RQDA 1.2011 copertina generale - Rivista quadrimestrale di Diritto
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RQDA 1.2011 copertina generale - Rivista quadrimestrale di Diritto
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL’AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 G. Giappichelli editore INDICE ARTICOLI GIAN DOMENICO COMPORTI, La responsabilità per danno ambientale Pag. 2 GIUSEPPE MANFREDI, Cambiamenti climatici e principio di precauzione Pag. 28 EMANUELE BOSCOLO, La gestione integrata delle zone costiere in Italia: prospettivePag. 40 e prime esperienze SILVIA SALARDI, Sustainable development: Definitions and Models of legal regulation. Some legal-theoretical outlines on the role of law Pag. 77 NOTE A SENTENZA ANTONIO COLAVECCHIO, Il “punto” sulla giurisprudenza costituzionale in tema di impianti da fonti rinnovabili (nota a Corte Cost., 22 dicembre 2010, n. 366) Pag. 100 ENRICA BLASI, Il divieto di commercializzazione degli shopper non biodegradabili: Pag. 123 insidie e prospettive della riforma (nota a Ordinanza Tar Roma, 25 febbraio 2011 n. 740) OSSERVATORIO GIAN FRANCO CARTEI, The Implementation of the European Landscape Convention: Pag. 148 the Legal Perspective. MARCOS ALMEIDA CERREDA, DIANA SANTIAGO IGLESIAS, La salvaguardia del paesaggio in Galizia: situazione attuale e prospettive future. Pag. 157 MARTA D'AURIA, Cancun: per il “post-Kyoto” occorre attendere Durban. (documenti) Opening of the sixteenth session of the Conference of the Parties (documenti) Comunicato dell'Unione Europea sulla Conferenza di Cancun del 11 dicembre 2010 Pag. 189 Pag. 192 Pag. 195 FRANCESCO FONDERICO, ANDREA FARÌ, Rassegna della normativa ambientale dell'ultimo anno Pag. 197 INDEX ARTICLES GIAN DOMENICO COMPORTI, The liability for environmental damage Pag. 2 GIUSEPPE MANFREDI, Climate change and the precautionary principle Pag. 28 EMANUELE BOSCOLO, The integrated Coastal Zone Management in Italy: firstPag. 40 experiences and perspectives SILVIA SALARDI, Sustainable development: Definitions and Models of legal regulation. Some legal-theoretical outlines on the role of law Pag. 77 NOTE A SENTENZA ANTONIO COLAVECCHIO, The point on the constitutional jurisprudence on the subject Pag. 100 of renewable energy plants (note to the Constitution Court, December 22, 2010, No 366) ENRICA BLASI, The prohibition of marketing of non-biodegradable shopping bags: Pag. 123 dangers and prospects of the reform (note to Ordinance Tar Rome, February 25, 2011 No 740) OSSERVATORIO GIAN FRANCO CARTEI, The Implementation of the European Landscape Convention: Pag. 148 the Legal Perspective. MARCOS ALMEIDA CERREDA, DIANA SANTIAGO IGLESIAS, The landscape conservation in Galicia: current situation and future prospects. Pag. 157 MARTA D'AURIA, Cancun: the "post-Kyoto" must wait Durban. (documenti) Opening of the sixteenth session of the Conference of the Parties (documenti) Comunicato dell'Unione Europea sulla Conferenza di Cancun del 11 dicembre 2010 Pag. 189 Pag. 192 Pag. 195 FRANCESCO FONDERICO, ANDREA FARÌ, Review of environmental legislation of the last year Pag. 197 ARTICOLI RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 GIAN DOMENICO COMPORTI1 La responsabilità per danno ambientale2 SOMMARIO: 1. La lezione dei fatti. – 2. Il ruolo strategico, ma non esaustivo della responsabilità civile. – 3. Il carattere relazionale dei rimedi al danno ed i limiti dell’approccio tipologico. – 4. L’operazione rimediale ed i suoi principi: la priorità della tutela in forma specifica e la procedimentalizzazione della responsabilità. – 5. Il carattere residuale del risarcimento per equivalente ed il ruolo strategico della valutazione economica dei danni. – 6. Conclusioni. 1. La lezione dei fatti. Per condurre un’analisi adeguata del tema ed evitare di incagliarsi subito nelle dispute di carattere ideologico e di principio che, soprattutto quando si parla di responsabilità e di ambiente, finiscono per prevalere su una documentata analisi della realtà, pare utile partire dall’analisi dei fatti. Ciò anche perché è stato da tempo notato che le questioni su cui dibattono i giuristi sono sovente il frutto di un «processo elaborativo che si compie in altre sedi»3. Da queste vicende periferiche conviene, dunque, prendere le mosse per mettere progressivamente a fuoco le dinamiche che si mettono in moto al verificarsi di un danno ambientale, per tale intendendosi qualunque accadimento o evento che possa avere effetti dannosi sull’ambiente nel suo complesso. Partendo dall’episodio più recente, ancora oggi in fase di evoluzione, può così ricordarsi che il 20 aprile 2010 un’esplosione ha colpito la Deepwater Horizon, una piattaforma petrolifera della compagnia svizzera Transocean che eseguiva perforazioni per conto della British Petroleum a 50 km dalle coste della Louisiana. 11 operai sono morti e 17 sono rimasti gravemente feriti, ma alla tragedia che ha colpito i lavoratori si è aggiunto il danno ambientale: la fuoriuscita di migliaia di barili di petrolio al giorno dai due buchi posizionati nella trivella a 5.000 metri di profondità. Nel suo discorso televisivo del 15 giugno 2010, il Presidente Usa Obama ha parlato del peggiore disastro ambientale che ha colpito l’America: infatti, non si è trattato di un incidente da utilizzo, né di un evento che ha prodotto un unico effetto in un limitato arco temporale, ma di una specie di epidemia (così l’ha definita Obama) che produrrà conseguenze a molteplici livelli 1 ∗ Professore ordinario di Diritto amministrativo, Università degli Studi di Siena 2 Relazione presentata al Convegno su «Principio di precauzione e impianti petroliferi costieri», Livorno, 17 settembre 2010. 3 Chiarisce bene simili aspetti S. NESPOR, Il dibattito internazionale sulla responsabilità per danno ambientale, in B. POZZO (a cura di), La nuova responsabilità civile per danno all’ambiente, Giuffrè, Milano, 2002, pp.19 e 3. 2 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 nei prossimi anni. Lo stesso Obama ha poi analizzato in serie le azioni avviate e quelle da intraprendere: a) anzitutto, la creazione di un team di scienziati e anche tecnici di BP, con il compito di trovare il modo di bloccare la fuoriuscita di petrolio; a tale operazione tecnica, si è associata un’attività di c.d. clean up condotta da un insieme di circa 30.000 uomini operanti presso 4 Stati sotto la direzione dell’ammiraglio Thad Allen; b) poi, le prime richieste risarcitorie, che hanno messo in allarme i vertici dell’azienda ed il governo britannico per le possibili ricadute negative sul valore delle azioni (a metà giugno è stata decisa l’istituzione di un fondo costituito da 20 miliardi di dollari e gestito in modo terzo ed indipendente da Kennet Feinberg, che ha gestito anche il fondo per le vittime dell’11 settembre; mentre BP ha reso noto che sono state presentate oltre 106.000 domande di risarcimento a fonte delle quali sono stati erogati 164,9 milioni di dollari; nessuna richiesta è stata respinta e sono presenti sul posto più di 1.050 periti); c) quindi, un piano a lungo termine (long term Gulf Coast Restoration Plan) per ripristinare le bellezze della regione colpita e l’istituzione di una commissione nazionale di indagine per scoprire le cause del disastro e suggerire raccomandazioni per migliorare gli standards di protezione e sicurezza nei casi di perforazioni offshore (la National Commission on the BP Deepwater Horizon Oil Spill and Offshore Drilling è stata costituita con l’executive order del 21 maggio 2010 che ha concesso 6 mesi di tempo per produrre un final public report). Nel riassumere il proprio punto di vista, Obama ha infine sottolineato come l’unico approccio che è inaccettabile in casi del genere è l’inazione, apparendo inammissibile il principio del «too big and too difficult to meet». Questa sintesi evidenzia la comparsa sulla scena del sito inquinato di una pluralità di attori (politici, tecnici, economici e, in senso lato, sociali), ciascuno dei quali rispondenti a logiche di responsabilità e di azione differenti. Elementi ricorrenti di un collaudato copione appaiono i seguenti: a) percezione della novità dell’evento e della sua entità: ogni episodio viene avvertito come nuovo e più grave nella storia dell’umanità. Anche negli anni passati è così accaduto che gravi fenomeni di inquinamento siano stati salutati come disastri ecologici di entità epocale. Concentrando l’attenzione sulla più diffusa tipologia di inquinamento marino 4, quella derivante dalla navigazione, si possono citare i seguenti casi. Nel marzo del 1989 la petroliera Exxon Valdez si incagliò su un fondale basso e roccioso della baia di Prince William, rovesciando in mare 50.000 tonnellate di greggio che inquinarono 1.900 km di coste dell’Alaska meridionale. Si stima che tale evento abbia provocato la morte di 250.000 mila uccelli marini, 2.800 lontre, 300 foche, 250 acquile di mare e 22 orche; oltre alla 4 Secondo recenti calcoli dell’International Owners Pollution Federation, citati da L. CRISTOFARO, Una panoramica sulle principali forme di inquinamento dell’ambiente marino, in Diritto all’ambiente, 2009, dal 1970 a causa di incidenti alle petroliere sarebbero stati versati in mare circa 5,65 milioni di tonnellate di petrolio greggio. 3 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 perdita di lavoro dei pescatori della zona ed a danni immensi all’economia della regione. Il 2 dicembre 1999 la petroliera Erika battente bandiera maltese affondava a circa 70 km a largo della punta di Penmarc’h (Francia) versando in mare circa 20.000 tonnellate di petrolio su un’area di circa 400 km di costa. b) spettacolarizzazione della risposta sul piano politico. E’ noto che la denuncia di problematiche diffuse, a rilevante impatto sociale e, dunque, ad alta visibilità (l’inquinamento, come la sicurezza pubblica, la povertà, il debito pubblico, ecc.) costituisce tecnica altamente redditizia in termini di consenso: denunciare costa poco e rende molto, perché nobilita e manifesta l’impegno di una certa parte politica su tematiche di interesse generale. Inoltre, più è elevato il tono della denuncia ed il livello di allarme diffuso nell’immediatezza dei fatti, più si creano i presupposti per proclamare il successo delle iniziative intraprese. Non a caso, per tornare al caso californiano, all’allarmato messaggio televisivo del 15 giugno hanno fatto seguito: il 4 agosto – lo stesso giorno in cui BP annunciava il definitivo stop kill del vulcano petrolifero - il rapporto «BP Deepwater Horizon Oil Budget: What Happened To the Oil?» del National Incident Command (Nic) della National Oceanic and Atmosphere Administration (Noaa) e di altre agenzie federali del governo Usa, che annunciava, in toni giudicati da Greenpeace Usa anche troppo ottimistici, che il 74% del greggio sversato sarebbe evaporato o bruciato e che dunque rimarrebbe disperso solo il 24% di una marea nera calcolata in 4 milioni e 900 mila barili dal Flow rate techical group creato da Obama; le dichiarazioni della geochimica Jaqueline Missel che coordina la pulitura delle coste della Lousiana: «l’impatto è stato molto, molto inferiore a quel che si era temuto»; fino al liberatore bagno di Obama e della figlia Sasha nelle salmastre acque di Panama City il giorno di Ferragosto dinanzi ad una folla di fotografi, il cui messaggio è chiaro: non abbiate paura, le acque non sono così inquinate come credevamo e la situazione è ormai sotto controllo. c) attivazione di un tavolo di tecnici ed esperti scientifici per capire le cause dell’accaduto e trovare i rimedi specifici. d) intervento a livello regolatorio per introdurre limiti e controlli più stringenti. Così, in risposta al caso Exxon Mobil, nel 1990 gli Usa hanno adottato l’Oil Pollution Act che ha imposto l’obbligo del doppio scafo a tutte le navi che volessero approdato nei porti americani; in conseguenza di ciò, l’Organizzazione Marittima Internazionale (Omi) ha introdotto l’obbligo del doppio scafo nella Convenzione internazionale sulla prevenzione dell’inquinamento causato dalle navi (Convenzione Marpol firmata a Londra il 2 novembre 1973); pertanto tutte le navi consegnate a partire dal luglio 1996 devono essere equipaggiate con un’intercapedine di circa 1,5/2 metri tra lo scafo esterno e le cisterne di carico per contenere la eventuale fuoriscita di petrolio. Il caso Erika, invece, ha indotto a modificare in modo significativo la legislazione marittima europea, con tre pacchetti di direttive (Erika I e Erika II del marzo e dicembre 2000 e Erika III del 2009) che hanno condotto all’introduzione dell’obbligo del doppio scafo (con il reg. CE n. 417/2002), alla nascita dell’Agenzia Europea per la Sicurezza 4 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Marittima, la cui sede è stata istituita a Lisbona dal dicembre 2003, alla creazione ed implementazione di un sistema comunitario di monitoraggio e informazione. e) denuncia delle responsabilità civili ed attivazione dei rimedi risarcitori. La vicenda giudiziaria che ha fatto seguito al disastro Exxon Mobil si è conclusa dopo circa 20 anni, con la condanna da parte della Corte di appello federale americana, in data 16 giugno 2009, a una multa di 500 milioni di dollari oltre 480 milioni di interessi, cifra molto ridotta rispetto alla condanna di primo grado (risarcimento di 33 mila persone tra pescatori e lavoratori marittimi per circa 3.4 miliardi di dollari, oltre a 5 miliardi per danno ambientale) che la Corte Suprema il 25 giugno 2008 aveva giudicato eccessivamente punitiva, indicando un tetto massimo di 507 milioni di dollari. Il 27 agosto 2008 la Exxon Mobil ha accettato di pagare ai pescatori e lavoratori danni equivalenti al 75% di quanto calcolato dalla Corte Suprema, vale a dire circa 383 milioni di dollari e poi la Corte di appello ha confermato il limite massimo citato. Nel caso Erika, il Tribunale di Parigi ha condannato in solido nel gennaio 2008 la Total, noleggiatrice della nave, per imprudenza, il Registro Navale Italiano per avere rilasciato il certificato nonostante le precarie condizioni strutturali del mezzo, e l’armatore e gestore della petroliera per non avere effettuato i necessari lavori di riparazione al fine di contenere i costi, inducendo la Corte di Giustizia CE nel giugno 2008 a creare una vera e propria filiera di responsabilità ampliando la sfera di imputazione della stessa in capo a tutti coloro che nelle fasi della produzione, vendita e trasporto abbiano contribuito al rischio dell’evento inquinante5. Da simili considerazioni si evince, in via di prima approssimazione, che la responsabilità rappresenta la chiave di attivazione di un circuito di facoltà intellettive, immaginative e regolative capaci di sviluppare la c.d. «euristica della paura».6, ovverosia di condurre «dalla paura alla cura» del problema, attraverso il disvelamento «dell’importanza strategica della paura nel predisporre gli uomini all’imperativo ineludibile della sopravvivenza».7. Essa costituisce, in generale, un potente fattore di risposta8 ai timori ingenerati dalle emergenze ambientali e strumento di mobilitazione di una serie articolata di azioni destinate ad interagire a livelli diversi in uno scenario complesso che coinvolge una pluralità di interessi ed 5 Una più distesa analisi di tali aspetti, ed il superamento della responsabilità del solo proprietario della nave affermata dalla Civil Liability Convention di Bruxelles del 1969, in funzione del rafforzamento del principio «chi inquina paga», può leggersi in A. RELLA, Il caso “Erika” al vaglio della Corte di Giustizia, in Riv. dir. dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, 2009, p. 5. 6 Cfr. H. JONAS, Das Prinzip Verantwortung, trad. it. a cura di P.P. PORTINARO, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino, 2009. 7 E. PULCINI, La cura del mondo. Paura e responsabilità nell’età globale, Bollati Boringhieri, Torino, 2009, p. 197. 8 Come si evince dalla radice etimologica di responsabilità, dal tardo latino respondĕre: cfr. U. CURI, Introduzione, in B. GIACOMINI (a cura di), Il problema responsabilità, Cleup, Padova, 2004, p. 13; M. FRANZONI, L’illecito, I, 2° ed., Giuffrè, Milano, 2010, p. 5. 5 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 appare suscettibile di letture unificanti unicamente percorrendo la prospettiva che muove dall’evento inquinante alla esigenza di adottare rimedi per la protezione delle generazioni umane presenti e future. 2. Il ruolo strategico, ma non esaustivo della responsabilità civile. In termini più propriamente giuridici, le considerazioni che precedono trovano singolare corrispondenza nella lunga elaborazione che, muovendo dalla concezione dell’ambiente come bene immateriale unitario formato da varie componenti, ciascuna delle quali suscettibile di autonome forme di tutela e distinte situazioni giuridiche soggettive9, giunge fino alla sua definizione quale «sistema di relazioni» fra molteplici fattori (antropici, fisici, chimici, naturalistici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali ed economici) ad opera di un Codice (art. 5, lett. c) d.lgs. 3 aprile 2006, n.152) che pone come obiettivo primario la promozione di adeguati «livelli di qualità della vita umana» (art. 2, comma 1). Tale dimensione relazionale si riflette necessariamente sugli strumenti di intervento e di tutela, nel senso che essi, non solo devono salvaguardare le condizioni per un equilibrato rapporto tra le risorse da risparmiare e quelle da trasmettere alle generazioni future (come impone il principio dello sviluppo sostenibile codificato dall’art. 3 quater, come novellato dal d.lgs. 16 gennaio 2008 n. 4), ma devono tra loro combinarsi e rapportarsi entro processi di «mobile ricerca di percorsi adattivi» che conducano alla scoperta della risposta più adeguata alle sollecitazioni del momento 10. In siffatto contesto, va collocata la tecnica della responsabilità civile, che consiste nel «collegare ad un soggetto un evento dannoso, con l’ausilio di un criterio di imputazione (colpevolezza, preposizione, custodia, proprietà), sussistendo il rapporto di causalità». 11. Proprio in ragione delle sue caratteristiche, già da tempo la più avvertita dottrina ha ritenuto non trattarsi dello strumento più efficace per amministrare i danni diffusi cagionati da disastri di massa12 . E’ certamente vero, in generale, che essa rappresenta un «modo per far sì che il pubblico realizzi di dovere rispondere per le possibili conseguenze dei suoi atti nei 9 Cfr. anche per adeguati e completi riferimenti G. ROSSI (a cura di), Diritto dell’ambiente, Giappichelli, Torino, 2008, p. 95. 10 I riferimenti al carattere relazionale e processuale del diritto ambientale sono tratti dal lavoro di M. CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente come sistema complesso, adattivo, comune, Giappichelli, Torino, 2007, cui si può fare rinvio per ogni approfondimento. 11 Così M. FRANZONI, L’illecito, cit., p. 7. 12 Cfr. P.G. MONATERI, Illecito e responsabilità civile, in M. BESSONE (a cura di), Trattato di diritto privato, Giappichelli, Torino, 2002, p. 195. 6 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 confronti della natura».13, e che la stessa vale a diffondere un comportamento maggiormente informato alla prudenza, in quanto la minaccia della sanzione risarcitoria nei confronti dei soggetti che hanno il controllo di un’attività inquinante sollecita l’adozione di modalità operative e di tecniche più rispettose dell’ecosistema. E’ però altrettanto vero che il campo normale di applicazione della responsabilità civile è rappresentato da eventi circoscritti che coinvolgono una sola vittima o gruppi ben individuabili di vittime, e che affinché simile tecnica costituisca una risposta adeguata occorrono criteri chiari per l’identificazione dell’autore, la quantificazione dei danni e la determinazione dell’apporto causale dei potenziali fattori e soggetti inquinanti. Il danno all’ambiente, come tipica figura di mass tort, si allontana decisamente da simile paradigma per il carattere diffuso e diversificato degli interessi protetti e delle conseguenze dannose, lo strutturale divario tra componenti individuali e collettive, l’incertezza del profilo causale, non solo relativamente al rapporto tra l’azione e l’evento, ma anche tra l’evento ed i vari danni che ne conseguono14. Per tali motivi, è stato esattamente notato che insistere eccessivamente su tale modalità rimediale può condurre ad un suo utilizzo puramente declamatorio, come tale inefficiente e «fonte di incertezze ed eventualmente di eccessi casuali e dannosi»15. Dal canto suo l’analisi economica, che segue una prospettiva essenzialmente consequenzialista e pone attenzione al fronte del benessere sociale più che al profilo della compensazione delle vittime16 , evidenzia anche un altro importante profilo: la collettività, oltre a dare importanza alla qualità dell’ambiente e della vita, «dà anche importanza ai beni materiali che sono causa del deterioramento ambientale denunciato» 17. Di qui la rilevanza di un approccio pragmatico che induce a valutare se i pregiudizi di una certa attività economica siano compensati dai benefici che la stessa arreca e che si traduce nell’introduzione, sul piano normativo o giurisprudenziale, di limitazioni risarcitorie volte ad evitare condanne eccessive e spropositate che potrebbero condurre al fallimento dei danneggianti con conseguenti gravissime ripercussioni su importanti settori dell’economia. Come anche la vicenda BP da cui si è preso le mosse lascia intendere, la negazione 13 Così si legge nell’Introduzione del Libro bianco sulla responsabilità per danni all’ambiente, presentato dalla Commissione CE il 9 febbraio 2000, nell’intento di rafforzare il principio «chi inquina paga». 14 P. G. MONATERI, Il futuro della responsabilità civile per danni all’ambiente in Italia, in B. POZZO (a cura di), La responsabilità ambientale, Giuffrè, Milano, 2005, p. 137. 15 Così le sempre attuali considerazioni di P. TRIMARCHI, Per una riforma della responsabilità civile per danno ambientale, in ID (a cura di), Per una riforma della responsabilità civile per danno all’ambiente, Giuffrè, Milano, 1994, p. 246. 16 Cfr. S. SHAVELL, Analisi economica del diritto, ed. it. a cura di A. BACCINI-A. FINESCHI, Giappichelli, Torino, 2004, p. 54. 17 F. ROMANI, Strumenti di politica economica per la tutela dell’ambiente, in Monte dei Paschi di Siena - Note economiche, 1974, p. 21. 7 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 da parte del Presidente Obama del principio «too big and too difficult to meet» non giunge fino al punto di escludere la vigenza del correttivo principio «too big to fail». Altro profilo da considerare, è che spesso al risarcimento vero e proprio si giunge solo all’esito e sulla base di percorsi e modalità concordate tra gli attori della vicenda ed anche grazie alla mediazione politica. L’esperienza dimostra che la transazione ha più successo delle condanne giudiziarie, in quanto, contrariamente a quanto sostenuto a livello teorico circa i presunti elevati costi transattivi dei danni diffusi e la conseguente scarsa appetibilità delle pratiche concordatarie, la gestione processuale di una pluralità di domande risarcitorie si appalesa ancora più costosa, anche in relazione agli esiti incerti e lontani nel tempo, tanto che le parti preferiscono giungere ad un accordo anche perché tendono a comportarsi sociologicamente come un gruppo riuscendo a veicolare istanze unitarie e coerenti nei confronti dei soggetti responsabili18 . Ciò è confermato dai veduti sviluppi della vicenda Exxon Valdez e, per rimanere entro i confini domestici, dagli esiti del noto caso Seveso, definito con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di approvazione di un atto di accollo e di transazione delle liti tra lo Stato e la Regione Lombardia, da una parte, e la soc. Icmesa e Givaudan dall’altra, e giunto all’esame dei tribunali civili solo per residue richieste di danni non patrimoniali19. Significativo è altresì l’istituto del contratto di transazione globale che, all’esito di una prassi ministeriale sperimentata con la conclusione di accordi di programma allo scopo di mettere fine al notevole contenzioso esistente con i destinatari di prescrizioni impositive di obblighi di messa in sicurezza e di bonifica, è stato codificato dall’art. 2 del d.l. 30 dicembre 2008, n. 208, convertito nella l. 27 febbraio 2009, n. 13, recante «Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell’ambiente». Tale contratto, introdotto per ovviare al pratico insuccesso dei meccanismi di bonifica dei siti inquinati disciplinati dal d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 e dal d.m. 25 ottobre 1999, n. 471.20 , viene inquadrato nell’ambito degli strumenti di attuazione degli interventi di bonifica e messa in sicurezza di uno o più siti di interesse nazionale con l’obiettivo di definire la spettanza e la quantificazione degli oneri di bonifica, 18 Simili notazioni sono sviluppate con estrema chiarezza da P.G. MONATERI, Illecito e responsabilità civile, cit., p. 199 e nota 19. 19 Ibid., pp. 200-201. Da ultimo Cass., Sez. III, 13 maggio 2009, n. 11059, in questa Rivista, 2010, numero 0, con commento di E. BLASI, Il caso Seveso: ampliamento della risarcibilità del danno non patrimoniale e riflessi sulla nozione di bene-amiente, ha ammesso il risarcimento autonomo del danno non patrimoniale derivante da reato, pur in assenza di danno biologico, in favore di coloro che in virtù di un rapporto di vicinanza, per ragioni di residenza o di frequentazione abituale, con l’ambiente inquinato ne hanno presuntivamente subito conseguenze in termini di «patema d’animo indotto dalla preoccupazione per il proprio stato di salute». 20 Vicenda su cui si vedano: A. MILONE, Bonifica dei siti di interesse nazionale: le recenti pronunce del giudice amministrativo, in Ambiente & Sviluppo, 2009, p. 1010; F. GIAMPIETRO–A. QUARANTA, Gli orientamenti del giudice amministrativo sulla bonifica nel passaggio tra il vecchio ed il nuovo regime, ivi, 2008, p. 205. 8 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 di ripristino e di risarcimento del danno ambientale e degli altri eventuali danni che possano essere chiesti dallo Stato e dagli altri enti territoriali; il relativo schema è assoggettato ad adeguate procedure di contraddittorio e di coordinamento infrastrutturale mediante le tecniche, rispettivamente, delle osservazioni e della conferenza di servizi, cui è riservata l’acquisizione e valutazione di tutti gli interessi rilevanti; la stipula dell’atto comporta l’abbandono del contenzioso pendente e preclude ogni ulteriore azione per il rimborso degli oneri di bonifica e di ripristino, per il risarcimento del danno ambientale nonché per le altre eventuali pretese risarcitorie azionabili per i medesimi fatti dallo Stato e dagli altri enti territoriali. Da queste notazioni si può desumere una prima conclusione che funge da sviluppo di quanto già notato in apertura: la responsabilità civile rappresenta una risposta necessaria, in quanto anche le mediazioni politiche e le procedure transattive appena vedute operano non nel vuoto ma in un ambiente mobilitato e presidiato da regole di tort che possono svolgere una funzione strategica e propulsiva per l’individuazione di soluzioni adeguate; si tratta però di una risposta che non può essere né esclusiva né esaustiva, in quanto non è sufficiente traslare i costi dei danni in capo ai presunti colpevoli per rendere l’ambiente più pulito e ridurre per il futuro i rischi di ulteriori incidenti 21 . Sovradimensionarne la portata può essere pertanto rischioso e controproducente. 3. Il carattere relazionale dei rimedi al danno ed i limiti dell’approccio tipologico. Per verità, i limiti e le particolarità del modello di responsabilità applicato al danno ambientale sono stati evidenziati sin dall’entrata in vigore della prima disciplina introdotta dall’art. 18 della l. 8 luglio 1986, n. 349. Essa apparve subito come «una sorta di mostruoso incrocio tra categorie di diritto pubblico e categorie del diritto privato», che proiettava il rimedio risarcitorio in una logica punitiva e sanzionatoria ritenuta estranea al sistema generale della responsabilità civile22. Della stessa furono in particolare criticati: il criterio soggettivo di imputazione della responsabilità, ritenuto inadeguato a fronteggiare fenomeni spesso legati ad attività imprenditoriali o, comunque, ad incidenti di cui non è facile ricostruire la dinamica in modo da individuare profili di colpevolezza ed in cui, in ogni caso, non sono in grado di incidere in modo preventivo i potenziali danneggiati; il ricorso al discusso principio dell’antigiuridicità, con la necessaria dimostrazione 21 Chiare in tal senso le notazioni svolte da P.G. MONATERI, Il futuro della responsabilità civile per danni all’ambiente in Italia, cit., pp. 139-140, il quale osserva che la sfera classica del tort, cui siamo abituati a guardare quando parliamo di responsabilità civile, rappresenta solo un sottoinsieme di un «insieme molto più grande» composto da tutti i danni all’ambiente. 22 Così F. D. BUSNELLI, La parabola della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1988, p. 643 ss. ora in F. D. BUSNELLI – S. PATTI, Danno e responsabilità civile, Giappichelli, Torino, 2003, p. 155 ss. 9 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 della violazione di norme e provvedimenti relativi all’ambiente; il non coerente rapporto con la misura della riduzione in pristino ed i criteri di liquidazione dei danni23 . Nello stesso tempo, però, i richiami testuali e culturali alla responsabilità aquiliana dell’art. 2043 c.c., tradizionalmente considerata quale termine di riferimento di ogni ipotesi di responsabilità pubblica, hanno indotto dottrina e giurisprudenza ad interrogarsi a lungo, con approccio tipologico, su possibili consonanze o devianze rispetto al totalizzante modello generale, polarizzando l’attenzione ed il dibattito sul meta-problema della comparazione di assetti disciplinari24 . E’ così accaduto che, a dispetto della veduta marginalità del risarcimento nel contesto delle risposte ordinamentali ai danni ambientali, molte energie siano state investite proprio nell’analisi delle tecniche risarcitorie e delle relazioni configurabili tra le varie tipologie previste dal legislatore. Un fenomeno analogo si è verificato anche nel campo della responsabilità per esercizio illegittimo della funzione amministrativa: introdotta con la nota sentenza Cass., Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500 e poi codificata con la l. 21 luglio 2000, n. 205, essa ha suscitato accesi dibattiti teorici e vivaci contrasti tra le giurisdizioni civile e amministrativa, ai quali ha fatto riscontro una limitata applicazione pratica ed il forte ridimensionamento operato con le recenti riforme del processo sugli appalti e la codificazione del processo amministrativo. Simile impostazione ha condizionato anche le riforme che si sono succedute nel ventennio che va dalla istituzione del Ministero dell’Ambiente all’approvazione del Codice dell’ambiente. Sembra infatti che il legislatore, oltretutto fortemente vincolato dal livello comunitario, abbia operato avendo riguardo soprattutto alle tesi dibattute piuttosto che alle problematiche verificatesi nell’applicazione concreta degli istituti. Il che ha condotto all’elaborazione di un assetto normativo che difetta di unitarietà e coerenza ed appare più il frutto della stratificazione di discipline e visioni differenti 25 che non di una scelta strategica e consapevole. Così, se si volge attenzione alla parte quarta del Codice dell’ambiente (artt. 299-318), si ha la netta impressione della compresenza di normative diverse sia ratione temporis sia con riferimento ai possibili destinatari. Sotto il primo profilo, è noto che la nuova disciplina non è applicabile al danno ambientale pregresso, per tale intendendosi quello «causato da 23 Cfr. in generale M. COMPORTI, La responsabilità per danno ambientale, in Foro it., 1987, III, p. 269. 24 Cfr., per esempio, la felice sintesi delle problematiche che «fanno del risarcimento del danno ambientale uno degli ambiti più controversi della responsabilità civile» svolta da M. GORGONI, Ripristino, bonifica, risarcimento in forma specifica: dei vari volti della riparazione del danno all’ambiente, in AA.VV., Liber amicorum per Francesco Donato Busnelli, Giuffrè, Milano, 2008, p. 324, ove sono anche reperibili i principali riferimenti alla dottrina e giurisprudenza sull’argomento. 25 In generale, sui limiti della codificazione in materia ambientale, si rinvia a F. FRACCHIA, “Codificare” l’ambiente, in M. P. CHITI e R. URSI (a cura di), Studi sul Codice dell’ambiente, Giappichelli, Torino, 2009, p. 14. 10 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 un’emissione, un evento o un incidente verificatisi prima della data di entrata in vigore della parte sesta» (art. 303, lett. f), né alle situazioni di inquinamento per le quali siano già state «avviate le procedure relative alla bonifica, o sia stata avviata o sia intervenuta la bonifica dei siti nel rispetto delle norme vigenti» (art. 303, lett. i): a tali eventi anteriori al 29 aprile 2006 continuerà, dunque, ad applicarsi l’art. 18 della l. n. 349/1986, la cui abrogazione (disposta dall’art. 318, comma 2, lett. a del Codice) produrrà effetto solo con riguardo ai fatti accaduti ed accertati successivamente a tale data26. La ultrattività del regime previgente è stata solo in parte mitigata dall’art. 5 bis del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, convertito con modificazioni nella l. 20 novembre 2009, n. 166, che, allo scopo di superare la procedura di infrazione n. 2007/4679 promossa dalla Commissione ai sensi dell’art. 226 del Trattato CE, ha esteso alle domande risarcitorie proposte o da proporre ai sensi dell’art. 18 della l.n. 349/1986 l’applicazione dei criteri di determinazione dell’obbligazione risarcitoria stabiliti dall’art. 311, commi 2 e 3 del Codice, con l’unico limite dei giudizi definiti con sentenze passate in giudicato. Si assiste, infatti, ad una disapplicazione parziale del contenuto dell’art. 18, facendo peraltro salva la ultrattività di altre disposizioni speciali (es. per i danni da inquinamento marino, da attività nucleare, da incendi boschivi, da impiego di organismi geneticamente modificati, da incenerimento di rifiuti 27) e restando irrisolto il problema dei rinvii recettizi da alcune di esse fatti all’art. 1828. Sotto il secondo profilo, mentre gli artt. 300 e 304 e ss. contemplano una responsabilità speciale per le specifiche e selezionate attività professionali (elencate nell’allegato III della direttiva) sottoposte a regolamentazione amministrativa ai sensi della direttiva 2004/35/CE, in quanto ritenute potenzialmente pericolose per la salute e l’ambiente29, gli artt. 311 e ss. prevedono una ipotesi di responsabilità generale e residuale per chiunque arrechi danno all’ambiente nell’esercizio di attività biologiche o imprenditoriali indifferenziate. La prima forma di responsabilità, in quanto riferita ad attività assoggettate a stringenti controlli preventivi e standards di emissione impositivi di valori di qualità del corpo recettore che già contemplano il livello ottimale di inquinamento 26 Cfr. E. GALLO, L’evoluzione sociale e giuridica del concetto di danno ambientale, in Amministrare, 2010, p. 262, e la conforme giurisprudenza ivi citata. 27 Una illustrazione dei vari sistemi di responsabilità vigenti alla vigilia del Codice si deve a F. GIAMPIETRO, La responsabilità per danno all’ambiente: sintesi di leggi e giurisprudenza messe a confronto con la direttiva 2004/35/CE e con il T.U.A., in Riv. giur. amb., 2006, p. 19. 28 Su questi aspetti, si veda G. TADDEI, Il risarcimento del danno ambientale dopo l’art. 5 bis del D.L. n. 135/2009, in Ambiente&Sviluppo, 2010, p. 126. 29 Cfr. U. SALANITRO, Il risarcimento del danno ambientale: un confronto tra vecchia e nuova disciplina, in S. PAGLIANTINI - E. QUADRI - D. SINESIO (a cura di), Scritti in onore di Marco Comporti, Giuffrè, Milano, 2008, p. 2406. 11 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 ritenuto compatibile con la salubrità ambientale30, pare avvicinarsi notevolmente al modello della responsabilità oggettiva o presunta di cui all’art. 2050 c.c., posto che gli obblighi di prevenzione e di ripristino scattano per il mero verificarsi del danno e la sua ascrivibilità all’operatore, mentre lo stesso è esonerato dai relativi costi solo se è in grado di fornire le prove liberatorie indicate dall’art. 308, commi 4 e 5. Il riferimento ad operatori professionali qualificati parrebbe giustificare il rinvio ad una soglia rilevante di danno, misurabile con riferimento al deterioramento diretto o indiretto di una risorsa naturale o delle utilità da essa assicurate (art. 300), con conseguente esclusione della figura del danno presunto o danno-evento (lesione in sé dell’ambiente) e coloritura in senso per lo più compensativo di una 30 Sulla progressiva tipizzazione del concetto di salubrità ambientale, ormai strettamente collegato al rispetto dei limiti legali di immissione, si veda da ultimo Cass., Sez. II, 8 marzo 2010, n. 5564, secondo cui l’art. 844 c.c. «deve essere letto, tenendo conto che il limite della tutela della salute è da ritenersi ormai intrinseco nell’attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi prevalente rispetto alle esigenze della produzione il soddisfacimento ad una normale qualità della vita. Ne consegue che le immissioni acustiche determinate da un’attività produttiva che superino i normali limiti di tollerabilità fissati, nel pubblico interesse, da leggi o regolamenti, e da verificarsi in riferimento alle condizioni del fondo che le subisce, sono da reputarsi illecite, sicché il giudice, dovendo riconoscerle come tali, può addivenire ad un contemperamento delle esigenze della produzione soltanto al fine di adottare quei rimedi tecnici che consentano l’esercizio della attività produttiva nel rispetto del diritto dei vicini a non subire immissioni superiori alla normale tollerabilità». 12 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 responsabilità che è collegata al rischio d’impresa e si configura, dunque, in termini di responsabilità da posizione o imprenditoriale31. La seconda forma di responsabilità, invece, sembra ricalcare il modello soggettivo del vecchio art. 18, laddove il fatto illecito è collegato ad azioni od omissioni compiute con violazione di legge, di regolamento o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche (art. 311, comma 2). Il carettere indifferenziato dei soggetti e delle attività, unitamente alla soglia indeterminata del danno, identificato in via generale con qualunque alterazione dell’ambiente, sono compensati dal criterio selettivo della colpa e dalla coloritura in senso per lo più punitivo della responsabilità. Ma, soprattutto, l’aspetto generale che rende maggiormente arduo seguire i consueti approcci pare essere la compresenza, accanto alla tradizionale idea di rispondere di qualcosa, rendendo conto delle proprie azioni secondo una logica retributiva e simmetrica, dell’idea di rispondere a qualcuno. Una responsabilità per32 che, in un contesto, come veduto, fortemente relazionale e connotato da 31 In questi termini puramente oggettivi è stata definita la responsabilità di operatori economici «che producono e ritraggono profitti attraverso l’esercizio di attività pericolose, in quanto ex se inquinanti» dal Consiglio di Giustizia amministrativa della Regione Sicilia, in sede di appello cautelare (cfr. ord. in data 2 aprile 2008) avverso la sentenza del TAR Sicilia, sez. II, 20 luglio 2007, n. 1254, che, con riferimento al noto caso dell’inquinamento della Rada di Augusta per effetto della realizzazione negli anni ’60 del polo petrolchimico Augusta-Priolo-Melilli, aveva invece offerto una lettura unificante e combinata delle varie disposizioni del Codice (seguita e sviluppata anche da B. POZZO, La direttiva 2004/35/CE e il suo recepimento in Italia, in Riv. giur. amb., 2010, pp. 61 ss.), privilegiando il criterio della colpa di cui all’art. 311, comma 2, in luogo di quello di strict liability ritenuto anche inefficiente dal punto di vista della tutela ambientale. Sulla questione, è da ultimo intervenuta la Corte giust., con sentenza 9 marzo 2010, in causa C-378/08, la quale ha evidenziato la centralità del nesso di causalità chiarendo che, anche in caso di sua presunzione, l’autorità competente deve comunque disporre «di indizi plausibili» in grado di darvi fondamento, «quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività». Anche nelle ipotesi di responsabilità oggettiva, dunque, il principio «chi inquina paga» impone l’accertamento dell’origine della contaminazione e della sua imputazione causale all’attività dell’imprenditore. Nelle conclusioni dell’Avvocato Generale Juliane Kokott, presentate il 22 ottobre 2009, si legge che il termine «Verursacherprinzip» (letteralmente «principio del soggetto causatore»), con cui si traduce in tedesco il principio «chi inquina paga», mira a stabilire che colui che ha provocato un inquinamento è responsabile per la sua eliminazione e che «una responsabilità svincolata da un contributo causale alla causazione del danno non corrisponderebbe all’orientamento della direttiva» potendo produrre il controproducente effetto di attenuare la responsabilità del soggetto effettivamente responsabile: infatti, «non la società e neppure i terzi, bensì l’inquinatore è il soggetto tenuto a sopportare le spese per eliminare un inquinamento. La conseguenza è che si verifica una internalizzazione dei costi ambientali, vale a dire questi ultimi vengono inglobati nei costi di produzione dell’impresa inquinatrice» (par. 85 e 98). Si veda il commento di G. TADDEI, Responsabilità, nesso causale e giusto procedimento (nota a Corte di Giustizia 9 marzo 2010 in C 378/08 e CC 379-380/08), in Ambiente&Sviluppo, 2010, p. 437. 32 Cfr. per approfondimenti H. JONAS, Il principio responsabilità, cit., p. 117; E. PULCINI, La cura del mondo, cit., pp. 225-262. 13 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 principi solidaristici33, si configura come «farsi carico del futuro» e si declina secono una logica asimmetrica che privilegia «l’attenzione all’unicità dell’altro, alla specificità della situazione, alle relazioni nelle quali il soggetto si trova di volta in volta a essere inserito e delle quali non può fare a meno di tenere conto in quanto significative per la sua stessa identità e per il suo stesso progetto di vita» 34. Ragionare dunque per modelli e relativi assetti disciplinari, allo scopo di metterne in evidenza continuità o cesure nel passaggio dei vari regimi giuridici, appare poco proficuo ed anzi fuorviante, dovendosi invece preferire un approccio operazionale35 che, inducendo a misurare il rarefatto ambiente della responsabilità con l’ambito concreto ed operativo dell’esperienza, spinge l’interprete a fuoriuscire da un atteggiamento meramente esegetico per configurare la reazione ai singoli fenomeni di inquinamento in termini di operazione unitaria che, attraverso la combinazione di diversi strumenti, possa condurre al soddisfacente risultato di integrare il fiducioso sguardo per il futuro con l’ineludibile rendiconto con il passato. 4. L’operazione rimediale ed i suoi principi: la priorità della tutela in forma specifica e la procedimentalizzazione della responsabilità. Dalle superiori considerazioni discende l’ipotesi di lettura della fattispecie «responsabilità per danno ambientale» in termini di operazione unitaria e complessa in cui si susseguono e si associano strumenti di azione e di reazione. Si tratta ora di vedere i principi fondamentali che regolano i rapporti tra tali strumenti e reggono lo svolgimento di simile operazione. Scontato il richiamo ai principi dell’azione preventiva e della correzione dei rischi alla fonte, da leggere anche in connessione con il fondamentale canone della precauzione, conviene in questa sede soffermarsi sulla priorità della tutela in forma specifica, che implica una risposta capace di assicurare l’evolutiva ed adattiva valutazione degli interessi in gioco in modo da adeguarne la composizione al mutare delle circostanze di fatto e di diritto, rispetto a quella per equivalente, che, alla stregua di una via di fuga, lascia invece immutato l’assetto di interessi che si è venuto a creare in un certo momento monetizzandone lo scompenso prodotto dall’ illecito evento perturbativo. Per una migliore comprensione del punto pare utile volgere lo sguardo al già accennato versante del risarcimento da illegittimo esercizio della funzione 33 Messi particolarmente in evidenza da F. FRACCHIA, Sulla configurazione giuridica unitaria dell’ambiente: art. 2 Cost. e doveri di solidarietà ambientale, in Dir. economia, 2002, p. 215; ID., Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, Ed. Scientifica, Napoli, 2010. 34 E. PULCINI, La cura del mondo, cit., pp. 257-258. 35 Per la cui messa a fuoco, con riferimento alla nozione di operazione, sia consentito rinviare a G. D. COMPORTI, Il principio di consensualità tra bilanci e prospettive, in www.giustamm.it, n. 4/2010. 14 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 amministrativa. Per quanto il dibattito che ha interessato la tematica abbia nel tempo assunto i toni esoterici di uno scontro ideologico incentrato sulla figura della pregiudizialità e condizionato dal confronto competitivo tra giurisdizioni, lo stesso ha comunque rivelato una questione di fondo: la riparazione di un pregiudizio sofferto dal titolare di una situazione soggettiva posta in relazione a situazioni soggettive terze, suscettibili di assumere portata collettiva, difficilmente può essere disgiunta da un preliminare momento di valutazione comparativa degli interessi in gioco, onde consentire un loro rinnovato assetto. L’illecito, cadendo entro un rapporto plurisoggettivo che tocca profili non confinabili entro i limiti della relazione bipolare vittima-danneggiante, rappresenta occasione per attivare gli strumenti (quali il potere di autotutela) ed i rimedi (che vanno da quelli interni al ben noto circuito: azione di impugnazione - effetti conformativi della sentenza giudizio di ottemperanza, fino all’azione di condanna e/o adempimento) idonei ad incidere su precedenti decisioni distributive di beni e risorse ed attribuire a chi ne ha diritto l’utilità pretesa, rendendo percorribile solo in via residuale e complementare la via della compensazione per equivalente. Questa assume una funzione minimale nell’economia dei rimedi esperibili, non già nel senso indicato dalla Corte di Cassazione, cioè in quanto «misura minima e perciò necessaria di tutela di un interesse» 36, ma in quella divisata dal Consiglio di Stato di misura residuale entro un sistema che consente il passaggio a riparazioni per equivalente solo quando l’interesse legittimo sia stato impiegato quale strumento di 36 In questi termini Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2008, n. 30254, in Danno e responsabilità, 2009, p. 722, con commento di M. Clarich, chiariva che a tale forma di tutela può aggiungersi anche quella impugnatoria, che dunque assumerebbe natura accessiva a quella base di tipo risarcitorio, spettando comunque «al titolare della situazione protetta, in linea di principio, scegliere a quale fare ricorso in vista di ottenere ristoro al pregiudizio provocatogli dall’essere mancata la soddisfazione che è attesa attraverso la condotta altrui». 15 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 conformazione dell’attività amministrativa37. Simile impostazione è già stata codificata nel settore degli appalti pubblici (cfr. gli artt. 243 bis, 245 bis, 245 ter, 245 quater, 245 quinques, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, introdotti dal d.lgs. 20 marzo 2010, n. 53 e poi per lo più confluiti nel Codice del processo amministrativo), anticipando così il più generale assetto delle tutele che, pure all’esito di un travagliato iter e con lievi varianti, è stato definito in sede di riordino del processo amministrativo (cfr. art. 30 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104). E’, infatti, previsto che il ricorso giurisdizionale sia preceduto da una informativa relativa ai vizi rilevati, in modo da mettere la stazione appaltante in condizione di attivare in via di autotutela misure di correzione o di bonifica dell’errore alla fonte; è quindi attribuita al giudice amministrativo giurisdizione esclusiva tanto in ordine all’aggiudicazione quanto sulla sorte del contratto al fine di disporre, a seguito dell’annullamento del primo atto (c.d. pregiudizialità di annullamento) e dopo avere dichiarato la inefficacia totale e parziale del secondo (c.d. pregiudizialità «composta»), e tenuto conto degli interessi delle parti, dei vizi riscontrati e dello stato di avanzamento della fattispecie, l’aggiudicazione ed il subentro nel contratto in favore del terzo pretermesso; è stato, di conseguenza, limitato il rimedio risarcitorio all’ipotesi residuale e subordinata in cui il giudice non dichiari 37 Parte della giurisprudenza amministrativa ha ritenuto di poter ricavare simili affermazioni dai principi costituzionali. Per esempio, Cons. Stato, Sez. IV, 29 aprile 2002, n. 2280, in Foro amm.C.d.S., 2002, p. 897, ha sostenuto che la «effettività della tutela del cittadino nei confronti dell’attività provvedimentale o materiale della pubblica amministrazione, predicata a livello costituzionale dagli articoli 24 e 113, impone di non considerare la tutela restitutoria o ripristinatoria come eventuale o eccezionale, limitata ad ipotesi residuale, ed anzi spinge a ritenere che proprio la tutela risarcitoria patrimoniale deve essere considerata sussidiaria rispetto alla prima, con la conseguenza che essa deve considerarsi praticabile solo quando quella restitutoria non possa essere conseguita con successo». Altre volte si è richiamato il «doveroso contemperamento dei principi di civiltà giuridica conseguenti al riconoscimento della risarcibilità della lesione degli interessi legittimi con quelli di doverosa tutela degli interessi anche patrimoniali dell’amministrazione» (Cons. Stato, Sez. IV, 22 marzo 2001, n. 1684, in Foro amm., 2001, p. 400); o si è fatto appello ai principi di coerenza dell’ordinamento e di certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico. Simili prospettazioni hanno alimentato una linea di pensiero che è giunta almeno fino a Cons. Stato, Ad. pl., 22 ottobre 2007, n. 12, in Foro it., 2008, p. 1; Id., Sez. VI, 3 febbraio 2009, n. 578; Id., Sez. VI, 21 aprile 2009, n. 2436, in Foro it, 2009, p. 536. Si legge infatti nella sentenza n. 12/2007 che il «coinvolgimento» dell’interesse del singolo nell’interesse della collettività spiega la priorità dell’azione impugnatoria, nel cui ambito soltanto è possibile «conformare l’azione amministrativa affinché si realizzi un soddisfacente e legittimo equilibrio tra l’uno e gli altri interessi». La stessa Relazione all’atto del Governo n. 212, recante lo schema di decreto legislativo di attuazione della delega per il riordino del processo amministrativo, ha addotto «evidenti esigenze di stabilizzazione delle vicende che coinvolgono la pubblica amministrazione» a giustificazione della previsione di termini decadenziali per l’esercizio dell’azione risarcitoria e del richiamo ai principi dell’art. 1227 c.c. 16 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 l’inefficacia del contratto, lasciando così immutato l’assetto degli interessi esistente38. Non è allora un caso se un altro e correlato settore a forte incidenza comunitaria ha ricevuto una sistemazione sostanzialmente analoga. Come negli appalti si è sentita la necessità di evitare che un assetto di interessi viziato ed inefficace potesse permanere in danno della collettività, valorizzando così la effettiva tutela del terzo in funzione della bonifica delle procedure inquinate, così le politiche comunitarie in campo ambientale hanno da tempo evidenziato la necessità di evitare che il medesimo principio della concorrenza potesse essere pregiudicato dall’esistenza di inefficienti regimi di responsabilità. Simile esigenza, si è tradotta nella preferenza accordata già nel vecchio art. 18 al ripristino dello stato dei luoghi, in ragione dell’assunto – ripetuto da costante giurisprudenza – che dalla condotta illecita dell’agente normalmente scaturiscono, oltre ad effetti dannosi istantanei, anche sequele di effetti lesivi permanenti o destinati a rinnovarsi nel tempo futuro e a colpire categorie indeterminate di soggetti e beni con conseguenze, oltre tutto, di difficile previsione e di ancor più opinabile quantificazione in termini monetari. Rispetto a tale impostazione, la normativa attuale introduce alcuni elementi di maggiore chiarezza. Per un verso, infatti, viene inserita nella disciplina generale la rinnovata normativa in materia di bonifica dei siti inquinati risalente al c.d. decreto Ronchi del 1997. Tale procedura, ora contemplata dagli artt. 242 e ss. del Codice, si configura quale misura di ripristino delle matrici ambientali contaminate che si pone in termini di specialità e di priorità rispetto al risarcimento per equivalente: specialità, perché definisce in modo puntuale e particolare la serie di adempimenti volti ad integrare la nozione di ripristino della precedente situazione cui fa generico riferimento l’art. 311, comma 2; priorità, perché, in linea con la prassi seguita dalle amministrazioni soprattutto con riferimento agli inquinamenti marini, lacuali e fluviali, la stessa disposizione normativa chiarisce che la bonifica deve necessariamente precedere il risarcimento, che dunque assume carattere soltanto residuale 39. Appare pertanto evidente che, al verificarsi di un evento potenzialmente in grado di contaminare l’ambiente o in presenza di rischi di aggravamento di situazioni di contaminazione storiche, il responsabile dell’inquinamento deve mettere in opera entro le successive 24 ore le necessarie misure di prevenzione con le modalità di cui all’art. 304, comma 2, ed eventualmente di messa in sicurezza di urgenza, all’esito delle quali si perverrà, 38 Per approfondimenti, si vedano: M. LIPARI, Il recepimento delle “direttiva ricorsi”: il nuovo processo super-accelerato in materia di appalti e l’inefficacia “flessibile” del contratto, in Foro amm.-Tar, 2010, XCI; A. BARTOLINI – S. FANTINI – F. FIGORILLI, Il decreto legislativo di recepimento della direttiva ricorsi: il nuovo rito in materia di appalti, lo standstill contrattuale e l’inefficacia del contratto, in Urb. app., 2010, p. 660. 39 Cfr. G. TADDEI, Il rapporto tra bonifica e risarcimento del danno ambientale, in Ambiente&Sviluppo, 2009, p. 419. 17 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 passando per una serie articolata di sub-procedimenti40 , alla definizione del progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente e, ove necessario, delle ulteriori misure di riparazione e ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito (art. 242, comma 7). Se si tiene conto anche del concorrente potere di ordinanza ex art. 313 cui il Ministro dell’ambiente può fare ricorso per ingiungere il ripristino ambientale o, in mancanza, il pagamento di una somma pari al valore economico del danno accertato, con conseguente assorbimento anche del giudizio risarcitorio che, per suo effetto, diviene improponibile ed improcedibile (art. 315), ben si comprende che il risarcimento avviene più per via procedimentale che non processuale ed è retto dai fondamentali principi di adeguatezza istruttoria, partecipazione, contraddittorio, coordinamento infrastrutturale, motivazione, valutazione comparativa dei vantaggi e svantaggi delle differenti opzioni esistenti sul campo e proporzionalità, che regolano l’attività amministrativa 41. Simile procedimentalizzazione dell’operazione riparatoria implica alcune rilevanti conseguenze. La prima è che la tutela delle posizioni soggettive coinvolte avviene soprattutto per il tramite dell’interesse alla partecipazione procedimentale, presidiata dalla garanzia del contraddittorio sin dalle preliminari verifiche istruttorie (es. consulenze tecniche, ispezioni, verificazioni e ricerche ex art. 312, commi 3 e 4) e destinata a svolgersi secondo le svariate modalità all’uopo previste (accordi, accordi di programma, conferenze di servizi, concerti, intese, denunce, osservazioni, deduzioni, accesso agli atti), piuttosto che per mezzo dell’azione giurisdizionale. A tale ampia legittimazione procedimentale fa naturalmente riscontro una generale legittimazione a ricorrere al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, per l’annullamento degli atti e provvedimenti adottati 40 Per il cui esame si rinvia ora a P. M. VIPIANA PERPETUA, La bonifica dei siti contaminati: considerazioni sui profili procedimentali, in Urb. app., 2010, p. 922; ID., L’istruttoria nei procedimenti di bonifica dei siti inquinati, ibid., p. 1133. Il procedimento si ramifica nelle seguenti principali fasi: indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento al fine di verificare il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC); in caso di superamento delle medesime CSC, autorizzazione del piano di caratterizzazione recante la descrizione delle operazioni da svolgere per la ricerca delle sostanze contaminanti; approvazione del documento di analisi del rischio sito specifica per la verifica delle concentrazioni soglia di rischio (CSR); in caso di non superamento dei valori CSR, dichiarazione di conclusione positiva del procedimento, con eventuale definizione di un programma di monitoraggio; in caso di superamento dei valori CSR, approvazione del progetto operativo di bonifica. Analogo svolgimento ha anche la procedura di bonifica dei siti di interesse nazionale di cui all’art. 252 del Codice, che si caratterizza dunque solo per la competenza accentrata in capo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e per le preliminari operazioni di individuazione e perimetrazione dei siti che sono espressive dell’indirizzo politico-amministrativo. In termini di specialità si configura invece il procedimento di bonifica dei siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale, ora disciplinato dall’art. 252 bis del Codice, che ruota intorno al meccanismo consensuale dell’accordo di programma. 41 Se ne veda l’adeguata applicazione assicurata, tra gli altri, da parte del TAR Toscana, Sez. II, nelle sentenze: 6 maggio 2009, n. 762; 14 ottobre 2009, n. 1540; 18 dicembre 2009, n. 3973; e da ultimo 6 luglio 2010, n. 2316. 18 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 dall’amministrazione, o per la contestazione del silenzio inadempimento o ancora per il risarcimento del danno subito non già a causa dell’illecito ambientale ma per effetto del ritardo nell’attivazione da parte del Ministro delle misure di precauzione, prevenzione o contenimento del danno (art. 310 in relazione all’art. 133, lett. s, c.p.a.). Per contro, ad una tutela fortemente sbilanciata sul privilegiato fronte amministrativo (procedimento e processo), appare a questo punto logico che, per una ragione di coerenza e simmetria funzionale, si associ una limitazione delle forme di accesso alla residuale azione risarcitoria per danno ambientale, la cui legittimazione risulta adesso riservata ex art. 311, comma 1, allo Stato, per il tramite del Ministro dell’ambiente, quale ente esponenziale di un interesse collettivo a carattere nazionale ed unitario. Tale opzione accentratrice, per quanto non escluda 42 una concorrente ed autonoma legittimazione processuale in capo alle Regioni ed altri enti territoriali sul cui territorio si sia consumato il vulnus ambientale43 o alle associazioni ambientaliste che agiscano per fare valere iure proprio il differente pregiudizio44 patito dal sodalizio rappresentato a causa del 42 Come sottolinea Corte cost., 23 luglio 2009, n. 235, punto 12 della motivazione. 43 A tali enti un orientamento giurisprudenziale meno formalistico tende, per esempio, a riconoscere una autonoma legittimazione a promuovere l’azione civile in sede penale ai sensi della clausola generale di cui all’art. 2043 c.c.: cfr. Cass. pen, Sez. III, 11 gennaio 2010, n. 755, nonché Trib. Siena, Sez. distaccata di Poggibonsi, ord. 18 febbraio 2010, in Riv. giur. amb., 2010, p. 581, con nota di A. GRATANI, Enti territoriali e azione risarcitoria ambientale dopo il TUA. 44 Comprensivo anche del danno all’immagine, anche turistica, dell’ente per il discredito derivante alla propria sfera funzionale dal danno ambientale. Così già Cass., Sez. III, 15 aprile 1998, n. 3807, in Giust. civ., 1999, I, p. 223, con note di Cacciavillani e Lo Iudice sul disastro del Vajont. Cfr. anche Cass. pen., Sez. III, 11 novembre 2004, n. 48402, che richiama altri precedenti. 19 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 degrado ambientale45, si risolve in definitiva in una semplificazione della cabina di regia dell’intera operazione in funzione della conduzione di una strategia unitaria che, scongiurando il rischio di duplicazioni e dispersioni delle iniziative e valorizzando il principio della collaborazione intersoggettiva (art. 299, comma 2), possa condurre ad esiti più apprezzabili in termini di tutela ambientale. Piuttosto, la segnalata procedimentalizzazione della responsabilità comporta, come segnalato, la diffusione di un notevole contenzioso 46 di competenza del giudice amministrativo, con conseguente possibile incremento della concorrenza tra le giurisdizioni (civile, 45 Così, sempre relativamente alla costituzione di parte civile nel processo penale, Cass. pen., Sez. III, 16 aprile 2010, n. 14828, che, nel riassumere la giurisprudenza sul punto, ha ricordato come la legittimazione non riguarda il danno ambientale di natura pubblica ed è limitata alle associazioni non portatrici di interessi meramente diffusi, comuni a più persone e non sucettibili di appropriazione individuale, ma esponenziali di interessi ambientali, la cui concreta differenziazione e soggettivizzazione più desumersi da circostanze quali: il fine statutario, il radicamento nel territorio anche attraverso sedi sociali, la rappresentatività di un numero significativo di consociati, la continuità del suo contributo a difesa del territorio. Resta inoltre sempre salva la possibilità di intervenire nei giudizi per danno ambientale, ai sensi dell’art. 18, comma 5, della legge n. 349/1986 non abrogato dall’art. 318 del Codice (TAR Toscana, Sez. II, 2 dicembre 2009, n. 2584). Sul punto la giurisprudenza è ferma nell’ammettere la legittimazione processuale delle associazioni nazionali destinatarie del decreto di riconoscimento di cui all’art. 13 della stessa l.n. 349/1986, e non alle relative articolazioni regionali o territoriali, che non hanno autonomia neppure relativamente ad atti ad efficacia territoriale limitata (Cons. Stato, Sez. VI, 9 marzo 2010, n. 1403); esiste altresì un crescente indirizzo volto a ritenere possibile una legittimazione caso per caso in favore di associazioni o comitati anche non riconosciuti, purché abbiano fra gli scopi statutari la tutela ambientale, operino nell’area geografica che viene in rilievo, e rivestano una posizione differenziata in virtù di un adeguato grado di rappresentatività, il collegamento stabile nel tempo con il territorio di riferimento e un’azione dotata di apprezzabile consistenza anche tenuto conto del numero e della qualità degli associati (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 aprile 2003, n. 1830; Id., Sez. VI, 25 giugno 2008, n. 3234; TAR Piemonte, Sez. I, 25 settembre 2009, n. 2292; TAR Toscana, Sez. II, 6 ottobre 2009, n. 1505). Per una diffusa ed aggiornata panoramica dei vari orientamenti giurisprudenziali, si rinvia a Corte di Cassazione – Ufficio del Massimario e del Ruolo, Relazione tematica n. 112 del 1° settembre 2010, dal titolo «Riferimenti normativi vecchi e nuovi nella delineazione delle responsabilità da illecito ambientale e profili soggettivi di risarcibilità a favore del soggetto leso», par. 7. 46 Cfr. A.L. DE CESARIS, L’amministrazione fa male all’ambiente e all’impresa, in Riv. giur. amb., 2007, p. 836; P.M. VIPIANA PERPETUA, La bonifica dei siti contaminati, cit., p. 916. 20 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 penale, contabile ed amministrativa) 47 abilitate ad intervenire sulle medesime vicende, che non appare in linea con il principio della semplificazione e concentrazione delle tutele che dovrebbe fungere da contrappeso alla moltiplicazione delle azioni disponibili ed essere condizione ineludibile per il satisfattivo sviluppo dell’unitaria operazione rimediale48. Per altro verso, poi, a seguito della riformulazione dell’art. 311 operata dal citato art. 5 bis del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, risulta ora meglio illustrata la articolazione e successione delle misure di riparazione in forma specifica del danno ambientale. Tenendo conto dei rilievi formulati dalla Commissione CE nella procedura di infrazione n. 2007/4679, si è creato un esplicito collegamento tra la disposizione normativa in esame e gli istituti della riparazione complementare e compensativa contemplati dall’Allegato II della direttiva 2004/35/CE. In mancanza di riparazione «primaria», intesa come misura di ripristino delle condizioni originarie, è così prevista, nell’ordine: l’adozione di misure di riparazione «complementari», aventi lo scopo di ottenere, eventualmente anche in un sito alternativo geograficamente collegato a quello danneggiato tenuto conto degli interessi della popolazione colpita, un livello di risorse naturali e/o servizi analogo a quello che si sarebbe ottenuto se il sito danneggiato fose tornato alle condizioni originarie; infine, l’adozione di misure di ripazione «compensativa», volte a compensare la perdita temporanea di risorse naturali e servizi in attesa del ripristino e consistente in ulteriori miglioramenti alle specie e agli habitat naturali protetti o alle acque nel sito danneggiato o in un sito alternativo, con eslcusione di forme di compensazione finanziaria all’ente pubblico esponenziale della collettività. 47 Giudicata di dubbia legittimità costituzionale da F. GIAMPIETRO, La responsabilità per danno all’ambiente: la concorrenza delle giurisdizioni, in Danno e resp., 2007, p. 725. Riserve e valutazioni ciritiche sono espresse anche da E. FOLLIERI, Aspetti problematici della tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente, in W. CORTESE (a cura di), Diritto al paesaggio e diritto del paesaggio, Palermo, 2008, p. 122, il quale osserva che la conseguenza «è che, a seconda del giudice investito della controversia, si avrà una responsabilità connotata da diverse valutazioni degli elementi essenziali» indicati dalla normativa. Per una ragionata messa a fuoco dei confini, si veda ancora la citata Relazione tematica n. 112 della Corte di Cassazione, «Riferimenti normativi vecchi e nuovi nella delineazione delle responsabilità da illecito ambientale e profili soggettivi di risarcibilità a favore del soggetto leso», par. 8, ove si dimostra che, nelle materie dell’urbanistica e dell’edilizia, dei servizi pubblici e dei rifiuti, l’ambito della giurisdizione amministrativa esclusiva è riferito alle sole controversie sui riflessi individuali della compromissione ambientale, con esclusione dell’azione risarcitoria del danno ambientale di matrice pubblica. 48 Altra essendo poi la questione del valore da attribuire alla concentrazione e, quindi, della via attraverso cui giungere a tale esito: se attraverso scelte individuali rimesse ai soggetti agenti o attraverso una scelta generale compiuta a livello normativo. Per una analisi dei termini del problema, sia consentito rinviare a G. D. COMPORTI, Il sindacato del giudice delle obbligazioni pubbliche, in Dir. proc. amm., 2010, p. 413. 21 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 5. Il carattere residuale del risarcimento per equivalente ed il ruolo strategico della valutazione economica dei danni. Quando l’effettivo ripristino o l’adozione delle vedute misure di riparazione complementare o compensativa risultino in tutto o in parte omessi, impossibili o eccessivamente onerose ai sensi dell’art. 2058 c.c. o comunque attuate in modo incompleto o difforme rispetto a quanto prescritto, il danneggiante è obbligato «in via sostitutiva al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato». Così dispone la seconda parte del nuovo art. 311, comma 2, ripendendo un principio che era già desumibile, con specifico riferimento al potere di ordinanza ministeriale, dall’art. 313, comma 2, del Codice: quello del carattere residuale del risarcimento monetario. Si tratta, infatti, di una forma di riparazione a carattere sostitutivo, complementare e succedeneo, che funge da elemento di chiusura del sistema della responsabilità. La sua pratica consistenza dipende peraltro dal tipo di matrice49 ambientale danneggiata e dalle circostanze fisiche, economiche, sociali e temporali che caretterizzano il singolo evento, apparendo così configurabile una tendenziale distinzione tra ipotesi di danno pieno, riferito a risorse naturali non suscettibili in quanto tali di bonifica, e ipotesi di danno residuo, riferito alle altre risorse naturali e graduabile per ordine di importanza secondo la seguente scala: bonifica, secondo le circostanze, in tutto o in parte impossibile o eccessivamente onerosa, bonifica in tutto o in parte omessa o comunque attuata in modo incompleto o difforme rispetto a quanto prescritto, bonifica ingiustificatamente ritardata. Non costituisce invece impedimento alla bonifica e, quindi, via di fuga legittimante il risarcimento per equivalente, l’ipotesi della mancata, impossibile o oltremodo difficoltosa individuazione del soggetto responsabile, assai frequente in tema di inquinamento diffuso o storico. In simili casi, infatti, gli interventi di recupero ambientale, anche di carattere emergenziale, devono essere svolti d’ufficio dalla pubblica amministrazione competente, individuata alla luce del principio di sussidiarietà nel livello territoriale proporzionato alla tipologia ed all’estensione dell’inquinamento (dunque, si va dal comune al Ministero per i siti di interesse nazionale). Il diritto al recupero delle relative spese nei confronti dei proprietari incolpevoli, nei limiti dell’aumento di valore del sito a seguito 49 L’approccio per matrici, sotteso anche alla direttiva comunitaria 2004/35, consiste nella scomposizione dell’ambiente nelle risorse elementari naturali che lo compongono (di tipo abiotico: aria, acqua, suolo; o biotico: flora e fauna) ed i relativi ecosistemi specifici (es. l’ecosistema fluviale) e consente di associare a tali unità le funzioni o i servizi che possono essere interessati dal danno in termini di valori d’uso, diretti (assicurati dalla risorsa in quanto direttamente fruibile da parte di individui e/o in processi economici) o indiretti (assicurati dalle interazioni tra componenti abiotiche e biotiche che garantiscono l’equilibrio dell’ecosistema) e/o valori passivi. Tale procedura permette dunque di legare la valutazione scientifica del danno, ovvero degli effetti fisicamente misurabili in termini qualitativi e quantitativi, alla valutazione economica del danno attraverso l’individuazione delle funzioni compromesse per ogni risorsa naturale. Per una adeguata illustrazione di simile metodologia operativa, si può rinviare allo studio dell’APAT, Il risarcimento del danno ambientale: aspetti teorici e operativi della valutazione economica, Roma, 2006, capp. 6 e 7. 22 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 dell’esecuzione della bonifica, va ricondotto nell’alveo delle azioni di ingiustificato arricchimento, dalle quali si differenzia per l’esistenza di particolari forme di garanzia (onere reale e privilegio speciale immobiliare) che assicurano il recupero stesso (art. 253 del Codice). Né può confondersi con i rimedi risarcitori l’azione di rivalsa verso l’effettivo responsabile che spetta al mero proprietario del fondo che sia stato colpito dall’azione di arricchimento dell’amministrazione o abbia provveduto spontaneamente, pure senza esservi tenuto 50, a porre in essere gli interventi di bonifica per mantenere l’area interessata libera da pesi. Per quanto, come sin qui veduto, l’ambito applicativo del risarcimento monetario sia circoscritto, non altrettanto può dirsi della operazione di valutazione del danno. Trattasi di procedura complessa ed articolata, che afferisce non solo all’appendice residuale del risarcimento per equivalente ma interessa, in via preliminare, anche tutte le forme di riparazione che integrano la modalità del ripristino. Già la direttiva 2004/35/CE lega la scelta concreta delle misure di riparazione alla valutazione del danno e prescrive che, nel caso in cui i metodi di equivalenza risorsa - risorsa o servizio - servizio non fossero praticabili, o lo fossero ma con tempi e costi eccessivi, l’autorità competente può scegliere le misure di riparazione complementare e compensativa i cui costi siano equivalenti al valore monetrario stimato delle risorse naturali e/o servizi perduti. Lo stesso principio direttivo è poi richiamato dal novellato terzo comma dell’art. 311 quale termine di riferimento per la definizione ministeriale dei criteri di determinazione, non soltanto del risarcimento per equivalente, ma anche dell’eccessiva onerosità che costituisce causa di legittimo passaggio dalla tutela in forma specifica a quella per equivalente. Si tratta, dunque, di uno snodo fondamentale che assume portata decisiva, presupposta e condizionante dell’intera operazione. La valutazione del danno ambientale, considerato come un peggioramento del flusso di benessere proveniente da un bene a fruizione collettiva, tende a tradurre in termini economici la contrazione del benessere sofferta dai fruitori presenti e futuri del bene danneggiato, individuando la somma in grado di fornire agli stessi un insieme di utilità equivalente a quello perduto. Essa implica il confronto tra i benefici prodotti dalla risorsa naturale in assenza di danno (c.d. situazione senza) e quelli erogabili dalla medesima risorsa dopo l’evento dannoso (c.d. situazione con), e si sviluppa a partire dagli aggiustamenti posti in essere dai soggetti colpiti per minimizzare la portata delle conseguenze negative (stima indiretta) per giungere alla stima diretta delle variazioni di utilità in caso di assenza di strategie di adattamento. Tali benefici sono misurati sia in termini di valori d’uso che gli individui associano a determinate risorse, e che sono analizzabili secondo le 50 La giurisprudenza amministrativa è ferma nel ritenere illegittime tutte le determinazioni amministrative che pongono in tutto o in parte a carico del proprietario o del detentore del fondo i costi e gli oneri anche procedurali di bonifica, senza che sia stata accertata nel caso concreto e nel rispetto del principio del contraddittorio l’effettiva responsabilità in ordine all’inquinamento. Cfr. per esempio: TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 17 dicembre 2009, n. 837; TAR Toscana, Sez. II, 5 giugno 2009, n. 984 e 6 luglio 2010, n. 2316. 23 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 note teorie del consumatore e/o produttore, sia in termini di valori passivi espressi da fruitori in senso lato non già in relazione ad un uso economico, diretto e materiale ma in relazione al desiderio che le stesse continuino ad esistere e ad essere fruibili in futuro. I metodi di misurazione sono classificabili in tre principali categorie: preferenze imputate, preferenze rilevate e preferenze dichiarate. Le prime due seguono un approccio duale, nel senso che si basano sull’equivalenza tra utilità perduta e somma di denaro in grado di ripristinarla facendo leva sugli adattamenti dei fruitori valutabili come variazioni della spesa o dei costi di produzione di beni e servizi scambiati sul mercato. Ad esse sono riconducibili metodi (il costo per le spese difensive, il costo del ripristino, il costo di surrogazione, il profitto indebito, i prezzi di mercato, le funzioni di produzione, i prezzi edonici, il costo di viaggio) che consentono di cogliere soprattutto i valori d’uso avendo riguardo al comportamento dei soggetti nei mercati reali, limite che è compensato dalle esigenze informative relativamente contenute e quindi dai costi e tempi ridotti, ed appare accettabile quando il danno è ripristinabile e reversibile ed i valori passivi sono di entità trascurabile. La terza, che appare sicuramente più onerosa in termini di costi e di tempi basandosi sulla simulazione di mercati ipotetici cui si giunge attraverso interviste a mezzo di questionari di un campione di individui, diviene invece decisiva allorché siano danneggiate in modo irreversibile risorse o servizi non riproducibili né surrogabili. L’idea di fondo che scaturisce dal complesso delle superiori indicazioni metodologiche51 calate nel contesto funzionalmente unitario dell’operazione, in cui azione e reazione si tengono e si connettono, è che il prima condiziona e conforma il dopo: nel senso che, salva sempre la possibilità di fare valere il danno da perdite temporanee ed il danno non patrimoniale 52, quanto più si è potuto/dovuto fare in sede di azione preventiva e di bonifica, e quindi sotto forma di spese difensive 53, di 51 Per approfondimenti ed esemplificazioni, si rinvia al citato studio dell’APAT, Il risarcimento del danno ambientale, p. 75 ss. 52 Cass., Sez. III, 17 aprile 2008, n. 10118, in Giur. it., 2008, p. 2708, con nota di P. FIMIANI, La tutela risarcitoria a seguito del danno ambientale, ha chiarito che «non sussiste una duplicazione risarcitoria qualora il responsabile sia condannato al ripristino dello stato dei luoghi ed al pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, essendo la condanna volta ad elidere, per il primo aspetto, il pregiudizio non patrimoniale del vulnus all’ambiente in quanto bene giuridico unitario ed immateriale e, per il secondo, quello patrimoniale verificatosi nel periodo successivo al verificarsi dell’evento lesivo». 53 Comprendenti anche le spese per le polizze assicurative, quelle per le azioni urgenti di primo intervento e di messa in sicurezza, ma anche il pricing applicato dagli istituti di credito al finanziamento di attività che presentano rischi ambientali elevati (con conseguente aumento del rischio di insolvenza del cliente). 24 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 ripristino 54 e di surrogazione55 , tanto meno sarà richiesto fare in sede di risarcimento per equivalente. I due momenti non possono essere gestiti con logiche autonome e scollegate e un importante elemento di collegamento è rappresentato proprio da quel processo di valutazione delle varie componenti del danno che, sulla scorta anche di adeguate analisi costi - efficacia, dovrebbe sorreggere e guidare sin dall’inizio la definizione della più appropriata opzione di riparazione (come recita il punto 1.3 dell’Allegato 3 alla parte quarta del Codice), anziché essere confinata ex post nelle anguste e problematiche vicende peritali che condizionano l’esito dei processi. Nella indicata prospettiva assumono particolare importanza i riferimenti normativi alla individuazione delle «migliori tecniche di intervento a costi sostenibili»56, alla necessità di operare in modo compatibile con la prosecuzione della attività ed ai costi sostenuti per il ripristino, che compaiono con riferimento alle procedure di bonifica (art. 242, commi 8 e 10), di prevenzione e ripristino (art. 308) ed a quella per ordinanza ministeriale (art. 314, comma 3); mentre desta perplessità il mancato richiamo di tale fondamentale parametro, pure presente nel vecchio art. 18, nell’ambito della disposizione normativa volta ad indirizzare la determinazione per via ministeriale dei criteri di liquidazione del danno, ove viene fatto sibillino riferimento al valore monetario stimato delle risorse e dei servizi perduti (art. 311, comma 3). Simile prospettiva dovrebbe, in definitiva, condurre ad arginare la logica punitiva che si cela dietro la scorciatoia delle liquidazioni condotte per via equitativa o tabellare e forfettaria, come quella ancora oggi riproposta dall’art. 314, comma 3 del Codice che, oltre tutto avendo riguardo al procedimento per ordinanza, proeitta in un problematico campo di applicazione generale il meccanismo di conversione sanzione-danno che l’originario art. 58 del d.lgs. 11 54 Si distingue tra ripristino in senso stretto, che si riferise alle condizioni ed ai materiali originari e consente di fare riferimento agli attuali prezzi di mercato, e ripristino funzionale; in tale caso la riproduzione riguarda beni con caratteristiche diverse o in siti alternativi che siano in grado di assicurare la stessa funzionalità di quello danneggiato (es. la funzione idrogeologica di un bosco compromessa a seguito di disboscamento abusivo può essere ripristinata, senza riprodurre il bosco, attarverso manufatti alternativi come briglie o muri di sponda). Tale metodo tende ad avvicinarsi alla surrogazione e implica il problema di tenere conto dei valori passivi e d’uso che gli individui associano al bene perduto. 55 Il cui costo è dato dalla somma delle spese affrontate per sostituire il bene danneggiato con altri beni capaci di svolgere le stesse funzioni o fornire le stesse utilità. Ad esso viene fatto sovente ricorso per valutare i siti ricreativi compromessi da un evento (parchi, giardini pubblici). 56 Analogo criterio di commisurazione del grado di interventi da compiere per fronteggiare gli eventi che rischiano di compromettere la qualità dell’aria ambiente, è richiamato dal recente d.lgs. 13 agosto 2010, n. 155, recante attuazione della direttiva 2008/50/CE per un’aria più pulita in Europa, che in più parti fa riferimento all’adozione di misure «che non comportano costi sproporzionati» in relazione agli obiettivi da perseguire (es. artt. 9, comma 1 e 13 comma 1). 25 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 maggio 1999, n. 152 contemplava per i soli illeciti amministrativi e penali previsti in materia di scarichi57 . D’altra parte, la teoria della responsabilità civile insegna che tali derive sanzionatorie ancora presenti nel sistema rischiano di limitare la funzione deterrente, che è sottesa al principio «chi inquina paga» 58, in quanto i potenziali inquinatori sono indotti a non adottare le cautele necessarie a ridurre l’inquinamento ove le probabilità di vedersi addossato un obbligo risarcitorio non risultino commisurate nell’an e nel quantum alle condotte esigibili dal soggetto agente: in tali casi, infatti, si introducono elementi di incertezza e casualità che interrompono il rapporto esistente tra il costo delle polizze assicurative59 per danno ambientale ed il potenziale carico risarcitorio, rendendo tendenzialmente uguale la posizione del soggetto che investe in misure di contenimento dei rischi e di quello che invece risparmia su tali spese di aggiornamento tecnologico. L’enunciazione necessariamente sintetica di simili questioni ha lo scopo non già di disorientare il lettore, quanto di renderlo consapevole delle profonde variabili in gioco e della presenza di delicate opzioni valoriali60 che si collocano al di là del dato meramente economico e della relativa prospettiva efficientista e si presentano ad essere meglio colte, analizzate e sviluppate in seno ai procedimenti amministrativi piuttosto che nei processi. I primi, infatti, muovendosi in un ambiente dialogico e negoziale idoneo a selezionare anche le migliori competenze tecniche, manifestano una capacità di presa diretta, tempestiva e continuativa con la realtà dei fatti che ai secondi manca61. Tutto ciò implica un mutamento della tradizionale prospettiva giustizialista che non appare pienamente colto dal dato normativo (art. 311, comma 3), se è vero che, in termini contraddittori con l’impianto complessivo fin qui descritto, oltre ad avere incrementato le sedi giudiziarie abilitate a pronunciarsi sulle vicende 57 Si leggano, in proposito, le condivisibili osservazioni critiche di F. GIAMPIETRO, La responsabilità per danno all’ambiente nel TUA, cit., p. 1058 e note 47-48. 58 Cfr. in generale DE SADELEER, Environmental Principles. From Political Slogans to Legal Rules, Oxford, 2002, p. 42 ss., ripreso da B. POZZO, La direttiva 2004/35/CE e il suo recepimento in Italia, cit., p. 9. 59 Incertezza che induce, oltre tutto, molte compagnie a non sottoscrivere più le polizze assicurative per attività con elevate esposizioni ambientali, come riferito da A CROSETTI, Danno ambientale e risorse naturali dopo il D. Lgs. n. 152/2006: rilievi problematici, in Quaderni reg., 2010, p. 496, nota 50. 60 Oltre alla scelta del tipo di intervento, si pensi anche alla priorità da dare alla riparazione di certi danni, nel caso di simultaneità di eventi avversi. Ai fini della relativa decisione, l’art. 306, comma 3, prescrive che l’autorità competente deve tenere conto anche della natura, entità e gravità dei diversi casi di danno nonché della possibilità di un ripristino naturale. 61 Cfr. R. FERRARA, La protezione dell’ambiente e il procedimento amministrativo nella “società del rischio”, in Dir. soc., 2006, p. 512; più in generale, sia consentito rinviare all’analisi sviluppata in G. D. COMPORTI, Il procedimento amministrativo, in F. FRACCHIA (a cura di), Manuale di diritto pubblico, Ed. Scientifica, Napoli, 2010, p. 209. 26 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 contermini al danno ambientale, la riforma ha individuato nei metodi liquidatori impiegati dalla pregressa giurisprudenza nazionale e comunitaria un parametro guida cui attenersi nella fissazione degli attesi criteri ministeriali di valutazione dei risarcimenti. Come dire che ci si prepara al futuro guardando ancora al passato. E’ invece nell’amministrazione più che nella giurisdizione che vanno ricercate le risorse e competenze per assicurare una regolazione - gestione dei rischi ambientali62 capace di condurre «oltre il principio di precauzione», impedendo il ripetersi di errori ai quali finisce per essere esposta la gente che soccombe alla paura63. 62 Tecnica di cui si può apprezzare la recente declinazione per opera del d. lgs. 13 agosto 2010, n. 155, in materia di qualità dell’aria ambiente, che prevede la seguente sequenza di interventi: zonizzazione del territorio (art. 3), classificazione delle zone e degli agglomerati ai fini della valutazione della qualità dell’aria (artt. 4-5); nel caso di accertato superamento dei valori limite, adozione mediante opportune procedure di raccordo e concertazione di piani e misure per agire sulle principali sorgenti di emissione e ripristinare i valori limite nel più breve tempo possibile (art. 9, con l’avvertenza che le misure non comportino costi sproporzionati); piani e misure per ridurre il rischio di superamento dei valori limite, in presenza di significative e comprovate circostanze attinenti alla durata e gravità del rischio ed alla possibilità di ridurlo (art. 10). 63 Per riprendere il messaggio di C. R. SUNSTEIN, Laws of Fear. Beyond the Precautionary Principle (2005), trad. it. di U. IZZO, Il diritto della paura. Oltre il principio di precauzione, Il Mulino, Bologna, 2010. 27 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 ABSTRACT Gian Domenico Comporti – La responsabilità per danno ambientale La tecnica della responsabilità civile non costituisce lo strumento più efficace per amministrare i danni diffusi causati da disastri di massa. Il danno ambientale rappresenta infatti il tipico esemplare di mass tort, al quale è difficile applicare un paradigma rimediale concepito con riferimento a fattispecie molto più semplici e lineari. Tali difficoltà trapelano anche dalla odierna legislazione, che fornisce una serie di spunti sintomatici di un crescente favor verso forme riparatorie alternative al mero risarcimento per equivalente. L’articolo ripercorre in modo critico questi spunti, sollecitando la riflessione sulla necessità di sperimentare tecniche di contrasto all’inquinamento che si esprimano soprattutto al di fuori del processo, e in particolare nell’ambito di una sempre più partecipata istruttoria procedimentale. -------------------------------------------------------------------------------------------------The compensation for damages is not the most effective way in order to administer the widespread damage caused by mass disasters. Environmental damage is in fact a typical example of mass tort: so it is difficult to apply to this kind of damage a paradigm designed with reference to much more simple situations. These difficulties are often underlined by the environmental law, which provides a set of cues revealing a growing appreciation for remedies which are alternative to mere compensation for equivalent. The paper underdraws these cues critically, focusing to anti-pollution techniques which take place outside the litigation and, particularly, in the context of an increasing participation to the preliminary evaluation in the administrative procedure. 28 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 GIUSEPPE MANFREDI* Cambiamenti climatici e principio di precauzione** Sommario: 1. Le ricadute sociali e istituzionali dei cambiamenti climatici. 2. Il fondamento precauzionale degli interventi in tema di cambiamenti climatici. 3. Il significato del principio di precauzione. 4. Principio di precauzione e politiche della scienza. 5. La gestione del rischio. 1. Le ricadute sociali e istituzionali dei cambiamenti climatici. Mi viene chiesto di parlare del principio di precauzione in rapporto ai cambiamenti climatici. L’argomento ovviamente è di ordine giuridico: nondimeno, dato che devo trattarlo davanti a una platea in cui siedono per lo più scienziati ed economisti, vorrei affrontarlo partendo da un piano che i giuristi probabilmente definirebbero sociologico (anche se, per vero, esso non pertiene interamente alla sociologia per com’è generalmente intesa: ma soprattutto i giuspubblicisti a partire almeno dalla prolusione palermitana di Vittorio Emanuele Orlando hanno il vezzo di definire come sociologico tutto ciò che non si colloca su un piano strettamente giuridico). Peraltro, non è che non creda in ciò che viene definito autonomia e autosufficienza del giuridico: per intenderci, ritengo che i problemi di diritto positivo vadano affrontati e risolti tramite strumenti squisitamente giuridici. Nondimeno, penso che questi problemi possano essere esaminati pure partendo da dati e da considerazioni metagiuridici, che sono di estrema utilità per comprendere il contesto in cui si inscrivono i fenomeni giuridici, e, quindi, per comprendere almeno una parte delle dinamiche che li interessano. Fatta questa premessa - tutt’altro che accattivante, ma necessaria per non disorientare l’uditorio - vorrei iniziare osservando che la questione dei cambiamenti climatici è interessante, direi quasi avvincente, in eguale misura sia per l’una sia per l’altra di quelle che Charles Snow definiva le due culture 1: non solo per chi si occupa di scienze naturali, ma anche per chi si occupa di scienze sociali - e, quindi, pure per il giurista, che in definitiva è uno scienziato sociale, anche se abbastanza peculiare -. E ciò non solo per le implicazioni che i mutamenti climatici potrebbero avere sull’economia e sulla società, e, in generale, sulla vita umana sul nostro pianeta, * Professore straordinario nella Facoltà di Giurisprudenza di Piacenza dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. ** Il testo riproduce, con alcune modifiche, la relazione al convegno Cambiamenti climatici: ipotesi ed evidenze scientifiche, Trento, 29-30 ottobre 2010. 1 V. C. SNOW, Le due culture, Padova, Marsilio, 2005. 28 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 ma anche per tutte le ricadute che questa problematica ha avuto durante gli scorsi due decenni nel dibattito politico, e, quindi, sulle dinamiche istituzionali. Basti ricordare cos’è accaduto negli Stati Uniti: il paese a cui si deve la quota in assoluto maggiore di emissioni inquinanti in atmosfera (se non erro, all’inizio di questo decennio era oltre un terzo del totale); ma che, ciò nonostante, a oggi, come noto, non ha ancora aderito al Protocollo di Kyoto del 1997. Negli Stati Uniti a proposito dei cambiamenti climatici si è sviluppato un dibattito estremamente acceso, che, peraltro, si è subito polarizzato sull’asse destra/ sinistra, con i negatori dell’influenza delle attività umane sul clima per lo più collocati a destra, e gli assertori di questa influenza per lo più collocati a sinistra. Peraltro questo dibattito ha registrato anche veri e propri scandali: è noto che durante lo scorso decennio la NASA è stata accusata di non rivelare una serie di dati che avvaloravano le tesi sul riscaldamento globale per favorire le scelte dell’amministrazione Bush. E nel 2009 è scoppiato il cosiddetto Climategate, quando dei ricercatori di un’università inglese sono stati accusati di aver tenuto comportamenti analoghi, ma per finalità diametralmente opposte, poiché i dati che avevano raccolto non dimostravano un particolare deterioramento del clima. Il dibattito ha avuto vari riscontri persino a livello di cultura popolare: ad esempio, nel 2004 è uscito nelle sale cinematografiche il film L’alba del giorno dopo di Emmerich, dove la catastrofe climatica che di lì a poco avrebbe sconvolto il pianeta ha come prologo lo scontro tra uno scienziato che denuncia il gravissimo rischio che sta correndo il clima del pianeta e il vicepresidente degli Stati Uniti che ribatte che l’economia non è abbastanza florida perché ci si possa occupare del problema. Nello stesso anno è stato pubblicato pure uno degli ultimi romanzi di Crichton, Stato di paura, in cui invece sono alcuni esponenti per così dire deviati del movimento ecologista a provocare disastri ambientali per sfruttare la paura del riscaldamento globale a fini politici ed economici. Ora, pare abbastanza ovvio che questo dibattito è dovuto principalmente alle ricadute economiche di estremo rilievo di ogni tipo di azione, o di inazione, in tema di climate change. A ciò si aggiunga che anche per quanto riguarda la climatologia non è facile attirare l’attenzione dell’opinione pubblica su profili che non sono immediatamente comprensibili. Ad esempio, considerazioni sull’influenza dell’aumento della nuvolosità sui valori di albedo, e, quindi, sul riscaldamento o sul raffreddamento della superficie terrestre che ne deriva, ben difficilmente possono interessare il grande pubblico come le tesi di chi preannuncia una qualche catastrofe epocale, o, per contro, di quelle di chi accusa l’IPCC, il Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, di commettere errori madornali, o, addirittura, di essere in malafede. E, d’altra parte, sappiamo bene che negli ultimi tempi i mezzi di comunicazione di massa - non solo in Italia - sono inclini alla spettacolarizzazione degli eventi, e, pertanto, anche per quanto riguarda le tesi scientifiche, tendono a enfatiz- 29 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 zare e ad amplificare le posizioni più estreme e più dogmatiche, piuttosto che quelle ragionate e riflessive. 2. Il fondamento precauzionale degli interventi in tema di cambiamenti climatici. Ma con tutta probabilità a questo dibattito non sono estranee neppure problematiche squisitamente giuridiche, che si riallacciano al peculiare fondamento degli interventi in materia. In proposito occorre innanzitutto ricordare che a oggi lo studio dei fenomeni climatici forse è ancora distante anni, o decenni, dalla elaborazione di modelli esplicativi attendibili. Inoltre anche in futuro il clima presumibilmente sarà destinato a restare connotato da una predittività limitata, perché esso costituisce un sistema caotico, in cui non è possibile individuare con esattezza le retroazioni, il feedback, delle modifiche dei singoli componenti, e, in particolare, delle modifiche dei vari gas serra presenti in atmosfera2. Le questioni climatiche rappresentano dunque un tipico esempio di ciò che Maria Chiara Tallacchini definisce efficacemente come scienza incerta3. Ma è proprio perché la scienza a tutt’oggi non ha gli strumenti per definire con precisione e con esattezza tutti i termini del rapporto tra attività umane e cambiamenti climatici che gli interventi pattizi e legislativi in proposito – in primo luogo, lo stesso Protocollo di Kyoto - si sono sempre basati sul principio di precauzione: che, secondo la definizione datane nella Dichiarazione di Rio, adottata nella Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo del 1992, implica appunto che «laddove vi siano minacce di danni seri o irreversibili, la mancanza di piene certezze scientifiche non potrà costituire un motivo per ritardare l’adozione di misure efficaci in termini di costi volte a prevenire il degrado ambientale» 4. Ora, è noto che il principio di precauzione è circondato da molta diffidenza, perché si teme che esso sia espressione di un atteggiamento antiscientifico, se non addirittura oscurantistico. 2 V. K. EMANUEL, Piccola lezione sul clima, Bologna, Il Mulino, 2008, passim. 3 M.C. TALLACCHINI, Ambiente e diritto della scienza incerta, in S. GRASSI-M. CECCHETTI-A. ANAmbiente e diritto, Firenze, Olschki, 1999, I, pp. 57 ss., e Diritto per la natura, Torino, Giappichelli, 1996. DRONIO, 4 Nella dottrina italiana sulle norme in tema di cambiamento climatico si segnalano in particolare gli studi pubblicati in F. FRACCHIA-M. OCCHIENA (a cura di), Climate change: la risposta del diritto, Napoli, Editoriale scientifica, 2010 (e ivi, in relazione al principio di precauzione, V. MOLASCHI, Livelli di protezione ambientale e tutela precauzionale differenziata: una riflessione alla luce della giurisprudenza costituzionale, pp. 67 ss.), ma v. almeno anche B. POZZO, La nuova direttiva (2003/ 87/CE) sullo scambio di quote di emissione: prime osservazioni, in Riv. giur. ambiente, 2004, pp. 11 ss. 30 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Ed è per tale ragione che di questo principio – e, quindi, anche degli interventi che si basano su di esso, quali quelli in tema di cambiamenti cimatici – non possono non diffidare le politiche pubbliche statunitensi. Come si legge nello studio di Sheila Jasanoff Fabbriche della natura, l’approccio delle istituzioni americane nei confronti delle questioni scientifiche e tecnologiche è per lo più connotato da una fiducia nel progresso scientifico e tecnologico decisamente ottimistica, che in definitiva si riallaccia al paradigma della scienza pura e disinteressata che si deve al sociologo Robert Merton, e, ancor prima, allo stesso individualismo liberale5. Certo, vero è che non mancano interventi statunitensi in tema di ambiente – anche a livello federale - che sono basati su un approccio precauzionale implicito: ne viene considerato buon esempio sin dall’inizio degli anni novanta l’operato della Commissione congiunta Stati Uniti/Canada sull’inquinamento dei Grandi Laghi. Ma ciò nonostante, a oggi le istituzioni statunitensi rifuggono ancora dalla formalizzazione e dall’esplicitazione di questo principio. 3. Il significato del principio di precauzione. Ciò posto, un modo per evitare che in ordine alla questione dei cambiamenti climatici si sconti il peso di contrapposizioni dovute a petizioni di principio può essere pure quello di dimostrare che i timori in ordine al principio giuridico che costituisce il fondamento degli interventi in materia sono in gran parte infondati. A tal fine penso che sia opportuno fare un poco di chiarezza sul significato effettivo del principio di precauzione. Si sa che sul punto negli scorsi anni è stato detto praticamente tutto e il contrario di tutto. Ad esempio, in uno scritto di Grassi di una decina di anni fa si rilevava che dalla disamina della letteratura giuridica italiana e straniera emergono «almeno sei fondamentali concetti che sono riconducibili al principio precauzionale», ossia «l’anticipazione preventiva», «la salvaguardia degli ecosistemi o spazi ambientali liberi», «la proporzionalità della risposta o efficacia rispetto ai costi dei margini di errore», «il dovere di cautela, o inversione dell’onere della prova», «la promozione dei diritti naturali intrinseci», «l’obbligo di pagare per il debito ecologico causato nel passato» 6. Ma di fronte a rassegne di opinioni siffatte si intuiva immediatamente che il principio che qui interessa veniva letteralmente sovraccaricato di significati. 5 S. JASANOFF, Fabbriche della natura. Biotecnologie e democrazia, Milano, Il Saggiatore, 2008, passim. 6 S. GRASSI, Prime osservazioni sul principio di precauzione nel diritto positivo, in Dir. gest. amb., 2001, pp. 45 ss. 31 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 In altri termini, sembra che - almeno inizialmente - nel principio di precauzione si sia voluto trovare una conferma delle aspettative più diverse, se non più disparate. D’altro canto, se per un momento allarghiamo l’angolo visuale al di là dello specifico problema che qui interessa, ci rendiamo subito conto che si tratta di null’altro che della ripetizione di un fenomeno che negli ultimi decenni si è verificato in generale per lo stesso ambientalismo. E’ abbastanza evidente che anche le problematiche ambientali molto spesso sono state caricate di attese di natura etica, o di aspettative di giustizia sociale, che di per sé sono sicuramente nobilissime, ma che con l’ambiente hanno a che fare punto o poco. Ciò è avvenuto in primis nella cultura popolare e nel dibattito politico, eppoi anche nella riflessione filosofica, e in quella stessa giuridica. Ma in modo provocatorio si potrebbe osservare che una società imperialista e schiavista come quella dell’antica Roma era sicuramente più rispettosa dell’ambiente di una società (ben lungi dalla perfezione, ma, comunque) più pacifica e più egualitaria, ma tecnologicamente più avanzata, quale la nostra. Oppure si potrebbe citare un libro recentemente tradotto in italiano, Green metropolis di David Owen, dove si sostiene che una città come New York dal punto di vista ambientale è senz’altro più sostenibile di insediamenti umani dotati di minore densità abitativa, che solo apparentemente sono meglio inseriti nell’ambiente; e si arriva alla conclusione che in ultima analisi l’avversione dei movimenti ambientalisti nei confronti degli agglomerati urbani è dovuta in gran parte al fatto che durante gli scorsi decenni la sensibilità ambientalista si è incrociata con un atteggiamento che ha matrici diverse, e che come fine ultimo non persegue certo la tutela dell’ecosistema, ossia con l’avversione per l’urbanesimo7. 4. Principio di precauzione e politiche della scienza. Vero è che il principio di precauzione sta a segnare (anche) il definitivo abbandono del positivismo e dello scientismo ingenui che connotavano le tendenze culturali prevalenti nell’ottocento e all’inizio del novecento: ossia di quella fiducia acritica nei confronti della scienza e del progresso tecnologico che tanto bene era rappresentata dal ballo excelsior con cui a fine ottocento la borghesia milanese celebrava le invenzioni e le grandi opere del periodo, quali il telegrafo, il piroscafo, il canale di Suez, etc. Ed è altrettanto vero che in questo principio è implicita (anche) la richiesta di una maggior richiesta di controllo sociale sugli sviluppi della tecnologia. D’altro canto è quasi inutile ricordare che il ventesimo secolo ci ha dimostrato ripetutamente, quasi ad nauseam, che il progresso tecnologico può avere delle ricadute di estrema pericolosità per l’ambiente e per la salute umana. 7 D. OWEN, Green metropolis, Milano, Egea, 2010. 32 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Ciò nondimeno, penso che il principio di precauzione, se rettamente inteso, sia ben lungi dal rappresentare una forma di rifiuto acritico del progresso scientifico. Qualche tempo fa lo avevo sostenuto innanzitutto sulla base di un argomento semantico (ancora una volta ripreso dagli studi di Maria Chiara Tallacchini), perché la precauzione nei confronti di un qualsiasi fenomeno è un atteggiamento che si colloca in posizione equidistante rispetto sia alla accettazione acritica (se si vuole, alla sconsideratezza) sia al rifiuto acritico (se si preferisce, alla paura) del fenomeno medesimo8. Eppoi sulla base dei dati testuali che si ricavano dalle fonti internazionali e comunitarie che disciplinano questo principio. In ambito internazionale il principio di precauzione ha infatti trovato posto tra i principi che devono governare il cosiddetto sviluppo sostenibile, in particolare nella Dichiarazione di Rio del 1992. E già questa collocazione implica che esso non può sfociare in un rifiuto e in una chiusura nei confronti dell’innovazione, perché altrimenti la precauzione verrebbe a collidere con il primo termine di tale endiadi, lo sviluppo, e si tradurrebbe nel suo opposto, ovverosia nella stagnazione. Ad analoghe conclusioni conducono poi a livello comunitario i contenuti nella Comunicazione della Commissione CE del 2 febbraio 2000. Il presupposto degli interventi precauzionali viene individuato in quello stesso indicato nella Dichiarazione di Rio, ossia in una situazione di incertezza scientifica sugli «effetti potenzialmente negativi derivanti da un fenomeno, da un prodotto o da un procedimento». Giova però soprattutto sottolineare che la Comunicazione afferma che un’incertezza siffatta può aversi solo a fronte di divisioni interne alla comunità scientifica, allorché la tesi della pericolosità di detti effetti venga sostenuta anche «solo da una frazione minoritaria della comunità … purché la credibilità e la reputazione di tale frazione siano riconosciute». Inoltre la Comunicazione prevede pure che le azioni fondate sul principio in discorso devono sempre restare soggette a revisione in base ai nuovi dati scientifici. Sicché a livello comunitario l’individuazione dei presupposti per applicare il principio in discorso in ultima analisi viene demandata proprio alla comunità scientifica. 8 Mi riferisco a Note sull’attuazione del principio di precauzione in diritto pubblico, in Dir. pubbl., 2004, 1075 ss. Sul principio di precauzione nell’ordinamento italiano, oltre agli studi che vengono citati in seguito, v. almeno anche M. ANTONIOLI, Precauzionalità, gestione del rischio e azione amministrativa, in Riv. it. Dir. pubbl. com., 2007, pp. 60 ss.; M. P. CHITI, Il rischio sanitario e l’evoluzione dall’ amministrazione dell’emergenza all’amministrazione precauzionale, ivi, 2006, pp. 7 ss., G. D. COMPORTI, Contenuto e limiti del governo amministrativo dell'inquinamento elettromagnetico alla luce del principio di precauzione, in Riv. giur. ambiente, 2005, pp. 215 ss. Lo studio più completo in proposito resta comunque senz’altro quello di F. DE LEONARDIS, Il principio di precauzione nell’amministrazione di rischio, Milano, Giuffré, 2005. 33 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Visto in questi termini, il principio di precauzione non solo è tutt’altro che oscurantistico, o antiscientifico, ma finisce piuttosto per risultare connotato da un’intrinseca scientificità. Solo che la scientificità che qui è presupposta non è quella mitica, e malintesa, che stava alla base degli atteggiamenti rappresentati dal ballo excelsior, ma quella reale ed effettiva, che dà per scontato che la scienza sia sempre in evoluzione, e, quindi, che essa sia sempre disponibile a rimettere in discussione i risultati a cui perviene. E che la scienza sia in continua evoluzione non è certo una novità. Basti ricordare che poco meno di un secolo fa Weber, ne La scienza come professione, avvertiva che è proprio per tale ragione che lo scienziato in definitiva lavora per essere superato, e per essere dimenticato: «… ognuno di noi sa che, nella scienza, ciò che egli ha fatto sarà invecchiato dopo dieci, venti, cinquant’anni. Questo è il destino, anzi, questo è il senso del lavoro della scienza, al quale esso è sottoposto ed esposto in un modo del tutto specifico rispetto a tutti gli altri elementi della cultura per i quali pur vale la stessa cosa: ogni “riuscita” scientifica comporta nuove “questioni” e vuole essere “superata” e invecchiare … ma essere superati scientificamente – è bene ripeterlo – è non soltanto il destino di noi tutti, ma anche il nostro scopo. Non possiamo lavorare senza sperare che altri procedano più avanti di noi. In linea di principio, questo progresso tende all’infinito …» 9. E’ scontato che ciò avvenga per l’appunto attraverso un continuo dibattito all’interno della comunità scientifica: ed è parimenti scontato che in questo contesto le opinioni innovative inizialmente non possono essere altro che minoritarie. Di nuovo negli ultimi tempi probabilmente vi è l’estrema velocità e rapidità con cui ciò avviene: non è d’altra parte casuale che tra le visioni e le immagini del futuro che ci vengono proposte dai mezzi di comunicazione di massa ormai trovi spazio addirittura quella della singolarità tecnologica, ossia di un punto al di là del quale il progresso è destinato ad accelerare oltre ogni previsione, e magari oltre la stessa capacità di comprensione umana. Ma è proprio questa rapidità dell’evoluzione scientifica, inusitata in passato, che rende necessario un atteggiamento istituzionale più pronto e più reattivo: che viene appunto reso possibile dal principio in discorso. Della scientificità di cui s’è detto troviamo poi svariate conferme anche nella elaborazione giurisprudenziale e normativa italiana. Ad esempio, per quanto riguarda la giurisprudenza della Corte costituzionale, nella sentenza n.116/2006 si è affermato che all'esercizio della libertà di iniziativa economica possono essere imposti dei limiti «sulla base dei principi di prevenzione e precauzione nell'interesse dell'ambiente e della salute umana»; ma pure che ciò può legittimamente avvenire soltanto sulla base di «indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite tramite istituzioni e organismi, di norma nazionali o sopranazionali, a ciò 9 M. WEBER, La scienza come professione, in Id. La scienza come professione. La politica come professione, Milano, Mondadori, 2006, pp. 18 ss. 34 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 deputati, dato l'essenziale rilievo che, a questi fini, rivestono gli organi tecnico-scientifici». E nella sentenza n.406/2005 si è rilevato che il principio di precauzione è un «criterio direttivo che deve ispirare l'elaborazione, la definizione e l'attuazione delle politiche ambientali della Comunità Europea sulla base di dati scientifici... circa gli effetti che possono essere prodotti da una determinata attività» 10. Per quanto invece riguarda la produzione legislativa, il comma 2 dell’art.301 del c.d. Codice dell’ambiente ex d.lgs. n.152 del 2006 afferma che in generale l'applicazione del principio di precauzione «concerne il rischio che comunque possa essere individuato a sèguito di una preliminare valutazione scientifica obiettiva». E il comma 4 di questa stessa disposizione prevede che le misure di prevenzione adottate devono essere sempre «aggiornabili alla luce di nuovi dati scientifici» 11. 5. La gestione del rischio. Non bisogna però dimenticare che il principio in discorso implica pure che, dopo che è avvenuta l’individuazione e la valutazione del rischio da parte della comunità scientifica, si apra una fase di gestione del rischio (se si preferisce, di risk management), che compete alle istituzioni: ossia, a seconda degli assetti di competenze di volta in volta prescelti, al potere legislativo, al potere esecutivo, alla pubblica amministrazione 12. Ma in questo, ancora una volta, non vi è nulla di antiscientifico. E’ infatti evidente che la decisione sul livello dei rischi che una società intende sopportare non è una questione scientifica, ma, piuttosto, una questione politica, o amministrativa. Ciò posto, risulterebbe incongruo se a occuparsene fosse la scienza, che in proposito non ha nessun sapere specifico. A questa stregua si finirebbe per demandare un problema che riguarda l’intera società a una sua sola frazione, ossia la comunità scientifica (o, meglio, il settore della comunità scientifica che si occupa della specifica questione che di volta in volta implica dei rischi): e, quindi, si produrrebbe una situazione decisamente pa- 10 V., in proposito, L. BUTTI, Principio precauzionale, Codice dell’ambiente e giurisprudenza delle corti comunitarie e della corte costituzionale, in Riv. giur. ambiente, 2006, pp. 809 ss. 11 Su questa disposizione v. almeno F. DE LEONARDIS, Il principio di precauzione nella recente codificazione, in M. P. CHITI, R. URSI, Studi sul Codice dell’ambiente, Torino, Giappichelli, 2009, pp. 77 ss., e L. BUTTI, op. cit.. 12 V., sul punto, M. CECCHETTI, La disciplina giuridica della tutela ambientale come <diritto dell’ambiente>, in www.federalismi.it; A. BARONE, Il diritto del rischio, Milano, Giuffré, 2006, spec. p. 80, e, soprattutto, l’ampia analisi di B. MARCHETTI, Il principio di precauzione, in M. A. SANDULLI (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, Giuffré, 2011, pp. 149 ss. 35 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 radossale, laddove una élite tecnocratica sarebbe incaricata di occuparsi di questioni che in definitiva non attengono alla scienza o alla tecnica. E’ dunque abbastanza scontato che risulta preferibile che a occuparsi di questioni siffatte siano chiamate istituzioni dotate di una qualche legittimazione rappresentativa, che deriva dalla società nella sua interezza. Certo, non può escludersi a priori che gli interventi precauzionali disposti da tali istituzioni possano condurre a una qualche chiusura nei confronti dell’innovazione. Ma probabilmente non vi sono metodi atti a evitare tout court eventualità siffatte: come, in generale, non esistono metodi atti a evitare qualsivoglia possibilità di errore da parte delle istituzioni rappresentative. E’ però senz’altro possibile elaborare dei contrappesi atti a rendere tali eventualità abbastanza remote. Non a caso già la citata Comunicazione della Commissione CE aveva curato di rendere tali eventualità abbastanza remote dettando una serie di parametri atti a fungere da limiti interni alle misure precauzionali, sicché ogni azione precauzionale dev’essere «- proporzionale al livello prescelto di protezione; - non discriminatoria nella sua applicazione; - coerente con misure analoghe già adottate; - basata su un esame dei potenziali vantaggi ed oneri (possibilmente attraverso un'analisi costi/benefici)…» 13. Nello stesso senso è poi andata anche la giurisprudenza comunitaria più recente, soprattutto laddove ha curato di circoscrivere l’ambito di applicazione delle misure precauzionali. Negli anni novanta dello scorso secolo il giudice comunitario sembrava orientato ad accogliere una visione del principio in discorso per cui è sufficiente anche una mera possibilità di pregiudizio per legittimare misure inibitorie, e per cui spetta a chi vuol realizzare una innovazione l’onere della prova della innocuità dell’innovazione medesima. Ma nel decennio appena trascorso la Corte di Giustizia e il Tribunale di primo grado si sono orientati in modo sensibilmente diverso. Un univoco indirizzo dei giudici comunitari in sostanza ha innalzato la soglia di rischio al di là della quale possono essere implementate misure precauzionali: in particolare, si è affermato che le misure precauzionali sono ammissibili solo in presenza di rischi probabili, anziché meramente possibili, e sulla base di indizi seri14. Ad esempio, nella sentenza del Tribunale di primo grado 11.9.2002 si è rilevato che «dal principio di precauzione, come interpretato dal giudice comunitario, deriva … che una misura preventiva può essere adottata esclusivamente qualora il rischio, senza che la sua esistenza e la sua portata siano state dimostrate “pienamente” da dati scientifici concludenti, appaia almeno sufficientemente documentato sulla base dei dati scientifici disponibili al momento dell'adozione di tale misura 13 L. BUTTI, op. cit., 817. 14 Così F. DE LEONARDIS, Il principio di precauzione nella recente codificazione, cit., 86. 36 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 … l'adozione di misure, anche se preventive, sulla base di un approccio puramente ipotetico del rischio, sarebbe ancor più inadeguata in una materia come quella del caso di specie. Infatti, in un tale ambito, come è anche pacifico tra le parti, non può esistere un livello di “rischio zero” nei limiti in cui l'assenza totale del minimo rischio attuale o futuro … non può essere scientificamente provata … Il principio di precauzione può, dunque, essere applicato solamente a situazioni il cui il rischio, in particolare per la salute umana, pur non essendo fondato su semplici ipotesi non provate scientificamente, non ha ancora potuto essere pienamente dimostrato». E anche la Corte di Giustizia, nella sentenza del 23.9.2003, ha precisato che le misure precauzionali possono essere adottate solo in presenza della «probabilità di un danno reale». Inoltre i giudici comunitari hanno affermato pure che a carico di colui che propone una innovazione tecnologica non può essere richiesta una qualche prova della assoluta innocuità di un’innovazione, perché una dimostrazione siffatta sarebbe impossibile, e si tradurrebbe in ciò che i giuristi chiamano probatio diabolica: sicché la prova della pericolosità dell’innovazione deve gravare sull’istituzione che si ripropone di inibirla15. Nella sentenza della Corte di Giustizia 5.2.2004 in particolare si è osservato che «poiché l'art. 36 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 30 CE) contiene una deroga, da interpretare restrittivamente, al principio della libera circolazione delle merci nell'ambito della Comunità, tocca alle autorità nazionali che ad esso si richiamano dimostrare in ciascun caso, alla luce delle abitudini alimentari nazionali e tenuto conto dei risultati della ricerca scientifica internazionale, che la loro normativa è necessaria per tutelare effettivamente gli interessi considerati da detto articolo e, segnatamente, che la commercializzazione dei prodotti di cui trattasi presenta un rischio reale per la salute» 16. Sul punto suscita invece una qualche perplessità la legislazione italiana, dato che il già citato art.301 del Codice dell’ambiente prevede che l’attuazione delle misure precauzionali debba avvenire «in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l'ambiente»: anche se, per vero, a oggi il Ministero dell’ambiente non pare propenso ad abusare dei poteri riconosciutigli da questa disposizione. Né va sottaciuto che in dottrina non è mancato chi - in particolare, De Leonardis - ha letto la formula anzidetta alla luce degli orientamenti della giurisprudenza comunitaria, e, quindi, ha sostenuto che pure qui il presupposto delle misure precauzionali è il rischio probabile anziché il rischio possibile 17. 15 Cfr. F. DE LEONARDIS, op. loc. ult. cit.. 16 Per altre pronunzie che vanno nel senso di quelle citate nel testo si rinvia alla puntuale ed esaustiva rassegna della giurisprudenza comunitaria svolta da B. MARCHETTI, Il principio di precauzione, cit. 17 F. DE LEONARDIS, Il principio di precauzione nella recente codificazione, cit. 37 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Ulteriori perplessità derivano poi dal fatto che l’art.301 sembra configurare le misure precauzionali come una sorta di species dei poteri di ordinanza: il che non pare del tutto consono al principio di legalità sostanziale, e, per quanto qui interessa, lascia ovviamente adito alla possibilità di abusi dei poteri precauzionali. Ma ciò in definitiva si riallaccia a una generale tendenza del nostro ordinamento, che talora negli ultimi tempi – per riprendere la nota distinzione di Schmitt – sembra quasi rifarsi alle categorie dello Stato governativo, che predilige la decisione del caso concreto, invece che a quelle dello Stato legislativo, che preferisce dettare regole generali18: ma è ovvio che si tratta di un discorso che qui non è possibile affrontare, dato che ci porterebbe sin troppo lontano. GIUSEPPE MANFREDI 18 C. SCHMITT, Legalità e legittimità, in Id., Le categorie del <politico>, Bologna, Il Mulino, 1998, pp. 211 ss. 38 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 ABSTRACT Giuseppe Manfredi - Cambiamenti climatici e principio di precauzione L’articolo esamina la tematica del principio di precauzione in rapporto ai cambiamenti climatici: in particolare, viene messo in luce come gli interventi pattizi e legislativi volti a contrastare il fenomeno dei cambiamenti climatici si siano per lo più basati sul principio di precauzione in ragione della difficoltà di definire con precisione il rapporto tra attività umane e conseguenze sul clima. L’Autore nota che la fortuna del principio di precauzione ha probabilmente significato l’abbandono della fiducia acritica nei confronti della scienza e del progresso tecnologico; passa poi a dimostrare come, sulla base dei dati testuali che si ricavano dalle fonti internazionali e comunitarie che disciplinano il principio di precauzione (e in particolare il suo essere associato al principio dello sviluppo sostenibile), quest’ultimo in realtà non rappresenti una forma di rifiuto acritico del progresso scientifico. -------------------------------------------------------------------------------------------This article examines the topic of principle of precaution in relation to climate changes: in particular, it is underlighten that legislative and conventional interventions intended to contrast climate changes have been mainly based on the principle of precaution as a result of the difficulty of precisely defining the relationship among human activities and consequences on climate. The Author notes that the success of the principle of precaution has probably meant to abandon an acritical trust on science and technological progress; then he demonstrates that, based on textual data derived from international and Community sources governing the principle of precaution (and in particular the fact that it is associated with the principle of sustainable development), the latter does not represent a form of acritical refusal of the scientific development. 39 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 EMANUELE BOSCOLO* La gestione integrata delle zone costiere in Italia: prospettive e prime esperienze. Sommario: 1. Premessa: la rilevanza della GIZC. 2. La nozione di GIZC nel Protocollo di Madrid. 3. La caratterizzazione della zona costiera e la riconsiderazione oggettuale della zona costiera. 4 Il modello amministrativo deducibile dal Protocollo. 5. Le sperimentazioni italiane. 6. La zona costiera come piattaforma multifunzionale e come risorsa comune. 7. Un bilancio (deficitario) tra demanio marittimo e urbanistica. 8. Politiche circolari, adattative, partecipate. 9. L’esempio della Sardegna: il piano paesaggistico e la Conservatoria delle Coste. 10. Il Piano Regionale delle Coste della Puglia. 1. Premessa: la rilevanza della GIZC. La nozione di Gestione Integrata delle Zone Costiere (GIZC) si è consolidata a livello sovranazionale 1, sulla scia dell’antesignana Coastal Zone Management Act introdotta negli Stati Uniti sin dal 1972. Questo innovativo schema di tutela e gestione delle zone costiere fatica tuttavia a penetrare in maniera organica nell’ordinamento ambientale italiano e il dato relativo alla sua diffusione non va oltre alcune esperienze sperimentali (infra), che hanno peraltro lasciato intravedere risultati assai interessanti ancorché abbiano coinvolto un novero limitato di comuni e una percentuale ridottissima degli oltre 7.400 chilometri di coste italiane (questo elemento quantitativo dovrebbe bastare ad imporre la considerazione della GIZC quale politica primaria per gli assetti ambientali ed economici dell’intero paese). Siamo di fronte ad un fondamentale capitolo del diritto ambientale, quasi ignorato dalla legislazione interna, malgrado siano sotto gli occhi di tutti il degrado di ampi tratti costieri e, più in generale, l’uso inflattivo che delle risorse costiere si è fatto negli ultimi decenni e che prosegue tutt’oggi a ritmi inquietanti2. Si tratta di una politica pubblica ancora in attesa di trovare strumenti attuativi adeguati e, * Professore associato di diritto amministrativo, Università dell’Insubria, Como. 1 Per una puntuale rassegna delle fonti internazionali, v. N. GRECO, Costituzione e regolazione. Interessi, norme e regole sullo sfruttamento delle risorse naturali, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 149 ss. 2 AA.VV., Lo stato dei litorali italiani, in Studi costieri, 10, 2006; G. ABBATE – A. CIAMPINO – M. ORLANDO - V. TODARO, Territori costieri, Franco Angeli, Milano, 2009; M. FERRARI – G. FEIRRO, Inquadramento fisico-ambientale delle coste italiane, in Le risorse del mare e delle coste. Ordinamento, amministrazione e gestione integrata, in N. GRECO (a cura di), Edistudio, Roma, 2010. 40 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 ancor prima, una iscrizione nell’agenda dei problemi della società italiana3 . Del resto, manca ancor più a monte una consapevolezza diffusa della rilevanza della zona costiera quale risorsa comune produttiva di servizi ambientali: non si ha la distinta percezione di come in questo contesto, sempre più ridotto per effetto dello schiacciamento provocato dall’avanzare della linea dell’urbanizzato (coastal squeeze), si concentri la più parte della biodiversità marina; al massimo si tende a vedere nel litorale un paesaggio (peraltro quasi ovunque ‘sfregiato’ da realizzazioni incongrue) od un luogo da riservare alla fruizione turistica. Questo deficit di consapevolezza, anche a fronte delle sollecitazioni antesignanamente espresse dalla dottrina pubblicistica 4, ha sicuramente sin qui concorso alla mancata iscrizione delle coste nel catalogo dei beni ambientali meritevoli di una specifica strategia di protezione e di orientamento verso un uso responsabile. Per muovere qualche passo in tale direzione si sono dovute attendere sollecitazioni giunte dall’esterno. Anche in questo settore sembra tuttavia riproporsi il copione già visto molte volte, con il nostro paese che accusa vistosi ritardi nel recepimento dei documenti internazionali: basti ricordare come i vincoli comunitari imponessero di adottare sin dal 2006 una strategia nazionale di cui non v’è ancora traccia e come l’Italia in sede UE non abbia neppure dato risposta alla richiesta di un report informativo circa lo stato di attuazione della piattaforma comunitaria 5. 2. La nozione di GIZC nel Protocollo di Madrid. A livello sovranazionale, la principale fonte normativa è costituita dal Protocollo sulla gestione integrata delle zone costiere del Mediterraneo, sottoscritto a Madrid il 21 gennaio 2008. Il Protocollo di Madrid6 costituisce un documento attuativo della Convenzione sulla protezione dell’ambiente marino e del litorale del 3 C. ARTOM – R. BOBBIO, Le coste italiane tra politiche di settore e necessità d’integrazione, in Urbanistica Informazione Dossier, 2005, P. 77. A fare da ideale contrappunto alla situazione italiana, va ricordato che in Francia, a partire dall’aprile 2009, si è articolata una iniziativa denominata Grenelle de la mer, una sorta di incontro di tutti gli stakeholdes (gli “stati generali” del mare), da cui sono emerse innumerevoli proposte riassunte in X. LAFON – S. TRAYER (a cura di), Ministère de l’écologie, de l’énergie, de développement durable et de l’aménagement du territoir, Agir pour le littoral. Mobilitastion scientifique pour renouvellement des politiques publiques, Parigi, 2009. 4 N. GRECO – B. MURRONI, Demanio marittimo, zone costiere, assetto del territorio, Il Mulino, Bologna, 1980. 5 Comunicazione della Commissione, «Relazione al Parlamento europeo e al Consiglio: Valutazione della gestione integrata delle zone costiere (GIZC) in Europa», COM(2007)308 def. 6 Il cui progetto è il risultato delle riunioni protrattesi per un triennio di un apposito gruppo di esperti non governativi, presieduto dal giurista francese Michel Prieur. 41 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Mediterraneo (Convenzione di Barcellona del 1976) 7, dalla quale discendono anche altre fondamentali linee comuni di azione protezionistica, fra cui quella tesa alla istituzione di aree marine protette 8. Il Protocollo è stato elaborato nell’ambito del Piano d’azione per il Mediterraneo dell’UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) ed esprime, innanzitutto, la definizione analitica di questa figura («un processo dinamico per la gestione e l’uso sostenibile delle zone costiere, che tiene conto nel contempo della fragilità degli ecosistemi e dei paesaggi costieri, della diversità delle attività e degli utilizzi, delle loro interazioni, della vocazione marittima di alcuni di essi e del loro impatto sulle componenti marine e terrestri»: art. 2 Protocollo). Già da questa proposizione definitoria traspaiono nitidamente i tratti di uno strumento fondamentale in vista di un ridisegno dei modelli di azione praticati dalle amministrazioni pubbliche rispetto al territorio costiero, per la prima volta assunto oggettualmente quale segmento territoriale omogeneo ad elevata valenza ambientale. La gestione integrata delle zone costiere si è imposta da tempo quale priorità anche per l’Unione europea. Su questo versante ha assunto un notevole rilievo una Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio del 30 maggio 2002 (2002/413/CE) specificamente riferita alla Gestione Integrata delle Zone Costiere in Europa, cui ha fatto seguito una importante Comunicazione della Commissione (COM/2007/208 def.). Il concetto di “gestione integrata” è stato inoltre ripreso in taluni documenti comunitari in materia di politiche marittime integrate9 e di pesca e acquacoltura10. Cenni alla GIZC si trovano anche nella importante direttiva quadro sulla qualità ambientale delle acque marine e nei documenti sulla strategia europea rispetto al problema del cambiamento climatico. Va tuttavia rimarcato che gli atti dell’Unione specificamente tesi all’introduzione della nozione di GIZC, non avendo rango formale di direttiva, hanno prodotto scarsi effetti, come si è dovuto riconoscere in occasione di una tornata di verifica effettuata nel 200711. Gli atti dell’Unione hanno comunque costituito il retroterra del Protocollo di Madrid e la 7 T. SCOVAZZI, Il Progetto di Protocollo mediterraneo sulla gestione integrata delle zone costiere, in Riv. giur. ambiente, 2006, p. 355. 8 A. CONIO, Tutela del mare e aree marine protette, in G. ROSSI (a cura di), Diritto dell’ambiente, Giappichelli, Torino, 2008 p. 335. 9 Tra i più significativi, la Comunicazione della Commissione (COM/2007/575/def.), intitolata «Una politica marittima integrata per l’Unione europea». 10 Risoluzione del Parlamento europeo del 2 settembre 2008 sulla pesca e l’acquacoltura nel contesto della gestione integrata delle zone costiere in Europa (2008/2014(INI)). 11 Comunicazione della Commissione, «Relazione al Parlamento europeo e al Consiglio: Valutazione della gestione integrata delle zone costiere (GIZC) in Europa», cit. 42 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 stessa Ue ha poi sottoscritto il Protocollo 12, facendone quindi propri i contenuti, che vengono anche per tale via riproposti con forza agli stati membri. 3. La caratterizzazione della zona costiera e la riconsiderazione oggettuale della zona costiera. Alla base della nozione della GIZC vi è una riconsiderazione dello spazio costiero, le cui valenze ambientali postulano l’attribuzione allo stesso di uno statuto ontologico imperniato primariamente su tale dimensione, rispetto alla quale dovrà essere valutata la compatibilità delle attività antropiche destinate a dispiegarsi in tale ambito13. La prima questione attiene dunque alla corretta identificazione di tale oggetto nello spazio geografico. La zona costiera, sulla scorta del Protocollo di Madrid, dovrà essere perimetrata in seguito ad una analitica caratterizzazione dei morfo-tipi e delle continuità ecologico-paesaggistiche 14 salientemente correlate alle dinamiche relazionali tra la terra e il mare: si profila quindi una estensione spaziale della strategia di tutela a cui non si era spinta – almeno in termini così puntuali l’azione condotta dagli organi dell’Unione europea. Una tale nozione di zona costiera prelude infatti alla sottoposizione ad azioni di tutela e di programmazione sostenibile degli usi di un areale decisamente più ampio rispetto alla sottile strisca di territorio tradizionalmente corrispondente alla mera sommatoria dei beni rientranti nella eterogenea categoria del demanio marittimo 15 definita dall’art. 28 cod. nav. del 1942 e dall’art. 822 c.c. La zona costiera così delimitata (anche verso il mare: si pensi alla funzione regolatoria che assumono le praterie di posidonia), con distinta emersione delle rispettive valenze ecologiche (in funzione della preservazione della biodiversità, 12 Decisione del Consiglio del 13 settembre 2010 relativa alla conclusione, a nome dell'Unione europea, del protocollo sulla gestione integrata delle zone costiere del Mediterraneo della convenzione sulla protezione dell'ambiente marino e del litorale del Mediterraneo; Decisione del Consiglio del 4 dicembre 2008 concernente la firma, a nome della Comunità europea, del protocollo sulla gestione integrata delle zone costiere del Mediterraneo (convenzione sulla protezione dell'ambiente marino e del litorale del Mediterraneo) (2009/89/CE). 13 Tra i primi scritti impegnati a sollevare tale questione, cfr. J. DE LANVERSIN, Pour un statut du littoral, in AIDA, 1978, p. 136 (in termini ampiamente riassuntivi del dibattito francese, si veda invece, A. CALDERARO, Le littoral, Parigi, 2004) e R. W. G. CARTER, Coastals Environmental change, Londra, 1988. 14 Per zona costiera si intende nel Protocollo (art. 2): «l’area geomorfologica situata ai due lati della spiaggia, in cui l’interazione tra la componente marina e quella terrestre si manifesta in forma di sistemi ecologici e di risorse complessi costituiti da componenti biotiche e abiotiche che coesistono e interagiscono con le comunità antropiche e le relative attività socioeconomiche». 15 F. A. QUERCI, Demanio marittimo, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, p. 92. 43 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 ma anche in ragione dei servizi ambientali garantiti) e fruizionali16 , verrà dunque per la prima volta in rilievo alla stregua di un oggetto unitario, da sottoporre a decisioni indifferibili, esprimibili in via ottimale ad una scala territoriale adeguata (anche se spesso suscettibili di trovare attuazione ad una scala necessariamente micro-locale, secondo un modello amministrativo transcalare). Un tale oggetto, connotato da una particolare complessità, pone quindi una serie di problemi innanzitutto in ragione della latitudine non corrispondente alle tradizionali circoscrizioni amministrative e della inattitudine degli ordinari strumenti amministrativi a garantirne un governo efficiente. Il Protocollo non approda alla predeterminazione di uno specifico modello amministrativo corrispondente in termini paradigmatici alla GIZC. La gestione integrata si configura piuttosto come un risultato complessivo che presuppone innanzitutto un processo di riallineamento allo statuto oggettuale della zona costiera degli eterogenei strumenti amministrativi propri delle diverse tradizioni nazionali (ad esempio, in Francia assumono un rilievo determinante approcci negoziali che si esplicano nei contratti di fiume e di baia17, mentre in altri paesi, come l’Italia, mantengono un peso preponderante le misure pianificatorie di matrice urbanistica). Il Protocollo, con una formulazione forse troppo debole e compromissoria, si limita a far carico ai governi nazionali di prevedere un quadro comune di norme e assetti amministrativi che dovrebbero fare principalmente leva sul coordinamento tra le diverse amministrazioni titolari di competenze settoriali e tra gli innumerevoli piani che hanno ad oggetto da diverse angolature lo spazio costiero o che esprimono una regolazione delle attività che scaricano esternalità su tale ambito. Anche la citata raccomandazione comunitaria invita a prevedere una “strategia nazionale” da elaborare mediante un mix di misure amministrative e di azioni di soft law18. L’intento del Protocollo è di propugnare l’estensione uniforme nell’intero bacino mediterraneo di un nuovo paradigma giuridico-amministrativo di tutela e gestione degli areali costieri, imperniato sull’idea-cardine che in questi spazi l’intervento pubblico, a differenza di quanto è accaduto sino ad oggi, debba essere prioritariamente funzionalizzato a garantire un orizzonte di sostenibilità alle molteplici attività antropiche che si concentrano con particolare intensità (e a volte conflittualità) nella fascia litoranea e generano pressioni atte a perturbare – spesso 16 A. MONTAGNA, Demanio marittimo e impedimento dell'uso pubblico: verso la affermazione di un diritto di uso pubblico delle collettività sulle nostre coste, in Riv. giur. ambiente, 2001,p. 621. 17 In Francia la figura del “contrat de baie” (de lac, de rivière, de nappe) è stata introdotta con una ordinanza del Ministre de l’environnement et du cadre de vie del 5 febbraio 1981 (modificata il 22 marzo 1993 ed il 24 ottobre 1994). L’intera materia è stata quindi sottoposta ad una integrale revisione con la circulaire del 30 gennaio 2004. 18 E. MOSTACCI, La soft law nel sistema delle fonti: uno studio comparato, Cedam, Padova 2008; si veda ancora la «Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2002 relativa all’attuazione della gestione integrata delle zone costiere in Europa» (2002/413/CE), Capitolo IV, Strategie nazionali. 44 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 esizialmente - il fragilissimo comparto ecosistemico posto all’intersezione tra il retroterra e lo spazio marino. Da una così radicale riconsiderazione dell’ordine assiologico deriva – come detto – l’indefettibile esigenza di prefigurare un approccio innovativamente olistico ai temi della tutela e della regolamentazione degli usi praticabili nello spazio costiero, in una prospettiva di superamento del tradizionale modello articolato per settori amministrativi separati. L’obiettivo, detto in altri termini, è quello di ricondurre ad un orizzonte retto dal principio di responsabilità intergenerazionale, su cui il Protocollo pone insistentemente l’accento, ogni azione atta a scaricare pressioni sulla zona costiera. Il primo effetto che il Protocollo innesca attiene dunque alla riconformazione a questo rinnovato ordine valoriale dei diversi strumenti di amministrazione attraverso cui gli stati ordinariamente programmano tale spazio e ne governano le trasformazioni, secondo logiche che sino ad oggi hanno visto la soverchiante prevalenza degli interessi di matrice economica 19. Si può fare l’esempio delle concessioni ad uso turistico degli arenili20: la riconduzione di questo istituto entro la cornice della GIZC, ad onta del mantenimento dell’etichetta categoriale, postula una profonda revisione dell’istituto (peraltro già ampiamente in atto), in particolare delle condizioni di assegnazione e di mantenimento del diritto di sfruttamento esclusivo: ciò in ragione della necessità di subordinare lo sfruttamento turistico alla verifica della capacità di carico del segmento costiero interessato. Dietro alla conservazione del nomen che rimonta ad una stagione connotata da un diverso ordine valoriale, si profila quindi una autentica destrutturazione-ricostruzione di uno degli istituti che ha sin qui avuto maggior incidenza nel determinare la marcata antropizzazione dell’ambito costiero. Il secondo effetto attiene alla integrazione orizzontale tra questi diversi strumenti (dai piani ai provvedimenti a carattere puntuale), che oggi danno luogo ad una gestione gravemente frammentaria, spesso fonte di conflitti tra aspettative d’uso diverse, entro la quale le ragioni ambientali risultano sistematicamente recessive. In tal senso dovrebbe registrarsi una convergenza tra le politiche 19 V. CERULLI IRELLI, Utilizzazione economica e fruizione collettiva dei beni, in, Titolarità pubblica e regolazione dei beni – La dirigenza nel pubblico impiego. Annuario AIPDA, 2003, Giuffrè, Milano, 2004, p. 24. 20 L. ANCIS, Tendenze evolutive delle concessioni turistico-ricreative sul demanio marittimo, in Dir. trasp., 2006, p. 157. 45 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 portuali21 e diportistiche22, quelle di gestione del demanio, quelle urbanistiche e paesaggistiche, quelle turistiche, quelle di preservazione delle aree protette e dei siti di interesse comunitario, quelle della pesca 23 e l’elenco potrebbe continuare, mettendo l’interprete di fronte all’inestricabile groviglio di competenze e strumenti attraverso cui è oggi frammentata la gestione del territorio corrispondente alla zona costiera. 4 Il modello amministrativo deducibile dal Protocollo. Questi pochi cenni dovrebbero essere sufficienti a mettere in evidenza la portata del cambiamento che si profila all’orizzonte. Si tratta di un autentico mutamento di paradigma24, dalla logica del prelievo e dello sfruttamento ad un modello di intervento amministrativo preordinato ad assicurare piena sostenibilità25 negli usi di una risorsa fondamentale che la civiltà mediterranea (sviluppatasi proprio lungo le coste) deve continuare a porre al centro del proprio sviluppo ma deve anche preservare per evitare la dispersione di interi ecosistemi e per continuare a beneficiare dei servizi ambientali da essi prodotti. Nel contempo, il mutamento di paradigma costringerà a rivedere dalla radice l’impostazione del sistema amministrativo, cresciuto sulla spinta del riconoscimento di una pluralità di interessi lasciati privi di coordinamento e spesso caratterizzati dall’assumere le risorse costiere come una mera piattaforma e non come un elemento di valore. Si profila un mutamento molto più radicale, volendo fare un paragone, rispetto a 21 Per tutti, G. PERICU, Porto (Navigazione interna), in Enc. dir., XXXIV, Milano, 1985, p. 423; G. SIRIANNI, I porti marittimi, in Trattato di diritto amministrativo, S. CASSESE (a cura di), II ed., Milano, 2003, p. 2545; F. MANGANARO, Il porto da ‘bene demaniale’ ad ‘azienda’, in A. POLICE (a cura di), I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, Giuffrè, Milano, 2008, p. 247; in prospettiva europea, D. U. GALLETTA – D. M. TRAINA, Trasporti marittimi e porti, in M. P. CHITI–G. GRECO (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, II ed., Giuffrè, Milano, 2007, p. 2112. 22 L. ACQUARONE – M. P. VIPIANA, Porti turistici, in Dig. disc. pubbl., XI, Torino, 1995, p. 184. 23 C. LAVAVA, La pesca, in Trattato di diritto amministrativo, cit., p. 3281; F. G. PIZZETTI, La pesca, in Trattato di diritto amministrativo europeo, cit., p. 1377. 24 Riprendendo la nota schematizzazione epistemologica di T. S. KUHN (ID., La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1999, p. 90; ID., Dogma contro critica. Mondi possibili nella storia della scienza, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000). Di “transizione paradigmatica” ha parlato, con riferimento al consolidamento del paradigma della sostenibilità nel diritto dell’ambiente, F. FONDERICO, La Corte costituzionale e il codice dell’ambiente, in Giornale dir. amm., 2010, p. 370. 25 Sul concetto di sostenibilità ci si può limitare a citare il volume di F. FRACCHIA, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, Editoriale Scientifica, Napoli, 2010. 46 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 quello che ha investito la materia delle acque 26, anch’essa oggetto di uno scorrimento di paradigma (dalle acque quale bene da sfruttare alle acque quale risorsa ambientale da preservare27); in quest’ultimo settore il legislatore nazionale era infatti già intervenuto (seppur in termini parziali), dando la stura al processo di ripensamento dell’oggetto delle tutela. Il recepimento della Direttiva 2000/60/CE28 non ha quindi avuto (almeno a prima vista) effetti così dirompenti quali è facile preconizzare potrebbe produrre l’introduzione della GIZC (rectius di un modello istituzionale di GIZC “presa sul serio”) entro un quadro ordinamentale che pare ancora saldamente ancorato a principi e schemi ordinatori ai quali resta sostanzialmente estraneo un vincolo forte di sostenibilità. Il Protocollo identifica analiticamente gli obiettivi cui deve tendere la GIZC mediante una serie di proposizioni che hanno il pregio di richiamare espressamente l’ordine di valori sotteso al trattato internazionale e le principali linee di azione che dovrebbero discendere dal trattato; lì infatti si menzionano partitamente (art. 5) le esigenze: a) di favorire lo sviluppo sostenibile delle zone costiere attraverso una pianificazione razionale delle attività, atta a conciliare lo sviluppo economico, sociale e culturale con il rispetto dell’ambiente e dei paesaggi; b) di preservare le zone costiere a vantaggio delle generazioni presenti e future; c) di garantire l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali e, in particolare, delle risorse idriche; d) di assicurare la conservazione dell’integrità degli ecosistemi, dei paesaggi e della geomorfologia del litorale; e) di prevenire e/o ridurre gli effetti dei rischi naturali e in particolare dei cambiamenti climatici. Per il raggiungimento di questi ambiziosi traguardi (specie se si considera lo stato in cui versano ampi tratti litoranei, anche nel nostro paese), il Protocollo (art. 6) identifica alcuni principi generali, ai quali dovrà informarsi l’azione di revisione della modellistica amministrativa; in particolare, l’elencazione di tali principi prende le mosse dalla sottolineatura del dato (comunemente accettato in sede scientifica) secondo cui – bandita ogni separatezza - occorre «prendere in particolare considerazione il patrimonio biologico e le dinamiche e il funzionamento naturali della zona intercotidale, nonché la complementarità e l’interdipendenza della parte marina e di quella terrestre, che costituiscono un’unica entità». Da ciò derivano coerentemente i tre principi di fondo che possono essere qualificati come i pilastri su cui dovrebbe reggersi la gestione integrata delle zone costiere: a. l’esigenza che ogni decisione sia informata ad una preventiva verifica della capacità di carico delle zone costiere; b. la garanzia di «un 26 A. PIOGGIA, Acqua e ambiente, in G. ROSSI (a cura di), Diritto dell’ambiente, cit., p. 231 ss.. 27 G. PASTORI, Tutela e gestione delle acque: verso un nuovo modello di amministrazione, in Studi in onore di Feliciano Benvenuti, III, Mucchi Editore, Modena, 1996, p. 1289. 28 P. URBANI, Il recepimento della direttiva comunitaria sulle acque (2000/60): profili istituzionali di un nuovo governo delle acque, in Riv. giur. ambiente, 2004, p. 209; F. DI DIO, La direttiva quadro sulle acque: un approccio ecosistemico alla pianificazione e gestione della risorsa idrica, in Dir. giur. agr., 2006, p. 496. 47 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 coordinamento istituzionale intersettoriale dei vari servizi amministrativi e autorità regionali e locali competenti per le zone costiere»; c. la previsione di «una governance appropriata, che consenta alle popolazioni locali e ai soggetti della società civile interessati dalle zone costiere una partecipazione adeguata e tempestiva nell’ambito di un processo decisionale trasparente». Politiche fondate sulla conoscenza e la valutazione anticipata degli effetti, politiche intersettoriali, politiche aperte al coinvolgimento di tutti gli stakeholders: ecco lo schema tripolare da cui dovrebbe prendere le mosse la costruzione della strategia nazionale (per riprendere il lessico europeo) per la GIZC. Il Protocollo si articola poi in una serie di capitoli settoriali, in cui sono espresse alcune indicazioni di maggior dettaglio con riferimento: a. alla salvaguardia dalle trasformazioni del territorio costiero (con previsione, tra l’altro, di una generalizzata fascia di inedificabilità della profondità di 100 metri dalla linea corrispondente al livello superiore di marea invernale), b. alle attività economiche (onde accordare preferenza nella zona costiera a quelle che «richiedono la prossimità immediata al mare»), tra le quali il turismo (con il dichiarato obiettivo di favorire forme di fruizione dello spazio costiero alternative e più sostenibili rispetto all’invalso schema balneare: la cd. “monocultura della spiaggia”, rafforzatasi inusitatamente negli ultimi decenni, che nei mesi estivi induce – come ormai ovunque evidente - pressioni eccessive sulle spiagge e sui quadranti attigui e in molti luoghi costringe a continui ripascimenti artificiali, in una insensata lotta contro la inarginabile forza erosiva del mare), c. ai paesaggi costieri (la cui varietà viene riconosciuta come un valore non solo sul piano estetico-formale, ma anche per le valenze identitarie e testimoniali), d. alle isole (rispetto all’insularità il Protocollo insiste sulle esigenze di protezione, specie rispetto ai rischi rappresentati dall’afflusso turistico incontrollato e dalla marginalizzazione delle micro-comunità autoctone). Di notevole rilevanza anche la disposizione del Protocollo (art. 20) dedicata alla politica fondiaria, che offre la base per l’adozione di «meccanismi per l’acquisizione, la cessione, la donazione o il trasferimento di superfici al demanio pubblico e istituire servitù sulle proprietà», dietro i quali sembra di poter intravedere un chiaro richiamo all’esperienza francese del Conservatoire de l’espace littoral29 e a quella inglese del National Trust for Places of Historic Interest or Natural Beauty 30 e all’idea della progressiva acquisizione in mano 29 L. CASERTANO, Proprietà e ambiente. La soluzione italiana a confronto con le nuove esigenze di tutela, Giuffrè, Milano, 2008, p. 76. 30 C. DESIDERI–E. A. IMPARATO, Beni ambientali e proprietà: i casi del National Trust e del Conservatoire de l’Espace littoral, Giuffrè, Milano, 2005. 48 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 pubblica di porzioni della zona costiera, quale estrema misura volta a sottrarre tali spazi alle spinte in direzione della trasformazione31. 5. Le sperimentazioni italiane. Negli anni scorsi (partire dal 2007) una sperimentazione della GIZC ha visto coinvolte entro il progetto ICZM-MED (Azioni Concertate, Strumenti e Criteri per l’applicazione della Gestione Integrata delle Zone Costiere Mediterranee) 32 una serie di regioni europee, tra le quali anche l’Emilia Romagna, la Liguria e il Lazio. Va subito detto che queste iniziative hanno offerto risultati decisamente interessanti, specie sul versante della messa punto di tecniche di modellizzazione applicabili ai processi erosivi (con focalizzazioni sulla circolazione orizzontale dei sedimenti e sugli effetti indotti dalla realizzazioni di barriere, opere portuali e altri elementi fisici), alle azioni di ripascimento delle spiagge33 (da sottoporre ad una attenta valutazione costi-benefici, non limitata alle sole preferenze degli operatori turistici, ma estesa anche alla distinta rilevazione dei costi ambientali indotti34) e alla preservazione della biodiversità marina e costiera, sottoposta a molteplici fattori di pressione e disturbo. Il limite di queste iniziative sta invece nell’avere coinvolto solo alcune specifiche realtà a scala sostanzialmente comunale. Questa circostanza ha favorito la messa fuoco, con risoluzione di dettaglio, di talune questioni cruciali per particolari luoghi, ma ha finito per lasciare in ombra le potenzialità della GIZC applicata ad unità spaziali significative e non riducibili. Si è comunque raggiunta la piena dimostrazione di come le decisioni di protezione delle spiagge o di disegno dei sistemi turistici presentino un indubbio e significativo risvolto ambientale, in nome del quale occorre rivedere gli schemi decisionali, introiettando entro gli 31 Il dibattito sulla “demanializzazione dell’ambiente” è ancora poco vivace nel nostro paese, mentre di “appropriation public comme ultime recours dans la protection de l’environnement” si è spesso parlato in Francia: si veda, tra gli altri, S. CAUDAL, La domanialité publique comme instrument de protection de l’environment, in AJDA, 2009, p. 2329, così come negli Stati Uniti, dove sta riprendendo grande spazio la posizione propugnata dalla Public Trust Doctrine (v. R. K. CRAIG, A Comparative Guide to Eastern Public Trust Doctrine: Classification of States, Property Rights, and State Summaries, in Penn. State Environmental Law Review, 2008, p. 1). 32 Ampi riferimenti in www.ermesambiente.it. 33 G. GARZIA, L’erosione costiera e gli interventi di ripascimento del litorale: il quadro giuridico attuale e le prospettive di riforma, in Riv. giur. ambiente, 2008, p. 243. 34 M. STALLWORTHY, Sustainability, coastal erosion and climate change: an environmental justice analysis, in Journal of Environmental Law, 2006, p. 357; S. CAPPUCCI - D. SCARCELLA - A. TARAMELLI - M. MAFFUCCI - L. ROSSI - F. GIAIME, Sediment management and ICZM: an Italian case study, www.enea.it. 49 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 stessi la tematica ambientale, con il risultato che nella GIZC l’interesse ambientale non potrà più ridursi a un mero termine di confronto esogeno da valutare ex post, ma dovrà essere preso in considerazione sin dalla fase di impostazione della decisione e incorporato nella stessa. E’ il caso – per fare l’esempio che con maggior nitore è emerso dalla fase di sperimentazione - della decisione di ripascimento, la cui sostenibilità va valutata sulla base di una dettagliata analisi costi-benefici, entro la quale occorre assegnare un valore (ad esempio mediante il criterio della willingness to pay)35 anche agli elementi ambientali sacrificati. A causa del carattere locale delle sperimentazioni, è rimasta in ombra la portata strategica della GIZC e non è adeguatamente emerso come essa si configuri quale policy necessariamente transcalare, con decisioni assunte ad un livello amministrativo adeguato alla redazione di un modello conoscitivo coerente con la complessità dei fenomeni ambientali e insediativi e all’assunzione di decisioni programmatorie estese ad unità idro-eco-morfologicamente significative, con azioni applicative efficacemente praticabili a scala micro-locale, con conseguente necessità di un design istituzionale capace di interrelare e coordinare l’azione di amministrazioni diverse. Tornando all’esempio delle spiagge, resta forte l’impressione che si sia rimasti ancorati allo stato di fatto, senza prendere in considerazione l’opzione di un ripensamento delle condizioni di concedibilità e quindi di revocabilità di talune concessioni in conseguenza della rilevata incompatibilità ambientale dello sfruttamento turistico intensivo (come dimostra il modello dell’impronta ecologica applicato ai casi di studio e la continua necessità di proteggere le spiagge della naturale erosione, dando conseguentemente ingresso ad una grave alterazione dei cicli di trasporto solido nelle acque costiere dalle foci fluviali). Queste sperimentazioni sono peraltro rimaste un dato del tutto estemporaneo e, malgrado anche la Carta di Siracusa sulla biodiversità sottoscritta nell’aprile 2009 riconfermi enfaticamente l’impegno dell’Italia nel «conseguire una conservazione e uno sviluppo sostenibile delle fasce costiere e marine, in particolare, applicando i principi di gestione integrata delle coste come quelli già attivati nel Mediterraneo dal programma UNEP Regional Seas Programme», non si registrano iniziative concrete in tale direzione, né sul fronte legislativo né sul versante amministrativo. 35 «Il costo derivante dalla scarsità è dato dal più alto valore che un utilizzatore alternativo attribuirebbe a quella unità di bene; una certa allocazione è efficiente se la WTP/WTA da parte dell’uso corrente è superiore a quella che garantirebbe qualunque altro uso alternativo. Ai fini della valutazione economica non conta dunque se un bene è abbondante o scarso in assoluto, ma solo se lo è in relazione con la potenziale domanda» 35: A. MASSARUTTO – A. DE CARLI, I costi economici della siccità: il caso del Po, in Econ. font. ener. amb., 2009, p. 125. 50 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Mentre in Francia, volendo fare un confronto 36, è stato riservato alla GIZC un apposito articolo del Code de l’environnement37 , in Italia il codice dell’ambiente 38 non fa alcuna menzione di tale innovativo modello di articolazione delle politiche ambientali e anche i più recenti interventi sul versante della tutela qualitativa delle acque marine39 debbono essere considerati alla stregua di altrettante occasioni perse rispetto all’imperativo di traduzione delle proposizioni del Protocollo di Madrid e del concetto stesso di GIZC in un corpo di norme uniformi per la zona costiera italiana, bene ambientale che resta quindi ancora oggi governato in maniera sub-ottimale attraverso strumenti comunque inappropriati, principalmente poiché non concepiti per mettere al centro delle politiche le specificità di quello che – con un ossimoro – si potrebbe definire un isospazio delle differenze (un isospazio in quanto ambito fortemente omogeneo sotto il profilo della contaminazione ecotonale e della mutua influenza ecologica tra terra e mare, ma fortemente differenziato al proprio interno, in quanto composto da ambiti morfologici e vocazionali profondamente diversi tra loro). 6. La zona costiera come piattaforma multifunzionale e come risorsa comune. I documenti sin qui citati muovono tutti dalla consapevolezza40 - espressa sin dalla Conferenza di Rio del 1992 (dichiarazione 17 di Agenda 21) - che il territorio costiero costituisce una piattaforma multifunzionale, ossia un bene ambientale insuscettibile di essere completamente sottratto alla fruizione e all’uso 36 J. ROCHETTE, Le traitement d’une singularité territoriale: la zone côtière, étude en droit international et en droit comparé franco-italien, Nantes-Milano, 2007. 37 Code de l’environnement, Art. 219, créé par loi n° 2010-788 du 12 juillet 2010 - art. 166. 38 Si impiega questo sintagma unicamente per ragioni di sintesi, nella piena consapevolezza che il d. lgs. 152/2006 non costituisce affatto una autentica codificazione, neppure dopo le pur rilevanti modifiche introdotte con il d. lgs. 16 gennaio 2008, n. 4: sul punto si vedano F. FONDERICO, La ‘codificazione’ del diritto dell’ambiente in Italia: modelli e questioni, in Riv. trim. dir. pubbl., 2006, p. 612; G. ROSSI, Diritto dell’ambiente, cit., p. 48; F. FRACCHIA, “Codification” and the Environment, in Italian Journal of Public Law, 2009, p. 49; ID., Codificare l’ambiente, in M. P. CHITI – R. URSI (a cura di), Studi sul Codice dell’ambiente, Giappichelli, Torino, 2009, p. 19, ove si ricorda che il Codice non estende le proprie previsioni a taluni fondamentali settori (inquinamento acustico, luminoso ed elettromagnetico) e non norma né la partecipazione ai procedimenti ambientali né l’uso degli strumenti economici. 39 Decreto legislativo 13 ottobre 2010, n. 190, in attuazione della direttiva 2008/56/CE, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino e si prefigge l’obiettivo di un “buono stato ecologico” delle acque marine entro il 2020. Peraltro diffusa ben oltre il continente europeo: S. MANCUSO, La conferenza panafricana sulla gestione integrata delle zone costiere (pacsicom), in Riv. giur. ambiente, 1999, p. 415. 40 51 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 da parte delle comunità. Si può quindi parlare di un bene non rinnovabile a utilizzo-prelievo necessario. Salvo ridotte porzioni di eccezionale interesse e rilevanza, tutelabili mediante l’istituzione di parchi e riserve costiere, la vera sfida passa dunque per la messa a fuoco degli elementi di valore riscontrabili in tale area (la cd. caratterizzazione) e per una rigerarchizzazione degli interessi pubblici atta a imporre di integrare in ogni decisione (pianificatoria o a carattere puntuale) una valutazione circa gli effetti indotti sulle valenze ambientali complessive del comparto costiero, onde consentire una distinta ponderazione del sacrificio che ogni utilizzo o trasformazione prevista postula sul piano della riduzione dell’attitudine di tale spazio a garantire funzioni ecologiche e paesaggistiche. Il tema si presenta di particolare complessità in ragione delle fortissime sollecitazioni e aspettative d’uso che si concentrano sullo spazio costiero 41. Sotto il profilo insediativo, la zona costiera costituisce una sorta di “iperluogo”42. In questo spazio limitato si addensano infatti – spesso in termini stridentemente conflittuali - una elevatissima tensione demografica (il 31 % della popolazione italiana vive in ambito costiero) e molteplici fattori di pressione legati agli usi turistico-ricreativi e produttivi (energia, acquacoltura, cantieristica, etc.) che qui debbono necessariamente trovare spazio. Queste sono anche le principali determinanti del tradizionale modello di sviluppo lineare fronte-mare (che ha indotto in tutto il Mediterraneo una semplificazione-banalizzazione del paesaggio costiero43). Nella zona costiera sono ancora presenti significativi ed estesi ambiti di naturalità, connotati dell’elevatissimo pregio degli ecosistemi che si formano, per fare solo alcuni esempi, nelle zone dunali, nelle lagune e nelle cd. acque di scambio 44. Su questi ambiti debbono quindi esplicarsi rigorose azioni di tutela, volte ad impedire la dispersione degli spazi naturali, per effetto della spinta al consumo di suolo45 che tende ad impoverire gli ecosistemi costieri, pregiudica le 41 C. P AHL – J. S ENDZIMIR – P. J EFFREY , Resources Management in Transition, in www.ecologyandsociety.it, 2009. 42 Per usare una espressione diffusa nel lessico urbanistico (dove questo sintagma si è sviluppato per derivazione dal neologismo “non-luogo”, impiegato per primo dal sociologo M. Augé (v. M. AUGÉ, Non luoghi. Introduzione ad una antropologia della surmodernità, Elèutera Editrice Milano, 1993). 43 E. BOSCOLO, Paesaggio e tecniche di regolazione: i contenuti del piano paesaggistico, in Modelli di composizione degli interessi nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, Riv. giur. urbanistica, 2008, p. 130. 44 Delle quali si occupano organicamente i piani di gestione distrettuali, adottati nel febbraio 2010 dalle autorità di bacino. 45 Un modello che, secondo F. KARRER, Pianificazione infrastrutturazione dei centri urbani costieri, in Le risorse del mare e delle coste. Ordinamento, amministrazione e gestione integrata, cit., p. 527, trova la propria simbolica ipostasi nelle iniziative di alcuni comuni orientate alla riqualificazione del waterfront in un dimensione meramente estetica (beautification). 52 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 funzionalità ecologiche, per il concomitante effetto della loro riduzione quantitativa e della loro “insularizzazione”. V’è poi da aggiungere che questo spazio “conteso” è anche l’ambito su cui inevitabilmente si concentrano le aspettative di fruizione del mare da parte della collettività. I territori costieri esprimono quindi, ad un tempo, un rilevante valore d’uso (in ragione delle opportunità economiche e di sviluppo che qui possono dispiegarsi), ma anche un fondamentale valore di lascito (per le valenze ambientali e paesaggistiche che esprimono). Il problema di fondo si riassume dunque nella ricerca di un non facile equilibrio tra le politiche di tutela e le spinte in direzione di un sempre più intensivo sfruttamento, secondo il tipico dilemma della sostenibilità che proprio nel contesto costiero si pone in termini per molti versi esemplari, mettendo di fronte ad una difficile prova i decisori pubblici. Nel comparto costiero – si aggiunga - i problemi di tutela ambientale sono accentuati, per un verso, dalla particolare aggressività delle spinte verso lo sfruttamento di uno spazio considerato essenziale e infungibile per talune attività ad elevato margine di profittabilità e, per altro verso, dalla notevole vulnerabilità di tali ambiti, connotati da dinamiche instabili (si pensi alle zone umide costiere 46 o ai cordoni dunali) e più d’altri esposti alla forza modificatrice degli elementi naturali: si pensi alla forza erosiva del mare, piuttosto che al fenomeno della risalita del cuneo salino riscontrabile ormai in molti ambiti perifluviali e si tenga inoltre presente che i litorali spiaggiosi costituiranno già nei prossimi decenni i quadranti maggiormente esposti all’innalzamento del livello marino conseguente al climate change47. Nella percezione diffusa fatica ad affermarsi l’idea – che costituisce invece il presupposto concettuale su cui poggiare in modello amministrativo della GIZC – secondo cui la fascia costiera rappresenti una risorsa comune48. Una risorsa finita, nel senso che gli spazi disponibili, specie se si escludono a priori estese aree ad elevata naturalità da considerare assolutamente “intangibili”, sono davvero limitate e scarse rispetto alla domanda, anche in un paese come il nostro a notevole estensione costiera. Di conseguenza, gli spazi utilmente 46 Si veda sul punto il contributo di S. ARIANO – N. CARESTIATO, Un territorio tra terra e mare: la laguna di Marano. Attività, attori, conflitti in un ecosistema fragile, in di N. CARESTIATO – A. GUARAN (a cura di), Water in the euro-mediterranean area, Forum Editore, Udine, 2010. 47 R. K. GRAIG, “Stationarity in dead” – Long live transformation: five principles for climate change adaptation law, in Harvard Environmental Law Review, 9, 2010; M. BREIL – M. CATENACCI – C. M. TRAVISI, Le zone costiere italiane. Quantificazione economica degli impatti e delle misure di adattamento, in C. CARRARO (a cura di), Cambiamenti climatici e strategie di adattamento in Italia, Una valutazione economica, Il Mulino, Bologna, 2008, p. 235 48 V. INSERGUET - BRISSET, Droit de l’environnement, Rennes, 2005, p. 159. 53 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 impiegabili per funzioni ad elevato valore aggiunto debbono essere utilizzati con la massima efficienza, anche a costo di forzare le preferenze individuali 49. Una risorsa non resiliente50 , nel senso che le trasformazioni e i frazionamenti dello spazio costiero sono difficilmente regredibili e producono effetti di lunghissimo periodo, determinando l’inattitudine della risorsa ad assolvere ad altre funzioni, con la conseguente necessità di far precedere ogni intervento antropico da una rigorosa modellizzazione dei correlativi effetti (come espressamente indicato nel Protocollo e secondo un modello non dissimile da quelli prefigurati in sede di VAS e di VIA). Una risorsa essenziale, in quanto taluni tra i bisogni che aspirano ad avere soddisfazione mercé l’accesso al mare sono effettivamente meritevoli di una risposta: si pensi alle valenze sociali e pro-coesive ormai comunemente ascritte al turismo, ma si pensi anche ad alcune attività come quelle portuali ed energetiche, che debbono necessariamente trovare adeguati spazi in tale areale; il discorso potrebbe inoltre continuare con il riferimento alle valenze identitarie che assume la permanenza di alcune forme di popolamento delle coste in antichi borghi, la cui sopravvivenza è messa a rischio dalla competizione con gli spazi del turismo, o il mantenimento di forme tradizionali di pesca e ittiocoltura. Una risorsa comunitaria nel senso che nella letteratura internazionale e segnatamente nella (notissima) dottrina dei commons (si pensi ai lavori del Premio Nobel E. Olstrom 51) si tende a dare a tale espressione, con l’intento di prospettare la decisiva importanza di forme di auto-responsabilizzazione delle comunità costiere rispetto alla gestione di risorse destinate all’esaurimento a causa dei limiti della razionalità egoistica-individuale52, e nel senso, su cui aveva posto l’accento 49 E’ il caso delle norme incentivali finalizzate a favorire la delocalizzazione di strutture turistiche dalla costa varate dalla Regione Sardegna (amplius infra). 50 Nello studio dei fenomeni ambientali viene direttamente in rilievo il concetto-chiave di resilienza, intesa (secondo studi promossi per primo negli anni Settanta da C. S. HOLLING, Resilience and Stability of Ecological Systems, in Ann. Rew. Ecol. System., 1973, 1, ed oggi promossi in primis da un consorzio di istituti di ricerca denominato Resilience Alliance) come attitudine di un sistema ambientale di adattarsi alle sollecitazioni esogene senza mutare definitivamente le proprie caratteristiche: su questi temi, che qui non possono trovare adeguato sviluppo, esiste una ampia letteratura internazionale facilmente rinvenibile anche attraverso la rivista Ecology and Society (www.ecologyandsociety.org). 51 E. OLSTROM, Governare i beni collettivi, Marsilio, Venezia, 2006. 52 G. BRAVO, Nè tragedia, nè commedia: la teoria dei ‘commons’ e la sfida della complessità, in Rass. it. sociol., 2002, in part., 640. 54 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 già M.S. Giannini53, di beni che garantiscono utilità a fruizione indivisa, secondo una proposta ricostruttiva che aveva il grande merito di travalicare la dicotomia bene demaniale-bene privato 54. In quanto risorse comuni55 rispetto ai territori costieri si pone quindi un limite allo sfruttamento derivante dal vincolo di trasferimento alle generazioni future (art. 5, lett. b), Protocollo) di spazi costieri bastevoli all’esercizio delle funzioni essenziali e naturalisticamente adeguate alla 53 M. S. GIANNINI, I beni pubblici, Roma, 1963, p. 35, aveva parlato di «beni che rendono servizi indivisibili per natura». Su questo decisivo profilo qualificatorio ha posto l’accento anche M. ARSÌ, I beni pubblici, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Dir. amm. spec., II, Milano, 2003, p. 1715. Giannini è successivamente tornato sul tema della proprietà collettiva dei beni ambientali anche in ID., Introduzione sulla potestà conformativa del territorio, in L. BARBIERA (a cura di), Proprietà, danno ambientale e tutela dell’ambiente, Napoli, 1989, p. 5). Su questo originalissimo profilo del pensiero gianniniano, che si rivela di decisiva utilità per fornire alcune coordinate nello studio della demanialità idrica e marittima, si vedano le considerazioni di S. CASSESE, Le teorie della demanialità e la trasformazione dei beni pubblici, in U. MATTEI - E. REVIGLIO - S. RODOTÀ (a cura di), Invertire la rotta. Idee per una riforma della proprietà pubblica, Bologna, 2007, in part., 69. Su questo particolare profilo si veda anche A. BIXIO, Proprietà pubblica e divisione della proprietà. Riflessioni sulla proprietà pubblica in Massimo Severo Giannini, in S. CASSESE – G. CALCATERRA – M. D’ALBERTI – A. BIXIO (a cura di), L’unità del diritto. Massimo Severo Giannini e la teoria giuridica, Bologna, 1994, p. 99. 54 Nel settore delle acque l’esempio di figure come i cd. contratti di fiume è decisamente illuminante in tal senso. 55 E’ il caso di ricordare che negli anni scorsi una commissione ministeriale, presieduta da S. Rodotà, aveva formulato una proposta di revisione della normativa codicistica sui beni pubblici, entro la quale assumeva un significato particolare la previsione della categoria dei beni comuni. Il testo del progetto di disegno di legge delega e la relazione di accompagnamento sono pubblicati in Pol. dir., 2008, 537: in particolare ivi era previsto che “I beni comuni sono quei beni a consumo non rivale, ma esauribile, come i fiumi, i laghi, l’aria, i lidi, i parchi naturali, le foreste, i beni ambientali, la fauna selvatica, i beni culturali, etc. (compresi i diritti di immagine sui medesimi beni), i quali, a prescindere dalla loro appartenenza pubblica o privata, esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali e al libero sviluppo delle persone e dei quali, perciò, la legge deve garantire in ogni caso la fruizione collettiva, diretta e da parte di tutti, anche in favore delle generazioni future”: M. RENNA, I “beni comuni” e la Commissione Rodotà. Una nuovo regime per le proprietà collettive, www.labsus.it. 55 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 preservazione della biodiversità che ivi si concentra con una ricchezza e complessità davvero uniche56. La tematica della gestione integrata delle risorse costiere si inscrive quindi nel più ampio capitolo della ricerca di modelli di decisione collettiva rispetto ad attività antropiche che si esplicano su risorse naturali a sfruttamento necessario57; detto in termini schematici: le coste costituiscono indubbiamente una riserva di naturalità, ma – nel contempo – costituiscono anche un segmento territoriale entro il quale debbono irrinunciabilmente trovare localizzazione talune attività umane produttive di disturbo58. Di lì l’esigenza di identificare soglie di compatibilità e modelli di valutazione preventiva della sostenibilità59, atti a scongiurare quella situazione che sin dal 1968 è stata immaginificamente definita dal biologo G. Hardin 60 fallimento dei commons. 7. Un bilancio (deficitario) tra demanio marittimo e urbanistica. Volendo azzardare un bilancio, si deve riconoscere che anche nel nostro paese - in una condizione di sostanziale ‘separatezza’ tra terra e mare - la gestione dello spazio costiero mediante i tradizionali schemi amministrativi, rigidamente legati ai modelli settoriali tipici della gestione del demanio marittimo, dell’urbanistica e della disciplina del paesaggio, dello sviluppo portuale, etc., in 56 Sul cd. principio di responsabilità, che postula una responsabilità generazionale, occorre richiamare la riflessione fondativa di H. JONAS, Il principio di responsabilità. Un'etica per la società tecnologica, Einaudi, 1993, p. 37. Dello stesso H. JONAS si veda anche il più recente Sull'orlo dell'abisso, conversazioni sul rapporto tra uomo e natura, Einaudi, Torino, 2000: secondo Jonas, mentre in passato l’esserci dell’uomo era considerato un dato certo, oggi l’attitudine distruttiva della tecnologia sulle risorse naturali induce a dedurre in una specifica obbligazione tale risultato: l’imperativo kantiano va conseguentemente così riformulato: “agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la preservazione di una autentica vita umana sulla terra … includi nella tua attuale scelta l’integrità futura dell’uomo come oggetto della tua volontà” (Il principio di responsabilità, cit., p. 16). Si vedano anche J. C. TREMMEL, A Theory of Intergenerational Justice, Londra, 2009; M. TALLACCHINI, Diritto per la natura, Giappichelli, Torino, 1996, e R. BIFULCO, Diritto e generazioni future,Giuffrè, Milano, 2008; G. PARISI, Cambiamenti nel concetto di natura, in E. CADELO, (a cura di), Idee di natura. Tredici scienziati a confronto, Marsilio, Venezia, 2008, p., 120. 57 Sul versante giuridico, si veda il fondamentale contributo di M. CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente come sistema complesso, adattivo, comune, Giappichelli, Torino, 2006, corredato da un amplissimo apparato di rinvii bibliografici. 58 Sulle quali valga ancora il rinvio a N. GRECO, Costituzione e regolazione, cit., p., 179 ss. 59 W. BAUMOL - W. OATES, The Theory of Environmental Policy, Cambridge, 1988. 60 G. HARDIN, The Tragedy of Commons, in Science, 1968, 1243; sul punto si vedano T. COZZI – S. ZAMAGNI, Istituzioni di economia politica. Un testo europeo, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 516 e i contributi contenuti in E. OLSTROM - T. DIETZ - N. DOLŠAK - P. C. STERN - S. STONICH, E. U. WEBER (a cura di), The Drama of the Commons, Washington, 2002. 56 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 carenza di una convergenza e di un allargamento dell’orizzonte decisionale derivante dal riconoscimento di una specificità sostantiva della fascia costiera, ha portato quasi ovunque ad esiti profondamente deludenti 61. Hanno sin qui dominato il campo le politiche dello sviluppo e il ritardo nella prefigurazione di una azione di organica tutela di tali spazi si è fatto viepiù evidente: il prezzo di un tale disallineamento delle politiche pubbliche rispetto alla salvaguardia dei valori ecologici è rappresentato dallo stato di compromissione di ampi tratti di litorale, ormai irreversibilmente receduti a comparti a consolidata antropizzazione. Un censimento delle coste (che ancora manca) farebbe venire alla luce una realtà fatta di ambiti spesso sottoposti a pressioni incompatibili con la capacità di carico dei sistemi ambientali62 e sovente sottratti alla fruizione collettiva in una logica di privatizzazione-parcellizzazione del litorale. Per paradosso, la sottrazione alle funzioni ecologiche di ampi tratti del litorale non è coincisa con un allargamento degli spazi riservati all’uso generale dei cittadini, bensì con l’attribuzione di diritti d’uso esclusivo a vantaggio di un numero limitato di operatori economici: in tal guisa vengono frustrate sia le possibilità di godimento di servizi a fruizione indivisa, sia l’aspettativa a praticare uti cives usi non appropriativi degli spazi costieri. In Italia – come accennato - lo spazio costiero è stato amministrato mediante tecniche diverse. Da un lato la demanializzazione di uno spazio ridotto (sulle spoglie dell’antica idea romanistica secondo cui il litorale era riconducibile al ridotto novero delle res communes omnium, in una logica tesa ad assicurare a ciascuno l’accesso ad una risorsa ritenuta illimitatamente disponibile e sottratta alla tendenza verso appropriazioni esclusive63), dall’altro la sottoposizione dello spazio retrostante ad una pianificazione delle trasformazioni territoriali che per una lunga stagione (non ancora conclusasi in molte regioni) si è ridotta alla pianificazione urbanistica di livello comunale. 61 N. GRECO, La gestione integrata delle coste. Pesca, urbanistica, turismo, ambiente, Giuffrè, Milano, 1990. 62 La carrying capacity corrisponde alla pressione antropica sopportabile dalle risorse costiere senza accusare perdite delle proprie caratteristiche strutturali e senza dismissioni delle proprie funzioni. 63 A questo proposito appare imprescindibile riandare alla millenaria costruzione del diritto romano e precisamente a Elio Marciano e quindi al celeberrimo frammento (D. I, 8, 2, 1, Marcianus libro tertio institutionum), secondo cui “Quaedam enim naturali iure communia sunt omnium, quaedam publica, quaedam universitatis, quaedam nullius pleraque singulorum, quae veriis ex causis cuique adquiruntur” e “et quidem naturali iure omnium communia sunt illa: aer, aqua profluens, et mare, et per hoc litora maris”. 57 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 La categoria del demanio marittimo, come quello idrico, è oggetto di un mutamento di portata strutturale, che investe le ragioni stesse della demanialità64. Le logiche sottese al richiamo alla formula tralatizia degli “usi pubblici del mare”65 sono state sacrificate alla tendenza ad uno sfruttamento inflattivo dei beni costieri demaniali, specie per ragioni legate allo sviluppo dell’imprenditorialità turistica, il cui presupposto era costituito – come aveva sottolineato F. Benvenuti66 - dalla concezione del demanio marittimo quale bene produttivo e dalla astratta concedibilità senza limitazioni dell’intero patrimonio costiero, secondo un modello incondizionatamente dominato dalla domanda 67. Solo di recente, è emersa la necessità di ripensare un tale paradigma, a partire da una riconsiderazione dell’oggetto stesso della demanialità, da assumere non alla stregua di un bene rilevante in quanto suscettibile di assicurare utilità secondo logiche economiche, bensì quale porzione di un fondamentale comparto ambientale di scambio terramare, atto ad assicurare servizi ecologici (e culturali) a fruizione indivisa. In tal senso, la nozione di demanialità (concetto sul quale è da tempo in atto un processo di revisione teorica68) va ripensata su basi completamente diverse rispetto al passato. Il demanio costiero e marittimo 69 non va infatti identificato con un novero di beni appartenenti allo Stato in una logica para-dominicale, a dare corpo ad una 64 Per una rilettura in chiave funzionale, attenta dunque agli utilizzi, dei beni pubblici, si veda G. I beni, in S. CASSESE (a cura di), Istituzioni di diritto amministrativo, II ed., Giuffrè, Milano, 2009, p. 203; A. POLICE, I beni di proprietà pubblica, in F. G. SCOCA (a cura di), Diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2008, p. 641; per un’analisi delle problematiche che si pongono nella categoria del demanio marittimo, si veda C. CACCIAVILLANI, Profili funzionali del demanio marittimo, in G. COLOMBINI (a cura di), I beni pubblici tra regole di mercato e interessi generali, Jovene, Napoli, 2009, 75. DELLA CANANEA, 65 M. L. CORBINO, Il demanio marittimo. Nuovi profili sostanziali, Giuffrè, Milano, 1990; G. COLOMBINI, Lido e spiaggia, in Dig. disc. pubbl., IX, Torino, 1994, p. 264. 66 F. BENVENUTI, Il demanio marittimo tra passato e futuro, in Riv. dir. nav., 1965, 154 e ora in ID., Scritti giuridici, III, Milano, 2006, 2391. 67 N. GRECO – F. GHERARDUCCI (a cura di), I beni pubblici in Italia. Profili funzionali e problemi di gestione, Il Mulino, Bologna, 1982. 68 Sulla crisi che le costruzioni teorico-formali sui beni pubblici stanno attraversando si vedano: V. CERULLI IRELLI, I beni pubblici nel codice civile: una classificazione in via di superamento, in Econ. pubbl., 1990, 523 (e, già prima, ID., Proprietà pubblica e diritti collettivi, Cedam, Padova, 1983); V. CAPUTI JAMBRENGHI, Premesse per una teoria dell’uso dei beni pubblici, Jovene, Napoli, 1979; M. RENNA, Beni pubblici, in S. CASSESE (a cura di), Diz. dir. pubbl., I, Giuffrè, Milano, 2006, p. 714 (e, ancora prima, ID., La regolazione amministrativa dei beni a destinazione pubblica, Giuffrè, Milano, 2004); S. CASSESE, La teoria della demanialità e la trasformazione dei beni pubblici, in Invertire la rotta. Idee per una riforma della proprietà pubblica, cit., 67. 69 N. GRECO - B. MURRONI, Demanio marittimo, zone costiere, assetto del territorio, Il Mulino, Bologna, 1980. 58 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 antistorica proprietà pubblica70. Più che di un rapporto di appartenenza sarebbe invece preferibile parlare di una mera imputazione al soggetto pubblico: una imputazione avente ad oggetto risorse 71 che vanno doverosamente 72 tutelate e gestite nella prospettiva della loro preservazione di lungo periodo, armonizzando le logiche dello sfruttamento con quelle della conservazione 73. Echi di questo processo di riconformazione categoriale del demanio marittimo che si fa sempre più evidente si possono cogliere in alcune recenti prese di posizione della Cassazione74 , che – relativamente alle valli da pesca nella laguna veneta - ha identificato proprio nelle valenze ambientali l’elemento determinante per sancire la demanialità 75 (una demanialità meramente custodiale, svuotata di ogni residuo profilo dominicale, che – nelle parole della suprema Corte - sottende una doppia imputazione allo Stato e alla Comunità) e nella considerazione che il 70 S. CASSESE, I beni pubblici: circolazione e tutela, Giuffré, Milano, 1969, p. 144. Come noto, l’idea di una “proprietà pubblica attribuita allo Stato per tutela dell’uso pubblico, un diritto sui generis, esercitato promiscuamente con atti d’imperio e con atti di dominio civile, diritto misto di pubblico e di privato” risale ad O. RANELLETTI, Concetto natura e limiti del demanio pubblico, in Giur. it., 1897, 326, ed ora anche in E. FERRARI, B. SORDI, I beni pubblici, in O. RANELLETTI, Scritti giuridici scelti, , Jovene, Napoli, 1992, p. 269, ed è andata rafforzandosi nella riflessione di E. GUICCIARDI, Il demanio, Padova, 1934 (rist. 1989), p. 15. Si veda anche A. M. SANDULLI, Beni pubblici, in Enc. dir., V, 1959, Giuffrè, Milano, 277. 71 P. PERLINGERI, La gestione del patrimonio pubblico: dalla logica dominicale alla destinazione funzionale, in Invertire la rotta. Idee per una riforma della proprietà pubblica, cit., p. 89. 72 V. CAPUTI JAMBRENGHI, Proprietà dovere dei beni in titolarità pubblica, in Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo, Annuario 2003. Titolarità pubblica e regolazione dei beni – La dirigenza nel pubblico impiego, cit., 61. 73 L. BOBBIO, Le politiche contrattualizzate, in C. DONOLO, Il futuro delle politiche pubbliche, Giuffrè, Milano, 2006, p. 61. 74 G. ROSSI, L’ambiente ed il diritto, in questa Rivista, 2010, 7, ha recentemente ricordato che nella formazione del diritto ambientale la giurisprudenza ha giocato sovente un fondamentale ruolo anticipatore. 75 La Corte di Cassazione (Cass., ss.uu., 16 febbraio 2011, n. 3813; Cass., SS.UU., 14 febbraio 1011, n. 3665), ha premesso che nella identificazione del novero dei beni pubblici “non è più possibile limitarsi, in tema di individuazione dei beni pubblici o demaniali, all'esame della sola normativa codicistica del '42, risultando indispensabile integrare la stessa con le varie fonti dell'ordinamento e specificamente con le (successive) norme costituzionali”: su questa base la Cassazione, ponendosi su un piano di diretta derivazione costituzionale, ha profilato un doppia titolarità dei beni “comuni” che compongono il patrimonio ambientale-marittimo, rispetto ai quali il richiamo alla “‘demanialità’ esprime una duplice appartenenza alla collettività ed al suo ente esponenziale, dove la seconda (titolarità del bene in senso stretto) si presenta, per così dire, come appartenenza di servizio che è necessaria, perchè è questo ente che può e deve assicurare il mantenimento delle specifiche rilevanti caratteristiche del bene e la loro fruizione”. 59 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 decreto sul cd. federalismo demaniale (D. lgs. 28 maggio 2010, n. 85 76) riserva al demanio marittimo e a quello idrico, destinati in futuro a dare corpo ad una nuova macrocategoria di beni demanial-ambientali, connotata dai caratteri della necessaria pubblicità (a differenza degli altri beni compresi nell’elenco dell’art. 822 c.c., trasferiti alle regioni in una logica che contempla l’approdo della successiva alienazione), proiettata alla cd. valorizzazione ambientale77 . Entro la cornice di questo nuovo ordine, appare ineludibile anche un ripensamento del sistema delle concessioni (specie di quelle per usi turisticoricreativi) 78. Le concessioni d’uso sono attribuibili nei limiti di una preventiva pianificazione, tesa ad identificare a priori gli spazi adibibili alla fruizione turistica a partire dall’identificazione delle aree ad elevata valenza ambientale da sottrarre a tale forma di utilizzo 79. L’assegnazione deve inoltre conseguire a rigorose 76 F. PIZZETTI, Il federalismo demaniale: un buon segnale verso un federalismo fiscale ‘ben temperato’, in Le Regioni, 2010, 3; A. POLICE, Il federalismo demaniale: valorizzazione nei territori o dismissioni locali?, in Giorn. dir. amm., 2010, 1223. 77 D. lgs. 28 maggio 2005, n. 85, art. 2, comma V, lett. e): “valorizzazione ambientale. In applicazione di tale criterio la valorizzazione del bene e' realizzata avendo riguardo alle caratteristiche fisiche, morfologiche, ambientali, paesaggistiche, culturali e sociali dei beni trasferiti, al fine di assicurare lo sviluppo del territorio e la salvaguardia dei valori ambientali”. 78 M. D’ALBERTI, La concessione amministrativa. Aspetti della contrattualità delle pubbliche amministrazioni, Napoli, 1981, in part., 29; questo istituto è stato al centro di una articolata analisi condotta tempo addietro dall’Autorità Garante per il mercato e la Concorrenza: cfr. M. D’ALBERTI (a cura di), Concorrenza e concessioni, in Temi e Problemi, 8, 1998. 79 Nella prospettiva di una complessiva riconsiderazione dell’intera (sub)materia delle concessioni turistico-ricreative, è stata recentemente disposta una proroga di sei anni delle concessioni scadenti entro il 2010: ciò al fine di consentire all’intero sistema di adeguarsi alle indicazioni di derivazione comunitaria in tema di concorrenzialità e di recupero dei costi ambientali: TAR Puglia, Sez. Lecce, I, 13 aprile 2011, n. 679 “In materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative, il termine di sei anni con cui l’articolo 1, comma 18, del D.L. n. 194/2009, a fronte dell’abrogazione dell’art. 37, comma 2, del Codice della navigazione, ha disposto la proroga delle concessioni in essere sino al 31 dicembre 2015, è stato stabilito per consentire l’introduzione di una nuova disciplina della materia conforme ai principi comunitari e, pertanto, non esorbita dalla sfera della discrezionalità legislativa. Infatti, nel dettare norme transitorie, il legislatore gode della più ampia discrezionalità, con l’unico limite costituito dal rispetto del principio di ragionevolezza. Poiché il termine di sei anni coincide con la durata minima delle concessioni, e sotto questo profilo costituisce un’ultima proroga, la cui ragione può essere individuata nella necessità di far rientrare dagli investimenti gli operatori che avevano comunque fatto affidamento sulla precedente legislazione in materia di diritto di insistenza, dando loro il tempo necessario all’ammortamento delle spese sostenute, deve ritenersi che non è manifestamente irragionevole un regime transitorio che, nel regolare l’esaurimento delle situazioni preesistenti, formatesi in base a un regime all’epoca valido, indichi un termine di sei anni per l’adeguamento ai principi comunitari”. Si va anche C. LAMI – C. A. NEBBIA COLOMBA – S. VILLAMENA, Le concessioni demaniali marittime tra passato, presente e futuro, Exeo edizioni, Padova, 2010. 60 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 procedure comparative80, atte a far emergere una ‘doppia efficienza’, legata, da un lato, alla ritrazione del massimo risultato di utilità sociale dello sfruttamento del bene (efficienza a cui corrisponde anche la corresponsione di un canone direttamente parametrato su tali risultati e non più su una frusta logica tabellare81, idoneo a incorporare il valore delle risorse ambientali, secondo il principio full recovery cost82), dall’altro, alla compatibilità ambientale degli utilizzi (ad esempio, rispetto agli stabilimenti balneari, con riferimento alla minor invasività delle tecniche di protezione con sbarramenti fisici e di ciclico ripascimento delle spiagge). Il demanio marittimo ha comunque una estensione decisamente più ridotta rispetto all’ampia area retrostante che – come si è compreso solo con grande ritardo – si pone in continuità e in rapporto di mutua interrelazione con lo spazio marino e sulla quale occorre estendere – come ricorda il Protocollo di Madrid - una azione di tutela. Nel tempo questo segmento di territorio, lasciato in proprietà privata e considerato di pubblico interesse solo in presenza di un vincolo paesaggistico, non ex se in quanto bene costiero, è stato sottoposto ad una regolamentazione degli usi espressa pressoché soltanto attraverso le leve dell’urbanistica e del paesaggio (nelle zone gravate da vincoli a carattere puntuale o ex lege, dopo la legge 431/1985)83. 80 In relazione ai più recenti sviluppi giurisprudenziali si veda M. D’ORSOGNA, Le concessioni demaniali marittime nel prisma ella concorrenza: un nodo ancora irrisolto, in Urb. e app., 2011, 599. Sull’incidenza che ha invece avuto in subjecta materia il cd. diritto di insistenza, si vedano le considerazioni critiche di F. LONGO, Brevi note sulla giurisprudenza amministrativa in materia di diniego di rinnovo di concessione di utilizzo di beni pubblici, in TAR, 1993, II, 157; S. CASSESE, Concessione di beni pubblici e diritto di insistenza, in Giorn. dir. amm., 2003, 355; L. R. PERFETTI, “Diritto di insistenza” e rinnovo della concessione di pubblici servizi, in Foro amm.-C.d.S., 2003, 621; C. CALLERI, Diritto di insistenza e interpretazione dell’art. 37 cod. nav., in Dir. trasporti, 2008, 467. 81 M. D’ALBERTI, Per la riforma e la valorizzazione delle concessioni, in Invertire la rotta, cit., p. 286, ove si afferma che “il valore della concessione va dunque commisurato al rilievo economico e giuridico dell’attività imprenditoriale svolta dal concessionario, nonché dei diritti e dei poteri ad esso conferiti, più che all’entità dei beni sui quali la concessione si esercita. Questa, però, non è la via seguita nel nostro sistema e vi sono molte disfunzioni nella disciplina delle concessioni”; V. CERULLI IRELLI, Utilizzazione economica e fruizione dei beni, in Annuario 2003. Titolarità pubblica e regolazione dei beni, cit., p. 21; P. D’AMELIO, Determinazione dei canoni demaniali: la corrispettività garanzia di una corretta utilizzazione del bene pubblico, in Giust. amm., 2008, in part., 231. 82 Si può sostenere che i canoni dovuti da chi faccia un uso eccezionale della risorsa demaniale debbano avviarsi ad assumere una funzione compensativa dei costi-opportunità e delle esternalità che si scaricano (spillover effect) sulle comunità costiere. 83 S. AMOROSINO, Introduzione al diritto del paesaggio, Laterza, Bari, 2010. 61 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Senza soffermarsi in questa sede sui limiti intrinseci della disciplina urbanistica84 e sui rapporti tra questa e la gestione del demanio marittimo 85, che solo in tempi recenti – anche grazie alla sottoposizione dei piani a valutazione ambientale strategica86 – comincia a ricostruirsi attorno all’idea-cardine della valenza del territorio quale risorsa ambientale esauribile, va rimarcato che, anche a cagione della sostanziale carenza dei livelli pianificatori sovra-comunali e dei piani paesaggistici, nel dominio dell’urbanistica lo spazio costiero è stato amministrato da ciascun comune, dando la stura ad un processo di frammentazione e di concorrenzialità tra luoghi, spesso impegnati in una miope rincorsa verso la stereotipa condizione di località balneare (con conseguente affievolimento dei valori identitari originari). E’ solo il caso di ricordare che la nozione di zona costiera come oggetto autonomo e come ambito da proteggere era estranea al lessico dell’urbanistica e questo ha favorito fenomeni inflattivi come le saldature e lo sprawl urbano (si pensi agli agglomerati abitativo-turistici che si addensano disordinatamente sulle coste), ai quali è sottesa la mancata percezione di un limite nel consumo di un suolo pregiato come quello costiero e dei costi ambientali connessi ad un tale modello insediativo. Nel nostro paese la principale difficoltà che si profila all’orizzonte e che si dovrà ineludibilmente affrontare nel prossimo periodo attiene alla ricomprensione dello spazio identificato quale zona costiera nel demanio marittimo, oggetto di funzioni di tutela e gestorie che l’amministrazione esercita dalla sua posizione privilegiata di attributario-custode, e di un ben più ampio quadrante territoriale sul quale una pluralità di amministrazioni esercitano funzioni conformative dei contenuti della proprietà privata. E’ subito il caso di dire che – al di là di alcune specifiche aree – non pare profilabile, almeno nel breve periodo, una demanializzazione estesa all’intera zona costiera, con conseguente necessità di configurare un modello regolatorio necessariamente articolato in misure applicabili ai beni demaniali (ad esempio sul versante della revoca di concessioni ritenute non compatibili con le valenze ambientali) e in previsioni di ri-orientamento delle funzioni pianificatorie. Il ricorso a tecniche diverse non può tuttavia preludere ad 84 E. BOSCOLO, Il piano regolatore comunale – Il superamento del modello tradizionale – Le perequazioni e le compensazioni, in M. A. CABIDDU (a cura di), Il governo del territorio, Giappichelli, Torino, 2011, 121. 85 Sul punto S. LICCIARDELLO, Demanio marittimo ed autonomie territoriali, in Beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, cit., 265, 86 Sulla VAS si vedano: L. GALLO, Valutazione ambientale strategica, in Dig. disc. pubbl., Agg., III, Torino, 2008, 946; E. BOSCOLO, La valutazione ambientale di piani e programmi, in Riv. giur. edilizia, 2009, 1, e precedentemente E. BOSCOLO, La valutazione degli effetti sull’ambiente di piani e programmi: dalla VIA alla VAS, in Urb e. app., 2002, 1123; M. CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente come sistema complesso, adattativo, comune, cit., in part., 340; G. MANFREDI, VIA e VAS nel codice dell’ambiente, in Riv. giur. ambiente, 2009, 63; F. FRACCHIA – MATTASOGLIO, Lo sviluppo sostenibile alla prova: la disciplina di VIA e VAS alla luce del d.lg. n. 152/2006, in Riv. trim. dir. pubbl., 2008, 121. 62 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 una diversa efficacia delle azioni amministrative o ad uno sdoppiamento della GIZC. Sul punto non dovrebbe esservi spazio per ambiguità e si dovrebbe ricercare la massima coerenza intrinseca tra gli obiettivi da assegnare in chiave unificante alla zona costiera nel suo complesso, le traiettorie di revisione dei modelli gestionali della parte pubblica di tale ambito e i risultati raggiungibili in chiave conformativa dell’ampia parte privata di tale bene ambientale. 8. Politiche circolari, adattative, partecipate. Come si è detto, nell’ordinamento italiano non sono state ancora assunte specifiche iniziative legislative (di competenza dello Stato in quanto riconducibili alla materia ‘tutela degli ecosistemi’ di cui all’art. 117, lett. s), Cost., ma inevitabilmente destinate ad intrecciarsi indissolubilmente con molteplici competenze regionali, ad es., in tema di governo del territorio o di turismo) specificamente finalizzate all’introduzione della gestione integrata delle zone costiere. Su questo versante, va ribadito che il Protocollo di Madrid non vincola gli stati rispetto alle soluzioni organizzative da seguire nel rendere effettive le indicazioni convenzionali. Il Protocollo, per fare degli esempi, non identifica unità minime di intervento (sul modello dei distretti idrografici in materia di governo delle acque), non vincola alla istituzione di amministrazioni specializzate di nuovo conio e non impone la previsione di nuove figure pianificatorie riservate alle zone costiere, destinate ad aggiungersi o a sostituire quelle attualmente previste (dalla legislazione urbanistica, portuale, energetica, della tutela dei suoli e delle coste, della pesca, etc.). Sembra azzardato preconizzare, almeno nel breve periodo, significative riallocazioni di competenze, mentre è pensabile che si possano configurare dispositivi di coordinamento 87 che prevedano la partecipazione ai procedimenti (specie a quelli pianificatori) di tutte le amministrazioni coinvolte, in una prospettiva tesa ad assicurare quantomeno la piena e contestuale considerazione di tutti gli interessi pubblici di volta in volta coinvolti (entro una gerarchizzazione che garantisca tuttavia la primarietà dell’interesse ambientale). Questo è forse il primo risultato possibile sul versante della integrazione tra 87 Sul piano dei modelli di attività dell’amministrazione, il tema della GIZC solleva in termini ineludibili il problema del coordinamento tra l’azione delle diverse amministrazioni che esercitano competenze comunque incidenti sul territorio costiero; sul punto occorre dunque riandare alle affermazioni della dottrina amministrativistica: F. G. SCOCA, Le relazioni organizzative, in Diritto amministrativo, cit., p. 71; restano inoltre sempre cariche di significato le pagine di V. BACHELET, Coordinamento, in Enc. dir., X, Milano, 1962, 630 e di G. MARONGIU, Il coordinamento come principio politico di organizzazione della complessità sociale, in G. AMATO – G. MARONGIU, Il Mulino, Bologna, 1982, 145. 63 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 competenze e visioni settoriali oggi fortemente settorializzate 88, entro il tradizionale modello di amministrazione disaggregata e multipolare 89. Una autentica discontinuità rispetto al tradizionale assetto amministrativo sembra invece profilabile sul piano delle modalità di esercizio delle funzioni amministrative destinate a convergere entro la GIZC. La gestione sostenibile della zona costiera postula innanzitutto la messa punto di dispositivi fortemente adattativi (secondo lo schema che si definisce usualmente Adaptative Management90 ), direttamente funzionali alla gestione di dinamiche complesse91 (condizionate cioè da una pluralità di fattori interdipendenti, con profili evolutivi non completamente predeterminabili, anche in ragione della presenza di talune dinamiche di tipo irriducibilmente stocastico), come quelle che si manifestano tipicamente nella zona costiera. Inoltre, si tratta di politiche e azioni che necessitano di un supplemento di effettività, che – come opportunamente ricorda il Protocollo - può venire unicamente dalla attivazione di modelli di governance condivisa tra i diversi attori, pubblici e privati, territoriali ed economici. Mediante tali politiche – che spesso si esplicheranno mediante il ricorso a strumenti incentivali (con ampio ricorso all’analisi economica92 ) – si dovrà cercare non solo di incidere in chiave protezionistica su specifici segmenti di costa, ma anche di intervenire su dinamiche territoriali e usi consolidati, che spesso hanno determinato il sedimentarsi di strutture fisiche incongrue od hanno provocato la riduzione dell’efficienza degli ecosistemi. Quanto sin qui detto è sufficiente a mettere in rilievo la profonda discontinuità che segna la distanza tra la GIZC e i tradizionali modelli di azione amministrativa93. Nella ricerca di talune coordinate utili in funzione classificatoria, 88 In questa prospettiva assumono un peso soverchio, per fare solo un esempio, le regole di strutturazione della conferenza dei servizi (sulle quali, ex multis, G. COMPORTI, Il coordinamento infrastrutturale, Giuffrè, Milano, 1996) e sulle operazioni amministrative (concetto rivisto nell’ottica della convergenza tra l’attività di più amministrazioni da D. D’ORSOGNA, Contributo allo studio dell’operazione amministrativa, Editoriale Scientifica, Napoli, 2005). 89 M. BOMBARDELLI, La sostituzione amministrativa, Cedam, Padova, 2004. 90 Il lavoro capostipite di questo orientamento è rappresentato da C. WALTHERS, Adaptative management of renevable resources, New York, 1986. 91 C. D. MALAGNINO, L’ambiente sistema complesso. Strumenti giuridici ed economici di tutela, Cedam, Padova, 2007p. 14; in termini più generali, B. TRONCARELLI, Complessità e diritto. Oltre la ragione sistemica, Giuffrè, Milano, 2002; restano inoltre sempre rilevanti le indicazioni espresse da M. LOSANO, Sistema struttura nel diritto. III. Dal Novecento alla postmodernità, Giuffrè, Milano, 2002. 92 G. NAPOLITANO - M. ABRESCIA, Analisi economica del diritto pubblico, Il Mulino, Bologna, 2009. 93 R. MISURACCA – B. FASOLO – M. CARDACI (a cura di), I processi decisionali. Paradossi, sfide, supporti, Il Mulino, Bologna, 2007. 64 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 si possono invece riscontrare – come è stato autorevolmente messo in luce94 alcune analogie con il fenomeno della regolazione95 e, soprattutto, con la stagione apertasi con l’adozione dei piani di gestione per gli otto distretti idrografici, attraverso cui è stato finalmente tradotto nel nostro paese il modello di governo delle acque prefigurato dalla direttiva-quadro 2000/60/CE (piani che – è il caso di ricordarlo – si estendono anche alle acque costiere e di scambio, con conseguente ravvicinamento e ineludibile integrazione delle politiche per le acque interne e marino-costiere). Alla luce di quanto detto, le politiche di gestione integrata della zona costiera dovrebbero tendere ad assumere un caratteristico schema ordinatore. In primo luogo, dovrebbero assolvere la funzione di strutturare un frame (da framing: dare una ‘cornice’ ad una policy) entro cui verrebbero a convergere, come si è detto, tutte le funzioni oggi fortemente settorializzate e talune azioni di coordinamento di nuovo conio. Questa operazione non si dovrebbe sostanziare unicamente in un re-naming. In realtà il risultato di questa operazione dovrebbe avrebbe la portata di ricondurre entro un comune orizzonte valoriale improntato alla sostenibilità attività amministrative che, in precedenza, erano rette da logiche proprie, scollegate tra loro. Di seguito, tutte le azioni, a partire da quelle di tipo dialogico-comunicativo, saranno dunque qualificabili in quanto riconducibili al frame delle politiche per la sostenibilità in ambito costiero: tale connotazione tenderà quindi ad affermarsi nel dibattito pubblico 96, ma diverrà soprattutto elemento determinante nell’interpretazione-applicazione ambientalmente orientata di atti normativi e amministrativi e nell’esercizio della discrezionalità amministrativa (potranno così prevalere, per fare un esempio, letture e decisioni favorevoli alla conservazione ambientale in luogo dello sfruttamento turistico intensivo di taluni tratti spiaggiosi e si potrà così anche giungere alla revoca di 94 N. GRECO, Costituzione e regolazione, cit., passim. 95 A. LA SPINA 96 A. G. MAJONE, Lo Stato regolatore, Il Mulino, Bologna, 2000. LIPPI, La valutazione delle politiche pubbliche, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 123. 65 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 talune concessioni maggiormente impattanti, anche in carenza di indennizzi, come accade nel settore idrico 97). L’intera policy per le zone costiere andrà inoltre disegnata secondo un caratteristico schema (il cd. policy cycle) 98 ad andamento circolare (mentre le funzioni tradizionali tendono a riflettere uno schema lineare, ritagliato sulla sequenza attivazione-istruttoria-decisione): uno schema alla base del quale si colloca la costruzione di un adeguato apparato conoscitivo, entro cui andranno ricercate le ragioni e le giustificazioni delle decisioni. Alla messa a fuoco delle problematiche da affrontare farà ordinariamente seguito la prefigurazione di una pluralità di scenari, sui quali avviare il confronto. La selezione dello scenario eligibile - su basi oggettivate, non solo per effetto della legittimazione a decidere unilateralmente riservata all’autorità amministrativa – non esaurirà l’azione pubblica, che dovrà costantemente articolarsi in un monitoraggio dei risultati prodotti dalla concreta applicazione della politica pubblica, con l’obiettivo di misurarne, grazie ad alcuni indicatori, l’adeguatezza e di introdurre i necessari correttivi, in coerenza con i feedbacks raccolti (in questo senso si può parlare di politiche adattative). Quanto ai contenuti, le politiche integrate per le coste si caratterizzano per l’adozione di una prospettiva globale (che prevede la trattazione congiunta di temi interrelati e che – come detto - assume ad oggetto il territorio costiero come un quid unitario), in un’ottica di programmazione di lungo periodo. Queste politiche debbono necessariamente incorporare l’incertezza99 che deriva dalle interdipendenze tra diversi sistemi naturali e diverse forme di pressione antropica e sono funzionali alla definizione, condivisa da tutti gli stakeholders, delle forme di uso razionale della risorsa costiera. Per far ciò occorre che queste politiche non scolorino le differenze, soprattutto di tipo identitario, tra le diverse realtà locali, 97 Cass., SS. UU., 21 dicembre 2005, n. 28268. Il potere di revoca costituisce una prerogativa irrinunciabile per l’amministrazione che debba ‘riallineare’ le determinazioni concessorie ai mutamenti sopravvenuti. Questa esigenza si avverte in termini più stringenti nel settore ambientale, entro cui è maggiore la complessità e l’incertezza, tanto da rendere instabile anche la definizione del punto di compatibilità tra gli interessi pubblici alla tutela delle acque e l’aspettativa del concessionario a derivare una quantità predeterminata di risorsa idrica. Anche questo dato, centrale nella fissazione dell’oggetto del rapporto giuridico, risulta sfuggente ad una cristallizzazione operabile mercé il provvedimento concessorio: guardando alle concessioni idriche, si potrebbe quindi parlare - con un gioco di parole - di concessioni in condizione di ‘incertezza-certa’. La messa a fuoco di questo orizzonte di incertezza costituisce il presupposto logico per l’affermazione secondo cui in queste fattispecie non solo il consolidamento della posizione del concessionario (un tempo si parlava di un diritto soggettivo nascente dalla concessione) non costituisce un limite all’esercizio del potere di revisione, ma è financo da escludere alla radice la configurabilità di un affidamento (legittimate expectation) meritevole di tutela in capo al concessionario. 98 M. HOWELETT - M. RAMECH, Studying Public Policy: Policy cyles and policy subsystems, Oxford, 1995. 99 R. AXELROD - M. D. COHEN, Harnessing Complexity, New York, 1999; E. PRIGOGINE, Le leggi del caos, Laterza, Bari, 2008. 66 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 con conseguente conferma della centralità del momento conoscitivo di caratterizzazione dell’areale costiero. Nella predisposizione di tali strumenti e nella loro applicazione nelle diverse realtà, sin dalla fase di redazione dell’apparato conoscitivo, assume un soverchio rilievo la partecipazione dei portatori di interessi100. Occorre dunque che le amministrazioni coinvolte – anche sulla scia della Convenzione di Aarhus101 assumano un ruolo pro-attivo rispetto alla attivazione di strumenti tesi a sollecitare la più ampia partecipazione102. Nei documenti sovranazionali non sono stati dettagliati gli strumenti e le forme che dovrebbero seguire i dispositivi partecipativi, ma è pensabile che possano trovare adeguato spazio procedure di consultazione 103, momenti di ascolto strutturato, community visioning, sondaggi deliberativi104 , dibattiti pubblici (sul modello dell’esperienza francese della Commission nationale de débat public105). Va tuttavia ricordato che questi strumenti hanno sinora dato risultati apprezzabili solo nella condizione di 100 M. CALABRÒ, Potere amministrativo e partecipazione procedimentale. Il caso ambiente, Editoriale Scientifica, Napoli, 2004; G. MANFREDI – S. NESPOR, Ambiente e democrazia: un dibattito, in Riv. giur. ambiente, 2010, 293. 101 Convenzione di Aarhus, aperta alla sottoscrizione nel 1998 dai paesi membri della Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite e ratificata dall’Italia con l. 16 marzo 2001, n. 108: sul punto, si vedano J. HARRISON, Legislazione ambientale europea e libertà di informazione: la Convenzione di Aarhus, in Riv. giur. ambiente, 2000, 27; B. DALLE, Instruments of a Universal Toolbox or Gadgest of Domestic Administration? The Aarhus Convention and Global Governance, in Riv. trim. dir. pubbl., 2010, 41; D. BORGONOVO RE, Informazione ambientale e diritto di accesso, in S. NESPOR – A. L. DE CESARIS (a cura di), Codice dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2009, p. 1478; A. GRASSO, Ambiente. Articolazione di settore e normativa di riferimento, in M. P. CHITI – G. GRECO (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, p. spec., I, II ed., Giuffrè, Milano, 2007, p. 273. Sui complessi dispositivi di verifica della effettiva penetrazione nei diritti nazionali dei principi affermati dalla Convenzione di Aarhus, si veda M. MACCHIA, La compliance al diritto amministrativo globale: il sistema di controllo della convenzione di Aarhus, in Riv. trim. dir. pubbl., 2006, 637. 102 In questa direzione le politiche per le coste potranno attingere da una modellistica che è venuta strutturandosi nel periodo più recente, soprattutto, in campo urbanistico: L. CASINI, L’equilibrio degli interessi nel governo del territorio, Giuffrè, Milano, 2005; G. FERA, Comunità, urbanistica, partecipazione, Franco Angeli, Milano, 2009. 103 Lo stesso D.lgs. 85/2010 cit. prevede che (art. 2 ”… L'ente territoriale, a seguito del trasferimento, dispone del bene nell'interesse della collettività rappresentata ed e' tenuto a favorire la massima valorizzazione funzionale del bene attribuito, a vantaggio diretto o indiretto della medesima collettività' territoriale rappresentata. Ciascun ente assicura l'informazione della collettività' circa il processo di valorizzazione, anche tramite divulgazione sul proprio sito internet istituzionale. Ciascun ente può indire forme di consultazione popolare, anche in forma telematica, in base alle norme dei rispettivi Statuti”). 104 A. MAGNEIR 105 - P. RUSSO, Sociologia dei sistemi urbani, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 203. L. CASINI, L’inchiesta pubblica. Analisi comparata, in Riv. trim. dir. pubbl., 2007, 43. 67 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 prossimità, legata a procedimenti dislocati su scala comunale106 . A ciò va aggiunto che la democrazia ambientale, che trova un vettore di razionalizzazione negli istituti di partecipazione, ha sin qui assunto le matrici tipiche del conflitto rispetto al siting 107 di infrastrutture avvertite come variamente impattanti a livello locale (si pensi – in ambito costale – alle vicende legate agli impianti di rigasificazione108). Nelle politiche costiere verranno invece sovente in rilievo decisioni, piani e programmi a contenuto non (ancora) localizzativo, strumenti cioè atti ad esprimere decisioni preliminari non sempre immediatamente percepibili come premessa diretta e immediata rispetto a radicali mutamenti riferibili all’intorno di vita di comunità specifiche. Si intravede quindi il rischio, specie rispetto a decisioni di competenza di enti sovracomunali, che si possa manifestare una carenza di attenzione diffusa, e si avverte quindi il bisogno di strutture e iniziative comunicative tese a colmare tale vuoto di coinvolgimento, onde evitare che la GIZC receda, in stridente contrasto con i documenti ispiratori, a strumento aridamente tecnocratico. 9. L’esempio della Sardegna: il piano paesaggistico e la Conservatoria delle Coste. Fissate queste coordinate di fondo, è ora possibile passare in rassegna due tra le più avanzate esperienze di gestione integrata delle zone costiere riscontrabili nel nostro paese 109. Si tratta delle iniziative autonomamente promosse, entro il riferimento culturale dei documenti sovranazionali testé citati, dalle regioni Sardegna e Puglia. Si sono già ricordate le innumerevoli le esperienze-pilota che, a livello sperimentale, si sono avviate in quasi tutte le regioni costiere d’Italia, ma – indubbiamente – le attività svolte od avviate dalle autorità sarde e pugliesi si contraddistinguono per una maggior organicità e, soprattutto, per la innovatività 106 T. MANNARINI, La cittadinanza attiva. Psicologia sociale della partecipazione pubblica, Il Mulino, Bologna, 2009, passim. Sul punto si veda la convincente proposta ricostruttiva avanzata da G. ENDRICI, Territori e ambiente, in C. BARBATI - G. ENDRICI (a cura di), Territorialità positiva. Mercato, ambiente e poteri subnazionali, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 146. 107 Su queste tendenze si vedano C. PACCHI, Una via italiana alla gestione dei conflitti ambientali?, in Equilibri, 1999, 335; L. BOBBIO - A. ZEPPETELLA, Perché proprio qui? Grandi opere e opposizioni locali, Franco Angeli, Milano, 1999; L. BOBBIO, La democrazia non abita a Gordio. Studio sui processi decisionali politico-amministrativi, Franco Angeli, Milano, 1996. 108 M. MORISI – A. PACI (a cura di), Il bisogno di decidere, Il Mulino, Bologna, 2009. 109 Per una completa rassegna, si veda, N. GRECO – P. BIODINI, L’approccio diversificato e talora immaturo di alcune Regioni costiere nella gestione integrata delle coste. Catalogo degli interventi regionali di tipo pianificatorio, in Le risorse del mare e delle coste. Ordinamento, amministrazione e gestione integrata, cit., 447. 68 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 degli strumenti (analitici, per la costruzione della conoscenza, ma anche incentivali, nella ricerca di una superiore effettività). La Regione Sardegna ha sviluppato una incisiva politica di salvaguardia delle coste a partire dalla l.r. 25 novembre 2004, n. 8. Con tale legge110, nella logica della decisione di arresto, è stata preclusa – sino alla approvazione del piano paesaggistico – la realizzazione di trasformazioni edificatorie entro al fascia di due chilometri dalla linea di battigia. Questa legge, che per la prima volta ha fatto della costa come tale un oggetto di azione amministrativa non settoriale, ha assolto la funzione di una sorta di ‘misura di salvaguardia’ 111 ope legis112 e, nei fatti, ha impedito che una teoria di previsioni espansive espresse da piani regolatori assai datati trovassero attuazione, con conseguente formazione di un ‘muro’ (reale e percepito) tra terra e mare113. Il secondo, fondamentale tassello della politica regionale per le coste è stato rappresentato dalla approvazione del piano paesaggistico. Si tratta, come si è detto altrove 114, del più avanzato sforzo di pianificazione paesaggistica sin qui tentato in Italia e, soprattutto, si tratta di un piano che prende le mosse dalla ricezione della nozione di paesaggio espressa dalla Convenzione Europea del Paesaggio 115. Il dibattito che è seguito all’approvazione del piano paesaggistico sardo si è appuntato, principalmente sulle misure di protezione delle coste e della fascia costiera. Il paesaggio sardo, dopo la modifica dell’art. 131 del D. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, si presta ad essere scomposto in tre strati116 e le coste rientrano a pieno titolo 110 La cui costituzionalità è stata sancita da C. cost., 6 febbraio 2006, n. 51, in Riv. giur. ambiente, 2006, 453, con nota di S. DELIPERI, La Corte costituzionale ‘salva’ le coste della Sardegna. 111 E. BOSCOLO, La durata limitata (e graduata) delle misure di salvaguardia tra disposizioni statali e regionali, in Giorn. dir. amm., 2008, 968. 112 S. SPUNTARELLI, L’amministrazione per legge, Giuffrè, Milano, 2007. 113 E’il caso dell’insediamento alberghiero di ‘Cala Giunco’ presso Villasimius, definitivamente bloccato dopo una vicenda durata oltre un trentennio: Cons. Stato, sez. VI, 7 giugno 2009, n. 5459, in Urb. app., 2009, con nota di E. BOSCOLO, Il piano paesaggistico della Sardegna: la forma piano tra beni paesaggistici e territori-paesaggio. 114 E. BOSCOLO, Paesaggio e tecniche di regolazione: i contenuti del piano paesaggistico, cit. 115 AA. VV., in G. F. CARTEI (a cura di), Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 220. 116 E. BOSCOLO, Appunti sulla nozione giuridica di paesaggio identitario, in Urb.e app., 2008, 79; ID., La nozione giuridica di paesaggio identitario ed il paesaggio ‘a strati’, in La nuova disciplina del paesaggio: commento alla riforma del 2008 - Riv. giur. urbanistica., 2009, 57; G. SCIULLO, Il paesaggio tra la Convenzione e il Codice, in www.aedon.it; P. CARPENTIERI, La nozione giuridica di paesaggio, in Riv. trim. dir. pubbl., 2004, 363. 69 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 nel primo strato, che comprende i beni paesaggistici in senso proprio117, sui quali si concentra la funzione di tutela. Va subito detto che la logica di identificazione di tale bene paesaggistico non è quella geografica che informava la l. 431/1985; il bene protetto non è neppure rappresentato dagli elementi puntuali (scogliere, falesie, spiagge, dune, stagni), di cui la costa sarda pure è ricchissima, ma piuttosto dal sistema costiero nel complesso e nella superiore rilevanza della suo assetto compositivo (in piena coerenza con le indicazioni Protocollo di Madrid). Il secondo ‘strato’ comprende invece quelli che la Convenzione Europea del Paesaggio definisce “paesaggi della vita quotidiana”. Si tratta del paesaggio diffuso, ossia della trama dei territori ordinariamente regolati unicamente in chiave urbanistica, secondo obiettivi di funzionalizzazione ai bisogni insediativi e d’uso in senso più lato. La disciplina paesaggistica rispetto a questi territori non si sostanzia in una azione di tutela, bensì nella preservazione e nell’aggiornamento continuo di dimensioni e profili che conformano l’identità morfologica di un territorio, ossia di particolari caratteri che – ritornando alla definizione generale di cui al primo comma dell’art. 131 cit. - sono idonei a rendere percepibili per le comunità valori principalmente di matrice identitaria. Sono i territori, e nel contempo i paesaggi, ‘feriali’, comunque capaci di esprimere – sempre in ragione del loro assetto materiale – messaggi di senso e non solo utilità d’uso. In questi territori, tra i quali rientrano anche molti ambiti di primo retro-costa, la salvaguardia del paesaggio, fuori dagli schemi tipici della funzione di tutela in senso proprio (e fuori quindi dalle competenze e dal ‘primato’ dello Stato nella funzione di tutela), si raccorda trasversalmente con il governo del territorio: sono infatti i piani urbanistici ad incorporare le coordinate dettate dal piano paesaggistico e ad esprimere – nel contempo – le direttive propriamente riconducibili alla GIZC. In vista di una più efficace azione di gestione della fascia costiera, gli interventi nelle zone pericostiere debbono innanzitutto essere innovativamente valutati anche per le interferenze che si generano con gli areali costieri in senso proprio. Completa poi il quadro il terzo ‘strato’ che – riprendendo lo schema della Convenzione europea - comprende i paesaggi degradati (“aree compromesse o degradate”: art. 135, IV comma, lett. b), del codice: cd. Wasteland), per i quali debbono essere previste politiche di ricostituzione dei valori paesistici che hanno subito appannamenti o compromissioni. Sono i luoghi del paesaggio-negato, rispetto ai quali occorre strutturare una strategia di costruzione (ri-costruzione) di 117 Sul punto, con riferimento al potere di estendere gli ambiti soggetti a protezione mediante lo strumento pianificatorio, si veda Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 marzo 2011 n. 1366, in www.pausania.it, “In materia di tutela del paesaggio, è da ritenersi ragionevole l’apposizione di un vincolo da piano paesaggistico ai sensi dell’art. 134, lett. c), d.lgs. n. 42 del 2004, ad un’area di estensione maggiore rispetto a quella gravata da preesistente vincolo archeologico, se tale nuovo vincolo risulta funzionale alla conservazione del contesto di giacenza del patrimonio archeologico nazionale già emerso ed oggetto di vincolo provvedimentale”. 70 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 nuovi assetti valoriali118 e tra questi rientrano anche innumerevoli areali costieri, sovente compromessi da iniziative turistiche particolarmente impattanti o da usi per scopi produttivi di ampi tratti costieri. La funzione di tutela delle coste si esplica attraverso un sostanziale divieto di nuovi insediamenti, ma - in una strategia pro-attiva - assumono un ruolo decisivo anche misure incentivanti per la delocalizzazione di attività e presenze incongrue. Nel denso capitolo del piano riservato al ‘turismo sostenibile’ sono infatti previsti incentivi sino al 25% di aumento della volumetria esistente per la trasformazione di ‘seconde case’ in strutture alberghiere e ‘premi’ che giungono sino al 100% della volumetria esistente per il trasferimento di strutture altamente impattanti - tra le quali i campeggi - nell’entroterra. A margine di questo schema tripartito, ben scolpito entro il piano paesaggistico della Sardegna, si fa spazio il richiamo sempre più frequente alle dinamiche della percezione quale processo ottico-intellettivo in gran parte non volontario 119. Scardinato il ruolo esclusivo delle regole dell’estetica (e anche grazie agli apporti della gestaltica120 e delle neuroscienze121) il risultato sono piani (come quello sardo) che muovono dall’identificazione di isopecettive (tipiche quelle che abbracciano un golfo) e di catalizzatori e detrattori percettivi (tipici esempi i paesaggi degradati come una miniera dismessa sull’orizzonte di chi osservi la terra dal mare o la verticalità isolata e massiva di un grande albergo a ridosso di una spiaggia). Allo stesso modo, si indagano le dinamiche che inducono il soggetto della percezione a rimanere impressionato da alcuni elementi di elevato valore simbolico e di maggior impatto materico, cromatico o formale (in Sardegna gli esempi vanno dalle caratteristiche formazioni di scogli alle spiagge a granulometria variabile), nei quali si tende a riassumere, specie nella percezione cinematica (da una strada, da un treno, dal mare), la dimensione iconica (e di senso) di un paesaggio, entro un processo in cui giocano un ruolo determinate anche le 118 Per questi ambiti dovrà essere attivata una politica attiva, volta alla “realizzazione di nuovi valori paesaggistici integrati e coerenti, rispondenti a requisiti di qualità e sostenibilità”: art. 131, VI comma, del codice del paesaggio. 119 In sostanza, come hanno concorso a spiegare le neuroscienze, la percezione rimanda costantemente (ed istantaneamente) ad un set esperienziale del soggetto, entro cui vengono immediatamente riconosciuti e classificati come significativi tanto i tratti del bello (secondo canoni previamente interiorizzati dal soggetto), quanto valenze di altra natura. La percezione funge quindi da connettivo tra la visione e la conoscenza: C. BARBATI, Il paesaggio come realtà etico-culturale, in W. CORTESE (a cura di), Diritto al paesaggio e diritto del paesaggio, Editoriale Scientifica, Napoli, 2008, 31. 120 R. ARNHEIM, Arte e percezione visiva, Feltrinelli, Milano, 2006. 121 G. KANIZSA, Grammatica del vedere. Saggi su percezione e gestalt, Il Mulino, Bologna, 1980. In quest’opera – come in quelle riconducibili a questo filone di studi – si mettono in rilievo le dimensione ottico-cognitive della percezione. Sul rapporto tra le neuroscienze e il diritto si veda ora L. CAPRARO – V. CUZZOCREA - E. PICOZZA – D. TERRACINA, Neurodiritto. Una introduzione, Giappichelli, Torino, 2011. 71 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 conoscenze sedimentate. L’acquisita capacità di discernere le meccaniche della percezione, oltre a fornire un contributo essenziale nella definizione delle unità di paesaggio, concorre ad una allocazione più efficiente delle risorse regolatorie (per definizione scarse: si pensi alla volumetria incentivale122, ossia ad una ‘moneta’ che i comuni non ‘battono’ a costo zero, ma ‘pagano’ sul versante del consumo di suolo): la delocalizzazione delle strutture incongrue verso l’entroterra ha infatti, a sua volta, un pesante impatto sul territorio retro-costiero. Questo dato mette a nudo l’esigenza che dietro queste operazioni – proprio come indica sul piano metodologico la GIZC - vi sia sempre un bilancio di sostenibilità complessivo, che consenta di cogliere l’inevitabile trade off tra preservazione del paesaggio costiero e valori territoriali diffusi. In altre parole, il piano sardo pare confermare con grande evidenza due dati: a. la gestione integrata delle coste non si esaurisce nel solo ambito costiero, ma implica connessioni con i territori retrostanti, con conseguente necessità di non recidere i nessi con la pianificazione di area vasta (si pensi ai PTCP provinciali) e di non considerare la GIZC alla stregua di una monade; b. la politica per le coste non costituisce un esercizio ‘a somma zero’, ma – come tutte le decisioni di allocazione selettiva di una risorsa scarsa (le opportunità di sfruttamento del territorio costiero) - postula il sacrificio di interessi che reclamano indennizzi o contropartite compensative, con la conseguenza che si impone una rigida discretizzazione degli obiettivi concretamente perseguibili alla luce delle risorse regolatorie disponibili (nell’esempio appena fatto, la volumetria incentivale). La messa a fuoco dei valori espressi dalla costa sarda (e dunque delle molteplici traiettorie attraverso cui un territorio tra terra e mare esprime senso) presuppone la necessità di una meticolosa scomposizione dell’areale litoraneo nei suoi frammenti significativi (comunque collocati entro una trama territoriale). Il piano paesaggistico della Sardegna insegna che il primo passo da compiere consiste nel non arrestarsi al livello delle macro-identità, spesso frutto dell’ipostatizzazione di uno stereotipo. In Sardegna tale rischio era elevatissimo e avrebbe indotto ad una semplificazione-banalizzazione: la complessità della varietà-diversità della costa sarda si sarebbe potuta ridurre a poche celebrate immagini delle scogliere o delle acque cristalline, ossia in un ritratto metaforico, in cui il simbolo (l’iconema, che in una sineddoche prende il posto della complessità) avrebbe fatto velo su una fitta e complessa trama di valori e di oggetti estremamente significativi al fine della comprensione-descrizione adeguatamente analitica del paesaggio costiero sardo (che è anche paesaggio del lavoro, della pesca, della miniera, della salina, etc.) Il piano paesaggistico sardo è quindi capace di abbracciare l’intero territorio della regione e tutta la fascia costiera, e in questo senso è pienamente in linea con l’idea di paesaggio integrale propugnata dalla Convenzione Europea del Paesaggio, ma è anche il risultato di un approccio analitico, antitetico rispetto ad un facile olismo di maniera. Il piano non assurge 122 A. BARTOLINI, I diritti edificatori in funzione premiale (le c.d. premialità edilizie), in Riv. giur. urbanistica, 2008, 429. 72 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 quindi a strumento di costruzione di una artefatta identità regionale, ma costituisce piuttosto uno strumento per il riconoscimento dei paesaggi sardi, in primis di quello costiero. Assume quindi un ruolo decisivo la strutturazione dei piani paesaggistici (art. 135, II comma, del codice del paesaggio) per ‘ambiti’123. Ciascun ambito costituisce quindi un contenitore entro cui si esprime una policy paesaggistica. Una tale forma-piano, più che una tendenza alla frammentazione, mette allo scoperto la natura meramente formale del riferimento geografico-amministrativo al territorio regionale: al di là dell’attribuzione di competenza alla regione, sono i caratteri salienti dei diversi paesaggi a determinare i contorni delle unità pianificatorie effettive 124 e la dimensione costiera – per costituendo un denominatore comune – non assurge ad elemento omologante, a detrimento della capacità del piano di cogliere la diversità dei molti paesaggi costieri sardi, per ciascuno dei quali lo sforzo è nel senso di esprimere proposizioni regolatorie analitiche (di tutela integrale in alcuni casi, di tutela e valorizzazione in altri). E’ il processo logico ripercorso in una significativa sentenza pronunciata su ricorso del Comune di Arzachena125. La struttura del piano sardo è particolarmente interessante e si articola in una ‘doppia maglia’, tanto sul piano conoscitivo, quanto sul versante più strettamente regolatorio 126. Il processo di decodificazione del paesaggio sardo e la sua tipizzazione in figure ed elementi ricorrenti si è articolato nella strutturazione di tre ‘assetti’: tre chiavi disciplinari, metodologiche ed assiologiche di analisi. Il paesaggio - anche quello costiero - è quasi sempre sintesi tra elementi naturali e lasciti dell’azione antropica (storica ed attuale): nel piano sardo si prefigurano conseguentemente un assetto ambientale (nel quale si descrivono i profili ed i ‘funzionamenti’ del paesaggio naturalistico, con particolari accentuazioni dell’ecologia marina), un assetto storico-culturale (nel quale, accanto alla evidenziazione dei manufatti di rilievo monumentale, si dedica molta attenzione alle architetture minori e agli elementi materiali – si pensi alle torri di avvistamento e ai siti industriali ed estrattivi – che si sono compenetrati con la cultura popolare e rappresentano una risorsa identitaria lontana dai percorsi del turismo di massa) e un assetto insediativo (nel quale vengono mesi in luce i percorsi di diffusione insediativa e viene analizzato lo stato della fascia costiera, oggetto di una autentica ‘scoperta’ a partire dagli anni settanta del secondo scorso, che ha innescato una 123 P. URBANI, Strumenti giuridici per il paesaggio. Qualche riflessione sulle tecniche di redazione dei nuovi piani paesaggistici, in Interpretazioni di paesaggio, cit., p. 79; F. BALLETTI - S. SOPPA, Paesaggio in evoluzione. Identificazione, interpretazione, progetto, Franco Anglei, Milano, 2005. 124 A. 125 LANZANI, I paesaggi italiani, Meltemi, Roma, 2003, p. 370. TAR Sardegna, Sez. II, 12 giugno 2009, n. 979, in Urb. e app., 2009, 1192. 126 E. BOSCOLO, Paesaggio e tecniche di regolazione: i contenuti del piano paesaggistico, cit., passim. 73 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 pericolosa tendenza allo sviluppo lineare e alla diffusione di una architettura lussuosamente vernacolare, ma in realtà priva di valenze autenticamente identitarie). Il terzo tassello nella strategia di gestione delle risorse costiere da parte della Regione Sardegna è rappresentato dalla costituzione, con l.r. 29 maggio 2007, n. 2, di una agenzia, denominata Conservatoria delle coste della Sardegna, sulla scia dell’importante esempio francese (l. 86-2 del 3 gennaio 1986 127 che ha istituito il Conservatoire de l’espace littoral) 128. Tale agenzia deve muoversi nella direzione della progressiva acquisizione delle aree costiere, correttamente assunte alla stregua di un common a rischio di dispersione delle proprie funzioni naturali, ove lasciato esposto alle spinte individualistiche. La Conservatoria, ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, oltre ad assumere la funzione di coordinamento di tutte le azioni che si dispiegano sul territorio regionale in materia di gestione integrata delle zone costiere e ad esercitare le funzioni di gestione del demanio marittimo, attua una politica di progressiva acquisizione delle aree poste in zona costiera anche mediante il ricorso al potere espropriativo. E’ evidente infatti come sullo sfondo della previsione di questa tecnica di intervento si stagli nella sua massima espressione la prospettiva custodiale a cui si è fatto cenno 129, che passa anche per la sottrazione alla disponibilità privata di particolari beni comuni maggiormente esposti – come la costa sarda – a pressioni non sostenibili. Va detto che la Conservatoria, al di là delle ricorrenti voci di una sua soppressione, certamente non dispone di fondi sufficienti a sviluppare una organica politica acquisitiva e, allo stato, gestisce per la più parte terreni di proprietà regionale. La politica acquisitiva, in un contesto di risorse scarse, presuppone quindi una razionalizzazione, per evitare il rapido consumo delle risorse disponibili con risultati sub-ottimali. Costituisce traccia di questo sforzo il set di criteri di cui la Conservatoria si è dotata in vista delle prime iniziative acquisitive: si tratta di una matrice multicriteria, nella quale si compendiano valenze paesaggistiche, elementi di rischio e vulnerabilità e possibilità gestionali future, onde concentrare – con la massima efficienza l’azione acquisitiva laddove essa non appaia vicariabile dagli strumenti meramente conformativi, ancora una volta quale corollario di una analitica caratterizzazione della zona costiera. 10. Il Piano Regionale delle Coste della Puglia. 127 C. DESIDERI - E. A. IMPARATO, Beni ambientali e proprietà . I casi del National Trust e del Conservatorie de l’espace litoral, cit., passim; S. CASU, Note in tema di gestione integrata del litorale e Conservatoria delle coste della Sardegna, in www.giustamm.it. 128 J. ROCHETTE, Recenti sviluppi sulla politica francese di tutela delle zone costiere, in Riv. giur. ambiente, 2007, 1091. 129 E. REVIGLIO, Per una riforma del regime giuridico dei beni pubblici. Le proposte della Commissione Rodotà, in Pol. dir., 2008, p. 534. 74 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Solo apparentemente più semplice lo schema di fondo dell’azione avviata dalla Regione Puglia. Anche in questo caso la disciplina di protezione si è dispiegata per effetto di una legge regionale (l.r. Puglia 23 giugno 2006, n. 17), che ha previsto la redazione di un ‘Piano Regionale delle Coste’ (PRC). Tale strumento si ancora, innanzitutto, ad un articolato apparato conoscitivo che passa per una caratterizzazione puntuale dei morfo-tipi costieri pugliesi, che vanno dalle rocce garganiche e salentine alle lunghe distese sabbiose, con susseguirsi di fragili ecosistemi di scambio ricompresi solo di recente in innumerevoli parchi naturali, S.I.C. e Z.P.S. e di aree periurbane in degrado, prive di ogni valenza identitaria. Il PRC ha identificato alcuni interventi prioritari volti a garantire la valorizzazione e la tutela-integrità delle aree costiere e ha introdotto alcune proposizioni di principio, tra le quali merita un cenno quella secondo cui una quota non inferiore al 60% della lunghezza di costa concedibile deve essere riservata all’uso pubblico e alla balneazione. Le attività di redazione del PRC (non ancora approvato in via definitiva) hanno consentito importanti scambi interdisciplinari e hanno consentito di superare la tradizionale frammentazione delle diverse politiche settoriali. Questo approccio metodologico è approdato alla scomposizione della costa pugliese (non in unità amministrative, bensì) in sette unità fisiografiche principali, delle quali sono state dettagliare le caratteristiche e le criticità, con schede che – secondo un principio di miglior definizione – sono state poi completate a livello comunale. Quest’ultimo, per le ragioni sopra ricordate, costituisce un importante insegnamento, da tenere presente in tutte le attività di GIZC. Particolare attenzione nella redazione del PRC è stata dedicata al fenomeno concessorio, con realizzazione del primo censimento delle aree concesse e con identificazione delle condizioni che ostano al rinnovo delle concessioni (presenza di lame, di fenomeni erosivi, di ripascimenti programmati, etc.). In particolare, è stata fatta chiarezza sulla portata del rischio-erosione, con predisposizione di un modello che è valso a far emergere le interconnessioni con le politiche idriche e per la tutela dei suoli130 . Anche le sensibilità ambientali dei diversi segmenti della costa sono state dettagliatamente classificate e divengono elemento di necessaria considerazione rispetto ad ogni iniziativa anche solo potenzialmente perturbativa, da valutare ex ante secondo una sofisticata metodologia sintetizzabile nell’acronimo D-P-S-I-R (determinante-pressione-stato-impatto-risposta). Entro la cornice delle politiche costiere integrate promosse dalla Regione Puglia si inseriscono anche iniziative anticipatorie di singoli comuni che hanno recentemente rivisto i rispettivi strumenti urbanistici, riservando particolare attenzione alle tematiche della tutela costiera, a riprova di come l’introduzione nell’agenda pubblica del tema della GIZC determina, prima di tutto, una 130 Più di recente è stata approvata una deliberazione della Giunta regionale (10 marzo 2011, n. 410), recante approvazione delle “Linee guida per la individuazione di interventi tesi a mitigare le situazioni di maggiore criticità delle coste basse pugliesi”. 75 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 riconsiderazione ab intrinseco degli ordinari strumenti di amministrazione. E’ il caso, per fare solo uno tra i molti esempi possibili, del Comune di Fasano, che ha previsto un sofisticato modello perequativo-compensativo 131 finalizzato a favorire la riqualificazione di un ampio tratto di costa mediante la delocalizzazione di alcune strutture alberghiere e la formazione di opere di riequilibrio in una situazione territoriale sottoposta alle pressioni derivanti da un massivo sviluppo turistico consumatosi – in carenza di adeguate urbanizzazioni – nei decenni scorsi. Va rimarcato come si tratti di politiche propriamente regolative: infatti il comune deve assumere un ruolo pro-attivo, mediante l’indizione di sessioni per favorire dinamicamente l’incontro tra la domanda e l’offerta di diritti edificatorie e si riserva di riallocare le attribuzioni volumetriche secondo un vincolo di piena efficacia delle decisioni pubbliche. Nel complesso, si tratta di iniziative destinate a dare corpo ad un nuovo paradigma di azione amministrativa, nel quale le coste non rappresentano più soltanto una zona urbanistica tra le altre, ancorché gravata da specifici vincoli, ma vengono qualificate in guisa di risorsa collettiva da preservare anche mediante operazioni compensative straordinarie, che prevedono la circolazione di diritti edificatori e crediti compensativi132 secondo il modello della perequazione urbanistico-ambientale. In conclusione, va tuttavia segnalato che queste prime operazioni all’insegna della tutela della risorsa costiera sono state spesso accompagnate da resistenze e ricorsi dei proprietari e dei soggetti interessati alla perpetuazione del tradizionale modello di sfruttamento (è il caso del piano paesaggistico sardo, che ha generato una imponente mole di contenziosi133). In Puglia, inoltre, il lavoro di costruzione del piano per le coste non si è ancora tradotto in atti precettivi, con il 131 E. BOSCOLO, Le perequazioni e le compensazioni, in Riv. giur. urbanistica, 2010, 104. 132 M. RENNA, Vincoli alla proprietà e diritto dell'ambiente, in D. DE CAROLIS - E. FERRARI - A. POLICE (a cura di ), Ambiente, attività amministrativa e codificazione, Giuffrè, Milano, 2005, 389. 133 E. BOSCOLO, La forma piano tra beni paesaggistici e territori-paesaggio, cit. 76 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 risultato che il sistema concessorio viene gestito in maniera inadeguata mediante un coacervo di proroghe134. Si tratta comunque di esperienze ampiamente positive, produttive di risultati già tangibilmente percepibili, che occorre tuttavia ricondurre indilatamente entro l’alveo di una cornice giuridica più precisa. In altri termini, queste esperienze di sperimentazione della gestione integrata della zona costiera altro non fanno che sottolineare l’urgenza di un pieno recepimento entro il diritto amministrativo interno del modello di azione prefigurato a livello sovranazionale e già utilmente praticato in due regioni connotate da una vasta estensione del litorale e da una intrinseca fragilità della fascia costiera. ABSTRACT 134 Tar Puglia, sez. Lecce, I, 13 aprile 2011, n. 678 “In caso di mancata approvazione del Piano regionale delle coste ad oltre due anni di distanza rispetto alla tempistica legislativamente prevista, una lettura costituzionalmente orientata della l. rg. Puglia 23 giugno 2006 n. 17 impone di ritenere che, nelle ulteriori more della adozione del suddetto Piano regionale, ai comuni marittimi non possa essere inibita – pena la violazione delle proprie prerogative, costituzionalmente accordate, in tema di governo del territorio – la possibilità di disciplinare, sebbene in via temporanea ed ai soli fini del rinnovo, l'uso del territorio costiero. Infatti, la lettura costituzionalmente orientata data alla normativa in esame, porta a ritenere che le concessioni non possono essere di durata tale da contrastare con la futura pianificazione ad opera del piano delle coste. Nel contempo, l’esigenza di non pregiudicare l’assetto complessivamente previsto dal piano delle coste, nell’imminenza della formazione dello stesso, milita nel senso dell’accoglimento delle sole istanze di rinnovo delle concessioni; il rilascio di nuove concessioni, anche se temporanee, è appunto idoneo a pregiudicare tale assetto a seguito del “rinnovo” delle medesime”; Cons. St., Sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3145, secondo cui “l'art. 17, l. rg. Puglia n. 17 del 2006 affida alla pianificazione la gestione delle coste, prevedendo sempre in via di pianificazione una percentuale minima di aree demaniali marittime, riservate ad uso pubblico e alla libera balneazione (60% del territorio comunale, ex art. 16, l. r. n. 17 citata) e disponendo in via transitoria la possibilità del rinnovo delle concessioni. Ciò comporta che i Comuni sono in primo luogo liberi di decidere se procedere, o meno, al rinnovo delle concessioni, potendo anche optare per non rinnovare (a nessuno) la concessione. Se i Comuni decidono che un determinato tratto di costa può essere lasciato in concessione sono in primo luogo vincolati alle condizioni delle concessioni esistenti, non potendo procedere ad un ampliamento delle stesse. Non esiste, invece, anche un vincolo soggettivo in quanto la ratio della norma regionale, inquadrata all'interno dell'intera l. n. 17 del 2006, è solo quella di consentire l'eventuale prosecuzione del regime della concessione su un determinato tratto di arenile, e non anche quella di garantire una sorta di rendita di posizione per i precedenti concessionari”. 77 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Emanuele Boscolo - La gestione integrata delle zone costiere in Italia: prospettive e prime esperienze. Il saggio è dedicato alla tematica della gestione integrata delle zone costiere (GIZC) e prende le mosse dal dato normativo (il Protocollo di Madrid ne costituisce la fonte di riferimento), per giungere, attraverso l’esame delle sperimentazioni condotte in Italia, all’affermazione della natura di piattaforma multifunzionale propria del territorio costiero, in quanto bene ambientale insuscettibile di essere sottratto alla fruizione collettiva e sul quale ricadono una molteplicità di interessi diversificati. La tematica si iscrive dunque nel più ampio contesto della ricerca di modelli di decisione collettiva rispetto ad attività antropiche che si esplicano su risorse naturali a sfruttamento necessario. Tale caratterizzazione spiega in parte l’inadeguatezza dei tradizionali modelli di azione amministrativa, a cui l’Autore ritiene preferibili modelli con carattere ordinatore, e andamento circolare, adattativo e partecipativo. La panoramica si conclude infine con l’esame di due esperienze di gestione integrata delle zone costiere della Sardegna e della Puglia. --------------------------------------------------------------------------------------------------The essay analyses the integrated coastal management topic. After analyzing the legal framework (especially the Madrid Protocol), and the experimentations done in Italy concerning this new kind of coastal management, the Author indicates the multifunctional character of coastal territories. This topic lays under a larger framework: the search of collective decisional models on human activities that involve essential natural resources. Such nature explains the unsuitability of traditional models of administrative activity. The Author seems to prefer a new circular, adaptative and shared model. Lastly the paper examines the cases of Puglia and Sardegna. 78 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 SILVIA SALARDI* Sustainable development: Definitions and Models of legal regulation. Some legal-theoretical outlines on the role of law. Sommario: 1. Introduction. 2. Scientific definitions of sustainable development. 3. Law and the balance of interests. 4. Sustainable Development as a meta-principle and the role of the Integration Principle. 5. Models of legal regulation. 6. Conclusions and outlook. 1. Introduction. Sustainable development is a fascinating yet controversial concept. Especially, the legal debate on this topic has been very heated from its beginning. Nowadays, the issue concerning how to define legally sustainable development is still an open question despite important efforts made in recently to move on and define the concept 1. * PhD, University of Milano-Bicocca, Italy. 1 R.W. KATES, T.M PARRIS, A. LEISERWOTIZ, What is sustainable development? Goals, indicators, values and practice, in Environment Science and Policy for Sustainable Development, 47 (3), 2005, pp. 8-21. See also: M.C. CORDONIER SEGGER, A. KHALFAN, Sustainable Development Law. Principles, Practices and Prospects, Oxford University Press, Oxford, 2004; M.C. CORDONIER SEGGER, Significant developments in sustainable development law and governance: A proposal, in Natural Resources Forum 28, 2004, pp. 61-74; cfr. P. SANDS, Principles of International Environmental Law, Cambridge University Press, 2005; A.E. BOYLE, Some reflections on the relationship of treaties and soft law, in International and Comparative Law Quarterly, 48, 1999, pp. 901-913; P. BIRNIE, A. BOYLE, International Law and the Environment, Oxford University Press, 2002; D. FRENCH, International law and policy of sustainable development, Juris Publishing, Manchester University Press, 2002; cfr. H. KELLER, C. VON ARB, Nachhaltige Entwicklung im Völkerrecht: Begriff-Ursprung-Qualifikation, in URP 5, 2006; S. ATAPATTU, Emerging Principles of International Environmental Law, Transnational Publishers, Ardsley, NY, 2006; P. FOIS (a cura di) Il Principio dello Sviluppo sostenibile nel Diritto Internazionale ed Europeo dell’ambiente, Napoli, Editoriale Scientifica, 2006; F. FRACCHIA, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, Napoli, Editoriale Scientifica, 2010; F. FRACCHIA, Sviluppo sostenibile e diritti delle generazioni future, in questa Rivista, 2010, pp.13-42. 77 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 There are definitions of sustainable development in legal texts of a different nature. But these definitions are often too vague2, too long and not functional. Since 1992 all the attempts to define sustainable development as a principle in its own right have failed. In fact, the aspect on which the doctrine agrees is the lack of a universally accepted legal definition 3. A collective approach to the term seems to be the trend followed by the international doctrine today. According to this idea, sustainable development is composed of various principles and rules which can be found in international agreements as well as in other legal sources. Effective implementation of sustainable development is achieved through the implementation of these single normative provisions. To overcome the problems related to a legal definition of sustainable development, it has been suggested that «a point has been reached in the debate (on sustainability) where the discussion can no longer simply be restricted to the concept’s meaning -though that remains important- but must now be more actively focused upon how sustainable development is to be implemented in practical terms» 4. There is a certain truth in this statement, at least from a pragmatic point of view. Nevertheless, it must be recognized that the importance of adequate definitions is 2 There is a definition of sustainable development in a regional agreement, 2002 Convention on Cooperation in the Protection and Sustainable Development of the Marine and Coastal Environment of the Northeast Pacific:« Sustainable development is the process of progressive change in the quality of life of human beings, which places it as the centre and primordial subjects of development, by means of economic growth with social equity and transformation of production methods and consumption patterns, sustained by the ecological balance and life support systems of the region. This process implies respect for regional, national and local ethnic and cultural diversity, and full public participation, peaceful coexistence in harmony with nature, without prejudice to and ensuring the quality of life of future generation ». 3 S. EPINEY, M. SCHEYLI, Le concept de développement durable en droit international public, SZIER 2/97, p.251. A. EPINEY, Gerechtigkeit im Umweltvölkerrecht, in Aus Politik und Zeitgeschichte 24/2007, 11, 2007. 4 D. FRENCH, op.cit.. 78 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 essential to the legal discipline. Indeed, this has been underlined for centuries5 let us think for example of the different approaches to define the concept of Law6 . Before reaching any further question of a definition of sustainable development, we should focus on the multidisciplinary character of the concept 7. Being a multidisciplinary concept means that its implementation requires co-operation of operators from different scientific fields. A given definition of sustainable development summarizing all the peculiar aspects of the different disciplines does not exist. It would make no sense to search for it. Indeed, sustainable development is not a state of things that once described remains fixed forever. It is rather a process, which needs to be adapted to the current necessities of human society. Though there is perhaps not an urgency, from a political and social point of view, for a clear definition of sustainable development, the same cannot be said for the legal field. Without a clear and precise definition of sustainable development, which states the conditions for its use, legislators will not be able to implement it correctly. Although law is not the only instrument 8 that could help to implement sustainable 5 See for example: J. BENTHAM, A Fragment of Government, Oxford, Clarendon Press, 1948, orig. 1776; J. AUSTIN, The Province of Jurisprudence Determined, Weinfeld and Nicolson, London, 1954, orig. 1832; H. KELSEN (1960), Reine Rechtslehre, Deuticke, Wien; U. SCARPELLI, La definizione nel diritto, in Diritto e analisi del linguaggio, Edizioni Comunità, Milano, 1976; R. DWORKIN, Taking Rights Seriously, Duckworth, London, 1978; U. SCARPELLI, Contributo alla semantica del linguaggio normativo, Milano, Giuffré, 1985; H.L.A. HART, Il Concetto di Diritto, Torino, Einaudi, 1998; W. OTT, Der Rechtspositivismus kritische Würdigung auf der Grundlage eines juristischen Pragmatismus, Berlin, Duncker & Humblot, 1992; N. BOBBIO, Il positivismo giuridico. Lezioni di filosofia del diritto, Torino, Giappichelli, 1996; T. HOBBES, Leviathan, Oxford, Oxford University Press, 1996, orig. 1651. Law as a command (JOHN AUSTIN), law as rules (HERBERT HART), law as principles (RONALD DWORKIN), law as ethics (Natural law theory) etc. 6 «Law does not exist in isolation….solutions to the environmental problems we are facing will demand equal contributions from science and politics, as well as sound economics….I am a firm believer in multilateralism», E. DOWDESWELL, Sustainable Development: The Contribution of International Law, in Sustainable Development and International Law, Norwell, W. Lang, Kluwer Academic Publishers Group, 1995; See also S. SALARDI, W. ZIMMERMANN, Sustainability: from political and moral declarations to legally binding rules. A comparative analysis of three European countries (Switzerland, Germany, Italy), in the conference proceedings of the International Sustainability Conference (ISC05) entitled Strategies for a sustainable society, October 2005, Basel, 2005. The necessity of a co-operation among different disciplines is also underlined by A. LANZA, Lo sviluppo sostenibile, Bologna, Il Mulino, 2002; F. FRACCHIA, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, op.cit.. 7 E. DOWDESWELL (1995), Sustainable Development: The Contribution of International Law, in Sustainable Development and International Law, Norwell, W. Lang, Norwell, Kluwer Academic Publishers Group; D. FRENCH, op.cit.. 8 79 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 development, it surely represents an essential tool in the path towards sustainability for at least two reasons: First, it is able to create effective obligations on States and other actors with an essential role in the promotion of sustainable development. Second, and most interesting, it is the role that law can play as a framework for the balance of interests. In this paper the attention will be focused first of all on the definitions of sustainable development in different scientific fields, namely in natural and social sciences. The paper can be effectively divided into two parts. In the first part the aim will be to find out what these definitions have in common, and to identify the adequate tool to balance all the peculiar aspects emerging from the different disciplines. It will be suggested that law can properly serve this purpose 9. Starting from this last suggestion, the second part of the paper deals with the current legal status of sustainable development, in particular with the aim to answer the following questions: • What is sustainable development from a legal viewpoint? • What is its relationship with the integration principle? • What kind of legal approach to sustainable development is most opportune? • Rigid or flexible models of legal regulations? This paper does not claim to provide a complete overview of all the issues concerning sustainable development. The main aim is to provide a framework for the discussion of the still open perplexities, which surround the concept of sustainable development, and to clarify some theoretical aspects10 , in order to show the main elements that could lead to a balanced approach to the theory of sustainable development. 2. Scientific definitions of sustainable development. This paragraph goes through the most interesting definitions of sustainability in natural and social sciences to find out how law can contribute to the implementation of sustainable development. Sustainable development or sustainability (used in this paper 9 The role of law in international environmental protection is well described in P. BIRNIE, A. BOYLE, International law and the environment, Oxford, Oxford University Press, 2002. 10 The methodological background is represented by the analytic philosophy as developed in the USA, Great Britain and Italy with particular focus on the most important authors. 80 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 interchangeably as in Agenda 21 11) originated in the context of the natural sciences. That is why the definitions in natural sciences are analysed first. Sustainable development originated in the forestry field (1712)12, and was used later in the expression ‘sustained yield field’, which means «the amount of a resource that can be harvested without reducing its long-term stock»13. In the forest sector sustainability refers to «the maintenance of the potential for our forest and associated aquatic ecosystems to produce the same quantity and quality of goods and services in perpetuity» 14. The ecological definition of sustainability «basically implies the preservation of biodiversity at a sustainable level… sustainability does not necessarily imply maintaining some static natural state, but rather maintaining the resilience and capacity of the ecosystem to adapt to change… The ecological view of sustainability focuses on the stability of the biophysical system. Of particular importance is the viability of subsystems (species, biotic components) that are critical to the global stability of the 11 Agenda 21 is a plan of action elaborated in Rio 1992 at the United Nations Conference on Environment and Development. The decision of using the two concepts interchangeably is due to the fact that the arguments generally used to distinguish between sustainability and sustainable development do not seem very convincing. See for example B. RICHARDSON, S. WOOD, Environmental law for sustainability. A reader, Oxford and Portland, Oregon, Hart Publishing, 2006; “As Dovers and Connor point out… ‘sustainability’ is a higher-order social goal or a fundamental property of natural or human systems, whereas ‘sustainable development’ is the variable (and we would add contestable) policy manifestation of society’s attempts to address that goal and enhance that property”. Another possible distinction between the two is based on the consideration that sustainable development gives priority to development, while sustainability is primarily about environment. T. O’Riordan (2002), Biodiversity, sustainability and human communities protecting beyond the protected, Cambridge, Cambridge University Press. From a legal viewpoint, if we want to make a useful distinction, we should decide which of the two terms should be used in the legal field, and then identify important peculiarities to distinguish the selected one from the other one. I do not think that at the moment this kind of diversification would bring an important turning in the legal theory of sustainable development, that is why I do not try this distinction. 12 A. Di Giulio (2004), Die Idee der Nachhaltigkeit im Verständnis der Vereinten Nationen. Anspruch, Bedeutung and Schwierigkeiten, Münster: Lit. A. Bernasconi (1996) Von der Nachhaltigkeit zu nachhaltigen Systemen forstliche Planung als Grundlage nachhaltiger Waldbewirtschaftung, Zürich, Schweizerischer Forstverein. H. Schanz (1996), Forstliche Nachhaltigkeit sozialwissenschaftliche Analyse der Begriffsinhalte und- funktionen. Freiburg, Institut für Forstökonomie Alber-Ludwigs-Universität Freiburg. D. Wachter (2006), Nachhaltige Entwicklung. Das Konzept und seine Umsetzung in der Schweiz, Zürich/Chur, Rüegger Verlag. 13 M. Munasinghe (1995), Defining and measuring sustainability the biogeophysical foundations, Washington DC, The World Bank. Note that the Mountain Forest Protocol for the implementation of the Alpine Convention states in the Preamble the idea of sustainability used in forestry. 14 M. Munasinghe (1995), op.cit. 81 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 overall ecosystem. Protection of biological diversity is a key aspect»15. These ecological definitions state the roots of the biological concepts of sustainability. According to this approach «ecosystem sustainability is defined in terms of stability in the numbers and amounts of species present, and their resilience to natural and manmade perturbations»16. From a biophysical perspective sustainability is «linked to the idea that the dynamic processes of the natural environment can become unstable as a result of stresses imposed by human activity…Sustainability…refers to maintaining a system’s stability, which implies limiting the stress to sustainable levels on ecosystems that are central to the stability of the global system»17. Obviously, all these definitions are quite different from one another. Nevertheless, a common aspect can be identified: Namely, the idea of ‘maintaining something’. This aspect, which was already present in the definition given in the forestry sector, represents the key and common element. What should be maintained changes then according to the particular discipline: It can be the resilience and the capacity of ecosystems to adapt or the system’s stability and the same quantity and quality of goods and services in perpetuity, etc. Sustainability has also been defined in social sciences, in particular in economics, in politics and in law. In these contexts, definitions also vary a lot from discipline to discipline. But the idea of preserving and maintaining ‘something’ (which, in a very wide sense, are the natural resources) can be seen as the unifying element. Starting with economics, the general definition of sustainability implies «that the resource base infinitely provides an annual flow of benefits having the same value in real terms» Indeed, «sustainability refers to the phenomenon of being able to maintain resources or assets forever»18. In 1994 the World Bank elaborated the capital stock model which complements the three pillars model (according to which sustainable development means the integration of economic, social and environmental aspects into all sector policies, with all aspects having equal weight). This model identifies three types of capital stock 15 M. Munasinghe (1995), op.cit. J. A Souder, S. Fairfax, L. Ruth (1998), Sustainable Resources Management and State School Lands: The Quest of Guiding Principles, in Natural Resources Journal, 34, pp. 271-304. 16 17 M. Munasinghe (1995), op.cit. 18 K. P. Rao (2002), International environmental law and economics , Oxford, Blackwell Publishers. 82 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 which summed up give sustainability (Ksd= K env + K econ + K soc)19. «According to this view, the Earth’s “capital” should not simply be consumed but needs to be constantly renewed. Sustainability is achieved when it is possible to live off the interest rather than on the capital»20. This model can be refined by adding the two notions of weak and strong sustainability21. Weak sustainability (WS) «is built on the assumption of unlimited substitutability of natural capital» 22. «Resource use by previous generations should not exceed a level that would prevent subsequent generations from achieving a level of well-being at least as great»23. Instead, strong sustainability (SS) «regards natural capital as fundamentally nonsubstitutable through other forms of capital”24, this definition “places special emphasis on preserving natural (as opposed to total) capital under the assumption that natural and physical capital offers limited substitution possibilities» 25. A third alternative definition of sustainable locations is the ‘environmental sustainability’. According to this approach «the physical flows of individual resources should be maintained, not merely the value of the aggregate. For fishery…this 19 ARE, Federal Office for Spatial Plannng (2005), Sustainable development-definition and constitutional status in Switzerland. D. Giardi, V. Trapanesi (2006), Uomo Ambiente Sviluppo, Roma, Geva edizioni. 20 ARE, Federal Office for Spatiala Planning (2005), op.cit. Different impacts of the two notions of sustainability on institutions and policy are highlighted in B. Richardson, S. Wood (2006), op.cit. 21 22E. Neumayer (2003), Weak versus strong sustainability. Exploring the limits of two opposing paradigms, Cheltenham, Eward Elgar. See also P. Ekins, S. Simon, L. Deutsch, C. Folke, R. De Groot (2003), A framework for the practical application of the concepts of critical natural capital and strong sustainability, in Ecological Economics, 44, pp. 165-185. G. Atkinson, R. Dubourg, K. Hamilton, M. Munasinghe, D. Pearce, C. Young (1997), Measuring Sustainable Development, macroeconomics and the Environment, Cheltenham: Uk-Lyme, US, Edward Elgar. T. Tietenberg (2003), Environmental and natural resource economics, Boston, Addison Wesley. D. Giardi, V. Trapanesi (2006), op.cit. 23 24 E. Neumayer (2003), op.cit. 25 G. Atkinson, R. Dubourg, K. Hamilton, M. Munasinghe, D. Pearce, C. Young (1997), op.cit. K.P. Dolde, Gesellschaft für Umweltrecht (Deutschland) (2001), Umweltrecht im Wandel Bilanz und Perspektiven aus Anlass des 25-jährigen Bestehens der Gesellschaft für Umweltrecht, Berlin, Erich Schmidt. T. Tietenberg (2003), op.cit. 83 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 definition would emphasize maintaining a constant fish catch (referred to as a sustainable yield), rather than a constant value of the fishery. For a wetland, it would involve preserving specific ecological functions, not merely its value»26. Closely connected to economic sustainability is social sustainability (here just mentioned for the sake of completeness), which adds to the first «consideration of the beneficiaries and consequences of economic activity»27. From this viewpoint, the attempt is to maintain the stability of social and cultural systems28. Key aspects of this approach are the intra- and intergenerational equity 29. From a political perspective30, the milestone of all definitions is contained in the Brundtland Report, which states the most quoted definition of sustainable development: «Humanity has the ability to make development sustainable – to ensure that it meets the needs of the present without compromising the ability of future generations to meet their own needs» 31. The political trend of the last years shows a preference for a more comprehensive idea of sustainable development embracing at least three aspects, termed ‘pillars’: Environment, economy and society. In the documents following up the Rio Summit, this trend is particularly evident, although there is no direct mention of the three pillars model (Agenda 21, Rio Declaration etc.). Explicit mention is made some years later in 2002 Plan of Implementation, elaborated at the Johannesburg 26 T. Tietenberg (2003), op.cit. 27 J. A Souder, S. Fairfax, L. Ruth (1998), op.cit. 28 M. Munasinghe, Mohan (1995), op.cit. 29 A. Lanza (2002), op.cit. Intra-generational equity means equal access to the resources (not only the environmental ones) for all the citizens of the world, without any kind of distinction. Inter-generational equity means equal opportunity among future generations. 30 Sustainability as a political concept see for example W. Lang, H. Hohmann, A. Epiney (1999), Das Konzept der Nachhaltigen Entwicklung völker- und europarechtliche Aspekte, Bern, Stämpfli- Schulthess. 31 WCED (1987), Our Common Future, Oxford, University Press. 84 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Summit 32, and in the Johannesburg Declaration on Sustainable Development 33. The Summit also proposed the Decade of Education for Sustainable Development (ESD). And the United Nations Assembly in its 57th Session in December 2002 proclaimed the Decade of Education for Sustainable Development for the period of 2005-2014. ESD also refers to the three pillars of sustainability including economic, social and environmental dimensions (Education for Sustainable Development). But what about the legal science? What is the relationship of law with sustainable development? Curiously, the legal field is the one where it has been difficult 34, and still is, to find a widely accepted definition of sustainable development. At the international and the European level there are many acts (soft and hard law) which mention the concept 35, but a proper definition is hard to find. At the national level, there are constitutional provisions concerning sustainability in different 32 The Plan of Implementation of the World Summit on Sustainable Development, Johannesburg 2002, under the section concerning ‘Objectives’ states at Article 139. Measures to strengthen institutional arrangements on sustainable development, at all levels, should be taken within the framework of Agenda 21, 45 build on developments since the United Nations Conference on Environment and Development and lead to the achievement of, inter alia, the following objectives: (a) Strengthening commitments to sustainable development; (b) Integration of the economic, social and environmental dimensions of sustainable development in a balanced manner. This last statement refers to the three pillars conception of sustainable development. 33 The Johannesburg Declaration on Sustainable Development states: 5. Accordingly, we assume a collective responsibility to advance and strengthen the interdependent and mutually reinforcing pillars of sustainable development — economic development, social development and environmental protection — at the local, national, regional and global levels. G. Handl (1995), Sustainable Development: General Rules versus Specific Obligations. Sustainable Development and International Law , Norwell, W. Lang, Kluwer Academic Publishers Group. 34 35 There are legally non-binding documents prior to 1992, which mention the concept: 1989 Declaration of the G7 Paris Economic Summit, 1989 Hague Declaration on the Environment, 1990 Langkawi Commonwealth Declaration, 1990 Bergen Declaration of the UN Economic Commission for Europe, 1991 Beijing Declaration of Developing Countries. All the documents as follow-up to the Rio Summit 1992 (Rio Declaration, Un Framework Convention on Climate Change, Agenda 21, Convention on biological diversity, The Statement of Principles for the Sustainable Management of Forests). At the European level, sustainable development is mentioned in different acts, such as the Environment Action Programmes, in the Charter of Fundamental Rights, in the EU Treaties, just to mention a few. 85 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 countries36, but a clear definition is also hard to find. However, despite the conceptual uncertainties surrounding the legal dimension of the concept, it can be stated that there is a normative trend moving towards the multi-pillars model37 (at least three pillars), and that in the last years sustainable development has also gained the title of a procedural principle with a widely recognized potential influence on the litigations38. Why has there been so little and slow progress in the legal field with regard to sustainable development? One general reason for this delay regards the relationship of law with society. Indeed, it rarely happens that law anticipates society with its regulations. Law usually regulates situations tha already exist in society, and in this sense there is a ‘chronic delay’ in the legal approach to societal questions. With regard to sustainable development, however, this is not the main reason for the lack of a definition. Indeed, environmental problems have been on the political agenda since at least 1972 and sustainable development since 1987. Therefore, the essential reason for this critical situation is the lack of political will. Symptomatic of this condition is «the inadequacy of international law and the lack of appropriate institutional structures» 39. For years the legal path to sustainability was mainly based on international 36 The Charter for the Environment in the French Constitution; in the Swiss Constitution provisions on sustainable development are present in the Preamble, under the General Provisions in Article 2 (Purpose), under Environment and Zoning in Article 73 (Sustainable development), under Relations with foreign countries in Article 54 (Foreign Relations). In Germany Article 20a of the Constitution (Protection of the natural bases of life) has been interpreted in the sense that sustainable development is formally anchored as a general policy objective to be addressed by all parts of government, although there is no explicit mention of the term itself. In the Swedish Constitution Article 2, under the Chapter concerning the Basic principles of the form of government states: The public institutions shall promote sustainable development leading to a good environment for present and future generations. Explicit mention of the concept is also made in Article 66 of the Constitution of the Portuguese Republic, under the Title Environment and Quality of life. 37 S. Salardi, W. Zimmermann (2005), op.cit. V. Lowe (1999), Sustainable Developments and unsustainable arguments. International Law and sustainable development, Oxford, Oxford University Press. P. Birnie, A. Boyle (2002), op.cit. D. Wilkinson (2002), Environment and law, London, Routledge. D. French (2005), op.cit. For a summary of the different positions see S. Salardi, Il diritto internazionale in materia di sviluppo sostenibile. Quali progressi dopo Rio?, Rivista Giuridica dell’Ambiente, Sezione Osservatorio Internazionale, a cura di Tullio Scovazzi, Giuffré, Milano, 3:4, pp. 657-683. 38 39 D. French (2005), op.cit. 86 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 agreements in which the concept is not mentioned as a legally-binding one40. Consequently, effective obligations for States cannot be derived from these documents, so the legal implementation is up to state good will. It has been difficult, and still is, to overcome this initial and long-lasting inertia. States fear the interference of international obligations with their sovereignty, and in the balance of economic and environmental interests, the economic ones still seem to prevail. Sustainable development requires, instead, a rethinking of the current legal methodology in dealing with environmental problems. Adopting the multi-pillars model is not without costs for States and for society in general. It requires more than the simple incorporation of environmental criteria into developmental decisions41. It demands, in fact, radical changes in institutions so that (at least) the three pillars can be treated in a balanced way42. There are many contrasting interests which hinder the promotion of this model, such as the gap between North and South, between developed and developing Countries, among economic, social and environmental interests. The lack of will persists. The essential question regards how much time is left: Once the point of no return is reached, the costs for the implementation of sustainable development in accordance with the proposed model will be much higher. 3. Law and the balance of interests. The above-mentioned scientific definitions of sustainable development show that the different disciplines share the core idea of maintaining something. What should be maintained in the last resort are always the natural resources. Where they differ is in their approach with regard to these goods. Economics seems to focus on the 40 H. Keller, C. von Arb, (2006), op.cit. 41 M. Decleris (2000), The law of sustainable development. General principles. A report produced for the European Commission, European Communities, Belgium, European Communities. S. Wood, (2006), Voluntary environmental codes and sustainability, in Environmental Law for sustainability. A reader. Portland, Hart Publishing: «Sustainability requires a massive departure from business as usual», p. 266. S. Dovers, (2006), Institutional Policy Change for Sustainability, in Environmental Law for Sustainability. A reader. «Sustainability represents a complex suite of significant problems… It will take significant time and effort to ‘get our heads round’ the problem set, especially in parts of the institutional system that have not previously thought much about interconnected environmental, social and economic phenomena. Coming to see problems in new ways and admitting new approaches to policy will involve changes in values among members of policy communities, and making policies for sustainability really work will require generalised changes in social values». See also G. Rossi (2010), L’ambiente e il diritto, in Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente, n. 0, pp. 8-12, available at http://www.rqda.eu/?p=22. 42 87 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 question of efficiency, politics on the intra- and intergenerational equity, and natural sciences on the resilience to perturbations and on the systems’stability. All these disciplines with their approaches to sustainable development should work together to give a chance to succeed to this concept. To create the conditions for a co-operation among the disciplines, which is the basis to make sustainable development succeed as a multidisciplinary concept, we need a tool capable of creating frameworks within which, on the one hand, various kinds of measures, especially incentives and disincentives, of different origins -such as economic, political, social etc.- can operate and, on the other hand, (frameworks which) permit to implement sustainable development through other regimes, such as Human Rights approaches or climate change regimes43 . I suggest that law could serve this purpose. First of all there are many examples that show how law is used to working with concepts and definitions which belong to other scientific fields, and redefining them to implement the adequate regulation 44. Second, and more interesting for our discussion, is the role that law plays in creating adequate frameworks in which different instruments or disciplines (economic, social, political, ethical etc.) can operate. Indeed, law is able to «codify values, to operationalize basic elements and to ascertain best practice»45 and of course to prescribe conducts46. 43 Indeed, the debate concerning climate change and how to combat it has highlighted that climate change is not simply an environmental problem. It involves ecological, social and economic questions, in this sense it is strictly linked with the three pillars model of sustainability. The three dimensions of sustainable development could help to tackle climate change. Indeed, it seems to exist a strict relationship between the two issues: Climate change poses for the international and national community questions of both an intergenerational and intragenerational nature, which are core aspects of the strategy of sustainable development. The principles and themes of sustainable development have been a constant source of inspiration within the climate change regime. See also A. Boyle, M. Anderson (eds), (2003), Human Rights Approaches to Environmental Protection, Oxford, Clarendon Paperbacks. An example of this exchange between law and other disciplines is represented by the requirement of mens rea for conviction in murder cases. The definition of the mental state required as an element delicti, i.e. mens rea, is borrowed from the psychiatry and clearly redefined so that it can serve the legal purposes. 44 45 D. French (2005), op.cit. 46 C. Nino (1996), Introduzione all’analisi del diritto, Torino, Giappichelli. See also H. Kelsen (1952), Lineamenti di dottrina pura del diritto, Einaudi, Torino. H.L.Hart (1968), Punishment and Responsibility, Essays in the Philosophy of Law, Clarendon Press, Oxford. N. Bobbio (1977), Dalla Struttura alla Funzione, Edizioni Comunità, Milano. U. Scarpelli (1976), La Definizione nel Diritto, op.cit. H.L.Hart (1991), Il Concetto di Diritto, op.cit. U. Scarpelli, P. Di Lucia (a cura di) (1994), Il linguaggio del diritto, Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto, Milano. 88 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 A good example for this second role is represented by the relationship between law and bioethics. This discipline tries to find rational and coherent answers - in co-operation with operators from different fields- to the problems emerging -in its broader meaning- from the interventions of human activities on the environment and -in its narrower meaningfrom the medical and the biogenetic interventions on human beings. This second meaning is the most used and known. It is with regard to the legal regulation of these bioethical issues that a long struggle took place in the past recent years, and sometimes still does (let us think of the Italian context), among those opposing legal regulation and those in favour of it. The chief argument used by opponents of legal regulation was that medicalscientific research would have suffered if constrained by legal rules. Fortunately, the trend changed. And nowadays, the relationship between bioethics and law constitutes a point in the debate that can not be omitted. However, the main question about which role law should play is still controversial. To answer this question authors47 like Herbert Hart elaborated the idea that law should not be a means to impose choices, but a protective framework in whose norms and sanctions the ethical choices of the individual can find the best guarantee of respect and implementation. Of course, bioethics and sustainable development are two different issues (I mentioned it to show what problems could arise when studying sustainable development from a legal point of view), however they share the multidisciplinarity and their conflictual relationship with law. It is for these common aspects that many considerations concerning this last point, developed in the bioethical field to argue in favour of or against the legal regulation of bioethical issues, are also useful for our remarks on sustainable development. To better clarify my considerations on this point, I will try to answer the following question: Why is law particularly suitable for creating the conditions in which interests can be balanced? First, law, intended as an institutionalized, formalized system with a coercive force, is “all-pervasive” 48 and cannot easily be avoided (unlike other methods for influencing human behaviour, such as ethics, social norms, etc.). 47 The relationship between law and morality was studied by different legal philosophical movements, i.e. the legal positivism, the legal realism, and from the Natural Law’s perspective. Herber Hart proposes the thesis of Law as a choosing system, in Punishment and Responsibility (1968), Clarendon Press. H. Kelsen (1960), op.cit. N. Bobbio (1977), Struttura e funzione nella teoria del diritto di Kelsen. Dalla Struttura alla Funzione, Milano, Edizioni Comunità. D. Wilkinson (2002), op.cit. 48 89 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Second, modern legal systems are modelled on the Rule of Law49 , which guarantees, on the one hand, the equal treatment of everyone before the law, and on the other hand, thanks to the principle of legality 50, it is able to create obligations on States to implement those principles expressed in formal legal provisions51 . Law is the only tool able to permit a fair balance of interests among so many disciplines and actors dealing with sustainable development, and the only tool that possesses the instruments (coercive measures as well as incentives) to create obligations. This supposes, of course, a teleological conception of law. According to this perspective the relevant aspects of law are the foreseeable consequences of actions and the instrumentality of principles used to justify norms and conducts of behaviour with respect to the objectives that should be achieved. There is a third reason to choose law, and that is to overcome the uncertainties that are derived from the complexities of the different scientific definitions. 49 L. Ferrajoli (1996), Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Roma-Bari, Laterza. K. Sobota (1997), Das Prinzip Rechtsstaat verfassungs- und verwaltungsrechtliche Aspekte, Tübingen, Mohr Siebeck. M.L. Esteban Fernãandez (1999), The rule of law in the European constitution, The Hague, Kluwer Law International, 221. M. Neumann (2002), The rule of law: politicizing ethics, Aldershot, Ashgate. D. Zolo (2002), Teoria e critica dello Stato di diritto, Milano, Feltrinelli; L. Ferrajoli (2001), Lo Stato di diritto tra passato e futuro, in Lo Stato di Diritto, D. Zolo a cura di, Feltrinelli, Milano. On the idea of the Rule of Law as a model, human artificial creation see T. Hobbes (1651), Leviathan and J. Locke (1689), A Letter concerning Tolerance. 50 Two meanings: Mere legality means that “all governmental activity takes place within the limits set by correctly adopted legislation, which includes the legal norms of all ranks (constitution, law, ordinance)”. Strict legality: the public authorities are law governed with regard also to the contents of their actions. L. Ferrajoli (1997), op.cit. For the historical development of the concept see for example S. E. Finer (1997), The history of government from the earliest times, Oxford, Oxford University Press. 51 In the Rule of Law with a rigid Constitution, besides the original principles and values stated in the early stage of Constitutionalism, actual values and interests have been added. Among these newly introduced interests and values there is no fixed hierarchy, being their weight constantly subject to balance according to different social, political needs. Massimo Severo Giannini proposed in the field of Administrative Law the idea of a comparative balance of secondary interests with regard to a primary interest, see the quotation in F. del Giudice, L. Delpino, C. Silvestro, (2010) Diritto Amministrativo, V eds., edizioni giuridiche Simone, p. 694. See also M.S. Giannini (1939), Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, Giuffré. Albert Dicey popularized the phrase Rule of Law in his book Introduction to the study of the law of the Constitution, London: MacMillan, New York: St. Martin’s Press, 1961. 90 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Law has, in fact, the capability to guarantee a differentiated approach to environmental, social and economic issues at different levels52 : International, regional and national. Thanks to these different sources, law ensures that global problems are tackled from an international perspective, whereas regional and national law helps to preserve national or regional interests. Among the disciplines mentioned there is not such a powerful weapon to implement sustainable development as law seems to be. 4. Sustainable Development as a meta-principle and the role of the Integration Principle. Law can serve for the purpose of promoting sustainable development if the object of its study is clearly specified. Definitions of concepts are essential in legal theory. They do not need to be stipulative definitions. Explicative definitions53 of concepts are generally enough precise for legislative purposes. A clear and precise definition of sustainable development is lacking in legal theory. The legal history of the concept shows the difficulties that theorists face when dealing with sustainable development. The question ‘is sustainable development a concept, a principle or a rule?’ 54 has to do with the normativity of sustainable development. If it is a principle, it has some kind of normative value, otherwise it is legally irrelevant. The attempts to emancipate sustainable development from the political qualification to give it a legal status and to identify its legal nature were based on a judicial case decided by the International 52 The term ‘international’ in this paper is used to refer to international law, consisting «to a significant extent, of the voluntary negotiated agreements of sovereign states», D. Wilkinson (2002), op.cit. 53 Stipulative definitions give a new meaning to existing terms for the purpose of argument or introduce completely new terms as in natural sciences. Explicative definitions redifine existing vague terms, so that they can be used for legal purposes. See on this topic U. Scarpelli (1976), op.cit. 54 P. Sands (1995), International law in the Field of Sustainable Development: Emerging Legal Principles. Sustainable development and international law, Norwell, W. Lang, Kluwer Academic Publishers Group. V. Lowe (1999), op.cit. M. van Harmelen, M. van Leeuwen, T. de Vette (2005), International Law of Sustainable Development: Legal Aspects of Environmental Security on the Indonesian Island of Kalimantan, Kalimantan, Indonesia, The Hague Brussels Washington DC. 91 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Court of Justice (ICJ): Gabčikovo-Nagymaros Project (Hungary/Slovakia) 199755. Indeed, although the Case was a traditional case in many respects -it dealt with a dispute between two States with regard to the management of a common watercourseit also provided the opportunity to reflect on the legal status and nature of sustainable development 56. The heated debate concerning the legal nature and status of sustainable development, originated from that decision, has calmed down since then and, there seems to be an agreement on considering sustainable development a guiding principle with an influencing power on international litigations57 . At the national level, there are many constitutional provisions with an explicit mention of sustainable development, although it is not always clear if these provisions refer to the one pillar, two pillars or three pillars model of sustainability. Sustainable development, as mentioned in these constitutional provisions, represents a programmatic norm 58 and/or a norm which expresses the superior values of a legal system. Inserted in the Constitution it acquires formal validity and States, as direct receivers of these provisions, have to orient their action to the implementation of the principle. From a legal-theoretical viewpoint, sustainable development can be qualified as a ‘meta-principle’59. Meta-principles operate on a procedural level and not on a substantive one60. 55 «The case arose out of a 1977 Treaty in which Hungary and Czechoslovakia agreed on a joint project to build hydroelectric facilities and improve navigation and flood control on the Danube». For more details I remind to V. Lowe (1999), op.cit. See also Birnie and Boyle (2002), op.cit; or the web-page of the ICJ http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/ihs/ihsframe.htm. 56 The ICJ hold a conservative approach on the topic, but its vice-president C. Weeramantry, in his separate opinion, recognized that «there are plentiful indications...of that degree of “general recognition among states of a certain practice as obligatory“ to give the principle of sustainable development the nature of customary law», ICJ Report (1997) 7. D. French (2005), op.cit. A. Boyle (1999), International law and sustainable development past achievements and future challenges, Oxford, Oxford University Press. H. Keller, C. von Arb (2006), op.cit. 57 58 An interesting analytical classification of legal principles can be found in R. Guastini, (2005), Dalle fonti alle norme, Torino, Giappichelli. For a critical approach to the new environmental principles see S. Salardi (2009), I principi ambientali ’nel’ diritto: old wine in new bottle?, Notizie di Politeia, Rivista di etica e scelte pubbliche, n. 96/2009, pp. 53-67. 59 V. Lowe (1999), op.cit. D. Wilkinson (2002), op.cit. 60 In the field of bioethics a meta-principle is the principle of tolerance as elaborated by U. Scarpelli or the autonomy principle in Mill’s and Kant’s perspectives. 92 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 According to Lowe, sustainable development «is a meta-principle, acting upon other legal rules and principles» 61. Other principles, such as the preventive principle, the precautionary principle and the polluter pays principle are organized under this meta-principle and contribute to its implementation 62. The normative trend, from the Summit of Rio until recent times, shows that the three pillars model is preferred at the international, at the regional level (EU) and, in some cases, also at the national level63. The political and legal meaning of this model is the integration of economic, social and environmental aspects into all sector policies, with all aspects having equal weight. From a theoretical viewpoint, sustainable development is then a meta-principle whose legal definition is expressed through the multi-pillars model (at least three pillars), whereas its implementation is achieved through the integration principle64. What does this mean and what is the relationship between sustainable development and the integration principle65? Integration is not a new idea. Even prior to the 1972 Stockholm Conference it is possible to find a “linkage between conservation and development”66, indeed «at the first UN conference on conservation in 1949, and in 1971 the General Assembly expressed its convinction that ‘development plans should be compatible with a sound ecology and that adequate environmental conditions can best be ensured by the promotion of development, at both the national and international levels» 67 . 61 V. Lowe (1999), op.cit. 62 D. Wilkinson (2002), op.cit. 63 See for example Swiss Federal Council (2002), Sustainable Development Strategy, Berne, Switzerland. 64 S. Salardi (2008), Profili teorico-giuridici del principio d’integrazione come strumento d’attuazione dello sviluppo sostenibile. Nella normativa comunitaria e nazionale italiana e svizzera in materia di risorse idriche, biologiche e forestali, Il Diritto dell’Economia, Mucchi-editore, 3:4, pp. 662-690. 65 See, for instance, as an attempt to answer the same question F. Fracchia (2010), Sviluppo sostenibile e diritti delle generazioni future, in Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente, n. 0, pp.13-42, available at http://www.rqda.eu/?p=22. See also M. Renna (2009), Ambiente e Territorio nell’Ordinamento Europeo, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, n. 3-4, pp. 649-700. 66 P. Sands, (1995), op.cit. 67 P. Sands (1995), op.cit. 93 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 The integration principle, stated for example in Article 6 of the TCE68, does not coincide in its original meaning with the three pillars model. Its meaning depends on the choosen interpretation. It could be interpreted, for example, as a simple incorporation of environmental criteria into developmental decisions. This interpretation would lead to a policy «which does not harm the environment»69. However, nowadays the integration principle does not only mean incorporation of environmental criteria in the decision-making process, but it means that “decisionmakers” should «give equal weighting»70 to the economic, environmental and social aspects71 . This conclusion can be drawn by considering that, after the Rio Summit and the Summit of Johannesburg, sustainability should be interpreted in the light of the new understanding emerging from Agenda 21, the Rio Declaration and the documents as following up to Johannesburg Summit. This is just to point out that there is a conceptual difference between sustainable development, the multi-pillars model and the principle of integration, which sometimes happens to be forgotten. From a legal viewpoint, sustainable development is then, as stated, a metaprinciple with procedural effects, and its definition is expressed through the multipillars model, whereas the integration principle is the tool for its concrete implementation. With this distinction in mind, it follows, in my opinion, that the provision concerning the integration principle in the TCE does not change the legal status of 68 «Environmental protection requirements must be integrated into the definition and implementation of the Community policies and activities… in particular with a view to promoting sustainable development». See Case C-371/98 (The Queen v. Secretary of State for the Enviroment, Transport and the Regions ex parte First Corporate Shipping, Ltd), Opinion of Advocate General Léger, March, 7th, 2000, according to whom sustainable development «emphasises the necessary balance between various interests which sometimes clash, but which must be reconciled». 69 M. Decleris (2000), op.cit. P. Dell’Anno (2004), Principi del diritto ambientale europeo e nazionale, Giuffrè, Milano. 70 D. French (2005), op.cit. 71 Of this idea for instance P.A. Pillitu (2006), Il principio dello sviluppo sostenibile nel diritto ambientale del’Unione europea, in Il Principio dello Sviluppo Sostenibile nel Diritto Internazionale ed Europeo dell’Ambiente, P. Fois a cura di, p. 241; S. Salardi (2008), op.cit. See on the European level, for instance, Article 37 of the Charter of Fundamental Rights of the European Union, which states: «A high level of environmental protection and the improvement of the quality of the environment must be integrated into the policies of the Union and ensured in accordance with the principle of sustainable development». 94 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 sustainable development, i.e. from a principle to a rule72 as it has been stated: «The fundamental rule of sustainability was proclaimed globally as ‘soft’ law, but for the countries of the European Union it has become a legal rule by virtue of the Maastricht and Amsterdam Treaties» 73. These two things are not conceptually the same. Indeed, the questions are: Does sustainable development need to become a rule? Can its characteristic of multidisciplinary concept better be expressed through a principle than through a rule? The great advantage of principles is their flexibility74, because they can adapt better to changing situations: «The criticism that principles are vague and indeterminate misses the point that principles are, by definition, general guides to action: they do not, and are not intended to, provide specific rules of behaviour or precise technical standards» 75. 72 Differences between principles and rules have been studied for example by R. Dworkin (1978), op.cit. Alder, John, D. Wilkinson, I. Cheyne (1999), Environmental law and ethics, Houndmills, Macmillan. 73 M. Decleris (2000), op.cit. 74 See in general on the historical debate on principles and rules N. Bobbio (1972), Contributi ad un dizionario giuridico, Giappichelli, Torino, pp. 257 ss. V. Giordano (2004), Il positivismo e la sfida dei principi, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli. A. Sciumé (1998), Principi generali del diritto. Itinerari storici di una formula, Giappichelli, Torino, p. 12. See also U. Scarpelli (1987), Dalla legge al codice, dal codice ai principi, in Rivista di Filosofia, LXXVIII:1, pp. 3-15. G. Limone (2006), Lo Statuto teorico dei principi fra norme e valori, in La forza normativa dei principi. Il contributo del diritto ambientale alla teoria generale, CEDAM, pp. 45 ss. On the difficulty about distinguishing moral and legal principles B. Celano (2006), Principi, regole, autorità, in Eur. e dir. priv., 3, pp. 1061-1086. See also R. Ago (1957), Positive Law and International Law, in The American Journal of International law, 51:4, pp. 691-733. Cfr. anche R.B. Schlesinger (1957), Research on the General Principles of Law Recognized by Civilized Nationas, in The American Journal of International Law, 51:4, pp. 734-753. Per un commento alla disputa tra Hart e Dworkin in merito alla necessità di distinguere o meno tra norme e principi, cfr. J. Raz (1972), Legal Principles and the Limits of Law, in The Yale Law Journal Company Inc., 81:5, pp. 823-854. Nel contesto nazionale E. Betti (1971), Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Giuffré, Milano, p. 312. La questione della natura-struttura e del ruolo dei principi generali del diritto, in particolare nel diritto internazionale, sono trattati ad esempio da A. Verdross (1950), Völkerrecht, Springer Verlag, Wien, pp. 113 ss. G. Balladore Pallieri (1962), Diritto internazionale pubblico, Giuffré, pp. 93 ss. B. Cheng (1993), General principles of law: as applied by International Courts and tribunals, Cambridge University Press, Cambridge; P. Sands (1995), Principles of international environmental law, Manchester University Press, Manchester. N. De Sadeleer (2002), Environmental Principles, from political slogans to legal rules, Oxford University Press. S. Salardi (2009), op.cit. 75 D. Wilkinson (2002), op.cit. 95 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 If law should serve the purpose of creating a framework in which all interests should be considered, the legal definition of sustainable development should not be too narrow. And the legal status and nature of such a concept should be the one that guarantees a certain flexibility. In this way, sustainable development, as a guiding principle, ensures that this aim is achieved. 5. Models of legal regulation. For a long time the debate concerning sustainable development was essentially political with little or no interest for the legal issues on this topic. The legal context was intentionally left out of the discussion for a long time76. This is due to different reasons: On the one hand, the States feared the obligations, which derived from legal rules, especially those imposed by international law limiting their national sovereignty. On the other hand, the fact that sustainable development is not ‘properly’ a legal issue has contributed to the idea that there is no need for legal regulation. Moreover, opponents (especially from economic science) of the legal regulation argued that Law is a rigid system incapable of adapting fast to the various and unpredictable needs of society. In recent years, however, this debate on the legal regulation of sustainable development seems to have smoothed over. Two main considerations can be useful to explain this change: On the one hand, the awareness that States are not willing to intervene for the conservation of natural resources as it would be necessary, if not obliged to. So the absence of a proper legallybinding obligation, and in particular of effective sanctions, represents a significant gap in the path towards sustainability. On the other hand, without a legal regulation, committed especially, but not only, to the legislative instrument, there is the risk that the roles and the liabilities of the subjects involved in the implementation of sustainable development will not be clearly identified. This would be committed as a last resort to the logic of profit and power. For these reasons it can be stated that scepticism about creating a legal framework to implement sustainable development has been to a great extent overcome. Therefore, the step forward is to identify the most suitable legal regulation for the topic of sustainable development. This is, in my opinion, an important issue, on which the Italian legislator should focus, when dealing with legal provisions in the environmental field. Indeed, in Italy, 76 It took 14 years (from 1992 to 2006) to codify the principle of sustainable development in Italy ’Decreto legislativo’ n. 152/2006, termed Environmental Code. 96 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 environmental law is not at all ‘simple’ and ‘clear’, as auspicated by Cesare Beccaria77, being, instead, carachterized by what has been termed “legislazione alluvionale” (massive hypertrophy of norms). Hence, I will take into account two variants of legal regulation and then show the preference for one of these two. A first possibility is a legal regulation promulgated by a “strong and governing” 78 State able to «undertake the responsibility to steer society towards the ideal of sustainable development»79. In this view, the State should undergo changes in structure and operation, in which «the most important change is to abandon the evaluative neutrality of the former liberal State…The sustainable State has an ideology and a mission: to bring about sustainable development. Consequently, it is the guarantor of a certain public morality, thanks to which it has the authority to lead and control markets» 80. This proposal is based on a particular model of law: i.e., law as a tool to impose certain ethical values. In this sense, law coincides with a given ethical perspective like in the tradition of Natural Law81 . However, it has been stated in the previous paragraphs that law is a good tool for creating the frameworks in which different ethical perspectives and disciplines can operate with the guarantee of finding an adequate balance of their interests. Therefore, a ‘strong’ interference of law in regulating all the issues concerning sustainable development could turn out to be counterproductive as it could have the negative effect of creating obstacles to some activities82 . 77 C. Beccaria (1973), Dei Delitti e delle Pene, a cura di G.D. Pisapia, Giuffré, Milano. 78 M. Decleris (2000), op.cit. 79 M. Decleris (2000), op.cit. 80 M. Decleris (2000), op.cit. 81 According to this theory “there is some degree of necessary connection between law and morality… Natural law is the idea that law must have a certain reasonable moral content in order to be called law at all”, D. Wilkinson (2002), op.cit 82 C. Abbot (2006), Environmental Command Regulation, in Environmental Law for sustainability. A reader. Starting from the distinction among three different ideal types of law, namely ‘substantive law’, ‘formal law’, ‘reflexive law’, the author shows the success and failure of the ‘strict’ command and control technique and the shift to more flexible regulatory system. The ‘strict’ command and control technique does not seem to be «effective in dealing with matters such as diffuse air and water pollution from agriculture and air pollution from vehicles. Moreover, newly emerging environmental problems including climate change and indoor air pollution are ill-suited to command systems». 97 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 That is why we should distrust this model and look for a different one. The model I propose can be described with the help of the following adjectives: ‘flexible’, ‘light’, ‘open’, ‘sober’ and ‘compatible’83. A legal regulation is ‘flexible’, if it does not fix rules that pretend to last forever, but it can adapt to the evolution of different needs, for example new scientific discoveries. A ‘light’ regulation is composed of not too many rules, which deal with the procedural and technical aspects without imposing a particular viewpoint (ethical, political, social or economic). Besides these two aspects the model should be ‘open’, that is to say it should not prefer one point of view, but permit the confrontation among different positions (environmental, social, economic). ‘Sober’ indicates a regulation able to integrate the legal tools with other extralegal instruments, such as, for example, the voluntary environmental codes84 , the economic and social evaluations and so on. Last but not least, this legal regulation should be based on the “rule of compatibility” 85 among different values and not on the “rule of preponderance”86 of one value. These two rules remind us, in a concise way, of the historical problem regarding the role attributed to law: Law as a tool to impose choices and determined moral values vs. Law as a choosing system which permits «to predict and plan the future course of our lives within the coercive framework of the law» 87. A legal regulation characterized by the above- identified elements will be able to represent the adequate framework for the balance of the interests involved in the discussion on sustainable development. 6. Conclusions and outlook. 83 I have borrowed this terminology from the bioethical debate on the role of law: P. Borsellino (1999), Bioetica tra autonomia e diritto, Milano, Zadig. S. Wood (2006), op.cit. It will take different kinds of knowledge, different kinds of institutions, different kinds of collaboration, different kinds of voluntary codes and new kinds of law to meet this bigger challange“, p. 276. 84 85 P. Borsellino (1999), op.cit. 86 P. Borsellino (1999), op.cit. 87 H. L.A. Hart (1992), Punishment and responsibility. Essays in the philosophy of law, Oxford, Oxford University Press . 98 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Sustainable development is a concept full of ethical implications arising from different disciplines (natural sciences, economics, politics, law etc.) which all contribute to its implementation. As sustainable development is a progressive process rather than a static one, to be comprehensive its implementation requires, on the one hand, the contribution of all the instruments and knowledge provided by challenged disciplines. On the other hand, to be effective this implementation should take place in a coordinated way, i.e. within a legal adequate framework. Sustainable development poses a very specific challenge to public decision-makers: To balance the economic, environmental and social aspects in an equal way. Making this choice (multi-pillars model) necessitates decisions concerning how to protect natural resources and how much freedom has to be left to economic activities, as well as how to create the adequate balance of conflicting interests. Beyond the minimum necessary to sustain natural resources in their physical existence, implementing sustainable development involves mediating conflicting visions of what is value in human life. For this reason, I think that all the debate regarding sustainable development should be based both on the ethics of responsibility (which involves the model of law as a choosing system), and on the ethics of solidarity, being sustainable development a universal common concern. 99 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 ABSTRACT Silvia Salardi - Sustainable development: Definitions and Models of legal regulation. Some legal-theoretical outlines on the role of law Lo sviluppo sostenibile è un concetto affascinante e controverso. In particolare, il dibattito giuridico su questo tema è stato molto controverso fin dal suo inizio. Come concetto multidisciplinare lo sviluppo sostenibile può trovare una completa implementazione se le differenti discipline cooperano tra loro. La legge può servire adeguatamente allo scopo di creare un quadro per l’equilibrio dei vari interessi coinvolti (economico, sociale, politico). Per questa ragione, è importante ridefinire lo sviluppo sostenibile in modo che il legislatore possa correttamente identificare il modello più adeguato di regolamentazione giuridica che possa contribuire a realizzare uno sviluppo sostenibile in un modo globale. In questo articolo si suggerisce che la regolazione giuridica potrebbe/dovrebbe essere basata su una “regola di compatibilità” tra differenti valori e non sulla “regola della preponderanza” di uno di essi. -------------------------------------------------------------------------------------------------------------Sustainable development is a fascinating yet controversial concept. In particular, the legal debate on this topic has been very heated from its beginning. As a multidisciplinary concept sustainable development can find a complete implementation if different disciplines co-operate. Law can properly serve for the purpose of creating a framework for the balance of the different involved interests (economic, social, political). For this reason, it is important to redefine sustainable development so that legislators can successfully identify the most adequate model of legal regulation which can best help to implement sustainable development in a comprehensive way. In this paper, it is suggested that the legal regulation could/should be based on the “rule of compatibility” among different values and not on the “rule of preponderance” of one value. 100 NOTE A SENTENZA RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Corte Cost., 22 dicembre 2010, n. 366 Segue nota di Antonio Colavecchio Il “punto” sulla giurisprudenza costituzionale in tema di impianti da fonti rinnovabili. Il testo della sentenza: Ritenuto in fatto 1.1. – Nel corso di giudizio di impugnazione da parte di C.G. di alcuni provvedimenti amministrativi con cui il Comune di B. ha vietato l’inizio dei lavori per la realizzazione di un impianto eolico per la produzione di energia elettrica, di potenza pari ad 1 MW, per il quale la C. aveva inoltrato una denuncia di inizio di attività, il Tribunale amministrativo regionale della Puglia, con ordinanza del 24 settembre 2009 (reg. ord. n. 5 del 2010), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 27 della legge Regione Puglia 19 febbraio 2008, n. 1 (Disposizioni integrative e modifiche della legge regionale 31 dicembre 2007, n. 40 – Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2008 e bilancio pluriennale 2008-2010 della Regione Puglia e prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2008), per violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione. 1.2. – Il rimettente riepiloga le disposizioni vigenti in materia di autorizzazione alla realizzazione di impianti eolici, muovendo dal decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), il cui art. 12 stabilisce, al comma 3, che la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sono soggetti ad un’autorizzazione unica rilasciata dalla Regione (o dalla Provincia delegata) nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico. Il comma 5 dell’art. 12 prevede, poi, un regime semplificato per gli impianti di minore capacità produttiva, richiamando la disciplina della denuncia di inizio attività di cui agli articoli 22 e 23 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia). La tabella allegata al d.lgs. n. 387 del 2003 fissa a 60 kW la soglia per la produzione di energia eolica in regime semplificato. Maggiori soglie di capacità di generazione e caratteristiche dei siti di installazione per i quali si procede con la disciplina semplificata della DIA possono essere individuate con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e 100 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 del mare, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. 1.3. – La Regione Puglia avrebbe, per contro, inteso accentuare la semplificazione procedurale per la realizzazione di impianti eolici aventi una ridotta capacità di generazione. Infatti, l’art. 27 della legge regionale n. 1 del 2008, applicabile ratione temporis, ha disposto che per gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, con potenza elettrica nominale fino a 1 MW e da realizzare nella Regione Puglia, fatte salve le norme in materia di valutazione di impatto ambientale e di valutazione di incidenza, si applica la disciplina della denuncia di inizio attività (DIA), di cui agli articoli 22 e 23 del d.P.R. n. 380 del 2001. La disposizione è stata abrogata dall’art. 6 della legge della Regione Puglia 21 ottobre 2008, n. 31 (Norme in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili e per la riduzione di immissioni inquinanti e in materia ambientale), che ha tuttavia transitoriamente previsto, all’art. 7, l’applicabilità della previgente disciplina alle denunce presentate fino a trenta giorni prima della sua entrata in vigore. 1.4. – Il Tar Puglia motiva la rilevanza della questione di legittimità costituzionale, rammentando che la ricorrente ha presentato in data 23 aprile 2008 al Comune di B. denuncia di inizio attività per la costruzione di un aerogeneratore di potenza pari ad l MW, avvalendosi della più favorevole previsione dell’art. 27 della legge regionale n. 1 del 2008 (che innalza appunto fino ad 1 MW la soglia massima di potenza introdotta dalla disciplina statale). Questa norma – osserva il rimettente – costituisce la fonte che avrebbe legittimato (secondo la tesi della ricorrente) l’avvio della costruzione e dell’esercizio dell’impianto sulla base di semplice asseverazione; d’altra parte, viene espressamente invocata dalla ricorrente, mediante motivi di gravame, quale parametro di verifica della legittimità degli atti adottati dal Comune di B.. Osserva il ancora il collegio rimettente che gli impianti eolici con capacità di generazione tra 60 kW e l MW risultano sottoposti dalla legge statale all’ordinario regime dell’autorizzazione unica, mentre l’art. 27 della legge regionale ne consente la realizzazione mediante DIA, con le modalità di cui agli artt. 22 e 23 del d.P.R. n. 380 del 2001. 1.5. – In ordine alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, il rimettente richiama la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 383 del 2005) che riconduce la disciplina delle procedure autorizzative in materia di energia alla «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost. (competenza concorrente), escludendo l’assimilabilità della materia dell’energia al «governo del territorio» ed alla «sicurezza ed ordine pubblico» ovvero ai «livelli essenziali delle prestazioni 101 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Rileva quindi il Tar, che la disciplina legislativa statale dei moduli di definizione del procedimento, informati alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità, esprime un principio fondamentale della materia che vincola il legislatore regionale (cfr., in questo senso, Corte cost. 27 luglio 2005, n. 336, relativa alla DIA per gli impianti di telecomunicazioni; Corte cost. 1° ottobre 2003, n. 303, relativa alla DIA edilizia). Trasponendo le riferite conclusioni alla materia degli impianti eolici, a parere del giudice a quo deve affermarsi che, sul piano costituzionale, la definizione del regime autorizzatorio per nuove attività costituisce disciplina di principio, cui le Regioni non possono liberamente derogare. Con riferimento alle soglie fissate per la DIA, se ne trarrebbe conferma dal disposto dell’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 387 del 2003, secondo il quale l’eventuale innalzamento del limite di capacità produttiva degli impianti (rispetto a quello di 60 kW fissato dalla tabella A allegata al decreto), ai fini dell’applicabilità del regime semplificato, può essere disposto solo con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del d.lgs. n. 281 del 1997. Introducendo una più elevata soglia di potenza massima (1 MW) per l’esperibilità della DIA, la norma regionale determinerebbe il duplice effetto di espandere l’area di applicazione del regime semplificato mediante DIA e di ampliare le competenze dei Comuni, in senso opposto alla scelta operata dal legislatore statale con l’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 387 del 2003, che assegna in via primaria alle Regioni o alle Province delegate il compito di autorizzare la costruzione degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. 2.1. – Sono intervenute nel giudizio costituzionale la S.S.e la S.P.O., svolgendo difese ad opponendum ai fini della dichiarazione d’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, o, in subordine, della sua infondatezza. Le due società assumono la propria legittimazione ad intervenire nel giudizio di legittimità costituzionale, stante la loro qualità di parte nel giudizio a quo, acquisita in forza dell’intervento compiuto con atto del 15 febbraio 2010, notificato in pari data alle parti costituite, a mezzo del servizio postale e depositato presso la segreteria del Tar Puglia in data 17 febbraio 2010. Aggiungono di avere un interesse qualificato alla partecipazione al giudizio, in considerazione degli effetti – rilevanti, diretti ed immediati – che l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme impugnate produrrebbe sull’attività da esse svolta su tutto il territorio regionale, avvalendosi proprio della semplificazione amministrativa e procedimentale introdotta con la norma 102 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 sospettata di illegittimità costituzionale. L’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale esporrebbe le intervenienti ad un grave pregiudizio, condizionando lo sviluppo della rete delle energie da tutte le fonti rinnovabili in tutta la Regione Puglia, ed incidendo sull’adempimento degli obblighi e sui contratti nel frattempo sottoscritti. Considerato in diritto 1.1. – Il Tar Puglia dubita della legittimità costituzionale dell’art. 27 della legge Regione Puglia 19 febbraio 2008, n. 1 (Disposizioni integrative e modifiche della legge regionale 31 dicembre 2007, n. 40 – Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2008 e bilancio pluriennale 2008-2010 della Regione Puglia e prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2008), per violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione. 1.2. – Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità degli interventi spiegati nel giudizio costituzionale da S.S.e da S.P.O. Le due società non sono titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, bensì di un interesse di mero fatto. Il giudizio a quo attiene a questioni inerenti la DIA relativa ad un impianto eolico, mentre le intervenienti dichiarano di essere operatori nel settore degli impianti fotovoltaici. Neppure può sostenersi che le suddette società siano parti nel giudizio a quo. È vero che esse sono intervenute nel giudizio amministrativo a quo, con atto notificato alle altre parti in causa il 15 febbraio 2010: tale giudizio, però, era stato dichiarato sospeso per l’incidente di costituzionalità, con la stessa ordinanza di rimessione depositata il 24 settembre 2009, sicché quell’intervento appare palesemente strumentale al proposito di far valere le proprie ragioni nel giudizio di costituzionalità. Ciò non appare possibile per un duplice ordine di considerazioni, rispettivamente attinenti al giudizio a quo ed al giudizio costituzionale. Sotto il primo profilo, può dirsi in generale che lo stato di quiescenza processuale impedisce il compimento di qualsiasi atto, salvo esigenze cautelari, che sarebbe affetto da nullità e non produttivo di effetti (Cass. n. 23836 del 2004; n. 4427 del 2004; n. 8939 del 1987). Più specificamente, riguardo al processo amministrativo, l’art. 22 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), 103 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 richiamandosi alle norme di procedura davanti al Consiglio di Stato (vedi gli artt. 38 e 39 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), concede alle parti interessate, cui la domanda di intervento sia stata notificata, la facoltà di presentare memorie, istanze e documenti: segno che sull’ammissibilità dell’intervento deve istaurarsi il contraddittorio, senza di che l’interveniente non può considerarsi parte in giudizio, abilitata a spiegare attività difensive. Sotto il secondo profilo, la giurisprudenza costituzionale ammette, nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale, l’intervento dei soggetti che sono parti in causa del giudizio a quo al momento del deposito o della lettura in dibattimento dell’ordinanza di rimessione (sentenze n. 62 del 1993 e n. 145 del 2002; ordinanza n. 251 del 2002). Ciò si evince innanzi tutto dalla lettera dell’art. 25, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), il quale attribuisce la facoltà di costituirsi dinanzi alla Corte alle parti destinatarie della notificazione dell’ordinanza di rimessione ai sensi dell’art. 23: parti che però sono soltanto quelle già costituite nel giudizio a quo. Inoltre, gli artt. 23 e 25 della stessa legge n. 87 del 1953, nonché gli artt. 2 e 3 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale – disponendo che l’ordinanza di rimessione deve essere notificata alle parti del giudizio a quo, ove non sia stata letta in dibattimento, che la regolarità della notificazione deve essere controllata dal Presidente della Corte prima di disporre la pubblicazione dell’ordinanza sulla Gazzetta Ufficiale e che dall’ultima notificazione decorre il termine (perentorio) di venti giorni per la costituzione – regolano la costituzione delle parti davanti alla Corte, e gli adempimenti connessi, in modo tale da essere applicabili alle sole parti costituite nel giudizio a quo al momento del deposito dell’ordinanza di rimessione. Il che rende manifesta la voluntas legis di attribuire soltanto alle parti già costituite nel giudizio a quo, al momento del deposito (o della lettura in dibattimento dell’ordinanza), la legittimazione a costituirsi dinanzi alla Corte costituzionale (sentenza n. 220 del 1988). 2.1. – La questione è fondata. 2.2. – L’installazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili di energia è regolata dalla norma statale di principio, nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», di competenza concorrente (sentenze n. 282 del 2009; nn. 194, 168 e 124 del 2010), di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, il quale prevede, ai commi 3 e 4, una disciplina generale caratterizzata da un procedimento che si conclude con il rilascio di una autorizzazione unica. A tale disciplina fanno eccezione determinati impianti che, se producono energia in misura inferiore a quella indicata dalla tabella allegata allo stesso d.lgs. n. 387 del 2003, sono sottoposti alla disciplina della denuncia di inizio attività (art. 12, comma 5). In particolare, la tabella distingue i suddetti impianti in base alla 104 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 tipologia di fonte che utilizzano (eolica, soglia 60 kW, solare, soglia 20 kW, etc). Sempre l’indicato art. 12, comma 5, prevede che «con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, possono essere individuate maggiori soglie di capacità di generazione e caratteristiche dei siti di installazione per i quali si procede con la medesima disciplina della denuncia di inizio attività». L’art. 27 della legge Regione Puglia n. 1 del 2008, prevede l’applicazione della disciplina della DIA agli impianti di capacità di generazione fino a 1 MW per l’energia eolica. La norma, abrogata dall’art. 6 della legge della Regione Puglia 21 ottobre 2008, n. 31 (Norme in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili e per la riduzione di immissioni inquinanti e in materia ambientale), resta applicabile – come esattamente ha osservato il rimettente – alle denunce, come quella oggetto del giudizio a quo, presentate fino a trenta giorni prima della entrata in vigore di questa (art. 7 della legge n. 31 del 2008). L’art. 3 della stessa legge regionale sopravvenuta, che analogamente prevedeva il regime semplificato della DIA per potenze elettriche nominali superiori (fino a 1 MW) a quelle previste alla tabella A allegata al d.lgs. n. 387 del 2003, è stato, d’altro canto, dichiarato illegittimo con sentenza n. 119 del 2010. L’aumento della soglia di potenza per la quale, innalzando la capacità rispetto ai limiti di cui alla tabella A allegata al d.lgs. n. 387 del 2003, la costruzione dell’impianto risulta subordinata a procedure semplificate, è stato ritenuto illegittimo, in quanto maggiori soglie di capacità di generazione e caratteristiche dei siti di installazione, per i quali si proceda con diversa disciplina, possono essere individuate solo con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata, senza che la Regione possa provvedervi autonomamente (sentenze nn. 194, 124 e 119 del 2010). Anche la norma censurata finisce per incidere sulla disciplina amministrativa di impianti, costruiti nel territorio regionale, destinati alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, per i quali l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, attesa la loro capacità di generazione superiore a determinati valori di soglia, prevede un’autorizzazione unica, mirata al vaglio dei molteplici interessi coinvolti. L’art. 27 della legge Regione Puglia 19 febbraio 2008, n. 1, va dunque dichiarato anch’esso costituzionalmente illegittimo, per l’ambito di applicabilità che ancora conserva. 105 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 La pronuncia di illegittimità deve essere limitata alla lettera b) del comma 1 dell’art. 27, che riguarda propriamente gli impianti eolici, essendo solo questa oggetto del giudizio a quo. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara inammissibili gli interventi della S.S. e della S.P.O. ; dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 27, comma 1, lettera b) della legge Regione Puglia 19 febbraio 2008, n. 1 (Disposizioni integrative e modifiche della legge regionale 31 dicembre 2007, n. 40 – Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2008 e bilancio pluriennale 2008-2010 della Regione Puglia e prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2008). Antonio Colavecchio* Il “punto” sulla giurisprudenza costituzionale in tema di impianti da fonti rinnovabili. Sommario: 1. Premessa. – 2. Le “massime” enucleabili dalla giurisprudenza costituzionale in tema di impianti da fonti rinnovabili. – 3. Alcune considerazioni finali (in prospettiva). 1. Premessa Con la sentenza n. 366 del 2010 1, la Consulta torna a sanzionare con la declaratoria di incostituzionalità norme regionali dirette ad estendere, in ** 1 Professore associato di diritto amministrativo, Università degli Studi di Foggia. Corte cost., 22 dicembre 2010, n. 366. 106 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 riferimento alle procedure per la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, l’ambito di applicabilità del regime semplificato della denuncia di inizio attività (DIA). Già in quattro precedenti occasioni2 , infatti, il giudice delle leggi aveva dichiarato costituzionalmente illegittime disposizioni regionali le quali, fissando soglie di capacità di generazione più elevate di quelle individuate a livello nazionale per il ricorso alla procedura di DIA (in luogo dell’autorizzazione unica), si ponevano in contrasto con la disciplina statale di principio nella materia, a riparto concorrente, della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», di cui all’art. 117, comma 3, Cost. Più in dettaglio, la norma statale di principio che, in quelle occasioni – come nella fattispecie in esame – risultava violata, ovvero, in altri termini, la “normaparametro interposta”, era costituita dall’art. 12, del d. lgs. n. 387 del 20033, il quale, per la costruzione e l’esercizio degli impianti da fonti rinnovabili, prevede una disciplina generale caratterizzata da un procedimento che si conclude con il rilascio di un’autorizzazione unica di competenza regionale 4 (cfr. commi 3 e 4). A tale disciplina fanno eccezione gli impianti con una capacità di generazione inferiore rispetto alle soglie indicate (tabella A, allegata al medesimo decreto legislativo), diversificate per ciascuna fonte rinnovabile5: tali tipologie di impianti sono infatti sottoposte alla disciplina della DIA, di cui agli artt. 22 e 23 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 6, da presentare al Comune competente per territorio (cfr. comma 5, art. 12 d.lgs. n. 387/2003). La possibilità di fissare maggiori soglie di capacità di generazione – oltre che caratteristiche dei siti di installazione – per le quali è applicabile la medesima disciplina della DIA è “riservata” ad una fonte normativa a competenza – si potrebbe dire – “specializzata”, individuata in un «decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, 2 V. infra. 3 Decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, «Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità». Per un esame di tale disciplina legislativa, cfr. F. NICOLETTI, Lo sviluppo e la promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili alla luce del d. lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, in Dir. ed economia, 2004, p. 367 ss., e S. FANETTI, L’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili, in B. POZZO (a cura di), Le politiche energetiche comunitarie. Un’analisi degli incentivi allo sviluppo delle fonti rinnovabili, Giuffrè, Milano, 2009, p. 157 ss. 4 … o provinciale, in caso di delega da parte della Regione. Sulle criticità che il modello dell’autorizzazione unica di cui all’art. 12, d.lgs. n. 387/2003 ha rivelato nella sua applicazione concreta, si rinvia all’attenta analisi di A. FARÌ, Il procedimento di autorizzazione per gli impianti da fonti energetiche rinnovabili. Complessità e spunti di riflessione, in Astrid-online.it. 5 … eolica, soglia 60 kW, solare, soglia 20 kW, etc. 6 D.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia». 107 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 d’intesa con la Conferenza unificata». È appena il caso di notare che tale fonte normativa è dotata di “forza delegificante”, in quanto abilitata a modificare, innalzandoli, i limiti fissati dalla tabella allegata al d.lgs. n. 387/2003, e quindi, a derogare alle previsioni contenute in un atto legislativo. Ora, nella fattispecie decisa con la sentenza in esame, la norma regionale “indubbiata”7 prevedeva l’esperibilità della DIA per gli impianti da fonte eolica con capacità di generazione fino a 1 MW, laddove, invece, la tabella allegata al d.lgs. n. 387 del 2003 fissava a 60 kW la soglia per la produzione di energia eolica in regime semplificato. Come appare evidente, la previsione regionale, innalzando fino ad 1 MW la soglia massima di potenza introdotta dalla disciplina statale, configurava una violazione dell’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 387 del 2003, il quale, come visto, consentiva che la modifica “in aumento” dei limiti individuati dall’allegata tabella A per l’accesso al procedimento di DIA potesse essere operata solo dalla suddetta fonte normativa “specializzata”. Il mero raffronto – “a colonne parallele” – tra la disciplina statale di principio e quella regionale oggetto di scrutinio, rivelando una palese incompatibilità di contenuti normativi, era dunque già di per sé sufficiente per consentire alla Corte di pronunciare l’illegittimità costituzionale della disciplina regionale stessa. Peraltro, la decisione in tal senso era resa alla Corte ancor più agevole – ove ciò potesse essere possibile – ed anzi “vincolata” dalla sua pregressa giurisprudenza in fattispecie analoghe se non identiche: come anticipato, infatti, già in quattro precedenti occasioni, la Corte aveva dichiarato l’incostituzionalità di disposizioni regionali del tipo descritto, per di più, in una di tali occasioni, promananti dalla stessa Regione “autrice” della disposizione annullata con la 7 La sentenza n. 366 del 2010 è scaturita da un giudizio incidentale di legittimità costituzionale promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, il quale, nell’ambito di un procedimento di impugnazione di provvedimenti amministrativi del Comune di Biccari (FG), inibitori dell’inizio dei lavori per la realizzazione di un impianto eolico per la produzione di energia elettrica con potenza pari ad 1 MW, fatto oggetto di DIA, aveva dubitato della costituzionalità dell’art. 27 della legge Regione Puglia 19 febbraio 2008, n. 1 («Disposizioni integrative e modifiche della legge regionale 31 dicembre 2007, n. 40 – Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2008 e bilancio pluriennale 2008-2010 della Regione Puglia – e prima variazione al bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 2008»), per violazione dell’art. 117, comma 3, Cost. La disposizione regionale in questione, pur abrogata dall’art. 6 della legge Regione Puglia 21 ottobre 2008, n. 31 («Norme in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili e per la riduzione di immissioni inquinanti e in materia ambientale»), rimaneva tuttavia applicabile, ratione temporis, alla DIA oggetto del giudizio a quo; ciò in virtù della norma transitoria contenuta nell’art. 7 della predetta legge n. 31 del 2008, che prevedeva l’applicabilità della previgente disciplina alle denunce presentate fino a trenta giorni prima dell’entrata in vigore della legge medesima. 108 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 pronuncia in commento. Il riferimento è alle sentenze nn. 119 8, 1249, 194 10 e 313 11, tutte del 2010, in cui il giudice delle leggi aveva chiaramente e perentoriamente affermato che «maggiori soglie di capacità di generazione e caratteristiche dei siti di installazione per i quali si procede con la disciplina della DIA possono essere individuate solo con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto 8 Corte cost., 26 marzo 2010, n. 119 (a commento della quale, L. NANNIPIERI, Regioni ed energia rinnovabile: sono (ancora una volta) dichiarate incostituzionali norme regionali che pongono limitazioni alla localizzazione di impianti da fonti rinnovabili, dettate in assenza delle linee guida statali, in www.rivistaaic, n. 0/2010, e D. OTTOLENGHI, L. CAPOZZO, Recenti sviluppi nella normativa in materia di energia rinnovabile: Corte Costituzionale e Autorità Antitrust, in www.amministrazioneincammino.luiss.it. Con tale decisione, la Corte, accogliendo parzialmente il ricorso proposto dal Governo nei confronti di alcune disposizioni della legge della Regione Puglia n. 31/2008, ha dichiarato, per quanto nello specifico rileva, l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge regionale stessa, il quale, per alcune tipologie di impianti specificamente elencati, per la produzione di energia da fonti rinnovabili – non solo solare ed eolica, ma anche per impianti idraulici, a biomassa e a gas – prevedeva l’estensione della DIA anche per potenze elettriche nominali superiori (fino a 1 MWe) a quelle previste alla tabella A allegata al d.lgs. n. 387 del 2003. 9 Corte cost., 1° aprile 2010, n. 124 (a commento della quale, oltre a D. OTTOLENGHI - L. CAPOZZO, Recenti sviluppi nella normativa in materia di energia rinnovabile: Corte Costituzionale e Autorità Antitrust, cit., N. RANGONE, Fonti rinnovabili di energia: stato della regolazione e prospettive di riforma, in Giur. cost., 2010, p. 1490 ss.). In tale pronunzia, la Corte, ritenendo in gran parte fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Governo, con separati ricorsi, avverso alcune disposizioni della legge della Regione Calabria 11 novembre 2008, n. 38 («Proroga del termine di cui al comma 3, art. 53, legge regionale 13 giugno 2008, n. 15») e della legge della Regione Calabria 29 dicembre 2008, n. 42 («Misure in materia di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili»), ha dichiarato l’incostituzionalità del punto 2.3 dell’Allegato sub 1 della legge regionale n. 42 del 2008, il quale individuava un elenco di tipologie di impianti (con potenza nominale inferiore o uguale a 500 Kwe) soggetti alla sola disciplina della DIA. 10 Corte cost., 4 giugno 2010, n. 194 (con commento di A.M. BASSO, Insediamenti di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili: le competenze degli enti territoriali tra normativa interna e procedure amministrative, in Dir. giur. agr., 2010, p. 458 ss.). Con la sentenza de qua, la Consulta, in accoglimento della questione di legittimità costituzionale proposta dal Governo nei confronti dell’art. 3, comma 1, della legge della Regione Molise 7 agosto 2009, n. 22 («Nuova disciplina degli insediamenti degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nel territorio della Regione Molise»), ha dichiarato l’incostituzionalità della disposizione stessa, la quale attribuiva ai Comuni la competenza autorizzativa degli impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili con capacità di generazione non superiore a 1 Mw elettrico, secondo le procedure semplificate stabilite dalle “linee guida” regionali. 11 Corte cost., 11 novembre 2010, n. 313. Con tale decisione, la Corte, accogliendo in parte le censure di costituzionalità mosse dal Governo nei confronti di alcune disposizioni della legge della Regione Toscana 23 novembre 2009, n. 71 («Modifiche alla legge regionale 24 febbraio 2005, n. 39 – Disposizioni in materia di energia»), ha dichiarato, per quel che qui interessa, l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 2, della citata legge regionale n. 71 del 2009, che sostituendo l’art. 16, comma 3, lett. f) della legge regionale n. 39 del 2005, aveva innalzato le soglie per le quali è ammessa la DIA, per gli impianti eolici da 60 a 100 chilowatt (lett. f, n. 1) e per i fotovoltaici da 20 a 200 chilowatt (lett. f, n. 2). 109 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata, senza che la Regione possa provvedervi autonomamente» 12. La sentenza in commento si pone quindi in linea di piena – e necessaria13 – continuità rispetto ad un indirizzo giurisprudenziale ormai già ben delineato. Essa, pertanto, non offre particolari elementi di novità rispetto alle precedenti pronunzie in tema di impianti alimentati da fonti rinnovabili, e segnatamente di procedure per la loro realizzazione; tuttavia, la sentenza stessa, consolidando ulteriormente (ed in modo ormai “granitico”) il suddetto indirizzo, consente di fare il “punto” sulla giurisprudenza costituzionale in subiecta materia, anche nel suo rapporto dialogico con l’evoluzione della normativa. 2. Le “massime” enucleabili dalla giurisprudenza costituzionale in tema di impianti da fonti rinnovabili Orbene, nel senso proposto, possono individuarsi una serie di punti fondamentali su cui la giurisprudenza costituzionale risulta ormai essersi stabilmente attestata, i quali verranno di seguito enucleati ed illustrati a mo’ di “massime”, tra loro articolate secondo un ordine logico-consequenziale nonché di connessione per oggetto. A) La disciplina degli insediamenti di impianti alimentati da fonti rinnovabili di energia è attribuita alla potestà legislativa concorrente in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» di cui all’art. 117, comma 3, Cost.14. Pur non potendosi trascurare la rilevanza che, con riguardo a questi impianti, riveste la tutela dell’ambiente e del paesaggio 15, si rivela centrale, nella disciplina ad essi relativa, il profilo afferente alla gestione delle fonti energetiche in vista di un efficiente approvvigionamento presso i diversi ambiti territoriali16. 12 Così punto 4.2 Cons. in dir., sent. n. 119/2010; in terminis: punto 6.2 Cons. in dir., sent. n. 124/2010; punto 3 Cons. in dir., in fine, sent. n. 194/2010; punto 3.2 Cons. in dir., sent. n. 313/2010. 13 … in un’ottica di “fedeltà al precedente”. 14 Cfr., in particolare, Corte cost., 9 novembre 2006, n. 364 (con commento di M. D’AURIA, Impianti eolici e termine massimo di conclusione del procedimento, in Giornale dir. amm., p. 493 ss.), punto 3 Cons. in dir., e 6 novembre 2009, n. 282 (con commento di S. PELINO, Impianti eolici: tra regime autorizzatorio e concessione di bene collettivo, in Riv. giur. ambiente, 2010, p. 334 ss.), punto 3 Cons. in dir. 15 Cfr. Corte cost., 29 maggio 2009, n. 166, punto 6 Cons. in dir. A commento di tale decisione, cfr. V. MOLASCHI, Paesaggio versus ambiente: osservazioni alla luce della giurisprudenza in materia di realizzazione di impianti eolici, in Riv. giur. edilizia, 5/6, II, 2009, p. 171 ss., e P. LOMBARDI, Corte costituzionale e autorizzazione degli impianti di energia eolica: concezione assolutizzante del paesaggio o ponderazione di interessi?, in Riv. giur. edilizia, I, 2009, p.1469 ss. 16 Corte cost., 6 novembre 2009, n. 282, punto 3 Cons. in dir. 110 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 B) L’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, di attuazione della direttiva 2001/77/ CE17 relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, enuncia i principi fondamentali in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», e, nella specie, in tema di produzione di energia da fonti rinnovabili18 . Ulteriori princìpi fondamentali sono fissati, anche in questo ambito, dalla legge n. 239 del 2004 19, che ha realizzato «il riordino dell’intero settore energetico, mediante una legislazione di cornice»20. È dunque alla stregua di tali principi che vanno scrutinate le disposizioni regionali relative alla produzione di energia derivante da fonti rinnovabili. C) La fonte competente, in via esclusiva, a disporre l’innalzamento dei limiti di capacità produttiva degli impianti, ai fini dell’applicabilità del regime semplificato, è un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente, previa intesa con la Conferenza unificata; è pertanto precluso alle Regioni di provvedere in tal senso mediante un autonomo intervento legislativo. La ratio dell’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 387 del 2003 è, infatti, quella di consentire l’individuazione di soglie diverse di potenza rispetto a quelle indicate dalla tabella allegata al medesimo decreto legislativo «solo a seguito di un procedimento che, in ragione delle diverse materie interessate (tutela del territorio, tutela dell’ambiente, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia), coinvolge lo Stato e le Regioni in applicazione del principio di leale collaborazione, il quale impedisce ogni autonomo intervento legislativo regionale» 21. D) I limiti di principio contenuti nella tabella A allegata al d.lgs. n. 387 del 2003 non sono pregiudicati dall’art. 1-quater del decreto-legge n. 105 del 2010 22, 17 Direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità. 18 Cfr., in particolare, Corte cost., n. 364/2006, punto 3 Cons. in dir., e sent. n. 282 del 2009, punto 3 Cons. in dir. 19 Legge 23 agosto 2004, n. 239, «Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia». 20 Cfr. sent. n. 282 del 2009, punto 3 Cons. in dir., e, soprattutto, sent. 14 ottobre 2005, n. 383, punti 12 e 13 Cons. in dir. Per un commento alla sentenza n. 383/2005, che è di particolare rilievo sia per l’oggetto del relativo giudizio (disposizioni del decreto-legge n. 239/2003 – c.d. anti-blackout –, quale convertito, con modificazioni, nella legge n. 290/2003, nonché disposizioni della legge di riordino del settore energetico), sia perché in essa la Corte si sofferma funditus sulla dimensione contenutistica della materia “energia”, v. Q. CAMERLENGO, Autonomia regionale e uniformità sostenibile: principi fondamentali, sussidiarietà e intese forti, in Le Regioni, p. 422 ss. 21 Sent. n. 124/2010, punto 6.2 Cons. in dir.; analogamente, sentt. n. 119/2010, punto 4.2 Cons. in dir., n. 194/2010, punto 3 Cons. in dir., e n. 313/2010, punto 3.2 Cons. in dir. 22 Decreto-legge 8 luglio 2010, n. 105 («Misure urgenti in materia di energia»), convertito, con modificazioni, dalla legge 13 agosto 2010, n. 129. 111 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 inserito dalla legge di conversione n. 129 del 2010, che fa salvi gli effetti relativi alle procedure di DIA per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, che risultino avviate in conformità a disposizioni regionali recanti soglie superiori a quelle di cui alla tabella medesima. La norma sopra citata (c.d. “salva-DIA”)23, infatti, introduce, nel quadro della decretazione d’urgenza nel settore dell’energia, una sanatoria limitata nel tempo, tanto da porre la condizione «che gli impianti siano entrati in esercizio entro centocinquanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto»24. E) Innalzare le soglie per le quali i principi della legislazione statale ammettono la DIA non è alle Regioni consentito neppure in via di attuazione della disciplina comunitaria sulle fonti energetiche rinnovabili. Se è vero che l’apertura verso una ulteriore liberalizzazione del regime autorizzatorio per la costruzione e l’esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili possa cogliersi dalla legge n. 96 del 2010 25, che delega il Governo ad attuare la direttiva 2009/28/CE26, estendendo il regime della DIA alla realizzazione degli impianti per la produzione di energia elettrica con capacità di generazione non superiore ad 1 megawatt elettrico (art. 17), tuttavia, il recepimento della direttiva stessa, per ragioni di uniformità sul territorio nazionale, legate alla funzionalità della rete, spetta allo Stato (entro il 5 dicembre 2010)27. Quindi, non è consentito alla Regione derogare frattanto ai limiti vigenti, sia pure anticipando il recepimento della normativa comunitaria 28. F) In mancanza dell’approvazione, in sede di Conferenza unificata ex art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387/2003, delle linee guida nazionali per il corretto inserimento degli impianti da fonti rinnovabili nel paesaggio, è preclusa alle Regioni l’adozione di una propria disciplina in ordine ai siti non idonei all’installazione di tali impianti. La richiamata norma deve infatti qualificarsi come espressione della competenza esclusiva dello Stato in materia ambientale ex art. 23 … sul cui ambito di applicazione v. la circolare del Ministero dello sviluppo economico – Dipartimento per l’energia, in data 15 dicembre 2010. 24 Corte cost., sent. n. 313 del 2010, punto 3.3 Cons. in dir. 25 Legge 4 giugno 2010, n. 96, «Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2009». 26 Direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, «Sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE». 27 Il legislatore nazionale ha provveduto al recepimento della direttiva 2009/28/CE con il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, «Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/ CE e 2003/30/CE». 28 Corte cost., sent. n. 313 del 2010, punto 3.3 Cons. in dir. 112 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 117, comma 2, lett. s), Cost.29, essendo la predisposizione delle indicate linee guida finalizzata precipuamente a garantire un’adeguata tutela paesaggistica30; di talché non è consentito alle Regioni «proprio in considerazione del preminente interesse di tutela ambientale perseguito dalla disposizione statale, di provvedere autonomamente alla individuazione di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa» 31. Anche sotto il profilo dell’art. 117, comma 3, Cost., peraltro, l’individuazione da parte delle Regioni, nelle more dell’approvazione delle linee guida nazionali, di aree territoriali interdette all’installazione di impianti da fonti rinnovabili, contrasta con il principio fondamentale fissato dall’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387/2003 in tema di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», che prevede espressamente l’intervento della legislazione regionale soltanto «in attuazione» delle linee guida medesime32 . Il bilanciamento tra le esigenze connesse alla produzione di energia e gli interessi, variamente modulati, rilevanti in questo ambito impone, infatti, una prima ponderazione concertata in ossequio al principio di leale cooperazione, al fine di consentire alle Regioni ed agli enti locali di contribuire alla compiuta definizione di adeguate forme di 29 La «tutela dell’ambiente» è inquadrata, come noto, nella “categoria” delle materie c.d. “trasversali”, o “materie-non materie”, ovvero ancora “materie di scopo”, le quali, secondo quanto ripetutamente evidenziato dalla Corte costituzionale nella sua opera di interpretazione delle “voci” contenute nell’elenco di cui al comma 2 del nuovo art. 117 Cost., individuano competenze del legislatore statale idonee ad incidere sui più diversi oggetti, con l’obiettivo di raggiungere la finalità costituzionalmente fissata. Sui caratteri delle materie “trasversali”, si rinvia, anche per i riferimenti giurisprudenziali, alle ampie ricostruzioni di R. CARANTA, La tutela della concorrenza, le competenze legislative e la difficile applicazione del Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2004, p. 990 ss.; G. SCACCIA, Le competenze legislative sussidiarie e trasversali, in Dir. pubbl., 2004, p. 461 ss.; F. BENELLI, La «smaterializzazione delle materie». Problemi teorici ed applicativi del nuovo Titolo V della Costituzione, Giuffrè, Milano, 2006; F.S. MARINI, I criteri di interpretazione delle materie, in G. CORSO, V. LOPILATO (a cura di), Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali, Parte generale, Giuffrè, Milano, 2006, p. 90 ss. In specie, sulla giurisprudenza costituzionale in materia ambientale post riforma del Titolo V Cost., v., ex multis, B. POZZO - M. RENNA (a cura di), L’ambiente nel nuovo Titolo V della Costituzione, Quaderni della Riv. giur. ambiente, 15, 2004 Giuffrè, Milano; G. MANFREDI, Tre modelli di riparto delle competenze in tema di ambiente, in Istituz. Federalismo, 2004, p. 509 ss.; A. COLAVECCHIO, La tutela dell’ambiente fra Stato e Regioni: l’ordine delle competenze nel prisma della giurisprudenza costituzionale, in F. GABRIELE - A.M. NICO (a cura di), La tutela multilivello dell’ambiente, Cacucci, Bari, 2005, p. 1 ss.; P. MADDALENA, L’interpretazione dell’art. 117 e dell’art. 118 della Costituzione secondo la recente giurisprudenza costituzionale in tema di tutela e di fruizione dell’ambiente, in Federalismi.it, 9, 2010. 30 Cfr. sentt. n. 166 del 2009, punto 6 Cons. in dir., e n. 119 del 2010, punto 3.2 Cons. in dir., nonché, da ultimo, Corte cost., sent. 3 marzo 2011, n. 67, punto 6.1 Cons. in dir. 31 Così Corte cost., sent. n. 166 del 2009, punto 6 Cons. in dir.; in terminis, Corte cost., sent. 26 novembre 2010, n. 344, punto 2.1 Cons. in dir. 32 Sent. n. 67 del 2011, punto 6.1 Cons. in dir. 113 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 contemperamento di tali esigenze 33. Una volta raggiunto tale equilibrio, ogni Regione potrà adeguare i criteri così definiti alle specifiche caratteristiche dei rispettivi contesti territoriali34. Di conseguenza, non è conforme al principio di leale collaborazione una disciplina regionale che non ottemperi alla necessità di ponderazione concertata degli interessi rilevanti nell’ambito della produzione di energia da fonti rinnovabili35. G) L’impossibilità da parte delle Regioni di adottare una propria disciplina in ordine ai siti non idonei alla installazione degli impianti da fonti rinnovabili prima dell’approvazione delle indicate linee guida nazionali rende, poi, irrilevante l’adozione di queste ultime – avvenuta con il D.M. 10 settembre 201036 – nelle more di un giudizio di costituzionalità37. H) Alle Regioni non è consentito introdurre divieti all’installazione degli impianti eolici off-shore, neanche per le opere connesse ricadenti sul territorio regionale. Tali divieti, infatti, si pongono in contrasto con disposizioni legislative statali operanti quali princìpi fondamentali nella materia concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», e segnatamente con l’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 387 del 2003, a tenor del quale «per gli impianti off-shore l’autorizzazione è rilasciata dal Ministero dei trasporti, sentiti il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con le modalità di cui al comma 4 e previa concessione d’uso del demanio marittimo da parte della competente autorità marittima», nonché con l’art. 1, comma 7, lett. l), della legge n. 239 del 2004, secondo cui allo Stato spetta l’esercizio delle funzioni amministrative afferenti alla «utilizzazione del pubblico demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità di approvvigionamento di fonti di energia». I) Le Regioni non possono esonerare dalla necessità del titolo abilitativo l’installazione di alcuni tipi di impianti di generazione di energia da fonti rinnovabili, sul presupposto che la Regione e gli enti locali siano i soggetti responsabili degli interventi. Va infatti considerato che la titolarità dell’intervento non toglie che nella realizzazione di un siffatto impianto, come di qualsiasi opera pubblica, sia necessaria la compartecipazione di tutti i soggetti portatori di interessi 33 Sent. n. 282 del 2009, punto 4.1 Cons. in dir. 34 Sent. n. 282 del 2009, ibidem. 35 Cfr. sentt. n. 282 del 2009, punto 4.1 Cons. in dir., e n. 119 del 2010, punto 3.2 Cons. in dir., nonché sent. 6 maggio 2010, n. 168, punto 4.2 Cons. in dir. 36 Recante «Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili». 37 Corte cost., sent. n. 344 del 2010, punto 2.1, in fine, Cons. in dir.; in terminis, sent. n. 67 del 2011, punto 6.1 Cons. in dir. 114 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 (ambientale 38, culturale, urbanistico, sanitario) coinvolti nella realizzazione dell’opera 39. La finalità di composizione degli interessi coinvolti è perseguita dalla previsione dell’autorizzazione unica, che, pur attribuita alla competenza regionale, è il risultato di una conferenza di servizi, che assume, nell’intento della semplificazione e accelerazione dell’azione amministrativa, la funzione di coordinamento e mediazione degli interessi in gioco40 al fine di individuare, mediante il contestuale confronto degli interessi dei soggetti che li rappresentano, l’interesse pubblico primario e prevalente41. L) Le Regioni non possono disporre sospensioni delle procedure autorizzative per la realizzazione di impianti da fonti rinnovabili, laddove ciò comporti il superamento del termine massimo di conclusione procedimentale fissato dal legislatore statale. L’indicazione del termine di centottanta giorni per la conclusione del procedimento in parola, contenuta nell’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387/2003, deve infatti qualificarsi quale principio fondamentale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», vincolante, quindi, per il legislatore regionale, in quanto «tale disposizione risulta ispirata alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità garantendo, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo» 42. M) Le Regioni non possono introdurre limiti massimi autorizzabili di potenza di energia da fonti rinnovabili. Una disciplina prevedente limiti alla produzione di energia da tali fonti sul territorio regionale opera, infatti, «in modo diametralmente opposto rispetto alle norme internazionali (Protocollo di Kyoto) e comunitarie (art. 3 direttiva n. 2001/77/CE) le quali, nell’incentivare lo sviluppo 38 È noto che l’interesse ambientale, insieme ad altri interessi “sensibili” (quali, a titolo esemplificativo, la tutela della salute, la tutela del patrimonio culturale, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, etc.), è destinatario di uno speciale trattamento in ambito procedimentale. L’inerenza di tale interesse ad un determinato procedimento ne altera, infatti, l’ordinaria conformazione, riducendo o eliminando l’area di azione dei cc.dd. istituti di semplificazione. In argomento, tra gli altri, G. ROSSI, Parte generale, in IDEM (a cura di), Diritto dell’ambiente, Giappichelli, Torino, 2008, p. 85 ss.; M. RENNA, Semplificazione e ambiente, in Riv. giur. edilizia, n. 1, p. 37 ss.; A. RALLO, Funzione di tutela ambientale e procedimento amministrativo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2000; G. CAIA, La gestione dell’ambiente: principi di semplificazione e di coordinamento, in S. GRASSI - M. CECCHETTI - A. ANDRONIO (a cura di), Ambiente e diritto, vol. I, Olschki, Firenze 1999, p. 237 ss. 39 Così sent. n. 313 del 2010, punto 4.2 Cons. in dir. 40 Sottolinea, peraltro, l’insufficienza della conferenza di servizi, se non accompagnata da un riassetto organizzativo del settore delle fonti rinnovabili, a realizzare l’esigenza di semplificazione del sistema, G.M. CARUSO, La complessità organizzativa nel settore delle fonti energetiche rinnovabili, in Astridonline.it. 41 Sent. n. 313 del 2010, ibidem. 42 Sentt. n. 364/2006, punto 3 Cons. in dir., n. 282/2009, punto 6.1 Cons. in dir., e n. 124/2010, punto 2.2 Cons. in dir. 115 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 delle suddette fonti di energia, individuano soglie minime di produzione che ogni Stato si impegna a raggiungere entro un determinato periodo di tempo» 43. Sotto tale profilo, si configura, quindi, una violazione dei vincoli internazionali e comunitari di cui al primo comma dell’art. 117 Cost. N) Le Regioni non possono costituire quote di riserva strategica, in riferimento a fonti di energia rinnovabile, da destinare ad azioni per lo sviluppo del tessuto industriale regionale. Una normativa regionale che disponga in tal senso, prevedendo anche un accesso preferenziale al mercato per operatori con partenariato del territorio regionale, è contrastante con il principio di cui all’art. 41 Cost., in quanto sottrae una quota della potenza di energia autorizzabile al libero mercato e, nel destinarlo a determinate finalità, individua i possibili legittimati ad ottenere la suddetta quota sulla base di requisiti del tutto atecnici44. D’altra parte, è principio acquisito che discriminare le imprese sulla base di un elemento di localizzazione territoriale contrasta con il principio secondo cui la Regione non può adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose fra le Regioni, discendendo da ciò «il divieto per i legislatori regionali di frapporre barriere di carattere protezionistico alla prestazione, nel proprio ambito territoriale, di servizi di carattere imprenditoriale da parte di soggetti ubicati in qualsiasi parte del territorio nazionale (nonché, in base ai principi comunitari sulla libertà di prestazione dei servizi, in qualsiasi paese dell’Unione europea)» 45. O) Le Regioni non possono imporre misure di compensazione patrimoniale 46 per il rilascio dell’autorizzazione unica all’installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. La legge statale, infatti, vieta tassativamente l’imposizione di corrispettivo quale condizione per il rilascio di siffatti titoli abilitativi, tenuto conto che la costruzione e l’esercizio di impianti da fonti rinnovabili sono libere attività d’impresa soggette alla sola autorizzazione amministrativa della Regione, secondo 43 Sent. n. 124 del 2010, punto 3.1 Cons. in dir. In ottemperanza agli indirizzi sopra riportati l’art. 2, comma 167, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), prevede che «Il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, emana, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, uno o più decreti per definire la ripartizione fra regioni e province autonome di Trento e di Bolzano della quota minima di incremento dell’energia prodotta con fonti rinnovabili per raggiungere l’obiettivo del 17 per cento del consumo interno lordo entro 2020 ed i successivi aggiornamenti proposti dall’Unione europea […]». 44 Sent. n. 124 del 2009, punto 4.2 Cons. in dir. 45 Corte cost., 26 giugno 2001, n. 207, punto 5 Cons. in dir. 46 Come chiarito dallo stesso giudice costituzionale, «per misure di compensazione s’intende, in genere, la monetizzazione degli effetti negativi che l’impatto ambientale determina, per cui chi propone l’istallazione di un determinato impianto s’impegna a devolvere, all’ente locale cui compete l’autorizzazione, determinati servizi o prestazioni»: sent. n. 124/2010, punto 9.2 Cons. in dir. 116 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 il principio fondamentale fissato dall’art. 12, comma 6, del d.lgs. n. 387 del 2003 47. Sono, al contrario, ammessi gli accordi che contemplino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, nel senso che il pregiudizio subito dall’ambiente per l’impatto del nuovo impianto, oggetto di autorizzazione, viene compensato dall’impegno ad una riduzione delle emissioni inquinanti da parte dell’operatore economico proponente48. Ciò in virtù dell’art. 1, comma 4, lett. f), della legge n. 239/2004, che, dopo aver posto il principio della localizzazione delle infrastrutture energetiche in rapporto ad un adeguato equilibrio territoriale, ammette concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale, prevedendo in tal caso misure di compensazione e di riequilibrio ambientale, anche relativamente ad impianti alimentati da fonti rinnovabili49. Al riguardo il successivo comma 5 afferma il diritto di Regioni ed enti locali di stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 50. 3. Alcune considerazioni finali (in prospettiva) Dalle “massime” sopra enucleate si può agevolmente notare che la “sanzione” di incostituzionalità delle norme regionali relative alle procedure per la realizzazione di impianti da fonti rinnovabili discende pressoché esclusivamente dall’accertamento di un contrasto con i principi fondamentali fissati in materia di “energia” dalla legge dello Stato, oppure da una violazione di parametri costituzionali non integrati da norme sulla competenza51 . Non discende mai, invece, dall’invasione, da parte del legislatore regionale, di una materia riconducibile, in via totalitaria o prevalente, ad una delle competenze esclusive 47 Cfr. sent. n. 282/2009, punto 7.1 Cons. in dir., e sent. n. 124 del 2010, punto 9.2 Cons. in dir. 48 Così sent. n. 124 del 2010, punto 9.2 Cons. in dir. 49 … dopo la sentenza n. 383 del 2005. Con tale decisione, infatti, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, lett. f), della legge n. 239/2004 limitatamente alle parole «con esclusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili». Quindi, per effetto di tale pronuncia è stata estesa anche al legislatore regionale la facoltà di introdurre misure di compensazione nella disciplina delle fonti rinnovabili di energia, peraltro a condizione che i beneficiari delle predette misure non siano né le Regioni, né le Province eventualmente delegate. 50 Il quale, appunto, vieta che l’autorizzazione possa prevedere (o essere subordinata a) compensazioni a favore della Regione o della Provincia delegata. 51 È questo il caso, in particolare, del parametro costituito dall’art. 41 Cost., sulla iniziativa economica privata, in violazione del quale si pone la normativa regionale che prevede l’istituzione di quote di riserva strategica, in relazione a fonti rinnovabili, da destinare ad iniziative per lo sviluppo dell’industria regionale: v. la “massima” sub N) del par. 2. 117 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 statali. Soltanto in una fattispecie 52, invero, la declaratoria di incostituzionalità delle previsioni regionali viene sancita evocandosi una clausola di attribuzione di competenza esclusiva statale, quella in materia di «tutela dell’ambiente» ex art. 117, comma 2, lett. s), Cost., ma anche in tale fattispecie viene pur sempre rilevato il contrasto con una norma di principio 53 (id est, principio fondamentale) della legislazione dello Stato, che di detta competenza sarebbe espressiva 54. In più, può osservarsi che, nella giurisprudenza costituzionale così ricostruita in relazione all’ambito della produzione di energia da fonti rinnovabili, è assai sullo sfondo, se non inesistente, il riferimento ad interessi unitari che possono giustificare, in via di sussidiarietà, l’attrazione in capo allo Stato di funzioni di competenza regionale. Quanto sopra evidenziato consente di marcare una differenza, che appare alquanto accentuata, tra la giurisprudenza costituzionale esaminata e quella in tema di produzione di energia da fonti convenzionali, laddove il modello di rapporto tra Stato e Regioni in questo ambito risulta “plasmato” attraverso un ben più massiccio impiego di strumenti che, facendo leva sulla necessità di tutelare interessi di ordine unitario, portano a riconoscere allo Stato un ruolo “dominante” nella “gestione” del potere amministrativo e, al contempo, di quello legislativo inerente l’ambito stesso. In tema di produzione di energia da fonti convenzionali, infatti, la Corte costituzionale, pur affermando la «prevalente riferibilità» della relativa disciplina55 alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», di cui al 52 ... quella delle discipline regionali, che, in assenza delle linee guida statali, vietano la realizzazione di impianti da fonti rinnovabili in determinate parti del territorio regionale: v. la “massima” sub F) del par. 2. 53 … l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003. 54 Per completezza d’analisi, va comunque rilevata una certa “oscillazione” (o quanto meno contraddizione), sul punto, del giudice costituzionale, il quale, pur assegnando, con carattere di “prevalenza”, alla competenza esclusiva statale in tema di tutela dell’ambiente la disciplina per il corretto inserimento degli impianti da fonti rinnovabili nel paesaggio, non “rinuncia” tuttavia, in alcune decisioni, ad attribuire rilievo anche alla competenza concorrente in materia di energia (cfr., per esempio, sent. n. 67/2011, punto 6.1 Cons. in dir.). 55 ... e precisamente della disciplina del procedimento amministrativo finalizzato a garantire la produzione e l’approvvigionamento dell’energia elettrica, di cui al decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 (c.d. “sblocca-centrali”), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2002, n. 55. Per un esame Per un esame analitico di tale normativa, si rinvia a E. PICOZZA (a cura di), Il nuovo regime autorizzatorio degli impianti di produzione di energia elettrica, Giappichelli, Torino, 2003. 118 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 terzo comma dell’art. 117 Cost.56, ha tuttavia ritenuto, con riguardo a tale ambito di competenza regionale, non difforme dalla Costituzione «riconoscere un ruolo fondamentale agli organi statali nell’esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative» 57, secondo l’indirizzo assunto dalla normativa statale di riordino dell’intero settore energetico 58 e sia pure a seguito della introduzione di adeguati meccanismi di leale collaborazione, ove ritenuti costituzionalmente necessari59. Esigenze unitarie e ragioni di uniformità, infatti, sono ripetutamente indicati dalla Corte come elementi giustificativi della chiamata in sussidiarietà, in capo ad organi dello Stato, di funzioni amministrative relative ai problemi energetici di livello nazionale. In tale prospettiva, sono state ritenute giustificabili sul piano della legittimità costituzionale norme in cui, per l’area appartenente alla competenza legislativa regionale di tipo concorrente, il legislatore statale ha disposto la “chiamata in sussidiarietà” di una buona parte delle funzioni amministrative concernenti il settore energetico, con l’attribuzione di rilevanti responsabilità ad organi statali e, quindi, con la parallela disciplina legislativa da parte dello Stato di settori che di norma dovrebbero essere di competenza regionale ai sensi del terzo 56 Sent. n. 383/2005, punto 12 Cons. in dir., e, precedentemente, in senso analogo, sent. 13 gennaio 2004, n. 6, punto 6 Cons. in dir. A commento di tale decisione, con cui è stato definito il giudizio avente ad oggetto il decreto “sblocca-centrali” e la relativa legge di conversione, v., tra gli altri, F. BILANCIA, La riforma del titolo V della Costituzione e la «perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari», in Giur. cost., 2004, p. 137 ss.; F. DE LEONARDIS, La Consulta tra interesse nazionale e energia elettrica, ivi, 2004, p. 145 ss.; E. PESARESI, Nel regionalismo a tendenza duale, il difficile equilibrio tra unità ed autonomia, ivi, 2004, p. 153 ss.; O. CHESSA, Sussidiarietà ed esigenze unitarie: modelli giurisprudenziali e modelli teorici a confronto, in Le Regioni, 2004, p. 941 ss. 57 Così sent. n. 6 del 2004, punto 6 Cons. in dir. 58 Cfr. sent. n. 383 del 2005, punto 15 Cons. in dir. 59 Cfr. sent. n. 6 del 2004, punto 7 Cons. in dir., e sent. n. 383 del 2005, punto 15 Cons. in dir. 119 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 comma dell’art. 117 Cost 60. Per esempio, per quanto nello specifico rileva, la Corte ha valutato come effettivamente sussistenti i presupposti che legittimano la chiamata in sussidiarietà di funzioni regionali a livello statale, sulla base del riconoscimento della preminente esigenza di evitare il pericolo di interruzione della fornitura dell’energia elettrica a livello nazionale, attraverso una accentuata semplificazione delle «procedure autorizzatorie necessarie alla costruzione o al ripotenziamento di impianti di energia elettrica di particolare rilievo»61. Inoltre, e più in generale, il riordino del settore energetico, «caratterizzato, sul piano del modello organizzativo e gestionale, dalla attribuzione dei maggiori poteri amministrativi ad organi statali», si giustifica poiché tali organi sono ritenuti «gli unici a cui naturalmente non sfugge la valutazione complessiva del fabbisogno nazionale di energia e quindi idonei ad operare in modo adeguato per ridurre eventuali situazioni di gravi carenze a livello nazionale»62. Ora, nel campo della produzione di energia da fonti rinnovabili, le esigenze di carattere unitario che connotano l’ambito della produzione da fonti 60 Il riferimento è, evidentemente, al congegno allocativo delle competenze escogitato dalla Corte costituzionale nella ormai “storica” sentenza 1° ottobre 2003, n. 303 (in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici). In tale decisione, la Corte ha individuato nel principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost. un «meccanismo dinamico» che in determinati casi può giustificare «una deroga alla normale ripartizione delle competenze», in forza della quale le funzioni amministrative attratte allo Stato per soddisfare esigenze unitarie, trascinano con sé, in ossequio al principio di legalità, anche l’esercizio della corrispondente funzione legislativa (che così sale dal livello regionale a quello statale, a prescindere dalla rigida suddivisione nominale per materia di cui al dettato dell’art. 117): cfr. punto 2.1 Cons. in dir. A commento della sentenza n. 303 del 2003, che, secondo il giudizio diffuso in dottrina, ha introdotto un’innovazione di straordinario impatto sul complessivo assetto dei rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali, cfr., ex multis, A. ANZON, Flessibilità dell’ordine delle competenze legislative e collaborazione tra Stato e Regioni, in Giur. cost., 2003, p. 2782 ss.; A. D’ATENA, L’allocazione delle funzioni amministrative in una sentenza ortopedica della Corte costituzionale, ivi, 2003, p. 2776 ss.; A. MOSCARINI, Sussidiarietà e Supremacy Clause sono davvero perfettamente equivalenti?, ivi, 2003, p. 2791 ss.; F. FRACCHIA, Dei problemi non (completamente) risolti dalla Corte costituzionale: funzioni amministrative statali nelle materie di competenza regionale residuale, norme statali cedevoli e metodo dell’intesa, in Foro. it., 2004, I, p. 1014 ss.; R. FERRARA, Unità dell’ordinamento giuridico e principio di sussidiarietà: il punto di vista della Corte costituzionale, ivi, p. 1018 ss.; S. BARTOLE, Collaborazione e sussidiarietà nel nuovo ordine regionale, in Le Regioni, 2004, p. 578 ss.; L. VIOLINI, I confini della sussidiarietà: potestà legislativa “concorrente”, leale collaborazione e strict scrutiny, ivi, p. 587 ss. 61 Sent. n. 6 del 2004, punto 7 Cons. in dir. 62 Sent. n. 383/2005, punto 15 Cons. in dir. 120 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 convenzionali – oltre che altri ampi segmenti della materia energetica63 – sembrano, nel “prisma” delle sentenze esaminate, restare, per così dire, “defilati”; ciò, forse, anche in considerazione del carattere meno “strategico” che viene “tradizionalmente” attribuito alle risorse energetiche rinnovabili. Non può tuttavia escludersi – ed appare anzi molto probabile – che, in un futuro più che prossimo, il peso strategico delle energie alternative possa aumentare considerevolmente, e ciò non soltanto in vista della necessità di adempiere ad obblighi internazionali64 e comunitari 65, ma anche – se non soprattutto – sulla spinta di recenti, drammatici 63 Si pensi, in particolare, ai segmenti della trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica, in riferimento ai quali la Corte ha più volte affermato che le esigenze unitarie caratterizzanti un sistema a rete comportano la necessità di caratteristiche tecnico-costruttive uniformi, definibili, ergo, solo a livello centrale. In tal senso è emblematica la sentenza 17 marzo 2006, n. 103, di accoglimento delle censure di incostituzionalità mosse dal Governo nei confronti di una norma della Regione Abruzzo, che imponeva ai gestori delle reti elettriche «l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili sul mercato». In tale decisione, infatti, la Corte ha osservato che nel settore della trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica «sussistono esigenze di unitarietà nella determinazione, tra l’altro, dei criteri tecnici […], che non ammettono interferenze da parte delle Regioni per effetto di autonome previsioni legislative […], le quali, imponendo ai gestori che operano a livello regionale l’utilizzo di distinte tecnologie, eventualmente anche diverse da quelle previste dalla normativa statale, possano produrre una elevata diversificazione della rete di distribuzione dell’energia elettrica, con notevoli inconvenienti sul piano tecnico ed economico» (punto 9.1 del Considerato in diritto). Con la conseguenza che «deve […] essere riconosciuto esclusivamente allo Stato, in questa materia, il compito, tra l’altro, di prescrivere l’utilizzo di determinate tecnologie, sia al fine di assicurare la tutela dell’ambiente e del paesaggio e di promuovere l’innovazione tecnologica e le azioni di risanamento volte a minimizzare l’intensità e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sia al fine di assicurare unitarietà ed uniformità alla rete nazionale» (ibidem). 64 In proposito, va soprattutto considerato il Protocollo di Kyoto aggiunto alla Convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottato l’11 dicembre 1997. Tale accordo internazionale (ratificato e reso esecutivo con legge 1° giugno 2002, n. 120) pone il vincolo in capo ai Paesi industrializzati di ridurre le emissioni dei gas serra del 5,2% nel periodo 2008 – 2012 rispetto alle emissioni del 1990 (considerato come “anno-base”), prevedendo a tal fine una serie di mezzi di azione, tra cui, per quanto nello specifico rileva, lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili. In argomento, cfr., di recente, R.B. STEWART - J.B. WIENER, Reconstructing Climate Policy: Beyond Kyoto, American Enterprise Institute Press, Washington, 2003; G. CARPANI - M. CECCHETTI - T. GROPPI - A. SINISCALCHI - M. CARLI, Governance ambientale e politiche normative. L’attuazione del Protocollo di Kyoto, Il Mulino, Bologna, 2008; M. MONTINI, Il Protocollo di Kyoto e il Clean development mechanism: aspetti giuridici e istituzionali, Giuffrè, Milano, 2008. 65 Al riguardo, assume rilievo primario il c.d. “pacchetto clima-energia”, approvato dal Parlamento europeo il 17 dicembre 2008 e pubblicato nella G.U.U.E. L 140 del 5 giugno 2009. Il pacchetto, anche noto come “20-20-20” e composto da un regolamento, quattro direttive – tra cui la direttiva 2009/29/CE – e una decisione, individua un complesso di strumenti finalizzati a conseguire gli obiettivi che l’Unione europea si è posta per il 2020: ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra, portare al 20% il risparmio energetico e aumentare al 20% il consumo di fonti rinnovabili. In argomento, cfr., amplius, D. CALDIROLA, Energia, clima e generazioni future, in Amministrare, 2009, p. 281 ss., e B. POZZO, Le politiche comunitarie in campo energetico, in B. POZZO (a cura di), Le politiche energetiche comunitarie, cit., p. 64 ss. 121 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 accadimenti66, i quali ultimi, (ri)portando in primo piano i problemi e i rischi legati alla dipendenza dal petrolio e dai combustibili fossili in genere 67, nonché all’impiego dell’energia atomica per usi civili68 , rendono certamente assai più pressante la necessità di realizzare un’alternativa, appunto, “valida” e “sostenibile”69 alle fonti convenzionali. In questa (attuale e urgente) prospettiva, può non sembrare del tutto irrealistico ipotizzare che la Corte costituzionale possa “ri-calibrare” la propria giurisprudenza70, applicando in modo molto più esteso al campo delle fonti rinnovabili (recte: alternative) il ricco “instrumentario” 71 da essa 66 Ci si riferisce, con ogni evidenza, alla “crisi libica”, iniziata nel febbraio 2011 e di poco preceduta da vasti rivolgimenti politico-sociali in altri Paesi del Nord-Africa, nonché all’incidente occorso alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi, in conseguenza del devastante terremoto, accompagnato da tsunami, che ha colpito la costa nord-orientale del Giappone nel marzo 2011. Gli effetti “dissuasivi” di tale incidente nucleare non hanno tardato a farsi avvertire anche a livello di legislative public opinion, sino a condurre nel nostro Paese – che, con la recente definizione, nel decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, di una disciplina organica del processo di produzione dell’energia elettronucleare, si era inoltrato alquanto sulla strada del ritorno all’energia atomica – all’adozione di una “moratoria” sul nucleare. Il riferimento è all’art. 5 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, il quale, al dichiarato scopo di «acquisire ulteriori evidenze scientifiche sui parametri di sicurezza» in relazione alla localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare, sospende, per un anno dall’entrata in vigore del d.l. medesimo, l’efficacia delle pertinenti disposizioni del sopra citato d.lgs. n. 31/2010. Per un commento alla nuova disciplina legislativa della “materia nucleare”, cfr. L. AMMANNATI - M. DE FOCATIIS, Un nuovo diritto per il nucleare. Una prima lettura del d. lgs. 31/2010, in Astrid-online.it, nonché G. NAPOLITANO - A. ZOPPINI (a cura di), Annuario di Diritto dell’energia 2011. Il diritto dell’energia nucleare, ed ivi, in particolare, i contributi di G. MORBIDELLI, L’iter autorizzatorio, p. 121 ss., M. CLARICH, Gli strumenti di accelerazione delle procedure, p. 149 ss., M. D’ALBERTI, La localizzazione degli impianti nucleari: il difficile percorso per decidere, p. 167 ss., A. POLICE, L’informazione dei cittadini, p. 175 ss. 67 … sul piano della c.d. “vulnerabilità energetica”. 68 … sul piano della salute e dell’ambiente. 69 Sul punto cfr. B.L. BOSCHETTI, Il governo dell’incertezza nella politica energetica: l’energia tra innovazione e sostenibilità ambientale, in Amministrare, 2009, p., 257 ss., e F. VETRÒ, Sviluppo sostenibile e problemi dell’energia, in corso di pubblicazione negli Scritti in onore di Maria Luisa Bassi. Sulla più generale tematica dello “sviluppo sostenibile”, si rinvia all’ampia trattazione di F. FRACCHIA, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, Editoriale Scientifica, Napoli, 2010. 70 … soprattutto a fronte di una legislazione statale più pervasiva nell’ambito della produzione da fonti rinnovabili. 71 … in particolare, “chiamata in sussidiarietà”, materie “trasversali”, “criterio di prevalenza”, “segmentazione” degli ambiti materiali. 122 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 elaborato per la salvaguardia degli interessi nazionali unitari che contraddistinguono il settore energetico 72. Antonio Colavecchio - Il “punto” sulla giurisprudenza costituzionale in tema di impianti da fonti rinnovabili. Con la sentenza in commento la Corte Costituzionale (dopo quattro analoghe pronunce), torna a dichiarare l’incostituzionalità di una legge regionale che estendeva il regime semplificato della DIA anche agli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, per i quali invece il legislatore nazionale richiede l’autorizzazione unica. L’Autore, prendendo le mosse da questa pronuncia, ripercorre la consolidata giurisprudenza costituzionale in materia di impianti alimentati da fonti rinnovabili. L’incostituzionalità deriva prevalentemente dal contrasto di leggi regionali con i principi fondamentali fissati dallo Stato in materia di energia, materia oggetto di competenza concorrente. Più raramente l’incostituzionalità discende dall’invasione da parte del legislatore regionale della sfera di competenza esclusiva dello Stato, come nel caso dell’individuazione dei siti non idonei all’installazione degli impianti (rientrante nella competenza statale in materia di tutela dell’ambiente), inibita alle Regioni nelle more dell’emanazione delle linee guida nazionali. Si evidenziano infine le differenze tra la giurisprudenza costituzionale in materia di fonti rinnovabili e quella in materia di fonti convenzionali, laddove soltanto nel secondo caso l’esigenza di tutelare interessi unitari giustifica la frequente attrazione in capo allo Stato di funzioni regionali, in via di sussidiarietà. Il crescente peso delle energie rinnovabili indurrà probabilmente in futuro la Corte Costituzionale ad applicare anche in questo settore il ricco “in strumentario” da essa elaborato a salvaguardia degli interessi nazionali unitari che contraddistinguono il settore energetico tradizionale. -------------------------------------------------------------------------------------------By the examined decision the Constitutional Court (after four similar decisions), states that regional law doesn’t comply with national law when it extends the simplified rule of DIA to renewable energy installations for whom the State provides a single license. The analyzed sentence provides for an effort to summarize the jurisprudential objectives previously achieved about renewable energy installations. The unconstitutional statement comes from the collision between regional law and national principles in the energy field, which is under a joint competence. Rarely the unconstitutional statement comes from the collision between regional law and national law on subjects that are under exclusive State competence, such as in case of the identification of places that cannot hold any 72 In argomento sia consentito il rinvio a A. COLAVECCHIO, Il nuovo (?) riparto di competenze StatoRegioni nella materia “energia”, in D. FLORENZANO - S. MANICA, Il governo dell’energia tra Stato e Regioni, Ed. Università di Trento, Trento, 2009, p. 20 ss. 123 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 renewable energy installation. Lastly, the Author deals with the differences between constitutional jurisprudence about renewable energy and about traditional one. Even if only about traditional energy the need to defend the only national interest involves that regional competences come to the national level, the growing importance of renewable energy will bring to the same conclusions for those sources too. 124 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Ordinanza Tar Roma, 25 febbraio 2011 n. 740 Segue nota di Enrica Blasi Il divieto di commercializzazione degli shopper non biodegradabili: insidie e prospettive della riforma Testo dell’ordinanza: ORDINANZA sul ricorso numero di registro generale 874 del 2011, proposto da: U., D., Soc. di L.P., Soc. L.P., Soc. S.M., in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dagli avv. ti L.B., F.P. e S.G., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in ..; contro il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in persona dei rispettivi Ministri p. t., rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui sono domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; e con l'intervento di ad opponendum, Associazione L.O., in persona del legale rappresentante p. t., rappresentata e difesa dagli avv. ti M.F. e M.I., con domicilio eletto presso lo studio della prima in ...; per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, - della nota del 30 dicembre 2010 del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare recante precisazioni in merito al divieto di commercializzazione delle buste di plastica in vigore dal 01 gennaio 2011; - del provvedimento, reso noto con comunicato stampa pubblicato sul sito istituzionale del Ministero dello sviluppo economico il 30 dicembre 2010; di ogni altro atto o provvedimento, anche non conosciuti, ivi compresa l’ulteriore prescrizione resa nota dal Ministero dello sviluppo economico, a mezzo proprio addetto stampa, il 3 gennaio 2011 con cui si precisa che “Forma, 123 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 dimensioni e spessore non contano, il bando all’utilizzo di buste e sacchetti vale per tutte le categorie”; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Avvocatura Generale dello Stato in difesa delle Amministrazioni centrali intimate; Visto l’atto di intervento ad opponendum di L.O.; Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente; Visto l'art. 55 cod. proc. amm.; Visti tutti gli atti della causa; Ritenuta la propria giurisdizione e competenza; Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2011 il Cons. Donatella Scala e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; CONSIDERATO che, ai sensi del combinato disposto dei commi 1129 e 1130 dell’art. 1, commi della legge n. 296/2006, sin dal 2007 è stato avviato il programma sperimentale a livello nazionale per la progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l'asporto delle merci che, secondo i criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario, non risultino biodegradabili, ed è stato individuato, decorrere dal 1° gennaio 2011, il definitivo divieto della detta commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l'asporto delle merci che non rispondano entro tale data, ai criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario; RILEVATO che le note impugnate hanno consistenza di meri comunicati con valenza ricognitiva della decorrenza del divieto di commercializzazione previsto inequivocabilmente dalla legge; RITENUTO, pertanto, che non sussistono i presupposti per accordare la chiesta misura cautelare, anche in considerazione del fatto che all’applicazione della norma non sono connesse sanzioni per il caso della violazione e che il danno lamentato ha consistenza meramente patrimoniale, come tale suscettibile di integrale ristoro nella opportuna sede del merito; 124 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 RITENUTO di compensare le spese di lite in tale fase, attesa la peculiarità della fattispecie trattata; P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione Terza Ter RESPINGE l’istanza cautelare citata in premessa. Compensa le spese della presente fase cautelare. La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la segreteria del tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti. 125 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Enrica Blasi* Il divieto di commercializzazione degli shopper non biodegradabili: insidie e prospettive della riforma Sommario - 1. Premessa. – 2. L’iter normativo: il ruolo del programma sperimentale. – 3. La nuova disciplina sugli shoppers e la libera circolazione degli imballaggi. – 4. Segue: La nuova disciplina sugli shoppers, gli obiettivi di riduzione delle emissioni atmosferiche e la gestione dei rifiuti. – 5. Omessa notifica alla Commissione europea: i confini incerti della regola tecnica. 6. Considerazioni conclusive. 1. Premessa Con l’ordinanza in commento, il giudice amministrativo si è pronunciato sul divieto, recentemente introdotto, di commercializzazione dei sacchi non biodegradabili per l’asporto delle merci1 , fornendone alcune importanti chiavi di lettura2. Sebbene l’ordinanza sembri preludere ad una pronuncia di irricevibilità per la non impugnabilità degli atti, di cui si afferma la «consistenza di meri comunicati *Dottoranda di ricerca in diritto amministrativo, Università degli Studi di Roma Tre. 1 Con i termini (equivalenti) di sacchi per l’asporto delle merci, shoppers, sacchetti con manici, si fa riferimento alle comuni buste consegnate al consumatore, gratuitamente o a titolo oneroso, in qualsiasi negozio o supermercato per riporvi le merci acquistate e trasportarle più agevolmente nel luogo di consumo. Fino al 1° gennaio 2011, data di entrata in vigore dei commi 1129 e 1130, dell’art. 1, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, queste buste erano prevalentemente di plastica, ferma restando la possibilità, a scelta dei singoli distributori finali, di commercializzare anche buste di carta, di tela o di materiali bioplastici. Con l’entrata in vigore di nuove previsioni di legge, come si dirà nel corpo del presente lavoro, si è vietata la commercializzazione delle buste di plastica, permettendo solo la distribuzione, peraltro gratuita, delle scorte residue ed imponendo per il resto l’utilizzo di buste in materiali biodegradabili. 2 Occorre precisare che nel corso della stesura della presente nota si è conclusa la fase cautelare del giudizio in esame, giunta dinanzi al Consiglio di Stato a seguito dell’impugnazione dell’ordinanza in commento. I giudici di Palazzo Spada, con l’ordinanza n. 1714 del 18 aprile 2011, si sono allineati alla posizione del TAR, affermando l’assoluta irrilevanza della mancata approvazione del programma sperimentale ai fini dell’entrata in vigore del divieto di commercializzazione delle buste non biodegradabili, il quale ultimo è quindi definitivamente operante dal 1° gennaio 2011. 126 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 con valenza ricognitiva della legge»3, essa non si limita all’esame dei soli profili di rito, lasciando intravedere l’intenzione del giudice amministrativo di spingersi fino ad una valutazione del merito della vicenda, e cogliere dunque l’occasione offerta dal caso di specie per chiarire alcuni profili di incertezza generati dalla recente riforma. Il divieto di commercializzazione delle buste non biodegradabili, che era stato inserito nell’art. 1, commi 1129 e 1130, della finanziaria per il 2007 (legge 27 3 Oggetto del ricorso promosso da Unionplast (ovvero l’associazione di categoria delle industrie trasformatrici delle materie plastiche) sono due comunicati stampa riferibili rispettivamente al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell’ambiente, ed una terza comunicazione dell’addetto stampa del Ministero dello sviluppo economico comparsa su un sito di informazione (www.ecodallecitta.it), con i quali, a parere della ricorrente, i dicasteri avrebbero conferito specificità al dettato normativo, dettandone le modalità applicative, e configurandosi in questo modo come provvedimenti in grado di incidere su specifiche situazioni giuridiche soggettive. Al contrario, i giudici del TAR sembrano ravvisare nelle note impugnate una natura meramente ricognitiva del divieto di fonte legislativa, nella misura in cui ritengono che «le note impugnate hanno consistenza di meri comunicati con valenza ricognitiva della decorrenza del divieto di commercializzazione previsto inequivocabilmente dalla legge». Sul carattere non provvedimentale dei comunicati stampa impugnati molto vi sarebbe da dire, con riferimento anche alle più ampie tematiche della natura ed impugnabilità dei provvedimenti amministrativi; tuttavia il tenore del presente lavoro non consente di soffermarsi su tali questioni. Basti qui ricordare che il provvedimento amministrativo, per come è stato inteso dalla migliore dottrina, costituisce la manifestazione doverosa di un potere pubblico volto al soddisfacimento di quegli interessi cui è preposta, per legge, l’amministrazione che lo emana. Nel caso di specie, il contenuto meramente reiterativo del dettato normativo proprio dei due comunicati stampa, sembra renderli del tutto avulsi da qualsiasi forma di esercizio autoritativo del potere. La letteratura giuridica relativa alla tematica del provvedimento amministrativo è copiosa. Si ricordino, tra i molti illustri autori, M.S. GIANNINI, voce Atto amministrativo, in Enc. dir.; M.S. GIANNINI, Lezioni di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 1950; G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, I, Giuffrè, Milano, 1954; R. ALESSI, Spunti ricostruttivi per la teoria dell’atto amministrativo, in Jus, 1941, p. 385. Per una ricostruzione del concetto si veda G. ROSSI, Principi di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2010, p. 321 ss.. 127 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 dicembre 2006, n. 296), 4 è entrato in vigore il 1° gennaio 2011, riscuotendo un’osservanza pressoché univoca da parte di tutti gli operatori della grande, media e piccola distribuzione. Si tratta di una riforma che, pur non annoverando precedenti dello stesso tenore e rigore nel panorama europeo 5, non può dirsi isolata nel contesto globale. Numerosi paesi extra-europei hanno da tempo vietato nel loro territorio la distribuzione e la commercializzazione di buste non biodegradabili, ed altri hanno imposto specifiche misure fiscali sulle stesse.6 I vari interventi normativi sono stati inoltre preceduti e supportati da approfonditi studi scientifici condotti da organismi internazionali e istituti di ricerca, pubblici e privati, i quali hanno rivelato la forte incidenza negativa causata 4 Si riporta qui, per chiarezza espositiva, il testo dei due commi del primo articolo della legge 27 dicembre 2006, n. 296, rinviando per un approfondimento sulla stessa ai paragrafi successivi del presente lavoro. Il comma 1129, dell’art. 1, della l. n. 27 dicembre 2006, n. 296 prevede che: «Ai fini della riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, del rafforzamento della protezione ambientale e del sostegno alle filiere agro-industriali nel campo dei biomateriali, è avviato, a partire dal 2007, un programma sperimentale a livello nazionale per la progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l’asporto delle merci che, secondo i criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario non risultano biodegradabili». Il successivo comma 1130 dispone altresì che: «Il programma di cui al comma 1129, definito con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, è finalizzato ad individuare le misure da introdurre progressivamente nell’ordinamento interno al fine di giungere al definitivo divieto, a decorrere dal 1° gennaio 2011, della commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l’asporto delle merci che non rispondano entro tale data, ai criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario». 5 Come si spiegherà più avanti, la disciplina italiana, recando il totale divieto di commercializzazione delle sporte di plastica, ne comporta il definitivo bando dal mercato nazionale. In Europa invece, gli unici sei stati che hanno adottato iniziative normative in questo settore (Belgio, Danimarca, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Romania), lo hanno fatto soltanto in modo indiretto attraverso misure di tassazione. 6 Ad oggi sono diciassette i Paesi che hanno vietato la commercializzazione delle buste di plastica (Bangladesh, Bhutan, Botswana, Brasile, Cina, Eritrea, Kenya, Macedonia, Papua Nuova Guinea, Ruanda, Somalia, Somaliland, Sud Africa, Taiwan, Tanzania, Togo, Uganda). Ad essi si affiancano città ed enti locali che hanno provveduto in maniera analoga sul territorio di loro competenza (si tratta, ad esempio, di Alaska, California, Hawaii, North Carolina, San Francisco, Buenos Aires, Città del Messico, Parigi, Corsica, Australian Capital Territory, Northern Territory, Delhi, Quebec, ecc.). A questi si aggiungono gli Stati, le città e le regioni autonome che, pur non avendo previsto la messa al bando totale degli shoppers non biodegradabili, li hanno sottoposti a forme di tassazione al fine di disincentivarne l’uso (solo a titolo esemplificativo si ricordino Hong Kong, Seattle, Toronto, Washington, Andalucia, Cantabria ecc). 128 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 dalla produzione e dalla dispersione delle buste di plastica non biodegradabile, con riferimento a tutte le matrici ambientali, alla fauna e alla salute dell’uomo. 7 Dai risultati scientifici è emerso che il nostro paese è esposto al problema sotto un duplice profilo: dal punto di vista geografico, poiché è situato al centro del Mar Mediterraneo, il cui tasso di inquinamento da plastica è particolarmente elevato, e da un punto di vista sociologico, poiché consolidate abitudini di 7 Le attività di ricerca scientifica è promossa da tempo dalle Nazioni Unite, nell’ambito dell’UnepUnited Nations Environmental Program ed è volta a valutare i fattori di rischio connessi all’immissione sul mercato delle buste di plastica non biodegradabile. Ne sono derivati una serie di importanti studi, molti dei quali hanno peraltro costituito il fondamento scientifico di normative analoghe a quella italiana, adottate da paesi non europei (in particolare il Kenya e l’Australia). Per un approfondimento dei risultati scientifici si vedano: UNEP, Unep Year Book, Emerging Issues in our global environment, 2011; UNEP Marine Litter: A Global Challenge, 2009, entrambi disponibili sul sito ufficiale www.unep.org; UNEP, Selection, design and implementation of economic instruments in the solid waste management sector in Kenya – the case of plastic bags, 2005; Dipartimento per l’Ambiente del Governo Australiano, Platic Shopping Bags – Analysis of Levis and Environmental Impact – Final report, 2002; Ecobilan PwC in collaborazione con Agence de Environment et de la Maitrise de l’Energie, Evaluation des impacts environmentaux des sacs de caisse Carrefour (Analyse du cycle de vie de sacs de caisse en plastique, papier et materiau biodegradable, 2005, studio realizzato su incarico della società Carrefour. Questi studi hanno rilevato che le buste di plastica costituiscono la seconda fonte di inquinamento dei mari per gravità, comportando non solo immaginabili conseguenze in termini di alterazione del paesaggio, ma anche e soprattutto gravissimi rischi per la fauna e dunque per l’equilibrio della biodiversità e degli ecosistemi marini. Molti animali, infatti, confondendo le buste con possibili prede (soprattutto gli animali che si cibano di plancton e di meduse), le ingeriscono rimanendone soffocati. In Italia, Legambiente e le Agenzie Regionali per l’Ambiente si sono impegnati nell’attività di analisi, producendo recenti studi sull’impatto ambientale delle buste di plastica non biodegradabile, nonché sull’analisi del loro ciclo di vita. Si possono a tal proposito ricordare: Il ciclo di vita del sacchetto per la spesa, studio pubblicato nell’agosto 2010 da Legambiente; L’impatto della plastica e dei sacchetti sull’ambiente marino, studio redatto da Arpa Emilia Romagna, Arpa Toscana e la struttura oceanografica Daphne II, e pubblicato il 9 marzo 2011. Tra i contributi che offrono un’analisi economica della questione, si possono citare: AA.VV, Study on the ban of plastic bags in China, in Journal of Sustainable Development, 2009; SHEILA KILLIAN, Revenue Services and Environmental Taxes: a Comparative Study of the Irish and South African Approaches to a Levy on Plastic Bags, in Social Science Research Network, 2005; F. CONVERY, S. MCDONNELL, S. FERREIRA, The most popular tax in Europe? Lessons from the Irish plastic bags levy, working paper 2007, University College of Dublin. 129 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 consumo hanno collocato l’Italia in vetta alla classifica dei paesi europei per utilizzo dei sacchetti di plastica usa e getta.8 Le evidenze scientifiche sono alla base di un percorso evolutivo che ha inciso in primo luogo sulla sensibilità e sulle abitudini degli individui, per poi manifestarsi a livello normativo. Non deve dunque sorprendere l’iniziativa del nostro legislatore, la quale tuttavia, per le sue numerose criticità formali, non ha mancato di generare problemi ed incertezze interpretative. L’intera vicenda è stata peraltro accompagnata da un acceso dibattito mediatico, sia in considerazione del fatto che il divieto rappresenta l’ennesimo episodio di conflittualità tra interessi economico-produttivi e interessi ambientali, entrambi essenziali per la collettività, sia perché esso non coinvolge solo i settori produttivi, ma ogni singolo individuo in qualità di consumatore, avendo ad oggetto un bene di uso quotidiano. Come spesso avviene, anche in questo caso l’incertezza normativa ha alimentato il contenzioso giudiziario 9, che nella specie ha avuto come protagonisti da un lato l’Associazione 8 Alcuni studi rivelano che in Italia si registra il più alto consumo annuale di imballaggi procapite di tutta Europa: circa 137 Kg per abitante contro la media europea di 74 Kg. Il 25% dei sacchetti di plastica prodotti in Europa sono utilizzati in Italia. Si tratta di circa 300 sacchetti di plastica a testa, per un totale di 20 miliardi di buste distribuite ogni anno nel nostro paese. Esse corrisponderebbero al consumo di 27 milioni di barili di petrolio ogni anno. Per un approfondimento sul tema si vedano le premesse al Protocollo d’intesa per il divieto di erogazione dei sacchetti non biodegradabili per l’asporto delle merci e degli alimenti, stipulato il 23 dicembre 2010 tra il Comune di Venezia e le associazioni dei consumatori presenti sul territorio comunale; la delibera del Consiglio Comunale di Torino del 5 luglio 2010, prot. n. 1476/048, con cui si è disposto il divieto di distribuzione di buste non biodegradabili ai consumatori; nonchè i due dossier Il ciclo di vita del sacchetto per la spesa e Cosa accade nel mondo?, redatti da Legambiente Onlus nell’agosto 2010, reperibili sul sito www.viviconstile.org. Inoltre non va dimenticato che il nostro paese, circondato dal mare, subisce più di altri le conseguenze gravissime in termini di inquinamento ambientale e alterazione degli habitat faunistici marini, derivanti dalla dispersione di rifiuti di plastica, in particolare delle buste. Per approfondimenti si rinvia allo studio L’impatto della plastica e dei sacchetti sull’ambiente marino, redatto da Arpa Emilia Romagna, Arpa Toscana e la struttura oceanografica Daphe II, e pubblicato in data 9 marzo 2011. I problemi arrecati alla fauna marina, incidendo sulla catena alimentare, non possono non ripercuotersi anche sulla salute dell’uomo. 9 Per uno sguardo più ampio al problema dell’inflazione normativa e dell’incertezza normativa tipica del nostro ordinamento giuridico, e sui costi, le inefficienze e l’incremento del contenzioso che ne deriva si vedano: A. NATALINI, G. TIBERI (a cura di), La tela di Penelope. Primo rapporto Astrid sulla semplificazione legislativa e burocratica, Il Mulino, Bologna, 2010; S. ROSSI, Controtempo. L’Italia nella crisi mondiale, Laterza, Bari, 2009; Camera dei deputati, Osservatorio sulla legislazione, Rapporto 2009 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea, Roma 2010. Per uno sguardo specifico alla complessità normativa in materia ambientale si vedano: M. RENNA, Semplificazione e ambiente, in Riv. giur. edilizia, 2008, I, p. 37; M. RENNA, Le semplificazioni amministrative (nel decreto legislativo n. 1252 del 2006), in Riv. giur. amb., 2009, 5, p. 649; M. RENNA, Funzioni e organizzazione, in G. ROSSI (a cura di), Diritto dell’ambiente, Giappichelli, Torino 2008. 130 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 rappresentativa della filiera produttiva della plastica (Unionplast), 10 dall’altro i Ministeri coinvolti dall’iniziativa legislativa (il Ministero dell’ambiente, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero delle politiche agricole e forestali), sostenuti nelle loro ragioni dall’intervento di Legambiente. La vicenda in esame, infatti, pur prendendo le mosse dall’impugnazione di due atti ministeriali, si è fin da subito mostrata un’ottima occasione per il giudice amministrativo per fare chiarezza sui profili essenziali del nuovo assetto normativo, sciogliendone, per quanto possibile, i nodi problematici. La questione, oltre che di grande attualità e rilevanza pratica, è interessante dal punto di vista teorico, poiché rispecchia alcune delle principali criticità che affliggono il settore ambientale, come il rapporto tra la potestà normativa nazionale e i vincoli derivanti dal diritto europeo, e fa intravedere il profilarsi di nuovi equilibri tra ambiente e mercato nel settore preso in considerazione. 2. L’iter normativo: il ruolo del programma sperimentale. L’operatività del divieto di commercializzazione dei cc.dd. shoppers non biodegradabili, formalizzato in legge fin dal 2006, era inizialmente prevista a decorrere dal 1° gennaio 2010, ovvero tre anni dopo l’iniziale manifestazione della voluntas legis. Durante tale periodo, per espressa previsione normativa, si sarebbe dovuto svolgere un programma sperimentale, da adottare con decreto ministeriale11, volto a consentire un graduale adeguamento del mercato all’entrata in vigore del divieto12. Successivamente, l’iniziale termine di vigenza veniva prorogato al 1° gennaio 2011 13, data in cui il divieto di commercializzazione degli shoppers in plastica non biodegradabile è definitivamente entrato in vigore. Durante questo periodo, tuttavia, il previsto programma sperimentale non è mai stato attuato, in quanto il decreto ministeriale che avrebbe dovuto recarne i tratti essenziali non è stato adottato. 10 Unionplast fa parte della Federazione Nazionale fra le Industrie della Gomma, Cavi Elettrici ed Affini e delle Industrie Trasformatrici di Materie Plastiche ed Affini, costituita il 21 luglio 2005, e aderente a Confindustria. Insieme ad Assogomma, Unionplast è una delle due associazioni costituite all’interno della federazione, rappresentative rispettivamente dei settori della produzione di manufatti in gomma e di manufatti in materie plastiche ed affini. 11 Il comma 1130, dell’art. 1, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 demandava la predisposizione del programma sperimentale ad un decreto concertato, da emanare entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della legge, di competenza del Ministro dello sviluppo economico, in concerto con il Ministero dell’ambiente ed il Ministero delle politiche agricole e forestali. 12 Ai sensi del comma 1130 dell’art. della Finanziaria per il 2007 il programma era finalizzato ad «individuare le misure da introdurre progressivamente nell’ordinamento interno al fine di giungere al definitivo divieto». 13 Cfr. art. 23, comma 21 novies del d.l. 1° luglio 2009, n. 78 (convertito con modificazioni in legge 3 agosto 2009, n. 102). 131 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Il primo profilo di indagine riguarda dunque i rapporti tra il programma sperimentale ed il divieto di fonte legislativa, al fine di comprendere quali siano le conseguenze della mancata adozione del primo. Una delle possibili ricostruzioni, quella proposta dalla ricorrente Unionplast, ravvisa nella mancata adozione del decreto ministeriale un ineliminabile ostacolo all’entrata in vigore del divieto, ritenendo quest’ultimo cronologicamente e logicamente subordinato all’emanazione del programma sperimentale e dunque vanificato dall’assenza di esso. Ciò in quanto il medesimo programma avrebbe dovuto orientare la fase transitoria, volta a raccogliere le informazioni necessarie per dare concretezza operativa ad un dettato normativo volutamente generico.14 Facendo riferimento alla norma, l’aver espressamente disposto, al comma 1130, che il programma sperimentale sia «finalizzato ad individuare le misure da introdurre progressivamente nell’ordinamento interno al fine di giungere al definitivo divieto, a decorrere dal 1° gennaio 2011, della commercializzazione dei sacchi non biodegradabili per l’asporto delle merci» rivelerebbe, sviluppando l’argomentazione della ricorrente, l’esistenza di un nesso di rigida consequenzialità tra il programma e l’entrata in vigore del divieto. Di diverso avviso si è invece mostrato il TAR, il quale ha affermato che il divieto è «definitivo» dal 1° gennaio 2011, ed è «previsto inequivocabilmente dalla legge» 15. L’interpretazione posta a sostegno di tali statuizioni appare, in vero, coerente sia con il tenore letterale, che con la ratio della legge, e dunque condivisibile. La lettera della norma sembra rivelare che il legislatore ha inteso perseguire una duplice finalità: quella, fondamentale, di eliminare dal commercio i sacchetti non biodegradabili, e quella, strumentale alla prima, di consentire al mercato un adeguamento graduale alla riforma. Ed infatti la norma prevede allo stesso tempo che «ai fini della riduzione delle emissioni… è avviato un programma sperimentale….» (comma 1129), e che «il programma è finalizzato….a giungere al definitivo divieto a decorrere dal 1° gennaio 2011 della commercializzazione dei sacchi non biodegradabili» (comma 1130). Le due previsioni sono rivolte a diversi destinatari: la prima, comportando un’attività autoritativa (ovvero l’adozione del programma sperimentale) è indirizzata alla pubblica amministrazione, la seconda, trattandosi di un divieto di commercializzazione di beni di ampio consumo, riguarda la generalità dei consociati ed è dunque immediatamente esecutiva. Tra le due disposizioni non pare 14 Aderendo a questa impostazione, la fase di sperimentazione avrebbe avuto lo scopo, presumibilmente, di permettere una valutazione ex ante dell’impatto dell’entrata in vigore del divieto sui singoli segmenti di mercato coinvolti, e di orientare dunque, attraverso successive specificazioni, la portata normativa del divieto. 15 In tal senso anche l’ordinanza del Consiglio di Stato, sopravvenuta in fase di scrittura della presente nota, conclusiva in appello della fase cautelare, afferma che «la perentorietà del termine indicato dall’art. 1, co. 1130, legge 26 dicembre 2006, n. 296» è tale da non far dubitare che il divieto operi «definitivamente e automaticamente». 132 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 sussistere alcun rapporto di subordinazione reciproca, ma semplicemente una diversa collocazione temporale di quanto ciascuna dispone. Dalla ratio della norma emerge altresì che l’obiettivo perseguito dal legislatore non è, evidentemente, la realizzazione di un programma sperimentale, ma la tutela dell’ambiente attraverso l’eliminazione dal mercato delle buste non biodegradabili. Nell’economia complessiva della riforma il programma sperimentale svolge un ruolo preparatorio e strumentale rispetto all’entrata in vigore divieto, senza tuttavia costituirne presupposto essenziale. Del resto a voler ritenere il contrario, due sarebbero le possibili interpretazioni della norma in esame. Da un lato potrebbe ritenersi che il mancato esercizio di un potere amministrativo (quello di emanare il decreto ministeriale recante il programma sperimentale) abbia avuto l’effetto di vanificare una previsione legislativa. Dall’altro sembrerebbe che il potere legislativo non si sia esaurito con l’emanazione delle disposizioni in esame, ma che il rinvio al decreto ministeriale sia stato dettato dall’esigenza di dare specificità ad un dettato normativo generico16 , conferendo così al programma sperimentale il carattere dell’innovatività, ovvero la forza tipica della legge di modificare «il sistema costituito dal complesso degli atti aventi forza di legge». 17 Entrambe le ipotesi risultano chiaramente in contrasto con il principio di legalità. E dunque sembra opportuno concordare con il Tribunale amministrativo nella misura in cui questo ha ritenuto che l’adozione del programma non sia stata concepita come “condizione” per l’adozione del divieto, dal momento che in quest’ultima ipotesi sarebbe stata necessaria un’espressa previsione di legge. Il far discendere la vigenza del divieto dalla necessaria emanazione di un programma sperimentale non consentirebbe inoltre di considerare che durante il periodo transitorio intercorrente tra il 2007 (in cui i due commi recanti il divieto sono entrati in vigore) e il 2011 (termine di decorrenza del divieto), gli operatori economici coinvolti avrebbero potuto orientare diversamente le proprie politiche aziendali, ad esempio mediante la conversione e l’adattamento dei propri sistemi produttivi, oppure localizzando all’estero il proprio mercato di riferimento, indipendentemente dall’esistenza di un programma sperimentale, ciò a conferma del carattere non essenziale dello stesso. 16 Taluni autori hanno definito con i termini di “fuga dal regolamento” il fenomeno del rinvio operato da fonti di rango legislativo a favore di decreti ministeriali di natura non regolamentare, al fine di fornire concretezza a disposizioni normative dal tenore generico. Parte della dottrina ha peraltro rilevato la censurabilità delle disposizioni legislative contenenti tali forme di rinvio, sotto il profilo dell’eccesso di potere. Sul punto v. G. TARLI BARBIERI, Il potere regolamentare del Governo (1996-2006), in Osservatorio sulle fonti, 2006, p. 183 ss.; G. TARLI BARBIERI, voce Regolamenti governativi e ministeriali, in Enc. giur. del Sole 24 ore, Bergamo, 2007, p. 206 ss.. 17 A. M. SANDULLI, Legge. Forza di legge. Valore di legge, in Riv. trim. dir. pubb., 1957, p. 269. 133 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Da ultimo va ricordato che a livello locale molti comuni, nell’ambito della propria autonomia, hanno adottato previsioni analoghe a quella di legge per i territori di loro competenza18 già prima dell’entrata in vigore del divieto, rivelando così l’esistenza di un sentire comune favorevole alla riforma, ed in un certo senso raggiungendo per altre vie lo stesso scopo perseguito dal legislatore con la previsione di un programma sperimentale. 3. La nuova disciplina sugli shoppers e la libera circolazione degli imballaggi Superato questo primo ordine di questioni, emerge quello relativo al rapporto tra esigenze di tutela ambientale da un lato e garanzia della concorrenzialità del mercato e delle libera circolazione delle merci dall’altro 19. 18 Ad oggi i comuni che hanno già applicato il divieto di distribuzione dei sacchetti di plastica o che hanno avviato iniziative per disincentivarne l’uso, sono più di 135, come è possibile leggere nel sito istituzionale del Comune di Venezia, uno dei più attivi nella promozione dell’iniziativa “Porta la Sporta”, avviata dall’associazione “Comuni Virtuosi” per incentivare l’uso della sporta di tela, in sostituzione delle buste di plastica monouso (http://www.comune.venezia.it/flex/cm/pages/ ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/41178). A livello giurisprudenziale si veda: Pret. Cortona, 22 novembre 1988, in Foro it., 1989, I, p. 1999. Sulla competenza dei comuni ad intervenire normativamente nel settore dei rifiuti si veda: V. CIGNANO, La potestà regolamentare del Comune in materia di rifiuti e il principio di proporzionalità, in Foro amm.-TAR, 2008, 12, p. 3287. 19 Per una completa analisi del rapporto tra ambiente e mercato si vedano: M. CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente come sistema complesso, adattativo, comune, Giappichelli, Torino, 2007; M. CAFAGNO, Mercato e ambiente, in M. P. CHITI-R. URSI (a cura di), Principi Studi sul codice dell’ambiente, Giappichelli, Torino, 2009, p. 53; ID., Strumenti di mercato a tutela dell’ambiente, in G. ROSSI (a cura di), Diritto dell’ambiente, Torino, 2008; F. DE LEONARDIS, La disciplina dell’ambiente tra Unione europea e WTO, in Dir. amm., 3, 2004; M. CLARICH, La tutela dell’ambiente attraverso il mercato, relazione al convegno dell’Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo dell’anno 2006, tenutasi a Venezia in tema di Analisi economica e diritto amministrativo, pubblicata in Annuario AIPDA 2006, Giuffrè, Milano, 2007, p. 103; E. GERELLI-A. MAJOCCHI-G. PANELLA-V. PATRIZII, Mercato unico e ambiente. Contrasto o compatibilità?, Milano, 1993; U. MATTEI-F. PULITINI (a cura di), Consumatore, ambiente, concorrenza. Analisi economica del diritto, Giuffrè, Milano,1994. 134 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Ed infatti, come è noto, gli artt. 26, 29, 20 34 e 35 21 del TFUE stabiliscono il principio generale di libera circolazione delle merci su tutto il territorio dell’Unione, ai fini della realizzazione di un mercato unico senza frontiere. Dunque qualsiasi normativa di uno Stato nazionale che vieti la circolazione di un determinato bene o abbia effetto equivalente ad una restrizione della concorrenza22 risulta illegittima per violazione di tale principio. Ciò varrebbe ancor più per quei beni, come quello di cui si discute, per i quali il principio di libera circolazione viene previsto espressamente dalla normativa di settore: l’art. 18 della direttiva 94/62/CE in materia di imballaggi prevede infatti che «gli Stati membri non possono ostacolare l’immissione sul mercato nel loro territorio di imballaggi conformi alle disposizioni della presente direttiva». Analogamente, a livello nazionale l’art. 217 del d.lgs. 152/2006 indica tra gli obiettivi della disciplina degli imballaggi sia la tutela dell’ambiente, che il funzionamento del mercato, al fine di «evitare discriminazioni nei confronti dei prodotti importati, prevenire l’insorgere di ostacoli agli scambi e distorsioni alla concorrenza». E che le buste per l’asporto delle merci appartengano alla categoria degli imballaggi viene dedotto dall’analisi della normativa e della giurisprudenza che su di esse si sono formate. Ai sensi dell’art. 3 della direttiva 94/62/CE, sono imballaggi «tutti i prodotti composti di materiali di qualsiasi natura, adibiti a contenere e a proteggere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o all’utilizzatore, e ad assicurare la loro presentazione». Essi si suddividono ulteriormente in tre categorie, in base alla funzione svolta: gli imballaggi per la vendita, inscindibili dal prodotto venduto; gli imballaggi multipli, che servono a 20 L’art. 26 del TFUE (ex art. 14 del TCE), è la disposizione di apertura del titolo dedicato alla disciplina del mercato interno nell’ambito delle politiche dell’Unione. Esso dispone, al secondo paragrafo che: «il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci (…) secondo le disposizioni dei trattati». L’art. 29 del TFUE (ex art. 24 del TCE), dando concretezza al principio di libera circolazione delle merci, specifica che «sono considerati in libera pratica in uno Stato membro i prodotti provenienti da Paesi terzi per i quali siano state adempiute in tale Stato le formalità di importazione e riscossi i dazi doganali e le tasse di effetto equivalente esigibili e che non abbiano beneficiato di un ristorno totale o parziale di tali dazi e tasse». 21 Gli artt. 34 e 35 del TFUE (ex artt. 28 e 29 del TCE), contengono la disciplina in materia di divieto delle restrizioni quantitative alla libera circolazione delle merci tra gli stati membri, dando dunque ulteriore specificazione ai principi di cui agli artt. 28 e 29 del TFUE. Come si può leggere negli stessi articoli «sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente» (art. 34 TFUE); «sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’esportazione e qualsiasi misura di effetto equivalente» (art. 35 TFUE). 22 Sulla definizione di misure ad effetto equivalente è più volte intervenuta la Corte di Giustizia in funzione chiarificatrice di quanto già previsto normativamente dall’art. 34 TFUE. Si vedano la sentenza Dassonville, Corte giust. CE, 11 luglio 1974, C-8/74. 135 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 raggruppare un certo numero di unità di vendita, da cui rimangono però separabili; gli imballaggi per il trasporto, finalizzati a consentire il semplice trasporto di un certo numero di unità di vendita. Gli shoppers risulterebbero inseriti in quest’ultima categoria, secondo quanto previsto dagli esempi illustrativi forniti dall’allegato I della direttiva, tra i quali figurano «i sacchetti o borse di carta o di plastica» 23. In tal senso si è orientata la giurisprudenza della Corte di Giustizia, che nella sentenza Plato Plastik24 si è espressa nei seguenti termini: «i sacchetti di plastica con manici, consegnati gratuitamente o a titolo oneroso a un cliente in un negozio, costituiscono imballaggi ai sensi della direttiva. Infatti, essendo destinati ad essere riempiti con le merci acquistate dal cliente medesimo ed essendo concepiti in modo da facilitare il trasporto delle unità di vendita al fine di evitare la loro manipolazione fisica e i danni connessi al loro trasporto, tali sacchetti rispondono ai due requisiti previsti all’art. 3, punto 1, della direttiva». Dal momento che le buste per l’asporto delle merci oggetto della recente riforma, sono da ritenere imballaggi, e quindi ricadono nell’ambito di applicazione delle norme specificamente previste per questa categoria di merci, si pone il quesito della compatibilità tra i due regimi normativi, alla luce del fatto che, mentre la nuova disciplina sugli shoppers differenzia la sua operatività a seconda del materiale di produzione utilizzato per la realizzazione delle buste, la direttiva 98/62/CE, al contrario, sancisce espressamente la libera circolazione di tutti gli imballaggi, che, come recita l’art. 3, possono essere «composti di materiali di qualsiasi natura». Sebbene il TAR non si sia pronunciato sulla compatibilità del divieto di commercializzare gli shoppers non biodegradabili con i principi europei in materia di libera circolazione delle merci, ed in particolare con la direttiva 94/62/CE, 23 Per una ricostruzione del tema della gestione degli imballaggi si vedano: M. BELLAVISTA, Gestione degli imballaggi. Brevi note su alcuni aspetti problematici presenti nel titolo II del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, in Nuova Rass. leg. dott e giur., 1997, 17, p. 1722; T. MAROCCO, Prospettive del riciclaggio degli imballaggi: il ruolo del Consorzio nazionale imballaggi (CONAI), in Riv. giur. ambiente, 1999, p. 1007; M. PERNICE, La gestione dei rifiuti di imballaggi: il Consorzio nazionale imballaggi e i consorzi di filiera, in Le istituzioni del federalismo, 1999, 1, p. 101; A. GRATANI, Il “riciclaggio dei rifiuti da imballaggio” è una forma di recupero. La Corte ne definisce la nozione e precisa il recupero energetico tramite rifiuti, in Riv. giur. ambiente, 2003, p. 988; ID., L’istituzione dei sistemi nazionali di recupero di imballaggi monouso o “c.d. a perdere” e tutela ambientale, in Riv. giur. ambiente, 2005, 2, p. 277; S. R. CERRUTO, La disciplina giuridica degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, in Riv. giur. ambiente, 2009, 01, p. 79. 24 Sentenza Plato Plastik Robert Frank GmbH c. Caropack Handelsgellschaft mbH, Corte giust. CE, 29 aprile 2004, C-341/01, in Riv. giur. ambiente, 2005, 2, 278, con nota di A. GRATANI, L’istituzione di sistemi nazionali di recupero di imballaggi monouso o c.d. a perdere e la tutela ambientale. Sull’inclusione delle buste per l’asporto delle merci nella più ampia categoria degli imballaggi si è pronunciata anche la dottrina, allineandosi alla pronuncia della Corte di Giustizia; sul punto v.: GRATANI, Gli shoppers sono rifiuti di imballaggi ai sensi della normativa comunitaria, in Riv. giur. ambiente, 2005, 2, p. 269. 136 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 nonché con le previsioni del nostro codice dell’ambiente dedicate agli imballaggi, sono opportune alcune considerazioni su tale aspetto. Aderendo ad un’interpretazione letterale delle norme, appare evidente che il divieto di commercializzazione di una tipologia di imballaggi, ovvero le buste, che siano stati prodotti con materiali non biodegradabili, si pone in contrasto inconciliabile con l’opposto divieto di ostacolare la libera circolazione di tutti gli imballaggi, di qualsiasi materiale essi siano composti. Se però si allarga lo sguardo all’intero contesto normativo, offrendo alle norme un’interpretazione evolutiva e sistematica25 , se ne può dedurre la rispondenza della nuova disciplina ai valori e agli obiettivi dell’Unione Europea, nonché la coerenza con la recente riforma in materia di rifiuti e con gli impegni in tema di inquinamento atmosferico assunti dall’Europa a livello internazionale. Sotto il primo profilo, occorre ricordare che l’art. 36 del TFUE (ex art. 30 del TCE), introduce una deroga ai divieto di restrizioni quantitative alle importazioni per quelle misure giustificate, tra le altre, da esigenze di «tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali», a condizione che esse non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata del commercio tra stati. 26 Dunque, se è vero che le deroghe al divieto di restrizioni alla concorrenza sono ammesse qualora si tratti di tutelare la salute dell’uomo o degli animali, la disciplina recentemente introdotta in Italia, alla luce dei dati scientifici di cui si è dato conto, dovrebbe collocarsi tra le ipotesi derogatorie, prevalendo sulle esigenze di mercato. Peraltro la Corte di Giustizia, che in più occasioni ha riconosciuto all’ambiente la qualifica di “esigenza imperativa”,27 quand’anche in conflitto col mercato, nel caso Enichem c. Cinisello Balsamo del 1989, si è già pronunciata nel senso della legittimità della decisione adottata dal sindaco di un comune italiano (per l’appunto quello di Cinisello Balsamo), con cui si vietava l’uso delle buste non 25 Sull’importanza dell’interpretazione teleologica, al fine di tener conto del carattere evolutivo del diritto comunitario, si rinvia a B.BEUTLER-R. BIEBER-J. PIPKORN-J. STREIL-J.H.H. WEILER, L'Unione europea. Istituzioni, ordinamento e politiche, ed. it. V. BIAGIOTTI-J.H.H. WEILER (a cura di), Il Mulino, Bologna, 1998, 306. 26 Copiosa è la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, che ha contribuito a delineare gli specifici confini di tale definizione normativa. In particolare si possono citare il caso Commissione c. Regno di Danimarca, sentenza Corte giust. CE, 20 settembre 1988, C-302/86, in cui la Corte ha ravvisato nell’esigenza di rispondere ad esigenze imperative di rango comunitario il presupposto di ammissibilità di ogni disciplina restrittiva della concorrenza, e nella proporzionalità della misura rispetto al fine perseguito il limite di ogni limitazione della concorrenza; Corte giust. CE, 11 luglio 1974, C-8/74, Procureur du Roi v Benoît and Gustave Dassonville, in Dir. comm. internaz. 2009, 1, p. 160, con nota di M. Melloni; Corte giust. CE, 1 giugno 1994, C-317/92, Commissione c. Repubblica federale di Germania. 27 Sul punto v. Corte giust. CE, 7 febbraio 1985, C-240/83, Oli usati; Corte giust. CE, 20 settembre 1988, C-302/86, Commissione c. Danimarca; Corte giust. CE, 9 luglio 1993, C-2/90, Commissione c. Belgio. 137 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 biodegradabili nel territorio di competenza al fine di proteggere l’ambiente 28. In questa occasione, la Corte chiarì che l’assenza, nella direttiva 75/442 (in materia di rifiuti) di un divieto analogo a quello imposto a livello comunale, non costituiva impedimento alcuno ad intervenire con previsioni più restrittive del mercato in funzione di protezione ambientale.29 Del resto lo stesso art. 193 del TFUE (ex art. 176 del TCE) stabilisce che «i provvedimenti di protezione adottati in virtù dell’art. 192 non impediscono ai singoli Stati membri di mantenere e di prendere provvedimenti per una protezione ancora maggiore».30 Se ciò può dirsi per la disciplina generale in materia di circolazione delle merci, non può che valere analogamente anche per quella peculiare tipologia di merci che sono gli imballaggi. A tale proposito l’art. 4 della direttiva 94/62/CE prevede che «gli Stati membri provvedono a che, oltre alle misure di prevenzione della formazione dei rifiuti di imballaggio adottate conformemente all’art. 9, siano adottate altre misure preventive» specificando che esse possono consistere in «programmi nazionali, o in azioni analoghe (…) volti a riunire e sfruttare le molteplici iniziative prese sul territorio degli Stati membri nel settore della prevenzione». Peraltro va considerato che l’esigenza ambientale, che ormai da tempo viene riconosciuta come idonea a imporre il sacrifico delle finalità economiche, sul finire del 2009 ha assunto il rango di diritto fondamentale, vincolante per ogni istituzione e stato membro. Infatti, non solo il Trattato contiene disposizioni specificamente dedicate all’ambiente (artt. 191-193 del TUE31), ma l’art. 3 del TUE, così come modificato 28 Corte giust. CE, 13 luglio 1989, C-380/87, Enichem c. Cinisello Balsamo, in TAR, 1988, I, p. 133. 29 Nella sentenza, al paragrafo 8, si può leggere che «Una diversa interpretazione non troverebbe fondamento nella lettera della direttiva, e sarebbe d’altra parte, in contrasto con gli obiettivi di essa. Infatti, risulta dall’art. 3 della direttiva che questa è diretta, tra l’altro, a favorire le misure nazionali atte a prevenire la formazioni di rifiuti. Orbene, la limitazione o il divieto di vendita o di utilizzazione di prodotti quali i contenitori non biodegradabili sono idonei a contribuire a tale obiettivo». 30 In tal senso si veda la sentenza della Corte giustizia del 20 maggio 1992, in -290/90, Commissione c. Germania; Corte giust. CE, 10 novembre 1982, C-261/81. 31 Si tratta dei vecchi artt. 174-176 del TUE, in cui vengono enunciati gli obiettivi della politica dell’Unione in materia di ambiente, i principi essenziali a cui essa deve ispirarsi, il ruolo specifico svolto a tal fine dalle istituzioni europee e dagli stati membri (art. 191 TFUE), le procedure decisionali previste a livello europeo (art. 192 TFUE) ed i margini di potestà normativa degli stati membri nei settori ambientali pur coperti da una disciplina europea (art. 193 TFUE). 138 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 dal Trattato di Lisbona32, pone come obiettivi dell’Unione europea, collocati sullo stesso piano, l’instaurazione del mercato unico interno, e l’esigenza di perseguire uno sviluppo sostenibile basato anche su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. In tal modo giunge ad ulteriore rafforzamento il percorso di valorizzazione dell’interesse ambientale, iniziato a livello giurisprudenziale, e che già aveva avuto un importante traguardo nell’inserimento, ad opera del Trattato di Amsterdam, dell’art. 6 nel TUE (attuale art. 11 del TUE) con cui si è resa obbligatoria l’integrazione dell’interesse ambientale in tutte le politiche comunitarie. Peraltro l’art. 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea33, a cui il Trattato di Lisbona ha conferito la stessa vincolatività delle norme dei Trattati, è appositamente dedicato alla tutela dell’ambiente e dispone che «un livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell'Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile». Dunque il nuovo contesto europeo, modificato dall’entrata in vigore nel 2009 del Trattato di Lisbona, conferisce un più solido fondamento alla disciplina in esame. 4. Segue: La nuova disciplina sugli shoppers, gli obiettivi di riduzione delle emissioni atmosferiche e la gestione dei rifiuti L’accenno al principio dello sviluppo sostenibile, con cui si è chiuso il paragrafo precedente, permette di allargare lo sguardo a un ulteriore profilo di indagine, da cui discende la rispondenza della nuova disciplina anche alle previsioni in materia di rifiuti e di inquinamento atmosferico. Come rivelano gli studi scientifici, sebbene la plastica, come materia prima, abbia un costo assai minore rispetto alle cc.dd. bioplastiche, a un’analisi complessiva dell’intero ciclo di vita del bene, essa ha un costo finale assai maggiore 34. Trattandosi di un materiale derivato dal petrolio, non solo il suo utilizzo comporta costi di importazione non indifferenti, ma la natura fossile del 32 Il Trattato di Lisbona è entrato in vigore il 1° dicembre 2009, comportando alcune modifiche sostanziali all’assetto europeo, tra le quali la riduzione ad unità del dualismo di Comunità ed Unione, oggi unificate nella seconda, dotata di personalità giuridica. I Trattati sono stati inoltre distinti in Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), erede del TCE, e Trattato sull’Unione Europa, in continuità col precedente TUE. 33 Per approfondimenti si rinvia a: G. PISTORIO, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Effettività versus efficacia, e L. S. ROSSI, Il rapporto fra Trattato di Lisbona e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in G. BRONZINI-F. GUARIELLO-V. PICCONE (a cura di), La scommessa dell’Europa: diritti, istituzioni, politiche, Ediesse, Roma, 2009. 34 Si veda sul punto The use of LCAs on plastic bags in an IPP context – report, studio redatto da Eurocommerce-Environment e Logistics nel 2004. 139 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 combustibile usato come materia prima rende la plastica totalmente difforme dai dettami del principio di sviluppo sostenibile, secondo cui l’utilizzo delle risorse attualmente disponibili, non deve pregiudicare la possibilità per le generazioni future di soddisfare analogamente i propri bisogni.35 Dunque il favor normativo per le bioplastiche, realizzate con la lavorazione di amidi e oli vegetali, si pone in sintonia con tale principio e con le disposizioni che ne impongono il rispetto. Infine i processi di lavorazione chimico-industriali necessari per la realizzazione della plastica comportano l’immissione in atmosfera di grandi quantità di Co2,36 diversamente da quanto avviene nella lavorazione delle bioplastiche. Tale obiettivo conferisce alla norma anche una funzione strategica con riferimento agli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti, di cui all’art. 5 del sesto programma di azione per l’ambiente 37 in materia di riduzione delle emissioni climalteranti, ed ancor più con quelli assunti a livello internazionale con 35 Per una completa ricostruzione del principio dello sviluppo sostenibile si rinvia a F. FRACCHIA, Lo sviluppo sostenibile, Editoriale Scientifica, Napoli, 2010. Ulteriori informazioni sul principio dello sviluppo sostenibile si possono rinvenire in: N. OLIVETTI RASON, in AA. VV., Diritto dell’ambiente, Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 12 ss; R. FERRARA, I principi comunitari della tutela dell’ambiente, in R. FERRARA (a cura di) La tutela dell’ambiente, Giappichelli, Torino, 2006; H.E. DALY, Oltre la crescita. L’economia dello sviluppo sostenibile, Einaudi, Milano, 2001. 36 In termini di inquinamento atmosferico si è registrato che ogni sacchetto di plastica determina l’immissione in atmosfera di 2,109 kg di Co2. (cfr. Platic Shopping Bags – Analysis of Levis and Environmental Impact – Final report, 2002), mentre l’immissione annuale registrata è di 200.000 tonnellate di Co2 (cfr. Ordinanza n. 170 del 26 agosto 2010 del Comune di Santa Maria Capua Vetere). 37 Si tratta della decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, adottata il 22 luglio 2002, in GUCE L 242 del 10 settembre 2002, con cui sono state definite le politiche comunitarie valide per il periodo compreso tra il 22 luglio 2002 e il 21 luglio 2012. Per una ricostruzione della genesi dei programmi comunitari in materia ambientale si veda: L. KRÄMER, Manuale di diritto comunitario per l’ambiente, Giuffrè, Milano, 2002. 140 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 il Protocollo di Kyoto 38, confermati a Copenaghen39 e rafforzati con il recente accordo di Cancun.40 In tal senso appare decisivo l’incipit del comma 1129, che pone come scopo ultimo del divieto di commercializzazione degli shoppers non biodegradabili, la «riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, di rafforzamento della protezione ambientale e di sostegno alle filiere agro-industriali nel campo dei biomateriali». Da ultimo, anche le modifiche recentemente apportate dal d.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 al nostro codice dell’ambiente, in recepimento della direttiva 2008/98/ CE in materia di rifiuti, hanno contribuito a conferire maggiore solidità al divieto di commercializzazione delle buste non biodegradabili. Tale direttiva prevede una gerarchia di rifiuti, da applicare «quale ordine di priorità della normativa e della politica in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti» (art. 4, par. 1). Il vertice di tale gerarchia dei rifiuti è rappresentato dall’attività di prevenzione, volta ad impedire la stessa formazione dei rifiuti, eliminando così ab initio ogni problema di successiva gestione e individuando nell’attività di smaltimento l’extrema ratio. L’inasprimento della responsabilità estesa del produttore (art. 8), induce a porre l’attenzione sugli stessi processi produttivi, al fine di garantire l’ingresso sul mercato di beni più facilmente gestibili nel momento in cui diventino rifiuti. Il secondo paragrafo dell’art. 8 della direttiva dispone infatti che «gli Stati membri possono adottare misure appropriate per 38 Per un esame più approfondito del Protocollo di Kyoto, si vedano: L. MASSAI, L’applicazione del Protocollo di Kyoto e il dibattito sulla fase post-Kyoto, in Riv. giur. ambiente, 2006, 5, p. 769; S. DE ANGELIS, L’attuazione del protocollo di Kyoto nel diritto interno, in M. CARLI (a cura di) Governance ambientale e politiche normative: l’attuazione del Protocollo di Kyoto, Il Mulino, Bologna, 2008; M. D’AURIA, L’emission trading e la negoziazione policentrica, in S. CASSESE-M. CONTICELLI (a cura di), Diritto e amministrazioni nello spazio giuridico globale, Milano, 2006; M. CECCHETTI, Governance ambientale e attuazione del Protocollo di Kyoto: priorità e linee guida per l’elaborazione di nuove politiche normative, in M. CARLI (a cura di) Governance ambientale e politiche normative: l’attuazione del Protocollo di Kyoto, cit.. 39 A Copenhagen si è svolta, dal 7 al 18 dicembre 2009, la quindicesima Conference of the Parties (COP15), per discutere del futuro del Protocollo di Kyoto in vista della sua scadenza, prevista per il 2012. Il Copenhagen Accord, che rappresenta l’esito dei lavori, è tuttavia un documento privo di disposizioni vincolanti. Sul tema si rinvia al commento di M. D’AURIA, Il Copenhagen Accord: un passaggio interlocutorio verso l’assunzione di responsabilità “globali”, nel precedente numero di questa Rivista. 40 La sedicesima Conference of the Parties (COP16) delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, si è svolta nel dicembre 2010 nella città messicana di Cancun ed ha condotto ad un accordo, con cui sono stati aggiornati (in termini maggiormente rigorosi) gli obiettivi individuati a Kyoto, al fine di scongiurare il previsto innalzamento di 2 gradi della temperatura del pianeta. Le misure decise per ridurre le emissioni atmosferiche passano attraverso l’istituzione di un Fondo Verde Climatico Globale, la creazione di un nuovo sistema per la diffusione di tecnologie rispettose del clima e per ridurre le emissioni causate dalla deforestazione. Si è in tal modo scongiurata la reale minaccia di un definitivo stallo della trattativa internazionale sui cambiamenti climatici, rimasta in sospeso dopo gli esiti deludenti del vertice di Copenaghen del 2009. 141 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 incoraggiare la progettazione dei prodotti volta a ridurre i loro impatti ambientali e la produzione di rifiuti durante la produzione e il successivo utilizzo dei prodotti e ad assicurare che il recupero e lo smaltimento dei prodotti che sono diventati rifiuti avvengano in conformità agli artt. 4 e 13». E lo stesso art. 219 in materia di imballaggi dispone «l’incentivazione e la promozione della prevenzione alla fonte della quantità e della pericolosità nella fabbricazione degli imballaggi e dei rifiuti da imballaggio, soprattutto attraverso iniziative anche di natura economica, in conformità ai principi del diritto comunitario, volta a promuovere lo sviluppo di tecnologie pulite e a ridurre a monte la produzione e l’utilizzazione di imballaggi, nonché a favorire la produzione di imballaggi riutilizzabili e il loro concreto utilizzo». La nuova disciplina favorisce la produzione delle buste in materiali biodegradabili, consentendo una più facile gestione degli imballaggi fin dalla loro immissione sul mercato, in quanto i materiali biodegradabili non necessitano di smaltimento, ma sono sottoposti ad un processo di compostaggio, che ne accelera i normali tempi di biodegradazione, trasformando le materie bioplastiche in compost, riutilizzabile come di fertilizzante. Le buste biodegradabili sono dunque in grado di essere gestite, in qualità di rifiuto, senza alcun impatto inquinante con l’ambiente. Questo loro ruolo risulta oggi ulteriormente valorizzato dalla previsione dell’art. 182 ter del d.lgs. 152/2006 41, ai sensi del quale «La raccolta separata dei rifiuti organici deve essere effettuata con contenitori a svuotamento riutilizzabili o con sacchetti compostabili certificati a norma UNI EN 13432-2002». Il divieto di commercializzazione delle buste non biodegradabili consente dunque di conformarsi anche alle previsioni europee in materia di rifiuti medio tempore intervenute, in quanto garantisce che gli impianti di compostaggio della frazione umida, raccolta separatamente per obbligo di legge, producano un compost di qualità, non alterato dalla presenza di materiali plastici, come spesso invece è avvenuto fino ad oggi. 5. Omessa notifica alla Commissione europea: i confini incerti della regola tecnica. Occorre infine analizzare un ultimo profilo di criticità, su cui il TAR non si è pronunciato, e che rimane, allo stato attuale, ancora non del tutto risolto. Si tratta della mancata notifica della norma alla Commissione europea, come la direttiva 98/34/CE del 22 giugno 1998 prevede con riferimento ai progetti nazionali di norme tecniche. Qualora si ritenesse, infatti, che la norma in commento presenti i requisiti della regola tecnica, la mancata notificazione del relativo progetto ne determinerebbe l’illegittimità, e la possibile attivazione di una procedura di 41 Disposizione introdotta dal d.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205. 142 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 infrazione nei confronti del nostro paese42 . A tale quadro normativo deve aggiungersi un ultimo tassello, ovvero l’avvenuta notifica alla Commissione, in data 5 aprile 2011, di un nuovo progetto normativo dal tenore particolarmente dettagliato, avente il duplice obiettivo di fornire specificità al divieto entrato in vigore il 1° gennaio, e rimediare ex ante all’eventuale profilo di irregolarità che, come detto, potrebbe dar luogo ad una procedura di infrazione a livello europeo. Ai sensi della direttiva 98/34/CE, modificata dalla direttiva 98/48/CE, per regola tecnica43 deve intendersi ogni «specificazione tecnica o altro requisito, (…) comprese le relative disposizioni amministrative che ad esse si applicano, la cui osservanza sia obbligatoria de iure o de facto per la commercializzazione (…) o l’utilizzo degli stessi in uno stato membro (…), nonché le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli stati membri (…) che vietano la fabbricazione, l’importazione, la commercializzazione o l’utilizzo di un prodotto 44». La notificazione di tali regole tecniche è volta a permettere alla Commissione di effettuare un controllo preventivo su quei progetti normativi nazionali idonei ad introdurre limitazioni alla concorrenza e alla libera circolazione delle merci e dei servizi. L’inadempimento a tali obblighi di notifica da parte dello 42 A tale proposito va precisato che l’Unione europea ha avviato nei confronti del nostro paese una procedura pilota al fine di accertare in via interlocutoria la sussistenza di un eventuale inadempimento. La modalità di indagine del cd. EuPilot permette infatti agli organi dell’Unione di svolgere indagini istruttorie e di porre rimedio informalmente alla discrasia tra il diritto nazionale e il diritto europeo, avviando una procedura di infrazione soltanto quando l’eventuale accertata divergenza tra i due livelli normativi risulti irrimediabile dallo stato coinvolto. L’EuPilot non è dunque, una procedura di infrazione, ma una vera e propria modalità di lavoro congiunto tra organi nazionali e comunitari, volto a risolvere i problemi di compatibilità delle normative statali con il diritto comunitario fin dal loro insorgere, evitando così l’attivazione della procedura di infrazione. L’introduzione di questa forma di coordinamento è da rinvenire nella comunicazione Un’Europa dei risultati, COM(2007) 502. Il progetto, denominato "EU Pilot", è operativo dalla metà di aprile 2008 con quindici Stati membri volontari partecipanti: Austria, Danimarca, Germania, Finlandia, Irlanda, Italia, Lituania, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Repubblica ceca, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria. 43 Per una chiarificazione in materia di veda il contributo di L. PRUDENZANO, Sull’interpretazione funzionale degli obblighi di comunicazione di regole tecniche, in Giust. civ., 2010, 10, p. 2108. 44 Tale definizione è stata inoltre specificata dall’attività interpretativa della Corte di Giustizia, secondo cui si deve trattare di «specificazioni che definiscono le caratteristiche dei prodotti» e che siano in grado di produrre effetti giuridici propri. Si vedano a tale proposito la sentenza Corte giust. CE, 30 aprile 1996, C-194/94, Cia Security International c. Securitel, e Corte giust. CE, 1° giugno 1994, C-317/92, Commissione c. Germania; Corte giust. CE, 16 giugno 1998, C-226/97, Lemmens; Corte giust. CE, 8 settembre 2005, C-303/04, Lidl Italia, in Dir. comunitario e scambi internaz., 2007, 3, p. 533, con nota di D. PISANELLO, Applicazione della sentenza Lidl Italia all’interno degli Stati membri: legislazione interna e normativa comunitaria a confronto. 143 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 stato avrebbe come conseguenza l’inefficacia della norma, come chiarito dalla Corte di Giustizia.45 V’è però da dire che l’ultimo periodo dell’art. 1 della direttiva 98/34/CE esonera da tale obbligo di notifica le misure che siano ritenute necessarie dallo stato membro per «garantire la protezione delle persone (…), in occasione dell’impiego di prodotti a condizione che tali misure non influiscano sui prodotti stessi». Sembrerebbe dunque, che le stesse esigenze di tutela che nei trattati consentono la deroga rispetto al generale divieto di restrizioni alla concorrenza, comportino anche la deroga all’obbligo di notifica delle misure restrittive. Le ipotesi che si profilano con riferimento alla disciplina in esame sono essenzialmente due. Si potrebbe ritenere che la norma italiana sia una regola tecnica, in quanto prescrive il carattere della biodegradabilità per determinati beni, come condizione alla loro commercializzabilità, vietando al tempo stesso l’immissione sul mercato di quelli che ne siano privi. In tal caso la mancata notifica della nostra normativa ne causerebbe l’illegittimità, la disapplicabilità, oltre alla possibilità di subire una procedura di infrazione in sede europea. La ricorrente Unionplast, che prospetta questa ricostruzione, ricorda altresì che in un caso analogo verificatosi nel 2006, la Francia ha notificato alla Commissione europea una proposta di decreto sulla messa al bando delle sportine monouso non biodegradabili. Da ciò dovrebbe dedursi che analoga notifica sarebbe stata necessaria anche da parte del legislatore italiano. Occorre però distinguere i due casi, in quanto la norma francese conteneva il richiamo a specifici parametri e standard tecnici da rispettare, prospettando altresì conseguenze sanzionatorie per la loro inosservanza. 46 A ben vedere la disciplina italiana non solo è priva di alcuna indicazione di dettaglio che permetta di definire puntualmente le merci oggetto del divieto nella loro composizione organica, ma non prospetta alcuna conseguenza sanzionatoria per la sua stessa violazione. Al contrario, il nuovo progetto normativo si presenta molto più simile a quello francese di quanto non lo siano le disposizioni formulate nel 2006 ed entrate in vigore il 1° gennaio 2011. Analizzando le differenze tra i due testi normativi italiani (quello contenuto nella legge 296/2006 e quello di recente redazione), è possibile comprendere come soltanto il secondo presenti i caratteri della regola tecnica, e come tale sia stato correttamente notificato. 45 Sentenza della Corte di Giustizia, 30 aprile 1996, C-194/94, CIA Security Service c. Securitel. 46 La norma prevedeva il divieto di distribuzione, sia gratuita che a pagamento, al consumatore finale delle buste di plastica secondo la definizione delle stesse data dallo standard NF EN 13429. «Lo stesso inoltre determina le condizioni per verificare la biodegradabilità delle borse che possono essere immesse sul mercato, cioè buste che abbiano i requisiti di biodegradabilità richiesti dallo standard NF EN 13432 o qualsiasi altro sandard che impone un equivalente livello di biodegradabilità. Il mancato rispetto del divieto previsto dallo schema di decreto dovrà essere punito con una sanzione di terza classe». 144 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 In primo luogo, esso reca il riferimento allo standard Uni En 13432:2002, che descrive non solo il requisito della biodegradabilità, ma anche quello della compostabilità47, stringendo ulteriormente la portata applicativa del divieto normativo. 48 In secondo luogo, il nuovo progetto di legge precisa gli specifici parametri dimensionali e di spessore richiesti ai sacchetti distribuiti sul mercato, al fine di garantirne la riutilizzabilità nel tempo 49, e totalmente assenti nelle disposizioni normative del 2006. Infine il nuovo testo reca l’espressa previsione di conseguenze sanzionatorie (pecuniarie) per l’ipotesi di trasgressione al divieto, similarmente, sotto questo profilo, a quanto veniva previsto dal progetto normativo francese. Alla luce di tali considerazioni risulta evidente la maggior specificità del progetto normativo notificato alla Commissione europea, e, di contro, il carattere dispositivo, ma generico sotto il profilo tecnico, della norma formulata nel 2006. Al momento in cui si scrive non si conoscono gli esiti dell’esame condotto dalla Commissione con riferimento al progetto di legge notificato, né parimenti dell’EuPilot volto a valutare la sussistenza di un inadempimento per la mancata notifica delle disposizioni contenute nel primo articolo della legge n. 296/2006. 47 Tra la nozione di biodegradabilità e quella di compostabilità vi è una differenza essenziale, che è possibile cogliere semplicemente considerando che la maggior parte dei materiali esistenti (di origine naturale o artificiale) sono biodegradabili, in quanto idonei a subire processi di decomposizione in presenza di determinate condizioni atmosferiche e di ossigenazione. La vera differenza riguarda i tempi di biodegradazione, in quanto per alcuni di questi materiali i tempi di biodegradazione possono consistere anche in centinaia d’anni. Dunque la biodegradabilità non è condizione sufficiente a garantire anche la compostabilità, per la quale ultima è necessario invece che la sostanza non soltanto sia biodegradabile, ma in presenza di determinate condizioni possa subire il processo di recupero organico nella forma del compostaggio. Lo standard Uni En 13432:2002 è stato elaborato per fornire presunzione di conformità ai requisiti necessari affinchè una sostanza o materiale possa subire processi di recupero organico in tempi relativamente brevi (dell’ordine di grandezza di meno di un anno) in presenza di determinate condizioni. Il requisito della compostabilità risulta oggi particolarmente importante alla luce dell’introduzione nel codice dell’ambiente, ad opera del d.lgs. 205/2010, dell’art. 182 ter, ai sensi del quale «la raccolta differenziata dei rifiuti organici deve essere effettuata con contenitori a svuotamento riutilizzabili o con sacchetti compostabili certificati a norma Uni En 13432:2002». 48 Alla luce del comma 1130, del primo articolo della legge 296/2006, risultava vietata la commercializzazione dei sacchi non biodegradabili, e dunque era consentita quella delle sporte prodotte con ogni materiale biodegradabile. Il nuovo progetto normativo invece, consente la vendita delle sole buste prodotte in materiali non soltanto biodegradabili, ma anche compostabili. Escludendo dunque quelli semplicemente biodegradabili. 49 In particolare si richiede che i sacchetti utilizzati per il trasporto delle merci ed immessi sul mercato non solo siano prodotti utilizzando materiali biodegradabili e compostabili, ma che abbiano uno spessore di 400 micron, manici accessori e dispositivi di chiusura tali da renderli un prodotto riutilizzabile nel tempo e da dissuadere il consumatore dall’approccio “usa e getta” (si consideri che le buste comunemente utilizzate ad oggi presso i luoghi di rivendita hanno uno spessore di 23 micron). 145 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Resta dunque da vedere quali posizioni verranno assunte dagli organi europei con riferimento ad entrambi i profili. 6. Considerazioni conclusive. In conclusione, è possibile affermare che le numerose problematiche interpretative gravanti sulla nuova disciplina, siano state parzialmente chiarite dall’ordinanza in commento 50. Altri aspetti rimangono ancora incerti, e tuttavia riguardano prevalentemente alcune criticità legate all’iter formale di redazione della norma, piuttosto che la sostanza del divieto, la cui bontà non è stata posta in dubbio neppure dinanzi al giudice amministrativo. È difficile prevedere le posizioni che l’Unione europea assumerà al termine dell’attività istruttoria svolta nell’ambito della procedura pilota, o con riferimento al progetto di legge di recente notificato alla Commissione, o infine se una iniziativa analoga a quella italiana verrà assunta a livello europeo. L’unico punto fermo è che, a prescindere da quelle che saranno le sorti formali della norma, essa ha già cambiato le abitudini dei consumatori e ciò difficilmente potrà essere reversibile. 50 Che, come già detto, è stata confermata in secondo grado dal Consiglio di Stato, che, concludendo la fase cautelare, ha affermato con forza anche maggiore la definitiva vigenza della norma, e l’irrilevanza ai fini della stessa della mancata adozione del programma sperimentale. 146 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Enrica Blasi - Il divieto di commercializzazione degli shopper non biodegradabili: insidie e prospettive della riforma L’ordinanza in commento costituisce la prima pronuncia giurisprudenziale relativa al divieto di commercializzazione degli shopper non biodegradabili, la cui recente entrata in vigore (il 1° gennaio 2011), non ha mancato di sollevare perplessità interpretative, nonostante la pressoché unanime osservanza riscontrata. Il giudice amministrativo chiarisce dunque che, sul piano dell’iter normativo, la mancata adozione del previsto programma sperimentale, preordinato all’entrata in vigore del divieto, non ha impedito quest’ultima, stante l’autonomia, logica e cronologica, tra essi sussistente. Vengono altresì sciolti i dubbi in ordine alla compatibilità del divieto con la disciplina europea a tutela della concorrenza, nel senso della piena conformità della nuova normativa alle esigenze di tutela ambientale e di sviluppo sostenibile, obiettivi rafforzati dal Trattato di Lisbona, nonché alle previsioni in materia di rifiuti di cui alla direttiva 2008/98/CE, da poco recepita nel nostro ordinamento giuridico. Resta invece incerta la natura di “regola tecnica” del divieto in esame, da cui discenderebbe la violazione della direttiva 98/34/CE per omessa previa notifica alla Commissione europea. --------------------------------------------------------------------------------------------------The examined decision provides for an effort to work out the issue relating to the ban of plastic bags, that came into effect on 1° January 2011, and, although the pervasive compliance to the same ban, it caused lots of legal questions. The administrative judge clarifies that, in spite of the lack of the explerimental program, the law has regularly come into effects, because the ban and the program are not constrained each other. The ban is accordant with European law, because its aim is to prevent environment hazard and support sustainable development, as well as in the wish of the Treaty of Lisbon, and the of the waste management directive 2008/98/CE. It’s still in doubt if the Italian law is a technical regulation, and if it should have been notify to the European Commission. 147 OSSERVATORIO RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 GIAN FRANCO CARTEI ∗ The Implementation of the European Landscape Convention: the Legal Perspective1 SUMMARY: 1. The Convention and its nature: rules or principles? - 2. Is there a right to landscape? No, there are the responsibilities of public authorities. – 3. What sort of participation? – 4. What remedies? Help from international environmental law. – 5. Help from the laws of the European Union. 1. The Convention and its nature: rules or principles? This meeting is being held, with the talks to be given and the resolutions to be adopted, in order to define the principle thematic areas of the European Landscape Convention in terms of multidisciplinary approaches. Two full days will be devoted to this task. One must recognise, first of all, that the Convention is first and foremost, an international treaty, that is a juridical act and, as such, must be understood known and interpreted. Many of us are familiar with the Convention and its contents. Please allow me, then, to simply summarise some of its principle features. The Convention is the first international act adopted by a European institution with the aim of promoting the protection, management and planning of European landscape. One ought to bear in mind, however, that landscape has been the object of legislation, direct or indirect, in many European States. The Italian Constitution of 1948, for example, makes explicit reference to landscape and Italy has long implemented landscape policy based on historic heritage since the first decade of 20th century. The novelty of the Convention with respect to these other juridical texts is the definition of landscape it offers: «landscape means an area, as perceived by people, whose character is the result of the action and interaction of natural and/or human factors». But the new ideas do not end here. Consider the scope of the Convention: « (…) the Convention applies to the entire territory of the Parties and covers natural, rural, urban and peri-urban areas. (…) It concerns landscapes that might be considered outstanding as well as everyday or degraded landscapes». It simply means that all landscapes deserve attention, regardless of their value. It seems equally certain at the same time that this juridical perspective raises a number of questions that can hinder the implementation and the enforcement of the Convention. ∗∗ Full Professor of Administrative law at the University of Firenze. 1 Opening Lecture at the Congress «Living Landscape. The European Landscape Convention in research perspective», Firenze 18-19 October 2010. 148 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Let us consider the principle of subsidiarity. On the one hand, this would seem to postulate a rigorous application of the notion of local self-government in the sense of the European Charter of Local Self-government (public decisions must be made at the institutional and geographical level closest to the interested parties); on the other hand, art.12 specifies that the Convention «shall not prejudice stricter provisions concerning landscape protection, management and planning contained in other existing or future binding national or international instruments».The absence of any indication as to the parameters defining «stricter provisions permits each State to claim that its own legislation is in accordance with the Convention». Think of Italy where the landscape policies belong to the legislation and administration of the State. In addition, the Guidelines for the implementation of the Convention provide that «each State decides on its own institutional organisation in landscape matters according to its overall institutional organisation (centralised, decentralised, federal) at the existing government levels (from national to local) and according to its own administrative and cultural traditions and existing structures». Moreover, it is also stated that «higher administrative levels may assume the tasks of guidance and co-ordination where these are not dealt with at local level (…) or where this would lead to greater efficiency (part. II.1)». Let us consider the «general measure» of integration of landscape into its regional and town planning policies and in its cultural, environmental, agricultural, social and in any other policies with possible direct or indirect impact on landscape. The importance of this correlation of landscape with other land use policies is clear. One is astounded, though, that this objective is formulated without any reference to the mechanisms for achieving such an end. The same inadequacy is encountered in the Convention’s idea of the landscape planning it envisions. Such planning is of fundamental importance to any landscape policy. But the lack of any reference to contents, to procedures, to the interests to be privileged runs the risk of legitimising decisions not consonant with the spirit of the Convention. A first conclusion becomes clear. The Convention does not set forth prescriptions. Its contents, in fact, consist of principles, not rules; of objectives, not means. This is a methodological limit because anyone who is familiar with politics and the workings of land use knows very well that means are no less important than objectives: it is the means, in fact, that nearly always help define objectives, not the reverse. Before continuing one should deal with another aspect that, in my opinion, is pivotal to evaluating the efficacy of the Convention. 2. Is there a right to landscape? No, there are the responsibilities of public authorities. 149 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 It has been said that the Convention is an extension of human rights to take in the environment 2. According to the Guidelines for the implementation of the European Landscape Convention: «The legal recognition of landscape implies rights and responsibilities on the part of all institutions and citizens of Europe towards their physical surroundings». Actually the Convention does not discuss landscape in terms of rights but in terms of duties. One cannot speak of a right to landscape for a number of reasons: the Convention always refers to the activities of public servants and to their powers and responsibilities; it does not endow individuals with a right; it never speaks of safeguards. One must also consider that the object of the Convention is difficult to identify within a juridical sphere. Take the very definition of landscape as per Art.1 a: «Landscape means an area, as perceived by people, whose character is the result of action and interaction of natural and/or human factors». Landscape is thus not so much a specific geographical area, but the area as perceived by the people in it. Who and how to measure that perception? How can we tell whether that perception has been duly noted? Nor is clarification to be found in Art.5 a, where landscape is, at the same time: «an essential component of people’s surroundings, an expression of the diversity of their shared cultural and natural heritage, and a foundation of their identity». Moreover, as the Preamble confirms, landscape, for the Convention, has many meanings, not all of them entirely complementary. It refers to social needs and economic activity, quality of life and the environment. The term is applied to different contexts: places of outstanding beauty and degraded areas, which imply land use policies that are distinctive and at times divergent. Even the reference to «people» is too generic to assert the existence of a right to landscape. Who could claim a right to landscape? The population represents a collective body in itself incapable of formulating a right, but, at most, a collective interest. Finally, no entity is called upon to guarantee that the provisions of the Conventions be respected. In contrast to the Convention of Human Rights, no judge in Strasbourg is called upon to interpret and apply the Convention on Landscape. Landscape is essentially an element of public administration to treat as «a territorial project». This is also the sense of the Council of Europe’s Explanatory Report: «The general purpose of the Convention is to encourage public authorities to adopt policies and measures at local, regional, national, and international level (…)». That is to say that the Convention has to be interpreted in terms of responsibility and accountability of public authorities. 2 M. PRIEUR, Landscape and sustainable development (Challenges of the European Landscape Convention), Council of Europe Pub., 2006, p. 11. 150 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 To state that landscape cannot be recognised as a right is not to deny the legal implications of the Convention. This simply shifts the perspective of our analysis and discerns its juridical meaning not in a specific good or object but in a process of creation and comparison. I consequently maintain that no element of the Convention can be implemented without taking into account two factors: a) the assertion of the principle of sustainable development and b) participation of the public. In my opinion the principle of sustainable development is the basis of every other principle enshrined in the Convention, starting from the principle of integration of landscape dimension in territorial policies. The text of the Convention refers to this principle but offers no definition other than that given on the Preamble, according to which it is «based on a balanced and harmonious relationship between social needs, economic activity and the environment». This risks leaving that principle with a purely generic and declamatory force. This concept originates, as we know, in the mid 1980’s, when the Bruntland Commission formulated it in its report «Our Common Future». Since then it has always stood for an integration of environmental concerns with development. Accordingly, the Rio Conference of 1992 affirmed that «environmental protection shall constitute an integral part of the development process». As applied to the Convention this principle makes landscape the result of a dynamic process of comparing and balancing interests, public and private, individual and collective. And it does so with an important specification: the principle of sustainable development indicates not only the necessity that landscape policy be correlated with the other policies, but places the landscape at the top of the territorial priorities to be considered. It in fact constitutes a criterion that must guide the actions of all public authorities with responsibilities related to landscape. Finally, the principle of sustainability, which treats landscape as a limited resource, reinforces the idea that landscape must be understood not as a right but as duties and responsibilities of public administrations. It is precisely the principle of sustainability that explains the importance of public involvement in the regulation of landscape. Of fundamental importance, it would seem, is the phrase in Art.5 c «to establish procedures for the participation of the general public, local and regional authorities, and other parties with an interest in the definition and implementation of the landscape policies». The procedures of landscape administration cannot be divorced from this participation. It is only participation that, in my opinion, can make known the collective perception incorporated into Art.1 of the Convention. The same may be said of the drawing up of the «Landscape quality objectives». Indeed, «the formulation by the competent public authorities of the aspirations of the public with regard to the landscape features of their surroundings» (art. 1, c) seems necessarily linked to a mechanism of public participation. 151 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 3. What sort of participation? According to the Convention a «general measure» is «to establish procedures for the participation of the general public, local and regional authorities, and other parties with an interest in the definition and implementation of the landscape policies». According to the Convention’s Guidelines a general principle is «to make use of public participation» (Part II.2.3). More specifically, according to the Guidelines public participation creates a relationship with the environment which is fundamental to sustainable development; it also strengthens cultural identity and objectives and action to define. Participation implies two-way communication: «from experts to the population and viceversa». All of this is very important because it means recognising that the action of evaluating landscapes incorporates a system of values belonging to «both scholarly culture and to popular culture». Still more important is the recognition that «the concept of participation involves taking into account the social perception of landscape and popular aspirations in choices regarding landscape protection, management and planning». The concept of landscape is discussed as entailing an exercise in democracy. To this end it is necessary to bring into the process of drawing up and implementing landscape policies «all the relevant stakeholders: national, regional, and local authorities, the population directly affected, the general public, non-governmental organisations, economic operators and landscape professionals and scientists». Not a great deal, however, is said concerning «the procedures for approving choices» except a reference to such diverse phenomena as consultations, public inquiries and educational exhibitions. Given the fundamental importance of this procedural aspect, such a lacuna risks compromising the effectiveness of the Convention. The need, therefore, becomes apparent to devise juridical remedies in order to put into practice the principles of the Convention and thus permit effectiveness, implementation and enforcement. 4. What remedies? Help from international environmental law. It is important to begin from the fact that the convergence between the notions of landscape and environment is much stronger at the international level than it is at the national level. The meaning attributed to «landscape» in the Convention unites two meanings. The first is that obviously related to territorial policy, the second is linked to the environment and conceives the landscape as a part of the environment 3. To the latter sense, in fact, the Preamble and text allude in 3 M. PRIEUR, Landscape and sustainable development, cit., p. 15. 152 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 their references in to sustainable development, to human well-being and to the quality of life. Similarly, the 1998 Aarhus Convention of the United Nations, in the section on «Environmental information», refers «the state of the environment» but also to «landscape and natural sites». Nor ought we to underestimate the reference made in the Preamble of the Convention to the Aarhus Convention. Actually, it is very important to invoke the application of the Aarhus Convention because it incorporates elements that are incomplete in the Convention whose tenth anniversary we are celebrating today. The Aarhus Convention is widely recognised as establishing a new benchmark in environmental democracy. This contains numerous prescriptions that I believe should have a big influence on the implementation of the European Landscape Convention. It recognizes every person’s right to a healthy environment. The environmental rights protected under the Convention are to be respected by public authorities, included public and private bodies performing public administrative functions or providing public services. This means that the Convention embraces governmental accountability, transparency and responsiveness. The Convention provides three environmental rights, which form the three pillars of the Convention: the right to know, the right to participate and the right to access to justice. The access to environmental information (art. 4) simply means that anyone can ask for environmental information possessed by any public or private body performing a public function without an interest having to be stated. The definition of environmental information is broad, including information on any element of the environment. It is significant that the Convention expressly refers here to landscape (Art. 2, 3 a). But it is even more significant that the Convention regulates the «right to participate» with a view to making «decision-makers more accountable and environmental decision-making more transparent». All the activities mentioned have a significant impact not only on the environment but also on the landscape. The importance of the prescriptions of the Convention toward the regulation of landscape lies in the following words: here the public concerned means «the public affected or likely to be affected by, or having an interest in, the environmental decision-making (Art.2, 5); it shall be informed early in the process and in a effective manner (Art. 6, 2); Each Party shall provide for early public participation, when all options are open and effective participation can take place (Art. 6, 4)». One should also mention «the right to access to justice». For the rights to information and to public participation to be effective, the public must have the right to justice. The Landscape Convention provides nothing in this respect, whereas the Aarhus Convention provides that members of the public should be able to challenge any violation of national law relating to the environment. Again, the provision for legal recourse is the best guarantee of the efficacy of the Convention. We must bear in mind that the Aarhus Convention is directly concerned only with environmental law and not with landscape. It can, nonetheless, also be 153 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 applied, on the one hand, in safeguarding interests very closely related to landscape and, on the other hand, as it is invoked in the Preamble of the Convention on Landscape, it can at least provide a model as regards the informed participation of the public in decisions on land use. The correlation of environment and landscape yields another implication. Indeed, it should be noted that the formulation of a right to a healthy environment, problematic though it be, has begun to have an impact thanks to the European Court of Human Rights. In a 2001 decision (Hatton vs. United Kingdom) the sanction imposed on the State affirms the safeguard provided for in Art.8 of the Convention. The right to a healthy environment is here subsumed under the right to respect for private and family life. According to Mr. Justice Costa: «the State has positive duties, and (…) the right to a healthy environment is included in the concept of the right to respect for private and family life». 5. Help from the laws of the European Union. The laws of the European Union can also help make the principles of the European Landscape Convention enforceable. Here, too, we must look to environmental policy, and here, too, there can be no doubt that the juridical meaning of environment in European law cannot be identified with «landscape», as it refers, rather, to pollution. Nor can it be doubted that landscape policy lacks a specific legal basis in the European Union Treaty. It is also true, however, that its environmental policy has much in common with the regulation of landscape – and in both its principles and its subject matter. As regards the principles one need only note that art.11 of the Treaty provides that: «Environmental protection requirements must be integrated into the definition and implementation of the Union’s policies and activities, in particular to promoting sustainable development». Moreover, art. 191 affirms an objective (prudent and rational utilisation of natural resources) which is common to European Landscape Convention. No less important, the principles of precaution and prevention prescribed should also apply to landscape policies. The parameters drawn from European Union law are even more significant if we look at the directives concerning the environment. The first reference is to the European Impact Assessment Directive in force since 1985 and applied to a wide range of public and private projects listed in the Directive itself. The directive shall apply to the assessment of the environmental effects of those «projects» which are likely to have significant effects on the environment (airports, motorways, pipelines…). According to art. 1 of the directive «project» also means also «interventions in the natural surroundings and landscape». And «landscape» is also referred to in article 3 which says that the environmental impact assessment shall identify, describe and assess the effects of a project on 154 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 (….) the landscape, fauna, flora, the cultural heritage and the interaction between the factors mentioned. The directive provides that projects likely to have significant effects on the environment, in the broad meaning noted above, are subject to a requirement for development consent and an assessment with regard to their effects. This implies that: a) the developer must provide information on the environmental impact; b) the environmental authorities and the public must be informed and consulted. To this end, art.6 provides that «The public concerned shall be given early and effective opportunities in the environmental decision-making procedures … and shall, for that purpose, be entitled to express comments and opinions when all options are open to the competent authority…before the decision on the request for development consent is taken». The importance of the participation of the general public is described by Art. 8 of the Directive as follows: «The results of consultations and information gathered pursuant art. 5, 6 and 7 must be taken into consideration in the development consent procedure». It comes as no surprise, then, that the enforcement of this directive is highly effective. Art. 9 a, in fact, requires that members of the public concerned (a) having a sufficient interest, or alternatively (b) maintaining the impairment of a right «have access to a review procedure before a court of law or another independent and impartial body established by law to challenge the substantive or procedural legality of the decisions, acts or omissions subject to the public participation provisions of this Directive». In any event, the State must guarantee «wide access to justice». No less important is the 2001 directive on the Assessment of the effects of certain plans and programmes on the environment. Unlike the previous directive, this one does not refer explicitly to «landscape». There are, nonetheless, numerous points in common with the discipline of landscape, such as the affirmation of the precautionary principle and sustainable development. The basis of the directive is that «All plans and programmes which are likely to have significant effects on the environment should be made subject to systematic environmental assessment (Cons.10)». By «environmental assessment» is meant «the preparation of an environmental report, the carrying out of consultations, the taking into account of the environmental report and the results of the consultations in decision-making and the provision of information on the decision» (Art.2). An environmental assessment shall be carried out for all plans and programmes «which are prepared for agriculture, forestry (...) industry, transport (…) town and country planning and land use …» (Art.3). General obligation of the directive is that «The environmental assessment shall be carried out during the preparation of a plan or programme and before its adoption or submission to the legislative procedure» (Art.4). 155 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 After the adoption of a plan or programme public authorities, the public and any Member State are informed about the plan, its content and the environmental features of the plan (Art.9). In light of the foregoing considerations it seems evident that the European Union law can make an important contribution to the effectiveness and the implementation of the European Landscape Convention. 156 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 MARCOS ALMEIDA CERREDA! DIANA SANTIAGO IGLESIAS** La salvaguardia del paesaggio in Galizia: situazione attuale e prospettive future! ** Sommario: I. Introduzione: la crescente rilevanza giuridica del paesaggio e la sua progressiva tutela nella comunitá autonoma galiziana. II. La Legge 7/2008, del 7 luglio, sulla protezione del paesaggio in Galizia. 1. Ambito di competenza. 2. Oggetto, fine ed ambito. 3. Principi-guida in materia di paesaggio 3.1. Principio di riconoscimento giuridico della rilevanza del paesaggio. 3.2. Principio di ordinamento, gestione e protezione del paesaggio. 3.3. Principio di promozione del paesaggio. 3.4. Principio di collaborazione interamministrativa e di collaborazione pubblico-privata per la protezione e per la promozione del paesaggio. 4. Strumenti giuridici in materia di paesaggio. 4.1. Strumenti per la protezione, la gestione, l’ordinamento e la promozione del paesaggio. A. Strumenti imperativi unilaterali. A.1. Cataloghi del paesaggio. A.2. Direttive per il Paesaggio. A.3. Studi sull’impatto e sull’integrazione paesaggistica. A.4. Piani d’azione relativi al paesaggio in aree protette. B. Strumenti volontari bilaterali o multilaterali. B.1. Patti per il paesaggio. B.2. Accordi volontari in aree di speciale interesse paesaggistico. 4.2. Strumenti d’analisi, studio e sensibilizzazione in materia di paesaggio. A. Osservatorio Galiziano per il Paesaggio. B. Attività di formazione, sensibilizzazione, educazione e concertazione. III. Riflessioni conclusive. 1. Definizioni. 2. Strumenti per la protezione, l’ordinamento e la gestione del paesaggio. 3. Strumenti d’organizzazione, di sensibilizzazione e di concertazione per le politiche per il paesaggio. IV. Bibliografia. I. Introduzione: la crescente rilevanza giuridica del paesaggio e la sua progressiva tutela nella comunità autonoma galiziana. La Comunità Autonoma della Galizia possiede una grande ricchezza paesaggistica, composta da un mosaico di paesaggi distinti: litorali, fluviali, rocciosi, boscosi, ecc. e di rapporti particolari tra gli stessi. Ciononostante, questa ricchezza è scemata, giorno dopo giorno, a causa del degrado di molte aree del suo territorio. Tale degrado si spiega a causa del progresso socioeconomico che la Galizia ha sperimentato nel secolo scorso. Questo, da un lato, ha comportato un !∗ Profesor Contratado Doctor dell'Università di Santiago di Compostela. ** Profesora Ayudante Doctor dell'Università di Santiago di Compostela. *** Il presente lavoro è frutto della rielaborazione, della traduzione e dell’approfondimento dell’articolo La disciplina de la protección del paisaje en la comunidad autónoma de Galicia, in Revista Catalana de Dret Ambiental, num. 1, 2010. 157 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 cambiamento radicale dell’attività della società galiziana – che ha abbandonato lo svolgimento di attività agricole, silvicole e di allevamento del bestiame soppiantandole con l’avvio di attività industriali e relative al settore dei servizi, che interessano maggiormente il settore del turismo, - e, dall’altro, ha contribuito a generare una notevole crescita urbanistica che, in molti casi, è avvenuta senza alcun tipo di controllo. Malgrado ciò, c’è da dire, fortunatamente, che questa tendenza negativa sta svanendo, considerato che possiamo constatare che, progressivamente, la società galiziana ed i suoi rappresentanti politici stanno prendendo coscienza dell’importanza del paesaggio, non solo in quanto esso rappresenta una risorsa economica di grande valore, ma anche perché è un elemento integrante della cultura propria; di conseguenza, la prima esige ciò che i secondi hanno iniziato a fare, ossia adottare le misure necessarie alla salvaguardia della ricchezza paesaggistica galiziana1. In questo modo, l’anteriormente menzionata «presa di coscienza» si è vista riflessa nell’introduzione del paesaggio, come elemento da preservare, in svariate norme2, legate, fondamentalmente, all’ordinamento del territorio e all’urbanistica3, all’ambiente ed alle risorse naturali4. Di dette norme, è conveniente mettere in evidenza due dati che rappresentano altrettanti momenti chiave dell’iter di consolidamento di una tutela 1 Ad esempio, il Rapporto del “Valedor do pobo” del 2006 (BOPG, del 21 gennaio del 2008) può essere ritenuto un esempio importante e recente di questa “presa di coscienza”. 2 Per un’analisi delle stesse, cfr.: A. MARTÍNEZ NIETO, La contaminación del paisaje, in Actualidad Administrativa, num. 20, 1998, pp. 440 e ss. e J.L. DE VICENTE GONZÁLEZ, Normas de aplicación directa y protección del paisaje en la Ley de Cantabria, 2/2001, del 25 giugno; ¿Límites a la discrecionalidad de la Administración o conceptos jurídicos indeterminados?, in Revista de Estudios de la Administración Local, num. 292-293, 2003, pp. 271-327. 3 V. Legge 9/2002, del 30 dicembre, sull’Ordinamento Urbanistico e sulla Protezione dell’Ambiente Rurale, modificata dalla legge 2/2010, del 25 marzo. Questa norma contiene numerosi precetti rilevanti in materia, fra i quali emergono l’articolo 32.2.g che delimita il terreno rustico di protezione del paesaggio e l’articolo 38 che stabilisce gli usi consentiti all’interno del suddetto terreno. 4 V. Legge 8/2002, del 18 dicembre, sulla Protezione dell’Atmosfera in Galizia; Legge 5/2006, del 30 giugno, sulla Protezione, la Conservazione ed il Potenziamento dei Fiumi Galiziani o Legge 3/2008, del 23 maggio, sulle Miniere in Galizia. 158 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 giuridica del paesaggio in Galizia, particolareggiata, diretta e globale 5. Innanzitutto, c’è la legge 1/1995, del 2 gennaio, sulla Protezione dell’Ambiente della Galizia. Questo testo normativo, da un lato, nell’articolo 2, determina come proprio criterio fondatore il principio di utilizzo razionale e di difesa delle risorse naturali e del paesaggio, e, dall’altro, nell’articolo 4, considera il paesaggio un elemento da proteggere. L’articolo 20.1 insiste in questa seconda accezione dettando l’obbligo dell’Amministrazione autonoma di redigere inventari, come fase previa alla catalogazione, dei distinti spazi, settori ambientali ed ecosistemi da proteggere, tra i quali cita espressamente il paesaggio. Come possiamo osservare, questa Legge contempla, in diversi precetti, il paesaggio come un elemento degno di protezione dalla prospettiva ambientale6. In secondo luogo, avanzando verso una tutela specifica per il paesaggio, troviamo la Legge 9/2001, del 21 agosto, sulla Conservazione della Natura della Galizia. Questa legge, nell’articolo 8, definisce spazi naturali protetti quegli spazi, dichiarati tali, che comprendono elementi o sistemi naturali di particolare valore, interesse o unicità, dovuti tanto all’azione ed all’evoluzione naturale quanto all’attività umana. D’altro canto, l’articolo 9.1.f, elenca una sorta di categoria in riferimento a questi spazi naturali protetti: quella di “Paesaggio Protetto”. L’articolo 15 di questa Legge regolamenta la categoria in questione, la cui dichiarazione di conformità all’articolo 24 della stessa spetta, per Decreto, al “Consello de la Xunta” della Galizia, su proposta della “Consellería” competente in materia d’ambiente, stabilendo che: «1. I paesaggi protetti sono spazi che, in base ai loro valori peculiari, tanto estetici e culturali quanto relativi alla relazione armoniosa tra l’uomo e la natura, sono da ritenere meritevoli di una protezione speciale. 2. Il regime per la salvaguardia dei paesaggi protetti mira alla conservazione dei rapporti e dei processi, sia naturali che socioeconomici, che 5 L’idea del paesaggio come concetto giuridico differenziato è un fenomeno abbastanza recente, sia in Galizia, che in Spagna. L’esistenza di una legislazione specifica in materia di tutela del paesaggio è molto recente, dato che fino a non molto tempo fa questa costituiva una problematica marginale regolata, in maniera incidentale e dispersa, da norme sull’ambiente, sull’urbanistica, sulle risorse naturali o sul patrimonio. Su quest’argomento, v.: L. MARTÍN-RETORTILLO BAQUER, Problemas jurídicos de la tutela del paisaje, in Revista de Administración Pública, num. 71, 1973, pp. 423-442; A. MARTÍNEZ NIETO, La protección del paisaje en el Derecho español (I), in Actualidad Administrativa, num. 32, 1993, pp. 397-411 e La protección del paisaje en el Derecho español (II), in Actualidad Administrativa, num. 33, 1993, pp. 413-430; C. FERNÁNDEZ RODRÍGUEZ, La protección del paisaje. Un estudio de Derecho español y comparado, Marcial Pons, Madrid-Barcelona, 2007, pp. 27 e ss. y F. CANALES PINACHO, y P. OCHOA GÓMEZ, La juridificación del paisaje o de cómo convertir un criterio esencialmente estético en un bien jurídico objetivable, in Diario La Ley, num. 7183, 2009, pp. 1-34. 6 V. un commento critico su questa legge in A. NOGUEIRA LÓPEZ, La regulación medioambiental en la Comunidad Autónoma de Galicia (Ley de Protección Ambiental de Galicia y decretos de desarrollo), in Revista Andaluza de Administración Pública, num. 24, 1995, pp. 319-337. Sui tempi minimi per la conclusione degli accordi volontari, v. A. NOGUEIRA LÓPEZ, La actividad de fomento para la protección de la atmósfera, nella stampa. 159 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 hanno contribuito alla loro formazione e ne rendono possibile la sopravvivenza»7. È evidente che questa norma già comprende una tutela del paesaggio più concreta e particolareggiata rispetto a quella della Legge del 1995, nonostante persista nel regolamentare il paesaggio non come fenomeno globale bensì come elemento localizzato e preciso. 8 Infine, in seguito a questi due rilevanti precedenti, ha luogo l’approvazione della Legge 7/2008, del 7 luglio, sulla Protezione del Paesaggio in Galizia (d’ora in avanti, LPPG), per mezzo della quale si include nell’Ordinamento galiziano una regolamentazione generale del paesaggio, intendendo l’intero territorio della Comunità Autonoma e non più solo alcune parti che possano vantare un valore speciale o particolare9. Si tratta, senza ombra di dubbio, di un’importante regolamentazione, visto e considerato che rappresenta la terza regolamentazione di questo tipo che sia mai stata approvata in Spagna: è stata infatti preceduta soltanto dalla Legge 4/2004, del 30 giugno, sull’Ordinamento del Territorio e sulla 7 Questo precetto risponde a quanto disposto nella normativa statale di base, concretamente, a quanto stabilito nell’articolo 34 della Legge 42/2007, del 13 dicembre, del Patrimonio Naturale e della Biodiversità che ordina: «[I] Paesaggi Protetti sono parti del territorio che le Amministrazioni competenti, tramite la pianificazione applicabile, per i loro valori naturali, estetici e culturali, in conformità al Convegno sul Paesaggio del Consiglio d’Europa, considerino meritevoli di una protezione speciale. 2. Gli obiettivi principali della gestione dei Paesaggi Protetti sono i seguenti: a) La conservazione dei valori particolari che li caratterizzano. b) La preservazione dell’interazione armoniosa tra la natura e la cultura in una zona determinata. 3. Nei Paesaggi Protetti si salvaguarderà il mantenimento delle pratiche di carattere tradizionale che constribuiscono alla preservazione dei loro valori e delle loro risorse naturali». Questo precetto, in accordo alla Seconda Disposizione Finale di detta Legge, ha carattere di legislazione di base sulla protezione dell’ambiente, conformemente a quanto disposto nell’articolo 149.1.23 della Costituzione. Riguardo alla tutela del paesaggio ad opera della giurisprudenza, possiamo citare: la sentenza del Tribunale Supremo del 10 dicembre del 2009, Aula del Contenzioso-Amministrativo, ricorso num. 4384/2005; la sentenza del Tribunale Superiore di Giustizia dell’Asturia del 26 luglio del 1996, Aula del Contenzioso-Amministrativo, ricorso num. 1620/1994; la sentenza del Tribunale Superiore di Giustizia delle Isole Baleari dell’1 giugno del 2001, Aula del Contenzioso-Amministrativo, ricorso num. 332/1997; la sentenza del Tribunale Superiore di Giustizia della Murcia del 9 novembre del 2001, Aula del Contenzioso-Amministrativo, ricorso num. 1007/2000 e la sentenza del Tribunale Superiore di Giustizia della Comunità Valenziana dell’8 ottobre del 2008, Aula del ContenziosoAmministrativo, ricorso num. 1014/2006 Nella Legge 9/2001 è possibile rintracciare riferimenti al paesaggio in vari precetti, come l’articolo 32 che regolamenta il contenuto dei piani regolatori delle risorse naturali o l’articolo 63 che regola le infrazioni meno gravi. 8 Per analisi sui precedenti normativi in materia d’ordinamento del paesaggio nella Comunità Autonoma della Galizia, v. A. DÍAZ OTERO, El valor jurídico del paisaje en el derecho público gallego, in Corts: Anuario de Derecho Parlamentario, num. 21, 2009, pp. 141 e ss. 9 V. A. NOGUEIRA LÓPEZ, y F. J. SANZ LARRUGA, Galicia: los afanes por aprobar las leyes y planes ambientales pendientes en el final de la legislatura, in Observatorio de políticas ambientales 2009, F. LÓPEZ RAMÓN (coord.), Thomson Reuters, Cizur Menor, 2009, pp. 525-564. 160 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Protezione del Paesaggio, in Valenzia (d’ora in avanti, LVOTPP), e dalla Legge 8/2005, dell’8 giugno, sulla Protezione, la Gestione e l’Ordinamento del Paesaggio, in Catalogna (d’ora in avanti, LCPGOP). Questa Legge nasce con l’intezione di integrare (nel senso di aumentare la protezione e la promozione giuridica del paesaggio), e non di soppiantare, le norme anteriormente citate. A sostegno di questa affermazione, riferiamo il fatto che in seguito alla sua approvazione sono stati promulgati il Decreto 263/2008, del 13 novembre, per cui si dichiara paesaggio protetto la “Valle del fiume Navea”, ed il Decreto 294/2008, dell’11 dicembre, per cui viene dichiarato paesaggio protetto “Penedos de Pasarela e Traba”; in entrambi i casi è rintracciabile il fatto che dette norme si applicano congiuntamente. Concludiamo questa breve introduzione evidenziando il fatto che il presente lavoro solo pretende, con spirito critico, di rendere nota la regolamentazione sulla protezione del paesaggio contenuta nella già citata LPPG, soprattutto in un'ottica di confronto con le precedenti regolamentazioni delle altre Comunità Autonome. II. La legge 7/2008, del 7 luglio, sulla protezione del paesaggio in galizia. 1. Ambito di competenza Lo statuto d’Autonomia della Galizia, nell’articolo 27.30, stabilisce che dettare norme aggiuntive relative alla protezione dell’ambiente e del paesaggio è di competenza esclusiva della Comunità Autonoma, nei termini dell’articolo 149.1.23 della Costituzione Spagnola; precetto che, a sua volta, afferma che lo Stato possiede la competenza esclusiva per la legislazione di base sulla protezione dell’ambiente, senza per questo pregiudicare la facoltà delle Comunità Autonome di stabilire norme aggiuntive per la protezione dello stesso. Detto altrimenti, allo Stato compete emettere la legislazione di principio per la creazione di un minimo comune denominatore in materia di protezione di questi beni giuridici; alle Comunità Autonome spetta, invece, sviluppare la normativa in questione, eventualmente approvando norme aggiuntive volte ad introdurre più elevati livelli di tutela. Bisogna sottolineare il fatto che nel precetto contenuto nello Statuto della Galizia si riconosce come titolo di competenza autonomo “il paesaggio” – se legato all’ambiente – cosa che non appare nella Costituzione; in questo modo lo Statuto diventa una sorta di precursore nel cammino verso la implementazione della tutela 161 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 del paesaggio 10. Al momento della promulgazione della LPPG, il Parlamento galiziano, oltre a basarsi sul titolo di competenza, invoca l’articolo 27.3 dello Statuto d’Autonomia della Galizia relativo alla competenza esclusiva della Comunità Autonoma della Galizia in materia di ordinamento del territorio, urbanistica e nuclei abitativi. 2. Oggetto, fine ed ambito La LPPG ha per oggetto, in conformità all’articolo 1, il riconoscimento 10 Successivamente, questo titolo verrà raccolto: nell’articolo 28.3 della Legge Organica 4/1983, del 25 febbraio, dello Statuto d’Autonomia della Castiglia e León, disposizione oggi contenuta nell’articolo 70.1.35 della Legge Organica 14/2007, del 30 novembre; nell’articolo 37.3 della Legge Organica 8/1982, del 10 agosto, dello Statuto d’Autonomia dell’Aragona per la redazione della Legge Organica 5/1996, del 30 dicembre, disposizione oggi contenuta nell’articolo 71.22 della Legge Organica 5/2007, del 20 aprile, per la riforma dello Statuto d’Autonomia dell’Aragona; nell’articolo 9.1 della Legge Organica 3/1982, del 9 giugno, sullo Statuto d’Autonomia de La Rioja, nella redazione della Legge Organica 2/1999, del 7 gennaio o nell’articolo 149.1 della Legge Organica 6/2006, del 19 luglio, sullo Statuto d’Autonomia della Catalogna. In questi ed in altri testi statutari, il paesaggoo, e più specificamente la sua protezione e la sua promozione, appaiono, di tanto in tanto, come un principio regolatore ovvero come un obiettivo da raggiungere. Fra i testi in questione possiamo elencare: l’articolo 12.3.6 della Legge Organica 6/1981, del 30 dicembre, sullo Statuto d’Autonomia dell’Andalusia, oggi riproposto nell’articolo 37 della Legge Organica 2/2007, del 19 marzo, sullo statuto d’Autonomia dell’Andalusia; l’articolo 4.4.g della Legge Organica 9/1982, del 10 agosto, sullo Statuto d’Autonomia delle Isole Baleari, oggi ripresentato nella Legge Organica 1/2007, del 28 febbraio, sulla riforma dello Statuto d’Autonomia delle Isole Baleari; l’articolo 5.2.f della Legge Organica 1/1995, del 13 marzo, sullo Statuto d’Autonomia di Ceuta e della Legge Organica 2/1995, del 13 marzo, sullo Statuto d’Autonomia di Melilla, o l’articolo 46.4 della Legge Organica 6/2006, del 19 luglio, sullo Statuto d’Autonomia della Catalogna. Infine, è opportuno evidenziare che anche alcuni degli Statuti di seconda generazione riconoscono il diritto dei cittadini a godere del paesaggio. In questo senso è possibile citare, per esempio: l’articolo 27.1 della Legge Organica 6/2006, del 19 luglio, sullo Statuto d’Autonomia della Catalogna o l’articolo 28.1 della Legge Organica 2/2007, del 19 marzo, sullo Statuto d’Autonomia dell’Andalusia. Il fatto di inserire l'affermazione di diritti negli Statuti d’Autonomia ha generato nella dottrina una appassionata polemica riguardo alla loro legittimità costituzionale ed utilità, v. rispetto alla stessa e rispetto all’efficacia di questi diritti: L. DÍEZ-PICAZO, ¿Pueden los Estatutos de Autonomía declarar derechos, deberes y principios?, in Revista Española de Derecho Constitucional, num. 78, 2007, pp. 63 e ss.; De nuevo sobre las declaraciones estatuarias de derechos: respuesta a Francisco Caamaño, in Revista Española de Derecho Constitucional, n. 81, 2007, pp. 63 e ss.; F. CAAMAÑO DOMÍNGUEZ, Sí, pueden (Declaraciones de derechos y Estatutos de Autonomía), in Revista Española de Derecho Constitucional, num. 79, 2007, pp. 33 e ss.; E. EXPÓSITO, La regulación de los Derechos en los nuevos Estatutos de autonomía, in Revista de Estudis Autonòmics i Federals, num. 5, 2007, pp. 147 e ss.; J. L. MARTÍNEZ LÓPEZ-MUÑIZ, Estatutos de Autonomía y Declaraciones de Derechos, in Derechos Fundamentales y otros estudios en homenaje al prof. Dr. Lorenzo Martín-Retortillo, vol. I, Gobierno de Aragón et al., Zaragoza, 2008, pp. 161 e ss. y L. ORTEGA ÁLVAREZ, Los derechos ciudadanos en los nuevos estatutos de autonomía, in Derechos Fundamentales y otros estudios en homenaje al prof. Dr. Lorenzo Martín-Retortillo, vol. I, Gobierno de Aragón et al., Zaragoza, 2008, pp. 185 e ss. 162 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 giuridico, la protezione, la gestione e l’ordinamento del paesaggio galiziano. Esso, conformemente all’articolo 3.1.a della LPPG, corrisponde a qualunque parte del territorio galiziano percepita in quanto tale dalla popolazione, il cui carattere sia il risultato dell’azione e dell’interazione di fattori naturali e umani11. La LPPG ha come fine quello di preservare e ordinare tutti gli elementi che configurano il paesaggio della Galizia nella prospettiva dello sviluppo sostenibile, avendo assimilato l’idea che il paesaggio, in quanto pervade l’ambito ambientale, culturale, sociale ed economico della comunità galiziana, riveste un’importanza tale da costituire un primario interesse generale di quest'ultima. Per questo motivo, e dato che possiede questo carattere trasversale, la LPPG stimola la piena integrazione del paesaggio in tutte le politiche di settore che incidono sullo stesso. Le disposizioni della LPPG, in conformità all’articolo 4, si applicheranno nell’intero territorio della Galizia, sia che si tratti di aree naturali, rurali, urbane o periurbane, sia che si tratti di altre aree di alto valore ambientale e culturale e perfino di paesaggi degradati, arrivando ad estendersi nelle zone terrestri, marittimo-terrestri ed alle acque interne12. Infine, è necessario sottolineare che l’approvazione della LPPG risponde all’esigenza di rendere applicabili le disposizioni della Convenzione Europea sul Paesaggio (d’ora in avanti, CEP), che furono approvate a Firenze il 20 ottobre del 2000, su proposta del Consiglio d’Europa13, e furono ratificate dal Regno di Spagna il 6 novembre del 2007, entrando in vigore l’1 marzo del 2008 14. 3. Principi-guida in materia di paesaggio L’articolo 2.1 della LPPG stabilisce che i poteri pubblici, nella loro attività 11 In questo precetto viene recepita pedissequamente la definizione contenuta nell’articolo 1.a della CEP. 12 Quest’ambito corrisponde essenzialmente a quanto previsto dall’articolo 2 della CEP. 13 Fra i precedenti immediati della CEP, è possibile citare le Carte per il Paesaggio Mediterraneo, formulate dalle regioni Andalusia, Languedoc-Roussillon, Toscana e Veneto ed adottate dalla Conferenza dei Poteri Locali e Regionali del Consiglio d’Europa. 14 Riguardo al contenuto, alla portata ed al significado di questo documento, v.: F. ZOIDO NARANJO, La Convención Europea del Paisaje y su aplicación en España, in Ciudad y Territorio. Estudios Territoriales, num. 23 (128), 2001, pp. 275-281; M. PRIEUR, La Convención Europea del Paisaje, in Revista Andaluza de Administración Pública, num. 50, 2003, pp. 19-25; I. LASAGABASTER HERRARTE, y I. LAZCANO BROTÓNS, Protección del paisaje, ordenación del territorio y espacios naturales protegidos, in Revista Vasca de Administración Pública, num. 70, 2004, pp. 128 y ss.; A. FABEIRO MOSQUERA, La protección del paisaje: su creciente importancia en el ámbito internacional y la dispersión de instrumentos jurídicos para su protección integral en el Derecho español, in Revista Española de Derecho Administrativo, num. 131, 2006, pp. 533 e ss.; C. FERNÁNDEZ RODRÍGUEZ, La protección del paisaj, cit., pp. 82 e ss. 163 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 in materia di paesaggio, si devono ispirare ai principi elencati nel secondo comma del predetto precetto. In realtà, nell’articolo 2.2 della LPPG non sono presenti principi ispiratori formulati in modo tecnicamente preciso, ma soltanto alcuni corollari degli stessi dai quali desumerli. Stando così le cose, possiamo affermare, alla luce del contenuto di questa disposizione, che il comportamento dei poteri pubblici deve uniformarsi ai seguenti principi: a) riconoscimento giuridico della rilevanza del paesaggio; b) protezione del paesaggio; c) promozione del paesaggio; d) collaborazione interamministrativa e collaborazione pubblico-privata in ordine alla protezione ed al rilancio del paesaggio. Nel prosieguo del presente lavoro spiegheremo ognuno di questi principi e le loro principali manifestazioni contenute nella LPPG. 3.1. Principio di riconoscimento giuridico della rilevanza del paesaggio Conformemente all’articolo 2.2.a, i poteri pubblici galiziani devono riconoscere giuridicamente il paesaggio come elemento essenziale dell’ambiente e del benessere collettivo, segno della qualità delle vita delle persone e componente fondamentale del patrimonio naturale e culturale della Galizia, espressione della propria identità 15. Per rafforzare questo principio, sarebbe stato opportuno includere nella LPPG un articolo che specificasse quali fossero le finalità che l’attività dei poteri pubblici avrebbe dovuto perseguire in detta materia16. 15 Il riconoscimento giuridico del paesaggio, nei termini previsti dal già citato articolo 2.2.a della LPPG, è una delle misure generali per cui gli Stati firmanti del CEP si compromettono, in accordo all’articolo 5.a dello stesso. 16 Avrebbe potuto servito da modello l’articolo 8 delle LCPGOP, il quale stabilisce che: “Le azioni messe in atto riguardanti il paesaggio possono avere, tra le tante, le seguenti finalità: a) La preservazione dei paesaggi che, per il loro carattere naturale o culturale, richiedano interventi specifici e integrati. b) Il miglioramento paesaggistico delle periferie e delle vie d’accesso alle città ed alle cittadine, così come l’eliminazione, la riduzione ed il trasferimento degli elementi, degli utilizzi e delle attività che le degradano. c) Il mantenimento, il miglioramento e il restauro dei paesaggi agrari e rurali. d) L’articolazione armonica dei paesaggi, riservando particolare attenzione agli spazi di contatto tra gli ambiti urbani e tra gli ambiti terrestri e marini. e) L’elaborazione di progetti d’integrazione paesaggistica per aree di attività industriali e commerciali e per le infrastrutture. f) Il supporto delle attuazioni delle amministrazioni locali e degli enti privati per la promozione e protezione del paesaggio. g) Le acquisizioni di terreno per incrementare il patrimonio pubblico del suolo nelle aree che si stimano “ di interesse” per la gestione paesaggistica. h) L’attribuzione di valore al paesaggio in quanto risorsa turistica. In questa direzione, nella procedura della LPPG, il GPPG introdusse un emendamento aggiuntivo attraverso l'articolo 7 bis. 164 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 3.2. Principio di ordinamento, gestione e protezione del paesaggio Questo principio si sostanzia, essenzialmente, in un duplice mandato per i poteri pubblici galiziani. In primo luogo, in base all’articolo 2.2.b della LPPG, i poteri pubblici devono difendere e preservare il paesaggio, favorendo una relazione armonica e rispettosa tra la popolazione e gli spazi, rilanciando un uso razionale e ordinato del territorio che tenga in considerazione i valori naturali e culturali dei paesaggi. A garanzia di questa relazione armonica tra gli abitanti e gli spazi, l’articolo 2.2.c della LPPG, disciplinando l’iter parlamentare di questa norma17, riconosce alle persone che vivono nelle zone di speciale interesse paesaggistico il diritto ad uno sviluppo economico, culturale e sociale, nonché equilibrato e sostenibile. In secondo luogo, secondo l’articolo 2.2.d della LPPG, i poteri pubblici galiziani devono ideare e attuare politiche proprie del paesaggio 18. L’articolo 5 della LPPG insiste su questa necessità, disponendo che i poteri pubblici veglino affinché, nell’ambito della loro competenza e a seconda della tipologia di ogni territorio, si adottino le misure specifiche necessarie alla protezione, alla gestione e all’ordinamento del paesaggio, nella misura in cui quest’ultimo richieda un progetto e comporti l’attuazione di politiche mirate. Le politiche sul paesaggio vengono definite, dall’articolo 3.b della LPPG, come la formulazione da parte delle autorità pubbliche competenti dei principi generali delle strategie e delle direttive che permettono l’adozione di misure specifiche dirette alla protezione, gestione e pianificazione dei paesaggi19 . Questi tre fini – protezione, gestione e pianificazione dei paesaggi – delle politiche sul paesaggio vengono chiariti nell’articolo 6 della LPPG nel seguente modo: - La pianificazione del paesaggio comprende la realizzazione di tutte quelle azioni che presentano un carattere lungimirante particolarmente accentuato che mira a mantenere, migliorare, restaurare o rigenerare paesaggi20. - La gestione del paesaggio comprende tutte quelle azioni che, dalla prospettiva dell’uso sostenibile del territorio, garantiscono il mantenimento regolare del paesaggio, mediante il controllo delle trasformazioni indotte dai 17 V. BOPG del 16 aprile, del 22 maggio, dell’ 11 giugno e del 16 giugno del 2008. 18 Cfr. articolo 5.b del CEP. 19 Cfr. articolo 1.b del CEP. 20 Cfr. l’articolo 1.f del CEP. Occorre mettere in rilievo che la redazione della LPPG è, probabilmente, leggermente più restrittiva rispetto a quella della CEP, visto e considerato che non include il termine “creare”. 165 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 processi sociali, economici e ambientali21. - La protezione del paesaggio coinvolge tutte quelle azioni che hanno come fine la preservazione e la conservazione degli elementi più significativi e caratteristici di un paesaggio, giustificati per il loro valore patrimoniale, come risultato della loro configurazione naturale o dell’intervento umano sull’habitat 22. Infine, occorre evidenziare che, per l’articolo 2.2.d della LPPG, le politiche sul paesaggio devono essere comprese nelle politiche di protezione ambientale, di ordinamento territoriale ed urbanistica, in materia culturale, turistica, agraria, sociale ed economica, ed in quelle altre che possano avere un impatto diretto o indiretto sul paesaggio 23. Questo mandato si ripropone nell’articolo 5.2 della LPPG, il quale stabilisce che i poteri pubblici includeranno la considerazione del paesaggio nelle politiche di ordinamento territoriale e di urbanistica, e nelle loro politiche ambientali, per il patrimonio culturale, agricolo, forestale, sociale, turistico, industriale ed economico, così come in qualsiasi altra politica di settore 21 Cfr. l’articolo 1.e del CEP. 22 Cfr. articolo 1.d del CEP. 23 Cfr. articolo 5.d del CEP. 166 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 che possa generare un impatto diretto o indiretto sul paesaggio 24. 3. Principio di promozione del paesaggio Mettere in pratica adeguatamente questo principio implica: - Sensibilizzare la società galiziana sia riguardo al valore, l’importanza e le funzioni del paesaggio, sia rispetto ai processi di trasformazione che sperimenta (art. 2.2.g della LPPG) 25. L’articolo 14.1 della LPPG, che si analizzerà in seguito, impone, in questo campo, determinati obblighi alla “Xunta” della Galizia. - Promuovere lo studio e la formazione in materia di paesaggio, sviluppando attività specifiche sull’importanza, la protezione, la gestione e l’ordinamento del 24 Come esempio di questa integrazione, è possibile citare l’articolo 42 “Condizioni generali delle costruzioni in terreno rustico” della Legge 9/2002, del 30 dicembre, sull’Ordinamento Urbanistico e sulla Protezione dell’Ambiente Rurale, modificata dalla Legge 2/2010, del 25 marzo, che stabilisce che: «1. Per concedere la licenza od autorizzare qualsiasi tipo di costruzione o installazione in suolo rustico, si dovrà giustificare il soddisfacimento dei seguenti requisiti: [...] b) Prevedere le misure correttive necessarie a minimizzare l’incidenza dell’attività richiesta sul territorio, così come ogni misura, condizione o limiti tendenti ad ottenere la minore occupazione territoriale e la migliore protezione del paesaggio, delle risorse produttive e dell’ambiente naturale, così come la preservazione del patrimonio culturale e la peculiarità e tipologia architettonica della zona. c) Soddisfare i seguenti requisiti di edificazione: [...] – Il volume massimo della costruzione sarà simile a quello delle costruzioni tradizionali esistenti sul terreno rustico del contesto territoriale [...]. In ogni caso, dovranno adottarsi le misure correttive necessarie per garantire il minimo impatto visivo sul paesaggio e la minima alterazione del rilievo naturale dei terreni. – Le caratteristiche tipologiche delle costruzioni dovranno essere congruenti alle tipologie rurali tradizionali del contesto, in particolare, le condizioni di volumetria, il trattamento delle facciate, la morfologia e la grandezza delle aperture, e le soluzioni di copertura, che, in ogni caso, saranno costituite da piani continui senza interruzioni nelle proprie pendenze. Salvi i casi opportunamente giustificati per la qualità architettonica del progetto, i materiali impiegati per il completamento della copertura saranno tegole, ceramica o ardesia, rispettando la tipologia propria della zona […] – Le caratteristiche estetiche e costruttive ed i materiali, i colori e le rifiniture saranno confacenti al paesaggio rurale e alle costruzioni tradizionali del contesto. In questo senso, per la rifinitura delle costruzioni si impiegherà la pietra ed altri materiali tradizionali e propri della zona. In casi giustificati dalla qualità architettonica della costruzione, potranno impiegarsi altri materiali conformi ai valori naturali, al paesaggio rurale ed alle costruzioni tradizionali del contesto. – I recinti e le cinte saranno preferibilmente costituiti da vegetazione, non essendovi possibilità che quelli realizzati in materiale opaco di fabbrica eccedano il metro di altezza, eccetto in appezzamenti edificati, per i quali il limite fissato è di 1,50 metri. In ogni caso, dovranno essere fabbricati con materiali tradizionali del contesto rurale in cui si situano, non essendo permesso l’uso del cemento o di altro materiale di fabbrica, salvo che siano debitamente rivestiti e verniciati nelle forme che si specificano nella normativa [...]». 25 Cfr. articolo 6.A del CEP. 167 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 paesaggio (art. 2.2.h della LPPG)26. L’articolo 14.2 della LPPG, che sarà oggetto di studio più avanti, prevede diverse azioni in quest’ambito. 3.4. Principio di collaborazione interamministrativa e collaborazione pubblico-privata per la protezione e per la promozione del paesaggio Questo principio si traduce, inizialmente, in: - Promuovere il coordinamento e la collaborazione tra le distinte Amministrazioni Pubbliche in materia di paesaggio (art. 2.2.e della LPPG). In questo senso, da un lato, l’articolo 7 della LPPG, ordina alla “Xunta” della Galizia di potenziare la cooperazione con tutte le Pubbliche Amministrazioni competenti nel territorio, specialmente con le Amministrazioni locali, con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo di politiche comuni, dovutamente coordinate e programmate, che assicurino la realizzazione dei fini di ordinamento, gestione e promozione del paesaggio perseguiti dalla LPPG; dall’altro lato, l’articolo 5.3 dispone che la “Xunta” della Galizia deve stimolare attività di cooperazione oltre confine nei distinti livelli territoriali, per l’elaborazione di politiche e programmi comuni in materia di paesaggio, anche con le Comunità Autonome confinanti con la Galizia; in questa direzione, l’articolo 12.4 della LPPG, in particolare, ordina all’Amministrazione ambientale galiziana, nelle aree oltre confine o interautonomiche dotate di qualche spazio naturale protetto, di promuovere la formulazione di piani d’azione congiunti in materia di paesaggio27. − Creare meccanismi di partecipazione sociale per le decisioni e per la definizione di politiche sul paesaggio, soprattutto rispetto alle Entità locali (art. 2.2.f della LPPG)28. In linea con questo principio, la LPPG stabilisce distinti procedimenti partecipativi negli articoli 9.5 e 10.6. 4. Strumenti giuridici in materia di paesaggio La LPPG mette a disposizione dei poteri pubblici due tipi di strumenti per il conseguimento del loro fine 29: gli strumenti per la protezione, la gestione e l’ordinamento del paesaggio e gli strumenti d’organizzazione, di sensibilizazzione 26 Cfr. articolo 6.B del CEP. Sembra opportuno rilevare che le previsioni della LPPG in questa materia sono meno restrittive di quelle della CEP. 27 Cfr. articolo 9 del CEP. 28 Cfr. articolo 5.c del CEP. 29 Rileviamo che, ad ogni modo, essi non sono gli unici strumenti esistenti atti al raggiungimento dei suddetti fini. Difatti, possiamo mettere in rilievo i Piani Speciali per la Protezione dei Paesaggi di Interesse, regolati nell’articolo 69 della Legge 9/2002, del 30 dicembre, riguardante l’Ordinamento Urbanistico e la Protezione dell’Ambiente Rurale, modificata dalla Legge 2/2010, del 25 marzo. 168 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 e di concertazione delle politiche per il paesaggio30. 4.1. Strumenti per la protezione, la gestione, l’ordinamento e la promozione del paesaggio Questi strumenti si possono classificare in due gruppi, in funzione dei soggetti che intervengono negli stessi e delle condizioni in cui lo fanno. In primo luogo, abbiamo gli strumenti imperativi unilaterali, obbligatori, la cui adozione spetta all’Amministrazione autonomica, anche se in alcune occasioni la loro elaborazione è frutto dell’iniziativa di un privato 31. In secondo luogo, riscontriamo l’esistenza di strumenti volontari bilaterali o multilaterali, che costituiscono il risultato della libera contrattazione fra differenti soggetti, i quali collaborano, su un piano di parità, ai fini dell’adozione di una serie di misure per la promozione e per la tutela del paesaggio. A. Strumenti imperativi unilaterali Conformemente all’articolo 8 della LPPG, sono strumenti per la protezione, la gestione e l’ordinamento del paesaggio della Galizia: i Cataloghi del Paesaggio, le Direttive per il Paesaggio, gli Studi sull’Impatto e sull’Integrazione 30 Cfr. articolo 6.C, D ed E del CEP. 31 In conformità all’articolo 16 del Decreto 316/2009, del 4 giugno, che stabilisce la struttura organica della “Consellería de Medio Ambiente, Territorio e Infraestructuras”, l’elenco degli strumenti che di seguito si studieranno non costituiscono un numerus clausus. 169 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Paesaggistica e i Piani d’Azione sul Paesaggio in Aree Protette 32. A.1. Cataloghi del Paesaggio Questi strumenti vengono regolamentati nell’articolo 9 della LPPG, nel quale è compresa la loro definizione, il loro contenuto essenziale e la procedura alla quale attenersi per la loro elaborazione. In questo modo, il primo comma dello stesso articolo definisce i Cataloghi del Paesaggio come i documenti di riferimento che, avendo riguardo alle distinte aree geografiche, morfologiche, urbane e litorali esistenti nel territorio galiziano, delimitano, in base ai differenti studi e lavori esistenti in materia, le grandi aree paesiggistiche della Galizia, individuando i diversi tipi di paesaggio esistenti in ognuna di esse e le loro caratteristiche differenziali33. Riguardo il suo contenuto, è necessario indicare che, per il secondo comma del già citato articolo 9, i Cataloghi del Paesaggio devono comprendere: in primo luogo, l’individuazione dei differenti tipi di paesaggio che esistono in ogni area paesaggistica; in secondo luogo, un inventario dei valori paesaggistici presenti in ogni area paesaggistica, distinguendo quegli ambiti in cui ognuna di queste aree si trovi in uno stato di deterioramento e necessiti di particolari misure di intervento e 32 Nell’ambito della Comunità Valenziana, in conformità all’articolo 30 della LVOTPP, sono strumenti d’ordinamento e di gestione del paesaggio: i Piani d’Azione Territoriale e, in assenza di questi o come loro complemento, i Piani Generali. Entrambi, secondo quanto afferma il secondo comma di questo precetto, dovranno comprendere uno Studio sul Paesaggio. Questo mentre il Decreto 120/2006, dell’11 agosto, che approva il Regolamento del Paesaggio della Comunità Valenziana (d’ora in avanti, RPCV), specifica, nel suo articolo 23, più dettagliatamente, gli strumenti per la protezione, l’ordinamento e la gestione del paesaggio. In base a questo precetto, si tratta de: Il Piano d’Azione Territoriale per il Paesaggio della Comunità Valenziana, gli Studi sul Paesaggio, gli Studi sull’Integrazione Paesaggistica, i Cataloghi del Paesaggio ed i Programmi per il Paesaggio. Circa gli strumenti di ordinamento e di gestione del paesaggio nella LVOTPP, v.: E. MARTÍNEZ MARTÍNEZ, La Ley 4/2004, de ordenación del territorio y protección del paisaje de la Comunidad Valenciana: hacia una ordenación estructural sostenible, in Revista Aranzadi de Derecho Ambiental, num. 9, 2006, pp. 315 e ss. e La protección del medio natural en la Ley 4/2004, de ordenación del territorio y protección del paisaje de la Comunidad Valenciana, Corts Valencianes, Valencia, 2007, pp. 69 e ss. In Catalogna, gli strumenti per la protezione, la gestione e l’ordinamento del paesaggio, sono previsti negli articoli 9.a, 12 e 14 della LCOGOP in cui vengono regolamentati i Cataloghi del Paesaggio, le Direttive per il Paesaggio e le Carte per il Paesaggio e nell’articolo 19 del Decreto 343/2006, del 19 settembre, dal quale prende forma la citata Legge (d’ora in avanti, RPC) in cui, oltre agli strumenti citati, vengono regolamentati gli Studi e i Rapporti sull’Impatto e sull’Integrazione Paesaggistica. 33 Come abbiamo osservato, questi Cataloghi sono altresì regolati dalla legislazione autonomica valenziana e catalana. Ciononostante, è necessario sottolineare il fatto che mentre in Galizia ed in Catalogna si tratta di strumenti di ambito generale che abbracciano tutto il territorio, in Valenzia contemplano solo le Unità di Paesaggio o le Risorse Paesaggistiche oggetto di protezione speciale. Tuttavia, bisogna anche ricordare che, in Galizia ed in Catalogna, i due strumenti non si configurano in modo identico, giacché assolvono a differenti funzioni; in Catalogna i Cataloghi definiscono gli obiettivi di qualità paesaggistica per ogni unità di paesaggio e riuniscono le misure e le azioni necessarie a raggiungere gli obiettivi di qualità paesaggistica, mentre in Galizia dette funzioni sono di competenza delle Direttive per il Paesaggio. 170 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 protezione; in terzo luogo, un’analisi delle cause che hanno causato l’esistenza di questi tipi di paesaggio, e di quelle che incidono attualmente sugli elementi del paesaggio e sulla loro possibile evoluzione; in quarto luogo, una diagnosi sullo stato attuale del paesaggio in ogni area paesaggistica; e, in quinto luogo, la delimitazione delle unità di paesaggio presenti in ogni area, intese come ambiti territoriali aventi valori paesaggistici omogenei e coerenti. In questo senso, il terzo comma dell’articolo 9, prevede la possibilità che nei Cataloghi del Paesaggio si definiscano determinate zone geografiche quali “Aree avente speciale interesse paesaggistico”, relativamente ai valori naturali e culturali in esse presenti. Riguardo all’elaborazione di questi Cataloghi, occorre analizzare due questioni: gli organi competenti per la loro redazione ed approvazione; il relativo procedimento cui bisogna attenersi. La formazione dei Cataloghi del Paesaggio spetta, secondo quanto esprime l’articolo 9.4 della LPPG, all’Osservatorio Galiziano per il Paesaggio 34 e la loro approvazione è di competenza, in conformità all’articolo 9.6 della LPPG, del “Consello de la Xunta” della Galizia. Per l’elaborazione dei progetti inerenti ai Cataloghi del Paesaggio, l’Osservatorio Galiziano per il Paesaggio deve prendere in considerazione altri Cataloghi già esistenti in materia paesaggistica. Una volta che si siano redattati detti progetti, ai sensi dell’articolo 9.5 della LPPG, deve avviarsi una fase di informazione al pubblico di durata non inferiore a due mesi affinché ogni eventuale interessato possa produrre le osservazioni che ritenga opportune. In seguito alla risposta alle osservazioni proposte, i progetti devono essere rinviati alla “Consellería” competente in materia di ambiente, affinché questa li sottoponga prima all'analisi delle “Consellerías” competenti in materia di ordinamento del territorio e patrimonio culturale e, successivamente, li faccia pervenire al “Consello de la Xunta” per la loro approvazione. A.2. Direttive per il Paesaggio Le Direttive per il Paesaggio, in conformità a quanto stabilito dall’articolo 10.1 della LPPG, sono quelle deliberazioni che, basate sui Cataloghi del Paesaggio, definiscono e specificano, per ogni unità di paesaggio, gli obiettivi inerenti alla 34 La Seconda Disposizione Aggiuntiva della LPPG stabilisce che, fino a quando non si costituirà l’Osservatorio Galiziano per il Paesaggio, la competenza per l’elaborazione dei Cataloghi del Paesaggio spetterà alla “Consellería” competente in materia d’ambiente. 171 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 qualità paesaggistica che si vuole raggiungere35. Questi ultimi, secondo l’articolo 3.c della LPPG, fanno parte della pianificazione, ad opera delle autorità competenti ed in relazione ad un paesaggio specifico, delle aspirazioni della collettività riguardo alle caratteristiche paesaggistiche del proprio contesto ambientale36. Sul contenuto di queste Direttive per il Paesaggio, il terzo comma del menzionato articolo stabilisce che esse devono comprendere: in primo luogo, la definizione degli obiettivi di qualità paesaggistica per ogni unità di paesaggio; in secondo luogo, una proposta concernente misure ed azioni specifiche finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di qualità e di recupero di quelle aree che presentino ambiti di degrado; in terzo luogo, una descrizione sia degli indicatori della qualità paesaggistica per il controllo e per la supervisione del suo stato, sia una descrizione dell’evoluzione delle unità di paesaggio; in quarto luogo, una serie di norme e raccomandazioni per la definizione dei piani urbanistici e settoriali, nonché delle strategie regionali o locali funzionali a uno sviluppo sostenibile del territorio, al fine di integrare in questi strumenti gli obiettivi di qualità paesaggistica. 35 Nella Comunità Valenziana, le Direttive per il Paesaggio non si regolano in modo indipendente; difatti c’è la LVOTPP che prevede due strumenti complementari che compiono una funzione simile: i Piani d’Azione Territoriale e gli Studi sul Paesaggio. Così, l’articolo 11.2 di questa legge dispone che la “Generalitat” approverà un Piano d’Azione Territoriale per il Paesaggio in cui, oltre ad individuare e proteggere i paesaggi di rilevanza regionale nel territorio valenziano, si fisseranno direttive e criteri per l’elaborazione di Studi sul Paesaggio, sul suo valore e sulla sua implicita protezione; l’articolo 31 dello stesso testo legale specifica che in essi, tra l’altro, si definiranno gli obiettivi di qualità paesaggistica dell’ambito di studio, mentre l’articolo 32 conclude che in essi verranno proposte misure per il miglioramento degli ambiti degradati e misure di restauro o di riabilitazione paesaggistica in contesti aventi un alto grado di deterioramento o con un alta incidenza riguardo alla percezione del territorio. Per un’analisi approfondita dell’ordinamento dei Piani d’Azione Territoriale e degli Studi sul Paesaggio nella normativa valenziana sul paesaggio, v.: C. FERNÁNDEZ RODRÍGUEZ, La protección del paisaje, cit., pp. 128 e ss. e El estreno de nuestro Derecho en la ordenación paisajística: a propósito de la ordenación y protección del paisaje en la legislación valenciana, in Revista de Administración Pública, num. 172, 2007, pp. 382 e ss. In Catalogna la configurazione delle Direttive per il Paesaggio è molto differente, come è possibile dedurre dal tenore letterale dell’articolo 12 della LCPGOP, ai sensi del quale: «1. Le direttive per il paesaggio sono le determinazioni che, basandosi sui cataloghi del paesaggio, specificano e assumono normativamente le proposte inerenti agli obiettivi di qualità paesaggistica nei piani territoriali parziali o nei piani direttivi territoriali. 2.I piani territoriali parziali ed i piani direttivi territoriali indicano i casi in cui le direttive sono d’applicazione diretta, o sono di incorporazione obbligatoria sempre e quando si produca la modifica o la revisione della pianificazione urbanistica, o, ancora, nei casi in cui le attuazioni richiedono una relazione precettiva dell’organo competente in materia di paesaggio. I piani territoriali parziali ed i piani direttivi territoriali possono anche decidere quando le direttive per il paesaggio sono raccomandazioni per la pianificazione urbanistica, per le Carte per il paesaggio e per altri piani o programmi derivanti dalle politiche settoriali che incidono nel paesaggio. In quest’ultimo caso, i piani o programmi che si approvano devono essere confacenti alle raccomandazioni delle direttive per il paesaggio». 36 Cfr. articolo 1.c del CEP. 172 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 A proposito della formulazione delle Direttive per il Paesaggio, è necessario specificare: a chi spetta elaborarle, como devono essere realizzate e chi deve approvarle. In armonia con quanto previsto dall’articolo 10.6 della LPPG, l’eleborazione dei progetti riguardanti le Direttive per il Paesaggio spetta alla “Consellería” competente in materia di ambiente e sviluppo sostenibile. Al momento di redigere detti progetti, in conformità all’articolo 10.4 della LPPG, bisogna tener conto del fatto che queste Direttive devono essere congruenti con le determinazioni che, in materia di paesaggio, possono essere desunte da altri strumenti normativi. Secondo questo stesso precetto, la procedura alla quale bisogna attenersi prima dell’approvazione dei progetti consta: a) dell'informazione pubblica, da realizzarsi per un periodo minimo di due mesi, che costituisce il consolidamento dell’articolo 10.2 della LPPG, il quale stabilisce che, nella misura in cui gli obiettivi di qualità paesaggistica devono esprimere le aspirazioni della cittadinanza riguardo alla valorizzazione e al livello di impegno della collettività rispetto alla protezione del paesaggio, la fissazione di questi obiettivi deve realizzarsi attraverso un processo di partecipazione pubblica; b) del comunicato precettivo dei Comuni interessati e c) del comunicato precettivo delle “Consellerías” competenti in materia di ordinamento del territorio e di patrimonio culturale. Infine, bisogna rilevare che, secondo l’articolo 10.7 della LPPG, la competenza per l’approvazione dei progetti relativi alle Direttive per il Paesaggio è propria del “Consello de la Xunta” della Galizia. Le norme raccolte in queste Direttive, in conformità all’articolo 10.4 della LPPG, sono vincolanti, dal momento della loro approvazione, per gli strumenti di pianificazione settoriale ed urbanistica37. Inoltre, in questo senso, l’articolo 10.5 della LPPG dispone che la valutazione ambientale di quei piani e programmi che devono essere sottomesi ad essa in accordo a quanto stabilito dalla Legge 9/2006, del 28 aprile, riguardante la valutazione degli effetti di determinati Piani e Programmi sull’Ambiente, deve includere criteri che abbiano come fine la protezione del paesaggio e facilitare il suo ordinamento e la sua gestione. Per questo, il documento di riferimento previsto dall’articolo 19 della Legge in questione, stabilirà i tempi ed i criteri da seguire per la valutazione ambientale del piano e del programma e comprenderà, in forma precettiva, le norme contenute nelle Direttive per il Paesaggio. Probabilmente, il legislatore galiziano, per rinsaldare la forza vincolante e l’efficacia di questo strumento, avrebbe potuto integrare alcuni precetti di applicazione diretta, nei quali venissero regolamentate misure concrete destinate a promuovere una adeguata integrazione paesaggistica nella pianificazione territoriale ed urbanistica, traguardo che è stato peraltro raggiunto in altre 37 In questo senso, l’articolo 84 della Legge 9/2002, del 30 dicembre, sull’Ordinamento, l’Urbanistica e la Protezione dell’Ambiente Rurale, modificata dalla Legge 2/2010, del 25 marzo, prevede che i progetti dei Piani Generali si devono sottoporre a una verifica della loro congruenza mediante gli strumenti previsti dalla LPPG. 173 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Comunità Autonome38. A.3. Studi sull’Impatto e sull’Integrazione Paesaggistica Attenendosi al tenore letterale dell’articolo 11 della LGGP, gli Studi sull’Impatto e sull’Integrazione Paesaggistica sono documenti che, da un lato, valutano gli effetti e le ripercussioni che l’esecuzione degli atti, delle azioni o delle attività che si vogliono realizzare possono avere sul paesaggio e, dall’altro, comprendono i criteri e le misure attinenti all’integrazione paesaggistica necessari a mitigare l’impatto dei progetti e ad ottenere una loro piena e corretta integrazione paesaggistica 39. A tal proposito occorre chiarire tre aspetti: a) quali progetti devono essere oggetto di detti Studi; b) qual è il loro contenuto minimo e c) chi interviene nell’elaborazione e nell’approvazione degli stessi. Quanto ai progetti che devono essere oggetto degli Studi sull’Impatto e sull’Integrazione Paesaggistica occorre segnalare che questi possono essere racchiusi in due insiemi. Il primo, in conformità all’articolo 11.1 della LPPG, consta di tutti quei progetti che devono essere sottoposti a procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale, in conformità a quanto stabilito dalla 38 Così, l’articolo 33 della LVOTPP decreta che gli strumenti di ordinamento territoriale devono integrare i seguenti criteri: «Adeguamento alla pendenza naturale del terreno, di modo che essa varii il meno possibile ed affinché si predisponga l’adattamento alla topografia del terreno, tanto dal punto di vista dell’edificazione quanto da quello dell’appezzamento, della rete viaria e delle infrastrutture lineari. b) Impedire la costruzione su elementi dominanti o sulla cima delle montagne, su bordi di scarpate e vette del terreno; sono fatti salvi i lavori relativi a infrastrutture e attrezzature di utilità pubblica che debbano occupare dette ubicazioni. c) Integrazione degli elementi topografici significativi in quanto condizionanti il progetto, come pendii e rialzi di rilievi, corsi naturali, muri, terrazzamenti, sentieri tradizionali ed altri ancora, proponendo le azioni di integrazione necessarie a combattere il deterioramento della qualità paesaggistica. V. anche gli articoli 34, 35 e 36 dello stesso testo legale, in cui si regolano, rispettivamente, le norme di applicazione diretta nel contesto rurale, le norme relative al paesaggio urbano ed i programmi di estetica urbana. A proposito del carattere vincolante delle Direttive, v. A. DÍAZ OTERO, El valor jurídico del paisaje, cit., pp. 161 e ss. 39 Anche nella normativa in materia di paesaggio di altre Comunità Autonome, si sono introdotti strumenti simili. Per esempio, nella Comunità Valenziana sono previsti gli Studi sull’Integrazione Paesaggistica, regolati dagli articoli 48 e ss. del RPCV, che mirano, in conformità a quanto disposto nell’articolo 49, a «prevedere e valutare la portata e l’importanza degli effetti che i nuovi procedimenti o la riconfigurazione di procedimenti preesistenti possono produrre sulla natura del paesaggio e sulla sua percezione, e a determinare strategie per evitare gli impatti o lenire i possibili effetti negativi»; in Catalogna, si regolano gli Studi sull’Impatto e sull’Integrazione Paesaggistica negli articoli 19 e ss. del RPC, definiti nell’articolo 19 come «documento tecnico destinato a considerare le conseguenze che ha sul paesaggio l’esecuzione di procedure, progetti di lavori o attività e ad esporre i criteri adottati per la loro integrazione». 174 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 legislazione settoriale vigente. Il secondo gruppo, in base all’articolo 11.4 della LPPG, è composto da quei progetti che, nonostante non siano da sottoporre ai procedimenti di Valutazione di Impatto Ambientale, si vogliono tuttavia realizzare nelle zone geografiche identificate come “Aree di speciale interesse paesaggistico” e rientrano in quei casi che il “Consello de la Xunta” definisce normativamente. Il “Consello de la Xunta”, per la determinazione di questi casi deve tenere in conto parametri come l’esistenza di spazi naturali protetti, la distanza rispetto alla linea di costa, il volume delle edificazioni, la superficie interessata relativamente al progetto, l’incidenza sulle risorse naturali e la presenza di elementi di valore del patrimonio naturale culturale40. Questi Studi, secondo l’articolo 11.2 della LPPG, devono avere questo contenuto: una diagnosi relativa allo stato attuale del paesaggio (principali componenti, valori paesaggistici, visibilità e fragilità del paesaggio); le caratteristiche principali del progetto; l’impatto che il progetto può scatenare sugli elementi che formano il paesaggio; la giustificazione relativa al modo in cui si integrano nel progetto gli obiettivi di qualità paesaggistica e le indicazioni delle Direttive per il Paesaggio fissate per le unità di paesaggio nelle quali si pretende di attuare il progetto41; ed i criteri e le misure da adottare per raggiungere l’integrazione paesaggistica del progetto. Riguardo all’ultima questione – chi interviene nell’elaborazione e nell’approvazione degli Studi – occorre evidenziare: in primo luogo, che spetta ai 40 Per la loro determinazione, si puó tenene conto della regolamentazione realizzata tanto in Valenzia come in Catalogna. Nella Comunità Valenziana, in conformità all’articolo 48.4 del RPCV dovranno essere accompagnati dallo Studio sull’Integrazione Paesaggistica: «a) La pianificazione urbanistica per lo sviluppo contemplata nei comma b, c, d e f dell’articolo 38 della Legge 16/2005, del 30 dicembre. b) I solleciti di licenze urbanistiche all’interno degli insiemi e dei contesti dichiarati Beni di Interesse Culturale e Spazi Naturali Protetti. c) Le richieste di Dichiarazione di Interesse Comunitario. d) Autorizzazioni e licenze in terreno non urbanizzabile non comprese negli anteriori ambiti. e) I progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale, disciplinata dalla Legge 2/1989, del 3 marzo e dal suo Regolamento di attuazione approvato con il Decreto 162/1990, del 15 ottobre, sostituendosi l’analisi sull’impatto visivo con il menzionato studio, conforme a quanto indicato nell’articolo 58 di questo Regolamento. f) Progetti di infrastrutture e opere pubbliche. A sua volta, in Catalogna, l’articolo 20 del RPC indica che gli Studi sull’Impatto e sull’Integrazione paesaggistica sono precettivi nei seguenti casi: «a) In quelle procedure, usi, attività e nuove costruzioni in terreno non urbanizzabile che si devono autorizzare in virtù del procedimento previsto dall’articolo 48 del Decreto Legislativo 1/2005, del 26 luglio, con il quale viene approvato il Testo Consolidato della Legge sull’Urbanismo. b) Nei casi in cui venga richiesta la pianificazione territoriale o urbanistica. c) In tutti gli altri casi in cui così stabilisca qualunque legge o disposizione di carattere generale. 41 L’articolo 11.2.d della LPPG specifica che questa stipulazione sarà precettiva quando verranno approvate le Direttive per il Paesaggio. Si tratta, in questo caso, di una previsione impropria, giacché la stessa avrebbe dovuto essere integrata, per esempio, nella Seconda Disposizione Finale della LPPG. 175 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 soggetti promotori di detti progetti elaborare gli Studi sull’Impatto e sull’Integrazione Paesaggistica e, se del caso, di integrarli negli Studi sull’Impatto Ambientale; in secondo luogo, che è competenza della “Consellería” responsabile in materia di ambiente elaborare il Rapporto sull’Impatto e sull’Integrazione Paesaggistica in seno ai procedimenti di Dichiarazione e di Valutazione di Impatto Ambientale, Rapporto che verrà integrato nella corrispondente Dichiarazione sull’Impatto Ambientale42. A.4. Piani d’Azione relativi al Paesaggio in Aree Protette I Piani d’Azione relativi al Paesaggio in Aree Protette sono documenti che hanno come obiettivo la protezione, la gestione e l’ordinamento del paesaggio in quei territori dichiarati spazi protetti, secondo quanto disposto dalla normativa galiziana vigente in materia di conservazione della natura43. Il suo contenuto, in accordo a quanto previsto dall’articolo 12.2 della LPPG, consisterà in una proposta concernente misure per il mantenimento, il miglioramento, il recupero o la rigenerazione dei paesaggi presenti nell’area protetta, che si adatterà alle indicazioni contenute nelle Direttive per il Paesaggio per il territorio che ospita lo spazio protetto, in conformità ai criteri di qualità paesaggistica stabiliti. Questi Piani d’Azione, secondo il già citato articolo 12.2 della LPPG, saranno integrati dagli strumenti di pianificazione e di ordinamento dell’area protetta, previsti dalla normativa galiziana vigente in materia di conservazione della natura 44. La competenza riguardante l'iniziativa per la formulazione di questi Piani d’Azione spetta alla “Consellería” competente in materia d’ambiente, alla quale l’articolo 12.3 della LPPG affida il compito di fare in modo che tutte le zone geografiche segnalate nei Cataloghi del Paesaggio como “Aree di speciale interesse paesaggistico” dispongano della protezione specifica che permetta la preservazione dei loro valori. 42 Per una maggiore chiarezza normativa, sarebbe conveniente che lo sviluppo normativo della LPPG comprendesse una definizione chiara relativa al “Rapporto sull’Impatto e sull’Integrazione Paesaggistica” della quale detta Legge è priva. In questo senso, si potrebbe prendere come modello l’articolo 22.1 del RPC che stabilisce: «Il rapporto sull’impatto e sull’integrazione paesaggistica ha lo scopo di valutare l’idoneità e l’accettabilità dei criteri o delle misure adottate dagli studi a cui si riferiscono l’articolo 19 e ss. di questo Decreto, per integrare nel paesaggio le procedure, gli usi, le opere o le attività da realizzare». 43 V. Legge 9/2001, del 21 agosto, sulla Conservazione della Natura della Galizia, in particolare, gli articoli 9, 10, 15 e 24. 44 V. Legge 9/2001, del 21 agosto, sulla Conservazione della Natura della Galizia. 176 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 B. Strumenti volontari bilaterali o multilaterali B.1. Patti per il paesaggio Secondo l’articolo 14.3 della LPPG, la “Xunta” della Galizia deve promuovere la stipulazione dei Patti per il Paesaggio quale strumento di concertazione tra le Amministrazioni pubbliche, le Entità locali e i rimanenti attori economici e sociali di un determinato territorio che volontariamente desiderino realizzare attività di protezione e potenziamento dei paesaggi e della qualità di vita dei cittadini, in un’ottica politica di sviluppo sostenibile. Questi Patti, ai sensi della disposizione stessa, includeranno nel loro contenuto le procedure concrete e specifiche che dovranno avviare i distinti attori partecipanti per raggiungere gli obiettivi di qualità paesaggistica corrispondenti all’ambito spaziale cui si riferiscono. In conformità all’articolo 14.4 della LPPG, i Patti per il paesaggio che si stipulano tra la “Xunta” della Galizia e le Amministrazioni locali, così come quelli che si originano tra altri attori economici e sociali, dovranno tener conto delle raccomandazioni e delle indicazioni dei Cataloghi del Paesaggio e delle Direttive per il Paesaggio per quell’ambito geografico, così come dell’esistenza di spazi od elementi inventariati del patrimonio naturale, artistico o culturale 45. B.2. Accordi volontari in Aree di Speciale Interesse Paesaggistico Ai sensi dell’articolo 14.5 della LPPG, la “Xunta” della Galizia, nelle Aree di Speciale Interesse Paesaggistico, deve facilitare la sottoscrizione di Accordi volontari tra le persone proprietarie delle terre e le Entità pubbliche, con il fine di appoggiare e collaborare nella difesa e nella conservazione dei valori naturali e 45 Uno strumento di contenuto analogo è previsto nell’articolo 14 della LCPGOP: le Carte per il Paesaggio. Esse vengono definite, nel primo comma del suddetto articolo, «strumenti di concertazione riguardo le strategie tra pubblici e privati per compiere procedure relative alla protezione, gestione e ordinamento del paesaggio che abbiano come obiettivo mantenere i suoi valori». Secondo l’articolo 18.5 del RCP, le Carte per il Paesaggio devono avere il seguente contenuto: «a) La diagnosi delle dinamiche del paesaggio. b) La definizione degli obiettivi di qualità paesaggistica da raggiungere all’interno dell’ambito territoriale che interessa la carta per il paesaggio. Detti obiettivi devono essere coerenti rispetto agli obiettivi di qualità stabiliti per ognuna delle unità di paesaggio definite nei corrispondenti Cataloghi del Paesaggio. c) Elaborazione di un programma di gestione nel quale si concretizzino le azioni specifiche che devono intraprendere i diversi attori, ed in cui debba essere assicurata la partecipazione dei cittadini». Il GPPG, nel corso dell’iter parlamentare della LPPG, mediante gli emendamenti n. 6 al comma 5 dell’articolo 8 e n. 13 per l’inserimento dell’articolo 11 bis, propose di includervi una regolamentazione molto simile alla normativa catalana. 177 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 culturali presenti in queste aree 46. 4.2. Strumenti di analisi, studio e sensibilizzazione in materia di paesaggio La LPPG prevede due strumenti per l’organizzazione, la sensibilizzazione e la concertazione delle politiche sul paesaggio, uno di carattere organico, l’Osservatorio Galiziano per il Paesaggio 47, e, un altro di tipo funzionale, le azioni di formazione, sensibilizzazione, educazione e concertazione. A. Osservatorio Galiziano per il Paesaggio L’Osservatorio Galiziano per il Paesaggio costituirà, secondo l’articolo 13.1 della LPPG, un’entità di appoggio e consulenza per la “Xunta” della Galizia48 in materia di paesaggio, ed in tema di collaborazione e coordinamento con altre 46 La futura evoluzione normativa della LPPG dovrà concretizzare il contenuto di questi Accordi. In questo senso, si potrebbe stabilire che in essi vengano riunite le procedure necessarie per garantire la preservazione, il miglioramento e la valorizzazione dei paesaggi che per il proprio valor naturale, visivo o culturale esigano una collaborazione pubblico-privata; nella fattispecie, si prevedono: il mantenimento, il miglioramento e la restaurazione dei paesaggi forestali, agricoli e rurali; il potenziamento paesaggistico degli insediamenti rurali, specialmente attraverso l’eliminazione, la riduzione o il trasferimento degli elementi, degli usi o delle attività che degradino il paesaggio; il potenziamento paesaggistico di contesti storici e archeologici e la valorizzazione del paesaggio particolare di qualsiasi luogo come risorsa turistica. 47 Per mezzo della creazione di questo ente si intende rispondere alle esigenze contenute negli articoli 7 e 8 del CEP. 48 Attualmente, in conformità all’articolo 16 del Decreto 316/2009, del 4 giugno, con il quale viene disciplinata la struttura organica della “Consellería de Medio Ambiente, Territorio e Infraestructura”, le competenze e le funzioni dell’Amministrazione autonomica in materia di paesaggio spettano alla Direzione Generale di Sostenibilità e Paesaggio. Per l’esercizio di queste funzioni, la Direzione Generale di Sostenibilità e Paesaggio si avvale della “Vicedirezione Generale per il Paesaggio ed il Territorio” che si vede attribuite, tra le tante, le seguenti competenze: a) La protezione, la gestione e l’ordinamento del paesaggio. b) L’attivazione di strumenti per la protezione, la gestione e l’ordinamento dei paesaggi della Galizia, quali i Cataloghi del Paesaggio della Galizia, le Direttive per il Paesaggio, gli Studi sull’Impatto e sull’Integrazione Paesaggistica, i Piani d’Azione relativi al Paesaggio in aree protette, cosí come qualsiasi altro che si consideri necessario per l'attuazione dei commi precedenti. Questa Vicedirezione Generale per il Paesaggio ed il Territorio, a sua volta, per l’esercizio delle funzioni appena indicate, dispone del Servizio per il Paesaggio, a cui corrispondono le competenze affidate alla Vicedirezione Generale per quanto riguarda l’area tematica del paesaggio e che, più generalmente, è incaricata di fornirle assistenza, così come di esercitare qualunque altra funzione che, per propria competenza, possa attribuirle la persona titolare della Vicedirezione Generale. 178 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Amministrazioni e settori della società49. Rispetto al carattere giuridico dell’Osservatorio, occorre ripetere che il citato articolo 13, nel suo secondo comma 50 e la Prima Disposizione Finale della LPPG51 , affidano all’Amministrazione autonomica un’ampio potere decisionale per poter scegliere la forma giuridica che deve adottare lo stesso, la quale forma può essere quella di un mero organo amministrativo52 , ma anche quella di un ente personificato, essendo, probabilmente, il modello più adeguato per la sua composizione e per le sue funzioni quello dell’Agenzia o quello del Consorzio, malgrado non si possano scartare i rimanenti tipi di enti strumentali previsti dalla Legislazione autonomica53. In riferimento alla sua composizione, è opportuno mettere in rilievo che l’articolo 13.4 della LPPG lascia nelle mani della “Xunta” della Galizia la definizione della stessa. Questa norma, da un lato, richiede espressamente che si 49 Tanto in Valenzia come in Catalogna esistono Organismi simili all’Osservatorio Galiziano per il Paesaggio. Nella Comunità Valenziana, attraverso l’articolo 65 della LVOTPP, viene fondato l’Istituto per il Paesaggio della “Generalitat” che viene definito, in base al sesto comma di detto precetto, un organo di sussidio tecnico per la “Generalitat” e per il resto delle Amministrazioni pubbliche valenziane riguardo al compito di definire ed eseguire le politiche per il paesaggio. Nella Comunità Autonoma della Catalogna, si predispose la creazione dell’Osservatorio per il Paesaggio per mezzo della LCPGOP, il cui articolo 13.1 lo definisce come un’entità di sostegno e di collaborazione per l’Amministrazione della “Generalitat” rispetto a tutte le questioni relative all’elaborazione, all’applicazione ed alla gestione delle politiche proprie del paesaggio. 50 Questo precetto segnala che: «L’Osservatorio Galiziano per il Paesaggio adotterà la forma che più si confà alle sue funzioni». 51 Questa Disposizione afferma che: «La “Xunta” della Galizia, in un periodo massimo di sei mesi, a partire dalla data di pubblicazione della presente Legge, approverà le disposizioni regolative di attuazione per [...] la costituzione, la natura giuridica, le funzioni, la composizione, il funzionamento ed altri aspetti organizzativi dell’Osservatorio Galiziano per il Paesaggio [...]». 52 Trattandosi, in questo caso, di uno degli organi previsti dall’articolo 22.2 della Legge 30/1992, del 26 novembre, sul Regime Giuridico delle Amministrazioni Pubbliche e della Procedura Amministrativa Comune. 53 È necessario ricordare che il GPPG propose, per mezzo dell’emendamento n. 17 al secondo comma dell’articolo 13, che nel testo della LPPG si stabilisse che l’Osservatorio non si dotasse di personalità giuridica propria. Nella Comunità Valenziana, l’articolo 65.2 della LVOTPP, configura l’Istituto per il Paesaggio della “Generalidad” come una Entità di Diritto Pubblico «dotata di personalità giuridica pubblica differenziata, patrimonio e tesoreria propri, così come di autonomia di gestione e piena capacità giuridica e operativa, essendo di sua competenza l’esercizio delle facoltà amministrative specifiche per il raggiungimento dei suoi fini, fatta eccezione per la facoltà espropriativa». Neanche in Catalogna, l’articolo 13.2 della LCPGOP definisce la forma di personificazione giuridica che deve adottare l’Osservatorio per il Paesaggio. Questa manovra viene realizzata nel RPC, il cui l'articolo 16.2 lo delinea quale consorzio assegnato al Dipartimento di Politica Territoriale e Opere Pubbliche. 179 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 garantisca la presenza equilibrata di uomini e donne, e, dall’altro, poichè lo configura alla stregua di un ente di collaborazione e di coordinamento con altre Amministrazioni e con diversi settori della società, impone, indirettamente, che dette Amministrazioni e settori sociali siano in questo rappresentati54. All’Osservatorio Galiziano per il Paesaggio spetterebbero, secondo quanto prescrive l’articolo 13.4 della LPPG, le funzioni relative a sei distinti ambiti: 1.- Analisi dei paesaggi. In questo terreno l’Osservatorio deve valutare lo stato di conservazione dei paesaggi galiziani e analizzare le loro trasformazioni e la loro prevedibile evoluzione. 2.- Studio e rapporto in materia paesaggistica. In quest’ambito, l’attività dell’Osservatorio Galiziano per il Paesaggio consiste nel realizzare studi e proposte in materia di paesaggio e nell’elaborare, ogni quattro anni, un rapporto sullo stato del paesaggio in Galizia, rapporto che la “Xunta” dovrà presentare innanzi al Parlamento della Galizia. 3.- Pianificazione nell’ambito paesaggistico. In questo campo, spetta all’Osservatorio delimitare le grandi aree paesaggistiche sulle quali si consolideranno i Cataloghi del Paesaggio ed elaborare gli stessi. 4.- Canalizzazione della collaborazione interamministrativa in materia paesaggistica. In quest’ambito l’Osservatorio Galiziano per il Paesaggio deve: in primo luogo, promuovere la collaborazione e la cooperazione in materia di paesaggio, soprattutto mediante l’assistenza scientifica e tecnica per altre Amministrazioni ed attraverso la realizzazione di scambi di esperienze con fini di formazione ed informazione, specialmente in materia di paesaggi oltre confine; in secondo luogo, fungere da organo di consulenza degli Enti locali per la messa a 54 In questa materia, come in altre alle quali abbiamo prima fatto riferimento, al momento di avanzare verso l’evoluzione regolativa, si possono considerare le disposizioni contenute nella legislazione catalana e valenziana. Riguardo la composizione dell’Osservatorio per il Paesaggio catalano, sarebbe opportuno ricordare che l’articolo 13.3 della LCPGOP, esige che si tengano in considerazione i diversi attori che agiscono nel territorio e nel paesaggio o che ad esso sono vincolati; concretamente, i Dipartimenti della “Generalitat” implicati, gli Enti Locali e diversi settori sociali, professionali ed economici. Inoltre, l’articolo 16.3 del RPC aggiunge che faranno parte dell’Osservatorio delle Entità Municipali, i Collegi Professionali che abbiano attinenza con la materia, le Università catalane e le entità private che realizzino attività vincolate al territorio o al paesaggio. Occorre rilevare che il GPPG propose, attraverso l’emendamento n. 17 al secondo comma dell’articolo 13, che fosse stabilita per l’Osservatorio Galiziano per il Paesaggio una composizione simile. D’altronde l’articolo 67 della LVOTPP afferma, per quanto riguarda l’Organizzazione dell’Istituto per il Paesaggio della “Generalitat”: «3. Il Consiglio Direttivo sarà composto dal “Conseller” competente in materia di paesaggio, che lo dirigerà, dal Direttore dell’Istituto per il Paesaggio della “Generalitat” e da altri membri che verranno designati nelle forme che suggerisce il Regolamento per l’organizzazione ed il funzionamento. 4. Su proposta del Direttore dell’Istituto per il Paesaggio, il Consiglio Direttivo crearà organi adatti a stimolare la partecipazione delle istituzioni e degli enti valenziani vincolati alle politiche proprie del paesaggio, ed in particolare delle corporazioni locali. Nello stesso modo, potranno crearsi organi aggiuntivi di carattere tecnico per realizzare attività di consulenza». 180 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 punto di politiche sul paesaggio relative alla pianificazione urbanistica e territoriale e, in terzo luogo, partecipare a reti di osservatori per il paesaggio ed enti simili, creati a livello statale, europeo od internazionale. 5.- Supervisione di iniziative in materia paesaggistica. Spetta all’Osservatorio monitorare iniziative di qualunque tipo, di ambito statale, europeo ed internazionale, in materia di paesaggio; in particolare, iniziative di ricerca e di divulgazione di conoscenza. 6.- Formazione e sensibilizzazione in materia paesaggistica. É una funzione essenziale dell’Osservatorio Galiziano per il Paesaggio formare, sensibilizzare e rendere partecipe la società galiziana riguardo alla necessità di proteggere e gestire in modo opportuno i paesaggi della Comunità autonoma. B. Attività di formazione, sensibilizzazione, educazione e concertazione Le Attivitá di formazione, sensibilizzazione, educazione e concertazione sono, conformemente all’articolo 14 della LPPG, quelle attività promosse dalla “Xunta” della Galizia e indirizzate, generalmente, alla società galiziana e, in particolare, ai dirigenti ed utenti del territorio che mirano alla promozione della comprensione, rispetto e salvaguardia degli elementi che comprendono il paesaggio della Comunità Autonoma. La LPPG, da un lato, nel campo della formazione e dell’educazione, obbliga la “Xunta” della Galizia a introdurre lo studio del paesaggio nei distinti cicli educativi e a promuovere la formazione di specialisti in interventi sul paesaggio e, dall’altro lato, nell’ambito della concertazione, obbliga la “Xunta” a favorire la predisposizione di Patti sul paesaggio e la stipulazione di Accordi volontari per le Aree di Speciale Interesse Paesaggistico. III. Riflessioni conclusive In generale, come è stato segnalato nel presente lavoro, la LPPG implica un importante passo verso l’ordinamento, la gestione, la promozione e la tutela dei paesaggi della Comunità autonoma galiziana. Le sue disposizioni, chiaramente influenzate dall’anteriore normativa catalana, costituiscono il primo passo verso l’attuazione del CEP. Ciononostante, resta molto lavoro da ultimare in questo campo. Per questo, sarebbe conveniente che, senza ulteriori contrattempi, si proseguisse nel senso della elaborazione di un Regolamento – il cui possibile contenuto sarà trattato nel prosieguo – per lo sviluppo di questa normativa, e, fatto questo, ci si avviasse verso la costituzione dell’Osservatorio per il Paesaggio e l’elaborazione degli strumenti 181 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 essenziali previsti nella LPPG55 . In riferimento ai tempi per la maturazione della LPPG, occorre evidenziare che il regolamento per l’esecuzione della stessa dovrebbe regolare, per lo meno, tre questioni: in primo luogo, dovrebbe definire chiaramente e in maniera precisa una serie di concetti trattati nella LPPG il cui contenuto e la cui portata non sono stati delimitati a sufficienza, cosa che può rendere difficoltosa la sua corretta applicazione; in secondo luogo, deve regolare nei dettagli gli strumenti per la protezione, per l’ordinamento e per la gestione del paesaggio, previsti nella LPPG e, date le carenze avvertite negli stessi, crearne altri complementari per raggiungere gli obiettivi fissati nella LPPG; infine, in terzo luogo, dovrebbe regolamentare gli strumenti per l’organizzazione, la sensibilizzazione e la concertazione delle politiche sul paesaggio, creandone, inoltre, dei complementari rispetto a quelli legalmente previsti, qualora siano indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi che, in quest’ambito, la LPPG suggerisce. Di seguito si elencheranno brevemente gli aspetti che sarebbe opportuno si regolassero, in relazione ad ognuna delle questioni anteriormente indicate, mediante l’evoluzione normativa della LPPG. 1. Definizioni Como è già stato espresso, una corretta evoluzione della LPPG esige una precisa specificazione dei concetti sui quali detta norma si poggia. Perciò, è necessario che la disciplina per la trattazione della LPPG stabilisca con chiarezza il significato di quei concetti, non definiti nella stessa, e di quegli altri la cui definizione legale non è cosí esauriente come dovrebbe essere. La normativa per l’elaborazione della LPPG dovrebbe definire, almeno, i seguenti termini: - conflitti paesaggistici: tali si dovrebbero considerare gli atti, i fatti, gli elementi o i fattori che sottraggano o possano sottrarre valore visivo, ecologico, culturale o storico alle unità di paesaggio. - grandi aree paesaggistiche: queste sarebbero frazioni del paesaggio della Comunità Autonoma delimitate in funzione delle distinte aree geografiche, morfologiche, urbane e litorali esistenti nella stessa. - indicatori paesaggistici: con questa espressione ci si riferirebbe agli elementi di carattere visivo, ambientale, patrimoniale, economico e sociale che consentono di determinare lo stato di un paesaggio e controllare la sua evoluzione. - integrazione paesaggistica: questa espressione farebbe riferimento a quegli 55 La “Consellería” competente in materia d’ambiente ha avviato nel corso degli ultimi mesi l’elaborazione dei 20 Cataloghi del Paesaggio previsti. L’organo ha fissato l’anno 2014 come data ultima per il compimento dell’opera. A proposito della possibile efficacia di questi strumenti, dall’ottica dell’esperienza catalana, v.: J. NOGUÉ, y P. SALA, El paisaje en la ordenación del territorio. Los catálogos de paisaje de Cataluña, in Cuadernos Geográficos, num. 43, 2008, pp. 69-98. 182 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 interventi che si inseriscono nel paesaggio nella misura in cui non incidono negativamente nella natura del luogo in cui vengono realizzati e non impediscono la possibilità di percepire le risorse paesaggistiche. - obiettivi generali di qualità paesaggistica: sarebbero quelli che manifestano le aspirazioni popolari rispetto a ciò che è inerente alle caratteristiche paesaggistiche del territorio della Comunità Autonoma. - paesaggio: per quanto riguarda questo termine, alla definizione legale – in base alla quale si deve intendere per paesaggio qualsiasi parte del territorio percepita in quanto tale dagli abitanti, il cui carattere derivi dall’azione di fattori umani e dalle loro interrelazioni – bisognerebbe aggiungere quattro dimensioni da tenere in conto per la caratterizzazione di un paesaggio: la naturale – dato che il paesaggio è costituito da elementi naturali come il suolo, l’acqua, l’aria e via dicendo; l’umana – nella misura in cui l’umanità modella il paesaggio per mezzo delle sue attività sull’ambiente; la sensoriale – dato che le persone percepiscono il paesaggio attraverso i loro propri sensi; la temporale – considerato che il paesaggio evolve a causa di fattori naturali ed umani. - sistema di valutazione strategica del paesaggio: si potrebbe definire come il procedimento che permette di determinare il grado di soddisfacimento degli indicatori paesaggistici e degli obiettivi concreti di qualità paesaggistica fissati per ogni unità di paesaggio e l’efficacia delle azioni e delle misure che si avviano per raggiungere detti obiettivi. - unità di paesaggio: con questo termine ci si riferirebbe agli ambiti territoriali nei quali si divide una grande area paesaggistica per poter contare su di una configurazione strutturale, funzionale o intuitivamente differenziata e con valori paesaggistici omogenei, coerenti e differenziati rispetto alle unità contigue. - valutazione delle unità di paesaggio: con questo concetto si intenderebbe l’operazione consistente nella valutazione quantitativa e qualitativa dei suoi valori paesaggistici e dello stato di ordinamento, gestione e conservazione degli stessi, esistenti nelle distinte unità paesaggistiche, tenendo in considerazione gli indicatori paesaggistici e gli obiettivi di qualità paesaggistica nonché i conflitti paesaggistici in esse presenti. - valori paesaggistici: si potrebbero definire come le risorse aventi un interesse visivo, ecologico, culturale o storico che servono per la individuazione e la valutazione delle unità di paesaggio. 2. Strumenti per la protezione, l’ordinamento e la gestione del paesaggio Oltre agli strumenti regolamentati dalla LPPG in quest’ambito (i cataloghi del paesaggio, le direttive per il paesaggio, gli studi sull’impatto paesaggistico e i piani d’azione per il paesaggio in aree protette), la cui disciplina, evidentemente, dev’essere completata dal regolamento per lo sviluppo di detta Legge, probabilmente sarebbe conveniente normativizzare nello stesso quadro nuovi strumenti: la mappa del paesaggio della Galizia, le norme di integrazione 183 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 paesaggistica, i rapporti sull’impatto paesaggistico e i programmi per il paesaggio. Così, in primo luogo, riguardo agli strumenti già previsti dalla LPPG, il suo regolamento di attuazione potrebbe: a) riguardo i cataloghi del paesaggio: - definirli come documenti di carattere descrittivo; definire le unità di paesaggi esistenti in una determinata area paesaggistica; descrivere minuziosamente le relazioni e le interazioni tra fattori ambientali, culturali, sociali ed economici che spieghino la loro parvenza attuale e la percezione che di questi hanno i cittadini; individuare i loro valori e lo stato di conservazione; proporre gli obiettivi concreti di qualità da rispettare, così come le misure e le azioni necessarie per questo. - definire le loro funzioni, tra le quali dovrebbero essere comprese: la delimitazione delle unità di paesaggio; l’identificazione dei valori paesaggistici; l’analisi delle cause che determinarono la configurazione del paesaggio attuale e le tendenze future; l’elaborazione di una diagnosi del paesaggio; rendere fattibile la concretizzazione degli obiettivi generali di qualità paesaggistica per ogni unità di paesaggio; proporre misure e azioni per raggiungere gli obiettivi di qualità paesaggistica; stabilire criteri per la definizione dei programmi per il paesaggio; orientare le iniziative degli agenti economici e sociali; o servire come base per portare a termine campagne di sensibilizzazione ed educazione in materia di paesaggio. - stabilire il loro contenuto, ossia, stabilire i documenti che devono, necessariamente, essere inclusi nei cataloghi; in particolare, imporre l’allegazione di una memoria descrittiva, diagnostica e valutativa – in cui si individuino gli elementi definitori del paesaggio per tutto l’ambito territoriale e per ogni unità di paesaggio – e una cartografia di ogni unità di paesaggio. - fissare il loro procedimento per l’elaborazione, l’approvazione e la modifica. b) per quanto riguarda le direttive per il paesaggio: - specificare le loro funzioni, tra le quali dovrebbero essere comprese: i) la fissazione degli obiettivi concreti di qualità paesaggistica per ogni unità di paesaggio; ii) la fissazione delle misure ed azioni necessarie per raggiungerli; iii) la definizione degli indicatori di qualità paesaggistica per il controllo e la supervisione dello stato e dell’evoluzione delle unità di paesaggio; iv) la fissazione dei tempi e dei criteri per la definizione dei piani urbanistici e settoriali e dei programmi per i paesaggi; e v) l'elaborazione di criteri di orientamento delle iniziative e dei progetti degli attori economici e sociali. - definire il loro procedimento per l’elaborazione, l’approvazione e la modifica. c) rispetto agli studi sull’impatto e sull’integrazione paesaggistica: - definirli come documenti tecnici che hanno per oggetto la valutazioni degli effetti che produce sul paesaggio la messa in atto di azioni, progetti di opere, attività di nuova installazione o rimodellamento di azioni preesistenti e la determinazione delle misure necessarie alla loro integrazione al fine di evitare o 184 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 mitigare i possibili conflitti paesaggistici che si possono presentare. - fissare i casi in cui sarà obbligatorio portare avanti questi studi. - stabilire il loro contenuto che dovrà consistere: nella descrizione delle azioni o dei progetti di lavori o attività e la loro delimitazione; nella redazione di una memoria di diagnosi e valutazione; in una relazione avente ad oggetto le misure di integrazione e in una documentazione grafica necessaria per visualizzare gli impatti e le proposte di integrazione del progetto nel paesaggio. In secondo luogo, la Normativa per lo sviluppo della LPPG, con l’idea di raggiungere una completa operatività della stessa, dovrebbe prevedere la creazione dei seguenti strumenti: a) norme d’integrazione paesaggistica, rispetto alla quale dovrebbe stabilirsi: - la loro definizione come parametri per giustificare che un’azione si può considerare integrata nel paesaggio e per determinare l'opportunità di autorizzare azioni che potenzialmente potrebbero generare un conflitto paesaggistico. - le sue funzioni, tra le quali, necessariamente, devono considerarsi: orientare l’elaborazione di iniziative e progetti degli attori economici e sociali; stabilire tempi e criteri per la definizione di piani urbanistici e settoriali; facilitare l’elaborazione di studi di impatto ed integrazione paesaggistica; e oggettivizzare i criteri per la emissione dei rapporti sull’impatto e sull’integrazione paesaggistica. - definire il loro procedimento per l’elaborazione, l’approvazione e la modifica. b) rapporti sull’impatto e sull’integrazione paesaggistica: - la loro definizione: sarebbero quelli che hanno per oggetto la valutazione, negli studi sull’impatto e sull’integrazione paesaggistica, dell’idoneità e dell’accettabilità delle misure proposte, con il fine di integrare nel paesaggio le azioni, gli usi, le opere o le attività che si intendono realizzare. - la determinazione della loro natura: dovrebbe trattarsi di un rapporto precettivo e vincolante. - l'individuazione dell’organo competente per la loro emissione. - la fissazione del procedimento relativo al rapporto per l’esecuzione di attività e progetti di opere, tanto di quelle attività che non siano soggette alla dichiarazione di impatto ambientale quanto di quelle che invece lo sono. 3. Strumenti di organizzazione, di sensibilizzazione e di concertazione per le politiche per il paesaggio Nella Normativa per lo sviluppo della LPPG, oltre a regolare in maniera dettagliata la natura, il regime giuridico, l’organizzazione, le funzioni e il funzionamento dell’Osservatorio Galiziano per il Paesaggio, è necessario dotare di contenuto effettivo, fondamentalmente, i patti per il paesaggio. Questi patti per il paesaggio dovrebbero definirsi come strumenti di concertazione di strategie tra gli attori pubblici e privati che avrebbero l’obiettivo di realizzare atti di protezione, gestione e ordinamento del paesaggio. 185 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 La loro natura giuridica dovrebbe essere quella di accordi di diritto pubblico tra una o varie Amministrazioni pubbliche e una o vari enti privati. Essenzialmente, il regime giuridico di questi patti per il paesaggio sarà quello fissato dalle sue proprie clausole. Ciononostante, per risolvere i dubbi che possano presentarsi nell’applicazione degli stessi, si potrebbe ricorrere ai principi propri della contrattazione pubblica nella misura in cui, evidentemente, detti principi siano compatibili con la natura e con i fini di questi accordi. Infine, per quanto riguarda il loro contenuto, sembra opportuno che la normativa sullo sviluppo della LPPG stabilisca alcune prescrizioni minime che gli stessi devono incorporare. Tra queste, potrebbe delinearsi l’inclusione de: a) la delimitazione dell’ambito dell’azione oggetto dei patti; b) l’identificazione dei conflitti che si intende risolvere con gli stessi o l’individuazione della situazione che si desidera migliorare con la loro sottoscrizione e con la loro fissazione in funzione degli obiettivi da raggiungere; c) la giustificazione della corrispondenza del patto, nel suo ambito, agli strumenti paesaggistici in vigore; d) la programmazione nella quale si concretizzeranno le azioni specifiche che si impegneranno al realizzare i differenti attori del patto; e) l’individuazione dei mezzi che si impiegheranno nell’esecuzione del patto. IV. BIBLIOGRAFIA CAAMAÑO DOMÍNGUEZ F., Sí, pueden (Declaraciones de derechos y Estatutos de Autonomía), in Revista Española de Derecho Constitucional, num. 79, 2007. 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The awareness rising about this issue has culminated with the Lei 7/2008, do 7 de xullo, de protección da paisaxe de Galicia (Landscape Protection Act 2008), which is analyzed in this note, with the aim of making proposals of its development. 188 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 MARTA D’AURIA Cancun: per il “post-Kyoto” occorre attendere Durban La sedicesima Conference of the Parties (COP16, 29 novembre-10 dicembre 2010), si è tenuta a Cancun. Dopo la COP15 (Copenaghen, 7-18 dicembre 2009) e il Copenaghen Accord, la COP16 ha costituito l’occasione per stabilire se il Protocollo di Kyoto dovesse o meno avere un futuro. Se si guarda ai risultati del precedente summit, questa volta si può dire che qualche passo avanti vi è stato, ma è ancora lunga la strada che porta a un nuovo accordo sul clima. Dal 1997, anno della firma del Protocollo di Kyoto, si svolge ogni anno la Conference of the Parties (COP), al fine di adottare iniziative per la piena attuazione del Protocollo. A Cancun (in Messico) si è svolta la sedicesima Conferenza (COP16), alla quale hanno partecipato 194 paesi. La precedente COP si era conclusa (nel 2010) con il Copenaghen Accord: un compromesso “minimale”, raggiunto da soli cinque paesi, privo di obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni, del quale l’assemblea plenaria si era limitata a prendere atto. Usa, Cina, India, Brasile e Sud Africa avevano assunto l’impegno di realizzare (future e non meglio specificate) iniziative per limitare l’innalzamento della temperatura media del pianeta entro due gradi centigradi in più rispetto ai livelli pre-industriali. L’Accordo prevedeva, poi, l’istituzione di un fondo per sostenere lo sforzo dei paesi in via di sviluppo nell’adozione di tecnologie meno inquinanti (si rinvia a M. D’AURIA, Il Copenhagen Accord: un passaggio interlocutorio verso l’assunzione di responsabilità “globali”, in questa Rivista, 2010, n. 0). Dati i risultati della precedente Conferenza, su quella di Cancun non erano riposte grandi aspettative. Vi era, però, la consapevolezza che il vertice avrebbe potuto costituire l’occasione per decidere se il Protocollo di Kyoto potesse, o dovesse, avere un futuro oppure no. La situazione dei paesi partecipanti si è presentata, come sempre, piuttosto differenziata. La Cina, in base al Protocollo di Kyoto, non ha obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni, ma la sua partecipazione a un qualsiasi programma di abbattimento delle emissioni è imprescindibile, dal momento che questo Paese è, ormai, responsabile del 24 per cento delle emissioni a livello globale. La Cina è, peraltro, ferma nel richiedere che siano i paesi ricchi ad assumere impegni vincolanti di riduzione delle emissioni; tuttavia, ha confermato di voler ridurre l’intensità energetica attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie: essa, infatti, vanta la leadership negli investimenti in tecnologie per le energie rinnovabili (oltre 40 miliardi di dollari nel 2009-2010). Proprio queste tecnologie sono al centro dell’attenzione dei policy makers: come è stato detto, «la lotta al cambiamento 189 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 climatico è la più grande legittimazione (o “driver”, in termini economicofinanziari) verso le energie pulite e il nucleare, insieme alla sicurezza energetica. Nasce da lì il quadro normativo internazionale che spinge verso la riduzione delle emissioni di gas serra con l’aumento delle rinnovabili» (L. SALVIOLI, Se le energie rinnovabili fossero pronte non ci sarebbe bisogno di Cancun, Il Sole24ore, 13.12.2010). Negli Usa (paese che, tra l’altro, non ha ratificato il Protocollo di Kyoto), il Climate Change Bill si è arenato al Senato e, soprattutto dopo il risultato delle elezioni di midterm, non sembra che sia collocato tra i punti principali dell’agenda del Presidente. Al vertice di Cancun, gli Usa hanno ribadito il proprio impegno di ridurre, entro il 2020, le emissioni del 17 per cento rispetto ai livelli del 2005 (e non, come previsto dal Protocollo di Kyoto, rispetto al 1990), il che equivale a una riduzione minore rispetto a quella che si realizzerebbe prendendo come anno base il 1990. Quanto alla posizione dell’Italia, in un’intervista rilasciata al Sole24ore il 29 novembre 2010, il Ministro dell’ambiente ha dichiarato che il nostro Paese, pur non essendo contrario ad assumere nuovi impegni, non avrebbe sostenuto iniziative - come quelle di ulteriore riduzione delle emissioni inquinanti - costose e pregiudizievoli per la competitività delle industrie italiane, se i grandi inquinatori (gli Usa, la Cina e l’India primi fra tutti) non avessero assunto impegni vincolanti di riduzione delle emissioni. In ogni caso, occorre considerare che l’Italia resta vincolata a quanto stabilito in sede europea. Resta, infatti, confermata la politica ambientale ed energetica dell’Europa, che non solo ha istituito (in via sperimentale dal 2005 e a regime dal 2008) un mercato finanziario da miliardi di euro per lo scambio dei diritti di emissione, ma che, con la c.d. “direttiva 20-20-20” ha registrato l’impegno degli Stati a ridurre, entro il 2020, le emissioni del 20 per cento. A Cancun, le Parti hanno assunto impegni di riduzione delle emissioni, ma si tratta di impegni volontari, seppur approvati dall’assemblea plenaria della COP (dato non trascurabile, considerato che nel precedente summit l’assemblea aveva semplicemente preso atto dell’accordo raggiunto da soli cinque paesi). Al tempo stesso, i paesi Annex I (quelli, cioè, che, ai sensi del Protocollo di Kyoto, si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 5,2 per cento rispetto al 1990 nel periodo 2008-2012) hanno concordato sulla necessità di realizzare, nel 2020, una riduzione delle emissioni tra il 25 e il 40 per cento rispetto ai livelli del 1990. All’insieme di questi impegni dovranno seguire iniziative concrete, della cui programmazione - però - non si fa cenno nella decisione finale. Sul fronte dei finanziamenti, il Copenhagen Accord recava l’impegno dei paesi industrializzati a creare il Copenhagen Green Climate Fund («an operating entity of the financial mechanism of the Convention»), volto ad assicurare ai paesi in via di sviluppo misure di sostegno nei programmi di contrasto agli effetti causati dal cambiamento climatico, nonché a trasferire in quei paesi tecnologie a basso impatto ambientale. La COP16 riconosce, ora, la validità dell’impegno e conferma la dotazione del fondo: 30 miliardi di dollari in ciascun anno del triennio 190 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 2010-2012, 100 miliardi all’anno dal 2020. La cifra è importante e, come ha ricordato il segretario generale dell’Onu, si tratta di investimenti strategici, essendo destinati allo sviluppo sostenibile di vaste aree del mondo e alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici, sempre più scarsi e concentrati in aree dalla forte instabilità politica. Per i primi quattro anni, sarà la World Bank a gestire il fondo, con criteri e modalità che restano, però, tutti da definire. Va sottolineata, infine, una vicenda la cui importanza va ben al di là della sua natura procedurale. Si tratta di questo: il documento con cui le Parti, facendo riferimento al Protocollo di Kyoto e alla necessità di darvi continuità, si dichiarano impegnate ad adottare iniziative per la riduzione delle emissioni è stato approvato non già all’unanimità (v’è stata l’opposizione della Bolivia), bensì “per consenso”. La presidenza messicana ha, evidentemente, forzato l’applicazione della regola del consenso, ma si è trattato di una forzatura che, «se da una parte ha evitato un altro fallimento stile Copenhagen, dall’altra rappresenta un precedente che sicuramente avrà importanti conseguenze sul funzionamento delle prossime conferenze» (L. MASSAI, Il finto accordo di Cancun, in QualEnergia, 15.12.1010). Intanto, la Bolivia ha già annunciato che presenterà ricorso alla Corte internazionale di giustizia. La prossima COP si terrà a Durban (Sud Africa) nel dicembre 2011. Sarebbe auspicabile che le Parti si presentassero con programmi condivisi e con l’impegno di assumere iniziative concrete e relative responsabilità, poiché nel 2012 terminerà il “first commitment period” (e, cioè, l’arco temporale 2008-2012 che il Protocollo di Kyoto ha individuato come il periodo per realizzare gli impegni vincolanti di riduzione delle emissioni). Non dotarsi di nuove regole per contrastare il cambiamento climatico equivarrebbe, infatti, ad attestare il fallimento (non tanto e non solo della diplomazia internazionale, quanto) della capacità degli Stati di far fronte a problemi che, pur superando i confini di ciascun Paese, richiedono, in primo luogo e nell’interesse comune a tutti, forti impegni nazionali. 191 1 9 2 1 9 3 1 9 4 1 9 5 1 9 6 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 FRANCESCO FONDERICO - ANDREA FARÌ Rassegna della normativa ambientale dell' ultimo anno. 1. Le linee evolutive recenti della normativa ambientale. Lo sviluppo recente della normativa ambientale nell'ordinamento italiano evidenzia in modo definitivo come l'elemento trainante della propulsione normativa sia costituito quasi interamente dall'attuazione della disciplina comunitaria. Dalla rassegna critica della produzione normativa italiana degli ultimi mesi si desume, infatti, come dato preponderante l'adozione di decreti legislativi di recepimento di direttive comunitarie, accanto alla altrettanto congenita produzione di carattere sostanzialmente emergenziale e contingente legata ad esigenze temporali, segnatamente proroghe di scadenze contenute in precedenti provvedimenti. Con la sola eccezione del D.Lgs. 128/2010, appare ragionevole sostenere, di contro, che solo la parte residuale dello sforzo normativo recente sia stato concentrato sulla produzione di discipline di implementazione dell'ordinamento "ambientale" non legato ad impellenze comunitarie. E proprio in questi casi, peraltro, gli interventi del legislatore sono stati al centro di notevoli discussioni e contrapposizioni con i soggetti destinatari principali della regolazione: si pensi ai decreti sul Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti - SISTRI ed ai decreti di definizione dei meccanismi di incentivazione delle energie rinnovabili. La sintetica rassegna dei recenti interventi normativi che può essere condotta in questa sede assume come criterio di esposizione una ripartizione tra aree omogenee di incidenza delle discipline, esaminando, nell'ordine, dapprima le disposizioni che incidono su istituti di carattere trasversale e, successivamente, le norme in tema di acque, inquinamento atmosferico, rifiuti ed energie rinnovabili. 2. Le discipline di natura trasversale. Il più significativo degli interventi concernenti quelli che possono essere considerati istituti trasversali, è il D.Lgs. 29 giugno 2010, n. 128. Con tale normativa è stato operato un ulteriore c.d. "correttivo” al testo unico ambientale, che ha modificato la disciplina in materia di valutazione d’impatto ambientale (VIA), valutazione ambientale strategica (VAS) e prevenzione integrata degli inquinamenti (IPPC). In estrema sintesi, si può ritenere che tale intervento abbia prodotto un duplice effetto. Per un verso ha perseguito finalità di chiarificazione e semplificazione normativa, per altro verso ha proseguito nell'operazione di accorpamento normativo e "codificazione" della disciplina ambientale. 197 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 Sotto il primo profilo si considerino le modifiche introdotte in tema di VIA, nel senso di meglio specificare le procedure di integrazione procedimentale con le altre autorizzazioni ambientali, individuando con maggiore chiarezza le ipotesi di attivazione della procedura di VIA in caso di modifiche dei progetti e delle opere, nonché, assai significativamente, il chiarimento (resosi necessario anche in ragione dei rilievi comunitari sollevati sul punto) sulla vincolatività della VAS nei procedimenti di approvazione di piani e programmi . Il secondo profilo riguarda invece l'inclusione della disciplina dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) nel D.lgs. 152/2006, al titolo III-bis della Parte II. La disciplina, prima contenuta nel D.Lgs. 59/2005, è stata trasposta con poche modifiche sostanziali. Sempre nel novero delle disposizioni di carattere generale, appare opportuno segnalare l'implementazione della disciplina in tema di appalti verdi (green public procurement), operata, da un lato, con l'approvazione del regolamento di attuazione del D.Lgs. 163/2006 ( DPR 5 ottobre 2010, n. 207), dove figurano la disposizioni sull'inclusione del fattore ambientale nei contratti pubblici. Dall'altro lato, sono stati adottati alcuni provvedimenti di portata minore, come il D.lgs. 3 marzo 2011, n. 24 in attuazione della direttiva 2009/33/Ce sulle "regole ambientali" per gli appalti per acquisti di veicoli da parte della pubblica amministrazione, nonché il DM 22 febbraio 2011, contenente i "Criteri minimi per gli appalti "verdi" della pubblica amministrazione per l'acquisto di prodotti tessili, arredi per ufficio, illuminazione pubblica, apparecchiature informatiche". Infine, rassegna sia pure al di fuori della normativa strettamente “ambientale”, ma con effetti di natura trasversale, deve essere segnalata la disciplina sul c.d. Federalismo demaniale, contenuta nel D.Lgs. 85/2010 (Attribuzione a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell'articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42), con la quale si disciplina il meccanismo di trasferimento dei beni di proprietà dello Stato agli enti territoriali minori, incidendo sul regime dominicale di molti beni ambientali. Sono infatti trasferiti alle regioni, ad es., i beni del c.d. demanio idrico, con alcune tassative ipotesi di esclusione, mentre restano esclusi dal trasferimento le riserve e i parchi naturali di rilevanza nazionale. 3. Le modifiche in tema di inquinamento atmosferico. Con riferimento alla disciplina dell'inquinamento atmosferico e della qualità dell'aria si devono segnalare due interventi significativi. Il primo è contenuto nel già citato D.Lgs. 128/2010, dal cui art. 3 sono state introdotte modifiche ed integrazioni alla Parte V del D.Lgs. 152/2006 in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera. In particolare, le modifiche più significative hanno riguardato la distinzione tra la definizione di 198 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 impianto e quella di stabilimento, che viene ad assumere un ruolo centrale ai fini del rilascio dell’autorizzazione ad immettere emissioni in atmosfera. Sono stati inoltre precisati aspetti di natura procedimentale relativamente alle autorizzazioni dei nuovi impianti e il rinnovo di precedenti autorizzazioni, con una migliore definizione dei poteri istruttori dell’amministrazione competente, nonché la previsione di forme di efficace semplificazione (possibilità di considerare più impianti localizzati nello stesso stabilimento come un unico impianto, qualora abbiano caratteristiche tecniche, costruttive e di emissione simili, ed omogenee). Il secondo intervento normativo ha invece riguardato la disciplina della qualità dell'aria. Le finalità del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 155, che recepisce la Direttiva 2008/50/CE, sono quelle di assicurare la qualità dell’aria, garantire un livello di informazione elevato sulla qualità dell’aria, nonché realizzare una migliore cooperazione tra gli Stati dell’Unione europea e tra gli enti territoriali coinvolti dalle funzioni di tutela. Il D.Lgs. 155/2010 prevede inoltre un complesso sistema tecnico di misurazione, monitoraggio ed intervento in funzione dell'attività di programmazione e pianificazione da parte delle regioni, sottoposta alle verifiche del Ministero dell'Ambiente e dell'ISPRA. Sono infatti previsti, per un verso, progetti di “zonizzazione” del territorio e di adeguamento della “rete di misura” attraverso l’installazione ed il mantenimento delle stazioni di misurazione e, per altro verso, i “piani di qualità dell’aria”, al fine di individuare tutte le misure di intervento, ed i “piani d’azione”, che individuano le misure necessarie per ottenere una riduzione del rischio di superamento dei valori limite, dei valori obiettivo e delle soglie di allarme. Di non minore impatto regolatorio, sempre in tema di inquinamento atmosferico, è l'attuazione della direttiva 2008/101/CE, avvenuta con il D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 257, relativa all'inclusione delle attività di trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissioni dei gas a effetto serra. 4. Gli interventi normativi in tema di rifiuti. Particolarmente fervente è stata l'attività normativa in materia di rifiuti. Anche in questo ambito il traino al legislatore nazionale è stato offerto dalla necessità di attuare le disposizioni comunitarie. Il D.Lgs. n. 205 del 10 dicembre 2010 ha infatti recepito nell’ordinamento italiano la direttiva 2008/98/CE in materia di rifiuti, modificando profondamente la parte IV del D.Lgs. 152/2006. Gli aspetti interessati dalla normativa di recepimento sono molti, tuttavia se ne possono evidenziare alcuni di sicura rilevanza: la gerarchia dei rifiuti, le nozioni di sottoprodotto ed end of waste, gli obiettivi di recupero e di raccolta differenziata, la responsabilità estesa del produttore e la tracciabilità dei rifiuti. Con la gerarchia si stabilisce l’ordine di priorità di ciò che costituisce la migliore opzione ambientale nella normativa e politica dei rifiuti. La gerarchia prevede che il ciclo dei rifiuti debba essere orientato in primo luogo alla 199 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 prevenzione, in subordine alla c.d. “preparazione per il riutilizzo”, poi al riciclaggio, all’eventuale recupero di altro tipo (ivi incluso il recupero di energia) e solo come ultima opzione, qualora tutte quella finora citate non fossero esperibili, si prevede lo smaltimento. In particolare, l’attenzione alla prevenzione dei rifiuti, sia con disposizioni vincolanti (come quelle sul riutilizzo dei prodotti ovvero sulla preparazione per il riutilizzo), sia con disposizioni programmatiche (come quella sui programmi di prevenzione), trova nel Dlgs 205/2010 un rinnovato vigore rispetto alla disciplina previgente, in linea con i più recenti dettami comunitari. Il nuovo testo dell’articolo 179 stabilisce i criteri di priorità nella gestione dei rifiuti, e chiarisce che solo in via eccezionale è possibile discostarsi dall’ordine di priorità, in relazione a flussi di rifiuti specifici. Anche con riferimento alla nozione di sottoprodotto, invece, il D.Lgs. 205 apporta significative innovazioni rispetto alla disciplina previgente. Com’è noto, i sottoprodotti non sono rifiuti bensì prodotti secondari conseguenti l’attività produttiva principale. pertanto, ampliare la nozione di sottoprodotto equivale a restringere l’ambito di applicazione della disciplina sui rifiuti, oltre che, a condizione che siano soddisfatti i criteri previsti, dare attuazione alla “gerarchia dei rifiuti”. Il nuovo art. 184-bis del Dlgs n. 152 del 2006, definisce come sottoprodotto qualsiasi sostanza che presenti contemporaneamente determinate caratteristiche (la sostanza deve essere originata da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non sia la produzione di tale sostanza od oggetto; è necessario che la sostanza venga riutilizzata nel corso di un successivo processo di produzione o anche di utilizzazione da parte del produttore o di terzi; deve essere certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso e/o di un successivo processo di produzione e/o di utilizzazione, da parte del produttore o anche di terzi e la sostanza o l’oggetto deve essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; è necessario che l’ulteriore utilizzo sia legale). Al comma 2 dell’art. 184-bis è prevista la possibilità di emanazione di uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, al fine di definire, nel rispetto delle condizioni di cui al comma 1 dell’art. 184-bis, anche criteri qualitativi e/o quantitativi affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotto e non rifiuto. Sulla cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste), con D.Lgs. 205/2010 viene introdotto nel D.Lgs. 152/2006 l’articolo 184-ter in cui si prevede la specificazione delle modalità attraverso le quali un rifiuto cessa di essere tale, ovvero “quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici”. Tali criteri dovranno tuttavia essere previsti con decreto ministeriale da adottare nel rispetto di condizioni specifiche: la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; l’utilizzo della sostanza o 200 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana. Tale disposizione prende il posto di quella contenuta nel previgente articolo 181-bis “materie, sostanze e prodotti secondari”. Un ulteriore punto qualificante del recepimento della direttiva comunitaria sui rifiuti è costituito dagli obiettivi di recupero e riciclaggio (art. 181). Allo scopo di raggiungere gli obiettivi posti in sede comunitaria, lo strumento privilegiato è dato dalla raccolta separata dei rifiuti, che continua ad essere uno degli strumenti importanti, seppure non l’unico, per agevolare e migliorare il potenziale di riciclo e recupero. Inoltre, mentre nell’ordinamento italiano gli obiettivi finora esistenti riguardavano esclusivamente la raccolta differenziata, contenuti all’art. 205 del Dlgs 152/2006, in ambito comunitario gli obiettivi si riferiscono al recupero del rifiuto ed indicano, come strumento obbligatorio, la raccolta differenziata. Ne deriva che l’obiettivo comunitario è più ambizioso, e presuppone una sistema di raccolta efficiente ed improntato al principio di differenziazione. Per quanto riguarda il principio della responsabilità estesa del produttore l’art. 178-bis rappresenta la generalizzazione di un principio già attuato con riferimento a specifiche filiere produttive e di recupero (ad es. pneumatici fuori uso). Tuttavia, la nuova disposizione rimanda l’operatività del principio stesso all’adozione di uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare che definiranno le modalità e i criteri di introduzione della responsabilità estesa del produttore del prodotto. Tale principio riveste una importanza decisiva per l’impostazione comunitaria della riduzione e prevenzione dei rifiuti, e la sua applicazione concreta sarà legata alla volontà di adozione dei decreti attuativi. Un tema di grande impatto in materia di rifiuti è quello del controllo della tracciabilità degli stessi. Con il D.M. 17 dicembre 2009, adottato sulla base di precedenti disposizioni (articolo 14-bis del D.L. n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009) è stato appunto istituito il Sistema di Tracciabilità (SISTRI). Il D.Lgs. 205/2011 ha introdotto nell’ordinamento l’apparato sanzionatorio ad esso connesso, in vista dell’entrata in vigore definitiva del sistema. Posta la rilevante complessità tecnica di tale sistema, negli ultimi mesi la tematica è stata oggetto di numerosi interventi “correttivi”, dapprima per prorogare il termine di entrata in vigore ed apportare lievi modifiche ( D.M. 28 settembre 2010; D.M. 22 dicembre 2010), successivamente per accorpare in unico atto, di natura regolamentare, la disciplina del SISTRI e fornire agli operatori un “testo unico” (D.M. 18 febbraio 2011, n. 52), infine ancora per prorogare, differenziando in base alle categorie produttive coinvolte, il termine di entrata in operatività del sistema stesso (D.M. 26 maggio 2011). Oltre agli interventi finora menzionati, in tema di rifiuti le disposizioni più rilevanti hanno riguardato le modifiche al D.Lgs. 188/2008 relativo a "pile, accumulatori e relativi rifiuti", operate con il D.Lgs. 11 febbraio 2011, n. 21 e, di notevole impatto concreto sul ciclo di gestione dei rifiuti, il D.M. 27 settembre 2010, che disciplina i nuovi criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica. 201 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 5. Gli interventi normativi in tema di energia. Il quadro normativo relativo alla regolazione delle tematiche energetiche ha subito alcuni rilevanti interventi di modifica. In particolare i versanti sui quali si è registrata una notevole attività del legislatore sono stati due: energie rinnovabili ed energia nucleare. Con riferimento all'energia prodotta da fonti rinnovabili, evidenziando solo le innovazioni più recenti e rilevanti, si registrano, per un verso, gli interventi che hanno condotto all'adozione delle tanto attese "Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili" (D.M. 10 settembre 2010), nonché del c.d. "Terzo conto energia" di disciplina degli incentivi per impianti fotovoltaici (D.M. 6 agosto 2010). Per altro verso, con il Dlgs 3 marzo 2011, n. 28 è stata recepita nel nostro ordinamento la direttiva 2009/28/CE in materia di promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili. Quest'ultimo intervento rappresenta una nuova disciplina-quadro per il settore, dal momento che vengono definiti gli strumenti, i meccanismi, gli incentivi nonché il quadro istituzionale, finanziario e giuridico, necessari per il raggiungimento degli obiettivi di promozione già prefissati dalla suddetta direttiva in vista del 2020. Il decreto si pone quale cornice normativa rinnovata del settore, ponendo le prescrizioni relative alle procedure amministrative di autorizzazione degli impianti, le regole per la garanzia di origine dell'energia prodotta, l’informazione e la formazione dei soggetti coinvolti nelle procedure tecniche su cui si regge tale sistema di riconoscimento dell'energia prodotta e di connessione con i meccanismi incentivanti ad essa relativi. Una parte specifica è dedicata alla disciplina dei biocarburanti, successivamente integrata dall'adozione del D.Lgs. 31 marzo 2011 n. 55 (Attuazione della direttiva 2009/30/CE) . Al D.lgs. 28/2011 è seguito a stretto giro il D.M. 5 maggio 2011, relativo alla incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici (c.d. Quarto Conto energia), resosi necessario in ragione della cessazione anticipata dei meccanismi di incentivazione del c.d. Terzo conto energia disposta proprio con il D.Lgs. 28/2011. Sul versante dell'energia nucleare, invece, la rassegna normativa registra la chiusura del cerchio, con ritorno al punto di partenza. La disciplina in origine contenuta nel D.Lgs. 31/2010, in un primo momento oggetto di alcune modifiche operate con il D.Lgs. 23 marzo 2011, n. 41 è stata rimessa in discussione funditus in ragione, per un verso, dei drammatici eventi di Fukushima (Giappone), e, per altro verso, della contestuale pendenza di un referendum abrogativo delle disposizioni fondamentali (dichiarato ammissibile dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 28/2011, e approvato nel giugno 2011 dalla maggioranza degli elettori). Sulla scorta di tale dibattito, il legislatore ha tratto la decisione di rivedere la disciplina, dapprima con la sospensione dell'efficacia del d.lgs. 31/2010, disposta dal D.L. 34/2011 (art. 5), e successivamente con l'abrogazione della disciplina stessa con la legge di conversione 75/2011, con la sola esclusione della parte riguardante il Deposito nazionale delle scorie. 202 RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE ANNO 2011 / NUMERO 1 6. Le novità in tema di acque. La breve rassegna delle novità normative degli ultimi mesi si chiude con gli interventi in tema di acque, che tuttavia, seppur significativi, non contengono quelle modifiche di ordine strutturale alla parte Terza del D.Lgs. 152/2006, pure previste nella legge delega del 2009. In particolare, si segnala il D.Lgs. 10 dicembre 2010, n. 219, relativo agli "Standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque - Attuazione della direttiva 2008/105/Ce". Il provvedimento recepisce quanto stabilito dalle direttive 2009/90/Ce in materia di specifiche tecniche per l’analisi chimica e il monitoraggio dello stato delle acque e 2008/105/Ce sugli standard di qualità ambientale in materia di acque. Le modifiche incidono sulla Parte II del D.Lgs. 152/2006 (tra cui le nuove definizioni di "buono stato chimico delle acque", "limite di rilevabilità" e "limite di quantificazione"), al fine di garantire il perseguimento degli obiettivi di riduzione dell'inquinamento provocato dalle sostanze prioritarie (direttiva 2000/60/Ce) entro il 2015. Un intervento maggiormente significativo è stato invece adottato con riferimento all'ambiente marino, in relazione al quale il D.Lgs. 13 ottobre 2010, n. 190, ha attuato la direttiva 2008/56/Ce che istituisce un quadro per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino. Tale decreto, che ha posto gli obiettivi prioritari per la protezione e la preservazione dell’ambiente marino, prevede l’adozione di misure necessarie a mantenere un buono stato ambientale del mare, da raggiungere entro il 2020. Le molteplici strategie contemplate mirano alla tutela dell’ambiente marino, circoscrivendo il più possibile l’impatto delle attività antropiche e garantendo un uso sostenibile delle risorse nell’interesse generale. Di portata più circoscritta ma parimenti rilevante, deve essere segnalato inoltre il D.M. 8 novembre 2010, n. 260, recante i "Criteri tecnici per la classificazione dello stato dei corpi idrici superficiali" che ha modificato le norme tecniche allegate alla Parte III del D.Lgs. 152/2006. 203