Cieli Dolomitici n°17

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Cieli Dolomitici n°17
17
Giornalino dell’ Associazione Astrofili Agordini
“Cieli Dolomitici”
2012
Nei primi giorni di giugno si è verificato l’avvenimento astronomico dell’anno: il secondo e ultimo transito del
ventunesimo secolo di Venere sul Sole. Per osservare il prossimo bisognerà attendere il 2117. Con una fotocamera
digitale compatta Alvise Tomaselli ha così ripreso l’epocale fenomeno tra le nubi del Col Margherita.
WWW.CIELIDOLOMITICI.IT
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SOMMARIO
EDITORIALE di Claudio Pra pag. 3
IL CIELO ROSSO di Alvise Tomaselli Pag. 4
L’aurora boreale vista dai nostri luoghi: una vecchia testimonianza
100 INSIGNIFICANTI PUNTINI LUMINOSI di Claudio Pra pag. 7
Storia di una piccola impresa
UNA MISSIONE NON PROPRIO PERFETTA di Tomaso Avoscan pag. 9
Quando l’apparire è più importante dell’essere
A CACCIA DI DEBOLI COMETE di Giovanni Sostero pag. 10
La tecnologia del presente, la nostalgia del passato
UN INTERESSANTE PROGETTO SCOLASTICO di Lino Tancon pag. 11
Il cielo in una scuola
CURIOSITA’ CELESTI di Tomaso Avoscan e Claudio Pra pag. 13
L’anno breve di Mercurio, il giorno lunghissimo di Venere
LO SPAZIO...DEL SORRISO di Claudio Pra pag. 14
NOMADI CON GLI OCCHI VERSO IL CIELO di don Francesco Cassol pag. 15
Un sacerdote innamorato delle stelle
ATTIVITA’ DELL’ ASSOCIAZIONE pag. 16
Riproposto il corso astrofili
GLI ASTROFILI DI CIELI DOLOMITICI pag. 17
Conosciamo Lino Tancon
IL GIORNALINO CERCA COLLABORATORI
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(anche molto semplici), domande, fotografie, vignette, disegni, ecc. non potranno che arricchire la nostra
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EDITORIALE di Claudio Pra
Alle 2.30 suona la sveglia. Un’ occhiata al cielo conferma che le pessime previsioni meteo del giorno
precedente hanno colto nel segno; la copertura nuvolosa è totale. Ma un tentativo va fatto lo stesso!
Un caffè veloce mentre mi vesto e via verso Cencenighe, dove puntuali ad attendermi ci sono Alvise e Chiara.
Caricati gli zaini sulla mia macchina ci avviamo verso Passo S. Pellegrino da dove purtroppo possiamo vedere
la nostra meta, il Col Margherita, posto a 2500 metri di altezza. Dico purtroppo perché speravamo che le nubi si
fossero adagiate sotto quella quota . Invece sono posizionate molto più in alto. Ma un tentativo va fatto lo
stesso!
Alle 3.40, caricati gli zaini in spalla, cominciamo a salire lungo la ripida pista da sci. L’ascesa, illuminata dalle
pile frontali, è piuttosto faticosa e scomoda, tra pantano, massi e tratti innevati da superare. A metà tracciato il
chiarore del nuovo giorno comincia a manifestarsi in modo evidente, dando forma a un paesaggio “inquietante”
ricco di nebbie e nubi grigiastre. Comincia anche a cadere una leggera pioggia che sembra voler azzerare del
tutto le nostre già poche speranze. Ma un tentativo va fatto lo stesso!
Dopo oltre un ora di cammino arriviamo su. Fa freddo e il vento accentua il disagio. Non piove più, ma è
l’unica buona notizia. Il cielo infatti rimane coperto e anzi le nubi sembrano aumentare. Dopo aver bevuto un
sorso di tè caldo attendiamo che un miracolo possa premiare i nostri sforzi. Già, ci vorrebbe proprio qualcosa di
straordinario per cambiare la situazione, ma il tempo passa e tutto rimane inalterato; nubi e nebbia, nebbia e
nubi. E anche freddo. D’un tratto una nuvola si illumina di una luce intensa…E’ la premessa alla incredibile
comparsa di un disco solare grigiastro, che “buca” le nuvole. Alvise, si precipita all’oculare del suo strumento
e urla -L’ho visto!-. Chiara si fionda per non perdersi quell’istante che potrebbe essere unico e a sua volta
esulta. Poco dopo anche io ho “la visione”. Poi lo spiraglio di colpo si chiude, come una porta sbattuta in faccia
al Sole e a noi. Alvise ha miracolosamente fatto in tempo a scattare una foto. Vada come vada ci siamo riusciti,
anche se è durato solo un attimo, l’attimo fuggente.
Invece lo squarcio poco dopo si riapre. Poi si richiude. Poi si riapre…Brevi istanti che sfruttiamo al massimo,
osservando e fotografando. L’entusiasmo di Chiara è incontenibile. Io e Alvise sembriamo più freddi, ma
l’esserci spinti quassù a questo orario improbabile, in questo posto improbabile, in condizioni difficili, non può
che confermare che quell’entusiasmo lo condividiamo a modo nostro. Siamo riusciti ad’ osservare l’ultima
parte del cammino di Venere sul Sole, una sfilata si ripeterà solo nel lontanissimo 2117. Era l’ultima possibilità
e mi piace pensare che il cielo abbia voluto premiare tre astrofili che, incuranti del meteo e della logica, si sono
spinti all’alba fin sulla cima di una montagna inseguendo un sogno.
LA BIBLIOTECA DELL’ASSOCIAZIONE
Tra le opportunità offerte agli Associati c’è quella di poter fruire della biblioteca dell’Associazione. La
biblioteca è ben fornita (oltre a molti libri e riviste ci sono anche videocassette e DVD) ed è auspicabile
che un buon numero di persone se ne servano. Ricordiamo che per accedere alla biblioteca bisogna
contattare Claudio al 3493278611 per fissare un appuntamento.
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IL CIELO ROSSO di Alvise Tomaselli
Il 25 gennaio 1938 le nostre vallate furono testimoni di un evento astronomico raro. L’aurora boreale.
Il fenomeno praticamente sconosciuto a quell’epoca da gran parte della popolazione, è riproposto
come fu vissuto presso il paesino di Carfon (Canale d’Agordo). Inizialmente fu scambiato per un
incendio, solo in un secondo momento fu possibile associare quella strana colorazione del cielo ad
un fenomeno naturale. Il racconto che riporto per brevi passi è la testimonianza di un ragazzino
allora tredicenne. Mio padre.
“Cori, cori ! Vien a vede! El ziel le ros! El ziel le ros! Le foch, le foch!”
Il fuoco ha sempre rappresentato una delle maggiori insidie per i paesini di montagna. La maggior
parte delle abitazioni era costruita in legno, pochi sassi, malta “magra”, più sabbia che cemento. Il
cemento era merce rara e costosa.
L’intelaiatura delle travi portanti con le assi in larice con l’età e l’irraggiamento solare subivano una
forte essicazione, una scintilla e tutto poteva diventare un grande falò. La densità degli insediamenti
abitativi e la presenza di molti fienili stipati di fieno, facevano di ogni paese un potenziale
agglomerato altamente infiammabile.
“Cori, cori, va a ciamà el capo dei pompieri! Le foch, le foch! No le temp da perde, prepara i
seci (i secchi)!”
L’insieme delle operazioni per l’eventuale spegnimento di un incendio erano legate alla tempestività
e alla collaborazione con le persone presenti nel paese, il corpo dei vigili de fuoco, formato più che
altro da volontari, non disponeva dei mezzi e della tecnologia dei giorni nostri. Senza l’apporto della
gente del posto avrebbe potuto fare ben poco.
“Le lassù, le ciase (case) alte!”
“No, me par che le el bosch sora le ciase!”
“No, no, le drio (dietro) el paes, forsi (forse) le adiritura dall’altra parte dela val!”
I primi dubbi iniziarono a sorgere nel momento dell’individuazione del punto d’origine dell’incendio. Il
fatto stesso che spostandosi sempre più a monte la colorazione rossa del cielo continuasse a
mostrarsi sempre un po’ più in là, fece subito pensare a qualche fenomeno naturale raro.
“El dis el capo dei vigili che le l’aurora! L’aurora boreale! I ha controlà anca al de là dela val,
le ancora ros, no le fuoch. Le l’aurora boreale!”
“Elo che l’aurora boreale?”
“Le en segn (è un segno) del ziel. O Dio! Che mai podaralo (potrà) sucede! Ghe manchea anca
chesta! (ci mancava anche questa)”.
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“El porta mal! La da venì desgrazie, carestie, malatie (malattie) o guera, ancora guera...”
A quei tempi La consapevolezza di tali fenomeni celesti non era immediata, subentrava
inevitabilmente l’ associazione con eventi funesti e catastrofici. Le popolazioni Agordine erano uscite
da pochi anni dalla grande guerra e con le ossa rotte stavano risalendo la china. Per contro, il
periodo fascista stava inesorabilmente riportando la fragile economia dell’epoca verso una
imminente catastrofe globale. Il lavoro era scarso, la vita di stenti stava logorando le famiglie, il
preludio a qualcosa di nuovamente tragico era già nell’aria. (Di lì a poco sarebbe iniziato il secondo
conflitto mondiale).
Un fenomeno come l’aurora boreale non aveva nulla di scientifico, di spettacolare, di curioso. Poteva
essere solo il preludio a sfortuna e l’imminenza di una nuova tragedia.
AURORE BOREALI (O AUSTRALI): STORIA E MITO
Le testimonianze su avvistamenti del fenomeno si perdono nella notte dei tempi e probabilmente
furono osservati anche alle nostre latitudini fin dagli albori delle civiltà. Esistono infatti diverse
citazioni e descrizioni di aurore boreali. Nella gran parte dei casi l’interpretazione del fenomeno era
legata alla colorazione stessa, quindi la tipica colorazione rossa, che era un segnale divino di grande
sventura (sangue). Si verificava in genere quello che successe nel racconto iniziale.
Successivamente i grandi filosofi (Ippocrate, Aristotele, Seneca, Plinio il Vecchio, etc) si cimentarono
in descrizioni e interpretazioni più o meno ardite ma ancora ovviamente, molto lontane dalla realtà.
Ippocrate nel V secolo a.C. circa, affermò che si producessero in seguito alla riflessione della luce
solare.
Aristotele in una lettera scritta nel 349 a.C. le aveva descritte di colore rosso sangue, alcune
immobili altre che guizzavano a notevole velocità, alcune che tremolavano e si spegnevano e altre
che indugiavano nel cielo. Le aveva chiamate “fiaccole”, “abissi”, “piccoli raggi”, “recipienti tondi” e
poi “capre saltanti”.
Seneca nel 60 D.C. riporta :”...Sotto il regno di Tiberio Cesare (37 a.C.) le coorti (corpo dei vigili del
fuoco, fondato da Augusto dopo l’incendio del 23 a.C.) accorsero in aiuto alla colonia di Ostia come
se fosse in fiamme mentre si trattava di una vampa celeste brillante durata gran parte della notte, di
un fuoco grasso e fumoso...”.
Plinio il Vecchio nel 77 D.C. cita :”...Vi è qualcosa che pare sangue, e il più terribile fenomeno fra
quelli che spaventano i mortali, un incendio che dal cielo cade sulla Terra...”
Galileo Galilei e Pierre Gassendi coniarono l’accezione “Aurora Boreale” intorno al 1600
Nel tempo, fino all’età moderna, numerosi avvenimenti furono associati all’apparizione del fenomeno.
Nel 44 a.C. un’aurora preannunciò l’assassinio di Giulio Cesare. Nel 566 d.C. veniva prevista
l’invasione
dei
Longobardi
in
Italia,
avvenuta
nel 569. Il 15
gennaio
1192
preannunciò
la
carestia che poi
Una spettacolare
aurora boreale
ripresa dalla
Finlandia.
Da noi il
fenomeno si
mostra di rado,
essendo
posizionati
lontano dai poli
magnetici terrestri.
Occorre quindi
che le
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Fu solo intorno al 1800 che iniziarono ad essere divulgate ipotesi scientifiche di un certo rilievo e
che, comunque, tentavano di associarle all’attività del Sole.
La comprensione corretta delle aurore boreali (o australi), con cui si riuscì a scoprire che esse si
generano in seguito all’interazione tra le particelle del vento solare con i gas che compongono l’alta
atmosfera terrestre, si ebbe a partire dagli anni venti.
COS’E’ L’ AURORA BOREALE (O AUSTRALE)
La Terra possiede un campo magnetico (un po’ come ha un qualsiasi pezzo di ferro magnetizzato).
Le linee di forza del campo si sviluppano dal Polo Nord Magnetico terrestre fino al Polo Sud
Magnetico formando di fatto un involucro (bozzolo). Tutti conosciamo una delle funzioni del campo
magnetico terrestre: fare funzionare la bussola che teniamo nel cassetto del comodino! Invece la più
importante funzione è una vera e propria protezione (come uno scudo) nei confronti del “vento
solare”.
Il “vento solare” è quel flusso (plasma) che si origina sul Sole e che la nostra stella invia in tutte le
direzioni in ogni momento. Si tratta in sostanza di un plasma di ioni di idrogeno (protoni) ed elettroni
emessi dalla corona solare.
Ebbene, proprio l’incontro fra il “vento solare” e il campo magnetico terrestre genera una reazione
(ionizzazione) delle particelle di gas contenute nell’alta atmosfera con conseguente emissione di
manifestazioni cromatiche luminescenti.
La colorazione che può assumere un’aurora boreale (o australe) varia dal rosso vivo al rosa,
passando per il verde, il violetto e azzurro e dipende molto dalla caratteristica chimica del gas che
viene ionizzato nell’atmosfera (il rosso in genere è azoto, l’azzurro/verde ossigeno). L’intensità del
colore dipende dalla forza (intensità) del “vento solare”.
La durata dei fenomeni può variare da alcuni minuti (nella maggior parte dei casi) a qualche ora
(raramente).
Perchè si sviluppano prevalentemente nelle fascia artica (aurora boreale) e antartica (aurora
australe)?.
Semplice , perchè in quelle zone il flusso del campo magnetico terrestre è più “concentrato”, le linee
del flusso sono più dense. Va detto che quando le manifestazioni sono di grande intensità è possibile
vedere aurore anche a latitudini basse (Per es. Europa centrale).
Quanti possono essere i fenomeni?
Sono strettamente dipendenti dall’attività solare (brillamenti solari, buchi coronali), quindi più attività
solare, più fenomeni.
A che altezza dal suolo si manifestano?
Sono fenomeni estremamente effimeri e variabili, si possono collocare ad altezze variabili fra gli 80
e i 300 chilometri. Le dimensioni in larghezza possono raggiungere i 500 chilometri.
Si manifestano anche su altri pianeti del sistema solare?
Certo, ne sono state fotografate di bellissime su Giove, Saturno Urano Nettuno e anche su satelliti
come Tritone, Io, Titano.
...E AI GIORNI NOSTRI?
Osservare aurore boreali alle nostre latitudini è assai raro. Il fenomeno citato in premessa fu
veramente speciale e fu visto in mezza Europa. Si narra che in Germania gli stessi gerarchi nazisti
(Hitler era un adepto delle scienze esoteriche) videro in quell’evento un segno positivo per quello che
di lì a poco sarà l’inizio del secondo conflitto mondiale.
Più di recente, e di grande impatto nelle nostre vallate, il fenomeno si è verificato il 30 ottobre 2003 in
un arco di tempo compreso fra le ore 22 e le ore 24 circa. Ci fu un picco di maggior intensità poco
dopo le 22 durante il quale i fortunati che si erano preparati all’osservazione poterono ammirare
qualcosa di indimenticabile. Esiste una vasta documentazione fotografica che testimonia quell’aurora
boreale, ripresa ad esempio dagli amici astrofili di Cortina. In particolare le foto scattate nei pressi
delle Cinque Torri Da Alessandro Dimai e Giuseppe Menardi sono di rara bellezza
( www.Cortinastelle.it ).
E’ possibile conoscere in anticipo quando si verificano altre aurore boreali? Esistono dei centri
astronomici che studiano l’attività solare in tutte le sue manifestazioni, sulla base dei dati raccolti ed
analizzati è possibile prevedere l’attività legata alle aurore boreali. Un sito web particolarmente
consigliato per chi fosse interessato a conoscere oltre allo stato di “salute” del Sole (e altre
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100 INSIGNIFICANTI PUNTI LUMINOSI di Claudio Pra
Gli splendidi e delicati ricami del profondo cielo, le
affascinanti e misteriose comete, i tenui dettagli dei
dischi planetari e quelli ben più evidenti della Luna, le
diverse cromaticità di molte stelle doppie. Di fronte a
queste ed altre attrattive cosa dovrebbe invogliare un
amante del cielo ad osservare gli anonimi asteroidi, che
null’altro hanno da mostrare se non il loro movimento
tra le stelle o, al più, una piccola variazione di
luminosità? Già cosa?
Novembre 1998: La curiosità mi porta sotto il celo alla
ricerca del mio primo asteroide. A quel tempo ero alle
prime armi e non avevo ancora fatto il “grande passo”,
l’acquisto del telescopio. Osservavo quindi con un
modestissimo binocolo 10x50, sufficiente comunque per
cogliere l’obbiettivo. L’asteroide in questione era
Cerere, che io riscoprivo a un paio di secoli di distanza
da quell’agosto del 1801, quando da Palermo Giuseppe
Piazzi, credendo di osservare una stella fissa nella
costellazione del Toro, intercettò il primo Pianetino. Per
coincidenza proprio nel Toro si svolse anche la mia
L’asteroide Vesta, quarto in ordine di scoperta,
ricerca. Cerere, di 7,3 magnitudini, distava meno di un
ripreso dalla Sonda della NASA Down.
grado dalla rossa e luminosa Aldebaran ed era quindi
facilissimo da individuare. Ma le certezze non sono
prerogativa di un novizio del cielo e così mi ci volle una seconda osservazione di conferma, che mettesse in
evidenza lo spostamento dell’asteroide. Il giorno seguente notai che quel puntino in effetti si era mosso. Che
emozione!
Dicembre 2011. Non distante da Polluce (Alfa Geminorum), all’oculare del mio riflettore da 30 cm. di
diametro, sono alla ricerca di un altro asteroide molto meno blasonato e molto meno luminoso che risponde al
nome di Klio, ottantacinquesimo in ordine di scoperta, osservato per la prima volta dal tedesco Karl Theodor
Robert Luther nel 1865. Una volta individuato il puntino di 13,2 magnitudini, scostandomi dall’oculare, inspiro
profondamente e poi butto fuori il fiato tutto d’un colpo, in un gesto che sa di liberazione. E’ fatta!
Ma perché tutto questo interesse ed entusiasmo per un anonimo asteroide della fascia principale? Perché faceva
parte di un progetto molto particolare: l’osservazione visuale dei primi cento asteroidi catalogati. Un anno e
mezzo prima, per una imperdonabile leggerezza, me lo ero lascito sfuggire, mancando l’appuntamento
dell’opposizione andato in scena da tutt’altra parte (nello scorpione) in una stagione decisamente più calda.
Klio, dopo l’osservazione di 99 Dike compiuta dieci mesi prima, era l’ultimo tassello di un puzzle che
aspettava il completamento da lunghissimo tempo.
L’idea di questa singolare collezione mi è venuta “in corsa”. Inizialmente infatti, in un contesto di molti altri
interessi celesti prevalenti, osservavo solo occasionalmente qualche asteroide luminoso segnalato dalle riviste.
Solo in seguito, dopo averne raggranellati un bel gruzzolo fra i primi catalogati, comprendente naturalmente
tutti i più prestigiosi, puntai ai primi 50 (quindi da 1 Ceres a 50 Virginia), centrando l’obiettivo nell’ottobre del
2005 con l’osservazione di 33 Polyhymnia. Arrivato a quel punto mi ritenni più che soddisfatto, anche perché
la sfida si era rivelata molto impegnativa. Quasi tutti i mesi, ovviamente nei periodi senza la presenza in cielo
della Luna, avevo in lista uno o più oggetti che passavano all’opposizione, momento chiaramente coincidente
con la loro massima luminosità. Se per i più brillanti c’era comunque una ampia finestra osservativa a cavallo
di quel periodo (a meno che non stessero scendendo a declinazioni bassissime), per quelli poco luminosi
l’osservazione doveva per forza andare in porto proprio durante l’opposizione perché in seguito si sarebbero
indeboliti troppo. Se l’osservazione non aveva quindi buon esito avrei dovuto aspettare parecchi mesi. Un
lungo periodo di cattivo tempo o qualche imprevisto, cose da mettere in preventivo, erano quindi i perfidi
nemici nascosti nell’ombra, pronti a mettermi il bastone fra le ruote.
Immaginatevi ora il variare del cielo e delle stagioni ed io sempre li, in maniche corte o vestito come un
Eschimese, in una non-stop infinita all’inseguimento di puntini di luminosità diversa, bassi sull’orizzonte o
altissimi in cielo, utilizzando a seconda delle occasioni dal piccolo binocolo al grande telescopio. Più volte mi
sono chiesto ne valesse la pena e più volte ho pensato di rinunciare. Insomma, dopo i primi cinquanta decisi
che poteva bastare.
Mi ributtai quindi a tempo pieno sugli altri campi di mio interesse, trovando comunque di tanto in tanto qualche
piccolo spazio per i “sassoni vaganti”, in special modo per quelli più “prestigiosi”. A parte Cerere e Vesta, che
difficilmente ho mancato e manco di salutare nel corso di ogni opposizione, mi interessava osservare asteroidi
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particolari come i NEA (da Near Earth Asteroid, corpi che si avvicinano molto alla Terra). Tra loro Eros e
toutatatis, ma anche altri dalle sigle impronunciabili, il cui movimento, data la vicinanza, è rilevabile in tempo
reale.
Tra i miei ricordi anche un’ occultazione asteroidale con protagonista 409 Aspasia. Non conoscevo i tempi
esatti del fenomeno, che durava alcuni secondi, e dovetti stare con l’occhio fisso all’oculare per molto tempo
mettendo a dura prova la vista, fin quando la stellina a cui Aspasia passava davanti si indebolì sensibilmente.
provai una sensazione strana, come se il cervello, abituato da molti minuti ad osservare un quadro immutabile,
si rifiutasse di accettare che qualcosa era variato. Sbattei le palpebre più volte per riavermi dalla sorpresa.
Pure l’osservazione di un asteroide a occhio nudo è cosa particolare. Mi è capitato con Vesta, che in alcune
occasioni può raggiungere una magnitudine ragguardevole, tale da renderlo visibile senza strumenti. Magari
nessuno ci pensa ma è sicuramente un osservazione indimenticabile.
Verso la fine del 2010, rivolsi
l’attenzione a un asteroide che si
trasformò improvvisamente in
cometa. 596 Sheila infatti, si
mostrò improvvisamente avvolto
da una piccola chioma. La cosa
sorprese moltissimo gli esperti,
anche perché l’oggetto era
conosciuto e seguito da tempo e
mai aveva manifestato un attività
cometaria. Pensare a un impatto
con un altro corpo sembrava poco
probabile. Invece fu proprio quella
la causa, confermata recentemente.
Per il resto ci pensava Talib
Kadori, con la sua bella rubrica sul
mensile astronomico Coelum, a
propormi altri spunti osservativi,
quasi obbligandomi a non mancare
storici appuntamenti con storiche
opposizioni.
Gli asteroidi più grandi della fascia principale in scala
Intanto, a qualche anno di distanza,
il pensiero di riprendere la collezione interrotta nel 2005, alzando l’asticella ai primi cento asteroidi catalogati,
cominciava a solleticarmi. Ricominciai con poca convinzione, facendomi comunque trovare pronto a
raccogliere mensilmente gli oggetti rientranti nel progetto. Mettevo, per così dire, fieno in cascina, casomai mi
fossi davvero convinto a puntare al raddoppio. Sarò stato anche poco convinto, ma sta di fatto che mese dopo
mese non me ne facevo sfuggire uno, accorgendomi d’un tratto che la cascina era riempita quasi per intero. A
quel punto non si poteva che continuare e tutto andò liscio fino all’intoppo con Klio, che nel giugno del 2010 si
trovava a vagare in pieno cielo australe nei pressi del pungiglione dello Scorpione, a –40° di declinazione e
pure piuttosto debole. Un quadro quindi piuttosto scoraggiante . Soprattutto la declinazione risultava quasi
impossibile per la mia postazione. Mettiamoci anche la probabile foschia estiva imperante da quelle parti.
Insomma, tutto questo ed altro ancora mi convinsero a mollare l’obiettivo, cosa che mi sarebbe costata la
bellezza di diciotto mesi di attesa per riavere a tiro l’asteroide. Ma l’errore imperdonabile fu non controllare il
movimento e la luminosità di Klio nel periodo successivo all’opposizione, considerandolo a torto ormai perso.
Invece, pur mantenendosi basso, si sarebbe alzato di una decina di gradi e pur risultando più debole, forse
sarebbe stato ancora alla portata. Quando me ne accorsi era troppo tardi. A quel punto mi mancavano
comunque undici oggetti e nei mesi successivi non sbagliai più un colpo.
Nel febbraio del 2011 osservai 99 Dike. Ero giunto a quota …99 oggetti e a un passo dal traguardo. Dopodiché
iniziò la grande attesa fino a gennaio 2012, con l’opposizione di Klio. Memore di quel che era successo la volta
precedente, decisi di andare sul sicuro, anticipando di un mese circa l’osservazione, pur con l’oggetto non al
massimo del suo splendore. Avessi fallito avrei potuto in ogni caso riprovarci un mese dopo. La grande altezza
dell’oggetto (+30°), il cielo invernale limpidissimo, il diametro dello generoso dello strumento (30 cm.) hanno
creato le condizioni ideali perché la missione potesse concludersi in anticipo, entro il 2011 anziché nel 2012.
Era probabilmente destino che l’incontro fortunato fosse riprogrammato lontano da quel pungiglione costato
caro a Orione e un po’ anche a me. Soprattutto era probabilmente destino che fosse proprio Klio a chiudere una
storia iniziata tredici anni prima.
L’amico Talib Kadori ama definire scherzosamente questi oggetti "insignificanti puntini luminosi".
Descrivendo le loro storie sulla rivista Coelum, riesce a restituirceli degni di attenzione. La mia insignificante
piccola impresa la dedico a lui e a quanti sanno apprezzare le cose nascoste della vita.
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UNA MISSIONE NON PROPRIO PERFETTA di Tomaso Avoscan
Oggi la tecnologia permette di
accedere pressoché in diretta agli
avvenimenti che succedono nel
mondo consentendo di ottenere un
ottimo grado di veridicità degli
stessi.
Non così succedeva in passato
quando numerosi avvenimenti
venivano abilmente manipolati prima
di essere resi di pubblico dominio.
L’esempio che di seguito viene
riportato riguarda il primo volo nello
spazio eseguito da una donna il 16
giugno 1963.
Si tratta di Valentina Tereshkova,
nata in Russia nei pressi di Jaroslavl’
Valentina Tereshkova, la prima donna a volare nello spazio
sul fiume Volga il 6 marzo 1937.
La missione della Tereshkova fu pubblicizzata dai papaveri russi con grande enfasi ma in realtà si
trattò tutt’altro di una missione felice e trionfale.
Il viaggio della prima donna nello spazio si trasformò in un’odissea che per poco non si concluse
tragicamente con la navicella sparata verso l’infinito. Il ritorno a terra poi fu particolarmente brusco
tanto che si rese necessario «girarlo» di nuovo per i cinegiornali dopo un soggiorno della
protagonista in ospedale. Nel 2007, a 70 anni appena compiuti Valentina Tereshkova, decise di
raccontare la verità su quel viaggio che si inquadrava nella lotta senza quartiere che le due
superpotenze avevano ingaggiato anche fuori dall’atmosfera terrestre.
Così, in un clima di contrapposizione estrema (perfino sui termini: cosmonauti per l’Urss, astronauti
per gli Usa), l’exploit di Valentina “doveva” essere un successo come lo erano stati quelli di Yuri
Gagarin due anni prima e della cagnetta Laika nel 1957. In un’intervista a Komsomolskaya Pravda la
Tereshkova racconta che all’inizio il lancio, quel 16 giugno 1963, era andato bene. «Fino all’ingresso
nell’orbita terrestre» ha spiegato. Dopo una trentina di giri intorno alla Terra, però, i tecnici si
accorsero di un tragico errore. La navicella Vostok, con le sue orbite, «si stava allontanando dal
pianeta e non avvicinando».
Presto sarebbe sfuggita alla attrazione terrestre per perdersi nello spazio. Dal centro di controllo
furono impostate le necessarie correzioni.
Ma i guai per la povera Valentina non finirono.
La navicella era minuscola, lei rimase legata al sedile con la tuta e il casco addosso per tutte le 70
ore e 50 minuti del volo. L’assenza di peso la faceva star male. «A un certo punto vomitai», ha
raccontato.
Il secondo giorno iniziò a farle male la gamba destra, al terzo il dolore si era fatto insopportabile. Il
casco premeva su una spalla, un rilevatore sulla testa le causava un continuo prurito, le condizioni
all’interno della tuta col vomito e tutto il resto si possono solo vagamente immaginare. Le navicelle
Vostok non erano in grado di assicurare la sopravvivenza dei cosmonauti al momento dell’impatto
con la superficie terrestre. Così, al rientro, Valentina fu «sparata fuori» da una carica esplosiva, come
avviene sui jet in caso di emergenza. «Ero terrorizzata mentre scendevo col paracadute », ha
raccontato. «Sotto di me c’era un lago e non la terra ferma. Ci avevano addestrato a questa
eventualità ma non sapevo se avrei avuto la forza necessaria per sopravvivere». Il vento,
fortunatamente, la spinse via. Ma nell’impatto Valentina sbatté la faccia contro il casco e si provocò
un gran livido sul naso. Era dolorante, sporca, semisvenuta e venne portata subito in ospedale. Ma
per l’onore dell’Unione Sovietica il rientro della prima donna dallo spazio doveva essere trionfale.
Così, appena si riprese, fu riportata nella stessa zona con una tuta immacolata e pronta a esibire il
suo miglior sorriso per le cineprese.
Cinque mesi dopo il Segretario generale Krusciov potè annunciare al mondo un altro colpo a
sorpresa: il primo matrimonio tra cosmonauti.
Valentina e Andriyan Nikolayev, terzo uomo nello spazio, divennero marito e moglie. Si dice che a
imporre l'unione furono i medici. Volevano vedere che figli sarebbero venuti fuori da due genitori che
erano stati entrambi nello spazio. La loro prima figlia Elena, quando crebbe, diventò un medico.
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A CACCIA DI DEBOLI COMETE di Giovanni Sostero
L’ospite illustre di questo numero è Giovanni Sostero, astronomo dilettante conosciutissimo nel
campo delle comete e degli asteroidi. Lo ringraziamo per il contributo che gentilmente ci ha donato .
Sono Giovanni Sostero, classe 1964. ho iniziato ad osservare il cielo all'età di 12 anni, quando
ricevetti in regalo dai miei genitori un piccolo telescopio riflettore di ben 90mm di diametro. Da allora
la passione per l'astronomia non mi ha mai abbandonato. Sono stato presidente dell'Associazione
Friulana di Astronomia e Meteorologia di Remanzacco (UD) per una quindicina di anni, ed
attualmente affianco Giannantonio Milani nella gestione della Sezione Comete dell'Unione Astrofili
Italiani . Seguo comete ed asteroidi con i miei strumenti, oppure in modalità remota, assieme agli
amici Ernesto Guido e Nick Howes. Ho avuto la fortuna di incontrare Sara, mia moglie, a sua volta
appassionata di astronomia, che mi asseconda nelle mie scorribande notturne a caccia di stelle e di
emozioni.
Personalmente ho sempre subito il fascino delle comete; da ragazzo, mi
alzavo prima dell’alba,e montavo sul treppiede il binocolone giapponese
11x80 che possedevo allora, per osservare quei deboli batuffolini
luminosi, al limite della percezione visiva, mentre si spostavano
lentamente tra le stelle (sì, quella volta la pupilla mi si dilatava fino a
sfruttare in pieno la luminosità dello strumento, e l’inquinamento
luminoso degli anni ’80 era assai inferiore rispetto a quello attuale). Non
so perchè le comete mi abbiano stregato. Forse per la loro
imprevedibilità, o forse perché riuscire a rintracciarle era già una piccola
soddisfazione. Allora non erano ancora diffusi i sistemi di puntamento
automatico che oggigiorno sono spadroneggiano: per trovare la
cometina che cercavi (si parla di oggetti dall’ottava magnitudine in su,
mica della Hale-Bopp!) ti dovevi disegnare la sua posizione prevista su
Giovanni Sostero
di un’atlante stellare (io usavo quello di Antonin Becvar, “Atlas of the
Heavens”, che arrivava alla settima magnitudine e mezza, per l’epoca una vera sciccheria), e poi
impegnarti a saltare di stella in stella, fino ad arrivare nel campo di interesse. Se trovavi la cometa
(mica detto che le effemeridi preparate mesi prima sulle poche riviste del settore fossero aggiornate,
soprattutto per quanto riguardava l’effettiva luminosità della cometa che cercavi) allora iniziava un
paziente lavoro di carta e matita per farne un disegno, e quando possibile (se trovavi nelle vicinanze
le stelle di confronto adatte) ci poteva scappare anche una stima di
magnitudine.
A distanza di una trentina d’anni, con qualche decimo di vista in
meno e parecchi capelli bianchi in più, mi ritrovo ancora a dare la
caccia a piccole e deboli comete. Però i metodi sono
profondamente cambiati. Oggigiorno l’astrofilo ha potenzialmente a
sua disposizione una quantità di mezzi che, in un tempo non
troppo lontano da noi, erano assolutamente impensabili per dei
dilettanti. Telescopi a puntamento automatico, CCD, computer,
atlanti stellari via software che arrivano alla 16.ma magnitudine (ed
oltre), scambio di informazioni in tempo reale via web, ecc. Così,
per sfruttare al meglio le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie,
mi sono imbarcato in un progetto osservativo assieme ad alcuni
amici (Ernesto Guido, e l’inglese Nick Howes) che ci permette di La cometa 10/P Tempel ripresa da
Sostero ed Ernesto Guido
avere accesso a telescopi di grande apertura comandati via
internet. In particolare due riflettori Ritchey-Chretien da 2-m di
diametro con CCD professionali della fondazione “Faulkes”, dislocati rispettivamente sul Mauna-Kea
(isole Hawaii) ed a Siding Spring (Australia). Inutile dire che con questi bestioni, ed il seeing
eccezionale dei due siti, ci è possibile effettuare spesso delle osservazioni molto dettagliate,
altrimenti impossibili con i telescopi amatoriali. Voi mi direte, -“ti piace vincere facile, eh?!”-. Beh, sì e
no, dipende da dove si pone l’asticella che si vuole saltare: ora non diamo più la caccia comete di
ottava-nona magnitudine, ma oggetti di ventesima ed oltre. Tra le varie attività che ci appassionano
maggiormente, c’è una specie di caccia al tesoro: riosservare per primi le deboli comete periodiche
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che ritornano al perielio (punto della loro orbita più vicino al Sole) a distanza di anni dal
loro ultimo avvistamento. Si tratta di un lavoro emozionante, in cui ci si impegna per ritrovare un
astro chiomato di cui spesso la conoscenza dei parametri orbitali è ancora incerta (la qual cosa
aggiunge un pizzico di "suspense" alla caccia). A parte l'aspetto ludico della cosa, tale studio ha
un'utilità immediata perchè, una volta effettuato il riavvistamento ("recovery" in termine tecnico) la
conoscenza dell'orbita cometaria migliora notevolmente, e così spesso è possibile procedere, da
parte del Minor Planet Center, ad una catalogazione definitiva (e conseguente numerazione)
dell'oggetto in questione. Negli ultimi anni ci è capitato di effettuare diverse di queste “recovery”, e
così è avvenuto pure lo scorso 21 Marzo, allorquando abbiamo "riacciuffato" la cometa periodica
P/2005 JY126 CATALINA, come annunciato dalla CBET 3065 (Unione Astronomica Internazionale)
e dalla Minor Planet Electronic Circular 2012-F54 del 22 Marzo (http://www.minorplanetcenter.net/
mpec/K12/K12F54.html). La cometa di cui abbiamo fatto la recovery venne scoperta il 7 Giugno
2005 da un team di astronomi presso l'Osservatorio astronomico Catalina (USA). Essa venne
osservata per diversi mesi, e poi persa di vista nel gennaio 2007, mentre si allontanava dal Sole
lungo la sua orbita ellittica. Essa appartiene alla famiglia di comete di Giove, e toccherà il prossimo
perielio fra circa un anno, nel giugno 2013, a 2,1 Unità Astronomiche dal Sole. Al momento della
nostra ripresa, la P/2005 JY126, si stava riavvicinando alla parte interna del Sistema Solare dopo
aver doppiato il suo afelio (punto più distante dal Sole della sua orbita), e si spostava lentamente tra
le stelle nella costellazione della Bilancia, ad una distanza dalla Terra di 2,8 Unità Astronomiche
(circa 420 milioni di Km). Le riprese che abbiamo fatto il 21 Marzo scorso tramite un telescopio da 2m di diametro dislocato presso l'Osservatorio di Siding-Spring (Australia) la mostravano come un
debole batuffolino di 20.ma magnitudine circa, di aspetto leggermente diffuso. Osservazioni di
conferma, fatte sempre da noi, il giorno successivo con un riflettore amatoriale a controllo remoto da
0,25-m dislocato nel New Mexico (USA) confermavano definitivamente l'identificazione della cometa
(chi lo desidera, può seguire la nostra attività sul blog dell'AFAM: http://remanzacco.blogspot.it/).
Tutto molto bello, ma ancora oggi, quando mi prende la nostalgia, mollo internet ed i telescopi
remoti, carico in macchina mia moglie, il nostro cagnone ed un binocolo, e via in una baita in
montagna sulle Alpi Carniche per passare un fine settimana spensierato in mezzo ai boschi, ad
osservare ancora le cometine del periodo con il binocolo. Certo, la vista non è più quella di una volta,
soprattutto da vicino (mi pare che la chiamino presbiopia), ma il profumo di resina del bosco prima
dell’alba, ed il fascino di quei batuffolini persi fra le stelle è rimasto ancora intatto.
UN INTERESSANTE PROGETTO SCOLASTICO di Lino Tancon
Nel corso dell’anno scolastico 2005/2006 il sottoscritto in qualità di relatore e Giovanni Paolo Zanin in quella
di coordinatore, entrambi docenti, abbiamo portato avanti un progetto didattico di astronomia per la classe terza
A della Scuola Secondaria di primo grado di Caprile.
Il progetto è stato ideato come ampliamento del programma previsto dalla pianificazione didattica disciplinare.
In particolare esso era completo sotto molti punti di vista, poiché univa alle conoscenze di base, una fase
strettamente osservativa di fenomeni naturali di carattere astronomico per un tempo discretamente lungo
rispetto all’anno scolastico, che ha permesso di estrapolare molto verosimilmente l’andamento esaminato
attraverso l’elaborazione dei dati. La scelta del lavoro è stata consapevolmente condivisa con la classe che ha
collaborato soprattutto nella fase di registrazione dei dati. Personalmente ho attivato la proposta con
entusiasmo vista la passione che riservo per l’astronomia in generale e per questo sono stato agevolato
nell’articolare il lavoro avendo a disposizione sufficienti conoscenze nel settore. Inoltre, essendo membro
dell’Associazione Astrofili Agordini Cieli Dolomitici, ho avuto a disposizione mezzi e strumenti per portare
avanti il lavoro in modo ottimo nei tempi e nei modi dovuti.
Il progetto, di carattere scientifico, ha permesso di intrecciarsi trasversalmente con altre discipline (geografia,
tecnologia, storia, arte, letteratura) e per questo ritengo possa aver acquisito un valore aggiunto secondo
quanto si auspica nella tendenza della didattica.
La parte didattica di carattere pratico si è incentrata soprattutto su ciò che è osservabile più facilmente di giorno
dal punto di vista astronomico, cioè il Sole, il quale domina per dimensioni e per luminosità. Dato che è quasi
impossibile osservarlo direttamente senza l’ausilio di qualche strumento che ne attenui la luminosità
abbagliante, si possono trarre le prime conclusioni studiando le conseguenze della sua presenza.
La conseguenza più ovvia della presenza del Sole è che gli oggetti hanno un’ombra. Quest’osservazione banale
si presta ad una gran quantità di riflessioni scientifiche più o meno complesse, alcune delle quali sono state
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oggetto d’approfondimento. La prima
conclusione che si può trarre dallo studio delle
ombre degli oggetti è che la luce emessa dal
Sole viaggia in linea retta. Infatti,
congiungendo i contorni dell’ombra con quelli
dell’oggetto si ottiene un fascio di rette
p a r a l le l e c he , a l me no i n p r i me
approssimazione, individuano la posizione del
Sole nel cielo. La seconda osservazione che si
può fare è che l’ombra non ha la stessa intensità
in tutte le sue parti, ai bordi appare meno scura
formando quella che è definita penombra. Una
terza osservazione da fare a proposito delle
ombre è una riflessione su quello che già è stato detto: se la luce che di giorno illumina gli oggetti deriva tutta
dal Sole perché dove il Sole non illumina direttamente non è buio completo? Questo avviene per esempio sulla
Luna. Sulla Terra invece, a causa dell’atmosfera, la luce viene diffusa in tutte le direzioni che permette di
vedere anche quando siamo in ombra.
Tutte queste considerazioni, fatte insieme ai ragazzi, hanno suscitato interesse e alimentato un discreto
dibattito nel momento in cui se ne è parlato. Il prosieguo si è concentrato sullo studio delle ombre dopo aver
scoperto che esse sono indicatrici della posizione del Sole.
Questo si è potuto effettuare attraverso un pannello disposto orizzontalmente sul quale è stata fissata un’asta
metallica della lunghezza di 25 centimetri in posizione verticale. Il tutto è stato sistemato in classe, vicino alla
finestra, per poter seguire nel tempo l’andamento delle ombre rispetto alle ore della giornata e rispetto alle
stagioni. Infatti, l’ombra dell’asta sul piano orizzontale, indica la direzione del Sole, anzi, se uniamo le linee
dell’ombra con la punta dell’asta avremo l’esatta direzione in cui si trova il Sole in cielo, o meglio sulla volta
celeste. Al moto apparente del Sole è collegata l’ombra dell’asta sulla superficie orizzontale. E’ stato quindi
analizzato il comportamento dell’ombra dell’asta durante la giornata. In particolare, essendo al momento del
sorgere il Sole sull’orizzonte, l’ombra dell’asta dovrebbe essere teoricamente infinita. Poi lentamente il Sole si
alza sull’orizzonte, seguendo una traiettoria inclinata come possiamo ricavare dal comportamento della nostra
ombra che subisce due cambiamenti continui, di lunghezza (in quanto si accorcia) e di direzione (il Sole si
sposta lateralmente rispetto al punto in cui è sorto).
Continuando l’osservazione per tutta la giornata si osserva il seguente comportamento dell’ombra: per tutta al
mattina si sposta come direzione e diminuisce come lunghezza fino ad un certo istante, poi riprende ad
allungarsi nel pomeriggio fino a perdersi all’infinito al momento del tramonto, in una direzione che è quasi
opposta a quella che aveva al momento del sorgere. Quindi se si vuole individuare una direzione preferenziale,
cioè il nostro punto di riferimento sull’orizzonte, si hanno tre scelte: la direzione che individua il sorgere od il
tramonto del Sole e la direzione in cui l’ombra ha la minima lunghezza.
Quest’ultima è stata la più difficile da individuare perché se si riporta in un grafico la lunghezza dell’ombra in
funzione del tempo si vede che attorno al punto in cui raggiunge il minimo valore, la variazione di lunghezza è
talmente piccola che risulta particolarmente difficile individuare il momento esatto della minima lunghezza e
quindi l’esatta posizione in cielo del Sole. Per superare questa limitazione sarebbero quindi più indicate le
direzioni del sorgere o del tramontare del Sole, ma se ripetiamo la stessa osservazione in giorni diversi ci
accorgiamo che questa direzioni cambiano da un giorno all’altro. Si potrebbe allora scegliere la direzione del
sorgere in un giorno particolare (è quello che facevano certe antiche popolazioni quando allineavano certi
megaliti nella direzione del sorgere del Sole in certo giorno dell’anno, per esempio il solstizio d’estate) ma
avremo un sistema di riferimento che sarà controllabile solo una volta all’anno (in effetti sono poi due).
Invece, proprio le osservazioni in giorni successivi, ci indicano che la strada che avevamo scartato in partenza è
forse la migliore. Ripetendo Infatti le osservazioni in giorni o addirittura mesi diversi, si trova che la direzione
in cui l’ombra risulta avere la minima lunghezza è sempre la stessa. Quindi l’osservazione più difficile è, come
spesso avviene, quella più indicata in quanto questa direzione si presta a fornire un ottimo riferimento stabile
tutto l’anno e quindi riproducibile.
La posizione in cielo che il Sole assume al momento della minima lunghezza dell’ombra durante una giornata,
e quindi della sua massima altezza sull’orizzonte, individua assieme allo Zenit un semicerchio in cielo che
chiameremo “meridiano” e chiameremo punto cardinale Sud il punto d’intersezione del meridiano con
l’orizzonte dalla parte in cui si trova il Sole, Nord il punto opposto, Est il punto a 90° dal Sud (e dal Nord) dalla
parte del sorgere del Sole, Ovest il punto opposto.
Allo studio delle variazioni diurne sono seguite le osservazioni sulla lunghezza delle ombre e quindi sulla
posizione del sole in cielo che cambiano da giorno a giorno e ancor più da mese a mese. Significativa è stata
l’osservazione all’inizio della primavera, quando il sole sorge esattamente ad Est mentre l’ombra indica
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l’Ovest. Operando in un contesto montagnoso non abbiamo potuto misurare la durata del dì e della notte che
coincidono all’equinozio, momento in cui l’intervallo di tempo in cui il Sole è al di sopra dell’orizzonte è uguale a quello in cui è sotto l’orizzonte.
Con il passare dei giorni e il progredire della stagione la massima altezza che il Sole raggiunge aumenta sempre
di più fino ad arrivare ad un massimo verso il 21 di giugno. Avendo potuto eseguire le osservazioni fino alla
fine di maggio non abbiamo potuto fare questa osservazione rendendoci comunque consapevoli di quanto stava
accadendo.
Ultima osservazione durante questo periodo: il Sole nasce e tramonta in punti dell’orizzonte che sono spostati
sempre più verso Nord, che porta ad un notevole cambiamento della curva disegnata dall’ombra associato alla
diversa altezza del Sole. Quali sono le conseguenze? Il Sole, essendo più verticale, irradia una quantità di
energia maggiore sulla superficie terrestre poiché la radiazione solare deve attraversare un minor strato di
atmosfera subendo un assorbimento minore e apportando quindi un maggior riscaldamento.
Conclusioni
Questo tipo di esperienza didattica non è stata certamente la prima della mia ormai consolidata attività di
insegnamento. Sicuramente però è quella che mi ha impegnato più a lungo, nel tempo, con una classe per un
progetto scolastico. La difficoltà maggiore che ho incontrato è stata quella di mantenere vivo l’interesse del
gruppo specialmente durante la fase finale che, secondo il mio punto di vista , doveva essere la più interessante
per l’approccio sperimentale con cui è stata pensata.
Questo decadimento di stimoli l’ho interpretato come un’abitudine non ancora acquisita nell’affrontare un
argomento scientifico nelle sue varie fasi attraverso un metodo appropriato .
L’esperienza si è dimostrata didatticamente valida e potrà essere ripetuta con opportuni aggiustamenti anche
nel futuro, eventualmente integrandola con osservazioni crepuscolari e notturne guidate.
CURIOSITA’ CELESTI di Tomaso Avoscan e Claudio Pra
Quanti anni avresti sugli altri Pianeti del Sistema Solare?
Un giorno terrestre dura circa 24 ore, che è il tempo impiegato dalla Terra per fare un giro intorno al proprio
asse (rotazione). Un anno terrestre dura invece circa 365 giorni, quanto occorre cioè al nostro pianeta per fare
un giro completo intorno al Sole (rivoluzione). Rotazione e rivoluzione sono ovviamente differenti sugli altri
pianeti. Vediamo dunque quanto dura il loro giorno e il loro anno:
Su Mercurio, il più vicino al Sole, un anno passa molto velocemente dato che deve fare meno strada degli altri
essendo il più interno tra i pianeti. E’ comunque anche obbligato a orbitare molto velocemente proprio per la
vicinanza alla stella alla quale è legato gravitazionalmente. Un anno su Mercurio dura meno di 3 mesi,
esattamente 88 giorni terrestri. Il suo giorno è invece lunghissimo durando quasi 59 giorni dei nostri. In pratica
un anno mercuriano si compone di solo un giorno e mezzo…
Un anno su Venere dura circa 225 giorni terrestri mentre il suo giorno ne dura 243. Sul pianeta più brillante del
cielo la durata del giorno è maggiore di quella dell’anno. Incredibile!
Su Marte le cose tornano più normali. 687 giorni terrestri è la durata dell’anno mentre la durata del giorno è
molto simile alla nostra, 24 ore e una quarantina di minuti.
Su Giove un anno dura circa 12 anni terrestri mentre il suo giorno è cortissimo durando meno di 10 ore
terrestri. In pratica sul gigante del sistema solare passano quasi due giorni e mezzo nel lasso di tempo in cui da
noi passa invece un solo giorno.
L’anno di Saturno corrisponde a circa 29 anni terrestri. Il suo giorno è però brevissimo durando poco più di 10
delle nostre ore.
Ci vogliono più di 84 anni terrestri perché su Urano ne passi uno solo, mentre il suo giorno si compone di 18
ore terrestri.
L’anno più lungo tra i pianeti del sistema solare scorre su Nettuno. Ci vogliono infatti quasi 165 anni terrestri
per farne uno nettuniano. Il giorno dura invece poco più di 19 ore terrestri. I calendari su Nettuno costano
quindi un occhio della testa visto le pagine occorrenti.
Per tornare alla domanda di apertura: quanti anni avresti sugli altri pianeti del sistema solare? Per calcolarlo in
modo semplicissimo vai all’indirizzo web www.ariafritta.it/modules.php?name=EtaPianeti
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LO SPAZIO... DEL SORRISO di Claudio Pra
Alcune canzoni sono dedicate al cielo e all’astronomia. In quelle che
proponiamo in questa rubrica la dedica è un po’ forzata, ma il gioco ci è parso
divertente e il fine è proprio quello di strappare un sorriso tra un articolo serio
e l’altro.
Gino Paoli, cantautore genovese della vecchia generazione, in una delle sue
canzoni più conosciute ha parlato di qualcosa che conosciamo bene; “Il cielo
in una stanza” è stata infatti composta dopo una visita al planetario.
La paura delle tenebre non deve essere certo tra le fobie di un astrofilo. La
Premiata Forneria Marconi ha infatti dedicato ai cultori delle stelle “Chi ha
paura della notte?”.
Un altra canzone dedicata agli astrofili è di Luciano Ligabue. Immaginando la rabbia di un osservazione
impedita dalle nubi ha composto “Urlando contro il cielo”.
Riccardo Cocciante ha reso invece omaggio a Margherita Hach in un suo cavallo di battaglia, intitolato appunto
“Margherita”.
Al russo Yuri Gagarin, il primo uomo a volare nello spazio, hanno pensato i Litfiba ne “Il volo”.
Donatella Rettore è stata invece colpita dallo splendore del pianeta più brillante del cielo ed ha dedicato a
Venere ”Splendido splendente”.
Concludiamo con lo scetticismo di molti cantanti sulla presenza di altre forme di vita intelligente nell’universo:
Vasco Rossi “Siamo solo noi”
Raf “Siamo soli nell’immenso vuoto che c’è”
Pooh “Uomini soli”
Laura Pausini “La solitudine”
Con un brindisi e la
consegna dell’ attestato
di partecipazione, si è
chiuso il secondo corso
base per ast ro fil i
organizzato in aprile
d a l l a
no st r a
Associazione. Undici i
partecipanti, che hanno
seguito con interesse il
programma proposto
nelle tre serate previste,
tenute in una sala degli
impianti sportivi S.
T o ma s o
me s s a a
d ispo s iz io ne
dal
Comune. I temi trattati
sono stati molteplici. Tra
questi l’orientamento in
cielo, i movimenti della
volta stellata, cosa e
come osservare a occhio
nudo e con piccoli
Corsisti e formatori nella rituale foto di fine corso
binocoli, l’uso del
telescopio, fotografare il cielo. Argomenti che hanno catturato l’attenzione dei presenti, facendo scivolare via
in modo piacevole le 6 ore di lezione. L’auspicio è di ritrovare tutti sotto le stelle, alla ricerca delle meraviglie
che l’universo propone, ma anche solo per ammirare fenomeni semplici come un tramonto o un avvicinamento
tra pianeti, cose alla portata di chiunque ma trascurate dai più. Un noto libro di settore definisce gli astrofili i
principi della notte. Il corso ne ha incoronati undici. Anche a loro è affidato il compito di portare avanti e
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tramandare una tradizione millenaria.
NOMADI CON GLI OCCHI VERSO IL CIELO di don Francesco Cassol
La notte del 22 agosto 2010, un colpo di fucile ha interrotto la vita di don
Francesco Cassol, sacerdote bellunese, in cammino nelle Murge baresi,
durante un “goum”, esperienza di cammino e spiritualità in terre
desertiche. Don Francesco, parroco, scout, goumier, uomo, ha lasciato
una traccia indelebile nelle persone che lo hanno conosciuto; questo lo
rende più vivo che mai. Anche chi non ha avuto la gioia di incontrarlo,
ogni volta che alza gli occhi al cielo può sentirlo vicino. Anche lui, come
noi, infatti, amava le stelle..
(Di seguito il racconto della sua prima esperienza notturna all’aperto.)
Dovevo avere attorno ai quindici anni. Improvvisamente, mentre salivo
con gli altri scout il monte Talvena, il capo reparto ci dice: “Bene, prepariamo il fuoco e le capanne per la
notte!”. Una semplice frase, col tono di chi sta dicendo la cosa più semplice del mondo, che al momento mi ha
fatto correre un brivido giù per la schiena: “Ma come” dico a me stesso mentre con la piccola roncola taglio i
rami per la capanna, “Dormiremo all’aperto? Col freddo? Sui sassi? Con le bestie feroci?” Allora avevo
parecchia fantasia e già mi vedevo attaccato dai lupi.
Poi la sera che scende veloce, le ombre che si allungano e le paure che avanzano minacciose. Infine, dopo la
cena e i canti attorno al fuoco, ci si ritira nel sacco a pelo.
La mia prima notte all’aperto, la prima di tante. Ricordo ancora la trepidazione, a farmi piccolo nel sacco a
pelo, il recitare le preghiere della nonna e poi, dopo un po’, l’alzare lo sguardo. Le fronde che fanno da tetto
all’improvvisata capanna lasciano intravedere larghi prati di cielo. Stupendo. Immenso. Da togliere il fiato. E
resto lì a guardare, e a pensare, e a pregare. E corro da una stella all’altra e cerco di andare più oltre e intuisco
che c’è nel cielo qualcosa di grande e di vero.
Ho dormito ancora tante volte all’aperto, e tante ancora ne dormirò se Dio me lo concederà. E ogni volta, anche
se stanco, alzo per poco gli occhi alle stelle.
Ne hanno bisogno gli occhi. Questi occhi che di giorno indugiano sui libri, sulla strada che corre veloce e di
sera si fissano sul vorticoso ed ebete caleidoscopio della TV; questi poveri piccoli occhi hanno bisogno di un
cielo stellato, di un “oltre”, di un “al di là” che faccia alzare sereni lo sguardo. “Se guarderemo sempre per terra
finiremo per credere ad essa”.
Ne ha bisogno la mente. Questa mente capace di grandi pensieri che vola più in alto del nostro ragionare e ci
precede e ci dice “vieni senza paura”; questa povera piccola mente che scruta il mistero dell’uomo e di Dio ha
bisogno di un cielo stellato per essere certa che non è un inseguire i fantasmi il pensare all’amore, alla pace, al
destino dell’uomo.
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Ne ha bisogno il cuore. Questo cuore che batte per nulla e per nulla si ferma; questo povero piccolo cuore che
desidera dare vita al mondo intero e vorrebbe scaldare il ghiaccio del Polo e nutrire il bambino del Ghana ha
bisogno di un cielo stellato che dica che è vero, siamo tutti fratelli.
Ho dormito ancora tante volte all’aperto, e tante ancora ne dormirò se Dio me lo concederà. E ogni volta, anche
se stanco, alzo per poco gli occhi alle stelle.
E ringrazio Dio per avermi concesso di far parte di questa straordinaria tribù dei Goum: nomadi con occhi,
mente e cuore che anelano a un cielo stellato perché nel cielo stellato, hanno la loro vera casa.
ATTIVITA’ DELL’ASSOCIAZIONE
Mercoledì 8 febbraio, presso il planetario di San Tomaso, si è tenuto un incontro divulgativo curato da Alvise
Tomaselli, con ospiti un gruppo di allievi della scuola di formazione per maestri di sci di San Marino
(Snowsports Academy San Marino). Si tratta di un passo del loro programma di formazione teorica che include
la conoscenza di elementi base di cartografia e orientamento sul terreno. Presso il planetario vengono date
informazioni utili all'orientamento sfruttando il Sole e il suo movimento apparente durante il giorno, il cielo
notturno con le stelle più importanti, in particolare la stella polare e il riconoscimento delle principali
costellazioni. I partecipanti hanno manifestato grande interesse ed entusiasmo.
Sabato 18 febbraio siamo saliti a Malga Laste per un escursione abbinata all’osservazione del cielo invernale.
Un bel gruppo di appassionati della montagna e del cielo di tutte le età hanno intrapreso una splendida
camminata nel tardo pomeriggio, arrivando a destinazione a crepuscolo iniziato. Dopo un buon vin brulè o un
tè caldo è cominciata l’osservazione del cielo a occhio nudo, guidata dagli esperti dell’Associazione.
Spiccavano su tutto i due pianeti più brillanti, Venere e Giove, che insieme a Orione e a tutte le altre
costellazioni del periodo hanno offerto splendida visione ormai purtroppo preclusa più a valle
dall’inquinamento luminoso dilagante. Il transito della luminosa Stazione Spaziale non ha mancato di destare lo
stupore di quanti non l’avevano mai vista. Dopo aver osservato a lungo la volta celeste è iniziata la suggestiva
discesa, illuminata dalla discreta luce delle pile. E’ stato davvero bello, anche per l’affiatamento che il gruppo,
pur formato da molte persone che non si conoscevano, ha mostrato.
Mercoledì 29 febbraio un secondo gruppo di allievi della scuola di formazione per maestri di sci di San
Marino (Snowsports Academy San Marino) è stato ospite del planetario di S. Tomaso per un incontro analogo a
quello dell’otto febbraio. Il divulgatore è stato ancora una volta Alvise Tomaselli.
Sabato 16 giugno, presso l’Ostello in Valle Imperina ad Agordo, la nostra Associazione ha dato il suo
contributo a un corso organizzato dal fotografo Gabriele Zuppati intitolato “ Strumenti di eco-armonia della
persona” per un approccio alla natura diverso dall’escursionismo, dal trekking o dal percorso didattico, con
l’obiettivo di aumentare le proprie capacità nell’ usare sensibilità ed emozione come strumento di creatività e
crescita grazie alle meraviglie offerte dalla natura. Alvise Tomaselli ha trattato la parte dedicata al cielo
stellato.
Mercoledì 30 maggio, ad Agordo, abbiamo proposto una serata osservativa dal titolo: “Occhi su Saturno”,
dedicata al grande astronomo Gian Domenico Cassini a 300 anni dalla sua morte. Oltre al pianeta con gli anelli
si è osservata la Luna. Ottima la risposta, sia in termini di presenze che di entusiasmo. Bellissima serata!
Da tempo, su nostro interessamento, Radio Più trasmette settimanalmente Urania, il notiziario di astronomia e
astronautica diffuso dall’Istituto Nazionale di Astro Fisica (INAF). Dal 15 febbraio il notiziario è affiancato da
una breve trasmissione curata da Claudio Pra. Gli argomenti trattati sono naturalmente legati all’astronomia e
all’osservazione amatoriale del cielo. Le due brevi trasmissioni sono in onda tutti i giovedì alle 10.30 (replica
alle18.30) e tutte le domenica alle 8.40.
Gli Associati che ci hanno fornito la loro e-mail hanno ricevuto ogni settimana una news astronomica con
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consigli sull’osservazione del cielo, notizie sull’attività dell’Associazione, immagini ecc.
GLI ASTROFILI DI CIELI DOLOMITICI
Conosciamo Lino Tancon, uno dei Soci Fondatori della nostra Associazione. Lino è anche divulgatore al
Planetario di S. Tomaso.
Come ti sei appassionato all'astronomia?
Ho incominciato quando frequentavo la 5^ Liceo a Venezia. Il programma di scienze proponeva anche la
geografia astronomica ed allora, insieme ad alcuni compagni di convitto, ho iniziato ad osservare la volta
celeste con un piccolo telescopio ed in questo modo ho imparato a conoscere le prime costellazioni.
Che rapporto hai con il cielo stellato?
Quando la visibilità è buona mi piace sempre “controllare” la posizione reciproca tra le varie costellazioni,
magari cercandone anche di nuove, per mantenere e migliorare la conoscenza del cielo notturno.
Ricordi un episodio o un fenomeno legato al cielo che ti ha particolarmente colpito?
Si, direi quando qualche anno fa ho potuto vedere un fenomeno davvero raro, il passaggio di Venere sul disco
solare . E' accaduto nel giugno del 2004 e per me rappresenta qualcosa da non scordare mai.
Come reagisce la gente durante le tue lezioni al planetario?
La gente è sempre curiosa ed interessata, chiede la spiegazione di termini e fenomeni celesti che io cerco di far
capire loro sempre nei limiti delle mie conoscenze e competenze. Comunque sia, chi assiste ad una lezione al
planetario, ritorna a casa sempre soddisfatto per ciò che ha potuto vedere e conoscere.
Secondo te la nostra Associazione è riuscita ad attirare l'attenzione sulle tematiche legate al cielo
stellato?
Io credo di si. Mi rendo conto che in giro ci sono più appassionati per questa disciplina. Personalmente, nella
mia professione lavorativa, ai ragazzi di terza media nel cui programma di scienze si affrontano queste
tematiche, cerco di far apprezzare l'argomento con la visita finale al Centro di S. Tomaso. Alcuni ne
rimangono contagiati e questa è una bella soddisfazione.
In cosa può migliorare “Cieli Dolomitici”?
E' chiaro che ci possono essere dei margini di miglioramento. Bisogna però riconoscere che quanto si fa è un
buon lavoro. Occorrerebbe disporre di ulteriori appassionati che potessero arricchire
la rivista
dell'Associazione con nuovi impulsi per una divulgazione più ampia della materia. Facile a dire...
PLANETARIO DI S. TOMASO
Le serate si tengono ogni venerdì con inizio alle 20.30.
Per partecipare occorre prenotarsi telefonando al
Comune di S. Tomaso in mattinata allo 0437/598004
oppure passare direttamente in Municipio. Il costo è
fissato in 5 euro per gli adulti e 3 euro per i minorenni.
Non pagano i bambini sotto i cinque anni e i portatori
di handicap. Al raggiungimento del tetto massimo di
prenotazioni per una serata, si sarà dirottati alla
successiva o alla prima dove ci sia posto (se d'
accordo).
Per le scolaresche sono due le giornate di apertura
settimanale, il mercoledì e il giovedì con lezioni alle
9.00 e alle 10.30. La prenotazione va effettuata sempre ai numeri del Municipio e il pagamento (anticipato) è
possibile tramite bollettino di c/c Il costo va dai 2,50 euro a persona per le scuole dell' obbligo ai 3,00 euro per
le superiori. Il numero massimo di studenti per lezione non può superare i 25 per le scuole dell' obbligo e i 20
per le superiori (nel numero rientrano gli accompagnatori).
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