IL CONCERTO E`GRATIS CON L`ECO

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La bicicletta è quindi mitica, epica e utopica. (...) E’ al centro di racconti che richiamano in vita la storia individuale
insieme ai miti condivisi della collettività; sono due forme di passato solidali, capaci di conferire un accento epico ai
ricordi personali più modesti. Come sempre, il futuro si nutre di una consapevolezza chiara del passato. La bicicletta
diventa così simbolo di un futuro ecologico per la città di domani e di un’utopia urbana in grado di riconciliare la società
con se stessa.
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Marc Augé - “Il bello della bicicletta” (Boringhieri, 2009)
Ora anche Senigallia ha un registro sul Testamento biologico: GRAZIE!
Alla battaglia per la legalizzazione dell’eutanasia si è affiancata, negli ultimi
anni, la lotta per il riconoscimento del
valore legale della sottoscrizione, da parte di chiunque, di “direttive anticipate” di
fine vita; qualora, in futuro, si venisse a
trovare nell’impossibilità di opinare sulle
cure ricevute. Obbiettivo ultimo è riuscire
a far sancire il diritto di ogni individuo di
disporre liberamente della propria esistenza. Nell’inerzia del legislatore, alcuni
cittadini hanno percorso altre vie per ve-
dere riconosciuto il diritto di poter rifiutare trattamenti di fine vita lesivi della
propria dignità. A Roma, il Municipio X
ha istitituito nell’aprile 2009 uno sportello incaricato di ricevere i testamenti
biologici redatti dai cittadini romani. Il
costo dell’operazione è di 26 centesimi.
In seguito, diversi comuni hanno deciso
di istituire registri analoghi. Nelle Marche dopo Fano (Pu) si è attivata anche
Senigallia.
GRAZIE alla delegazione UAAR di
Senigallia che ha organizzato l’incontro sul testamento biologico con
Beppino Englaro che ha richiamato
un pubblico attento e consapevole;
la stessa delegazione per prima presentò l’ufficiale richiesta al Sindaco.
Grazie all’Assessore Fabrizio Vopini
che da tempo sensibilizza la Giunta
su certe tematiche. GRAZIE ai consiglieri Margherita Angeletti, Paolo
Battisti, Massimiliano Giacchella,
Aperto da Settembre
Carlo Girolametti, Roberto Mancini,
Lorenzo Magi Galluzzi, Enrico Pergolesi e Luigi Cosmo Damiano Rebecchini che hanno presentato la mozione e ai consiglieri di maggioranza,
gruppo Partecipazione e Lega Nord
che l’hanno votata.
Ora, anche a Senigallia, sarà istituito il
Registro delle dichiarazioni anticipate
di trattamenti sanitari, il cosiddetto Testamento Biologico.
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IL CONCERTO E’GRATIS CON L’ECO
Una vera reunion, un incontro tra
due amici che si stimano e si dividono i brani con un’intesa naturale.
Dalla-De Gregori trent’anni dopo
Banana Republic non ha niente
del revival, piuttosto ha il sapore di
una storia che si rinnova.
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L’appuntamento con i due
artisti è per il 27 luglio ad
Ascoli Piceno, in piazza del
Popolo, alle ore 21.30.
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I N F O R M A Z I O N E
C U L T U R A
A N N U N C I
Anno 8_numero 07_Luglio 2010
Direttore responsabile
Letizia Stortini
Redazione
Via C.Battisti,12 - 60019 Senigallia (An)
071.79.30.194
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Editore
InfoMarche s.a.s.
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Hanno collaborato a questo numero:
Collaborazione grafica
Elisabetta Galli
Sam Benia
Fotografo
Giovanni D’Eboli
Andrea Cesanelli
Redazione
Leonardo Badioli
Sofia Provvedi
Maria Antonia Martines
Pier Francesco Paolini
Flavio e Gabriela Solazzi
Antonello Pace
redazione L’Rosp
Anna Faretta
Pietro Motisi
Paolo Tarsi
Gabriele Rossini
Alessandra Buschi
Duilio Marchetti
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Iscrizione al registro del Tribunale di Ancona
al numero 22 del 3 novembre 2003
Stampa
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e realizzerà è e sarà sempre grazie alla forza del
ricordo del suo cofondatore, Patrizio Casagrande
S O M M A R I O
SENIGALLIA
Salvatore D’Amico ha percorso 2300
Km in sella alla sua bici per un Tour
dei gemellaggi:“Non ce la faccio a
trattenere i sogni per troppo tempo”
pag.3
SENIGALLIA
Inventarsi Italiani all’estero. Luigi
Paolasini, senigalliese, lavora all’
European Synchrotron Radiation
Facility di Grenoble da 17 anni.
pag. 4
SENIGALLIA
Il gioiello trova la sua progettazione
e realizzazione in maniera sapiente
e con tecniche ricercate. Al pari di
un’opera d’Arte si mette in mostra.
pag.5
CULTURA
Le suore Benedettine raccontano il
terremoto del 1930
pag.9
CULTURA
Alessandro Bruschettini fu gloria
marchigiana. E’ suo il merito di aver
introdotto nella lotta antitubercolare
la vaccinoterapia.
pag.10
E poi ancora...
L ‘ROSP
UN SECOLO E MEZZO SUL VELLUTO
IL VAGAMONTI
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2
Divagazioni sul DIALETTO
Al di là del farnetico leghista sui dialetti da elevare a un pulviscolo di lingue ufficiali dei millanta
paesi e città dell’aerea Padania (cfr in D’Annunzio:
“le aeree cicale”) io, che amo visceralmente tutti i
dialetti italiani e che – fin dove posso conoscerli
oppure coglierne appena qualche eco – li ammiro per il loro humus e hiumor, per il loro colore nativo, per la loro rustica virtù ed atavica saggezza,
sono al riguardo di diversissimo avviso.
Non credo infatti che potrebbero mai suffragare
una lingua, se non da salotto o da osteria, sebbene possano farsi ed essere lingua nella poesia del
Belli, del Porta, del Meli, del Di Giacomo o di Mauro Maré o Tonino Guerra. Provatevi a disquisire
in dialetto tursitano intorno all’Etica Nicomachea
e mi sa tanto che riuscireste involontariamente
comici. In molti dialetti manca persino il verbomodello amare pur dove ci sguazza ‘ammmore’
con tre emme. A mio immodesto parere, il grande
Carlo Porta ha perso tempo e talento a volgere in
meneghino alcuni canti della Divina Commedia.
A tradurre in italiano un eccelso testo in dialetto
va disperso più di quanto, in genere, si perde traducendo da una lingua straniera. Il Belli, come ha
dimostrato Anthony Burgess in “Abba Abba”, è traducibile in inglese ma restio a vestire panni curiali
autoctoni. Un uomo di cultura attento come Mario Lunetta ha definito Mauro Marè non già “poeta
dialettale” bensì “poeta in lingua romanesca”.
Per venire al sodo, io considero i dialetti un aurifero pozzo cui attingere per arricchire la nobile e
“sovrana” nostra lingua (che oggi purtroppo va invece sempre più impoverendosi). La mia tesi non
postula che una felice locuzione dialettale debba
inserirsi in corsivo (allo stato, per così dire, brado)
in un discorso in lingua, bensì va adattata a questa
e resa scorrevole in essa.
Già i dialetti hanno, di tanto in tanto, arricchito la
lingua nazionale: lo Zingarelli ha accolto nell’ultima edizione il milanese ‘malmostoso’, colmando
una piccola lacuna. Auspicabile è che ciò avvenga
presto per il napoletano ‘rattoso’ (rattuso) per indicare un arzillo vecchietto che allunga le mani sulle
belle interlocutrici. (C’era a Roma un illustre critico
che veniva maliziosamente soprannominato Vecchio Tastamento.) Una parola come il regionale
‘strasordine’ (fenomeno atmosferico che si attua
quando soffia un vento rasoterra e un altro vento
spira ad alta quota) andrebbe a pennello, in senso
figurato, in una frase come: “I conflitti di interesse
sono uno ‘strasordine’ politico che impedisce alla
democrazia di funzionare adeguatamente”.
Tanto per fare qualche altro esempio: le ‘strazze’ in
triestino hanno una valenza ben diversa da ‘stracci’ quando indicano modesti indumenti in modo
affettuoso. Così pure ‘sprocetato’ in romanesco
e ‘sgolfanato’ a Senigallia sono più aggressivi di
qualsiasi equivalente in lingua. Gli esempi potrebbero seguitare a sazietà. E non c’è chi non avverta
la bella retorica di una frase come: “I tuoi bei discorsi mi hanno ingavinato il cervello”. Mettete un
verbo come ‘contorcere’ o ‘attorcigliare’ al posto di
‘ingavinare’ e l’effetto si fa fioco.
Quanto a me, nei miei romanzi ho attinto a piene
mani dai dialetti, come pure da lingue straniere.
Per esempio, sostituisco il barbaro understatement con un calco dal greco: ipodosso, modellato
su paradosso; ho cercato di distinguere i nipoti
dello zio dai nepoti del nonno; l’aborto spontaneo
da quello procurato, regolandomi sull’inglese che
distingue miscarriage da abortion e, quindi, usando ‘misorto’ in antitesi ad ‘aborto’ e relativi verbi:
misortire, abortire... E poi, che posso farci? mi piace ‘flambuaiante’, come pure ‘popiulare’, executivo,
caudatario per portaborse eccetera. Naturalmente, questi neologismi fanno parte soltanto del
mio lessico personale e sembrano fatti apposta
per disorientare i lettori pigri. Mi esimo dal citare
qualche dialettalismo da me promosso a lemma
tradizionale nei libri editi. I miei lettori possono
facilmente azzeccarli come tanti garbugli per
gra- o disgradirli, specie nei Cavalli del Sole e nel
Gioco delle Tre Donne. Mi limiterò perciò a citare
un paio di locuzioni che nel romanzo Mutamenti
d’amore – ancora inedito – svolgono un ruolo di
“parole chiave”. È la storia di Iulia e Saverio fra cui
sboccia un infantile idillio, quando lei ha appena
nove anni, durante lo sfollamento al Brugnetto nel
pieno della Campagna d’Italia. In campagna essi
acquisiscono al loro idioletto, fra l’altro, un paio
di felici espressioni dialettali: ‘brucia l’aria’ detto
di cosa mirabile e ‘fa il fioco sott’acqua’ di impresa
strabiliante. Poi essi saranno separati dai casi della
vita ma torneranno ad incontrarsi ripetutamente
a distanza di anni dall’una all’altra volta. Sempre
però un imprevisto, o un errore, una grottesca svista, o una inconfessabile colpa o un nobile tabù
impedisce loro di coniugarsi. Durante gli Anni di
Piombo. Saverio ritrova quasi per caso Iulia, che
recita in un miserabile teatrino e fiancheggia le
Brigate Rosse: è imbruttita per incuria e abbrutita
dalla droga. Ha persino dimenticato le frasi che si
scambiavano da bambini. Nonostante l’imperituro amore, lo squallore, il disgusto, la pena impediscono a lui di accettare l’offerta che Iulia gli fa
– capricciosamente memore – di sé. Ma quando
alcuni anni dopo il destino li fa rincontrare, saranno proprio certe espressioni perdute a salire
spontaneamente alle loro labbra e creare una magica atmosfera che prelude a un pellegrino e – se
più non mi illudo – non banale lieto fine.
Per concludere...
C’è nel nostro dialetto (senigalliese n.d.r.) una
locuzione fra le più immaginose e felici in assoluto: “m’esce da un fianco”. Si allude così in modo
alquanto sibillino, a qualcosa di insolito e incredibile. Questa poetica espressione ha l’onore di
ricorrere più di una volta nello Zibaldone di Giacomo Leopardi. E può aiutarci a spiegare meglio
una cruciale battuta nel finale del Macbeth.
Messo alle strette, Macbeth affronta a singolar
tenzone Macduff, di cui ha fatto assassinare la moglie e i figli. A lui il tiranno dice che non lo teme
perché – come gli è stato assicurato dalle Streghe
“nessun nato di donna” (e in questa parola si cela
l’equivoco) potrà mai ucciderlo. Al che Macduff
ribatte: “Dispair! Macduff was from his mother’s
womb untimely ripped.” Ossia: “Dispera! io fui
tratto innanzi tempo, con un taglio, dal grembo
di mia madre.” (traduzione di C. Chiarini). Ma ciò
non basta, se preso alla lettera, a far di lui “one not
of woman born” qualora fosse stato estratto dal
grembo mediante un rudimentale parto cesareo.
Se l’inglese avesse avuto a disposizione una “frase fatta” analoga a quella marchigiana, Macduff
avrebbe potuto tranquillamente dire ch’egli “uscì
da un fianco di sua madre.” In realtà ciò talvolta
avviene, in casi disperati, quando la madre è già
morta e il feto è mal disposto — altrimenti la frase
non sarebbe mai stata coniata
Anche in tal caso, Macduff sarebbe pur sempre
“nato di donna” ma questa pudica parola va intesa in più crudo e specifico modo. Reticenza e
approssimazione ovviamente non tolgono nulla
alla tragica grandiosità e all’efficacia della scena
— nonostante l’imprecisione lessicale... a cui la
nostra interpretazione tenta di supplire.
Pier Francesco Paolini
Venerdì 16 Luglio ore 21,00 Chiesa collegiata di S. Pietro
Apostolo, Via Umberto I, Montemarciano – Concerto di Canto
gregoriano della Schola Cantorum
“Immacolata” – Senigallia
Venerdì 23 luglio ore 21,00 Parco
di Villa Ascoli, Viale Italia 24, Montemarciano – Conversazione: Olivio Galeazzi, Anna Rita Bianchini
– “Leoanto:angeli, navi e cannoni”
Venerdì 30 luglio ore 21,00 Parco
di Villa Colle Sereno, Via IV Novembre 78- Montemarciano – Conversazione: Danilo Ripanti – “Da Costantinopoli a Otranto: Pio
II, Montemarciano e la Crociata fallita”
Domenica 8 agosto ore 21,00 Parco di Villa Colle Sereno
Via IV Novembre 78, Montemarciano – Cena VerdeeOro a
cura di Ettore Monni, Marcello Benedetti e Silene Fiorenza
numero 07_Luglio 2010_www.ecomarchenews.com
l ’ i n c o n t r o
U N C I C L I S TA CO N L E A L I
1) Riappropriarsi del tempo 2)Riscoprire il valore dell’essenziale 3)Riattivare l’uso dei cinque sensi 4)Percepire il proprio corpo ed il rapporto con l’esterno 5)Andare in bicicletta 6)Trovare nuove forme per l’espressione di sé 7)Impiegare le proprie capacità fuori dal mercato del lavoro 8)Coltivare il proprio orto 9)Unirsi
con gli altri in progetti pratici 10)Prendersi cura di sé e delle persone
Il decalogo della “Nowtopia” di Chris Carlsson , critical-masser
2300 Km di bicicletta in 19 giorni
Salvatore D’Amico, 58 anni, di Senigallia, è partito
il 19 Giugno dalla piazza centrale della sua città
- alla partenza era presente anche il Sindaco, Maurizio Mangialardi - per un Tour ciclistico dei Gemellaggi, ovvero verso le tre città gemellate con
Senigallia: Lorrach, Sens e Chester. Rispettivamente in Germania, Francia ed Inghilterra.
Un tour in solitaria, in bicicletta, una comune city
bike.
<Con me porto solamente i ricambi per andare in
città, pantalone corto e lungo e scarpe da ginnastica e due mute da ciclismo. L’unico vezzo in più
che mi concedo, un asciugamano tecnologico, di
quelli che si asciugano facilmente> Ci ha detto
due giorni prima della sua partenza.
<Organizzo tutto poco tempo prima della partenza. Sono fatto così, costruisco tutto negli ultimi 20
giorni. Se ci penso troppo prima, mi vengono dei
forti dubbi>
Salvatore D’Amico non è nuovo a questo genere
di imprese. Lo scorso anno, sempre con la stessa
bicicletta, ha raggiunto la punta più a nord dell’Europa, Capo Nord.
<Un’avventura incredibile. Un’impresa bellissima,
la realizzazione di un sogno costruito in anni di
bicicletta con gli amici di sempre. Si fantasticava
su viaggi probabili ed improbabili. Poi un giorno
con un mio amico si parlò della Norvegia, ma lui
sarebbe potuto partire solo quattro anni dopo,
una volta raggiunta la pensione. Ma io non me la
son sentita di aspettare e sono partito. Poi chi ce
lo dice che siamo ancora capaci?Che la nostra resistenza fisica sia ancora in grado di sostenere un
viaggio così lungo?...Non ce la faccio a trattenere
i sogni per troppo tempo; i sogni possono svanire,
possono poi rimanere solo una teoria. Costruirli
per riuscire a concretizzarli è la cosa più bella>
Ci vollero trentuno giorni per raggiungere Capo
Nord. Un solo giorno di riposo assoluto ad Alta,
situata all’estremità settentrionale della Norvegia ben oltre il circolo polare artico, sulle rive del
Mare di Norvegia: <Non sono solito fermarmi un
giorno intero, ma era troppo tempo che prendevo pioggia e preso un po’ dall’angoscia sono stato
costretto a fare una lunga sosta. Ma ne è valsa la
pena, la visita ad Alta è stata molto interessante,
ove si trovano le più antiche tracce preistoriche
della Norvegia grazie alle sue incisioni rupestri
che nel 1985 furono inseriti nella lista dei luoghi
patrimoni dell’umanità dell’UNESCO>
Paradossalmente è l’angoscia che dà a Salvatore
tanta forza, il coraggio necessario per scoprire
nuove località lontane in sella alla sua “poderosa”
bici: <Vivo alla giornata con il sogno che mi precede, che costruisce la strada che via via vado a
percorrere. E’ una forma romantica di vivere e
questo romanticismo che mi appartiene, in qualche modo, è legato all’angoscia. E’ come quando
muscolarmente si produce dell’acido lattico che
frena la tua voglia di pedalare. La stanchezza è
l’acido lattico, però, si è scoperto, che lo puoi utilizzare come forma di energia, ottimizzando un
poco le forze. L’angoscia ha forme strane, ed è un
po’ il mio lato oscuro, ma può essere trasformata
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in energia positiva>.
Come un moderno Che Guevara affronta le difficoltà del viaggio con ostinazione e caparbietà per
vincere la battaglia più grande, con se stesso.
<Seguo naturalmente i miei sogni. Mi sento un po’
il Comunista al sole di Venditti che sogna>. E così
come nella canzone, gli auguriamo di non cambiare, che resti sempre uguale a come è, un uomo
coraggioso.
<Sono solo uno che pedala, ore ore di sella..per il
resto sono un “troglodita”, con la tecnologia, con
le lingue> Eppure Salvatore, che di professione fa
il fisioterapista, e dice di non saper le lingue, ma
a comunicare ci riesce, col sorriso e la gentilezza
trova sempre la disponibilità nelle persone che incontra nei suoi viaggi. Una disponibilità che dice
non essere cambiata negli anni, nonostante l’aumento di una generale diffidenza.
Salvatore D’Amico è tornato dalla sua avventura eroica il 7 luglio da Liverpool, in aereo. Anche
questa volta la sua audacia è stata premiata. Bologna, Piacenza, Lugano, Altdorf, Lorrach, Besancon, Pouilly-en-Auxois, Sens, Parigi, Amiens, Calais,
Dover, Londra, Worchester, Chester. 2300 Km. Nelle
tre città gemellate è stato accolto con entusiasmo
e ai rappresentanti comunali ha donato loro il gagliardetto di Senigallia e una eco-maglietta “Più
bici, più aria pulita” tradotto nelle quattro lingue.
Per riprendere Venditti: non cambiare tanto resterai per sempre un sognatore.
<Comincio a sognare già nel momento in cui ritorno da un viaggio. In aereo ho pensato al viaggio successivo>.
Un sognatore, per noi un vincitore della vita.
Sofia Provvedi
3
senigallia
I
TA
LIANI
ALL’ESTERO
Il Fisico che studia i magneti in uno dei tre più grandi Centri del Pianeta
L’Italia è avara di stimoli e arida di possibilità per
chi ha voglia di realizzarsi professionalmente.
Che il nostro paese abbia la surreale capacità di
far scappare all’estero i propri talenti è una verità,
ma che questi - sebbene non rinneghino la propria italianità - decidano di non tornare, è ancora più amaro. Con l’ennesimo “cervello in fuga” ci
siamo dati appuntamento al Bar del Foro, il luogo
più “trasversale” della città. Così l’ha definito Luigi
Paolasini, di passaggio a Senigallia per tornare poi
a Grenoble, nella Francia sud-orientale dove vive
e lavora da 17 anni.
A Grenoble ha sede uno dei grandi centri di studi
superiori di Francia (oltre 60 mila studenti), soprattutto nell’ambito scientifico dove si trova un
importante polo di ricerca fisica comprendente lo
European Synchrotron Radiation Facility (ESRF),
ed è qui che lavora Luigi, insieme a molti italiani
<Siamo tanti perché siamo bravi, vinciamo i Concorsi. La Francia ha un sistema molto aperto, se
vali e se hai buone idee ti vengono riconosciuti
i meriti>
Se volevo chiedergli le differenze tra i due Paesi,
mi accontento già di questa sua prima affermazione e non vado oltre per evitare, a fine intervista, di
provare ancora più rabbia per non riconoscermi
affatto in una nazione che invecchia.
<Il nostro Centro è una macchina specializzata
tra studenti e ricercatori nel campo della Fisica,
della Medicina, dell’Ingegneria, della Chimica che
organizza esperimenti per Istituti ed Università.
Io sono un Fisico e al momento sto lavorando su
materiali magneto-elettrici, influenzati sia da un
campo magnetico che da uno elettrico. Si trovano
negli accendini elettronici, ad esempio>
Continua per tentare di spiegarmi cosa significhi
fare il Ricercatore in un Centro “punta di diamante” nella ricerca di magnetismo del mondo, come
quello di Grenoble: <Studio più all’interno quello
che fa la materia. Esiste una teoria e noi sperimentali cerchiamo di distruggerla, perchè solo se è
valida sopravvive>
4
Anche se l’etimologia richiama “le cose naturali”, ingenuamente mi stupisco mentre scopro
che anche per la Fisica la Natura è una grande
ispiratrice: <Nel nostro Centro è stata studiata
la tela del ragno, uno dei materiali più estendibili della terra. Riuscire a costruire un giorno
con dei polimeri un materiale del genere e potresti portarti il vestito in un portapasticche!>
La Fisica ci svela i fenomeni microscopici, quello che avviene all’interno degli atomi e delle
molecole: <Il dettaglio è importantissimo, può
essere in grado di rovinarti il lavoro di mesi. Per
fare un esperimento servono cinque/sei dettagli che si incastrino insieme, e questo non è affatto facile. Il lavoro sul particolare mi fa sentire
vicino ad un artigiano. Nella costruzione, nella
lavorazione, nell’osservazione nel lavoro del Fisico c’è molto artigianato>
Mentre parla della meccanica quantistica tira
fuori la “particella di dio”, pensi di aver capito
male. Invece no: te lo conferma. Chiedo maggiori spiegazioni: <Giornalisticamente la chiamano così perchè sono bravi pubblicitari. Si è
ritornato un po’ a quello che dicevano i Greci: il
vuoto non è vuoto, ma c’è un campo X che da
la massa alle particelle. Da corpo all’energia>
Luigi Paolasini aveva un progetto di vita. Un futuro da “acchiappare” altrove, in un altro posto
nel mondo. Ha restituito a se stesso - attraverso
la pratica di un lavoro appagante e ottenuto
con le proprie forze - un’immagine più autentica e completa della propria identità. Del proprio essere italiano: <I francesi alla prima casellina fuori posto vanno in tilt, non sono abituati.
Si stressano la vita molto più di noi. Lo vedi già
entrando in una pizzeria ed ordini una pizza
con una piccola variante. “C’est pas possible” ti
senti rispondere>
Gli italiani, abituati da sempre all’improvvisazione, sanno arrangiarsi. Per questo, una volta
giunti a destinazione, si fanno notare. Mi torna
in mente, procurandomi anche un lieve senso
di orgoglio, la frase di Luigi all’inizio della no-
stra chiacchierata: <Siamo tanti italiani perchè
siamo bravi, vinciamo i concorsi>.
<Non ho nostalgia dell’Italia, ma della mia città un
pò si. A Senigallia si cresce bene, ci sono tempi e
spazi per arricchirsi. Ci sono stimoli e la dimensio-
ne umana della cittadina aiuta. Ci sono riflessioni
e si impara a risolvere i problemi pratici>
Letizia Stortini
BASTA A NUOVE URBANIZZAZIONI
mio modesto avviso è un altro: la urbanizzazione
In risposta all’intervista all’assessore comunale alle finanze Michela Paci apparsa nello scorso
ECO (pubblicata anche on line) dal titolo “Non più
espansione ma riqualificazione”, riceviamo e pubblichiamo:
“Basta a nuove urbanizzazioni”. “No al consumo
del territorio”. “Non più espansione, ma riqualificazione del patrimonio edilizio esistente”. Di per
sé è una svolta lodevole, della nuova Giunta Comunale. Due sono gli aspetti importanti nel settore urbanistico che la nostra città deve affrontare:
il primo è quello che bisogna evitare il rallentarsi
dello sviluppo edilizio che penalizzerebbe soprattutto l’occupazione. L’altro aspetto è sotto il profilo finanziario, evitare il venir meno di contributi
provenienti dalle opere di urbanizzazione, come
il costo di costruzione, opere primarie e secondarie che sono entrate di denaro prezioso da
destinare ad ulteriori investimenti. Il problema a
la si progetta, e naturalmente la si realizza tenendo conto: il complesso del territorio in prospettiva del futuro, che salvaguardi i servizi sociali e
soprattutto la viabilità. Non si possono impedire
ulteriori espansioni, il motivo semmai, queste
devono essere realizzate rispettando le vigenti
leggi urbanistiche; non siano viziate di contenuti
speculativi. Non devono calpestare l’ambiente e
salvaguardare il territorio, la viabilità ed altri importanti realtà della bella Senigallia. Il vociferare,
che circolava in città di una eventuale edificazione in via Cellini, pare sia cessato. L’espansione
in quell’area penalizzerebbe il transito su quella
strada, l’ambiente ed impedirebbe il realizzarsi
del grande sogno di lungimiranti amministratori
istituzionali degli anni ’70 che prospettavano di
realizzare in quella zona una utilissima e necessaria casa dell’anziano.
Duilio Marchetti
numero 07_Luglio 2010_www.ecomarchenews.com
senigallia
in mostra il gioiello d’autore
Dal 14 al 18 luglio dalle ore 18 alle ore 24 a Palazzo Baviera
Una mostra d’Arte orafa allestita in stile contemporaneo, come un grande cantiere ad indicare
lavori in corso, un workshop “vitalmente mobile”. I castelli che si usano nell’edilizia sono i pilastri di sostegno per i gioielli che qui sono esposti
come vere opere d’Arte. Simbolo di preziosità, di
ricchezza, di lucentezza, ma anche di magia, di
unione, l’ambito accessorio si mette in mostra. In
una maniera oltre il tradizionale, con uno sguardo all’innovazione. I gioielli sono realizzati anche,
per assurdo, con materiali di riciclo, dal legno, alla
carta.
Nella Sala grande di Palazzetto Baviera, di fronte
al conosciuto fico, trentaquattro selezionati orafi
artisti esporranno le loro opere. Graziano Barzetti
ed Alessandro Petrolati, noti orafi artisti di Senigallia sono gli organizzatori dell’evento internazionale che, dopo il successo dello scorso anno,
torna a Senigallia.
Un interessante appuntamento dedicato all’artigianato artistico di alto livello che si propone ad
un pubblico vasto e consapevole. I gioielli esposti
non sono bigiotteria, ma pezzi unici ed originali,
vere opere d’arte. Il gioiello si differenzia dalle
arti maggiori per la prerogativa di far viaggiare
su di un unico binario
esecuzione, bellezza visiva e portabilità. Afferma
Giorgio Facchini, noto
artista orafo, attivo nel
campo dell’oreficeria e
dell’insegnamento
da
oltre quarant’anni, tra i
membri della Giuria che
ha selezionato gli artisti
presenti alla mostra: <I
Graziano Barzetti,
creativi orafi devono affiorganizzatore insieme nare molto la conoscenza
ad Alessandro Petrolati del fare, per esaltare l’indell’Evento
tuizione creativa.
Agcpunto10
Nella nostra cultura occi-
dentale il gioiello moderno affonda le sue origini
in Francia ma non si può disconoscere come e
quanto l’arte moderna abbia attinto ad un ampio
bacino di culture di popoli eterogenei: dall’influsso delle maschere rituali dell’Africa ai gioielli precolombiani degli Inca…>
La rassegna è un evento all’interno
dell’11^ Mostra Mercato dell’artigianato artistico di ExpoMarche, allestita, anche quest’anno, nei giardini della Rocca
Roveresca.
Barzetti e Petrolati sono soci agc marche (associazione gioiello contemporaneo) e hanno allestito l’interessante rassegna con l’obiettivo di farla divenire un
costante appuntamento annuale per gli
appassionati del gioiello d’autore: <Per
il prossimo anno stiamo progettando di
istituire un Premio dedicato a Edgardo
Mannucci a 25 anni dalla scomparsa.
Inoltre tra i membri della commissione
selezionatrice degli artisti quest’anno
c’è la nipote, Barbara D’Incecco, artista
orafo. Un omaggio doveroso ad uno
dei più noti marchigiani, fra i più validi
scultori italiani, conosciuto in tutto il
mondo. La rassegna deve continuare
ad avere un carattere internazionale. Ci
saranno due incontri di rilievo. Ospite Maurizio
Cesarini che parlerà dell’oro nell’arte contemporanea. L’altro incontro è con Giorgio Facchini
di origini marchigiane, è stato docente presso le
accademie di belle arti di Macerata e Brera,ed affermato artista a livello internazionale e Giancarlo
Montebello, designer milanese, tra le sue tante
collaborazioni professionali, a Parigi conosce Man
Ray che sarà la sua guida per molti anni. Con la
sigla GEM, inizia l’attività di editore di gioielli d’artista: Cesar, Sonia Delaunay, Piero Dorazio, Lucio
Fontana, Hans Richter, Larry Rivers, Niki de Saint
Phalle, Jesus Soto e Alex Kattz sono alcuni dei
numerosi personaggi (più di cinquanta) con cui
Montebello ha lavorato>
Un evento “Gioiello contemporaneo in mostra”
che vanta il felice connubio tra Innovazione e Arte,
tra Manualità e Fantasia, tra Originalità e Bellezza
grazie alla creatività degli artisti orafi presenti che
non mancheranno di proporre nelle loro creazioni sperimentali, in
maniera del tutto
indipendente,
la
loro esperienza professionale, il proprio
saper fare.
Da sottolineare che
con il poster dell’edizione 2009 la grafica
Lorella Pierdicca è
stata inserita nella
collezione permanente del Müseum
für Gestalt di Zurigo
e parteciperà alla
24 biennale di design grafico di Brno,
unica artista italiana
selezionata.
l.st.
24 ARTISTI - 12 REGIONI - 1 GIOIELLO
Il progetto “Gioiello Modulare” nasce con lo scopo
di riunire vari artisti per realizzare una creazione
unica, frutto della condivisione del proprio lavoro.
Per questo primo sono stati selezionati 24 artisti
italiani provenienti da varie regioni con stili differenti. Il risultato è la collana modulare: gioiello
composto da moduli personalizzati che si possono unire, staccare, spostare a piacimento ed una
volta tutti assieme formano appunto una collana
indossabile che alla fine del periodo sarà destinata
ad una vendita di beneficenza.
Il gioiello d’arte è visibile nel cortile interno di
Palazzetto Baviera.
I l g r u p p o d i a r t i s t i “ Fl u i r e” i n m o s t r a
Il gruppo di artisti “Fluire” è
da tre mesi ospite in diversi
locali di Senigallia. La sua
presenza ha arricchito le pareti di una creatività mista di
tecniche pittoriche, che hanno attratto con curiosità appassionati dell’arte, riscontrando diversi pareri positivi.
Il gruppo Fluire è composto
da: Noemi Grossi, Mara Montesi, Guido Morichelli, Gianna
Riginelli, Gabriella Rigo, Elena Riccialdelli in arte
“Ely”. L’unione è nata nel 2007, ma ognuno di loro
dipingeva già da anni ed aveva all’attivo diverse
mostre personali e collettive in Italia e non solo
(nel 2006 alcun di loro esposero anche a Chester
nel Grosvenor Museum).
La mostra itinerante si trova all’interno della Caffetteria “La Meridiana”, ristorante “Osteria del
Tempo Perso”, l’enogastronomia caffetteria
“Enoforum”, Sala slot “Le millionaire”. L’esposizione durerà fino al 31 Agosto. Per informazioni:
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TENTATO RAPIMENTO!!!
quella rottura di coglioni della Publimare, e salutando gli L'Assessore al Turismo Campanile, preoccupato dal fatto che amici che incontravano lungo la strada: lo zio Mauri, il la bellezza disarmante del Risciò potesse oscurare quella "Habemus riscionem"
Sindaco, che in bermuda e cravatta arancioni della Rotonda a mare?
-Cardinal Vercellik al varo del Risciò
tranquillizzava due anziani turisti sul traffico di Senigallia, O forse un clan di toghe rosse, dopo aver scoperto la che tra non molto potrà godere dei benefici della parentela del Risciò col nostro Premier Silvio Berlusconi, ma "Ma allora Dio esiste!"
Complanare; lo zio Chiox che passando in bici lì vicino ignari del fatto che lui ed il suo figlio illegittimo PierLorenzo -Membro dell'UAAR (Unione Agnostici e Atei diceva allo zio Mauri "Cap'rai, già è inutil' de suo stà cazz' Near non si parlano più dopo che egli si rifiutò di chiamare Razionalisti) dopo aver visto il Risciò
de Cumplanare, l' vai a dì propi ma questi che per quand' è il Risciò PierVladimir in onore dell'amico Putin?
f'nita saran' sott' tera da 'n pezz'?!"; lo zio Piaga che Purtroppo la verità non è ancora venuta fuori...
"Ma ce lo vogliamo mettere un bel motore diesel?"
raccoglieva le firme per l'acqua pubblica e progettava un Near
-Ministro dell'Ambiente su Risciò
nuovo capolavoro cinematografico dopo il successo di "Infinito Tormento"; ed infine lo zio Quilly alle prese con "Che figata!"
una signora ed un bimbo alla sua "Edicola e non solo" in un -Nessuno su Risciò
dialogo svoltosi più o meno così: Bambino: Voglio una gomma!
"Ma questo nome, Risciò, che mi rappresenta? Ma Signora: Ti ho detto di no!
mettimici un Pier, cribbio!!!"
Quilly: Bimbo, fai il bravo, dai retta a tua nonna.
-Premier Berlusconi su Risciò, in realtà suo nipote Signora: Grazie... sono la madre...
illegittimo
Ma questi momenti di gioia e spensieratezza stavano per "Quasi all'ospedale!"
finire; all'arrivo davanti alla Rotonda videro uno spettacolo -Chiunque abbia provato l'ebrezza del cappottamento, agghiacciante: il lucchetto col quale il Risciò era legato ad alla domanda "dove ci siete arrivati?"
un palo era stato divelto, e soltanto l'altro lucchetto che gli bloccava una ruota posteriore era ancora parzialmente Era una giornata calda e luminosa quando, nel pomeriggio, integro; era chiaro, qualcuno aveva provato a rapire il papà Near e mamma Lety decisero di andare a riprendere il Risciò! loro pargolo, Risciò, che per la prima volta dalla sua Sulla strada verso casa numerose ipotesi balenarono loro in nascita era rimasto a dormire fuori, davanti alla Rotonda, mente. Chi poteva essere il responsabile?
per la precisione. Quelli di Logos, arrabbiati perché il loro è l'unico giornale di Saltellavano felici verso la creatura, ascoltando il Senigallia veramente libero e non asservito ad melodioso canto degli uccelli, solo in parte coperto da un'Amministrazione comunistoide?
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cultura
LE BENEDETTINE RACCONTANO IL TERREMOTO
“Il centro storico della città di Senigallia, dopo il terremoto del 1930, ha perso il carattere monumentale e la vitalità di quella che era stata una delle città
mercantili più vivaci dell’Adriatico: una città murata
con un porto canale brulicante di navi, con un lungo fiume sontuoso, teatro di una importantissima
fiera franca; un centro storico monumentale, ricco
di edifici di rilievo, in un equilibrio di architetture civili e religiose […]” (da “Senigallia relazione breve,
www.comune.senigallia.an.it”).
Tra le architetture religiose colpite figura anche il
Monastero di Santa Cristina delle Suore Benedettine. Nell’archivio di queste Religiose, la cui vita è
tutta improntata alla regola dettata da san Benedetto e compendiata nel motto Ora et Labora, abbiamo reperito due scritti, che ci fanno partecipi
della sciagura e che riportiamo in forma ridotta
per esigenze di spazio editoriale. Il primo sembra
essere stato stilato dalla Reverenda Madre Abbadessa Gertrude Taroni, che così documenta il
tragico evento: “Memoranda del disastroso Terremoto avvenuto a Senigallia la mattina del 30 Ottobre del 1930! A Senigallia la mattina del 30 Ottobre
1930 circa le 8¼ un disastroso terremoto riduceva in
un immenso cumulo di macerie questo nostro Monastero di Benedettine, che fu poi completamente
atterrato dagli Agenti del Genio e dai pompieri.
Le Religiose Coriste mentre stavano in Coro recitando le Ore Canoniche, dinanzi al SS. Sacramento
solennemente esposto per le Quarant’ore, quattro
di esse rimasero completamente sepolte sotto le
macerie nel mentre che una quinta, quasi inconscia
di quel che faceva, ruppe la grata del Coro, e con un
salto si trovò dalla parte esterna completamente
illesa. Fortunatamente il nostro Rev.mo Padre Confessore, Signore Don Giulio Canonico Conigli corse
tosto al Monastero e, veduto lo sfacelo, quasi fuori
di sé si diè tosto a chiamare aiuto!
Non è a dire in quale stato furono dissepolte le
quattro Consorelle, tre delle quali, prive di sensi e
gravemente ferite, furono tosto dal pronto soccorso trasportate al Civico Ospedale di Jesi. La quarta
Consorella ferita, essendo meno grave, fu trasportata col rimanente della Comunità, allo Stabilimento
Pio IX della Città di Senigallia ed ivi rimase fino al
giorno 21 Novembre. I medici, però, vedendo che la
ferita non era in buone condizioni, pensarono e decisero di farla anch’essa ricoverare al Civico Ospedale di Jesi e vi rimase fino al giorno 29 Novembre.
Intanto il Rev.mo nostro Padre Confessore si occupava di trovare un sito ove ricoverare la descritta
Comunità […]. Finalmente il Signore permise che le
benemerite Madri Clarisse di Jesi aprissero all’intera Comunità le loro porte e con la bontà veramente
Francescana sottoponessero se stesse ad incomodi volontari, pur di accogliere le povere superstiti
[…]. Dopo 16 lunghi mesi di alternativa, il giorno
14 Aprile 1932 con automobili chiuse la Comunità
tutta fece ritorno a Senigallia, per abitare provvisoriamente nella piccola casetta restaurata di proprietà del Monastero in via dell’Angelo, in attesa che la
munificenza del Santo Padre facesse erigere di nuovo il Monastero, ove nella preghiera, nel lavoro e
nell’osservanza della nostra Santa Regola passiamo
i giorni ultimi di nostra vita.”.
Con lo scritto sopra riportato figurano anche le
vibranti “Impressioni della Corista Donna Maria
Fortunata Bastianoni per il Terremoto. […] Tutta
la Comunità era in Coro […]. Raccolte e fervorose
più del solito perché Gesù in Sacramento era solennemente esposto per le SS.me Quarantore, dopo
aver ascoltato la S. Messa e ricevuta la S. Comunione rinnovammo coralmente l’atto di offerta di Vittime e che recitiamo ogni giorno. Pochi istanti dopo
un pauroso boato, seguito da fortissima scossa, ci
fece capire che trattavasi di terremoto. Confusa,
atterrita, oltremodo spaventata uscii dal mio posto
ma caddi in ginocchio in mezzo al Coro, tanta era la
violenza della scossa. Da quella posizione miravo il
SS.mo Ostensorio che ondeggiava e sembrava che
Gesù ci guardasse con occhi di compassione, quasi rassicurandoci della Sua protezione, nonostante
che Lui pure subisse la stessa sorte, essendo stato
lanciato sulle macerie che avevano sepolto quattro
sorelle […]. In un attimo tutto crollò, seppellendoci sotto le rovine. In quel terribile frangente, avvolta in una profonda oscurità, stavo lottando con la
morte. Ad un tratto, come spinta da forza Divina,
riuscii ad alzare un braccio ed afferrare dei mattoni e potei così scoprire il capo e strapparmi il Sacro
velo che si era internato nella ferita al capo e infatti
era tutto intriso di sangue. Da quel pertugio, dove
finalmente potevo respirare, vidi con grande spavento che tutto era crollato e distrutto e sopra le
macerie avevamo solo il cielo. Il nostro Reverendo
Padre Confessore, Don Giulio Canonico Conigli, con
le lacrime agli occhi mirava quell’immane sfacelo e
sopra a tutto il cumulo di detriti, sfavillante, la Sacra
Raggiera staccatasi dall’Ostensorio e contenente il
Santissimo. Con profonda commozione raccolse il
Sacro Pegno e benedì le macerie, esclamando fra
le lacrime: “Il Signore vi benedica figlie mie. Coraggio!” Ripose la Sacra Raggiera e corse per le vie della
città a invocare aiuto. Tornò quasi subito con molti
volenterosi che con immensa fatica riuscirono a toglierci da quel cumulo di macerie. […]. Non so descrivere qui l’impressione che ricevette l’animo mio
nello scendere per l’ultima volta i gradini del Sacro e
cadente Monastero. Dopo 18 anni di vita […] lasciare il Sacro Asilo in frangenti così dolorosi, vederlo ridotto un ammasso di rottami. Solo chi l’ha provato
sa comprendere ed apprezzare il sacrificio grande
che ci è costato […]”.
Questi due racconti, oltre all’impatto legato ai
dati dei crolli e dei feriti, offrono annotazioni che
ci rivelano lo smarrimento psicologico di queste
Religiose, che si erano ritirate dal “mondo” per vivere la regola benedettina al riparo del convento,
in una clausura totale, simile a quella delle loro
consorelle che alla fine del ’500 erano per prime
entrate nel monastero senigalliese. È molto evocativa l’immagine delle Suore riportate da Jesi a
Senigallia “con automobili chiuse”, perché la loro
inviolabilità non fosse profanata dagli sguardi
del “mondo”. Su tutte le immagini campeggia la
“Sacra Raggiera staccatasi dall’Ostensorio e contenente il Santissimo”; Egli è lì vittima tra le vittime
e al tempo stesso “Sacro Pegno”. Il convento è risorto dalle rovine; la sua chiesa è divenuta il luogo
di preghiera nel quale il Santissimo è ora esposto
giorno e notte per la consolazione dei fedeli.
Flavio e Gabriela Solazzi
S. Benedetto e S. Cristina
UN TESTO QUASI INEDITO DI NICOLA LEONI
L’Associazione Culturale La Fenice di Senigallia,
fondata nel 1967, ha nel corso degli anni, svolto
una notevole attività editoriale. Ha pubblicato
28 volumi di poesie dei vincitori del Premio Senigallia di Poesia Spiaggia di Velluto, un volume
antologia per il venticinquesimo dell’istituzione,
la commedia di Flora Manoni Rougier “Milia, Milia
co’ hai fatt?”, 15 fascicoli programma del Piano
International Competition. Per il 2010, con una
edizione curata ancora da Domenico Pergolesi,
intende salvare dall’oblio e dalla perdita totale
un testo in dialetto senigalliese di Nicola Leoni
“La bella Cast’lana”. Questa deliziosa operina, per
la quale Leoni ha preso spunto da un antica storia
reperita alla biblioteca di Bologna, è stata stampata in poche copie a spese dell’autore che oggi
sono esaurite. Unitamente al padre e Maestro di
tutti i poeti dialettali senigalliesi verranno presentati con due o tre brani ciascuno altri poeti che
rappresentano la vitalità attuale e recente della
poesia dialettale senigalliese. Saranno presenti
nell’antologia: Edda Baioni, Marinella Bonvini Mazzanti, Antonietta Calcina, Aldo Ceresi, Rino Girolimetti, Elvio Grossi, Vinicio Mandolini, Laura Nigro,
Franco Patonico, Medino Rocchetti, Enrico Maria
Rossi, Gigliola Sbarbati,Renata Sellani, Mafalda
Stefanini, Carmen Tomassetti, Nello Zazzarini. Una
copia del volume sarà inviata, come consuetudine editoriale, a tutte le biblioteche delle Marche e
alle più importanti biblioteche d’Italia dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze alla Biblioteca
Nazionale Vittorio Emanuele di Roma). In apertura
del libro ci saranno due articoli introduttivi, unosulle caratteristiche del nostro dialetto di Anna
Maria Mancini dell’Università di Urbino e uno sulla
nascita del dialetto di Renata Sellani già presidente dell’Associazione Nazionale Poeti Dialettali.
La grafica e l’impaginazione sarà curata, per evitare le imperfezioni dei libri “fai da te”, dallo Studio
Focus del senigalliese Franco Fileri.
NON SOLO STORIA e PAESAGGIO ma anche ECCELLENZE ENOGASTRONOMICHE
IL DISCIPLINARE DI PRODUZIONE del
SUINO DI FRATTULA prevede che:
La denominazione Suino di Frattula
viene attribuita esclusivamente ai suini
in produzione nel territorio dei Comuni
della provincia di Ancona di seguito riportati: Senigallia, Monterado, Corinaldo,
Ripe, Castel Colonna, come definiti nell’areale depositato presso la sede dell’Associazione “Terre di Frattula”, situata
presso il Municipio del Comune di Castel Colonna, dopo apposita domanda,
da parte dell’azienda, di ammissione e
di accettazione del disciplinare e di nulla osta del Direttivo.
La nascita e l’allevamento devono
avvenire all’interno della zona di produzione, mentre la macellazione, le
operazioni di produzione, stagionatura
e confezionamento devono avvenire all’interno della Regione Marche.
L’allevamento deve prevedere l’utilizzo
esclusivamente di alimenti nobili; il tipo
genetico da utilizzare deve rientrare nei
libri genealogici nazionali e migliorati
secondo le direttive dell’Associazione
Nazionale Allevatori Suini, è altresì ammesso l’utilizzo di carni provenienti dal
porcastro (incrocio tra cinghiale e suino) allevato allo stato brado.
Le aziende controllate dovranno produrre adeguata documentazione atta a
dimostrare la tracciabilità degli animali
e dei prodotti da essi derivanti (Salame
di Frattula) nel rispetto delle percentuali di lavorazione desunte dal numero di
capi e dal peso dichiarato.
Il Consiglio Direttivo ha la facoltà di
svolgere, direttamente o tramite persone incaricate, verifiche nei luoghi di
produzione (allevamento) e di commercializzazione (punto vendita).
I soggetti che effettuano le verifiche ne
verbalizzano l’esito e qualora rilevino
irregolarità nel rispetto del Disciplinare,
redigono verbale di accertamento con
annotazione delle eventuali osservazioni della parte interessata.
Il regolamento prevede anche delle
sanzioni per casi di inadempienze lievi
e gravi, fino alla diffida e revoca della
licenza dell’uso del marchio, fatte salve,
ovviamente, le eventuali azioni legali
per la salvaguardia della tutela del marchio stesso.
Percorrendo il suggestivo paesaggio nelle colline tra il fiume Nevola e il Cesano troverete Aziende
Agricole che propongono la vendita diretta dei propri prodotti.
In questa occasione segnaliamo alcune aziende con il marchio TERRE DI FRATTULA produttrici di:
SALAME DI FRATTULA:
Norcineria “La Pernice”, CASTEL COLONNA Via Ponticelli, 12
(il Salame di Frattula è reperibile anche presso l’Ipercoop di Cesano)
OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA:
Frantoio Montedoro SENIGALLIA, Strada della Donnella, 111 Scapezzano
Oleificio Lugliaroli SENIGALLIA, Via Comunale, 168/I Roncitelli
VINO:
Azienda Maddalena MONTERADO, Via Fuori Fosso, 1
Mencaroni Maurizio CORINALDO, Via Madonna del Piano, 58
Spallacci Giordano CORINALDO, Via Dei Cappuccini, 5
FARINE, PASTA, OLIO:
Ciancone - Roncarati SENIGALLIA, Strada della Donnella, 103/ Scapezzano
MARMELLATE MIELE DOLCI VARI DISTILLATI
Azienda “Le Ville” CORINALDO, Via dell’Incancellata, 51
PANE DI SENIGALLIA “ PANGALLO”
Negozi con marchio l’Arte del Pane SENIGALLIA, Via R. Sanzio, 234
PANE DALLE TERRE DI FRATTULA
Sbriscia Piero SENIGALLIA Via Fratti, 14 Scapezzano
Chi desidera prendere visione della guida completa delle TERRE DI FRATTULA con tutte le aziende agricole ed
artigiane presenti, può recarsi presso i Comuni o i rispettivi Uffici per il Turismo di Castel Colonna, Corinaldo,
Monterado, Ripe e Senigallia. Oppure può visitare il sito www.terredifrattula.it
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cultura
UN SENIGALLIESE TROPPO MODESTO
Alessandro Bruschettini è gloria marchigiana. E’
nato a Senigallia il 31 maggio 1868. A 22 anni si
laureò a Bologna con una tesi originale, che già
metteva a prova le sue capacità di studioso profondo, “Sul modo come si comporta il virus della
rabbia nel vuoto e in presenza di vari gas”.
Nel 1891 si presenta per il concorso al premio
V.Emanuele con un bel lavoro:“Sulla diffusione del
veleno del tetano nell’organismo”, premio che fu
attribuito (ex aequo) ai vari concorrenti.
Il Bruschettini per primo dimostrò come il veleno
del tetano passasse dal punto d’innesto, dapprima al sangue e poi al sistema nervoso e si eliminasse per mezzo della secrezione renale.
Allievo del Prof. Tizzoni, nel 1894 si recò a Londra
nel Laboratorio del Prof. V. Horsley dell’University
College. Ritornato in Italia passò a Torino come
assistente del Prof. Perroncito e diresse la sezione
batteriologica del Laboratorio di Parassitologia
fino a tutto il 1904.
Prese la libera docenza in Igiene per titoli nel
1898. Passò poi a Genova ove diresse la sezione
per la preparazione del siero antidifterico e vaccino Jenneriano e fondò il “Laboratorio di Terapia
Sperimentale” che si interessava in modo particolare della tubercolosi.
Il Bruschettini già da anni studiava con onestà di
intenti il problema della tubercolosi, che fin da
allora costituiva la preoccupazione e il tormento
degli studiosi. Nel trattamento delle malattie da
infezione non si pensava prima di allora che alla
immunizzazione passiva. Il Bruschettini affermava
che non solo per la tubercolosi, ma assai verosimilmente per altre malattie infettive, risultati mirabili si potevano ottenere se ci si valeva dei germi
specifici sottoposti all’azione dei tessuti viventi.
Diceva inoltre che nessuna immunità si raggiungeva e si manteneva così solida come quella che si
DOVE LA FORMA E’ IL VUOTO
Le più rilevanti opere di Gianfranco Romagnoli
“Pico”, senigalliese,
sono, negli ultimi
tempi, senz’altro
plastiche,
scultoree, ma non si
tratta di sculture
nel vero senso della parola. Le sue
strutture in rete
metallica prendono forma avendo
il corpo umano
come riferimento,
così come avveniva per le figure
nate nell’antichità
classica e nel rinascimento. Il risultato sono figure
di chiara lettura
ma a scorrere con
lo sguardo sulla
10
superficie di queste opere, la visione si fa incerta,
col tatto si percepirebbero
i minuscoli quadrati vuoti
formati dalla rete. Ed è qui
che troviamo il punto di
intersezione tra una creazione artistica convenzionale e una simulazione
visiva come la otterremmo
al computer. E con l’illuminazione facciamo una ulteriore esperienza di estraneamento: le ombre della
struttura metallica ci fanno
scoprire delle vere opere
grafiche.
VUOTI
Gianfranco Romagnoli
Macerata
galleria degli antichi forni
3-14 luglio
otteneva spontaneamente nella guarigione delle
malattie infettive.
Nel 1899, nella Riforma Medica il Bruschettini affermava la necessità di ricorrere alla immunizzazione
attiva a scopo curativo ed affrontava il problema
della preparazione di una sostanza vaccinante
che agisse direttamente sul tessuto tubercolare
determinando una immunità attiva, la quale permettesse di limitare, localizzare e finalmente spegnere il focolaio primitivo. E’ merito di Alessandro
Bruschettini, pioniere nella lotta antitubercolare,
aver lanciato al mondo scientifico questo concetto di cura, la vaccinoterapia.
Il Bruschettini è legato alla Medicina Italiana anche per il decisivo contributo che ha dato allo studio dell’influenza.
Nel 1892 in occasione di una epidemia di influenza che infieriva su Bologna poté isolare dal sangue
degli ammalati nel periodo acuto un bacillo simile
nei suoi caratteri a quello descritto da Pfeiffer nell’esecrato di influenzati.
Vivaci furono le discussioni scientifiche sollevate
per questa sensazionale scoperta e per quanto il
Pfeiffer negasse recisamente la specificità del bacillo Bruschettini, la scienza ha registrato la vittoria del giovane studioso italiano.
Altri lavori riguardano lo studio dell’immunità per
tifo e le numerose pubblicazioni sono a dimostrare la sua straordinaria attività scientifica.
Alessandro Bruschettini non aveva onorificenze;
era della schiera silenziosa di coloro che danno
con fede tutto, nulla chiedendo. Si è basato sempre sui fatti, ha creduto solo ai fatti.
Scomparso il 26 novembre del 1932, strappato
troppo presto alla Scienza e alla Nazione.
Su segnalazione del nipote, Zampini Franco
La compagnia del Teatro alla
Panna realizza anche quest’anno
la rassegna Baracche e Burattini, il
tradizionale appuntamento con il
teatro di figura che anima ormai da
quasi vent’anni l’estate di Senigallia. Affermano Luca Paci e Roberto
Primavera del Teatro alla Panna:
“Come sempre accanto a quello che
tutti si aspettano - burattin e bambini
- vi offriamo la possibilità di gustare
prodotti originali assolutamente privi
di OGM! Si perchè il teatro delle figure,
che siano ombre, marionette, burattini o oggeti non meglio identificati,
rifugge dalle contraffazioni: quello
che lo spettatore vede è quello che
l’artista è venuto maturando nel corso
della sua esperienza teatrale; alcuni
dicono che i teatranti - gira che ti rigira - fanno sempre lo stesso spettacolo
e questo spettacolo sono loro stessi!
E i nostri artisti sono tutti DOC quindi
OGM Free!”
numero 07 Luglio 2010_www.ecomarchenews.com
racconti
L A V I TA D E L L E B A D A N T I
Badanti, balie. Dedite alla cura degli anziani, dei bimbi. Ma anche
degli adulti... talora. E, talora, usate e sfruttate.
Un fenomeno a cui ci siamo abituati ormai da tempo. Badanti e
balie. Giunte da diversi paesi. Ma, soprattutto, dall’Europa centroorientale. Nelle famiglie degli italiani hanno rimpiazzato le madri,
impegnate nel lavoro. E le figlie, che oggi sono poche, indaffarate,
e non si possono occupare dei genitori poco o per nulla autosufficienti. Badanti e balie. Anzi, le badanti più delle balie, perchè siamo
sempre più vecchi e facciamo sempre meno figli.
La loro diffusione, davvero rapida e ampia, in Italia, riflette la tendenza - tradizionale per il nostro paese - a “caricare” sulla famiglia,
invece che sui servizi, i compiti dell’assistenza. Le badanti come alternativa al “ricovero”. All’assistenza domiciliare.
Di seguito il racconto di una di loro.
Voglio raccontare la vita delle badanti, perché non tutti sanno quanto
è complicata. Io sono una di loro e so quanta pazienza e quanti sacrifici ci vogliono per fare questo mestiere. Vivo in una piccola città di
mare edificata ai piedi di una collina. Le strade sono come scale e tutte
portano in cima; la casa nella quale io vivo si trova a metà percorso e
dalla finestra del soggiorno si gusta una incantevole vista, di tetti, di
terrazzi, di balconi fioriti; laggiù vedo lo stupendo paesaggio del mare.
Lavoro da una signora di 85 anni, malata di demenza senile: lei dimentica molte cose, ma ne ricorda fissamente molte altre. Nei primi giorni
del mio lavoro, lei era calma e serena, ma presto ho capito che questa, magra, piccola donna, era come un vulcano che sta per esplodere.
Quando qualcosa non le piaceva, gridava, urlava, mi picchiava; in quei
momenti era così cattiva che non trovo paragoni. Ecco…era come
l’acqua bollente. Nella prima settimana di vita in quella casa, ho visto
in sogno un serpente: era il temibile Cobra dagli occhiali, che tentava
di pungermi e io lo volevo allontanare. Quando ogni giorno facevo
qualche lavoro di casa, lei sorvegliava e seguiva ogni mio movimento;
con i suoi grandi occhiali lei vedeva tutto. < A destra è caduto un pezzetto di carta, a sinistra è caduta una briciola!>mi spiegavo. ordinava. , ribattevo. Anche la preparazione del pranzo era impossibile fare
con calma, ci voleva una pazienza di ferro. E poi: E tutte queste parole
ripeteva durante la preparazione di ogni pasto. Essa non si rivolgeva
mai a me con gentilezza e l’intercalare “per favore” non esisteva nel
suo vocabolario. , rispondeva irritata e se ne chiedevo le motivazioni,
mi rispondeva che non avevo il diritto di consumare la sua acqua e la
sua elettricità. gridava furibonda, dimenando le braccia minacciosa.
E poi chiudeva l’uscio del bagno. Quando riferivo queste “cagnare”ai
suoi figli, loro le facevano una severa predica; allora per qualche giorno Maria mitigava il suo atteggiamento violento, ma dopo una settimana ritornava come prima. La generazione degli anziani che noi ba-
danti accudiamo, ha vissuto la gioventù nel periodo durante la guerra,
che fu una stagione ricca solo di fatiche, di sacrifici continui, a volte
esasperati da una miseria nera e generalizzata in quasi tutta la società
civile. L’istruzione era elementare; gli svaghi striminziti e rari come le
mosche bianche. C’era da ricostruire tutto: case, fabbriche, strade e le
discrete pagine venivano corrisposte da ritmi di lavoro che non erano
nemmeno paragonabili alle blande prestazioni degli odierni lavoratori. Adesso ogni famiglia possiede 2 o 3 automobili e i figli studiano
anche nelle Università. E in genere il lavoro non è tanto faticoso. Ma i
nonni restano poco istruiti, non leggono libri, mentre ai giornali e alle
riviste danno un’occhiata quando vanno al bar o dal medico di famiglia. Si accontentano di un po’ di Tv. Quando per loro verrà la vecchiaia
e le malattie, non sapranno come passare il tempo. Adesso i figli non
possono o non vogliono pensare ai genitori, perché sono impegnati nel
lavoro e anche perché questa è un’altra generazione, diversa da quella
dei loro padri, che avevano sofferto la guerra. Questi giovani vogliono dare i genitori in mano delle badanti e alle case di riposo. Però le
badanti sono straniere e questo procura dispiaceri e sdegno ai vecchi,
che si sfogano con le badanti; questi anziani dai loro figli vorrebbero
affetto, premura e comprensione e invece devono convivere con gente
che arriva da altri Paesi, con altre usanze, abitudini, consuetudini e che
parlano altre lingue, uscite dai loro paesi per la miseria e la fame. Qui
in Italia si possono incontrare polacchi, romeni, africani, latino-americani, russi, ucraini, cinesi, eccetera. Anche noi straniere dobbiamo
conoscere bene le usanze italiane, perché ogni Paese ha le sue. Per le
donne italiane non c’è cosa più importante della pulizia della casa e
la preparazione dei cibi. Quando incontrano una conoscente, l’argomento più interessante è quello del mangiare e della salute. e subito:
o: Se al mio Paese facessi tale domande, mi risponderebbero: . Non in
tutti i Paesi sono gradite tali domande. Qui in Italia dove vissero famosi
compositori, pittori, scrittori e registi del Cinema, se domando chi è Paganini, posso sentirmi dire che lui vive vicino e ha un commercio di vini.
Io spiego che lui era un famoso musicista. E non smetto di meravigliarmi di tali risposte. Alcuni italiani fanno molte economie di tutto: luce,
gas, acqua; ci sono casi nei quali le economie s’avvicinano all’assurdo,
come alcuni che di notte chiudono l’acqua del water; e non parliamo
del riscaldamento: ci sono case dove d’inverno la temperatura è di 6°7°,
eppure si accendono i termosifoni solo raramente; tutti stanno in casa
con addosso tanti vestiti e sono lividi in faccia. Eppure ogni membro
della famiglia possiede una macchina nuova. Ho chiesto: Risposta: Ma
loro erano tutti raffreddati. Io al freddo non riesco a concludere niente.
Ho l’impressione che in Italia la Seconda Guerra Mondiale non sia ancora finita. E mai finirà.
Alcune nostre donne fanno le pulizie negli appartamenti e dobbiamo
stare molto attente in questo tipo di lavoro: ad esempio, se sposti un soprammobile, le padrone urlano e in alcuni casi è impossibile lavorare.
Su di una panchina siede una mia collega. Piange. risponde e si asciuga le lacrime. dico stupita. E lei: Nelle ore libere mi piace passeggiare
sulla lunga via che corre, a metà della collina, parallela alla spiaggia.
Quanti giardini si vedono, tutti arricchiti di bellissimi fiori e di piante
sempreverdi; e laggiù c’è il mare. In primavera, nei giorni di sole, l’acqua è calma, la sua superficie è liscia come l’olio e riflette tanti colori:
l’azzurro, il verde smeraldo, il celeste violaceo e il bianco lucente, pieno
di forza, di vita. Ma quando c’è burrasca e il vento è impetuoso il quadro non è più idilliaco, portatore di pace e di serenità; le onde schiumose si fanno grige e biancastre, le nuvole scaricano valanghe di pioggia
e spingono a riva i gabbiani impauriti. Il mare s’è agitato. Forse il suo
sfogo non è rabbia, ma solo lo sforzo di far fare il bagno alle nuvole
che gli corrono sopra a pochi metri, essendo grigiastre, sporche, indecenti. A vedere questi indimenticabili paesaggi della natura, mi sento
avvilita, scoraggiata e avverto con maggior sofferenza il mio dramma, la mia vita troppo infelice che sono costretta a subire qui in Italia,
impedendomi di godere le sue naturali bellezze. In modo assoluto noi
dipendiamo dai nostri datori di lavoro, dobbiamo sottostare al loro carattere, alle loro abitudini e al livello della loro cultura.
Noi lavoriamo tutti i giorni e, per legge, abbiamo 2 giorni alla settimana
nei quali possiamo uscire di casa, per 7-8 ore, mentre negli altri giorni
il permesso è di 2-3 ore. Ciò è gradito, ma per uscire occorre il permesso
dei padroni di casa. Ci sono famiglie con persone buone, affettuose che
rispettano e osservano le disposizioni della legge e collaborano con le
badanti: Ma molti altri non lo fanno. Essi dicono: E non concedono le
ore di libertà. E se obietto che esiste una Legge, mi rispondono: E infatti
trovano sempre badanti appena arrivate in Italia, che accettano quelle
condizioni, essendo prive di esperienza, avendo bisogno di lavorare e
conoscendo poco la lingua italiana.
Nei giorni e nelle ore libere la nostra gente si ritrova in un giardino
pubblico, al centro della città. Sulle panchine alcune siedono, mentre
le altre restano in piedi intorno a quelle sedute. Ogni persona racconta
la propria storia: c’è chi parla al lavoro, chi della sua casa lontana; e chi
della famiglia. Raramente qualcuno è riuscito a far venire in Italia i suoi
familiari e in maggioranza è gente che ha lasciato al paese natale il
marito, i figli, i nipoti e i genitori. Ognuno ha sulle spalle una sua storia,
che spesso sono vicende tragiche.
Noi emigranti siamo venuti qui non per nostra volontà, ma costretti
da povertà, miseria e per una enorme inflazione. A casa nostra non si
può vivere con un normale salario e tanto meno con le pensioni, Dobbiamo venire per forza in Italia. Però anche qui sta cominciando la crisi
dell’economia, con i prezzi che crescono, come l’inflazione e come il
flusso degli immigranti, e allora penso come farà l’Italia a camminare nel progresso con tutta questa nuova gente. Come farà l’Italia, che
continua a crescere di numero e di gente affamata. Mah!
numero 07_Luglio 2010_www.ecomarchenews.com
Tamara Basovych
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spor t: I MONDIALI dalla A alla ZETA
A come Anelka: durante l’intervallo di Francia-Messico si è
fatto portavoce dei milioni di appassionati di pallone e ha
fatto quello che la Federazione Francese avrebbe dovuto
anni fa, stampando un bel “vaffa” in faccia a Domenech,
l’incompetenza fatta ad allenatore … 92 minuti di applausi!!!
B come Bossi padre e figlio: da veri leader padani, il primo
ha ventilato una combine pro Italia nel match decisivo contro la Slovacchia, il secondo ha dichiarato “simpaticamente” che non avrebbe tifato per gli Azzurri … è proprio vero
che il frutto non cade mai lontano dall’albero!
C come Continente Nero, e mai come questa volta la
definizione calza a pennello: il mondo intero aspettava
il definitivo salto di qualità dell’Africa, che tra entusiasmo,
speranze e desiderio di rivalsa si presentava per la prima
volta come padrone di casa alla kermesse calcistica più importante, portando dietro a se ben 6 ambasciatrici, pronte
a sovvertire gerarchie decennali. Ma lotte interne, allenatori
presi all’ultimo solo per il blasone, disorganizzazione fuori e
dentro il campo e una carenza di talenti hanno portato ad
un flop inatteso e doloroso, salvato in parte dal giovanissimo Ghana, arrivato a 11 metri da un semifinale storica …
Non so se una squadra africana potrà mai vincere la Coppa, ma di certo il gap con europee e sudamericane è ancora
molto evidente!
D come Donne: mai come in questa edizione protagoniste
assolute … da Zahia Dehar, giovanissima escort di origine
algerina, che ancora minorenne avrebbe avuto dei rapporti a pagamento con alcune star della nazionale francese,
a Sara Carbonero, avvenente giornalista sportiva nonché
fidanzata del portiere iberico Casillas, da Evangelina Andersson, compagna del difensore argentino De Michelis
ed ex di Maradona, alle ormai famosissime Wags inglesi, e
continuando con Paris Hilton che viene arrestata e poi rilasciata per aver fumato uno spinello allo stadio, Bobbi Eden,
pornostar olandese che ha promesso sesso orale gratuiti ai
fan in caso di vittoria del mondiale di Robben e soci, Larissa
Riquelme, tifosa paraguayana che senza la benché minima
malizia ha scelto, per la gioia dei fotografi, il suo generoso decolté come porta-cellulare … insomma, ognuna ha
avuto il suo canonico quarto d’ora di celebrità … e pensare
che 36 anni fa fece scalpore, se non scandalo, la scelta della
grande Olanda di Cruyff e Krol di portare mogli e fidanzate
in ritiro …
E come El Loco, il pazzo, ovvero Sebastian Abreu:pennellone uruguayano di 33 anni, che con un colpo di pura
follia ha scritto i titoli di coda di una delle partite più assurde della storia recente dei mondiali di calcio, Uruguay
– Ghana. Il suo cucchiaio nella lotteria finale dei calci di
rigore è stato qualcosa di meraviglioso, come ogni cosa
dettata dall’istinto e non dalla ragione … quando si dice
avere i cojones!!!
F come Felipe Melo: il simbolo, l’emblema, la bandiera
dei verdeoro, il perno su cui è girato l’intero dream-team
di Carlos Dunga (da poco votato come uomo più elegante
del pianeta!). Non vediamo l’ora di riabbracciare in Italia un
campione di classe e umiltà, che onora il nostro campionato, di cui, e non potrebbe essere altrimenti visto il talento, è
indiscusso primo attore … in una sola parola: RIDICOLO!!!!
G come Goodluck Jonathan, Capo di Stato della Nigeria: dopo l’eliminazione al primo turno delle Super Aquile,
ancora capitanate dall’ultracentenario Kanu, ha avuto
un’idea a dir poco geniale: la sospensione dell’attività della nazionale per due anni, duranti i quali dovrà pensare
solamente a riorganizzarsi, senza partecipare a nessuna
competizione internazionale. La Fifa immediatamente è
intervenuta, costringendo il governo di Abuja a ritornare sui
propri passi … E poi ci chiediamo perché le squadre africane sono sempre un passo indietro alle altre!? Buonanotte, e
buona fortuna!!!
H come Herbert Ricki, l’allenatore dei All Whites, la nazionale neozelandese: per la battuta più bella dei mondiali:
“E’ più facile che vincano contro di noi a rugby” ha risposto
a chi gli chiedeva quante possibilità aveva di battere l’Italia.
Infatti …
I come Italia: da dove cominciare per spiegare un simile disastro? Da Lippi e le sue idee, secondo le quali in una squadra il
gruppo viene prima di tutto, anche a discapito del singolo di
talento? Quattro anni fa andò bene, ma i miracoli sono tali
perché irripetibili; il guaio non è aver lasciato a casa i Cassano
(con il quale non abbiamo certo vinto gli ultimi due europei
a cui ha partecipato), i Balotelli (emarginato nell’Inter più
vincente di sempre) o i Miccoli (nessuna esperienza internazionale), il problema è il sistema calcio vigente in Italia: vivai
dimenticati, cultura sportiva inesistente, leggi fasulle, stadi
pietosi … ma se viene assegnato Euro 2012 a Polonia e Ucraina, con tutto rispetto, e non a noi, un motivo ci sarà? Ma se
la Spagna vince con il blocco del Barcellona e l’Italia schiera
contro la Slovacchia quattro punte made in Udinese (Pepe,
Di Natale, Quaglairella, Iaquinta) ma di chi è la colpa se non
nostra? Lippi non era un fenomeno prima e non è un pirla
adesso, ma solo uno che ha avuto la presunzione, e tanta, di
credere che la notte di Berlino lo avrebbe sollevato da ogni responsabilità o critica in caso di sconfitta. Si sbagliava …
J come Jabulani: il terrore dei portieri, l’anti - eore di questas
manifestazione. Julio Cesar e Buffon avevano alimentato già
le prime polemiche su questo “essere” di forma sferica dalla
sembianze del mitico Super Tele e il peso specifico di una piuma d’oca. A parte Casillas e in parte Stekelenburg, tutti i numeri 1 sono usciti con le ossa rotta. I geni della Fifa non hanno
ancora capito che per vedere più gol in un Mondiale occorre
un pallone fatto con una grazia, non il contrario!
K come Klose: vederlo tra i grandi di sempre come miglior
marcatore di una fase finale di un mondiale fa un certo effetto,
ma non è di certo un intruso questo 32enne di origine polacca
che in tre competizioni iridate è riuscito a buttarla dentro ben
14 volte, una in meno del fenomeno Ronaldo. Oltre alla meglio gioventù, la Germania se è arrivata ancora una volta tra
le prime quattro lo deve anche al suo fiuto dei gol pesanti.
L come Lacrime: quelle apparse sul volto tondeggiante di
Jong Tae Se, semisconosciuta stella della Corea del Nord, che
si è lasciato andare ad un momento di particolare sensibilità
durante l’esecuzione dell’inno nazionale, prima della sfida col
Brasile. Una bella immagine, ma che si presta a varie considerazioni e soprattutto una domanda: ma erano lacrime di
gioia o di tristezza? Insomma, giocare un mondiale deve essere meraviglioso, ma farlo con la Corea sbagliata ... e non ci
riferiamo solo al lato puramente sportivo.
M come Maradona e Muller: Amichevole Germania-Argentina, Berlino, 3 marzo. Dopo la gara, vinta dai sudamericani, il
Pibe de Oro e la giovane promessa del calcio tedesco, al suo
debutto in nazionale, dovevano sedersi vicini per la conferenza stampa, ma il tecnico argentino, da gran signore quale non
è mai stato, non è e non sarà mai, si rifiuta clamorosamente,
dicendo che non voleva dividere il palco con nessuno, tantomeno con uno sconosciuto, aggiungendo a tal proposito: “Ma
chi è, un raccattapalle?” Sono bastati pochi mesi per rispondere a dovere ... Thomas Muller, capocannoniere con 5 gol (di
cui uno proprio sotto il naso, o quel che resta, di Maradona) e
miglior giovane del Mondiale. Caro Diego, te la finirai mai di
fare codeste figure di m...?!
N come Nelson Mandela: doveva essere l’uomo immagine
di questi trenta giorni di festa per il suo popolo e un intero
movimento. nonostante l’età avanzata e un grave lutto che
l’ha colpito, alla fine si è presentato per rendere omaggio
ad un paese, il suo, che ha onorato al meglio un evento di
simili portate, che ha contraccambiato con una doverosa e
viscerale ovazione.
O come Otamendi: baluardo argentino, pilastro dell’immaginaria e immaginifica linea Maginot degli albiceleste.
E’ inutile avere in formazione, seppur con le pile scariche,
campioni come Messi, Higuain, Tevez e compagnia bella,
se poi dal centrocampo in giù ti ritrovi con certa gente … la
miglior difesa è l’attacco quando si segna, altrimenti prendi
4 gnocchi e vai a casa!
P come Paul il polpo: l’assoluto, indiscusso, stravagante
personaggio principale di Sudafrica 2010 … Sfiga ha voluto
che questa povera bestiola indovinasse sempre il risultato
della Germania, anche le sconfitte, giusto per far capire agli
scettici (ma come si può dubitare di un cefalopode?!) che la
scelta non era pilotata! E adesso si è venuto a sapere che
Paul in realtà è Paolo, e viene dall’Isola d’Elba: almeno un italiano che si è fatto valere a questi Mondiali. Chissà se riuscirà
a prevedere anche la sua fine? Comunque vada, grazie Paul.
Q come Queen … ma se Dio deve prevenire la salute della
Regina, alla nazionale dei Tre Leoni chi ci pensa? Capello?
Con quello che guadagna, figurati se gliene frega qualcosa.
E intanto gli anni passano da quel gol di Hirst …
R come Ronaldo: il Cristiano più famoso del mondo dopo
il Papa! Anche per lui, come per altri big del pianeta calcio,
un Mondiale agghiacciante: fuori ruolo, diamante di una
squadra che gioca senza punte, il buon Cristiano ha pensato
bene di chiudere al top la sua esperienza sudafricana: prima
una bella prestazione contro la Spagna negli ottavi, poi uno
sputo verso la telecamera che inquadrava il suo bel visino allegro all’uscita dal campo e per non farsi mancare niente, la
notizia che è diventato padre di un bambino (l’ha chiamato
Cristiano … la fantasia la usa solo quando gioca!) che non
conoscerà mai la madre! Motivo: il buon Cristiano avrebbe
pagato12 milioni di euro una “madre in affitto” per avere il
suo erede, e che quei soldi sono compresi anche il silenzio di
lei, che si mormora sia di origine americana. Tralasciando il
particolare che Ronaldo sia fidanzato, fa specie pensare che
i soldi non daranno la felicità, ma possono aiutarti a comprare una famiglia!
S come Spagna: bella, brava e fortunata, la banda di Vicente Del Bosque ha meritatamente vinto questo Mondiale,
nonostante la sconfitta iniziale patita con la Svizzera e le
pessime condizioni di forma del “Nino” Torres, non proprio
uno qualunque.
T come Tecnologia: alla fine si arreso anche lui … forse.
Dopo una serie impressionante di abbagli arbitrali, Blatter,
l’ultimo dittatore di un paese libero, la Fifa, ha aperto alle
strutture tecnologiche applicabili al calcio. Era dai tempi
della prima minigonna che l’umanità non assisteva ad una
simile rivoluzione. Peccato che il primo provvedimento preso dopo gli sciagurati errori di Germania – Inghilterra e Argentina – Messico (grandi Rosetti e Ayroldi!) sia stato quello
di rispedire a casa la metà degli arbitri presenti in Sudafrica,
compreso Busacca, il migliore in circolazione (visto Webb in
finale, non ci sono dubbi) … un uomo chiamato coerenza.
Tanto in Brasile tra quattro anni non ci sarà niente di quel
che ha promesso. Gli arbitri sono esseri umani, e in quanto
tali sbagliano; Blatter è un politico, è in quanto tale mente!
U come Uccello del malaugurio: Mick Jagger, voce dei
Rolling Stones è considerarsi a tutti gli effetti l’alterego di
Paul il polpo. Va a vedere Ghana – Usa accanto a Bill Clinton e vincono i primi; da spettatore interessato assiste im-
potente alla debacle della sua Inghilterra contro la rivale
storica Germania; non contento, passa a tifare Brasile: fuori
con l’Olanda! Che ci sia lui dietro la profezia Maya sulla fine
del mondo?
V come Vuvuzelas: lo strumento del diavolo che con i suoi
144 decibel ci ha spaccato i … timpani per tutta la manifestazione mondiale. Augurandoci che non diventi mai una
moda in altre parti del mondo, rimane la regina incontrastata di questa edizione.
X come Xavi: con tutto il rispetto per i vari Casillas, Puyol,
Iniesta e Villa, è il centrocampista – tascabile cresciuto nella
cantera del Barca ad erigersi come migliore della spedizione sudafricana. Giocatore di classe stratosferica e capacità
di dettare i ritmi a centrocampo come nessuno forse nella
storia (di sciuro in quella recente). Uno dei giocatori più
vincenti di sempre, a cui manca, e pensiamo mancherà, il
premio personale più ambito: il Pallone d’oro.
W come Wesley Sneijder: nonostante sia stato Forlan ad
essere eletto miglior giocatore del Mondiale (un verdetto
neanche troppo sorprendente) l’olandese dell’Inter con le
sue giocate e i suoi gol (anche se ne ha fatti di più belli in
altre circostanze, ma sicuramente meno importanti) ha
portato assieme all’altro fenomeno oranje Robben la sua
nazionale ad un passo dall’apoteosi. Peccato che in finale la premiata ditta si sia dovuta arrendere alle parate di
San Iker Casillas, rimandando ancora una volta l’appuntamento con una vittoria che a questo punto sarebbe anche
meritata.
Y come Yiwu: provincia cinese, sede dell’impresa Gua Lì,
maggior produttrice di vuvuzelas nel mondo: ne ha vendute oltre un milione … interessante!!! A parte la fidanzata di
Sneijder, Yolanthe, che ci mettevo con la Y?
X come Xenofobia … da un articolo della Gazzetta dello
Sport datato 5 luglio: ““Vogliamo uno stato sovrano che ci
rappresenti. Non vogliamo appartenere all’attuale Sudafrica. Noi boeri abbiamo una religione, una lingua, una cultura. E’ nostro diritto avere uno Stato. Non ci piace mischiare
il nostro sangue con i neri. E’ come se i francesi dovessero
fondersi con i turchi … Noi siamo il primo mondo e i neri
sono il terzo. Guardate come hanno ridotto il Sudafrica in
16 anni di governo. I neri non saranno mai il primo mondo
… Sa che cosa hanno detto le autorità dopo l’uccisione di
Terre’Blanche (fondatore di Awb, ndr)? Armatevi. Ci stiamo
armando. Non tollereremo altri morti”. Parole di Andre Visage, segretario dell’Afrikaner Weerstandsbeweging, Movimento politico di estrema destra. E noi stiamo qui a parlare
di un gol in fuorigioco o di un rigore non dato …
Z come Zero: il voto che si merita la Rai. Non ci hanno fatto vedere neanche tutte le gare del Mondiale… ma allora
per cosa paghiamo l’abbonamento? Per Mazzocchi con
gli occhiali da Bono Vox che ci chiede tramite sondaggio
se preferivamo i Beatles o i Rolling Stones (con la sfiga di
Jagger, se votavi i primi ti si fulminava il cellulare!)? Per
Linda Santaguida che assieme a Vincenzo D’Amico stilava
una classifica dei più belli e più brutti del mondiale (perché
quella dei più stupidi era vinta in partenza da loro due)? Per
“Notti Mondiali”, il programma più insensato e inutile che
sia mai apparso su una rete nazionale durante una Coppa
del Mondo … addirittura era meglio quello con la Parietti
e la Marini ai tempi di USA ’94: Collovati e Tombolini sempre a bacchettarsi come due zitelle inacidite, Mazzola che
appena provava ad aprire bocca o c’era Zazzaroni che interveniva con la sua bella voce da usignolo o Jacopo Volpi
che dava la linea al più imbarazzante collegamento della
storia della Tv italiana: Galeazzi-Maurizio Costanzo.
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numero 07 Luglio 2010_www.ecomarchenews.com
13
rubriche
LE EMOZIONI
Un secolo
C AVA L L I e PRINCIP ESSE
e mezzo
sul
Velluto
Una foto di Senigallia tra ‘800 e ‘900. A sinistra si vede distintamente una curva dell’ippodromo
a cura della dott.ssa Anna FARETTA,
Psicologa, volontaria DDP
La nostra esistenza è intessuta di emozioni: le
emozioni ci piacciono,le cerchiamo, ne parliamo
con gli altri e le riviviamo con il ricordo.
In questo bisogno non siamo soli, la televisione, i
giornali, il cinema, i romanzi, le feste, i riti religiosi,
le competizioni sportive ci favoriscono in questo
senso perché si configurano come occasioni per
vivere emozioni direttamente o per interposta
persona. Ed è risaputo che i giornali vendono
di più se raccontano la storia d’amore di un
personaggio famoso, il telegiornale ha più
ascoltatori se c’è una disgrazia da raccontare, i
film hanno un successo garantito se promettono
intense emozioni.
Tuttavia l’esperienza di ciascuno di noi non ci
permette di definire con precisione cosa sia
un’emozione perché ognuno sa cos’è per lui
una certa emozione ma non è detto che un’altra
persona intenda la stessa cosa anche se usa la
stessa parola.
L’emozione, si può intendere come un insieme
di interazioni tra fattori soggettivi e oggettivi,
mediati dai sistemi neurali/ormonali, che
può suscitare esperienze affettive (senso di
eccitazione, piacere, dispiacere) ovvero generare
processi cognitivi (effetti emozionalmente
rilevanti, valutazioni cognitive, processi di
etichettamento), attivare adattamenti fisiologici
a fronte di condizioni di eccitamento o, infine,
condurre ad un comportamento che spesso
è diretto ad uno scopo. Abitualmente si usano
oltre ad emozioni, i termini affetti, sentimenti,
stato d’animo e umore; mentre negli affetti si
includono tutte le emozioni, con sentimento
e umore ci si riferisce ad uno stato di bassa
intensità durevole nel tempo e senza una causa
immediatamente percepibile.
L’emozione è dunque un processo che ha un
inizio, una durata e una fase di attenuazione; è
accompagnato da modificazioni fisiologiche,
espressioni facciali e comportamenti abbastanza
caratterizzati.
Ad esempio dallo stimolo esterno si genera
l’emozione della paura, cui può fare seguito il
comportamento di scappare, bloccarsi o reagire.
Infine possono tenersi distinti dall’ emozione
il riflesso (quale risposta ad un evento esterno
come uno sparo o una forte luce), il tratto del
carattere (modalità stabili del comportamento e
dei processi cognitivi di un individuo) e gli stati
psicopatologici (spesso definiti come disturbi
dell’emotività).
In ogni modo si può affermare che ogni persona
è indotta, consapevolmente o meno, ad usare
una etichetta invece di un’altra per definire le
proprie emozioni e questo si comprende se si
tiene conto che ognuno in questo modo fissa
il senso della propria esperienza, ne prende
atto e con quel nome comunica agli altri se stia
provando dolore o tristezza o gelosia ecc.
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14
Come e qualmente la città si faceva in
quattro per essere attrattiva nei confronti dei
turisti, compreso allestire un ippodromo e
organizzarci corse e concorsi. Cronaca di una
giornata memorabile di cent’anni fa, trascorsa
in compagnia di tenenti sciupafemmine
e donne fatali che in fin dei conti non si
sciupavano nemmeno tanto. E della duchessa
Maria Letizia di Savoia Aosta Bonaparte, di
eletta bellezza e spregiudicato costume, che
qui presiede il Comitato delle Patronesse alle
corse dei cavalli.
Non meno che oggi col Caterraduno e il Summer
Jamboree, Senigallia si è sempre adoperata in dare
lustro all’estate con programmi di spettacolo e di
intrattenimento, allo scopo di rendere attraente
al forestiero il venirci e più vivace e mondano il
suo soggiorno al mare. Ai primi del Novecento
furoreggia ancora il Teatro la Fenice, per antica
tradizione supporto della Fiera Franca e, dopo
il suo declino, della stagione balneare; e lo fa in
modo talmente brillante per qualità di spettacoli e
di pubblico presente che la città intera ne trattiene
il ricordo. Esistette però in quegli stessi anni e per
un cinquantennio filato un altro frutto dei piaceri
d’estate del quale a quanto pare i senigalliesi
hanno perso quasi completamente la memoria:
avevamo un ippodromo. I segni, invisibili a chi
non se ne dà pensiero, sono tuttora impressi nella
conformazione ricurva di via Piave e di via Campo
Boario: era lì che correvano i cavalli.
Primo in ordine di tempo e di importanza nella
nostra regione, piccolo, certo, com’era nell’uso,
nemmeno seicento metri, ma poi raddoppiato in
modo tale che lo fece diventare per non pochi anni
il più grande in Italia, l’ippodromo senigalliese era
sorto come punto d’incontro di alcune circostanze:
la crisi della storica Fiera Franca e il desiderio di
farla sopravvivere attraverso la stagione dei bagni;
l’esistenza a Senigallia di un reparto di cavalleria
e di un campo marzio in cui questa teneva le sue
esercitazioni; il fatto che la nobiltà locale, prima in
qualche modo autoctona e campagnola, e poi, in
età umbertina, sempre più attratta nella sfera della
corte romana della regina Margherita, era rimasta
comunque in questa città la classe egemone di
ogni iniziativa.
Un simile incontro aveva fatto nascere in quelle
menti un disegno assai ampio incentrato
interamente sul cavallo:innanzitutto come simbolo
di nobiltà per chi gli sale in groppa; allusivo di
benessere rustico per l’uomo che monta a calesse
in secondo luogo; e infine pane quotidiano per
stallieri, maniscalchi, fiaccherai, carrettieri e per
le loro famiglie. Nella mente ippocentrica dei
promotori – alla cui schiera nessuno appartiene
che sia privo di un titolo davanti al nome – le
corse avrebbero ravvivato l’estate e richiamato la
migliore nobiltà; e rinsanguato la fiera attraverso
un mercato parallelo di cavalli.
Del resto l’idea militare e nobiliare di legare la città
a un cavallo le sorti di questa città (i cui abitanti
erano tutta sesquiplebe, con un’esigua borghesia
in mezzo che cercava piuttosto di nobilitarsi che
di costituirsi in classe autonomamente attiva) non
faceva che doppiare in altro modo l’esperienza
maturata nella gestione della Fenice, coi palchi
condominiali degli aristocratici al centro della
scena e col loggione sopra, esuberante e popolare,
trasportandola all’aperto in un anello dove era una
tribuna per gli aristovip e tutto il resto prato per la
populace, con driver e cavalli a far la parte degli
attori. Si vide così questa città insieme papalina e
anarcoide, militare e bombarola, spendacciona e
miserabile, correre compatta all’ippodromo per
acclamare Gourko e Vandalo, che erano i Varenne
dell’ottocento. Si correva qui, nel grande anello,
al trotto e al galoppo, e in qualche circostanza si
allestivano concorsi di equitazione; tutto questo
avveniva ogni anno ai primi d’agosto, data che
per molti tempo rappresentò il fulcro dell’estate
intera.
Mai però s’era visto in città uno spettacolo
straordinario per qualità di concorrenti e pubblico
come quello che fu allestito qui esattamente
cento anni fa. 6 e 7 agosto 1910. Concorso Ippico
Nazionale - annunciavano i manifesti - sotto l’alto
patronato di S.M. il Re Vittorio Emanuele III e con la
partecipazione di Sua Altezza Reale la Duchessa
d’Aosta Maria Letizia di Savoia Napoleone. Se ne
compiace anche il Monti Guarnieri, che è il primo
annalista e il più consultato custode delle nostre
memorie: “molti concorrenti, esito brillantissimo”.
Notizie più dettagliate si trovano nel numero
di agosto del settimanale La Fiaccola, giornale
laico e garibaldino al quale non si può chiedere
che lasci spazio alla cronaca mondana, nobiliare
e monarchica, che però scrive estesamente
dell’avvenimento declinando con asciutta
precisione le quattro categorie in cui vengono
suddivise le prove, e i nomi degli iscritti a ciascuna,
cavalieri e cavalli.
Il Premio delle Marche è una gara di precisione su
1600 metri riservata a cavalli che non abbiano mai
vinto un premio. Uomo e cavallo devono superare
siepone, staccionata, muro, fence, cancello curvo,
oxer, x, triplice barriera, gabbia cancelli e pianoforte
- e di ciascun ostacolo il programma annota
altezza, distanza, dimensione. Il monte premi è di
1750 lire e il biglietto d’ingresso costa 30 lire.
Il Premio dell’Adriatico è una gara di elevazione
in dieci prove compresi errori e rifiuti, con
premi complessivi di 1100 lire e 20 per entrare e
vederla.
Il Premio Città di Senigallia è invece una gara di
velocità che – sempre su 1600 metri - superati
i primi sei ostacoli già opposti nella gara di
precisione, propone arginello, vol-poum, gabbia
di fence e riviera, tutte cose ben note a un esperto
di equitazione e certamente ai tanti appassionati
che a quel tempo si raccoglievano intorno a
questo tipo di competizioni. Il monte premi sale
qui a 2500 lire e all’entrata sono richieste 35 lire.
La quarta categoria prende il nome di Premio
Patronesse: corsa a siepi per cavalli di ogni razza
lunga 2500 metri “circa”, che possiamo dunque
valutare come due giri completi dell’ippodromo.
E questo è il clou mondano, più ancora che
sportivo, del Concorso Nazionale. Perché certo,
a scorrere l’elenco dei partecipanti con occhi
femminili, in ciascuna delle categorie non si
vedono che begli ufficiali, tenenti nei vari corpi di
cavalleria, che montano cavalli irlandesi, i preferiti
di quegli anni nelle scuole di equitazione. La
duchessa d’Aosta, Maria Letizia, non è soltanto
avvezza a rimirare lo spettacolo di quei cavalieri:
lei stessa è rimirata per l’alto suo grado e per una
fama che la precede, di donna di eletta bellezza
e spregiudicato costume. Chi viene alle corse sa
tutto di lei: questa mezza francese discendente
di Napoleone, che a ventidue anni ritorna in Italia
per sposare suo cugino e invece le fanno sposare
il padre di lui, che è anche suo zio materno,
Foto Archivio Leopoldi
Amedeo, vedovo quarantatreenne e tutt’ora
bell’uomo, figlio di Vittorio Emanuele II e fratello di
re Umberto, somigliante però a Carlo Alberto, che
è molto meglio in quanto a figura e portamento;
e di questo Amedeo, che non è solo primo Duca
d’Aosta, ma a un certo punto addirittura re di
Spagna.
Avevano conosciuto anche lui i senigalliesi perché
la città lo aveva accolto con grande entusiasmo nel
1888 ospitandolo per qualche giorno in Palazzo
Gherardi. Lui però due anni dopo era già morto; e
lei, libera da quel legame, aveva potuto dare fondo
a un suo spirito non convenzionale, e alla passione
per cavalli e motori. Modernista e amica di ogni
innovazione, doveva conoscere bene il “Sistema
Naturale di Equitazione” che il tenente Federico
Caprilli aveva introdotto innovando radicalmente
il modo di stare a cavallo: non più costringendolo a
movimenti per esso innaturali, ma assecondandolo
nei modi spontanei che ognuno poteva osservare
vedendo l’animale correre libero per la campagna.
Bel ganzo, il giovanotto livornese: Maria Letizia
lo aveva amato apertamente trascurando ogni
riguardo all’etichetta di corte ma, accanito
dongiovanni com’era di prammatica ogni ufficiale
di cavalleria, durante una serata di gala lei gli aveva
negato il saluto voltandogli le spalle. Lui allora era
tornato in mezzo ai suoi amici per spiegare che
non era stato niente:“gelosia di donne” aveva detto
in modo che sentissero tutti. Risultato: il tenentino
era stato trasferito a Nola in un reggimento di
punizione e la principessa rinchiusa per qualche
mese in un castello vicino a Torino.
Del resto erano tempi in cui le donne di rango
erano disposte a rischiare qualcosa allo scopo
di farsi valere: la belle époque aveva disegnato
per loro un’immagine invitta, seducente e carica
di significati tenebrosi, e loro cercavano di
corrisponderle con l’arte di rendere vita difficile
a quelli che se ne invaghivano. Si era appunto
concluso a Venezia nel maggio di quel 1910 il
processo a Maria Tarnovska, la Circe del racconto
di Annie Vivanti, i cui amanti morivano a frotte a
causa della gelosia che lei sapeva istillare: processo
seguitissimo che aveva diffuso il costume di una
certa acconciatura che traeva ispirazione dalla sua,
come una fosca aureola alta sopra la fronte, proprio
quella che adesso compariva sulla testa della
duchessa Maria Letizia, talmente vistosa e allusiva
da conferire anche a lei un aspetto da femme fatale
che la rendeva terribilmente alla moda forzandone
probabilmente l’indole e la natura.
Adesso Maria Letizia aveva quarantaquattro anni
ed era – lo potevano vedere di persona i convenuti
al Concorso Ippico di Senigallia – tuttora una bella
donna; e non era colpa sua se il vaghissimo Caprilli
era morto tre anni prima per un’improbabile
caduta da cavallo mentre stava recandosi a un
appuntamento galante con un’attricetta: lei già
aveva un altro, si sentiva dire, pur sempre militare,
di vent’anni più giovane. Che fosse uno dei
cavalieri iscritti al Concorso? Chissà quante parole
saranno passate dalla bocca all’orecchio dei tanti
che avevano pagato le venti lire del biglietto! A
noi però non hanno detto niente; per questo non
ci è dato di conoscere a distanza di cent’anni il
nome del fortunato cui la bella savoiarda avrebbe
lasciato in eredità, come prova d’amore, tutte le
sue sostanze.
Leonardo Badioli
(da “C’era una volta l’ippodromo”, in via di
pubblicazione)
numero 07_Luglio 2010_www.ecomarchenews.com
r u b r i c h e
...IN JAZZ
IL VAGAMONTI
Non lasciare che l’impronta del tuo
a cura di
piede porti via ricordi ed immagini
Paolo Tarsi
a cura di Pietro Motisi
Le PAROLE CROCIATE
di ALE
l’Artigiano
del diritto
risponde
del Club Alpino Italiano
Giunta alla XVIII edizione,
Fano Jazz by the Sea, la
manifestazione diretta
da Adriano Pedini, si conferma come una delle
rassegne estive più interessanti della penisola,
dimostrandosi ancora una volta un importante
punto di riferimento per conoscere le attuali
diramazioni del mondo jazzistico, in cui volti nuovi
affiancano musicisti ormai da tempo consolidati
del panorama internazionale.
Il festival si svolge dal 25 al 31 luglio nella
rinascimentale Corte Malatestiana (in Piazza XX
Settembre) e al Porto Turistico - Marina dei Cesari
dove verranno allestiti il ‘palcoscenico sull’acqua’
e il ‘Jazz Village’, al cui interno si trova il ‘Pala j’,
il jazz club dove si terranno i concerti ‘round
midnight. Due le novità: comparirà un articolo
sul Fano Jazz by the Sea nel magazine Lufthansa
mentre un video slide del festival sarà trasmesso
all’aereoporto di Monaco. Tra gli ospiti di questa
edizione emergono il Fahir Atakoglu Trio featuring
Horacio “El Negro” Hernandez & Alain Caron,
Marcus Miller, il duo di Enrico Rava e Stefano Bollani,
Maceo Parker, Danilo Perez, Ramon Valle Trio che
reinterpreta la tradizione cubana in una rilettura
libera dai facili cliché tipici del latin jazz. Rilevante
anche la presenza della marchigiana Colours
Jazz Orchestra che diretta da Massimo Morganti
presenterà un programma tratto dall’ultimo
lavoro discografico “Quando m’innamoro…in
jazz” e dell’armonicista Max De Aloe, mentre il
bandoneonista argentino Dino Saluzzi e il suo
trio rievocheranno le atmosfere del tango. Altre
sonorità, nate dalle contaminazioni col mondo del
rock, del funk o della rumba congolese, saranno
proposte da artisti quali il polistrumentista
James Carter, i chitarristi Roberto Cecchetto e
Eivind Aarset e il bassista Richard Bona, esclusiva
italiana insieme alla percussionista africana Dobet
Gnahorè. Non manca un sentito omaggio a Django
Reinhardt nel centenario dalla nascita, da parte del
chitarrista francese Loïs Coeurdeuil & César Swing,
a colui che portò le sonorità Gipsy all’interno del
jazz, mentre Omparty & Luca Aquino è un progetto
all’insegna dei profumi etnici in cui il folklore e il
jazz si incontrano per unirsi nell’improvisazione.
Un pianista svedese, un contrabbassista cubano,
un batterista tedesco, costituiscono nel 2003
il Tingvall Trio, formazione che sembra nascere
quasi come un’Araba Fenice dalle ceneri dell’E.
S.T. Trio, per dare vita a una sintesi sonora tra
pop, elettronica e rock in un dinamismo che non
rinuncia a una combinazione tra propulsione
ritmica e linee melodiche quasi di estrazione
classica. Due mondi apparentemente lontani
quello della musica classica e del jazz, che spesso
si sono influenzati a vicenda. Da un lato Duke
Ellington e i suoi arrangiamenti “colti”, dall’altro
gli omaggi al jazz e al tango di Stravisky in lavori
quali “Ragtime” (1918), “Piano Rag Music” (1919),
“Tango”(1940) e “Ebony Concerto” scritto nel 1946
per il clarinettista jazz Woody Herman e ripreso
successivamente anche da Benny Goodman. Del
resto molte pagine di compositori quali George
Gershwin (1898-1937), il futurista George Antheil
(1900-1959), Aaron Copland (1900-1990), Leonard
Bernstein (1918-1990), William Albright (19441998), William Bolcom (*1938) fino agli esponenti
dell’area cosiddetta ”minimalista”, come Steve
Reich (*1936) e l’inglese Gavin Bryars (*1943) o
l’olandese Louis Andriessen (*1939), passando
per il giapponese Toru Takemitsu (1930-1996),
dimostrano quanto siano tutti debitori di una
tradizione afroamericana, che li ha tenuti spesso a
distanza, se non in aperta contrapposizione, con le
varie correnti avanguardistiche eurocentriche del
secolo breve. Così come l’Espressionismo astratto
di Jackson Pollock, l’Action Painting e la poesia
della Beat Generation si sono nutriti di John Cage
e be bop. E il jazz ringrazia diventando “colto”.
Parco dei “Monti delle Cesane”
Fossombrone (Pu)
Tutta l’estate non basterebbe per parlarvi delle
Cesane.
Sentiero Natura: Raggiunte le Cesane (vedi Eco
di giugno) ci dirigiamo versio l’azienda forestale
“Campo d’Asino” (anni fa si potevano avvistare
daini e caprioli), prendete il sentiero n142 sulla
tabella, sulla cartina è indicato il 42, un percorso
di circa 2h dove possiamo ammirare le varietà
floristiche senza dover affrontare dislivelli notevoli.
Incamminandoci subito ci accorgiamo che i pini
sono stati piantati, sono perfettamente allineati, il
sentiero corre leggermente in salita, è abbastanza
ben segnalato, i segni C.A.I “bianco e rosso” e quelli
del Sentiero Natura “bianco e celeste” si alternano
ma quest’ultimi non sono freschi, e quindi meno
visibili. Si costeggia sempre la strada, asfaltata,
e dopo circa trenta minuti si raggiunge un’ area
attrezzata per pic-nic e giochi per bambini. Qui
il sentiero diventa carrozzabile e ci teniamo sulla
destra, alle propaggini del bosco e proseguendo
in leggera salita si raggiunge il sentiero 37 e lo
si percorre verso destra in salita (nelle giornate
di sole utile il cappellino con visiera). In questo
luogo era presente un sentiero ideale per disabili,
non so ora in che condizione si trovi. Ancora più
avanti si incontra il bivio del sentiero 45, che
corre verso sinistra, noi manteniamo la destra e
sempre in salita e su carrozzabile arriviamo ad un
altro bivio, a questo punto possiamo decidere se
continuare verso destra, prendendo il sentiero
Cai n 37, che sale un po’ di più per poi discendere
in maniera più ripida ed incrociare di nuovo il
sentiero natura. L’altra alternativa è proseguire
per la carrozzabile, più comoda e soleggiata e
dove tra un albero e l’altro possiamo godere di
un bel panorama su Fossombrone. Proseguendo
su di essa, dove la salita termina poco dopo si
prosegue in discesa per circa un chilometro,
quando la discesa diventa più ripida, poco dopo
la carrozzabile si biforca e noi si prosegue verso
destra, attenzione segnale bianco e celeste poco
visibile, si sale appena e si entra in un bosco di pini
nero d’Austria, pianta non autoctona ma qualche
studio rileverebbe il contrario. Proseguiamo la
carrozzabile tutta in piano, la stessa non si trova
in buone condizioni, raggiungiamo l’incrocio con
il sentiero 37 e proseguiamo dritti. Poco dopo
la carrozzabile diventa sentiero, attenzione non
è ben tenuto ma si percorre, tra rovi ed alberi
caduti, qui è possibile notare tracce di cinghiale,
il terreno scavato alla base delle piante è causato
da loro scavando con i loro canini/zanne alla
ricerca di radici o larve. il sentiero comincia a
scendere e si raggiunge la strada che in 10 minuti
ci porta all’auto. Purtroppo il percorso che, ripeto
è facilmente percorribile, non è ben tenuto su una
ventina di punti didattici, ne sono rimasti solo
due (è una costante per il nostro appennino che i
sentieri non vengano adeguatamente curati), ma
comunque il divertimento è assicurato.
Da parte nostra devono andare i complimenti
a tutti coloro che hanno lavorato per ottenere
questo, ma purtroppo il 15 maggio 2010 la
comunità montana di Fossombrone ha chiuso
e verrà, dunque, a mancare ossigeno al parco
che da solo non ce la può fare. In questi giorni
abbiamo sentito parlare del demanio in mano
alle Regioni, mi auguro e mi rivolgo ai governatori
che ciò non significhi vendere questi spazi,
montagne, parchi ad aziende indiscriminate che
riempiranno tutto con il cemento e solo per far
soldi. Penso che ci vorrebbe un vincolo dove
gli stessi siano obbligati a mantenere attiva la
sentieristica, ovvero la fruibilità degli spazi. E’
ovvio che gli stessi complimenti andranno rivolti
a tutti coloro che si prenderanno cura del parco e
lo manterranno attivo.
a cura dell’Avvocato
Gabriele Rossini
Vivere in affitto
Locatore è colui che concede in locazione un
immobile. In proposito, forse molti non sanno
che non è necessario che costui sia proprietario dell’immobile oggetto del contratto, né che
sia titolare di un altro diritto reale (come l’usufrutto, l’uso e il diritto di abitazione). La Corte
di Cassazione, infatti, ha da tempo chiarito che
condizione necessaria e sufficiente è che ne
abbia la disponibilità giuridica, la quale deriva
da un rapporto che gli conferisce il potere di
trasferirne ad un altro soggetto la destinazione
(cfr., Cass., civ. 11891/99). Conduttore è naturalmente colui il quale beneficia della disponibilità
dell’unità immobiliare. Un immobile può essere
concesso in locazione per scopi abitativi oppure
ad uso diverso dall’abitativo, altrimenti detti ad
uso commerciale. In questa sede ci occuperemo
delle locazioni di tipo abitativo, per trattare nel
prossimo numero dell’altra tipologia. La l. 9 dicembre 1998, n. 431 ha disposto, per i contratti
di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo
stipulati o rinnovati a decorrere dal 30 dicembre
1998 l’abrogazione del regime di equo canone,
disciplinato dalla l. 392/78 (rimasta in vigore per
le sole locazioni di immobili ad uso commerciale)
e dei patti in deroga di cui al d.l. 333/92 ed anche
l’introduzione di un nuovo regime, che prevede
la facoltà per le parti contraenti di scegliere tra
due tipi di contratti. Il primo è quello cosiddetto
“libero”, in cui il canone è liberamente fissato dai
contraenti e la durata non può essere inferiore
a quattro anni, rinnovabile per altri quattro. Il
secondo, cosiddetto “assistito”, si caratterizza invece per avere una durata fissata in tre anni, rinnovabile per altri due. Per quest’ultima tipologia
contrattuale l’ammontare del canone e le altre
condizioni contrattuali sono già predefinite, in
virtù di accordi nazionali e locali intercorsi tra le
amministrazioni e le associazioni maggiormente rappresentative delle categorie dei locatori e
conduttori. Val la pena segnalare che la l. 431/98
ha previsto una serie di agevolazioni fiscali a favore delle parti che scelgono questo tipo di contratto, come ad es. la riduzione del reddito ai fini
Irpef. Infine, è consentita la stipula di contratti di
locazione aventi una durata inferiore a quella ordinaria, qualora particolari esigenze di entrambe
le parti (es. motivi di lavoro), lo richiedano. A tale
riguardo si parla di locazione di natura transitoria. Poiché, come detto, questa fattispecie costituisce una deroga al regime ordinario, la stessa l.
431/98 richiede il rispetto di talune prescrizioni:
il rispetto del contratto tipo (approvato a livello
nazionale dalla Convezione Nazionale e recepito dagli accordi locali), l’espressa indicazione in
una clausola delle esigenze transitorie sia del
locatore che del conduttore, la previsione della
conferma, durante il rapporto, delle dette esigenze mediante lettera raccomandata da inviare
prima della scadenza del contratto tra le parti e
l’allegazione al contratto della documentazione
comprovante l’esigenza transitoria. L’inottemperanza a tali regole determina la riconduzione del
contratto, quanto alla durata, a quello del canale
libero e, quindi, quattro anni rinnovabili per altri
quattro.
Catamarca
Carni
MACELLERIA
da lunedì a sabato
Carne di Vitello
8:00 - 13:30
16:30 - 20:00
Maiale - Agnello - Pollame
chiuso lunedì pomeriggio
Salumeria e Alimentari
Arrosti pronti
Specialità in taglio: ASADO ARGENTINO
Via Lago di Garda,12 Borgo Ribeca - Senigallia
Cel. 329 9376865/392 0960511
numero 07 Luglio 2010_www.ecomarchenews.com
ORIZZONTALI:
1 Si prende per andare sul lungomare
13 A sud-est confina con il comune di Senigallia
14 È l’associazione italiana progettazione per la
comunicazione visiva (sigla)
15 L’Anderson leader dei Jethro Tull
17 Brescia
18 Un po’ di clamore
19 Grosseto
20 Di fronte alla stazione
23 La prima nota musicale
24 All’entrata dell’ospedale
26 La città natale di Federico II
27 Le prime dell’enalotto
28 Può essere secco
29 Matera
30 La Travel, piccola orchestra di pop-jazz
32 Articolo per signorine
33 Inizio di reumatismi
34 Delle vere catapecchie
37 Il Sean di Milk
38 La parte immersa di un’imbarcazione
40 Grandiosi, pomposi
42 Una nota squadra poliziesca di una serie televisiva
44 Giulietta... senza gita
45 Il riconoscimento che Senigallia ha dal 1997
46 Gruppo musicale giapponese
VERTICALI:
1 Senigallia... per i senigalliesi
2 Timone senza pari
3 Simbolo chimico del tantalio
4 Un’orbita... quasi completa
5 Lo sono cucchiaio e forchetta
6 Alta Tensione
7 Una grande irritazione
8 Il Sud Africa in breve
9 Il più noto medico di Pergamo
10 Come ormai
11 La fine della nenia
12 Occasione, possibilità
16 Fino al 1817 si chiamava Rocca Contrada
18 Una copia perfetta
20 Vi si ricava la mescalina
21 David Anzalone
22 Preposizione articolata
25 Centro Sportivo Italiano
29 Un Pietro olimpionico
31 I genitori della mamma
32 Il Gullotta dello schermo
33 Filtrano il sangue depurandolo
35 Si vorrebbe per il mondo intero
36 Incita a sollevare qualcosa di pesante
37 Piero, ex Litfiba
38 Il taxi a New York
39 Il Rosalino Cellamare della canzone italiana
41 Libro Unico del Lavoro
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