Domani? Non so…

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Domani? Non so…
Premio Dialogare 2014
“Domani? Non so…”
Racconto con segnalazione particolare
Domani? Non so…
di Lorenza Noseda, Morbio Inferiore
Massagno, 27 marzo 2014
"Domani? Non so..."
Anche stamattina, con la busta in mano , aveva bussato con forza, ma la pazza
non aveva aperto, come sempre. Eppure lo strepito della sua voce trapassava la
porta e si sentiva chiaro, lì sul pianerottolo. Era al telefono, sicuramente.
Dall'interno del locale le parole giungevano come un ronzio di vespa, una serie di
piccoli scoppi interrotti da brevi silenzi, da risa sgangherate , persino da cantilene
strascicate, pianti e singhiozzi sommessi.
- Povero diavolo quello lì dall'altra parte del filo -, pensava Gilberto Molteni, puntando
il dito indice sulla tempia, mimando una vite che volesse trapanargli il cervello.
La radio a tutto volume, in ogni modo, attutiva quella baraonda e così l'uomo,
dopo aver picchiato due o .tre volte la porta con il pugno e averle sferrato un gran
calcio, un miracolo se non l'aveva buttata giù, non avendo ottenuto risposta, della
busta bianca dell'azienda del gas aveva fatto una pallottola e con il pollice glie
l'aveva infilzata con rabbia sotto la fessura inferiore dell'uscio.
- Che s'arrangi, peggio per lei, resterà senza corrente e buona notte, affari suoi.
Solo due o tre volte il portinaio aveva potuto sbirciare nella stanza dove da anni
abitava quella matta. Era stato all'arrivo degli addetti all'assistenza comunale che
aveva dovuto accompagnare su al terzo piano. Li aveva lasciati entrare ed era
rimasto un po' indietro, sul pianerottolo, ma aveva allungato il collo giusto per
vedere quei poveretti che, intimiditi dagli improperi di quella esagitata che non
voleva nessuno per casa, per avvicinarsi al letto dove giaceva quasi tutto il giorno
con il gatto sdraiato sulla pancia, avevano dovuto spostare un paio di sgabelli,
facendo cadere pile di libri e di giornali, scavalcare bottiglie e bicchieri per terra e
spostare dal tavolo tazze e piatti sporchi e persino un paio di statuette; chissà
cosa ci facevano lì, per liberare qualche centimetro di spazio e appoggiare viveri e
medicine. Molteni aveva adocchiato le pareti della stanza, un vero schifo, coperte
di scarabocchi e graffi e, sopra quegli sgorbi, una fila intera di disegni, osceni gli
era parso, appesi sbilenchi con le puntine, uno sopra l'altro. Sui vetri delle finestre
aveva notato di sfuggita sfilze di numeri , con degli zeri davanti , sicuramente di
telefono, alla rinfusa, dritte, storte, in rotondo, anche mezze cancellate, scritte,
cosi gli era parso, con il rosso. Vuoi vedere che quella demente per ricordare i
numeri di telefono, li scarabocchiava con il rossetto sulle finestre?
Una mattina, sul mezzogiorno, il Signor Molteni, ricevette una telefonata piuttosto
strana da parte del padrone di casa. Lo pregava gentilmente, sì disse proprio
così, di spazzare per l'indomani l'entrata della casa e le scale e riordinare il cortile
perché sarebbe arrivata una persona famosa a far visita alla Signora Aurora.
Molteni, molto sorpreso, si era affaccendato come aveva potuto, ma quell'androne
era così sporco e maleodorante, le porte che davano sulla ringhiera così
sconnesse e graffiate e, inoltre nel cortile erano parcheggiate alcune biciclette, il
furgone del tappezziere che aveva la bottega lì di fronte, una scala a pioli,
anch'essa del tappezziere, glie l'aveva detto mille volte di toglierla da lì che
ingombrava, senza contare i sacchi di immondizia che il comune ritirava quando ne
aveva voglia, così che il risultato era quello che era.
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All'ora stabilita per l'arrivo Molteni, in ogni modo, si era fatto trovare accanto al
portone, impettito in una divisa verdina da portiere , che era stata di suo padre prima
di lui, quando la casa apparteneva ancora ai marchesi Somaini, prima che finisse
in mille mani, e che mani, meglio tacere per carità e che, oltretutto, gli stava un po'
grande . Col berretto in mano aveva fatto strada a un signore distinto vestito di
scuro, dall'accento straniero, accompagnato da una matrona dai capelli rossi,
raccolti in un gran chignon, vestita di una palandrana nera, lunga fino ai piedi, un
mucchio di catene colorate al collo e ai polsi e con degli strani occhiali gialli e
blu, a forma di farfalla e un borsone di tela a tracolla. Molteni aveva fatto strada
agli ospiti su, verso il terzo piano.
***
- Pronto? Voglio parlare con Maria .
- Ancora lei? Ma che vuole ancora?
- Voglio parlare con mia figlia, ecco cosa voglio
- Pronto.
- Maria, ascoltami
- Senta, non mi chiami più, per favore, non voglio più sentirla
- Sono stati i dottori, Maria, furono loro a decidere. Incapacità mentale, -scrissero -,
comportamento pericoloso e inadeguato al compito materno, assenza di una figura
paterna di riferimento, precarietà economica, abitazione insalubre. I n i z i a r e le
pratiche per l'adozione temporanea della bambina. - Ecco quello che scrissero - Non so proprio cosa stia dicendo, questa è l'ultima volta che le rispondo, mi lasci in
pace, non mi chiami più , la prego. Non voglio sentir nulla.
***
Nella Sala degli Arazzi del Palazzo Isimbeni le attraenti e premurose assistenti
dell'Ufficio Eventi guidavano gli ospiti con contegnosa gentilezza verso le
poltroncine di velluto blu loro assegnate, attente a che non inciampassero nel
reticolo ingarbugliato dei cavi elettrici dei microfoni e delle telecamere. Attorniata
dal Governatore e dal Sindaco, Aurora guardava con spavento quella platea gremita.
La camicetta di raso rosso fuoco contrastava con i capelli tinti nero pece, arruffati
anche oggi e lasciava audacemente scoperto un decolleté da cui spuntava, impudente,
un reggiseno blu elettrico. Nel suo sguardo si mischiava sorpresa e risentimento,
mentre le mani sudate e leggermente tremanti stringevano un paio di fogli
scritti a mano in caratteri giganti col pennarello nero. Lesse con un filo di voce
poche righe, poi si indirizzò direttamente al pubblico in festa, ringraziò le
autorità che avevano voluto onorare il suo lavoro con un riconoscimento tanto più
ambito, quanto più giunto a conclusione di una vita travagliata, segnata da
povertà, malattie, incomprensioni e crudelmente privata degli affetti più profondi.
La voce di Aurora dolente, lenta come il gorgoglio trattenuto di un rio che scorre
timido fra pascoli montani, così stridente con il suo aspetto audace e sfrontato, si
stava spegnendo in un sussurro e fu coperta da un brusio che si fece a mano a
mano più insistente.
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Aurora non aveva più fiato per continuare e così il pubblico finì
applauso improvviso , scrosciante e molto convinto, che trasse
signore dai capelli grigi a caschetto, una camicia di seta
collo, ampia e p ortata fuori dai pantaloni, fu invitato al tavolo
per gratificarla con un
tutti di impaccio. Un
grigio scura, senza
presidenziale.
Era seguito da una donna corpulenta con i capelli rossi raccolti e strani occhiali gialli
e blu a forma di farfalla, che gli passava dei fogli di appunti scritti a mano. Il celebre
regista, con un forte accento straniero, presentava in prima assoluta un documentario
sull'illustre artista, che gli pareva giusto mostrare lì, proprio nella città che l'aveva
vista nascere e, aggiunse, la scopriva sorprendentemente solo ora, mentre altrove
Aurora Bettini era un nome ben noto, un punto di riferimento per molti artisti
delle generazioni più giovani e riconosciuto da anni. I l pubblico e le autorità
presenti videro con un certo stupore, che si tramutò in sottile imbarazzo, le immagini
della misera stanza in cui per anni aveva vissuto la grande scultrice. In quel piccolo
locale scomparso sotto l'azione delle ruspe, spiegò il regista, erano nate le opere
fondatrici di un movimento artistico ormai ritenuto un caposaldo nel panorama
dell'arte contemporanea . Un cammino di ricerca paziente, d i riflessione e di analisi
profonda, anche furiosa e disordinata , interrotta da lunghe pause di crisi e di
sconforto disperate. La macchina da· presa indugiava lenta nella stanza ingombra
di oggetti, accarezzando le pareti coperte di segni e graffi, dove erano appesi alla
rinfusa alcuni nudi a carboncino , studi preparatori di opere ormai ben note, veri
gioielli finalmente valutati nella loro importanza, appena acquisiti dal Museo
nazionale di arte contemporanea. L'obiettivo sfiorava con delicatezza i piccoli gessi,
affastellati in parte sul tavolo, in parte per terra, testimoni della profondità e del
genio di un pensiero innovativo, di una percezione della realtà anticipatrice, come
spesso avviene nell'arte quando le menti migliori precorrono addirittura i
risultati della ricerca scientifica più avanzata. Ne usciva l'immagine di un genio
scomposto, di una furia creativa angosciata, anzi, aggiunse il cineasta, di un'artista
disperatamente esiliata in casa propria .
In mezzo al reticolo di numeri scritti sui vetri gli spettatori più attenti poterono leggere,
a caratteri giganti, ripetuti tre, quattro volte, con segni rabbiosi:
" Tutto in questa stanza per Maria, 0058753421"
Alla fine del filmato ci fu uno scroscio di applausi e gli invitati, a uno a uno prima , poi a
gruppetti e poi tutti insieme, si alzarono continuando a battere le mani. Aurora,
afferrata sotto le ascelle e aiutata ad alzarsi quasi di forza, fu attorniata da giornalisti
che la assalirono sfacciatamente, mentre il Presidente tenne ad assicurare che le
istituzioni non avrebbero permesso la cancellazione, ahimè la speculazione edilizia
tutto travolge , di una testimonianza di tale portata storico-culturale e annunciò che si
sarebbe personalmente impegnato di fronte al Paese a far ricostruire, pezzo per
pezzo, partendo dalle immagini quanto mai fondamentali del documentario testé
ammirato, lo studio della grande Maestra, nell'erigendo Museo nazionale d'Arte
contemporanea.
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-Signora Bettini
- Chi è?
- Mi scusi il grande disturbo... sono la mamma di Maria, la mamma,... insomma,
...mi scusi... non volevo... la ragazza è qui, vorrebbe, noi tutti, anche mio marito,
noi tutti vorremmo, sperando di non disturbarla troppo... venire a renderle visita...
- Ma io non posso, non posso ...le gambe mi fanno male... non ci vedo bene...
- Ma che importa? Domani,·dopodomani, quando le sarà di comodo, quando vuole,
dica lei, deve solo alzare il telefono e chiamare e noi ci precipitiamo ... non dica di
no... Maria è così da tanto tempo che desidera conoscerla, sentirla...
- Signora Aur ora è lì? Mi sente? Noi vorremmo, Maria vorrebbe... tutti noi
vorremmo... signora Aurora, non ci deluda, ...cosa ne direbbe... magar i domani...
- Domani? ... non so ... non so...
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