcia di Cenerentola, lo ‘ spectacle dansé en plein air’ Ein Totentanz zu Basel im Jahre 1943, fino all’ oratorio In terra pax allestito nel maggio del 1945. Conoscendo il pensiero e l’ etica professionale (la ‘ responsabilità del musicista’ ) di Martin, è trasparente Federica Fortunato Un Tristano di guerra IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 95 musicobibliofilia un suo atto di opposizione alla barbarie attraverso quest’ ultima incarnazione della storia di Tristano e Isotta. Anche l’ estrema lontananza dal modello wagneriano è un programma ideale oltre che artistico, se ricordiamo l’ appropriazione falsificante che di Wagner stava facendo il nazismo. Nessuna magniloquenza o concessione a languori o impeti romantici; “una sorta di Tristano visto dalle quinte del Pélleas debussiano, ma con un senso di slontanamento nostalgico ancora maggiore”, secondo l’ espressione di Stefano Leoni. Ma non è solo una questione di lingua e di stile; l’ utilizzo diretto del Roman de Tristan et Iseut di Bédier prova l’ assunzione di un’ ottica nello stesso tempo arcaica e modernamente atemporale, sia nella concezione della storia che nell’ organizzazione formale. Un filtro di rinascita Il libretto è opera del compositore (probabilmente con l’ apporto della moglie, la flautista olandese Maria Boeke) che distilla passaggi dalle pagine di Bédier senza il minimo ritocco, ottenendo una sintesi agile di grande potenza drammaturgica. Fra il Prologo e l’ Epilogo (esattamente il primo e l’ ultimo capoverso di Bédier) abbiamo tre parti divise in 18 quadri, rispettivamente 6, 5 e 7. La costruzione risulta compatta all’ interno di ogni parte, suddivisa in cellule narrative autonome e coerenti come in un ciclo di affreschi medievale. 96 Della lunga storia Martin isola tre momenti nodali (Le Philtre, La forêt du Morois, La mort), recuperando alcuni accenni della storia pregressa: le imprese eroiche e cortesi di Tristano, la sua arte di cantore-arpista, il viaggio verso l’ Irlanda nella navicella senza vele e senza remi, incontro alla rinascita e al destino. Tutto si apre sull’ elemento simbolico fondamentale, il filtro: la preparazione, le raccomandazioni della madre di Isotta alla fedele Branghien, l’ atto inevitabile. “Coloro che ne berranno insieme si ameranno con tutti i loro sensi, con tutti i loro pensieri, per sempre, nella vita e nella morte”. Non solo è tematizzata la centralità del vin herbé, ma viene evocato l’ aspetto sensuale, imperioso e totalizzante dell’ amore che produrrà; nel proclamare la potenza del sentimento se ne anticipa la conseguenza e noi già pensiamo al quadro finale, quello delle due tombe allacciate da un rovo che nessuna violenza umana può sradicare. Sulla nave in rotta verso la Cornovaglia, Isotta si dispera e rompe il vincolo del sillabismo con un melisma sulla parola “Chétive / Misera!”; simile procedimento e sulla stessa parola si trova nella terza parte, quando la tempesta marina sembra volerle impedire di raggiungere Tristano morente. Diversamente che in Wagner dove tutto parte da un iniziale delirio di morte, un errore porta a condividere il vino medicato (“No, non era vino: era la passione, era l’ aspra gio- ia e l’ angoscia senza fine, e la morte”). Anzi, non un errore, ma un rito universale (il bere ospitale) e iniziatico (la bevanda sacra); e non un filtro d’ amore quale la fantasia dell’ orrido ha offerto per secoli, ma una pozione naturale (sia pure trattata con scienza e magia) di erbe e fiori mescolati al vino. Il primo atto si conclude “quando abbandono cadde la notte” con l’ all’ amore su un disegno strumentale a grandi onde, cullante ed evocativo. Privo dell’ invocazione iniziale con le sue allusioni tenebrose, originariamente l’ oratorio si concludeva qui, sulla ‘ festa d’ amore’ ; una celebrazione della potenza vitale ignara del dramma in agguato. Se la prima e la terza parte costituiscono il cuore del racconto con l’ eterna polarità ‘ amore-morte’ , quella centrale mette in scena il re Marco e l’ incontro nella foresta: i due amanti, dormienti e divisi dalla spada di Tristano, vengono risparmiati dal marito di Isotta che, scambiata la spada-diaframma con la propria, risveglierà gli scrupoli di lealtà di entrambi i protagonisti, portandoli alla decisione congiunta di separarsi. “Séparés, ce n’ était pas la vie ni la mort, ma la vita e la morte ad un tempo”. Con questo avvio la terza parte contiene il ferimento mortale di Tristano, la sua richiesta di rivedere Isotta la Bionda, il viaggio burrascoso di lei, la menzogna gelosa di Isotta dalle Bianche Mani, la doppia morte, il miracolo del rovo 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI musicobibliofilia tra i due sepolcri. Martin non inserisce quella frase di inarrivabile magia amorosa: “Il nostro amore è di natura tale che voi non potete morire senza di me, né io senza di voi”. Ma il resto, nella necessaria contrazione testuale, c’ è tutto. “Elle mourut auprès de lui pour la douleur de son ami”. Un’ interpretazione atemporale Nella valutazione critica dell’ opera di Martin, Le vin herbé è considerato il momento di passaggio ad uno stile maturo dove i vari procedimenti si armonizzano, messi al servizio della meditazione sulla parola. Con risorse volutamente scarne Martin costruisce un lavoro di grande compattezza stilistica e impatto espressivo, passando da effetti sinfonici a linee solistiche sofisticate con una miriade di sfumature dinamiche e timbriche. Senza il ricorso a temi portanti, la divisione in quadri permette di sgranare ‘ numeri chiusi’ caratterizzati da toni e disegni aderenti al contenuto. Pochi e brevi sono i passaggi solo strumentali; tutto è narrazione condotta principalmente dal coro che spesso si fa carico anche del discorso interiore dei protagonisti. Raramente lavora al completo; da una a dodici, tutte le combinazioni di voci si susseguono definendo ogni frase anche timbricamente, senza mai staccarsi dal principio dell’ omoritmia. I solisti prendono la parola staccandosi dal coro che di frequente li accompagna come forma IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 di commento. Di grande effetto è il procedere imitativo a quattro parti sulle parole della madre di Isotta: “Coloro che ne berranno insieme…”; poche battute, le uniche, in cui si deroga al procedere omoritmico. Solistica o corale, la parola è rispettata minuziosamente nei suoi valori prosodici ed è accentuato il suo fluire di racconto arcaico; la melodia si muove su un sillabismo rigoroso, spesso vicina alla declamazione monocorde con lievi inflessioni. Il cromatismo, diventato ormai linguaggio naturale, non inficia la sensazione di sostanziale diatonismo, accentuato da una condotta ‘ scivolante’ della polifonia che leviga le armonie più aspre attraverso iterazione e progressive mutazioni accordali. Apparentemente castigato sul piano timbrico, l’ insieme di archi e pianoforte fiorisce in una tavolozza sperimentale. Come avviene nell’ uso caleidoscopico delle voci, anche gli strumenti acquistano corpo o si stemperano seguendo situazioni e stati emotivi. Gli archi sostengono il canto con la potenza di un’ orchestra da camera, con effetti plastici di sapore organistico, con linee solistiche obbligate; al pianoforte, solo o nell’ insieme d’ archi, è spesso affidata la sottolineatura dell’ elemento drammatico: sostegno armonico ostinato, tremoli, lunghi passaggi per moto continuo. L’ accompagnamento riflette il principio armonico della scrittura corale: con accordi perfetti usati in successioni insolite (echi debussiani) o con gruppi dissonanti, le parti parallele evocano sonorità delle antiche polifonie: l’ organum e più spesso il falso bordone tipico appunto delle isole inglesi. È stato spesso sottolineato l’ uso libero della tecnica dodecafonica in quest’ opera che diventerebbe così la prima rilevante prova di Martin nella grammatica schönberghiana. In realtà di questa si trova qualche speziatura: si incontrano alcuni temi di 12 note, a volte usate in ostinato, ma senza le procedure previste dalla dottrina di Vienna. Nel 2° quadro dell’ ultima parte (quando Tristano “sentì che la sua vita se ne andava [e] volle rivedere Isotta”) al basso si presenta una serie completa, ma è più simbolo di una totalità profonda (il riassunto di una vita, di una storia) piuttosto che materiale da elaborare. Partecipa anzi ad un senso di fissità iconica a cui tutto il resto concorre: sillabismo, frequenti passaggi in unisono, procedere armonico coeso, accompagnamenti in ostinato, lunghi pedali. Sono soprattutto questi pedali ad ancorare l’ opera ad una dimensione liberamente tonale. Il triplo ‘ si’ che sostiene il Prologo scivola quasi impercettibilmente ad un accordo sospeso nelle ultime battute. E, in lontana analogia con quanto avviene nel Tristan und Isolde, ritorna a chiudere l’ Epilogo con un luminoso quanto inaspettato accordo di si maggiore. Naturale soluzione per il congedo ottimistico delle ultime battute: 97 musicobibliofilia 98 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI musicobibliofilia “Seigneurs, les bons trouvères d’ antan, … Signori, i buoni trovieri d’ un tempo Béroul et Thomas, e Monsignor Eilhart, e il maestro Gottfried, hanno raccontato questa storia per tutti coloro che amano, non per gli altri. Per mia voce vi mandano il loro saluto. Salutano chi è pensoso e chi è felice, i malcontenti e i desideranti, chi sta nella gioia e chi è nel tormento, tutti gli amanti. Possano trovare qui consolazione contro l’ incostanza, contro l’ ingiustizia, contro il dispetto, contro la pena, contro tutti i mali d’ amore”. Un augurio all’ umanità in lutto, quindi, questa leggenda; letta secondo un’ ottica solare, lontana dalla mistica della morte, si rivela un inno alla vita, un esempio di armonia e, per ritornare a Cazenave, “di una vita totale dove fiorisce ogni possibilità dell’ essere […] l’ annuncio di un’ esistenza nuova, intrecciata, compatta e luminosa, …”. ❧ Federica Fortunato Una registrazione dell’ opera è disponibile in 2 CD della Harmonia Mundi (2007). Online si trova una registrazione completa con lo stesso Frank Martin al pianoforte. Suggeriamo un’ occhiata al videotrailer dello spettacolo realizzato tra maggio e giugno del 2013 allo Staatsoper di Berlino con un’ inconsueta messa in scena: www.staatsoperberlin.de/en_EN/repertoire/le-vinherbe.861301. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 Frank Martin Frenata dalla radicale prudenza di Calvino verso canto e strumenti, schiacciata fra tre nazioni per secoli protagoniste della storia musicale europea, nella percezione comune la Svizzera rimane ancora oggi un’area grigia. È vivo il ricordo dell’attività direttoriale e culturale di Ernest Ansermet, così come si è diffusa ovunque la pedagogia innovativa di Emile Jaques-Dalcroze; ma la pur copiosa produzione di molte altre figure di interesse (le opere sinfoniche di Hans Huber, per esempio, o le pagine pianistiche di Emil Frey) è poco o per nulla presente. Frank Martin (1890-1974) è forse l’unico compositore elvetico di perdurante anche se non popolarissima fortuna. Oltre ad una ormai corposa discografia, vari studi in lingua tedesca, francese e inglese danno conto della sua statura di musicista e della posizione originale da lui occupata nel panorama del Novecento. Tuttavia anche per il più fortunato degli autori svizzeri non si trovano studi in italiano, a parte i profili biografici nei repertori enciclopedici e qualche saggio reperibile anche in rete1. Eclettico è l’aggettivo generalmente usato per una definizione sintetica di Martin. Appartenendo alla generazione di Stravinskij, Hindemith e Bartók, è naturalmente immerso in quel turbinio di ricerche alternative al codice tradizionale con il suo corredo di sperimentazioni, incroci, assunzioni personali di nuove tecniche. Martin si definisce orgogliosamente ‘svizzero’, erede sia della tradizione tedesca che di quella francese; senza dimenticare il mondo espressivo e valoriale calvinista (il padre era pastore). Nelle interviste e negli scritti Martin esibisce le sue profonde radici bachiane e riconosce il debito con Debussy e, in subordine, con molti altri autori. Attento studioso delle opere del passato e della contemporaneità, applica ed elabora con consapevolezza stili e tecniche compositive: atteggiamenti tardoromantici, impressionistici, neoclassici, così come arcaismi, modalità, politonalità e dodecafonia. Al contrario di uno spirito modellato da troppi influssi e per questo poco caratterizzato, Martin costruisce gradualmente una propria impronta, lavorando come un artigiano che sperimenti prodotti e procedure. “Ogni regola ha come scopo l’arricchimento dello stile, ma […] l’obbedienza alle regole è soltanto una forma di eleganza, un piacere intellettuale che non ha nulla a che vedere con il valore”. Emblematico è l’impiego della dodecafonia (di cui si trovano tracce in Le vin herbé); studiata in forma autodidattica dalla metà degli anni Trenta, questa è per Martin una delle organizzazioni possibili dei suoni temperati, spazio per un arricchimento sul piano melodico e per ingegnose strategie costruttive. Ma non deve essere un dogma, né come tecnica, né per le implicazioni ideali espresse dal suo codificatore, Arnold Schönberg. Al di là della tecnica, Martin sente che ‘la responsabilità del musicista’ (titolo di uno dei suoi scritti) è quella già esplicitata con naturalezza da Franz Joseph Haydn: portare all’umanità «pace e consolazione». “Quali che siano i movimenti dell’anima, dello spirito, della sensibilità che si manifestano in un’opera, e anche se il fondo è d’angoscia o persino di disperazione, l’arte deve inevitabilmente portare il segno di quella liberazione, quella sublimazione che una forma finita evoca in noi e che è, io penso, quello che si chiama bellezza”. 1 - Segnaliamo due analisi, testuale e musicologica, di particolare acutezza e scorrevole lettura su Le vin herbé e il linguaggio di Martin: Maria Sofia Lannutti e Maria Caraci Vela in http://riviste.paviauniversitypress.it/index.php/phi/article/view/06-02-INT01/96 99 Il Furore del Rock a cura di Livio Bauer I l sesto, l' undicesimo ed il tredicesimo disco di Springsteen (considerando solo la produzione nuova ed in studio) sono le eccezioni alla regola di un suono pieno, orchestrale, composito, assicurato nella maggioranza dei casi dalla sua E-Street Band (due tastiere, sax e due chitarre oltre a quella di Bruce, nonché la sezione ritmica d' obbligo con basso e batteria, e spessissimo percussionisti, coriste, fiati e violino aggiunti). Si tratta infatti di opere acustiche (contrapposte al suono estremamente elettrico ed amplificato che normalmente lo caratterizza) ed in solitaria. Se Nebraska (1982) nasce da una profonda crisi esistenziale motivata dalla fine dei sogni giovanili (fu definito addirittura “folk sepolcrale”) ed è l' unico disco cui non seguì un tour live, e se Devils & Dust (2005) è un genuino prodotto cantautorale americano impregnato di echi country e folk, dedicato ai soldati americani in Iraq, in The Ghost of Tom Joad (1995) Springsteen si fa cantore dolente del disagio sociale: messicani immigrati clandestini, disperati lasciati indietro dalla reaganomic, ed in generale storie di povertà e miseria, di perdita di speranze e valori. Queste tematiche sono sempre state presenti in tutta la sua opera, e ne riflettono il personale background umano e sociale, ma in questo caso costituiscono il tema esclusivo di tutto il disco. Il punto di partenza, il motivo scatenante, è The Grapes of Wrath, 1939 (Furore nell' edizione italiana), capolavoro di John Steinbeck e romanzo-simbolo della Grande Depressione americana degli anni ' 30, da cui già Woody Guthrie (19121967), padre di tutti i folksingers, trasse ispirazione per la sua Tom Joad (dal nome del protagonista). Probabilmente è questo il medium che ha portato Bruce a conoscere il libro di Steinbeck, insieme all' omonimo, bellissimo film di John Ford del 1940, con Henry Fonda e John Carradine. Va detto subito, infatti, che Springsteen (tutt' altro che un intellettuale) ha avuto sempre un rapporto conflittuale con l' obbligo scolastico ed ha cominciato solo in età adulta ad accumulare letture significative, con l' entusiasmo ed il disordine del neofita. Non c' è dubbio comunque che la storia di Tom Joad l' ha colpito profondamente, inducendolo a trasporre le stesse tematiche su soggetti della sua contemporaneità, con vera partecipazione e profondo trasporto. Un' altra fonte dichiarata è Journey to Nowhere, the saga of the new underclass (ediz. italiana Il Saggiatore 2005: Homeland, viaggio nella madrepatria americana) di Dale Maharidge (scrittore americano già vincitore del Pulitzer 1990), da cui nascono in particolare due canzoni: Youngstown e The New Timer. Parte integrante dell' opera di Maharidge sono le fotografie, definite “agghiaccianti”, di Michael Williamson. Il libro è stato ristampato negli USA nel 2011, con prefazione dello stesso Springsteen. Livio Bauer B. Springsteen & J. Steinbeck 100 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Il FUrore del Rock Prima di The Ghost of Tom Joad, Bruce aveva concluso il suo percorso umano ed artistico con la coppia di dischi del 1992. Dal ragazzo nato per correre (Born to Run, 1975) era passato al camminare come un uomo (Walk like a Man, da Tunnel of Love, 1988), fino alle gioie e le responsabilità di una famiglia vera (Human Touch e Lucky Town, appunto). Aveva concluso la reunion con i fedelissimi della E-Street Band con il Greatest Hits del 1995, e rischiava di impantanarsi creativamente nella vita del borghese tranquillo ed appagato. Perché in Springsteen vita ed arte sono sempre state felicemente coincidenti: egli sarebbe stato semplicemente incapace di portare avanti una carriera ripetendo allo sfinimento le tematiche dei suoi hits giovanili, come fanno a tutt' oggi tante patetiche rockstar settantenni. Ed allora ecco la stagione dell' impegno: nel 1993 compone per l' amico regista Jonathan Demme il celeberrimo tema conduttore di Philadelphia (film “scomodo” sull' AIDS), vincitore sia del Grammy che dell' Oscar come miglior canzone, seguito da Dead Man Walking e Missing per altri due film “impegnati” dell' altrettanto amico, nonché fan sfegatato, Sean Penn. E via con un disco difficile da fare e da ascoltare, senza concessioni alla facile fruizione, né come testi né IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 come musica, e f*** off al mercato ed ai discografici. Incoraggiato da Lyle Lovett, grande cantautore texano (ed ex-marito di Julia Roberts) compone, produce, incide e finanzia un' opera che per sua stessa ammissione avrebbe potuto, in caso di clamoroso insuccesso, lasciarlo sul lastrico. La Columbia non crede nel potenziale commerciale della nuova incisione, e la promuo- ve poco e male; il suo produttore storico e mentore Jon Landau (non a caso assente dai credits) gli pronostica un sicuro insuccesso. Il disco si piazza in effetti al suo meglio all' 11° posto nelle classifiche di vendita americane e Springsteen si trova a condurre il tour promozionale mondiale, acustico ed in solitaria, in teatri da 3/5.000 posti. La stampa più trendy (Details, Q) lo stronca impietosamente e c' è chi calcola che l' autore di Born in the USA (1984, 15 milioni di copie vendute, sette settimane al n° 1) avrebbe potuto incassare 150 milioni di $ se al posto del tour acustico avesse promosso il Greatest Hits (subito number one in tutto il mondo) con la riformata E-Street Band. Però, però… il Village Voice e Rolling Stone definiscono The Ghost il lavoro di Springsteen più riuscito e coraggioso degli ultimi dieci anni, gli viene assegnato il Grammy (equivalente ad un Oscar musicale) per il miglior album folk contemporaneo (“storie violente raccontate sottovoce” le definisce lui) ed il tour va avanti con crescente successo di pubblico e di critica, specialmente nella vecchia Europa. Alla fine saranno in totale 129 concerti sold-out in tutto il mondo nell' arco di un anno e mezzo: più di due ore e 30' su un palco da solo, senza strumenti elettrici, con la sua vecchia Takamine ed un' armonica al collo in perfetto stile folksingin' , a demolire felicemente l' immagine di rockstar ipertrofica anni ' 80. Dal vivo stravolge anche numerosi dei suoi inni elettrici in versione acustica, sofferta e scarna: applauditissimo. In apertura ed in chiusura di concerto risuona il Tema Finale di C' era una volta il West di Ennio Morricone, musicista italiano venerato negli USA. Durante il tour scrive pure molte delle canzoni che saranno, quasi dieci anni dopo, su Devils & Dust. Io non ho potuto presenziare a nes101 Il FUrore del Rock suna delle 5 esibizioni italiane (il 20.2.1996 fu perfino al Festival di Sanremo di Pippo Baudo: eseguì The Ghost of Tom Joad sottotitolata; fiammata di vendite in Italia nei giorni seguenti) ma ero a Bologna il 4 giugno 2005, per il Devils & Dust Tour, in un Palamalaguti torrido e gremitissimo (tra le 10 e le 12.000 persone): durante le esecuzioni non si sentiva volare una mosca e la tensione e l' emozione si tagliavano col coltello. Il piccolo grande uomo del New Jersey, in perfetta solitudine, camicia grigia e jeans stazzonati, con la sua chitarrina o seduto all' organetto, al banjo o alla Rickenbacker elettrica, armonica e pedaletamburino da busker, ci ha stregati tutti per 150 minuti di fila. E la maggior parte dei presenti capiva poco o nulla dei testi, cantati ma più spesso biascicati, mormorati, sussurrati in strettissimo Jersey slang. L' ho visto almeno una dozzina di volte dal vivo, a partire dal mitico San Siro 21 giugno 1985, ma l' apparizione acustica di Bologna ' 05 resta uno dei ricordi più forti. The Ghost Of Tom Joad (Columbia, 1995), prodotto da Springsteen stesso assieme al fido Chuck Plotkin e mixato da Toby Scott, si avvale in realtà, in diversi pezzi, dell' accompagnamento discreto di un paio di E-Streeters (Federici e Tallent) e di vari altri strumentisti, fra cui spicca la violinista Soozie Tyrell, che una decina d' anni dopo entrerà praticamente in pianta sta102 bile nella E-Street Band. Dodici canzoni e copertina orribile, forse la peggiore in un lotto già mediamente molto basso dal punto di vista visivo. The Ghost of Tom Joad. La titletrack è una scabra ballata che dà il tono a tutta l' opera: voce dimessa (neanche l' ombra del Bruce tonitruante di Born in the USA), strumentazione essenziale, acustica e scarna, con sporadiche sciabolate di un' armonica lancinante. È la storia di Tom Joad, antica ed attualissima, cruda, dura, opprimente. Vi si ritrovano brani di Steinbeck, frasi dal film di John Ford, sprazzi di disperata attualità a creare un' epica senza tempo dei reietti e degli ultimi: “Uomini camminano lungo i binari / senza meta e senza ritorno / Elicotteri della polizia spuntano dalla collina / Una minestra calda in un bivacco sotto il ponte / La fila per un letto fa il giro dell' isolato”. Siamo alla pura sopravvivenza, umiliante ed avvilente perfino per lo spettatore distratto: “Famiglie dormono in macchina nel Sudovest / niente casa, niente lavoro, niente pace, niente riposo”. Ed ecco la botta ai potenti. Sarcasmo più che ironia: “Benvenuti nel nuovo ordine mondiale”. Amaro riferimento alle manie di grandezza statunitensi spesso ripreso dallo Springsteen live anche attraverso l' amatissima Who' ll stop the Rain dei Creedence di John Fogerty. Beffardo il nuovo ordine mondiale, per chi non ha dove andare ed intraprende un viaggio senza speranza per la promised land di turno (autocitazione: è il titolo di uno dei suoi maggiori anthems). “Coperto dai cartoni nel sottopassaggio / con un biglietto di sola andata per la terra promessa / hai un buco nello stomaco e una pistola in mano / e dormi su un letto di dura pietra”. Chiusura, citando Steinbeck, sull' addio di Tom Joad alla madre, autentica american prayer, universale promessa di lotta, tenacia e speranza: “Ovunque un bambino appena nato piange per fame / dove c' è repressione e odio nell' aria / cercami, mamma, io ci sarò / Dovunque qualcuno lotta per un posto dove stare / o un lavoro dignitoso o una mano pietosa / Dovunque qualcuno si batta per essere libero / guarda nei loro occhi, mamma, e mi vedrai”. Il ruvido ritornello ci riporta però ai giorni nostri, ai fuochi sul bordo delle autostrade, agli sconfitti accanto a cui sfrecciano indifferenti le nostre macchine… “L' autostrada è viva stanotte / ma nessuno si illude su dove porti / Sono seduto là, alla luce dei fuochi da campo / con il fantasma del vecchio Tom Joad”. Il romanzo di Steinbeck, da cui tutto partì, il film di Ford, la canzone di Guthrie, la ballata di Springsteen: il cerchio si chiude. Ma certo, visto il temperamento battagliero del nostro, non vanno dimenticate le frasi della Madre nel film di John Ford: “Siamo vivi. Sia2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Il FUrore del Rock mo il popolo, la gente, che sopravvive a tutto. Niente può distruggerci. Nessuno può fermarci. Noi andiamo sempre avanti”. Straight Time. Charlie, uscito di prigione, tenta di cambiare vita e di farsi una famiglia. Ma il richiamo della wild side è troppo forte: “Nel buio, prima di cena / a volte sento il prurito”, e quasi ineluttabilmente ci ricasca: “Giù in cantina, un fucile da caccia ed un seghetto / sorseggio una birra e la canna da tredici pollici cade sul pavimento / Torno a casa la sera e non riesco a togliermi l' odore dalle mani”. Nessun romanticismo, solo fredda constatazione ed un senso di pena e di nausea… Highway 29. Un onesto commesso (che potrebbe essere benissimo il Charlie di Straight Time) conosce la donna sbagliata e con lei compie una rapina. Fuga in auto: “Il sole invernale passava attraverso alberi neri / Mi dicevo che doveva trattarsi di qualcosa in lei / ma mentre guidavamo scoprii che era qualcosa in me / qualcosa da tanto tempo fa / e qualcosa che era lì con me adesso / sulla statale 29”. La premonizione dell' inevitabile: IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 “Tutto ciò che vedevo erano neve, cielo e pini / Chiusi gli occhi e correvo / correvo e poi volavo”. E come non pensare al finale di Thelma e Louise (1991) di Ridley Scott… Youngstown. Uno dei capolavori non solo dell' album, ma di tutto il corpus della scrittura springsteeniana. Eseguita spesso dal vivo, ha goduto anche di un arrangiamento elettrico full band, con un furibondo assolo di chitarra di Nils Lofgren, che ne arricchisce e valorizza la robusta, struggente, struttura musicale. La storia vera di Youngstown, Ohio, polo industriale dell' acciaio da quasi due secoli, che subisce il declino, la crisi e l' abbandono col conseguente, inevitabile, scempio sociale. “Costruirono un altoforno… / e produssero le palle di cannone / che aiutarono l' Unione a vincere la guerra / qui a Youngstown”. Il padre del narratore lavora negli altoforni, “più caldi dell' inferno”, così come il figlio, che tornato dal Vietnam riprende un lavoro “più che adatto per il diavolo”. Lavoro durissimo dunque, ma sostentamento della famiglia: “Carbone e calcare / hanno nutrito i miei figli… / Quelle ciminiere che si allungano come le braccia di Dio / in un bel cielo di fuliggine e argilla / qui a Youngstown”. Il padre, reduce della seconda guerra mondiale, osservando la rovina attuale, commenta: “Questi ragazzi hanno compiuto ciò che non era riuscito nemmeno ad Hitler” alludendo ai calcoli economici di pochi profittatori. “Queste fabbriche hanno costruito i carri e le bombe / che hanno vinto le guerre del nostro paese / Abbiamo mandato i nostri figli in Corea e nel Vietnam / e ora ci chiediamo per cosa sono morti”. La chiusura degli stabilimenti, dettata da spietate logiche di profitto: “La storia è sempre la stessa / Settecento tonnellate di metallo al giorno / E ora, signore, mi dici che il 103 Il FUrore del Rock mondo è cambiato / Ma io ti ho reso ricco abbastanza / …da dimenticare il mio nome / e Youngstown”. Quasi come il disoccupato senza futuro di Johnny 99 in Nebraska (che chiedeva di essere ucciso), qui… “Quando morirò non voglio andare in Paradiso / Non farei bene i lavori del Paradiso / Prego che venga a prendermi il diavolo / e mi porti nelle ardenti fornaci dell' inferno”. Amarissimo, straziante epilogo di chi, anche nell' aldilà, non sa immaginare un' esistenza senza duro lavoro, e siccome l' unico che conosce è infernale… Sinaloa Cowboys. Storia vera di due fratelli messicani, immigrati clandestini (ma il padre li avverte: “Figli miei… per ogni cosa che dà, il nord esige il suo prezzo…”), che dapprima svolgono per un tozzo di pane i lavori che gli hueros (i giovani americani) non vogliono fare, e poi, attirati dal facile guadagno, passano a gestire un laboratorio clandestino di metanfetamine del “cartello” di Sinaloa. Inevitabile la tragedia: sostanze chimiche pericolose e instabili e mancanza di precauzioni elementari portano al tragico scoppio in cui un fratello perde la vita. L' altro, recuperati i quattro soldi accantonati, saprà (speriamo) cambiare vita… The Line. Secondo pezzo della Border Suite dopo Sinaloa Cowboys, ancora un richiamo a Nebraska (Joe Roberts, stavolta): là un poliziotto fa scappare il fratello delinquente, qui una guardia di frontiera si inteneri104 sce per una clandestina messicana e la lascia passare, ma un collega lo scopre… e sta zitto. Situazione surreale al confine USA-Messico, dove spesso Border Patrolmen e clandestini sono amici, se non addirittura parenti… Balboa Park. Terzo atto delle "storie di confine", disperato e squallido. Un altro clandestino, nel Balboa Park di San Diego (California), tra droga, degrado, spaccio e prostituzione, si barcamena senza speranza di redenzione. Dry Lightning. Una semplice storia d' amore: deluso, naturalmente, visto il mood del disco. “Lei disse: nessuno può dare a un altro ciò di cui ha davvero bisogno”. “Bé, così ti stanchi di lottare / e non hai nemmeno più paura che sia finita / Ma non perderò il suo ricordo / e il dolce profumo della sua pelle / C' è solo un fulmine senza nubi, all' orizzonte / Solo un lampo, e tu nella mia mente”. The New Timer. Ispirato, come Youngstown, dal libro di Maharidge, è un testo lungo e pieno, in cui l' accompagnamento musicale è quasi superfluo. Poco adatto, pertanto, all' esecuzione live, raramente compare in concerto. Narra di un homeless senza nome, troppo vecchio per sperare in un lavoro nuovo, che vaga per la nazione da un treno merci all' altro. Frank, compagno di peregrinazioni, lo introduce alla dura vita del senzatetto. “Ho lasciato la mia famiglia in Pennsylvania / cercando lavoro sono finito sul- la strada / …dal New Mexico al Colorado / dalla California al mare”. Ogni tanto qualche lavoretto da bracciante, ma poi… “Ci hanno messi a dormire in una stalla / me ed un centinaio di altri come me”. Non bastasse, un giorno, inspiegabile e assurdo, ecco l' assassinio di Frank, suo unico amico. Forse qualche balordo, forse uno sbirro troppo zelante… “Gli hanno sparato fuori Stockton / il suo corpo abbandonato su una collina fangosa / Nulla mancava, niente gli era stato rubato / qualcuno l' ha ucciso tanto per uccidere”. Attonito, passa accanto ad una casa dove una famiglia sta cenando: “Una donna serve la cena in cucina / un ragazzo siede a tavola col suo vecchio / e io mi domando se manco a mio figlio / se si chiede mai dove sono”. Ed eccoci al finale più nero di tutta la produzione springsteeniana. Non resta più nulla, neanche Dio. Solo rabbia cieca e voglia di vendetta. “O Gesù, pietà e misericordia / stanotte, mi spiace, non mi riempiono il cuore / come potrebbero un buon fucile / e il nome di qualcuno da uccidere”. Across the Border. Dopo la notte più oscura, come spesso in Springsteen, un po' di serenità, gioia e speranza. Forse debitore della celebre Across the Borderline di Ry Cooder, ecco il pezzo musicalmente più bello di tutto il disco. Sussurrato, più che cantato, con infinita tenerezza, da Bruce, l' armonica che 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Il FUrore del Rock piange, si conclude con un coro a bocca chiusa in levare che fa venire la pelle d' oca. Fantastico. Quarto ed ultimo brano della Border Suite, è una semplice, pulita, “banale” storia d' amore, che però a questo punto del disco ha un significato profondo: sa di pacato ottimismo e di riscatto. È la sera prima del passaggio del confine: fra sogno e realtà un innamorato si rivolge alla “sua piccola”. Nella lunga intro parlata dell' esecuzione live [servirebbe un intero articolo solo per parlare delle interminabili introduzioni di Bruce ai suoi pezzi, di volta in volta seduta psicanalitica, sfacciata bugia, pazza voglia di divertirsi…] cita ancora le parole di Tom Joad alla madre della title track: nobile, coraggioso messaggio di Steinbeck ai diseredati di tutti i luoghi e tutti i tempi. Qualche verso dal testo della canzone: “Domani la mia piccola ed io / dormiremo sotto cieli ramati / da qualche parte oltre il confine / …lasceremo indietro dolore e tristezza… / …costruirò una casa per te / alta su una collina erbosa / …dove dolore e ricordi siano placati / …dolci fiori nell' aria / dorati pascoli verdi / ac- qua fresca e limpida… / …fra le tue braccia / sotto cieli infiniti / cancellerò con un bacio il dolore dai tuoi occhi / laggiù oltre il confine… / stanotte canteremo canzoni / e ti sognerò, amore mio / Domani il mio cuore sarà forte / e la grazia e la preghiera dei Santi / mi porteranno al sicuro fra le tue braccia / laggiù oltre il confine”. Galveston Bay. Messaggio concreto di speranza e tolleranza, questa canzone deve molto ad Alamo Bay del regista Louis Malle ed al libro di Morris Dee A season of justice. È la storia tutta americana di Billy e Le Bin Son, reduci del Vietnam, pescatori di gamberi nel Golfo del Texas. Sposati, un figlio Billy, una figlia Le, che ambedue “…baciano al mattino / prima di andare a buttare le reti”. Un rigurgito xenofobo, la rabbia povera di chi si vede insidiato il lavoro, li pone su fronti opposti “…America agli americani / Se volete che se ne vadano, dategli fuoco!”. Le Bin Son uccide due adepti del Klan mentre tentano di incendiargli la barca-abitazione. Legittima difesa, dice il giudice. Billy decide di farsi giustizia da solo, e aspetta Le impugnando un serramanico. “La luna si nascose tra le nuvole / Le accese una sigaretta, il mare era calmo / Quando gli passò accanto, Billy rimise il coltello in tasca / Fece un sospiro e lo lasciò andare”. Springsteen sente di non dover spiegare la scelta di Billy, umana, saggia, naturale. La scelta che troppo spesso viene disattesa. La più difficile, la più giusta. Quella che sempre dovrebbe essere fatta… My best was never good enough. Il disco si chiude con un collage di detti popolari più strambi che saggi, sciorinati a mo' di filastrocca. Molti sono gli stessi del film Forrest Gump di Robert Zemeckis. Forse Bruce vuole dirci di non cercare sempre a tutti i costi un significato profondo, nelle canzoni come nella vita. Meglio a volte seguire l' istinto, come Billy… Spiazzata la critica, che considera inspiegabile questa sterzata finale sul nonsense. E sembra di vedere il Boss sogghignare: “Ma devo spiegarvi sempre tutto? Volete pure i disegnini?”.❧ Livio Bauer BIBLIOGRAFIA aa.vv., Enciclopedia Rock 5 voll., Arcana, 1985-1999 aa.vv., The Rolling Stone files, Tarab, 1997 Stefano Barco e Alberto Neri, Bruce Springsteen Anthology, Arcana, 1999 Riccardo Bertoncelli e Chris Tellung, 24.000 dischi, Zelig, 2004 Ermanno Labianca, American Skin, Giunti, 2000 Claudio Mapelli, Trent' anni da Boss, Editoriale L' Espresso, 2005 Dave Marsh, Glory Days, Sperling & Kupfer, 1988 Dave Marsh, Nato per correre, Gammalibri, 1983 IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 Paolo Mereghetti, Dizionario dei film, Baldini Castoldi Dalai, 2004 Christopher Sandford, Springsteen, Arcana, 2001 Bruce Springsteen, Songs, Avon Books, 1998 Paolo Vites, Bruce Springsteen, Arcana, 1998 “Backstreets” The Boss Magazine 1995-2013 “Buscadero” 1990-2013 “Il Mucchio Selvaggio” 1970-1990 105 Il FUrore del Rock Discografia Essenziale Commentata Born to run (Columbia, 1975, 3° in classifica). Dopo due dischi buoni ma ancora acerbi, con un gradevolissimo mood jazzy, ma che vendono poco, i discografici non avrebbero tollerato un altro fallimento. Bruce e la E-Street Band nella formazione classica (Van Zandt-Clemons-Federici-Bittan-Tallent-Weinberg), con l' aiuto determinante di Jon Landau, dopo due anni di lavoro durissimo e mille ripensamenti, ai celeberrimi Record Plant Studios di New York sfornano il loro primo capolavoro. Prodotto dal trio Springsteen-Landau-Appel (la disputa legale stava partendo), mixato da Jimmy Iovine, allinea otto classici, pezzi che delineano l' epica notturna e giovane, elettrica e motorizzata di una generazione urbana delusa, ribelle ed arrabbiata. La title track è il pezzo più eseguito dal vivo: compare negli encore di (quasi) tutti i suoi concerti. E Jungleland, Backstreets, Tenth Avenue Freeze Out, Thunder Road, ancora oggi, dopo quasi quarant' anni, mancano di rado… La 30th Anniversary Edition (Sony-BMG-Columbia, 2005) è il sogno di ogni fan, con un dvd di making of ed un altro con l' intero concerto londinese all' Hammersmith Odeon del 18 novembre ' 75. Darkness on the edge of Town (Columbia, 1978, 5° in classifica). Esce dopo un lungo (a quel punto della carriera) silenzio discografico dovuto alla querelle giudiziaria con Appel. Opera cupa, oscura, pessimista, è secondo molti l' apice della produzione springsteeniana. Factory, la “vita” di un operaio, a spaccarsi la schiena dall' alba al tramonto, avrebbe potuto stare su The Ghost of Tom Joad. Badlands canta l' angoscia per un futuro che non sarà migliore di un presente di sudore e sacrificio. L' amore come rifugio (Prove it all Night), la mitica, irraggiungibile terra promessa (The Promised Land), la città 106 oscura (Darkness on the edge of town). Dieci brani, e non sbagliarne uno. Sempre ai newyorkesi Record Plant, produzione Landau-Springsteen-Van Zandt, in studio Plotkin-Iovine. Bruce compie trent' anni, è la fine dell' innocenza e dei sogni, celebrata con il miglior tour all-time della storia del rock: 118 concerti, purtroppo solo in USA, in cui poesia, furia, potenza, entusiasmo, sofferenza, sudore e gioia, di un Artista, della Sua Band e del Suo Pubblico, si fondono in un unicum irripetibile. Il cofanetto celebrativo The Promise (Sony-Columbia, 2010) allinea 2 cd di outtakes preziosissime, un dvd con tutto il disco risuonato live, nella sequenza originale, dalla E-Street Band nel 2009, un dvd di making of, e, finalmente, un terzo dvd col filmato completo del Live in Huston (Texas), dell' 8 dicembre ' 78. Definitivo. The River (Columbia, 1980, 2 LP, 1° in classifica). L' irrefrenabile bulimia creativa di Bruce lo porta a produrre addirittura un doppio LP di canzoni nuove (cosa piuttosto inusuale ai tempi). Atmosfera gioiosa, spensierata, allegra anche se il disco si conclude con la drammatica Wreck on the Highway, quasi un' anticipazione dell' atmosfera pesante del successivo Nebraska. Venti pezzi, produzione Springsteen-Landau-VanZandt. Mixato da Chuck Plotkin e Toby Scott ai Power Station Studios di NY. The River, Independence Day, Hungry Heart, The Price You Pay, Point Blank tra le più famose. Il tour promozionale (144 concerti, finalmente in modo organico anche in Europa, ma non in Italia) lo consacra a livello mondiale. Nebraska (Columbia, 1982, 1° in classifica, incredibilmente!). All' apice del successo, a 33 anni, realizza che la sua vita al di fuori della musica è praticamente inesistente. Assistito comunque sempre da u- 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Il FUrore del Rock na felice vena creativa, registra su un vecchio 4 piste nella sua casa di Colts Neck (New Jersey) 10 pezzi in modo grezzo ed artigianale (si avvertono distintamente gli scricchiolii della sedia su cui siede). Canzoni talmente anomale, desolate, spiazzanti che, nonostante svariati tentativi, non è possibile arrangiarle per la band. Nemmeno la reincisione solista in uno studio professionale convince appieno. Ed allora il colpo di genio di Jon Landau, e la perizia tecnica del “solito” Plotkin, portano alla scelta radicale di pubblicare il nastro as it is. Born in the USA (Columbia, 1984, 1° in classifica). Presto archiviati i turbamenti di Nebraska, realizza l' album perfetto: 12 brani, tutti successi anche come singolo, vendite stratosferiche, 160 date soldout in tutto il mondo (Australia e Giappone compresi). Prodotto da Springsteen-Landau-PlotkinVanZandt, registrato da Toby Scott negli studi Power Station ed Hit Factory di NY, mixato da Bob Clearmountain. Rivalutato nel tempo anche dai fans della prima ora, che non gradirono il clamore mediatico, il suono inevitabilmente “pompato” degli stadi da 80.000 spettatori, lo stesso aspetto “muscolare” di Bruce, che sembra in effetti sotto steroidi. Born in the USA, Downbound Train, No Surrender, Bobby Jean, I' m going down, Glory days sono grandi pezzi, che meritano un posto tra i suoi migliori. Trionfale il debutto italiano live a Milano, 3 ore abbondanti di musica per uno dei suoi show più celebrati di sempre. Live 1975-1985 (Columbia, 1986, 1° in classifica). Il tanto sospirato primo live di Springsteen è una parziale delusione per i seguaci più accaniti: non un concerto intero, magari del mitico Darkness tour, ma una mega-raccolta in ben 5 LP di 40 pezzi tratti da suoi concerti nell' arco di dieci anni. Troppo presenti le canzoni di Born in the USA rispetto ai periodi precedenti, assenze clamorose (Jungleland su tutte). È comunque un prodotto validissimo per chi IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 vuole avvicinarsi al fenomeno Bruce-live, ma svela anche il lato più avido e compiacente del duo Landau-Springsteen. Co-prodotto da Chuck Plotkin. Tunnel of Love (Columbia, 1987, 1° in classifica). Accreditato al solo Bruce, anche se la E-Street Band è presente sia in studio che in tour. Registrato ai Thrill Hill Studios in New Jersey da Toby Scott, mixato da B. Clearmountain, produzione Springsteen-Landau-Plotkin, master di Bob Ludwig. 12 pezzi, fu realizzato nell' intervallo tra la fine del primo matrimonio e la nascita del legame con Patti. Ancora un' opera dura e pessimista, divisa equamente tra canzoni acustiche ed elettriche. Thougher than the Rest, All that Heaven will allow, Spare Parts, Tunnel of Love, sono comunque brani memorabili. Del tutto diversa l' atmosfera, gioiosa e romantica, del Tunnel of Love tour, 86 date, che vede la nascita dell' amore con la sua corista e susseguenti matrimonio e prole. Bruce è entrato definitivamente nell' età matura. The Ghost of Tom Joad è trattato ampiamente nel corpo dell' articolo. Occorre invece segnalare Tracks (Columbia, 1998, 4 cd, 27° in classifica), prezioso cofanetto dedicato agli hardcore-fans con gran parte (ma non ancora tutte) delle numerosissime canzoni “scartate” nel corso della sua ormai trentennale carriera, spesso perfettamente riuscite ma giudicate da Bruce estranee al messaggio ed all' atmosfera generale del disco in cantiere in quel determinato periodo. Sono ben 66 pezzi, molti dei quali bellissimi e sospirati dai fan per decenni, dopo averli ascoltati su pessime, costosissime incisioni clandestine. Probabilmente solo Bob Dylan può vantare un archivio di outtakes più ricco e variegato. Anche stavolta non mancano le polemiche (più che mai fuori luogo) per qualche inevitabile, ma tutto sommato indolore, esclusione, e soprattutto per la decisione di sovraincidere ex novo alcune parti, andando a ledere, secondo i puristi, la genuina freschezza 107 Il FUrore del Rock degli originali. Prodotto da Springsteen-Plotkin. Trionfale e festoso come non mai, il Tracks-tour, 132 date, festeggia degnamente il ritorno live ufficiale della E-Street Band dopo 14 anni. The Rising (Columbia, 2002, 1° in classifica). La frustata dell' 11 settembre 2001 è terribile per l' America come per Springsteen, che reagisce con immensa classe, usando tutta la sua influenza per lanciare un messaggio di rinascita e (sì!) di tolleranza. La sua risposta non cambia: affrontare virilmente violenza e dolore, cercando di gettare le basi per un futuro di pace. Prodotto e mixato da Brendan O' Brien, che influenza molto anche il suono, piacevolmente cosmopolita e terzomondista. Registrato ai Southern Track Recording di Atlanta (Georgia). Empty Sky, Worlds Apart, The Fuse, Further on up the road, Mary' s Place, The Rising, … 120 concerti all around the world ne consolidano il successo e sanciscono il ritorno di Springsteen nel novero delle superstar “commerciali”. We shall overcome-The Seeger Sessions (Columbia, 2006, 3° in classifica). La partecipazione ad un tribute-album in onore di Pete Seeger (venerando folksinger americano) gli fa conoscere ed apprezzare il repertorio di Seeger stesso nonché tutto un patrimonio di musica tradizionale comunemente etichettata come folk. Detto fatto, messa in freezer ancora una volta la E-Street Band e circondatosi di un validissimo e cospicuo gruppo (ben dodici musicisti, tanto sconosciuti quanto bravi), sforna velocemente un disco fresco e godibile dalle sonorità completamente nuove, che anticipa in qualche modo l' esplosione del suono Americana, caratterizzato da strumentazione semiacustica, entusiasmo travolgente, ritorno alle radici. 15 pezzi, prodotto da Bruce Springsteen, registrato ai Thrill Hill (NJ) dalla premiata ditta ScottClearmountain-Ludwig, è seguito da un tour di 56 date, la maggior parte in Europa (ben 8 in Italia!). La tappa di Verona (Arena, 5.10.2006) resta per me 108 un altro ricordo indelebile. Bruce si preoccupò molto di distinguere l' immagine e la musica di Pete Seeger dalle sue idee politiche (è un comunista convinto). Live in Dublin (Columbia, 2007, classifica non disponibile). Magnifico documento della penultima tappa del Seeger tour: a Dublino, dove molti dei pezzi eseguiti nacquero, una band ormai rodatissima ed un Bruce senza inibizioni scatenano le danze al primo pezzo e le chiudono dopo il 23°. Oltre al repertorio delle Seeger-sessions diversi grandi classici springsteeniani rinascono più belli e forti dopo il “bagno irlandese”: Atlantic City, If i should fall behind, Highway Patrolman, Open all Night, Growin' up, Blinded by the Light… meraviglia. 2 cd ed un magnifico dvd da vedere e rivedere. Wrecking Ball (Columbia, 2012, 1° in classifica). Un mix di E-Streeters e di musicisti delle Seegersessions, la produzione di Ron Aniello-Springsteen-Landau, gli studi Stone Hill (NJ), i tecnici ScottClearmountain-Ludwig: ed ecco un ottimo disco di classic blue-collar rock (rock proletario, per farla breve), ossia la musica che ha fatto grande Springsteen. Estrema attenzione alle tematiche sociali, suono più pieno che mai (fiati, coristi aggiunti, violini, banjo, fisarmonica…), irish-rock, blues, folk. Realistico e sensibile, semplice e credibile, gioioso e pensoso: Bruce Springsteen, ancora una volta, al suo meglio. The Wrecking tour: 135 concerti, ed altri 17 già programmati nel 2014, insieme al nuovo cd High Hopes in uscita il 14 gennaio prossimo. Sempre più lunghi, intensi, sudati e forse un po' troppo fracassoni, clowneschi, prevedibili. Ma quando poi si mette al piano e ti sciorina For You come fosse in una bettola sul porto prima della chiusura, ed una Racing in the Street mai così nebbiosa e notturna, gli perdoni tutto, e torni a sorridere, a commuoverti, a ballare… [L. B.] 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Il FUrore del Rock CENNI BIOGRAFICI E CRITICI Bruce Frederick Springsteen nasce a Long Branch, New Jersey, il 23 settembre 1949, primogenito di Doug, di origini olandesi, e di Adele Zirilli, i cui genitori emigrarono in Usa da Vico Equense (Napoli) a fine Ottocento. Virginia nacque poi nel 1950, Pamela (Pam), nota fotografa, nel 1962. Doug, che cambiava spesso lavoro, odiava due cose: i capelli lunghi di Bruce e la sua chitarra. Pertanto, nella casetta di Freehold, i contrasti erano all'ordine del giorno. Per fortuna Adele, che sostentava la famiglia col suo lavoro di assistente legale, era di tutt'altra pasta, anzi fu lei stessa a regalare la prima chitarra al figlio, rinunciando subito ai sogni di vederlo un giorno avvocato. Neanche a scuola, dalle suore, Bruce seppe rendersi la vita facile. Preferiva abbeverarsi, alla radio della mamma, al favoloso mondo musicale degli anni '60: soul, blues, rithm 'n blues, jazz, country, rock 'n roll, la british invasion. Come una spugna assorbiva gli elementi di quello che poi sarebbe stato il suo suono. Le prime band: Castiles, Steel Mill, Dr. Zoom & Sonic Boom, Bruce Springsteen Band. Tutte tappe che lo porteranno al provino acustico con John Hammond, della Columbia Records, lo scopritore di Bob Dylan. Nel frattempo, dopo l'ennesimo cambio d'impiego di Doug, la famiglia si trasferisce in California, mentre Bruce resta nel New Jersey a coltivare il suo sogno. Il contratto con la Columbia, la nascita della mitica EStreet Band (per almeno due lustri, dal '75 all' '85, the best rock 'n roll band in the world), l'accordo-capestro col suo primo manager Mike Appel, i primi dischi, l'esplosione di Born to run nel '75, il legame col manager-produttore-mentore di tutta una carriera, il giornalista Jon Landau (sua la famosa frase: “…stasera ho visto il futuro del rock, ed il suo nome è Bruce Springsteen…”), la sfiancante diatriba legale con Appel, da cui uscirà solo due anni dopo, il ca- IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 polavoro Darkness on the Edge of Town, il successo mondiale, le copertine (in contemporanea) di Time e Newsweek, la tranquillità economica, l'ingresso trionfale nell'Olimpo delle rockstar nel 1985. Un matrimonio nato male, poi l'unione con Patti Scialfa (ancora sangue italiano) che gli darà tre figli. I tranquilli anni '90, i più opachi dal punto di vista musicale, ne decretano però la definitiva maturazione umana: è la fine (mai rimpianta, né dai fans né tantomeno dall'interessato) della rockstar-age e l'inizio della stagione dell'impegno, che sfocia nel toccante The Rising (2002), nato sull'onda della tragedia delle Twin Towers, e nell'appoggio esplicito a John Kerry prima e a Barack Obama poi. L'allargamento delle esperienze musicali, col temporaneo abbandono degli E-Streeters per dedicarsi a produzioni soliste, a dischi cantautorali, a riuscitissime rivisitazioni della tradizione americana. La reunion coi vecchi pards, la perdita di Federici e Clemons, l' ottimo Wrecking Ball, l'ennesimo (doppio) giro del mondo on tour… Tutte vicende ampiamente note. Ma perché Bruce Springsteen gode di un culto mondiale? Bassino, bruttino, tutt'altro che eccelso sia come compositore che come chitarrista. Poco avvezzo a sottigliezze intellettuali. Ottimo cantante, sì, ma più di potenza che di classe. Però è un Prisoner of Rock'n Roll a vita che sul palco dà tutto, è un performer di valore assoluto. Capisci al volo che è come te: lui crede davvero nel sogno del rock. Dal trasporto wild & innocent dell'adolescenza/giovinezza al saggio, sommesso, coraggioso, consapevole porsi della maturità. Concerti estenuanti: tre, quattro ore. Caldo, freddo o pioggia: importa nulla, il rito pagano deve compiersi, la catarsi dev'essere raggiunta, e nessuno sia lasciato indietro. Le parole non bastano: se pote- 109 Il FUrore del Rock te, vedetelo in concerto. Non avrete bisogno d'altro per amarlo incondizionatamente. Generoso: in ogni città in cui suona lascia, senza clamore, assegni a 5/6 cifre per le banche del cibo, i ricoveri dei senzatetto, le strutture per gli ultimi. Può permetterselo, certo, ma non ha mai dimenticato da dove viene lui stesso. Ha rifiutato contratti milionari per l'uso delle sue canzoni a scopo commerciale-pubblicitario. Mai toccato da storiacce di droga, pare invece estremamente sensibile al fascino muliebre… Nel 1984 ha polemizzato aspramente con (l'allora) onnipotente Ronald Reagan che voleva appropriarsi elettoralmente della sua Born in the USA, stravolgendone il messaggio antimilitarista. Non si contano le sue apparizioni a benefit-concerts di ogni genere, come pure i premi ed i ricono- 110 scimenti ottenuti in quasi 50 anni di carriera. E non chiamatelo Boss: detesta il nomignolo affibbiatogli fin da ragazzo, forse a causa della mania di perfezione che lo affligge sia in sala di registrazione che nella preparazione degli eventi live (i suoi soundcheck sono spesso dei mini-concerti, per lunghezza ed intensità). Praticamente di ogni suo concerto, da quarant'anni a questa parte, sono disponibili registrazioni clandestine. Esistono etichette specializzate sui suoi bootleglive e si contano nell'ordine delle migliaia le pubblicazioni che lo riguardano, in ogni lingua del mondo. Qualcuno ha detto che l' umanità si può dividere in due categorie: chi ha assistito ad almeno un concerto di Bruce Springsteen, e chi non c'è mai stato… [L.B.] 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Il FUrore del Rock JOHN STEINBECK Nato a Salinas (California) nel 1902, visse un' infanzia tranquilla coi genitori e le tre sorelle, innamorandosi dell' ambiente e dei paesaggi marini e rurali delle sue origini. Volle sempre e solo “fare lo scrittore”, e fin da giovanissimo iniziò a scrivere poesie e racconti. Seguì i corsi di Letteratura Inglese e Scrittura Creativa presso la Stanford University, interrompendoli però spesso per dedicarsi a lavori occasionali e temporanei e facendo esperienze che poi avrebbe usato nelle sue storie. Abbandonati definitivamente gli studi, cercò fortuna letteraria a New York, principale polo culturale statunitense, ma dovette ben presto rientrare in California, deluso e amareggiato. Il lavoro di custode gli lasciava molto tempo per scrivere, e nel 1929 pubblicò finalmente il primo dei suoi numerosi romanzi. Nel ' 30 si sposò, ma la coppia dovette ricorrere al sostegno economico della famiglia Steinbeck. In quello stesso anno conobbe il biologo marino e filosofo Edward Ricketts, che ne influenzò molto il pensiero e l' opera. Su di lui Steinbeck modellò tutta una serie di personaggi che alla scienza del “Dottore” univano il “saper vivere” del filosofo. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 Alcuni suoi romanzi (I pascoli del cielo, Al Dio sconosciuto) iniziano finalmente a vendere bene, legati come sono all' atmosfera del post-crisi economica, con storie rovinose e tragiche. Con Pian della Tortilla (1935), acquistato da Hollywood come molti altri suoi scritti, inizia per Steinbeck l' era del successo e del benessere. Seguono, fra gli altri, Uomini e topi (1937) e Furore (1939), sempre centrati su tematiche di denuncia sociale. Non è però, quella di Steinbeck, solo denuncia estremista e provocatoria di un' America in rovina, ma vi è sempre umana compassione, partecipazione sincera alle vicende della sua gente e grande, sereno amore per le ambientazioni rustiche e le persone semplici, memoria dei luoghi in cui era cresciuto. Ormai baciato dal successo inizia a viaggiare (Europa, Africa), divorzia e si risposa nel ' 42 (avrà due figli). Esce La luna è tramontata, di ambientazione bellica, e nel ' 43 è in Europa come inviato speciale del New York Tribune, rimanendo sconvolto dagli orrori della guerra, che narra sempre “dal basso”, dal punto di vista quotidiano dei soldati semplici, senza eroismi, ma impegnati essenzialmente a sopravvivere. Nel dopoguerra la sua stella si offuscò. L' America era profondamente cambiata, il suo naturalismo pacifista sembrò superato, ed alcuni suoi romanzi vennero giudicati eccessivamente sentimentalisti (Vicolo Cannery, Quel magnifico giovedì: vicende picaresche di diseredati “creativi”, ottimisti, a loro modo felici; in realtà gradevolissime). Nel ' 52 esce La valle dell' Eden, che anche grazie al famoso omonimo film di Elia Kazan del ' 54 con James Dean, lo riporta al successo. Segue un lungo periodo di viaggi e soggiorni all' estero, mentre continuano, proficui, i rapporti con l' industria del cinema. 111 Il FUrore del Rock Nel ' 61 pubblica L' inverno del nostro scontento, storia di un fallimento e metafora amara del naufragio, a suo vedere, dell' America contemporanea. Continua a viaggiare freneticamente nonostante la salute malferma, fra Stati Uniti, Europa, Sud-Est asiatico. Nel 1962 gli viene conferito il Premio Nobel per la letteratura. Muore nel ' 68. “…La banca è un mostro che gli uomini, dopo averlo creato, non riescono più a controllare…”: giudizio tranchant, ma purtroppo quantomai attuale. Tom Joad, uscito di prigione, attraversa campi devastati da una micidiale alternanza di siccità ed inondazioni, che rovinano anche l' ultimo raccolto, costringendo The Grapes of Wrath (Furore), 1939, [lett.: I grappoli del furore] “…e gli occhi dei poveri riflettono, con la tristezza della sconfitta, un crescente furore. Nei cuori degli umili ne maturano i frutti, e s' avvicina il tempo della vendemmia…”(John Steinbeck). Romanzo simbolo della Grande Depressione Americana, capolavoro riconosciuto di Steinbeck, è però visto generalmente anche come un' opera favorevole al New Deal rooseveltiano. Narra le vicende della Joad Family e di infinite altre in Oklahoma ed in tutti gli Stati Uniti rurali, messi in ginocchio dalla crisi. Gente umile sfrattata dalla propria casa e dai campi dalla banca cui non possono rimborsare prestiti ed interessi. tutta la famiglia all' incertissimo viaggio della speranza (meglio: della disperazione), su un camion scassato verso la California, lungo la mitica Route 66 (oggetto di un' infinità 112 di libri e soprattutto canzoni). La Madre è il vero sostegno della famiglia, la quercia cui ognuno si appoggia per essere, nonostante tutto, tranquillizzato e rassicurato. Purtroppo la California si dimostra tutt' altro che “terra promessa”. Tom durante uno sciopero uccide, per tragica fatalità, un poliziotto, ed è costretto a fuggire, accomiatandosi dalla Madre con le nobili parole citate anche da Springsteen nella sua canzone. E poi inondazioni, abbandoni, tragedie. Il libro termina sull' immagine forte di una giovane puerpera dei Joad che, perduto il figlioletto, allatta al seno un pover' uomo sfinito dalla fame e dalla fatica. L' omonimo, celeberrimo, film di John Ford (1940) vinse due Oscar. L' unica traduzione italiana, di Carlo Coardi, risale, incredibilmente, allo stesso 1940, e risente pesantemente dei tagli imposti dalla censura fascista (libro americano, e per giunta di sinistra, figurarsi…), impedendo la piena comprensione della trama, dello spessore dell' opera, ed in definitiva del messaggio più profondo che Steinbeck voleva, attraverso essa, trasmettere. 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI 1 E * a cura di Francesca Garello S i dice sempre che gli italiani leggono poco. Non è una leggenda urbana. Le statistiche ufficiali ci dicono che solo il 46,8% della popolazione italiana teoricamente in grado di leggere (cioè con più di sei anni) legge libri per motivi non strettamente scolastici o lavorativi (dati Istat relativi al 2010, scaricabili alla pagina “La lettura di libri in Italia”, www.istat.it/it/ archivio/27201). La statistica si accontenta di poco: questo 46,8% di lettori in realtà è composto anche di gente che ha letto almeno un libro in 12 mesi. Il dato, di per sé un tantino deprimente (meno della metà della popolazione prende in mano un libro per il puro piacere di leggere), è in realtà ancora più scoraggiante se si considera che in realtà è frutto di una media: al Nord e al Centro si supera di poco il 50%, mentre al Sud la percentuale di lettori raggiunge al massimo il 37%. Triste eh? Ma sono cose note. Forse meno conosciuto è un ulteriore approfondimento di questo dato generale. Anche questi amanti dei libri non sono tutti uguali. Tra gli italiani che amano leggere qualche libro ogni tanto esiste infatti un cospicuo numero di lettori forti, un bel 59%, che consuma libri in grande quantità. Chi sono dunque questi irriducibili letterati? Professori universitari? Studiosi di letteratura? Pensionati con molto tempo libero? Macché. Sono i ragazzi tra gli 11 e i 17 anni. E tra questi, udite udite, la percentuale dei lettori più appassionati si concentra tra gli 11 e i 14 anni, cioè nella fascia delle scuole medie inferiori (65,4%). Dopo questa età la lettura diventa un passatempo sempre meno ricercato e le percentuali diminuiscono drasticamente per vari motivi che non discuteremo qui, ma che possono essere approfonditi nell’ utile documento che l’ Istat mette a disposizione in pdf alla pagina sopra citata. La tendenza, anche se non con identiche percentuali, si riscontra anche negli Stati Uniti (si veda per esempio il sito “Statistic Brain” alla pagina sulla lettura, www.statisticbrain.com/reading-statistics/). Piccoli ma esigenti Il mercato editoriale più solido in Italia e all’ estero, quindi, è quello per ragazzi, come sanno bene i genitori e i nonni più attenti. Quante volte siete rimasti “intrappolati” nella sezione bambini di una libreria senza riuscire a trascinare via il pargolo? E quante volte vi siete stupiti di come sia volato il tempo anche per voi, in quella magica sezione? Non è facile scrivere libri per bambini. Il fatto che i lettori siano giovani non vuol dire che siano di bocca buona. Fin da piccoli hanno ricevuto i mille stimoli di una società molto sofisticata e sono esigenti. I libri devono soddisfare la loro curiosità ma anche competere * orizzontali 1 - Tra libro e gioco Francesca Garello Leggere, giocare, imparare IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 113 Tra libro e gioco con la tecnologia. Inoltre, i bambini hanno un sesto senso: si accorgono subito se attraverso un libretto apparentemente innocuo e colorato state cercando di contrabbandargli qualche nozione “seria” e di solito lo rifiutano disgustati. Quindi non è facile produrre testi che siano divertenti ma anche istruttivi. Nel campo delle pubblicazioni per ragazzi si cerca di sorprendere il lettore, trascinarlo all’ interno della storia, incoraggiarlo a partecipare alla scoperta di testi e nozioni, mescolando divertimento e istruzione. Insomma si cerca di offrirgli un’ esperienza totalizzante, che va al di là del testo scritto e sconfina in altre realtà esterne. Attenzione, però. Non si tratta banalmente di quel tipo di letteratura interattiva ora di moda, cioè testi “elettronici” da fruire su ebook o su iPad e che attraverso link o collegamenti informatici nel testo offrano al lettore dei “contributi aggiuntivi” come musica, filmati o visite a pagine web esterne. Niente di tutto questo. Io voglio parlare proprio di libri veri, di carta! Ma libri speciali perché, anche se è vero che coinvolgono il lettore nella fruizione del testo e anzi vanno al di là di questo, ampliando l’ orizzonte della storia, dipendono sempre fortemente dalla pagina. Carta, ma interattiva! Sicuramente in ogni casa, anche se i bambini sono cresciuti, resiste in qualche angolo uno di quei li114 briccini colorati con inserti di materiale particolare che imita, per esempio, il pelo degli animali. Questi libriccini hanno uno scopo ludico ma anche didattico: stimolano i sensi dei bimbi insegnando loro ad esplorare la realtà circostante mentre li divertono con le figure e i colori vivaci. Beh, secondo me questi sono libri “interattivi” di base. Crescendo, i lettori diventano più esigenti e i libri si adeguano, offrendo ai lettori più stimoli e divertimento più complesso, mantenendo un intento didattico accuratamente dissimulato. Dalla vasta categoria dei libri dei pop-up, di cui abbiamo già parlato (“Quando il libro è un giocattolo”, Il Furore dei Libri, n. 3, 2011), è nata quindi una tipologia di libri “ludicodidattici” che, mentre sfida il lettore a scoprire tutte le sorprese nascoste tra le pagine, gli veicola nascostamente una serie di nozioni “serie”. In famiglia ci siamo molto affezionati a quelli della bellissima serie “ology” inventata dall’ editore inglese Templar Publishing nel 2003 e che conta ormai 12 volumi che coprono tutto l’ immaginario dei bambini delle elementari: Mitologia, Dinosaurologia, Egittologia, Alienologia eccetera. Il primo fu Dragologia (Dragonology, 2003, in Italia pubblicato dai Fratelli Fabbri editori nel 2004). Il libro, irresistibile anche per un adulto (almeno, uno che ama i draghi, come me!), fingeva di essere il taccuino di appunti del dott. Ernest Drake (pseudonimo sotto cui si nasconde il vero autore, Dugald A. Steer), fondatore ai primi del Novecento della “Secret and Ancient Society of Dragonologists”. Sfogliandolo, ogni pagina rivelava sezioni apribili con mappe, frammenti di “pelle” delle varie specie draghesche esistenti nel mondo, libriccini segreti da aprire con cautela, alfabeti dragheschi per tradurre iscrizioni nascoste qua e là nelle pagine. Se Dragologia era in realtà solamente divertente, gli altri della serie si sono addentrati via via in settori più istruttivi: così, con Piratologia abbiamo imparato a leggere le carte nautiche (c’ è una vera bussola incastonata nella copertina); con Spyology (purtroppo in italiano non è uscito), mentre cercavamo informazioni cifrate nascoste tra le pagine, abbiamo imparato come la crittografia è stata usata nella storia tra conflitti e guerre di spie. Insomma, divertimento veramente “interattivo” per tutta la famiglia, senza bisogno di computer. Narrazioni lineari e non La letteratura per ragazzi, grazie al fatto che nessuno pensa che debba essere “seria”, si permette anche interessanti sperimentazioni letterarie senza risultare cervellotica o indigesta. È il caso, per esempio, de Il giallo delle pagine mischiate di Pablo De Santis (Nuove Edizioni Romane, 2009). In questo libro corrono due narrazioni parallele: una (lineare) racconta di come il protago2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Tra libro e gioco nista, Dario, abbia ereditato da un lontano zio una casa editrice in bancarotta, sul pavimento della quale trova un manoscritto con le pagine tutte mescolate, ancora non pubblicato; l’ altra narrazione (non lineare) è quella del manoscritto stesso, che viene presentato al lettore in capitoli fuori ordine inframmezzati ai capitoli narrativi. Il lettore segue così le vicende di Dario che, per salvare la casa editrice, decide di pubblicare il manoscritto (un romanzo giallo, che ha riferimento con la realtà) ma deve prima rimetterlo in ordine. Dario – e il lettore – leggono quindi i capitoli e cercano di ricostruirne la sequenza originale: la fine di ogni capitolo “mescolato”, infatti, nasconde un indizio da trovare nel testo o nelle illustrazioni e che rimanda al capitolo successivo. Alla fine anche la narrazione non lineare del romanzo mescolato viene ricondotta alla logica e alla linearità, mentre parallelamente si risolve il mistero e si salva la casa editrice. Sembra complicato ed invece è divertentissimo. E senza accorgersene i giovani lettori imparano a fare l’ analisi di un testo, a districarsi tra narrazioni parallele e a collegare nozioni tratte da immagini e testi. Investigatori tra le pagine Nei romanzi gialli tradizionali c’ è sempre un tacito accordo tra l’ autore e il lettore: io ti dò tutti gli indizi per risolvere il problema da solo, ma te li presento in un modo un po’ inganIL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 nevole, anche se onesto; se poi tu rimani sorpreso dalla soluzione è perché io sono stato più bravo di te. L’ autore e il lettore, insomma, sono avversari. Ai ragazzi però piace fare gli investigatori, e sono buoni osservatori. Non vogliono competere con il detective, vogliono essere come lui! Due autrici italiane, Susanna Francalanci e Laura Lombardi, hanno pensato di sfruttare questa inclinazione per libri che stimolino le capacità analitiche e deduttive dei giovani lettori. Nel 2005 hanno quindi inventato una serie di gialli per ragazzi che devono essere risolti dal lettore, la collana Detective alla prova (Vallardi Industrie Grafiche ed.). Nella narrazione le autrici inseriscono prove e documenti “veri”, foto, ritagli di giornale, lettere, che si possono toccare ed esaminare e che i lettori devono tenere presente mentre leggono la storia. Ogni volta che si esamina una prova il libro chiede ai lettori di formulare un’ ipotesi sul suo significato o sul futuro sviluppo dell’ indagine. La risposta fornisce un punteggio che va annotato nel “giallometro” personale, alla fine del volume. Terminata la storia si fanno i conti e si ottiene un giudizio sulle proprie capacità investigative, da un minimo di “giallastro” (non classificato, proprio un fallimento di detective) a un massimo di “giallo cristallo” (fuori classe, investigatore sopraffino). Quando uscirono i primi libri si poteva anche continuare a giocare a fare il detective su un sito web collegato alla colla- na, che però non è più attivo. Ok... c’ è anche Internet D’ accordo, ormai non c’ è più modo di sfuggire a Internet. L’ abbiamo nominato ed ora dobbiamo ammettere che molti di questi libri per ragazzi hanno poi un contatto diretto con un sito web appositamente preparato per integrare il testo scritto. Attenzione, però. Il sito affianca, integra il romanzo, non lo sostituisce né potrebbe esistere senza il libro. Negli Stati Uniti l’ uso di affiancare a un libro un sito Internet è molto comune. La casa Scholastic Press, per esempio, ha attualmente ben tre serie di romanzi avventurosi legate a un sito web: The 39 Clues (in Italia uscita come Le 39 chiavi), Infinity Ring e Spirit Animals. Le prime due serie hanno come sfondo la storia, la terza il mondo degli animali. L’ ambientazione di ogni serie viene ampliata nei corrispondenti siti web, offrendo ai lettori giochi basati sulle trame dei vari libri, approfondimenti (e qui sta la parte didattica) sui periodi storici e i luoghi che i personaggi affrontano. I giochi non sono fini a sé stessi: leggere il libro aiuta a risolvere i giochi online, tentativo nascosto di trascinare verso la carta anche il più convinto appassionato di giochi elettronici. Insomma, non tutto Internet viene per nuocere... se si tratta di avvicinare i ragazzi ai libri!❧ Francesca Garello 115 Tra libro e gioco L Caccia al tesoro tra libri e Internet a serie The 39 Clues (in italiano Le 39 chiavi, edita da Piemme) consiste di trentanove libri d’avventura per ragazzi che hanno però anche un tocco istruttivo: infatti ogni libro si incentra su un personaggio storico e il relativo periodo. Dal 2007 ad oggi negli Usa ne sono usciti diciassette, quasi tre all’anno. Un ritmo impossibile per un solo scrittore, e infatti ci sono molti autori. Il primo libro, Il labirinto delle ossa, è stato scritto da Rick Riordan, autore di Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo. I romanzi tradotti in italiano per ora sono solamente dieci. La storia inizia con la lettura del testamento di Grace Cahill, la nonna dei protagonisti Amy e Dan. A tutti gli eredi (sono parecchi e tutti in competizione tra loro) si presenta una strana scelta: accettare subito l’eredità di un milione di dollari oppure rinunciare ai soldi e iniziare una ricerca per trovare le “39 chiavi”, cioè gli indizi che permettono di individuare altrettanti elementi per ricostruire un siero che consentirà di diventare padroni del mondo. Comincia così una specie di gigantesca caccia al tesoro, con gli eredi divisi in “squadre” che cercano di ostacolarsi a vicenda. La ricerca del primo indizio porta Amy e Dan a Parigi, dove Benjamin Franklin secoli prima ha nascosto qualcosa. Nel secondo libro 116 la caccia prosegue a Vienna, dove i nostri eroi si metteranno sulle tracce di Mozart. Nel terzo andranno in Corea, nel quarto in Egitto e così via, in giro per il mondo e nella storia. Per incoraggiare la lettura anche nei ragazzi meno interessati, in ogni libro si trovano sei carte che, utilizzando un codice, consentono di sbloccare degli indizi sul sito Internet collegato alla serie. Il sito americano (the39clues.scholastic.com) è davvero bello: i giochi sono pensati in maniera tale che bisogna prima leggere delle notizie “istruttive” per poter risolvere enigmi e indovinelli, ma la cosa non pesa perché non si nota. Quando la serie è uscita in Italia si è tentato di fare qualcosa di simile ma il sito italiano (www. mypage.it/le-39-chiavi) è molto meno ricco e sembra poco aggiornato. Questi libri mi sono piaciuti moltissimo perché hanno una trama molto originale e riescono a combinare interessanti fatti storici senza essere pesanti e noiosi. Oltre a questo, sono adatti a un pubblico abbastanza vario, dai bambini di nove anni fino all’età di tredici anni. Se consiglio questi libri? Sì, certo! Avventura, mistero, storia... Insomma, la serie perfetta!❧ Livia Alegi 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Libri di confine a cura di Peter Disertori D a quando ce n’è memoria, accade che avvenimenti di portata capitale per la nostra storia vengano dimenticati, spesso si ha addirittura l’impressione che vengano subdolamente distorti e che poi ne venga tramandato il senso alterato. A peggiorare la situazione, vi è poi una sorta di pigrizia mentale che ci porta a dare per certe queste verità e a non curarci invece di verificarne l’attendibilità. Un esempio clamoroso ce lo fornisce la storia della scoperta dell’America, ovvero la demolizione dei confini del nostro mondo. Per secoli, in Occidente, abbiamo dato per scontato che le antiche civiltà europee si siano ben guardate, una volta oltrepassate le Colonne d’Ercole, ad avventurarsi nell’oceano aperto. In realtà, la stessa tradizione ci ha lasciato dei messaggi ben diversi e non è un caso che, sempre più di sovente, in alcuni circoli letterari, ma anche in vari ambienti accademici, si cominci a so- stenere apertamente che l’America è stata scoperta molto prima di quanto la storiografia ufficiale non voglia ammettere. Su tali argomenti sono stati scritti molti libri, molti di essi frutto di fantasia pura, altri più attendibili perché risultato di studi e di indagini più che seri, ma chiaramente nessuno può essere ritenuto latore di una verità definitiva. Il caso più significativo riguarda i Fenici che, sappiamo per certo, hanno costeggiato per migliaia di chilometri le coste africane: perché non avrebbero potuto anche raggiungere le Americhe? Risposte a tale quesito ce le fornisce Lucio Russo nel suo libro L’America dimenticata. Lucio Russo, uno degli studiosi più insigni del mondo ellenistico, basa la teoria che i Fenici avessero raggiunto l’America sul fatto che negli ambienti alessandrini fossero note le latitudini e longitudini di località dell’America centrale. La sua resta comunque un’ipotesi, anche se plausibile e affascinante. Sul fatto che anche i Vichinghi avessero raggiunto le coste nordamericane qualche secolo prima di Colombo, la comunità scientifica internazionale invece non ha più dubbi e lo dà per assodato. Prove certe della presenza norrena in quelle terre sono state trovate nel Labrador e a Terranova. Ben più controversa invece è la teoria che vuole che anche i Templari siano arrivati in America. Per verificare l’attendibilità di questa tesi, bisogna fare un passo indietro. È storicamente dimostrato che non tutti i Templari furono trucidati: di fatto, la loro ricchissima flotta sparì e non se ne seppe più nulla. Alcuni sostengono anche che essi avessero riparato in Scozia, altri addirittura che fossero fuggiti in America. A sostegno di questa congettura, vi è il legittimo dubbio che i Templari fossero venuti a conoscenza che nel mondo alessandrino, e di riflesso nella comunità essena di Qumran, si sapesse già che la Terra fosse rotonda e che, al di là delle Colonne Peter Disertori I confini dei vecchi mondi IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 117 libri di confine d’Ercole, esistessero altri mondi. Ad avvalorare l’ipotesi che i Templari, o meglio i loro discendenti scozzesi, abbiano voluto lasciare testimonianza di quanto erano riusciti a scoprire, ci sono le pannocchie di mais e le foglie di aloe scolpite nella cappella di Rosslyn, in Scozia, finita di costruire intorno al 1470. Vi sono poi vestigia, quali una torre ottagonale, ritrovata a Newport nel Rhode Island: anche se vi sono elementi che darebbero credito ad un’origine templare della costruzione, la datazione è controversa e pertanto non può essere definita una prova certa. Vi sono due libri che analizzano tali temi con dovizia di argomentazioni: I Templari in America di Jaques de Mahieu, e La colonia perduta dei Templari di Steven Sora. Il fulcro della querelle sulla scoperta dell’America riguarda però il suo artefice ufficiale, Cristoforo Colombo. A tale proposito, vale la pena riportare una tesi che recenti studi hanno fatto emergere e che trovano il suo maggiore sostenitore in Ruggero Marino con il suo libro Cristoforo Colombo. L’ultimo dei Templari. Da sempre, la storia ufficiale vuole che la figura di Cristoforo Colombo 118 fosse quella di un marinaio ligure, dalle incerte natalità, che aveva voluto raggiungere le Indie al soldo dei reali di Spagna e fosse poi approdato per errore, o per caso, in America. Pur presentando delle incongruenze, più o meno evidenti, abbiamo sempre dato per scontata questa visione dei fatti e rimosso tutti i dubbi. Quello più macroscopico riguarda proprio la personalità di Colombo: dalla stessa tradizione si desume, infatti, che avesse frequentato principi, cardinali, re e scienziati e ciò dimostra che, in realtà, fosse un personaggio di spessore, dotato di indubbia cultura e fascino e dalle idee molto chiare che poco si adattano alla figura di un marinaio visionario. È comunque cosa nota che Cristoforo Colombo fosse un grande estimatore di Marco Polo, che avesse intrattenuto costanti rapporti col matematico e astronomo fiorentino Toscanelli ed esaminato meticolosamente libri antichi. Non è da escludere, anzi è assai verosimile supporre, che papa Innocenzo VIII, il genovese Giovanni Battista Cybo, gli avesse addirittura messo a disposizione delle carte nautiche sequestrate, a suo tempo, dall’Inquisizione ai Templari. Questa constatazione rafforza anche la tesi che lo vuole, non nepos, ma addirittura figlio naturale del pontefice e spiegherebbe le croci templari sulle vele delle tre caravelle. Inoltre, in uno scritto risalente all’inizio del secolo XVI e ritrovato nel 1929 a Istanbul, Piri Reis, un cartografo e ammiraglio turco, autore di una carta geografica del mondo, sostiene nientemeno che il navigatore genovese fosse già stato in America sette anni prima della scoperta ufficiale. Costui disegnò nel 1513, con una certa approssimazione, le coste americane utilizzando una mappa che – scrive te2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI libri di confine stualmente il Reis – ebbe da “un infedele di Genova, di nome Colombo”, che “aveva scoperto questi paraggi”. Aggiunse inoltre che il grande navigatore infedele aveva già raggiunto il Nuovo Mondo nell’anno islamico 891, quindi nel nostro 1485. La cartina topografica è tuttora conservata al Topkapi di Istanbul. Ciò comprova ulteriormente che Colombo avesse cognizione della presenza di un nuovo mondo, come ne erano a conoscenza i Vichinghi e, molto verosimilmente, anche se prove dirette non esistono, i Templari con i loro “eredi” scozzesi. Pare quindi più che attendibile l’ipotesi che la sua spedizione, atta ad ufficializzare all’umanità la scoperta dell’America, fosse stata pianificata dal papa Innocenzo VIII. Il pontefice, che voleva dare vita ad un Nuovo Mondo sotto il vessillo della croce e aprire nuove rotte commerciali, si adoperò anche a far cofinanziare l’impresa da Lorenzo il Magnifico e da armatori e banchieri toscani e genovesi. In altre parole, Colombo fu una sorta di delegato pontificio, consapevole che la conquista di un nuovo continente e l’acquisizione di nuove ricchezze a- vrebbero consentito alla cristianità di opporre una strenua resistenza all’offensiva ottomana. Non a caso, Colombo dal 1492 iniziò a firmarsi Christo ferens, invece di Cristoforo. Ma cos’è successo allora, perché il navigatore genovese, dimenticato e messo in disparte, morì praticamente in miseria, senza avere ottenuto i diritti pattuiti, e nella totale indifferenza istituzionale? Fu un’atroce beffa del destino: Lorenzo il Magnifico scomparve precocemente nella primavera del 1492 e Innocenzo VIII morì nel luglio dello stesso anno, pochi giorni prima che le famose tre caravelle partissero da Palos, il 3 agosto. A quel punto, lo spagnolo Rodrigo Borgia, insediatosi con il nome di Alessandro VI al soglio pontificio, e i cattolici Isabella e Ferdinando, che avevano appena riunito Castiglia e Aragona ed espulso i mori e gli ebrei, impoverendo il tesoro della corona, ordirono un vero e proprio complotto. Sotto la loro sapiente regia, furono raccontate menzogne, soppressi documenti, creati misteri, e la realtà venne deformata con il risultato che la Spagna poté appropriarsi con facilità di quella scoperta. Viste le enormi implicazioni politiche, economiche e geografiche di quell’evento, fu, pur nella sua efferatezza, un colpo di mano magistrale. La disinformazione e le maldicenze, applicate con rigore quasi scientifico, hanno creato sul personaggio ombre e incertezze che ancora oggi fanno fatica a dissolversi, tanto è vero che il suo nome spagnolo, Cristobal Colon, difficilmente può essere inteso come “colui che porta Cristo”, Christo ferens, ovvero Cristoforo. Se poi pensiamo al cognome, Colombo, o meglio al suo significato esoterico (lo Spirito Santo è simboleggiato da una colomba), ed essoterico (il colombo viaggiatore), un altro tassello di questo inquietante thriller storico trova la sua collocazione. Resta un fatto, con Cristoforo Colombo i vecchi confini europei sono stati abbattuti per sempre ed il Vecchio Continente, uscito prepotentemente dal Medio Evo, ha condizionato, nel bene e nel male, per mezzo millennio la storia del mondo intero.❧ Peter Disertori bibliografia Lucio Russo, L’America dimenticata, Mondadori Editore, 2013 Ruggero Marino, Cristoforo Colombo l’ultimo dei Templari, La storia tradita e i veri retroscena della scoperta dell’America, Sperling & Kupfer Editore, 2005 Jacques de Mahieu, I Templari in America, Piemme, 2001 Steven Sora, La colonia perduta dei Templari, Edizioni L’Età dell’Acquario, 2006 IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 119 Parlando di libri... a cura di Anna Maria Ercilli Il punto di partenza è lo studio del colore e dei suoi effetti sugli uomini. Vasilij Kandinskij Che felicità nel blu. Non ho mai saputo quanto blu potesse essere il blu. Vladimir Nabokov L a storia del colore si scrive nel bisogno di osservare e conoscere, scorrendo nella vita quotidiana di uomini e donne, legata ai costumi, alle arti, al linguaggio, alla spiritualità della società culturale. La sua presenza permea il presente e affonda nel passato attraverso il cambiamento di attribuzioni e suggestioni. Di quale colore sono i nostri ricordi? Banalmente non ci facciamo caso, questi riaffiorano per lo più indefiniti, monocromatici e malgrado il tentativo di rivederli esattamente com’ erano, ne sbagliamo il colore. Nascono colori instabili incapaci a fissarsi nella memoria. Nel libro di M. Pastoureau leggiamo impressioni personali, ricordi eruditi, parlano filosofi e giornalisti, troviamo oggetti quotidiani e moda, letteratura e bandiere, sport e arte: “Lo storico sa bene che il passato non è solo ciò che è stato, ma anche ciò che la memoria ne ha fatto”1. Nella storia dell’ abbigliamento europeo il nero era ampiamente usato per gli abiti della popolazione, ma dopo la scoperta del Nuovo Mondo e l’ importazione di grandi quantità di indaco, il nero sarà lentamente soppiantato dal blu marino. Con la fine dell’ Ottocento il blu diventerà il maggiore concorrente del nero, sostituendo il tradizionale colore delle uniformi: dai marinai alle guardie campestri, dai collegiali agli sportivi, il blu marino si diffuse anche nell’ abbigliamento civile. Segnò la moda e il cambiamento di gusto di un’ epoca. Curioso l’ affermarsi di un certo abbigliamento moderno, diventato non solo europeo ma quasi universale, i blue-jeans. Furono adottati dagli studenti, diventando un po’ alla volta la divisa delle giovani generazioni, che coloravano di blu i cortei delle contestazioni politiche. Alcune scuole li bandirono considerandoli trasgressivi. Pratici anche per la vita sportiva, erano unica- mente di colore blu. Ricordiamo l’ autentico jeans Levi’ s 501. La moda lo ripropone in diverse sfumature di blu, stinto, strappato, logoro, un pantalone che si adatta ai tempi e non vede il tramonto. Una traccia ci porta all’ origine di questi pantaloni, vede nei portuali di Genova i precursori di questo abbigliamento da lavoro. Venivano confezionati con la tela robusta delle vele e, in tutti i porti, erano noti come i pantaloni blue de Genes. Il colore nell’ arte divide artisti e filosofi, per alcuni è ritenuto un segno di volgarità, convinti che il colore assecondi pensieri e passioni violente. Plinio attribuiva ai colori più appariscenti un decadente orientalismo; Le Corbusier asseriva che il colore si addice alle razze semplici, ai contadini e ai selvaggi: “… è l’ ora di bandire una crociata a favore del bianco calce e di Diogene”; “L’ uomo – diceva Yves Klein – è esiliato lontano dalla sua anima colorata”2. 1 - Pastoureau Michel, I colori dei nostri ri- cordi, Ponte delle Grazie, 2011, p. 11. 2 - Ball Philip, Colore, una biografia, Bur, Colori e memoria 120 Anna Maria Ercilli 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI parlando di libri L’ avversione verso un colore si presenta in modo irrazionale, duraturo nel tempo, e percepito in modo diverso da paese a paese. Un esempio, l’ antipatia per il verde. Certe persone rifiutano i vestiti di questo colore, altre accusano lo smeraldo di portare sfortuna. Tale superstizione, presente in uomini di potere, interessava la vita civile e pubblica, niente verde per le divise dell’ esercito reale. Questo per il passato, ma tuttora l’ autore francese si trova in difficoltà nella ricerca di un maglione verde scuro, il suo colore preferito. Mentre nei paesi nordici, lo stesso colore è molto diffuso e considerato di buon gusto per l’ abbigliamento comune. Pastoureau indaga la superstizione fra la gente di teatro, nota che gli artisti rifiutano di vestirsi di verde, il colore è bandito dalle scene già dal XVII secolo; circola la diceria non verificata della fine di Molière, dicono sia morto perché indossava abiti di questo colore. Uomini di teatro pensarono di utilizzare il colore grigioverde dei pittori, molto tossico, ottenuto dalla reazione dell’ acido su lastre di rame; verniciarono costumi di scena, decora- zioni e scenari. Accadeva nel Seicento, molti attori morirono intossicati, ma tutti ignoravano l’ eziologia di quelle morti, la causa era nel colore dei loro abiti. Paura e superstizione bandirono il verde dalle scene. Nella continua ricerca di rendere stabile il colore, vengono mescolati dei composti arsenicali di colore verde, utilizzati nelle vernici per mobili, arredamenti e oggetti d’ uso comune. Sono prodotti inodori che in presenza di umidità liberano vapori di arsenico. Si avvalora il sospetto che Napoleone, esiliato nell’ isola di Sant’ Elena, sia una vittima dell’ arsenico; i mobili della sua abitazione erano tinti di verde Schweinfurt, il suo colore preferito. Gli storici ritengono possibile questa ipotesi, avvalorata dalle analisi che rilevarono tracce di arsenico nelle unghie e nei capelli. “Come tutti gli altri colori, il verde è ambivalente: è allo stesso tempo il colore della fortuna e della sfortuna, della speranza e della disperazione”3. L’ armonia dei colori influenza la psiche e di conseguenza il comportamento e le funzioni del corpo; la sua forza riconosciuta diventa materia di studio. Questo aspetto sensibile intuito da J.W. Goethe, inte- ressa il concetto psicologico del colore e della sua percezione individuale, affine al colore fisiologico creato dall’ occhio. Qual è il colore più gradito dagli europei? Le preferenze non sono cambiate dal primo sondaggio del 1880 effettuato in Germania. Semplice la domanda e chiara deve essere la risposta, risultato: primo il blu, poi il verde, segue il rosso, poi il bianco e il nero, infine il giallo. Per i colori minori, rimangono frammentarie preferenze. Le preferenze dei bambini piccoli cambiano la classifica, il rosso è davanti al blu e al giallo. L’ indagine nei gusti della gente risulta equivalente in tutti i paesi europei, né la politica o le tradizioni influenzano la scelta dei colori che rimane immutata per decenni. Il linguista J. Lyons suggerisce che i colori “sono il prodotto del linguaggio sotto l’ influenza della cultura”4. Nei paesi africani e asiatici il colore è percepito con schemi diversi da quelli europei, come la stessa definizione del nome. I fattori culturali e religiosi delle popolazioni, favoriscono l’ uso dei colori simbolici differenti per ogni paese.❧ 2010, p. 19. 3 - Pastoureau Michel, I colori dei nostri ricordi, Ponte delle Grazie, 2011, p. 152. 4 - Ball Philip, Colore, una biografia, Bur, 2010, p. 24. Anna Maria Ercilli J.W. von Goethe, La teoria dei colori. Lineamenti di una teoria dei colori, a cura di Renato Troncon, Il Saggiatore 1981 Itten, Johannes, Kunst der Farbe, Ravensburg, Otto Maier Verlag, 1961. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 121 Topi di biblioteca a cura di Rossella Saltini S tavolta parto a colpo sicuro, senza esitazioni. Il Topo a cui darò la caccia è ben delineato nella mia mente. Estate secondo il calendario, stagione indefinita secondo il meteo: unica certezza, in questo periodo dell’anno, l’imminente esame di maturità per frotte di studenti sparpagliati lungo l’asse dell’italico stivale. Il Topo che cerco si annida fra loro, già me lo immagino pallido, ansioso e chino su pagine spesso snobbate durante gli anni scolastici. In biblioteca ne troverò a decine, perché affannarsi? Ho tutta l’intenzione di prendermela comoda, un caffè non me lo toglie nessuno. Niente di meglio che una tazzina gustata open air al Bar del Mart, di fronte alla Civica Tartarotti. Mi accomodo nell’unico tavolino libero, confusa tra gli altri avventori, non provo nemmeno a fiutare qualcosa di diverso da quello che mi frulla in mente. Ma è il “qualcosa” a fiutare me. Sul tavolino accan- to al mio due giovani comunicano più a gesti che a parole, un misto di italiano, inglese e mani in movimento. Vicino ai bicchieri vuoti trovano posto alcuni libri tascabili dalla copertina colorata, forse dizionari. Non vedo bene da qui, vorrei avvicinarmi per sbirciare meglio, ma come posso farlo senza dare nell’occhio? È l’idea di un portacenere a venirmi in soccorso. Mi alzo e lo vado a cercare proprio dai miei vicini. Lo segno a dito chiedendo il permesso di prenderlo. “Sì, sì, prego”, risponde il giovane dalla carnagione più chiara. “Esh-tre”, gli fa eco l’amico seduto vicino, dai tratti somatici indiano/pachistani. Afferro il portacenere lasciando correre lo sguardo ai libri: Dizionario italiano-inglese, inglese-hurdu e, infine, un frasario della Lonely Planet Capire e farsi capire in hurdu e hindi. Che nesso ci sia fra tutto questo e i giovani avventori mi sfugge. Propendo per l’ipotesi che “esh-tre” sia la versione hurdu del domestico portacenere, molto simile all’inglese “ash-tray”. Un attimo dopo il copione si ripete con un altro oggetto. “Ghi-laas”, esordisce il giovane asiatico. “Bicchiere”, risponde di rimbalzo il giovane italiano. “Glass”, pronunciano entrambi all’unisono. E via così. “Lu-gat”, “dizionario”, “dictionary”. “Haat”, “mano”, “hand”. “Haank”, “occhio”, “eye”. Scambio linguistico equo e solidale. Il ragazzo asiatico insegna i termini hurdu all’amico italiano e viceversa. Il ponte linguistico attraverso il quale passa lo scambio è l’inglese, assurto al ruolo di moderno esperanto. Cercando il Topo di biblioteca ho scovato due esemplari di “Topo di Mondo”, esemplare interessante e tutt’altro che in via di estinzione.❧ Rossella Saltini Rossella Saltini Scambio equo e solidale 122 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Andar per biblioteche a cura di MariaLuisa Mora Questa volta andiamo a Trento alla Biblioteca Provinciale dei Cappuccini con il Socio Giacomo Radoani, una struttura culturale di altissimo livello, 140.000 titoli di libri, varie collezioni di notevole pregio, sede di associazioni culturali, vero veicolo di crescita e di educazione al sapere, aperta al pubblico. C ertamente ai primissimi posti fra le istituzioni culturali con intento bibliologico conservativo, la Biblioteca Provinciale dei Cappuccini di Trento merita un’attenzione e un posto di riguardo negli occhi e nella mente dei bibliofili “bibliofolli” di casa nostra. Ricercare e stabilire come abbia raggiunto questa posizione di grandissimo prestigio potrebbe essere oggetto di un’altra ricerca, a carattere prettamente storiografico, che coinvolge in qualche modo la storia politica, civile, istituzionale e culturale della città di Trento, nonché degli insediamenti di istituti religiosi in essa e delle variationes che ne hanno contraddistinto la presenza, in particolar modo dei Frati Minori Cappuccini1. Come poi e 1 - La fondazione della prima fraternità ‘stanziale’ a Trento dei Cappuccini, che segue, in Trentino, a quelle di Rovereto (1575) e di Arco (1585), risale al 1596 (o 1597?), dapprima ospiti nella casa dei Conti Lodron in Via Calepina per quasi tre anni, quindi legittimati dal Principe Vescovo Cardinale Lodovico Madruzzo ad occupare stabilmente il Convento di S.Croce, che già aveva ospitato i Canonici Regolari di S.Croce (“Agostiniani”) detti anche Crociferi o Crocigeri (vedi Marco da Cognola, I Frati Minori quando esattamente sia nata la “Biblioteca” intesa come istituzione specificamente dedicata alla conservazione di un patrimonio librario di una certa consistenza è compito piuttosto arduo, sia per la iniziale idiosincrasia dei primi Cappuccini ad indulgere al cosiddetto otium litterarium2, sia per la mancanza di una specifica documentazione, dovuta primieramente alla constatazione che la biblioteca del Convento di S.Croce di Trento era un’istituzione interna al convento medesimo, con un locale peraltro ben attrezzato, strettamente legata alla vita quasi monastica3 dei frati Cappuccini della Provincia di Trento. Appunti storici, Reggio Emilia, 1932, pp. 53 ss.), situato appunto in quella che ancor oggi si chiama Via S.Croce e che da qualche decennio è divenuta sede dell’Istituto Storico Italo-germanico e dell’Istituto di Scienze religiose della Fondazione “Bruno Kessler”, già Istituto Trentino di Cultura. 2 - Cfr. Giorgio Butterini, Storia della Biblioteca Provinciale Cappuccini di Trento 1970-2000, in “La Biblioteca Provinciale Cappuccini 1970-2000. Trent’anni di vita”, a cura di p.Lino Mocatti e Silvana Chistè, Trento, 2000 (che più avanti citeremo con la sigla B.P.C. Mocatti) alle pp. 13-14. 3 - Va ricordato che la cosiddetta “clausura canonica” imponeva il divieto assoluto alle donne di accedere ai conventi maschili. Tale proibizio- che componevano quella fraternità, ed in particolare concepita in funzione dello studentato teologico autoctono4 presente nella medesima fraternità cenobitica. A noi interessa in particolare, anche per la sua maturazione a “biblioteca aperta al pubblico”, la storia recente di questo peculiare istituto culturale del Trentino, di cui daremo qui alcuni rapidi cenni essenziali. Nemmeno peraltro devesi pensare ad una biblioteca fornita esclusivamente di testi di teologia e di diritto canonico, che, seppur prevalenti, questi talora corposi e vetusti tomi, saranno volentieri affiancati da ricchi fondi bibliografici di storia locale, di letteratura italiana ed europea, di archeologia e cultura classica. ne sarà gradualmente attenuata fino a scomparire pochi anni dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-65). 4 - I giovani religiosi cappuccini candidati al sacerdozio usufruivano, fino alla fine degli anni ‘60 del secolo scorso, di istituzioni scolastiche gestite direttamente dai frati all’interno dei conventi della cosiddetta ‘provincia monastica’ (il biennio del Ginnasio ad Ala, il triennio del Liceo classico a Rovereto e il quinquennio di formazione teologica nello Studentato di S. Croce a Trento). Giacomo Radoani La biblioteca dei Cappuccini IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 123 andar per biblioteche P. Giorgio Butterini indica un roveretano doc come fondatore del primo nucleo della Biblioteca di Trento: P. Antonio Maria Zeni da Rovereto (1712-1787), il quale, grazie alla sua formazione culturale ‘laica’ all’Università di Bologna, precedente all’ingresso nell’Ordine religioso, struttura in maniera autonoma uno stanzone ‘consacrato’ esclusivamente ai libri del convento. Gli scatti di qualità (o, se preferite, di diversificazione culturale) avverranno in tre tappe ben distinte, che segnano anche, accanto alla crescita multiculturale dell’istituto biblioteca ‘ad uso privato’, quale essa giuridicamente rimane fino al 1970, l’avvicinamento alla ‘maturazione’, ossia ad una ben più vivace e moderna apertura dell’istituzione al mondo esterno. La prima tappa porta il nome di P. Ilario Dossi da Corné di Brentonico (22.4.1871 - 29.3.1933), uomo colto assai, fine letterato, insigne storico di patrie memorie5. La di lui biblioteca personale (ben 10.578 volumi riferisce il Butterini nel saggio citato alla nota 1) viene incorporata alla Biblioteca del Convento della Cervara6 e una buona metà di essa troverà una sistemazione personalizzata (ricordo assai bene i molti volumi ed o5 - Vedi P. Arcangelo Cologna, Premessa alla Ristampa, in P. Ilario Dossi, I cognomi di Brentonico, Rist. anastatica a cura della Biblioteca Com.le di Brentonico, Mori, la Grafica, 1986. 6 - Nel 1842 i Cappuccini si erano trasferiti da Borgo S.Croce al neoedificato convento detto della Cervara, proprio sopra al castello del Buonconsiglio, mantenendo peraltro l’intitolazione della chiesa all’Invenzione della S.Croce. 124 puscoli che qui ho potuto consultare recanti sul frontespizio il timbro con la dicitura “Raccolta di Storia Patria P.Ilario Dossi”) in un apposito fondo con una specifica schedatura e pubblicazione a stampa7 in un corposo volume in -4°. La seconda tappa di avvicinamento alla modernità è indelebilmente legata al nome di P. Epifanio Pintarelli da S.Orsola Terme (1915-10 maggio 1966), primo vero bibliotecario in senso moderno, personaggio di grandissima cultura personale (in buona parte autodidatta) e vero cultore degli studi classici. A lui va riconosciuta la prima intensa collaborazione con l’Ente pubblico (all’epoca la Soprintendenza ai Beni Librari di competenza con sede a Verona), la prima schedatura sistematica di buona parte del materiale bibliografico, delle riviste, la salvaguardia di opere antiche (stampe, incunaboli e cinquecentine) presenti anche negli altri conventi, ma soprattutto il suo grande merito è stato di aver riconciliato frati e pubblico con la biblioteca e lo scrigno di preziosissima cultura che essa fornisce e rappresenta. Né la figura di questo frate fors’anche un po’ burbero nel tratto caratteriale, certamente umile intellettualmente, e ancor più benefico nell’opera sua (lo ricordo sempre 7 - Libri delle Biblioteche Trentine, Bollettino delle accessioni e del patrimonio. Fondo “P. Ilario Dossi” Biblioteca Padri Cappuccini, Trento, a cura della Sezione trentina dell’Associazione Italiana Biblioteche, Ibid., P.A.T., Assessorato alle Attività Culturali e Sportive, 1975 [ma stampa Grafiche Manfrini, dicembre 1976]. con commossa riconoscenza come docente di latino e greco nel ginnasio di Ala), è stata oggetto di analisi e studio quanto egli meriterebbe. La sua prematura scomparsa a soli 51 anni per un male (all’epoca) incurabile ha lasciato un vuoto, che però i cappuccini trentini hanno pensato bene di colmare migliorando, almeno per l’aspetto biblioteconomico. Ed eccoci alla terza tappa, quella della “modernizzazione” e apertura al pubblico della biblioteca, che porta il nome dell’attuale reggitore dell’istituzione, P. Lino Giorgio Mocatti da Monclassico, che dopo studi specialistici a Roma, venne chiamato alla successione al compianto P. Pintarelli. Terza tappa che potremmo chiamare “di rifondazione” o, se preferite, la fondazione vera e propria della ‘Biblioteca Provinciale’ dei Cappuccini, grazie alla concentrazione dei fondi delle 6 biblioteche esistenti negli altrettanti conventi cappuccini del Trentino. Così nel 1970 le varie biblioteche conventuali (Rovereto con quasi 10.000 volumi, Arco, Ala e Terzolas con oltre 5.000 volumi a testa e Condino con 3.900) vengono conglobate con quella di Trento (22.078 volumi), con il citato ‘Fondo Ilario Dossi’ (10.758 titoli) e con il ‘Fondo delle Cinquecentine’ che il Pintarelli aveva già provveduto a costituire. Il 3 novembre 1970 è scelto dai frati cappuccini come data di nascita della neocostituita istituzione provinciale: in quel giorno infatti, presenti autorità cittadine e provin2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 125 andar per biblioteche ciali, la Biblioteca viene solennemente inaugurata e da quel giorno aperta al pubblico con orario spezzato per 5 giorni alla settimana. Da quel momento essa è collocata nella nuova sede della ristrutturata ex ‘casa rustica’ del Convento di Via Cervara, ora Piazza Cappuccini, con ingresso da Via Argentario, recentemente (2011) ribattezzata Via delle Laste. A quella data la rinnovatissima Biblioteca dei Cappuccini si trova già a gestire un patrimonio librario di oltre 70.000 volumi, che diventeranno 104.000 a trent’anni di distanza8. Oggi questo patrimonio ammonta a più di 138.000 titoli, con oltre 280 periodici correnti e 184 testate chiuse, con un incremento annuo eccezionale, frutto di lasciti e donazioni, di biblioteche personali di frati trapassati, ma anche di acquisti oculati e intesi ad arricchire, orientare e qualificare vieppiù i tre settori che caratterizzano questa già benemerita ed assai vivace istituzione, che non si presenta solo come un “magazzino” per quanto scelto e raffinato di libri, ma anche come punto di riferimento per alcune collezioni di opere a stampa o di raccolte museali di estremo interesse per lo studioso di storia delle tradizioni religiose e di storia della pietà popolare presso le nostre genti9. 8 - G. Butterini, cit., in B.P.C. Mocatti, p. 30. 9 - Il riferimento è soprattutto alla collezione di immaginette sacre (i famosi “santini”), una “microiconoteca” che ha uno spazio privilegiato nella Biblioteca dei Cappuccini di Trento con 126 Le tre grandi sezioni culturali in cui è suddiviso l’assai ricco patrimonio bibliografico di questa istituzione sono: A) la sezione teologica con particolare riguardo alla teologia tradizionale (dogmatica, morale, ecc.), agli studi biblici nel cattolicesimo, agli studi di diritto canonico; B) la sezione storico-religiosa con particolare riguardo alla storia delle religioni, alla storia del cristianesimo e alla storia degli ordini e delle congregazioni religiose nella Chiesa cattolica; C) la sezione di storia trentina, che, istituita con il Fondo Ilario Dossi, de quo supra diximus, si è via via arricchita in maniera notevolissima, potendosi oggi riconoscere come la collezione più cospicua in Regione dopo quella della Biblioteca Comunale di Trento. una sottosezione, quella delle “memorie” di persone defunte o memorie funebri, immaginette chiamate anche “luttini” (B.P.C. Mocatti, p. 157), termine peraltro da me non riscontrato nei sei dizionari della lingua nostra compulsati (Devoto, Palazzi, Gabrielli, Premoli, RigutiniFanfani e Treccani). Accanto a questa specialissima collezione va segnalata quella degli Ex Libris, che meriterebbe una trattazione a parte; la raccolta di stampe e la pinacoteca dei quadri, specialmente a soggetto religioso (si tratta di opere di arte minore provenienti spesso dai vari conventi), che è stata sistemata in un localemansarda del convento insieme a molti altri oggetti caratteristici della vita religioso-cappuccina (cilici, rosari, addobbi, ecc.) quasi a formare un piccolo spazio museale di storia francescana conventuale; e quella che chiameremo volentieri chiroteca o grammatoteca (altro termine non riscontrato nei dizionari sopracitati e qui coniato ex novo), cioè raccolta di manoscritti cartacei (autografi, chirografi o apografi). Alcuni di questi manoscritti sono già stati fatti oggetto di pubblicazioni a stampa, molti altri attendono di venire “rivelati” (potrebbero costituire occasioni per argomenti di tesi di laurea…). Non certamente trascurabile, ed anzi bisognosa di cure speciali per la conservazione, e che pure da sola meriterebbe un’ampia trattazione a sé stante, la sezione speciale degli Incunaboli e delle Cinquecentine, che pure ha avuto l’onore di un dettagliato catalogo a stampa10. Notevole, anche se non è poi stata seguita ed aggiornata, la sezione bibliografica dedicata alle letterature antiche, sia in relazione parallela agli studi biblici, sia come sezione di autori della classicità (scrittori greci e latini), a suo tempo impostata dal Pintarelli. Bellissima infine la sezione della sala di consultazione (al 1^ piano, al livello degli uffici della direzione), magistralmente dotata delle più importanti opere, enciclopedie, dizionari, repertori bibliografici, grandi opere storiche, ecc., di cui permetteteci citarne solo due: il Du Cange, Glossarium Ad Auctores Mediae et Infimae Latinitatis Medii Aevi11, un’autentica miniera per gli studiosi di medievalistica, e il Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da San Pietro ai nostri giorni12 che, per quanto data10 - L. Mocatti-S. Chistè, Le cinquecentine della Biblioteca Provinciale Cappuccini di Trento. Catalogo a cura di Anna Gonzo, presentazione di Marielisa Rossi, in aggiunta M.C. Bettini, Le edizioni del secolo XV, Trento, P.A.T. Servizi Beni Librari e Archivistici, 1993. L’aggiornamento al 2000 di questo repertorio in B.P.C. Mocatti, cit., alle pp. 37 e ss. 11 - Qui è presente la ristampa anastatica edita da Forni (Bologna, 1982), che riproduce l’edizione parigina del 1883-87 a cura di L. Favre. L’edizione originale risale al 1668. 12 - Il Moroni fu pubblicato negli anni 18401861 in 103 volumi (Venezia, tipografia 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI andar per biblioteche to, rimane un’insostituibile miniera di preziose informazioni, altrimenti di assai ardua reperibilità. Alcuni inevitabili cenni infine sull’attività ‘esterna’ della Biblioteca che si affianca e si integra con quella della schedatura, inventariazione, catalogazione e conservazione dell’immensa mole di materiale cartaceo e non, e che costituisce un’autentica fucina di iniziative atte a rendere l’istituzione cappuccinesca un vero polo di attrazione per ricercatori e cultori degli studi storici, teologici e, perché no, da qualche anno anche artistico-architettonici. Compie infatti vent’anni di insediamento presso la Biblioteca dei Cappuccini di Trento il “Circolo Trentino per l’Architettura Contemporanea”, sorto appunto nella primavera del 1993 per iniziativa di Marco Santuari e Sergio Giovanazzi. Esso raggiungerà presto un alto livello di multiculturalità e presenza sul territorio, grazie a numerose iniziative (convegni, mostre, giornate di studio) e alla fervida collaborazione con gli omologhi circoli di Bolzano, Graz e Lubjana. Quasi il doppio (di anni) la collaborazione fra la rivista culturale “CIVIS. Studi e testi”, fondata e diretta da Domenico Gobbi ed emanazione diretta del quasi omonimo Gruppo Culturale (“Civis” soltanto), che ancora oggi ha la propria sede presso la Biblioteca, che ovvia- mente si onora di tale presenza, risalente al 197613. Ricordiamo altresì che la rivista CIVIS esprime anche l’omonima Casa Editrice, diretta dallo stesso Gobbi, e che si è resa benemerita per notevoli iniziative culturali (convegni di studi storici, edizioni di pergamene, ricerche erudite), tutte (o quasi) intimamente legate alla collaborazione con la Biblioteca stessa. Dulcis in fundo, una così feconda istituzione sorta a tutela e valorizzazione del patrimonio bibliografico non poteva non farsi essa stessa promotrice di nuovi libri. Ed ecco la collana “Cappuccini Trento”, espressione diretta della biblioteca stessa e che, non ce ne voglia il benevolo lettore, abbisogna irrefragabilmente di una presentazione a parte, direzione della collana permettendo. Exquirenda sunt (si devon operare ricerche su) almeno tre date della sua storia: 26.9.1635 che secondo il Mariani, storico del Concilio di Trento del sec. XVII, sarebbe il dies natalis; il 1893, quando fu salvata dall’incendio che devastò parte del Convento di S.Croce, e il 13.5.1944, allorché fu risparmiata dal bombardamento alleato che distrusse la chiesa del convento stesso. In conclusione, se questa istituzione ha raggiunto un grado di efficienza encomiabile ed ha acquisito una certa qual compiutezza bibliografico-patrimoniale, una precisa Emiliana), a cui si aggiunsero negli anni 187879 altri 6 volumi di Indici curati dal medesimo Autore. 13 - Va altresì ricordato che, all’epoca, il Gruppo Culturale “Civis” si chiamava “Gruppo Storico Argentario”. Non ci è nota la data della variazione di denominazione. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 fisionomia culturale, ed è oggi in grado di competere veramente con istituzioni pubbliche che si avvalgono di ben più cospicui mezzi e di un assai maggior numero di personale, il merito va ascritto con grande sincerità e riconoscenza al deus ex machina della biblioteca stessa, a colui che con incomparabile dedizione, instancabile continuità, umile e sapiente maestria, nelle vesti di direttore, coordinatore, selezionatore, schedatore, consigliere, ma anche semplice “facchino” di libri (e non solo), da oltre 43 anni ne regge le sorti: P. Lino (al secolo Giorgio) Mocatti da Monclassico, superius nominatus14. Ruolo di sostegno e affiancamento tecnico, fedele ed esperta collaboratrice, come compare anche in molte pubblicazioni, la segretaria Silvana Chistè, da moltissimi anni quasi ‘parte integrante’ della biblioteca stessa, dei cui segreti culturali e collezionistici è diventata preziosissima testimone.❧ Giacomo Radoani Si ringrazia per la collaborazione la Biblioteca Provinciale dei Cappuccini di Trento e in particolare p. Lino Giorgio Mocatti, per aver fornito la documentazione fotografica. 14 - Vedasi il bellissimo profilo di lui tracciato da Mauro Guerrini in Pietate et Studio. Miscellanea di studi in onore di P.L.M., a cura di Silvana Chistè e Domenico Gobbi, Trento, ed. Civis, 2006, pp. 9-12. In questo volume è inclusa anche la bibliografia del Mocatti, naturalmente aggiornata sino al giugno 2006. 127 promuovere lettura a disposizione dell’ ufficio per il sistema bibliotecario trentino e delle biblioteche trentine Siamo lieti di ospitare, in questa rubrica solitamente dedicata alle attività delle biblioteche trentine, un intervento che viene da Bolzano per presentarci le iniziative della Giornata dell’educazione permanente e delle biblioteche. Come Furore dei Libri ci preme richiamare l’attenzione su due tra gli autorevoli esperti chiamati a portare le loro testimonianze: Maria Stella Rasetti, direttrice della Biblioteca S.Giorgio di Pistoia, un’ amica del Furore dei Libri, che per prima ha accolto e ospitato magnificamente la mostra di Parole per Strada, e Livio Bauer, nostro Socio e collaboratore della RdF che ha parlato sul tema, già anticipato su queste pagine, della «cultura a chilometri zero». A nche quest’anno gli Uffici per l’educazione permanente e le biblioteche delle Ripartizioni Cultura italiana e tedesca hanno organizzato la giornata dell’educazione permanente e delle biblioteche nei giorni 7 novembre 2013, presso la Biblioteca di Ora e 8 novembre Oltrisarco, nella sala Polifunzionale del Centro Civico. Destinatari dell’iniziativa erano gli operatori e gli individui che organizzano e promuovono attività formative e culturali. La normativa provinciale sull’educazione permanente e sulle biblioteche, la LP 41/1983, ha sostenuto, da quando è entrata in vigore 30 anni fa, la creazione di un solido sistema di istituzioni qualificate che operano su tutto il territorio offrendo attività formative in tutti gli ambiti tematici. I dati delle ultime indagini ASTAT indicano, infatti, che 7 altoatesini su 10 ritengono molto importante continuare ad aggiornarsi ed apprendere e di questi 7, più di 5 hanno preso parte ad un’iniziativa nel 2012. Nell’ambito delle biblioteche in lingua italiana nel 2012 gli utenti iscritti ai tre sistemi bibliotecari (BIS, BCB, BPI) sono risultati 108.000, i prestiti 595.000 ed il patrimonio di documenti su vario supporto si è attestato intorno a 1.000.000. Questi numeri spiegano perché in Alto Adige la percentuale della popolazione di 6 anni e più che legge almeno un libro all’anno è di 60,4%, il valore più alto tra le regioni italiane la cui media è del 46,0%. I risultati raggiunti ci spingono a riflettere, a questo punto, e a porre l’attenzione sulle modalità di apprendimento delle comunità. Come apprendono gli individui nelle loro comunità di appartenenza, in che modo gli enti locali promuovono occasioni di apprendimento, la formazione può contribuire alla tenuta sociale, in particolare in un momento di ridotte possibilità finanziarie? A queste e ad altre domande hanno cercato di rispondere gli esperti ed i responsabili di workshops e progetti, già avviati con successo, intervenuti nelle giornate del 7 e 8 novembre. I temi attorno ai quali si sono sviluppate le riflessioni e le discussioni sono stati due: l’inclusione nell’apprendimento di tutte le fasce sociali, in particolare di quelle solitamente molto lontane dalla formazione, e le reti da intendersi come capacità di creare sinergie fra le varie strutture del territorio per promuovere momenti formativi e culturali. Felicitas von Küchler, per anni collaboratrice del DIE (Deutsches Instituts für Erwachsenenbildung) a Bonn ha tenuto una relazione dal titolo “Was ist Inklusion? Wollen wir sie fördern?” mentre Richard Stang, anche lui collaboratore del DIE, nella relazione “Kooperationen gestalten – Zusammenarbeit von Erwachsenenbildung und Bibliothek” ha parlato della funzione delle biblioteche nella formazione lungo tutto l’arco della vita e delle possibilità di cooperazione con Adriana Pedrazza La comunità che apprende 128 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI promuovere lettura l’ambito dell’educazione permanente. Maria Stella Rasetti, direttrice della Biblioteca San Giorgio di Pistoia, nel suo intervento “La biblioteca partecipata. Per gli utenti o con gli utenti” si è concentrata sul ruolo della biblioteca pubblica chiamata oggi a valorizzare il proprio contributo alla vita della comunità locale, agendo da catalizzatore della cultura di inclusione e di integrazione della pluralità. Secondo la relatrice la biblioteca, vero e proprio motore di apprendimento collettivo, costruisce comunità, genera alleanze e produce cittadinanza attiva. Maria Stella Rasetti, insieme a Dagmar Göttling, responsabile presso la Biblioteca civica “Antonio Urceo Codro” di Rubiera (RE), ha tenuto anche uno dei workshops in programma e precisamente “Costruire una cultura delle alleanze tra pubblico e privato. Non sponsor, ma partner”, che intendeva approfondire alcune tematiche, ritenute presupposti fondamentali per costruire una politica di alleanze duratura ed efficace, come ad esempio il tema dell’investimento pubblico sui servizi inteIL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 si come motore di benessere e di sviluppo delle comunità, oppure il tema della creazione di una mappa dei possibili alleati o della consapevolezza che la semplice presenza dei servizi culturali non è condi- zione sufficiente a innescare un processo di sviluppo territoriale. Tra i workshops tenuti sia nel primo che nel secondo giorno dell’iniziativa, ha meritato particolare at- tenzione per l’ambito di lingua italiana, il progetto “Open City Museum: Educazione all’intercultura e coesione sociale attraverso l’arte” presentato da Martha Jiménez, realizzato a Chiusa e rivolto in particolare al pubblico dei nuovi cittadini o a persone d’origine straniera che abitano a Chiusa, mirato a promuovere il dialogo interculturale e la partecipazione all’offerta culturale, a promuovere la conoscenza reciproca delle persone e a migliorare la coesione sociale. I partecipanti alla giornata dell’educazione permanente 2013 hanno avuto la possibilità di scegliere fra altri 5 workshops. Il secondo giorno, a Bolzano, nella sala polifunzionale del Centro Civico di Oltrisarco, dopo le relazioni di Stang e Rasetti, i workshops si sono sviluppati attorno al tema delle reti. Tra tutti ricordiamo il progetto “Punto Cultura Oltrisarco – Un’esperienza di formazione in rete in un quartiere cittadino”, presentato da Giuliano Gobbetti, Presidente del Centro civico Oltrisarco, nonché dell’associazione Aessebi, e Luca Moresco, Direttore del Cesfor. Il Punto Cul129 promuovere lettura tura Oltrisarco, nato grazie alla sinergiadi tre associazioni (Cesfor, Aessebi e Club La Ruga) rappresenta un esempio riuscito di sinergie fra istituzioni del territorio, grazie alle quali gli abitanti di un quartiere della città hanno la possibilità di fruire di momenti culturali e formativi, che spaziano dalla musica alle conferenze e alle presentazioni di libri. Nel workshop “Il modello Nomi: euro zero a kilometri zero. Amministrare sobriamente cultura in era di spending review” l’Assessore alla Cultura del Comune di Nomi (Trento), Livio Bauer, ha presentato al pubblico il progetto realizzato con successo nel suo Comune di 1.300 abitanti seguendo l’imperativo “ fare cultura senza soldi”, e con il coinvolgimento e la messa in rete di tutte le istituzioni locali (biblioteche, autori locali, giovani musicisti rock, ensamble corali ed orchestrali, poeti, pittori autodidatti…). Nella seconda giornata dell’iniziativa i workshops/progetti presentati sono stati in totale sette. Informazioni su questo evento e sulle altre iniziative programmate nel corso del prossimo anno possono essere richiesti all’Ufficio per l’educazione permanente (0471 411248) o consultati sul sito internet www.provincia.bz.it/cultura/formazione/iniziative.asp ❧ Adriana Pedrazza prologo È proprio vero che un batter d’ali di farfalla a Singapore provoca un maremoto a Manhattan... Un anno e mezzo fa, più o meno, ho inviato una mail di congratulazioni ed incoraggiamento alla Redazione del Furore, avendone prontamente la richiesta di un pezzo sull’Amministrare Cultura. Ho esposto spensieratamente la mia (in)esperienza, basata essenzialmente sulla presa di coscienza del dover soddisfare i gusti dei miei censiti, più che i miei personali oltreché sull’impegno morale verso i contribuenti ad usare con oculatezza gli scarsi fondi pubblici affidatimi dopo i tagli della famigerata spending review. Ho parlato in libertà delle opportunità offertemi dalla miriade di scrittori-poeti-pittori-musicisti-eruditi-artisti in generale, a volte bravissimi, sempre estremamente generosi e disponibili, esistenti sul territorio, e della gioia che puoi regalare offrendo loro un proscenio, un pubblico ed un po’ di pubblicità. La scoperta dell’acqua calda, più o meno, no? Succede però che fra le cinque o sei persone che leggono l’articolo (parenti inclusi) ci sia anche la responsabile del settore Educazione permanente dell’Ufficio della Provincia Autonoma di Bolzano, che guarda caso sta organizzando un convegno su “La comunità che apprende“ (o ”Die lernende Gemeinschaft”) ed ecco che mi ritrovo catapultato a relatore di un workshop sul mio gestir culturale. Dal terrore iniziale sono passato, grazie al sostegno del mio Sindaco e del Furore, al panico attuale. Ma perché no, in fondo? Le intenzioni sono buone, il resto seguirà... compresa un po’ di buona pubblicità per il nostro carissimo, irascibile, imprescindibile Furore dei Libri!❧ Livio Bauer 130 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Promuovere cultura a cura della redazione L ’ Assessorato alla Cultura e la Commissione Cultura della Comunità della Vallagarina in collaborazione con l’ Associazione Il Furore dei Libri è lieta di presentare i risultati del concorso indetto per promuovere la conoscenza del territorio attraverso testi che nel corso dei secoli hanno testimoniato e valorizzato la Vallagarina. Apprezzando l’ impegno e lo sforzo profuso da tutti i partecipanti nel trasferire le impressioni e le considerazioni di un viaggiatore irlandese del primo Ottocento all’ italiano contemporaneo, cercando di mantenerne il più possibile la sorpresa, la curiosità e la precisione descrittiva, la Commissione, accogliendo il suggerimento della Giuria, presenta qui una sintesi fra tutte le traduzioni pervenute, cercando di valorizzare i contributi più significativi di tutti i loro autori. C on la speranza che questa esperienza sia loro di aiuto e di stimolo a continuare sulla strada di una sempre migliore conoscenza sia delle lingue che del nostro territorio. Marta Baldessarini Assessore alla Cultura Comunità della Vallagarina Hanno collaborato alla traduzione Andrea Balbinot – Ruan Barbacovi [b] – Iris Bathia [c] – Erica Bellotti [d] – Lara Brasili [e] Silva Cassietti [f]– Margherita Ciancio [g] – Elisa Conte [f] – Kevin Diener [h]– Federico Falossi [i] Daniele Folgarait [j] – Federico Foss [k]– Caterina Pizzini [h] – Arianna Scrinzi [l] Michelangelo Tomasoni [k] – Alison Vanzetta [m] [a] IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 131 speciale concorso James Henry — Viaggio da Trento a Riva Toward southern suns And genial skies, Gently sloped That valley lies. Ai miti cieli E ai soli del sud Si volge la valle Con lieve pendio. [10] From wintry blasts, North, east, and west, Alpine steeps Defend its breast; [M] [11] And with a thousand Ice-fed rills Water its fields, And turn its mills; [J] [12] And cool the sultry Summer air, And play sweet music To the ear. e rinfrescano l’ afosa aria estiva, e suonano una musica ch’ è dolce per l’ orecchio. [13] Here the cliffs Are bleak and bare, With pine forests Covered there; Qui precipizi aspri e nudi, e là da pinete ricoperti; [14] Or with various Carpet spread, Of fern and heath, The black-cock’ s bed. [J] [15] Here mica schist, Red porphyry, And granite peaks, Invade the sky. Qui il micascisto, il porfido rosso, e cime di granito, invadono il cielo. There slumbering marble Waits the hand That bids it into Life to stand. Là il marmo assopito Attende la mano Che in vita lo porti E lo inviti a restare. At five leave Trent, In coach and pair, For Riva bent, And cooler air, [E] Alle cinque lascio Trento, in carrozza e pariglia, diretto a Riva e all’ aria più fresca. [2] My wife and I, And daughter tall, And Maestro Monti, Four in all. [A] Mia moglie ed io, Con la figlia grande ed il maestro Monti, quattro in tutto. [3] Good company In sooth are we, And for six hours May well agree, [C] Veramente siamo una bella compagnia e per sei ore potremmo andare d’ accordo, [4] If quarrels come, As poets teach, From too free use Of the parts of speech; [G] Se, stando a sentire I poeti, il diverbio È frutto dell’ uso Smodato del verbo, [5] For we no word have Of Italian; No English he, Nor cramp Germanian; [G] Visto che noi Non parliamo italiano, Né lui sa l’ inglese O il duro tedesco [6] And has not even The acquaintance made, Of Ma’ mselle French, That common jade, [C] E non conosce neanche quel tesoro comune, la “lingua” francese, [7] That walks at ease Wide Europe’ s streets, And laughs and chats With all she meets. [A] Che passeggia a suo agio Per le ampie strade d’ Europa, E ride e parla Con chiunque ella incontri. Pleasant the view is, As our carriage Rolls smoothly down The Vale of Adige. [C] Il panorama è piacevole mentre la nostra carrozza scivola dolcemente lungo la valle dell’ Adige. [16] [8] 132 [9] [1] [G] Da gelide folate, a nord, est ed ovest, i precipizi alpini difendono il suo seno; E con mille ruscelli dal ghiaccio alimentati irriga i suoi campi, e fa girare i suoi mulini; [E] [D] Oppure con varie distese a tappeto, di felci e di brughiera, il letto del gallo nero. [E] [G] 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI speciale concorso James Henry — Journey from Trento to Riva [17] Lower down The sandstone rock; At our feet The boulder block. [G] Un poco più sotto La roccia arenaria, Ai nostri piedi Macigni franati. [25] Let six weeks pass, The work is done, The worms are fed, The cocoons spun, Lasciamo passare sei settimane, il lavoro è fatto, le larve sono sazie, avvolte nei bozzoli, [18] Pleasant the view is, As our carriage Rolls smoothly down The Vale of Adige. [A] Piacevole è il panorama, Mentre la nostra carrozza Scivola dolcemente giù Per la valle dell’ Adige. [26] The chrysalis killed, Its intricate clue Unravelled nice, And spun anew la crisalide uccisa e il suo intricato bozzolo disfatto delicatamente e filato nuovamente, [19] Trellised vines Stretch far and near, Through fields of lentil, Maize, and bere; [A] Le pergole si distendono Lontane e vicine, Attraverso campi di lenticchie, Orzo e granturco [27] Into a firm, Tenacious line, Yellow as gold, As gossamer fine; In un saldo, Tenace filo Giallo come l’ oro Come ragnatela sottile [20] Chesnut and walnut Stately stand, Flanking the road On either hand; [A] I castagni e i noci Stanno imponenti, Fiancheggiando la strada Da entrambe le parti; [28] Parent of The bombazine, Rustling sarsnet, Satin sheen; Origine della bambagia, dell’ ormesino, e del raso lucente, [21] And gentler willow Lends its shade, And droops and arches Overhead; [G] Più gentile, un salice L’ ombra sua porge E si tende e s’ inarca Sulle nostre teste. [29] Of the sofa’ s Gay brocade, Of the lutestring Quilted bed; del sofà dall’ allegro broccato, e del letto trapuntato di lustrini; [22] And sunburnt peasants’ Hands rapacious Cull the mulberry’ s Foliage precious. [E] E le mani rapaci dei contadini abbronzati spogliano il gelso del suo prezioso fogliame [30] Of the flag That floats on high, Defiance to The enemy; [B] [23] The sacks stand full, The carts are loaded, The tawny oxen Yoked and goaded; [D] I sacchi sono pieni, carichi i carri, i fulvi buoi aggiogati e spronati; [31] Of the garter, Of the pall; Wond’ rous thread That mak’ st them all! Della giarrettiera, Del drappo funesto: Fantastica fibra Che crei tutto questo! The master hears, With ears of pleasure The axle groan Beneath the treasure. [K] Il padrone ascolta con piacere gli assali gemere sotto il peso del tesoro [32] Pleasant the view is, As our carriage Rolls smoothly down The Vale of Adige. [H] [24] IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 [C] [F] [I] [E] [E] Della bandiera, che alta sventola, a sfidare il nemico; [G] Gradevole è la vista, mentre la nostra carrozza scivola dolcemente lungo la valle dell’ Adige. 133 speciale concorso James Henry — Viaggio da Trento a Riva [33] On our right hand The broad river, Gray and clear, And sparkling ever; [L] Alla nostra destra Scorre l’ ampio fiume, grigio e limpido, sempre scintillando; [41] With face reverted, So is borne Down the rough road Whence no return, con il viso rivolto là dove è nato lungo la strada scabrosa da cui non v’ è ritorno, [34] In its stony Channel dashing, Raving, fretting, Foaming, splashing. [G] Nel letto di pietre Lui corre, impazzisce, Si agita, schizza, Fa schiuma e sobbalza. [42] And plunged at last Into the sea, By finites called Eternity. E, giunto al termine, Piomba in quel mare Che i mortali chiamano Eternità. [35] What though still Its course is forward, What though still It rushes onward, [M] Nonostante ciò il suo corso è in avanti, nonostante ciò, sfreccia in avanti, [43] Pleasant the view is, As our carriage Rolls smoothly down The vale of Adige. [J] [36] Downward still Although its motion, Toward the vast Absorbing ocean, [A] Si calma verso valle Nonostante il suo moto, Verso il vasto Oceano remoto. [44] We thread the gorge Where Lägerthal In battle saw Sanseverin fall; [I] [37] See, each wavelet Backward curls; See, reversed Each eddy swirls; [G] Guarda, ogni ondina Si arriccia all’ indietro, Guarda, ogni gorgo All’ opposto mulina, [45] Leave on the right Old Castelbarco, And hear thy tower, Holy San Marco, lasciamo sulla destra l’ antica Castelbarco, ascoltiam la tua torre, benedetto San Marco, [38] See, it casts Its lingering look Toward the scenes It hath forsook, [G] Guarda, rivolge Il suo sguardo indugiante Verso i paesaggi Che ha abbandonato, [46] Chime night’ s first watch In Rovereith, As we arrive, At half-past eight [E] [39] Toward its native Orteler mountain, Toward its parent Glacier fountain. [G] Verso il nativo Monte dell’ Ortler, Verso i ghiacciai Della natia fonte. [47] After supper, Fresh and merry, West we turn Toward Adige ferry; [K] Life’ s traveller so Casts back his view On the dear scenes His childhood knew. [K] Vita da viaggiatore, occhiate alle spalle sulle care scene che la sua infanzia conobbe. [48] And where, ‘ twixt banks Of flowery rushes, Deep, silent, smooth, The river gushes, e qui, tra argini di giunchi fioriti, profondo, silenzioso, scorrevole il fiume sgorga [40] 134 [E] [G] Piacevole è la vista, mentre il nostro trasporto rotola giù tranquillo per la valle dell’ Adige. Ci infiliamo nella gola Dove la Vallagarina Vide in battaglia Cadere Sanseverino [E] suonare il primo rintocco della notte appena giunti a Rovereto, alle otto e trenta. Dopo la cena, freschi ed allegri, ci dirigiamo a ovest verso il battello sull’ Adige [F] 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI speciale concorso James Henry — Journey from Trento to Riva [G] Carrozza compresa Lo attraversiamo Su un ampio naviglio Con il fondo piano [57] Our downward corse Is fair and free, From those drear heights To Torbole, È libera e lieta La nostra discesa Dalle tetre alture Fino giù a Torbole [H] Anche se è buio, abbiamo poca paura, e il maestro è ancora di buona compagnia; [58] Where, snugly moored In Morpheus’ arms, Lake Garda’ s boatmen Dream of storms. Dove, ormeggiati al sicuro tra le braccia di Morfeo, i barcaioli del lago di Garda sognano di tempeste. [J] E in parte con segni, in parte con sguardi, in parte con parole, prese da libri, [59] Hung on lines Their nets are drying, High on the strand Their boats are lying. Appese alle funi Si asciugan le reti, Sulla spiaggia giacciono In secca le navi. [52] Contrives to let us Understand He guides us through No unknown land; [E] trova il modo di farci comprendere che ci guida attraverso terre non sconosciute; [60] Cross we then Hoarse Sarca’ s bridge, And turn Mont Brion’ s Jutting ridge. Poi attraversiamo il ponte dell’ aspra Sarca, e aggiriamo lo sporgente crinale del Monte Brione [53] Guides us through Mori’ s Village rude: ‘ Twere picturesque By day-light viewed; [G] Ci guida per Mori, Rustico borgo: «Sarebbe pittoresco Alla luce del giorno.» [61] Where scantly may The strait road sweep, ‘ Twixt the deep lake And mountain steep, Dove l’ angusta via a mala pena si muove tra il lago profondo ed il dirupo roccioso, [54] Past Loppio’ s lake, With islands dotted; Past Loppio’ s rocks, With lichens spotted. [I] Oltre il lago di Loppio Di isole costellato Oltre i suoi scogli Di licheni disseminati [62] Overhead Hangs drearily The glimmering lamp Of a Calvary. Sta appesa in alto triste la lanterna tremolante di un Calvario. [55] Where our passing Lamp-light falls On yonder gray Time-eaten walls, [B] Dove al nostro passaggio la luce della lampada cade sulle pareti grigie mangiate dal tempo, [63] From widow’ s cruse That lamp is fed, A widow’ s tears On that slab are read:- [K] Awful from The rocky steep Frowned, Nago, once Thy castled keep. Una volta il tuo mastio Merlato, o Nago, Scrutava giù torvo Dal colle roccioso. [64] “Fellow-sinner, Bend thy knee, Fellow-sinner, Pray with me [A] [49] Carriage and all Across we float In broad flat-bottomed Lugger-boat. [50] Dark though it be, Small fear have we, And Maestro’ s still Good company; [51] And, part by signs, And part by looks, And part by words Picked out of books, [56] IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 [G] [G] [D] [G] [B] [K] [C] Dal vaso della vedova la luce è alimentata, una supplica di vedova su quella lapide si legge “Compagno peccatore, Piega il tuo ginocchio, Compagno peccatore, Prega con me 135 speciale concorso James Henry — Viaggio da Trento a Riva [65] “For him that in The tempest’ s shock Foundering sank By yonder rock. [B] “Per lui che in un colpo di tempesta andò, affondando, su quella roccia laggiù. [68] And just as cocks And clocks tell one, At Il Giardino Are set down, [H] [66] Mother of God, The sailor save, On Lake Garda’ s Dangerous wave.” [J] Madre di Dio, salva il marinaio, sulle pericolose onde del lago di Garda”. [69] Where Maestro Monti Bids good night, And all to bed In weary plight. Dove il Maestro Monti augura la buona notte, e stanchi morti tutti a letto ce ne andiam. Two short miles more Run quickly past, And Riva safe We reach at last; [E] Due brevi miglia ancora percorse velocemente e finalmente salvi raggiungiamo Riva; Si ringraziano Beatrice Fabbri ed Emanuela La Grutta per la collaborazione. [67] E appena come i galli e gli orologi segnano l’ una, a Il Giardino ci siamo stabiliti, [D] Nota: Nella scelta dei contributi si è cercato di rappresentare tutti gli autori in proporzione alle caratteristiche della loro traduzione. Le parti in tondo sono nostri adattamenti. (rg) Di seguito, alcune strofe tradotte da Renzo Galli nel dialetto della Vallagarina di metà ’800, presumibilmente quello che avrebbe sentito James Henry durante il suo viaggio. 136 Lassem Trent ale zinque con en birocc a do girando ’n vers de Riva per nar en po’ pu al fresc. Noi no savem parole de Taliam Lu gnanca ’n po’ de Ingless e miga de Todesc. Sta val la par butada, slanguida en vers del sol, soto i so ziei gentili. Chì le zime le è frede e nude Là le è cuerte da foreste de pini. Mi e la me sposa e cola fiola granda e col Maestro Monti Erem en quatro en tut E nol ga confidenza gnanca della Francesa che come na putela che se la fa con tuti Cole montagne alpine che ghe difende el cor da quei colpi de venti che vegn da su e da ’n là O cuerte da tapeti de tante varietà, en ’do che ’l gal zedron el pol far el so nif; Na bona compagnia ne par de nar d’acord e per sie bone ore se ghe podria anca star e la camina fazile per le strade d’Europa la ride e se la ciacola con tuti che i la ’ncontra E con mili rozate nutrìde dai ghiaciai le bévera i so campi la gira i so molini. Chi i micascisti, el porfido pu ross e zime de granito le ciapa tut el ziel. Se vegn da questionar come diss i poeti per massa sparlazar senza pensarghe su. L’ è propi en bel vardar entant che l nos birocc el rugola piam piam zo per la val de l’Ades E le rinfresca l’aria l’ Istà quand’ che vegn l’afa; e le sona ’na musica che la ’ndolziss le rece Là ’l marmo endormenzà l’aspeta quela man, Che la ghe ofra el destro de star ne la so vita... 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Notizie dal furore Eventi del Furore Poesia All’ appuntamento primaverile con la Poesia la nostra Associazione non ha mancato di essere presente nel segno della tradizione ma anche della novità, almeno nella scelta di accostare poeti di generazioni diverse, e naturalmente di impostazione e scelte tematiche e stilistiche differenti, di sensibilità differenti, accomunati dall’ impegno e dalla passione per le svariate forme poetiche che arricchiscono il panorama della poesia contemporanea. Durante la serata, ospitata nella Sala Fondazione Caritro, il poeta roveretano Sergio de Carneri ha presentato il volume La conta dei nònesi, originale raccolta di liriche della classicità greca e latina tradotte in italiano e in ladino nòneso, lingua “nativa” dell’ autore. Non una innovazione o un tentativo semplicemente “originale”, bensì una ricerca accurata che sorprende per la ricchezza di richiami, assonanze, accordi potremmo dire “musicali” tra lingue che intrecciano similitudini e “imparentamenti” non solo di termini e significati, ma soprattutto di ritmo e melodia. A fare da contraltare, un giovane poeta di origini polacche, Dominik IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 Balazka, con la raccolta Versi divini edita da “la Feltrinelli” in cui le scelte tematiche spaziano dal ricordo ai sentimenti più importanti come l’ amicizia e l’ amore, ai momenti più significativi dell’ esistenza come la nascita, le prime scoperte del mondo che ci circonda, la purezza dell’ infanzia. È da sottolineare la notevole sicurezza nella scelta di una gamma linguistica che richiama i classici e propone la forza di versi non edulcorati o immediatamente accessibili, e che pertanto richiede una lettura attenta ed approfondita. Così dice Balazka: “La mia poetica? Credo in uno stile immediato e spontaneo, ma sono soprattutto convinto che la rima deve restare solo l’ ultima delle tante risorse stilistiche che un poeta ha a sua disposizione. Sono un ateo e un narcisista. L’ unica cosa in cui sono disposto a credere per fede è l’ estetismo letterario di Wilde”. Come in altri incontri dedicati alla Poesia, la serata ha riservato spazio a coloro che hanno avuto piacere di leggere una loro composizione, e come sempre questo momento rinsalda il legame tra i soci del “Furore”, i soci di “Poesia 83” e di tanti altri appassionati. Altri incontri, con la poesia come protagonista, sono la testimonianza che le relazioni e le collaborazioni tra il Furore dei Libri, il territorio, la cittadinanza e le attività che si rivolgono a realtà di disagio e difficoltà rientrano nel nostro desiderio e impegno di promozione sociale. L’ ultimo venerdì di ogni mese con “Punto d’ Approdo” proponiamo la lettura e il commento di poesie scelte su proposta delle ospiti del centro e, in un clima semplice e conviviale, sosteniamo anche la motivazione alla loro libera espressione, valorizzando la lingua e la cultura di provenienza. ≥ Prosa Con “Rotary club” abbiamo ripercorso i suoi ultimi 50 anni di presenza e di attività a Rovereto: non una commemorazione, ma il riconoscimento dell’ importanza del percorso svolto e la riconferma della continuazione di progetti nuovi nel futuro. Ecco allora la prova tangibile di tale presenza del Rotary di Rovereto e del Rotaract di Rovereto-Riva del Garda: il volume Il Sole di Sanpa- la luce nel buio scritto dai ragazzi e edalle ragazze ospiti della Comunità di San Patrignano di San Vito di Pergine con la guida dei gio137 NOTIZIE DAL FURORE vani del Rotaract e la collaborazione di Riccardo Petroni che ha presentato il libro - una raccolta di esperienze,rifessioni, pensieri accostati ai testi di canzoni tra le più conosciute e amate del repertorio dei cantautori italiani - ma che soprattutto ha illustrato la filosofia dell’ iniziativa. ≥ Serendipity, Il romanzo di Morena Pedrotti, autrice alla sua seconda opera, ci avvicina a un termine inglese ormai conosciuto, o meglio usato, ma forse non nella sua accezione più originale ed autentica: generalmente siamo portati a tradurre “…accetta con serenità, pazienza e anche sopportazione ciò che ti capita”. Non è precisamente il significato corretto: “serendipity” indica un evento, un qualcosa di positivo che arriva inaspettato, in forme e momenti della vita in cui ne abbiamo bisogno per dare una svolta alla nostra esistenza, cambiare orizzonti o semplicemente punto di vista riguardo alla nostra esistenza; insomma include l’ idea di “dono” e di “gratuità” sia che provenga da persone, incontri e addirittura luoghi. Ma ora torniamo al romanzo, che sotto la superficie di un linguaggio e un fraseggio semplice e scorrevole, tocca temi intensi e spesso dolorosi della vita delle donne. È un romanzo “al femminile”, “sul femminile” e “per il femminile”. Attenzione, non voglio dire dedicato solo a un pubblico di donne, anzi! L’ universo complementare del 138 maschile è ben presente e non solo in veste di contrappunto o peggio di antagonista, bensì di ruolo di confronto, di scontro spesso, ma anche di collaborazione e fortunatamente anche di conforto, sostegno, valorizzazione, riconoscimento e condivisione degli aspetti più fondanti della psicologia femminile. Accenno brevemente alla tematica forte e attualissima della storia narrata: il mobbing, molestie sessuali (sexual malbehaviour), il disagio e la discriminazione ancor diffusi sul luogo di lavoro (…a tutti i livelli!) che inevitabilmente portano ad esiti negativi se non drammatici sia sul piano personale che occupazionale – anche perdita del posto di lavoro – e quindi sociale. L’ approccio di Pedrotti a tali tematiche è una scelta ben definita e funzionale non solo alla narrazione ma, secondo me, è un messaggio positivo con cui l’ autrice invita i lettori a “dischiudere” gli occhi sui rapporti e sulle relazioni tra generi e generazioni che intessono il nostro vissuto in questi anni non sicuramente semplici. Ci saremmo augurati un pubblico più numeroso per accogliere una scrittrice a noi vicina nel territorio (Morena è insegnante della scuola primaria), ma con svariati interessi culturali; la partecipazione è stata sentita ed ha acceso la curiosità sulla “serendipity” e ciò è forse quello che si aspettava l’ autrice… La Mostra itinerante Strada 2012 di Parole per La Mostra è partita in primavera: il suo primo scalo in Lombardia e Piemonte: in quel di Varese, a Besozzo, quindi a Laveno, sponda lombarda del verdeggiante Lago Maggiore e per finire a Stresa, riva piemontese del Verbano, nell’ ambito della rassegna e concorso letterario “Giallo Stresa”. Anche questa edizione itinerante ha preso avvio in modo positivo e gratificante per la nostra associazione, in particolar modo per chi con piacere ed impegno si occupa della parte organizzativa e non solo. Un ringraziamento va in modo particolare ai collaboratori “esterni”, i referenti sul territorio in cui la Mostra è stata presente, per la loro disponibilità, il loro lavoro di coordinamento e, ça va sans dire!, la condivisione degli intenti e delle finalità dell’ iniziativa giunta al suo terzo anniversario: ancor giovane, eh... ma in buona salute e perciò con tanti anni davanti! Tra le molte tappe vanno certamente ricordate Moltrasio sul Lago di Como con i pannelli distribuiti nelle strade e nelle piazze di quell’ incantevole borgo e una serata con gli autori che ha visto alternarsi le letture dall’ Antologia “Camminando con...” agli interventi sulla scrittura e sul valore della lettura da parte di autori locali. Dal Lago alle Dolomiti nello scenario magico delle Terme di Comano. Parole per strada, invitata 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI NOTIZIE DAL FURORE come ospite agli appuntamenti dell’ ormai classico “Trentino d’ Autore” che ospita scrittori celebri da tutto il mondo per una serie di incontri culturali di qualità offerti ai turisti che visitano il Trentino. Qui ha potuto godere di un appuntamento dedicato ai “Libri che parlano di libri” condotto dallo srittore, giornalista nonché nostro socio, Carlo Martinelli. Folta la presenza di autori di Parole per strada maanche del pubblico, dei turisti e dei frequentatori delle Terme. La mostra è stata così gradita che ne è stata prolungata la permanenza, così come la distribuzione dell’ Antologia. Il Furore dei Libri ha potuto così avviare una collaborazione con lAPT di Comano Terme e la rassegna “Trentino d’ Autore” che si prevede fruttuosa e di reciproca soddisfazione. Dopo aver visitato Flavon, , Egna, Vadena, Bolzano e Ora (interessante e simpatico incontro/intervista agli autori presenti da parte degli alunni di due classi delle Elementari in visita alla mostra), Parole per strada è stato ospitata per il secondo anno alla biblioteca di San Michele all’ Adige e per la seconda volta ha potuto toccare con mano la vivacità culturale e l’ interesse di quella comunità per la scrittura e la lettura grazie anche all’ opera del gruppo “In.pagina” del quale fanno parte anche alcuni autori selezionati per la Mostra.❧ Maria Grazia Masciadri IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 Proprio ad Anna Tava, anima e all’ animatrice di “In-pagina” lasciamo la descrizione e il commento della presenza di Parole per strada ai Mercoledì Lunari di Mezzolombardo Le storie che camminano, quando sostano fanno facilmente amicizia con imprevisti lettori, che ringraziano per quella storia in più che li ha per un attimo catturati. La mostra “Camminando con…” de “Il Furore dei Libri” ha partecipato ai Mercoledì Lunari, un’ iniziativa del Consorzio di Promozione Mezzolombardo per stimolare la vita sociale e commerciale del paese offrendo un giorno in settimana negozi aperti in orario serale e manifestazioni di vario genere a contorno. Nelle cinque serate tematiche le associazioni locali collaborano affiancando le loro proposte a quelle organizzate. Il Gruppo letterario In-pagina insieme all’ associazione Arte Futuro ha quindi pensato di collocare l’ esposizione dei grandi pannelli della mostra nella piazzetta dedicata all’ espressione artistica. L’ impatto visivo dei racconti scritti in grande e la piacevole sorpresa di ricevere in omaggio il libro che li contiene ha richiamato l’ attenzione di molti passanti e, come previsto, le storie hanno emozionato, regalando una riflessione, un sorriso, un ricordo. Quando la narrativa esce dai libri e ti raggiunge là dove non ti aspetti e ti rapisce con una frase scritta con peri- zia, una metafora che sa illuminare il cuore, dà vita a un momento speciale, da godere dentro di sé o da condividere con chi ti sta a fianco, un amico o uno sconosciuto, che come te si commuove o si rallegra. Sotto la luce dei lampioni e quella lontana della luna, fra la gaiezza delle passeggiate e delle chiacchiere estive, le parole silenziosamente incantano.❧ Anna Tava n rete con il Furore dei Libri per fare cultura assieme. Amici di Parola L’ Associazione Culturale “Amici di parola” promuove, valorizza e tutela la cultura letteraria e teatrale in ogni sua forma ed espressione, principalmente attraverso la lettura interpretata. Produce spettacoli teatrali e occasioni di ascolto di opere letterarie sia in prosa che in poesia affidate alla voce dei propri “attori-lettori” che si sono formati presso scuole qualificate. L’ associazione collabora con singoli, organizzazioni ed enti che si prefiggano scopi simili o complementari a sostegno di iniziative o eventi volti alla divulgazione, al miglioramento e al rinnovamento dell’ offerta culturale. Gli “Amici di Parola”, come suggerisce il nome stesso, amano la parola scritta e parlata quale espres139 NOTIZIE DAL FURORE sione del linguaggio comunicativo, culturale ed artistico. Elemento di coesione fra loro è la volontà di continuare a coltivare e a realizzare i propri sogni e le proprie passioni. Insieme dal luglio 2008 quando è stata ufficialmente costituita l’ Associazione Culturale “Amici di parola” in questi anni si è fatta conoscere ed apprezzare a livello locale ma anche fuori regione. Convinti assertori della ricchezza di messaggi (cognitivi, emozionali, sociali) che l’ ascolto di una voce impostata sa trasmettere, propongono letture sceniche a leggio (vale a dire “drammatizzate” o “teatralizzate” che dir si voglia, per far capire che – unitamente ad una corretta pronuncia – vengono comprese e trasmessi i sentimenti e le intenzioni degli autori o dei protagonisti delle opere.❧ Adelina Valcanover Gruppo Poesia 83 Fondato nel 1983 a Rovereto, il Gruppo Poesia 83 è quest’ anno al suo trentesimo anno di vita. Come primo presidente Antonio Bruschetti e con lui un gruppetto sparuto di nove soci, in lingua ed in dialetto Nel 1986 la nuova presidenza a Italo Bonassi; il Gruppo inizia così ad arricchirsi di nuovi autori, anche non roveretani. Nel 1997, con l’ arrivo di un poeta bolzanino e di due veronesi, il Gruppo non si chiama più ufficialmente Gruppo Poesia 83 di Rovereto, ma 140 semplicemente Gruppo Poesia 83, tanto più che intanto i roveretani diventano la minoranza. Trent’ anni di incontri e tavole rotonde con associazioni gemelle e centinaia di letture nelle Biblioteche, nelle Case di Riposo, nei Centri Diurni, presso associazioni culturali, nei castelli, nei musei, nelle piazze. E, ogni anno, tre serate di poesie nell’ ambito del programma comunale Rovereto Estate. E non solo nel Trentino, pure in Alto Adige, nel Veneto e in Lombardia, per incontri con associazioni gemelle. E una simpatica trasferta in Svizzera, patrocinata dalla Trentini nel mondo. Un fiore all’ occhiello un bimestrale di poesia e critica contenente, oltre alle poesie dei soci, recensioni sui più grandi poeti e scrittori non solo italiani ma pure stranieri, i Quaderni, oramai al diciassettesimo anno di vita, stampati dall’ Assessorato alla Cultura della Provincia di Trento. Duecento soci simpatizzanti di diverse parti d’ Italia li ricevono ogni due mesi per posta e collaborano con poesie, racconti, recensioni, ed altro. Altro fiore all’ occhiello il Premio Nazionale di Poesia “La Rondine”, giunto alla XV edizione, col patrocinio dell’ Assessorato Provinciale alla Cultura, e che vede una larga partecipazione di concorrenti da tutta l’ Itala, sia in italiano che in dialetto, con una sezione per giovani: il Premio Nazionale Fabrizio Vaccari. Le premiazioni si svolgono a Rovereto tra fine maggio e primi di giugno. Nel frattempo il Gruppo ha pubblicato quattro antologie, l’ ultima, per il trentennale, nel 2013.❧ Italo Bonass Italia - Moldavia L’ Associazione di Promozione Sociale Italia-Moldavia-Onlus è un ente di volontariato impegnato nella cooperazione internazionale tra l’ Italia e la Repubblica Moldova (Moldavia). L’ Associazione, costituitasi a Besozzo (VA) il 20 Novembre 2002, è sostenuta ed animata esclusivamente da volontari senza alcun fine di lucro che sviluppano progetti nei settori socio-assistenziali e culturali. L’ obiettivo prioritario dell’ Associazione è la diffusione ed il sostegno di progetti di aiuto per l’ infanzia tramite l’ adozione (sostegno) a distanza. Attualmente è presente con i suoi soci e sostenitori in diverse Regioni italiane, godendo dell’ attenzione e della collaborazione di diversi Enti Pubblici. Opera a Chisinau (capitale della Repubblica Moldova) tramite i suoi responsabili dell’ O.N.G. umanitaria “COPILUL”, filiale moldava dell’ Associazione. Nel corso degli anni ha realizzato diversi progetti in favore dell’ infanzia moldava più sfortunata, collaborando con le istituzioni moldave e con i più importanti ospedali pediatrici del Paese. In particolare ha sviluppato un progetto a sostegno dei bambini 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI NOTIZIE DAL FURORE malati di diabete mellito, una malattia che costituisce una vera e propria drammatica emergenza sociale in Moldova. L’ Associazione di Promozione So- ciale Italia-Moldavia (onlus) promuove inoltre sul territorio italiano la conoscenza della cultura e delle tradizione romene, traducendo e diffondendo testi di autori moldavi e facilitando scambi e gemellaggi tra istituzioni culturali italiane e moldave. [www.italiamoldavia.org].❧ Pelagio D’Afro Lucia Debiasi Gian Luca Del Marco Per la prima volta con la Rivista del Furore Meriam Al-Ghajariah Rovereto. In più di mezzo secolo di vita ha vissuto 21 traslochi (circa), in cinque Paesi (circa) e tre continenti (circa). Ama lavorare, viaggiare, chiacchierare e leggere. Scrive (poco) per amore o per rabbia (come l’uccellino in gabbia). Vive a Rovereto da pochi anni e ne è innamorata. Liliana De Venuto Pugliese, insegnante e ricercatrice. I settori da lei esplorati riguardano tanto la storia del Trentino, dove da tempo si è trasferita, quanto l’arte e la devozione popolari. Sono usciti a stampa La Regione dell’Adige, vol. primo, Storia del Trentino e dell’Alto Adige dalle invasioni barbariche alla fine del Medioevo (secoli VXIV), Rovereto, Osiride, 1995; La Regione dell’Adige, vol. secondo, La prima età moderna. Quattrocento e Cinquecento, Rovereto, Ed. Osiride, 2004, in collaborazione con F. Cichi; Devozione e santi sotto campana, Schena editore, Fasano (Brindisi), 1996, in collaborazione con Beatrice Andriano Cestari; Processo a Cattarina Donati (1709-1710). Un caso di santità affettata, Trento, U.C.T., 2001; Discorrere per lettera ... Carteggio Giuseppe Valeriano Vannetti – Giambattista Chiaramonti (1755-1764), Trento, Civis, 2004; La moda maschile a Rovereto secc. XVIIXVIII, Trento, U.C.T., 2007. Ha partecipato a diversi convegni organizzati in territorio trentino e offerto contributi scientifici a riviste locali e nazionali. IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10 Ancona. È uno scrittore collettivo composto da Giuseppe D’Emilio, Arturo Fabra, Roberto Fogliardi e Alessandro Papini; è la “costola” di un altro autore multiplo: Paolo Agaraff. Ha pubblicato racconti in riviste e antologie, specie con il laboratorio creativo Carboneria Letteraria. Il suo primo romanzo, I ciccioni esplosivi (2009), è anche disponibile gratuitamente su liberliber.it; il suo secondo romanzo, L’acqua tace, è stato pubblicato nel 2013 da Italic-peQuod. (pelagiodafro.com) Susanna Daniele Pistoia. Iscritta all’Ordine dei giornalisti. Collabora a numerosi periodici e riviste online. Nel 2004 ha iniziato a scrivere racconti gialli vincendo numerosi premi. Autrice di due testi teatrali: Ai saggi la gloria, rappresentato nelle sale della biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Marco Del Bucchia (2010), e Il ceppo fiorito, EdizioniAtelier (2012). Numerosi suoi racconti sono stati pubblicati in antologie e riviste letterarie. Igor De Amicis Teramo. Commissario di Polizia Penitenziaria, scrive di diritto per le riviste giuridiche de Il Sole 24 Ore, ha curato diverse raccolte di saggi giuridici. Per la narrativa ha pubblicato svariati racconti in antologie. Nel 2012 ha vinto il contest del Festival delle Letterature dell’Adriatico. Attualmente è uno degli autori dell’iniziativa YouCrime indetta da Rizzoli/Corriere della Sera. Rovereto. Docente presso lo storico Liceo “Rosmini” con la passione dell’insegnamento della letteratura italiana. Collabora con l’Archivio della Scrittura popolare presso la Fondazione del Museo storico trentino, per il quale ha contribuito a Le memorie di un trentino alla corte dello Scià di Persia a cura di Mir Gialal Hascemi. Gian Luca Del Marco Besozzo (VA). Da anni si occupa di volontariato promovendo iniziative e progetti umanitari in favore dei bambini della Repubblica Moldova. Amante della lettura e dei libri al punto da dedicarsi anche alla loro “cura”, restaurandoli e rilegandoli con passione. Danuta Dobkowska Elk (Polonia) e Milano. Conseguito il diploma di studi superiori a Varsavia, ha lavorato come segretaria didattica negli istituti “Liceo Internazionale” e “Gonzaga” di Milano. Attualmente in pensione, si dedica a tempo pieno ai suoi hobby preferiti: poesia, lettura, musica, teatro, viaggi, giardinaggio, medicina naturale, trekking. Rahma Nur Roma. Nata a Mogadiscio, in Somalia, arrivata in Italia nel 1969, ha sempre vissuto a Roma e dintorni e da circa vent’anni insegna in una piccola scuola primaria statale nel Sud Pontino. Scrive poesie fin dalla lontana adolescenza. Da 141 NOTIZIE DAL FURORE qualche tempo scrivo racconti che partono dal suo vissuto tra due mondi culturali, l’Italia, paese che l’ha accolta all’età di cinque anni, e la Somalia, terra che l’ha vista nascere. Ha partecipato al concorso Lingua Madre 2012 e vinto il Premio Speciale Rotary Club per il racconto Volevo essere Miss Italia. Ha vinto il Primo Premio nel Concorso Scrivere Altrove “Amici di Nuto” di Cuneo con il racconto Mamma Somalia. Giacomo Radoani Trento. Studi classici con interessi storico-religiosi, gia’ insegnante e libraio per quasi 40 anni, ora, pensionato, si dedica alla ricerca. Anna Tava Mezzolombardo (Trento). Le piace che nome e cognome si siano fusi in annatava, il suo nome d’arte. Per lavoro si occupa di pubblicazioni e di laboratori formativi, nel tempo libero pure. Collabora con il quotidiano “Trentino” e organizza eventi culturali artistici. Vincitrice e finalista in diversi concorsi letterari, ha pubblicato la raccolta di racconti Assenze e presenze (Seneca), la raccolta poetica Sapessi (Uni-Service) e i romanzi Intenso (Temi) e Notte senza meta (Uni-Service). Renato Trinco Rovereto. Studioso di storia locale in particolare delle istituzioni religiose e civili ha pubblicato con l’editore La Grafica: La campana dei caduti. Maria Dolens: cento rintocchi per la pace [con Maurizio Scudiero]; Il rifugio Vincenzo Lancia nel gruppo del Pasubio [con Andrea Bertotti e Antonio Sarzo]; Conventus. Scuola di democrazia palestra dell’etica; San Marco in Rovereto. La Chiesa arcipretale tra storia, arte e devozione. Adelina Valcanover Trento. Insegnante, ora in pensione, si dedica al teatro, come presidente dell’Associazione Culturale “Amici di Parola”, oltre a tenere lezioni di dizione, calligrafia e teatro anche nelle scuole. Ha due rubriche settimanali sul quotidiano on line “RagusaOggi”, scrive e racconta storie, alcune pubblicate sul “Gazzettino Ibleo”. Ha preparato anche testi teatrali. Ha un romanzo per ragazzi nel cassetto che prima o poi conta di pubblicare col titolo provvisorio di Il viaggio di Isacco. ❧ 142 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI L’ultima pagina a cura di Carlo Andreatta S téphane Hessell l’indignato più vecchio del mondo, certamente verrà ricordato per un pamphlet che nel 2010 divenne un caso editoriale: Indignez-vous! (Indignatevi!). Oltre quattro milioni di copie vendute in quasi cento Paesi; non pochi movimenti di protesta – dagli “Indignados” ai ragazzi di “Occupy Wall Street” – hanno utilizzato come manifesto questo libello corrosivo quanto liberatorio, nel quale Hessel si chiedeva dove fossero finiti i valori trasmessi dalla Resistenza (al nazifascismo), si domandava se la società del XXI secolo avesse perduto i principi della giustizia e dell’uguaglianza. Indignatevi! ha provocato la reazione di Pietro Ingrao, politico e intellettuale italiano, quasi coetaneo di Hessel, il quale pubblicò il libro Indignarsi non basta: Hessel rispose con Impegnatevi!, opera edita nel 2011, cui seguirono Vivete! (2012) e Non arrendetevi! (2013). Chi era Stéphane Hessel? Nato a Berlino il 20 ottobre 1917 da una famiglia di origini ebraiche, Hessel arrivò in Francia nel 1924. Si diplomò all’École Normale Supérieure di Parigi nel 1939. Seguì i corsi di Maurice Merleau-Ponty e quelli di Jean-Paul Sartre. Durante la seconda guerra mondiale fu tra i protagonisti della Resistenza francese, venne deportato nel campo di concentramento di Buchenwald dal quale riuscì a fuggire. Dopo la Liberazione lavorò come diplomatico al Segretariato Generale dell’Onu; fu tra i redattori della “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” (1948). I temi relativi alla libertà e alla dignità dell’uomo furono sempre cari a Hessel, in particolare quelli del diritto d’asilo e dell’accoglienza agli immigrati. Nel 2006 fu nominato Grand’Ufficiale della Legion d’Onore della Repubblica francese. Benché sostenitore del Partito Socialista francese, nel 2009 si presentò candidato al Parlamento Europeo in una lista ecologista. Nel luglio 2012, con il sociologo Edgar Morin, Hessel pubblicò Il cammino della speranza: secondo il pensiero dei due intellettuali, amici di vecchia data, per lottare contro le ingiustizie del mondo contemporaneo è necessaria una partecipazione attiva da parte dei cittadini. Hessel si è sempre esposto in prima persona a favore dei diritti dei sans-papiers e non ha mai rinunciato a difendere la causa del popolo palestinese. L’ex partigiano e deportato a Buchenwald ha pubblicato diversi libri (tra cui Danse avec le siècle, autobiografia, 1997; Dix pas dans le nouveau siècle, 2002), raccolte di articoli o di interviste, dialoghi a più voci (ad esempio Citoyen sans frontières, 2008) e un saggio relativo al suo grande interesse per la poesia (Ô ma mémoire: la poésie, ma nécessité, 2006, nuova edizione 2010). Hessel – combattente lucido e coerente fino all’ultimo respiro – è scomparso, a Parigi, nella notte tra il 26 e il 27 febbraio 2013.❧ Stephane Hessel 143 Carlo Andreatta 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI l’ ultima pagina “Dobbiamo aprire un nuovo cammino. Abbiamo bisogno di una visione costruttiva che sia capace di edificare un nuovo futuro. Per fare questo abbiamo bisogno di ambizione. L’ambizione che nasce dalla fiducia in noi stessi e dal coraggio. Non bisogna cadere nell’ottimismo di chi pensa che le cose si aggiusteranno da sole, né nel pessimismo di chi crede che non ci sia nulla da fare. Dobbiamo essere ambiziosi. (…) Siate ambiziosi! Non arrendetevi!”. Da Non arrendetevi!, con la collaborazione di Lluís Uría, Passigli Editori, Firenze 2013, pp. 47-48. 144 2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI Raccontare la storia Narrare il fantastico Liliana De Venuto Susanna Daniele Speciale «Parole per strada - Terra mia» numero 9-10 rivista dell’associazione culturale di promozione sociale «il furore dei libri» - amici della biblioteca anno iv - settembre/dicembre 2013 - quadrimestrale IL FURORE DEI LIBRI In Questo Numero 2013 ∏ ISSN 2282-8044 numero 1 numero 2 numero 3 numero 4 numero 5 numero 6 numero 7 numero 8 A braccetto fra i guai umani Sandro Disertori La biblioteca di Antonio Rosmini Renato Trinco Strumenti da leggere, strumenti da guardare Diego Cescotti Nicotiana Tabacum ∑ Giuseppe Maria Gottardi numero 9-10 conversazioni bibliofile – libro chiama libro – rinvenimenti – biblioteca mon amour lo scaffale – il mestiere di scrivere – musicobibliofilia – il furore del rock e [tra libro e gioco] – libri di confine – parlando di libri – topi di biblioteca andar per biblioteche – promuovere lettura – promuovere cultura notizie dal furore – l'ultima pagina il furore dei libri - editore