La responsabilità per danno ambientale

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La responsabilità per danno ambientale
RIVISTA QUADRIMESTRALE
DI
DIRITTO DELL’AMBIENTE
NUMERO 1/2011
GIAN DOMENICO COMPORTI
La responsabilità per danno ambientale
G. Giappichelli editore
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
ANNO 2011 / NUMERO 1
GIAN DOMENICO COMPORTI1
La responsabilità per danno ambientale2
SOMMARIO: 1. La lezione dei fatti. – 2. Il ruolo strategico, ma non esaustivo
della responsabilità civile. – 3. Il carattere relazionale dei rimedi al danno ed i
limiti dell’approccio tipologico. – 4. L’operazione rimediale ed i suoi principi: la
priorità della tutela in forma specifica e la procedimentalizzazione della
responsabilità. – 5. Il carattere residuale del risarcimento per equivalente ed il
ruolo strategico della valutazione economica dei danni. – 6. Conclusioni.
1. La lezione dei fatti.
Per condurre un’analisi adeguata del tema ed evitare di incagliarsi subito
nelle dispute di carattere ideologico e di principio che, soprattutto quando si parla
di responsabilità e di ambiente, finiscono per prevalere su una documentata analisi
della realtà, pare utile partire dall’analisi dei fatti. Ciò anche perché è stato da
tempo notato che le questioni su cui dibattono i giuristi sono sovente il frutto di un
«processo elaborativo che si compie in altre sedi»3. Da queste vicende periferiche
conviene, dunque, prendere le mosse per mettere progressivamente a fuoco le
dinamiche che si mettono in moto al verificarsi di un danno ambientale, per tale
intendendosi qualunque accadimento o evento che possa avere effetti dannosi
sull’ambiente nel suo complesso.
Partendo dall’episodio più recente, ancora oggi in fase di evoluzione, può
così ricordarsi che il 20 aprile 2010 un’esplosione ha colpito la Deepwater
Horizon, una piattaforma petrolifera della compagnia svizzera Transocean che
eseguiva perforazioni per conto della British Petroleum a 50 km dalle coste della
Louisiana. 11 operai sono morti e 17 sono rimasti gravemente feriti, ma alla
tragedia che ha colpito i lavoratori si è aggiunto il danno ambientale: la fuoriuscita
di migliaia di barili di petrolio al giorno dai due buchi posizionati nella trivella a
5.000 metri di profondità. Nel suo discorso televisivo del 15 giugno 2010, il
Presidente Usa Obama ha parlato del peggiore disastro ambientale che ha colpito
l’America: infatti, non si è trattato di un incidente da utilizzo, né di un evento che
ha prodotto un unico effetto in un limitato arco temporale, ma di una specie di
epidemia (così l’ha definita Obama) che produrrà conseguenze a molteplici livelli
1
∗ Professore ordinario di Diritto amministrativo, Università degli Studi di Siena
2 Relazione presentata al Convegno su «Principio di precauzione e impianti petroliferi costieri»,
Livorno, 17 settembre 2010.
3
Chiarisce bene simili aspetti S. NESPOR, Il dibattito internazionale sulla responsabilità per danno
ambientale, in B. POZZO (a cura di), La nuova responsabilità civile per danno all’ambiente, Giuffrè,
Milano, 2002, pp.19 e 3.
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nei prossimi anni. Lo stesso Obama ha poi analizzato in serie le azioni avviate e
quelle da intraprendere:
a) anzitutto, la creazione di un team di scienziati e anche tecnici di BP, con il
compito di trovare il modo di bloccare la fuoriuscita di petrolio; a tale operazione
tecnica, si è associata un’attività di c.d. clean up condotta da un insieme di circa
30.000 uomini operanti presso 4 Stati sotto la direzione dell’ammiraglio Thad
Allen;
b) poi, le prime richieste risarcitorie, che hanno messo in allarme i vertici
dell’azienda ed il governo britannico per le possibili ricadute negative sul valore
delle azioni (a metà giugno è stata decisa l’istituzione di un fondo costituito da 20
miliardi di dollari e gestito in modo terzo ed indipendente da Kennet Feinberg, che
ha gestito anche il fondo per le vittime dell’11 settembre; mentre BP ha reso noto
che sono state presentate oltre 106.000 domande di risarcimento a fonte delle quali
sono stati erogati 164,9 milioni di dollari; nessuna richiesta è stata respinta e sono
presenti sul posto più di 1.050 periti);
c) quindi, un piano a lungo termine (long term Gulf Coast Restoration Plan)
per ripristinare le bellezze della regione colpita e l’istituzione di una commissione
nazionale di indagine per scoprire le cause del disastro e suggerire
raccomandazioni per migliorare gli standards di protezione e sicurezza nei casi di
perforazioni offshore (la National Commission on the BP Deepwater Horizon Oil
Spill and Offshore Drilling è stata costituita con l’executive order del 21 maggio
2010 che ha concesso 6 mesi di tempo per produrre un final public report).
Nel riassumere il proprio punto di vista, Obama ha infine sottolineato come
l’unico approccio che è inaccettabile in casi del genere è l’inazione, apparendo
inammissibile il principio del «too big and too difficult to meet».
Questa sintesi evidenzia la comparsa sulla scena del sito inquinato di una
pluralità di attori (politici, tecnici, economici e, in senso lato, sociali), ciascuno dei
quali rispondenti a logiche di responsabilità e di azione differenti. Elementi
ricorrenti di un collaudato copione appaiono i seguenti:
a) percezione della novità dell’evento e della sua entità: ogni episodio viene
avvertito come nuovo e più grave nella storia dell’umanità. Anche negli anni
passati è così accaduto che gravi fenomeni di inquinamento siano stati salutati
come disastri ecologici di entità epocale. Concentrando l’attenzione sulla più
diffusa tipologia di inquinamento marino 4, quella derivante dalla navigazione, si
possono citare i seguenti casi. Nel marzo del 1989 la petroliera Exxon Valdez si
incagliò su un fondale basso e roccioso della baia di Prince William, rovesciando in
mare 50.000 tonnellate di greggio che inquinarono 1.900 km di coste dell’Alaska
meridionale. Si stima che tale evento abbia provocato la morte di 250.000 mila
uccelli marini, 2.800 lontre, 300 foche, 250 acquile di mare e 22 orche; oltre alla
4
Secondo recenti calcoli dell’International Owners Pollution Federation, citati da L. CRISTOFARO,
Una panoramica sulle principali forme di inquinamento dell’ambiente marino, in Diritto
all’ambiente, 2009, dal 1970 a causa di incidenti alle petroliere sarebbero stati versati in mare circa
5,65 milioni di tonnellate di petrolio greggio.
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perdita di lavoro dei pescatori della zona ed a danni immensi all’economia della
regione. Il 2 dicembre 1999 la petroliera Erika battente bandiera maltese affondava
a circa 70 km a largo della punta di Penmarc’h (Francia) versando in mare circa
20.000 tonnellate di petrolio su un’area di circa 400 km di costa.
b) spettacolarizzazione della risposta sul piano politico. E’ noto che la
denuncia di problematiche diffuse, a rilevante impatto sociale e, dunque, ad alta
visibilità (l’inquinamento, come la sicurezza pubblica, la povertà, il debito
pubblico, ecc.) costituisce tecnica altamente redditizia in termini di consenso:
denunciare costa poco e rende molto, perché nobilita e manifesta l’impegno di una
certa parte politica su tematiche di interesse generale. Inoltre, più è elevato il tono
della denuncia ed il livello di allarme diffuso nell’immediatezza dei fatti, più si
creano i presupposti per proclamare il successo delle iniziative intraprese. Non a
caso, per tornare al caso californiano, all’allarmato messaggio televisivo del 15
giugno hanno fatto seguito: il 4 agosto – lo stesso giorno in cui BP annunciava il
definitivo stop kill del vulcano petrolifero - il rapporto «BP Deepwater Horizon Oil
Budget: What Happened To the Oil?» del National Incident Command (Nic) della
National Oceanic and Atmosphere Administration (Noaa) e di altre agenzie federali
del governo Usa, che annunciava, in toni giudicati da Greenpeace Usa anche
troppo ottimistici, che il 74% del greggio sversato sarebbe evaporato o bruciato e
che dunque rimarrebbe disperso solo il 24% di una marea nera calcolata in 4
milioni e 900 mila barili dal Flow rate techical group creato da Obama; le
dichiarazioni della geochimica Jaqueline Missel che coordina la pulitura delle coste
della Lousiana: «l’impatto è stato molto, molto inferiore a quel che si era temuto»;
fino al liberatore bagno di Obama e della figlia Sasha nelle salmastre acque di
Panama City il giorno di Ferragosto dinanzi ad una folla di fotografi, il cui
messaggio è chiaro: non abbiate paura, le acque non sono così inquinate come
credevamo e la situazione è ormai sotto controllo.
c) attivazione di un tavolo di tecnici ed esperti scientifici per capire le cause
dell’accaduto e trovare i rimedi specifici.
d) intervento a livello regolatorio per introdurre limiti e controlli più
stringenti. Così, in risposta al caso Exxon Mobil, nel 1990 gli Usa hanno adottato
l’Oil Pollution Act che ha imposto l’obbligo del doppio scafo a tutte le navi che
volessero approdato nei porti americani; in conseguenza di ciò, l’Organizzazione
Marittima Internazionale (Omi) ha introdotto l’obbligo del doppio scafo nella
Convenzione internazionale sulla prevenzione dell’inquinamento causato dalle navi
(Convenzione Marpol firmata a Londra il 2 novembre 1973); pertanto tutte le navi
consegnate a partire dal luglio 1996 devono essere equipaggiate con
un’intercapedine di circa 1,5/2 metri tra lo scafo esterno e le cisterne di carico per
contenere la eventuale fuoriscita di petrolio. Il caso Erika, invece, ha indotto a
modificare in modo significativo la legislazione marittima europea, con tre
pacchetti di direttive (Erika I e Erika II del marzo e dicembre 2000 e Erika III del
2009) che hanno condotto all’introduzione dell’obbligo del doppio scafo (con il
reg. CE n. 417/2002), alla nascita dell’Agenzia Europea per la Sicurezza
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Marittima, la cui sede è stata istituita a Lisbona dal dicembre 2003, alla creazione
ed implementazione di un sistema comunitario di monitoraggio e informazione.
e) denuncia delle responsabilità civili ed attivazione dei rimedi risarcitori. La
vicenda giudiziaria che ha fatto seguito al disastro Exxon Mobil si è conclusa dopo
circa 20 anni, con la condanna da parte della Corte di appello federale americana,
in data 16 giugno 2009, a una multa di 500 milioni di dollari oltre 480 milioni di
interessi, cifra molto ridotta rispetto alla condanna di primo grado (risarcimento di
33 mila persone tra pescatori e lavoratori marittimi per circa 3.4 miliardi di dollari,
oltre a 5 miliardi per danno ambientale) che la Corte Suprema il 25 giugno 2008
aveva giudicato eccessivamente punitiva, indicando un tetto massimo di 507
milioni di dollari. Il 27 agosto 2008 la Exxon Mobil ha accettato di pagare ai
pescatori e lavoratori danni equivalenti al 75% di quanto calcolato dalla Corte
Suprema, vale a dire circa 383 milioni di dollari e poi la Corte di appello ha
confermato il limite massimo citato. Nel caso Erika, il Tribunale di Parigi ha
condannato in solido nel gennaio 2008 la Total, noleggiatrice della nave, per
imprudenza, il Registro Navale Italiano per avere rilasciato il certificato nonostante
le precarie condizioni strutturali del mezzo, e l’armatore e gestore della petroliera
per non avere effettuato i necessari lavori di riparazione al fine di contenere i costi,
inducendo la Corte di Giustizia CE nel giugno 2008 a creare una vera e propria
filiera di responsabilità ampliando la sfera di imputazione della stessa in capo a
tutti coloro che nelle fasi della produzione, vendita e trasporto abbiano contribuito
al rischio dell’evento inquinante5.
Da simili considerazioni si evince, in via di prima approssimazione, che la
responsabilità rappresenta la chiave di attivazione di un circuito di facoltà
intellettive, immaginative e regolative capaci di sviluppare la c.d. «euristica della
paura».6, ovverosia di condurre «dalla paura alla cura» del problema, attraverso il
disvelamento «dell’importanza strategica della paura nel predisporre gli uomini
all’imperativo ineludibile della sopravvivenza».7. Essa costituisce, in generale, un
potente fattore di risposta8 ai timori ingenerati dalle emergenze ambientali e
strumento di mobilitazione di una serie articolata di azioni destinate ad interagire a
livelli diversi in uno scenario complesso che coinvolge una pluralità di interessi ed
5
Una più distesa analisi di tali aspetti, ed il superamento della responsabilità del solo proprietario
della nave affermata dalla Civil Liability Convention di Bruxelles del 1969, in funzione del
rafforzamento del principio «chi inquina paga», può leggersi in A. RELLA, Il caso “Erika” al vaglio
della Corte di Giustizia, in Riv. dir. dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, 2009, p. 5.
6
Cfr. H. JONAS, Das Prinzip Verantwortung, trad. it. a cura di P.P. PORTINARO, Il principio
responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino, 2009.
7
E. PULCINI, La cura del mondo. Paura e responsabilità nell’età globale, Bollati Boringhieri, Torino,
2009, p. 197.
8
Come si evince dalla radice etimologica di responsabilità, dal tardo latino respondĕre: cfr. U. CURI,
Introduzione, in B. GIACOMINI (a cura di), Il problema responsabilità, Cleup, Padova, 2004, p. 13; M.
FRANZONI, L’illecito, I, 2° ed., Giuffrè, Milano, 2010, p. 5.
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appare suscettibile di letture unificanti unicamente percorrendo la prospettiva che
muove dall’evento inquinante alla esigenza di adottare rimedi per la protezione
delle generazioni umane presenti e future.
2. Il ruolo strategico, ma non esaustivo della responsabilità civile.
In termini più propriamente giuridici, le considerazioni che precedono
trovano singolare corrispondenza nella lunga elaborazione che, muovendo dalla
concezione dell’ambiente come bene immateriale unitario formato da varie
componenti, ciascuna delle quali suscettibile di autonome forme di tutela e distinte
situazioni giuridiche soggettive9, giunge fino alla sua definizione quale «sistema di
relazioni» fra molteplici fattori (antropici, fisici, chimici, naturalistici, climatici,
paesaggistici, architettonici, culturali ed economici) ad opera di un Codice (art. 5,
lett. c) d.lgs. 3 aprile 2006, n.152) che pone come obiettivo primario la promozione
di adeguati «livelli di qualità della vita umana» (art. 2, comma 1). Tale dimensione
relazionale si riflette necessariamente sugli strumenti di intervento e di tutela, nel
senso che essi, non solo devono salvaguardare le condizioni per un equilibrato
rapporto tra le risorse da risparmiare e quelle da trasmettere alle generazioni future
(come impone il principio dello sviluppo sostenibile codificato dall’art. 3 quater,
come novellato dal d.lgs. 16 gennaio 2008 n. 4), ma devono tra loro combinarsi e
rapportarsi entro processi di «mobile ricerca di percorsi adattivi» che conducano
alla scoperta della risposta più adeguata alle sollecitazioni del momento 10.
In siffatto contesto, va collocata la tecnica della responsabilità civile, che
consiste nel «collegare ad un soggetto un evento dannoso, con l’ausilio di un
criterio di imputazione (colpevolezza, preposizione, custodia, proprietà),
sussistendo il rapporto di causalità». 11. Proprio in ragione delle sue caratteristiche,
già da tempo la più avvertita dottrina ha ritenuto non trattarsi dello strumento più
efficace per amministrare i danni diffusi cagionati da disastri di massa12 . E’
certamente vero, in generale, che essa rappresenta un «modo per far sì che il
pubblico realizzi di dovere rispondere per le possibili conseguenze dei suoi atti nei
9
Cfr. anche per adeguati e completi riferimenti G. ROSSI (a cura di), Diritto dell’ambiente,
Giappichelli, Torino, 2008, p. 95.
10
I riferimenti al carattere relazionale e processuale del diritto ambientale sono tratti dal lavoro di M.
CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente come sistema complesso, adattivo, comune,
Giappichelli, Torino, 2007, cui si può fare rinvio per ogni approfondimento.
11
Così M. FRANZONI, L’illecito, cit., p. 7.
12
Cfr. P.G. MONATERI, Illecito e responsabilità civile, in M. BESSONE (a cura di), Trattato di diritto
privato, Giappichelli, Torino, 2002, p. 195.
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confronti della natura».13, e che la stessa vale a diffondere un comportamento
maggiormente informato alla prudenza, in quanto la minaccia della sanzione
risarcitoria nei confronti dei soggetti che hanno il controllo di un’attività inquinante
sollecita l’adozione di modalità operative e di tecniche più rispettose
dell’ecosistema. E’ però altrettanto vero che il campo normale di applicazione della
responsabilità civile è rappresentato da eventi circoscritti che coinvolgono una sola
vittima o gruppi ben individuabili di vittime, e che affinché simile tecnica
costituisca una risposta adeguata occorrono criteri chiari per l’identificazione
dell’autore, la quantificazione dei danni e la determinazione dell’apporto causale
dei potenziali fattori e soggetti inquinanti. Il danno all’ambiente, come tipica figura
di mass tort, si allontana decisamente da simile paradigma per il carattere diffuso e
diversificato degli interessi protetti e delle conseguenze dannose, lo strutturale
divario tra componenti individuali e collettive, l’incertezza del profilo causale, non
solo relativamente al rapporto tra l’azione e l’evento, ma anche tra l’evento ed i
vari danni che ne conseguono14. Per tali motivi, è stato esattamente notato che
insistere eccessivamente su tale modalità rimediale può condurre ad un suo utilizzo
puramente declamatorio, come tale inefficiente e «fonte di incertezze ed
eventualmente di eccessi casuali e dannosi»15.
Dal canto suo l’analisi economica, che segue una prospettiva essenzialmente
consequenzialista e pone attenzione al fronte del benessere sociale più che al
profilo della compensazione delle vittime16 , evidenzia anche un altro importante
profilo: la collettività, oltre a dare importanza alla qualità dell’ambiente e della
vita, «dà anche importanza ai beni materiali che sono causa del deterioramento
ambientale denunciato» 17. Di qui la rilevanza di un approccio pragmatico che
induce a valutare se i pregiudizi di una certa attività economica siano compensati
dai benefici che la stessa arreca e che si traduce nell’introduzione, sul piano
normativo o giurisprudenziale, di limitazioni risarcitorie volte ad evitare condanne
eccessive e spropositate che potrebbero condurre al fallimento dei danneggianti
con conseguenti gravissime ripercussioni su importanti settori dell’economia.
Come anche la vicenda BP da cui si è preso le mosse lascia intendere, la negazione
13
Così si legge nell’Introduzione del Libro bianco sulla responsabilità per danni all’ambiente,
presentato dalla Commissione CE il 9 febbraio 2000, nell’intento di rafforzare il principio «chi
inquina paga».
14
P. G. MONATERI, Il futuro della responsabilità civile per danni all’ambiente in Italia, in B. POZZO (a
cura di), La responsabilità ambientale, Giuffrè, Milano, 2005, p. 137.
15
Così le sempre attuali considerazioni di P. TRIMARCHI, Per una riforma della responsabilità civile
per danno ambientale, in ID (a cura di), Per una riforma della responsabilità civile per danno
all’ambiente, Giuffrè, Milano, 1994, p. 246.
16
Cfr. S. SHAVELL, Analisi economica del diritto, ed. it. a cura di A. BACCINI-A. FINESCHI,
Giappichelli, Torino, 2004, p. 54.
17
F. ROMANI, Strumenti di politica economica per la tutela dell’ambiente, in Monte dei Paschi di
Siena - Note economiche, 1974, p. 21.
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da parte del Presidente Obama del principio «too big and too difficult to meet» non
giunge fino al punto di escludere la vigenza del correttivo principio «too big to
fail».
Altro profilo da considerare, è che spesso al risarcimento vero e proprio si
giunge solo all’esito e sulla base di percorsi e modalità concordate tra gli attori
della vicenda ed anche grazie alla mediazione politica. L’esperienza dimostra che
la transazione ha più successo delle condanne giudiziarie, in quanto,
contrariamente a quanto sostenuto a livello teorico circa i presunti elevati costi
transattivi dei danni diffusi e la conseguente scarsa appetibilità delle pratiche
concordatarie, la gestione processuale di una pluralità di domande risarcitorie si
appalesa ancora più costosa, anche in relazione agli esiti incerti e lontani nel
tempo, tanto che le parti preferiscono giungere ad un accordo anche perché
tendono a comportarsi sociologicamente come un gruppo riuscendo a veicolare
istanze unitarie e coerenti nei confronti dei soggetti responsabili18 . Ciò è
confermato dai veduti sviluppi della vicenda Exxon Valdez e, per rimanere entro i
confini domestici, dagli esiti del noto caso Seveso, definito con un decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri di approvazione di un atto di accollo e di
transazione delle liti tra lo Stato e la Regione Lombardia, da una parte, e la soc.
Icmesa e Givaudan dall’altra, e giunto all’esame dei tribunali civili solo per residue
richieste di danni non patrimoniali 19. Significativo è altresì l’istituto del contratto di
transazione globale che, all’esito di una prassi ministeriale sperimentata con la
conclusione di accordi di programma allo scopo di mettere fine al notevole
contenzioso esistente con i destinatari di prescrizioni impositive di obblighi di
messa in sicurezza e di bonifica, è stato codificato dall’art. 2 del d.l. 30 dicembre
2008, n. 208, convertito nella l. 27 febbraio 2009, n. 13, recante «Misure
straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell’ambiente». Tale
contratto, introdotto per ovviare al pratico insuccesso dei meccanismi di bonifica
dei siti inquinati disciplinati dal d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 e dal d.m. 25 ottobre
1999, n. 471.20 , viene inquadrato nell’ambito degli strumenti di attuazione degli
interventi di bonifica e messa in sicurezza di uno o più siti di interesse nazionale
con l’obiettivo di definire la spettanza e la quantificazione degli oneri di bonifica,
18
Simili notazioni sono sviluppate con estrema chiarezza da P.G. MONATERI, Illecito e responsabilità
civile, cit., p. 199 e nota 19.
19
Ibid., pp. 200-201. Da ultimo Cass., Sez. III, 13 maggio 2009, n. 11059, in questa Rivista, 2010,
numero 0, con commento di E. BLASI, Il caso Seveso: ampliamento della risarcibilità del danno non
patrimoniale e riflessi sulla nozione di bene-amiente, ha ammesso il risarcimento autonomo del
danno non patrimoniale derivante da reato, pur in assenza di danno biologico, in favore di coloro che
in virtù di un rapporto di vicinanza, per ragioni di residenza o di frequentazione abituale, con
l’ambiente inquinato ne hanno presuntivamente subito conseguenze in termini di «patema d’animo
indotto dalla preoccupazione per il proprio stato di salute».
20
Vicenda su cui si vedano: A. MILONE, Bonifica dei siti di interesse nazionale: le recenti pronunce
del giudice amministrativo, in Ambiente & Sviluppo, 2009, p. 1010; F. GIAMPIETRO–A. QUARANTA,
Gli orientamenti del giudice amministrativo sulla bonifica nel passaggio tra il vecchio ed il nuovo
regime, ivi, 2008, p. 205.
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di ripristino e di risarcimento del danno ambientale e degli altri eventuali danni che
possano essere chiesti dallo Stato e dagli altri enti territoriali; il relativo schema è
assoggettato ad adeguate procedure di contraddittorio e di coordinamento
infrastrutturale mediante le tecniche, rispettivamente, delle osservazioni e della
conferenza di servizi, cui è riservata l’acquisizione e valutazione di tutti gli
interessi rilevanti; la stipula dell’atto comporta l’abbandono del contenzioso
pendente e preclude ogni ulteriore azione per il rimborso degli oneri di bonifica e
di ripristino, per il risarcimento del danno ambientale nonché per le altre eventuali
pretese risarcitorie azionabili per i medesimi fatti dallo Stato e dagli altri enti
territoriali.
Da queste notazioni si può desumere una prima conclusione che funge da
sviluppo di quanto già notato in apertura: la responsabilità civile rappresenta una
risposta necessaria, in quanto anche le mediazioni politiche e le procedure
transattive appena vedute operano non nel vuoto ma in un ambiente mobilitato e
presidiato da regole di tort che possono svolgere una funzione strategica e
propulsiva per l’individuazione di soluzioni adeguate; si tratta però di una risposta
che non può essere né esclusiva né esaustiva, in quanto non è sufficiente traslare i
costi dei danni in capo ai presunti colpevoli per rendere l’ambiente più pulito e
ridurre per il futuro i rischi di ulteriori incidenti 21 . Sovradimensionarne la portata
può essere pertanto rischioso e controproducente.
3. Il carattere relazionale dei rimedi al danno ed i limiti dell’approccio
tipologico.
Per verità, i limiti e le particolarità del modello di responsabilità applicato al
danno ambientale sono stati evidenziati sin dall’entrata in vigore della prima
disciplina introdotta dall’art. 18 della l. 8 luglio 1986, n. 349. Essa apparve subito
come «una sorta di mostruoso incrocio tra categorie di diritto pubblico e categorie
del diritto privato», che proiettava il rimedio risarcitorio in una logica punitiva e
sanzionatoria ritenuta estranea al sistema generale della responsabilità civile22.
Della stessa furono in particolare criticati: il criterio soggettivo di imputazione
della responsabilità, ritenuto inadeguato a fronteggiare fenomeni spesso legati ad
attività imprenditoriali o, comunque, ad incidenti di cui non è facile ricostruire la
dinamica in modo da individuare profili di colpevolezza ed in cui, in ogni caso,
non sono in grado di incidere in modo preventivo i potenziali danneggiati; il
ricorso al discusso principio dell’antigiuridicità, con la necessaria dimostrazione
21
Chiare in tal senso le notazioni svolte da P.G. MONATERI, Il futuro della responsabilità civile per
danni all’ambiente in Italia, cit., pp. 139-140, il quale osserva che la sfera classica del tort, cui siamo
abituati a guardare quando parliamo di responsabilità civile, rappresenta solo un sottoinsieme di un
«insieme molto più grande» composto da tutti i danni all’ambiente.
22
Così F. D. BUSNELLI, La parabola della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1988, p. 643 ss.
ora in F. D. BUSNELLI – S. PATTI, Danno e responsabilità civile, Giappichelli, Torino, 2003, p. 155 ss.
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della violazione di norme e provvedimenti relativi all’ambiente; il non coerente
rapporto con la misura della riduzione in pristino ed i criteri di liquidazione dei
danni23 .
Nello stesso tempo, però, i richiami testuali e culturali alla responsabilità
aquiliana dell’art. 2043 c.c., tradizionalmente considerata quale termine di
riferimento di ogni ipotesi di responsabilità pubblica, hanno indotto dottrina e
giurisprudenza ad interrogarsi a lungo, con approccio tipologico, su possibili
consonanze o devianze rispetto al totalizzante modello generale, polarizzando
l’attenzione ed il dibattito sul meta-problema della comparazione di assetti
disciplinari24 . E’ così accaduto che, a dispetto della veduta marginalità del
risarcimento nel contesto delle risposte ordinamentali ai danni ambientali, molte
energie siano state investite proprio nell’analisi delle tecniche risarcitorie e delle
relazioni configurabili tra le varie tipologie previste dal legislatore. Un fenomeno
analogo si è verificato anche nel campo della responsabilità per esercizio
illegittimo della funzione amministrativa: introdotta con la nota sentenza Cass.,
Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500 e poi codificata con la l. 21 luglio 2000, n. 205,
essa ha suscitato accesi dibattiti teorici e vivaci contrasti tra le giurisdizioni civile e
amministrativa, ai quali ha fatto riscontro una limitata applicazione pratica ed il
forte ridimensionamento operato con le recenti riforme del processo sugli appalti e
la codificazione del processo amministrativo.
Simile impostazione ha condizionato anche le riforme che si sono succedute
nel ventennio che va dalla istituzione del Ministero dell’Ambiente all’approvazione
del Codice dell’ambiente. Sembra infatti che il legislatore, oltretutto fortemente
vincolato dal livello comunitario, abbia operato avendo riguardo soprattutto alle
tesi dibattute piuttosto che alle problematiche verificatesi nell’applicazione
concreta degli istituti. Il che ha condotto all’elaborazione di un assetto normativo
che difetta di unitarietà e coerenza ed appare più il frutto della stratificazione di
discipline e visioni differenti 25 che non di una scelta strategica e consapevole.
Così, se si volge attenzione alla parte quarta del Codice dell’ambiente (artt.
299-318), si ha la netta impressione della compresenza di normative diverse sia
ratione temporis sia con riferimento ai possibili destinatari.
Sotto il primo profilo, è noto che la nuova disciplina non è applicabile al
danno ambientale pregresso, per tale intendendosi quello «causato da
23
Cfr. in generale M. COMPORTI, La responsabilità per danno ambientale, in Foro it., 1987, III, p.
269.
24
Cfr., per esempio, la felice sintesi delle problematiche che «fanno del risarcimento del danno
ambientale uno degli ambiti più controversi della responsabilità civile» svolta da M. GORGONI,
Ripristino, bonifica, risarcimento in forma specifica: dei vari volti della riparazione del danno
all’ambiente, in AA.VV., Liber amicorum per Francesco Donato Busnelli, Giuffrè, Milano, 2008, p.
324, ove sono anche reperibili i principali riferimenti alla dottrina e giurisprudenza sull’argomento.
25
In generale, sui limiti della codificazione in materia ambientale, si rinvia a F. FRACCHIA,
“Codificare” l’ambiente, in M. P. CHITI e R. URSI (a cura di), Studi sul Codice dell’ambiente,
Giappichelli, Torino, 2009, p. 14.
10
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
ANNO 2011 / NUMERO 1
un’emissione, un evento o un incidente verificatisi prima della data di entrata in
vigore della parte sesta» (art. 303, lett. f), né alle situazioni di inquinamento per le
quali siano già state «avviate le procedure relative alla bonifica, o sia stata avviata
o sia intervenuta la bonifica dei siti nel rispetto delle norme vigenti» (art. 303, lett.
i): a tali eventi anteriori al 29 aprile 2006 continuerà, dunque, ad applicarsi l’art. 18
della l. n. 349/1986, la cui abrogazione (disposta dall’art. 318, comma 2, lett. a del
Codice) produrrà effetto solo con riguardo ai fatti accaduti ed accertati
successivamente a tale data26. La ultrattività del regime previgente è stata solo in
parte mitigata dall’art. 5 bis del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, convertito con
modificazioni nella l. 20 novembre 2009, n. 166, che, allo scopo di superare la
procedura di infrazione n. 2007/4679 promossa dalla Commissione ai sensi
dell’art. 226 del Trattato CE, ha esteso alle domande risarcitorie proposte o da
proporre ai sensi dell’art. 18 della l.n. 349/1986 l’applicazione dei criteri di
determinazione dell’obbligazione risarcitoria stabiliti dall’art. 311, commi 2 e 3 del
Codice, con l’unico limite dei giudizi definiti con sentenze passate in giudicato. Si
assiste, infatti, ad una disapplicazione parziale del contenuto dell’art. 18, facendo
peraltro salva la ultrattività di altre disposizioni speciali (es. per i danni da
inquinamento marino, da attività nucleare, da incendi boschivi, da impiego di
organismi geneticamente modificati, da incenerimento di rifiuti 27) e restando
irrisolto il problema dei rinvii recettizi da alcune di esse fatti all’art. 1828.
Sotto il secondo profilo, mentre gli artt. 300 e 304 e ss. contemplano una
responsabilità speciale per le specifiche e selezionate attività professionali
(elencate nell’allegato III della direttiva) sottoposte a regolamentazione
amministrativa ai sensi della direttiva 2004/35/CE, in quanto ritenute
potenzialmente pericolose per la salute e l’ambiente29, gli artt. 311 e ss. prevedono
una ipotesi di responsabilità generale e residuale per chiunque arrechi danno
all’ambiente nell’esercizio di attività biologiche o imprenditoriali indifferenziate.
La prima forma di responsabilità, in quanto riferita ad attività assoggettate a
stringenti controlli preventivi e standards di emissione impositivi di valori di
qualità del corpo recettore che già contemplano il livello ottimale di inquinamento
26
Cfr. E. GALLO, L’evoluzione sociale e giuridica del concetto di danno ambientale, in Amministrare,
2010, p. 262, e la conforme giurisprudenza ivi citata.
27
Una illustrazione dei vari sistemi di responsabilità vigenti alla vigilia del Codice si deve a F.
GIAMPIETRO, La responsabilità per danno all’ambiente: sintesi di leggi e giurisprudenza messe a
confronto con la direttiva 2004/35/CE e con il T.U.A., in Riv. giur. amb., 2006, p. 19.
28
Su questi aspetti, si veda G. TADDEI, Il risarcimento del danno ambientale dopo l’art. 5 bis del D.L.
n. 135/2009, in Ambiente&Sviluppo, 2010, p. 126.
29
Cfr. U. SALANITRO, Il risarcimento del danno ambientale: un confronto tra vecchia e nuova
disciplina, in S. PAGLIANTINI - E. QUADRI - D. SINESIO (a cura di), Scritti in onore di Marco
Comporti, Giuffrè, Milano, 2008, p. 2406.
11
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
ANNO 2011 / NUMERO 1
ritenuto compatibile con la salubrità ambientale30, pare avvicinarsi notevolmente al
modello della responsabilità oggettiva o presunta di cui all’art. 2050 c.c., posto che
gli obblighi di prevenzione e di ripristino scattano per il mero verificarsi del danno
e la sua ascrivibilità all’operatore, mentre lo stesso è esonerato dai relativi costi
solo se è in grado di fornire le prove liberatorie indicate dall’art. 308, commi 4 e 5.
Il riferimento ad operatori professionali qualificati parrebbe giustificare il rinvio ad
una soglia rilevante di danno, misurabile con riferimento al deterioramento diretto
o indiretto di una risorsa naturale o delle utilità da essa assicurate (art. 300), con
conseguente esclusione della figura del danno presunto o danno-evento (lesione in
sé dell’ambiente) e coloritura in senso per lo più compensativo di una
30
Sulla progressiva tipizzazione del concetto di salubrità ambientale, ormai strettamente collegato al
rispetto dei limiti legali di immissione, si veda da ultimo Cass., Sez. II, 8 marzo 2010, n. 5564,
secondo cui l’art. 844 c.c. «deve essere letto, tenendo conto che il limite della tutela della salute è da
ritenersi ormai intrinseco nell’attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una
interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi prevalente rispetto alle esigenze
della produzione il soddisfacimento ad una normale qualità della vita. Ne consegue che le immissioni
acustiche determinate da un’attività produttiva che superino i normali limiti di tollerabilità fissati, nel
pubblico interesse, da leggi o regolamenti, e da verificarsi in riferimento alle condizioni del fondo che
le subisce, sono da reputarsi illecite, sicché il giudice, dovendo riconoscerle come tali, può addivenire
ad un contemperamento delle esigenze della produzione soltanto al fine di adottare quei rimedi tecnici
che consentano l’esercizio della attività produttiva nel rispetto del diritto dei vicini a non subire
immissioni superiori alla normale tollerabilità».
12
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
ANNO 2011 / NUMERO 1
responsabilità che è collegata al rischio d’impresa e si configura, dunque, in
termini di responsabilità da posizione o imprenditoriale31.
La seconda forma di responsabilità, invece, sembra ricalcare il modello
soggettivo del vecchio art. 18, laddove il fatto illecito è collegato ad azioni od
omissioni compiute con violazione di legge, di regolamento o di provvedimento
amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme
tecniche (art. 311, comma 2). Il carettere indifferenziato dei soggetti e delle attività,
unitamente alla soglia indeterminata del danno, identificato in via generale con
qualunque alterazione dell’ambiente, sono compensati dal criterio selettivo della
colpa e dalla coloritura in senso per lo più punitivo della responsabilità.
Ma, soprattutto, l’aspetto generale che rende maggiormente arduo seguire i
consueti approcci pare essere la compresenza, accanto alla tradizionale idea di
rispondere di qualcosa, rendendo conto delle proprie azioni secondo una logica
retributiva e simmetrica, dell’idea di rispondere a qualcuno. Una responsabilità
per32 che, in un contesto, come veduto, fortemente relazionale e connotato da
31
In questi termini puramente oggettivi è stata definita la responsabilità di operatori economici «che
producono e ritraggono profitti attraverso l’esercizio di attività pericolose, in quanto ex se inquinanti»
dal Consiglio di Giustizia amministrativa della Regione Sicilia, in sede di appello cautelare (cfr. ord.
in data 2 aprile 2008) avverso la sentenza del TAR Sicilia, sez. II, 20 luglio 2007, n. 1254, che, con
riferimento al noto caso dell’inquinamento della Rada di Augusta per effetto della realizzazione negli
anni ’60 del polo petrolchimico Augusta-Priolo-Melilli, aveva invece offerto una lettura unificante e
combinata delle varie disposizioni del Codice (seguita e sviluppata anche da B. POZZO, La direttiva
2004/35/CE e il suo recepimento in Italia, in Riv. giur. amb., 2010, pp. 61 ss.), privilegiando il criterio
della colpa di cui all’art. 311, comma 2, in luogo di quello di strict liability ritenuto anche inefficiente
dal punto di vista della tutela ambientale. Sulla questione, è da ultimo intervenuta la Corte giust., con
sentenza 9 marzo 2010, in causa C-378/08, la quale ha evidenziato la centralità del nesso di causalità
chiarendo che, anche in caso di sua presunzione, l’autorità competente deve comunque disporre «di
indizi plausibili» in grado di darvi fondamento, «quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore
all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti
impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività». Anche nelle ipotesi di responsabilità
oggettiva, dunque, il principio «chi inquina paga» impone l’accertamento dell’origine della
contaminazione e della sua imputazione causale all’attività dell’imprenditore. Nelle conclusioni
dell’Avvocato Generale Juliane Kokott, presentate il 22 ottobre 2009, si legge che il termine
«Verursacherprinzip» (letteralmente «principio del soggetto causatore»), con cui si traduce in tedesco
il principio «chi inquina paga», mira a stabilire che colui che ha provocato un inquinamento è
responsabile per la sua eliminazione e che «una responsabilità svincolata da un contributo causale alla
causazione del danno non corrisponderebbe all’orientamento della direttiva» potendo produrre il
controproducente effetto di attenuare la responsabilità del soggetto effettivamente responsabile:
infatti, «non la società e neppure i terzi, bensì l’inquinatore è il soggetto tenuto a sopportare le spese
per eliminare un inquinamento. La conseguenza è che si verifica una internalizzazione dei costi
ambientali, vale a dire questi ultimi vengono inglobati nei costi di produzione dell’impresa
inquinatrice» (par. 85 e 98). Si veda il commento di G. TADDEI, Responsabilità, nesso causale e
giusto procedimento (nota a Corte di Giustizia 9 marzo 2010 in C 378/08 e CC 379-380/08), in
Ambiente&Sviluppo, 2010, p. 437.
32
Cfr. per approfondimenti H. JONAS, Il principio responsabilità, cit., p. 117; E. PULCINI, La cura del
mondo, cit., pp. 225-262.
13
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
ANNO 2011 / NUMERO 1
principi solidaristici33, si configura come «farsi carico del futuro» e si declina
secono una logica asimmetrica che privilegia «l’attenzione all’unicità dell’altro,
alla specificità della situazione, alle relazioni nelle quali il soggetto si trova di volta
in volta a essere inserito e delle quali non può fare a meno di tenere conto in quanto
significative per la sua stessa identità e per il suo stesso progetto di vita» 34.
Ragionare dunque per modelli e relativi assetti disciplinari, allo scopo di
metterne in evidenza continuità o cesure nel passaggio dei vari regimi giuridici,
appare poco proficuo ed anzi fuorviante, dovendosi invece preferire un approccio
operazionale35 che, inducendo a misurare il rarefatto ambiente della responsabilità
con l’ambito concreto ed operativo dell’esperienza, spinge l’interprete a fuoriuscire
da un atteggiamento meramente esegetico per configurare la reazione ai singoli
fenomeni di inquinamento in termini di operazione unitaria che, attraverso la
combinazione di diversi strumenti, possa condurre al soddisfacente risultato di
integrare il fiducioso sguardo per il futuro con l’ineludibile rendiconto con il
passato.
4. L’operazione rimediale ed i suoi principi: la priorità della tutela in forma
specifica e la procedimentalizzazione della responsabilità.
Dalle superiori considerazioni discende l’ipotesi di lettura della fattispecie
«responsabilità per danno ambientale» in termini di operazione unitaria e
complessa in cui si susseguono e si associano strumenti di azione e di reazione.
Si tratta ora di vedere i principi fondamentali che regolano i rapporti tra tali
strumenti e reggono lo svolgimento di simile operazione.
Scontato il richiamo ai principi dell’azione preventiva e della correzione dei
rischi alla fonte, da leggere anche in connessione con il fondamentale canone della
precauzione, conviene in questa sede soffermarsi sulla priorità della tutela in forma
specifica, che implica una risposta capace di assicurare l’evolutiva ed adattiva
valutazione degli interessi in gioco in modo da adeguarne la composizione al
mutare delle circostanze di fatto e di diritto, rispetto a quella per equivalente, che,
alla stregua di una via di fuga, lascia invece immutato l’assetto di interessi che si è
venuto a creare in un certo momento monetizzandone lo scompenso prodotto dall’
illecito evento perturbativo.
Per una migliore comprensione del punto pare utile volgere lo sguardo al già
accennato versante del risarcimento da illegittimo esercizio della funzione
33
Messi particolarmente in evidenza da F. FRACCHIA, Sulla configurazione giuridica unitaria
dell’ambiente: art. 2 Cost. e doveri di solidarietà ambientale, in Dir. economia, 2002, p. 215; ID., Lo
sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie
umana, Ed. Scientifica, Napoli, 2010.
34
E. PULCINI, La cura del mondo, cit., pp. 257-258.
35
Per la cui messa a fuoco, con riferimento alla nozione di operazione, sia consentito rinviare a G. D.
COMPORTI, Il principio di consensualità tra bilanci e prospettive, in www.giustamm.it, n. 4/2010.
14
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
ANNO 2011 / NUMERO 1
amministrativa. Per quanto il dibattito che ha interessato la tematica abbia nel
tempo assunto i toni esoterici di uno scontro ideologico incentrato sulla figura della
pregiudizialità e condizionato dal confronto competitivo tra giurisdizioni, lo stesso
ha comunque rivelato una questione di fondo: la riparazione di un pregiudizio
sofferto dal titolare di una situazione soggettiva posta in relazione a situazioni
soggettive terze, suscettibili di assumere portata collettiva, difficilmente può essere
disgiunta da un preliminare momento di valutazione comparativa degli interessi in
gioco, onde consentire un loro rinnovato assetto. L’illecito, cadendo entro un
rapporto plurisoggettivo che tocca profili non confinabili entro i limiti della
relazione bipolare vittima-danneggiante, rappresenta occasione per attivare gli
strumenti (quali il potere di autotutela) ed i rimedi (che vanno da quelli interni al
ben noto circuito: azione di impugnazione - effetti conformativi della sentenza giudizio di ottemperanza, fino all’azione di condanna e/o adempimento) idonei ad
incidere su precedenti decisioni distributive di beni e risorse ed attribuire a chi ne
ha diritto l’utilità pretesa, rendendo percorribile solo in via residuale e
complementare la via della compensazione per equivalente. Questa assume una
funzione minimale nell’economia dei rimedi esperibili, non già nel senso indicato
dalla Corte di Cassazione, cioè in quanto «misura minima e perciò necessaria di
tutela di un interesse» 36, ma in quella divisata dal Consiglio di Stato di misura
residuale entro un sistema che consente il passaggio a riparazioni per equivalente
solo quando l’interesse legittimo sia stato impiegato quale strumento di
36
In questi termini Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2008, n. 30254, in Danno e responsabilità, 2009, p.
722, con commento di M. Clarich, chiariva che a tale forma di tutela può aggiungersi anche quella
impugnatoria, che dunque assumerebbe natura accessiva a quella base di tipo risarcitorio, spettando
comunque «al titolare della situazione protetta, in linea di principio, scegliere a quale fare ricorso in
vista di ottenere ristoro al pregiudizio provocatogli dall’essere mancata la soddisfazione che è attesa
attraverso la condotta altrui».
15
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
ANNO 2011 / NUMERO 1
conformazione dell’attività amministrativa37. Simile impostazione è già stata
codificata nel settore degli appalti pubblici (cfr. gli artt. 243 bis, 245 bis, 245 ter,
245 quater, 245 quinques, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, introdotti dal d.lgs. 20
marzo 2010, n. 53 e poi per lo più confluiti nel Codice del processo
amministrativo), anticipando così il più generale assetto delle tutele che, pure
all’esito di un travagliato iter e con lievi varianti, è stato definito in sede di riordino
del processo amministrativo (cfr. art. 30 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104). E’, infatti,
previsto che il ricorso giurisdizionale sia preceduto da una informativa relativa ai
vizi rilevati, in modo da mettere la stazione appaltante in condizione di attivare in
via di autotutela misure di correzione o di bonifica dell’errore alla fonte; è quindi
attribuita al giudice amministrativo giurisdizione esclusiva tanto in ordine
all’aggiudicazione quanto sulla sorte del contratto al fine di disporre, a seguito
dell’annullamento del primo atto (c.d. pregiudizialità di annullamento) e dopo
avere dichiarato la inefficacia totale e parziale del secondo (c.d. pregiudizialità
«composta»), e tenuto conto degli interessi delle parti, dei vizi riscontrati e dello
stato di avanzamento della fattispecie, l’aggiudicazione ed il subentro nel contratto
in favore del terzo pretermesso; è stato, di conseguenza, limitato il rimedio
risarcitorio all’ipotesi residuale e subordinata in cui il giudice non dichiari
37
Parte della giurisprudenza amministrativa ha ritenuto di poter ricavare simili affermazioni dai
principi costituzionali. Per esempio, Cons. Stato, Sez. IV, 29 aprile 2002, n. 2280, in Foro amm.C.d.S., 2002, p. 897, ha sostenuto che la «effettività della tutela del cittadino nei confronti dell’attività
provvedimentale o materiale della pubblica amministrazione, predicata a livello costituzionale dagli
articoli 24 e 113, impone di non considerare la tutela restitutoria o ripristinatoria come eventuale o
eccezionale, limitata ad ipotesi residuale, ed anzi spinge a ritenere che proprio la tutela risarcitoria
patrimoniale deve essere considerata sussidiaria rispetto alla prima, con la conseguenza che essa deve
considerarsi praticabile solo quando quella restitutoria non possa essere conseguita con successo».
Altre volte si è richiamato il «doveroso contemperamento dei principi di civiltà giuridica conseguenti
al riconoscimento della risarcibilità della lesione degli interessi legittimi con quelli di doverosa tutela
degli interessi anche patrimoniali dell’amministrazione» (Cons. Stato, Sez. IV, 22 marzo 2001, n.
1684, in Foro amm., 2001, p. 400); o si è fatto appello ai principi di coerenza dell’ordinamento e di
certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico. Simili prospettazioni hanno alimentato una
linea di pensiero che è giunta almeno fino a Cons. Stato, Ad. pl., 22 ottobre 2007, n. 12, in Foro it.,
2008, p. 1; Id., Sez. VI, 3 febbraio 2009, n. 578; Id., Sez. VI, 21 aprile 2009, n. 2436, in Foro it, 2009,
p. 536. Si legge infatti nella sentenza n. 12/2007 che il «coinvolgimento» dell’interesse del singolo
nell’interesse della collettività spiega la priorità dell’azione impugnatoria, nel cui ambito soltanto è
possibile «conformare l’azione amministrativa affinché si realizzi un soddisfacente e legittimo
equilibrio tra l’uno e gli altri interessi». La stessa Relazione all’atto del Governo n. 212, recante lo
schema di decreto legislativo di attuazione della delega per il riordino del processo amministrativo, ha
addotto «evidenti esigenze di stabilizzazione delle vicende che coinvolgono la pubblica
amministrazione» a giustificazione della previsione di termini decadenziali per l’esercizio dell’azione
risarcitoria e del richiamo ai principi dell’art. 1227 c.c.
16
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
ANNO 2011 / NUMERO 1
l’inefficacia del contratto, lasciando così immutato l’assetto degli interessi
esistente38.
Non è allora un caso se un altro e correlato settore a forte incidenza
comunitaria ha ricevuto una sistemazione sostanzialmente analoga. Come negli
appalti si è sentita la necessità di evitare che un assetto di interessi viziato ed
inefficace potesse permanere in danno della collettività, valorizzando così la
effettiva tutela del terzo in funzione della bonifica delle procedure inquinate, così
le politiche comunitarie in campo ambientale hanno da tempo evidenziato la
necessità di evitare che il medesimo principio della concorrenza potesse essere
pregiudicato dall’esistenza di inefficienti regimi di responsabilità. Simile esigenza,
si è tradotta nella preferenza accordata già nel vecchio art. 18 al ripristino dello
stato dei luoghi, in ragione dell’assunto – ripetuto da costante giurisprudenza – che
dalla condotta illecita dell’agente normalmente scaturiscono, oltre ad effetti
dannosi istantanei, anche sequele di effetti lesivi permanenti o destinati a rinnovarsi
nel tempo futuro e a colpire categorie indeterminate di soggetti e beni con
conseguenze, oltre tutto, di difficile previsione e di ancor più opinabile
quantificazione in termini monetari.
Rispetto a tale impostazione, la normativa attuale introduce alcuni elementi
di maggiore chiarezza. Per un verso, infatti, viene inserita nella disciplina generale
la rinnovata normativa in materia di bonifica dei siti inquinati risalente al c.d.
decreto Ronchi del 1997. Tale procedura, ora contemplata dagli artt. 242 e ss. del
Codice, si configura quale misura di ripristino delle matrici ambientali contaminate
che si pone in termini di specialità e di priorità rispetto al risarcimento per
equivalente: specialità, perché definisce in modo puntuale e particolare la serie di
adempimenti volti ad integrare la nozione di ripristino della precedente situazione
cui fa generico riferimento l’art. 311, comma 2; priorità, perché, in linea con la
prassi seguita dalle amministrazioni soprattutto con riferimento agli inquinamenti
marini, lacuali e fluviali, la stessa disposizione normativa chiarisce che la bonifica
deve necessariamente precedere il risarcimento, che dunque assume carattere
soltanto residuale 39. Appare pertanto evidente che, al verificarsi di un evento
potenzialmente in grado di contaminare l’ambiente o in presenza di rischi di
aggravamento di situazioni di contaminazione storiche, il responsabile
dell’inquinamento deve mettere in opera entro le successive 24 ore le necessarie
misure di prevenzione con le modalità di cui all’art. 304, comma 2, ed
eventualmente di messa in sicurezza di urgenza, all’esito delle quali si perverrà,
38
Per approfondimenti, si vedano: M. LIPARI, Il recepimento delle “direttiva ricorsi”: il nuovo
processo super-accelerato in materia di appalti e l’inefficacia “flessibile” del contratto, in Foro
amm.-Tar, 2010, XCI; A. BARTOLINI – S. FANTINI – F. FIGORILLI, Il decreto legislativo di
recepimento della direttiva ricorsi: il nuovo rito in materia di appalti, lo standstill contrattuale e
l’inefficacia del contratto, in Urb. app., 2010, p. 660.
39
Cfr. G. TADDEI, Il rapporto tra bonifica e risarcimento del danno ambientale, in
Ambiente&Sviluppo, 2009, p. 419.
17
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
ANNO 2011 / NUMERO 1
passando per una serie articolata di sub-procedimenti40 , alla definizione del
progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o
permanente e, ove necessario, delle ulteriori misure di riparazione e ripristino
ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante
dallo stato di contaminazione presente nel sito (art. 242, comma 7). Se si tiene
conto anche del concorrente potere di ordinanza ex art. 313 cui il Ministro
dell’ambiente può fare ricorso per ingiungere il ripristino ambientale o, in
mancanza, il pagamento di una somma pari al valore economico del danno
accertato, con conseguente assorbimento anche del giudizio risarcitorio che, per
suo effetto, diviene improponibile ed improcedibile (art. 315), ben si comprende
che il risarcimento avviene più per via procedimentale che non processuale ed è
retto dai fondamentali principi di adeguatezza istruttoria, partecipazione,
contraddittorio, coordinamento infrastrutturale, motivazione, valutazione
comparativa dei vantaggi e svantaggi delle differenti opzioni esistenti sul campo e
proporzionalità, che regolano l’attività amministrativa 41.
Simile procedimentalizzazione dell’operazione riparatoria implica alcune
rilevanti conseguenze. La prima è che la tutela delle posizioni soggettive coinvolte
avviene soprattutto per il tramite dell’interesse alla partecipazione procedimentale,
presidiata dalla garanzia del contraddittorio sin dalle preliminari verifiche
istruttorie (es. consulenze tecniche, ispezioni, verificazioni e ricerche ex art. 312,
commi 3 e 4) e destinata a svolgersi secondo le svariate modalità all’uopo previste
(accordi, accordi di programma, conferenze di servizi, concerti, intese, denunce,
osservazioni, deduzioni, accesso agli atti), piuttosto che per mezzo dell’azione
giurisdizionale. A tale ampia legittimazione procedimentale fa naturalmente
riscontro una generale legittimazione a ricorrere al giudice amministrativo, in sede
di giurisdizione esclusiva, per l’annullamento degli atti e provvedimenti adottati
40
Per il cui esame si rinvia ora a P. M. VIPIANA PERPETUA, La bonifica dei siti contaminati:
considerazioni sui profili procedimentali, in Urb. app., 2010, p. 922; ID., L’istruttoria nei
procedimenti di bonifica dei siti inquinati, ibid., p. 1133. Il procedimento si ramifica nelle seguenti
principali fasi: indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento al fine di verificare il
livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC); in caso di superamento delle medesime
CSC, autorizzazione del piano di caratterizzazione recante la descrizione delle operazioni da svolgere
per la ricerca delle sostanze contaminanti; approvazione del documento di analisi del rischio sito
specifica per la verifica delle concentrazioni soglia di rischio (CSR); in caso di non superamento dei
valori CSR, dichiarazione di conclusione positiva del procedimento, con eventuale definizione di un
programma di monitoraggio; in caso di superamento dei valori CSR, approvazione del progetto
operativo di bonifica. Analogo svolgimento ha anche la procedura di bonifica dei siti di interesse
nazionale di cui all’art. 252 del Codice, che si caratterizza dunque solo per la competenza accentrata
in capo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e per le preliminari operazioni di
individuazione e perimetrazione dei siti che sono espressive dell’indirizzo politico-amministrativo. In
termini di specialità si configura invece il procedimento di bonifica dei siti di preminente interesse
pubblico per la riconversione industriale, ora disciplinato dall’art. 252 bis del Codice, che ruota
intorno al meccanismo consensuale dell’accordo di programma.
41
Se ne veda l’adeguata applicazione assicurata, tra gli altri, da parte del TAR Toscana, Sez. II, nelle
sentenze: 6 maggio 2009, n. 762; 14 ottobre 2009, n. 1540; 18 dicembre 2009, n. 3973; e da ultimo 6
luglio 2010, n. 2316.
18
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
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dall’amministrazione, o per la contestazione del silenzio inadempimento o ancora
per il risarcimento del danno subito non già a causa dell’illecito ambientale ma per
effetto del ritardo nell’attivazione da parte del Ministro delle misure di
precauzione, prevenzione o contenimento del danno (art. 310 in relazione all’art.
133, lett. s, c.p.a.). Per contro, ad una tutela fortemente sbilanciata sul privilegiato
fronte amministrativo (procedimento e processo), appare a questo punto logico che,
per una ragione di coerenza e simmetria funzionale, si associ una limitazione delle
forme di accesso alla residuale azione risarcitoria per danno ambientale, la cui
legittimazione risulta adesso riservata ex art. 311, comma 1, allo Stato, per il
tramite del Ministro dell’ambiente, quale ente esponenziale di un interesse
collettivo a carattere nazionale ed unitario. Tale opzione accentratrice, per quanto
non escluda 42 una concorrente ed autonoma legittimazione processuale in capo alle
Regioni ed altri enti territoriali sul cui territorio si sia consumato il vulnus
ambientale43 o alle associazioni ambientaliste che agiscano per fare valere iure
proprio il differente pregiudizio44 patito dal sodalizio rappresentato a causa del
42
Come sottolinea Corte cost., 23 luglio 2009, n. 235, punto 12 della motivazione.
43
A tali enti un orientamento giurisprudenziale meno formalistico tende, per esempio, a riconoscere
una autonoma legittimazione a promuovere l’azione civile in sede penale ai sensi della clausola
generale di cui all’art. 2043 c.c.: cfr. Cass. pen, Sez. III, 11 gennaio 2010, n. 755, nonché Trib. Siena,
Sez. distaccata di Poggibonsi, ord. 18 febbraio 2010, in Riv. giur. amb., 2010, p. 581, con nota di A.
GRATANI, Enti territoriali e azione risarcitoria ambientale dopo il TUA.
44
Comprensivo anche del danno all’immagine, anche turistica, dell’ente per il discredito derivante
alla propria sfera funzionale dal danno ambientale. Così già Cass., Sez. III, 15 aprile 1998, n. 3807, in
Giust. civ., 1999, I, p. 223, con note di Cacciavillani e Lo Iudice sul disastro del Vajont. Cfr. anche
Cass. pen., Sez. III, 11 novembre 2004, n. 48402, che richiama altri precedenti.
19
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
ANNO 2011 / NUMERO 1
degrado ambientale45, si risolve in definitiva in una semplificazione della cabina di
regia dell’intera operazione in funzione della conduzione di una strategia unitaria
che, scongiurando il rischio di duplicazioni e dispersioni delle iniziative e
valorizzando il principio della collaborazione intersoggettiva (art. 299, comma 2),
possa condurre ad esiti più apprezzabili in termini di tutela ambientale. Piuttosto, la
segnalata procedimentalizzazione della responsabilità comporta, come segnalato, la
diffusione di un notevole contenzioso 46 di competenza del giudice amministrativo,
con conseguente possibile incremento della concorrenza tra le giurisdizioni (civile,
45
Così, sempre relativamente alla costituzione di parte civile nel processo penale, Cass. pen., Sez. III,
16 aprile 2010, n. 14828, che, nel riassumere la giurisprudenza sul punto, ha ricordato come la
legittimazione non riguarda il danno ambientale di natura pubblica ed è limitata alle associazioni non
portatrici di interessi meramente diffusi, comuni a più persone e non sucettibili di appropriazione
individuale, ma esponenziali di interessi ambientali, la cui concreta differenziazione e
soggettivizzazione più desumersi da circostanze quali: il fine statutario, il radicamento nel territorio
anche attraverso sedi sociali, la rappresentatività di un numero significativo di consociati, la
continuità del suo contributo a difesa del territorio. Resta inoltre sempre salva la possibilità di
intervenire nei giudizi per danno ambientale, ai sensi dell’art. 18, comma 5, della legge n. 349/1986
non abrogato dall’art. 318 del Codice (TAR Toscana, Sez. II, 2 dicembre 2009, n. 2584). Sul punto la
giurisprudenza è ferma nell’ammettere la legittimazione processuale delle associazioni nazionali
destinatarie del decreto di riconoscimento di cui all’art. 13 della stessa l.n. 349/1986, e non alle
relative articolazioni regionali o territoriali, che non hanno autonomia neppure relativamente ad atti
ad efficacia territoriale limitata (Cons. Stato, Sez. VI, 9 marzo 2010, n. 1403); esiste altresì un
crescente indirizzo volto a ritenere possibile una legittimazione caso per caso in favore di associazioni
o comitati anche non riconosciuti, purché abbiano fra gli scopi statutari la tutela ambientale, operino
nell’area geografica che viene in rilievo, e rivestano una posizione differenziata in virtù di un
adeguato grado di rappresentatività, il collegamento stabile nel tempo con il territorio di riferimento e
un’azione dotata di apprezzabile consistenza anche tenuto conto del numero e della qualità degli
associati (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 aprile 2003, n. 1830; Id., Sez. VI, 25 giugno 2008, n. 3234; TAR
Piemonte, Sez. I, 25 settembre 2009, n. 2292; TAR Toscana, Sez. II, 6 ottobre 2009, n. 1505). Per
una diffusa ed aggiornata panoramica dei vari orientamenti giurisprudenziali, si rinvia a Corte di
Cassazione – Ufficio del Massimario e del Ruolo, Relazione tematica n. 112 del 1° settembre 2010,
dal titolo «Riferimenti normativi vecchi e nuovi nella delineazione delle responsabilità da illecito
ambientale e profili soggettivi di risarcibilità a favore del soggetto leso», par. 7.
46
Cfr. A.L. DE CESARIS, L’amministrazione fa male all’ambiente e all’impresa, in Riv. giur. amb.,
2007, p. 836; P.M. VIPIANA PERPETUA, La bonifica dei siti contaminati, cit., p. 916.
20
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
ANNO 2011 / NUMERO 1
penale, contabile ed amministrativa) 47 abilitate ad intervenire sulle medesime
vicende, che non appare in linea con il principio della semplificazione e
concentrazione delle tutele che dovrebbe fungere da contrappeso alla
moltiplicazione delle azioni disponibili ed essere condizione ineludibile per il
satisfattivo sviluppo dell’unitaria operazione rimediale48.
Per altro verso, poi, a seguito della riformulazione dell’art. 311 operata dal
citato art. 5 bis del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, risulta ora meglio illustrata la
articolazione e successione delle misure di riparazione in forma specifica del danno
ambientale. Tenendo conto dei rilievi formulati dalla Commissione CE nella
procedura di infrazione n. 2007/4679, si è creato un esplicito collegamento tra la
disposizione normativa in esame e gli istituti della riparazione complementare e
compensativa contemplati dall’Allegato II della direttiva 2004/35/CE. In mancanza
di riparazione «primaria», intesa come misura di ripristino delle condizioni
originarie, è così prevista, nell’ordine: l’adozione di misure di riparazione
«complementari», aventi lo scopo di ottenere, eventualmente anche in un sito
alternativo geograficamente collegato a quello danneggiato tenuto conto degli
interessi della popolazione colpita, un livello di risorse naturali e/o servizi analogo
a quello che si sarebbe ottenuto se il sito danneggiato fose tornato alle condizioni
originarie; infine, l’adozione di misure di ripazione «compensativa», volte a
compensare la perdita temporanea di risorse naturali e servizi in attesa del
ripristino e consistente in ulteriori miglioramenti alle specie e agli habitat naturali
protetti o alle acque nel sito danneggiato o in un sito alternativo, con eslcusione di
forme di compensazione finanziaria all’ente pubblico esponenziale della
collettività.
47
Giudicata di dubbia legittimità costituzionale da F. GIAMPIETRO, La responsabilità per danno
all’ambiente: la concorrenza delle giurisdizioni, in Danno e resp., 2007, p. 725. Riserve e valutazioni
ciritiche sono espresse anche da E. FOLLIERI, Aspetti problematici della tutela risarcitoria contro i
danni all’ambiente, in W. CORTESE (a cura di), Diritto al paesaggio e diritto del paesaggio, Palermo,
2008, p. 122, il quale osserva che la conseguenza «è che, a seconda del giudice investito della
controversia, si avrà una responsabilità connotata da diverse valutazioni degli elementi essenziali»
indicati dalla normativa. Per una ragionata messa a fuoco dei confini, si veda ancora la citata
Relazione tematica n. 112 della Corte di Cassazione, «Riferimenti normativi vecchi e nuovi nella
delineazione delle responsabilità da illecito ambientale e profili soggettivi di risarcibilità a favore del
soggetto leso», par. 8, ove si dimostra che, nelle materie dell’urbanistica e dell’edilizia, dei servizi
pubblici e dei rifiuti, l’ambito della giurisdizione amministrativa esclusiva è riferito alle sole
controversie sui riflessi individuali della compromissione ambientale, con esclusione dell’azione
risarcitoria del danno ambientale di matrice pubblica.
48
Altra essendo poi la questione del valore da attribuire alla concentrazione e, quindi, della via
attraverso cui giungere a tale esito: se attraverso scelte individuali rimesse ai soggetti agenti o
attraverso una scelta generale compiuta a livello normativo. Per una analisi dei termini del problema,
sia consentito rinviare a G. D. COMPORTI, Il sindacato del giudice delle obbligazioni pubbliche, in Dir.
proc. amm., 2010, p. 413.
21
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
ANNO 2011 / NUMERO 1
5. Il carattere residuale del risarcimento per equivalente ed il ruolo
strategico della valutazione economica dei danni.
Quando l’effettivo ripristino o l’adozione delle vedute misure di riparazione
complementare o compensativa risultino in tutto o in parte omessi, impossibili o
eccessivamente onerose ai sensi dell’art. 2058 c.c. o comunque attuate in modo
incompleto o difforme rispetto a quanto prescritto, il danneggiante è obbligato «in
via sostitutiva al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello
Stato». Così dispone la seconda parte del nuovo art. 311, comma 2, ripendendo un
principio che era già desumibile, con specifico riferimento al potere di ordinanza
ministeriale, dall’art. 313, comma 2, del Codice: quello del carattere residuale del
risarcimento monetario.
Si tratta, infatti, di una forma di riparazione a carattere sostitutivo,
complementare e succedeneo, che funge da elemento di chiusura del sistema della
responsabilità. La sua pratica consistenza dipende peraltro dal tipo di matrice49
ambientale danneggiata e dalle circostanze fisiche, economiche, sociali e temporali
che caretterizzano il singolo evento, apparendo così configurabile una tendenziale
distinzione tra ipotesi di danno pieno, riferito a risorse naturali non suscettibili in
quanto tali di bonifica, e ipotesi di danno residuo, riferito alle altre risorse naturali
e graduabile per ordine di importanza secondo la seguente scala: bonifica, secondo
le circostanze, in tutto o in parte impossibile o eccessivamente onerosa, bonifica in
tutto o in parte omessa o comunque attuata in modo incompleto o difforme rispetto
a quanto prescritto, bonifica ingiustificatamente ritardata.
Non costituisce invece impedimento alla bonifica e, quindi, via di fuga
legittimante il risarcimento per equivalente, l’ipotesi della mancata, impossibile o
oltremodo difficoltosa individuazione del soggetto responsabile, assai frequente in
tema di inquinamento diffuso o storico. In simili casi, infatti, gli interventi di
recupero ambientale, anche di carattere emergenziale, devono essere svolti
d’ufficio dalla pubblica amministrazione competente, individuata alla luce del
principio di sussidiarietà nel livello territoriale proporzionato alla tipologia ed
all’estensione dell’inquinamento (dunque, si va dal comune al Ministero per i siti
di interesse nazionale). Il diritto al recupero delle relative spese nei confronti dei
proprietari incolpevoli, nei limiti dell’aumento di valore del sito a seguito
49
L’approccio per matrici, sotteso anche alla direttiva comunitaria 2004/35, consiste nella
scomposizione dell’ambiente nelle risorse elementari naturali che lo compongono (di tipo abiotico:
aria, acqua, suolo; o biotico: flora e fauna) ed i relativi ecosistemi specifici (es. l’ecosistema fluviale)
e consente di associare a tali unità le funzioni o i servizi che possono essere interessati dal danno in
termini di valori d’uso, diretti (assicurati dalla risorsa in quanto direttamente fruibile da parte di
individui e/o in processi economici) o indiretti (assicurati dalle interazioni tra componenti abiotiche e
biotiche che garantiscono l’equilibrio dell’ecosistema) e/o valori passivi. Tale procedura permette
dunque di legare la valutazione scientifica del danno, ovvero degli effetti fisicamente misurabili in
termini qualitativi e quantitativi, alla valutazione economica del danno attraverso l’individuazione
delle funzioni compromesse per ogni risorsa naturale. Per una adeguata illustrazione di simile
metodologia operativa, si può rinviare allo studio dell’APAT, Il risarcimento del danno ambientale:
aspetti teorici e operativi della valutazione economica, Roma, 2006, capp. 6 e 7.
22
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
ANNO 2011 / NUMERO 1
dell’esecuzione della bonifica, va ricondotto nell’alveo delle azioni di ingiustificato
arricchimento, dalle quali si differenzia per l’esistenza di particolari forme di
garanzia (onere reale e privilegio speciale immobiliare) che assicurano il recupero
stesso (art. 253 del Codice). Né può confondersi con i rimedi risarcitori l’azione di
rivalsa verso l’effettivo responsabile che spetta al mero proprietario del fondo che
sia stato colpito dall’azione di arricchimento dell’amministrazione o abbia
provveduto spontaneamente, pure senza esservi tenuto 50, a porre in essere gli
interventi di bonifica per mantenere l’area interessata libera da pesi.
Per quanto, come sin qui veduto, l’ambito applicativo del risarcimento
monetario sia circoscritto, non altrettanto può dirsi della operazione di valutazione
del danno.
Trattasi di procedura complessa ed articolata, che afferisce non solo
all’appendice residuale del risarcimento per equivalente ma interessa, in via
preliminare, anche tutte le forme di riparazione che integrano la modalità del
ripristino. Già la direttiva 2004/35/CE lega la scelta concreta delle misure di
riparazione alla valutazione del danno e prescrive che, nel caso in cui i metodi di
equivalenza risorsa - risorsa o servizio - servizio non fossero praticabili, o lo
fossero ma con tempi e costi eccessivi, l’autorità competente può scegliere le
misure di riparazione complementare e compensativa i cui costi siano equivalenti
al valore monetrario stimato delle risorse naturali e/o servizi perduti. Lo stesso
principio direttivo è poi richiamato dal novellato terzo comma dell’art. 311 quale
termine di riferimento per la definizione ministeriale dei criteri di determinazione,
non soltanto del risarcimento per equivalente, ma anche dell’eccessiva onerosità
che costituisce causa di legittimo passaggio dalla tutela in forma specifica a quella
per equivalente. Si tratta, dunque, di uno snodo fondamentale che assume portata
decisiva, presupposta e condizionante dell’intera operazione.
La valutazione del danno ambientale, considerato come un peggioramento
del flusso di benessere proveniente da un bene a fruizione collettiva, tende a
tradurre in termini economici la contrazione del benessere sofferta dai fruitori
presenti e futuri del bene danneggiato, individuando la somma in grado di fornire
agli stessi un insieme di utilità equivalente a quello perduto. Essa implica il
confronto tra i benefici prodotti dalla risorsa naturale in assenza di danno (c.d.
situazione senza) e quelli erogabili dalla medesima risorsa dopo l’evento dannoso
(c.d. situazione con), e si sviluppa a partire dagli aggiustamenti posti in essere dai
soggetti colpiti per minimizzare la portata delle conseguenze negative (stima
indiretta) per giungere alla stima diretta delle variazioni di utilità in caso di assenza
di strategie di adattamento. Tali benefici sono misurati sia in termini di valori d’uso
che gli individui associano a determinate risorse, e che sono analizzabili secondo le
50
La giurisprudenza amministrativa è ferma nel ritenere illegittime tutte le determinazioni
amministrative che pongono in tutto o in parte a carico del proprietario o del detentore del fondo i
costi e gli oneri anche procedurali di bonifica, senza che sia stata accertata nel caso concreto e nel
rispetto del principio del contraddittorio l’effettiva responsabilità in ordine all’inquinamento. Cfr. per
esempio: TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 17 dicembre 2009, n. 837; TAR Toscana, Sez. II, 5
giugno 2009, n. 984 e 6 luglio 2010, n. 2316.
23
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
ANNO 2011 / NUMERO 1
note teorie del consumatore e/o produttore, sia in termini di valori passivi espressi
da fruitori in senso lato non già in relazione ad un uso economico, diretto e
materiale ma in relazione al desiderio che le stesse continuino ad esistere e ad
essere fruibili in futuro. I metodi di misurazione sono classificabili in tre principali
categorie: preferenze imputate, preferenze rilevate e preferenze dichiarate. Le
prime due seguono un approccio duale, nel senso che si basano sull’equivalenza
tra utilità perduta e somma di denaro in grado di ripristinarla facendo leva sugli
adattamenti dei fruitori valutabili come variazioni della spesa o dei costi di
produzione di beni e servizi scambiati sul mercato. Ad esse sono riconducibili
metodi (il costo per le spese difensive, il costo del ripristino, il costo di
surrogazione, il profitto indebito, i prezzi di mercato, le funzioni di produzione, i
prezzi edonici, il costo di viaggio) che consentono di cogliere soprattutto i valori
d’uso avendo riguardo al comportamento dei soggetti nei mercati reali, limite che è
compensato dalle esigenze informative relativamente contenute e quindi dai costi e
tempi ridotti, ed appare accettabile quando il danno è ripristinabile e reversibile ed
i valori passivi sono di entità trascurabile. La terza, che appare sicuramente più
onerosa in termini di costi e di tempi basandosi sulla simulazione di mercati
ipotetici cui si giunge attraverso interviste a mezzo di questionari di un campione
di individui, diviene invece decisiva allorché siano danneggiate in modo
irreversibile risorse o servizi non riproducibili né surrogabili.
L’idea di fondo che scaturisce dal complesso delle superiori indicazioni
metodologiche51 calate nel contesto funzionalmente unitario dell’operazione, in cui
azione e reazione si tengono e si connettono, è che il prima condiziona e conforma
il dopo: nel senso che, salva sempre la possibilità di fare valere il danno da perdite
temporanee ed il danno non patrimoniale 52, quanto più si è potuto/dovuto fare in
sede di azione preventiva e di bonifica, e quindi sotto forma di spese difensive 53, di
51
Per approfondimenti ed esemplificazioni, si rinvia al citato studio dell’APAT, Il risarcimento del
danno ambientale, p. 75 ss.
52
Cass., Sez. III, 17 aprile 2008, n. 10118, in Giur. it., 2008, p. 2708, con nota di P. FIMIANI, La tutela
risarcitoria a seguito del danno ambientale, ha chiarito che «non sussiste una duplicazione
risarcitoria qualora il responsabile sia condannato al ripristino dello stato dei luoghi ed al pagamento
di una somma di denaro a titolo di risarcimento, essendo la condanna volta ad elidere, per il primo
aspetto, il pregiudizio non patrimoniale del vulnus all’ambiente in quanto bene giuridico unitario ed
immateriale e, per il secondo, quello patrimoniale verificatosi nel periodo successivo al verificarsi
dell’evento lesivo».
53
Comprendenti anche le spese per le polizze assicurative, quelle per le azioni urgenti di primo
intervento e di messa in sicurezza, ma anche il pricing applicato dagli istituti di credito al
finanziamento di attività che presentano rischi ambientali elevati (con conseguente aumento del
rischio di insolvenza del cliente).
24
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
ANNO 2011 / NUMERO 1
ripristino 54 e di surrogazione55 , tanto meno sarà richiesto fare in sede di
risarcimento per equivalente. I due momenti non possono essere gestiti con logiche
autonome e scollegate e un importante elemento di collegamento è rappresentato
proprio da quel processo di valutazione delle varie componenti del danno che, sulla
scorta anche di adeguate analisi costi - efficacia, dovrebbe sorreggere e guidare sin
dall’inizio la definizione della più appropriata opzione di riparazione (come recita
il punto 1.3 dell’Allegato 3 alla parte quarta del Codice), anziché essere confinata
ex post nelle anguste e problematiche vicende peritali che condizionano l’esito dei
processi. Nella indicata prospettiva assumono particolare importanza i riferimenti
normativi alla individuazione delle «migliori tecniche di intervento a costi
sostenibili»56, alla necessità di operare in modo compatibile con la prosecuzione
della attività ed ai costi sostenuti per il ripristino, che compaiono con riferimento
alle procedure di bonifica (art. 242, commi 8 e 10), di prevenzione e ripristino (art.
308) ed a quella per ordinanza ministeriale (art. 314, comma 3); mentre desta
perplessità il mancato richiamo di tale fondamentale parametro, pure presente nel
vecchio art. 18, nell’ambito della disposizione normativa volta ad indirizzare la
determinazione per via ministeriale dei criteri di liquidazione del danno, ove viene
fatto sibillino riferimento al valore monetario stimato delle risorse e dei servizi
perduti (art. 311, comma 3).
Simile prospettiva dovrebbe, in definitiva, condurre ad arginare la logica
punitiva che si cela dietro la scorciatoia delle liquidazioni condotte per via
equitativa o tabellare e forfettaria, come quella ancora oggi riproposta dall’art. 314,
comma 3 del Codice che, oltre tutto avendo riguardo al procedimento per
ordinanza, proeitta in un problematico campo di applicazione generale il
meccanismo di conversione sanzione-danno che l’originario art. 58 del d.lgs. 11
54
Si distingue tra ripristino in senso stretto, che si riferise alle condizioni ed ai materiali originari e
consente di fare riferimento agli attuali prezzi di mercato, e ripristino funzionale; in tale caso la
riproduzione riguarda beni con caratteristiche diverse o in siti alternativi che siano in grado di
assicurare la stessa funzionalità di quello danneggiato (es. la funzione idrogeologica di un bosco
compromessa a seguito di disboscamento abusivo può essere ripristinata, senza riprodurre il bosco,
attarverso manufatti alternativi come briglie o muri di sponda). Tale metodo tende ad avvicinarsi alla
surrogazione e implica il problema di tenere conto dei valori passivi e d’uso che gli individui
associano al bene perduto.
55
Il cui costo è dato dalla somma delle spese affrontate per sostituire il bene danneggiato con altri
beni capaci di svolgere le stesse funzioni o fornire le stesse utilità. Ad esso viene fatto sovente ricorso
per valutare i siti ricreativi compromessi da un evento (parchi, giardini pubblici).
56
Analogo criterio di commisurazione del grado di interventi da compiere per fronteggiare gli eventi
che rischiano di compromettere la qualità dell’aria ambiente, è richiamato dal recente d.lgs. 13 agosto
2010, n. 155, recante attuazione della direttiva 2008/50/CE per un’aria più pulita in Europa, che in più
parti fa riferimento all’adozione di misure «che non comportano costi sproporzionati» in relazione
agli obiettivi da perseguire (es. artt. 9, comma 1 e 13 comma 1).
25
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
ANNO 2011 / NUMERO 1
maggio 1999, n. 152 contemplava per i soli illeciti amministrativi e penali previsti
in materia di scarichi57 .
D’altra parte, la teoria della responsabilità civile insegna che tali derive
sanzionatorie ancora presenti nel sistema rischiano di limitare la funzione
deterrente, che è sottesa al principio «chi inquina paga» 58, in quanto i potenziali
inquinatori sono indotti a non adottare le cautele necessarie a ridurre
l’inquinamento ove le probabilità di vedersi addossato un obbligo risarcitorio non
risultino commisurate nell’an e nel quantum alle condotte esigibili dal soggetto
agente: in tali casi, infatti, si introducono elementi di incertezza e casualità che
interrompono il rapporto esistente tra il costo delle polizze assicurative59 per danno
ambientale ed il potenziale carico risarcitorio, rendendo tendenzialmente uguale la
posizione del soggetto che investe in misure di contenimento dei rischi e di quello
che invece risparmia su tali spese di aggiornamento tecnologico.
L’enunciazione necessariamente sintetica di simili questioni ha lo scopo non
già di disorientare il lettore, quanto di renderlo consapevole delle profonde
variabili in gioco e della presenza di delicate opzioni valoriali60 che si collocano al
di là del dato meramente economico e della relativa prospettiva efficientista e si
presentano ad essere meglio colte, analizzate e sviluppate in seno ai procedimenti
amministrativi piuttosto che nei processi. I primi, infatti, muovendosi in un
ambiente dialogico e negoziale idoneo a selezionare anche le migliori competenze
tecniche, manifestano una capacità di presa diretta, tempestiva e continuativa con
la realtà dei fatti che ai secondi manca61.
Tutto ciò implica un mutamento della tradizionale prospettiva giustizialista
che non appare pienamente colto dal dato normativo (art. 311, comma 3), se è vero
che, in termini contraddittori con l’impianto complessivo fin qui descritto, oltre ad
avere incrementato le sedi giudiziarie abilitate a pronunciarsi sulle vicende
57
Si leggano, in proposito, le condivisibili osservazioni critiche di F. GIAMPIETRO, La responsabilità
per danno all’ambiente nel TUA, cit., p. 1058 e note 47-48.
58
Cfr. in generale DE SADELEER, Environmental Principles. From Political Slogans to Legal Rules,
Oxford, 2002, p. 42 ss., ripreso da B. POZZO, La direttiva 2004/35/CE e il suo recepimento in Italia,
cit., p. 9.
59
Incertezza che induce, oltre tutto, molte compagnie a non sottoscrivere più le polizze assicurative
per attività con elevate esposizioni ambientali, come riferito da A CROSETTI, Danno ambientale e
risorse naturali dopo il D. Lgs. n. 152/2006: rilievi problematici, in Quaderni reg., 2010, p. 496, nota
50.
60
Oltre alla scelta del tipo di intervento, si pensi anche alla priorità da dare alla riparazione di certi
danni, nel caso di simultaneità di eventi avversi. Ai fini della relativa decisione, l’art. 306, comma 3,
prescrive che l’autorità competente deve tenere conto anche della natura, entità e gravità dei diversi
casi di danno nonché della possibilità di un ripristino naturale.
61
Cfr. R. FERRARA, La protezione dell’ambiente e il procedimento amministrativo nella “società del
rischio”, in Dir. soc., 2006, p. 512; più in generale, sia consentito rinviare all’analisi sviluppata in G.
D. COMPORTI, Il procedimento amministrativo, in F. FRACCHIA (a cura di), Manuale di diritto
pubblico, Ed. Scientifica, Napoli, 2010, p. 209.
26
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
ANNO 2011 / NUMERO 1
contermini al danno ambientale, la riforma ha individuato nei metodi liquidatori
impiegati dalla pregressa giurisprudenza nazionale e comunitaria un parametro guida cui attenersi nella fissazione degli attesi criteri ministeriali di valutazione dei
risarcimenti. Come dire che ci si prepara al futuro guardando ancora al passato.
E’ invece nell’amministrazione più che nella giurisdizione che vanno
ricercate le risorse e competenze per assicurare una regolazione - gestione dei
rischi ambientali62 capace di condurre «oltre il principio di precauzione»,
impedendo il ripetersi di errori ai quali finisce per essere esposta la gente che
soccombe alla paura63.
62
Tecnica di cui si può apprezzare la recente declinazione per opera del d. lgs. 13 agosto 2010, n. 155,
in materia di qualità dell’aria ambiente, che prevede la seguente sequenza di interventi: zonizzazione
del territorio (art. 3), classificazione delle zone e degli agglomerati ai fini della valutazione della
qualità dell’aria (artt. 4-5); nel caso di accertato superamento dei valori limite, adozione mediante
opportune procedure di raccordo e concertazione di piani e misure per agire sulle principali sorgenti
di emissione e ripristinare i valori limite nel più breve tempo possibile (art. 9, con l’avvertenza che le
misure non comportino costi sproporzionati); piani e misure per ridurre il rischio di superamento dei
valori limite, in presenza di significative e comprovate circostanze attinenti alla durata e gravità del
rischio ed alla possibilità di ridurlo (art. 10).
63
Per riprendere il messaggio di C. R. SUNSTEIN, Laws of Fear. Beyond the Precautionary Principle
(2005), trad. it. di U. IZZO, Il diritto della paura. Oltre il principio di precauzione, Il Mulino,
Bologna, 2010.
27
RIVISTA QUADRIMESTRALE DI DIRITTO DELL'AMBIENTE
ANNO 2011 / NUMERO 1
ABSTRACT
Gian Domenico Comporti – La responsabilità per danno ambientale
La tecnica della responsabilità civile non costituisce lo strumento più efficace per
amministrare i danni diffusi causati da disastri di massa. Il danno ambientale
rappresenta infatti il tipico esemplare di mass tort, al quale è difficile applicare un
paradigma rimediale concepito con riferimento a fattispecie molto più semplici e
lineari. Tali difficoltà trapelano anche dalla odierna legislazione, che fornisce una
serie di spunti sintomatici di un crescente favor verso forme riparatorie alternative
al mero risarcimento per equivalente. L’articolo ripercorre in modo critico questi
spunti, sollecitando la riflessione sulla necessità di sperimentare tecniche di
contrasto all’inquinamento che si esprimano soprattutto al di fuori del processo, e
in particolare nell’ambito di una sempre più partecipata istruttoria procedimentale.
-------------------------------------------------------------------------------------------------The compensation for damages is not the most effective way in order to administer
the widespread damage caused by mass disasters. Environmental damage is in fact
a typical example of mass tort: so it is difficult to apply to this kind of damage a
paradigm designed with reference to much more simple situations. These
difficulties are often underlined by the environmental law, which provides a set of
cues revealing a growing appreciation for remedies which are alternative to mere
compensation for equivalent. The paper underdraws these cues critically, focusing
to anti-pollution techniques which take place outside the litigation and, particularly,
in the context of an increasing participation to the preliminary evaluation in the
administrative procedure.
28