10-15 marzo 2015

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10-15 marzo 2015
ANGELUS
Piazza San Pietro, IV Domenica di Quaresima, 15 marzo 2015
Cari fratelli e sorelle, buongiorno
il Vangelo di oggi ci ripropone le parole rivolte da Gesù a Nicodemo: Dio infatti ha tanto amato il
mondo da dare il Figlio unigenito (Gv3,16). Ascoltando questa parola, rivolgiamo lo sguardo del
nostro cuore a Gesù Crocifisso e sentiamo dentro di noi che Dio ci ama, ci ama davvero, e ci ama
così tanto! Ecco l’espressione più semplice che riassume tutto il Vangelo, tutta la fede, tutta la
teologia: Dio ci ama di amore gratuito e sconfinato.
Così ci ama Dio e questo amore Dio lo dimostra anzitutto nella creazione, come proclama la
liturgia, nella Preghiera eucaristica IV: Hai dato origine all’universo per effondere il tuo amore su
tutte le tue creature e allietarle con gli splendori della tua luce. All’origine del mondo c’è solo
l’amore libero e gratuito del Padre. Sant’Ireneo un santo dei primi secoli scrive: Dio non creò
Adamo perché aveva bisogno dell’uomo, ma per avere qualcuno a cui donare i suoi benefici
(Adversus haereses, IV, 14, 1). È così, l'amore di Dio è così.
Così prosegue la Preghiera eucaristica IV: E quando, per la sua disobbedienza, l’uomo perse la
tua amicizia, tu non l’hai abbandonato in potere della morte, ma nella tua misericordia a tutti sei
venuto incontro. È venuto con la sua misericordia. Come nella creazione, anche nelle tappe
successive della storia della salvezza risalta la gratuità dell’amore di Dio: il Signore sceglie il suo
popolo non perché se lo meriti, ma perché è il più piccolo tra tutti i popoli, come egli dice. E quando
venne “la pienezza del tempo”, nonostante gli uomini avessero più volte infranto l’alleanza, Dio,
anziché abbandonarli, ha stretto con loro un vincolo nuovo, nel sangue di Gesù – il vincolo della
nuova ed eterna alleanza – un vincolo che nulla potrà mai spezzare.
San Paolo ci ricorda: Dio, ricco di misericordia, – mai dimenticarlo è ricco di misericordia – per il
grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con
Cristo (Ef 2,4). La Croce di Cristo è la prova suprema della misericordia e dell’amore di Dio per noi:
Gesù ci ha amati sino alla fine (Gv 13,1), cioè non solo fino all’ultimo istante della sua vita terrena,
ma fino all’estremo limite dell’amore. Se nella creazione il Padre ci ha dato la prova del suo
immenso amore donandoci la vita, nella passione e nella morte del suo Figlio ci ha dato la prova
delle prove: è venuto a soffrire e morire per noi. Così grande è la misericordia di Dio: Egli ci ama,
ci perdona; Dio perdona tutto e Dio perdona sempre.
Maria, che è Madre di misericordia, ci ponga nel cuore la certezza che siamo amati da Dio. Ci stia
vicino nei momenti di difficoltà e ci doni i sentimenti del suo Figlio, perché il nostro itinerario
quaresimale sia esperienza di perdono, di accoglienza e di carità.
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO, prima della Confessione individuale
Basilica Vaticana, Venerdì, 13 marzo 2015
Anche quest’anno, alla vigilia della Quarta Domenica di Quaresima, ci siamo radunati per
celebrare la liturgia penitenziale. Siamo uniti a tanti cristiani che, oggi, in ogni parte del mondo,
hanno accolto l’invito a vivere questo momento come segno della bontà del Signore. Il Sacramento
della Riconciliazione, infatti, permette di accostarci con fiducia al Padre per avere la certezza del
suo perdono. Egli è veramente “ricco di misericordia” e la estende con abbondanza su quanti
ricorrono a Lui con cuore sincero.
Essere qui per fare esperienza del suo amore, comunque, è anzitutto frutto della sua grazia. Come
ci ha ricordato l’apostolo Paolo, Dio non cessa mai di mostrare la ricchezza della sua misericordia
nel corso dei secoli. La trasformazione del cuore che ci porta a confessare i nostri peccati è “dono
di Dio”. Da noi soli non possiamo. Il poter confessare i nostri peccati è un dono di Dio, è un regalo,
è “opera sua” (cfr Ef 2,8-10). Essere toccati con tenerezza dalla sua mano e plasmati dalla sua
grazia ci consente, pertanto, di avvicinarci al sacerdote senza timore per le nostre colpe, ma con la
certezza di essere da lui accolti nel nome di Dio, e compresi nonostante le nostre miserie; e anche
di accostarci senza un avvocato difensore: ne abbiamo uno solo, che ha dato la sua vita per i
nostri peccati! E’ Lui che, con il Padre, ci difende sempre. Uscendo dal confessionale, sentiremo la
sua forza che ridona la vita e restituisce l’entusiasmo della fede. Dopo la confessione saremo
rinati.
Il Vangelo che abbiamo ascoltato (cfr Lc 7,36-50) ci apre un cammino di speranza e di conforto. E’
bene sentire su di noi lo stesso sguardo compassionevole di Gesù, così come lo ha percepito la
donna peccatrice nella casa del fariseo. In questo brano ritornano con insistenza due
parole: amore e giudizio.
C’è l’amore della donna peccatrice che si umilia davanti al Signore; ma prima ancora c’è l’amore
misericordioso di Gesù per lei, che la spinge ad avvicinarsi. Il suo pianto di pentimento e di gioia
lava i piedi del Maestro, e i suoi capelli li asciugano con gratitudine; i baci sono espressione del
suo affetto puro; e l’unguento profumato versato in abbondanza attesta quanto Egli sia prezioso ai
suoi occhi. Ogni gesto di questa donna parla di amore ed esprime il suo desiderio di avere una
certezza incrollabile nella sua vita: quella di essere stata perdonata. E questa certezza è
bellissima! E Gesù le dà questa certezza: accogliendola le dimostra l’amore di Dio per lei, proprio
per lei, una peccatrice pubblica! L’amore e il perdono sono simultanei: Dio le perdona molto, le
perdona tutto, perché ha molto amato (Lc7,47); e lei adora Gesù perché sente che in Lui c’è
misericordia e non condanna. Sente che Gesù la capisce con amore, lei, che è una peccatrice.
Grazie a Gesù, i suoi molti peccati Dio se li butta alle spalle, non li ricorda più (cfr Is 43,25). Perché
anche questo è vero: quando Dio perdona, dimentica. E’ grande il perdono di Dio! Per lei ora inizia
una nuova stagione; è rinata nell’amore a una vita nuova.
Questa donna ha veramente incontrato il Signore. Nel silenzio, gli ha aperto il suo cuore; nel
dolore, gli ha mostrato il pentimento per i suoi peccati; con il suo pianto, ha fatto appello alla bontà
divina per ricevere il perdono. Per lei non ci sarà nessun giudizio se non quello che viene da Dio, e
questo è il giudizio della misericordia. Il protagonista di questo incontro è certamente l’amore, la
misericordia che va oltre la giustizia.
Simone, il padrone di casa, il fariseo, al contrario, non riesce a trovare la strada dell’amore. Tutto è
calcolato, tutto pensato… Egli rimane fermo alla soglia della formalità. E’ una cosa brutta, l’amore
formale, non si capisce. Non è capace di compiere il passo successivo per andare incontro a Gesù
che gli porta la salvezza. Simone si è limitato ad invitare Gesù a pranzo, ma non lo ha veramente
accolto. Nei suoi pensieri invoca solo la giustizia e facendo così sbaglia. Il suo giudizio sulla donna
lo allontana dalla verità e non gli permette neppure di comprendere chi è il suo ospite. Si è fermato
alla superficie – alla formalità – non è stato capace di guardare al cuore. Dinanzi alla parabola di
Gesù e alla domanda su quale servo abbia amato di più, il fariseo risponde correttamente: Colui al
quale ha condonato di più. E Gesù non manca di farlo osservare: Hai giudicato bene (Lc 7,43).
Solo quando il giudizio di Simone è rivolto all’amore, allora egli è nel giusto.
Il richiamo di Gesù spinge ognuno di noi a non fermarsi mai alla superficie delle cose, soprattutto
quando siamo dinanzi a una persona. Siamo chiamati a guardare oltre, a puntare sul cuore per
vedere di quanta generosità ognuno è capace. Nessuno può essere escluso dalla misericordia di
Dio. Tutti conoscono la strada per accedervi e la Chiesa è la casa che tutti accoglie e nessuno
rifiuta. Le sue porte permangono spalancate, perché quanti sono toccati dalla grazia possano
trovare la certezza del perdono. Più è grande il peccato e maggiore dev’essere l’amore che la
Chiesa esprime verso coloro che si convertono. Con quanto amore ci guarda Gesù! Con quanto
amore guarisce il nostro cuore peccatore! Mai si spaventa dei nostri peccati. Pensiamo al figlio
prodigo che, quando decide di tornare dal padre, pensa di fargli un discorso, ma il padre non lo
lascia parlare, lo abbraccia (cfr Lc 15,17-24). Così Gesù con noi. “Padre, ho tanti peccati…” – “Ma
Lui sarà contento se tu vai: ti abbraccerà con tanto amore! Non avere paura”.
Cari fratelli e sorelle, ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua
missione di essere testimone della misericordia. E’ un cammino che inizia con una conversione
spirituale; e dobbiamo fare questo cammino. Per questo ho deciso di indire un Giubileo
straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Sarà un Anno Santo della Misericordia.
Lo vogliamo vivere alla luce della parola del Signore: “Siate misericordiosi come il Padre”
(cfr Lc 6,36). E questo specialmente per i confessori! Tanta misericordia!
Questo Anno Santo inizierà nella prossima solennità dell’Immacolata Concezione e si concluderà il
20 novembre del 2016, Domenica di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo e volto vivo della
misericordia del Padre. Affido l’organizzazione di questo Giubileo al Pontificio Consiglio per la
Promozione della Nuova Evangelizzazione, perché possa animarlo come una nuova tappa del
cammino della Chiesa nella sua missione di portare ad ogni persona il Vangelo della misericordia.
Sono convinto che tutta la Chiesa, che ha tanto bisogno di ricevere misericordia, perché siamo
peccatori, potrà trovare in questo Giubileo la gioia per riscoprire e rendere feconda la misericordia
di Dio, con la quale tutti siamo chiamati a dare consolazione ad ogni uomo e ad ogni donna del
nostro tempo. Non dimentichiamo che Dio perdona tutto, e Dio perdona sempre. Non ci
stanchiamo di chiedere perdono. Affidiamo fin d’ora questo Anno alla Madre della Misericordia,
perché rivolga a noi il suo sguardo e vegli sul nostro cammino: il nostro cammino penitenziale, il
nostro cammino con il cuore aperto, durante un anno, per ricevere l’indulgenza di Dio, per ricevere
la misericordia di Dio.
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ai partecipanti al corso promosso dal Trubunale della PENITENZIERIA APOSTOLICA
Sala Clementina, Giovedì, 12 marzo 2015
Cari fratelli,
...Tra i Sacramenti, certamente quello della Riconciliazione rende presente con speciale efficacia il
volto misericordioso di Dio: lo concretizza e lo manifesta continuamente, senza sosta. Non
dimentichiamolo mai, sia come penitenti che come confessori: non esiste alcun peccato che Dio
non possa perdonare! Nessuno! Solo ciò che è sottratto alla divina misericordia non può essere
perdonato, come chi si sottrae al sole non può essere illuminato né riscaldato.
Alla luce di questo meraviglioso dono di Dio, vorrei sottolineare tre esigenze: vivere il Sacramento
come mezzo per educare alla misericordia; lasciarsi educare da quanto celebriamo; custodire lo
sguardo soprannaturale.
1. Vivere il Sacramento come mezzo per educare alla misericordia, significa aiutare i nostri fratelli
a fare esperienza di pace e di comprensione, umana e cristiana. La Confessione non deve essere
una “tortura”, ma tutti dovrebbero uscire dal confessionale con la felicità nel cuore, con il volto
raggiante di speranza, anche se talvolta – lo sappiamo – bagnato dalle lacrime della conversione e
della gioia che ne deriva (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 44). Il Sacramento, con tutti gli atti del
penitente, non implica che esso diventi un pesante interrogatorio, fastidioso ed invadente. Al
contrario, dev’essere un incontro liberante e ricco di umanità, attraverso il quale poter educare alla
misericordia, che non esclude, anzi comprende anche il giusto impegno di riparare, per quanto
possibile, il male commesso. Così il fedele si sentirà invitato a confessarsi frequentemente, e
imparerà a farlo nel migliore dei modi, con quella delicatezza d’animo che fa tanto bene al cuore –
anche al cuore del confessore! In questo modo noi sacerdoti facciamo crescere la relazione
personale con Dio, così che si dilati nei cuori il suo Regno di amore e di pace.
Tante volte si confonde la misericordia con l’essere confessore “di manica larga”. Ma pensate
questo: né un confessore di manica larga, né un confessore rigido è misericordioso. Nessuno dei
due. Il primo, perché dice: “Vai avanti, questo non è peccato, vai, vai!”. L’altro, perché dice: “No, la
legge dice…”. Ma nessuno dei due tratta il penitente come fratello, lo prende per mano e lo
accompagna nel suo percorso di conversione! L’uno dice: “Vai tranquillo, Dio perdona tutto. Vai,
vai!”. L’altro dice: “No, la legge dice no”. Invece, il misericordioso lo ascolta, lo perdona, ma se ne
fa carico e lo accompagna, perché la conversione sì, incomincia – forse – oggi, ma deve
continuare con la perseveranza… Lo prende su di sé, come il Buon Pastore che va a cercare la
pecora smarrita e la prende su di sé. Ma non bisogna confondere: questo è molto importante.
Misericordia significa prendersi carico del fratello o della sorella e aiutarli a camminare. Non dire
“ah, no, vai, vai!”, o la rigidità. Questo è molto importante. E chi può fare questo? Il confessore che
prega, il confessore che piange, il confessore che sa che è più peccatore del penitente, e se non
ha fatto quella cosa brutta che dice il penitente, è per semplice grazia di Dio. Misericordioso è
essere vicino e accompagnare il processo della conversione.
2. Ed è proprio a voi confessori che dico: lasciatevi educare dal Sacramento della
Riconciliazione! Secondo punto. Quante volte ci capita di ascoltare confessioni che ci edificano!
Fratelli e sorelle che vivono un’autentica comunione personale ed ecclesiale con il Signore e un
amore sincero per i fratelli. Anime semplici, anime di poveri in spirito, che si abbandonano
totalmente al Signore, che si fidano della Chiesa e, perciò, anche del confessore. Ci è dato anche,
spesso, di assistere a veri e propri miracoli di conversione. Persone che da mesi, a volte da anni
sono sotto il dominio del peccato e che, come il figliol prodigo, ritornano in sé stesse e decidono di
rialzarsi e ritornare alla casa del Padre (cfr Lc 15,17), per implorarne il perdono. Ma com’è bello
accogliere questi fratelli e sorelle pentiti con l’abbraccio benedicente del Padre misericordioso, che
ci ama tanto e fa festa per ogni figlio che ritorna a Lui con tutto il cuore!
Quanto possiamo imparare dalla conversione e dal pentimento dei nostri fratelli! Essi ci spingono a
fare anche noi un esame di coscienza: io, sacerdote, amo così il Signore, come questa vecchietta?
Io sacerdote, che sono stato fatto ministro della sua misericordia, sono capace di avere la
misericordia che c’è nel cuore di questo penitente? Io, confessore, sono disponibile al
cambiamento, alla conversione, come questo penitente, del quale sono stato posto al servizio?
Tante volte ci edificano queste persone, ci edificano.
3. Quando si ascoltano le confessioni sacramentali dei fedeli, occorre tenere sempre lo sguardo
interiore rivolto al Cielo, al soprannaturale. Dobbiamo anzitutto ravvivare in noi la consapevolezza
che nessuno è posto in tale ministero per proprio merito; né per le proprie competenze teologiche
o giuridiche, né per il proprio tratto umano o psicologico. Tutti siamo stati costituiti ministri della
riconciliazione per pura grazia di Dio, gratuitamente e per amore, anzi, proprio per misericordia. Io
che ho fatto questo e questo e questo, adesso devo perdonare… Mi viene in mente quel brano
finale di Ezechiele 16, quando il Signore rimprovera con termini molto forti l’infedeltà del suo
popolo. Ma alla fine dice: “Ma io ti perdonerò e ti porrò sopra le tue sorelle – gli altri popoli – per
giudicarli, e tu sarai più importante di loro, e questo lo farò per la tua vergogna, perché ti vergogni
di quello che hai fatto”. L’esperienza della vergogna: io, nel sentire questo peccato, quest’anima
che si pente con tanto dolore o con tanta delicatezza d’animo, sono capace di vergognarmi dei
miei peccati? E questa è una grazia. Siamo ministri della misericordia grazie alla misericordia di
Dio; non dobbiamo mai perdere questo sguardo soprannaturale, che ci rende davvero umili,
accoglienti e misericordiosi verso ogni fratello e sorella che chiede di confessarsi. E se io non ho
fatto questo, non sono caduto in quel brutto peccato o non sono in carcere, è per pura grazia di
Dio, soltanto per questo! Non per merito proprio. E questo dobbiamo sentirlo nel momento
dell’amministrazione del Sacramento. Anche il modo di ascoltare l’accusa dei peccati dev’essere
soprannaturale: ascoltare in modo soprannaturale, in modo divino; rispettoso della dignità e delle
storia personale di ciascuno, così che possa comprendere che cosa Dio vuole da lui o da lei. Per
questo la Chiesa è chiamata ad iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – all’“arte
dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra
dell’altro (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium,169). Anche il più grande peccatore che viene davanti a
Dio a chiedere perdono è “terra sacra”, e anch’io che devo perdonarlo in nome di Dio posso fare
cose più brutte di quelle che ha fatto lui. Ogni fedele penitente che si accosta al confessionale è
“terra sacra”, terra sacra da “coltivare” con dedizione, cura e attenzione pastorale.
Vi auguro, cari fratelli, di approfittare del tempo quaresimale per la conversione personale e per
dedicarvi generosamente all’ascolto delle Confessioni, così che il popolo di Dio possa giungere
purificato alla festa di Pasqua, che rappresenta la vittoria definitiva della Divina Misericordia su
tutto il male del mondo. Affidiamoci all’intercessione di Maria, Madre della Misericordia e Rifugio
dei peccatori. Lei sa come aiutarci, noi peccatori. A me piace tanto leggere le Storie di sant’Alfonso
Maria de’ Liguori, e i diversi capitoli del suo libro “Le glorie di Maria”. Queste storie della Madonna,
che sempre è il rifugio dei peccatori e cerca la strada perché il Signore perdoni tutto. Che Lei ci
insegni questa arte.
Vi benedico di cuore e, per favore, vi chiedo di pregare per me. Grazie.
Casa S. Marta, Giovedì, 12 marzo 2015, Cuori
pietrificati
Oggi cominciamo a meditare sulla preghiera del salmo responsoriale: Non indurite il vostro cuore
Perché accade questo?. Ci aiuta il profeta Geremia 7, 23-28 dove è, per così dire, sintetizzata la
storia di Dio. Ma come, ci si potrebbe chiedere, Dio ha una storia?. Come è possibile visto che Dio
è eterno? È vero ma dal momento che Dio è entrato in dialogo con il suo popolo, è entrato nella
storia.
E quella di Dio con il suo popolo è una storia triste perché Dio ha dato tutto e in cambio soltanto ha
ricevuto cose brutte. Il Signore aveva detto: Ascoltate la mia voce: io sarò il vostro Dio e voi sarete
il mio popolo. Camminate sempre sulla strada che vi prescriverò e così sarete felici. Quella era la
strada per la felicità. Ma essi non ascoltarono, né prestarono orecchio e anzi: procedettero
ostinatamente secondo il loro cuore malvagio: non volevano, cioè, ascoltare la Parola di Dio.
Questa sceltaha caratterizzato tutta la storia del popolo di Dio: pensiamo all’assassinio, alla morte
di Abele, ucciso da suo fratello, cuore malvagio di invidia. Nonostante però il popolo abbia
continuamente voltato le spalle al Signore, egli afferma: Io non mi sono stancato. E invia con
assidua premura i profeti. Ancora, però, gli uomini non hanno ascoltato. Anzi, si legge nella
Scrittura, hanno reso dura la loro cervice divenendo peggiori dei loro padri. E così la situazione del
popolo di Dio è peggiorata, nelle generazioni.
Il Signore dice a Geremia: Di’ tutte queste cose, ma non ti ascolteranno, non ti risponderanno. E tu
dirai: questa è la nazione che non ascolta la voce del Signore, né accetta la correzione. E poi, ha
sottolineato il Papa, aggiunge una parola terribile: “La fedeltà è sparita. Voi non siete un popolo
fedele”. Qui sembra che Dio pianga: Ti ho amato tanto, ti ho dato tanto e tu... tutto contro di me.
Un pianto che ricorda quello di Gesù guardando Gerusalemme. Del resto nel cuore di Gesù c’era
tutta questa storia, dove la fedeltà era sparita. Una storia di infedeltà che riguarda la nostra storia
personale, perché noi facciamo la nostra volontà. Ma facendo questo, nel cammino della vita
seguiamo una strada di indurimento: il cuore si indurisce, si pietrifica. La parola del Signore non
entra. Il popolo si allontana. Per questo oggi, in questo giorno quaresimale, possiamo domandarci:
Io ascolto la voce del Signore, o faccio quello che io voglio, quello che a me piace?.
Il consiglio del salmo responsoriale — Non indurite il vostro cuore — si ritrova tante volte nella
Bibbia dove, per spiegare l’infedeltà del popolo, si usa spesso la figura dell’adultera. Ecco il brano
famoso di Ezechiele 16: Tutta una storia di adulterio, è la tua. Tu, popolo, non sei stato fedele a
me, sei un popolo adultero. O anche le tante volte in cui Gesù rimprovera questo cuore indurito ai
discepoli, come fece con quelli di Emmaus: O stolti e duri di cuore!.
Il cuore malvagio e tutti ne abbiamo un pezzettino non ci lascia capire l’amore di Dio. Noi vogliamo
essere liberi, ma con una libertà che alla fine ci fa schiavi, e non con quella libertà dell’amore che
ci offre il Signore.
Questo succede anche alle istituzioni: ad esempio Gesù guarisce una persona, ma il cuore di
questi dottori della legge, di questi sacerdoti, di questo sistema legale era tanto duro, sempre
cercavano scuse. E così gli dicono: Ma tu cacci i demoni in nome del demonio. Tu sei uno
stregone demoniaco. Sono cioè dei legalisti che credono che la vita della fede sia regolata soltanto
dalle leggi che fanno loro. Per loro Gesù usa quella parola: ipocriti, sepolcri imbiancati, tanto belli
al di fuori ma dentro pieni di putredine e di ipocrisia.
Purtroppo, ha detto Francesco, lo stesso è accaduto nella storia della Chiesa. Pensiamo alla
povera Giovanna d’Arco: oggi è santa! Poverina: questi dottori l’hanno bruciata viva, perché
dicevano che era eretica. O ancora più vicino nel tempo, pensiamo al beato Rosmini: tutti i suoi
libri all’indice. Non si potevano leggere, era peccato leggerli. Oggi è beato. Nella storia di Dio con il
suo popolo, il Signore mandava, per dirgli che amava il suo popolo, i profeti. E nella Chiesa, il
Signore manda i santi. Sono loro che portano avanti la vita della Chiesa: sono i santi. Non sono i
potenti, non sono gli ipocriti. Sono l’uomo santo, la donna santa, il bambino, il ragazzo santo, il
prete santo, la suora santa, il vescovo santo...: quelli cioè che non hanno il cuore indurito, ma
sempre aperto alla parola d’amore del Signore, quelli che non hanno paura di lasciarsi
accarezzare dalla misericordia di Dio. Per questo i santi sono uomini e donne che capiscono tante
miserie, tante miserie umane, e accompagnano il popolo da vicino. Non disprezzano il popolo.
Con questo popolo che ha perso la fedeltà il Signore è chiaro: Chi non è con me, è contro di me.
Qualcuno potrebbe chiedere: Ma non ci sarà una via di compromesso, un po’ di qua e un po’ di là?
No, ha detto il Pontefice, o tu sei sulla via dell’amore, o tu sei sulla via dell’ipocrisia. O tu ti lasci
amare dalla misericordia di Dio, o tu fai quello che tu vuoi, secondo il tuo cuore che si indurisce di
più, ogni volta, su questa strada. Non c’è, ha ribadito, una terza via di compromesso: o sei santo, o
vai per l’altra via. E chi non raccoglie con il Signore, non solo lascia le cose, ma peggio: disperde,
rovina. È un corruttore. È un corrotto, che corrompe.
Per questa infedeltà Gesù pianse su Gerusalemme e su ognuno di noi. Nel capitolo 23 di Matteo,
si legge una maledizione terribile contro i dirigenti che hanno il cuore indurito e vogliono indurire il
cuore del popolo. Dice Gesù: Verrà su di loro il sangue di tutti gli innocenti, incominciando da
quello di Abele. Saranno i colpevoli di tanto sangue innocente, versato dalla loro malvagità, dalla
loro ipocrisia, dal loro cuore corrotto, indurito, pietrificato.
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro, Mercoledì, 11 marzo 2015
La Famiglia - 7. I Nonni (II)
Cari fratelli e sorelle, buongiorno.
Nella catechesi di oggi proseguiamo la riflessione sui nonni, considerando il valore e l’importanza
del loro ruolo nella famiglia. Lo faccio immedesimandomi in queste persone, perché anch’io
appartengo a questa fascia di età.
Quando sono stato nelle Filippine, il popolo filippino mi salutava dicendo: “Lolo Kiko” – cioè nonno
Francesco - “Lolo Kiko”, dicevano! Una prima cosa è importante sottolineare: è vero che la società
tende a scartarci, ma di certo non il Signore. Il Signore non ci scarta mai. Lui ci chiama a seguirlo
in ogni età della vita, e anche l’anzianità contiene una grazia e una missione, una
vera vocazione del Signore. L’anzianità è una vocazione. Non è ancora il momento di “tirare i remi
in barca”. Questo periodo della vita è diverso dai precedenti, non c’è dubbio; dobbiamo anche un
po’ “inventarcelo”, perché le nostre società non sono pronte, spiritualmente e moralmente, a dare
ad esso, a questo momento della vita, il suo pieno valore. Una volta, in effetti, non era così
normale avere tempo a disposizione; oggi lo è molto di più. E anche la spiritualità cristiana è stata
colta un po’ di sorpresa, e si tratta di delineare una spiritualità delle persone anziane. Ma grazie a
Dio non mancano le testimonianze di santi e sante anziani!
Sono stato molto colpito dalla “Giornata per gli anziani” che abbiamo fatto qui in Piazza San
Pietro lo scorso anno, la piazza era piena. Ho ascoltato storie di anziani che si spendono per gli
altri, e anche storie di coppie di sposi, che dicevano: “Facciamo il 50.mo di matrimonio, facciamo il
60.mo di matrimonio”. È importante farlo vedere ai giovani che si stancano presto; è importante la
testimonianza degli anziani nella fedeltà. E in questa piazza erano tanti quel giorno. E’ una
riflessione da continuare, in ambito sia ecclesiale che civile. Il Vangelo ci viene incontro con
un’immagine molto bella commovente e incoraggiante. E’ l’immagine di Simeone e di Anna, dei
quali ci parla il vangelo dell’infanzia di Gesù composto da san Luca. Erano certamente anziani, il
“vecchio” Simeone e la “profetessa” Anna che aveva 84 anni. Non nascondeva l’età questa donna.
Il Vangelo dice che aspettavano la venuta di Dio ogni giorno, con grande fedeltà, da lunghi anni.
Volevano proprio vederlo quel giorno, coglierne i segni, intuirne l’inizio. Forse erano anche un po’
rassegnati, ormai, a morire prima: quella lunga attesa continuava però a occupare tutta la loro vita,
non avevano impegni più importanti di questo: aspettare il Signore e pregare. Ebbene, quando
Maria e Giuseppe giunsero al tempio per adempiere le disposizioni della Legge, Simeone e Anna
si mossero di slancio, animati dallo Spirito Santo (cfr Lc 2,27). Il peso dell’età e dell’attesa sparì in
un momento. Essi riconobbero il Bambino, e scoprirono una nuova forza, per un nuovo compito:
rendere grazie e rendere testimonianza per questo Segno di Dio. Simeone improvvisò un
bellissimo inno di giubilo (cfr Lc 2,29-32) – è stato un poeta in quel momento - e Anna divenne la
prima predicatrice di Gesù: parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di
Gerusalemme (Lc 2,38).
Cari nonni, cari anziani, mettiamoci nella scia di questi vecchi straordinari! Diventiamo anche noi
un po’ poeti della preghiera: prendiamo gusto a cercare parole nostre, riappropriamoci di quelle
che ci insegna la Parola di Dio. E’ un grande dono per la Chiesa, la preghiera dei nonni e degli
anziani! La preghiera degli anziani e dei nonni è un dono per la Chiesa, è una ricchezza! Una
grande iniezione di saggezza anche per l’intera società umana: soprattutto per quella che è troppo
indaffarata, troppo presa, troppo distratta. Qualcuno deve pur cantare, anche per loro, cantare i
segni di Dio, proclamare i segni di Dio, pregare per loro! Guardiamo a Benedetto XVI, che ha
scelto di passare nella preghiera e nell’ascolto di Dio l’ultimo tratto della sua vita! E’ bello questo!
Un grande credente del secolo scorso, di tradizione ortodossa, Olivier Clément, diceva: “Una civiltà
dove non si prega più è una civiltà dove la vecchiaia non ha più senso. E questo è terrificante, noi
abbiamo bisogno prima di tutto di anziani che pregano, perché la vecchiaia ci è data per questo”.
Abbiamo bisogno di anziani che preghino perché la vecchiaia ci è data proprio per questo. E’ una
cosa bella la preghiera degli anziani.
Noi possiamo ringraziare il Signore per i benefici ricevuti, e riempire il vuoto dell’ingratitudine che lo
circonda. Possiamo intercedere per le attese delle nuove generazioni e dare dignità alla memoria e
ai sacrifici di quelle passate. Noi possiamo ricordare ai giovani ambiziosi che una vita senza amore
è una vita arida. Possiamo dire ai giovani paurosi che l’angoscia del futuro può essere vinta.
Possiamo insegnare ai giovani troppo innamorati di sé stessi che c’è più gioia nel dare che nel
ricevere. I nonni e le nonne formano la “corale” permanente di un grande santuario spirituale, dove
la preghiera di supplica e il canto di lode sostengono la comunità che lavora e lotta nel campo della
vita.
La preghiera, infine, purifica incessantemente il cuore. La lode e la supplica a Dio prevengono
l’indurimento del cuore nel risentimento e nell’egoismo. Com’è brutto il cinismo di un anziano che
ha perso il senso della sua testimonianza, disprezza i giovani e non comunica una sapienza di vita!
Invece com’è bello l’incoraggiamento che l’anziano riesce a trasmettere al giovane in cerca del
senso della fede e della vita! E’ veramente la missione dei nonni, la vocazione degli anziani. Le
parole dei nonni hanno qualcosa di speciale, per i giovani. E loro lo sanno. Le parole che la mia
nonna mi consegnò per iscritto il giorno della mia ordinazione sacerdotale, le porto ancora con me,
sempre nel breviario e le leggo spesso e mi fa bene.
Come vorrei una Chiesa che sfida la cultura dello scarto con la gioia traboccante di un nuovo
abbraccio tra i giovani e gli anziani! E questo è quello che oggi chiedo al Signore, questo
abbraccio!
Casa S. Marta, Martedì, 10 marzo 2015, Porta aperta
Chiedere perdono non è un semplice chiedere scusa. E non è facile, così come non è facile
ricevere il perdono di Dio: non perché lui non voglia darcelo, ma perché noi chiudiamo la porta non
perdonando gli altri. Nell’omelia della messa a Santa Marta di martedì 10 marzo, Papa Francesco
ha aggiunto un tassello alla riflessione sul cammino penitenziale che caratterizza la quaresima: il
tema del perdono.
La riflessione è partita dal brano della prima lettura, tratto dal libro del profeta Daniele (3, 25.3443), nel quale si legge del profeta Azaria che era nella prova e ricordò la prova del suo popolo, che
era schiavo. Ma, ha puntualizzato il Pontefice, il popolo non era schiavo per caso: era schiavo
perché aveva abbandonato la legge del Signore, perché aveva peccato. Perciò Azaria prega così:
Non ci abbandonare fino in fondo, per amore del tuo nome! Non ritirare da noi la tua misericordia!
Noi siamo diventati più piccoli, abbiamo peccato. Oggi siamo umiliati. Oggi chiediamo misericordia.
Azaria, cioè, si pente. Chiede perdono del peccato del suo popolo. Il profeta, quindi, nella prova
non si lamenta davanti a Dio, non dice: Ma tu sei ingiusto con noi, guarda cosa ci accade
adesso.... Egli afferma invece: Abbiamo peccato e noi meritiamo questo. Ecco il dettaglio
fondamentale: Azaria aveva il senso del peccato.
Il Papa ha poi fatto notare anche che Azaria non dice al Signore: Scusa, abbiamo sbagliato. Infatti
chiedere perdono è un’altra cosa, è un’altra cosa che chiedere scusa. Si tratta di due atteggiamenti
differenti: il primo si limita alla richiesta di scuse, il secondo implica il riconoscimento di aver
peccato.
Il peccato infatti non è un semplice sbaglio. Il peccato è idolatria, è adorare i tanti idoli che noi
abbiamo: l’orgoglio, la vanità, il denaro, il me stesso, il benessere. Ecco perché Azaria non chiede
semplicemente scusa, ma chiede perdono.
Il brano liturgico del Vangelo di Matteo (18, 21-35) ha quindi portato Francesco ad affrontare l’altra
faccia del perdono: dal perdono chiesto a Dio al perdono dato ai fratelli. Pietro pone una domanda
a Gesù: Signore, se mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli?. Nel
Vangelo non sono tanti i momenti in cui una persona chiede perdono ha spiegato il Papa,
ricordando alcuni di questi episodi. C’è, ad esempio, la peccatrice che piange sui piedi di Gesù e
bagna i piedi con le sue lacrime, li asciuga con i suoi capelli: in quel caso, ha detto il Pontefice,
quella donna ha peccato molto, ha amato molto e chiede perdono. Poi si potrebbe ricordare
l’episodio in cui Pietro, dopo la pesca miracolosa, dice a Gesù: “Allontanati da me, ché io sono un
peccatore”: lì però lui si accorge che non ha sbagliato, che c’è un’altra cosa dentro di lui. Ancora, si
può ripensare a quando Pietro piange, la notte del giovedì santo, quando Gesù lo guarda.
In ogni caso, sono pochi i momenti in cui si chiede perdono. Ma nel brano proposto dalla liturgia
Pietro chiede al Signore quale deve essere la misura del nostro perdono: Sette volte, soltanto?.
All’apostolo Gesù risponde con un gioco di parole che significa “sempre”: settanta volte sette, cioè
tu devi perdonare sempre.
Qui, ha sottolineato Francesco, si parla di perdonare, non semplicemente di una richiesta di scuse
per uno sbaglio: perdonare a quello che mi ha offeso, che mi ha fatto del male, a quello che con la
sua malvagità ha ferito la mia vita, il mio cuore.
Ecco allora la domanda per ciascuno di noi: Qual è la misura del mio perdono?. La risposta può
venire dalla parabola raccontata da Gesù, quella dell’uomo al quale è stato perdonato tanto, tanto,
tanto, tanti soldi, tanti, milioni, e che poi, ben contento del suo perdono, esce e trova un compagno
che forse aveva un debito di 5 euro e lo manda in carcere. L’esempio è chiaro: Se io non sono
capace di perdonare, non sono capace di chiedere perdono. Perciò Gesù ci insegna a pregare
così, il Padre: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
Che cosa significa in concreto? Papa Francesco ha risposto immaginando il dialogo con un
penitente: Ma, padre, io mi confesso, vado a confessarmi... — E che fai, prima di confessarti? —
Ma, io penso alle cose che ho fatto male — Va bene — Poi chiedo perdono al Signore e prometto
di non farne più... — Bene. E poi vai dal sacerdote?. Ma prima ti manca una cosa: hai perdonato a
quelli che ti hanno fatto del male?. Se la preghiera che ci è stata suggerita è: Rimetti i nostri debiti
come noi li rimettiamo agli altri, sappiamo che il perdono che Dio ti darà richiede il perdono che tu
dai agli altri.
In conclusione Francesco ha così riassunto la meditazione: innanzitutto, chiedere perdono non è
un semplice chiedere scusa ma è essere consapevoli del peccato, dell’idolatria che io ho fatto,
delle tante idolatrie; in secondo luogo, Dio sempre perdona, sempre, ma richiede anche che io
perdoni, perché se io non perdono, in un certo senso è come se chiudessi la porta al perdono di
Dio. Una porta invece che dobbiamo mantenere aperta: lasciamo entrare il perdono di Dio affinché
possiamo perdonare gli altri.