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Raccontare la storia
Narrare il fantastico
Liliana De Venuto
Susanna Daniele
Speciale «Parole per strada - Terra mia»
numero 9-10
rivista dell’associazione culturale di promozione sociale «il furore dei libri»
- amici della biblioteca anno iv - settembre/dicembre 2013 - quadrimestrale
IL FURORE DEI LIBRI
In Questo Numero
2013
∏
ISSN 2282-8044
numero 1
numero 2
numero 3
numero 4
numero 5
numero 6
numero 7
numero 8
A braccetto fra i guai umani
Sandro Disertori
La biblioteca di Antonio Rosmini
Renato Trinco
Strumenti da leggere, strumenti da guardare
Diego Cescotti
Nicotiana Tabacum
∑
Giuseppe Maria Gottardi
numero 9-10
conversazioni bibliofile – libro chiama libro – rinvenimenti – biblioteca mon amour
lo scaffale – il mestiere di scrivere – musicobibliofilia – il furore del rock
e [tra libro e gioco] – libri di confine – parlando di libri – topi di biblioteca
andar per biblioteche – promuovere lettura – promuovere cultura
notizie dal furore – l'ultima pagina
il furore dei libri - editore
Sommario
Rubriche
Articoli
2
editoriale
4
Narrare la storia
Liliana De Venuto
14
Raccontare il fantastico
Susanna Daniele
20
Speciale
«Parole per strada
Terra mia»
32
A braccetto
tra i guai umani
40
La biblioteca di
Antonio Rosmini
Renato Trinco
44
Strumenti da leggere
strumenti da guardare
Diego Cescotti
52
Nicotiana Tabacum
Giuseppe Maria Gottardi
68
conversazioni bibliofile
J.Lemaitre,
Les Vieux Livres
Giuseppe Maria Gottardi
72
libro chiama libro
A Cheap Bibliophile
David Cerri
75
Rinvenimenti
Incerto Autore,
De rerum iactura
Stefano Tonietto
80
biblioteca mon amour
Un raro commento
garbiano
Fabio Casna
84
lo scaffale
Gabriele D’Annunzio
Italo Bonassi
92
il mestiere di scrivere
Il peggior amico
dell’autore
Gregory Alegi
Sandro Disertori
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
1
95
musicobibliofilia
Un Tristano di guerra
Federica Fortunato
100
123
andar per biblioteche
La biblioteca dei
Cappuccini
Peter Disertori
Giacomo Radoani
120
128
il furore del rock
B. Springsteen
& J. Steinbeck
parlando di libri...
Colori e memoria
promuovere lettura
La comunità che apprende
Livio Bauer
Anna Maria Ercilli
Adriana Pedrazza
Prologo
Livio Bauer
113
E
Leggere, giocare,
imparare
Francesca Garello
Caccia al tesoro...
Livia Alegi
2
117
libri di confine
I confini dei
vecchi mondi
122
topi di biblioteca
Scambio equo e solidale
Rossella Saltini
137
notizie dal furore
Eventi del Furore
Per la prima volta con la RdF
143
l’ ultima pagina
Stephane Hessel
Carlo Andreatta
131
promuovere cultura
speciale concorso
La Vallagarina
in prosa e in versi
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Editoriale
N
umeri 9 e 10.
Dicono che nella vita di un periodico ci deve essere
almeno un numero doppio, nel nostro caso il numero
9-10 coincide con la fine del primo lustro di vita della nostra
Rivista e abbiamo pensato di celebrarlo con una copertina che riassumesse tutti i numeri finora usciti.
Scorrendo i personaggi che identificavano il tema principale (nel
senso che era trattato dal primo degli articoli) si può cogliere la linea editoriale che ha distinto in questi anni la rivista del Furore dei
Libri: indagare i mondi della lettura, dal thrilling del numero 0 alle narrazioni di storia e di fantasia di questo stesso numero; condividere le scoperte che la passione di leggere ci permette di fare, siano le pagine ritenute perdute o inesistenti di un libro sulle streghe
(n. 6), siano le parole morte della nostra civiltà (n. 2); assaggiare i
nuovi sapori della scrittura con gli autori collettivi presentati sul n. 1
o immergersi nell’esperienza di un articolo a bivi, il primo mai apparso su una rivista italiana (n. 3); appassionarsi alle vicende
umane di artisti noti attraverso i loro epistolari (n. 5). E ancora: riscoprire l’endecasillabo in un poema di più di 37.000 versi in ottave: l’Olimpio da Vetrego (n. 4).
Che almeno una di queste copertine vi potesse intrigare tanto da
farvi aprire il fascicolo, e che almeno uno delle decine di articoli di
ogni numero fosse di vostra soddisfazione e di gradimento culturale, è l’impegno che ci siamo dati. A voi giudicare se ci siamo
riusciti.
Renzo Galli
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
3
Narrare la storia
Riflessioni sulla scrittura di storia in Trentino
di Liliana De Venuto
4
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
narrare la storia
N
«Io presento questo
scritto come una
storia, o se preferite
come una favola, in
cui il lettore potrà
trovare esempi da
imitare o da
scartare»
on è infrequente che
se anche non mira a immediate filo studioso di storia,
nalità didattiche, la “novella” serviimpegnato in ricerche
rà a intrattenere: per una ragione o
di archivio per far luce su una serie
per l’altra si è sempre nel cerchio
di avvenimenti o su un personagmagico segnato da Scheherazade,
gio, quando si accinge a trasporche ogni notte raccontava una stotarne le notizie per iscritto, ceda
ria al sultano Shahriyar “per non
alla tentazione di rinforzare i dati
morire”.
documentali, generalmente aridi e
Intersecatasi con la letteratura
scheletrici, con apporti soggettivi
d’invenzione, la ricostruzione delle
al fine di vivificare persone ed
vicende realmente accadute proeventi. Vi è spinto da quegli echi
durrà un testo che, a seconda di coche la lettura dei documenti lascia
me vengono dosati i due elementi –
Cartesio, Discorso sul metodo quelli documentali e quelli soggetnella sua mente: immagini vaghe,
emozioni e impressioni sensoriali,
tivi – si configurerà come un’esposiche finiscono a volte per dare corpo a una figura, a un zione storica letterariamente elaborata o un vero e
volto a una voce, quasi; di qui il passo ad arricchire le proprio racconto di fiction.
gesta del protagonista di sentimenti ed emozioni, a viSi conoscono esempi illustri di “storia rielaborata”
vificarlo come fosse persona realmente presente, è bre- che hanno dotato la letteratura di un genere di grande
ve.
fortuna: il romanzo storico. Sull’argomento, preso nel
L’autore, di conseguenza, attrezza la sua penna attin- suo insieme, si è sviluppata un’ampia e illustre saggistigendo dalla letteratura e dalla narrativa in particolare ca, che ha considerato tanto la produzione classica
mezzi espressivi più duttili: scompagina quindi, se- quanto quella moderna, fino alle propaggini del postcondo proprie esigenze inventive, la successione og- moderno (Margherita Ganeri, Il romanzo storico in
gettiva degli eventi facendo ricorso a flashback e anti- Italia. Il dibattito critico dalle origini al postmoderno,
cipazioni; introduce dialoghi in funzione rappresenta- Lecce 1999); e ne ha esaminato le varie forme, comtiva e drammatica; ricorre a un’idea centrale o a un prese quelle del romanzo “neostorico” (Giuliana Benplesso di sentimenti per legare insieme fatti e dare ad venuti, Il romanzo neostorico italiano. Storia, memoria,
essi un senso. La storia si fa in tal modo “fabula”, dota- narrazione, Roma 2012).
Considerata l’ampiezza di tale saggistica, non sembra
ta di intrinseche finalità, che lo scrittore consegna ai
lettori non senza un intento d’insegnamento. Non di- opportuno affrontare il tema da questa angolatura; può
ceva Cartesio a conclusione del preambolo generale al essere invece di qualche utilità la riflessione su alcuni
Discorso sul metodo «Io presento questo scritto come aspetti di esso con uno sguardo alla produzione trentina
una storia, o se preferite come una favola, in cui il let- e a quegli autori che sono pervenuti alla scrittura del ractore potrà trovare esempi da imitare o da scartare»? E, conto a sfondo storico a partire da ricerche d’archivio.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
5
liliana de venuto
N
on mancano nell’ambito culturale della
nostra regione opere storico-letterarie che
meritano la qualifica di “romanzo storico”.
Si distinsero in questo campo i fratelli Agostino e Carlo Perini, studiosi versati in varie discipline, fra le quali
quelle storiche. Attingendo a fonti della storiografia
trentina e di quella germanica, pubblicarono intorno
alla metà dell’Ottocento racconti e romanzi, sullo sfondo delle vicende del Principato fra tardo medioevo e
prima età moderna. Agostino scrisse vari racconti: Filiberta Madruzzo, I signori di
Gresta, Emma Delmonte, e un
romanzo, Matilde di Nomi;
Carlo compose I castellani del
Trentino nel secolo decimoquarto.
La figlia di Agostino, Carlotta, seguì le orme del padre
e dello zio nel comporre opere letterarie e nel condividerne l’ispirazione patriottica e
romantica. Perciò scrisse canti in versi endecasillabi, nei
quali popolarizzò figure e
momenti della storia trentina,
privilegiando le giovani donne vittime degli intrighi dei
potenti. Emma dal Monte, Filiberta Madruzzo, Clara
Particella sono al centro dei suoi componimenti più
ispirati, svolti in versi di tono alto e colto: rispettivamente la prima è l’eroina della cantica I Bellenzani; le
altre due sono invece le protagoniste di L’ultimo Madruzzo.
Alla fine dello stesso secolo Pietro Alessandrini, ispirandosi alle opere dei Perini, scrive – o riscrive secondo la propria sensibilità – Nostra di Gresta Castelbarco
e Cornelia di Pergine.
Più variegata si presenta la produzione novecentesca per sensibilità e orientamento ideologico. Nella
prima metà del secolo si contano L’amante del cardinale (Claudia Particella) di B. Mussolini, romanzo
“d’appendice”, pubblicato a puntate sul giornale socialista «Il Popolo» nel 1910, e Irene d’Arco di Filippo
Brunatti, uscito nel 1930.
S
ebbene queste opere appaiano lontane dalle
propensioni ed esigenze del lettore di oggi, una
rilettura potrebbe offrire l’occasione per sviluppare alcune considerazioni sulla loro qualità e sulla
ideologia ispiratrice, inevitabile riflesso del clima politico coevo. A una rapida scorsa il blocco ottocentesco
appare permeato dalle idee libertarie del grande romanzo
di quel secolo: affermazione
dei diritti di scelta individuali; preminenza degli affetti
amorosi connessi alla volontà
e alle inclinazioni del singolo;
odio per il tiranno e per gli
oscuri raggiri di corte che, nel
caso del Trentino, s’identifica
con la curia vescovile. Da rilevare anche l’amore per le vedute paesaggistiche, che vengono tratteggiate con gusto
romantico e neogotico; si legga – per fare qualche esempio
– il racconto I signori di Gresta di Agostino Perini, là dove si raffigura il lago di
Sant’Andrea come fosse lo scenario dei deliri di dolore
e di morte della protagonista, la nobile Nostra di Castelbarco.
Più strettamente attinenti alla situazione politica locale sono lo sguardo verso la “patria” Italia e l’attesa
della “redenzione” del Trentino dall’assoggettamento al
“signore straniero”: molte ragioni erano dietro il misero stato del Principato, non ultima l’ “infermo dominio
dei vescovi” (I castellani del Trentino nel secolo decimoquarto). Le vicende di Cornelia di Pergine, al centro di
due romanzi comparsi nell’arco di appena un trentennio, servono egregiamente a “mettere in scena” questo
plesso di sentimenti, giacché l’esaltazione dei membri
•
...il blocco ottocentesco
appare permeato dalle
idee libertarie del
grande romanzo di
quel secolo
•
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2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
narrare la storia
della famiglia Bellenzani, quali campioni di fedeltà alle
libertà comunali, serve a far maggiormente risaltare gli
intrighi messi in atto dai Tirolo-Asburgo per dominare
sul Principato e, di contro, la subalternità ad essi dei
vescovi trentini.
Questi sentimenti e idee erano d’altra parte condivisi dai lettori, come confermano le sottolineature a leggera matita qua e là nelle pagine dei libri durante la lettura, poste non a caso, ma nei punti salienti dove si manifestano le idee e i giudizi dell’autore sugli avvenimenti e sui personaggi storici. Si
vedano le note e le postille del
lettore di I castellani del Trentino nel secolo decimoquarto
di Carlo Perini (edizione del
1879, esemplare della Biblioteca dei cappuccini di Trento,
segnatura c-186 c 193), il quale
– dopo aver segnato a matita i
passi più partecipati del romanzo – nell’ultima pagina
bianca del libro scrive: «Finito
di leggere alle 5 ½
pom[eridiane] dei 30 aprile
1916, vigilia della mia partenza pel servizio militare sotto le
armi austriache! Mentre i Fratelli combattono alle porte di Trento, per redimerla! Silvio Conci». L’intervento del lettore, tracciando con i
suoi rilievi e chiose un parallelo “testo nel testo”, conferma ulteriormente il nesso inscindibile fra finzione
letteraria e realtà – libro e vita – che si verifica nell’esperienza di lettura, anche di quella dei romanzi storici.
Brunatti, Irene d’Arco, essi sono meno avvertibili a favore di una maggiore “libertà” inventiva. L’autore mostra di apprezzare maggiormente il sentimento amoroso nei suoi variegati aspetti fino a quelli prossimi al
corpo e ai sensi; rivela spiccato gusto per l’avventura e
le situazioni picaresche; tende infine a vivacizzare i caratteri femminili, non confinandoli nei tradizionali
comportamenti di passività, ma conferendo loro dinamismo e inventiva quando dovevano contrastare le decisioni maschili a loro svantaggiose. Conserva ancora,
tuttavia, quale retaggio della
tradizione ottocentesca, quella “presa di distanza” dal
mondo nobiliare, cui fa da
contrappeso la non celata
“simpatia” per i personaggi
“popolari”:
guardaboschi,
paggetti, guardiacaccia insieme con le loro figlie e mogli;
così come mantiene il gusto
per le descrizioni paesaggistiche, che – sparse qua e là –
abbelliscono il testo con vedute montane e lacustri della
zona gardesana tratteggiate
con tono idilliaco.
Nei romanzi apparsi ai nostri giorni – di cui si fanno soltanto alcuni nomi: La rosa su la spada di Maria Pellegri Beber, edito nel 1969 e
ristampato nel 1989 col nome La rosa e la spada, Il castello di Praga di Roberto Pancheri e Tre punti di rosso
di Luisa Gretter Adamoli – l’ispirazione si fa ancora più
libera, sì che non è facile accostare sotto una medesima
etichetta autori molto diversi fra loro.
Per una possibile differenziazione fra essi si possono
prendere in considerazione i rispettivi percorsi formativi e le loro scelte stilistiche: se la Pellegri Beber e la
Gretter Adamoli si caratterizzano per un’originaria vocazione letteraria, qualificandosi l’una quale autrice di
testi per il teatro e per l’infanzia, l’altra per racconti di
•
...nella produzione
novecentesca questo
intreccio di idee
e assetto politico si fa
forse meno evidente
•
N
ella produzione novecentesca questo intreccio di idee e assetto politico si fa forse
meno evidente. Se nel romanzo del Mussolini gli orientamenti dell’autore per le posizioni socialiste e anticlericali “incombono” ancora sulla trama
e sui personaggi in modo pressante, nel romanzo del
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liliana de venuto
finzione e poesie, Roberto Pancheri giunge al racconto
storico seguendo il cammino inverso: dalle ricerche di
archivio alla storia rielaborata.
I
l nome più celebre che viene in mente in proposito è Umberto Eco, saggista e semiologo, che
nel 1981 pubblicò Il Romanzo della rosa; a lui si
può accostare – per percorso creativo e vicinanza di
tempi – Laura Mancinelli, anch’essa saggista e filologa;
questa pubblicò l’anno successivo I dodici abati di Challant col seguito di altre rielaborazioni letterarie di storia – Il miracolo di Santa Odilia e Gli occhi dell’imperatore – che insieme formano la cosiddetta “trilogia medievale”. Nei loro romanzi lo sfondo – tempi e spazi – è
quello del Medioevo, mentre la struttura narrativa si
serve di espedienti letterari tipici del romanzo moderno, precisamente del “romanzo giallo”, fra cui quell’ironia cosciente, che rende queste produzioni un piacevole divertissement.
Roberto Pancheri potrebbe essere accostato appunto
a questi autori per l’iter percorso: dagli studi storici e di
storia dell’arte egli è pervenuto alla rielaborazione narrativa delle conoscenze acquisite, utilizzando quegli
espedienti retorici indicati in apertura del discorso.
La diversità dei percorsi – o forse un’intima ispirazione – spiega le scelte stilistiche compiute dai tre autori
riguardanti tanto le forme narratologiche – sequenze
temporali, fisionomia delle dramatis personae e loro
contrapposizione in eventuali conflitti – quanto le scelte linguistiche del racconto diretto e delle parlate dei
vari attori.
Se il Pancheri si attiene – ancorché inconsapevolmente – al principio della congruità storica, attribuendo ai protagonisti idee e parole verosimili dal punto di
vista della corrispondenza con l’effettiva realtà, le due
su nominate autrici si mostrano meno sensibili a questo aspetto: danno maggiore rilievo ai risvolti affettivi
delle vicende e inventano situazioni che obbediscono
più alle ragioni del sentimento – di quello amoroso soprattutto – che a quelle della storia vera; indulgono a
movenze e situazioni che possono richiamare il racconto edificante, nel caso di La rosa e la spada, o il romanzo sentimentale nel caso dei romanzi della Gretter
Adamoli. ❧
Liliana De Venuto
bibliografia
G. Lukács, Il romanzo storico, Torino, Einaudi, 1972
C. Ginzburg, Postfazione a N. Zemon Davis, Il ritorno di Martin Guerre. Un caso di doppia identità
nella Francia del Cinquecento, Torino, Einaudi, 1984
G. Duby, Il sogno della storia, Milano, Garzanti, 1986
R. Bigazzi et al., “I racconti di Clio. Tecniche narrative della storiografia”, in Atti del convegno di
studi Arezzo, 6-8 novembre 1986, Pisa, Nistri-Lischi, 1989
L. Fava Guzzetta et al., L’età romantica e il romanzo storico in Italia, Roma, Bonacci, 1988
M. Moretti (a cura di), “Storia narrativa, storia narrazione. Tavola rotonda con Hayden White”, in
Ricerche di storia politica, I, 2009, pp. 69-94.
8
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
narrare la storia
da Pietro Alessandrini, Cornelia di Pergine – Romanzo storico Secolo XIV, Borgo Valsugana, Tip. Marchetto, 1891
A
l momento in cui comincia questa storia, una fanciulla dalle forme elette e dai
capelli biondi come l’ oro ed un giovine cavaliere passeggiano lungo il viale ombroso del giardino attiguo alla signorile dimora situata verso il colmo d’ un poggio che ha nome Moretta, poco lunge dalla vetusta borgata di Pergine.
Le movenze della fanciulla appariscono mirabili per compostezza.
La bocca sorride ingenuamente e l’ occhio celeste, specchio fedele di un’ anima innocente,
si volge limpido alla fronte del giovane e splendente di tanta dolcezza ed espressione, da
non lasciar dubitare quale sia il legame che li tiene uniti in sì dolce famigliarità.
Prima di attendere al loro colloquio, sarà opportuno riferire chi fossero i due amanti.
La gentil donzella era la figlia di Adriano discendente dai signori di Pergine, i quali sino
al secolo XII dominarono più da feroci feudatari che da dinasti nell’ antichissimo Castello
di stile longobardo che torreggia ancora abbastanza conservato sulla cresta del Colle Tegazzo, a ridosso di quell’ amena borgata.
Orfana in tenera età, ultima erede d’ un vistoso patrimonio, se il dolce riso delle carezze
materne non avea rallegrato la sua infanzia, ebbe però la fortuna d’ essere circondata dalle cure più che materne d’ una vecchia zia, la quale, sebbene avesse ricevuta una rigida
educazione nel monastero delle clarisse che esisteva a Trento, pure era di modi pieni di
squisita gentilezza, e in un dignitosi. Tuttavia nei momenti in cui le si porgeva l’ occasione
di soccorrere chi n’ avea bisogno, diveniva l’ umile monachella tutta dolcezza, tutta bontà.
E non è a dire com’ ella avesse il cuore aperto ad ogni affetto generoso.
Il giovane che camminava a lato della graziosa fanciulla era figlio unico di Gaudenzio,
signore di Povo, uomo di eletto ingegno, e giureconsulto di vaglia. I Trentini, come perito
nella dottrina forense, lo salutavano principalissimo, i consoli ricorrevano sovente a’ suoi
consigli, pei quali mostrava tutti il lumi di uno spirito eccellente. Disinteressato com’ era,
prestava volonteroso l’ opera sua nel cercare il pubblico bene anche come paciere nelle controversie, specialmente a favore dei poveri, quando non si aggirava pei monti occupato ai
diporti della caccia, di cui era appassionatissimo e assai valente.
Donna Massenza, alla quale tredici lustri di età non aveano per anco ammorzato il brio
de’ suoi occhi, e ser Gaudenzo erano legati da molti anni in amicizia, resa più stretta inquantoché egli da molto tempo avea assunto l’ incarico di amministrare la vistosa sostanza dell’ orfana Cornelia, per cui non è a meravigliare se ricambiavansi frequenti visite.
Ogniqualvolta donna Massenza si portava nel castello del signore di Povo... [pagg. 5-6]
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
9
liliana de venuto
L
a posizione dei trentini già tanto critica per l’ improvvisa occupazione della Città e
pel subentrato dominio dell’ ingordo straniero che assorbiva con prepotenza gli affari d’ una terra non sua, disponeva arbitrariamente degli antichi diritti nonché dei
beni appartenenti al principato, quella posizione, ripeto, resa ancor più insopportabile per le
estorsioni dei gabellieri e per le angherie della soldatesca, andò a peggiorare di gran lunga collo
svilupparsi d’ un pestifero contagio che importato da alcuni Vascelli mercantili provenienti da
Costantinopoli, dopo aver messo lievito in Sicilia e nella Toscana, dopo aver infierito nella
Lombardia e nel Veneto, andò serpeggiando ora in un paese ora in un altro, finché arrivò ad
apportare la costernazione e lo squallore anche nella città di Trento.
Infatti correva il giugno dell’ anno di grazia 1348 quando la malignità dello spaventoso morbo cominciò ad apportare la moria nelle topaie, nei tuguri delle famiglie più misere del popolo
e nelle luride abitazioni degli ebrei che stanziavano per entro i quartieri più sucidi ed angusti
della Trento di quell’ epoca. Sul finire dello stesso mese, la fatale malattia, si diffuse rapidamente e infuriò con terribile veemenza in ogni luogo della città mietendo vittime anche nelle case
dei benestanti e nei palagi di quelle famiglie agiate e ragguardevoli che, nelle angosce del dubbio, non aveano ancor risolto di fuggire al flagello col cercare altrove un più sicuro soggiorno.
L’ agitazione, il terrore, la confusione pe’ gli orrori apportati dalla fiera calamità erano al di
là di quanto si potrebbe immaginare.
L’ andare e venire continuo di portantine, di lettighe, di barelle a cui si dava braccio per trasportare al Lazzaretto i colpiti improvvisamente dalla peste che si contorcevano gemendo sulle
vie, nelle piazze, entro le chiese ove il popolo si affollava a calca, ovvero per raccogliere i languenti e i moribondi levati, talvolta strappati forzatamente dalle loro abitazioni, il cigolio dei
carretti che giravano ovunque, finché ricolmi di cadaveri ignudi venivano scaricati senza esequie entro le ampie fosse scavate nei cimiteri delle pievi, i fuochi prescritti qua e là dalle commissioni sanitarie, sempre accesi e pronti a distruggere i cenci, i panni, le robe infette, la campana che ad ogni istante suonava a morto, tutto questo lugubre, miserando spettacolo faceva
mesto contrasto col mormorio delle voci confuse ai gemiti e ai pianti misti ai compassionevoli
lamenti di quanti imploravano per misericordia, sovente indarno, i conforti spirituali, o le cure
pietose, dei parenti, dei vicini, dei medici o di altri funzionari. Per lo imperversare della pestilenza le officine eran chiuse, ogni industria scemata e poco meno che perduta, cosicché la città
e tutto il circondario non offrivano che tracce profonde della desolazione e della morte.
Ma la storia veritiera degli orrori apportati dal fiero e micidiale morbo bisognerebbe indovinarla, qualora non si trovasse la narrazione contemporanea lasciataci per avventura da quel
canonico Giovanni Da Parma che imparammo a conoscere nel settimo capitolo del presente
racconto1.[pagg. 140-41]
1 - L’ originale è in lingua latina e noi dobbiamo la traduzione a C. Perini che la riporta ancor più estesa nei Castellani del Trentino.
10
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
narrare la storia
Un pittore veneto alla corte di rodolfo ii
I
l romanzo breve Nel castello di Praga di Roberto Pancheri può essere considerato un esempio di racconto storico letterariamente rielaborato.
L’autore, studioso di storia
dell’arte, ha raccolto in articoli e
monografie i risultati delle proprie ricerche sulla produzione pittorica e scultoria
del periodo che va dal manierismo al classicismo,
non trascurando i contesti
storici che ad essa fanno da
sfondo e cornice.
Seguendo il filo conduttore della genesi di un’ opera d’arte – l’Adorazione dei
magi, che l’artista veneto
Paolo Piazza, alias frate
Cosmo, di Castelfranco
Veneto (1560-1620) dipinse nella capitale boema per
l’imperatore Rodolfo II di
Asburgo – ne coglie i molteplici aspetti di creazione
culturale, e insieme di punto d’incontro delle vicende
personali del committente e dell’esecutore.
I protagonisti della narrazione
sono quindi due, il pittore e l’imperatore Rodolfo II di Asburgo;
ciascuno di essi si muove lungo i
fili del proprio destino, e nei luoghi assegnati loro dal fato: il Vene-
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
to e Praga. L’autore, grazie ai propri studi sulle accademie e le corti
europee, ne disegna il profilo, seguendo le tracce delle loro più
profonde pulsioni: la ricerca della
sicurezza e della “copertura” per
l’artista; la brama dell’accumulo e
della conoscenza per il sovrano.
Paolo Piazza si formò nelle botteghe di Paolo Veronese e di Palma il Giovane, avviandosi alla
professione di pittore in un’età
non felice per la creatività artistica
e per gli equilibri degli assetti sociali e politici europei. «La pittura
veneziana – si legge nel libro – era
in mano ai figli e ai nipoti dei
grandi»: Tiziano, Veronese, Bassano e da ultimo Tintoretto; a
questa splendida generazione era
succeduta una genia di continuatori, «che dissipavano senza ritegno il buon nome dei loro padri e
congiunti, mascherando a fatica la
propria mediocrità».
Il giovane apprendista tentò la fortuna dapprima nella
sua terra d’origine, la Marca
trevigiana, poi a Venezia,
senza tuttavia ottenere alcun
riconoscimento. La scarsezza
di committenza e una crisi esistenziale lo portarono a
chiedere accoglienza ai frati
cappuccini del convento del
Redentore nella Giudecca.
Qui fu accolto e prese il nome
di frate Cosmo.
Ai primi del Seicento fu inviato quindi, per disposizione
dei superiori, nel monastero
della famiglia dei cappuccini,
appena eretto nella periferia
di Praga sotto la direzione di
fra’ Lorenzo da Brindisi e dallo
stesso governato; gli era stato affidato l’incarico di dipingere la volta della chiesa conventuale, titolata a Maria Vergine degli Angeli.
Venezia e Praga sono dunque i
poli geografici della vicenda, colte
nelle luci corrusche dell’incipiente
11
liliana de venuto
età barocca. La Regina dei mari si
mostrava ormai col volto di un’inesorabile decadenza: si aveva la
sensazione che un’inevitabile «rovina materiale delle cose» incombesse sulla città, e che per ogni
dove si aggirasse, con «la sua faccia da teschio», la trista figura del
patrizio Zuane Mocenigo, il delatore di Giordano Bruno (e forse di
Pietro da Massafra, per la famiglia
cappuccina fra’ Fabiano) all’Inquisizione. Bastava una frase mal
detta, un atto inconsulto per destare sospetti forieri di nefaste
conseguenze.
In questa situazione rovinavano l’aspettativa di sicurezza e, insieme, l’aspirazione alla tranquillità dell’anima, giacché, nel clima di
diffidenza che si era istaurato nella città, «per le autorità civili e religiose eretico poteva essere
chiunque». Timoroso e incerto,
l’aspirante pittore pensò dunque
di chiedere “protezione” a una famiglia di religiosi nella speranza
che ne avrebbe ricavato “coperture” ideologiche e commesse di lavoro.
Non meno sicura di Venezia era Praga, anche se in modi e per
ragioni differenti. La capitale boema viveva gli anni febbrili precedenti la Guerra dei trent’anni;
tempi inquieti per la presenza di
sette religiose in opposizione, che
rendevano incandescente il clima
che vi si respirava. Bastava un nulla, perché divampasse un incen-
12
dio dalle proporzioni inimmaginabili, come in effetti avvenne.
Hussiti, cattolici, luterani e utraquisti si fronteggiavano, pronti a
confliggere fra loro non solo con
dispute teoriche, ma anche con
proditori attacchi d’armi, attribuiti immancabilmente dai responsabili alla parte avversa.
Sopra tutti regnava l’imperatore Rodolfo II, figura che negli eccessi geniali e nelle stravaganze ridondanti racchiudeva e anticipava molti aspetti della civiltà secentesca: la smania collezionistica, ad
esempio, che lo spingeva a raccogliere intorno a sé le meraviglie
della natura e delle arti, ma anche
il desiderio di penetrare i segreti
delle leggi che governano il mondo e quelli insondabili che presiedono alle creazioni artistiche. Perciò si circondava di artisti nonché
di maghi e alchimisti, spesso di
ciarlatani, ma anche di astronomi
di chiara fama, quali Giovanni
Keplero e Tycho Brahe. Numerosi
furono i pittori che lavorarono
per sua committenza e, tra essi,
fra’ Cosmo da Castelfranco.
Questi dipinse per lui l’Adorazione dei magi, una tela alta venti
piedi di composita ispirazione
quanto alla fattura: un impianto
scenografico di ascendenza veneziana, dove confluiscono elementi
di chiaro gusto barocco, quali la
tavolozza cromatica eccentrica e
figure capricciose di esotica appartenenza, copia di oggetti visti
nella Wunderkammer del Castello
imperiale. Con la loro intrusione
l’artista anticipava un genere, che
nel nuovo secolo avrebbe incontrato un ampio successo: la pittura
delle vanitas.
Commistione ibrida, è evidente, lontana dalle auree leggi della
pittura classica, ma significativa di
una cultura e di un gusto che procedeva «per addizione»: la ridondanza piaceva agli uomini dell’età
che si apriva, come la ricerca di inusitate combinazioni di spezie e
di tecniche culinarie piace ai commensali amanti di mense abbondanti. La ricerca dell’eccesso, a
ben vedere, non rispondeva soltanto a una tendenza del gusto,
ma rappresentava un mezzo col
quale uomini di libero sentire potevano occultare pensieri eccentrici e propensioni centrifughe,
senza tuttavia negarli.
L’imperatore, evidentemente
soddisfatto dell’opera del Piazza,
gli chiese di dipingere nella cappella del castello scene raffiguranti il paradiso e l’inferno. L’occasione offrì in tal modo all’artista di
raffigurare, nel ciclo figurativo
delle regioni infernali, i personaggi considerati eretici dai cattolici,
da Simon Mago a frate Ochino, il
vicario dell’ordine cappuccino,
che nello scandalo generale era
passato alla fede luterana.
La tela dell’Adorazione dei magi
non rimase nella capitale boema,
trasmigrò a Vienna al declinare
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
narrare la storia
del sec. XVIII e approdò, per vie
ignote, nella chiesa di Sant’Egidio
a Gumpendorf, un sobborgo della città; di essa si dimenticò perfino chi ne fosse l’autore, fino a
quando nel 1998 lo stesso Roberto Pancheri lo identificò nel Piazza e, in un articolo dal titolo Paolo Piazza pittore rudolfino edito
nella rivista «Arte Veneta» (n. 57,
2 (2000), pp. 42-50), ne attestò la
paternità.
L’importante scoperta fu probabilmente all’origine della stesura del romanzo; alla sua realizzazione hanno contribuito
documenti di vario genere, come richiedeva la varietà stessa
degli argomenti implicati. Quali
fonti immediate d’informazione,
si possono considerare gli annali e le cronache della famiglia
cappuccina, diverse agiografie e
perfino le carte di alcuni processi criminali celebrati nella Serenissima; quali testi remoti di riferimento, si devono richiamare
i numerosi trattati di pittura – a
cominciare dalle Meraviglie
dell’arte ovvero Le vite degli Illustri Pittori Veneti e dello Stato di
Carlo Ridolfi – le biografie di
artisti, i cataloghi e i compendi
d’arte, che furono per l’autore i
testi fondamentali di formazione.
Quando questo bagaglio di conoscenze affiora, le pagine del
romanzo acquistano spessore e
forza persuasiva.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
Riguardo alla tecnica compositiva, il Pancheri non si è limitato a operazioni di “taglia e incolla” dei contenuti documentali,
ma ha applicato le regole della
narrativa più sopra indicate, al fine di conferire plasticità drammatica a persone e avvenimenti
reali; in primo luogo l’assunzione
di un “punto di vista”, col quale
sistemare i fatti. Tale focus narrativo si può identificare nel motivo della “dissimulazione”: arte
che permetteva di «dimenticarsi
della verità» e di vivere fra gente
che pensava diversamente, pur
serbando integro nel fondo dell’animo il nucleo più autentico delle
verità personali. Teorizzata da
Torquato Accetto nella prima
metà del Seicento, la dissimulazione, detta “onesta” in quanto
consentita, costituiva una scelta
obbligata per molti uomini che
ebbero la ventura di vivere nei secoli della Controriforma, quando
le angustie di una società chiusa e
perfettamente controllata impedivano ai singoli di prendere fughe liberatorie.
Quest’arte è forse oggi meno
menzionata a livello di comunicazione corrente, anche se non è
meno praticata in diversi contesti
della realtà sociale, giacché da
questa non sono scomparsi del
tutto i meccanismi della censura
e della esclusione. [l. d. v.]
Roberto Pancheri Il passaggio
dalla composizione propriamente saggistica alla narrazione letteraria si è avuto dapprima con il libro-inchiesta Il giocatore di diabolo – apparso a Roma
in due edizioni presso la casa
editrice Il filo, 2008, 2011 – nel
quale egli ha ricostruito la vicenda del furto dell’Indifferente
di Watteau avvenuto nel Louvre
l’anno 1939; in seguito con il romanzo La Venere di Hayez, uscito per l’editrice Curcu & Genovese nel 2010. In questo l’autore,
prendendo lo spunto dalla
commissione del quadro omonimo al celebre pittore veneziano da parte del conte Girolamo
Malfatti, ultimo esponente di
un antico casato trentino, si sofferma principalmente sulla misteriosa modella del dipinto: la
ballerina Charlotte Chabert, in
vero non nota alle cronache teatrali del tempo, come si precisa
nella nota introduttiva al romanzo. Fa da sfondo storico alla vicenda la città di Trento di
primo Ottocento, ancora tutta
racchiusa nelle sue mura di origine medievale. Il lavoro gli è
valso, nello stesso anno della
stampa, il premio “Mario Soldati” per la narrativa, conferito annualmente dal Centro Pannunzio di Torino.
Pancheri ha da ultimo pubblicato nel 2012, sempre per la Curcu
& Genovese, il racconto Nel castello di Praga; nel 2013 l’opera si
è aggiudicata il secondo posto,
per la narrativa edita, del Premio Letterario Casentino, conferito dal Centro Culturale Fonte
Aretusa di Arezzo.
13
Raccontare
il fantastico
di Susanna Daniele
14
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
raccontare il fantastico
D
polino le teorie del mesmerismo,
al bianconiglio al gatdell' ipnotismo,
dell' esoterismo,
tonero, dall'unicorno
senza dimenticare la curiosità nei
al mostro marino, dalconfronti dell' occultismo.
la vergine morente al vampiro, dalla
Il racconto fantastico, così come
casa infestata da inquietanti presenlo concepiamo noi, nasce in Gerze al mistero della camera chiusa, il
mania fra la fine del ' 700 e l' inizio
Fantastico è forse il più grande condell' ' 800, e la forma breve è consitenitore delle rappresentazioni
derata fin da subito la forma ideale
oscure, strane, terrificanti che agitano da sempre l' animo umano. Esiperché permette di mantenere la
ste quindi una trasversalità del fantensione per tutto il tempo della
Shakespeare, La tempesta, IV (158-160)
tastico che non appartiene a un solo
lettura.
periodo storico o a una particolare
I temi in parte sono anticipati nel
forma letteraria. Non traccerò quindi un excursus della romanzo “gotico” inglese della seconda metà del Setteletteratura fantastica italiana dell' 800 ma cercherò di cento e costituiranno poi la fonte che alimenterà tutto
coglierne le caratteristiche fondamentali e di capire la l' immaginario fantastico dei Romantici, forti della riragione per la quale in Italia ebbe scarso seguito. scoperta del medievalismo e delle tradizioni e leggenNell'ultimo paragrafo tenterò di individuare un nesso de popolari. I racconti fantastici della prima metà
dell' Ottocento prenderanno il nome di “racconti alla
fra fantastico e giallo.
Hoffmann”.
Il debito del racconto romantico nei confronti del
Origini di un genere
Nelle mappe antiche, quando si doveva rappresenta- racconto settecentesco francese, secondo Calvino, è
re una terra sconosciuta, si raffigurava un essere mo- duplice: il gusto del “meraviglioso” da una parte e lo
struoso oppure si scriveva: hic sunt leones. Era un mo- stile ironico e tagliente dei contes philosophiques di
do per rappresentare il terrore del non-conosciuto. La stampo voltairiano. Scrive Calvino nell' introduzione
letteratura fantastica, proprio perché espressione di all' antologia Racconti fantastici dell' Ottocento: “…il suo
uno dei più forti sentimenti umani, la paura, ha anti- tema è il rapporto tra la realtà del mondo che abitiamo
chissime origini. Alcuni critici le hanno intercettate nei e conosciamo attraverso la percezione, e la realtà del
racconti di fantasmi di Plinio e Petronio; tutti sono mondo del pensiero che abita in noi e ci comanda. Il
concordi nel sostenere che è nella seconda metà del problema della realtà di ciò che si vede … è l' essenza
Settecento che i semi del Fantastico cominciano a ger- della letteratura fantastica”1. L' uomo sente il bisogno di
mogliare. Settecento secolo dei Lumi e della Dea Ra- percorrere nuovi sentieri della conoscenza che riguargione, secolo delle grandi scoperte scientifiche e dano la realtà esterna ed interna.
dell' applicazione alle tecniche che migliorano il lavoro
Nasce il tema del doppio, dello specchio che ritrae
umano, ma anche secolo in cui cominciano a fare ca- 1 - Vol. 1, Milano, Mondadori, 1983, p. 5.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
...noi siamo
della stoffa di cui
sono fatti i sogni;
e la nostra
piccola vita
è cinta di sonno
15
susanna daniele
Altro, il non visibile. Nascono anche i temi, del Diverso che improvvisamente irrompe mostrando un aspetto terrorifico della realtà, fino a quel momento sconosciuto o semplicemente ignorato.
La forma letteraria preferita è quella del racconto
breve o short story che da quel momento ha avuto
grandissimo successo. In Inghilterra prenderà il nome
di gothic novel, in Francia avremo i contes fantastiques,
gli Stati Uniti conosceranno le short story di Poe e
Hawthorne che, peraltro, non godranno di fama pari a
quella che conferì loro l' Europa. È stato lo stesso Poe a
teorizzare i motivi della preferenza verso la forma breve: per lasciare nel lettore un' emozione profonda la
storia deve essere letta in un' unica sessione. La tensione, la suspense, non può essere tenuta alta a lungo.
Concezione moderna, ancora condivisa da chi scrive
racconti di horror, gialli o noir.
È Poe, scoperto, tradotto e diffuso da Baudelaire a
partire dal 1848, il maestro indiscusso di un genere che
passando dalla Francia si affermerà in tutta Europa.
Classificazione del racconto fantastico
La critica del ' 900 ha cercato di definire i confini del16
la letteratura fantastica, come gli antichi cartografi,
creando delle classificazioni. Mi limiterò a ricordarne
alcune.
Calvino, nell' introduzione ai Racconti fantastici
dell' Ottocento, suddivide i racconti contenuti nella raccolta in due categorie: quelli classificati all' interno del
“fantastico visionario” che appartengono alla prima
parte del secolo XIX, e i racconti del “fantastico quotidiano”, cronologicamente appartenenti alla seconda
parte del secolo.
I primi raccontano “ciò che si vede”, ovvero mettono
in primo piano una suggestione visiva. Così apparizioni spettacolari e sconvolgenti turbano gli animi dei lettori. Si tratta dei racconti di Hoffmann, Scott, Balzac,
Hawthorne e Gautier.
Nella seconda metà del secolo invece il “fantastico
quotidiano” è quello del caposcuola Poe, ma anche quello di Dickens, Maupassant, Bierce e James; è un fantastico meno spettacolare ma proprio per questo forse ancora più terrorizzante: il lato oscuro è tutto interiore.
Edgar Allan Poe fu maestro in tutte e due queste classificazioni: alla prima appartiene Il crollo della casa degli
Usher e alla seconda Un cuore rivelatore.
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
raccontare il fantastico
Nel complesso, è l' Ottocento a regalare i grandi “classici” della letteratura fantastica: dal Frankenstein di Mary Shelley, al Dottor Jekyll e Mister Hide di Stevenson, a
Carmilla di Joseph Sheridan Le Fanu, vampiro femmina
che precorre la nascita del vampiro Dracula di Stoker.
E in Italia?
Il genere fantastico nacque in ritardo di decenni rispetto ai paesi del Nord Europa, e si afferma, anche se
marginalmente, a partire dagli anni ' 60 del 1800. Poe
fu conosciuto in Italia attraverso la traduzione francese
del 1848 di Baudelaire, suo grande estimatore. Sono i
giovani della Scapigliatura lombarda e piemontese, come Arrigo e Camillo Boito e Igino Ugo Tarchetti, a raccogliere il testimone di un genere letterario in un' Italia
in fase di raggiungimento dell' Unità nazionale in cui
gli intellettuali e gli scrittori si dividevano fra Classici
e Romantici e riflettevano sulla questione della necessità di una letteratura come impegno civile. A questo
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
si aggiunge anche la scarsa dimestichezza della lingua
inglese da parte degli intellettuali italiani che non
permette loro di entrare subito in contatto con le novità della letteratura anglosassone.
Leopardi stesso, nei Pensieri, affermava che nessun
popolo crede meno agli spiriti degli Italiani e anche
Alessandro Manzoni lasciava i fantasmi agli scrittori
nordici, facendo prevalere nel suo romanzo una forma
di realismo moderato, frutto di amore per il vero o almeno per il verosimile. Possiamo concludere che al
Romanticismo italiano è mancata la componente “gotica” tipica del Romanticismo tedesco e anglosassone.
Con il tramonto della stagione della Scapigliatura
l' esperimento del fantastico italiano non si estingue
ma, come un fiume carsico, riemerge in autori considerati appartenenti ad altre correnti letterarie. Soltanto
per citarne alcuni dei più conosciuti, Luigi Capuana,
Giovanni Verga, Federico De Roberto, Salvatore Di
Giacomo, Vittorio Imbriani, Antonio Fogazzaro, Ma-
17
susanna daniele
tilde Serao, Jarro, Emilio De Marchi. In particolare
Luigi Capuana, nella sua lunga esperienza di novelliere, tratterà il racconto fantastico in tutte le sue declinazioni e Imbriani è considerato dalla critica un Gadda
ante litteram per la sperimentazione linguistica.
L' esplosione del Fantastico avverrà nel ' 900 e attraverserà tutti i generi letterari incontrandosi con le teorie psicanalitiche che in certo modo aveva intuitivamente anticipato. Dal Fantastico discende il poliziesco
in tutte le sue forme e la fantascienza, entrambi generi che bene rappresenteranno la destabilizzazione
dell' Io, l' esperienza angosciosa e il prevalere delle forze oscure che hanno permeato il ' 900.
I “Misteri”
Un filone letterario popolare che attecchì anche in Italia fu la serie dei cosiddetti “Misteri”. A dispetto del nome, non ha niente a che vedere con la categorie del Fantastico. Si tratta di una forma di letteratura popolare a
sfondo sociale che arriva in Toscana tramite le traduzioni di romanzi francesi considerati archetipi del genere
popolare: I misteri di Parigi di Eugene Sue (1848), Il fabbro del convento di Ponson Du Terrail (1873) e Il conte di
Monte-Cristo di Alexandre Dumas père (1846). È “paraletteratura d' invenzione”, molto popolare anche perché
pubblicata a puntate su giornali e riviste. Affronta i grandi temi sociali del momento: l' estrema indigenza delle
classi lavoratrici, la spaventosa condizione minorile, la
contrapposizione netta fra gli onesti e i malvagi. Sono
viaggi attraverso le “classi pericolose”, nei bordelli, nelle
galere, nei bassifondi delle città. Ha un messaggio umanitario e moralista; non manca mai il finale consolatorio
perché il Bene trionfa sempre. L' iniziale portata sociale
del romanzo francese arriva in Italia molto edulcorata.
Dopo il 1860 in Toscana e a Napoli si assiste a un fiorire di romanzi genericamente intitolati “I misteri”. Francesco Mastriani, autore de I misteri di Napoli dice che “la
smania d' imitare le cose francesi … fe' piovere Misteri
da tutte le parti”.
Anche Collodi si cimentò ne I misteri di Firenze. Scene sociali del 1857 tradendo la finalità moraleggiante
18
iniziale perché la sua cifra è quella dell' ironia. Argomenta che scrivere “misteri” a Firenze è impossibile,
poiché tutti sanno vita, morte e miracoli di tutti. L' opera unisce alla parodia del genere dei “misteri” una amara critica della società fiorentina, moralmente e politicamente decaduta. “…se i vostri Misteri non sono misteri…; se il vostro romanzo non è un romanzo perché
il romanzo sociale, a detta vostra, non può metter erba
a Firenze; …si potrebbe almeno sapere …cosa intendete di fare con questo lavoro? Questo è un mistero: dirò di più: questo è il solo mistero che si trovi realmente
nei miei Misteri di Firenze…”.
Che Collodi, peraltro, non ignorasse alcuni temi cari
al fantastico orrorifico lo si può notare dalla lettura di
Pinocchio. Tutti abbiamo presente la figura del burattino che fugge dai suoi assassini cercando ospitalità nella
casina bianca al limitare del bosco. Dalla finestra si affaccia una bambina-fata che parla senza muovere le
labbra: “Sono tutti morti, anch' io sono morta e aspetto
la bara che venga a prendermi”.
Fantastico e giallo
Lo scrittore argentino Borges in un capitolo di Oral
dedicato al racconto poliziesco indica in Poe il capostipite degli autori di polizieschi con I delitti della rue
Morgue. Auguste Dupin, primo detective della storia, è
uno straniero, un gentiluomo francese molto stravagante, che esce di notte per passeggiare nelle strade deserte di una Parigi immaginaria. Il personaggio di Dupin, che vive con un amico io narrante delle storie, è
l' archetipo di personaggi fortunatissimi della letteratura poliziesca di tutti i tempi come Sherlock Holmes e
padre Brown. “Poe – scrive Borges – non voleva che il
genere poliziesco fosse un genere realista, voleva che
fosse un genere intellettuale, un genere fantastico…
dell' intelligenza, non soltanto dell' immaginazione…”.
Dupin quindi risolverà i delitti con il solo ausilio
dell' intelligenza. La commistione fra fantastico e giallo
continuerà ad esistere nella produzione di grandi autori anglosassoni come Wilkie Collins, Charles Dickens,
R.L. Stevenson.
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raccontare il fantastico
Fra gli italiani va senz' altro ricordato come primo
scrittore di polizieschi d' ambiente il napoletano Francesco Mastriani, autore de Il cadavere scomparso pubblicato nel 1953 e riedito nel 2011 nella nuova collana Gialli
Rusconi.
Altre origini ottocentesche del poliziesco si possono individuare in alcune
opere di Jarro (alias Giulio
Piccini), scrittore e giornalista amico di Carlo Lorenzini, che crea la figura
dell' abilissimo commissario Lucertolo e pubblica
una serie di quattro romanzi fra il 1883 e il 1884:
L' ' assassinio nel Vicolo della luna, Il processo Bartelloni, I ladri di cadaveri, La
figlia dell' aria.
La figura del protagonista, commissario Lucertolo, potrebbe essere paragonata a quella di un
Vidocq nostrano. Unisce
elementi rocamboleschi a
notevoli capacità pratiche. È, infatti, abilissimo
nei travestimenti e scassinatore provetto e, allo tempo
stesso, profondo conoscitore dell' animo umano ed
esperto chimico. L' assassinio nel Vicolo della luna è una
vicenda avventurosa in cui l' identità dell' omicida si
confonde con quella della vittima, dando luogo a
un' originalissima trama densa di colpi di scena. Il romanzo si ambienta nei primi decenni dell' 800 in una
Firenze misteriosa come
le ombre che s' annidano
nei suoi vicoli.
Nel 1883 il piemontese
Cletto Arrighi (alias Carlo Righetti) dava alle stampe i noir La mano nera e
Un suicidio misterioso. Ne
La mano nera si narrano le
vicende di un' organizzazione criminale il cui intento è distruggere i “ricchi” e il “capitale” per mezzo di furti e omicidi. È un
romanzo che usa in modo
sapiente le tecniche della
suspense e dell' intrigo, ma
è al tempo stesso uno
spaccato sociale della città
e dell' epoca.❧
Susanna Daniele
Bibliografia
Racconti fantastici dell’Ottocento, a cura di Italo Calvino, Milano, Mondadori, 1983
Notturno italiano, 2 voll., a cura di Enrico Ghidetti e Leonardo Lattarulo, Editori Riuniti, Roma, 1985
Fantastico italiano, a cura di Costanza Melani, BUR, 2009
Enrico Ghidetti, Il sonno della ragione, Editori Riuniti, 1987
Jorge Louis Borges, Oral, Editori Riuniti, 1981
Giovanni Falaschi, Racconti fantastici dell’Otto e Novecento, Paradigma, 1988
Ottocento nero italiano, Narrativa fantastica e crudele, a cura di Claudio Gallo e Fabrizio Foni, Nino Aragno editore, 2009
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
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Parole per strada 2013
Terra mia
con interventi di MariaLuisa Mora – Giovanna Sirotti – Lucia Debiasi – Stefano Tonietto
III B Linguistico - Liceo «Rosmini» di Rovereto – II B Classico - Liceo «Marchesi» di Padova
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2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
parole per strada 2013 - terra mia
A
nche quest’anno con il tema “Terra mia” Il
Furore dei Libri promuove l’interesse ed il
piacere verso la lettura stimolando negli autori invitati la consapevolezza che chi legge possa arricchire le proprie conoscenze pensando “al plurale”,
condividendo saperi e culture, con l’obiettivo ultimo di
permettere al lettore di comprendere meglio se stesso e
i propri sentimenti.
L’antologia, con i suoi 101 racconti brevissimi, vuol
raggiungere tutti i lettori, sia quelli che amano leggere molto, sia quelli che per vari motivi leggono meno.
Si propone inoltre alle diverse età ed è anche per questo
che tra i propri autori adulti e professionisti nasconde dei
giovanissimi che hanno scoperto il piacere della scrittura.
Non dimentica nemmeno i lettori di altra nazionalità e per loro propone un bel gruppo di scrittori di altro
idioma, dando così ai cittadini di Paesi Terzi l’opportunità di partecipare pienamente alla vita della nuova
comunità in cui son venuti a trovarsi.
Per un doveroso tributo alla nostra terra Trentina
abbiamo invitato i figli dei nostri emigranti a scrivere
il loro racconto sia in italiano che nella lingua del Paese dove vivono. E qui le sorprese non sono mancate e
lasciamo ai lettori il piacere della scoperta.
Tutto questo ha comportato un grande ed impegnativo lavoro alla redazione ed alla giuria, formata da elementi di diverse età ed esperienza dislocati in mezza
Italia. Tra di essi abbiamo i ragazzi di due classi di istituti superiori, un bibliotecario, una giornalista, due insegnanti, la redazione di una casa editrice, un direttore
di biblioteca, un assessore all’istruzione, un rappresentante de Il Furore dei Libri.
Tante persone collaborano al progetto di Parole per
Strada ed è con tanto affetto che ringrazio il Direttivo,
la Commissione organizzatrice e gli Autori, che ormai
sento tutti amici.
Ringrazio inoltre le Istituzioni che con il loro contributo economico hanno permesso che questo progetto
continui nel tempo ed è grazie anche a loro se Parole
per strada è giunta alla quarta edizione.
N
on è impresa semplice la scrittura di un
racconto breve. Occorrono spiccate capacità di sintesi, di rapida delineazione dei
soggetti e di sicura eliminazione del superfluo, occorre una forte padronanza linguistica che eviti ogni vizio stilistico.
Un buon racconto è “soprattutto privazione”, suggerisce, confida nel lettore per completare i particolari tralasciati, suscita emozioni. Tutto un non-detto che
genera forte complicità tra l’autore e il lettore indotto a
completare, a sua discrezione, quanto solo accennato.
L’incipit stesso, tralasciando introduzioni esplicative, fa entrare, ex abrupto, in medias res, come dice
Calvino.
Così come la conclusione può essere una non-fine,
oppure aprire a infinite soluzioni: corrispondenza inquietante con la mancanza di certezze e il disorientamento dell’uomo d’oggi.
Ancor più, se il racconto deve catturare l’attenzione
di chi cammina!
Parole per strada lancia questa sfida: dare gambe alle
parole perché rincorrano il passante e lo catturino invogliandolo a leggere.
Giovanna Sirotti
Assessore all’Istruzione e alla Condivisione dei saperi
Comune di Rovereto
Membro della Giuria di Parole per strada
MariaLuisa Mora
Presidente de Il Furore dei Libri
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
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parole per strada 2013 - terra mia
A
settembre di questo anno ho incontrato il
Furore dei Libri e il Concorso Parole per
strada. Con gentilezza sono stata convinta
a partecipare, con la mia classe, in qualità di giurati, al
concorso letterario.
È stata questa un’esperienza che ha arricchito la mia
persona e mi ha fatto crescere professionalmente.
Ho sempre amato insegnare letteratura italiana nonostante le molte difficoltà incontrate soprattutto a
causa dello scarso interesse e motivazione che molti
studenti di oggi dimostrano nei confronti della materia. Anziché scoraggiarmi questa è stata per me una
sorta di sfida. Il mio scopo è stato, ed è tuttora, quello di
cercare di far capire come, attraverso la lettura gli studenti possano arricchire la loro cultura personale, consolidare buone capacità e competenze linguistiche, acquisire una capacità critica e un’autonomia di pensiero e, non da ultimo, sentirsi, per una volta protagonisti.
Parole per strada mi ha permesso di fare tutto ciò.
La consapevolezza che la scuola italiana sta vivendo un momento delicato, la convinzione che la scuola deve essere antropocentrica, il mio personale timore di “addormentare gli alunni” mi hanno spinta ad accettare la sfida.
Il lavoro è stato impostato in modo da sviluppare
l’autonomia di lettura e di analisi, il confronto e la discussione, e, non da ultimo, la responsabilità di emettere un giudizio. Credo che tutto ciò li abbia arricchiti
e li abbia fatti sentire partecipi di una bellissima esperienza culturale.
Grazie Furore dei Libri!
Lucia Debiasi
Docente al Liceo “Rosmini” di Rovereto
Membro della Giuria di Parole per strada
I
l tema di quest’ anno, Terra mia, si presta magnificamente alla metafora. Certo, in molti di
questi racconti c’ è la terra nel senso più letterale del termine: la campagna, sfondo frequente di un’ infanzia mitizzata, e insieme marca di appartenenza a
generazioni ormai al tramonto. Il mondo rurale, da cui
pure tutti proveniamo, appartiene alla memoria di chi
ha vissuto gli anni arcaici tra le due guerre, quelli di
privazione tra secondo conflitto mondiale e dopoguerra, fino alla ricostruzione e al boom economico che ha
accelerato la fine del mondo agricolo ancestrale.
Mondo arcaico e arcadico, la campagna compare in
questi racconti sovente attraverso l’ immagine dell’ albero, emergenza ineludibile nella memoria di un’ infanzia a
contatto con la natura, per quanto ostile e dura, ricordata oggi con nostalgia. Da quest’ Arcadia rurale si deve fuggire per la fame, per la miseria, per la mancanza di prospettive di lavoro: l’ emigrazione appare così sullo sfondo di
molti racconti.
La guerra – quella mondiale per gli scrittori italiani,
quelle balcaniche o africane più recenti nell’ esperienza di
alcuni narratori stranieri – è insieme ricordo epocale e momento traumatico di rottura. La guerra talvolta segna la
fine del paesello d’ origine, talvolta la fine della Patria stessa. L’ emigrazione dai Paesi africani o asiatici o dell’ Est europeo diventa – nella prospettiva del lettore italiano – immigrazione; e il grande tema virgiliano del dulcia linquimus arva si conferma eterno, universale.
Ma, come detto al principio, molti autori di questi
racconti (talvolta bozzetti, talaltra mere considerazioni che esulano dalla forma narrativa) hanno scelto di
interpretare Terra mia in chiave metaforica; e piace ricordare l’ albero solitario del racconto omonimo: in un
cerchio che si chiude, si torna alla natura dell’ infanzia,
alla campagna, da dove eravamo partiti… Da dove
tutti siamo partiti.
Stefano Tonietto
Docente al Liceo Classico “Marchesi” di Padova
Membro della Giuria di Parole per strada
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Q
parole per strada 2013 - terra mia
uando ci è stato proposto di partecipare al concorso “Parole per Strada” come giuria, entusiasti abbiamo subito accettato poiché ci è sembrata un’esperienza nuova e diversa dalle altre. Essendo abituati ad essere noi giudicati abbiamo colto l’occasione
per capire cosa si prova a stare dalla parte di chi valuta.
Ci siamo resi conto che giudicare è più difficile di
quanto si possa pensare, infatti abbiamo incontrato alcune difficoltà poiché dare giudizi implica una grossa responsabilità. Anche l’organizzazione non è stata
semplice dato che le opinioni erano molte e abbastanza contrastanti.
Ma nonostante questo è stato soddisfacente riuscire a
gestire tutto da soli, senza aiuti da parte dell’insegnante.
È stato bello vedere come i partecipanti hanno interpretato in modi diversi il tema di quest’anno, riferendosi alla propria terra d’origine, altri ad un punto fermo
della loro vita, quali un oggetto o una persona. La lettura dei racconti è stata scorrevole e piacevole e alcuni
che ci hanno particolarmente coinvolto, ci hanno portato a dibattiti e discussioni in classe.
Siamo comunque convinti che sia stata un’esperienza
molto positiva e costruttiva che ci ha aiutato a migliorare la nostra capacità critica e organizzativa; per questo alla domanda: “Lo rifareste?” risponderemmo all’unanime “Sì!”.
Erzana: Un racconto che mi ha particolarmente colpito
è “L’albero solitario”, dove un uomo racconta la sua vita,
paragonandosi ad un albero, che “ha visto morire la speranza di un verde futuro in cui affondare le radici” e che
dopo aver già dato tutto non ha più nulla da offrire, ma
che nonostante ciò, è riuscito a trovare un posto al sole
dove stabilirsi: la sua terra. Questo racconto richiama
una realtà purtroppo presente e diffusa al giorno d’oggi,
e anche se consapevole di questo fatto, leggere questo
racconto mi ha comunque impressionato.
Andrea: Tra i racconti che più mi hanno colpita, c’è “Sepolti vivi”, in cui il protagonista Nadir lascia la propria patria in cerca di fortuna. Il finale non è specificato, ma si riesce a capire che non ha un lieto fine e, aggiungendoci l’ottima fruibilità, posso affermare che ha avuto un forte impatto sulla mia sensibilità.
trapelava con più sentimento l’amore e il rispetto per la
propria terra.
Giulia: Nonostante il racconto “Briru” non sia piaciuto a molti, mi ha colpito per il suo finale triste e mi ha
dato la consapevolezza che ci sono persone nel mondo
che sono alla ricerca di uno spiraglio che possa salvarli
dalla crudele realtà in cui vivono.
Caterina: Uno dei racconti che più mi ha colpito ed
emozionato è “14 agosto 1914, venerdì” in cui l’autore riesce a farmi rivivere emozioni che il personaggio prova,
descrivendo l’abbandono forzato della propria terra. Un
uomo costretto a lasciarla per salire su un treno, non sapendo quale sia la destinazione, consapevole solo del
fatto che segnerà la fine della propria vita.
Carolina: Personalmente mi ha molto commossa il
racconto “Clandestino”, in quanto il protagonista esprime le sofferenze delle sue speranze deluse, affrontando il
problema della mancanza di lavoro, che proprio in Italia
colpisce molti giovani. Nel brano infatti egli si paragona
ad un cane randagio, il quale le sere viene morso dalla
nostalgia e che con il passare del tempo sparge il suo
cuore in ogni parte del mondo.
Jessica: Mi ha colpito molto il racconto intitolato “Il
pratosangiovanni” nel quale l’autore, con grande fruibilità, ha definito la sua terra attraverso una semplice immagine in cui dei ragazzini facevano della birra con della liquirizia; un particolare ricordo della sua infanzia in
perfetta attinenza al tema.
Erica Amistadi – Giada Andreolli – Andrea Bisoffi –
Marta Bottesi – Emily Calabri – Carolina Cestarollo –
Giulia Ciaghi – Giuseppe Francesco D’Amato – Martina
Demozzi – Beatrice Francesconi – Erzana Hallidri –
Jessica Martinelli – Denise Pancot – Alice Prandi – Layla
Ulivieri – Caterina Viesi – Rachele Zambelli – Giorgia
Zenatti
Classe 3 B Liceo Linguistico “Rosmini”
Rovereto
Rachele: Nonostante la varietà di racconti, alcuni mi
hanno trasmesso maggiore emozione poiché da questi
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
23
parole per strada 2013 - terra mia
I
sedici ragazzi e ragazze che hanno accettato di leggere e valutare i racconti fanno
tutti parte della classe 2 B del liceo classico “Concetto Marchesi” di Padova: frequentano
il quarto anno e quindi stanno entrando uno dopo l’altro nella maggiore età.
Essi sono stati selezionati su un gruppo più
ampio di 27 studenti, o, per meglio dire, si sono
autoselezionati: infatti il primo criterio proposto dal docente per l’ammissione alla giuria era
il semplice desiderio di farne parte. Un’esperienza nuova per tutti, visto che a scuola sono solitamente oggetto di valutazione (temi, verifiche,
versioni, test ed elaborati vari) e non giudici attivi di produzioni altrui, se si eccettuano le “analisi del testo” inevitabilmente somministrate loro
dai docenti in vista dell’esame di Stato. L’impegno è stato necessariamente casalingo, in quanto
non era possibile né opportuno, con buona parte della classe non partecipante, utilizzare le ore
curricolari per organizzare e seguire il lavoro; similmente, il lavoro è stato condotto in modo individuale, senza particolari momenti di condivisione di pareri e giudizi. In pratica, ogni studente
ha lavorato come singolo giurato, in base ai propri gusti e alla propria esperienza di lettore, benché il giudizio espresso dal gruppo sia stato poi
sintetizzato in un’unica tabella. [s.t.]
«Sono rimasta molto soddisfatta di aver partecipato a questa iniziativa. Leggere (e valutare) questi brevi racconti è stata senza dubbio
un’ esperienza interessante e il tema “Terra mia”
si è rivelato molto più profondo e ricco di spunti
di quanto avrei mai immaginato». [Laura Piva]
Tutti gli Autori di Parole per strada - Terra mia
Gregory Alegi – Livia Alegi – Meriam Al-Ghajariah
Giorgio Anastasio – Andrea Angiolino – Wallace Armani
Fabio Baldi – Rossella Baldi – Livio Bauer – Elena Belotti
FeBe – Margherita Berlanda – Italo Bonassi – Luigi Brasili
Roberto Caprara – Vittorio Caratozzolo – Giuseppe Carmeci
Carla Casetti – Matteo Cermusoni – David Cerri
Matias Cimadon Ramona Corrado – Diana Crispo
Nives Cristoforetti – Pelagio D’Afro – Livio Dalpiaz
Davide Daniele – Susanna Daniele Igor De Amicis
Marcello De Santis – Margherita De Simone
Patrizia DeBicke – Martina Dei-Cas – Gian Luca Del Marco
Emanuele Delmiglio – Daniela Destefani – Giorgio Diaz
Peter Disertori – Sandro Disertori – Danuta Dobkowska
Dorina Dumbrava – Anna Maria Ercilli – Ornella Fait
Gabriele Falcioni – Guido Falqui-Massidda – Lidia Filippi
Gilberto Gagliardi – Davide Galati – Francesca Garello
Karin Gelten – Vanessa Giolitti – Giuseppe Gottardi
Marco Guarnieri – Luigi Guicciardi – InPagina
Norberto Julini Marisa Lanzerotti – Gordiano Lupi
Paola Malcotti – Carla Mannarini – Giacomo Manzoni
Angelo Marenzana – Tiziana Margoni
Gilio Donato Marinello – Caterina Rosa Marino
Miriam Marino – Nadia Mariz – Carlo Martinelli
Maria Grazia Masciadri – Rita Mazzon – Marta Minervino
Armando Mondin – Noemi Nappo – Fabio Novel
Rahma Nur – Gloria Odorizzi – Laura Oreglia
Riccardo Ozog Francesconi – Luisa Pachera
Morena Pedrotti – Marinette Pendola – Snezana Petrovic
Biagio Proietti – Giuliana Raffaelli
Giorgio Ragucci Brugger – Michela Rigotti
Rossella Saltini – Emma Saponaro – Sarcitana
Andrea Agbariah – Luca Barin – Elena Bortolato –
Rebecca Ciriolo – Beatrice Fenato – Diletta Filippi –
Giulio Fornaciari – Lorenzo Iannuzzi – Elena Lucchetta –
Alberto Michielon – Laura Piva – Orysya Ratalska – Sofia
Testa – Giulia Tiberio – Martina Tripaldi – Catalina Turuta
Classe 2 B Liceo classico “Concetto Marchesi”
Padova
24
Giovanna Sartori – Marco Savarese – Barbara Scovoli
Catia Simone – Mirta Slomp – Abdelmalek Smari
Andrey Josè Taffner-Fraga – Anna Tava – Giorgio Tosini
Diana Ungureanu – Adelina Valcanover – Marco Vallarino
Laura Vignali – Vittorio Vulcan – David Wilkinson
Fulvio Zanoni – Paolo Ziino – Antonio Angelo Zurlo
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
parole per strada 2013 - terra mia
Meriam Al-Ghajariah Plurale
T
erra mia: dove il nonno di mio nonno di
mio nonno piantò questi ulivi.
Terra mia: conquistata con il sangue degli eroi e protetta da alti bastioni.
Terra mia: profumi di casa e suoni chiari della
mia lingua.
Terra mia: percorsi lungo piste che solo io conosco, e solo la sete e il sonno mi sono limite.
Terra mia: comprata a prezzo vantaggioso da
un manipolo di ambiziosi incapaci.
Terra mia: l’alta scogliera che abbraccia il
porto da cui partire alla conquista dei mari.
Terra mia: dove scorre il mio sudore e guadagno il mio pane.
Terra mia: il mio orto, le piante curate con amore sul balcone quando le gambe non possono portarmi più lontano.
Terra mia: il profilo delle montagne che circondano la mia valle.
Terra mia: novecentomila ettari e due miliardi di fatturato.
Terra mia: quella che si appoggia sulle mie
ossa, sotto la lapide che ricorda il mio nome.
Terra NOSTRA: rubata, lacerata, sfruttata.
Unica e indivisibile. Amata.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
25
parole per strada 2013 - terra mia
Andrea Angiolino
Igor De Amicis Tornerò
Verso casa
T
di sicuro
erra mia, ti penso sempre. Anche ora che
siamo in pausa in fondo al campo. Con dieci minuti scarsi per tirare il fiato prima di tornare a raccogliere verdura, la schiena piegata che fa
male da morire e il caporale che urla di fare più in
fretta, ma con delicatezza per non guastare nulla.
Chi è nato qua mi guarda dall’alto in basso, e
non è solo una metafora: sono più slanciati di noi.
E ci disprezzano, anche se andando indietro nel
tempo i nostri antenati sono gli stessi. Nati dove
sono nato io: i loro trisavoli erano “terricoli” quanto me, per usare il nomignolo con cui ci chiamano oggi i marziani. Che sono tutti, ovviamente, discendenti da coloni terrestri.
Hanno fatto il possibile per far somigliare questo
pianeta alla Terra, cominciando secoli fa da mari e
atmosfera. Ce n’è voluto di tempo. Era un deserto,
ora è un giardino per ricchi: ma si vede che è costruito, sa proprio di falso. Io sono venu to a servirne i padroni scappando dalla Terra vera, devastata
e ipersfruttata. In cambio ottengo qualche soldo da
mandare alla famiglia rimasta a casa e sguardi obliqui in cui leggo solo commiserazione o disprezzo.
Alzo gli occhi. In questo periodo la Terra è vicina, si vede bene a occhio nudo: sembra una doppia stella vista da qua, lei azzurra e la luna più piccola accanto. Ancora qualche anno di risparmi per
scampare alla miseria e me ne tornerò al mio pianeta, questo è poco ma sicuro. Per quanto maltrattato e povero possa essere. Amara Terra mia, amara e bella.
26
R
ussia, 24 dicembre 1941
Benedetto Rinolfi si svegliò di soprassalto. Il fragore delle esplosioni risuonava
nel vecchio magazzino. Le pareti spoglie tremavano e la terra sembrava voler sprofondare.
Un altro bombardamento.
Si guardò intorno, i suoi compagni si stavano alzando veloci e raccoglievano le loro cose: gavette,
zaini, coperte.
L’aria era gelida e il vento tagliava la faccia.
Davanti a loro un’immensa distesa bianca di ghiaccio e neve. Dietro di loro l’Armata Rossa che avanzava inesorabile. Alcuni cadevano in silenzio e altri
in silenzio avanzavano. Nessuno aveva la forza di
fermarsi, chiedere, aiutare. Dovevano solo andare
avanti. Verso ovest. Verso casa.
Benedetto guardava il bianco sconfinato della
neve e pensava al verde delle sue colline, ai lunghi
filari di alberi che coprivano l’orizzonte, alla terra
grassa e profumata dei suoi campi. Voleva tornare
a casa. Doveva tornare a casa. Dalla sua famiglia.
Si strinse ancora di più nel lungo cappotto militare.
Un passo dopo l’altro fissando il bianco.
Il vento crebbe di intensità.
Arrivò la tempesta.
Italia, 25 aprile 1991
Benedetto Rinolfi fissava il verde delle colline.
Lunghi filari di alberi circondavano l’orizzonte. Si
chinò depositando la piccola cassa di legno nella
terra grassa e profumata dei suoi campi. Si sollevò con decisione, forte dei suoi venticinque anni.
Un lieve sorriso si dipinse sul suo volto. Guardò la
piccola cassa nell’abbraccio di quella terra morbida e accogliente.
“Bentornato a casa nonno!”
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
parole per strada 2013 - terra mia
Pelagio D’Afro Davide Galati Colori
Anniversario
L
L’
a mia terra ha un colore diverso da tutte le
altre terre, e io non sapevo perché.
La prima volta che ho sentito dire “Che
strano colore ha questa terra” avevo nove anni.
“Ma ha il colore della terra” dissi; e il musungu
dalla pelle rosa rispose: “La mia terra è bruna, questa è rossa.”
È rossa, la mia terra. Chi non l’ha mai calpestata non può sapere com’è. È polverosa sotto il Sole
che la secca, fangosa sotto la pioggia che la bagna,
e il suo colore resta sui vestiti e sulle scarpe. E ci
vuole tanto lavoro per far tornare le scarpe bianche come quelle che indossai il giorno in cui mi
laureai in medicina. Per poi tornare nella terra dalla quale ho visto fiorire i padiglioni dell’ospedale
che dirigo: baracche dalle tinte viola, indaco e blu
come i petali assetati della mia terra.
Ma impastati alla mia terra ci sono minerali gialli e petrolio nero, più importanti dei tanti colori del
mio ospedale.
E la guerra rende più della terra.
E ora, legato con tutti gli altri davanti al muro
viola del padiglione operatorio, in attesa dell’urlo
incolore del kalashnikov, finalmente so perché la
mia terra ha questo colore.
Perché la mia terra è terra d’Africa, rossa come il
nostro sangue che vi si mescola, intrisa delle grida
delle vittime e dei carnefici.
So long, musungu. È su questa terra rossa e su
questo sangue rosso che voi tutti prosperate nelle
vostre terre brune.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
uomo aveva i capelli bianchi, era seduto al tavolino del bar e guardava la neve
cadere. L’interno era piccolo e raccolto,
sulle pareti di legno le ballerine di Degas.
Socchiuse gli occhi, poi avvertì il suo profumo.
— Ciao, – disse lei appoggiando i guanti sul tavolo e togliendosi il cappotto – è molto che aspetti?
— No. – mentì lui osservando i fiocchi di neve che
le cadevano dai capelli ricci e soffermandosi sui
suoi occhi profondi.
— Bugiardo. – sorrise lei.
— Mi piace stare qui ad aspettarti.
Si sedette con un sorriso accogliente.
Lui guardava con dolcezza le piccole pieghe che
la pelle, col tempo, aveva fatto sul suo viso. La rendevano ancora più affascinante.
La cameriera li fissò da lontano. Venivano ogni anno, l’otto dicembre, solo quel giorno. Lei era
davvero una bella signora, molto elegante. Lui un
po’ sovrappeso, ma con un certo fascino. Stavano
lì un paio di ore, ordinavano sempre le stesse cose
e parlavano, parlavano... parlavano.
Guardandoli capivi che si volevano bene
davvero.
Lui scoppiò a ridere. Lei si illuminò. Gli occhi di
lui divennero tristi, ma solo finché lei non gli strinse la mano. Risero ancora e continuarono a parlare e il tempo perse significato. Poi lei si alzò e si rimise il cappotto. La baciò con passione, poi lei uscì e lui la guardò allontanarsi nella neve.
La cameriera si avvicinò per pulire e si lasciò
sfuggire:
— È davvero una bella signora...
— Sì, è la mia casa... il mio punto fermo... la mia
terra... è mia moglie! – rispose sorridendole.
27
parole per strada 2013 - terra mia
Danuta Dobkowska Danuta Dobkowska Quale terra?
Która ziemia?
C
i vuole una sterzata; la mia vita è diventata un
dramma. Ero disubbidiente. Mio padre tuonava: “Devi finire gli studi e farti una famiglia!”.
Sapevo che, se avessi fallito, sarei stata cacciata,
ma qualcosa mi diceva di non ascoltarli.
Ho fatto le valigie e sono partita alla scoperta del
mondo. Il bisogno di amare mi faceva girare come
una trottola, annusavo le vite e le terre degli altri,
conquistavo le cose e un giro di amici, per poi ricominciare. Mi sentivo un’eterna forestiera, un’orfana,
aggrappata al pezzo di cielo che può franare da un
momento all’altro.
Oggi percorro la strada dei canti smarriti portando in giro un’ombra stanca a ritroso fra il futuro, passato immediato o remoto sedimentato. Il corpo e il viso si sono consumati. La memoria vacilla. I
discorsi dei vecchi amici sono estranei.
La mia lingua madre è oramai sgrammaticata.
Salgono i rimorsi dalle città dei morti. Stringo a due
mani la vita che resta chiedendomi: quale terra?
Dico addio quando l’aereo decolla. Le mie lacrime si disperdono come un patchwork di vite sospese; per quanto polverizzate, ritrovano l’unità nel rivelare che la mia terra è un piccolo orto nel Trentino,
adagiato ad un muretto a secco dove le piante e gli
animali si dividono i favori del sole e della pioggia.
La vita si trasforma in danza: i lombrichi scavano
la terra. Le rane cantano in coro, la mia gatta caccia
le lucertole, con il buio osano le lumache.
Qui mi sento felice, immersa nella lettura di un
libro.
28
M
oje życie stało się dramatem, potrzebna
jest zmiana kierunku. Nie słuchałam rad
rodziców. Mój ojciec grzmiał: “Musisz
skończyć szkołę i założyć rodzinę!”.
Wiedziałam, że jeśli nie zrealizuję planów, rodzina
oddali się ode mnie. Coś mi mówiło, aby nie słuchać
się ich.
Spakowałam się i wyruszyłam poznawać świat.
Potrzeba uczucia przenosiła mnie z miejsca na miejsce
jak bączek, wąchałam życie i ziemie innych narodów, osiągałam przyjaźń, rzeczy materialne i już
likwidowałam wszystko, aby żyć od nowa. Czułam się
jak wieczny cudzoziemiec, sierota, przyczepiona do
kawałka nieba, co może spaść z chwili na chwilę.
Dziś mój zmęczony cień wraca do tych dróg, gdzie śpiewałam do utraty tchu, zagubiona między
przyszłością i przeszłością.
Sylwetka i twarz postarzały się. Pamięć osłabła.
Rozmowy z dawnymi przyjaciółmi są obce. Język
ojczysty nie kleci się. Z miast nieżywych wznoszą się
wyrzuty sumienia. Przytrzymuję obiema rękoma
pozostałe życie, zadając sobie pytanie: która ziemia?
Żegnam kraj, gdy samolot startuje. Moje łzy
rozpraszają się i realizują układankę tego rozproszonego życia. Wnet łączą się ujawniając, że moja ziemia to
ten ogródek warzywny w Trentino pod naturalnym kamiennym murem, w którym rośliny i zwierzęta dzielą
się dobrocią.
Słońca i deszczu. Życie zamienia się tu w taniec:
dżdżownice przekopują ziemię, żaby śpiewają w chórze, kot poluje na jaszczurki, w nocy urzędują ślimaki.
Tutaj czuję się szczęśliwa, zanurzona w lekturze
książki.
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
parole per strada 2013 - terra mia
Francesca Garello Norberto Julini Tre chili
Le noci di Al Mansura
S
ono tre chili, più o meno. Stanno tutti in soli
sedici centimetri di diametro e quindici di altezza. Non è una cosa molto ingombrante da
trasportare, magari non comodissima se si va lontano, e soprattutto se si va di fretta.
Io sono andata via di fretta. Non ho portato molto di più con me, d’altra parte, quindi non è che mi
abbia dato tutto questo disturbo. Avevo le mani abbastanza libere. Era il ’38.
C’è voluto più impegno, semmai, nel trovargli ogni giorno un bicchiere d’acqua e proteggerlo dal
freddo e dalle scosse del viaggio, che non è stato né
corto né comodo.
Ogni tanto ho temuto che non ce la facesse.
Non sembra, ma il basilico è una pianta delicata. È talmente diffuso che nessuno ci fa caso se una
pianta muore: se ne trova facilmente un’altra, si
svuota il vaso e la si rimpiazza con una nuova.
Ma io ci tengo a questa pianta, a questo vaso.
Sul retro della casa avevo un piccolo orto. La
terra la presi lì e la misi nel vaso perché il basilico
volevo tenerlo sul davanzale della finestra, in modo da averlo sotto mano mentre cucinavo.
Un vaso piccolo. Circa tre chili di terra.
Così stava al riparo anche quando soffiava il
vento, che dalle nostre parti è molto freddo.
Anche adesso il basilico sta sul davanzale, un
altro. Sta abbastanza bene, nonostante tutto.
Potrei metterlo in giardino, forse. In America tutti hanno un giardino, e sono sicura che al basilico
piacerebbe.
Però mi spiacerebbe buttare la terra del vaso.
È tutto quello che resta di casa mia.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
A
l piccolo Geries piacevano le noci, ma la
sua famiglia era povera, le noci costavano troppo.
Un giorno vicino ad un villaggio abbandonato
sui monti della Galilea con i ragazzi più grandi si
imbatté in un noce che ne aveva lasciate cadere
una gran quantità. Geries tornò a casa fiero di portare un dono prelibato ed inatteso.
Papà Sa’ed invece lo rimproverò:
— Dove le hai prese? Ti ho detto di non rubare, mai!
— Le abbiamo trovate nel bosco e tutti ne hanno
prese sotto l’albero – rispose Geries spaventato.
— Quale albero? – insistette il padre. – Portami a
vedere.
Appena vide l’albero Sa’ed tornò precipitosamente a casa, aprì la finestra, buttò le noci.
— Perché l’hai fatto? – chiese la moglie.
— Erano noci di Al Mansura – rispose Sa’ed e si
chiuse in un silenzio cupo.
— Che cosa ho fatto di male? – chiese Geries alla mamma.
— Nulla, ma devi sapere che quelle noci un tempo
erano nostre, noi veniamo da Al Mansura.
Là c’era la mia terra e la mia casa. I soldati vennero un giorno a dirci che dovevamo venire via e
di non prendere nulla, soltanto di chiudere la porta
a chiave. Saremmo tornati presto, dissero.
Invece il giorno dopo arrivarono i bulldozer e
distrussero tutto.
Oggi ad Al Mansura c’è un parco naturale e i resti delle case sono segnalati come “ruderi romani”.
Geries accompagna i pellegrini. Si rifiuta di pagare il biglietto d’ingresso, spiega da lontano la storia
della sua famiglia e del suo popolo che aspetta il ritorno a casa. Ha ancora la chiave: la tiene appesa
al muro come una croce.
29
parole per strada 2013 - terra mia
Rahma Nur Rahma Nur Le radici nascoste in me
Xididdada dhaxdeeyda ku qarsoon
(Traduzione in somalo di Angelo [Abdiaziz] De Luca)
V
edevo solo nuvole bianche, soffici, un sole accecante; il rumore continuo dell’aereo che mi trasportava. Avevo solo cinque anni, se avevo paura di volare non me lo ricordo; forse in quel momento la curiosità e la novità erano le uniche sensazioni che occupavano il
mio cuore e la mia mente, non avevo coscienza di
dove andavo, né da dove venivo. Non c’era un parente, una mamma, ad accompagnarmi in questo
volo.
La mia unica “amica” era una hostess gentile,
bionda, bellissima ai miei occhi di bimba africana,
che ogni tanto veniva a controllare se stavo bene,
se avevo bisogno di qualcosa: ma in quale lingua
comunicavamo? La lingua universale dei gesti, la
lingua di una donna e di una bimba, l’essenziale.
Le mie radici erano state strappate bruscamente dalla terra che mi aveva vista nascere, ora me
le portavo dietro, nascoste dentro di me ma allo stesso tempo visibilissime per chiunque: erano lì
nella grana delicata e liscia della mia pelle, nei sof
fici ricci che contornavano il mio viso, nelle parole
che a stento uscivano dalla mia bocca per timore
e timidezza in una lingua che presto avrei dimenticato, nel cibo che aveva riempito il mio piccolo
stomaco nei primi anni della mia vita.
Quelle stesse radici, di lì a poco, sarebbero state accolte da una nuova terra, fertile ma dura allo
stesso tempo; avrebbero faticato ad aggrapparsi al
terreno ma non a trovare nutrimento: la storia, la
lingua, i sapori, le idee avrebbero subito iniziato il
loro cammino vorticoso nella mia anima.
30
W
axaan u jeeday caad cad, fudeed, qorax indhaha kaa cawireeyso, dhawaaq, aan istageen oo ka socdo dayaaradda i waddo.
Waxaan jiray shan sano kaliyo, haddan ka cabsanaayi dulitaanka ma aan xasuusto, lakiinse waqtigaas, ku dimisteeyda waxaas cusub waxeey ila ahaayeen wax wadnaheeyga xil saarayo, iyo maskaxdeeyda ma aan garaneynin, meesha aan u jeedo iyo meeha aan ka imid. Dulitaankaan wax aan
wahashanaayo hooyo iyo waalid ahaan ma ila
socon.
Wax aan saxiib iyo wahal ahaan u haastay waxey
aheed gabadha ka shakheeydo dayaaradda ‘hostess’, oo aad u macaan, qurax badan tima cas indhabeega gabar yar oo afrikan ey ila muuqatay oo
mar allale iga soo kor meereysay. Luqadda aan isla hadleyni ayaa dhibaato leheed, midda kaliyo
luqadda summada.
Waddanka aan ku dhashay kuna soo koray, ayaa leyga soo cirib tiray, hadda wey ila socotaa,
dhaxdeeyda ayeey ku kharsoontahay xil darradas
ley galay. Qof kastana akhoonsan karto hadduu i
daawado korkeeyga jilacsan ayeey ka muukhataa
timaheeyga fud fudud oo wijigeeyga salaaxayaan,
hadallada oo afkeeyga yar xishoodka iyo cabsida
ka soo baxaayeen, oo waqti dhaqsi leh aan ku ilaawi doono. Cuntada oo caloosheyda yar buuxiday,
sanadaha yaranteeyda oo nolosheyda iyo xididdada aan ka soo as asmay si deg deg, dhul aan garaneynin ayaa i soo dhaweyndoono oo aad u adag la
qabsigiisa. Isla waqtigaasna aan aad u dhibtoon doono. Lakiinse aan ku dheef heli doono, sheekada,
luqadda, dhedhenka, fikradda dhaqsi nolosheyda
la qabsan doonto.
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
parole per strada 2013 - terra mia
Снежана Петровић Snežana Petrovic ЗЕМЉА КОЈЕ ВИШЕ НЕМА
Il paese che non c’è più
У
I
мрла је моја Земља. Умрла је од рана
задобијених у последњем рату. Преживела
је многе нападе страних непријатеља, али
није могла да преживи грађански рат.
Имала је све оно што чини лепом једну Земљу:
прекрасно море, високе планине, језера и бање,
реке и речице међу таласастим брдима, шуме пуне дивљачи... Њени становници су били добри
људи, разних националности, менталитета и вера, којима је била заједничка љубав према Земљи
у којој су рођени, у којој су одрасли и коју су градили. Они нису желели рат. Рат који је унишио
њихову земљу изазвали су светски моћници.
Та земља више не постоји. Када је о њој било
речи, говорили су «бивша», као када умре човек што се каже «покојни». Њено име је брзо ишчезло, не помиње се више. Замењено је именима
њених шест Република. Морала сам да одлучим
којој ћу припадати, али то је било немогуће: моји
родитељи су били различитих националности,
рођена сам у једној, одрасла у другој а удала сам се
у трећој Републици, а волела сам ту Земљу - целу.
Када је умрла отишла сам, као многи који су остали без Ње. Мене је усвојила Италија. Она је као
добра маћеха, али никада неће моћи да ми замени
Земљу мог порекла, као што нико не може да замени мајку које више нема.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
l mio paese non c’è più. È morto per via delle ferite riportate nell’ultima guerra. È sopravvissuto a molte invasioni straniere, ma non è sopravvissuto alla guerra civile.
I suoi cittadini erano brava gente di nazionalità e
mentalità diverse, ma uniti dall’amore per il paese in
cui erano nati e cresciuti. La guerra che ha distrutto il
paese non era voluta da loro, era pianificata e provocata dai potenti del mondo.
Questo paese non c’è più. Per un periodo davanti
al suo nome si scriveva “ex”, come davanti al nome di
una persona morta si usa il “fu”. Dopo breve tempo il
suo nome è scomparso del tutto, sostituito dai nomi
delle sue Repubbliche.
Mi trovavo costretta a sostituire il mio paese con
una delle Repubbliche, proclamate Stati indipendenti, ma si trattava di un’impresa ardua, perché i miei
genitori erano di nazionalità diverse, io stessa sono
nata in una Repubblica, cresciuta in un’altra e mi sono sposata in una terza; e le amo tutte quante. Alla fine me ne sono andata, come molti altri, orfani come
me dal paese d’origine: sono stata adottata dall’Italia. È una brava matrigna, ma non potrà mai sostituire una mamma, una mamma che non c’è più.
31
A braccetto
tra i guai umani
di Sandro Disertori
32
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
a braccetto tra i guai umani
È
pacifico
come ...che la situazione attuale tanto miserevole, soprattutto qualcosa che sarà in graquesta mia pre- se inquadrata nel grande affresco della storia umana, do di rimescolare con demessa dai toni possa considerarsi inedita, direi proprio di no. In ogni cisione le carte e ci salvepiuttosto drammatici ab- caso anche se in parte lo fosse, limiterebbe al settore de- rà, anche se talora non lo
bia veramente tutti i titoli cisivo ma limitato del progresso scientifico e tecnico che, meriteremmo.
per venir considerata tale. in effetti, nei due ultimi secoli si è ingigantito con legge
Mi sembra ora inevitaIn effetti nei nostri cervel- esponenziale, con tutte le possibili conseguenze, utili o bile che debba venire per
li ha già preso posto fisso, dannose che ne possano derivare.
forza il momento nel quada tempo, un' altra ulte- In un brillante caleidoscopio fatto di mal governo e di le saremo costretti a legriore conferma di questo, scandali grevi di assoluto cinismo, spinti da un amaro gere e ad interpretare in
ancora più grave: il modo cupio dissolvi, ci sembra di essere saliti inermi su un modo diverso e molto più
pazzesco con il quale stia- treno senza freni e manovratore che stia sul punto di equilibrato la storia delmo gestendo il nostro de- schiantarsi, a folle velocità, contro gli edifici della pro- l' Umanità nei suoi corsi e
stino e quello della stessa pria stazione terminale. A conferma e come immediata ricorsi. Essa ci aiuterà a
terra che ci alimenta. Og- riprova della realtà di tale situazione e del grave perico- riflettere con nuovo spirigi l' uomo, una volta anco- lo incombente, è sufficiente accendere, a caso, il televisore to sui nostri problemi e
ra, ha perso per strada
dare un assetto più logico
e guardarlo per un paio di minuti.
gran parte dei principi
alle nostre vite. Avremo
È quanto basta per capire
etici che si era faticosacosì scoperto per mano
il perché.
mente costruito e fissato
della storia, soprattutto di
dentro di sé, durante un innumerevole ordine di gene- quella comparata, che lo spirito umano ha potuto benrazioni. In pratica, disfattosi ora di freni morali, rite- sì continuare a cercare la ricchezza e il potere ma mai al
nendoli d' inciampo al proprio personale benessere fi- prezzo del suo auto-annichilimento.
sico, oggi sta di nuovo vivendo nell' egoismo più assoSarà allora proprio essa storia a mettere in luce come
luto e continua a utilizzare la propria esaltante prepara- l' uomo però resti tendenzialmente pronto a partecipazione scientifica, anziché per il bene generale, soprat- re come protagonista al Paradiso Perduto di Milton,
tutto pro domo sua, pur intuendo vagamente che, così ma anche a passare subito dopo, commosso ma mai
facendo, il risultato ultimo sia già destinato a essere la contrito, al Cantico degli Animali di frate Francesco.
Offro un esempio degli innumerevoli a disposizione.
negazione di ciò che egli ha sempre cercato di ottenere.
Anziché un essere libero, l' egoismo e la conquista
della ricchezza ad ogni costo, forse in parte per colpa
ono anni che tutti parlano dello scadimento dei
della mela di Eva, lo stanno trasformando una volta di
rapporti umani, del concetto di famiglia e della
più in un semplice schiavo delle proprie brame e, di
educazione dei figli, mal concepita e, in ogni caconseguenza, degli stessi successi tecnici che, usati sen- so, male condotta.
za criterio, stanno rischiando di portarlo all' annichiliBene. Circa venticinque secoli fa, il già citato Platone, nell' ottavo libro della propria monumentale opera
mento.
La Repubblica, scandalizzato del decadimento dei coo ritengo per contro, e contro ogni apparente stumi del proprio Paese, si era rivolto ai propri conlogica, che quasi certamente e per nostra fortu- cittadini con queste poche frasi, tanto severe, ammona tutto questo non avverrà. Come avvenuto nitrici e sempre all' ordine del giorno, oltre che divimolte volte nel passato, giungerà in tempo qualcuno o natrici:
S
I
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
33
sandro disertori
Quando un popolo divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere a capo dei malaccorti coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora
che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più
esigenti sudditi, son dichiarati reprobi e accusati di voler
togliere la libertà.
Ed avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei
confronti dei superiori è definito uomo senza carattere,
servo: che il padre impaurito, finisce per trattare il figlio
come suo pari e il figlio non ha più reverenza né timore
dei genitori, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e li adula e costoro si fanno beffa di lui: che i giovani
pretendono gli stessi diritti e la stessa considerazione dei
vecchi e questi per non parere troppo severi, danno ragione ai giovani.
L' anima dei cittadini si fa insofferente all' estremo, sì
che dove venga caso di sottomissione qualsiasi, se ne sdegnano e non ammettono di ubbidire.
E finiscono col non curarsi più né delle leggi scritte, né
di quelle non scritte, al fine di non avere più riguardo né
rispetto per nessuno.
In mezzo a tanta licenza nasce e si sviluppa una mala
pianta: la tirannide.
Infatti ogni eccesso suole apportare l' eccesso opposto
tanto nelle stagioni, quanto nelle piante e nei corpi e
massimamente poi nei reggimenti politici.
Non si può negare come queste considerazioni sulla
Grecia dei suoi tempi, vere allora, si adattino così bene
al nostro tempo da sembrare scritte ieri sera.
Platone aveva 23 anni quando, nel 404 a.C., si conclusero le cosiddette guerre del Peloponneso fra Sparta ed
Atene, iniziatesi nel 431 a.C. Due anni prima della sua
nascita, già nel pieno di quel conflitto, la peste si era
portata via Pericle, il vero artefice forse degli anni del
massimo splendore di Atene e della civiltà greca, a sua
volta madre di quella occidentale e mediterranea. Il
grande filosofo quindi aveva vissuto la sua prima giovinezza in uno dei periodi più difficili e bui della Grecia,
34
momentaneamente in declino, con l' inevitabile scadimento generale dei costumi e con il trionfo di una corruzione generalizzata che un quasi trentennale conflitto aveva inevitabilmente favorito. Le sue amare conclusioni sono quanto mai centrate. Tito Lucrezio Caro nel
De rerum natura le aveva riproposte raccontando, da
par suo ed in versi latini splendidamente aulici, gli orrori, l' atmosfera, la miseria morale di quei decenni.
Q
ualcosa di simile e con gli stessi miserevoli risultati è stato rivissuto, nel XVII secolo, da
quasi tutta l' Europa centrale, stretta dalle spire di un' altra Guerra ufficialmente di religione, ma in
realtà per ben altre ragioni, durata trent' anni esatti.
Anch' essa fu accompagnata da un' epidemia di peste
altrettanto spaventosa, magistralmente ricordata nella sua drammaticità dal nostro Manzoni, nel suo capolavoro.
Da sottolineare che Schiller nella Trilogia del Wallenstein e Brecht nella toccante opera teatrale Madre coraggio e i suoi figli (Mutter Courage und ihre Kinder),
hanno entrambi confermato oltre venti secoli dopo, le
affermazioni preoccupate di Platone sulla crisi politica
e morale del suo Paese, usando quasi le stesse parole e
soprattutto gli stessi toni.
Con questi due esempi arcinoti è evidente come non
si possa seriamente sostenere che noi, oggi, solo per il
fatto di essere riusciti a calpestare il suolo della luna,
siamo diventati migliori o peggiori dei cacciatori preistorici che ci hanno preceduto sul pianeta e, tanto meno, che siamo diversi dai contemporanei di Platone, di
Socrate e, più tardi, dal valoroso generale italiano Piccolomini e dal suo capo Wallenstein, entrambi affascinanti protagonisti della Trilogia schilleriana.
Quindi è chiaro come, a cicli alterni quasi fissi e spesso perfino prevedibili per estrapolazione, l' uomo sia in
grado di comportarsi da saggio, da eroe e da uomo
d' ordine, ma anche, presto o tardi, di ripiombare nella
bestialità più nauseabonda invocando, a propria giustificazione, le ragioni più insensate e sempre le stesse.
Queste due facce tanto inquietanti della sua natura
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
a braccetto tra i guai umani
spesso trasformano il suo spirito in una specie di Giano
bifronte. A questo proposito è esemplare una sconvolgente risposta che Wallenstein un giorno diede al proprio monarca Ferdinando d' Austria, nel bel mezzo della Guerra dei trent' anni. Ferdinando era il capo supremo dello schieramento cattolico contro quello della riforma. Vista come conflitto di religione, in realtà era
scoppiata per ragioni commerciali e soprattutto per sete di dominio, come era successo oltre due millenni
prima con la guerra di Troia, ufficialmente scatenata
per riprendersi Elena, rapita da Paride, ma scatenata
invece solo per ragioni commerciali.
L' imperatore Ferdinando
intendeva inviare oltre diecimila uomini in Boemia contro i protestanti e su questo
aveva chiesto il parere a Wallenstein che rispose con la
massima calma: “Quel paese,
Maestà, è troppo povero per
essere in grado di mantenere
sul suo territorio, senza reagire, un numero così imponente
di soldati”. E concluse: “Sarà
invece possibile realizzare e
onorare questo vostro disegno, con successo garantito, e
con la massima sicurezza, inviandone centomila”.
Come si vede, il cinismo
degli inevitabili sedicenti padroni del Pianeta di ogni
tempo è rimasto sempre tale
e quale.
sistemi con i quali veniva gestita allora, con deplorevole debolezza, l' educazione dei figli. Egli mette in luce
uno dei classici tratti della natura assai mutevole del carattere umano, la quale se in apparenza sa cambiare di
faccia, in realtà non è in grado di modificare le sue radici e i suoi istinti più elementari. Se confrontassimo la
nostra quotidianità con quanto succedeva allora ad
Atene sarebbe arduo trovare differenze di un qualche
rilievo. Anche certe nostre madri, le italiane soprattutto, anziché cercare di capire i problemi dei propri figli e
cercare di collaborare con la scuola per risolverli assieme, arrivano al punto di aggredire gli insegnanti che
R
itorniamo per
un
momento
all' Atene postpericlea di Platone. Dal
grande genio ateniese possiamo sapere, ad esempio, i
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
35
sandro disertori
osino bocciarli magari perché poco adatti allo studio,
perché maleducati o, ancora peggio, perché portati a
comportarsi da bulli, dentro e fuori le aule scolastiche.
Non agivano forse allo stesso modo i genitori ateniesi,
ottenendo gli stessi miserevoli risultati lamentati allora
da Platone?
È un fatto che oggi, come sempre succede ovunque, mentre uomini di
grande spessore intellettuale ed umano cercano
di creare, spesso fino al
proprio sacrificio, un
mondo migliore e degno
di essere vissuto con onestà, con coraggio ed anche col sangue, figuri privi di scrupoli riescono a
rendere così complicato il
percorso terreno del
prossimo e tanto irto di
paletti da renderlo impervio e, al limite, spesso
impraticabile.
A
nche Cicerone, nel primo
secolo a.C.,
aveva denunciato apertamente Catilina nelle sue
celebri orazioni ricordate
con quel nome, come il
classico esempio di ogni
nefandezza dal quale guardarsi, dipingendolo come
prototipo della violenza e della corruzione, quest' ultima inevitabile generatrice della prima. Ma Catilina era
poi tanto diverso dagli squallidi malfattori che macchiano la nostra era? Quante volte e quanti di noi, da
allora, hanno rivolto le stesse invettive, dapprima timidamente dentro di sé, poi a gran voce, sull' agorà, il proprio vibrante Quo usque tandem abutere, homo, patien36
tia nostra verso chi sta governando la Cosa pubblica in
modo ignominioso?
Quante volte nella storia dell' umanità si è ripetuto
come un gioco rituale nel quale, tolti di mezzo alla fine
i colpevoli diretti ed indiretti di tanti guai, essa si è ben
presto rigenerata, ma
sempre pronta a ripiombare, dopo un po' , nella
corruzione e nella confusione morale e spirituale
più totale!
Fra gli altri esiste anche
un altro pericolo sempre
latente che grava minaccioso sul genere umano
come foriero di altri guai.
Si tratta della sistematica
inattesa comparsa sul rissoso palcoscenico della
commedia umana di un
altro tipo di protagonista
della vita pubblica, altrettanto nefasto. Si tratta del
cosiddetto uomo della
provvidenza. Questi vi si
installa, in forza del proprio dannato carisma, e
finisce per dominare la
scena per periodi anche
molto lunghi, proponendo le dottrine più affascinanti sedicenti apportatrici di ordine e di benessere, in realtà maledettamente false. Forse la peggiore
di esse in assoluto è quella secondo la quale gli uomini
sono tutti uguali e quindi in diritto di esigere, senza distinzione di merito e di qualifica ed in modo automatico, uguale trattamento e medesimi privilegi per tutti.
Tale principio, molto invitante in sé, tuttavia non adattabile per la stessa natura dell' uomo, in breve viene
pertanto imposto colla forza dal fanatismo del dittato2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
a braccetto tra i guai umani
re e sostenuto ciecamente sia dall' idealismo acritico dei
suoi seguaci, inconsapevoli sostenitori di inesistenti
verità rivelate, sia da abili profittatori.
Oggi parrebbe però che, se non tutto il pianeta, per lo
meno il cosiddetto mondo occidentale risulti vaccinato in questo senso, tuttavia non è detto che tale sciagura una volta o l' altra non si ripeta. Come è successo
moltissime volte nel passato, è da temere che essa, purtroppo, si ripresenti nel futuro, opportunamente ammantata con altre sgargianti livree.
Per meglio rendere l' idea, mi permetto di proporre,
con qualche pertinenza, un paio di prove indirette, sottolineandole con alcune piccole e grandi verità. Per farlo voglio utilizzare, anche per alleggerire il presente
scritto forse un po' pesante, l' arguta ed ironica penna
di Anatole France, premio Nobel della Letteratura degli anni Venti del secolo scorso.
Traggo quindi alcuni suoi giudizi, pregni di sottile
ironia, da un suo straordinario romanzo, assai spiritoso, realistico ma paradossale, arricchito dalla colossale
cultura generale dell' autore. Esso ha per titolo Les opinions de M. Jérôme Coignard (Le opinioni del signor Gerolamo Coignard).
M. l' abbé Coignard è appunto il personaggio nato
dalla feconda fantasia di Anatole France e da lui preferito fra i tanti altri, come lo è stato Don Chisciotte, altrettanto mitico, per Miguel de Cervantes. È presentato
come un uomo di età, ma felice e assolutamente disadorno di inutili orpelli tanto da risultare spesso sciatto
e mal lavato. Gustoso ammiratore delle grazie muliebri
e professore di eloquenza, egli è un ubriacone del tipo
rabelaisiano ma anche raffinato buongustaio.
L' abate Coignard era già apparso come l' impareggiabile protagonista di un precedente romanzo altrettanto
famoso di Anatole France, La Rôtisserie de la reine
Pédauque, il cui miniuniverso era composto dalla detta
rosticceria, dal Petit Bacchus, il cui nome chiarisce subito la sua funzione, e dalla libreria A l' image sainte Catherine. Se i primi locali erano due sacrari dell' alimentazione fisica, il terzo era quello dello spirito e delle
buone letture. Erano tutti e tre allineati lungo la Rue
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
Saint-Jacques, all' ombra protettrice della chiesa, ancora esistente, di Saint-Benoît-le-Bétourné (lo stordito).
Dopo trascorsi burrascosi tanto gustosi quanto discutibili, l' unica occupazione dell' abate si era ridotta
nell' insegnare il latino di gran livello, l' alta filosofia e,
in generale, le scienze a Jacques Tournebroche, il figlio
del rosticciere, chiamato così perché addetto al noioso
funzionamento del girarrosto. Dei suoi spiedi, sempre
carichi di sugosi polli, di anatre e di piccioni, l' abbé
Coignard, considerandoli a saldo del proprio incarico,
era uno dei più assidui utilizzatori finali, come lo sarebbe definito oggi, con la sua ripetitiva e noiosa eloquenza patavina, l' avvocato di Berlusconi.
E
cco come Anatole France nel prologo del suo
citato romanzo, se così lo si può definire, riassume il pensiero storico-filosofico dell' immaginario abate sulla reale natura dell' uomo e, soprattutto,
sul perché del suo comportamento, sempre così mutevole ed imprevedibile, prendendo quale spunto, direi
assolutamente pertinente, la Rivoluzione francese:
«In effetti niente quanto la filosofia dell' Abbé Coignard risulta meno simile a quella di Rousseau. La prima è improntata a bonaria ironia. È leggera ed indulgente. Sempre fondata sulle umane debolezze essa è, tuttavia, solida alla base. Alla seconda invece fa difetto del
dubbio felice e di un leggero sorriso. Poiché essa si poggia
sul principio non realistico della bontà originale dei nostri simili, finisce quindi per ritrovarsi in una posizione
equivoca di cui essa stessa non riesce a vederne tutto
l' aspetto comico.
È la dottrina di gente che non sa ridere e che pertanto finisce per tradire, col cattivo umore, il proprio imbarazzo.
Tuttavia questo sarebbe ancora il meno, perché in realtà una tale dottrina riconduce l' Uomo alla Scimmia per
poi inalberarsi, quindi veramente a sproposito, quando
essa poi si veda costretta a constatare come la Scimmia
sia tutt' altro che un essere virtuoso. Per questo motivo,
tale dottrina si fa crudele ed assurda.
37
sandro disertori
Lo dovemmo constatare recentemente (afferma
l' abbé Coignard), allorché uomini di Stato (francesi)
vollero applicare il “Contratto Sociale” (di Rousseau)
alla migliore delle Repubbliche.
Robespierre venerava la memoria di Rousseau. Egli
avrebbe immediatamente qualificato l' Abbé Coignard
come un cattivo soggetto. Io invece, dal mio canto, non
mi porrò il problema se Robespierre sia magari stato anche un mostro. E, in effetti, egli davvero non lo è stato.
Pur essendo tuttavia un uomo di rara intelligenza e di
specchiati costumi, era anche sfortunatamente un ottimista, in quanto credeva nella Virtù.
Sia pure con le migliori intenzioni, uomini di Stato di
siffatto temperamento, producono ogni danno possibile. In effetti, quando ci si metta in testa di voler governare la gente, non bisognerebbe mai perdere di vista come essa sia sostanzialmente formata da malevole scimmie. Forse solamente su queste basi l' uomo politico, alla fine potrebbe risultare di essere stato davvero umano
e costruttivo.
La vera follia della Rivoluzione fu proprio quella di voler imporre la Virtù sulla Terra. Quando, tutto considerato, si vogliano perfino trasformare gli Uomini in esseri
buoni e saggi, moderati e generosi, si è poi fatalmente costretti ad ucciderli tutti.
Robespierre credeva nella Virtù: creò il Terrore.
Marat credeva nella Giustizia: chiese duecentomila teste.
Mr. l' Abbé Coignard è, al contrario, fra tutti i grandi
spiriti del XVIII Secolo, colui i principi del quale si contrappongono in maggior misura a quelli della Rivoluzione (francese). Egli, infatti, mai avrebbe sottoscritto una
sola riga della “Dichiarazione dei Diritti dell' Uomo”,
proprio a causa della eccessiva ed iniqua separazione fra
l' Uomo ed il gorilla, di cui essa è permeata.»
Se devo dire la verità, pure io riterrei che un qualche
dubbio su un' adesione senza riserve allo spirito dell' affascinante Dichiarazione dei diritti dell' uomo in effetti
sia sorto, come successe a me, anche a moltissimi altri.
38
Nella letteratura e nella storia parlata e scritta, infatti, su
questo argomento troviamo conferme molto vistose.
M
a torniamo a noi.
Anche nel passato più remoto dell' uomo, e questo fino ai nostri giorni, troviamo tanti esempi altrettanto probanti su tutto questo
che, in fondo, non è che il racconto della lunga, complicata tenzone condotta senza respiro dall' umanità fra il
bene e il male. A volte epica, in altre tragica in tutte le
possibili varianti, con essa l' uomo ha sempre cercato di
imporre, devo dire con disdicevole arroganza, la propria ingombrante e maleducata presenza sul pianeta.
La storia del XX secolo, con le sue luci e le sue spaventose ombre, è forse ancora troppo attuale, avendola
dovuta subire sulla nostra stessa pelle, per poterne parlare con autentica obbiettività.
Anche in questo caso, come nel passato in altri casi
simili, sono ben pochi i sopravvissuti che ne possano
parlare con la dovuta freddezza. C' è stato solo un poeta, molto impegnato politicamente, il quale, a mio
avviso, in soli quattro versi è riuscito a riassumere
quelle vicende in modo tacitiano, anche se non proprio del tutto. Tuttavia con l' ' ultimo verso, egli se non
altro è riuscito a mettere sull' avviso, con evidente
sconforto, il proprio Paese sull' eventualità, senza un
robusto colpo di timone, di arrivare al peggio. Intendo parlare del drammaturgo tedesco Berthold Brecht.
Ecco uno dei suoi più famosi moniti nel quale egli
paragona la Germania a Cartagine e alla possibile stessa ingloriosa fine senza ritorno di quest' ultima. Per fortuna il suo Paese ha tenuto subito debito conto della
minaccia esistente in quell' ultimo verso ed è corso ai ripari in tempo utile.
Eccolo:
Das grosse Khartago fürhte drei Kriege.
Es war noch mächtig nach dem ersten,
noch bewohnbar nach dem zweiten.
Es war nicht mehr auffindbar nach dem dritten.
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
a braccetto tra i guai umani
(La grande Cartagine condusse tre guerre.
Essa era ancora potente dopo la prima,
ancora abitabile dopo la seconda.
Non era più rintracciabile dopo la terza.)
Q
uando la Germania, per molti versi del tutto
simile a Cartagine, essendosi resa conto, dopo
la Seconda Guerra mondiale, di aver superato
largamente i limiti del proprio delirio di grandezza, è
tornata alla ragione. In tal modo ha reso inutile lo stretto assedio dei vincitori che la serrava e che la stava soffocando, mostrando finalmente, una volta per tutte, di
aver ripudiato i suoi sogni insani e le violenze che l' avevano fino allora imbestialita. Pertanto, tempo una generazione, essa, dopo aver lavorato e pagato duramente, è riuscita ad ottenere in Europa quella supremazia
che aveva cercato invano di ottenere con le armi, in due
guerre mondiali bagnate da torrenti di lacrime e di
sangue. Parrebbe, e questo lo sperano tutti, che essa abbia fatto tesoro, anche se in ritardo, di un profondo
pensiero, anche se poco ricordato, di Camillo Benso di
Cavour, che bene si adatta al suo caso: “Appena si sia
instaurato uno stato d' assedio, reale o inventato che sia,
saranno i più incapaci a comandare”.
Devo dire che non molto dissimile è stato anche il
comportamento dei giapponesi. Abbandonata la violenza e la sete di potere per le quali aveva finito per beccarsi le due prime bombe atomiche prototipo, speriamo anche ultime, su due delle loro città, sono giunti alla libertà e al successo, che in fondo meritavano, ottenuti però col lavoro e con il rispetto per se stessi e per i
diritti degli altri.
L
a mia conclusione personale sull' attuale pessimismo che ci sta pervadendo, a causa della
crisi profonda nella quale siamo piombati e
che sta portando l' umanità a non credere più in un sicuro futuro di lavoro e di pace sociale che rischia di
portarla ad una mortale resa senza condizioni, tuttavia
resta ancora quella che ho già accennata all' inizio: decisamente ottimistica. Sono certo che la crisi morale e
materiale quale viviamo oggi, dovuta alla nostra stessa
natura che non cambierà mai, verrà superata, come è
già avvenuto molte volte nel passato. Superata che sia,
per un verso o per l' altro, dopo un po' noi ci metteremo, come sempre, di nuovo nei guai.
Ci sarà però sempre un qualcosa di non ben definito
che, a un dato momento, sotto spoglie ogni volta diverse e più adatte, si farà disponibile ed in grado sia di rimettere le nostre cose a posto sia di riportare il nostro
treno sul giusto binario e via di questo passo, in modo
ripetitivo.
Questo strano giochetto, malauguratamente, risulta
poi essere il nostro unico e normale modo di convivenza sociale: sarà inoltre sempre anarchico, da cicala, e
condotto sempre con le stesse regole, o quasi.
La sua durata avrà una fine quando noi o lo stesso
pianeta, o forse insieme, scompariremo o avremo preso altre strade delle quali non abbiamo abbastanza fantasia per prevederne la natura e le sembianze.❧
Sandro Disertori
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IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
39
La biblioteca
di Antonio Rosmini
di Renato Trinco
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2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
la biblioteca di antonio rosmini
V
arcando la soglia di casa
Rosmini si ha la sensazione di entrare in un’altra epoca; oltrepassando la porta
della biblioteca se ne ha la conferma. La visione d’insieme è di grande effetto: un’elegante stufa in maiolica bianca spicca per imponenza e
le dorate decorazioni, le policrome
tarsie del pavimento e gli stucchi
del soffitto racchiudono gli alti scaffali lignei che, rivestendo tutte le
pareti, ospitano i 16.000 volumi costituenti il nucleo storico della biblioteca.
All’epoca in cui visse Rosmini i libri erano sistemati in altre stanze
dell’edificio, solo dopo la fine del
primo conflitto mondiale furono
raccolti negli attuali spazi1.
Fra i propositi del giovane Antonio vi era quello di provvedere al riordino della casa, ed in particolare
della biblioteca. Quest’ultimo progetto doveva trovare attuazione sulla base di un particolare criterio decorativo delle stanze a seconda dei
libri in esse collocati: di ordine dorico con iscrizioni greche quelle destinate a contenere libri scientifici;
di ordine ionico con iscrizioni latine per gli spazi dedicati alle Lettere;
1 - Giovanni Tiella, La casa natale di Antonio
Rosmini, edito a cura del Comune di Rovereto,
Rovereto 1946, pp. 20-21.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
infine di ordine corinzio con iscrizioni italiane per le Arti. Anche soffitti e pavimenti avrebbero dovuto
seguire i medesimi principi ornamentali, in coerenza con le destinazioni delle sale. Tale proposito rimase tuttavia solo un ambizioso disegno nella mente del grande filosofo2. Ciò nondimeno è giunta fino
ai nostri giorni una raccolta di volumi e stampe di pregevolissimo
valore, formatasi grazie alla passione, alla dedizione e al vero amore
per la conoscenza dapprima di
Ambrogio Rosmini, zio del nostro,
che incrementò il primitivo fondo
paterno, successivamente dello
stesso Antonio ed in parte minore
anche di suo padre Pier Modesto.
Nella cultura del Settecento il libro rappresentava, soprattutto per
le classi più agiate, un oggetto da
collezione, uno strumento per appagare una vasta curiosità enciclopedica come nel caso di Ambrogio
(1741-1818), la cui vita sarà segnata
dai libri, che scandirono tutta la sua
esistenza di intellettuale, raffinato
collezionista di stampe, pittore per
diletto e architetto3.
2 - Giovanni Tiella, La casa natale di Antonio
Rosmini, op. cit., pp. 24, 22; Ierma Sega,
Antonio Rosmini - La casa natale, ed. Via della
Terra, Rovereto 2006, p. 43.
3 - Stefano Ferrari, Le raccolte di un curioso,
in “Le collezioni di stampe e di libri di Ambrogio
Rosmini (1741-1820)”, a cura dell’Accademia
La passione per i testi iniziò in
Ambrogio in età giovanile, fin dalla
sua esperienza universitaria ad
Innsbruck, dove si iscrisse alla facoltà di Filosofia, per proseguire
poi gli studi ad Urbino e quindi a
Roma, giungendovi non ancora
ventenne, con l’intento di intraprendere la carriera artistica, frequentando l’Accademia Capitolina
del Nudo di San Luca. Fu proprio
durante la permanenza a Roma,
importante tappa del “Gran Tour”
culturale europeo e meta dei viaggiatori stranieri desiderosi di ammirare le opere d’arte dell’antichità,
che Ambrogio iniziò a comperare i
primi volumi nonché numerose
stampe. I libri acquistati furono di
vario genere, non solo di carattere
artistico, ma anche architettonico,
letterario, storico e giuridico, sia
italiani che stranieri, compresi numerosi volumi di autori francesi.
Durante il soggiorno romano raccolse inoltre svariate stampe costituenti il nucleo iniziale di quella
collezione, che Ambrogio incrementò costantemente fino a possedere non meno di ventimila incisioni di vario tipo, della quale oggi
ne rimane purtroppo solo una piccola parte.
Roveretana degli Agiati 1997, La Grafica, Mori
1997, p. 14.
41
renato trinco
Nel 1763 egli fece definitivamente
ritorno a Rovereto dopo un’assenza
durata circa sette anni, continuando però a coltivare la passione per i
libri e per l’arte, con oculatezza ed
intelligenza, non lesinando denaro
ed energie, ma senza compromettere il patrimonio della famiglia per
ampliare la biblioteca4.
Analoga passione per i libri fu anche di Antonio (1797-1855) trasmessagli dallo zio, il quale, avendo intuito le attitudini e le inclinazioni del nipote, lo assecondava, permettendogli ancora in giovanissima età di attingere ai
molti e bei volumi della
sua biblioteca, tanto che
il futuro filosofo arrivava
a preferirli a quelli scolastici. Un giorno il suo
precettore don Francesco Guareschi sorprendendo il giovinetto, ormai dodicenne, ricurvo
sul grande tavolo ottagonale, intento a leggere la
Summa Teologica di San Tommaso,
lo riprese severamente, perché non
stava svolgendo i compiti di grammatica che gli erano stati assegnati,
apostrofandolo dicendo: «Son forse
libri per Voi codesti?»5.
Crescendo, crebbe con lui la passione bibliofila; ne è un esempio
4 - Stefano Ferrari, Le raccolte di un curioso,
in “Le collezioni di stampe e di libri di Ambrogio
Rosmini (1741-1820)”, op. cit., pp. 14-29; Ierma
Sega, Antonio Rosmini - La casa natale, op. cit.,
pp. 22-25.
5 - Guido Rossi, La vita di Antonio Rosmini,
Arti Grafiche Manfrini, Rovereto 1959, p. 47.
42
l’acquisto fatto durante gli studi universitari a Padova della preziosa biblioteca appartenuta alla decaduta,
ma un tempo illustre, famiglia veneziana Venier. Non disponendo del
denaro necessario, egli cercò in tutti i
modi di convincere suo padre ad assecondarlo in questo affare, facendo
opera di persuasione sulla madre e
sul suo professore don Pietro Orsi.
In una lettera inviata a Pier Modesto e datata 3 gennaio 1818 egli scrive-
va: «Non ho novità da raccontare,
fuorché una, che la letteratura e i bei
studi interessa. L’illustre famiglia veneziana Venier che tanta ebbe parte
negli affari della Repubblica, decaduta e ridotta a mali passi, fu costretta a
vendere la Biblioteca per una freddura. Che posso dire? Deh, che libri! Che
edizioni rarissime! Che preziosa suppellettile, che raccolta di libri! Quante
fatiche e quante spese a raccorli! Quel
che è più, li comprò un libraio qui di
Padova. … Io vi giunsi il primo a ve-
derli dopo tratti dalle casse; e ne fui
stupefatto. … Io però non ho potuto
far a meno di pregare il libraio che
non mostri a nessuno quei libri prima
che io non abbia qualche risposta da
casa mia». Lo stesso giorno indirizzò
uno scritto alla mamma ed un altro a
don Pietro Orsi. Alla prima si rivolse
con parole piene di affetto: «So che
Ella mi vuole bene. Or adesso me ne
poterebbe dare un grandissimo segno.
Io poterei acquistare per 800 fiorini
una Biblioteca bellissima.
Per altro qual più bella
occasione per adoperare i
suoi denari, per rendere a
questo mondo contento
un figlio che nulla ha in
cuore salvo l’onore di Dio
e la prosperità dei suoi
amati genitori?». Al secondo riservò un tono
supplichevole: «Si tratta
d’acquistare una Biblioteca. Ho scritto al signor
Padre, ma non pregandolo direttamente. Ella vegga d’incoraggiare mia
Madre e so che Ella ha una grande autorità e forza sopra di lei. Da bravo usi
la sua eloquenza: io non ne dubito. …
Ella sa quello che Ella medesima
m’impose: cioè fare una Biblioteca che
faccia onore alla nostra città, e più che
sia utile a tutti gli amici»6. I genitori si
mostrarono sensibili alle richieste
del figlio, il quale poté comperare
l’agognata raccolta di libri.
6 - Ierma Sega, Antonio Rosmini - La casa natale, op. cit., pp. 33, 34; Guido Rossi, La vita di
Antonio Rosmini, op. cit., pp. 143, 144.
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
la biblioteca di antonio rosmini
Fra le curiosità della biblioteca di
casa Rosmini vi è una particolare
collezione di Bibbie, di varie epoche e in varie lingue che annovera
ben 61 edizioni diverse: in latino, in
italiano, in latino/italiano, in ebraico, in greco, in francese, in latino/
tedesco ed in inglese7. Il motivo di
tale raccolta sta nel fatto che Antonio Rosmini riteneva la Bibbia il libro più importante in assoluto.
Fra le opere degne di nota si trova
la già citata Summa Teologica di San
Tommaso, la cospicua letteratura
straniera, i volumi del Petrarca, del
Boccaccio, di mons. Della Casa, la
Rerum Italicarum Scriptores di Ludovico Antonio Muratori del 1723 in
28 volumi, lo Statuto di Rovereto:
Statuta Roboretana Civilia et Criminalia del 1737, con firma autografa di
Ambrogio Rosmini, ed ancora i volumi di architettura di Andrea Pozzo
del 1708 scritti in latino con traduzione tedesca in caratteri gotici.
Altre preziosità bibliofile si rintracciano nell’appartamento di Antonio, occupato precedentemente
dallo zio Ambrogio, in particolare
nello studio dove sono collocati, in
modo speculare sulle pareti opposte, quattro armadi fatti costruire
da Antonio stesso. Sulle cimase di
ciascuno spiccano a lettere dorate le
parole che ne rivelano il contenuto.
Due riportano la scritta Enchiclopaideia e contengono i 253 volumi
dell’Encyclopédie Methodique di
Denis Diderot e Jean B. D’Alembert,
7 - Ierma Sega, Antonio Rosmini - La casa natale, op. cit., p. 34.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
edizione Padova 1788, che riprende
l’Enciclopedia Illuminista Francese, edita a Parigi nel 1752. Gli altri
due armadi sono adibiti: uno alla
Lexica, cioè ai vocabolari, tra i quali spicca quello della Crusca ed il
Forcellini, mentre il secondo è riservato alle Ephemerides, le più belle
raccolte delle riviste dell’epoca8.
I volumi dell’Enciclopedia furono acquistati da Antonio dal libraio
veronese Simone Occhi nei primi
anni dell’Ottocento. Egli conosceva
quest’opera per averla avuta in prestito dall’amico Uzielli e ne era rimasto tanto impressionato, al punto da voler opporre a questa, un’Enciclopedia cristiana, impresa che
non vedrà mai completamente la
luce9.
In camera da letto, in un grande
armadio di fondo, recante sulla cimasa la dicitura Philosophia, custodiva i libri considerati necessari agli
studi filosofici e a lui così cari tanto
da portarli sempre con sé, una volta
lasciata definitivamente Rovereto,
nei vari trasferimenti. Oggi in quello spazio è collocato l’archivio storico della famiglia.
Infine nella stanza dove Antonio
nacque, il 24 marzo del 1797, sono
conservati in una vetrinetta, assieme ad alcuni indumenti personali,
anche i tre tomi della prima edizione (nota come la Ventisettana) de I
8 - Renato Trinco, Il beato Antonio Rosmini, in
“Le Tre Venezie - Rovereto città della Pace”, Mensile
anno XVI - n. 107 - 2009, Eurosprint srl Quinto di
Treviso 2009, p. 73; Ierma Sega, Antonio Rosmini La casa natale, op. cit., pp. 78, 79.
9 - Guido Rossi, La vita di Antonio Rosmini,
Arti Grafiche Manfrini, Rovereto 1959, p. 163.
Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, edita da Vincenzo Ferrario di
Milano, con una chiosa autografa
dello stesso Rosmini: «per dono
dell’autore – Antonio Rosmini p.».
Una copia della seconda edizione
dello stesso volume edita nel 1840
dalla Tipografia Guglielmini e Redaelli di Milano, è conservata presso
il Centro Studi Rosmini di Stresa e
riporta una dedica autografa di
Alessandro Manzoni che dice: «Non
perché Rosmini mi legga, né mi rilegga, ma perché vedendomi fra i suoi libri, si rammenti qualche volta dell’autore». A Stresa si trovano anche i
preziosi incunaboli di casa Rosmini,
qui trasportati prima dell’inizio della “grande guerra” che tanto devastò
Rovereto.
Ancora oggi nelle sale della biblioteca Rosmini si respira quel
profumo, quella temperie culturale
che caratterizzò il XVIII e il XIX secolo e non si può che rimanere stupiti di fronte ad un patrimonio librario di così grande interesse storico, con libri che vanno dal Cinquecento fino ai primi decenni
dell’Ottocento, messo a disposizione della città, degli studiosi e di coloro che hanno interesse a conoscerlo. È infatti possibile consultare
in loco i singoli volumi, rivolgendosi alla Biblioteca Rosminiana,
che occupa, a piano terra del palazzo, alcuni locali aperti giornalmente al pubblico.❧
Renato Trinco
43
Strumenti da leggere
strumenti da guardare
di Diego Cescotti
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2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
strumenti da leggere
C
osì viene presentato nell' edi«In uno spazio lontano da un con un ottavino, che è il più piccolo
zione italiana il fortunato mondo che gorgheggia stupidità e strumento dell' orchestra e quello
racconto di Patrick Süskind, fragore, un uomo racconta se stesso che ha il suono più penetrante, tanil quale mette al centro proprio attraverso il rapporto col suo stru- to da spiccare perfettamente nel bel
quell' ingombrante e paradossale mento: il contrabbasso: uno stru- mezzo di un fortissimo generale.
strumento che sembra fatto appo- mento che, per sua natura, costringe Anche il mondo degli strumenti ha
sta per scatenare, in chi ci ha a che il musicista ad un ruolo musicale le sue ingiustizie.
fare, dubbi di ogni tipo, problemi prevalentemente secondario».
Quanti inconvenienti invece nel
Patrick Süskind
identitari, laceranti conflitti interiocontrabbasso! Pesante, scomodo da
(Il contrabbasso, Longanesi 2006)
ri, senza escludere la possibilità di
trasportare, difficile da domare, oggetto d' ironia e di sbeffeggio, susciun contrastato amore. Strumento
importante, anzi indispensabile in ogni tipo di compa- tatore di sentimenti di amore-odio, «vampiro da cui lagine («ci sono orchestre senza primo violino, senza fiati, sciarsi possedere»… Nei casi migliori può diventare
senza timpani e trombe, senza tutto; mai senza contrab- una sorta di confidente con cui intrattenere un dialogo
basso»), è al tempo stesso impossibilitato per sua natu- intimo: e questa di cercare nel proprio strumento
ra ad emergere («Nessuno può notare un contrabbasso, un' anima palpitante non è una stravaganza da sentiudire un suo assolo»). Chi dunque sceglie di affrontare mentali ma una cosa sempre avvenuta in tutte le epotutti i disagi immaginabili per cavar fuori da quella ma- che. Ancora nel 1781 il severo Carl Philipp Emanuel
teria ostile le tracce di un' anima sonora non può essere Bach era arrivato a comporre un affettuoso rondò dal
che «un frustrato, uno sconfitto nell' animo e nel fisico». titolo «Un addio al mio clavicordo Silbermann» quando
Le contraddizioni che questo voluminoso arnese re- gli era occorso di separarsi dallo strumento prediletto.
ca in sé sono subito evidenti. Il suono che emette è così
Ciò che non manca sicuramente al contrabbasso è
grave e ciangottante da far pensare a un vecchio bron- l'attitudine teatrale: e difatti il testo di Süskind si pretolone o a un dio crucciato; ma al tempo stesso la sua sentava in origine come un monologo destinato alle
forma lo qualifica come «il più femminile degli stru- scene. Edgar Degas, proponendosi di ritrarre uno scormenti, così pieno di curve e bisognoso di abbracci» – cio dell' orchestra dell' Opéra, ne ha effettisticamente
sempreché si convenga di rimanere nei termini delle stilizzato il riccio e parte del manico all' interno di una
taglie forti. Difficile, in ogni caso, qualificare tenerezza variegata accozzaglia di legni e archi. E Giovanni Botquella che è piuttosto una lotta corpo come non avvie- testini, uno dei pochi compositori che abbiano osato
ne per nessun altro strumento. E poi non è bene met- elevarlo ad un impensabile ruolo solistico, ne ha fatto
tersi in urto con i cugini violinisti e violoncellisti, che quasi un personaggio da opera buffa italiana. Qualcuper lunga tradizione reclamano a sé, forse non a torto, no però ha parlato anche di azione ' spiritualizzatrice' ,
il monopolio degli abbracci e degli scambi di amorosi sicché nemmeno a lui l' ingresso agli Olimpi sembresensi. Perché va detto che esiste tutto un sostrato di im- rebbe precluso.
Quanto detto basta a far rilevare due cose: prima che
maginario erotico che si accompagna a questi oggetti
vibranti mai del tutto innocui e anzi fragili, preziosi, quella di Süskind è la pagina letteraria che in modo più
volubili e dispettosi, bisognosi di cure assidue, vendi- diretto e puntuale di qualsiasi altra eleva uno strumencativi se li si trascura o li si tradisce con altri prototipi. to musicale a protagonista e alter ego; poi che egli stesSe poi allo scrittore tedesco fosse venuto in mente di so, per l' obiettivo narrativo che si era prefisso, non
creare un contraltare dialettico altrettanto stuzzicante, avrebbe potuto fare una scelta migliore. È pur vero che
avrebbe potuto mettere in rapporto il suo contrabbasso anche altri prototipi large-size come il basso-tuba o il
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
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diego cescotti
controfagotto sarebbero andati bene allo scopo, ma
senza possedere un' uguale specificità antropomorfica.
Il legno di cui il contrabbasso è fatto lo rende più antico, più ' romantico' rispetto al metallo degli altri due
compari, e anche più fragile, quindi più umano. In un
momento estremo di rabbia o di pazzia lo si potrebbe
fracassare con discreta facilità, sfondarlo, sfasciarlo,
gettarlo nel fuoco; ma provatevi a distruggere un groviglio di cilindri, ritorte e pistoni di ottone nichelato.
D
etto questo, riconosciamo che la letteratura non ha certo trascurato i tanti altri campioni della vasta famiglia strumentale, come sarà capitato di riscontrare a una qualsiasi persona
di normali letture. Sarebbe bello sapere se qualcuno di
quei lettori metodici dall' istinto catalogatorio abbia
mai tenuto nota di tutte le narrazioni in cui ciò avviene. Ora farebbe comodo ai nostri scopi; ma in mancanza si può, senza troppo sforzare la memoria, ricordare qualche particolare significativo. In primo luogo
sembra accertata una certa predilezione letteraria per
il violino, dunque per la melodia spiegata e l' attributo
lusinghevole, tentatore del suono. Come tale il violino
è messo nelle mani di personaggi diversi ma tutti piuttosto interessanti come Truchačevskij, Zeno Cosini,
Gerda Arnoldsen-Buddenbrook e Sherlock Holmes.
Più raramente, ma assai efficacemente, può aversi un
complesso di strumenti: il quartetto d' archi, ad esempio, che viene interpretato come un universo a sé stante ovvero un microcosmo in cui si concentrano sentimenti estremi di odio-amore, solidarietà-rivalità, gelosia-abnegazione. Una buona conoscenza di questo organismo affascinante e problematico (si danno casi di
quartetti eccellenti i cui componenti non si sopportano) si trova nelle pagine del romanzo Una musica costante dello scrittore indiano Vikram Seth nonché in Il
Quartetto Rosendorf di Nathan Shaham, dove la storia
dei quattro concertisti si mescola al dramma della questione ebraica. Sono letture consigliabili e oltretutto dei
rari esempi in cui lo specifico musicale è trattato con
sicura competenza.
46
I
l romanzo borghese, dal canto suo, non può privarsi del pianoforte, emblema di ogni salotto
che si rispetti. Alla tastiera si esercita soprattutto la quota femminile della famiglia. Emma Bovary è
tra queste, e con lei chissà quanti altri personaggi ora
dimenticati che affollano le pagine di Balzac e di tanti
autori di quell' epoca, fino ad arrivare ai casi più recenti di Elfriede Jelinek (La pianista), Wladyslaw Szpilman (Il pianista), Nina Berberova (L' accompagnatrice), Paola Capriolo (Il pianista muto), tutti molto conosciuti anche perché in gran parte fatti propri dal cinema. Clavicembali, spinette e arpe si immaginano facilmente nei romanzi del Settecento. Per Marianna Guillonk, la Perla di Labuan, Emilio Salgari ha immaginato
un piccolo harmonium portatile dalle qualità assai seduttive: un oggetto raro e impensabile in quelle selvaggerie malesi. E c' è da scommettere che nel ricco fondaco della narrativa dickensiana non debba mancare almeno una figura di bizzarro e simpatico vecchietto che
soffia nel suo flauto (il flauto è abbastanza spesso accostato a personaggi dall' indole erratica). Intanto altri archi si sono aggiunti di recente: Il violino di Auschwitz,
di Maria Anglada Angels, La lezione di violino di Lucia
Drudi Demby e anche una Violoncellista di Michael
Krüger: dove gli strumenti si fanno tramiti di vicende
esistenziali inquietanti e tragiche.
E
qui arriviamo a un dato di fatto difficilmente
contestabile che emerge da quanto appena
esposto: le persone di cui si racconta la diretta
compromissione con la musica hanno tutte, poco o
tanto, qualcosa di speciale, di anormale, magari di patologico, talora di eversivo, spesso di morboso, come se
il commercio con la musica comportasse di per sé una
condizione psichica stravolta o anche solo una perigliosa e invidiabile libertà di spirito. Appare pressoché
impossibile, nella maggior parte delle narrazioni, veder dissociata la condizione di eccellenza intellettuale
richiesta dall' esercizio dell' arte da un qualche squilibrio interno; la stessa componente di ipersensibilità riconosciuta come peculiare ai musicisti è spesso assimi2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
strumenti da leggere
lata senza sconti alla nevrosi: una convinzione che a
due secoli dal romanticismo è ancora dura a morire. È
come se l’arte dei suoni, ormai immemore degli afflati
mistici di chi la voleva essenzialmente atto d’ascesi, fosse ora degradata a emanazione diabolica il cui influsso
si esercita attraverso forme di irretimento e smodatezza, egocentrismo iper-narcisistico e sperdimento annullante. Già nelle più antiche civiltà la musica aveva
molto a che fare con i mondi proibiti, e lo stesso Orfeo
dei Greci, prima di essere nobilitato a cantore sublime,
era qualcosa di molto vicino al negromante e allo sciamano.
D
a qui ad annettere alla pratica musicale
qualcosa di torbido o perverso, il passo è
breve, come ben illustra la ricca filmografia sull' argomento. Nella convenzione cinematografica,
affidare il consumo di musica (colta) a figure di assassini seriali, criminali nazisti e depravati a vario titolo è
diventato quasi un cliché. Se proprio si vuol darne una
rappresentazione più morbida, la si mette in riferimento
a personaggi falliti, repressi, impotenti, deviati. Ricordiamo tutti L' arancia meccanica che accostava in orrido
binomio l' ultra-violenza a Beethoven. Anche l' Anthony
Perkins di Psycho aveva sul piatto del grammofono la
sinfonia Eroica. E non sono che i casi più famosi. Se ne
deriva che il riferirsi alla musica e a chi la pratica in termini di normalità, integrità e buona salute psicofisica è
cosa che non giova all' interesse di un racconto.
I
l guaio aggiuntivo è che il cinema e le arti performative, diversamente dalla letteratura che può
solo suggerire e alludere lasciando ampi margini
di indeterminatezza, si trovano a dover risolvere in termini visivi il cruciale problema di rendere plausibile
l' aspetto tecnico del suonare. Anche per il teatro una casistica esaustiva sarebbe desiderabile: limitiamoci a ricordare l' esempio di Casa di bambola di Ibsen, nel punto
in cui Torvald Helmer accompagna al pianoforte la moglie Nora che balla una tarantella sfrenata: momento di
falsa allegria che in realtà veicola presagi funesti.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
M
a in realtà nel teatro di prosa è più facile
che si richieda agli attori di cantare. Gli
strumenti furoreggiano nel cinema, e
purtroppo in questo uso ed abuso si assommano i più
grandi e imperdonabili orrori estetici. Lo strumento
che sembra prevalere sullo schermo è il pianoforte, assurto a simbolo tout-court della musica: importante,
autorevole, efficace e con simulazione abbastanza semplice per qualsiasi attore (basta non inquadrare le mani, ovvero sostituirle nell' inquadratura con quelle di un
pianista vero). Anche il violino fa il suo bell' effetto, ma
è difficilissimo da rendere in una rappresentazione veritiera: già la posizione imposta al ' suonatore' , con la
testa esageratamente piegata di lato e la spalla sinistra
alzata (perché poi?), rimanda una sensazione di rigidezza veramente sgradevole. Il violoncello piace molto
per la sua naturale ' coreografia' , tanto più se suonato
da una giovane donna dalla capigliatura fluente (si veda per questo Hilary and Jackie di Anand Tucker, biografia romanzata di Jacqueline du Pré, non priva di risvolti morbid); ma anch' esso è irto di problemi nella
sincronia del gesto. Tutti gli strumenti ad arco sarebbero da evitare accuratamente nella rappresentazione filmica perché nessun attore può essere realmente in grado di far scorrere l' arco perpendicolarmente alle corde
(operazione che appare semplice solo a chi non l' ha
mai provata), per di più rimanendo in sincronia con la
musica che si sente sotto. Se impugnare l' arco si rivela
un' impresa ardua, praticamente impossibile risulta il
coordinamento dell' arcata con il fraseggio; e non parliamo nemmeno della mano sinistra vagante sulla tastiera nel modo più irrazionale ma per lo più lasciata
assolutamente inchiodata a brandire il manico. Del resto, anche chi suona la chitarra dovrebbe ricordarsi di
metter giù un accordo ogni tanto.
C
omprensibilmente il cinema privilegia gli strumenti più spettacolari alla vista, quelli che comportano gestualità ampie ed espressioni sofferte. Per questo funziona male l' oboe, che costringe l' esecutore a una postura innaturale delle labbra e delle
47
diego cescotti
guance: chi ha ancora in mente il film Anonimo veneziano, ricorda che il maldestro attore non faceva nemmeno il gesto di respirare; né tanto diversamente andavano le cose in Mission di Roland Joffé. Il Carlo Verdone di Io e mia sorella è l' oboista più improbabile che si
possa immaginare, ma almeno ha il merito di non atteggiarsi a genio e anzi di dare di sé l' immagine dimessa e provinciale di una persona qualsiasi che fa il musicista quasi per caso.
I
l saxofono si giova simpaticamente della forma
di grande pipa ed è una presenza familiare in
molti film. Anche il flauto traverso ha una resa
interessante per via della posizione asimmetrica imposta al suonatore. Potrebbe funzionare bene il clarinetto,
ma francamente non ricordo esempi filmici probanti al
riguardo; e così vale per il corno e il trombone a tiro, che
pure avrebbe molte chances con il suo gioco avanti e indietro della coulisse. Gli ottoni in genere funzionerebbero meravigliosamente per via dello sfolgorìo delle loro
superfici tirate a lucido. E privilegiatissima sarebbe l' arpa, nel fasto delle sue quarantasette corde e dei suoi sette
pedali: strumento arcaico, esotico, peculiarmente femminile e di sicura seduzione, ma decisamente al di là di
ogni possibilità attoriale appena decente. Ugualmente
impagabile l' organo, che più di tutti mette in movimento
il corpo del suonatore nella multipla gestione dei manuali, della pedaliera e dei registri in frequente alternanza. Il cinema lo ha banalizzato riservandolo alla caratterizzazione di atmosfere gialle, situazioni delittuose e circostanze sinistre. Strano destino per lo strumento chiesastico per eccellenza. Vero è che per la sua mole imponente e per la sua meccanica complessa può facilmente
incutere un certo timore. E il pieno volume di un grand
orgue riverberato nelle volte di una cattedrale gotica è
addirittura qualcosa di terrificante.
S
e molti, come s' è visto, sono gli esempi che il cinema può offrire, ciò che tutti li accomuna è
l' inverosimiglianza della resa. Non si ricorda un
solo film in cui uno strumento sia suonato con una
48
qualche parvenza di precisione: e non si dice solo del
moto delle mani o delle braccia ma prima ancora della
mimica del volto, della direzionalità dello sguardo, del
respiro, della concentrazione, del rispetto dei tempi naturali di suoni e pause: in una parola dell' armonia generale del corpo che presiede al fatto di stare nella musica. Ciò avviene perché probabilmente le modalità di
ripresa non lo consentono o perché l' attore non è uno
strumentista e fa quello che può, e chi lo guida ne sa
ancora meno di lui e ha deciso di non perdersi in minuti particolari di realismo rappresentativo. Tuttavia
alcune trite convenzioni che ingombrano il campo potrebbero essere utilmente eliminate in quanto prive di
ogni riscontro con la realtà. Nessun direttore al mondo
sale sul podio battendo la bacchetta sul leggio, eppure
trovate un solo esempio cinematografico in cui questo
non avvenga. Così come è difficile pensare di star suonando in concerto e al tempo stesso fissare insistentemente altre persone nella sala o mostrare di avere il
pensiero a tutt' altre cose (è l' equivalente di quando si
vede uno guidare l' automobile mentre tiene lo sguardo
girato da un' altra parte). L' attacco di un' esecuzione
non può arrivare all' improvviso, senza un minimo di
preparazione interiore, uno sguardo d' intesa, un cenno
qualsiasi, anche solo un respiro. Sono momenti vuoti
di azione ma straordinariamente carichi di tensione,
che accomunano come per un segreto convergere delle
singole volontà l' intera compagine, grande o piccola
che sia e che sarebbe bello vedere riprodotti in qualche
modo. Se poi ci vien fatta vedere una prova, è evidente
che non si ha la minima contezza di come essa si debba
svolgere: tutt' al più, se qualcosa non va, si ritorna da
capo senza ragione, in un continuo vacuo ripetere le
stesse cose. Altre volte viene mostrato un concerto
pubblico che si conclude incomprensibilmente su un
movimento intermedio della Sonata o della Sinfonia o
che comincia direttamente dall' ultimo. Gli applausi del
pubblico sono per lo più fuori posto, e se qualcuno
commenta l' esecuzione lo fa immancabilmente in modo iperbolico: mai una critica, una riserva, un apprezzamento divergente come dovrebbe accadere in qualsi2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
strumenti da leggere
asi pubblico pagante. Ma questo si spiega: nella finzione filmica il concerto equivale a un rito sacro: e si può
forse dir male di una messa? Se poi è necessario alla
narrazione che qualcosa vada storto, si fa fare al concertista di turno un errore di tale madornale elementarità che non ci si aspetterebbe nemmeno da un principiante. E d' altronde come rappresentare un errore di
intenzione o di espressività? In tal modo però si fa passare l' idea che l' errore, in musica, sia solo di tipo tecnico, mentre tutti sanno che un concertista degno del nome le questioni tecniche se le è già messe tutte dietro le
spalle, e se gli capita di sbagliare non lo farà mai in modo così scontato. Avvalorare l' errore come fatto di pura
manualità è una cosa particolarmente fastidiosa perché banalizza immediatamente l' essenza musicale e
l' estrema sottigliezza e complessità delle sue componenti stilistiche.
L
a totale incomprensione di cosa sia un' esecuzione musicale sfiora a volte livelli di massima assurdità. Si è arrivati a vedere (in Vier
Minuten di Chris Kraus) una giovane ribelle (ma descritta come talentuosissima pianista) ' studiare' i brani
mettendo le dita su una tastiera da lei disegnata sul tavolo della prigione in cui è rinchiusa, per poi eseguire
quel pezzo magistralmente su un vero pianoforte. Cosa
ci si vuol dire con questa trovata? Che suonare il pianoforte è una mera questione di digitazione, un autonomo sincronismo di giunture, e non conta nulla la cura
del suono e il controllo di tutti i parametri tecnico-stilistici in gioco e meno che mai il possesso di una cultura storica. Con questa logica, una qualsiasi dattilografa
ha buone possibilità di ambire alla carriera pianistica.
Per altro verso non occorrerà soffermarsi troppo
sull' infelice Helfgott e la sua titanica lotta per suonare
da perfetto esagitato il diabolico «Rach3» (in Shine di
Scott Hicks): vera epitome della peggiore platealità applicata alla musica. The Piano invece è il titolo poco
originale di un film super premiato di Jane Campion
dove lo strumento, già statico ornamento da salotto,
viene malamente scarrozzato per i mari del Sud e nella
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
sua nuova improbabile sede darà origine a non poche
tortuosità sentimentali. L' avvolgente sound di Michael
Nyman fa la sua parte nello stendere un' agglutinata patina sentimentale sulla vicenda non priva anch' essa di
qualche incongruenza.
L
a tromba è forse lo strumento che dà la resa
visiva più convincente perché non richiede
particolari prestazioni gestuali: difatti lo
Zampanò de La Strada risulta abbastanza accettabile,
anche se – diciamolo – nell' insieme della filmografia
felliniana le sequenze con strumenti (invero non poche) sono piene di approssimazioni. In questi casi la risposta all' obiezione è sempre la stessa: le storie di Fellini non vogliono essere realistiche, vi prevale la dimensione onirica. Benissimo; ma quei poveretti che in Prova d' orchestra si ingegnano a mettere insieme il pezzo
non sono credibili neanche per un minuto perché, ad
onta della loro evidente goffaggine, la musica che suonano (registrata in studio da una vera orchestra) ha e
non può che avere una resa impeccabile, rendendo del
tutto incomprensibili le escandescenze del direttoredittatore che trova errori dappertutto. Il film si pone
anche come una ingenua antologia di luoghi comuni
sugli strumenti d' orchestra e sul rapporto che con essi
hanno i relativi suonatori, tutti rientranti sotto la specie
di una disarmante mediocrità umana. Prova d' orchestra
è nei fatti un film cattivissimo, oltreché tra i più imbarazzanti quanto a resa visivo-musicale.
F
ederico Fellini rappresentava una tipica figura di intellettuale italiano: brillante e geniale in molti aspetti della cultura ma del
tutto disarmato nei confronti dell' arte dei suoni. Egli
stesso ammetteva di non saper dare un senso alla musica, di sentirla ostile, inafferrabile, pericolosa tanto più
quanto essa si mostrava attraente e seduttiva. Sostanzialmente ne aveva paura. Se poi i suoi film sono rimasti famosi anche per l' apporto musicale è perché ha
avuto la grande fortuna di imbattersi in Nino Rota, che
capiva le sue intenzioni prima ancora che lui gliele
49
diego cescotti
esplicitasse, ed era capace di arrangiargli in quattro e
quattr' otto i motivi più giusti che si possano desiderare.
P
er il suo penultimo film, L' Intervista (senza
Rota, ormai), la produzione aveva ingaggiato un gruppetto di suonatori da utilizzare in
una sequenza; ma questi, arrivati alla loro postazione,
non avevano trovato alcuna musica sul leggio. Non era
proprio stata scritta. Quando si trattò di girare la scena,
Fellini andò lì e cercò di rimediare al loro imbarazzo
canticchiando un motivetto rimasticato (qualcuno sostiene essersi trattato di una danza dallo Schiaccianoci
di Čajkovskij, remoto ricordo della scena delle terme
di Otto e mezzo), illudendosi che quei professionisti
abituati a suonare da uno spartito cogliessero al volo il
suo labile suggerimento e lo improvvisassero lì per lì
senza nemmeno il tempo di un accordo, di una prova
qualsiasi. Il grande regista non si sapeva capacitare del
perché fosse così difficile mettere in attuazione una richiesta per lui così banale. Alla fine è rimasta una scena agitata da un gran turbinare di coriandoli mossi da
potenti ventilatori e una musica di sottofondo pressoché inudibile: del resto il montaggio l' aveva ridotta a
un brandello di pochi attimi.
L
a conclusione è che i cineasti sensibili alla
musica e soprattutto dotati di vera competenza in materia si contano sulle dita di una
mano. Tanto più vanno salutati con simpatia certi prodotti della vecchia industria di Hollywood come il più
che noto Some Like It Hot di Billy Wilder, dove Tony
Curtis e Jack Lemmon, in veste di jazzisti, offrono una
prova convincente di scioltezza e di buona coordinazione quando sono chiamati a (fingere di) suonare il
saxofono e il contrabbasso. Purtroppo la musica classica, a differenza dell' altra, porta su di sé la condanna di
dover essere raffigurata attraverso pose ieratiche,
sguardi fatali e un complessivo gigioneggiare che servirebbe, secondo gli intenti di alcuni, a drammatizzare
il momento, renderlo nobile e importante, con il risultato però di far apparire tutto maledettamente falso.
50
E questo è l' altro errore capitale in cui il cinema tanto
spesso cade.
U
no dei paradossi della musica è quello di presentarsi sotto l' apparenza di entità astratta, invisibile, impalpabile, e al contempo di richiedere, per la sua stessa esistenza, l' azione ben concreta di
un mediatore umano che ha l' ufficio di agire su strumenti all' uopo creati, mettendone in vibrazione con arte consumata le componenti materiali. Tutto questo lavorio di
tasti premuti, corde sfregate, tubi soffiati può disturbare
l' utente ' puro' , abituato ad un ascolto ad occhi chiusi da
cui si ripromette di cogliere le tracce recondite di un percorso elevato, eminentemente spirituale. Qualcosa di
quell' atteggiamento di concentrazione ed estraniazione lo
si trova riprodotto in certe stampe o dagherrotipi dell' Ottocento laddove, attorno ad un pianista intento alla sua
opera, gli occupanti del salotto borghese si raccolgono come per la celebrazione di un rito d' iniziazione. Se il pianista in questione era Franz Liszt non si trattava dell' atteggiamento giusto, o perlomeno non lo sarebbe stato se il
concerto si fosse svolto in una grande sala pubblica. Era
stato proprio Liszt a fissare le regole del moderno recital
quale è arrivato fino ai nostri giorni, e soprattutto a imporre per il pianista la visione laterale. Prima di lui il pianista dava le spalle al pubblico, dimodoché quest' ultimo
perdeva la possibilità di vedere il tracciato ideale dal pezzo
musicale tradursi nella mimica sensibile di chi lo eseguiva. La ' musica poetica' , ossia di contenuto, che Liszt perseguiva come proprio fine estetico avrebbe perso molto del
suo significato se depauperata di questa lettura di secondo livello offerta dall' intero corpo dell' autore-esecutore
che la sostanziava e le dava forma coerente. Che egli fosse
particolarmente attento a questi aspetti esteriori lo si deduce dalla sua stessa bellissima figura eretta, nobile, ispirata, i lunghi capelli ricadenti sulle spalle, la cappa di velluto che gli ricade attorno.
P
rima di lui, e in maniera più esuberante, Niccolò Paganini era stato suscitatore di entusiasmi deliranti anche per il messaggio che arri2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
strumenti da leggere
vava dalla sua figura nervosa, segaligna, scomposta e
quasi intenta a una danza grottesca, quale ci arriva da
certe sorprendenti silhouettes che ne accentuano il tratto
di stregone, di mago, di spiritello. Il suo violinismo, che
non si sarebbe potuto immaginare espresso in forme
classicamente sobrie, era trascendentale nel senso che
oltrepassava di molto i limiti comuni dello strumento, e
questo trasumanare accentuava la morbosità attorno alla sua figura, che era facilmente interpretata come diabolica (il violino, si sa, ha questa lontana taccia che non
è mai riuscito a scrollarsi di dosso). La musica era agli albori della sua parabola romantica e tutto portava a questi eccessi di esteriorizzazione e spericolatezza, divenuti
ormai abituali presso i cantanti rossiniani, le orchestre di
Berlioz, i virtuosi della tastiera che a schiere gareggiavano in infuocate competizioni.
I
l secolo Ventesimo ha sancito che l' ascolto ispirato non è il modo migliore per recepire il fenomeno musicale, ed Igor Stravinskij, preoccupato di
tenere il fatto musicale sotto stretto controllo razionale
senza più smarrimenti e sviamenti mentali, si diceva diffidente nei confronti dell' ascolto con la testa tra le mani
perché la componente visuale favoriva la perfetta comprensione del brano, ne era anzi la parte integrante. Possiamo essere del tutto d' accordo con lui se poniamo mente alla sua Sagra della primavera, specie per quanto riguarda il timpanista, che viene spesso collocato in una
postazione elevata e centrale, direttamente in linea col direttore. Non c' è dubbio che soprattutto nell' ultima parte
di questo pezzo (Danza dell' eletta) un solo errore del percussionista manderebbe a rotoli l' intera orchestra. È dunque necessario che lo jeu de résistance richiesto da questa
pagina esaltante sia condotto in perfetto stato di lucidità
tra i due poli opposti della compagine strumentale, che
devono agire in assoluta intesa, quasi come in collegamento ipnotico.
L
o strumentalismo novecentesco ha preso un
abbrivio addirittura impetuoso con l' opera
generosa e fiduciosa di Paul Hindemith, già
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
concertista di viola e viola d' amore, ma anche conoscitore e praticante di quasi tutti gli strumenti, a cui ha dedicato almeno una Sonata, oltre a scrivere sette Kammermusiken per diversi organici, concepite in ideale
analogia con i Concerti brandeburghesi. Di stile neobachiano si parla infatti riguardo alla sua musica, anche e proprio per via di quell' approccio pragmatico e
' artigianale' alla materia che si manifesta nella grande
solidità dell' insieme, nell' inflessibile nervatura ritmica,
nel controllo rigoroso di tutte le componenti. Nella sua
musica si ritrova tutto l' antico piacere fisico del suonare insieme e anche quell' ineffabile senso di confidenza
affettuosa verso il proprio strumento che è sempre stata propria di chi, professionista o dilettante, svolge
questo compito con coscienza. Per questo la sua musica è idiomatica come poche e quindi spesso idonea al
campo didattico; e se può essere abbastanza impegnativa, non costringe mai l' esecutore ad alcunché di forzato o di stravagante.
O
ggi, a cinquant' anni dalla sua scomparsa, possiamo riconoscere a Hindemith di aver costituito un argine contro l' aridità dello sperimentalismo puro, ponendosi nel solco di un nuovo umanesimo. A livello più diretto, egli si era posto il compito di
rimediare al grande sfacelo del suo Paese operando
una ricostruzione culturale che tenesse conto delle memorie storiche nazionali sedimentatesi nei secoli, dai
canti dei Minnesänger ai corali luterani, dal concertismo dei Collegia Musica al complesso delle forme sonatistiche prodigiosamente fiorite nel periodo classico.
Più vicina a noi spicca la straordinaria esperienza
delle Sequenze di Luciano Berio, che in numero di
quattordici esplorano, per ciascuno degli strumenti
trattati, soluzioni timbriche inimmaginabili, modificando completamente l'approccio allo strumento da
parte dell'esecutore e al tempo stesso il processo percettivo dell'ascoltatore, che ora si pretende quanto mai
aperto ed evoluto.❧
Diego Cescotti
51
Nicotiana Tabacum
di Giuseppe Maria Gottardi
52
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Nicotiana tabacum
G
Con questa pipa sacra camminerete
ironzolando per gli affasciRifiutare questa visione comnanti meandri della Dor- sulla Terra, poiché la Terra è vostra porta usare, all’opposto, gli stessi
dogna, nella splendida re- Progenitrice e vostra Madre, ed essa è termini di paragone.
gione dell’Aquitania, nel sud della sacra. Ogni passo mosso sopra di Lei
Il tabacco è sul banco degli acFrancia, sostammo, inevitabilmen- dovrebbe essere come una preghiera. Il cusati a partire dal 1986, ma questa
te invogliati da antiche reminiscen- fornello di questa pipa è di pietra rossa; contestazione era iniziata ancora
ze letterarie, nella bellissima città di esso è la Terra. Inciso nella pietra e ri- all’inizio quando, scoperto da CriBergerac. Quivi, percorrendo le an- volto verso il centro c’è questo vitello di stoforo Colombo, esso venne introguste ma straordinarie stradine che bisonte che rappresenta tutti i quadru- dotto in Europa.
fecero conoscere al Mondo il miti- pedi che vivono su vostra Madre. Il
Le “Autorità” (medici ed eccleco signor Cyrano, avemmo anche il cannello della pipa è di legno e rappre- siastici) si trovarono subito in confelice incontro con il più bel museo senta tutto quello che cresce sulla Ter- trasto. Se per i primi il tabacco era
dedicato all’erba per tutti i mali: al ra. E queste dodici penne che pendono quasi un’erba santa, sacra, divina,
qui dove il cannello si incastra nel for- per gli altri esso rappresentava l’erTabacco.
Situato nella maison Peyrarède nello, vengono da Wanbli Gleska, l’A- ba di Satana, un’erba infernale, diaal n. 10 della via Ancien Pont, que- quila Chiazzata, e rappresentano l’a- bolica.
sto museo ripercorre, con una ricca quila e tutti gli esseri alati dell’aria.
Comunque sia, il tabacco, alla
esposizione, la storia sociale e cul- Tutti questi popoli e tutte le cose dell’u- stessa stregua della vite, del mais e del
turale del tabacco nel tempo e nelle niverso si uniscono a voi che fumate la caffè è una conquista dell’Umanità e
pipa, tutti mandano le loro voci a Wa- la sua diffusione e i suoi modi d’imciviltà.
Oltre agli affascinanti mate- kan-Tanka. Quando pregherete con piego esprimono le diverse civiltà e la
riali esposti, tra cui una collezione questa pipa pregherete per e con ogni loro Weltanschauung.
dal valore quasi inestimabile di ca- cosa.
Così in America numerosi miti
Hepaka Sapa (Alce Nero)
lumets degli Indiani d’America, esassociano il tabacco al sacro e gli
so offre, per il nostro particolare fusciamani-guaritori se ne servivano
rore, una splendida biblioteca su questo tema di più di a fini terapeutici. Simbolo del legame tra gli uomini e
3.000 volumi, dove, sull’antichità dei molti, abbiamo gli dei, esso ebbe anche una valenza politica. Basti penlasciato umide ma invisibili tracce della nostra pas- sare al ruolo giocato presso le popolazioni dell’est in
sione.
America del nord, dal calumet fumato in comune,
Ovviamente, al termine della visita, non ci la- scambiato durante le discussioni; una specie di sigillo
sciammo sfuggire uno dei 2.000 esemplari dell’opera sociale fra compagni, addirittura salvacondotto in aldi Bernard Clergeot, il conservatore di questo museo. cuni casi. In altri casi il tabacco era segno dell’autorità
di un capo; questo si osserva tra gli Aztechi ed i Sioux.
razie alla dovizia d’informazioni storiche che Le pipe indiane furono di estrema varietà, spesso molci danno queste due opere parleremo di que- to simili al tomahawk, la scure peraltro introdotta dagli
sto Tabacco che, nel bene e nel male, fa parte uomini bianchi; dalle pipe tubolari proto-storiche, ai
del nostro patrimonio culturale. Infatti, questa pianta fornelli irochesi a becco d’uccello, alle pipe barocche
è eminentemente culturale; essa ha accompagnato e dei Micmac, degli Tlinglit e Haïda della costa nordtuttora accompagna l’uomo nei suoi bisogni religiosi, ovest.
alimentari, terapeutici, politici, sociali ed anche psiAl contrario, in Africa, il tabacco divenne oggetto
cologici.
di baratto durante l’epoca del commercio degli schiavi
G
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
53
giuseppe maria gottardi
e consumato in pipe e fornelli sempre più grandi a seconda del grado d’importanza del suo proprietario.
Nel vicino Oriente, il narghilé, una pipa ad acqua di
origine egiziana, diventa una pratica collettiva rispettosa però delle classi sociali. Alla stessa origine si rifà il
chibouk turco.
In Europa oltre la pipa, nei cui modelli si sono sbizzarriti anche grandi artisti,
fiorirono le tabacchiere, i
sigari ed infine le sigarette. Al contrario degli altri continenti, in Europa
l’uso del tabacco è più legato a connotazioni individuali che rivestono
la sfera della identificazione, dell’iniziazione,
della affermazione sociale senza dimenticare
la sfera sessuale.
Non c’è nulla da fare:
il tabacco non è una
pianta indifferente. Esso
ci stimola, ci allieta, ci
degrada. Il rapporto
con questa pianta si
esprime in mille modi:
etnico, psicologico, sociologico, economico,
ecc.
M
a cos’è il
tabacco?
È una pianta del genere Nicotiana cha fa
parte della famiglia delle Solanacee come la patata, il
pomodoro, la melanzana e il peperone. Sono piante
annuali a fusto erbaceo e ne esiste una sessantina di
specie diverse. Essa si divide in tre sottogeneri: Rustica
che comprende nove specie; Tabacum, sei e che sono
tutte originarie dell’America del Sud; il terzo sottogenere Petunoide comprende quarantacinque specie origi54
narie dell’America del Nord, del Sud, dell’Australia e
delle Isole del Pacifico.
Lo stato attuale delle conoscenze storiche archeo-botaniche ritiene che l’uso di fumare, masticare ed anche
bere il tabacco sia stato inizialmente praticato sul continente americano. È comunque accertato che gli aborigeni australiani masticavano, in tempi remoti, foglie
della varietà Nicotiana
Suaveolens.
Recentemente
un
nuovo enigma si è posto
con la scoperta di tracce
di Nicotiana L. sulla
mummia di Ramses II.
Questa specie non è
stata ancora definita.
Benché qualcuno abbia ipotizzato la presenza di pipe in argilla fin
dalla prima delle grandi
civilizzazioni messicane, quella degli Olmetechi [1200-900 a.C.], i
primi seri scavi archeologici riguardanti il tabacco vennero effettuati
da Porter Muriel Noé
nel 1948 nella regione
messicana dell’Hausteca.
Il materiale scoperto
consiste essenzialmente
in pipe angolari in argilla di cui, alcune, sono antropomorfe o zoomorfe.
La datazione cronologica oscilla tra il 1100 e il 1200
dopo Cristo.
Per una succinta storia del tabacco facciamo ora riferimento a Giuseppe Mauro con la sua Monografia del
Tabacco, Napoli, Stabilimento Tipografico di R. Ghio,
In S. Teresa agli Studi, 1866. Nello stesso testo è presente anche una interessante e curiosa Sinonomia del Tabacco.
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Nicotiana tabacum
STORIA DEL TABACCO
Intra gli svariati scrittori v’ha divergenza, per altro non sensibile, di opinione sulla origine della introduzione dell’uso del tabacco; noi, tra tutte, ci atteniamo in questo breve cenno
storico, alla più
accreditata tradizione.
L’ardito scopritore del nuovo
mondo, il Colombo, dava il
nome di tabacco
a questa pianta
che trovava nel
1494 [1492-1493]
in Tabaco, la più
piccola delle Isole nelle Antille; o
più
verisimilmente in Tabasco provincia del
Messico.
Ciò che destò
meraviglia profonda negli Spagnuoli, era il vedere tra le labbra
di quelli abitatori
talune foglie secche, accartocciate, che accese all’estremo mandavano un fumo denso ed aromatico. Questo piacque al
loro gusto, e l’imitarono.
Relativamente poi all’epoca della introduzione del
tabacco in Europa, si stima dai più, che l’Ammiraglio Spagnuolo Cortes nel 1510 ritornando da’ suoi
viaggi nel Nuovo Mondo, facesse un presente di
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
gran quantità di foglie secche di questa pianta al suo
Monarca Carlo V; di poi, nel 1518 Francesco Hermandez fecesi a spedire al suo governo in Portogallo semi e piante
di tabacco.
L’odore, ed il
gusto di siffatta
pianta piacque
tanto al Gran
Priore di Lisbona, che avendone di continuo
fatto elogio lussuosissimo, fece
in quei luoghi
acquistare al tabacco il nome di
Erba del Gran
Priore. Un dì,
l’ambasciadore
di Carlo IX presso la Corte di
Portogallo, Giovanni Nicot, recossi a visitare
l’Orto botanico
di Lisbona. Quel
direttore, il celebre Damiano di
Goes, fece a lui
dono di questa esotica pianta, e di buona quantità
dei suoi semi, come pure d’una scatola di foglie di
tabacco disseccate e ridotte in polvere. Immantinente l’Ambasciadore si premurò di fare invio di
quel dono alla sua Regina Caterina dei Medici, la
quale divenutane entusiasta, ne protesse l’uso non
solo, ma volle che se ne fosse pur in Francia intro-
55
giuseppe maria gottardi
dotta la lavorazione; è per questa regia simpatia e
protezione che fu colà chiamato il tabacco Erba della Regina.
Nel 1560 il Cardinale di S. Croce, Nunzio Apostolico presso la Corte medesima del Portogallo, sorpreso pur egli dal grato odore che tramandava il fumo di questa nuova pianta, ne inviava alcune al
Pontefice in Italia, il quale ne commise la coltivazione ai Frati, che d’essa facendo uso grandissimo,
ne estesero la coltura nei loro orti; e nelle province
meridionali hawi tuttora una specie di tabacco, che
era usata con predilezione dai Frati, la quale chiamasi Erba santa.
Finalmente Walker, favorito della Regina Elisabetta, introdusse la pianta del tabacco in Inghilterra; ma per la inclemenza di quel clima non ha potuto giammai avere colà una rigogliosa vegetazione.
Qualcuno, come Munay, mette in dubbio l’origine di questa pianta, non attribuendola all’America,
poiché dice, la cognizione della stessa si ebbe in
Oriente circa un secolo prima della scoverta dell’America, essendo in Persia e nelle Indie dai Sacerdoti usata per fumo, e dagli Augurii facevasi similmente uso di questa foglia, anco per fumo, affin di
esaltarsi nelle loro vaticinazioni; ed apprestavasi
colà pur come farmaco in varie malattie cutanee.
Giovanni Menandré asserisce di poi, che gli antichi isolani dell’America ritenevano essere il tabacco
un talismano acconcio a sedare qualunque tempesta pur furiosissima, e quando vedevano imperversare il mare, ed alta una burrasca, immantinente facevansi a spargere grossa mano di polvere di tabacco nelle onde. In generale una virtù soprannaturale
essi attribuivano a siffatta pianta, che stimandola
prodigiosa, la impiegavano con fede religiosa in
ogni maniera di pericolo o fatto ardito, affin di vincerlo con sicurezza, e con mezzi oltre gli umani. Essi, per esempio, ne aspergevano la terra pria di dar
cominciamento ad una battaglia; la bruciavano
56
nel fuoco Sacro in onore dei loro Idoli, affin di calmarne l’ira nei casi di calamità pubbliche, ed aspirandone in simigliante emergenza il fumo, stimavano le loro colpe perdonate; ecco dunque la ragione per la quale osservasi varietà di opinione tra i diversi Autori sulla sicura e vera origine della pianta
Tabacco. Certo si è che i primi a farne stima ed uso
furono gli Spagnuoli e Portoghesi per essere stati i
più arditi navigatori e scopritori del nuovo mondo.
In sul cominciamento della sua introduzione in
Europa si ebbe il tabacco fanatici passionati, e quindi larghi apologisti, ed all’opposto pur violenti detrattori. Questa pianta novera anche nella sua storia
il gran pensiero e la grande cura che si dettero alcuni governi nel moderarne o vietarne assolutamente
l’uso nei loro Stati. Giacomo primo d’Inghilterra, la
cui tempra violenta di natura, e l’avventatezza dei
modi son troppo note nella storia di quella grande
Nazione, con suo speciale editto vietò assolutamente l’uso del tabacco ai suoi popoli. Amurat IV
colpito dalla irriverenza di taluni suoi famigliari
che si permettevano fumare nella Reggia, ne proibiva chicchessia l’uso.
Nelle Russie l’uso del tabacco per fumo si slargò
tanto, che non eravi persona la quale non amasse
fumare, e fin le donne in aurate pipe aspiravano il
fumo di questa foglia; e siccome ogni abito descrive
la sua scala di progresso, giungendo sino al fanatismo ed all’eccesso, così la pipa non si lasciava in
quelle regioni gelide neanco in letto, e perché dal
caldo del fumo ne traevano gratissimo un calorico
al corpo assiderato, e perché avendo il tabacco la
proprietà narcotica era assai acconcio a generare il
sonno; – da siffatta eccedente abitudine nacquero
inconvenienti spessamente seriissimi, poiché soventi volte quei cittadini restando incoscienziosamente preda di profondo sonno, la pipa abbandonata incendiava le coltri, e da queste l’incendio propagandosi, ebbero a lamentarsi non poche vitti-
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Nicotiana tabacum
me umane e distruzione di edifizi. Quel Governo,
sistematicamente dispotico, osservando con ira i
non lievi danni che procedevano dall’uso del tabacco per fumo, comminava severissime pene, tra
cui leggevasi pur quella di cinquanta colpi di bastone contro chiunque, niuno eccettuato, non avesse
saputo scompagnarsi dalla condannata abitudine
di fumare la foglia tabacco. Affin di afforzare con
logiche ragioni, ed onestare provvedimenti che
aveano tutta la fisonomia della violenza e dell’arbitrio, i governi che si fecero a proibire l’uso del tabacco per fumo, ogni cura si dettero nel far pubblicare opuscoli da distinti medici dei loro Stati, con i
quali costoro tutta la vigoria dell’ingegno e della
propria dottrina impiegarono per dimostrare il
danno sensibile, profondo, che alla salute dell’uomo recava l’uso del fumo del tabacco, quasi dichiarandolo potentissimo un veleno. Il tempo però,
grande operatore di prodigi, perché scopritore del
vero, e distruttore gagliardissimo dei pregiudizii e
degli errori umani e sociali, è surto gigante a dimostrare che l’uso, o non mai l’abuso, di questa foglia
per fumo reca vantaggi non pochi alla salute, ed al
vivere dell’uomo. Il fumo del tabacco corregge ed
attutisce talune tensioni dello stomaco. È un preservativo contro i mali che procedono dall’umidità
atmosferica che si è obbligati talune volte di assorbire, quindi i navigatori, e gli uomini che sono obbligati in virtù del loro mestiere a vivere nelle campagne, ed a coltivarle, utile grandissimo traggono
per la loro salute dall’uso del fumo del tabacco. È
ancora un preservativo per il mal di denti. È un
compagno nell’isolamento. Fuga l’ozio, e con esso
la noia. È un mezzo per distrarre l’animo dagli angosciosi pensieri che possono per avventura travagliarlo. Nei trasporti di violenta ira, spessamente
quel fumo opera come un calmante sui nervi. Non
pochi, ed in ispecie nella età avanzata della vita, o
quando la tempesta di alcuna passione ci bolle
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
nel petto, veggono nelle ore solitarie della notte,
ore tremende in che i più tristi pensieri si dan convegno e si aggruppano per torturarci la vita, il sonno disertarsi affatto; – ebbene, il fumo del tabacco
lo richiama, lo mette sulle nostre ciglia, e ne procura quel riposo che è l’obblio dei mali, la calma dello
spirito, il compenso alle forze affralite del corpo.
Concentra l’animo alla meditazione, e lo rende atto
a lavori intellettuali, per i quali stimavasi non essere la mente affatto disposta. Dopo non brevi fatiche
durate, il fiuto del tabacco in polvere risveglia le facoltà dell’ingegno, e traendolo da quel torpore in
cui si cade per fralezza, ad esso ridona tutta la prisca energia, rendendolo di nuovo acconcio a continuare un lavoro, che senza l’ausilio di quel fiuto, si
era forse obbligati a differire. Il dottore Ruefz di
Strasburgo dice ancora che il tabacco toglie alcune
volte il luogo di alimento alla vita umana; ciò, egli
soggiunge, risulta dagli sperimenti fatti da molti
viaggiatori, ed all’uopo si fa a raccomandarne l’uso
agli uomini d’arme. Insomma il tabacco ha per sé il
più eloquente argomento che siavi al mondo; il fatto. – Certa cosa egli è che l’Universo oggi fuma e
fiuta non solo, ma il consumo del tabacco cresce a
dismisura, e tutto il mondo certamente mal non vive pel tabacco, poiché se ciò fosse, il suo uso sarebbe menomato, e forse anco distrutto, poiché il principio della propria conservazione è sovrano, e radicato sin dal nascere nel cuore dell’uomo; ed invece
noi vediamo che se ne aumenta e propaga la consumazione, in ispecie presso le nordiche regioni, i cui
abitatori fan mostra di sana vita, robustezza di corpo, e speciale longevità.
In effetti, guardato l’uso del tabacco sotto il punto di vista igienico, leggiamo nelle opere pubblicate
da Fawler, dotto e noto medico inglese, che il tabacco sia farmaco giovevolissimo nelle idropisie,
ed all’uopo egli non si rimane dall’indicarne in lunghissimo novero gli svariati e numerosi successi
57
giuseppe maria gottardi
ottenuti impiegandolo nella cura di detta seria infermità, e ne svolge con precise e minutissime particolarità tutti i fenomeni che presenta prima di
compiersi la guarigione, dicendo, che esso produce
dapprima una vertigine, la quale cessata, succedono immantinenti abbondanti evacuazioni ed emissioni di urine, per i cui meati si scaturisce quella
quantità di siero che ristagnandosi nel corpo
dell’uomo produce il morbo ferale. – Il Dottore
Hurteaux medico della Manifattura dei tabacchi in
Parigi accerta che nelle epidemie coleriche del 1836
e 1854, gli operai addetti a quello stabilimento furono i meno flagellati da quel morbo in ragione degli
altri cittadini, essendone stati inviati all’Ospedale
nel periodo più fervente del 1836, appena cinque
uomini, e diciotto femmine. – Ed in sostegno di
quanto il detto medico asserisce relativamente a
Parigi, uno dei più antichi e distinti applicati alla
Manifattura dei tabacchi di Napoli assicura che
nello stesso anno 1836, quando il morbo asiatico
più infuriava in questa città, in detta Manifattura
erano contagiati appena nove uomini e venti donne, di cui succumbettero quattro dei primi e dodici
delle seconde. – Noi possiamo ancora certificare,
che nella seguente epidemia del 1854 i morti non
sorvanzarono il numero di due, e nell’ultima invasione del 1865, comunque mitissima in riguardo alle precedenti, pure in ragione delle proporzioni
serbate dal rapinare del morbo in tutta la popolazione, lievemente fu offesa la famiglia dei lavoratori nella fabbrica di Napoli, poiché in un numero di
circa 3500 individui non si è lamentato che solo un
morto, e pur dubbio, essendo stato parere di varii
professori, che quello attacco procedea più da affezione tifoidea, che dal morbo asiatico. M. Poirson,
infine, medico della facoltà di Parigi commenta
l’uso della Nicotiana in tutte le malattie sierose, e
specialmente nel male dei denti; e per lo scorbuto
58
si fa a raccomandarla caldamente ai marinari, ritenendola salutare medela, acconcissima ad allontanare, per quanto sia possibile, questo morbo, che
sviluppa con frequenza nelle lunghe navigazioni.
Noi, quando parleremo delle proprietà di questa
pianta, ne svolgeremo le virtù salutari con più spicciolato novero.
Fra gl’infiniti luoghi di produzione si distingue
l’America, che ne ha formato uno dei suoi principali rami d’industria, divisa in tre grandi regioni
distinte per tre qualità diverse di foglie, cioè 1° la
Virginia, al Sud; 2° tutto l’Ovest (Kentuky Tenessé
Missauri); 3° il Maryland con una parte dell’Ohio
del Nord orientale fino al Messico, rappresentante
le qualità, forte, mezzana, e dolce; ed apparisce dalle Statistiche di quella Nazione ascendere approssimativamente il suo prodotto ad oltre quint.
2,300,000.
Il prodotto eccede poi tanto il consumo interno,
che ne avvanza da venderne più della metà, e per
conservare il credito alla produzione tiene a sé leggi provvide che ne sorvegliano la coltura e l’esportazione. Ad alcuni potrebbe sembrare strano ed
esorbitante questo nostro calcolo; ma noi rispondiamo di aver attinte tali notizie dal rinomato economista M. Block nella sua relazione del 1852.
La quantità poi del tabacco che si consuma in
Europa non si può con precisione ben determinare; ma per dire alcun che su questa importante nozione, ci siam fatti a riscontrare scritti di chiari Autori e giornali Statistici per quanto ci sia tornato
possibile, e dalle notizie tolte da coloro che abbiamo stimato meglio informati, benché nulla di preciso e sicuro avessimo potuto raccogliere, pare assai probabile che la cifra ascendesse presso a poco
a quint. 5,017,000, dei quali un terzo e forse più si
esporta dall’America e dall’Asia, e gli altri due terzi
sono prodotti Europei in proporzioni diverse, cioè
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Nicotiana tabacum
SINONIMIA DEL TABACCO
Noi troviamo utile descrivere tutti i nomi che sono dati al tabacco dai differenti popoli, ed in diverse epoche.
Garzia du Jardin e Maugnenus assicurano, che il
vero nome di questa pianta presso gl’Indiani è picielt.
Al Paraguay, ove il tabacco pare che vi abbia esistito in tutti i tempi, è conosciuto presso i Guaranis
sotto il nome di pety, che sarebbe il medesimo di
petun impiegato per distinguere sulle coste delle
Amazzoni le piante del Brasile. Questi due nomi
per effetto della maniera come vengono pronunciati indicano perfettamente il rumore che producono
le labbra allorché lasciano scappare il fumo del zigaro o della pipa.
Noi apprendiamo da Alfredo Demersay le diverse denominazioni colle quali viene designato il tabacco in Africa, e nell’Oceania.
Pety, tabacco, d’onde il nome di petygua mensile
di cui si servono per ingoiare o sorbire il tabacco;
petynguara bevitore di tabacco; apetymbù che
esprime l’azione che consiste a cacciare il fumo del
tabacco dalla bocca e dalle narici. Questi vocaboli
sono in uso presso i Guaranis del Paraguay.
Nel Brasile si nomina petun o petum. Costatando
la sua antichità dalle Indie occidentali, Pison il primo che ha ben descritto le piante del Brasile, ha dato a questa pianta il nome di petume o tabacum. Seguendo il dizionario della lingoa geral pubblicato
nel 1795, questa pianta è designata sotto il nome di
pytyma. Pytyma cui è il nome del tabacco in polvere, e la voce pytyma tyba esprime la coltura.
Gli abitanti di Nicaragua lo nominano ynpoqueto.
Si nomina ancora:
Dai Messicani Quavhyelt, quauhietl o quauryell;
Dai Caraibi: Secondo Laborde Y-oculi;
Da Breton Youli;
Da du Tertre Yoli.
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Nella Gujana Tamoui;
In Haïti Cozobba o Cazoba;
Nella Virginia Uppuvoc;
Presso i Mandigues Siré.
L’alterazione della parola tabaco ha prodotto le seguenti denominazioni:
Presso gli Esquimali Tawac;
Dai Bramini la pianta è denominata Ou-baco;
Dagli abitanti delle Filippine E-baqué;
Da quelli delle Caroline Tammako;
Nel Ceylan il tabacco trinciato Kapada;
Nel Bengala Tumac;
Nell’Indostan Tambaca, o Bujjirbhang.
Dagli altri popoli viene denominato:
Nel Maryland Oroonoko;
In Alemagna e Danimarca Toback;
Dagl’Inglesi Tabacco e snuff;
Dagli Arabi Dukan;
Dai Giapponesi Bujjerbhang, e Tumbroeo;
Dai Chinesi Sang-yen;
Nella Cocincina Thuoc;
Dagl’Indiani Tuwbaku;
Dagli Spagnuoli e Portoghesi Tabaco;
Dagl’Italiani Tabacco;
Dagli Olandesi e Polacchi Tabak;
Dai Malesi Tambracu;
Dai Russi Tiotion;
Dai Circassi Zchichir;
Nel Sanscrito Dhumrapatra e Tamrakoota;
Dai Tartari Tamer e Tutun;
Dagli Arabi e Turchi Tuttun;
Dai Greci Kαπνό
59
giuseppe maria gottardi
una gran parte della Germania e dell’Olanda, parte
poco minore della Russia, Austria ed Ungheria, poi
del Levante e dell’Algeria, ed in quantità consimile
dell’Italia, e minore degli altri Stati.
Si calcola la somma totale d’imposta sui Tabacchi in Europa a circa 550,000,000 di lire. Certo
che ove è più grande la coltivazione si osserva più
familiare il consumo, e di conseguenza maggiore
il contrabbando. Vi è chi asserisce che la Germania ricavi una tassa personale eguale al consumo
di Kil. 5 di Tabacco a testa per ogni maschio sopra
ai 18 anni, nel Belgio similmente di Kil. 4½; in
Olanda e Danimarca di 4, e nell’Austria di 3½;
questi calcoli li crediamo molto dubbi. Pare potersi asserire che tale imposizione indiretta considerata come dazio d’importazione ed esportazione,
o altrimenti come privativa, dia un profitto al Regio Erario di circa lire 4 per testa, secondo l’estensione dell’uso più o meno diffuso. È da notare
eziandio che queste cifre possono variare, anzi variano a causa del gran contrabbando che ovunque
grandeggia, e che moderare si può, ma non mai
intieramente estirpare, come in prosieguo a suo
luogo si parlerà con molta specialità. Per esempio
citiamo per ora l’Inghilterra, la quale non ostante
l’inibizione della coltura, e le sue severissime pene
d’importazione, è costretta soffrire anche il contrabbando, molto però di meno di quello che si
sperimenta nei luoghi di produzione della nostra
Europa.
Cosa strana, dice Demersay, che durante l’antica
denominazione del tabacco, si diffuse per l’Universo quella che un tempo fu adottata dagli abitanti del
Paraguay e del Brasile. In alcuni Dipartimenti della
Francia, e specialmente i Bretoni, disegnano il tabacco ancora sotto il nome di betum o betun.
In Francia, atteso il carattere che distingue quella
Nazione, questa pianta ha ricevuto diversi nomi
che interessa descrivere. Nel 1556 Andrea Thevet
60
fu il primo ad importarla dandole nome di Erba
angoulmoisine, da quello della provincia francese
ove furono eseguiti i primi tentativi della coltura di
questa pianta.
Dopo quattro anni l’erba angoulmoisine senza
alcun dubbio non era ancora pervenuta a quella
Corte, allorché Giovanni Nicot la fece conoscere,
ed a proposta del Duca di Guisa, fu chiamata Nicotiana, in ricordo di Nicot che l’aveva inviata dal
Portogallo.
Più tardi, siccome dicemmo, la Regina Caterina
de’ Medici si dichiarò protettrice di questa pianta,
ed i cortigiani non mancarono di denominarla erba
della Regina, e perciò il tabacco per qualche tempo
conservò questo nome.
Di poi Giacomo Gohori, al quale si deve una piccola opera sul tabacco, cercò far prevalere il nome
di Medicea o Caterinea in omaggio del nome e cognome della Regina, e con lo scopo ancora di fare
accettare e nel contempo adottare alla Corte il suo
libro; a quale oggetto egli s’indirizzo al Medico e
Chirurgo Botal, unico borghese che avea accesso al
Louvre. Il detto Dottore prese la cosa in particolare
considerazione, ed egli racconta come il libro fosse
presentato alla Regina madre del Re, a cui era stato
dedicato, associandosi nella presentazione ad un
altro dotto Medico a nome Vigor suo antico amico,
per conoscere se sarebbe gradita a sua Maestà la
proposta del nome; ed essendo stato accettato ne fu
pubblicato il discorso, e quindi venne adottato il
nome di Medicea.
Qualche memoria del tempo riporta ancora che
il gran Priore di Francia della casa di Lorena facea
smodato uso del tabacco, e la sua avidità era tale da
consumarne ottantuno grammo per giorno; e siccome era l’epoca che il tabacco principiava a mettersi in uso, coloro che ne prendevano, nell’entusiasmo del loro neofitismo, assegnarono al tabacco il
nome di erba del gran Priore, e per qualche tempo
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Nicotiana tabacum
ebbe l’onore di una tale nomenclatura, siccome abbiamo di fuga pur altrove cennato.
Gli esaltati amatori di esso nella Spagna denominarono il tabacco panacea antartica; erba per tutti i
mali; senza dubbio a causa della virtù che credevano in esso riconoscere. Lo chiamarono ancora Erba Santa Sacra, o divina, perché al dire di Brunet,
certe persone credevano che essa aveva la facoltà di
renderli sani e puri qualora ne usavano con moderazione, e come moderativo della concupiscenza, e
correttivo degli umori del corpo che turbano gli
organi dei sensi stimolanti della voluttà.
Il Cardinale di S. Croce Nunzio in Portogallo, e
Tornabuono Legato Apostolico in Francia furono i
primi ad introdurlo in Italia, e perciò fu chiamato
Erba di Santa Croce, o Erba Santa.
Altri Autori lo chiamarono Erba baglossa antartica, ed i nemici accaniti la denominarono Giusquiamo del Perù, col fine di farla riguardare come pianta
nociva, discreditandola presso i consumatori.
Oviedo nel libro XI Capitolo V della sua Storia
dice, che nelle Isole Spagnuole, ove a’ suoi tempi il
tabacco vegetava in abbondanza, gli abitanti lo
chiamavano perebeçenue, ma dalla descrizione che
ne fa sembra a Garzia du Jardin che si rapporti allo
giusquiamo nero.
Infine è dovuto agli Spagnuoli, che lo conobbero
i primi, il nome di tabacco, tratto al dire di molti
autori da Tabago piccola Isola delle Antille, o da
Tabaco provincia del Yucatan ove essi l’incontrarono per la prima volta, o pure da Tabasco Città del
Messico. Ferdinando Denis poi ci fa leggere una
lettera piena di erudizioni con la quale si sforza a
provare che il nome di tabacco è nato da Tabacco,
nome che gli abitanti di S. Domingo danno alle loro pipe primitive.
Dall’altra parte Cristoforo Colombo prima di abbordare a Tabago aveva di già disbarcato sulla
spiaggia di Cuba nel 1492. L’istoria di questo
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
grande uomo ci dice positivamente che esso inviò
esploratori nell’Isola di Cuba, i quali incontrarono
nel cammino uomini e donne indiane che aveano
in bocca un piccolo tizzo acceso, composto di una
sorta di erba d’onde ne aspiravano il fumo, e precisamente questi piccoli tizzi, zigari o pipe, avevano
il nome di tabagos.
Bartolomeo de Las Gazas scriveva nel 1527:
«Gl’Indiani hanno un’erba da cui ne aspirano il fumo con delizia; quest’erba è situata in una foglia
secca a fazione di quei moschettoni che fanno i
bambini in occasione della Pasqua. Seguita col dire, che gl’Indiani l’accendono da una delle estremità e succhiano ed inghiottono dall’altra estremità il
fumo che aspirano col loro fiato, il quale produce
in essi un assopimento in tutto il corpo, degenerando poi in una certa specie di ebbrezza. Essi allora asseriscono che non sentono più la fatica. Questi
moschetti o tabagos com’essi li chiamano sono in
uso presso tutti i nostri coloni; e volendo reprimere
questi cattivi costumi, essi rispondono essere impossibile potersene allontanare. Io non so qual gusto, e qual profitto vi possano trovare».
Infine noi troviamo utile presentare la figura e la
descrizione del primitivo istrumento al quale il tabacco deve il suo nome.
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giuseppe maria gottardi
Gl’Indiani delle coste dell’Isole fra gli altri vizi ai
quali sono dediti, ve n’è uno più cattivo, cioè quello
di prendere dei frantumi di una certa erba ch’essi
chiamano tabaccos allorché vogliono uscire fuori
di sensi, e questo appunto lo fanno col fumo e profumo della suddetta erba, la cui pianta è somigliante a quell’alberetto che in Castiglia si chiama
volgarmente Veleno, altrimenti detto anebane o
giusquiamo che raccolgono in certe ceste. I principali abitanti hanno dei piccoli bastoni vuoti, molto
politi e ben fatti, della grandezza circa di un palmo,
e della grossezza di un dito piccolo della mano, a
cui sono unite due piccole cannette che terminano
in una, come precisamente è qui dipinta, tutta di
un pezzo, e che situano alle loro narici, mentre l’altra estremità semplice resta piena di erba che fuma
bruciando. Essi bruciano ancora le foglie della
Il grande successo della Nicotiana con libero consumo durò tuttavia per poco tempo perché, già nel 1604,
iniziarono violente proibizioni da parte dei Governi.
Per prima l’Inghilterra con Enrico VIII; il Giappone
nel 1607-1609; l’Impero Ottomano nel 1611; l’Impero
Mogol nel 1617; Svezia e Danimarca nel 1632; la Russia
nel 1634; Napoli nel 1637; la Sicilia nel 1640; la Cina nel
1642; gli Stati della Chiesa sempre nel 1642.
medesima erba molto frammischiate ed inviluppate, ricevendo in tal modo il vapore del fumo due
tre ed anche più volte fino a che non cadono in un
sopore e dimorano distesi per terra perdendo il
sentimento, e restano per lungo tempo addormentati di un sonno grave e pesante; e quelli che non
possono avere questi piccoli bastoni fanno uso di
un tubo con una cannella di rosa, a mezzo del quale istrumento aspirano questo profumo detto tabacco.
Come si vede, la voce tabago o tabacco è conosciuta molto avanti dell’Isola che più tardi prese il
consimile nome, e per conseguenza è più probabile che il nome Spagnuolo fosse preso dall’istrumento o dalla materia di cui i naturali si servivano
per fumare.
Riguardo a quest’ultimo governo si fa riferimento alla Bolla di Papa Urbano VIII che puniva con scomunica chi avesse l’ardire di prendere tabacco, in qualsiasi
modo, nelle chiese. Questa scomunica fu rinnovata
con Papa Innocenzo X nel 1650; nel 1681 da Papa Innocenzo XI e nel 1690 da Papa Innocenzo XII, ma Benedetto XIII, lui stesso grande tabaccone, nel 1724 revocò
le scomuniche.
LA RIVISTA DEL FURORE
GIOVA GRANDEMENTE
ALLA SALUTE MENTALE
DEI SUOI LETTORI
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2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Nicotiana tabacum
B
IL TABACCO NEI LIBRI
enché, come abbiamo visto, il tabacco abbia
fatto la sua comparsa in Europa fin dal 1510
con Cortes, occorre attendere il 1564 perché
esso venga descritto in maniera esauriente. In alcune
rappresentazioni precedenti da parte di Dodœns (1554)
e Mattioli (1563) il tabacco appare tra le solanacee sotto
forma di un misterioso ed indefinito giusquiamo.
Il primo autore è quindi il medico e agronomo francese Jean Liébault nato a Digione nel 1535 e morto a Parigi il 21 giugno del 1596. Nel suo Agriculture et Maison
Rustique edito dal suocero stampatore Charles Estienne nel 1564 e più volte ristampato fino al 1570 dedica,
per primo, un lungo capitolo al tabacco. Lo definisce:
«la prima tra le erbe medicinali a motivo delle sue virtù
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
uniche e quasi divine». Descrive la Nicotiana Rustica L.
considerata come un petum femminile, opponendola
alla Nicotiana Tabacum da lui definita maschile. Conoscendo Nicot sarà lui che proporrà di chiamarla nicotiana in onore di colui che per primo l’aveva introdotta
in Francia.
Nel 1569, Mathias L’Obel (1568-1616) e il suo collaboratore Pierre Pena (1520/35-1600/05) pubblicheranno
un’importante opera di botanica e medicina: Stirpium
Adversaria Nova nella quale definiranno il tabacco:
«Indorum Sana Sancta Sive Nicotiana Gallorum».
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giuseppe maria gottardi
Nel 1571 Nicolò Monardes di Siviglia (1500-1578)
pubblicò un’opera dal titolo: Secunda Parte de las Cosas
que traen de las Indias nella quale fece sintesi delle conoscenze e leggende sul tabacco. Al già ricco catalogo
del Liebault, Monardes aggiunse: «i morsi velenosi, le
affezioni di petto di qualsivoglia natura, la cefalea, le tumefazioni, il reumatismo, il male di denti, i raffreddamenti, le congestioni, i mali di ventre, la stitichezza, i calcoli renali ecc.», in verità, tutte le malattie in cui il freddo fosse ritenuto la causa primaria. Per quanto riguarda il tabacco, questo libro divenne il punto di riferimento per i medici che parteggiavano per il tabacco e
per tutti gli altri botanici o medici che scriveranno sul
tabacco nel XVI e XVII secolo.
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Jacques Gohory [alias Orlande de Suave o Leo Suavius], nato a Parigi il 20 gennaio 1520 ed ivi morto il 15
marzo 1576, fu il primo a dedicare un testo esclusivamente al tabacco. Nella sua opera Instructions sur l’Herbe Petum dite en France l’Herbe de la Reyne, ou Medicée
propose di abbandonare il nome di Nicotiana e di sostituirlo con quello di Medicea in onore della Regina
Caterina.
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Nicotiana tabacum
La prima importante monografia sul tabacco venne
alla luce a Leyda nel 1622 grazie all’impegno di Johannum Néander (1596-1630) di Brema. Quest’opera mostrò per la prima volta tre tavole nelle quali si vedevano
degli Indiani d’America al lavoro in una piantagione di
tabacco europea.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
Ma ormai i tempi sono maturi e le conoscenze botaniche vanno facendo consistenti progressi.
Un’opera capitale nella storia della botanica è quella
del francese Joseph Pitton de Tournefort (1656-1708)
nato ad Aix-en-Provence. I suoi Eléments de Botanique
ou Méthode pour connaître les plantes sono il primo
esempio di classificazione metodica che aprirà la strada al grande Linneo. Per il tabacco egli classifica tre sole specie.
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giuseppe maria gottardi
Dopo la confusione del XVI secolo ed i tentativi di
classificazione del Tournefort, un anno prima della
morte di quest’ultimo, il 23 maggio 1707, nasce a
Råschult in Svezia Carl Nilsson Linnaeus (1707-1778),
considerato il padre della moderna classificazione
scientifica degli organismi viventi. Infatti la L., posta
spesso a seguire delle indicazioni di nomenclatura binomiale nei cataloghi di specie, identifica il cognome
dello scienziato.
Nel suo testo fondamentale Species Plantarum (Stoccolma, 1753), egli distingue quattro specie nel genere
Nicotiana: Tabacum, Rustica, Paniculata, Glutinosa.
Per la Petunoide si dovrà attendere il 1837.
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La strada era aperta e, a Linneo, succedette lo scozzese Georges Don (1798-1856) che nel 1832 pubblicò il suo
A General system of gardening and botany nel quale
propose una classificazione tassonomica delle specie di
Nicotiana che rimase valido fino al 1954 quando Thomas Harper Goodspeed imporrà la sua speciale classificazione (ancora oggi insuperabile) determinata dai
caratteri morfologici delle specie, dalla loro distribuzione geografica, dai caratteri citologici e dal comportamento dei loro cromosomi. Sarà lui a suddividere il
genere Nicotiana in tre sottogeneri, contando infine
sessanta specie.
È comunque indispensabile ricordare il nostro Orazio Comes (Monopoli, 1848 - Portici, 1917), botanico
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Nicotiana tabacum
sublime, per i suoi studi sulla fitopatologia del tabacco.
Condusse delle sperimentazioni decisive nel Giardino
Botanico di Portici e nell’Istituto Sperimentale dei Tabacchi in provincia di Salerno. Le sue opere sul tabacco
sono celebri: Monographie du genre nicotiana comprenant le classement botanique des tabacs industriels, Napoli 1899; Histoire, géographie, statistique du tabac: son
introduction et son expansion dans tous les pays depuis
son origine jusqu’à la fin du 19. siecle, Napoli 1900.
Infine, non possiamo dimenticare lo splendido lavoro di William Bragge: Bibliotheca Nicotiana; a catalogue of Books About Tobacco ecc., le cui prime sessantun
pagine di bibliografia storica sono un’autentica miniera
d’oro.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
Ai giorni nostri la battaglia contro il tabacco è un fiume in piena. Nessuno, con tute le fascine al cuert, può
pensare di riproporre un uso terapeutico di questa
pianta e nemmeno pensare a suoi possibili benefici. Le
ricerche mediche attuali ne sconsigliano il consumo a
tutti i livelli.
Tuttavia, nel profondo, rimane un unico dubbio: perché Dio o la Natura, a seconda della credenza di ciascuno, ha creato o sviluppato una pianta così buona a
fumarsi?
State in salute… se potete.❧
Giuseppe Maria Gottardi
67
Conversazioni Bibliofile
a cura di Giuseppe Maria Gottardi
G
li otto volumi gia- Non so saziare la brama di aver libri, avvegnaché già me aggiunta l’ ottavo liulteriore opera
cevano separati molti, e forse più del bisogno io ne possegga. Ma avvien bro; un’ in mezzo ad un de’ libri, quello che di tutte le cose: più ti vien fatto cer- del Lemaitre: En Marge
miscuglio eterogeneo di cando trovarne, e più l’ avidità d’ averne altri ti punge: des Vieux Livres non rileromanzi fantasy di varia anzi ne’ libri v’ è alcun che di singolare. L’ oro, l’ argento, le gata ma nella sua preziosa
natura. Erano come dei gemme, le ricche vesti, i marmorei palagi, il terreno ben carta giallina.
pesci fuor d’ acqua. Non colto, le dipinte tele, il bardato corsiero ed altre cose delle
Benché il Lemaitre abera certo quello il loro po- sì fatte dànno un piacere per dir così muto e superficiale: bia raggiunto un suo posto. Erano già miei, appe- i libri ti recano un interno diletto, parlano teco, ti consi- sto nella storia letteraria
na li vidi.
gliano, e a te per certa viva e penetrante familiarità si francese grazie proprio ai
Sei di essi godevano di congiungono. Né di sé stesso soltanto istilla un libro ai suoi studi e ritratti dei
un’ ottima rilegatura che si suoi lettori amicizia, ma i nomi eziandio di altri gli sug- suoi Contemporanei, è
rivelò, grazie alla micro- gerisce, e l’ un dell’ altro ingenera il desiderio.
nell’ ottavo libro che io
1
Francesco Petrarca, vol. III, Lett. XVIII (1325-1374) cercavo materia per i miei
scopica etichetta, opera
della Petite Fusterie Librai- 1 - Francesco Petrarca – Delle cose Familiari libri ventiquattro, Lettere varie pazienti lettori.
Da diverso tempo, inrie H. Robert di Genève. I libro unico, ora la prima volta raccolte e volgarizzate e dichiarate con note da
Giuseppe Fracassetti. Felice Le Monnier, Firenze, 1863, Vol. Primo, p. 460
fatti, avevo incontrato dei
dorsi portavano un cartel- .
riferimenti di questo aulo in pelle con scritte dorate: j. lemaitre – les contemporins. contenevano l’ opera omnia, appar- tore alla bibliofilia, ma non mi era
Il settimo, giustificato dal fatto di sa in vita di Jules Lemaitre – Les stato possibile rintracciarne il testo.
Ed ora eccolo qua, ma, prima di
essere uscito in edizione tre anni do- Contemporains. Études et portraits
po, era a sua volta rilegato ma di ben littéraires il grande accademico presentarvelo è necessario fare una
altra fattura pur mostrando un mal- francese e tutte, come possiamo os- piccola premessa.
Nei primi nove numeri della nodestro tentativo di copiare i fratelli, ed servare, avevano le scritte sul carstra bellissima Rivista (ma si accetil cartello di colore diverso riportava: tello sbagliate.
Per il prezzo di sette euro, che mi tano anche opinioni discordanti)
lemaitre – les contemporans.
Tutte e sette queste rilegature guardai bene dal discutere, ebbi co- abbiamo sempre presentato qualsiGiuseppe Maria Gottardi
J. Lemaitre, Les vieux Livres
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2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
conversazioni bibliofile
asi testo straniero con la sua traduzione.
Qualcuno però (abbiamo ricevuto qualche
osservazione in merito) ha avanzato l’ obiezione che non è sempre utile averla e che
forse, laddove essa non presenti grosse difficoltà (per esempio un testo in lingua urdu), sarebbe forse più bello lasciare spazio
alle conoscenze linguistiche dei nostri esimi lettori.
Per questo motivo l’ articolo del Lemaitre
viene presentato nella sua lingua originale.
Tuttavia, qualsiasi richiesta, scritta o per email che ne richieda la traduzione, verrà evasa dalla Redazione.❧
Giuseppe Maria Gottardi
François Élie Jules Lemaitre, nato a Vennecy il 27 aprile 1853 e morto a Tavers il 5 agosto 1914, fu scrittore e
critico drammatico francese. Professore di Retorica al liceo di Havre,
conferenziere alla Scuola superiore
di Algeri nel 1880, incaricato di letteratura francese alla Facoltà di Lettere di Besançon nel 1882 e professore in quella di Grenoble nel 1883.
Collaboratore della “Revue bleue” e
del “Temps”, si fece un nome come
critico drammatico nel “Journal des
Débats”. Le sue critiche vennero raccolte ne: Le Contemporains (7 serie: 1886-1899) e nelle Impressions
de théâtre (10 serie, 1888-1898). Nel
1884 rinunciò all’ insegnamento per
consacrarsi in toto alla letteratura.
Venne eletto all’ Académie française il
20 giugno 1895.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
jules lemaitre
Les vieux Livres
Lecture faite à l’ Académie française
Messieurs,
Il me semble que tous les collectionneurs – à moins que l’ objet de
leur manie ne soit décidément absurde – sont respectables à quelque degré. Ils combattent et retardent, sur un point, l’ universelle et
inévitable destruction. Ils sauvent et conservent du passé, et du passé choisi.
Mais j’ estime que, parmi eux, celui qui s’ attache aux vieux livres
est particulièrement bien inspiré. Car il ne conserve pas seulement,
comme les autres collectionneurs, un objet, d’ art (c’ est ici la reliure
qui, si elle est belle, est œuvre de l’ esprit autant que de la main): il
conserve encore ce qui fut, par la lettre imprimée, l’ expression directe de l’ esprit. Il lui arrive même, par l’ heureuse réunion de ces
trois choses; vieille reliure armoriée, texte important, provenance illustre, de posséder et de sauvegarder des fragments d’ histoire triplement vivante.
Il y a quelques années, passa dans une vente l’ exemplaire, aux armes de Richelieu et annoté par lui, des Sentiments de l’ Académie
sur le Cid; une autre fois, ce fut l’ exemplaire d’ Esther offert par Racine à Mme de Maintenon, avec dédicace autographe. Oh! Ne dites
pas: «Qu’ est-ce que cela nous fait?» Quelle âme bien située et, par
conséquent, respectueuse de l’ Académie, quelle âme amoreuse de
Racine et intéressée par la jolie aventure de Saint-Cyr resterait froide devant ces deux livres, en songeant à qui ils ont appartenu, par
qui ils ont été offerts, par qui ils ont été feuilletés, et quelle main, se
posant sur leurs pages; conduisit la plume d’ oie dont ils ont entendu le petit cri et senti l’ égratignure, il y a deux cent soixante-dix et
deux cent vingt ans?
Mais ce sont là joyaux exceptionnels pour amateurs opulents. Il
est des trésors plus accessibles et qui ont encore leur charme: par
exemple, un bon vieux livre classique; contemporain de l’ auteur; en
bonne condition, avec del bonnnes marges et reliure du temps, en
maroquin s’ il se peut.
Certes, je ne dis pas de mal des splendides reliures d’ aujourd’ hui.
Elles sont extrêmement ingénieuses. Ce sont parfois de vrais
69
conversazioni bibliofile
petits tableaux en mosaïque. On y met des lis, des iris, des
chardons, des profils de femmes et des têtes de morts.
L’ exécution est plus parfaite qu’ elle ne fut jamais. Même
quand le décor ne consiste qu’ en filets, fers ou plaques, cela
est d’ une netteté, d’ une exactitude à laquelle les doreurs de
jadis n’ atteignaient point.
Mais, le dirai-je? Une des choses qui me touchent dans
les beaux dessins des antiques reliures, c’ est que jamais ils
ne sont d’ une géométrie irréprochable; toujours quelque
tremblement ou quelque hésitation des lignes nous rappelle et nous rend présente la main vivante et mobile de
l’ ouvrier qui les exécuta. Joignez que le temps assourdit
délicieusement les ors et qu’ il donne aux peaux, surtout
aux rouges et aux vertes, des tons d’ une douceur, d’ une richesse, d’ une somptuosité à demi éteinte, d’ un fondu et, si
je puis dire, d’ une onction que nul artifice ne saurait imiter.
Et ce n’ est pas tout: le contenu de ces vieux livres y semble bien meilleur que dans une réimpression moderne. Je
songe surtout, ici, à certains textes du second rang, qui sont
curieux, qui ont jadis paru beaux, qui ont encore leur prix,
mais dont la lecture, dans une édition d’ aujourd’ hui, est
tout de même un peu laborieuse. Eh bien, lisez-les dans un
volume, sur du papier et dans des caractères qui leur soient
contemporains, la lecture, vous en deviendra facile. Ce sera comme si l’ aspect et le toucher du vieux livre vous inclinait à l’ état d’ esprit des ancêtres pour qui ces moralités et
ces histoires furent écrites. Les locutions aujourd’ hui vieillies vous surprendront moins, et vous entrerez plus
aisément dans le genre d’ affectation ou de pédantisme propre au temps où ce bouquin vénérable fut imprimé. J’ irai
plus loin: je crois que les grands écrivains eux-mêmes gagnent à être lus dans une édition de leur âge.
Que sera-ce dans la première édition, dans l’ édition originale!
Ici, un homme sensé pourra dire: «Je comprends que
l’ on recherche les vieilles reliures au même titre que les
vieilles assiettes. Avec les vieilles reliures, d’ ailleurs, on fait
de très jolis buvàrds… Mais qu’ est-ce qu’ une édition originale a de si excitant? En quoi la première édition d’ un
70
ouvrage classique diffère-t-elle de la deuxieme et des suivantes, sinon par une date sur le titre? Et cette différence
justifie-t-elle des écarts de prix qui vont comunément à
quelque centaines d’ écus?»
Ah! Messieurs, que voilà des propos superficiels! J’ espère
pour vous que, si vous aviez entre les mains l’ édition originale du Cid, d’ Andromaque ou de l’ École des femmes,
vous sentiriez bien autrement. A coup sûr, vous entreriez
en méditation et vous vous diriez:
– Ainsi, les caractères imprimés sur ce papier jauni sont
les premiers, – les premiers! – qui aient traduit aux yeux tel
chef-d’ œuvre du génie humain. Ils sont les premiers où
Corneille; Racine, Molière, aient reconnu leur pensee devenue visible, et détachée d’ eux-mêmes. Auparavant, ces
œuvres n’ existaient que sur des feuilles manuscrites disparues et sous le front de leurs auteurs. J’ en tiens dans mes
mains la première expression matérielle, publique et durable. J’ assiste, pour ainsi parler, à leur naissance, qui fut un
moment auguste de l’ histoire littéraire.
Ah! Ces yieux feuillets sont pleins de vie… Le veille, on
ne les connaissait pas… Un jour, ils ont paru tout à coup,
sous leur modeste et solide habit de veau ou de vélin; dans
la boutique de Bárbin, au Signe de la Croix; ou de Ribeu, à
l’ Image saint-Louis, sur le perron de la Sainte-Chapelle. Tel
bourgeois plein de prud’ homie, tel gentilhomme oui telle
dame, – habillés comme on les voit encore aujourd’ hui
dans les pieces du repertoire, – ont aperçu à l’ étalage le volume tout neuf et l’ ont acheté trente sols. Mme Sévigné peutêtre ou Mme de Lafayette l’ a fait demander par son laquais,
ou bien, passant par là, est descendue de sa chaise ou de
son carrosse et, après avoir échangé avec Barbin quelques
phrases obligeantes, elle a acheté elle-même son exemplaire, – un exemplaire pareil à celui que je tiens, celui-là même
peut être, – et remontée dans sa voiture, elle s’ est mise à le
feuilleter, en attendant la fin d’ un de ces embarras de rues
décrits par Despréaux…
Mais, Messieurs, à une âme véritablement éprise, l’ édition originale vulgaire ne suffit encore pas. Jadis, vous le savez, l’ impression d’ un ouvrage, même de proportions
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
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modiqués, durait généralement de longs mois. On n’ était
pas pressé. Les ouvriers imprimeurs étaient, pour la plupart, assez ignorants. En outre, les auteurs n’ étaient pas très
attentifs à la correction de leurs épreuves, ou même s’ en remettaient à leur libraire. On tirait d’ abord quelques exemplaires. L’ auteur y jetait les yeux, et y découvrait des fautes,
qu’ il faisait corriger dans le reste du tirage.
Vous direz: «Ces exemplaires corrigés valaient donc
mieux, et ce sont ceux-là qu’ il faut avoir.» Et vous répéterez
de faciles railleries sur l’ amateur qui achète à prix d’ or,
quand il peut le rencontrer, l’ exemplaire avant les cartons,
«l’ exemplaire avec la faute.»
Messieurs, la manie de cet amateur n’ est peut-être pas si
absurde. Il se dit que trouver et tenir l’ exemplaire fautif, qui
est vraiment le premier, c’ est faire une petite conquête de
plus sur le passé, c’ est se rapprocher encore un peu de
l’ heure émouvante où la pensée de l’ auteur s’ est exprimée
pour la première fois par des signes typographiques.
Et je ne parle point des cas où des corrections et des suppressions importantes et significatives ont été faites en
cours de tirage, si bien que les exemplaires tirés d’ abord
sont réellement beaucoup plus intéressants que les autres,
– comme il est arrivé, par exemple, pour les Pensées de Pascal ou pour le Don Juan de Molière. Ici, mon amateur
d’ exemplaires avant les cartons n’ a presque plus besoin
d’ être justifié.
Mais l’ homme sensé reprendra: «Ces textes primitifs et
complets, vous les trouverez à moins de frais dans quelque
édition moderne. Vos plaisirs, en somme, sont plaisirs de
pure imagination.»
Assurement; mais vous m’ accorderez qu’ ils sont innocents, et qu’ ils ont même leur noblesse. Ils impliquent certains sentiments ou certaines dispositions fort louables: respect, curiosité, don de sympathie. Et, si ce sont plaisirs
d’ imagination, celui qui se les crée est donc, lui aussi, à son
rang, un modeste inventeur de voluptés chastes, une manière de poète.
Et enfin, à supposer que sa manie s’ amortisse un jour, il
ne sera jamais complètement déçu, s’ il prend la peine de
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
lire ce qu’ il a collectionné. Ces bouquins, qu’ il recherchait
principalement à cause de leur date ou de leur habit, ce
sont des livres dont le texte vaut par lui-même: et ainsi la
collection rare pourra bien être, par surcroît, la plus substantielle des bibliothèques.
Je ne veux pas donner dans ce paradoxe banal, que les
derniers venus n’ ont rien trouvé de nouveau, et que tout a
été dit depuis qu’ il y a des hommes. Il est toujours vrai que
tout a été dit: mais ce n’ est jamais tout à fait vrai. Il est possible que plusieurs écrivains du XIX° siècle aient été d’ une
intelligence plus souple et plus étendue que les classiques,
et il est possible que certains autres aient eu une sensibilité
plus affinée. Je crois, en tous cas, qu’ ils ont singulièrement
développé, enrichi et nuancé le contenu des livres d’ autrefois… Mais il demeure fort probable qu’ avec Corneille, Racine, Molière, La Fontaine, avec Rabelais, Montaigne, Descartes, Pascal, Bossuet, La Bruyère, on a déjà toutes les remarques essentielles sur la nature humaine, sur l’ homme
religieux, l’ homme politique, l’ homme social. Et il faut
avouer que ces réflexions, ces peintures, même ces lieux
communs, ayant rencontré là, pour la première fois, une
expression à peu près parfaite, gardent une fleur, une saveur, une plénitude, une grâce ou une force qu’ on n’ a guère
retrouvées depuis. Il n’ est donc pas déshonorant de s’ en
contenter, et il est, au surplus, délicieux d’ y revenir par le
plus long, j’ entends après avoir joui des enrichissements
ajoutés par les âges récents à ce trésor primitif et essentiel.
Et alors c’ est une volupté complète de goûter, dans les
dessins et les tons de la reliure que tant de mains ont maniée et polie, dans la couleur et le grain du papier, dans la
date du privilège du roi, dans la forme des caractères typographiques, dans les sentiments ou les pensées que ces caractères expriment aux yeux, dans le tour même et l’ accent
de ces pensées et de ces sentiments, – et dans tout cela à la
fois, – le charme mystérieux du passé.
71
Libro chiama libro
a cura di David Cerri
C
ome molti dei nostri lettori –
almeno così mi immagino –
anche chi scrive è un appassionato bibliofilo; non nel senso che
dedichi molto tempo e un bel po’ di
denaro (difettando l’ uno e l’ altro) alla
sua passione, ma ingegnandosi di
trarre il massimo profitto da quelle
occasioni di “affari” che possono capitare: insomma un bibliofilo a buon
mercato. “Affari” questi, beninteso,
non in termini economici, trattandosi di transazioni che per principio
non devono superare qualche diecina
di euro (altrimenti che gusto c’ è), ma
per la peculiarità della scoperta e l’ interesse dell’ oggetto.
Si potrebbe già qui obiettare sulla
definizione di un libro come oggetto,
ma tant’ è, certamente non intendo
diminuirne l’ importanza, ma semplificare le cose. Capita allora di trovarsi
in giro, soprattutto in vacanza, quando la mente è più libera e vi è maggiore possibilità di perder tempo impolverandosi nella disagevole consultazione di scaffali; e, date le mie preferenze (e la capacità che mi attribuisco
senza modestia di ben comprendere
la lingua inglese scritta), la vacanza è
spesso nel Regno Unito, ed è lì che ho
avuto le maggiori soddisfazioni.
Da molti anni frequento con una
certa assiduità Londra, ed in particolare il quartiere di Chelsea, dove posso godere con la famiglia dell’ amichevole disponibilità di un alloggio
per brevi soggiorni, e camminando
camminando per quelle strade calme
e pulite (e siamo ad un passo dal centro città), costeggiando quelle case
dove apparentemente (quasi) a nessun architetto contemporaneo è venuto in mente di inserire sue creazioni multipiano accanto a bassi edifici
del ‘ 700 (si capisce la mia anglofilia,
vero?), già parecchio tempo fa ho
scoperto uno di quei posticini da non
consigliare agli amici, per paura che
diffondano troppo la voce. Quasi in
fondo a King’ s Road (a World’ s End,
appunto) c’ è dunque questa piccola
libreria di libri di seconda mano (tanti) e di antiquariato (meno), con il
suo bravo settore di prime edizioni.
Dalle prime visite, devo dire, il fasci-
no è un pochino scemato, e solo perché l’ attività si è ammodernata; ha il
suo sito internet, e soprattutto è più
pulita ed ordinata, indubbiamente
gravi difetti per chi ama l’ odore della
carta invecchiata e dei volumi polverosi.
Qualche scoperta di questi anni: la
prima edizione U.S.A. (1950) di The
Family Moskat di Isaac Bashevis Singer; quella inglese (1959) della trilogia di Samuel Beckett Molloy-Malone
Dies - The Unnamable; quella dei racconti di Sean O’ Faolain The Heat of
the Sun (1966); Two lives di Vikhram
Seth (2005); anche comics, come l’ insuperabile antologia di The Far Side
di Gary Larson. Così, insomma, ogni
visita a Londra deve concludersi (non
iniziarsi, perché c’ è di mezzo il desiderio sicuramente infantile di lasciarsi le cose migliori per ultime) con una
passeggiata su King’ s Road, dopo essersi lasciati un po’ di spazio nelle valigie (rigorosamente sottoposte al regime delle compagnie low cost, quindi ai minimi termini; e c’ è da considerare che quasi sempre sono già o-
A Cheap Bibliophile
*
72
David Cerri
* Un bibliofilo a buon mercato
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
libro chiama libro
berate da almeno una prima edizione
firmata dall’ Autore di un’ opera di
narrativa contemporanea appena uscita, che una libreria –dal 1797– come Hatchard’ s offre immancabilmente in Piccadilly: tra le mie ultime
scelte Pulse e The Sense of an Ending
di Julian Barnes, Solar di Ian McEwan, A Man of Parts di David Lodge).
In quel buchetto non c’ è solo narrativa, ma anche antiche enciclopedie,
libri di storia, cinema, religione,
grammatica e lingua in genere; tutto
ciò spesso è occasione per consolidare la mia predilezione per quella civiltà (che senz’ altro sbaglio ad idealizzare, ma che ci volete fare…).
Come quando nel settore Reference
ho trovato un volumetto del ’54, che
riuniva due opere esemplari di Sir Ernest Gowers, Plain Words e The ABC
of Plain Words, sotto il titolo della prima1. Magari tornerò altrove su questo
tipo di opere, ma – parlando prima
dell’ Autore – diciamo anche qui che
Sir Gowers è un esempio di grand
commis di Stato, integerrimo servitore della Regina in diversi campi
dell’ attività pubblica (per dirne solo
due, durante la seconda guerra mondiale fu commissario regionale per la
difesa civile per la zona di Londra, e
successivamente presidente della
commissione reale sulla pena di morte, esperienza dalla quale trasse un’ opera lodata nientemeno che da
H.L.A. Hart che, per chi non lo conoscesse, è stato uno dei più grandi filosofi del diritto del secolo scorso).
1 - E. Gowers, The Complete Plain Words,
London, Her Majesty’ s Stationery Office, 1954.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
Il motivo del mio particolare apprezzamento consiste nel constatare
come quantomeno sin dagli anni
Quaranta in Gran Bretagna fosse ben
presente la necessità che il linguaggio
dell’ amministrazione pubblica fosse
plain, cioè semplice, comprensibile a
tutti; perché l’ opera è diretta proprio
agli officials, ai funzionari pubblici,
affinché nella loro attività si esprimano in termini immediatamente disponibili agli interlocutori, utilizzando la lingua inglese scritta come “uno
strumento del proprio ufficio”. E a dire
il vero, non è al Novecento che si deve far risalire questa consapevolezza,
ma a molto prima: Gowers pone ad
epigrafe una citazione da un testo
della seconda metà del Seicento, secondo la quale “Come se le parole
semplici, utili e comprensibili istruzioni, non fossero altrettanto buone per
l’ esquire, o per chi avesse ricevuto in
incarico dal re, così come per chi regge
l’ aratro”.
Se non è spirito democratico questo, cos’ altro? Lo scopo dell’ opera è
chiaramente espresso dall’ autore nella prefazione quando premette che
essa non ha la pretesa di essere una
grammatica della lingua inglese, ma
di indirizzare “la scelta e la composizione delle parole in un modo tale da
trasferire quanto più esattamente possibile un’ idea da una mente ad un’ altra”.
Si capirà bene quale interesse tali
affermazioni possano rivestire per
chi è un giurista, ed un giurista pratico; e del resto l’ ambito entro il quale si
muove l’ opera è il medesimo, tanto
che un capitolo – sia pure in forma di
digressione – è dedicato proprio al
Legal English, e contiene molte interessanti osservazioni, come quella
sulla distinzione tra il linguaggio degli atti legislativi od amministrativi e
quello dei consulenti legali privati. Il
primo è infatti dettato dalla necessità
di evitare ogni ambiguità, e quindi
può apparire più pedante, ripetitivo,
perché il suo scopo è proprio quello
di immaginare “ogni possibile combinazione di circostanze alle quali le sue
parole possano applicarsi ed ogni concepibile errata interpretazione che potesse derivarne, e di prendere quindi ogni conseguente precauzione”. Alla base di tutto c’ è la considerazione che
“le parole sono uno strumento imperfetto per esprimere concetti complicati
con certezza” e che quindi ogni sforzo
va impiegato nella direzione di ottenere chiarezza.
Un altro grande inglese – John Locke – aveva dedicato una parte del
suo “Trattato sull’ intelletto umano”
giusto all’ “abuso delle parole”, nel
quale si devono probabilmente trovare le radici delle posizioni di Gowers:
così quando scrive che “essendo il
principale scopo del linguaggio nella
comunicazione quello di essere compreso, le parole non funzionano bene a
quel fine… quando una parola non
suscita nell’ ascoltatore la stessa idea
presente nella mente di chi parla”2.
Non sono banalità: tutto quanto ho
scritto poco sopra avrà sicuramente
2 - J. Locke, Of the Abuse of Words, estratto da
An Essay Concerning Human Understanding
(1689), London, Penguin Books, 2009.
73
libro chiama libro
suscitato nel lettore un impietoso
confronto con la nostra realtà (e probabilmente oggi anche un lettore inglese farebbe analoghe considerazioni sul rispettivo stato della cosa pubblica). Nonostante qualche ammirevole sforzo (come le periodiche circolari, ed i manuali, anche regionali,
sulle tecniche di redazione degli atti
legislativi) né il nostro legislatore, né
la nostra magistratura, né gli avvocati (che però, sia detto contemporaneamente a loro merito e disdoro, talvolta sono consapevoli di voler semplicemente confondere le acque) riescono nella maggior parte dei casi a
farsi capire contemporaneamente
dall’ inviato del re e dal contadino. È
vero che non si può semplificare ciò
che semplificabile non è (quante controversie comportano l’ uso di linguaggi strettamente giuridici di settore, o più propriamente tecnici), però
che almeno si crei la consapevolezza
che chiarezza (e concisione) siano elementi strutturali ed essenziali del
linguaggio giuridico dovrebbe essere
presente a chiunque si avvia ad una
delle professioni forensi (includendovi quella del redattore delle leggi,
che poi spesso è di fatto un magistrato od un avvocato); ma così non è, a
partire dalle aule universitarie per
proseguire fino alla pratica professionale, ed anche se le categorie stanno
74
cercando di porre rimedio a queste
lacune.
Perdonata la digressione sulla digressione, torno per concludere alle
speranzose ricerche dell’ “occasione”
che giustifichi il rischio che al check in
aeroportuale si accorgano del sovrappeso; ebbene quest’ estate ho aggiunto un nuovo gioiello alla mia collezione di librai dell’ usato: un altro piccolo antro, sotto il castello di Edimburgo, sulla West Port nella città vecchia,
che ha meritato il soprannome di
Soho per la combinazione di vecchie
librerie e locali di striptease (una libreria porta a porta con un club di
lap dancing reca in vetrina questo slogan “per sole 2 sterline e mezzo un libro ti siederà in grembo [lap] per tutta la notte”), e che ospita dal 2008 il
West Port Book Festival.
Vale la pena di citare qualche riga
della presentazione sul sito internet,
che mette in guardia il visitatore dai
molteplici pericoli che vi si annidano:
dagli scaffali sovraccarichi che si lamentano “come alberi di una nave a
vela durante la tempesta”, ai tappeti
consunti e “quasi-orientali” che possono ingannare l’ occhio (e il piede),
fino al devastante calore che può far
generare fenomeni di combustione
spontanea dei libri in vetrina sotto il
“torrido sole scozzese” (fenomeno
che probabilmente, considerate le or-
dinarie condizioni climatiche di quei
luoghi, l’ appassionato proprietario
più che scongiurare, evoca…). In una
brevissima incursione, dopo una faticosa giornata turistica, mi è stato
possibile soltanto reperire – nel solito
settore – un volumetto titolato The
Book of Ignorance3, dedicato a sfatare
una serie di luoghi comuni e verità
consolidate con semplici notazioni
scientifiche, in quello spirito un po’ eccentrico tipico degli inglesi, e notare l’ arguzia dei numerosi post-it appiccicati dal libraio sui volumi, con i
suoi personali commenti; e, successivamente, lasciarmi andare ad un accorato rimpianto per aver seguito il
saggio consiglio della coscienza (che
aveva comparato l’ ormai scarso peso
del portafoglio con quello notevolissimo della valigia che mi aspettava
l’ indomani) di non acquistare una
prima edizione rilegata dell’ ultimo
romanzo di Zadie Smith, N.W., con
tanto di lunga dedica dell’ Autrice a
tale Helen (il cui nome sia consegnato ad eterna ignominia per essersi rivenduta l’ opera così affettuosamente
consegnata).
Ma, non amo che le rose che non
colsi, no?❧
David Cerri
3 - J. Lloyd-J. Mitchinson, The Book of
Ignorance, London, Faber and Faber, 2006.
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Rinvenimenti
a cura di Stefano Tonietto
Tra le innumerevoli divinità del pantheon romano, singolare è certamente Eiectatio (per i Greci Σφιγή), la dea dello
“iettare”, gettare il malocchio su qualcosa o qualcuno. Nume temuto, cui si sacrificavano chiodi di ferro, rametti di
corallo rosso e genitali di ariete, ma che ha lasciato scarsissime tracce nella letteratura latina, per l’ ovvia tendenza a
non nominarla esplicitamente. Tanto colpisce l’audacia di questo poeta visionario che osò sfidare la mentalità comune, portando agli uomini l’audace messaggio razionalistico e antisuperstizioso della filosofia: la sfortuna non è frutto di malevolenza umana, come predicavano le caste sacerdotali, ma è connaturata alle cose, “nulla nasce dal nulla,
solo la jella riesce a nascere dal nulla”.
“L
a cosiddetta questione omerica appare
come una banale
sciarada da ‘ Pagina della Sfinge’ di
fronte all’ enigma rappresentato da
quest’ opera”. Così Raurich von Wilamowitz-Peppermint7, primo editore del De rerum iactura, sconcertato anch’ egli, nella sua teutonica
razionalità, dalla massa veramente
enorme di ostacoli che questo classico minore della poesia didascalica frappone alla comprensione da
parte del lettore moderno.
La prima delle incertezze relative
a questo testo pertiene all’ identità
dell’ autore. I principali codici8 re7 - Incerti Auctoris De Rerum Iactura libri qui
supersunt, ed. Raurichus von WilamowitzPeppermint, in aedibus Teubnerii, Lipsiae
18997.
8 - Il Mediceus 564 del sec. X (M), così chiamato perché appartenuto alla biblioteca del medico condotto di Campolongo Parmense, e il
Kenyanus 112/B (K) altresì detto Oblongus per-
cano la seguente intestazione: Incerti auctoris de rerum iactura liber
I infel(iciter) incipit. Elementi interni al testo che rivelino qualcosa di
più non ve ne sono. Si aggiunga che
l’ opera non è citata in modo esplicito da alcun autore precedente ad
Isidoro di Siviglia (VII sec.), il quale, dal canto suo, si guarda bene dal
citarla in modo esplicito. Dobbiamo dunque rassegnarci ad utilizzare fonti tarde, la principale delle
quali è una glossa umanistica a
margine di un volgarizzamento
duecentesco di un’ epitome redatta
attorno al Mille del sunto d’ età ottoniana d’ una traduzione longobarda degli indici del Chronicon
breviarium di Tecnezio (circa 550
d.C.). Il testo, noto anche come Vita Cotidiana, dal nome dell’ umaniché scoperto dallo studioso Mbongu Oblongu
nell’ abbazia cistercense di Nairobi.
sta olandese Willelmus Cotidius o
Quotidius che la trascrisse nel 1502,
prima della distruzione causa un
incendio del volgarizzamento di
cui sopra, è il seguente9:
Incertus Auctor poeta nascitur,
qui postea re familiari amissa, relictus ab uxore, invisus principi, propria se manu interficere non potuti.
(Nasce il poeta Incerto Autore, il
quale in seguito, avendo perso il
patrimonio familiare, essendo stato lasciato dalla moglie, risultando
odioso all’ imperatore, non riuscì
ad uccidersi di propria mano.)
Avremmo così il nome del poeta,
Incerto Autore10, e alcuni dati relati9 - Corpus glossariorum aetatis humanisticae,
MMCCXXXIV, 23.786.
10 - Vale appena la pena di menzionare le recenti teorie del Babbalucci (“Excerpta Philologica”,
XXI (2003), pp. 3-6), il quale, mosso da eccessi-
Stefano Tonietto
Incerto Autore, De rerum iactura
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
75
rinvenimenti
identificare il princeps cui Incerto sarebbe stato inviso,
ma con scarsi risultati7.
Gens e famiglia di Incerto sono ignote, a meno di
non voler dare retta ad una notizia di Escremenzio (De
vitiis illustribus) secondo cui il padre sarebbe stato un
Ignotus Miles e la madre una certa Certa (mater semper
Certa est…, XII, 34).
Il testo del poema non fornisce
chiare indicazioni circa la patria
dell’ autore8; si può invece dedurne
il livello culturale (bedauerlich, secondo lo Heinsius).
Evidente è comunque l’ influsso
ideologico che sul poeta ebbe la
scuola filosofica di Dannunzio, lo
Stocasticismo, che divinizzava l’ Atychia (sfortuna) ed in polemica con il
materialismo epicureo sosteneva
che “gli dèi esistono, poiché ce l’ hanno con noi” (fr. 2 Diels-Krantz).
Pur senza nominarlo, anzi, Incerto Autore riteneva Dannunzio il
proprio maestro, elogiandolo quale
genio imperituro anche per i dettagli più bizzarri della sua vita privata,
quale l’ uso di dormire in una bara
(feretro recubans in acerbo, I, 143).
Scarse le notizie sulla vita del poeta, ancor più scarse quelle relative
alla morte: sappiamo solo che, fedele fino all’ estremo al suo fato,
L’unica imagine rimasta di Incerto Autore. La notevole somiglianza con il poeta
egli non riuscì nemmeno nel suiciAngustus (vedi “Rinvenimenti” sul n. 8 della RdF) è dovuta all’usanza dell’ epoca di ridio, ultima soddisfazione di un
ciclare busti di personaggi non più di moda cancellandone il nome e sostituendolo con
quello del nuovo acquirente. La scultura infatti doveva “non imitare il reale ma raffiguperseguitato dalla mala sorte quale
rarne l’ essenza spirituale”.
egli, certamente, fu.❧
vi alla sua biografia; dati che, nel loro insieme e singolarmente, non escludono, anzi, inducono fortemente a
sospettare che si tratti proprio dell’ autore del De rerum
iactura.
Purtroppo il dato cronologico è carente, in quanto
non sappiamo a quale anno della cronaca tecneziana
fosse stata apposta la glossa in questione. Si è tentato di
Stefano Tonietto
vo ed anzi infantile entusiasmo, vorrebbe attribuire ad Incerto Autore testi
latini come l’ Octavia del corpus tragico senecano o greci come il Reso
pseudoeuripideo e il trattato anonimo Del sublime.
76
7 - Valgimigli pensava a Caligola, notoriamente superstizioso e dunque
portato a considerare Incerto un vero menagramo.
8 - Estremamente dubbia è l’ interpretazione dei celebri versi dal proemio
al libro II: Padua me genuit, sum Patavinus, Patavi / nascor, Patava urbs
Medoaci ad arva me dedit (II, 13-4).
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
rinvenimenti
Breve antologia del De rerum iactura
Il poema consta di tre libri in esametri; risulta
quindi ben lontano dalle ambiziose intenzioni
dell’ autore (triginta volumina pandi, I, 43). Si aggiunga che anche dei tre libri superstiti sopravvivono appena singoli frammenti non collegati tra
di loro7, e si avrà il quadro di un’ opera perseguitata dalla mala sorte.
Il proemio del primo libro enuncia solennemente quale sarà l’ ardua materia del canto:
Magna sed ingeniis tam formidata maiorum
ut latuere diu, nec dicere fertur adhuc fas,
ecce, insane, canam animo linguaque furenti,
spretus omen, nomen fati: iuvat ire per atra. (I, 1-4)8
(Cose grandi, ma tanto temute dagli ingegni degli avi che a lungo rimasero nascoste, e che nemmeno oggi, si dice, è lecito riferire, ecco che io, o pazzo che sono, canterò con animo e linguag-
Un’ opera del genere va intrapresa col massimo
possibile di auspici favorevoli:
tantae molis opus si tempto tempore tali.
Attamen aggredior pede dextro, neque sinistro
(I, 20-21)
(*** se tento un’ opera di tal mole in un periodo del genere.
Tuttavia mi accingo, col piede destro, non col sinistro.)
Doveva seguire la celeberrima dimostrazione
dell’ esistenza degli dèi, cardine del poema: l’ accanimento costante e attento nei confronti dell’ essere umano (attestato da continue e gravi sciagure,
grandi e piccole) è evidentemente dovuto ad un
disegno preordinato di entità superiori onnipotenti. Del complesso ragionamento ci rimane solo
l’ enunciato fondamentale:
gio invasato, sprezzando il presagio e il nome del fato; mi piace
andare per i neri ***)
Esse igitur numen quoddam divosque necessest. (I,
234)
Dopo una lacuna imprecisabile, veniva una ben
strana invocazione agli dèi: in sostanza, Incerto
intona una preghiera alle divinità della sfortuna
affinché… non lo assistano:
(È perciò necessario che esistano una qualche divinità e gli dèi.)
O mala Sors, Iactura, adversaque numina, fata
pessuma, omnia, o, totiens contraria nobis:
carminibus, quaeso, a nostris ite faventes. (I, 13-15)
(Invero siamo sbattuti, innocenti, tra le avversità.)
(O Sorte malvagia, Iattura, Numi avversi, Fati pessimi, insomma, o voi, tutte le cose che ci sono contrarie! Vi prego,
Eppure, l’ umanità è innocente:
Quippe per adversas nos res iactemur inulti. (I, 287)9
Osservare i guai altrui può sembrare piacevole,
ma prima o poi la sciagura toccherà anche al compiaciuto spettatore:
siate favorevoli, e allontanatevi dai miei carmi!)
7 - L’ archetipo da cui entrambi i codici derivano fu appena impostato dall’ amanuense, il quale aveva numerato in via preliminare tutte
le righe di ogni libro, ma si era poi limitato a trascrivere gruppi di
versi staccati, lasciando vistose quanto inemendabili lacune.
Conosciamo dunque la numerazione esatta di ogni verso del testo
frammentario a noi giunto.
8 - Verso 4: cfr. Ovidio, Met., XV, 147; Manilio, I, 13.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
Fluctibu’ Neptuni magna spectare per arva10
vexatas puppes, stans celso in litore, tantum
extra discrimen salvus, quam saepe delector.
At dum intueor, pendentium ecce ruina
9 - Verso giudicato spurio o corrotto dal Blitzkrieg.
10 - Cfr. Livio Andronico, Odusia, fr. 23.
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rinvenimenti
saxorum, pedibus moles prolabitur ingens
et rapidissima me mergit de more sua vi7.
Quos mirabar, nunc inversa vice delecto:
derident rari nantes me in gurgite vasto. (I, 566-573)
Quod male ire potest, ea non bene itura necessest.
(I, 724)
(Quanto spesso mi diletto ad osservare, dall’ alto di un’ eccelsa
La condizione umana, per Incerto, dipende però
anche dal comportamento individuale e collettivo:
scogliera, standomene in salvo, fuori da tanto pericolo, il tra-
(Ciò che può andar male, necessariamente non andrà bene.)
vaglio delle navi tra i flutti sulle grandi distese di Nettuno!
malferme, una gran massa crolla sotto ai miei piedi e in pochi
Iactamus nostri similes nec non iactamur ab illis.
(I, 801)
istanti con la sua violenza mi travolge: come al solito! Ora,
(Infliggiamo travagli ai nostri simili e ne riceviamo da loro.)
Ma, mentre guardo attentamente, ecco che franano le rocce
mutata la sorte, allieto coloro che osservavo: rari naufraghi
mi deridono nel vasto gorgo.)
La Sfortuna può colpire gli umani in qualunque manifestazione della loro vita; ma particolarmente sensibile è il suo intervento in ambito
erotico:
Il tormento dell’ arduo tema affrontato emerge
anche dal proemio (purtroppo mutilo) al secondo
libro:
Pelaga permultos numquam temptata per annos
aggredior demens incerta e litore pinu. (II, 1-2)
(Mari profondi mai sperimentati da lunghissimo tempo io af-
Nonne vides quotiens careas tentigine nervum
tunc ubi formosam amplecteris ullam anhelus,
audax atque aries tibi desit limine in ipso?
haec sequitur rabies, lis, accedunt clamores,
undique concurrunt servi, fit magna querela.
Adde quod affertur de te mala fama per urbem:
saepe sub aeria resonabis porticu aspre. (I, 709-715)
fronto, pazzo che sono, dalla spiaggia [partendo] con nave insicura.)
La trattazione si fa sempre più ardua:
paulo peiora canamus (II, 123)
(Cantiamo argomenti un po’ peggiori.)
(Non vedi quante volte ti vien meno il turgore del nerbo allorquando abbracci, anelante, una bella donna, e l’ audace
ariete ti vien meno proprio là sulla soglia? A ciò segue la rabbia, la lite; monta su un casino, da ogni parte accorrono i ser-
L’ unico frammento del proemio al terzo libro,
privo del principio e della fine, ribadisce la pericolosità del tema scelto:
vi, ne nasce una grande contesa. Aggiungi che ti si diffonde
una cattiva fama per la città, e che sotto gli spaziosi portici il
tuo nome spesso risuonerà in termini spiacevoli.)
Incerto arriva persino alla formulazione, con
due millenni d’ anticipo, di qualcosa di molto simile alla famosa “Legge di Murphy”:
7 - Così emenda il Wolfsschanze il tràdito more suavi (“secondo la
piacevole usanza”).
78
sidera, caeligenum semper vitanda vehiclis,
Gorgon in lapidem ut conversura videntes.
Quod nefas effari, ego canto; siste, viator8. (III, 5-7)
(*** astri, che i veicoli dei nati nel cielo [gli dèi] sempre devono evitare come se vedessero la Gorgone pronta a trasformarli in pietra. Ciò che non è lecito dire, io canto; fermati, viandante.)
8 - Lo Schickaneder suppone qui un errore del copista, e sposta questi versi subito dopo i primi quattro del primo libro: a parer suo si otterrebbe, in questo modo, un senso compiuto.
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
rinvenimenti
Dal libro terzo, dedicato ai remedia, alcune delle
soluzioni pratiche consigliate contro la jella:
florentis cytisi numerans bis bina *** (III, 588)
Sunt quis ligna iuvant, qui gaudent tangere ferrum,
quive viri suadent genitalia corpora7 tangi. (III, 444-445)
Non doveva mancare un accenno alle piante dotate
di virtù apotropaiche:
L’ opera si chiudeva con la descrizione della peste
di Atene, supremo esempio di sfortuna e monito
per l’ umanità arrogante, eccessivamente fiduciosa
nel progresso scientifico. La si può leggere ancora
nel VI libro del De rerum natura di Lucrezio, il quale non si peritò di appropriarsene in toto senza citare la fonte: altro esempio della mirabile sfortuna
che perseguitò, in vita e in morte, il nostro Autore8.
7 - organa nel codice K.
8 - Il Panzerkraftwagen e il Volkssturm, isolati, sostengono che Incerto
Autore si sarebbe appropriato del brano lucreziano sulla peste, e non
viceversa; ma è ipotesi ormai screditata.
(Ci sono di quelli che si giovano del legno, altri che amano toccare il ferro, e coloro che consigliano di toccare le parti genitali del maschio.)
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
(del fiorente trifoglio contando le quattro [fogliette].)
79
Biblioteca mon amour
Questa rubrica è a disposizione della Biblioteca civica «G.Tartarotti» di Rovereto
L
a Biblioteca Tartarotti
possiede poco più di una
ventina di codici “medievali”, e proprio su uno di questi vogliamo soffermarci per qualche più
approfondita analisi.
La Biblioteca Tartarotti venne
fondata nel 1764 dopo che il Comune di Rovereto acquisì la biblioteca
privata di Girolamo Tartarotti
scomparso nel 1761. Nel primo nucleo della biblioteca si trovarono
anche nove codici posseduti dal
Tartarotti e descritti in un primo
inventario realizzato dopo la morte
dell’intellettuale roveretano.
Fra questi nove manoscritti,
nell’inventario sotto il numero 8
viene così descritto l’odierno Codice 3: «Sonetti e componimenti di
Dante Alighieri … scritto sopra la
canzone “Donna mi prega” di Guido
Cavalcanti fatto per maestro Dino
del Garbo di Firenze, dottore di medicina e volgarizato per m. Jacopo
Mangiatroja, notaio e cittadino fiorentino (8° in membrana, cod. eximiae pulchritudinis)»1.
1 - Cito l’inventario da Rinaldo Filosi, I mano-
Negli ultimi numeri della Rivista la
rubrica “Biblioteca mon amour” si
è occupata principalmente di opere
a stampa (incunaboli e cinquecentine) ed è quindi parso opportuno
spostarci per una volta verso una tipologia libraria differente ed unica:
parliamo appunto del libro
manoscritto.
Il codice fu successivamente descritto da Hermann nel 1905 e quindi da Benvenuti nel 1908. Solo negli
ultimi anni si è tornati a descrivere
i codici della Biblioteca Civica di
Rovereto: dapprima nella tesi di
laurea di Mariella Brugnolli (19951996) e successivamente nei numerosi cataloghi di manoscritti allestiti con il patrocinio della Provincia
Autonoma di Trento.
Fondamentale in tal senso è il catalogo realizzato da Adriana Paoliscritti della Biblioteca di Girolamo Tartarotti, in
«Navigare nei mari dell’umano sapere».
Biblioteche e circolazione libraria nel Trentino e
nell’Italia del XVIII secolo, Atti del convegno di
studio (Rovereto, 25-27 ottobre 2007), a cura di
Giancarlo Petrella, Provincia Autonoma di
Trento-Soprintendenza per i beni librari e archivistici, Trento 2008, pp. 255-263: 259.
ni (I manoscritti medievali di Trento
e provincia, 2010), dove il codice in
questione (n. 147 del catalogo) viene descritto accuratamente (anche
se non esaustivamente, poiché
manca una tavola completa del manoscritto con incipit ed explicit di
tutti i componimenti poetici)2.
Prima di soffermarci sul contenuto del codice stesso, che lo rende
particolarmente interessante, è necessario descrivere in maniera più
attendibile e tecnica il manoscritto.
Per non appesantire troppo il discorso traiamo la descrizione, breve
ed essenziale, dall’introduzione che
correda l’edizione critica delle rime
dantesche curata da Domenico De
Robertis: «Membr., mm. 195 x 124
(Iª c. decurtata in basso di ca. 5 cm),
di cc. I (incollata alla copertina), 62,
I´, tutti quinterni con richiami + I
f., numeraz. mod. a lapis 1-61 e ult.
c. n. n.; scritto da una sola mano,
comprese le rubriche, e in corpo as2 - I manoscritti medievali di Trento e provincia,
a cura di Adriana Paolini, con la collaborazione
di Marina Bernasconi e Leonarda Granata,
Sismel-Edizioni del Galluzzo, Impruneta (Fi)
2010.
Un raro commento garbiano
Fabio Casna
80
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
biblioteca mon amour
sai ridotto il commento delle cc.
52v-61v, della medesima, d’inchiostro più chiaro, varianti ai testi; due
note di mano del sec. XX (nella prima si arguisce dalla Vita di Girolamo Tartarotti di Costantino Lorenzi che il cod. era appartenuto al primo; nella seconda si cita il Beschriebendes Verzeichnis der illuminierten
Handschriften – in Osterreich di F.
Wickhoff, I: Die illumin. Handschr.
in Tirol, beschrieben von J.
Herzmann, Leipzig 1920, p. 231),
bianca la c. 62. Versi in col.; iniziali
ad oro con fregio a meandri su fondo azzurro alle cc. 1r, 15r, 45v, le altre iniziali e segni paragrafali azzurri. Legatura ant. (sec. XVIII) in
cartone rivestito di pergamena, taglio blu. DANTE OPERE MSS. Rime di Dante (della Vita Nova e canzoni); versi forse del copista; canzoni di Leonardo Bruni e di Guido
Cavalcanti col commento di Dino
del Garbo volgarizzato da Iacopo
Mangiatroie, sonetto conclusivo
anon.»3. Pur volendo tralasciare la
tavola del manoscritto per rendere
più agevole il discorso, devo sottolineare un aspetto che viene trascurato dalla scheda di De Robertis relativo alla possibile datazione del
codice: esso infatti dovrebbe risalire alla metà del XV secolo (come si
desume dalla scheda della Paolini),
ma non ci sono indizi certi che possano dimostrare la data di confezione del pezzo manoscritto. Infatti
3 - Dante Alighieri, Rime, a cura di Domenico
De Robertis, 1: I documenti, Le lettere, Firenze
2002, p. 628.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
la datazione si basa esclusivamente
su ipotesi circa il materiale, la carta
e soprattutto la scrittura utilizzata
dal copista.
D
alla descrizione fatta da
De Robertis si evince
che la maggior parte
del codice è dedicata alle rime dantesche, poi compaiono due canzoni
di Leonardo Bruni e infine la canzone di Guido Cavalcanti Donna
81
biblioteca mon amour
me prega con il commento di Dino
del Garbo, non in latino, ma volgarizzato.
L’interesse per questo codice non
deriva quindi dalla presenza di nu82
merosi componimenti danteschi
(su cui non ci soffermeremo, per rimandare invece ai magistrali e pluriennali studi di De Robertis e di
recente all’edizione commentata
curata da Claudio Giunta, che rappresenta la summa di tutto ciò che è
stato scritto sulle rime di Dante), né
tantomeno dalle due canzoni di Leonardo Bruni sulla felicità e in lode
di Venere4, ma sulla presenza del
commento garbiano volgarizzato.
Sulla canzone Donna mi prega di
Guido Cavalcanti si sono accapigliati numerosi studiosi dall’antichità ad oggi in cerca della più “giusta” interpretazione. Non possiamo
quindi in poche righe cercare di riassumere un dibattito ormai secolare. In linea sintetica ha scritto
Emilio Pasquini: «il cardine della
poesia cavalcantiana, e insieme la
liquidazione risolutiva del patrimonio stilnovistico, vanno ravvisati
nella canzone Donna me prega, perch’eo voglio dire, nella quale si annida pure il segreto del configurarsi
di Guido come spirito scettico e irreligioso. […] Gli studi di Nardi e
di Gilson, di Kristeller e di Maria
Corti, hanno provveduto a collocarla storicamente entro una fitta
circolazione di idee, tra Bologna e
Firenze, in un ambiente di medici e
filosofi dal quale escono il Giacomo
da Pistoia che dedica a Cavalcanti
la Quaestio de felicitate (scritta a
Bologna, sul modello del De summo bono di Boezio di Dacia) e insieme il primo commentatore di
Donna me prega, quel fiorentino
Dino del Garbo la cui Enarratio in
Guidonem de Cavalcantibus de na4 - Per il testo delle due canzoni si veda Lirici toscani del Quattrocento, a cura di Antonio Lanza,
I, Bulzoni, Roma 1973, pp. 331-335.
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
biblioteca mon amour
tura venerei amoris ci è trasmessa
proprio da Boccaccio. Che la canzone cavalcantiana sia stata precocemente oggetto di veri e propri
commenti, è una riprova di come
già i contemporanei ad essa annettessero il valore di un trattato dal significato universale, meritevole di
una glossa non meno che i testi capitali dell’Aristotele latino (il De
anima e l’Etica nicomachea) o lo
stesso poema dantesco. […] Cavalcanti […] non si limita a una generica variazione sul materiale ormai
collaudato nel solco del De amore
di Andrea Cappellano, né tanto
meno a ormeggiare le più sicure acquisizioni stilnovistiche, ivi comprese certe prese di posizione
dell’Alighieri. Al contrario, Guido,
[…] provvede a innestare la teoria
dell’amore sulla scientia de anima,
costruendo uno schema concettuale degno di un trattato filosofico e
adibendo un lessico tecnico, specifico di un sistema di pensiero com’è
appunto l’aristotelismo radicale
(non senza quelle punte di esaltazione “mistica” dell’energia intellettuale che hanno prodotto deformazioni esegetiche della canzone in
senso latamente neoplatonico
[…])»5. Già da questa breve panoramica, attraverso le parole di Pasquini, si può comprendere la complessità interpretativa del componimento poetico: è proprio per questo che spesso la canzone fu accom5 - Emilio Pasquini, Il «Dolce stil novo», in
Storia della letteratura italiana, diretta da Enrico
Malato, I: Dalle origini a Dante, Salerno, Roma
1995, pp. 649-721: 699-701.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
pagnata nei manoscritti che la riportavano da un commento esplicativo. Ecco allora spiegato il motivo di tanto interesse rispetto a questo codice.
Del volgarizzamento del commento garbiano esistono infatti, a
mia conoscenza, solo tre manoscritti: il codice roveretano, il Magliabechiano VII.1076 e il Laurenziano XLI.20. Il testo fu edito per la
prima e unica volta nel 1813 dal Cicciaporci, ma si tratta di stampa
scorrettissima che non tiene nemmeno conto del codice di Rovereto.
Quindi ci si augura che veda presto
la luce una nuova edizione critica di
questo tassello di critica cavalcantiana6. Il Mangiatroja spesso nel
suo lavoro di traduzione/interpretazione però cade in errore e travisa
il latino di Dino del Garbo e questo
fatto fu già ravvisato dall’unico studioso che dedica un brevissimo
saggio a questo argomento: J.E.
Shaw, The commentary of Dino del
Garbo on Cavalcanti’s Canzone d’amore compared with the italian
translation (in “Italica”, 12 [1935], pp.
102-105).
A
conclusione di questi appunti sul codice 3 riporto alcune considerazioni
di Armando Petrucci circa la tipologia libraria di questo manoscritto
che possono far immaginare l’uso e
6 - Spero di poter al più presto giungere al termine del lavoro di edizione e commento del volgarizzamento che avrebbe dovuto essere oggetto
– nelle mie intenzioni – della tesi di laurea in
Filologia italiana.
la destinazione di questo libro:
«nell’ultimo quarto del secolo [XV]
sempre più spesso i codici “cortesi”
di lusso assumono un formato assai
piccolo, si tratta in genere di libri
membranacei eseguiti con somma
accuratezza, abilmente scritti in
umanistica posata o corsiva e generosamente ornati o miniati. Per la
più parte questi codici contengono
testi di autori classici latini privi di
commento o di note e sono prodotti nei maggiori centri della cultura e
della produzione libraria italiana
del tempo: a Firenze, a Milano, nel
Veneto, a Roma, a Napoli. Si tratta
evidentemente di esemplari di lusso, destinati all’uso privato di lettura di personaggi socialmente e culturalmente eminenti, alla conservazione in biblioteche signorili private o principesche. A volte questi
codicetti, così preziosi e lussuosi,
così riccamente miniati, contengono anche testi volgari poetici; ma,
quando ciò accade, si tratta sempre
di un tipo particolare, anzi unico di
testo: si tratta, cioè, delle Rime e/o
dei Trionfi del Petrarca»7. Per una
volta, di fronte all’onnipresente Petrarca, nella scena culturale italiana
del Quattrocento, ha vinto il Dante
non della Commedia ma delle più
policrome e impegnate rime.❧
Fabio Casna
7 - Armando Petrucci, Il libro manoscritto, in
Letteratura italiana, 2: Produzione e consumo,
Einaudi, Torino 1983, pp. 499-524: 523.
83
Lo scaffale
a cura di Italo Bonassi
C
onfesso che non c’è nulla di
più complesso ed arduo che
entrare nella poesia e contemporaneamente nel personaggio
D’Annunzio.
Comprendere l’uomo D’Annunzio è comprenderne anche il poeta,
di cui è un tutto imprescindibile.
Non si può amare D’Annunzio come poeta e insieme detestarlo come
personaggio, ritenendolo un esaltato, un mitomane, un istrione. D’Annunzio è quello che è stato, il tipico
prodotto di un’epoca, diciamo pure
eroica, esaltante, con un Risorgimento alle spalle, la ricerca di un
posto al sole in Libia e in qualche
altra Colonia africana, una continua sfida con un’Europa piena di
fermenti nazionalistici e colonialistici, e con imperi multinazionali e
multietnici come quello austro-ungarico alle prese con tentativi scissionistici. In Italia il poeta più amato era senz’altro Carducci, e trionfava una corrente patriottica artistico-letteraria come il futurismo, l’e-
Barbaro,
ferino,
raffinato,
lussurioso,
panico,
eroico.
saltazione dell’uomo e della civiltà
della macchina.
Il paganesimo storico del Carducci divenne il paganesimo sensuale di Gabriele D’Annunzio: egli
volle fare della sua vita un poema,
una rappresentazione eroica e pagana. Riuscì così a riempire del suo
nome un vasto periodo della storia
italiana, pur rimanendo in uno
splendido isolamento, lontano dalle correnti letterarie di allora (come
il post-romanticismo, la scapigliatura, il crepuscolarismo, il futurismo, l’avanguardismo). Un nome
non solo come poeta e scrittore, ma
anche come figura civile, nella vita
pubblica, nella guerra, nell’impresa
di Fiume e pure nella vita mondana, superando per vicende avventurose e stile di vita perfino il famoso George Byron.
Gli aggettivi che gli sono stati affibbiati dai critici sono tra i più svariati e fantasiosi: barbaro, ferino,
raffinato, visivo, lussurioso, panico,
eroico, musicale. Ma nessuno ha
mai messo in discussione la straordinaria liricità dei suoi versi, la loro
più profonda adesione a ciò che
s’intende poesia.
E un poeta eroico e pagano, profetico e vaticinante, l’interprete poetico del Superuomo, non poteva di
certo passare alla storia senza un
cognome nobile e altisonante, non
poteva firmarsi con il cognome assai ridicolo di Gabriele Rapagnetta.
I suoi tanti avversari contestarono il
fatto che lo avesse trasformato in
D’Annunzio. Ma suo padre, Francesco Paolo, aveva in realtà due cognomi: D’Annunzio quello vero,
Italo Bonassi
Gabriele D’Annunzio
84
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
lo scaffale
originario della sua famiglia, al
quale era stato aggiunto in seguito
all’affiliazione da parte di uno zio
benestante il comico cognome di
Rapagnetta. Quindi D’Annunzio in
verità si chiamava Gabriele D’Annunzio Rapagnetta.
Però nessuno poteva contestargli
di trascurare il secondo cognome,
quello dello zio di suo padre.
Il mio segreto, ha scritto D’Annunzio, è una sensualità rapita fuor
de’ sensi. E il grande critico Francesco Flora ha aggiunto che nell’arte
dannunziana bisogna stabilire criticamente il significato della materia (e quindi della lussuria che tutta
la assomma), e farne momenti di
un dramma, il cui senso, per sé
stesso, si urta contro il canto, e la parola ha i momenti in cui si fa divina
e trascende la bruta materia su per
l’aereo cielo della poesia. Ma la lussuria dannunziana è stata definita
impassibile, d’una gelidità lunare
nel suo senso perennemente ebbro:
comunque lussuria della parola immaginifica, raffinata, tutt’altro che
volgare come in certi scrittori alla
Moravia o poeti alla Dario Bellezza.
Ed è soprattutto nella sua poesia,
più che nei romanzi o nelle tragedie, che si rivela lo straordinario
uso della parola, che molti hanno
definito divina. Tutta la sua vita fu
un bilico tra il poema da vivere e il
poema da cantare.
Ma anche nei momenti “lussuriosi” della poesia dannunziana c’è
un raffinato senso lirico, in cui la
parola si forma sulla materia lussuIL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
riosa con un sentimento elementare di gioia che, nell’atto di chiarirsi
in parole, indugia in una larvale
malinconia. E la parola malinconia
è voce frequente nelle pagine dannunziane.
Quello che è certo è che un poeta
come D’Annunzio, che l’intelligentia nostrana ha cancellato o quasi,
per puri motivi politici, in qualsiasi
altro Paese sarebbe considerato una
gloria nazionale. Il grande poeta
statunitense Ezra Pound in America era stato messo al bando e gettato in prigione, e poi costretto all’esilio. Ma tutte le antologie di tutto il
mondo hanno continuato a dargli
un posto preminente nella letteratura mondiale. Nessuno ha mai discusso il poeta Ezra Pound. Questo
non è avvenuto in Italia, dove addirittura D’Annunzio è stato a torto
considerato un fascista. Dimenticando che Mussolini lo teneva a distanza, temendolo, nel suo splendido isolamento di Gardone. Fra chi
era stato a quei tempi davvero un
fascista cito Giuseppe Ungaretti,
Pirandello, Marinetti, Curzio Malaparte, Moravia, Montanelli, e anche
il primo Benedetto Croce.
Ricordo come esempio un aneddoto capitato proprio al Vittoriale,
quando Mussolini, in uno dei rari
incontri col poeta, dopo aver dovuto fare anticamera, se lo vide apparire in pantofole e vestaglia, per poi
sentirsi apostrofare con la velenosa
battuta: Salve, o lesto fante! (Mussolini aveva fatto il militare nella fanteria, come bersagliere. Era stato
cioè un fante lesto, veloce: come si
sa, i bersaglieri andavano di corsa, a
piedi o in bicicletta). Non solo, ma
anche i gerarchi che seguivano
Mussolini ebbero la loro parte:
D’Annunzio, puntando contro di
essi il dito disse: Fur fanti anch’essi?
(ossia: furono anch’essi dei fanti?).
Questo, per poter inquadrare
D’Annunzio nella sua giusta dimensione di uomo. Al massimo, si
può dire che sarebbe stato ancor
più grande se avesse scritto di meno, data la sua davvero enorme
produzione.
Un altro particolare tipicamente
dannunziano è la sua strategia pubblicitaria, sia nella sua attività di
poeta che in quella di uomo d’azione e anche di grande amatore. La
famosa Isadora Duncan ebbe un
giorno ad esclamare: D’Annunzio è
85
lo scaffale
capace di dare a ciascuna donna la
sensazione che essa sia al centro
dell’universo!
Le donne che lo amarono, anche
le più famose, finirono con l’essere
da lui lasciate: la Duse, che lui seppe
sfruttare abilmente usandola come
grande interprete delle sue opere,
Maria Hardouin dei Duchi di Gallese, Barbara Leoni, Alessandra Rudini Carlotti (che per disperazione
si fece suora), la contessa Giuseppina Mancini (che finirà pazza per le
vie di Firenze), Natalia de Goloubeff, Romaine Brooks, Maria Gravina Cruyllas, ecc.
Un altro eloquente esempio
dell’abilità di D’Annunzio di farsi
pubblicità, lo abbiamo quando,
uscita da poco la sua raccolta di poesie Primo vere, che ebbe un grande
successo, fece diffondere la notizia
della sua morte, poi smentita con la
contemporanea uscita della seconda edizione. Quest’abilità pubblicitaria seppe esercitare per tutta la vita, a prescindere dal fatto che nonostante ciò è stato davvero un grande
poeta. I suoi discorsi erano sapientemente trascinatori, un delirio di
massa che neppure Mussolini poteva permettersi, ma che aveva dalla
sua una claque imponente. L’oratoria del Duce era quella di un capopopolo, piuttosto rozza e semplice,
di una banalità declamatoria, quella
di D’Annunzio era raffinata, colta:
per lui la parola si faceva gesto, ebbrezza d’azione. Tra l’oratoria dei
due un abisso: impetuosa, demagogica e grezza l’uno, costruita con sa86
piente arte letteraria l’altra. E D’Annunzio d’altronde considerò sempre il Duce un grezzo populista e
un cattivo imitatore di idee, di atteggiamenti, di imprese, oltre che
uno sfruttatore inadeguato dei modi e dei toni della propria oratoria.
L’oratoria di Mussolini era tutta intesa a suscitare il cosiddetto delirio
di massa con poche parole definite
scultoree dai suoi esegeti. Quando
nel corso della guerra di Spagna
Franco conquista Barcellona ben
sorretto dalle truppe italiane inviate
da Mussolini, questi arringa la folla
accorsa a Piazza Venezia con queste
parole: La parola d’ordine dei rossi
era: No pasaran! Siamo passati. Ed
io vi dico che passeremo!
Quando i rapporti con la Francia
si fanno delicati, il Duce ricorre
all’insulto volgare, che piace tanto
alla massa: Ai nostri vicini d’Oltralpe noi diciamo che non sappiamo
che farcene di fratellanze, di sorellanze e di cuginanze bastarde!
Quale differenza con la sapiente e
trascinante capacità oratoria di
D’Annunzio, che sa ricreare la potenza aggressiva di uno spettacolo
di entusiasmo e di delirio!
Famoso il suo discorso alla folla,
un capolavoro di oratoria da lui tenuto a Quarto, presso Genova, s’uno scoglio, il 5 maggio del 1915, e
che praticamente spinse l’Italia alla
guerra dichiarata 20 giorni dopo.
La gioia di vivere di D’Annunzio
si identificava in una miracolosa
capacità di canto: nessun poeta ha
così prodigiosamente mutato la pa-
rola in musica. D’Annunzio giunge
dove il Carducci, con tutte le sue
pretese paniche e pagane, non riuscì mai ad arrivare. La trasgressione
inventiva, in lui, trasforma le cose
della natura in funzione della parola, cui dà la dignità nella volgarità e
nella disfatta dell’esistenza. Il suo è
il culto dell’edonismo verbale, della
libidine delle parole godute come
suoni e bevuti come musiche.
Fresche le mie parole nella sera / ti
sien come il fruscio che fan le foglie /
del gelso ne la man di chi le coglie…
// Laudata sii per il tuo viso di perla,
/ o sera, e pe’ tuoi grandi occhi ove si
tace / l’acqua del cielo… // Dolci le
mie parole ne la sera / ti sien come la
pioggia che bruiva / tepida e fuggitiva, / commiato lacrimoso de la primavera… (La sera fiesolana)
Si può anche detestare il virtuosismo stilistico e la raffinatezza del
pensiero, ma non è vero che D’Annunzio sia tutto qui: non è vero che
l’esuberanza panica sia in lui solo
suggestione carnale e faunesca.
D’Annunzio è anche il grande autore di tragedie come la Francesca da
Rimini, la Gloria, la Gioconda, La figlia di Iorio, La fiaccola sotto il moggio, e soprattutto delle Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi,
col suo capolavoro, Alcione.
Un libro, questo, che da solo è il
concentrato di tutta la poetica di
D’Annunzio, e che fa di lui un vero
poeta, anzi un Vate.❧
Italo Bonassi
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
lo scaffale
Pastori
Settembre, andiamo! È tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzo i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.
Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua natia
rimanga ne’ cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d’avellano.
E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
Oh voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!
Ora lungh’esso il litoral cammina
la greggia. Senza mutamento è l’aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciaquio, calpestio, dolci romori.
Ah, perché non son io co’ miei pastori?
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
La sera fiesolana
(solo la parte iniziale)
Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscio che fan le foglie
del gelso ne la man di chi le coglie
silenzioso e ancor s’attarda a l’opra lenta
su l’alta scala che s’annera
contro il fusto che s’inargenta
con le sue rame spoglie
mentre la Luna è prossima alle soglie
cerule e par che innanzi a sé distenda un velo
ove il nostro sogno si giace
e par che la campagna già si senta
da lei sommersa nel notturno gelo
e da lei beva la sperata pace
senza vederla.
Laudata sii per tuo viso di perla,
o sera, e pe’ tuoi grandi occhi ove si tace
l’acqua del cielo!
Dolci le tue parole ne la sera
ti sien come la pioggia che bruiva
tepida e fuggitiva,
commiato lacrimoso de la primavera,
sui gelsi e su gli olmi e su le viti
e su i pini dai novelli rosei diti
che giocan con l’aura che si perde,
e su ‘l grano che non è biondo ancora
e non è verde
e su ‘l fieno che già patì la falce
e trascolora,
e su gli olivi, sui fratelli olivi
che fan di santità pallida i clivi
e sorridenti…
………
Laudata sii per la tua pura morte,
o Sera, e per l’attesa che in te fa palpitare
le prime stelle!
87
lo scaffale
Si dice che a volte basti una sola poesia per definire grande un poeta. Se fosse così, basterebbe la splendida Pioggia nel pineto, forse la più letta e la più famosa, così piena di omofonie e onomatopèe, di assonanze, allitterazioni,
anafore, e vari espedienti tecnici di grande effetto, che danno alle voci e ai suoni di un bosco una straordinaria
varietà di sensazioni. L’esile ed evanescente trama basata su una semplice passeggiata in una pineta assume in
D’Annunzio un qualcosa di fantastico e arcano, parole e versi come musica, tutto un gioco onomatopeico di scrosci di pioggia, di gracidii di rane, di fruscii di fronde e di erbe, di una fresca vita arborea risvegliata dalla pioggia.
La pioggia nel pineto
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane, ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed aspre,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
88
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura,
con un crepitio che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancòra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi,
noi siam nello spirito
silvestre,
d’arborea vita viventi:
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
lo scaffale
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome Ermione.
Ascolta, ascolta. L’accordo,
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Solo una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria,
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove?
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par che tu pianga,
ma di piacere; non bianca
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca,
ardente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti, or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i malleoli,
c’intrica i ginocchi),
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
Nella belletta
Nella belletta i giunchi hanno l’odore
delle persiche mézze e delle rose
passe, del miele guasto e della morte.
Or tutta la palude è come un fiore
lutulento che il sol d’agosto cuoce,
con non so che dolcigna afa di morte.
Ammutisce la rana, se m’appresso.
Le bolle d’aria salgono in silenzio.
89
lo scaffale
Gabriele D’Annunzio
12 marzo 1863 Nasce a Pescara.
1879 Ancora convittore al Collegio
Cicognini di Prato, pubblica la sua prima
raccolta in versi, Primo vere.
1881 Compiuti gli studi ginnasiali,
si iscrive alla facoltà di Lettere di Roma,
dove si trasferisce.
1882 Pubblica la seconda raccolta
di versi, Canto novo, e, subito dopo, un
primo libro di racconti, Terra vergine.
1883 Sposa la duchessa Maria Hardouin di Gallese, dopo una fuga chiacchierata a Firenze, ed entra nella élite sociale. Da Maria avrà tre figli.
1887 Conosce Barbara Leoni, il suo
“grande amore”, che durerà cinque anni,
e alla quale dedicherà il romanzo in versi Elegie romane e il romanzo Il Trionfo
della Morte.
1888 Si ritrasferisce in seguito a disavventure finanziarie in Abruzzo, a
Francavilla, nella casa dell’amico pittore Michetti, e qui pubblica il romanzo Il
Piacere. Si lega inoltre sentimentalmente con Barbara Leoni.
1891 Si trasferisce a Napoli, dove collabora a diversi giornali con Matilde Serao, alla quale dedica il breve romanzo Giovanni Episcopo. A Napoli conosce la principessa Maria Gravina Cruyllas
Anguissola, dalla quale avrà due altri figli, e rompe definitivamente con Barbara Leoni.
1892 Esce il romanzo L’innocente.
1893 Pubblica il Poema paradisiaco.
1894 Esce il romanzo Il trionfo della
morte. Venuto in contatto con la filosofia
90
di Nietzsche, ne abbraccia l’idea del superuomo, a cui si ispira in diverse opere.
1894 Inizia il travagliato e focoso
rapporto con la grande attrice Eleonora
Duse, e, da lei ispirato, pubblica diverse
tragedie e opere teatrali, tutte aventi la
Duse stessa come prima donna.
1896 Affitta nel frattempo a Settignano (Firenze) una villa, che battezza La Capponcina, accanto alla villa La
Porziuncola, della Duse.
1896-1900 Pubblica Le Vergini delle rocce (romanzo), La città morta (romanzo), Il fuoco (romanzo). Va nel frattempo in crociera da Ancona a Venezia,
e naufraga. Si salva a fatica.
1897 Viene eletto nel collegio di Ortona in una coalizione di Destra.
1898 La città morta viene recitata a Parigi, interprete la celebre Sarah
Bernhardt.
1899-1909 Pubblica La Gioconda (1899), La Gloria (1900, interpreti la Duse ed Ermete Zacconi), la Francesca da Rimini (1901), La figlia di Iorio (1903), La fiaccola sotto il moggio
(1905), La nave (1909), Fedra (1909).
1900 Passa alla Sinistra, dopo le cannonate di Bava Beccaris a Milano e le
dure repressioni sociali. La tragedia La
Gloria si ispira alle forti tensioni sociali di
tale periodo, ed è un atto d’accusa contro
il governo Crispi. Alle elezioni, si ricandida con la Sinistra, ma non viene rieletto.
1903 Conosce la contessa Giuseppina Mancini (la Giusini), di cui
s’invaghisce.
1903-1904 Pubblica la sua opera
drammatico-poetica fondamentale, Le
Laudi del cielo, del mare, della terra e
degli eroi, il cui Libro III, Alcyone, viene considerato il suo capolavoro. Merope, il Libro IV delle Laudi, viene inizialmente censurato e sequestrato, perché
troppo antiaustriaco. In esso così viene
ad esempio definito l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe: L’angelicato impiccatore / l’angelo della forca
sempiterna.
1904 Rompe definitivamente con
la Duse, che, prima di morire, distruggerà tutto il ricco epistolario tra lei e
D’Annunzio.
Rompe anche con la Mancini e si unisce sentimentalmente con la contessa
russa Natalia de Goloubeff, e contemporaneamente frequenta la pittrice russa Romaine Brooks.
1909 La Capponcina viene posta
sotto sequestro giudiziario, perché, rotto con la Duse, non aveva più i soldi per
mantenerla e neanche per continuare il
tenore di vita cui era abituato. Inizia in
questo periodo la sua passione per l’aeronautica e l’automobilismo.
1910 Persa la villa La Capponcina,
si trasferisce in Francia. Qui scrive il romanzo autobiografico Forse che sì, forse che no, dedicato al suo grande amore per la Leoni, il breve romanzo La Leda
senza cigno e, in francese, Il martirio di
San Sebastiano, quest’ultimo con sommo scalpore perché ritenuto troppo
scandaloso e blasfemo.
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
lo scaffale
1915 Rientra in Italia prima dello scoppio della Grande Guerra e s’impegna in una tournée di comizi nazionalistici e interventisti, di pretto sapore antiaustriaco, con folle quasi oceaniche, mettendosi in rotta col Governo Giolitti, che era filoaustriaco e neutralista. Pronuncia a Quarto un memorabile discorso durante l’inaugurazione
del Monumento ai Mille, in cui incita la
folla a chiedere l’entrata in guerra dell’Italia. Grazie anche alle sue orazioni, soprattutto ad una famosa affidatagli dal
Governo Salandra, gli interventisti hanno la meglio, e l’Italia dichiara la guerra.
D’Annunzio si arruola, combatte sul
Carso e partecipa a imprese incredibili sul mare (nel 1916 l’audace Beffa di
Buccari, un porto di Fiume difeso dalla flotta austriaca e da lui violato di notte con un MAS) e anche in cielo (il famoso volo su Vienna, nel 1918, per gettarvi migliaia di manifestini tricolori
con stampato l’invito alla resa). Dopo la
guerra, si fa portavoce dei reduci e parla della vittoria mutilata, della decisione (Progetto Wilson) delle potenze vincitrici di cedere la città di Fiume – che in
un plebiscito aveva scelto quasi per la
totalità di passare all’Italia – al neo costituito stato slavo.
1919 D’Annunzio parte da Ronchi
dei Legionari (Monfalcone) e con un
piccolo esercito di reduci marcia su Fiume, la occupa militarmente e vi istituisce la Reggenza, assumendo il titolo di
Comandante della Repubblica democratico-socialista del Quarnaro.
1920 Fiume, con un altro plebiscito,
si autoproclama Stato Libero del Quarnaro, e rifiuta di diventare jugoslava.
Dopo un lungo assedio da parte della flotta italiana (24-28 dicembre 1920),
che, su ordine del Governo Nitti, spara sulla città, in obbedienza al Progetto
Wilson, con diversi feriti e case distrutte
(lo stesso D’Annunzio viene ferito), Fiume ammaina la bandiera del Quarnaro,
D’Annunzio cede i poteri alla comunità
fiumana e se ne torna in Italia.
Gli Alleati ora sono finalmente convinti dell’italianità di Fiume, e Fiume diventa italiana, entrando con l’Istria nella nuova regione, capoluogo Trieste, la
Venezia Giulia (1921).
1921 D’Annunzio, deluso dai politici, si ritira nella sua villa di Cargnacco,
in quel di Gardone, sul lago di Garda,
e la trasforma, aggiungendovi la prua
della nave militare Puglia. Diventa così
una villa-nave unica nel suo genere, col
nome augurale di Vittoriale. Il Vittoriale
è la sua ultima dimora. Qui vive come in
un eremo in solitario e sdegnoso esilio
dorato, snobbato da Mussolini e dal fascismo, che vedono in lui un potenziale concorrente politico. Ormai ha quasi
smesso di scrivere, e fa una vita di una
seraficità ardente da San Francesco.
1935 Esce il suo ultimo lavoro, Cento e cento e cento pagine del Libro segreto, e compone una farsa in versi
contro Hitler, mai pubblicata.
1 marzo 1938 Muore nella sua villa-vascello di Gardone.
1939 Esce, postumo, Solus ad solam, una sorta di autobiografia dedicata all’unica donna che abbia veramente
amato, la Giusini, con tutti i particolari
della tragica fine della donna che, brutalizzata dal marito geloso, dopo una
lunga attesa di Gabriele, bloccato con
la macchina in panne a Bologna, credutasi abbandonata, colta dalla follia, se
ne va disperata di notte per Firenze, subendo anche l’onta di essere violentata
da due loschi figuri.
Bibliografia essenziale
Vita e opere di Gabriele D’Annunzio, Mucchi, Modena, 1990
Gianni Oliva, D’Annunzio e la poesia dell’invenzione, Mursia, Milano,
1992
Renato Barilli, D’Annunzio in prosa, Mursia, Milano, 1993
Pietro Gibellino, Alcione, Einaudi , Torino, 1995
Annamaria Andreoli, Il vivere inimitabile, Mondadori, Milano, 2000
Vito Moretti, D’Annunzio pubblico e privato, Marsilio, Venezia, 2001
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
Angela Tumini, Il mito dell’anima: Magia e folklore in D’Annunzio,
Lanciano, Carabba, 2004
Annamaria Andreoli, D’Annunzio, Il Mulino, Bologna, 2004
Marilena Giamamrco, La parola tramata: progettualità e invenzione di
D’Annunzio, Carocci, Roma, 2005
Renato Mammuccari, Dal naturalismo al simbolismo, D’Annunzio e l’arte del suo tempo, Marigliano, LER, 2005
91
Il mestiere di scrivere
a cura di Gregory Alegi
“I
l grafico è il peggior nemico dell’autore.” Ricordo
bene quando lo scoprii.
Stavo lavorando a una rivista – anzi,
un numero unico – che presentava
una serie di problemi. Tra questi, la
grafica. Il cliente aveva chiesto proposte (“creatività”) a diversi studi
grafici, scegliendone con grande trasparenza uno che nessuno conosceva. I problemi iniziarono non appena
cercai di riempire la “gabbia” (come
si chiama lo schema grafico) con gli
articoli. Benché ridotti al minimo in
fase di impostazione generale, in pagina proprio non ci stavano. Pur essendo stato dato grande spazio alle
immagini, non erano previste didascalie. Fu allora che il grafico se ne
uscì con «gli eventuali testi». Eventuali? In una rivista? Dopo aver coinvolto la crema dei giornalisti specializzati? Pagandoli pure bene? Avevo
la bava alla bocca. Con molta pazienza, lo spazio per le didascalie alla fine
saltò fuori. Minime, però, perché secondo il grafico la didascalia giusta
per l’immagine di un’auto monopo-
sto rossa con un cavallino rampante
nero sul fianco sarebbe stata “La Ferrari di Schumacher”, mentre io volevo almeno un paio di righe descrittive. Era un dialogo tra sordi. Scoprii
solo dopo che lo studio aveva esperienza soprattutto nel “packaging”,
cioè le confezioni, e quindi ragionava
in termini di pubblicità più che di
contenuti. Ecco perché diventavano
«eventuali» i testi che invece per il redattore erano il messaggio essenziale.
Per quanto estremo, il caso illustra
l’importanza e la difficoltà del rapporto tra forma e contenuto di una
pubblicazione. Un buon progetto
grafico invoglia alla lettura, valorizza
il contenuto, ottimizza l’uso dello
spazio e rende agevole l’impaginazione. Come scrive John Lewis nel
suo manuale di typography (cioè la
grafica applicata all’impaginazione),
i grafici dovrebbero “ricordare che il
loro lavoro consiste nel comunicare, o
almeno fornire un canale di comunicazione, tra autore e lettore” (Typography: Design and Practice, New
York, Taplinger, 1976, p. 11). Quan-
do questo accade, il grafico è il miglior amico dell’autore e del lettore.
In caso contrario, il libro sarà più
brutto, a qualcuno verrà un esaurimento nervoso o tutte e due le cose
insieme. I casi di omicidio sono, per
fortuna, molto più rari.
Prima di soffermarsi sul ruolo del
grafico, vale la pena di ricordare che i
normali contratti editoriali specificano che l’autore non ha alcuna voce in
capitolo sull’impaginazione del proprio lavoro. Probabilmente i grandi
autori hanno qualche diritto in più,
ma per tutti noi la realtà è un’altra:
spesso gli editori ascoltano più il grafico che l’autore. Prima ci si abitua,
meglio si vive.
Il progetto grafico
Sotto il profilo estetico, è auspicabile una certa affinità tra il testo e il
suo aspetto. Un saggio universitario
non può essere presentato come un
libro d’infanzia, così come una rivista di auto non si può impaginare come una di giardinaggio. Dal punto di
vista funzionale, ogni tipologia ha
Gregory Alegi
Il peggior amico dell’autore
92
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
il mestiere di scrivere
caratteristiche specifiche: la rivista illustrata deve prevedere non
solo didascalie, ma anche box,
grandi titoli, sottotitoli, rubriche;
il saggio dovrà avere le note, non
importa se a piè di pagina, fine
capitolo o fine libro. È in base a
questi vincoli (più considerazioni
tecniche, che incidono sui costi)
che il grafico crea il progetto, che
sarà tanto più efficace quanto più
è al servizio del contenuto e
quanto più invisibile (o almeno
trasparente) agli occhi del lettore.
La prevalenza della grafica è giustificata quando il testo è secondario, ma allora più che di un libro si tratta di un album fotografico, del catalogo di una mostra
d’arte o dell’atlante stradale. Si
può trasformare il testo stesso in
grafica, ma la cosa ha senso solo
per forme di scrittura sperimentali o d’avanguardia.
Per rendere il testo leggibile bisogna scegliere il carattere giusto
(i “bastoni”, soprattutto se light,
non sono adatti ai testi lunghi,
per esempio; quelli con le “grazie” possono essere troppo neri e
pesanti) ma anche saper trovare
l’equilibrio tra il corpo (tradizionalmente espresso in “punti”) e
l’interlinea. In molti casi per migliorare la leggibilità basta aumentare lo spazio tra le righe,
senza aumentare il corpo; in altri
serve un po’ di spazio bianco intorno al testo, per farlo respirare.
A proposito di bianco: esistono
regole per costruire i margini
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
della pagina e la larghezza (“giustezza”) della colonna di testo.
Una volta creato il progetto
grafico bisogna applicarlo. Questo è il vero esame: come l’assaggio è la verifica della ricetta, così
l’impaginazione porta inesorabilmente alla luce i punti di forza
o di debolezza del progetto. Se è
ben fatto, sarà utilizzato centinaia di volte: così fu per il progetto
di Jan Tschichold (1902-74) per i
tascabili Penguin.
In caso contrario sono guai. In
un lavoro piuttosto ampio, con
tempi piuttosto stretti, saltò fuori
che in una pagina del libro non
entrava la quantità di testo necessario. Per far coincidere lo
spazio disponibile con quello necessario, i redattori si sobbarcarono il compito di tagli mirati, in
modo da salvare l’intelligibilità
del testo; i grafici – si scoprì più
tardi – provvedevano invece amputando la parte finale, con un
criterio puramente metrico.
Per evitare queste situazioni
basta contare le battute, cioè le
lettere, i segni di interpunzione e
gli spazi bianchi del testo. Con la
macchina per scrivere questo si
faceva usando righe da 60 battute, 30 delle quali facevano una
pagina (“cartella”). Oggi Word lo
fa in automatico. Lo stesso si fa
sul progetto grafico, impaginando un testo vero o simulato (il
classico finto latino di Lorem ipsum) e contando le battute totali
di un certo numero di righe (per
quando l’artista ama il testo
La nobile arte [di farsi dei nemici] è
molto più che un divertimento grafico. È un libro concepito meravigliosamente. Benché Whistler fosse soprattutto un pittore, usava le parole con il
rispetto di quanti amano usarle. Fu il
primo grafico moderno a mostrare
che l’arte tipografica è innanzitutto una questione di disporre le parole in
modo che il loro senso diventi più
chiaro, più acuto e più preciso.
Tecnicamente, la grafica di Whistler è interessante per il modo in cui
faceva uso dei caratteri piuttosto anonimi di cui disponevano le tipografie
commerciali e per come riusciva a superare la loro altrettanto indifferente
qualità di stampa. Questo era l’esatto
contrario del punto di vista di William Morris e di gran parte dei successivi stampatori delle tipografie private, spesso ossessionati dal disegno dei
caratteri e dai materiali sui quali
stampavano. […]
Non c’erano due persone meno simili di James McNeill Whistler e William Morris in quanto a simpatie e
antipatie e nel proprio stile di vita. Eppure avevano almeno due cose in comune. Per questo non sorprende che
per qualche tempo entrambi si siano
interessati di grafica, e in particolare
dell’aspetto dei propri libri.
John Lewis, Typography: Design
and Practice, New York, Taplinger,
1976, p. 18
93
il mestiere di scrivere
esempio 15); a questo punto una
semplice divisione fa ottenere il valore medio di battute per riga. Si contano quindi le righe in un certo numero di centimetri (o in una colonna
intera di lunghezza nota), che grazie
a un’altra divisione danno le righe
per centimetro. Il gioco è fatto: se in
una pagina ci stanno 32 righe di 90
battute, il totale è di 2.880 battute.
Questo vuol dire che un articolo di
10.000 battute richiederà tre pagine e
mezzo, un saggio di 100.000 battute
34,7 pagine e un romanzo di 350.000
battute 121 pagine. Per ottenere gli
ingombri totali bisogna aggiungere
titoli, aperture e chiusure, illustrazioni. Con un rapporto testo-immagine
di 1 a 1, per esempio, l’articolo occuperebbe sette pagine. Se il progetto
grafico non prevede pagine singole, è
già chiaro che si dovrà tagliare (per
stare in 6 pagine) o allungare (per
portarle a 8). L’ideale è però prevedere anche pagine singole, per contenuti redazionali (per esempio rubriche brevi), per eventuali inserzioni
pubblicitarie, per fronteggiare una
tavola fuori testo o mille altri motivi.
L’autore non è un grafico
Il grafico non è un redattore. O, più
esattamente, non è tenuto a capire
niente di testi e contenuti. “Non mi
94
fare correggere le didascalie per telefono, perché non è il mio mestiere e poi
le sbaglio”, mi diceva Dario Calì, con
il quale abbiamo fatto riviste per anni. Aveva ragione, naturalmente. La
scorciatoia si paga in correzione di
bozze, quando bisogna prestare
maggior attenzione per non lasciarsi
sfuggire qualche strafalcione insidioso. È anche vero che talvolta i grafici
esagerano anche nel proprio settore
specifico, per esempio rovesciando
una foto perché “è meglio se guarda
verso destra.” Poi però l’uomo ritratto porta l’orologio a sinistra, indossa
una giacca con abbottonatura da
donna e le scritte negli specchi si leggono dritte. Così come il piombo
non è gomma, anche le immagini
non sono solo colori e forme.
Attenzione però a dare al grafico o
all’impaginatore tutte le colpe. Molte
delle considerazioni sull’involuzione
del processo produttivo (esternalizzazione esasperata del lavoro, con
annessa precarizzazione delle professionalità) già fatte parlando del redattore, si applicano anche a chi è
chiamato a impaginare, spesso con
tempi ristretti e continue richieste di
cambiamento da parte del committente o della redazione.
Ma è anche vero il contrario: l’autore (o il redattore) non è un grafico e, a
parti inverse, corre gli stessi rischi.
Quando si chiede all’autore di mettere in pagina i propri testi riempiendo
uno schema già sviluppato (come nei
template di Word o nei servizi di autopubblicazione tramite internet), il
rischio di inestetismi è molto alto.
Come per il grafico, anche per l’autore saper manovrare un computer e
un programma d’impaginazione non
implica buon gusto, senso delle proporzioni, conoscenza delle regole base. E saltano fuori i papocchi, pagine
inguardabili che il lettore scorrerà in
fretta o salterà senza leggerle.
Perché, sia chiaro, il risultato non
dipende dal sistema tecnico usato,
ma dalla cultura e sensibilità estetica:
qualità che si possono imparare, ma
che non vengono conferite dalla tecnologia.
Si possono fare cose orrende con
l’elettronica e pulite con macchina
per scrivere e fotocopie, così come
orrori con la stampante ad aghi e
meraviglie con la fotocomposizione.
È per questo che il manovratore di
computer è una maledizione (oltre
che destinato a sparire, in termini
professionali), mentre un grafico con
solide basi e lunga esperienza è una
risorsa.❧
Gregory Alegi
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Musicobibliofilia
Rubrica a cura di Federica Fortunato e Diego Cescotti
“S
eigneurs, vous plaît-il
d’ entendre un beau conte
d’ amour et de mort? …
Signori, vi piace ascoltare un bel racconto d’ amore e di morte? È quello
di Tristano e di Isotta la regina.
Ascoltate come con gran gioia, con
gran dolore, essi si amarono, poi ne
morirono lo stesso giorno, lui per lei,
lei per lui”.
Riconoscete l’ inizio di quel ‘ romanzo simbolista’ di Joseph Bédier
che dei multipli Tristani medievali è
la sapiente e poetica riscrittura novecentesca. Sulle stesse parole del
romanzo si apre l’ oratorio Le vin
herbé di Frank Martin, con uno
slancio vocale che subito si placa
nella condotta piana accordale che è
un tratto distintivo di tutta l’ opera.
Titolo e generatore dell’ oratorio,
in un primo tempo il filtro d’ amore
era stato pensato come protagonista, sciolto dall’ ambivalente portato
di passione e tragedia, emblema di
un’ assolutezza del sentimento e
della sensualità. Elemento moderno, continentale, assente nelle pri-
me versioni celtiche, la bevanda ha
introdotto una ‘ rivoluzione spirituale’ nella leggenda, concentrando
le pulsioni umane in un catalizzatore esterno, garantendo la reciprocità della passione e rendendo dicibile, anzi celebrabile, ‘ la’ storia dell’ amore radicale e totalizzante. Rovesciata la tesi per cui la leggenda di
Tristano e Isotta sarebbe all’ origine
della concezione moderna dell’ amore (Denis de Rougemont), nel
suo Le philtre et l’ amour del 1969
Michel Cazenave denuncia come la
lezione erotica del Tristano sia stata
soffocata e vinta da un altro modo
di intendere l’ amore, quello cortese
della purezza, della tensione idealizzante o della colpa da espiare. Ed
è quella autentica modernità che,
attraverso Bédier, entra nell’ opera
di Martin.
Quando Frank Martin comincia
a comporre Le vin herbé / Der Zaubertrank è il 1938 e siamo a Zurigo,
città in cui due anni dopo presenterà la prima versione, seguita nel
1942 da quella, ripensata e ampliata, che oggi conosciamo.
Commissionato da Robert Blum
(noto compositore soprattutto di
musica per film, all’ epoca impegnato nella promozione di musica
antica e contemporanea) per il suo
Madrigalchor Zürich, Le vin herbé
si serve di un organico essenziale:
12 voci (tre per quattro registri), 7
archi (violini, viole, violoncelli,
contrabbasso), pianoforte.
Nell’ oasi della Svizzera neutrale,
durante gli anni di guerra Martin
produrrà altri lavori per voce (soli e
coro) con piccola orchestra in vari
generi e su temi cha ondeggiano tra
il favolistico e la meditazione sulla
tragedia in corso: il balletto Das
Märchen vom Aschenbrödel / La
marcia di Cenerentola, lo ‘ spectacle
dansé en plein air’ Ein Totentanz zu
Basel im Jahre 1943, fino all’ oratorio In terra pax allestito nel maggio
del 1945.
Conoscendo il pensiero e l’ etica
professionale (la ‘ responsabilità del
musicista’ ) di Martin, è trasparente
Federica Fortunato
Un Tristano di guerra
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
95
musicobibliofilia
un suo atto di opposizione alla barbarie attraverso quest’ ultima incarnazione della storia di Tristano e Isotta. Anche l’ estrema lontananza
dal modello wagneriano è un programma ideale oltre che artistico, se
ricordiamo l’ appropriazione falsificante che di Wagner stava facendo
il nazismo. Nessuna magniloquenza o concessione a languori o impeti romantici; “una sorta di Tristano
visto dalle quinte del Pélleas debussiano, ma con un senso di slontanamento nostalgico ancora maggiore”,
secondo l’ espressione di Stefano
Leoni. Ma non è solo una questione
di lingua e di stile; l’ utilizzo diretto
del Roman de Tristan et Iseut di
Bédier prova l’ assunzione di un’ ottica nello stesso tempo arcaica e
modernamente atemporale, sia nella concezione della storia che
nell’ organizzazione formale.
Un filtro di rinascita
Il libretto è opera del compositore
(probabilmente con l’ apporto della
moglie, la flautista olandese Maria
Boeke) che distilla passaggi dalle
pagine di Bédier senza il minimo
ritocco, ottenendo una sintesi agile
di grande potenza drammaturgica.
Fra il Prologo e l’ Epilogo (esattamente il primo e l’ ultimo capoverso
di Bédier) abbiamo tre parti divise
in 18 quadri, rispettivamente 6, 5 e
7. La costruzione risulta compatta
all’ interno di ogni parte, suddivisa
in cellule narrative autonome e coerenti come in un ciclo di affreschi
medievale.
96
Della lunga storia Martin isola tre
momenti nodali (Le Philtre, La forêt
du Morois, La mort), recuperando
alcuni accenni della storia pregressa: le imprese eroiche e cortesi di
Tristano, la sua arte di cantore-arpista, il viaggio verso l’ Irlanda nella
navicella senza vele e senza remi,
incontro alla rinascita e al destino.
Tutto si apre sull’ elemento simbolico fondamentale, il filtro: la
preparazione, le raccomandazioni
della madre di Isotta alla fedele
Branghien, l’ atto inevitabile. “Coloro che ne berranno insieme si ameranno con tutti i loro sensi, con tutti
i loro pensieri, per sempre, nella vita e
nella morte”. Non solo è tematizzata
la centralità del vin herbé, ma viene
evocato l’ aspetto sensuale, imperioso e totalizzante dell’ amore che produrrà; nel proclamare la potenza del
sentimento se ne anticipa la conseguenza e noi già pensiamo al quadro
finale, quello delle due tombe allacciate da un rovo che nessuna violenza umana può sradicare.
Sulla nave in rotta verso la Cornovaglia, Isotta si dispera e rompe il
vincolo del sillabismo con un melisma sulla parola “Chétive / Misera!”; simile procedimento e sulla
stessa parola si trova nella terza parte, quando la tempesta marina sembra volerle impedire di raggiungere
Tristano morente.
Diversamente che in Wagner dove tutto parte da un iniziale delirio
di morte, un errore porta a condividere il vino medicato (“No, non era
vino: era la passione, era l’ aspra gio-
ia e l’ angoscia senza fine, e la morte”). Anzi, non un errore, ma un rito universale (il bere ospitale) e iniziatico (la bevanda sacra); e non un
filtro d’ amore quale la fantasia
dell’ orrido ha offerto per secoli, ma
una pozione naturale (sia pure trattata con scienza e magia) di erbe e
fiori mescolati al vino.
Il primo atto si conclude “quando
abbandono
cadde la notte” con l’ all’ amore su un disegno strumentale a grandi onde, cullante ed evocativo. Privo dell’ invocazione iniziale
con le sue allusioni tenebrose, originariamente l’ oratorio si concludeva
qui, sulla ‘ festa d’ amore’ ; una celebrazione della potenza vitale ignara
del dramma in agguato.
Se la prima e la terza parte costituiscono il cuore del racconto con
l’ eterna polarità ‘ amore-morte’ ,
quella centrale mette in scena il re
Marco e l’ incontro nella foresta: i
due amanti, dormienti e divisi dalla
spada di Tristano, vengono risparmiati dal marito di Isotta che, scambiata la spada-diaframma con la
propria, risveglierà gli scrupoli di
lealtà di entrambi i protagonisti,
portandoli alla decisione congiunta
di separarsi.
“Séparés, ce n’ était pas la vie ni la
mort, ma la vita e la morte ad un
tempo”. Con questo avvio la terza
parte contiene il ferimento mortale
di Tristano, la sua richiesta di rivedere Isotta la Bionda, il viaggio burrascoso di lei, la menzogna gelosa
di Isotta dalle Bianche Mani, la
doppia morte, il miracolo del rovo
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
musicobibliofilia
tra i due sepolcri. Martin non inserisce quella frase di inarrivabile magia amorosa: “Il nostro amore è di
natura tale che voi non potete morire senza di me, né io senza di voi”.
Ma il resto, nella necessaria contrazione testuale, c’ è tutto. “Elle mourut auprès de lui pour la douleur de
son ami”.
Un’ interpretazione atemporale
Nella valutazione critica dell’ opera di Martin, Le vin herbé è considerato il momento di passaggio ad uno
stile maturo dove i vari procedimenti si armonizzano, messi al servizio
della meditazione sulla parola.
Con risorse volutamente scarne
Martin costruisce un lavoro di
grande compattezza stilistica e impatto espressivo, passando da effetti
sinfonici a linee solistiche sofisticate con una miriade di sfumature dinamiche e timbriche. Senza il ricorso a temi portanti, la divisione in
quadri permette di sgranare ‘ numeri chiusi’ caratterizzati da toni e
disegni aderenti al contenuto.
Pochi e brevi sono i passaggi solo
strumentali; tutto è narrazione condotta principalmente dal coro che
spesso si fa carico anche del discorso interiore dei protagonisti. Raramente lavora al completo; da una a
dodici, tutte le combinazioni di voci si susseguono definendo ogni
frase anche timbricamente, senza
mai staccarsi dal principio dell’ omoritmia. I solisti prendono la parola staccandosi dal coro che di frequente li accompagna come forma
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
di commento. Di grande effetto è il
procedere imitativo a quattro parti
sulle parole della madre di Isotta:
“Coloro che ne berranno insieme…”;
poche battute, le uniche, in cui si
deroga al procedere omoritmico.
Solistica o corale, la parola è rispettata minuziosamente nei suoi
valori prosodici ed è accentuato il
suo fluire di racconto arcaico; la
melodia si muove su un sillabismo
rigoroso, spesso vicina alla declamazione monocorde con lievi inflessioni. Il cromatismo, diventato
ormai linguaggio naturale, non inficia la sensazione di sostanziale
diatonismo, accentuato da una condotta ‘ scivolante’ della polifonia che
leviga le armonie più aspre attraverso iterazione e progressive mutazioni accordali.
Apparentemente castigato sul
piano timbrico, l’ insieme di archi e
pianoforte fiorisce in una tavolozza
sperimentale. Come avviene nell’ uso caleidoscopico delle voci, anche
gli strumenti acquistano corpo o si
stemperano seguendo situazioni e
stati emotivi. Gli archi sostengono
il canto con la potenza di un’ orchestra da camera, con effetti plastici di
sapore organistico, con linee solistiche obbligate; al pianoforte, solo o
nell’ insieme d’ archi, è spesso affidata la sottolineatura dell’ elemento
drammatico: sostegno armonico ostinato, tremoli, lunghi passaggi per
moto continuo.
L’ accompagnamento riflette il
principio armonico della scrittura
corale: con accordi perfetti usati in
successioni insolite (echi debussiani) o con gruppi dissonanti, le parti
parallele evocano sonorità delle antiche polifonie: l’ organum e più
spesso il falso bordone tipico appunto delle isole inglesi.
È stato spesso sottolineato l’ uso libero della tecnica dodecafonica in
quest’ opera che diventerebbe così la
prima rilevante prova di Martin nella grammatica schönberghiana. In
realtà di questa si trova qualche speziatura: si incontrano alcuni temi di
12 note, a volte usate in ostinato, ma
senza le procedure previste dalla
dottrina di Vienna. Nel 2° quadro
dell’ ultima parte (quando Tristano
“sentì che la sua vita se ne andava [e]
volle rivedere Isotta”) al basso si presenta una serie completa, ma è più
simbolo di una totalità profonda (il
riassunto di una vita, di una storia)
piuttosto che materiale da elaborare.
Partecipa anzi ad un senso di fissità
iconica a cui tutto il resto concorre:
sillabismo, frequenti passaggi in unisono, procedere armonico coeso,
accompagnamenti in ostinato, lunghi pedali.
Sono soprattutto questi pedali ad
ancorare l’ opera ad una dimensione
liberamente tonale. Il triplo ‘ si’ che
sostiene il Prologo scivola quasi impercettibilmente ad un accordo sospeso nelle ultime battute. E, in lontana analogia con quanto avviene nel
Tristan und Isolde, ritorna a chiudere
l’ Epilogo con un luminoso quanto inaspettato accordo di si maggiore.
Naturale soluzione per il congedo ottimistico delle ultime battute:
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musicobibliofilia
“Seigneurs, les bons trouvères
d’ antan, … Signori, i buoni trovieri
d’ un tempo Béroul et Thomas, e
Monsignor Eilhart, e il maestro
Gottfried, hanno raccontato questa
storia per tutti coloro che amano,
non per gli altri. Per mia voce vi
mandano il loro saluto. Salutano chi
è pensoso e chi è felice, i malcontenti
e i desideranti, chi sta nella gioia e
chi è nel tormento, tutti gli amanti.
Possano trovare qui consolazione
contro l’ incostanza, contro l’ ingiustizia, contro il dispetto, contro la pena,
contro tutti i mali d’ amore”.
Un augurio all’ umanità in lutto,
quindi, questa leggenda; letta secondo un’ ottica solare, lontana dalla mistica della morte, si rivela un
inno alla vita, un esempio di armonia e, per ritornare a Cazenave, “di
una vita totale dove fiorisce ogni
possibilità dell’ essere […] l’ annuncio
di un’ esistenza nuova, intrecciata,
compatta e luminosa, …”. ❧
Federica Fortunato
Una registrazione dell’ opera è disponibile in 2 CD della Harmonia
Mundi (2007). Online si trova una
registrazione completa con lo stesso Frank Martin al pianoforte. Suggeriamo un’ occhiata al videotrailer
dello spettacolo realizzato tra maggio e giugno del 2013 allo Staatsoper di Berlino con un’ inconsueta
messa in scena: www.staatsoperberlin.de/en_EN/repertoire/le-vinherbe.861301.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
Frank Martin
Frenata dalla radicale prudenza di Calvino verso canto e strumenti, schiacciata
fra tre nazioni per secoli protagoniste della storia musicale europea, nella
percezione comune la Svizzera rimane ancora oggi un’area grigia. È vivo il
ricordo dell’attività direttoriale e culturale di Ernest Ansermet, così come si è
diffusa ovunque la pedagogia innovativa di Emile Jaques-Dalcroze; ma la pur
copiosa produzione di molte altre figure di interesse (le opere sinfoniche di
Hans Huber, per esempio, o le pagine pianistiche di Emil Frey) è poco o per nulla
presente.
Frank Martin (1890-1974) è forse l’unico compositore elvetico di perdurante
anche se non popolarissima fortuna. Oltre ad una ormai corposa discografia,
vari studi in lingua tedesca, francese e inglese danno conto della sua statura
di musicista e della posizione originale da lui occupata nel panorama del
Novecento. Tuttavia anche per il più fortunato degli autori svizzeri non si
trovano studi in italiano, a parte i profili biografici nei repertori enciclopedici e
qualche saggio reperibile anche in rete1.
Eclettico è l’aggettivo generalmente usato per una definizione sintetica
di Martin. Appartenendo alla generazione di Stravinskij, Hindemith e Bartók,
è naturalmente immerso in quel turbinio di ricerche alternative al codice
tradizionale con il suo corredo di sperimentazioni, incroci, assunzioni personali
di nuove tecniche.
Martin si definisce orgogliosamente ‘svizzero’, erede sia della tradizione
tedesca che di quella francese; senza dimenticare il mondo espressivo e
valoriale calvinista (il padre era pastore). Nelle interviste e negli scritti Martin
esibisce le sue profonde radici bachiane e riconosce il debito con Debussy e,
in subordine, con molti altri autori. Attento studioso delle opere del passato e
della contemporaneità, applica ed elabora con consapevolezza stili e tecniche
compositive: atteggiamenti tardoromantici, impressionistici, neoclassici,
così come arcaismi, modalità, politonalità e dodecafonia. Al contrario di uno
spirito modellato da troppi influssi e per questo poco caratterizzato, Martin
costruisce gradualmente una propria impronta, lavorando come un artigiano
che sperimenti prodotti e procedure.
“Ogni regola ha come scopo l’arricchimento dello stile, ma […] l’obbedienza alle
regole è soltanto una forma di eleganza, un piacere intellettuale che non ha nulla a
che vedere con il valore”.
Emblematico è l’impiego della dodecafonia (di cui si trovano tracce in Le vin
herbé); studiata in forma autodidattica dalla metà degli anni Trenta, questa è
per Martin una delle organizzazioni possibili dei suoni temperati, spazio per un
arricchimento sul piano melodico e per ingegnose strategie costruttive. Ma non
deve essere un dogma, né come tecnica, né per le implicazioni ideali espresse
dal suo codificatore, Arnold Schönberg.
Al di là della tecnica, Martin sente che ‘la responsabilità del musicista’ (titolo
di uno dei suoi scritti) è quella già esplicitata con naturalezza da Franz Joseph
Haydn: portare all’umanità «pace e consolazione».
“Quali che siano i movimenti dell’anima, dello spirito, della sensibilità che si
manifestano in un’opera, e anche se il fondo è d’angoscia o persino di disperazione,
l’arte deve inevitabilmente portare il segno di quella liberazione, quella sublimazione
che una forma finita evoca in noi e che è, io penso, quello che si chiama bellezza”.
1 - Segnaliamo due analisi, testuale e musicologica, di particolare acutezza e scorrevole lettura su Le vin herbé e il linguaggio di Martin: Maria Sofia Lannutti e Maria Caraci Vela in
http://riviste.paviauniversitypress.it/index.php/phi/article/view/06-02-INT01/96
99
Il Furore del Rock
a cura di Livio Bauer
I
l sesto, l' undicesimo ed il
tredicesimo disco di Springsteen (considerando solo la
produzione nuova ed in studio) sono le eccezioni alla regola di un
suono pieno, orchestrale, composito, assicurato nella maggioranza dei
casi dalla sua E-Street Band (due tastiere, sax e due chitarre oltre a
quella di Bruce, nonché la sezione
ritmica d' obbligo con basso e batteria, e spessissimo percussionisti,
coriste, fiati e violino aggiunti).
Si tratta infatti di opere acustiche
(contrapposte al suono estremamente elettrico ed amplificato che
normalmente lo caratterizza) ed in
solitaria.
Se Nebraska (1982) nasce da una
profonda crisi esistenziale motivata
dalla fine dei sogni giovanili (fu definito addirittura “folk sepolcrale”)
ed è l' unico disco cui non seguì un
tour live, e se Devils & Dust (2005)
è un genuino prodotto cantautorale
americano impregnato di echi
country e folk, dedicato ai soldati americani in Iraq, in The Ghost of
Tom Joad (1995) Springsteen si fa
cantore dolente del disagio sociale:
messicani immigrati clandestini,
disperati lasciati indietro dalla reaganomic, ed in generale storie di
povertà e miseria, di perdita di speranze e valori. Queste tematiche sono sempre state presenti in tutta la
sua opera, e ne riflettono il personale background umano e sociale,
ma in questo caso costituiscono il
tema esclusivo di tutto il disco.
Il punto di partenza, il motivo
scatenante, è The Grapes of Wrath,
1939 (Furore nell' edizione italiana),
capolavoro di John Steinbeck e romanzo-simbolo della Grande Depressione americana degli anni ' 30,
da cui già Woody Guthrie (19121967), padre di tutti i folksingers,
trasse ispirazione per la sua Tom Joad (dal nome del protagonista).
Probabilmente è questo il medium
che ha portato Bruce a conoscere il
libro di Steinbeck, insieme all' omonimo, bellissimo film di John Ford
del 1940, con Henry Fonda e John
Carradine.
Va detto subito, infatti, che
Springsteen (tutt' altro che un intellettuale) ha avuto sempre un rapporto conflittuale con l' obbligo
scolastico ed ha cominciato solo in
età adulta ad accumulare letture significative, con l' entusiasmo ed il
disordine del neofita. Non c' è
dubbio comunque che la storia di
Tom Joad l' ha colpito profondamente, inducendolo a trasporre le
stesse tematiche su soggetti della
sua contemporaneità, con vera partecipazione e profondo trasporto.
Un' altra fonte dichiarata è Journey
to Nowhere, the saga of the new underclass (ediz. italiana Il Saggiatore
2005: Homeland, viaggio nella madrepatria americana) di Dale Maharidge
(scrittore americano già vincitore del
Pulitzer 1990), da cui nascono in particolare due canzoni: Youngstown e
The New Timer. Parte integrante
dell' opera di Maharidge sono le fotografie, definite “agghiaccianti”, di Michael Williamson. Il libro è stato ristampato negli USA nel 2011, con
prefazione dello stesso Springsteen.
Livio Bauer
B. Springsteen & J. Steinbeck
100
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Il FUrore del Rock
Prima di The Ghost of Tom Joad,
Bruce aveva concluso il suo percorso umano ed artistico con la coppia
di dischi del 1992. Dal ragazzo nato
per correre (Born to Run, 1975) era
passato al camminare come un uomo (Walk like a Man, da Tunnel of
Love, 1988), fino alle gioie e le responsabilità di una famiglia vera
(Human Touch e Lucky Town, appunto). Aveva concluso la reunion
con i fedelissimi della E-Street
Band con il Greatest Hits del
1995, e rischiava di impantanarsi creativamente nella vita del
borghese tranquillo ed appagato.
Perché in Springsteen vita ed
arte sono sempre state felicemente coincidenti: egli sarebbe
stato semplicemente incapace di
portare avanti una carriera ripetendo allo sfinimento le tematiche dei suoi hits giovanili, come
fanno a tutt' oggi tante patetiche
rockstar settantenni.
Ed allora ecco la stagione
dell' impegno: nel 1993 compone per l' amico regista Jonathan
Demme il celeberrimo tema conduttore di Philadelphia (film “scomodo” sull' AIDS), vincitore sia del
Grammy che dell' Oscar come miglior canzone, seguito da Dead
Man Walking e Missing per altri due
film “impegnati” dell' altrettanto amico, nonché fan sfegatato, Sean
Penn.
E via con un disco difficile da fare
e da ascoltare, senza concessioni alla facile fruizione, né come testi né
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
come musica, e f*** off al mercato
ed ai discografici. Incoraggiato da
Lyle Lovett, grande cantautore texano (ed ex-marito di Julia Roberts) compone, produce, incide e
finanzia un' opera che per sua stessa
ammissione avrebbe potuto, in caso di clamoroso insuccesso, lasciarlo sul lastrico. La Columbia non
crede nel potenziale commerciale
della nuova incisione, e la promuo-
ve poco e male; il suo produttore
storico e mentore Jon Landau (non
a caso assente dai credits) gli pronostica un sicuro insuccesso. Il disco
si piazza in effetti al suo meglio
all' 11° posto nelle classifiche di
vendita americane e Springsteen si
trova a condurre il tour promozionale mondiale, acustico ed in solitaria, in teatri da 3/5.000 posti. La
stampa più trendy (Details, Q) lo
stronca impietosamente e c' è chi
calcola che l' autore di Born in the
USA (1984, 15 milioni di copie vendute, sette settimane al n° 1) avrebbe potuto incassare 150 milioni di $
se al posto del tour acustico avesse
promosso il Greatest Hits (subito
number one in tutto il mondo) con
la riformata E-Street Band.
Però, però… il Village Voice e Rolling Stone definiscono The Ghost il
lavoro di Springsteen più riuscito e
coraggioso degli ultimi dieci anni,
gli viene assegnato il Grammy
(equivalente ad un Oscar musicale) per il miglior album folk
contemporaneo (“storie violente
raccontate sottovoce” le definisce
lui) ed il tour va avanti con crescente successo di pubblico e di
critica, specialmente nella vecchia Europa. Alla fine saranno
in totale 129 concerti sold-out in
tutto il mondo nell' arco di un
anno e mezzo: più di due ore e
30' su un palco da solo, senza
strumenti elettrici, con la sua
vecchia Takamine ed un' armonica al collo in perfetto stile
folksingin' , a demolire felicemente l' immagine di rockstar ipertrofica anni ' 80. Dal vivo stravolge
anche numerosi dei suoi inni elettrici in versione acustica, sofferta e
scarna: applauditissimo. In apertura ed in chiusura di concerto risuona il Tema Finale di C' era una volta
il West di Ennio Morricone, musicista italiano venerato negli USA.
Durante il tour scrive pure molte
delle canzoni che saranno, quasi
dieci anni dopo, su Devils & Dust.
Io non ho potuto presenziare a nes101
Il FUrore del Rock
suna delle 5 esibizioni italiane (il
20.2.1996 fu perfino al Festival di
Sanremo di Pippo Baudo: eseguì
The Ghost of Tom Joad sottotitolata;
fiammata di vendite in Italia nei
giorni seguenti) ma ero a Bologna il
4 giugno 2005, per il Devils & Dust
Tour, in un Palamalaguti torrido e
gremitissimo (tra le 10 e le 12.000
persone): durante le esecuzioni non
si sentiva volare una mosca e la tensione e l' emozione si tagliavano col
coltello. Il piccolo grande uomo del
New Jersey, in perfetta solitudine,
camicia grigia e jeans stazzonati,
con la sua chitarrina o seduto all' organetto, al banjo o alla Rickenbacker elettrica, armonica e pedaletamburino da busker, ci ha stregati
tutti per 150 minuti di fila. E la
maggior parte dei presenti capiva
poco o nulla dei testi, cantati ma
più spesso biascicati, mormorati,
sussurrati in strettissimo Jersey
slang. L' ho visto almeno una dozzina di volte dal vivo, a partire dal mitico San Siro 21 giugno 1985, ma
l' apparizione acustica di Bologna
' 05 resta uno dei ricordi più forti.
The Ghost Of Tom Joad (Columbia, 1995), prodotto da Springsteen stesso assieme al fido Chuck
Plotkin e mixato da Toby Scott, si
avvale in realtà, in diversi pezzi,
dell' accompagnamento discreto di
un paio di E-Streeters (Federici e
Tallent) e di vari altri strumentisti,
fra cui spicca la violinista Soozie
Tyrell, che una decina d' anni dopo
entrerà praticamente in pianta sta102
bile nella E-Street Band. Dodici
canzoni e copertina orribile, forse
la peggiore in un lotto già mediamente molto basso dal punto di vista visivo.
The Ghost of Tom Joad. La titletrack è una scabra ballata che dà il
tono a tutta l' opera: voce dimessa
(neanche l' ombra del Bruce tonitruante di Born in the USA), strumentazione essenziale, acustica e
scarna, con sporadiche sciabolate
di un' armonica lancinante.
È la storia di Tom Joad, antica ed
attualissima, cruda, dura, opprimente. Vi si ritrovano brani di
Steinbeck, frasi dal film di John
Ford, sprazzi di disperata attualità a
creare un' epica senza tempo dei reietti e degli ultimi: “Uomini camminano lungo i binari / senza meta e
senza ritorno / Elicotteri della polizia spuntano dalla collina / Una minestra calda in un bivacco sotto il
ponte / La fila per un letto fa il giro
dell' isolato”.
Siamo alla pura sopravvivenza,
umiliante ed avvilente perfino per
lo spettatore distratto: “Famiglie
dormono in macchina nel Sudovest /
niente casa, niente lavoro, niente pace, niente riposo”.
Ed ecco la botta ai potenti. Sarcasmo più che ironia: “Benvenuti nel
nuovo ordine mondiale”. Amaro riferimento alle manie di grandezza
statunitensi spesso ripreso dallo
Springsteen live anche attraverso
l' amatissima Who' ll stop the Rain
dei Creedence di John Fogerty. Beffardo il nuovo ordine mondiale, per
chi non ha dove andare ed intraprende un viaggio senza speranza
per la promised land di turno (autocitazione: è il titolo di uno dei suoi
maggiori anthems). “Coperto dai
cartoni nel sottopassaggio / con un
biglietto di sola andata per la terra
promessa / hai un buco nello stomaco e una pistola in mano / e dormi su
un letto di dura pietra”.
Chiusura, citando Steinbeck,
sull' addio di Tom Joad alla madre,
autentica american prayer, universale promessa di lotta, tenacia e
speranza: “Ovunque un bambino
appena nato piange per fame / dove
c' è repressione e odio nell' aria / cercami, mamma, io ci sarò / Dovunque qualcuno lotta per un posto dove stare / o un lavoro dignitoso o una
mano pietosa / Dovunque qualcuno
si batta per essere libero / guarda nei
loro occhi, mamma, e mi vedrai”.
Il ruvido ritornello ci riporta però ai giorni nostri, ai fuochi sul bordo delle autostrade, agli sconfitti
accanto a cui sfrecciano indifferenti le nostre macchine… “L' autostrada è viva stanotte / ma nessuno
si illude su dove porti / Sono seduto
là, alla luce dei fuochi da campo /
con il fantasma del vecchio Tom Joad”.
Il romanzo di Steinbeck, da cui
tutto partì, il film di Ford, la canzone di Guthrie, la ballata di Springsteen: il cerchio si chiude.
Ma certo, visto il temperamento
battagliero del nostro, non vanno
dimenticate le frasi della Madre nel
film di John Ford: “Siamo vivi. Sia2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Il FUrore del Rock
mo il popolo, la gente, che sopravvive
a tutto. Niente può distruggerci. Nessuno può fermarci. Noi andiamo
sempre avanti”.
Straight Time. Charlie, uscito di
prigione, tenta di cambiare vita e di
farsi una famiglia.
Ma il richiamo della
wild side è troppo
forte: “Nel buio, prima di cena / a volte
sento il prurito”, e
quasi ineluttabilmente ci ricasca:
“Giù in cantina, un
fucile da caccia ed
un seghetto / sorseggio una birra e la
canna da tredici pollici cade sul pavimento / Torno a casa la sera e non riesco a togliermi l' odore dalle mani”.
Nessun romanticismo, solo fredda
constatazione ed un
senso di pena e di nausea…
Highway 29. Un onesto commesso (che potrebbe essere benissimo
il Charlie di Straight Time) conosce
la donna sbagliata e con lei compie
una rapina. Fuga in auto: “Il sole invernale passava attraverso alberi neri / Mi dicevo che doveva trattarsi di
qualcosa in lei / ma mentre guidavamo scoprii che era qualcosa in me /
qualcosa da tanto tempo fa / e qualcosa che era lì con me adesso / sulla
statale 29”.
La premonizione dell' inevitabile:
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
“Tutto ciò che vedevo erano neve,
cielo e pini / Chiusi gli occhi e correvo / correvo e poi volavo”. E come
non pensare al finale di Thelma e
Louise (1991) di Ridley Scott…
Youngstown. Uno dei capolavori
non solo dell' album, ma di tutto il
corpus della scrittura springsteeniana. Eseguita spesso dal vivo, ha
goduto anche di un arrangiamento
elettrico full band, con un furibondo assolo di chitarra di Nils
Lofgren, che ne arricchisce e valorizza la robusta, struggente, struttura musicale.
La storia vera di Youngstown,
Ohio, polo industriale dell' acciaio
da quasi due secoli, che subisce il
declino, la crisi e l' abbandono col
conseguente, inevitabile, scempio
sociale. “Costruirono un altoforno… / e produssero le palle di cannone / che aiutarono l' Unione a vincere la guerra / qui a Youngstown”.
Il padre del narratore lavora negli
altoforni, “più caldi dell' inferno”,
così come il figlio, che
tornato dal Vietnam
riprende un lavoro
“più che adatto per il
diavolo”. Lavoro durissimo dunque, ma sostentamento della famiglia: “Carbone e calcare / hanno nutrito i
miei figli… / Quelle ciminiere che si allungano come le braccia di
Dio / in un bel cielo di
fuliggine e argilla / qui
a Youngstown”.
Il padre, reduce della
seconda guerra mondiale, osservando la
rovina attuale, commenta: “Questi ragazzi
hanno compiuto ciò che
non era riuscito nemmeno ad Hitler” alludendo ai calcoli economici
di pochi profittatori. “Queste fabbriche hanno costruito i carri e le
bombe / che hanno vinto le guerre
del nostro paese / Abbiamo mandato
i nostri figli in Corea e nel Vietnam /
e ora ci chiediamo per cosa sono
morti”.
La chiusura degli stabilimenti,
dettata da spietate logiche di profitto: “La storia è sempre la stessa / Settecento tonnellate di metallo al giorno / E ora, signore, mi dici che il
103
Il FUrore del Rock
mondo è cambiato / Ma io ti ho reso
ricco abbastanza / …da dimenticare
il mio nome / e Youngstown”.
Quasi come il disoccupato senza
futuro di Johnny 99 in Nebraska
(che chiedeva di essere ucciso),
qui… “Quando morirò non voglio
andare in Paradiso / Non farei bene
i lavori del Paradiso / Prego che venga a prendermi il diavolo / e mi porti nelle ardenti fornaci dell' inferno”.
Amarissimo, straziante epilogo di
chi, anche nell' aldilà, non sa immaginare un' esistenza senza duro lavoro, e siccome l' unico che conosce
è infernale…
Sinaloa Cowboys. Storia vera di
due fratelli messicani, immigrati
clandestini (ma il padre li avverte:
“Figli miei… per ogni cosa che dà, il
nord esige il suo prezzo…”), che
dapprima svolgono per un tozzo di
pane i lavori che gli hueros (i giovani americani) non vogliono fare, e
poi, attirati dal facile guadagno,
passano a gestire un laboratorio
clandestino di metanfetamine del
“cartello” di Sinaloa. Inevitabile la
tragedia: sostanze chimiche pericolose e instabili e mancanza di precauzioni elementari portano al tragico scoppio in cui un fratello perde la vita. L' altro, recuperati i quattro soldi accantonati, saprà (speriamo) cambiare vita…
The Line. Secondo pezzo della
Border Suite dopo Sinaloa Cowboys,
ancora un richiamo a Nebraska (Joe
Roberts, stavolta): là un poliziotto fa
scappare il fratello delinquente, qui
una guardia di frontiera si inteneri104
sce per una clandestina messicana e
la lascia passare, ma un collega lo
scopre… e sta zitto. Situazione surreale al confine USA-Messico, dove
spesso Border Patrolmen e clandestini sono amici, se non addirittura
parenti…
Balboa Park. Terzo atto delle
"storie di confine", disperato e
squallido. Un altro clandestino, nel
Balboa Park di San Diego (California), tra droga, degrado, spaccio e
prostituzione, si barcamena senza
speranza di redenzione.
Dry Lightning. Una semplice storia d' amore: deluso, naturalmente,
visto il mood del disco. “Lei disse:
nessuno può dare a un altro ciò di
cui ha davvero bisogno”. “Bé, così ti
stanchi di lottare / e non hai nemmeno più paura che sia finita / Ma non
perderò il suo ricordo / e il dolce profumo della sua pelle / C' è solo un
fulmine senza nubi, all' orizzonte /
Solo un lampo, e tu nella mia mente”.
The New Timer. Ispirato, come
Youngstown, dal libro di Maharidge, è un testo lungo e pieno, in cui
l' accompagnamento musicale è
quasi superfluo. Poco adatto, pertanto, all' esecuzione live, raramente
compare in concerto. Narra di un
homeless senza nome, troppo vecchio per sperare in un lavoro nuovo, che vaga per la nazione da un
treno merci all' altro. Frank, compagno di peregrinazioni, lo introduce
alla dura vita del senzatetto. “Ho lasciato la mia famiglia in Pennsylvania / cercando lavoro sono finito sul-
la strada / …dal New Mexico al Colorado / dalla California al mare”.
Ogni tanto qualche lavoretto da
bracciante, ma poi… “Ci hanno
messi a dormire in una stalla / me ed
un centinaio di altri come me”.
Non bastasse, un giorno, inspiegabile e assurdo, ecco l' assassinio di
Frank, suo unico amico. Forse qualche balordo, forse uno sbirro troppo zelante… “Gli hanno sparato
fuori Stockton / il suo corpo abbandonato su una collina fangosa / Nulla mancava, niente gli era stato rubato / qualcuno l' ha ucciso tanto per
uccidere”.
Attonito, passa accanto ad una
casa dove una famiglia sta cenando:
“Una donna serve la cena in cucina
/ un ragazzo siede a tavola col suo
vecchio / e io mi domando se manco
a mio figlio / se si chiede mai dove
sono”.
Ed eccoci al finale più nero di tutta la produzione springsteeniana.
Non resta più nulla, neanche Dio.
Solo rabbia cieca e voglia di vendetta. “O Gesù, pietà e misericordia /
stanotte, mi spiace, non mi riempiono il cuore / come potrebbero un
buon fucile / e il nome di qualcuno
da uccidere”.
Across the Border. Dopo la notte
più oscura, come spesso in Springsteen, un po' di serenità, gioia e
speranza. Forse debitore della celebre Across the Borderline di Ry Cooder, ecco il pezzo musicalmente
più bello di tutto il disco. Sussurrato, più che cantato, con infinita tenerezza, da Bruce, l' armonica che
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Il FUrore del Rock
piange, si conclude con un coro a
bocca chiusa in levare che fa venire
la pelle d' oca. Fantastico. Quarto ed
ultimo brano della Border Suite, è
una semplice, pulita, “banale” storia
d' amore, che però a questo punto
del disco ha un significato profondo: sa di pacato ottimismo e di riscatto. È la sera prima del passaggio
del confine: fra sogno e realtà un
innamorato si rivolge alla “sua piccola”. Nella lunga intro parlata
dell' esecuzione live [servirebbe un
intero articolo solo per parlare delle interminabili introduzioni di
Bruce ai suoi pezzi, di volta in volta
seduta psicanalitica, sfacciata bugia, pazza voglia di divertirsi…] cita ancora le parole di Tom Joad alla
madre della title track: nobile, coraggioso messaggio di Steinbeck ai
diseredati di tutti i luoghi e tutti i
tempi.
Qualche verso dal testo della canzone: “Domani la mia piccola ed io /
dormiremo sotto cieli ramati / da
qualche parte oltre il confine / …lasceremo indietro dolore e tristezza…
/ …costruirò una casa per te / alta su
una collina erbosa / …dove dolore e
ricordi siano placati / …dolci fiori
nell' aria / dorati pascoli verdi / ac-
qua fresca e limpida… / …fra le tue
braccia / sotto cieli infiniti / cancellerò con un bacio il dolore dai tuoi occhi / laggiù oltre il confine… / stanotte canteremo canzoni / e ti sognerò, amore mio / Domani il mio cuore sarà forte / e la grazia e la preghiera dei Santi / mi porteranno al sicuro fra le tue braccia / laggiù oltre il
confine”.
Galveston Bay. Messaggio concreto di speranza e tolleranza, questa canzone deve molto ad Alamo
Bay del regista Louis Malle ed al libro di Morris Dee A season of justice. È la storia tutta americana di Billy e Le Bin Son, reduci del Vietnam,
pescatori di gamberi nel Golfo del
Texas. Sposati, un figlio Billy, una
figlia Le, che ambedue “…baciano
al mattino / prima di andare a buttare le reti”. Un rigurgito xenofobo,
la rabbia povera di chi si vede insidiato il lavoro, li pone su fronti opposti “…America agli americani / Se
volete che se ne vadano, dategli fuoco!”. Le Bin Son uccide due adepti
del Klan mentre tentano di incendiargli la barca-abitazione. Legittima difesa, dice il giudice. Billy decide di farsi giustizia da solo, e aspetta Le impugnando un serramanico.
“La luna si nascose tra le nuvole / Le
accese una sigaretta, il mare era calmo / Quando gli passò accanto, Billy
rimise il coltello in tasca / Fece un sospiro e lo lasciò andare”. Springsteen
sente di non dover spiegare la scelta
di Billy, umana, saggia, naturale. La
scelta che troppo spesso viene disattesa. La più difficile, la più giusta.
Quella che sempre dovrebbe essere
fatta…
My best was never good enough.
Il disco si chiude con un collage di
detti popolari più strambi che saggi, sciorinati a mo' di filastrocca.
Molti sono gli stessi del film Forrest
Gump di Robert Zemeckis.
Forse Bruce vuole dirci di non
cercare sempre a tutti i costi un significato profondo, nelle canzoni
come nella vita. Meglio a volte seguire l' istinto, come Billy…
Spiazzata la critica, che considera
inspiegabile questa sterzata finale
sul nonsense. E sembra di vedere il
Boss sogghignare: “Ma devo spiegarvi sempre tutto? Volete pure i disegnini?”.❧
Livio Bauer
BIBLIOGRAFIA
aa.vv., Enciclopedia Rock 5 voll., Arcana, 1985-1999
aa.vv., The Rolling Stone files, Tarab, 1997
Stefano Barco e Alberto Neri, Bruce Springsteen Anthology, Arcana, 1999
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Ermanno Labianca, American Skin, Giunti, 2000
Claudio Mapelli, Trent' anni da Boss, Editoriale L' Espresso, 2005
Dave Marsh, Glory Days, Sperling & Kupfer, 1988
Dave Marsh, Nato per correre, Gammalibri, 1983
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
Paolo Mereghetti, Dizionario dei film, Baldini Castoldi Dalai, 2004
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Paolo Vites, Bruce Springsteen, Arcana, 1998
“Backstreets” The Boss Magazine 1995-2013
“Buscadero” 1990-2013
“Il Mucchio Selvaggio” 1970-1990
105
Il FUrore del Rock
Discografia Essenziale Commentata
Born to run (Columbia, 1975, 3° in classifica).
Dopo due dischi buoni ma ancora acerbi, con un
gradevolissimo mood jazzy, ma che vendono poco,
i discografici non avrebbero tollerato un altro fallimento. Bruce e la E-Street Band nella formazione
classica (Van Zandt-Clemons-Federici-Bittan-Tallent-Weinberg), con l' aiuto determinante di Jon
Landau, dopo due anni di lavoro durissimo e mille
ripensamenti, ai celeberrimi Record Plant Studios di
New York sfornano il loro primo capolavoro. Prodotto dal trio Springsteen-Landau-Appel (la disputa legale stava partendo), mixato da Jimmy Iovine,
allinea otto classici, pezzi che delineano l' epica notturna e giovane, elettrica e motorizzata di una generazione urbana delusa, ribelle ed arrabbiata. La title
track è il pezzo più eseguito dal vivo: compare negli
encore di (quasi) tutti i suoi concerti. E Jungleland,
Backstreets, Tenth Avenue Freeze Out, Thunder Road, ancora oggi, dopo quasi quarant' anni, mancano
di rado…
La 30th Anniversary Edition (Sony-BMG-Columbia, 2005) è il sogno di ogni fan, con un dvd di making of ed un altro con l' intero concerto londinese
all' Hammersmith Odeon del 18 novembre ' 75.
Darkness on the edge of Town (Columbia, 1978,
5° in classifica). Esce dopo un lungo (a quel punto
della carriera) silenzio discografico dovuto alla querelle giudiziaria con Appel. Opera cupa, oscura,
pessimista, è secondo molti l' apice della produzione
springsteeniana. Factory, la “vita” di un operaio, a
spaccarsi la schiena dall' alba al tramonto, avrebbe
potuto stare su The Ghost of Tom Joad. Badlands
canta l' angoscia per un futuro che non sarà migliore di un presente di sudore e sacrificio. L' amore come rifugio (Prove it all Night), la mitica, irraggiungibile terra promessa (The Promised Land), la città
106
oscura (Darkness on the edge of town). Dieci brani, e
non sbagliarne uno. Sempre ai newyorkesi Record
Plant, produzione Landau-Springsteen-Van Zandt,
in studio Plotkin-Iovine. Bruce compie trent' anni, è
la fine dell' innocenza e dei sogni, celebrata con il
miglior tour all-time della storia del rock: 118 concerti, purtroppo solo in USA, in cui poesia, furia,
potenza, entusiasmo, sofferenza, sudore e gioia, di
un Artista, della Sua Band e del Suo Pubblico, si
fondono in un unicum irripetibile.
Il cofanetto celebrativo The Promise (Sony-Columbia, 2010) allinea 2 cd di outtakes preziosissime,
un dvd con tutto il disco risuonato live, nella sequenza originale, dalla E-Street Band nel 2009, un
dvd di making of, e, finalmente, un terzo dvd col filmato completo del Live in Huston (Texas), dell' 8 dicembre ' 78. Definitivo.
The River (Columbia, 1980, 2 LP, 1° in classifica).
L' irrefrenabile bulimia creativa di Bruce lo porta a
produrre addirittura un doppio LP di canzoni nuove (cosa piuttosto inusuale ai tempi). Atmosfera
gioiosa, spensierata, allegra anche se il disco si conclude con la drammatica Wreck on the Highway,
quasi un' anticipazione dell' atmosfera pesante del
successivo Nebraska. Venti pezzi, produzione
Springsteen-Landau-VanZandt. Mixato da Chuck
Plotkin e Toby Scott ai Power Station Studios di NY.
The River, Independence Day, Hungry Heart, The
Price You Pay, Point Blank tra le più famose. Il tour
promozionale (144 concerti, finalmente in modo
organico anche in Europa, ma non in Italia) lo consacra a livello mondiale.
Nebraska (Columbia, 1982, 1° in classifica, incredibilmente!). All' apice del successo, a 33 anni, realizza che la sua vita al di fuori della musica è praticamente inesistente. Assistito comunque sempre da u-
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Il FUrore del Rock
na felice vena creativa, registra su un vecchio 4 piste nella sua casa di Colts Neck (New Jersey) 10 pezzi in modo grezzo ed artigianale (si avvertono distintamente gli scricchiolii della sedia su cui siede).
Canzoni talmente anomale, desolate, spiazzanti che,
nonostante svariati tentativi, non è possibile arrangiarle per la band. Nemmeno la reincisione solista
in uno studio professionale convince appieno. Ed allora il colpo di genio di Jon Landau, e la perizia tecnica del “solito” Plotkin, portano alla scelta radicale
di pubblicare il nastro as it is.
Born in the USA (Columbia, 1984, 1° in classifica). Presto archiviati i turbamenti di Nebraska, realizza l' album perfetto: 12 brani, tutti successi anche
come singolo, vendite stratosferiche, 160 date soldout in tutto il mondo (Australia e Giappone compresi). Prodotto da Springsteen-Landau-PlotkinVanZandt, registrato da Toby Scott negli studi Power Station ed Hit Factory di NY, mixato da Bob
Clearmountain. Rivalutato nel tempo anche dai fans
della prima ora, che non gradirono il clamore mediatico, il suono inevitabilmente “pompato” degli
stadi da 80.000 spettatori, lo stesso aspetto “muscolare” di Bruce, che sembra in effetti sotto steroidi.
Born in the USA, Downbound Train, No Surrender,
Bobby Jean, I' m going down, Glory days sono grandi
pezzi, che meritano un posto tra i suoi migliori.
Trionfale il debutto italiano live a Milano, 3 ore abbondanti di musica per uno dei suoi show più celebrati di sempre.
Live 1975-1985 (Columbia, 1986, 1° in classifica).
Il tanto sospirato primo live di Springsteen è una
parziale delusione per i seguaci più accaniti: non un
concerto intero, magari del mitico Darkness tour,
ma una mega-raccolta in ben 5 LP di 40 pezzi tratti
da suoi concerti nell' arco di dieci anni. Troppo presenti le canzoni di Born in the USA rispetto ai periodi precedenti, assenze clamorose (Jungleland su tutte). È comunque un prodotto validissimo per chi
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
vuole avvicinarsi al fenomeno Bruce-live, ma svela anche il lato più avido e compiacente del duo Landau-Springsteen. Co-prodotto da Chuck Plotkin.
Tunnel of Love (Columbia, 1987, 1° in classifica).
Accreditato al solo Bruce, anche se la E-Street Band
è presente sia in studio che in tour. Registrato ai
Thrill Hill Studios in New Jersey da Toby Scott,
mixato da B. Clearmountain, produzione Springsteen-Landau-Plotkin, master di Bob Ludwig. 12 pezzi, fu realizzato nell' intervallo tra la fine del primo
matrimonio e la nascita del legame con Patti. Ancora un' opera dura e pessimista, divisa equamente tra
canzoni acustiche ed elettriche. Thougher than the
Rest, All that Heaven will allow, Spare Parts, Tunnel
of Love, sono comunque brani memorabili. Del tutto diversa l' atmosfera, gioiosa e romantica, del Tunnel of Love tour, 86 date, che vede la nascita dell' amore con la sua corista e susseguenti matrimonio e
prole. Bruce è entrato definitivamente nell' età matura.
The Ghost of Tom Joad è trattato ampiamente nel
corpo dell' articolo.
Occorre invece segnalare Tracks (Columbia, 1998,
4 cd, 27° in classifica), prezioso cofanetto dedicato agli hardcore-fans con gran parte (ma non ancora tutte) delle numerosissime canzoni “scartate” nel corso
della sua ormai trentennale carriera, spesso perfettamente riuscite ma giudicate da Bruce estranee al messaggio ed all' atmosfera generale del disco in cantiere
in quel determinato periodo. Sono ben 66 pezzi, molti dei quali bellissimi e sospirati dai fan per decenni,
dopo averli ascoltati su pessime, costosissime incisioni clandestine. Probabilmente solo Bob Dylan può
vantare un archivio di outtakes più ricco e variegato.
Anche stavolta non mancano le polemiche (più che
mai fuori luogo) per qualche inevitabile, ma tutto
sommato indolore, esclusione, e soprattutto per la decisione di sovraincidere ex novo alcune parti, andando a ledere, secondo i puristi, la genuina freschezza
107
Il FUrore del Rock
degli originali. Prodotto da Springsteen-Plotkin.
Trionfale e festoso come non mai, il Tracks-tour, 132
date, festeggia degnamente il ritorno live ufficiale della E-Street Band dopo 14 anni.
The Rising (Columbia, 2002, 1° in classifica). La
frustata dell' 11 settembre 2001 è terribile per l' America come per Springsteen, che reagisce con immensa classe, usando tutta la sua influenza per lanciare
un messaggio di rinascita e (sì!) di tolleranza. La sua
risposta non cambia: affrontare virilmente violenza
e dolore, cercando di gettare le basi per un futuro di
pace. Prodotto e mixato da Brendan O' Brien, che
influenza molto anche il suono, piacevolmente cosmopolita e terzomondista. Registrato ai Southern
Track Recording di Atlanta (Georgia).
Empty Sky, Worlds Apart, The Fuse, Further on up
the road, Mary' s Place, The Rising, …
120 concerti all around the world ne consolidano
il successo e sanciscono il ritorno di Springsteen nel
novero delle superstar “commerciali”.
We shall overcome-The Seeger Sessions (Columbia, 2006, 3° in classifica). La partecipazione ad un
tribute-album in onore di Pete Seeger (venerando
folksinger americano) gli fa conoscere ed apprezzare
il repertorio di Seeger stesso nonché tutto un patrimonio di musica tradizionale comunemente etichettata come folk. Detto fatto, messa in freezer ancora una volta la E-Street Band e circondatosi di un validissimo e cospicuo gruppo (ben dodici musicisti, tanto
sconosciuti quanto bravi), sforna velocemente un disco fresco e godibile dalle sonorità completamente
nuove, che anticipa in qualche modo l' esplosione del
suono Americana, caratterizzato da strumentazione
semiacustica, entusiasmo travolgente, ritorno alle radici. 15 pezzi, prodotto da Bruce Springsteen, registrato ai Thrill Hill (NJ) dalla premiata ditta ScottClearmountain-Ludwig, è seguito da un tour di 56
date, la maggior parte in Europa (ben 8 in Italia!). La
tappa di Verona (Arena, 5.10.2006) resta per me
108
un altro ricordo indelebile.
Bruce si preoccupò molto di distinguere l' immagine e la musica di Pete Seeger dalle sue idee politiche (è un comunista convinto).
Live in Dublin (Columbia, 2007, classifica non disponibile). Magnifico documento della penultima
tappa del Seeger tour: a Dublino, dove molti dei pezzi eseguiti nacquero, una band ormai rodatissima ed
un Bruce senza inibizioni scatenano le danze al primo pezzo e le chiudono dopo il 23°. Oltre al repertorio delle Seeger-sessions diversi grandi classici
springsteeniani rinascono più belli e forti dopo il
“bagno irlandese”: Atlantic City, If i should fall
behind, Highway Patrolman, Open all Night,
Growin' up, Blinded by the Light… meraviglia. 2 cd
ed un magnifico dvd da vedere e rivedere.
Wrecking Ball (Columbia, 2012, 1° in classifica).
Un mix di E-Streeters e di musicisti delle Seegersessions, la produzione di Ron Aniello-Springsteen-Landau, gli studi Stone Hill (NJ), i tecnici ScottClearmountain-Ludwig: ed ecco un ottimo disco
di classic blue-collar rock (rock proletario, per farla
breve), ossia la musica che ha fatto grande Springsteen. Estrema attenzione alle tematiche sociali,
suono più pieno che mai (fiati, coristi aggiunti,
violini, banjo, fisarmonica…), irish-rock, blues,
folk. Realistico e sensibile, semplice e credibile,
gioioso e pensoso: Bruce Springsteen, ancora una
volta, al suo meglio.
The Wrecking tour: 135 concerti, ed altri 17 già programmati nel 2014, insieme al nuovo cd High Hopes
in uscita il 14 gennaio prossimo. Sempre più lunghi,
intensi, sudati e forse un po' troppo fracassoni, clowneschi, prevedibili. Ma quando poi si mette al piano
e ti sciorina For You come fosse in una bettola sul
porto prima della chiusura, ed una Racing in the Street mai così nebbiosa e notturna, gli perdoni tutto, e
torni a sorridere, a commuoverti, a ballare…
[L. B.]
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Il FUrore del Rock
CENNI BIOGRAFICI E CRITICI
Bruce Frederick Springsteen nasce a Long Branch,
New Jersey, il 23 settembre 1949, primogenito di
Doug, di origini olandesi, e di Adele Zirilli, i cui genitori emigrarono in Usa da Vico Equense (Napoli)
a fine Ottocento. Virginia nacque poi nel 1950, Pamela (Pam), nota fotografa, nel 1962. Doug, che
cambiava spesso lavoro, odiava due cose: i capelli
lunghi di Bruce e la sua chitarra. Pertanto, nella casetta di Freehold, i contrasti erano all'ordine del
giorno. Per fortuna Adele, che sostentava la famiglia col suo lavoro di assistente legale, era di tutt'altra pasta, anzi fu lei stessa a regalare la prima chitarra al figlio, rinunciando subito ai sogni di vederlo
un giorno avvocato. Neanche a scuola, dalle suore,
Bruce seppe rendersi la vita facile. Preferiva abbeverarsi, alla radio della mamma, al favoloso mondo
musicale degli anni '60: soul, blues, rithm 'n blues,
jazz, country, rock 'n roll, la british invasion. Come
una spugna assorbiva gli elementi di quello che poi
sarebbe stato il suo suono. Le prime band: Castiles,
Steel Mill, Dr. Zoom & Sonic Boom, Bruce Springsteen Band. Tutte tappe che lo porteranno al provino acustico con John Hammond, della Columbia
Records, lo scopritore di Bob Dylan. Nel frattempo,
dopo l'ennesimo cambio d'impiego di Doug, la famiglia si trasferisce in California, mentre Bruce resta nel New Jersey a coltivare il suo sogno. Il contratto con la Columbia, la nascita della mitica EStreet Band (per almeno due lustri, dal '75 all' '85,
the best rock 'n roll band in the world), l'accordo-capestro col suo primo manager Mike Appel, i primi
dischi, l'esplosione di Born to run nel '75, il legame
col manager-produttore-mentore di tutta una carriera, il giornalista Jon Landau (sua la famosa frase:
“…stasera ho visto il futuro del rock, ed il suo nome è
Bruce Springsteen…”), la sfiancante diatriba legale
con Appel, da cui uscirà solo due anni dopo, il ca-
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
polavoro Darkness on the Edge of Town, il successo
mondiale, le copertine (in contemporanea) di Time
e Newsweek, la tranquillità economica, l'ingresso
trionfale nell'Olimpo delle rockstar nel 1985. Un
matrimonio nato male, poi l'unione con Patti Scialfa (ancora sangue italiano) che gli darà tre figli.
I tranquilli anni '90, i più opachi dal punto di vista musicale, ne decretano però la definitiva maturazione umana: è la fine (mai rimpianta, né dai fans
né tantomeno dall'interessato) della rockstar-age e
l'inizio della stagione dell'impegno, che sfocia nel
toccante The Rising (2002), nato sull'onda della tragedia delle Twin Towers, e nell'appoggio esplicito a
John Kerry prima e a Barack Obama poi. L'allargamento delle esperienze musicali, col temporaneo
abbandono degli E-Streeters per dedicarsi a produzioni soliste, a dischi cantautorali, a riuscitissime rivisitazioni della tradizione americana. La reunion
coi vecchi pards, la perdita di Federici e Clemons, l'
ottimo Wrecking Ball, l'ennesimo (doppio) giro del
mondo on tour…
Tutte vicende ampiamente note. Ma perché Bruce Springsteen gode di un culto mondiale?
Bassino, bruttino, tutt'altro che eccelso sia come
compositore che come chitarrista. Poco avvezzo a
sottigliezze intellettuali. Ottimo cantante, sì, ma più
di potenza che di classe.
Però è un Prisoner of Rock'n Roll a vita che sul palco dà tutto, è un performer di valore assoluto. Capisci al volo che è come te: lui crede davvero nel sogno del rock. Dal trasporto wild & innocent dell'adolescenza/giovinezza al saggio, sommesso, coraggioso, consapevole porsi della maturità.
Concerti estenuanti: tre, quattro ore. Caldo, freddo o pioggia: importa nulla, il rito pagano deve
compiersi, la catarsi dev'essere raggiunta, e nessuno
sia lasciato indietro. Le parole non bastano: se pote-
109
Il FUrore del Rock
te, vedetelo in concerto. Non avrete bisogno d'altro
per amarlo incondizionatamente.
Generoso: in ogni città in cui suona lascia, senza
clamore, assegni a 5/6 cifre per le banche del cibo, i
ricoveri dei senzatetto, le strutture per gli ultimi.
Può permetterselo, certo, ma non ha mai dimenticato da dove viene lui stesso.
Ha rifiutato contratti milionari per l'uso delle sue
canzoni a scopo commerciale-pubblicitario.
Mai toccato da storiacce di droga, pare invece estremamente sensibile al fascino muliebre…
Nel 1984 ha polemizzato aspramente con (l'allora) onnipotente Ronald Reagan che voleva appropriarsi elettoralmente della sua Born in the USA,
stravolgendone il messaggio antimilitarista.
Non si contano le sue apparizioni a benefit-concerts di ogni genere, come pure i premi ed i ricono-
110
scimenti ottenuti in quasi 50 anni di carriera.
E non chiamatelo Boss: detesta il nomignolo affibbiatogli fin da ragazzo, forse a causa della mania di perfezione che lo affligge sia in sala di registrazione che nella preparazione degli eventi live
(i suoi soundcheck sono spesso dei mini-concerti,
per lunghezza ed intensità).
Praticamente di ogni suo concerto, da quarant'anni
a questa parte, sono disponibili registrazioni clandestine. Esistono etichette specializzate sui suoi bootleglive e si contano nell'ordine delle migliaia le pubblicazioni che lo riguardano, in ogni lingua del mondo.
Qualcuno ha detto che l' umanità si può dividere
in due categorie: chi ha assistito ad almeno un concerto di Bruce Springsteen, e chi non c'è mai stato…
[L.B.]
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Il FUrore del Rock
JOHN STEINBECK
Nato a Salinas (California) nel
1902, visse un' infanzia tranquilla
coi genitori e le tre sorelle, innamorandosi dell' ambiente e dei
paesaggi marini e rurali delle sue
origini. Volle sempre e solo “fare
lo scrittore”, e fin da giovanissimo
iniziò a scrivere poesie e racconti.
Seguì i corsi di Letteratura Inglese e Scrittura Creativa presso
la Stanford University, interrompendoli però spesso per dedicarsi a lavori occasionali e
temporanei e facendo esperienze che poi avrebbe usato nelle
sue storie.
Abbandonati definitivamente
gli studi, cercò fortuna letteraria
a New York, principale polo culturale statunitense, ma dovette
ben presto rientrare in California, deluso e amareggiato.
Il lavoro di custode gli lasciava
molto tempo per scrivere, e nel
1929 pubblicò finalmente il primo dei suoi numerosi romanzi.
Nel ' 30 si sposò, ma la coppia
dovette ricorrere al sostegno economico della famiglia Steinbeck.
In quello stesso anno conobbe
il biologo marino e filosofo
Edward Ricketts, che ne influenzò molto il pensiero e l' opera. Su
di lui Steinbeck modellò tutta una serie di personaggi che alla
scienza del “Dottore” univano il
“saper vivere” del filosofo.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
Alcuni suoi romanzi (I pascoli
del cielo, Al Dio sconosciuto) iniziano finalmente a vendere bene,
legati come sono all' atmosfera
del post-crisi economica, con
storie rovinose e tragiche.
Con Pian della Tortilla (1935),
acquistato da Hollywood come
molti altri suoi scritti, inizia per
Steinbeck l' era del successo e del
benessere. Seguono, fra gli altri,
Uomini e topi (1937) e Furore
(1939), sempre centrati su tematiche di denuncia sociale.
Non è però, quella di Steinbeck,
solo denuncia estremista e provocatoria di un' America in rovina, ma vi è sempre umana compassione, partecipazione sincera
alle vicende della sua gente e
grande, sereno amore per le ambientazioni rustiche e le persone
semplici, memoria dei luoghi in
cui era cresciuto.
Ormai baciato dal successo inizia a viaggiare (Europa, Africa),
divorzia e si risposa nel ' 42 (avrà
due figli).
Esce La luna è tramontata, di
ambientazione bellica, e nel ' 43
è in Europa come inviato speciale del New York Tribune, rimanendo sconvolto dagli orrori
della guerra, che narra sempre
“dal basso”, dal punto di vista
quotidiano dei soldati semplici,
senza eroismi, ma impegnati essenzialmente a sopravvivere.
Nel dopoguerra la sua stella si
offuscò. L' America era profondamente cambiata, il suo naturalismo pacifista sembrò superato, ed alcuni suoi romanzi
vennero giudicati eccessivamente sentimentalisti (Vicolo
Cannery, Quel magnifico giovedì:
vicende picaresche di diseredati
“creativi”, ottimisti, a loro modo
felici; in realtà gradevolissime).
Nel ' 52 esce La valle dell' Eden,
che anche grazie al famoso omonimo film di Elia Kazan del ' 54
con James Dean, lo riporta al successo. Segue un lungo periodo di
viaggi e soggiorni all' estero, mentre continuano, proficui, i rapporti con l' industria del cinema.
111
Il FUrore del Rock
Nel ' 61 pubblica L' inverno del
nostro scontento, storia di un fallimento e metafora amara del naufragio, a suo vedere, dell' America
contemporanea. Continua a viaggiare freneticamente nonostante la
salute malferma, fra Stati Uniti,
Europa, Sud-Est asiatico. Nel 1962
gli viene conferito il Premio Nobel
per la letteratura. Muore nel ' 68.
“…La banca è un mostro che gli
uomini, dopo averlo creato, non riescono più a controllare…”: giudizio tranchant, ma purtroppo quantomai attuale.
Tom Joad, uscito di prigione, attraversa campi devastati da una
micidiale alternanza di siccità ed inondazioni, che rovinano anche
l' ultimo raccolto, costringendo
The Grapes of Wrath
(Furore), 1939, [lett.: I
grappoli del furore]
“…e gli occhi dei poveri riflettono, con la tristezza della sconfitta, un
crescente furore. Nei cuori degli umili ne maturano i frutti, e s' avvicina il
tempo della vendemmia…”(John Steinbeck).
Romanzo simbolo
della Grande Depressione Americana, capolavoro riconosciuto di
Steinbeck, è però visto
generalmente anche come un' opera favorevole
al New Deal rooseveltiano.
Narra le vicende della
Joad Family e di infinite
altre in Oklahoma ed in
tutti gli Stati Uniti rurali, messi in ginocchio dalla crisi. Gente umile
sfrattata dalla propria casa e dai campi dalla banca cui non possono rimborsare prestiti ed interessi.
tutta la famiglia all' incertissimo
viaggio della speranza (meglio: della disperazione), su un camion scassato verso la California, lungo la mitica Route 66 (oggetto di un' infinità
112
di libri e soprattutto canzoni).
La Madre è il vero sostegno della famiglia, la quercia cui ognuno
si appoggia per essere, nonostante
tutto, tranquillizzato e rassicurato.
Purtroppo la California si dimostra tutt' altro che “terra promessa”.
Tom durante uno sciopero uccide,
per tragica fatalità, un poliziotto, ed
è costretto a fuggire, accomiatandosi dalla Madre con le nobili parole citate anche da
Springsteen nella sua canzone. E poi inondazioni,
abbandoni, tragedie.
Il
libro
termina
sull' immagine forte di una giovane puerpera dei
Joad che, perduto il figlioletto, allatta al seno
un pover' uomo sfinito
dalla fame e dalla fatica.
L' omonimo, celeberrimo, film di John Ford
(1940) vinse due Oscar.
L' unica traduzione italiana, di Carlo Coardi,
risale, incredibilmente,
allo stesso 1940, e risente
pesantemente dei tagli
imposti dalla censura fascista (libro americano, e
per giunta di sinistra, figurarsi…), impedendo
la piena comprensione della trama, dello spessore dell' opera, ed in
definitiva del messaggio più profondo che Steinbeck voleva, attraverso essa, trasmettere.
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
1
E
*
a cura di Francesca Garello
S
i dice sempre che gli italiani
leggono poco. Non è una
leggenda urbana. Le statistiche ufficiali ci dicono che solo il
46,8% della popolazione italiana teoricamente in grado di leggere
(cioè con più di sei anni) legge libri
per motivi non strettamente scolastici o lavorativi (dati Istat relativi al
2010, scaricabili alla pagina “La lettura di libri in Italia”, www.istat.it/it/
archivio/27201).
La statistica si accontenta di poco: questo 46,8% di lettori in realtà
è composto anche di gente che ha
letto almeno un libro in 12 mesi.
Il dato, di per sé un tantino deprimente (meno della metà della popolazione prende in mano un libro
per il puro piacere di leggere), è in
realtà ancora più scoraggiante se si
considera che in realtà è frutto di una media: al Nord e al Centro si supera di poco il 50%, mentre al Sud
la percentuale di lettori raggiunge
al massimo il 37%.
Triste eh? Ma sono cose note.
Forse meno conosciuto è un ulteriore approfondimento di questo
dato generale. Anche questi amanti
dei libri non sono tutti uguali. Tra
gli italiani che amano leggere qualche libro ogni tanto esiste infatti un
cospicuo numero di lettori forti, un
bel 59%, che consuma libri in grande quantità. Chi sono dunque questi irriducibili letterati? Professori
universitari? Studiosi di letteratura?
Pensionati con molto tempo libero?
Macché. Sono i ragazzi tra gli 11 e i
17 anni. E tra questi, udite udite, la
percentuale dei lettori più appassionati si concentra tra gli 11 e i 14 anni, cioè nella fascia delle scuole medie inferiori (65,4%).
Dopo questa età la lettura diventa
un passatempo sempre meno ricercato e le percentuali diminuiscono
drasticamente per vari motivi che
non discuteremo qui, ma che possono essere approfonditi nell’ utile
documento che l’ Istat mette a disposizione in pdf alla pagina sopra
citata.
La tendenza, anche se non con identiche percentuali, si riscontra anche negli Stati Uniti (si veda per esempio il sito “Statistic Brain” alla
pagina sulla lettura, www.statisticbrain.com/reading-statistics/).
Piccoli ma esigenti
Il mercato editoriale più solido in
Italia e all’ estero, quindi, è quello
per ragazzi, come sanno bene i genitori e i nonni più attenti. Quante
volte siete rimasti “intrappolati”
nella sezione bambini di una libreria senza riuscire a trascinare via il
pargolo? E quante volte vi siete
stupiti di come sia volato il tempo
anche per voi, in quella magica sezione?
Non è facile scrivere libri per
bambini. Il fatto che i lettori siano
giovani non vuol dire che siano di
bocca buona. Fin da piccoli hanno
ricevuto i mille stimoli di una società molto sofisticata e sono esigenti. I libri devono soddisfare la
loro curiosità ma anche competere
* orizzontali 1 - Tra libro e gioco
Francesca Garello
Leggere, giocare, imparare
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
113
Tra libro e gioco
con la tecnologia. Inoltre, i bambini
hanno un sesto senso: si accorgono
subito se attraverso un libretto apparentemente innocuo e colorato
state cercando di contrabbandargli
qualche nozione “seria” e di solito
lo rifiutano disgustati. Quindi non
è facile produrre testi che siano divertenti ma anche istruttivi.
Nel campo delle pubblicazioni
per ragazzi si cerca di sorprendere
il lettore, trascinarlo all’ interno della storia, incoraggiarlo a partecipare alla scoperta di testi e nozioni,
mescolando divertimento e istruzione. Insomma si cerca di offrirgli
un’ esperienza totalizzante, che va al
di là del testo scritto e sconfina in
altre realtà esterne.
Attenzione, però. Non si tratta
banalmente di quel tipo di letteratura interattiva ora di moda, cioè
testi “elettronici” da fruire su ebook
o su iPad e che attraverso link o collegamenti informatici nel testo offrano al lettore dei “contributi aggiuntivi” come musica, filmati o visite a pagine web esterne.
Niente di tutto questo. Io voglio
parlare proprio di libri veri, di carta! Ma libri speciali perché, anche
se è vero che coinvolgono il lettore
nella fruizione del testo e anzi vanno al di là di questo, ampliando l’ orizzonte della storia, dipendono
sempre fortemente dalla pagina.
Carta, ma interattiva!
Sicuramente in ogni casa, anche
se i bambini sono cresciuti, resiste
in qualche angolo uno di quei li114
briccini colorati con inserti di materiale particolare che imita, per esempio, il pelo degli animali. Questi libriccini hanno uno scopo ludico ma anche didattico: stimolano i
sensi dei bimbi insegnando loro ad
esplorare la realtà circostante mentre li divertono con le figure e i colori vivaci. Beh, secondo me questi
sono libri “interattivi” di base.
Crescendo, i lettori diventano più
esigenti e i libri si adeguano, offrendo ai lettori più stimoli e divertimento più complesso, mantenendo
un intento didattico accuratamente
dissimulato.
Dalla vasta categoria dei libri dei
pop-up, di cui abbiamo già parlato
(“Quando il libro è un giocattolo”, Il
Furore dei Libri, n. 3, 2011), è nata
quindi una tipologia di libri “ludicodidattici” che, mentre sfida il lettore
a scoprire tutte le sorprese nascoste
tra le pagine, gli veicola nascostamente una serie di nozioni “serie”.
In famiglia ci siamo molto affezionati a quelli della bellissima serie
“ology” inventata dall’ editore inglese Templar Publishing nel 2003 e
che conta ormai 12 volumi che coprono tutto l’ immaginario dei
bambini delle elementari: Mitologia, Dinosaurologia, Egittologia, Alienologia eccetera.
Il primo fu Dragologia (Dragonology, 2003, in Italia pubblicato dai
Fratelli Fabbri editori nel 2004). Il
libro, irresistibile anche per un adulto (almeno, uno che ama i draghi, come me!), fingeva di essere il
taccuino di appunti del dott. Ernest
Drake (pseudonimo sotto cui si nasconde il vero autore, Dugald A.
Steer), fondatore ai primi del Novecento della “Secret and Ancient Society of Dragonologists”. Sfogliandolo, ogni pagina rivelava sezioni apribili con mappe, frammenti di
“pelle” delle varie specie draghesche esistenti nel mondo, libriccini
segreti da aprire con cautela, alfabeti dragheschi per tradurre iscrizioni
nascoste qua e là nelle pagine.
Se Dragologia era in realtà solamente divertente, gli altri della serie
si sono addentrati via via in settori
più istruttivi: così, con Piratologia
abbiamo imparato a leggere le carte
nautiche (c’ è una vera bussola incastonata nella copertina); con Spyology (purtroppo in italiano non è uscito), mentre cercavamo informazioni cifrate nascoste tra le pagine,
abbiamo imparato come la crittografia è stata usata nella storia tra
conflitti e guerre di spie.
Insomma, divertimento veramente “interattivo” per tutta la famiglia, senza bisogno di computer.
Narrazioni lineari e non
La letteratura per ragazzi, grazie
al fatto che nessuno pensa che debba essere “seria”, si permette anche
interessanti sperimentazioni letterarie senza risultare cervellotica o
indigesta. È il caso, per esempio, de
Il giallo delle pagine mischiate di Pablo De Santis (Nuove Edizioni Romane, 2009). In questo libro corrono due narrazioni parallele: una (lineare) racconta di come il protago2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Tra libro e gioco
nista, Dario, abbia ereditato da un
lontano zio una casa editrice in
bancarotta, sul pavimento della
quale trova un manoscritto con le
pagine tutte mescolate, ancora non
pubblicato; l’ altra narrazione (non
lineare) è quella del manoscritto
stesso, che viene presentato al lettore in capitoli fuori ordine inframmezzati ai capitoli narrativi. Il lettore segue così le vicende di Dario
che, per salvare la casa editrice, decide di pubblicare il manoscritto
(un romanzo giallo, che ha riferimento con la realtà) ma deve prima
rimetterlo in ordine. Dario – e il
lettore – leggono quindi i capitoli e
cercano di ricostruirne la sequenza
originale: la fine di ogni capitolo
“mescolato”, infatti, nasconde un
indizio da trovare nel testo o nelle
illustrazioni e che rimanda al capitolo successivo. Alla fine anche la
narrazione non lineare del romanzo mescolato viene ricondotta alla
logica e alla linearità, mentre parallelamente si risolve il mistero e si
salva la casa editrice.
Sembra complicato ed invece è
divertentissimo. E senza accorgersene i giovani lettori imparano a fare l’ analisi di un testo, a districarsi
tra narrazioni parallele e a collegare
nozioni tratte da immagini e testi.
Investigatori tra le pagine
Nei romanzi gialli tradizionali c’ è
sempre un tacito accordo tra l’ autore
e il lettore: io ti dò tutti gli indizi per
risolvere il problema da solo, ma te li
presento in un modo un po’ inganIL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
nevole, anche se onesto; se poi tu rimani sorpreso dalla soluzione è perché io sono stato più bravo di te.
L’ autore e il lettore, insomma, sono
avversari.
Ai ragazzi però piace fare gli investigatori, e sono buoni osservatori.
Non vogliono competere con il detective, vogliono essere come lui!
Due autrici italiane, Susanna Francalanci e Laura Lombardi, hanno pensato di sfruttare questa inclinazione
per libri che stimolino le capacità analitiche e deduttive dei giovani lettori. Nel 2005 hanno quindi inventato una serie di gialli per ragazzi che
devono essere risolti dal lettore, la
collana Detective alla prova (Vallardi
Industrie Grafiche ed.). Nella narrazione le autrici inseriscono prove e
documenti “veri”, foto, ritagli di giornale, lettere, che si possono toccare
ed esaminare e che i lettori devono
tenere presente mentre leggono la
storia. Ogni volta che si esamina una
prova il libro chiede ai lettori di formulare un’ ipotesi sul suo significato
o sul futuro sviluppo dell’ indagine.
La risposta fornisce un punteggio
che va annotato nel “giallometro”
personale, alla fine del volume. Terminata la storia si fanno i conti e si
ottiene un giudizio sulle proprie capacità investigative, da un minimo di
“giallastro” (non classificato, proprio
un fallimento di detective) a un massimo di “giallo cristallo” (fuori classe,
investigatore sopraffino). Quando uscirono i primi libri si poteva anche
continuare a giocare a fare il detective su un sito web collegato alla colla-
na, che però non è più attivo.
Ok... c’ è anche Internet
D’ accordo, ormai non c’ è più modo di sfuggire a Internet. L’ abbiamo
nominato ed ora dobbiamo ammettere che molti di questi libri per ragazzi hanno poi un contatto diretto
con un sito web appositamente preparato per integrare il testo scritto.
Attenzione, però. Il sito affianca, integra il romanzo, non lo sostituisce
né potrebbe esistere senza il libro.
Negli Stati Uniti l’ uso di affiancare a un libro un sito Internet è molto comune. La casa Scholastic Press,
per esempio, ha attualmente ben tre
serie di romanzi avventurosi legate
a un sito web: The 39 Clues (in Italia
uscita come Le 39 chiavi), Infinity
Ring e Spirit Animals. Le prime due
serie hanno come sfondo la storia,
la terza il mondo degli animali.
L’ ambientazione di ogni serie viene ampliata nei corrispondenti siti
web, offrendo ai lettori giochi basati sulle trame dei vari libri, approfondimenti (e qui sta la parte didattica) sui periodi storici e i luoghi
che i personaggi affrontano. I giochi non sono fini a sé stessi: leggere
il libro aiuta a risolvere i giochi
online, tentativo nascosto di trascinare verso la carta anche il più convinto appassionato di giochi elettronici.
Insomma, non tutto Internet viene per nuocere... se si tratta di avvicinare i ragazzi ai libri!❧
Francesca Garello
115
Tra libro e gioco
L
Caccia al tesoro tra libri e Internet
a serie The 39 Clues (in italiano Le 39 chiavi,
edita da Piemme) consiste di trentanove libri d’avventura per ragazzi che hanno però
anche un tocco istruttivo: infatti ogni libro si incentra
su un personaggio storico e il relativo periodo.
Dal 2007 ad oggi negli Usa ne sono usciti diciassette, quasi tre all’anno. Un
ritmo impossibile per un
solo scrittore, e infatti ci
sono molti autori. Il primo
libro, Il labirinto delle ossa,
è stato scritto da Rick Riordan, autore di Percy
Jackson e gli dei dell’Olimpo. I romanzi tradotti in
italiano per ora sono solamente dieci.
La storia inizia con la
lettura del testamento di
Grace Cahill, la nonna dei
protagonisti Amy e Dan.
A tutti gli eredi (sono parecchi e tutti in competizione tra loro) si presenta
una strana scelta: accettare
subito l’eredità di un milione di dollari oppure rinunciare ai soldi e iniziare
una ricerca per trovare le “39 chiavi”, cioè gli indizi
che permettono di individuare altrettanti elementi
per ricostruire un siero che consentirà di diventare
padroni del mondo.
Comincia così una specie di gigantesca caccia al tesoro, con gli eredi divisi in “squadre” che cercano di
ostacolarsi a vicenda. La ricerca del primo indizio
porta Amy e Dan a Parigi, dove Benjamin Franklin
secoli prima ha nascosto qualcosa. Nel secondo libro
116
la caccia prosegue a Vienna, dove i nostri eroi si metteranno sulle tracce di Mozart. Nel terzo andranno in
Corea, nel quarto in Egitto e così via, in giro per il
mondo e nella storia.
Per incoraggiare la lettura anche nei ragazzi meno
interessati, in ogni libro si trovano sei carte che, utilizzando un codice, consentono di sbloccare degli
indizi sul sito Internet collegato alla serie.
Il sito americano (the39clues.scholastic.com) è
davvero bello: i giochi sono pensati in maniera tale
che bisogna prima leggere
delle notizie “istruttive”
per poter risolvere enigmi
e indovinelli, ma la cosa
non pesa perché non si
nota. Quando la serie è
uscita in Italia si è tentato
di fare qualcosa di simile
ma il sito italiano (www.
mypage.it/le-39-chiavi) è
molto meno ricco e sembra poco aggiornato.
Questi libri mi sono piaciuti moltissimo perché
hanno una trama molto originale e riescono a combinare interessanti fatti storici senza essere pesanti e
noiosi. Oltre a questo, sono adatti a un pubblico abbastanza vario, dai bambini di nove anni fino all’età
di tredici anni.
Se consiglio questi libri? Sì, certo! Avventura, mistero, storia... Insomma, la serie perfetta!❧
Livia Alegi
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Libri di confine
a cura di Peter Disertori
D
a quando ce n’è memoria, accade che avvenimenti di portata capitale per la nostra storia vengano dimenticati, spesso si ha addirittura
l’impressione che vengano subdolamente distorti e che poi ne venga
tramandato il senso alterato.
A peggiorare la situazione, vi è
poi una sorta di pigrizia mentale
che ci porta a dare per certe queste
verità e a non curarci invece di verificarne l’attendibilità.
Un esempio clamoroso ce lo fornisce la storia della scoperta dell’America, ovvero la demolizione dei
confini del nostro mondo.
Per secoli, in Occidente, abbiamo
dato per scontato che le antiche civiltà europee si siano ben guardate,
una volta oltrepassate le Colonne
d’Ercole, ad avventurarsi nell’oceano aperto. In realtà, la stessa tradizione ci ha lasciato dei messaggi
ben diversi e non è un caso che,
sempre più di sovente, in alcuni circoli letterari, ma anche in vari ambienti accademici, si cominci a so-
stenere apertamente che l’America
è stata scoperta molto prima di
quanto la storiografia ufficiale non
voglia ammettere. Su tali argomenti sono stati scritti molti libri, molti
di essi frutto di fantasia pura, altri
più attendibili perché risultato di
studi e di indagini più che seri, ma
chiaramente nessuno può essere ritenuto latore di una verità definitiva.
Il caso più significativo riguarda
i Fenici che, sappiamo per certo,
hanno costeggiato per migliaia di
chilometri le coste africane: perché non avrebbero potuto anche
raggiungere le Americhe? Risposte
a tale quesito ce le fornisce Lucio
Russo nel suo libro L’America dimenticata. Lucio Russo, uno degli
studiosi più insigni del mondo ellenistico, basa la teoria che i Fenici
avessero raggiunto l’America sul
fatto che negli ambienti alessandrini fossero note le latitudini e
longitudini di località dell’America
centrale. La sua resta comunque
un’ipotesi, anche se plausibile e affascinante.
Sul fatto che anche i Vichinghi avessero raggiunto le coste nordamericane qualche secolo prima di
Colombo, la comunità scientifica
internazionale invece non ha più
dubbi e lo dà per assodato. Prove
certe della presenza norrena in
quelle terre sono state trovate nel
Labrador e a Terranova.
Ben più controversa invece è la
teoria che vuole che anche i Templari siano arrivati in America. Per
verificare l’attendibilità di questa tesi, bisogna fare un passo indietro. È
storicamente dimostrato che non
tutti i Templari furono trucidati: di
fatto, la loro ricchissima flotta sparì
e non se ne seppe più nulla. Alcuni
sostengono anche che essi avessero
riparato in Scozia, altri addirittura
che fossero fuggiti in America. A
sostegno di questa congettura, vi è
il legittimo dubbio che i Templari
fossero venuti a conoscenza che nel
mondo alessandrino, e di riflesso
nella comunità essena di Qumran,
si sapesse già che la Terra fosse rotonda e che, al di là delle Colonne
Peter Disertori
I confini dei vecchi mondi
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
117
libri di confine
d’Ercole, esistessero altri mondi.
Ad avvalorare l’ipotesi che i Templari, o meglio i loro discendenti
scozzesi, abbiano voluto lasciare testimonianza di quanto erano riusciti a scoprire, ci sono le pannocchie di mais e le foglie di aloe scolpite nella cappella di Rosslyn, in
Scozia, finita di costruire intorno al 1470. Vi
sono poi vestigia, quali
una torre ottagonale, ritrovata a Newport nel
Rhode Island: anche se
vi sono elementi che
darebbero credito ad
un’origine templare della costruzione, la datazione è controversa e
pertanto non può essere definita una prova
certa. Vi sono due libri
che analizzano tali temi
con dovizia di argomentazioni: I Templari
in America di Jaques de
Mahieu, e La colonia
perduta dei Templari di
Steven Sora.
Il fulcro della querelle
sulla scoperta dell’America riguarda però il suo artefice ufficiale, Cristoforo Colombo. A tale
proposito, vale la pena riportare una tesi che recenti studi hanno fatto
emergere e che trovano il suo maggiore sostenitore in Ruggero Marino con il suo libro Cristoforo Colombo. L’ultimo dei Templari. Da
sempre, la storia ufficiale vuole che
la figura di Cristoforo Colombo
118
fosse quella di un marinaio ligure,
dalle incerte natalità, che aveva voluto raggiungere le Indie al soldo
dei reali di Spagna e fosse poi approdato per errore, o per caso, in America. Pur presentando delle incongruenze, più o meno evidenti,
abbiamo sempre dato per scontata
questa visione dei fatti e rimosso
tutti i dubbi.
Quello più macroscopico riguarda proprio la personalità di Colombo: dalla stessa tradizione si desume,
infatti, che avesse frequentato principi, cardinali, re e scienziati e ciò dimostra che, in realtà, fosse un personaggio di spessore, dotato di indubbia cultura e fascino e dalle idee
molto chiare che poco si adattano alla figura di un marinaio visionario.
È comunque cosa nota che
Cristoforo Colombo fosse un
grande estimatore di Marco Polo,
che avesse intrattenuto costanti
rapporti col matematico e
astronomo fiorentino Toscanelli ed
esaminato meticolosamente libri antichi. Non
è da escludere, anzi è
assai verosimile supporre, che papa Innocenzo VIII, il genovese
Giovanni Battista Cybo,
gli avesse addirittura
messo a disposizione
delle carte nautiche sequestrate, a suo tempo,
dall’Inquisizione
ai
Templari. Questa constatazione rafforza anche la tesi che lo vuole,
non nepos, ma addirittura figlio naturale del
pontefice e spiegherebbe le croci templari sulle
vele delle tre caravelle.
Inoltre, in uno scritto
risalente all’inizio del
secolo XVI e ritrovato
nel 1929 a Istanbul, Piri Reis, un
cartografo e ammiraglio turco, autore di una carta geografica del
mondo, sostiene nientemeno che il
navigatore genovese fosse già stato
in America sette anni prima della
scoperta ufficiale. Costui disegnò
nel 1513, con una certa approssimazione, le coste americane utilizzando una mappa che – scrive te2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
libri di confine
stualmente il Reis – ebbe da “un infedele di Genova, di nome Colombo”,
che “aveva scoperto questi paraggi”.
Aggiunse inoltre che il grande navigatore infedele aveva già raggiunto il
Nuovo Mondo nell’anno islamico
891, quindi nel nostro 1485. La cartina topografica è tuttora conservata
al Topkapi di Istanbul. Ciò comprova ulteriormente che Colombo avesse cognizione della presenza di un
nuovo mondo, come ne erano a conoscenza i Vichinghi e, molto verosimilmente, anche se prove dirette
non esistono, i Templari con i loro
“eredi” scozzesi.
Pare quindi più che attendibile l’ipotesi che la sua spedizione, atta ad
ufficializzare all’umanità la scoperta dell’America, fosse stata pianificata dal papa Innocenzo VIII. Il
pontefice, che voleva dare vita ad
un Nuovo Mondo sotto il vessillo
della croce e aprire nuove rotte
commerciali, si adoperò anche a far
cofinanziare l’impresa da Lorenzo il
Magnifico e da armatori e banchieri toscani e genovesi. In altre parole,
Colombo fu una sorta di delegato
pontificio, consapevole che la conquista di un nuovo continente e
l’acquisizione di nuove ricchezze a-
vrebbero consentito alla cristianità
di opporre una strenua resistenza
all’offensiva ottomana. Non a caso,
Colombo dal 1492 iniziò a firmarsi
Christo ferens, invece di Cristoforo.
Ma cos’è successo allora, perché il
navigatore genovese, dimenticato e
messo in disparte, morì praticamente in miseria, senza avere ottenuto i diritti pattuiti, e nella totale
indifferenza istituzionale?
Fu un’atroce beffa del destino:
Lorenzo il Magnifico scomparve
precocemente nella primavera del
1492 e Innocenzo VIII morì nel luglio dello stesso anno, pochi giorni
prima che le famose tre caravelle
partissero da Palos, il 3 agosto. A
quel punto, lo spagnolo Rodrigo
Borgia, insediatosi con il nome di
Alessandro VI al soglio pontificio, e
i cattolici Isabella e Ferdinando, che
avevano appena riunito Castiglia e
Aragona ed espulso i mori e gli ebrei, impoverendo il tesoro della
corona, ordirono un vero e proprio
complotto.
Sotto la loro sapiente regia, furono raccontate menzogne, soppressi
documenti, creati misteri, e la realtà venne deformata con il risultato
che la Spagna poté appropriarsi con
facilità di quella scoperta. Viste le enormi implicazioni politiche, economiche e geografiche di quell’evento, fu, pur nella sua efferatezza,
un colpo di mano magistrale.
La disinformazione e le maldicenze, applicate con rigore quasi
scientifico, hanno creato sul personaggio ombre e incertezze che ancora oggi fanno fatica a dissolversi,
tanto è vero che il suo nome spagnolo, Cristobal Colon, difficilmente può essere inteso come “colui che porta Cristo”, Christo ferens,
ovvero Cristoforo. Se poi pensiamo
al cognome, Colombo, o meglio al
suo significato esoterico (lo Spirito
Santo è simboleggiato da una colomba), ed essoterico (il colombo
viaggiatore), un altro tassello di
questo inquietante thriller storico
trova la sua collocazione.
Resta un fatto, con Cristoforo
Colombo i vecchi confini europei
sono stati abbattuti per sempre ed il
Vecchio Continente, uscito prepotentemente dal Medio Evo, ha condizionato, nel bene e nel male, per
mezzo millennio la storia del mondo intero.❧
Peter Disertori
bibliografia
Lucio Russo, L’America dimenticata, Mondadori Editore, 2013
Ruggero Marino, Cristoforo Colombo l’ultimo dei Templari, La storia tradita e i veri retroscena della scoperta dell’America,
Sperling & Kupfer Editore, 2005
Jacques de Mahieu, I Templari in America, Piemme, 2001
Steven Sora, La colonia perduta dei Templari, Edizioni L’Età dell’Acquario, 2006
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
119
Parlando di libri...
a cura di Anna Maria Ercilli
Il punto di partenza è lo studio del colore e dei suoi effetti sugli uomini.
Vasilij Kandinskij
Che felicità nel blu. Non ho mai saputo quanto blu potesse essere il blu.
Vladimir Nabokov
L
a storia del colore si scrive
nel bisogno di osservare e
conoscere, scorrendo nella vita quotidiana di uomini e donne, legata ai costumi, alle arti, al linguaggio, alla spiritualità della società culturale. La sua presenza permea il presente e affonda nel passato attraverso il cambiamento di attribuzioni e suggestioni.
Di quale colore sono i nostri ricordi? Banalmente non ci facciamo
caso, questi riaffiorano per lo più
indefiniti, monocromatici e malgrado il tentativo di rivederli esattamente com’ erano, ne sbagliamo il
colore. Nascono colori instabili incapaci a fissarsi nella memoria.
Nel libro di M. Pastoureau leggiamo impressioni personali, ricordi
eruditi, parlano filosofi e giornalisti, troviamo oggetti quotidiani e
moda, letteratura e bandiere, sport
e arte: “Lo storico sa bene che il passato non è solo ciò che è stato, ma
anche ciò che la memoria ne ha
fatto”1.
Nella storia dell’ abbigliamento
europeo il nero era ampiamente usato per gli abiti della popolazione,
ma dopo la scoperta del Nuovo
Mondo e l’ importazione di grandi
quantità di indaco, il nero sarà lentamente soppiantato dal blu marino. Con la fine dell’ Ottocento il blu
diventerà il maggiore concorrente
del nero, sostituendo il tradizionale
colore delle uniformi: dai marinai
alle guardie campestri, dai collegiali agli sportivi, il blu marino si diffuse anche nell’ abbigliamento civile. Segnò la moda e il cambiamento
di gusto di un’ epoca.
Curioso l’ affermarsi di un certo
abbigliamento moderno, diventato
non solo europeo ma quasi universale, i blue-jeans. Furono adottati
dagli studenti, diventando un po’ alla volta la divisa delle giovani generazioni, che coloravano di blu i
cortei delle contestazioni politiche.
Alcune scuole li bandirono considerandoli trasgressivi. Pratici anche
per la vita sportiva, erano unica-
mente di colore blu. Ricordiamo
l’ autentico jeans Levi’ s 501. La moda lo ripropone in diverse sfumature di blu, stinto, strappato, logoro,
un pantalone che si adatta ai tempi
e non vede il tramonto.
Una traccia ci porta all’ origine di
questi pantaloni, vede nei portuali
di Genova i precursori di questo
abbigliamento da lavoro. Venivano
confezionati con la tela robusta delle vele e, in tutti i porti, erano noti
come i pantaloni blue de Genes.
Il colore nell’ arte divide artisti e
filosofi, per alcuni è ritenuto un segno di volgarità, convinti che il colore assecondi pensieri e passioni
violente. Plinio attribuiva ai colori
più appariscenti un decadente orientalismo; Le Corbusier asseriva
che il colore si addice alle razze
semplici, ai contadini e ai selvaggi:
“… è l’ ora di bandire una crociata a
favore del bianco calce e di Diogene”;
“L’ uomo – diceva Yves Klein – è esiliato lontano dalla sua anima
colorata”2.
1 - Pastoureau Michel, I colori dei nostri ri-
cordi, Ponte delle Grazie, 2011, p. 11.
2 - Ball Philip, Colore, una biografia, Bur,
Colori e memoria
120
Anna Maria Ercilli
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
parlando di libri
L’ avversione verso un colore si
presenta in modo irrazionale, duraturo nel tempo, e percepito in modo
diverso da paese a paese. Un esempio, l’ antipatia per il verde. Certe
persone rifiutano i vestiti di questo
colore, altre accusano lo smeraldo di
portare sfortuna. Tale superstizione,
presente in uomini di potere, interessava la vita civile e pubblica, niente verde per le divise dell’ esercito reale.
Questo per il passato, ma tuttora
l’ autore francese si trova in difficoltà nella ricerca di un maglione verde scuro, il suo colore preferito.
Mentre nei paesi nordici, lo stesso
colore è molto diffuso e considerato
di buon gusto per l’ abbigliamento
comune.
Pastoureau indaga la superstizione fra la gente di teatro, nota che gli
artisti rifiutano di vestirsi di verde,
il colore è bandito dalle scene già
dal XVII secolo; circola la diceria
non verificata della fine di Molière,
dicono sia morto perché indossava
abiti di questo colore.
Uomini di teatro pensarono di utilizzare il colore grigioverde dei pittori, molto tossico, ottenuto dalla reazione dell’ acido su lastre di rame; verniciarono costumi di scena, decora-
zioni e scenari. Accadeva nel Seicento, molti attori morirono intossicati,
ma tutti ignoravano l’ eziologia di
quelle morti, la causa era nel colore
dei loro abiti. Paura e superstizione
bandirono il verde dalle scene.
Nella continua ricerca di rendere
stabile il colore, vengono mescolati
dei composti arsenicali di colore
verde, utilizzati nelle vernici per
mobili, arredamenti e oggetti d’ uso
comune. Sono prodotti inodori che
in presenza di umidità liberano vapori di arsenico.
Si avvalora il sospetto che Napoleone, esiliato nell’ isola di Sant’ Elena, sia una vittima dell’ arsenico; i
mobili della sua abitazione erano
tinti di verde Schweinfurt, il suo colore preferito. Gli storici ritengono
possibile questa ipotesi, avvalorata
dalle analisi che rilevarono tracce di
arsenico nelle unghie e nei capelli.
“Come tutti gli altri colori, il verde
è ambivalente: è allo stesso tempo il
colore della fortuna e della sfortuna,
della speranza e della disperazione”3.
L’ armonia dei colori influenza la
psiche e di conseguenza il comportamento e le funzioni del corpo; la
sua forza riconosciuta diventa materia di studio. Questo aspetto sensibile intuito da J.W. Goethe, inte-
ressa il concetto psicologico del colore e della sua percezione individuale, affine al colore fisiologico
creato dall’ occhio.
Qual è il colore più gradito dagli
europei? Le preferenze non sono
cambiate dal primo sondaggio del
1880 effettuato in Germania. Semplice la domanda e chiara deve essere la risposta, risultato: primo il blu,
poi il verde, segue il rosso, poi il
bianco e il nero, infine il giallo. Per i
colori minori, rimangono frammentarie preferenze. Le preferenze dei
bambini piccoli cambiano la classifica, il rosso è davanti al blu e al giallo.
L’ indagine nei gusti della gente risulta equivalente in tutti i paesi europei, né la politica o le tradizioni
influenzano la scelta dei colori che
rimane immutata per decenni.
Il linguista J. Lyons suggerisce che
i colori “sono il prodotto del linguaggio sotto l’ influenza della cultura”4.
Nei paesi africani e asiatici il colore è percepito con schemi diversi
da quelli europei, come la stessa definizione del nome. I fattori culturali e religiosi delle popolazioni, favoriscono l’ uso dei colori simbolici
differenti per ogni paese.❧
2010, p. 19.
3 - Pastoureau Michel, I colori dei nostri ricordi, Ponte delle Grazie, 2011, p. 152.
4 - Ball Philip, Colore, una biografia, Bur,
2010, p. 24.
Anna Maria Ercilli
J.W. von Goethe, La teoria dei colori. Lineamenti di una teoria dei colori, a cura di Renato Troncon, Il Saggiatore 1981
Itten, Johannes, Kunst der Farbe, Ravensburg, Otto Maier Verlag, 1961.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
121
Topi di biblioteca
a cura di Rossella Saltini
S
tavolta parto a colpo sicuro,
senza esitazioni. Il Topo a
cui darò la caccia è ben delineato nella mia mente.
Estate secondo il calendario, stagione indefinita secondo il meteo:
unica certezza, in questo periodo
dell’anno, l’imminente esame di
maturità per frotte di studenti sparpagliati lungo l’asse dell’italico stivale. Il Topo che cerco si annida fra
loro, già me lo immagino pallido,
ansioso e chino su pagine spesso
snobbate durante gli anni scolastici.
In biblioteca ne troverò a decine,
perché affannarsi?
Ho tutta l’intenzione di prendermela comoda, un caffè non me lo
toglie nessuno. Niente di meglio
che una tazzina gustata open air al
Bar del Mart, di fronte alla Civica
Tartarotti.
Mi accomodo nell’unico tavolino
libero, confusa tra gli altri avventori, non provo nemmeno a fiutare
qualcosa di diverso da quello che
mi frulla in mente. Ma è il “qualcosa” a fiutare me. Sul tavolino accan-
to al mio due giovani comunicano
più a gesti che a parole, un misto di
italiano, inglese e mani in movimento. Vicino ai bicchieri vuoti
trovano posto alcuni libri tascabili
dalla copertina colorata, forse dizionari. Non vedo bene da qui, vorrei avvicinarmi per sbirciare meglio, ma come posso farlo senza dare nell’occhio?
È l’idea di un portacenere a venirmi in soccorso. Mi alzo e lo vado a
cercare proprio dai miei vicini. Lo
segno a dito chiedendo il permesso
di prenderlo. “Sì, sì, prego”, risponde il giovane dalla carnagione più
chiara. “Esh-tre”, gli fa eco l’amico
seduto vicino, dai tratti somatici indiano/pachistani. Afferro il portacenere lasciando correre lo sguardo
ai libri: Dizionario italiano-inglese,
inglese-hurdu e, infine, un frasario
della Lonely Planet Capire e farsi
capire in hurdu e hindi.
Che nesso ci sia fra tutto questo e
i giovani avventori mi sfugge. Propendo per l’ipotesi che “esh-tre” sia
la versione hurdu del domestico
portacenere, molto simile all’inglese “ash-tray”.
Un attimo dopo il copione si ripete con un altro oggetto. “Ghi-laas”, esordisce il giovane asiatico.
“Bicchiere”, risponde di rimbalzo il
giovane italiano. “Glass”, pronunciano entrambi all’unisono.
E via così.
“Lu-gat”, “dizionario”, “dictionary”.
“Haat”, “mano”, “hand”.
“Haank”, “occhio”, “eye”.
Scambio linguistico equo e solidale. Il ragazzo asiatico insegna i
termini hurdu all’amico italiano e
viceversa. Il ponte linguistico attraverso il quale passa lo scambio è
l’inglese, assurto al ruolo di moderno esperanto.
Cercando il Topo di biblioteca ho
scovato due esemplari di “Topo di
Mondo”, esemplare interessante e
tutt’altro che in via di estinzione.❧
Rossella Saltini
Rossella Saltini
Scambio equo e solidale
122
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Andar per biblioteche
a cura di MariaLuisa Mora
Questa volta andiamo a Trento alla Biblioteca Provinciale dei Cappuccini con il Socio Giacomo Radoani, una struttura
culturale di altissimo livello, 140.000 titoli di libri, varie collezioni di notevole pregio, sede di associazioni culturali, vero veicolo di crescita e di educazione al sapere, aperta al pubblico.
C
ertamente ai primissimi posti fra le istituzioni culturali
con intento bibliologico
conservativo, la Biblioteca Provinciale dei Cappuccini di Trento merita un’attenzione e un posto di riguardo negli occhi e nella mente dei bibliofili “bibliofolli” di casa nostra.
Ricercare e stabilire come abbia
raggiunto questa posizione di grandissimo prestigio potrebbe essere
oggetto di un’altra ricerca, a carattere prettamente storiografico, che
coinvolge in qualche modo la storia
politica, civile, istituzionale e culturale della città di Trento, nonché
degli insediamenti di istituti religiosi in essa e delle variationes che
ne hanno contraddistinto la presenza, in particolar modo dei Frati
Minori Cappuccini1. Come poi e
1 - La fondazione della prima fraternità ‘stanziale’ a Trento dei Cappuccini, che segue, in
Trentino, a quelle di Rovereto (1575) e di Arco
(1585), risale al 1596 (o 1597?), dapprima ospiti
nella casa dei Conti Lodron in Via Calepina per
quasi tre anni, quindi legittimati dal Principe
Vescovo Cardinale Lodovico Madruzzo ad occupare stabilmente il Convento di S.Croce, che
già aveva ospitato i Canonici Regolari di S.Croce
(“Agostiniani”) detti anche Crociferi o Crocigeri
(vedi Marco da Cognola, I Frati Minori
quando esattamente sia nata la “Biblioteca” intesa come istituzione
specificamente dedicata alla conservazione di un patrimonio librario di una certa consistenza è compito piuttosto arduo, sia per la iniziale idiosincrasia dei primi Cappuccini ad indulgere al cosiddetto
otium litterarium2, sia per la mancanza di una specifica documentazione, dovuta primieramente alla
constatazione che la biblioteca del
Convento di S.Croce di Trento era
un’istituzione interna al convento
medesimo, con un locale peraltro
ben attrezzato, strettamente legata
alla vita quasi monastica3 dei frati
Cappuccini della Provincia di Trento. Appunti
storici, Reggio Emilia, 1932, pp. 53 ss.), situato
appunto in quella che ancor oggi si chiama Via
S.Croce e che da qualche decennio è divenuta
sede dell’Istituto Storico Italo-germanico e
dell’Istituto di Scienze religiose della Fondazione
“Bruno Kessler”, già Istituto Trentino di Cultura.
2 - Cfr. Giorgio Butterini, Storia della
Biblioteca Provinciale Cappuccini di Trento
1970-2000, in “La Biblioteca Provinciale
Cappuccini 1970-2000. Trent’anni di vita”, a cura
di p.Lino Mocatti e Silvana Chistè, Trento, 2000
(che più avanti citeremo con la sigla B.P.C.
Mocatti) alle pp. 13-14.
3 - Va ricordato che la cosiddetta “clausura canonica” imponeva il divieto assoluto alle donne
di accedere ai conventi maschili. Tale proibizio-
che componevano quella fraternità,
ed in particolare concepita in funzione dello studentato teologico autoctono4 presente nella medesima
fraternità cenobitica.
A noi interessa in particolare, anche per la sua maturazione a “biblioteca aperta al pubblico”, la storia recente di questo peculiare istituto
culturale del Trentino, di cui daremo
qui alcuni rapidi cenni essenziali.
Nemmeno peraltro devesi pensare ad una biblioteca fornita esclusivamente di testi di teologia e di diritto canonico, che, seppur prevalenti,
questi talora corposi e vetusti tomi,
saranno volentieri affiancati da ricchi fondi bibliografici di storia locale, di letteratura italiana ed europea,
di archeologia e cultura classica.
ne sarà gradualmente attenuata fino a scomparire pochi anni dopo il Concilio Ecumenico
Vaticano II (1962-65).
4 - I giovani religiosi cappuccini candidati al sacerdozio usufruivano, fino alla fine degli anni
‘60 del secolo scorso, di istituzioni scolastiche
gestite direttamente dai frati all’interno dei conventi della cosiddetta ‘provincia monastica’ (il
biennio del Ginnasio ad Ala, il triennio del
Liceo classico a Rovereto e il quinquennio di
formazione teologica nello Studentato di S.
Croce a Trento).
Giacomo Radoani
La biblioteca dei Cappuccini
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
123
andar per biblioteche
P. Giorgio Butterini indica un roveretano doc come fondatore del
primo nucleo della Biblioteca di
Trento: P. Antonio Maria Zeni da
Rovereto (1712-1787), il quale, grazie alla sua formazione culturale ‘laica’ all’Università di Bologna, precedente all’ingresso nell’Ordine religioso, struttura in maniera autonoma uno stanzone ‘consacrato’ esclusivamente ai libri del convento.
Gli scatti di qualità (o, se preferite, di diversificazione culturale) avverranno in tre tappe ben distinte,
che segnano anche, accanto alla crescita multiculturale dell’istituto biblioteca ‘ad uso privato’, quale essa
giuridicamente rimane fino al 1970,
l’avvicinamento alla ‘maturazione’,
ossia ad una ben più vivace e moderna apertura dell’istituzione al
mondo esterno.
La prima tappa porta il nome di P.
Ilario Dossi da Corné di Brentonico
(22.4.1871 - 29.3.1933), uomo colto
assai, fine letterato, insigne storico di
patrie memorie5. La di lui biblioteca
personale (ben 10.578 volumi riferisce il Butterini nel saggio citato alla
nota 1) viene incorporata alla Biblioteca del Convento della Cervara6
e una buona metà di essa troverà una sistemazione personalizzata (ricordo assai bene i molti volumi ed o5 - Vedi P. Arcangelo Cologna, Premessa alla Ristampa, in P. Ilario Dossi, I cognomi di
Brentonico, Rist. anastatica a cura della
Biblioteca Com.le di Brentonico, Mori, la
Grafica, 1986.
6 - Nel 1842 i Cappuccini si erano trasferiti da
Borgo S.Croce al neoedificato convento detto
della Cervara, proprio sopra al castello del
Buonconsiglio, mantenendo peraltro l’intitolazione della chiesa all’Invenzione della S.Croce.
124
puscoli che qui ho potuto consultare
recanti sul frontespizio il timbro con
la dicitura “Raccolta di Storia Patria
P.Ilario Dossi”) in un apposito fondo
con una specifica schedatura e pubblicazione a stampa7 in un corposo
volume in -4°.
La seconda tappa di avvicinamento alla modernità è indelebilmente
legata al nome di P. Epifanio Pintarelli da S.Orsola Terme (1915-10
maggio 1966), primo vero bibliotecario in senso moderno, personaggio di grandissima cultura personale
(in buona parte autodidatta) e vero
cultore degli studi classici. A lui va
riconosciuta la prima intensa collaborazione con l’Ente pubblico (all’epoca la Soprintendenza ai Beni Librari di competenza con sede a Verona), la prima schedatura sistematica di buona parte del materiale bibliografico, delle riviste, la salvaguardia di opere antiche (stampe,
incunaboli e cinquecentine) presenti anche negli altri conventi, ma soprattutto il suo grande merito è stato
di aver riconciliato frati e pubblico
con la biblioteca e lo scrigno di preziosissima cultura che essa fornisce e
rappresenta.
Né la figura di questo frate
fors’anche un po’ burbero nel tratto
caratteriale, certamente umile intellettualmente, e ancor più benefico nell’opera sua (lo ricordo sempre
7 - Libri delle Biblioteche Trentine, Bollettino
delle accessioni e del patrimonio. Fondo “P. Ilario
Dossi” Biblioteca Padri Cappuccini, Trento, a
cura della Sezione trentina dell’Associazione
Italiana Biblioteche, Ibid., P.A.T., Assessorato alle Attività Culturali e Sportive, 1975 [ma stampa
Grafiche Manfrini, dicembre 1976].
con commossa riconoscenza come
docente di latino e greco nel ginnasio di Ala), è stata oggetto di analisi e
studio quanto egli meriterebbe. La
sua prematura scomparsa a soli 51
anni per un male (all’epoca) incurabile ha lasciato un vuoto, che però i
cappuccini trentini hanno pensato
bene di colmare migliorando, almeno per l’aspetto biblioteconomico.
Ed eccoci alla terza tappa, quella
della “modernizzazione” e apertura
al pubblico della biblioteca, che
porta il nome dell’attuale reggitore
dell’istituzione, P. Lino Giorgio
Mocatti da Monclassico, che dopo
studi specialistici a Roma, venne
chiamato alla successione al compianto P. Pintarelli. Terza tappa che
potremmo chiamare “di rifondazione” o, se preferite, la fondazione
vera e propria della ‘Biblioteca Provinciale’ dei Cappuccini, grazie alla
concentrazione dei fondi delle 6 biblioteche esistenti negli altrettanti
conventi cappuccini del Trentino.
Così nel 1970 le varie biblioteche
conventuali (Rovereto con quasi
10.000 volumi, Arco, Ala e Terzolas
con oltre 5.000 volumi a testa e
Condino con 3.900) vengono conglobate con quella di Trento (22.078
volumi), con il citato ‘Fondo Ilario
Dossi’ (10.758 titoli) e con il ‘Fondo
delle Cinquecentine’ che il Pintarelli aveva già provveduto a costituire.
Il 3 novembre 1970 è scelto dai
frati cappuccini come data di nascita della neocostituita istituzione
provinciale: in quel giorno infatti,
presenti autorità cittadine e provin2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
125
andar per biblioteche
ciali, la Biblioteca viene solennemente inaugurata e da quel giorno
aperta al pubblico con orario spezzato per 5 giorni alla settimana. Da
quel momento essa è collocata nella nuova sede della ristrutturata ex
‘casa rustica’ del Convento di Via
Cervara, ora Piazza Cappuccini,
con ingresso da Via Argentario, recentemente (2011) ribattezzata Via
delle Laste.
A quella data la rinnovatissima
Biblioteca dei Cappuccini si trova
già a gestire un patrimonio librario
di oltre 70.000 volumi, che diventeranno 104.000 a trent’anni di distanza8. Oggi questo patrimonio
ammonta a più di 138.000 titoli,
con oltre 280 periodici correnti e
184 testate chiuse, con un incremento annuo eccezionale, frutto di
lasciti e donazioni, di biblioteche
personali di frati trapassati, ma anche di acquisti oculati e intesi ad arricchire, orientare e qualificare
vieppiù i tre settori che caratterizzano questa già benemerita ed assai
vivace istituzione, che non si presenta solo come un “magazzino”
per quanto scelto e raffinato di libri,
ma anche come punto di riferimento per alcune collezioni di opere a
stampa o di raccolte museali di estremo interesse per lo studioso di
storia delle tradizioni religiose e di
storia della pietà popolare presso le
nostre genti9.
8 - G. Butterini, cit., in B.P.C. Mocatti, p. 30.
9 - Il riferimento è soprattutto alla collezione di
immaginette sacre (i famosi “santini”), una “microiconoteca” che ha uno spazio privilegiato
nella Biblioteca dei Cappuccini di Trento con
126
Le tre grandi sezioni culturali in
cui è suddiviso l’assai ricco patrimonio bibliografico di questa istituzione sono:
A) la sezione teologica con particolare riguardo alla teologia tradizionale (dogmatica, morale, ecc.),
agli studi biblici nel cattolicesimo,
agli studi di diritto canonico;
B) la sezione storico-religiosa con
particolare riguardo alla storia delle
religioni, alla storia del cristianesimo e alla storia degli ordini e delle
congregazioni religiose nella Chiesa cattolica;
C) la sezione di storia trentina,
che, istituita con il Fondo Ilario
Dossi, de quo supra diximus, si è via
via arricchita in maniera notevolissima, potendosi oggi riconoscere
come la collezione più cospicua in
Regione dopo quella della Biblioteca Comunale di Trento.
una sottosezione, quella delle “memorie” di persone defunte o memorie funebri, immaginette
chiamate anche “luttini” (B.P.C. Mocatti, p. 157),
termine peraltro da me non riscontrato nei sei
dizionari della lingua nostra compulsati
(Devoto, Palazzi, Gabrielli, Premoli, RigutiniFanfani e Treccani). Accanto a questa specialissima collezione va segnalata quella degli Ex
Libris, che meriterebbe una trattazione a parte;
la raccolta di stampe e la pinacoteca dei quadri,
specialmente a soggetto religioso (si tratta di
opere di arte minore provenienti spesso dai vari
conventi), che è stata sistemata in un localemansarda del convento insieme a molti altri oggetti caratteristici della vita religioso-cappuccina
(cilici, rosari, addobbi, ecc.) quasi a formare un
piccolo spazio museale di storia francescana
conventuale; e quella che chiameremo volentieri
chiroteca o grammatoteca (altro termine non riscontrato nei dizionari sopracitati e qui coniato
ex novo), cioè raccolta di manoscritti cartacei
(autografi, chirografi o apografi). Alcuni di questi manoscritti sono già stati fatti oggetto di pubblicazioni a stampa, molti altri attendono di venire “rivelati” (potrebbero costituire occasioni
per argomenti di tesi di laurea…).
Non certamente trascurabile, ed
anzi bisognosa di cure speciali per
la conservazione, e che pure da sola
meriterebbe un’ampia trattazione a
sé stante, la sezione speciale degli
Incunaboli e delle Cinquecentine,
che pure ha avuto l’onore di un dettagliato catalogo a stampa10.
Notevole, anche se non è poi stata seguita ed aggiornata, la sezione
bibliografica dedicata alle letterature antiche, sia in relazione parallela
agli studi biblici, sia come sezione
di autori della classicità (scrittori
greci e latini), a suo tempo impostata dal Pintarelli.
Bellissima infine la sezione della
sala di consultazione (al 1^ piano,
al livello degli uffici della direzione), magistralmente dotata delle
più importanti opere, enciclopedie,
dizionari, repertori bibliografici,
grandi opere storiche, ecc., di cui
permetteteci citarne solo due: il Du
Cange, Glossarium Ad Auctores
Mediae et Infimae Latinitatis Medii
Aevi11, un’autentica miniera per gli
studiosi di medievalistica, e il Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da San Pietro ai
nostri giorni12 che, per quanto data10 - L. Mocatti-S. Chistè, Le cinquecentine
della Biblioteca Provinciale Cappuccini di Trento.
Catalogo a cura di Anna Gonzo, presentazione di
Marielisa Rossi, in aggiunta M.C. Bettini, Le
edizioni del secolo XV, Trento, P.A.T. Servizi Beni
Librari e Archivistici, 1993. L’aggiornamento al
2000 di questo repertorio in B.P.C. Mocatti, cit.,
alle pp. 37 e ss.
11 - Qui è presente la ristampa anastatica edita
da Forni (Bologna, 1982), che riproduce l’edizione parigina del 1883-87 a cura di L. Favre.
L’edizione originale risale al 1668.
12 - Il Moroni fu pubblicato negli anni 18401861 in 103 volumi (Venezia, tipografia
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
andar per biblioteche
to, rimane un’insostituibile miniera
di preziose informazioni, altrimenti di assai ardua reperibilità.
Alcuni inevitabili cenni infine
sull’attività ‘esterna’ della Biblioteca
che si affianca e si integra con quella
della schedatura, inventariazione,
catalogazione e conservazione
dell’immensa mole di materiale cartaceo e non, e che costituisce un’autentica fucina di iniziative atte a rendere l’istituzione cappuccinesca un
vero polo di attrazione per ricercatori e cultori degli studi storici, teologici e, perché no, da qualche anno
anche artistico-architettonici.
Compie infatti vent’anni di insediamento presso la Biblioteca dei
Cappuccini di Trento il “Circolo
Trentino per l’Architettura Contemporanea”, sorto appunto nella
primavera del 1993 per iniziativa di
Marco Santuari e Sergio Giovanazzi. Esso raggiungerà presto un alto
livello di multiculturalità e presenza sul territorio, grazie a numerose
iniziative (convegni, mostre, giornate di studio) e alla fervida collaborazione con gli omologhi circoli
di Bolzano, Graz e Lubjana.
Quasi il doppio (di anni) la collaborazione fra la rivista culturale
“CIVIS. Studi e testi”, fondata e diretta da Domenico Gobbi ed emanazione diretta del quasi omonimo
Gruppo Culturale (“Civis” soltanto), che ancora oggi ha la propria
sede presso la Biblioteca, che ovvia-
mente si onora di tale presenza, risalente al 197613. Ricordiamo altresì
che la rivista CIVIS esprime anche
l’omonima Casa Editrice, diretta
dallo stesso Gobbi, e che si è resa
benemerita per notevoli iniziative
culturali (convegni di studi storici,
edizioni di pergamene, ricerche erudite), tutte (o quasi) intimamente
legate alla collaborazione con la Biblioteca stessa.
Dulcis in fundo, una così feconda
istituzione sorta a tutela e valorizzazione del patrimonio bibliografico
non poteva non farsi essa stessa promotrice di nuovi libri. Ed ecco la collana “Cappuccini Trento”, espressione diretta della biblioteca stessa e
che, non ce ne voglia il benevolo lettore, abbisogna irrefragabilmente di
una presentazione a parte, direzione
della collana permettendo.
Exquirenda sunt (si devon operare ricerche su) almeno tre date della sua storia: 26.9.1635 che secondo
il Mariani, storico del Concilio di
Trento del sec. XVII, sarebbe il dies
natalis; il 1893, quando fu salvata
dall’incendio che devastò parte del
Convento di S.Croce, e il 13.5.1944,
allorché fu risparmiata dal bombardamento alleato che distrusse la
chiesa del convento stesso.
In conclusione, se questa istituzione ha raggiunto un grado di efficienza encomiabile ed ha acquisito
una certa qual compiutezza bibliografico-patrimoniale, una precisa
Emiliana), a cui si aggiunsero negli anni 187879 altri 6 volumi di Indici curati dal medesimo
Autore.
13 - Va altresì ricordato che, all’epoca, il Gruppo
Culturale “Civis” si chiamava “Gruppo Storico
Argentario”. Non ci è nota la data della variazione di denominazione.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
fisionomia culturale, ed è oggi in
grado di competere veramente con
istituzioni pubbliche che si avvalgono di ben più cospicui mezzi e di un
assai maggior numero di personale,
il merito va ascritto con grande sincerità e riconoscenza al deus ex machina della biblioteca stessa, a colui
che con incomparabile dedizione,
instancabile continuità, umile e sapiente maestria, nelle vesti di direttore, coordinatore, selezionatore,
schedatore, consigliere, ma anche
semplice “facchino” di libri (e non
solo), da oltre 43 anni ne regge le
sorti: P. Lino (al secolo Giorgio)
Mocatti da Monclassico, superius
nominatus14.
Ruolo di sostegno e affiancamento tecnico, fedele ed esperta collaboratrice, come compare anche in
molte pubblicazioni, la segretaria
Silvana Chistè, da moltissimi anni
quasi ‘parte integrante’ della biblioteca stessa, dei cui segreti culturali e
collezionistici è diventata preziosissima testimone.❧
Giacomo Radoani
Si ringrazia per la collaborazione la
Biblioteca Provinciale dei Cappuccini di
Trento e in particolare p. Lino Giorgio
Mocatti, per aver fornito la documentazione fotografica.
14 - Vedasi il bellissimo profilo di lui tracciato
da Mauro Guerrini in Pietate et Studio.
Miscellanea di studi in onore di P.L.M., a cura di
Silvana Chistè e Domenico Gobbi, Trento, ed.
Civis, 2006, pp. 9-12. In questo volume è inclusa
anche la bibliografia del Mocatti, naturalmente
aggiornata sino al giugno 2006.
127
promuovere lettura
a disposizione dell’ ufficio per il sistema bibliotecario trentino e delle biblioteche trentine
Siamo lieti di ospitare, in questa rubrica solitamente dedicata alle attività delle biblioteche trentine, un intervento che viene da Bolzano per
presentarci le iniziative della Giornata dell’educazione permanente e delle biblioteche. Come Furore dei Libri ci preme richiamare l’attenzione su due tra gli autorevoli esperti chiamati a portare le loro testimonianze: Maria Stella Rasetti, direttrice della Biblioteca S.Giorgio di
Pistoia, un’ amica del Furore dei Libri, che per prima ha accolto e ospitato magnificamente la mostra di Parole per Strada, e Livio Bauer, nostro Socio e collaboratore della RdF che ha parlato sul tema, già anticipato su queste pagine, della «cultura a chilometri zero».
A
nche quest’anno gli Uffici per l’educazione permanente e le biblioteche
delle Ripartizioni Cultura italiana e
tedesca hanno organizzato la giornata dell’educazione permanente e
delle biblioteche nei giorni 7 novembre 2013, presso la Biblioteca di
Ora e 8 novembre Oltrisarco, nella
sala Polifunzionale del Centro Civico. Destinatari dell’iniziativa erano gli operatori e gli individui che
organizzano e promuovono attività
formative e culturali.
La normativa provinciale sull’educazione permanente e sulle biblioteche, la LP 41/1983, ha sostenuto, da quando è entrata in vigore
30 anni fa, la creazione di un solido sistema di istituzioni qualificate
che operano su tutto il territorio
offrendo attività formative in tutti
gli ambiti tematici. I dati delle ultime indagini ASTAT indicano, infatti, che 7 altoatesini su 10 ritengono molto importante continuare
ad aggiornarsi ed apprendere e di
questi 7, più di 5 hanno preso parte
ad un’iniziativa nel 2012. Nell’ambito delle biblioteche in lingua italiana nel 2012 gli utenti iscritti ai
tre sistemi bibliotecari (BIS, BCB,
BPI) sono risultati 108.000, i prestiti 595.000 ed il patrimonio di documenti su vario supporto si è attestato intorno a 1.000.000. Questi
numeri spiegano perché in Alto Adige la percentuale della popolazione di 6 anni e più che legge almeno
un libro all’anno è di 60,4%, il valore più alto tra le regioni italiane la
cui media è del 46,0%.
I risultati raggiunti ci spingono a
riflettere, a questo punto, e a porre
l’attenzione sulle modalità di apprendimento delle comunità. Come apprendono gli individui nelle
loro comunità di appartenenza, in
che modo gli enti locali promuovono occasioni di apprendimento, la
formazione può contribuire alla tenuta sociale, in particolare in un
momento di ridotte possibilità finanziarie? A queste e ad altre domande hanno cercato di rispondere gli esperti ed i responsabili di
workshops e progetti, già avviati
con successo, intervenuti nelle
giornate del 7 e 8 novembre.
I temi attorno ai quali si sono sviluppate le riflessioni e le discussioni
sono stati due: l’inclusione nell’apprendimento di tutte le fasce sociali, in particolare di quelle solitamente molto lontane dalla formazione, e le reti da intendersi come
capacità di creare sinergie fra le varie strutture del territorio per promuovere momenti formativi e culturali.
Felicitas von Küchler, per anni
collaboratrice del DIE (Deutsches
Instituts für Erwachsenenbildung)
a Bonn ha tenuto una relazione dal
titolo “Was ist Inklusion? Wollen
wir sie fördern?” mentre Richard
Stang, anche lui collaboratore del
DIE, nella relazione “Kooperationen gestalten – Zusammenarbeit
von Erwachsenenbildung und Bibliothek” ha parlato della funzione
delle biblioteche nella formazione
lungo tutto l’arco della vita e delle
possibilità di cooperazione con
Adriana Pedrazza
La comunità che apprende
128
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
promuovere lettura
l’ambito dell’educazione permanente.
Maria Stella Rasetti, direttrice
della Biblioteca San Giorgio di Pistoia, nel suo intervento “La biblioteca partecipata. Per gli utenti o
con gli utenti” si è concentrata sul ruolo della
biblioteca pubblica chiamata oggi a valorizzare il
proprio contributo alla
vita della comunità locale, agendo da catalizzatore della cultura di inclusione e di integrazione
della pluralità. Secondo
la relatrice la biblioteca,
vero e proprio motore di
apprendimento collettivo, costruisce comunità,
genera alleanze e produce cittadinanza attiva.
Maria Stella Rasetti, insieme a Dagmar Göttling, responsabile presso
la Biblioteca civica “Antonio Urceo Codro” di
Rubiera (RE), ha tenuto
anche uno dei workshops
in programma e precisamente “Costruire una
cultura delle alleanze
tra pubblico e privato.
Non sponsor, ma partner”, che intendeva approfondire alcune tematiche, ritenute presupposti fondamentali per costruire una politica
di alleanze duratura ed efficace,
come ad esempio il tema dell’investimento pubblico sui servizi inteIL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
si come motore di benessere e di
sviluppo delle comunità, oppure il
tema della creazione di una mappa
dei possibili alleati o della consapevolezza che la semplice presenza
dei servizi culturali non è condi-
zione sufficiente a innescare un
processo di sviluppo territoriale.
Tra i workshops tenuti sia nel primo che nel secondo giorno dell’iniziativa, ha meritato particolare at-
tenzione per l’ambito di lingua italiana, il progetto “Open City Museum: Educazione all’intercultura
e coesione sociale attraverso l’arte” presentato da Martha Jiménez,
realizzato a Chiusa e rivolto in particolare al pubblico dei
nuovi cittadini o a persone d’origine straniera
che abitano a Chiusa,
mirato a promuovere il
dialogo interculturale e
la partecipazione all’offerta culturale, a promuovere la conoscenza
reciproca delle persone e
a migliorare la coesione
sociale. I partecipanti alla giornata dell’educazione permanente 2013
hanno avuto la possibilità di scegliere fra altri 5
workshops.
Il secondo giorno, a
Bolzano, nella sala polifunzionale del Centro
Civico di Oltrisarco, dopo le relazioni di Stang e
Rasetti, i workshops si
sono sviluppati attorno
al tema delle reti. Tra
tutti ricordiamo il progetto “Punto Cultura
Oltrisarco – Un’esperienza di formazione in
rete in un quartiere cittadino”, presentato da Giuliano
Gobbetti, Presidente del Centro civico Oltrisarco, nonché dell’associazione Aessebi, e Luca Moresco,
Direttore del Cesfor. Il Punto Cul129
promuovere lettura
tura Oltrisarco, nato grazie alla sinergiadi tre associazioni (Cesfor, Aessebi e
Club La Ruga) rappresenta un esempio
riuscito di sinergie fra istituzioni del territorio, grazie alle quali gli abitanti di un
quartiere della città hanno la possibilità
di fruire di momenti culturali e formativi, che spaziano dalla musica alle conferenze e alle presentazioni di libri. Nel
workshop “Il modello Nomi: euro zero a
kilometri zero. Amministrare sobriamente cultura in era di spending review” l’Assessore alla Cultura del Comune di Nomi (Trento), Livio Bauer, ha presentato al pubblico il progetto realizzato
con successo nel suo Comune di 1.300 abitanti seguendo l’imperativo “ fare cultura senza soldi”, e con il coinvolgimento
e la messa in rete di tutte le istituzioni locali (biblioteche, autori locali, giovani
musicisti rock, ensamble corali ed orchestrali, poeti, pittori autodidatti…). Nella
seconda giornata dell’iniziativa i workshops/progetti presentati sono stati in
totale sette.
Informazioni su questo evento e sulle
altre iniziative programmate nel corso
del prossimo anno possono essere richiesti all’Ufficio per l’educazione permanente (0471 411248) o consultati sul sito
internet www.provincia.bz.it/cultura/formazione/iniziative.asp ❧
Adriana Pedrazza
prologo
È
proprio vero che un batter d’ali di farfalla a
Singapore provoca un maremoto a Manhattan...
Un anno e mezzo fa, più o meno, ho inviato
una mail di congratulazioni ed incoraggiamento alla
Redazione del Furore, avendone prontamente la
richiesta di un pezzo sull’Amministrare Cultura.
Ho esposto spensieratamente la mia (in)esperienza,
basata essenzialmente sulla presa di coscienza del
dover soddisfare i gusti dei miei censiti, più che i miei
personali oltreché sull’impegno morale verso i
contribuenti ad usare con oculatezza gli scarsi fondi
pubblici affidatimi dopo i tagli della famigerata
spending review.
Ho parlato in libertà delle opportunità offertemi dalla
miriade di scrittori-poeti-pittori-musicisti-eruditi-artisti
in generale, a volte bravissimi, sempre estremamente
generosi e disponibili, esistenti sul territorio, e della
gioia che puoi regalare offrendo loro un proscenio, un
pubblico ed un po’ di pubblicità.
La scoperta dell’acqua calda, più o meno, no?
Succede però che fra le cinque o sei persone che
leggono l’articolo (parenti inclusi) ci sia anche la
responsabile del settore Educazione permanente
dell’Ufficio della Provincia Autonoma di Bolzano, che
guarda caso sta organizzando un convegno su “La
comunità che apprende“ (o ”Die lernende
Gemeinschaft”) ed ecco che mi ritrovo catapultato a
relatore di un workshop sul mio gestir culturale.
Dal terrore iniziale sono passato, grazie al sostegno
del mio Sindaco e del Furore, al panico attuale.
Ma perché no, in fondo?
Le intenzioni sono buone, il resto seguirà... compresa
un po’ di buona pubblicità per il nostro carissimo,
irascibile, imprescindibile Furore dei Libri!❧
Livio Bauer
130
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Promuovere cultura
a cura della redazione
L
’ Assessorato alla Cultura e la Commissione
Cultura della Comunità della Vallagarina
in collaborazione con l’ Associazione Il Furore dei
Libri è lieta di presentare i risultati del concorso
indetto per promuovere la conoscenza del
territorio attraverso testi che nel corso dei secoli
hanno testimoniato e valorizzato la Vallagarina.
Apprezzando l’ impegno e lo sforzo profuso da
tutti i partecipanti nel trasferire le impressioni e le
considerazioni di un viaggiatore irlandese del primo
Ottocento all’ italiano contemporaneo, cercando di
mantenerne il più possibile la sorpresa, la curiosità
e la precisione descrittiva, la Commissione,
accogliendo il suggerimento della Giuria, presenta
qui una sintesi fra tutte le traduzioni pervenute,
cercando di valorizzare i contributi più significativi
di tutti i loro autori.
C
on la speranza che questa esperienza sia
loro di aiuto e di stimolo a continuare sulla
strada di una sempre migliore conoscenza sia delle
lingue che del nostro territorio.
Marta Baldessarini
Assessore alla Cultura Comunità della
Vallagarina
Hanno collaborato alla traduzione
Andrea Balbinot – Ruan Barbacovi [b] – Iris Bathia [c] – Erica Bellotti [d] – Lara Brasili [e]
Silva Cassietti [f]– Margherita Ciancio [g] – Elisa Conte [f] – Kevin Diener [h]– Federico Falossi [i]
Daniele Folgarait [j] – Federico Foss [k]– Caterina Pizzini [h] – Arianna Scrinzi [l]
Michelangelo Tomasoni [k] – Alison Vanzetta [m]
[a]
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
131
speciale concorso
James Henry — Viaggio da Trento a Riva
Toward southern suns
And genial skies,
Gently sloped
That valley lies.
Ai miti cieli
E ai soli del sud
Si volge la valle
Con lieve pendio.
[10]
From wintry blasts,
North, east, and west,
Alpine steeps
Defend its breast;
[M]
[11]
And with a thousand
Ice-fed rills
Water its fields,
And turn its mills;
[J]
[12]
And cool the sultry
Summer air,
And play sweet music
To the ear.
e rinfrescano
l’ afosa aria estiva,
e suonano una musica
ch’ è dolce per l’ orecchio.
[13]
Here the cliffs
Are bleak and bare,
With pine forests
Covered there;
Qui precipizi
aspri e nudi,
e là da pinete
ricoperti;
[14]
Or with various
Carpet spread,
Of fern and heath,
The black-cock’ s bed.
[J]
[15]
Here mica schist,
Red porphyry,
And granite peaks,
Invade the sky.
Qui il micascisto,
il porfido rosso,
e cime di granito,
invadono il cielo.
There slumbering marble
Waits the hand
That bids it into
Life to stand.
Là il marmo assopito
Attende la mano
Che in vita lo porti
E lo inviti a restare.
At five leave Trent,
In coach and pair,
For Riva bent,
And cooler air,
[E]
Alle cinque lascio Trento,
in carrozza e pariglia,
diretto a Riva
e all’ aria più fresca.
[2]
My wife and I,
And daughter tall,
And Maestro Monti,
Four in all.
[A]
Mia moglie ed io,
Con la figlia grande
ed il maestro Monti,
quattro in tutto.
[3]
Good company
In sooth are we,
And for six hours
May well agree,
[C]
Veramente siamo
una bella compagnia
e per sei ore
potremmo andare d’ accordo,
[4]
If quarrels come,
As poets teach,
From too free use
Of the parts of speech;
[G]
Se, stando a sentire
I poeti, il diverbio
È frutto dell’ uso
Smodato del verbo,
[5]
For we no word have
Of Italian;
No English he,
Nor cramp Germanian;
[G]
Visto che noi
Non parliamo italiano,
Né lui sa l’ inglese
O il duro tedesco
[6]
And has not even
The acquaintance made,
Of Ma’ mselle French,
That common jade,
[C]
E non conosce
neanche
quel tesoro comune,
la “lingua” francese,
[7]
That walks at ease
Wide Europe’ s streets,
And laughs and chats
With all she meets.
[A]
Che passeggia a suo agio
Per le ampie strade d’ Europa,
E ride e parla
Con chiunque ella incontri.
Pleasant the view is,
As our carriage
Rolls smoothly down
The Vale of Adige.
[C]
Il panorama è piacevole
mentre la nostra carrozza
scivola dolcemente
lungo la valle dell’ Adige.
[16]
[8]
132
[9]
[1]
[G]
Da gelide folate,
a nord, est ed ovest,
i precipizi alpini
difendono il suo seno;
E con mille ruscelli
dal ghiaccio alimentati
irriga i suoi campi,
e fa girare i suoi mulini;
[E]
[D]
Oppure con varie
distese a tappeto,
di felci e di brughiera,
il letto del gallo nero.
[E]
[G]
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
speciale concorso
James Henry — Journey from Trento to Riva
[17]
Lower down
The sandstone rock;
At our feet
The boulder block.
[G]
Un poco più sotto
La roccia arenaria,
Ai nostri piedi
Macigni franati.
[25]
Let six weeks pass,
The work is done,
The worms are fed,
The cocoons spun,
Lasciamo passare sei settimane, il lavoro è fatto,
le larve sono sazie,
avvolte nei bozzoli,
[18]
Pleasant the view is,
As our carriage
Rolls smoothly down
The Vale of Adige.
[A]
Piacevole è il panorama,
Mentre la nostra carrozza
Scivola dolcemente giù
Per la valle dell’ Adige.
[26]
The chrysalis killed,
Its intricate clue
Unravelled nice,
And spun anew
la crisalide uccisa
e il suo intricato bozzolo
disfatto delicatamente
e filato nuovamente,
[19]
Trellised vines
Stretch far and near,
Through fields of lentil,
Maize, and bere;
[A]
Le pergole si distendono
Lontane e vicine,
Attraverso campi di lenticchie,
Orzo e granturco
[27]
Into a firm,
Tenacious line,
Yellow as gold,
As gossamer fine;
In un saldo,
Tenace filo
Giallo come l’ oro
Come ragnatela sottile
[20]
Chesnut and walnut
Stately stand,
Flanking the road
On either hand;
[A]
I castagni e i noci
Stanno imponenti,
Fiancheggiando la strada
Da entrambe le parti;
[28]
Parent of
The bombazine,
Rustling sarsnet,
Satin sheen;
Origine
della bambagia,
dell’ ormesino,
e del raso lucente,
[21]
And gentler willow
Lends its shade,
And droops and arches
Overhead;
[G]
Più gentile, un salice
L’ ombra sua porge
E si tende e s’ inarca
Sulle nostre teste.
[29]
Of the sofa’ s
Gay brocade,
Of the lutestring
Quilted bed;
del sofà
dall’ allegro broccato,
e del letto trapuntato
di lustrini;
[22]
And sunburnt peasants’ Hands rapacious
Cull the mulberry’ s
Foliage precious.
[E]
E le mani rapaci
dei contadini abbronzati
spogliano il gelso
del suo prezioso fogliame
[30]
Of the flag
That floats on high,
Defiance to
The enemy;
[B]
[23]
The sacks stand full,
The carts are loaded,
The tawny oxen
Yoked and goaded;
[D]
I sacchi sono pieni,
carichi i carri,
i fulvi buoi
aggiogati e spronati;
[31]
Of the garter,
Of the pall;
Wond’ rous thread
That mak’ st them all!
Della giarrettiera,
Del drappo funesto:
Fantastica fibra
Che crei tutto questo!
The master hears,
With ears of pleasure
The axle groan
Beneath the treasure.
[K]
Il padrone ascolta
con piacere
gli assali gemere
sotto il peso del tesoro
[32]
Pleasant the view is,
As our carriage
Rolls smoothly down
The Vale of Adige.
[H]
[24]
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
[C]
[F]
[I]
[E]
[E]
Della bandiera,
che alta sventola,
a sfidare
il nemico;
[G]
Gradevole è la vista,
mentre la nostra carrozza
scivola dolcemente lungo
la valle dell’ Adige.
133
speciale concorso
James Henry — Viaggio da Trento a Riva
[33]
On our right hand
The broad river,
Gray and clear,
And sparkling ever;
[L]
Alla nostra destra
Scorre l’ ampio fiume,
grigio e limpido,
sempre scintillando;
[41]
With face reverted,
So is borne
Down the rough road
Whence no return,
con il viso rivolto
là dove è nato
lungo la strada scabrosa
da cui non v’ è ritorno,
[34]
In its stony
Channel dashing,
Raving, fretting,
Foaming, splashing.
[G]
Nel letto di pietre
Lui corre, impazzisce,
Si agita, schizza,
Fa schiuma e sobbalza.
[42]
And plunged at last
Into the sea,
By finites called
Eternity.
E, giunto al termine,
Piomba in quel mare
Che i mortali chiamano
Eternità.
[35]
What though still
Its course is forward,
What though still
It rushes onward,
[M]
Nonostante ciò
il suo corso è in avanti,
nonostante ciò,
sfreccia in avanti,
[43]
Pleasant the view is,
As our carriage
Rolls smoothly down
The vale of Adige.
[J]
[36]
Downward still
Although its motion,
Toward the vast
Absorbing ocean,
[A]
Si calma verso valle
Nonostante il suo moto,
Verso il vasto
Oceano remoto.
[44]
We thread the gorge
Where Lägerthal
In battle saw
Sanseverin fall;
[I]
[37]
See, each wavelet
Backward curls;
See, reversed
Each eddy swirls;
[G]
Guarda, ogni ondina
Si arriccia all’ indietro,
Guarda, ogni gorgo
All’ opposto mulina,
[45]
Leave on the right
Old Castelbarco,
And hear thy tower,
Holy San Marco,
lasciamo sulla destra
l’ antica Castelbarco,
ascoltiam la tua torre,
benedetto San Marco,
[38]
See, it casts
Its lingering look
Toward the scenes
It hath forsook,
[G]
Guarda, rivolge
Il suo sguardo indugiante
Verso i paesaggi
Che ha abbandonato,
[46]
Chime night’ s first watch
In Rovereith,
As we arrive,
At half-past eight
[E]
[39]
Toward its native
Orteler mountain,
Toward its parent
Glacier fountain.
[G]
Verso il nativo
Monte dell’ Ortler,
Verso i ghiacciai
Della natia fonte.
[47]
After supper,
Fresh and merry,
West we turn
Toward Adige ferry;
[K]
Life’ s traveller so
Casts back his view
On the dear scenes
His childhood knew.
[K]
Vita da viaggiatore,
occhiate alle spalle
sulle care scene
che la sua infanzia conobbe.
[48]
And where, ‘ twixt banks
Of flowery rushes,
Deep, silent, smooth,
The river gushes,
e qui, tra argini
di giunchi fioriti,
profondo, silenzioso, scorrevole il fiume sgorga
[40]
134
[E]
[G]
Piacevole è la vista,
mentre il nostro trasporto
rotola giù tranquillo
per la valle dell’ Adige.
Ci infiliamo nella gola
Dove la Vallagarina
Vide in battaglia
Cadere Sanseverino
[E]
suonare il primo
rintocco della notte
appena giunti a Rovereto,
alle otto e trenta.
Dopo la cena,
freschi ed allegri,
ci dirigiamo a ovest
verso il battello sull’ Adige
[F]
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
speciale concorso
James Henry — Journey from Trento to Riva
[G]
Carrozza compresa
Lo attraversiamo
Su un ampio naviglio
Con il fondo piano
[57]
Our downward corse
Is fair and free,
From those drear heights
To Torbole,
È libera e lieta
La nostra discesa
Dalle tetre alture
Fino giù a Torbole
[H]
Anche se è buio,
abbiamo poca paura,
e il maestro è ancora
di buona compagnia;
[58]
Where, snugly moored
In Morpheus’ arms,
Lake Garda’ s boatmen
Dream of storms.
Dove, ormeggiati al sicuro
tra le braccia di Morfeo,
i barcaioli del lago di Garda
sognano di tempeste.
[J]
E in parte con segni,
in parte con sguardi,
in parte con parole,
prese da libri,
[59]
Hung on lines
Their nets are drying,
High on the strand
Their boats are lying.
Appese alle funi
Si asciugan le reti,
Sulla spiaggia giacciono
In secca le navi.
[52]
Contrives to let us
Understand
He guides us through
No unknown land;
[E]
trova il modo
di farci comprendere
che ci guida attraverso terre
non sconosciute;
[60]
Cross we then
Hoarse Sarca’ s bridge,
And turn Mont Brion’ s
Jutting ridge.
Poi attraversiamo
il ponte dell’ aspra Sarca,
e aggiriamo lo sporgente
crinale del Monte Brione
[53]
Guides us through
Mori’ s Village rude:
‘ Twere picturesque
By day-light viewed;
[G]
Ci guida per Mori,
Rustico borgo:
«Sarebbe pittoresco
Alla luce del giorno.»
[61]
Where scantly may
The strait road sweep,
‘ Twixt the deep lake
And mountain steep,
Dove l’ angusta via
a mala pena si muove
tra il lago profondo
ed il dirupo roccioso,
[54]
Past Loppio’ s lake,
With islands dotted;
Past Loppio’ s rocks,
With lichens spotted.
[I]
Oltre il lago di Loppio
Di isole costellato
Oltre i suoi scogli
Di licheni disseminati
[62]
Overhead
Hangs drearily
The glimmering lamp
Of a Calvary.
Sta appesa in alto
triste
la lanterna tremolante
di un Calvario.
[55]
Where our passing
Lamp-light falls
On yonder gray
Time-eaten walls,
[B]
Dove al nostro passaggio
la luce della lampada
cade sulle pareti grigie
mangiate dal tempo,
[63]
From widow’ s cruse
That lamp is fed,
A widow’ s tears
On that slab are read:-
[K]
Awful from
The rocky steep
Frowned, Nago, once
Thy castled keep.
Una volta il tuo mastio
Merlato, o Nago,
Scrutava giù torvo
Dal colle roccioso.
[64]
“Fellow-sinner,
Bend thy knee,
Fellow-sinner,
Pray with me
[A]
[49]
Carriage and all
Across we float
In broad flat-bottomed
Lugger-boat.
[50]
Dark though it be,
Small fear have we,
And Maestro’ s still
Good company;
[51]
And, part by signs,
And part by looks,
And part by words
Picked out of books,
[56]
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
[G]
[G]
[D]
[G]
[B]
[K]
[C]
Dal vaso della vedova
la luce è alimentata,
una supplica di vedova
su quella lapide si legge
“Compagno peccatore,
Piega il tuo ginocchio,
Compagno peccatore,
Prega con me
135
speciale concorso
James Henry — Viaggio da Trento a Riva
[65]
“For him that in
The tempest’ s shock
Foundering sank
By yonder rock.
[B]
“Per lui che
in un colpo di tempesta
andò, affondando,
su quella roccia laggiù.
[68]
And just as cocks
And clocks tell one,
At Il Giardino
Are set down,
[H]
[66]
Mother of God,
The sailor save,
On Lake Garda’ s
Dangerous wave.”
[J]
Madre di Dio,
salva il marinaio,
sulle pericolose onde
del lago di Garda”.
[69]
Where Maestro Monti
Bids good night,
And all to bed
In weary plight.
Dove il Maestro Monti
augura la buona notte,
e stanchi morti tutti
a letto ce ne andiam.
Two short miles more
Run quickly past,
And Riva safe
We reach at last;
[E]
Due brevi miglia ancora
percorse velocemente
e finalmente salvi
raggiungiamo Riva;
Si ringraziano Beatrice Fabbri ed Emanuela La Grutta per la collaborazione.
[67]
E appena come i galli
e gli orologi segnano l’ una,
a Il Giardino
ci siamo stabiliti,
[D]
Nota: Nella scelta dei contributi si è cercato di rappresentare tutti gli autori in
proporzione alle caratteristiche della loro traduzione.
Le parti in tondo sono nostri adattamenti. (rg)
Di seguito, alcune strofe tradotte da Renzo Galli nel dialetto della Vallagarina di metà ’800,
presumibilmente quello che avrebbe sentito James Henry durante il suo viaggio.
136
Lassem Trent ale zinque
con en birocc a do
girando ’n vers de Riva
per nar en po’ pu al fresc.
Noi no savem parole
de Taliam
Lu gnanca ’n po’ de Ingless
e miga de Todesc.
Sta val la par butada,
slanguida
en vers del sol,
soto i so ziei gentili.
Chì le zime
le è frede e nude
Là le è cuerte
da foreste de pini.
Mi e la me sposa
e cola fiola granda
e col Maestro Monti
Erem en quatro en tut
E nol ga confidenza
gnanca della Francesa
che come na putela
che se la fa con tuti
Cole montagne alpine
che ghe difende el cor
da quei colpi de venti
che vegn da su e da ’n là
O cuerte da tapeti
de tante varietà,
en ’do che ’l gal zedron
el pol far el so nif;
Na bona compagnia
ne par de nar d’acord
e per sie bone ore
se ghe podria anca star
e la camina fazile
per le strade d’Europa
la ride e se la ciacola
con tuti che i la ’ncontra
E con mili rozate
nutrìde dai ghiaciai
le bévera i so campi
la gira i so molini.
Chi i micascisti,
el porfido pu ross
e zime de granito
le ciapa tut el ziel.
Se vegn da questionar
come diss i poeti
per massa sparlazar
senza pensarghe su.
L’ è propi en bel vardar
entant che l nos birocc
el rugola piam piam
zo per la val de l’Ades
E le rinfresca l’aria
l’ Istà quand’ che vegn l’afa;
e le sona ’na musica
che la ’ndolziss le rece
Là ’l marmo endormenzà
l’aspeta quela man,
Che la ghe ofra el destro
de star ne la so vita...
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Notizie dal furore
Eventi del Furore
Poesia
All’ appuntamento primaverile
con la Poesia la nostra Associazione non ha mancato di essere presente nel segno della tradizione ma
anche della novità, almeno nella
scelta di accostare poeti di generazioni diverse, e naturalmente di impostazione e scelte tematiche e stilistiche differenti, di sensibilità differenti, accomunati dall’ impegno e
dalla passione per le svariate forme
poetiche che arricchiscono il panorama della poesia contemporanea.
Durante la serata, ospitata nella
Sala Fondazione Caritro, il poeta
roveretano Sergio de Carneri ha
presentato il volume La conta dei
nònesi, originale raccolta di liriche
della classicità greca e latina tradotte in italiano e in ladino nòneso,
lingua “nativa” dell’ autore.
Non una innovazione o un tentativo semplicemente “originale”,
bensì una ricerca accurata che sorprende per la ricchezza di richiami,
assonanze, accordi potremmo dire
“musicali” tra lingue che intrecciano similitudini e “imparentamenti”
non solo di termini e significati, ma
soprattutto di ritmo e melodia.
A fare da contraltare, un giovane
poeta di origini polacche, Dominik
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
Balazka, con la raccolta Versi divini
edita da “la Feltrinelli” in cui le scelte tematiche spaziano dal ricordo ai
sentimenti più importanti come l’ amicizia e l’ amore, ai momenti più
significativi dell’ esistenza come la
nascita, le prime scoperte del mondo che ci circonda, la purezza
dell’ infanzia.
È da sottolineare la notevole sicurezza nella scelta di una gamma linguistica che richiama i classici e
propone la forza di versi non edulcorati o immediatamente accessibili, e che pertanto richiede una lettura attenta ed approfondita.
Così dice Balazka: “La mia poetica? Credo in uno stile immediato e
spontaneo, ma sono soprattutto
convinto che la rima deve restare
solo l’ ultima delle tante risorse stilistiche che un poeta ha a sua disposizione. Sono un ateo e un narcisista. L’ unica cosa in cui sono disposto a credere per fede è l’ estetismo
letterario di Wilde”.
Come in altri incontri dedicati alla Poesia, la serata ha riservato spazio a coloro che hanno avuto piacere di leggere una loro composizione, e come sempre questo momento rinsalda il legame tra i soci del
“Furore”, i soci di “Poesia 83” e di
tanti altri appassionati.
Altri incontri, con la poesia come
protagonista, sono la testimonianza
che le relazioni e le collaborazioni
tra il Furore dei Libri, il territorio,
la cittadinanza e le attività che si rivolgono a realtà di disagio e difficoltà rientrano nel nostro desiderio
e impegno di promozione sociale.
L’ ultimo venerdì di ogni mese
con “Punto d’ Approdo” proponiamo la lettura e il commento di poesie scelte su proposta delle ospiti del
centro e, in un clima semplice e
conviviale, sosteniamo anche la
motivazione alla loro libera espressione, valorizzando la lingua e la
cultura di provenienza. ≥
Prosa
Con “Rotary club” abbiamo ripercorso i suoi ultimi 50 anni di
presenza e di attività a Rovereto:
non una commemorazione, ma il
riconoscimento dell’ importanza
del percorso svolto e la riconferma
della continuazione di progetti
nuovi nel futuro.
Ecco allora la prova tangibile di
tale presenza del Rotary di Rovereto e del Rotaract di Rovereto-Riva
del Garda: il volume Il Sole di Sanpa- la luce nel buio scritto dai ragazzi e edalle ragazze ospiti della Comunità di San Patrignano di San
Vito di Pergine con la guida dei gio137
NOTIZIE DAL FURORE
vani del Rotaract e la collaborazione di Riccardo Petroni che ha presentato il libro - una raccolta di
esperienze,rifessioni, pensieri accostati ai testi di canzoni tra le più conosciute e amate del repertorio dei
cantautori italiani - ma che soprattutto ha illustrato la filosofia dell’ iniziativa.
≥
Serendipity, Il romanzo di Morena Pedrotti, autrice alla sua seconda
opera, ci avvicina a un termine inglese ormai conosciuto, o meglio usato,
ma forse non nella sua accezione più
originale ed autentica: generalmente
siamo portati a tradurre “…accetta
con serenità, pazienza e anche sopportazione ciò che ti capita”.
Non è precisamente il significato
corretto: “serendipity” indica un evento, un qualcosa di positivo che
arriva inaspettato, in forme e momenti della vita in cui ne abbiamo
bisogno per dare una svolta alla nostra esistenza, cambiare orizzonti o
semplicemente punto di vista riguardo alla nostra esistenza; insomma include l’ idea di “dono” e di
“gratuità” sia che provenga da persone, incontri e addirittura luoghi.
Ma ora torniamo al romanzo, che
sotto la superficie di un linguaggio
e un fraseggio semplice e scorrevole, tocca temi intensi e spesso dolorosi della vita delle donne. È un romanzo “al femminile”, “sul femminile” e “per il femminile”.
Attenzione, non voglio dire dedicato solo a un pubblico di donne,
anzi! L’ universo complementare del
138
maschile è ben presente e non solo
in veste di contrappunto o peggio di
antagonista, bensì di ruolo di confronto, di scontro spesso, ma anche
di collaborazione e fortunatamente
anche di conforto, sostegno, valorizzazione, riconoscimento e condivisione degli aspetti più fondanti della
psicologia femminile.
Accenno brevemente alla tematica forte e attualissima della storia
narrata: il mobbing, molestie sessuali (sexual malbehaviour), il disagio e la discriminazione ancor diffusi sul luogo di lavoro (…a tutti i
livelli!) che inevitabilmente portano ad esiti negativi se non drammatici sia sul piano personale che occupazionale – anche perdita del posto di lavoro – e quindi sociale.
L’ approccio di Pedrotti a tali tematiche è una scelta ben definita e
funzionale non solo alla narrazione
ma, secondo me, è un messaggio
positivo con cui l’ autrice invita i lettori a “dischiudere” gli occhi sui
rapporti e sulle relazioni tra generi
e generazioni che intessono il nostro vissuto in questi anni non sicuramente semplici.
Ci saremmo augurati un pubblico più numeroso per accogliere una scrittrice a noi vicina nel territorio (Morena è insegnante della
scuola primaria), ma con svariati
interessi culturali; la partecipazione
è stata sentita ed ha acceso la curiosità sulla “serendipity” e ciò è forse
quello che si aspettava l’ autrice…
La Mostra itinerante
Strada 2012
di
Parole
per
La Mostra è partita in primavera: il
suo primo scalo in Lombardia e Piemonte: in quel di Varese, a Besozzo,
quindi a Laveno, sponda lombarda
del verdeggiante Lago Maggiore e
per finire a Stresa, riva piemontese
del Verbano, nell’ ambito della rassegna e concorso letterario “Giallo
Stresa”.
Anche questa edizione itinerante
ha preso avvio in modo positivo e
gratificante per la nostra associazione, in particolar modo per chi con
piacere ed impegno si occupa della
parte organizzativa e non solo.
Un ringraziamento va in modo
particolare ai collaboratori “esterni”, i
referenti sul territorio in cui la Mostra è stata presente, per la loro disponibilità, il loro lavoro di coordinamento e, ça va sans dire!, la condivisione degli intenti e delle finalità
dell’ iniziativa giunta al suo terzo anniversario: ancor giovane, eh... ma in
buona salute e perciò con tanti anni
davanti!
Tra le molte tappe vanno certamente ricordate Moltrasio sul Lago
di Como con i pannelli distribuiti
nelle strade e nelle piazze di quell’ incantevole borgo e una serata con gli
autori che ha visto alternarsi le letture dall’ Antologia “Camminando
con...” agli interventi sulla scrittura e
sul valore della lettura da parte di autori locali. Dal Lago alle Dolomiti
nello scenario magico delle Terme di
Comano. Parole per strada, invitata
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
NOTIZIE DAL FURORE
come ospite agli appuntamenti
dell’ ormai classico “Trentino d’ Autore” che ospita scrittori celebri da
tutto il mondo per una serie di incontri culturali di qualità offerti ai
turisti che visitano il Trentino. Qui
ha potuto godere di un appuntamento dedicato ai “Libri che parlano di libri” condotto dallo srittore, giornalista nonché nostro socio, Carlo Martinelli. Folta la presenza di autori di
Parole per strada maanche del pubblico, dei turisti e dei frequentatori
delle Terme.
La mostra è stata così gradita che
ne è stata prolungata la permanenza,
così come la distribuzione dell’ Antologia.
Il Furore dei Libri ha potuto così avviare una collaborazione con lAPT di
Comano Terme e la rassegna “Trentino d’ Autore” che si prevede fruttuosa e
di reciproca soddisfazione.
Dopo aver visitato Flavon, , Egna,
Vadena, Bolzano e Ora (interessante
e simpatico incontro/intervista agli
autori presenti da parte degli alunni
di due classi delle Elementari in visita alla mostra), Parole per strada è
stato ospitata per il secondo anno alla biblioteca di San Michele all’ Adige
e per la seconda volta ha potuto toccare con mano la vivacità culturale e
l’ interesse di quella comunità per la
scrittura e la lettura grazie anche
all’ opera del gruppo “In.pagina” del
quale fanno parte anche alcuni autori selezionati per la Mostra.❧
Maria Grazia Masciadri
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
Proprio ad Anna Tava, anima e
all’ animatrice di “In-pagina” lasciamo la descrizione e il commento della presenza di
Parole
per
strada
ai
Mercoledì Lunari di Mezzolombardo
Le storie che camminano, quando
sostano fanno facilmente amicizia
con imprevisti lettori, che ringraziano per quella storia in più che li
ha per un attimo catturati. La mostra “Camminando con…” de “Il
Furore dei Libri” ha partecipato ai
Mercoledì Lunari, un’ iniziativa del
Consorzio di Promozione Mezzolombardo per stimolare la vita sociale e commerciale del paese offrendo un giorno in settimana negozi aperti in orario serale e manifestazioni di vario genere a contorno. Nelle cinque serate tematiche le
associazioni locali collaborano affiancando le loro proposte a quelle organizzate. Il Gruppo letterario
In-pagina insieme all’ associazione Arte Futuro ha quindi pensato
di collocare l’ esposizione dei grandi pannelli della mostra nella piazzetta dedicata all’ espressione artistica. L’ impatto visivo dei racconti
scritti in grande e la piacevole sorpresa di ricevere in omaggio il libro
che li contiene ha richiamato l’ attenzione di molti passanti e, come
previsto, le storie hanno emozionato, regalando una riflessione, un
sorriso, un ricordo. Quando la narrativa esce dai libri e ti raggiunge là dove non ti aspetti e ti rapisce con una frase scritta con peri-
zia, una metafora che sa illuminare
il cuore, dà vita a un momento speciale, da godere dentro di sé o da
condividere con chi ti sta a fianco,
un amico o uno sconosciuto, che
come te si commuove o si rallegra.
Sotto la luce dei lampioni e quella lontana della luna, fra la gaiezza
delle passeggiate e delle chiacchiere estive, le parole silenziosamente
incantano.❧
Anna Tava
n rete con il Furore dei Libri
per fare cultura assieme.
Amici di Parola
L’ Associazione Culturale “Amici
di parola” promuove, valorizza e tutela la cultura letteraria e teatrale in
ogni sua forma ed espressione,
principalmente attraverso la lettura
interpretata.
Produce spettacoli teatrali e occasioni di ascolto di opere letterarie
sia in prosa che in poesia affidate alla voce dei propri “attori-lettori”
che si sono formati presso scuole
qualificate.
L’ associazione collabora con singoli, organizzazioni ed enti che si
prefiggano scopi simili o complementari a sostegno di iniziative o eventi volti alla divulgazione, al miglioramento e al rinnovamento
dell’ offerta culturale.
Gli “Amici di Parola”, come suggerisce il nome stesso, amano la parola scritta e parlata quale espres139
NOTIZIE DAL FURORE
sione del linguaggio comunicativo,
culturale ed artistico. Elemento di
coesione fra loro è la volontà di
continuare a coltivare e a realizzare
i propri sogni e le proprie passioni.
Insieme dal luglio 2008 quando è
stata ufficialmente costituita l’ Associazione Culturale “Amici di parola” in questi anni si è fatta conoscere ed apprezzare a livello locale
ma anche fuori regione.
Convinti assertori della ricchezza
di messaggi (cognitivi, emozionali,
sociali) che l’ ascolto di una voce
impostata sa trasmettere, propongono letture sceniche a leggio (vale
a dire “drammatizzate” o “teatralizzate” che dir si voglia, per far capire
che – unitamente ad una corretta
pronuncia – vengono comprese e
trasmessi i sentimenti e le intenzioni degli autori o dei protagonisti
delle opere.❧
Adelina Valcanover
Gruppo Poesia 83
Fondato nel 1983 a Rovereto, il
Gruppo Poesia 83 è quest’ anno al
suo trentesimo anno di vita.
Come primo presidente Antonio
Bruschetti e con lui un gruppetto
sparuto di nove soci, in lingua ed in
dialetto Nel 1986 la nuova presidenza a Italo Bonassi; il Gruppo inizia così ad arricchirsi di nuovi autori, anche non roveretani. Nel
1997, con l’ arrivo di un poeta bolzanino e di due veronesi, il Gruppo
non si chiama più ufficialmente
Gruppo Poesia 83 di Rovereto, ma
140
semplicemente Gruppo Poesia 83,
tanto più che intanto i roveretani
diventano la minoranza.
Trent’ anni di incontri e tavole rotonde con associazioni gemelle e
centinaia di letture nelle Biblioteche, nelle Case di Riposo, nei Centri Diurni, presso associazioni culturali, nei castelli, nei musei, nelle
piazze. E, ogni anno, tre serate di
poesie nell’ ambito del programma
comunale Rovereto Estate.
E non solo nel Trentino, pure in
Alto Adige, nel Veneto e in Lombardia, per incontri con associazioni gemelle. E una simpatica trasferta in Svizzera, patrocinata dalla
Trentini nel mondo.
Un fiore all’ occhiello un bimestrale di poesia e critica contenente,
oltre alle poesie dei soci, recensioni
sui più grandi poeti e scrittori non
solo italiani ma pure stranieri, i
Quaderni, oramai al diciassettesimo anno di vita, stampati dall’ Assessorato alla Cultura della Provincia di Trento. Duecento soci simpatizzanti di diverse parti d’ Italia li
ricevono ogni due mesi per posta e
collaborano con poesie, racconti,
recensioni, ed altro.
Altro fiore all’ occhiello il Premio
Nazionale di Poesia “La Rondine”,
giunto alla XV edizione, col patrocinio dell’ Assessorato Provinciale
alla Cultura, e che vede una larga
partecipazione di concorrenti da
tutta l’ Itala, sia in italiano che in
dialetto, con una sezione per giovani: il Premio Nazionale Fabrizio
Vaccari.
Le premiazioni si svolgono a Rovereto tra fine maggio e primi di
giugno.
Nel frattempo il Gruppo ha pubblicato quattro antologie, l’ ultima,
per il trentennale, nel 2013.❧
Italo Bonass
Italia - Moldavia
L’ Associazione di Promozione
Sociale Italia-Moldavia-Onlus è un
ente di volontariato impegnato nella cooperazione internazionale tra
l’ Italia e la Repubblica Moldova
(Moldavia). L’ Associazione, costituitasi a Besozzo (VA) il 20 Novembre
2002, è sostenuta ed animata esclusivamente da volontari senza alcun fine di lucro che sviluppano progetti
nei settori socio-assistenziali e culturali. L’ obiettivo prioritario dell’ Associazione è la diffusione ed il sostegno di progetti di aiuto per l’ infanzia
tramite l’ adozione (sostegno) a distanza. Attualmente è presente con i
suoi soci e sostenitori in diverse Regioni italiane, godendo dell’ attenzione e della collaborazione di diversi Enti Pubblici. Opera a Chisinau
(capitale della Repubblica Moldova)
tramite i suoi responsabili dell’ O.N.G. umanitaria “COPILUL”, filiale moldava dell’ Associazione. Nel
corso degli anni ha realizzato diversi
progetti in favore dell’ infanzia moldava più sfortunata, collaborando
con le istituzioni moldave e con i più
importanti ospedali pediatrici del
Paese. In particolare ha sviluppato
un progetto a sostegno dei bambini
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
NOTIZIE DAL FURORE
malati di diabete mellito, una malattia che costituisce una vera e propria
drammatica emergenza sociale in
Moldova.
L’ Associazione di Promozione So-
ciale Italia-Moldavia (onlus) promuove inoltre sul territorio italiano
la conoscenza della cultura e delle
tradizione romene, traducendo e
diffondendo testi di autori moldavi e
facilitando scambi e gemellaggi tra istituzioni culturali italiane e moldave. [www.italiamoldavia.org].❧
Pelagio D’Afro
Lucia Debiasi
Gian Luca Del Marco
Per la prima volta
con la Rivista del Furore
Meriam Al-Ghajariah
Rovereto. In più di mezzo secolo di vita
ha vissuto 21 traslochi (circa), in cinque
Paesi (circa) e tre continenti (circa). Ama
lavorare, viaggiare, chiacchierare e leggere. Scrive (poco) per amore o per rabbia (come l’uccellino in gabbia). Vive a
Rovereto da pochi anni e ne è innamorata.
Liliana De Venuto
Pugliese, insegnante e ricercatrice. I
settori da lei esplorati riguardano tanto
la storia del Trentino, dove da tempo si
è trasferita, quanto l’arte e la devozione
popolari. Sono usciti a stampa La Regione dell’Adige, vol. primo, Storia del Trentino e dell’Alto Adige dalle invasioni barbariche alla fine del Medioevo (secoli VXIV), Rovereto, Osiride, 1995; La Regione
dell’Adige, vol. secondo, La prima età
moderna. Quattrocento e Cinquecento,
Rovereto, Ed. Osiride, 2004, in collaborazione con F. Cichi; Devozione e santi
sotto campana, Schena editore, Fasano
(Brindisi), 1996, in collaborazione con
Beatrice Andriano Cestari; Processo a
Cattarina Donati (1709-1710). Un caso di
santità affettata, Trento, U.C.T., 2001; Discorrere per lettera ... Carteggio Giuseppe
Valeriano Vannetti – Giambattista Chiaramonti (1755-1764), Trento, Civis, 2004;
La moda maschile a Rovereto secc. XVIIXVIII, Trento, U.C.T., 2007. Ha partecipato a diversi convegni organizzati in territorio trentino e offerto contributi
scientifici a riviste locali e nazionali.
IL FURORE DEI LIBRI 2013/9-10
Ancona. È uno scrittore collettivo composto da Giuseppe D’Emilio, Arturo Fabra,
Roberto Fogliardi e Alessandro Papini; è la
“costola” di un altro autore multiplo: Paolo
Agaraff. Ha pubblicato racconti in riviste e
antologie, specie con il laboratorio creativo Carboneria Letteraria. Il suo primo romanzo, I ciccioni esplosivi (2009), è anche
disponibile gratuitamente su liberliber.it;
il suo secondo romanzo, L’acqua tace, è
stato pubblicato nel 2013 da Italic-peQuod. (pelagiodafro.com)
Susanna Daniele
Pistoia. Iscritta all’Ordine dei giornalisti.
Collabora a numerosi periodici e riviste
online. Nel 2004 ha iniziato a scrivere
racconti gialli vincendo numerosi premi. Autrice di due testi teatrali: Ai saggi la
gloria, rappresentato nelle sale della biblioteca Forteguerriana di Pistoia, Marco Del Bucchia (2010), e Il ceppo fiorito,
EdizioniAtelier (2012). Numerosi suoi
racconti sono stati pubblicati in antologie e riviste letterarie.
Igor De Amicis
Teramo. Commissario di Polizia Penitenziaria, scrive di diritto per le riviste
giuridiche de Il Sole 24 Ore, ha curato
diverse raccolte di saggi giuridici. Per
la narrativa ha pubblicato svariati racconti in antologie. Nel 2012 ha vinto il
contest del Festival delle Letterature
dell’Adriatico. Attualmente è uno degli
autori dell’iniziativa YouCrime indetta
da Rizzoli/Corriere della Sera.
Rovereto. Docente presso lo storico Liceo “Rosmini” con la passione dell’insegnamento della letteratura italiana. Collabora con l’Archivio della Scrittura popolare presso la Fondazione del Museo
storico trentino, per il quale ha contribuito a Le memorie di un trentino alla
corte dello Scià di Persia a cura di Mir
Gialal Hascemi.
Gian Luca Del Marco
Besozzo (VA). Da anni si occupa di volontariato promovendo iniziative e progetti umanitari in favore dei bambini
della Repubblica Moldova. Amante della lettura e dei libri al punto da dedicarsi
anche alla loro “cura”, restaurandoli e rilegandoli con passione.
Danuta Dobkowska
Elk (Polonia) e Milano. Conseguito il diploma di studi superiori a Varsavia, ha
lavorato come segretaria didattica negli
istituti “Liceo Internazionale” e “Gonzaga” di Milano. Attualmente in pensione,
si dedica a tempo pieno ai suoi hobby
preferiti: poesia, lettura, musica, teatro,
viaggi, giardinaggio, medicina naturale,
trekking.
Rahma Nur
Roma. Nata a Mogadiscio, in Somalia,
arrivata in Italia nel 1969, ha sempre vissuto a Roma e dintorni e da circa
vent’anni insegna in una piccola scuola
primaria statale nel Sud Pontino. Scrive
poesie fin dalla lontana adolescenza. Da
141
NOTIZIE DAL FURORE
qualche tempo scrivo racconti che partono dal suo vissuto tra due mondi culturali, l’Italia, paese che l’ha accolta
all’età di cinque anni, e la Somalia, terra
che l’ha vista nascere. Ha partecipato al
concorso Lingua Madre 2012 e vinto il
Premio Speciale Rotary Club per il racconto Volevo essere Miss Italia. Ha vinto il
Primo Premio nel Concorso Scrivere Altrove “Amici di Nuto” di Cuneo con il
racconto Mamma Somalia.
Giacomo Radoani
Trento. Studi classici con interessi storico-religiosi, gia’ insegnante e libraio per
quasi 40 anni, ora, pensionato, si dedica
alla ricerca.
Anna Tava
Mezzolombardo (Trento). Le piace che
nome e cognome si siano fusi in annatava, il suo nome d’arte. Per lavoro si occupa di pubblicazioni e di laboratori
formativi, nel tempo libero pure. Collabora con il quotidiano “Trentino” e organizza eventi culturali artistici. Vincitrice e finalista in diversi concorsi letterari, ha pubblicato la raccolta di racconti Assenze e presenze (Seneca), la raccolta poetica Sapessi (Uni-Service) e i romanzi Intenso (Temi) e Notte senza meta
(Uni-Service).
Renato Trinco
Rovereto. Studioso di storia locale in
particolare delle istituzioni religiose e
civili ha pubblicato con l’editore La Grafica: La campana dei caduti. Maria Dolens: cento rintocchi per la pace [con
Maurizio Scudiero]; Il rifugio Vincenzo
Lancia nel gruppo del Pasubio [con Andrea Bertotti e Antonio Sarzo]; Conventus. Scuola di democrazia palestra dell’etica; San Marco in Rovereto. La Chiesa arcipretale tra storia, arte e devozione.
Adelina Valcanover
Trento. Insegnante, ora in pensione, si
dedica al teatro, come presidente
dell’Associazione Culturale “Amici di Parola”, oltre a tenere lezioni di dizione, calligrafia e teatro anche nelle scuole. Ha
due rubriche settimanali sul quotidiano
on line “RagusaOggi”, scrive e racconta
storie, alcune pubblicate sul “Gazzettino
Ibleo”. Ha preparato anche testi teatrali.
Ha un romanzo per ragazzi nel cassetto
che prima o poi conta di pubblicare col
titolo provvisorio di Il viaggio di Isacco.
❧
142
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
L’ultima pagina
a cura di Carlo Andreatta
S
téphane Hessell l’indignato
più vecchio del mondo, certamente verrà ricordato per
un pamphlet che nel 2010 divenne
un caso editoriale: Indignez-vous!
(Indignatevi!).
Oltre quattro milioni di copie vendute in quasi cento Paesi; non pochi
movimenti di protesta – dagli “Indignados” ai ragazzi di “Occupy Wall
Street” – hanno utilizzato come manifesto questo libello corrosivo
quanto liberatorio, nel quale Hessel
si chiedeva dove fossero finiti i valori trasmessi dalla Resistenza (al nazifascismo), si domandava se la società del XXI secolo avesse perduto i
principi della giustizia e dell’uguaglianza.
Indignatevi! ha provocato la reazione di Pietro Ingrao, politico e intellettuale italiano, quasi coetaneo di
Hessel, il quale pubblicò il libro Indignarsi non basta: Hessel rispose con
Impegnatevi!, opera edita nel 2011,
cui seguirono Vivete! (2012) e Non
arrendetevi! (2013).
Chi era Stéphane Hessel? Nato a
Berlino il 20 ottobre 1917 da una famiglia di origini ebraiche, Hessel arrivò in Francia nel 1924. Si diplomò
all’École Normale Supérieure di Parigi nel 1939. Seguì i corsi di Maurice
Merleau-Ponty e quelli di Jean-Paul
Sartre. Durante la seconda guerra
mondiale fu tra i protagonisti della
Resistenza francese, venne deportato nel campo di concentramento di
Buchenwald dal quale riuscì a fuggire. Dopo la Liberazione lavorò come
diplomatico al Segretariato Generale dell’Onu; fu tra i redattori della
“Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” (1948).
I temi relativi alla libertà e alla dignità dell’uomo furono sempre cari
a Hessel, in particolare quelli del diritto d’asilo e dell’accoglienza agli immigrati.
Nel 2006 fu nominato Grand’Ufficiale della Legion d’Onore della
Repubblica francese. Benché sostenitore del Partito Socialista francese, nel 2009 si presentò candidato al
Parlamento Europeo in una lista
ecologista.
Nel luglio 2012, con il sociologo
Edgar Morin, Hessel pubblicò Il
cammino della speranza: secondo il
pensiero dei due intellettuali, amici
di vecchia data, per lottare contro le
ingiustizie del mondo contemporaneo è necessaria una partecipazione
attiva da parte dei cittadini.
Hessel si è sempre esposto in prima persona a favore dei diritti dei
sans-papiers e non ha mai rinunciato a difendere la causa del popolo
palestinese.
L’ex partigiano e deportato a Buchenwald ha pubblicato diversi libri
(tra cui Danse avec le siècle, autobiografia, 1997; Dix pas dans le nouveau
siècle, 2002), raccolte di articoli o di
interviste, dialoghi a più voci (ad
esempio Citoyen sans frontières,
2008) e un saggio relativo al suo
grande interesse per la poesia (Ô ma
mémoire: la poésie, ma nécessité,
2006, nuova edizione 2010).
Hessel – combattente lucido e coerente fino all’ultimo respiro – è
scomparso, a Parigi, nella notte tra il
26 e il 27 febbraio 2013.❧
Stephane Hessel
143
Carlo Andreatta
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
l’ ultima pagina
“Dobbiamo aprire un nuovo cammino. Abbiamo bisogno di una visione costruttiva che sia
capace di edificare un nuovo futuro. Per fare
questo abbiamo bisogno di ambizione. L’ambizione che nasce dalla fiducia in noi stessi e dal
coraggio. Non bisogna cadere nell’ottimismo
di chi pensa che le cose si aggiusteranno da sole, né nel pessimismo di chi crede che non ci
sia nulla da fare. Dobbiamo essere ambiziosi.
(…) Siate ambiziosi! Non arrendetevi!”.
Da Non arrendetevi!, con la collaborazione di Lluís Uría, Passigli Editori, Firenze 2013, pp. 47-48.
144
2013/9-10 IL FURORE DEI LIBRI
Raccontare la storia
Narrare il fantastico
Liliana De Venuto
Susanna Daniele
Speciale «Parole per strada - Terra mia»
numero 9-10
rivista dell’associazione culturale di promozione sociale «il furore dei libri»
- amici della biblioteca anno iv - settembre/dicembre 2013 - quadrimestrale
IL FURORE DEI LIBRI
In Questo Numero
2013
∏
ISSN 2282-8044
numero 1
numero 2
numero 3
numero 4
numero 5
numero 6
numero 7
numero 8
A braccetto fra i guai umani
Sandro Disertori
La biblioteca di Antonio Rosmini
Renato Trinco
Strumenti da leggere, strumenti da guardare
Diego Cescotti
Nicotiana Tabacum
∑
Giuseppe Maria Gottardi
numero 9-10
conversazioni bibliofile – libro chiama libro – rinvenimenti – biblioteca mon amour
lo scaffale – il mestiere di scrivere – musicobibliofilia – il furore del rock
e [tra libro e gioco] – libri di confine – parlando di libri – topi di biblioteca
andar per biblioteche – promuovere lettura – promuovere cultura
notizie dal furore – l'ultima pagina
il furore dei libri - editore