gli effetti dei grandi terremoti sul pianeta terra

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gli effetti dei grandi terremoti sul pianeta terra
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GLI EFFETTI DEI GRANDI TERREMOTI
SUL PIANETA TERRA
di Antonio Piersanti *
In the last century, only three “big
earthquakes” (i.e. those which produced a
world wide effect) have taken place: in
Chile in 1960, in Alaska in 1964 and
at Sumatra in 2004. To better
understand the difference between a big
and an usual earthquake let’s think that
the energy released during the Sumatra
earthquake is ten thousand more than
that of the Irpinia earthquake of 1980.
Big earthquakes have effect on the Oceans
(let’s keep in mind the devastating
Sumatra seaquake) causing sea level rise
processes to take place; they have longterm oscillatory effects; they have effect on
the self-same shape of our planet making
it rounder; they have effect on the axis of
rotation; and lastly on the magnetic field.
Q
uando si usa l’espressione “grande terremoto” di solito la
si associa all’impatto, in termini di perdita di vite umane e
di distruzione di beni, dell’evento sismico sulla popolazione stanziata nelle località vicine all’epicentro. Sebbene naturalmente
siano questi gli effetti di gran lunga più importanti collegati all’avveni__________________
* Ricercatore, direttore dell’Istituto nazionale di Geofisica e vulcanologia di Roma 1
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Nell’ultimo secolo ci sono stati tre soli
“grandi terremoti” (quelli cioè che hanno
avuto effetti su scala globale): in Cile nel
1960, in Alaska nel 1964 e a Sumatra
nel 2004. Per capire certe differenze basti
sapere che le energie sprigionatesi a
Sumatra sono state circa diecimila volte
superiori a quelle del terremoto
dell’Irpinia del 1980. I grandi terremoti
hanno effetti sugli oceani (si ricordi il devastante maremoto di Sumatra) perché
contribuiscono ai processi di innalzamento
del livello marino; hanno effetti oscillatori
a lungo termine; hanno effetti sulla forma
stessa del nostro pianeta che tendono a far
diventare più “rotondo”; hanno effetti sull’asse di rotazione; hanno infine effetti sul
campo magnetico.
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mento di un grande terremoto, ce ne sono altri, spesso meno noti, che
non interessano l’area geografica in cui sono avvenuti (effetti locali) ma
coinvolgono l’intero pianeta (effetti globali).
Cosa si indica esattamente quando si parla di “grande terremoto”? Se
questa domanda fosse stata posta fino a qualche anno fa ad un cittadino
italiano magari sopra i trent’anni molto probabilmente avrebbe risposto
ricordando il terremoto di Colfiorito del 1997 e ancora di più il terremoto dell’Irpinia del 1980 che causò migliaia di vittime fra la popolazione e
distrusse quasi completamente parecchi piccoli agglomerati urbani.
Sicuramente, se la domanda fosse posta ora, la risposta indicherebbe
nella stragrande maggioranza dei casi il terremoto di Sumatra del dicembre 2004 che rimane nella memoria collettiva come una delle più
grandi tragedie di tutti i tempi. In realtà, nei primi due casi, non si può
veramente parlare di grande terremoto: le scosse sismiche di Colfiorito
e dell’Irpinia, per quanto distruttive a livello locale, non hanno provocato nessun effetto globale. Diverso è invece il caso dell’evento di
Sumatra che è, a pieno titolo, definibile un grande (anzi grandissimo)
terremoto e che ha certamente avuto effetti su scala globale.
Per avere un’idea della differenza fra questi eventi, si pensi che le
energie in gioco a Sumatra sono state circa diecimila volte superiori rispetto all’Irpinia e più di centomila volte superiori rispetto a Colfiorito.
È opportuno chiarire immediatamente che l’evento di Sumatra non è
perfettamente rappresentativo della famiglia “grandi terremoti” in ognuno degli aspetti che l’hanno caratterizzato. Considerando infatti l’enorme
impatto che il maremoto generato da questo terremoto ha avuto in termini di vite umane, si potrebbe pensare che c’è sempre una proporzionalità diretta fra energia rilasciata da una scossa sismica e danni provocati.
Questo invece non è vero in generale anzi, a parte il caso di Sumatra, i
terremoti più grandi in assoluto raramente sono anche i più distruttivi.
Questa apparente incongruenza si spiega con due motivi. Il primo è
sostanzialmente accidentale ed è legato al fatto che le zone dove avvengono di norma i terremoti giganti sono spesso caratterizzate da una
bassa densità abitativa. Il secondo è legato alla fisica che regola questo
tipo di fenomeni che implica che le onde sismiche rilasciate siano generalmente di frequenza più bassa rispetto a terremoti relativamente più
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Effetti sugli oceani
In questa categoria rientrano certamente gli effetti globali dei terremoti meglio conosciuti e, a ragione, più temuti dalla popolazione: i ma-
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piccoli e risultino quindi meno distruttive per le abitazioni e i manufatti. Si pensi che il terremoto del Cile del 1960, il più grande che sia mai
stato registrato, ha avuto un impatto sulla popolazione civile leggermente minore del sisma dell’Irpinia del 1980 che è stato circa cinquantamila volte più piccolo.
I terremoti giganti sono sempre legati al movimento delle placche in
subduzione. La subduzione è il processo che riequilibra il bilancio di
crosta oceanica sulla superficie terrestre. Nelle dorsali oceaniche, nuova
crosta incandescente emerge dal sottosuolo in continuazione, come in
una specie di immenso nastro trasportatore. La nuova crosta con il passare del tempo si allontana dalla dorsale diventando sempre più fredda,
spessa e pesante, fino a quando viene a contatto con la crosta più leggera di un’altra placca e comincia ad affondare: è iniziata la subduzione.
Il processo di subduzione può avvenire in maniera lenta e uniforme
(asismica) o con accelerazioni e rotture improvvise: in questo caso si genera un terremoto. Solo i processi di subduzione delle grandi placche
oceaniche forniscono le immense energie sufficienti a scatenare un terremoto gigante e quindi solo in tali aree geografiche essi possono avvenire.
Ma quali sono stati i terremoti veramente giganti dell’ultimo secolo?
Due li abbiamo già nominati: il terremoto del Cile del 1960 che con
un momento sismico di 5.5 1023 Nm ed una magnitudo momento di 9.5
è stato il più grande mai registrato; e il terremoto di Sumatra del dicembre 2004 che è stato il secondo in termini di momento sismico rilasciato (1.3 1023 Nm, magnitudo momento di 9.3). A questi, va aggiunto il
grande terremoto dell’Alaska del 27 marzo 1964 che ha avuto un momento sismico “solo” di 8.2 1022 Nm e magnitudo momento di 9.2 e
che, a ulteriore conferma di quanto detto sopra, nonostante l’enorme
energia rilasciata ha causato, per fortuna, relativamente poche vittime
(quindici legate alla scossa sismica).
Questi tre eventi sono senza dubbio i veri giganti dell’ultimo secolo
e per essi si può certamente parlare di effetti globali sul pianeta.
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remoti. I terremoti giganti scatenano spesso dei maremoti. Dei tre terremoti citati prima, tutti hanno provocato anche un successivo maremoto. Quello di Sumatra è purtroppo tristemente famoso essendo stato, con oltre duecentomila vittime, probabilmente la più grande catastrofe naturale dell’epoca moderna. Anche il terremoto del Cile del
1960 ha provocato un maremoto causando più di 200 vittime sparse in
un’area vastissima (Stati Uniti, Hawaii, Giappone e Filippine). Meno
noto è il maremoto successivo al sisma del 1964 in Alaska che pure ha
causato centodieci vittime e provocato danni ad abitazioni e strutture
portuali per trecentodieci milioni di dollari dell’epoca. Oltre all’eccezionale rilascio energetico, i terremoti giganti sono particolarmente efficienti nell’eccitare maremoti principalmente per due ragioni: perché
hanno prevalentemente epicentro in mare e perché le caratteristiche di
rottura delle faglie giganti (che possono essere lunghe anche più di mille km) che generano questo tipo di terremoti sono particolarmente
adatte all’eccitazione di onde in acqua. Quelle di maremoto sono onde
molto particolari. Contrariamente a quanto si pensa, non sono per nulla alte. In mare aperto di solito non superano la decina di centimetri e
anche quando arrivano vicino alle coste, dove la loro altezza aumenta
notevolmente a causa della diminuzione della profondità dei fondali, rimangono comunque più basse delle onde giganti che tanto piacciono ai
surfisti e che si infrangono a riva senza alcun danno. Quello che realmente differenzia le onde di maremoto dalle normali onde marine è la
lunghezza d’onda e la velocità di propagazione. Le onde marine hanno
lunghezza d’onda di qualche metro o di qualche decina di metri al massimo e si propagano a velocità di pochi chilometri all’ora mentre le onde di maremoto hanno lunghezze d’onda di centinaia di chilometri e
possono arrivare ad una velocità di mille chilometri all’ora. Questo significa che quando un’onda di maremoto arriva sulla costa possiede
un’energia distruttiva devastante e, soprattutto, dopo essersi infranta,
non torna indietro subito come un’onda normale anche altissima ma
continua ad avanzare per parecchi minuti, assomigliando più ad un immenso fiume in piena che ad un’onda marina.
Per quanto devastanti, gli effetti fisici dei maremoti sull’assetto degli
oceani si esauriscono nel giro di qualche ora. I grandi terremoti però la-
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Effetti oscillatori a lungo termine
Quando una scossa tellurica è molto intensa, le onde sismiche emesse dalla sorgente sismica non sono solo quelle distruttive ad alta frequenza che si propagano nell’area epicentrale e provocano i danni che
tutti conosciamo. In realtà, quando il terremoto è veramente grande,
l’intera Terra risuona come un’immensa campana. I “suoni” che si propagano all’interno del pianeta si chiamano più propriamente “oscillazioni libere” e sono caratterizzati da ampiezze molto elevate (fino a decine di centimetri) anche allontanandosi di migliaia di chilometri dalla
sorgente. Ciononostante, le oscillazioni libere non possiedono nessuna
capacità distruttiva perché la loro ampiezza è compensata da frequenze
di oscillazione molto basse (decine di minuti). Una caratteristica singo-
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sciano anche impronte più durature sull’idrosfera terrestre: essi, anche
se in maniera minore, contribuiscono ai processi di innalzamento del livello marino che stanno minacciando l’equilibrio del nostro intero pianeta. La superficie degli oceani è infatti una cosiddetta superficie equipotenziale, cioè segue esattamente l’andamento del campo gravitazionale terrestre. I grandi terremoti, oltre a perturbare la topografia dei
fondali oceanici, agiscono anche sul campo gravitazionale del nostro
pianeta e, tramite questi due meccanismi, influiscono sul livello marino
assoluto. Questo fenomeno è caratterizzato da due distinte scale temporali di azione: subito dopo la scossa sismica, c’è una variazione immediata e brusca del livello marino dovuta alla risposta elastica della
crosta terrestre (si parla di contributo elastostatico). Successivamente,
inizia una variazione molto lenta, che può durare anche per parecchi
decenni dopo il terremoto e che è dovuta alla deformazione duttile degli strati superficiali del mantello terrestre (si parla di rilassamento viscoelastico). Bisogna precisare che gli effetti sul livello marino provocati dai grandi terremoti, sono molto piccoli in assoluto: in media almeno
un ordine di grandezza minori degli effetti che vengono attribuiti ai
cambiamenti climatici; essi però sono caratterizzati da una grande variabilità spaziale ed è molto importante poterli valutare con precisione
perché altrimenti si possono ottenere interpretazioni fuorvianti sulle
tendenze climatiche globali del pianeta.
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lare delle oscillazioni libere è che esse si smorzano molto lentamente; si
pensi che diverse settimane dopo il terremoto di Sumatra, erano ancora
rilevabili dai sismometri! Questa particolare tipologia di onde sismiche
è di particolare importanza per i ricercatori: infatti lo studio della loro
propagazione fornisce informazioni fondamentali sull’interno della
Terra. Le metodologie di ricerca che utilizzano le onde sismiche per lo
studio dell’interno della Terra sono analoghe alle indagini tramite i raggi X in medicina: si parla infatti di “tomografia sismica”.
Effetti sulla forma del pianeta
È ben noto che la Terra non è perfettamente sferica ma ha una forma
ellissoidale schiacciata ai poli (in realtà la sua vera forma è ben più complessa ma questa, per i nostri scopi, è un’ottima approssimazione). La
differenza fra il raggio del pianeta ai poli e quello all’equatore è di circa
venti chilometri. Ebbene, i grandi terremoti hanno un impatto anche
sulla forma della Terra. Questo effetto è piccolissimo ma non casuale:
essi tendono a far diventare la Terra più “rotonda”, cioè tendono a diminuire la differenza fra raggio equatoriale e raggio polare. A rivelare l’esistenza di questo fenomeno sono state modellazioni puramente teoriche
sviluppate dai geodinamici poiché il valore assoluto di tali variazioni è
inferiore al mm e non sono rilevabili con le tecniche sperimentali attualmente a disposizione. Quando lo saranno, però, la loro misura diretta ci
fornirà importanti dati sulla viscosità degli strati superiori del mantello
terrestre che rimane uno dei parametri fisici non ancora conosciuti con
precisione fra quelli che caratterizzano l’interno della Terra.
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Effetti sull’asse di rotazione
Scosse sismiche giganti, quali quelle di cui stiamo parlando, liberano
una quantità di energia tale da provocare anche piccolissimi spostamenti dell’asse di rotazione terrestre. Qualcuno si ricorderà che subito dopo
il terremoto di Sumatra del 2004, diverse fonti d’informazione riportarono la notizia che l’asse di rotazione del pianeta si era spostato addirittura di più di dieci chilometri. A dire la verità, ci furono anche prestigiosi ricercatori, non propriamente specialisti delle discipline geofisiche,
che confermarono la notizia. In realtà, si trattava di un grosso errore.
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Effetti sul campo magnetico
Il campo magnetico prodotto dal nucleo fluido metallico del nostro
pianeta può essere considerato in prima approssimazione costante nel
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Anche non possedendo nozioni specifiche di geofisica, si poteva arrivare a capire che, poiché la Terra è un sistema chiuso e le forze scatenate da un terremoto sono interne al sistema, uno spostamento dell’asse
di rotazione poteva essere associato solo ad una relativa variazione del
tensore di inerzia del pianeta (detto in parole povere, a causa di un terremoto la Terra per variare il suo asse di rotazione, non ha altro mezzo
se non ridistribuire le sue masse interne). Ora, una variazione del tensore di inerzia tale da far variare l’asse di rotazione di più di dieci chilometri, avrebbe comportato un impatto macroscopico ad esempio sul livello marino in aree geografiche molto vaste. Quello che è successo veramente, è che l’asse di rotazione terrestre si è spostato di non più di un
paio di centimetri in conseguenza del terremoto e sta continuando a
spostarsi probabilmente di meno di un millimetro all’anno. Anche se
può sembrare molto piccolo, questo fenomeno è di grande importanza
per i ricercatori perché dal confronto fra previsioni teoriche e dati sperimentali si potrebbero trarre importanti conclusioni sulla reologia degli strati inferiori alla crosta terrestre. Peraltro, questo tipo di confronto
non è mai stato possibile prima del terremoto di Sumatra perché all’epoca degli altri due terremoti giganti (Cile 1960 e Alaska 1964), non
erano ancora state sviluppate le moderne tecniche di rilevamento delle
perturbazioni rotazionali basate su tecnologia satellitare; di conseguenza non sarebbe stato possibile misurare uno spostamento dell’asse di
rotazione di soli due centimetri.
Anche ora tuttavia i problemi non mancano perché, anche se la precisione e la sensibilità delle tecniche sperimentali è aumentata enormemente grazie alle tecnologie satellitari, rimane il problema di filtrare dai
dati sperimentali gli effetti perturbativi ad alta frequenza dovuti principalmente ai fenomeni climatici.
Per questo motivo, l’effettiva misurabilità degli effetti sismici sull’asse di rotazione terrestre rimane uno degli importanti problemi aperti
nel campo della sismologia e della geodinamica.
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tempo. In realtà però, se misurato con precisione, rivela una serie di variazioni più o meno grandi che avvengono su scale temporali che vanno dai millisecondi ai milioni di anni. Alcuni ricercatori hanno suggerito che alcune di queste variazioni ed in particolare quelle di lievissima
entità, caratterizzate da una scala temporale di pochi anni, possono essere in relazione con l’occorrenza di grandi scosse sismiche come quelle di cui stiamo parlando.
I campi di deformazione provocati da terremoti come quello del Cile
del 1960 o di Sumatra del 2004 si propagano all’interno del pianeta fino a
raggiungere anche il nucleo metallico fluido che si trova a circa 2.900 km
di profondità. Anche se non ci sono ancora conferme dirette di questa
ipotesi ma soltanto indizi di origine statistica e modellazioni puramente
teoriche, si presume che tali campi deformativi siano in grado di perturbare i moti convettivi che avvengono nel nucleo provocando delle piccole variazioni nel campo magnetico terrestre della durata di qualche anno:
i cosiddetti “jerks” geomagnetici. L’esistenza di queste piccole perturbazioni è nota da diversi decenni, da quando cioè è significativamente aumentato il numero di osservatori geomagnetici sparsi sulla superficie terrestre; i jerks infatti sono difficilmente osservabili da misure singole e
spesso sono più facilmente rilevabili in alcune zone del pianeta piuttosto
che in altre. Fino ad ora una spiegazione soddisfacente dell’origine dei
jerks geomagnetici non è stata trovata. Quello che si è riuscito a stabilire
con certezza però è che essi, al contrario della maggior parte delle altre
perturbazioni a corta scala temporale del campo magnetico, sono di origine interna e non sono quindi associabili all’attività solare o ad altri fenomeni astronomici o atmosferici. Negli ultimi anni, soprattutto in seguito
ad indizi di tipo statistico, si è affacciata l’ipotesi di una correlazione con i
forti terremoti ma questa ipotesi è ancora molto controversa.
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