Filosofie della solidarietà - Consolato Venezuela in Napoli

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Filosofie della solidarietà - Consolato Venezuela in Napoli
01/2015
Filosofie
della
solidarietà
CONDIVIDERE, INSEGNARE,
DECOLONIZZARE
POLITICHE SOLIDALI E
BUEN VIVIR
SOMMARIO
Consolato Generale della Repubblica
Bolivariana del Venezuela a Napoli
Console generale:
Amarilis Gutiérrez Graffe
Coordinatrice generale:
Marnoglia Hernández Groeneveledt
Testi:
Geraldina Colotti, Giuseppe Ferraro, Amarilis
Gutiérrez Graffe, Marnoglia Hernández
Groeneveledt, Porfirio Hernández, Duilio
Medero, Luisa Messina Fajardo, Giovanna
Russo
Testimonianze:
Michele Fucci, Carmelina Patuto
Testi selezionati:
Alberto Acosta, Andrés Bansart, Fernando
Buen Abad, José Luis Coraggio, Antoine
Fratini, Armando Gnisci, Eduardo Gudynas,
Serge Latouche, Alessandra Riccio
FILOSOFIE DELLA SOLIDARIETÀ
3 Editoriale
Rivoluzione Culturale della Nostra America
di Fernando Buen Abad Domínguez
6 Condividere, insegnare, decolonizzare
8 Manifesto transculturale
di Armando Gnisci
10 Fare scuola e inventare il mondo vero. L’esperienza educativa di Simón
Rodríguez nel racconto di Walter Kohan
di Giuseppe Ferraro
Selezione testi:
Amarilis Gutiérrez Graffe, Marnoglia
Hernández Groeneveledt, Emilia Saggiomo
14 Il linguaggio della solidarietà
Traduzioni:
Simona Palumbo, Emilia Saggiomo, Fabrizio
Verde
16 Cuba-Venezuela. Maestri e medici in cambio di petrolio
Selezione foto:
Marnoglia Hernández Groeneveledt, Emilia
Saggiomo; foto p.42/44 di Carlos Luis Finol
Fonti:
mre.gov.ve, decrescita.it, ilvelino.it,
internazionale.it, fundamusical.org.ve,
curriform.me.gov.ar, institutopedrogual.
edu.ve, banksy.co.uk, patrialetteratura.com,
nostramerica.wordpress.com, mdftorino.
it, gudynas.com: Acosta, A. / Gudynas, E.,
El Buen vivir o la disolución de la idea del
progreso, in La medición del progreso
y del bienestar, a cura di Rojas M., Foro
Consultivo científico y tecnológico,
México DF, 2011, pp. 103-109; Nuova
Costituzione della Repubblica dell’Ecuador,
ASUD, marzo 2009; Nuova Costituzione
Politica dello Stato, Bolivia, ASUD, marzo
2009, desarrolloamazonico.gob.ec,
justiciaambientalcolombia.org
Personale del Consolato Generale della
Repubblica Bolivariana del Venezuela a
Napoli:
Maria Vittoria Tafuro, Edith Alfonzo, Emilia
Saggiomo, Anna Diomaiuto, Gianfranco
Sannino, Francesca Diomaiuto, Massimo Rea,
Indira Pineda, Giovanna Iovine
Contatti:
Via A. Depretis, 102 - Napoli
Tel.: +39 081 5518159
Per scrivere alla redazione:
[email protected]
Consulado General de la República
Bolivariana de Venezuela en Nápoles
ConsulVenNap
www.consulvenenap.com
Elaborazione Grafica:
Dario Buonanno e Pino Buonanno
Agenzia di Pubblicità:
Adek | adekcreative.it
Foto di copertina:
Dario Buonanno
di Marnoglia Hernández Groeneveledt
di Alessandra Riccio
18 Italia-Venezuela. Solidarietà e scambi culturali
di Luisa Messina Fajardo
20 La parola agli Emigranti
di AA.VV.
22 Dedalo e le radici mitiche del progresso
di Antoine Fratini
24 Il programma delle otto R
di Serge Latouche
26 Politiche solidali e buen vivir
28 L’economia sociale e solidale come strategia di sviluppo nel contesto
dell’integrazione territoriale latinoamericana
di José Luis Coraggio
30 Il buen vivir o la dissoluzione dell’idea di progresso
di Eduardo Gudynas e Alberto Acosta
34 Le relazioni internazionali nella visione del Comandante Supremo
Hugo Chávez. Elementi geopolitici, geostrategici e geoeconomici
di Amarilis Gutiérrez Graffe
36 I Caraibi. Una sola possibilità di integrazione: la diplomazia dei popoli
di Andrés Bansart
39 Belligeranza e solidarietà. Nuove identità
di Duilio Medero
42 Venezuela: l’impegno dei media comunitari e alternativi
di Geraldina Colotti
44 Il Venezuela solidale con il mondo nella lotta al cambiamento climatico
di Porfirio Hérnandez
45 I Sem Terra in Brasile: germogli di un mondo nuovo nei domini
dell’agro-business
di Giovanna Russo
Il Consolato Generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Napoli declina ogni responsabilità circa la correttezza o completezza
delle informazioni rese disponibili; inoltre, al di là di possibili affinità o divergenze di pensiero rispetto ai contenuti degli articoli, garantisce
ai suoi collaboratori la libertà di espressione della loro personale opinione. Inoltre, la sede diplomatica si riserva esplicitamente la facoltà
di sottoporre a revisione e, ove necessario, a correzione i testi tradotti, nonché di sospendere temporaneamente o definitivamente la
pubblicazione di un articolo.
EDITORIALE
La prassi della solidarietà del
pensiero decolonizzato
«Non esiste pratica rivoluzionaria senza teoria, e viceversa».
(Vladimir I. Lenin)
N
onostante le monumentali ed eroiche azioni dei Comandanti supremi Ernesto ‘Che’ Guevara e Fidel Castro
Ruz, grandi pensatori della rivoluzione cubana e del processo di transizione al socialismo, non sono stati ancora pienamente valorizzati in qualità di pensatori, per le loro idee relative al marxismo non dogmatico, applicato
alla specifica realtà latinoamericana. Insieme al gigante eterno Hugo Chávez Frías, ai popoli del mondo, sono
i massimi rappresentanti della solidarietà e dell’umanesimo, offrono le basi teoriche, epistemologiche, assiologiche, teleologiche al Pensiero Critico Decolonizzato del XXI Secolo, definito ‘Socialismo’, facendo proprio il sogno di Simón Bolívar.
In quest’ordine di idee, si suggerisce un riesame approfondito, del lavoro dell’Università “Alberto Hurtado” del Cile che ha
pubblicato un libro eccellente di Maximiliano Figuero e Dorando Michelini, inedito del 2007, la ‘Filosofia e la Solidarietà’,
dove la priorità è l’esperienza della filosofia in America Latina e nei Caraibi, in particolare in Venezuela, indicando la trasformazione come riconoscimento di ciò che viene giudicato degno di essere pensato nel presente.
Il testo citato si sviluppa partendo dalla concezione della filosofia e della solidarietà, con l’obiettivo di definire la loro rilevanza sociale e storica. Esempi di tale studio e di diversi dibattiti si riflettono nelle ricerche condotte dai francesi Jacques
Derrida, Emmanuel Lévinas, Paul Ricoeur, dai nordamericani John Rawls e Richard Rorty, dal tedesco Karl-Otto Apel, dal
belga Phillipe Van Parijs, fino all’argentino Enrique Dussel. Vi saranno di sicuro molti altri che esemplificano e sostengono
la Filosofia della Solidarietà.
Al fine di contribuire a diffondere il Pensiero Critico Decolonizzato del XXI Secolo, si raccomanda di approfondire anche
il denso processo investigativo di Thalia Fung Riverón, professoressa presso l’Università de L’Avana, alla guida di una nuova
disciplina scientifica, che rompe con il pensiero occidentale e rappresenta i popoli esclusi ed emarginati del mondo.
Per quanto concerne il Venezuela si consiglia di verificare tra i centocinquanta articoli pubblicati su aporrea.org dal
3
25/08/06, scritti dal noto ricercatore universitario e coordinatore delle cattedre di ‘Maestria y Doctorado’ dell’Università Militare Bolivariana del Venezuela; del corso post-laurea in Politica Estera dell’Istituto di Alti Studi Diplomatici
“Pedro Gual” del Venezuela, Ernesto Wong Maestre Ph.D,
Presidente della Asociación Civil Tricontinental de las Relaciones Internacionales y Solidaridad.
Allo stesso tempo, e in base a queste considerazioni di solidarietà, le più recenti pubblicazioni del Ministero del Potere
Popolare per la Difesa attraverso la sua rivista Ambito Civico Militar, ragionano sulla solidarietà e l’unità civico-militare del popolo venezuelano, l’invito è quello di leggere e
studiare questi interessanti lavori, soprattutto quello di uno
dei nostri articolisti e collaboratori della presente pubblicazione Amerindia, il dottor Duilio Medero, che ricopre il
ruolo di segretario della rivista civico-militare.
In riferimento alle pubblicazioni sul Pensiero Critico Decolonizzato del XXI Secolo, definito il quanto ‘Socialismo’,
il professor Franklin González, Sociologo con dottorato di
ricerca in Scienze Sociali dell’Università Centrale del Venezuela (UCV), con una vasta esperienza nel mondo accademico, già professore presso la facoltà di Scienze Economiche e Sociali dell’UCV, Coordinatore Accademico, Capo
del Dipartimento Politico e Direttore della Scuola di Studi
Internazionale dell’UCV, è autore di diverse pubblicazioni:
‘40 anni di Democrazia, Economia Sociale e Politica 19592000’; ‘Parlano i fatti e Parlano i fatti I e II’; ‘Dall’emancipazione all’integrazione, la storia di una Patria Grande’.
Attualmente è professore in corsi post laurea presso l’Università Militare Bolivariana, l’Università Centrale del Venezuela e l’Istituto di Alti Studi Diplomatici “Pedro Gual”.
Il pensiero filosofico latinoamericano, lungi dall’avere pretese di verità rivelata, invita a essere studiato e dibattuto ed
ha nella prassi la importante caratteristica di evidenziare la
Solidarietà attraverso l’azione e la letteratura scritta, ignorata per la sua diversità dall’educazione alienante, borghese,
depositaria, contraria ai movimenti educativi il cui principale rappresentante è il pedagogo brasiliano Paulo Freire.
Non si può negare la complessità nel rompere il paradigma
egemonico capitalista in termini epistemologici di quello
che conosciamo oggi come pensiero eurocentrico in tutti i
campi: politico, economico, culturale, ciascuno di essi dagli
altri influenzato, da cui sono scaturiti i problemi originari
del colonialismo.
L’emergere della Repubblica Bolivariana del Venezuela a
partire dal 1999, grazie al Comandante Supremo Hugo Rafael Chávez Frías con la sua volontà di rivoluzionare anche
l’approccio al pensiero economico capitalista, proprio degli
imperi e della concezione del mondo eurocentrica, ha avuto
come risultato in ambito continentale americano e regionale latinoamericano – caraibico l’istituzionalizzazione della
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Filosofia della Solidarietà.
In campo politico il Venezuela del XXI secolo si è dotato di
una delle Costituzioni più complete a tutti i livelli nel mondo, dove il potere costituente appartiene al popolo, risultato
della supremazia di questo popolo sovrano che grazie all’azione del Comandante Invitto Hugo Rafael Chávez Frías, è
stato incluso nel processo costituente, dando vita alla Costituzione del 1999, quella definita dallo stesso Chávez “il
Libro della Comunità”, il “Popul Vu” (riferito al libro sacro
ancestrale dei popoli mayas Quiché).
Esempio di istituzionalizzazione e attualizzazione è il modello di Pensiero Strategico del Comandante Supremo
Hugo Rafael Chávez Frías nelle relazioni internazionali i
cui elementi geopolitici, geostrategici, geo-economici, ma
soprattutto assiologici corrispondono con i significati del
suo discorso politico, ampiamente studiato e investigato
dall’autrice di questo editoriale.
L’operatività della Filosofia della Solidarietà è continuata
con il Presidente Costituzionale della Repubblica Bolivariana del Venezuela Nicolás Maduro Moros, e si riflette negli
sforzi compiuti dal Venezuela per sradicare la fame e la povertà nella regione; testimonianza viva di autentici esempi
di solidarietà.
Dimostrazioni di solidarietà in Italia si sviluppano durante
tutto l’anno 2015, prima con l’incontro di Napoli di aprile e
successivamente con Ravenna - 9,10,11 ottobre 2015- dove
si terrà il Terzo Incontro Italiano di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana. In questo senso, la solidarietà dei movimenti sociali a sostegno del Venezuela è molto apprezzata
dal popolo e dal governo bolivariano di fronte all’escalation
di aggressioni imperialiste, culminate nell’Ordine Esecutivo
firmato dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che
dichiara il Venezuela una minaccia ‘straordinaria e inusuale’ per la sicurezza nazionale statunitense.
Il decreto riflette la volontà dell’imperialismo statunitense ma non del suo popolo - di continuare l’aggressione contro
il socialismo in America Latina e nei Caraibi. Il presidente
costituzionale della Repubblica Bolivariana del Venezuela,
Nicolás Maduro Moros, il suo esecutivo, e il popolo, rispondono di fronte al decreto di Obama e al governo degli Stati
Uniti, reclamando la la pace fra i popoli.
La Filosofia della Solidarietà rappresenta l’impegno costante del Venezuela per la pace, la solidarietà tra i popoli e la
ferma convinzione che il Comandante Eterno Hugo Chávez
non ha arato nel mare e ha piantato nel popolo venezuelano, popolo di libertadores, il seme della liberazione, della
dignità e della lotta per l’Indipendenza e la Sovranità.
Il presidente Hugo Chávez ha lasciato nel Plan de la Patria
2013 - 2019 i cinque obiettivi storici da perseguire: difende-
re, espandere e consolidare il bene più prezioso che abbiamo riconquistato dopo 200 anni: l’Indipendenza nazionale; approfondire il processo di costruzione del Socialismo
Bolivariano del XXI secolo in Venezuela, come alternativa
al capitalismo selvaggio e con esso assicurare la ‘maggiore
quantità di sicurezza sociale, la più grande stabilità politica
e la maggior quantità di felicità’ per il nostro popolo; rendere il Venezuela una potenza nell’ambito sociale, economico e politico all’interno della grande potenza nascente
dell’America Latina e dei Caraibi, per garantire la formazione di una zona di pace nella Nuestra América; contribuire
allo sviluppo di una nuova geopolitica internazionale nella
quale prenda corpo un mondo multicentrico e pluri-polare
dove siano garantiti equilibrio e pace planetaria; contribuire alla conservazione della vita sul pianeta e alla salvezza
della specie umana.
L’amore e la solidarietà per la Rivoluzione Bolivariana dimostrato dai gruppi di solidarietà presenti in Italia, alberga
in tutti gli attivisti per la pace, nei diversi popoli del mondo
vittime della barbarie e del genocidio dell’impero. I movimenti sociali hanno dichiarato nel loro Incontro di solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana a Napoli che il Venezuela non è una minaccia ma una speranza, per il mondo
intero. Mentre il Presidente obrero Nicolás Maduro nel suo
discorso tenuto in occasione della Marcia Antimperialista
in appoggio alla Rivoluzione Bolivariana, tenutasi a Caracas il 28 di febbraio 2015, ha ricordato quanto affermava il
Comandante Invitto Chávez su Obama, ossia che vi sono
due Obama: l’Obama di Chicago, uomo delle lotte sociali,
che sogna un mondo diverso, e l’Obama della Casa Bianca,
presidente di un impero.
Maduro ha affermato che l’Obama della Casa Bianca si è
lasciato mettere in un vicolo cieco rispetto al Venezuela.
Chiedendo poi al presidente Obama, in nome di Dio, di
rettificare in tempo, perché il cammino che ha intrapreso
lo segnerà per gli anni a venire, lo marcherà come accaduto
a George W. Bush con il Venezuela, così come è stato per
Richard Nixon con il Cile, e per tutti quelli che hanno attaccato i degni popoli dell’America Latina.
Il Venezuela è una terra di pace e può contare su un popolo
e un governo di pace, gli incontri di solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana realizzati dai movimenti sociali renderanno visibile al mondo la realtà che si vive in America
Latina. A differenza di ciò che viene rappresentato dalla dittatura mediatica, dove i mezzi di comunicazione agiscono
al servizio del capitale, proprio come fossero partiti politici,
giudici, parti in causa, come legislatori che convalidano o
invalidano leggi e costituzioni. Il circuito informativo attualmente dominante fa circolare pubblicazioni che incitano alla guerra civile, al colpo di stato, alla discriminazione
etnica e razziale; azioni debitamente denunciate dall’illustre
giornalista Luís Britto García.
Britto García ha spiegato che i proprietari di canali televisivi
ed emittenti radiofoniche, agiscono come un quarto potere, nominando e destituendo dirigenti di partito, creando e
distruggendo partiti, redigendo strategie e programmi. Ci
troviamo di fronte a giornalisti che si autoproclamano leaders, padroni che si auto-designano presidenti e crimini che
sono presentati alla stregua di eroiche gesta.
In nome della Filosofia della Solidarietà e in risposta alla
solidarietà ricevuta dal popolo e dal governo bolivariano
proveniente da ogni angolo del mondo, dal Consolato Generale della Repubblica Bolivariana a Napoli, attraverso il
presente numero, ci proponiamo di dare spazio ai seguenti
obiettivi dei nostri popoli: Fine del blocco contro Cuba; Deroga del decreto contro il Venezuela; Indipendenza di Porto
Rico; Ritiro delle basi militari degli Stati Uniti e della Nato;
Rispetto da parte di queste potenze della Dichiarazione che
definisce “Zona di Pace” l’America Latina e i Caraibi; Annullamento del debito non rimborsabile; Denuncia degli
accordi di “libero scambio” e degli infami trattati sulla doppia imposizione; Esame delle violazioni contro l’ambiente
e i diritti umani negli Stati Uniti e in Canada; Ristrutturazione o dissoluzione dell’Organizzazione degli Stati Americani e sostituzione con organizzazioni che rappresentino
realmente la Nuestra América, rispetto dei modelli d’integrazione e cooperazione dell’America Latina, tra i quali
risaltano l’Alleanza Bolivariana per i popoli della Nuestra
América (ALBA), il Mercato Comune del Sud (Mercosur), la Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici
(CELAC), l’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur),
oltre a Petrocaribe, il mercato comune per promuovere la
produzione sostenibile nella regione, il riconoscimento del
Sistema Nazionale dei Mezzi di Comunicazione Pubblici e
Alternativi; Smilitarizzazione dei territori d’Europa, Ucraina, Asia, Gaza, Iraq, Siria, Afghanistan, Pakistan, Repubblica Centroafricana, Sud Sudan, Mali, Somalia, Repubblica
Democratica del Congo, Nigeria, tra gli altri.
Il Socialismo del XXI secolo lotta per liberarsi dalle catene
delle vestigia che ancora sono alla base dell’invasione dell’America da parte di tutti gli imperi che storicamente hanno
distrutto la pace nel mondo.
Infine, ringrazio tutti i membri del corpo consolare, i collaboratori formali e informali, i critici del processo e tutti
coloro che ogni giorno credono nel Venezuela. Con l’auspicio che il presente numero torni utile per invitare alla partecipazione, al dibattito sul pensiero libero, alla prassi della
solidarietà, al pensiero decolonizzato e alla disarticolazione
dei paradigmi dello status quo oggi dominante nel mondo.
Amarilis Gutiérrez Graffe Ph. D.
Console Generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela a
Napoli
(Traduzione Fabrizio Verde- Ciro Brescia)
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CONDIVIDERE,
INSEGNARE,
DECOLONIZZARE
Manifesto transculturale
di Armando Gnisci*
L
a Transculturazione deve sperimentare e promuovere pratiche critiche di azione transculturale tra i
saperi contemporanei allo scopo di produrre una
nuova cosmovisione comunitaria attraverso forme
di azione creativa e di salute generale: tra le persone umane, tra generi e tra generazioni, tra le culture; tra le persone
umane e le non-umane, tra i viventi e il pianeta abitato da
noituttinsieme e il cosmo, di entrambi i quali siamo partecipi. Noi crediamo, ma non da soli, che il Multiculturalismo
e l’Interculturalità siano due parole-concetti che debbono
essere revisionati profondamente nell’Europa occidentale e
nell’Unione Europea, dove abitiamo: la prima attraversa una
evidente crisi politica, la seconda è una barchetta in balìa
mediterranea di una crisi di senso. […] Dal nostro punto di
vista transculturale, l’esito della mancata decolonizzazione
degli europei da se stessi, dall’essere stati e tuttora esserlo:
coloni e padroni. Una richiesta che fu fatta negli anni 50
del XX secolo agli europei da due grandi intellettuali: uno
francese e l’altro francofono, della Martinica antillana: Jean
Paul Sartre e Frantz Fanon.
Le parole-concetti, multiculturalismo e interculturalità,
sono state logorate dalla mancata, ma sempre più urgente,
decolonizzazione delle nostre menti ancora coloniali […].
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Gli europei oggi hanno scoperto di essere razzisti in casa
propria. […] I migranti, infatti, arrivano non per conquistarci e colonizzarci, ma per vivere con noi una vita più
giusta e salutare in una nuova comunità transculturale da
costruire insieme, in Europa. Invece, continuiamo a rimuovere questa “banale” visione coevolutiva. Perché può diventare minacciosa. Se continuassimo a pensarla per bene e
fino in fondo, infatti, dovremmo arrivare alla presa d’atto
che proprio e solo i migranti hanno la capacità di desiderare
questa “utopia giusta e concreta”. Anzi, che sono loro oggi
portatori di sana umanità e di futuro. Questa scoperta, invece che al panico identitario e alla rabbia razzista, dovrebbe portare gli europei a costruire una visione più larga della
convivenza tra le genti. Come hanno fatto alcuni piccoli comuni del Sud dell’Italia, quel Meridione senza meridiano,
quella terra senza ora, perché mai è stata la sua ora. […]. Le
macchine governative europee non sono capaci di assicurare ai migranti nemmeno un trattamento da civiltà “borghese e illuminata”: nemmeno una “porca politica” [come dice
la figlia di Barney a Barney] adeguata a prevedere e a rimediare difficoltà e conflitti, leggi di polizia e razzismo, carità e
solidarietà. Il che significa che non siamo capaci di pensare
alcun futuro e tantomeno di preparare una società transculturale, insieme con chi la desidera, anche senza saperlo.
La Transculturazione è nata e prospera – come concetto
antropologico culturale e come parola comune anche se
di origine colta: transculturación e transculturação – nella
parte centrale, in quella antillana e in quella meridionale del
Mundus Novus delle Americhe. Come nazioni non povere
ma impoverite e devastate, e non domate, dal colonialismo
europeo e poi da quello nordamericano. La Transculturazione aiuta a riconoscere come evidente la storia propria di
ogni cultura a ibridarsi con altre culture e a generare nuove
forme “creole” e imprevedibili. Così come ci hanno insegnato Fernando Ortiz, Oswaldo de Andrade, Aimé Césaire,
Frantz Fanon, Édouard Glissant, Walter Mignolo, Roberto
Fernández Retamar, Eduardo Galeano, Sub-comandante
Marcos, Leonardo Boff e tanti altri. Il pensiero e la prassi transculturali indicano che ciò avviene nella mutualità
dello scambio e nella trasformazione imprevedibile, aldilà
della violenza e del comando. In sintesi, riprendiamo una
bella figura linguistica proposta da Glissant per indicare il
nostro approdo transculturale, “pensare con il mondo”. Seguendo il movimento latino-americano, vogliamo proporci
come coloro che rispondono ad esso dalla parte europea, in
contrappunto e in relazione. Noi abbiamo individuato ed
articolato l’idea e il progetto della Transculturazione in tre
moti, non tanto successivi quanto, invece, contemporanei
e coevolutivi: Decolonizzazione, Creolizzazione e Mondializzazione, tutte mutue. Perché possiamo salvarci solo l’un
l’altro, come scrisse il filosofo epicureo Filodemo di Gadara.
Solo così la nuova poetica dell’Interessere e della Relazione
può sostituire pacificamente, anche se implacabilmente, le
marche metafisiche dell’“antico regime europeo”: l’Essere,
l’Identità e l’Universalità. Noi pensiamo che queste categorie filosofiche, diventate poi ideologiche e ormai ridotte a parole fossili, abusate e indegne a dirsi ancora, perché
menzognere, siano ancora le potentissime marche delle superstizioni della cosmovisione eurocentrica che tuttora governa retoricamente le guide politiche e grande parte della
“gente” europea, anche se la sua estinzione è già in cammino, molto lento. La cosmovisione transculturale e la sua
missione pratica e formativa, che è l’azione che sta dentro
alla parola transcultura-azione e dentro alla nuova intenzione del fare insieme, servono a noi europei per decolonizzarci, per creolizzarci e per mondializzarci. Il primo passo
da fare è proprio la liquefazione e il licenziamento del nucleo di ferro del pensiero eurocentrico della modernità: la
pretesa che possiamo fare tutto e sempre da soli, in quanto
portatori della luce della civiltà superiore. Quel “The White
Man’s Burden” dell’Ode di Kipling, del 1898, al quale opponiamo il motto cannibale di Oswaldo de Andrade, dal suo
“Manifesto Antropofago” del 1928: “Prima che i portoghesi
scoprissero i brasiliani, i brasiliani avevano scoperto la felicità.” Dobbiamo imparare ad educarci e salvarci insieme
con i migranti e con tutte le culture del mondo, che proprio
noi abbiamo avviato all’estinzione con la loro “scoperta”
e sopraffazione. Tutto ciò non significa affatto la rinuncia
all’identità europea, o per dire meglio: la fuga dalla nostra
responsabilità storica. Ma significa il nostro voler decidere
di ri-educarci, per arrivare a vedere e a riconoscere che ci è
offerta, nel XXI secolo, una straordinaria chance per creare
un Mundus Novus anche in Europa. […].
La Transculturazione è una via per riconoscere e comprendere per bene […] i fenomeni migratori e sociali del nostro
tempo, e per proporre e costruire nuovi statuti del benessere individuale e comunitario, condivisi e diffusi. Con le
pratiche della “convivenza nella sana umanità” e della “coevoluzione creativa”, intendiamo fare ricerca e sperimentare una revisione della disposizione e della consistenza dei
saperi, dei percorsi formativi della scuola e delle pratiche
comunitarie, della creatività condivisa. […]
*Critico letterario ed ex docente di Letteratura Comparata (Università “La Sapienza” di Roma)
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CONDIVIDERE, INSEGNARE, DECOLONIZZARE
Fare scuola
e inventare il mondo vero
L’esperienza educativa di SimÓn Rodríguez
nel racconto di Walter Kohan
di Giuseppe Ferraro
I
l figlio è il primo uomo. Albert Camus lascia intendere questo rapporto nel titolo del suo ultimo romanzo.
Non riuscì a completarlo. L’incidente che gli tolse la
vita ha forse voluto cancellare le pagine sulle quali si
sarebbe letto il segreto nascosto sulla linea di confine posta
tra il mondo e la vita. Una strana sorte, quel libro resta un’opera incompiuta. La sua interruzione sarà forse stata non
una cancellazione ma il suggerimento che viene da quel
segreto, il suo silenzio, quel che non si può mettere in discorso né si può formalizzare per indicare. In quel romanzo
incompiuto Camus raccontava del suo ritorno. Ritrovava la
tomba del padre morto ancora in giovane età. Lesse le date
sulla lapide e si ritrovò qualche anno più vecchio di chi è
era stato padre. Come un sopravvissuto. Anche Nietzsche
visse un’esperienza simile, quando giunse alla quarta parte della sua Scienza Felice (die fröhlische Wissenschaft),
che chiamò “Sanctus Januarius”. Da quell’anno la sua età
cominciava a essere maggiore di quella vissuta dal padre.
Aveva varcato un limite del tempo proibito, stabilito, quasi
assegnato per rispetto della legge del padre. Da quel giorno Nietzsche racconta di aver sentito di vivere ogni giorno
nuovo come un di più. In quella parte della Scienza felice
Nietzsche ci ha educato a pensare che ogni giorno è donato,
non assegnato, è gratuito, in più, come la vita che viene e
che nel figlio è sempre al primo uomo.
INFANZIA E STORIA
C
’è un rapporto tra infanzia e mondo marcato da
Camus come da Nietzsche, passa dal racconto
alla filosofia, e ritorna. Bisogna forse pensare che
il rapporto tra infanzia e storia messo in risalto
da Agamben, sia quello che corre tra il figlio e l’uomo, tra
la vita e il mondo. Alla fine c’è da convincersi che un uomo
raggiunge la sua maturità quando libera la sua infanzia, vi
ritorna. Allora è anche più libero di essere e dire quel che
gli fu interdetto crescendo. Anche la filosofia raggiunge la
sua verità quando diventa racconto e pratica di vita. Mi ritrovo a pensare un tale rapporto mentre prendo a scrivere
di un argomento che parrebbe così distante nello spazio,
nel tempo, nei nomi, quando si tratta non del Mediterraneo dell’Europa, di Camus e di Nietzsche, ma dell’America Latina e di un tempo, questo non così lontano quanto
10
sono lontani i nomi di Nietzsche e di Camus, che qui vorrei
avvicinare a Simón Rodríguez e Walter Kohan, ma dovrei
invero aggiungere altri nomi e altre costellazioni di tempo,
altri avvicendamenti di una “prima” che sempre ritorna
in ogni figlio e in ogni nuovo inizio. L’infanzia è donata. I
bambini sono i più vicini all’inizio della vita. Il primo uomo
e il mondo com’è all’inizio quando la voce prende parola e
ne inventa il suono che la prende e le dà sentimento. Forse
tra il suono della voce e il sentire avviene quel passaggio al
sentimento, che è come un’eco a ritroso, un riverbero, un
sentire concavo, che si esprime nel grandangolo interiore,
quando ci si espone, parlando, scrivendo. L’educazione dà
forma al sentimento, scandisce il ritmo dell’apprendere se
stessi, un tempo singolare, che non passa se non ritornando. Il vero ritorna senza lasciarsi chiudere in un sapere che
lo imprigiona. Così ritorna il vero amore, la vera amicizia,
la libertà. La vita. Il primo uomo ritorna ogni volta. Basta
scoprire che siamo tutti, ognuno figli, per non allontanarsi
dall’inizio della vita e pensarla come un’origine inafferrabile. L’inizio è più dell’origine, a meno di non volerle confondere e inventare l’una, l’origine, nell’altro, l’inizio, come
si può della certezza di una storia e la verità del tempo che
ritorna. Gli adulti cercano l’origine perduta, i bambini sono
più vicini all’inizio, sulla soglia del mondo. Lo inventano.
L’infanzia non è un’età. L’educazione ha a che fare con un
tale inizio. Ha a che fare con il desiderio, perché il desiderio
si libera, non si soddisfa come una necessità. Il desiderio
rende necessaria la libertà.
APPRENDERE DALLO SCHIAVO
E DAL BAMBINO
L
a filosofia conosce questo ritorno di ciò che permane; sa dell’infanzia come linea di confine del
mondo e della vita; esprime questo confine come
un fine comune. Socrate nel Fedone diceva che
la filosofia è come la musica più grande e che la musica è
come la filosofia più grande. E nel Menone, quando provò
a dare dimostrazione di scuola chiese di uno schiavo nativo. La disposizione educativa altera l’esercizio socratico in
una configurazione di ruoli di potere, quando diventa “insegnamento”. Chi deve apprendere è lo schiavo, l’oppresso,
il bambino, lungo un percorso che porta al riconoscimento
dello stato dominante del sapere così com’è. Si può però invertire e intendere l’educazione come insegnare imparando
dallo schiavo, dall’oppresso, dal bambino lungo un percorso
che porta allo stato del sapere dominante così come non è.
Conoscere è apprendere ciò che non è dato di sapere attraverso il ritmo proprio del tempo interiore, quello che scandisce il sentimento dell’animo nella singolarità del vivere.
In fondo l’esercizio maieutico di Socrate seguiva questo percorso. Ogni volta che mi ritrovo a tenere in carcere gli incontri filosofia c’è sempre qualcuno che interviene per dire
“queste cose le sapevamo già, ma non sapevamo di saperle”.
Siamo già del tutto immersi nel sapere delle cose che ci circondano e che utilizziamo facendo mondo, non basta però
sapere bene le cose, se poi non si sa che cosa è bene fare.
Sono le scelte che segnano i nostri legami e misurano il grado della nostra libertà.
L’educazione è liberazione. L’America Latina ha dato il contributo più evidente e forte a questo passaggio da Freire andando a ritroso a Rodríguez, e avanzando con Kohan. La
scuola è politica quando la politica si fa scuola di liberazione.
L’America Latina è come un’officina continua. Non è l’infanzia dell’Europa dello storicismo hegeliano, bisogna intenderlo diversamente, il primato dell’infanzia, perché non sia
il principio di una storia già vissuta e che ha smarrito il suo
inizio. Il primato dell’infanzia è l’invenzione del mondo,
quella che Eraclito racchiuse in quel suo frammento, eleggendo il bambino a signore dell’“aion”, del tempo tutt’insieme del mondo intero. È il mondo nuovo che si riscopre in
memorie antiche e non vissute, di tradizioni che portano
stupore, distese in terre e volti più vicini alla vita.
IL RICORDO E IL DESIDERIO
L
’Europa è chiamata a ripensarsi quando pensa alla
moltitudine dell’“Amerindia”. Attraversandola s’incontra mille colori di sentimenti sconosciuti. È un
mescolarsi di nostalgie e desideri, di paure lasciate
cadere come pioggia e sole. C’è la nostalgia di un ‘Europa
che non è mai stata come è desiderata, c’è da confondersi nelle discendenze indie e genealogie di storie perdute.
Quando penso alla mia amica carioca dal nome di famiglia
tedesco, che non conserva traccia di quella lingua, se non
nei suoi lineamenti e in quel tratto sconosciuto della voce,
mi viene da riflettere su questo intrigo di doppia nostalgia
del non stato e del perduto, dell’avvenuto e trovato. Siamo
come piante che fioriscono a ogni terra e ne prendono l’odore e il colore. L’America Latina produce in un europeo
quel ritorno all’infanzia, all’inizio, non di una storia, ma
della vita, quel senso dell’impossibile vissuto, dell’invenzione. Ogni desiderio è il ricordo di quel che è accaduto così
come non è avvenuto. Ogni desiderio è il ricordo del mondo così come non è.Walter Kohan ha pubblicato un libro,
tradotto di recente in italiano dal titolo programmatico: “Il
maestro inventore”, il riferimento è a Simón Rodríguez che
resta inseparabile dal nome di Simón Bolívar. Scuola e Re-
pubblica vanno insieme. Walter Kohan racconta Rodríguez
in una prospettiva del tutto nuova. Il suo è il racconto di
un pensiero che si sviluppa contro l’imitazione, è l’“hacer
escuela”, il fare scuola come invenzione ed erranza. Non è
un “racconto storico”, al punto che nella sua postfazione
Maximiliano Durán, studioso di Rodríguez, ammette di
non aver mai conosciuto quel rapporto con l’infanzia che
Walter Kohan indica come centrale nella svolta della scuola
di Rodríguez segnata dall’incontro con il piccolo Thomas.
È, come direbbe Foucault, una fissazione storica.
Walter Kohan racconta se stesso nel libro che narra di Rodríguez. Parla del rapporto tra scuola e infanzia, di filosofia
e infanzia, non come di un’età, ma come dimensione stessa
dell’insegnamento. I richiami a Paulo Freire nel libro non
mancano, ma più che l’aspetto “sociale” è quello “ideale”,
“inventivo” che viene in risalto. Walter è titolare della cattedra di filosofia dell’educazione alla Universidade do Estado
do Rio de Janeiro (UERJ). È conosciuto in tutto il continente latino americano, e nel mondo. La sua non è la rimescolanza della Philosphy for Children, è diverso, la sua non è
l’adattamento della filosofia ai bambini, perché si tratta di
un’applicazione dell’infanzia alla filosofia che ne precisa il
carattere di “ritorno”. Sempre la filosofia parla del ritorno,
perché sempre si applica al presente per non perderlo, ma
per trasformalo, inventarlo, quasi un immaginare quel che
c’è, un ritornare dove si è come mai si è stati.
INFANZIA E FILOSOFIA
W
alter Kohan ha fondato il Núcleo de Estudos
de Filosofias e Infâncias (NEFI) uno spazio
d’insegnamento e di ricerca che rappresenta
un’estensione dell’università alle scuole e al
territorio. Al fondo della sua pratica è “imparare a domandare”. Kohan parte dalla disposizione del dialogo socratico
come esame di se stessi. Il richiamo a Rodríguez è come
ritrovato: Rodríguez è chiamato il “Socrate di Caracas”. In
11
CONDIVIDERE, INSEGNARE, DECOLONIZZARE
ragione certo dell’erranza, del suo continuo viaggiare e dislocarsi, che ne rappresenta anche la sua maniera d’intendere la scuola. Se l’insegnamento deve essere critico non c’è
espressione più sapiente della critica che viene dal viaggiare.
La critica che si ferma al giudizio si spegne nelle sue affermazioni. La critica che sollecita altri orizzonti di esperienza
attiva l’immaginazione, che anche in termini kantiani è poi
quella che permette di collegare qualcosa ad altro, attivando
il rimando, questa volta, però, non inferenziale, ma errante.
Agamben distingueva nella sua “infanzia e storia” tra l’avere
esperienza e il fare esperienza. Una distinzione che ritorna
e che potremmo estendere dicendo del vivere esperienziando, andando intorno, errando.
«Socrate reinventa la filosofia, attraverso la pratica di interrogare gli altri affinché essi mostrino precisamente il valore
della vita che vivono. Vale a dire che Socrate toglie la filosofia dalla scrittura di testi, dove è nata, per situarla nell’ambito della parola parlata con altri» leggo alla pagina 128 del
suo libro. Rodríguez scrisse molto, non fu come Socrate che
lasciò che altri scrivessero di lui, ciò che dobbiamo intendere nel modo che la filosofia è la scrittura della voce, come
può essere uno spartito per la musica, com’è il Parmenide
di Platone, il dialogo più difficile da comprendere, perché è
come il canone sul quale ogni dialogo si scrive. La scrittura
è la traccia della voce. Invita a leggere ogni testo di filosofia
secondo la filologia della voce di chi legge. La scrittura è un
invito della voce a modularsi, invitare e inventare sono così
vicini da far pensare che ogni invenzione è invitazione. «È
necessario vivere filosofando, cioè esaminando sé stessi e
gli altri» si legge nell’Apologia di Socrate (28e), che Walter
Kohan ripete nel suo testo.
Kohan pratica il “domandare” nel rimando costante del
domandarsi e chiedere, esaminando se stessi e riflettendo
quel che altri rispondono domandando a propria volta. La
pratica di Walter è di attesa, di attenzione e meraviglia, una
pratica di ascolto e del lasciarsi sorprendere da quel che l’altro, gli altri, fanno immaginare di quel che sa e si viene a
sapere di nuovo.
Kohan mira alla pratica socratica di “logos” ed “ergon”, e
in questa pratica trova due maestri, Rancièr, che ha inteso
la sua azione d’insegnamento come “maestro ignorante”, e
Rodríguez la cui pratica, Kohan indica come “maestro inventore”.
REPUBBLICA E SCUOLA
E
ducare a pensare. Questo alla fine resta il principio
che guida ogni altro. Pensare non è imitare. Pensare è inventare, immaginare, vivere. «La memoria
diventa qualcosa che ha a che fare con la rottura
con il passato e l’invenzione di un presente che il passato
non può anticipare» leggo a pagina 94. Appena dopo Walter
Kohan richiama il detto di Manoel de Barros che fa ricordare Rodríguez: «tutto quello che non invento è falso».
L’infanzia è viaggio, è erranza e invenzione. Rodríguez viaggiò molto nella sua vita e fu in viaggio che ritrovò anco-
12
ra Bolívar, il quale ebbe a scrivere al fratello di Rodríguez
«Credimi, caro amico, tuo fratello è il miglior uomo del
mondo, ma dal momento che è un filosofo cosmopolita,
non ha patria, né casa, né famiglia, non ha nulla» (Lettera
di S. Bolívar a Cayetano Carreño, Cuzco, 27 giugno 1825).
Furono due viaggiatori. Concepirono la vita stessa come un
viaggio, sentendo la presenza vitale dell’altro come necessaria, improrogabile, essenziale. «Si parla di Rodríguez come
del maestro di Bolívar più di quanto non si parli di Bolívar
come discepolo di Rodríguez, anche se i due legami hanno una forza simile. Nonostante questo legame profondo,
entrambe le loro vite possono essere viste separatamente,
in quanto hanno una densità esistenziale che non si riduce
alla presenza dell’altro e che, senza negare questa presenza,
la eccede e va oltre. Così come esiste un Bolívar al di là di
Rodríguez, così esiste un Rodríguez al di là di Bolívar, tanto
che, quando si insiste a puntualizzare che egli è stato il maestro del Libertador, si relativizza l’importanza di Rodríguez,
che lo è stato certamente, ma fra molte altre altre cose», leggo alle pagine 58/59.
Ho avuto modo di conoscere Walter Kohan, ed è stato
come conoscersi da sempre e vivere la stessa ricerca, lo
stesso esame e la stessa vita da un’altra parte, che coincide,
per entrambi, con quella interiore. In viaggio, inventando il
mondo come non è, nella pratica di “bambini in filosofia”,
distante da ogni adattamento formativo che fare dei bambini degli “ogm” del pensare, ma cercando piuttosto di chi
capire che ne è della filosofia e del sapere quando lo incontrano i bambini e si restituisce nell’infanzia di ogni uomo.
La filosofia educa a questo rimando di vita in vita, educa
alla somiglianza. C’è come una tradizione orale che corre
sotto la linea della storia dei nomi dei filosofi. Ed è una
tradizione corporea, perché la voce è ancora corpo. Quel
“di nuovo” che insegna la fenomenologia si può intendere
come di se ognuno sia il fenomeno della vita che si dà in
nuovi volti e voci. Bisogna saperlo, apprenderlo, inventarlo,
cioè incontrarlo.
PROGETTI DI SOMIGLIANZA
D
i voce ci si somiglia, i figli hanno la stessa voce
dei padri. Poi però vanno per altre strade, si trovano in altri paesi e apprendono altre lingue che
modulano diversamente quella voce. Non sarà
più la stessa. La lingua di un paese è come una pelle che
prende il suo colore, la sua grana di voce, diceva Barthes.
Non è difficile cogliere il rapporto tra la vocazione di un
luogo e le voci di quelli che lo abitano nella somiglianza
nei gesti, nell’andatura, nelle posizioni. Il padre riconoscerà
forse ancora la voce del figlio in un’altra lingua, la riconoscerà la madre, si somigliano gli amici. Il sapere si passa
per desiderio ed è sempre l’altro il proprio desiderio, quello
di essere altro, di diventarlo, senza perdere se stessi, senza perdere la vita, per sapore, per assimilazione, per somiglianza ancora. SimónRodríguez e SimónBolívar finirono
per avere lo stesso nome. Si somigliano. SimónRodríguez fu
Samuel Robinson, ed era Carreño nel cognome di famiglia
del padre, divenne poi Rodríguez scegliendo il cognome di
famiglia della madre. Le somiglianze si scelgono quando si
apprende. C’è un richiamo esplicito tra la somiglianza manifesta nel corpo e la metempsicosi per l’anima, insieme
sono i lati entro i quali si dà la reminiscenza che non è la
memoria della ripetizione, ma la memoria che s’inventa nel
desiderio di un mondo così come non è.
Alla fine ci si somiglia per desiderio della vita, per “conatus”
stando all’espressione di Spinoza. Ci si somiglia per desiderio stando all’imparare che viene dal gesto di un maestro
che insegna a desiderare quando espone il sapere che lo
entusiasma. Walter Kohan conosce questi passaggi, il suo
nome è già segno di una trasmigrazione per erranza da un
paese di origine a un nuovo inizio. La sua voce è argentina
nella lingua brasiliana. Rodríguez errò molto per l’Europa.
Credo che sia come una vocazione propria suggerita dal
continente che chiamiamo latino americano.
LA SCUOLA DEL PICCOLO THOMAS
R
odríguez innestò nel cuore del Venezuela la tradizione dell’Illuminismo europeo, la stagione
più attenta allo sviluppo dell’educazione, da Kant
a Rousseau a Voltaire, al punto che si potrebbe
anche ammettere che “illuminismo” sia “educazione” ovvero quella “uscita dallo stato di minorità”, come si dice, e
perciò un essere condotto-fuori-da, come vuole la parola
“e-ducare”. L’illuminismo rappresentò un’opera di cultura e
di civilizzazione. Fu il tempo in cui si costruivano insieme
la Scuola e la Città. Sarà stato per questo che il racconto
ricorrente in quel tempo fu il mito del selvaggio, il giovane
“inventato” della foresta, come ancora nel film di Truffaut,
L’enfant sauvage, l’estraneo alla civilizzazione, il mondo
della natura. La formazione e l’istruzione illuminista, la
scuola e la città, hanno quel punto d’inizio, raccontano di
quel principio. L’illuminismo propone l’educazione come
romanzo di formazione. Quello di Rodríguez è un racconto. Walter Kohan lo racconta. E ancora è un selvaggio, un
escluso, un bambino questa volta, Thomas è il suo nome. È
sfuggito a tanti che hanno studiato le pagine di Rodríguez
e il suo “hacer escuela”, fare scuola. Thomas era il bambino nero incontrato quel giorno. Rodríguez prese a giocare, come un bambino egli stesso tra i bambini. Il cappello
lanciato per gioco finì in alto sul balcone di chi non voleva
essere disturbato come padrone di quel luogo. Ogni tentativo di riprendere il cappello fu vano, era troppo alto e non
c’era una scala. Fu Thomas a suggerire di farsi scala salendo
uno sull’altro. Chi quel giorno insegnava giocando, Rodríguez, dovette apprendere dal bambino come fare del gioco
un sapere.
Walter Kohan rende quell’episodio come l’inizio di un
modo diverso di fare scuola e della relazione insegnante.
Questa volta il percorso è inverso alla tradizionale “disposizione formativa”.
LA SCUOLA BOLÍVARIANA
L
a Scuola non indica un edificio, certo si svolge in un
luogo. Scholé dal greco indica però un tempo sospeso da quello corrente, indica un tempo proprio
interiore. Scuola è la costruzione del proprio tempo interiore, del proprio apprendere e pensare, errare, inventare, prendere coscienza di sé, farsi anima, darsi animo,
sapere. I latini tradussero “scholé” con “otium”, dovremmo
pensare a tradurla come “gioco” ovvero di un tempo libero
dal tempo capace perciò d’inventare un tempo nuovo, come
non è mai stato prima, com’è ogni amore.
La scuola Bolívariana assume questo a suo principio, si tratta di una relazione, di un corpo a corpo, non di uno schema rigido. È stato Gregorio Valera Villegas dell’università
Central del Venezuela ha insisto tanto perché Walter Kohan
scrivesse di Rodríguez. L’impegno è sulla Scuola Bolívariana. Gregorio Valera Villegas ne è entusiasta.
In Venezuela la scuola Bolívariana ha dato impulso all’istruzione coniugando insieme istruzione e formazione, civiltà
e cultura, affrontando la difficoltà dell’evasione scolastica
cambiando le condizioni della scuola in un luogo di ospitalità, dove vincere la povertà, soddisfare il bisogno e avere
cura del desiderio. Quando i luoghi diventano istituzioni
certamente soffrono di una memoria ripetitiva che cancella
l’invenzione e l’erranza, il pensare e sapere. Allora si perde
il rapporto tra il ricordo e il desiderio. L’uno spegne l’altro
nella ripetizione e imitazione di uno standard, di una classificazione, di una numerazione. Poi arriva immancabile la
globalizzazione in forma di misura di valutazione OCSE
e PISA, che certificano un allineamento di base che taglia
fuori ogni eccezione stabilendo di fatto uno scarto inaccettabile tra la “scuola d’eccellenza” e la “scuola eccezionale”
come sono le tante scuole dove è difficile rispettare il curriculum formativo standard ma dove si possono inventare
relazioni di apprendimento e nuove forme di sapere. L’istituzione è un po’ come i significati, arrivano tardi sulle cose
che significano. Le perdono quando le hanno fissate. L’invenzione è l’eliminazione di ogni fissazione. C’è un rapporto
tra il ricordo e il desiderio. Il desiderare è come ricordare
quel che è non è avvenuto in quello che è accaduto e inventare così il presente perché imparare e vivere siano lo stesso.
Tutto questo è possibile quando le persone non diventano
il proprio ruolo, quando s’interrogano e vivono cercando,
errando, inventando quel che c’è perché non manchi di quel
che è la vita del suo fine.
La mia esperienza nei paesi dell’America Latina è fatta d’incontri e di “progetti di somiglianza”. È l’esperienza d’incontro e di progetto con Walter Omar Kohan, con Gregorio
Valera Villegas, con tanti che vivono errando nella scuola
dell’invenzione della libertà.
*Docente di Filosofia Morale, Etica dell’Ambiente, Etica Sociale
(Università “Federico II” di Napoli) e direttore della Scuola di
Filosofia Fuori le Mura
13
CONDIVIDERE, INSEGNARE, DECOLONIZZARE
Il linguaggio della Solidarietà
di Marnoglia Hernández Groeneveledt*
Il Linguaggio
Il Primo Dio del popolo guaraní emerse dall’oscurità, illuminato dai riflessi del suo stesso cuore, e creò le fiamme e la
nebbia sottile. Creò l’amore, e non aveva a chi darlo. Creò il
linguaggio, ma non c’era nessuno che potesse ascoltare. Allora incaricò le divinità di costruire il mondo e di occuparsi
del fuoco, della nebbia, della pioggia e del vento. E gli affidò
la musica e le parole dell’inno sacro, affinché dessero vita a
donne e uomini. Così l’amore si fece comunione, il linguaggio
prese vita e il Primo Dio si salvò dalla sua solitudine. Lui
accompagna gli uomini e le donne che camminano e cantano:
siamo già in cammino su questa terra, siamo già in cammino
su questa terra lucente.
Memorie del fuoco I, Le Origini, Eduardo Galeano
E
ra l’arte delle Muse per i Greci, utile ad ammansire
le fiere, secondo un detto popolare; per Beethoven
era più grande della filosofia e della saggezza, e secondo Nietzsche la vita senza di essa sarebbe un
errore; per il Maestro venezuelano José Antonio Abreu, è
uno strumento per seminare valori positivi. Ed effettivamente la musica è un elemento che suscita sentimenti spezzando le barriere linguistiche e unendo popoli interi.
strumento di organizzazione sociale e di sviluppo umano .
È il modello pedagogico, artistico e sociale che il Venezuela ha deciso di esportare nel mondo intero, essendo considerato come un modello riferimento. Il Progetto Abreu
è rappresentato dalla Fundación Musical Simón Bolívar,
ente ascritto al Ministero del Potere Popolare dell’Ufficio di
Presidenza e Osservazione dell’Azione di Governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela. Questo progetto è dedicato in particolare a bambini e adolescenti provenienti da
strati sociali di scarse risorse economiche per allontanarli
dalla vita di strada. Questi bambini frequentano i corsi sei
volte a settimana, fruiscono di lezioni di arte, di repertori di
musica classica e popolare. Attualmente, circa mezzo milione di bambini è distribuito in 285 orchestre per la prima
infanzia, 220 orchestre infantili, 180 orchestre giovanili, 30
orchestre professionali, 360 gruppi corali, 1355 gruppi corali associati e 20 laboratori di liuteria con 15.000 maestri.
Inoltre, il Sistema dispone di programmi sociali come l’Orchestra Penitenziaria e il programma di Assistenza Ospedaliera, tra gli altri.
Molti studi sostengono che la musica ha poteri curativi:
negli ospedali può contribuire alla guarigione dei pazienti;
inoltre è d’aiuto nei processi cognitivi: è stato dimostrato
che i bambini regolarmente applicati in attività musicali migliorano il loro rendimento scolastico. La musica è anche
strumento di solidarietà, come l’esperienza venezuelana ha
confermato.
Il Venezuela ha esportato il suo programma in più di 35
Paesi che oggi, incoraggiati dai risultati del Sistema, si sono
ispirati al suo programma di insegnamento musicale per
adattarlo alle loro specifiche realtà. Il successo del progetto Abreu risiede nell’utilizzo della filosofia dell’orchestra e
del coro come schema di società. I cori e le orchestre sono
piccole comunità dove si inculcano i valori etici, spirituali ed estetici, e gli atteggiamenti positivi. I bambini, futuri
musicisti, coltivano l’autostima e imparano a socializzare in
un contesto di comunità, imparando necessariamente a lavorare in gruppo per raggiungere gli obiettivi e l’eccellenza.
Si esercitano tolleranza e solidarietà, e una cultura di pace.
In Venezuela, infatti, il Sistema Nacional de Orchestre y
Coros Giovanilees e Infantiles viene fondato nel 1975 dal
Maestro Abreu con la finalità di utilizzare la musica come
Il Venezuela ha cambiato il paradigma dell’insegnamento
musicale: abitualmente i bambini dovevano studiare per diversi anni in un conservatorio per arrivare a poter scegliere
di entrare in un’orchestra. Il Sistema Abreu ha dimostrato
che i bambini a tre anni possono iniziare a fare pratica in
un’orchestra, e in modo gratuito. Quando i bambini entrano
a far parte dei nuclei della Fundación gli viene dato subito
uno strumento e in quello stesso momento iniziano i loro
corsi: invece con il metodo tradizionale i bambini vanno
per tre anni a lezione di solfeggio ed educazione musicale
prima di iniziare il loro primo strumento. Questo metodo
rivoluzionario, apprezzato nel mondo intero, ha permesso
ai bambini di realizzare un processo di apprendimento più
agile e anche condivisibile fin dalla tenera età con altri bambini nell’esperienza collettiva dell’orchestra. Inoltre, grazie
al metodo Abreu, si è smesso di etichettare la musica classica come elitaria, rendendo il piacere della musica da camera
un piacere di tutti, senza distinzioni sociali.
Dall’arrivo della Rivoluzione Bolivariana tutte le espressioni
culturali venezuelane hanno ricevuto grande sostegno dallo Stato venezuelano. Nel 2007 il presidente Hugo Chávez
Frías istituisce la Misión Música, per consolidare il Sistema
Nacional de Orchestre y Coros Infantiles y Giovanilees del
Venezuela con l’obiettivo di incrementare il numero di studenti nel sistema; è del 2014 la fusione, voluta dal presidente Nicolás Maduro Moros, della Misión Música con altre
missioni educative, per darle un maggior peso nell’ambito
della formazione pedagogica. Si auspica che nel 2019 il nu-
Traduzione di Emilia Saggiomo
*Console aggiunto
Responsabile Cultura e Stampa
Consolato Generale della Repubblica Bolivariana
del Venezuela a Napoli
IL SISTEMA COMPRENDE 25 GRUPPI:
ORCHESTRE:
- Orchestra Sinfonica Giovanile de Carabobo
- Orchestra Afrovenezuelana Simón Bolívar
- Orchestra Barocca Giovanile Simón Bolívar
- Orchestra Sinfonica Simón Bolívar del Venezuela
- Sinfonica Giovanile Teresa Carreño del Venezuela
- Sinfonica Giovanile di Caracas
- Orchestra Sinfonica della Gioventù Francisco de Miranda
- Orchestra Nazionale di Fiati del Venezuela
- Orchestra Latino Caraibica Simón Bolívar
- Orchestre Sinfoniche Penitenziarie
- Orchestra Giovanile e Infantile Alma Llanera dello Stato Guárico
- Orchestra di Rock Sinfonico Simón Bolívar
- Sinfonica Nazionale Infantile del Venezuela
BANDE MUSICALI:
- Banda Sinfonica Giovanile Simón Bolívar
- Simón Bolívar Big-Band Jazz
ENSAMBLE:
- Ensamble 7/4
- Ensamble di Ottoni Carabobo
- Ensamble di Ottoni del Venezuela
GRUPPI MUSICALI DA CAMERA
- Quartetto d’Archi Simón Bolívar
- Quartetto Libertadores
- Quartetto Teresa Carreño
- Quartetto Yaracuy
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mero di immatricolazioni del Sistema arrivi al milione. E
se parliamo di numeri, il Venezuela possiede più orchestre
infantili e giovanili di Austria e Germania messe insieme.
Ma un dato ancora più sorprendente è che solo nel mese di
febbraio 2015, nell’ambito del 40° Anniversario del Sistema,
sono stati realizzati dagli studenti 600.000 concerti all’interno di aeroporti, mercati, ospedali, registri civili, case di
cura, piazze, e nei mezzi pubblici, di tutto il territorio venezuelano.
Le orchestre della Fundación Musical Simón Bolívar sono
diventate delle ambasciate della cultura del Venezuela nel
mondo. L’esperienza venezuelana continua a ispirare centinaia di persone nell’utilizzo della musica come strumento
per forgiare valori. Il popolo venezuelano vuole condividere la sua cultura di pace e di solidarietà con i popoli amici
attraverso il potere immenso della musica, quello che riesce
a rompere qualsiasi tipo di barriera e che diede vita ai primi
uomini d’America.
CORI:
- Coro Manos Blancas
- Corale Nazionale Giovanile Simón Bolívar del Venezuela
- Cori Penitenziari
GUSTAVO DUDAMEL
La passione musicale del dinamico direttore d’orchestra Dudamel
continua a entusiasmare un pubblico eterogeneo, di ogni fascia
d’età, e in tutto il mondo. Attualmente è il direttore d’orchestra della Sinfonica Simón Bolívar del Venezuela (OSSBV) e della Filarmonica di Los Angeles (LA Phil), e l’impatto della sua leadership
musicale è riconosciuto nei diversi continenti. Sebbene il suo impegno come direttore d’orchestra negli Stati Uniti e in Venezuela
assorba la maggior parte della sua agenda annuale, Dudamel viene
spesso invitato a dirigere alcune delle più prestigiose orchestre del
mondo.
DIEGO MATHEUZ
Giovane direttore e violinista venezuelano, formatosi grazie
all’ormai noto Sistema Nazionale di Orchestre e Cori Giovanili
e Infantili del Venezuela, è considerato tra i talenti della direzione d’orchestra più promettenti d’America. Dal 2009 è il direttore
principale invitato dell’Orchestra Mozart e da settembre 2011 il
principale direttore del Teatro La Fenice di Venezia. Nel 2013 è
stato nominato direttore musicale associato dell’Orchestra Sinfonica Simón Bolívar del Venezuela e direttore principale invitato
della Sinfonica de Melbourne, Australia.
JESÚS ALBERTO PARRA
Senza abbandonare gli studi di viola, questo giovane talento (nato
nel 1994 a La Victoria, nello Stato di Aragua in Venezuela) si è
concentrato con rigore e costanza sui suoi studi di direzione, dovendo la sua intera formazione alla Scuola di Direzione d’Orchestra del Sistema Nazionale d’Orchestre e Cori Giovanili e Infantili
del Venezuela. Di recente ha partecipato al Festival di Giovani
Direttori, guadagnandosi elogi per la sua direzione della Sinfonia
nº 5 in mi minore di Tchaikovsky con la Sinfonica Giovanile15
di
Caracas (SJC), di cui pure è membro.
CONDIVIDERE, INSEGNARE, DECOLONIZZARE
Cuba-Venezuela
Maestri e medici
in cambio del petrolio
di Alessandra Riccio*
Q
uando ha cominciato a brillare la stella del nuovo presidente del Venezuela, Hugo Chávez, giovane, energico ex militare, autore di un fallito
colpo di stato contro l’insopportabile catena di
corruzione e di abusi del potere, e con il suo arrivo al governo di quel paese la costruzione di stretti legami con il Governo rivoluzionario di Cuba, si è levato un coro di sciocchi
commenti su un’improbabile “colonizzazione” del grande e
ricco Venezuela ad opera della piccola isola caraibica. Fra
gli esili argomenti sbandierati da quanti vedevano di mal
occhio il riavvicinamento dei due paesi che pure si affacciano sullo stesso mare, hanno tanta storia in comune e parlano con gli stessi accenti, ve n’è uno che mi è sempre parso
inconsistente. A seguito della caduta del Muro di Berlino
e di tutto il campo socialista, compresa l’Unione Sovietica,
Cuba si trovava nella drammatica circostanza che prese il
nome di “periodo especial” e che costrinse la popolazione
ad enormi sacrifici per la mancanza di prodotti industriali e
di materie prime. La più necessaria fra tutte era il petrolio.
Fu naturale, a mio parere, che il paese vicino, uno dei più
grandi produttori di petrolio al mondo, offrisse un prezzo
speciale ai suoi vicini e garantisse la fornitura. Cuba, da parte sua, aveva da offrire – e lo fece con gratitudine ed entusiasmo – personale sanitario e maestri, una merce che scarseggiava nel Venezuela di Carlos Andrés Pérez, di Rafael
Caldera e compagnia. Con l’aiuto fondamentale dei cubani,
partirono le “Misiones”, a cui venne affidato il compito di
trasformare il paese dal basso, garantendo salute e istruzione anche ai più diseredati. Questo scambio – equo e solidale
– suscitò scandalo perché (era questo il commento) il petrolio ha un valore molto superiore a quello di un maestro.
Un’affermazione davvero superficiale e che può essere concepita solo all’interno di una mentalità neoliberista in cui
l’unico, vero valore è il denaro.
Chávez non era di questo parere e meno ancora Fidel Castro, animatore della grande campagna di alfabetizzazione
su tutta l’isola. A quella campagna ormai mitica, aveva preso parte una giovane provinciale di appena 13 anni, Leonela Inés Relys che nel 1961 entrava a far parte della Brigata
Conrado Benítez, in ricordo del giovane alfabetizzatore
barbaramente ucciso dai contro rivoluzionari. Da allora,
Leonela ha dedicato la sua vita all’insegnamento e, in par-
16
ticolare, all’alfabetizzazione degli adulti. Il suo tirocinio sul
campo è stato sempre accompagnato da uno studio ininterrotto che le ha permesso di accumulare titoli accademici e
perfino esperienze di docenza universitaria, ma la sua vocazione è stata sempre quella di consentire ai più diseredati di
abbandonare il buio dell’analfabetismo per acquisire quegli
elementari e indispensabili saperi che consentono di informarsi e di poter accedere al diritto al voto e alla consapevolezza della propria cittadinanza. Per far questo, Leonela
ha speso le sue competenze nel Ministero dell’Educazione,
ha contribuito a formare alfabetizzatori come Preside della
Facultad Obrera y Campesina.
Fra il 1999 e il 2001, è stata incaricata di preparare e organizzare l’alfabetizzazione via radio per la vicina Haiti, paese disgraziatissimo e miserrimo, verso il quale Cuba e il
Venezuela hanno avuto una particolare attenzione sia nel
campo medico che in quello educativo. Ad Haiti si parla
il creolo e non lo spagnolo, questa complicazione ha reso
necessario uno studio particolare per alfabetizzare in questa lingua oltre ad obbligare a conoscere un paese rimasto
sempre ai margini. In questa impresa, Leonela conferma la
sua convinzione che analfabetismo e povertà vanno a braccetto e, per questa ingiustizia, ancora poco prima di morire,
continuava a commuoversi, decisa a fare di tutto per i più
diseredati.
L’esperienza di Haiti è stata il punto di svolta; durante questa impresa ha messo a punto una dispensa piccola e non
costosa dal titolo stimolante e ottimista di “Yo sí puedo”, io
posso. La sua intuizione del rapporto fra numeri e lettere,
derivante dalla costatazione che gli analfabeti, spinti dalla
necessità, sapevano contare, la portò ad intuire che, andando dal noto all’ignoto, dal numero alla lettera, avrebbe ottenuto i risultati a cui aspirava. Aveva notato che, anche i più
indigenti usavano il telefono cellulare e si districavano su
tastiere che associavano, p. es., il numero due con le lettere
A,B,C. Fidel Castro ha intuito ben presto l’importanza del
metodo che Leonela stava impostando; ricordava bene che
i contadini di Biran, il suo villaggio natale, associavano il
valore numerico dei biglietti di banca con l’immagine impressa. Hugo Chávez si unì subito al suo entusiasmo e cosí,
insieme come tante altre volte, questi due capi di stato hanno offerto alla tenace maestra l’imprescindibile appoggio
dello stato. Ormai il metodo “Yo sí puedo”, gira per tutto
il mondo in quechua, in creole, in aymara, in swaili, ecc.
Sono 533.000 le persone che in questo momento prendono
lezione, con l’ausilio degli audiovisivi.
Leonela è morta a gennaio (2015), è vissuta in modo semplice, dedicata al lavoro; ha messo la sua intelligenza e la
sua sensibilità al servizio dei meno favoriti dalla sorte e ha
trovato in Fidel Castro e in Hugo Chávez due capi di stato
impegnati per il progresso dei propri cittadini e convinti dei
diritti di tutti.
*Docente (Università “Orientale” di Napoli) e condirettrice della
rivista Latinoamerica
“YO SÍ PUEDO”: ALFABETIZZARE IL MONDO
Il metodo didattico creato dalla professoressa cubana Leonela Inés Relys Días, nato ufficialmente nel 2001 e inizialmente sperimentato con successo a Cuba e ad Haiti, parte dalle più semplici cognizioni umane, come la conoscenza
dei numeri e le principali lettere dell’alfabeto.
Diffuso in oltre 30 paesi grazie a maestri cubani, finora il metodo ha liberato dall’analfabetismo più di 3 milioni e
mezzo di persone (2002-2015). Le aree d’intervento sono state: in America Latina, con Messico, Nicaragua, Honduras, El Salvador, Paraguay, Haiti, Repubblica Dominicana, Colombia, Bolivia, Brasile, Ecuador, Perù e Argentina;
in Africa, con Nigeria, Guinea Bissau, Mozambico e Sudafrica. Inoltre il metodo è stato applicato anche in Oceania,
con la Nuova Zelanda, e a Siviglia, come prima esperienza del programma in Europa. Del procedimento educativo
esistono versioni in spagnolo, portoghese, inglese, creolo, quechua e aymará; anche nel sistema braille per non
vedenti ed ipovedenti.
Per la lotta contro l’analfabetismo è stata istituita dal Governo Bolivariano in Venezuela la Misión Robinsón, una
collaborazione cubano-venezuelana. Inoltre l’Istituto Pedagogico Latinoamericano e Caraibico di Cuba (IPLAC)
è stato premiato dall’Unesco in riconoscimento all’efficacia del metodo di alfabetizzazione “Yo sí puedo” anche in
contesti etnici e linguistici eterogenei.
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CONDIVIDERE, INSEGNARE, DECOLONIZZARE
CASA CARIBANA, ASSOCIAZIONE SCIENTIFICA E CULTURALE
ITALO-VENEZUELANA
Italia-Venezuela
solidarietà e scambi culturali
di Luisa A. Messina Fajardo
L
’atteggiamento solidale tra Italia e Venezuela sussiste da secoli: basta ricordare che già i nostri
antenati indipendentisti sentirono la necessità di
conoscere il “belpaese.” Miranda e Bolivar visitarono l’Italia; ad essa si ispirarono per caricarsi di energia
e continuare con maggior forza il loro progetto di libertà
nazionale (o continentale) e di indipendenza anticoloniale.
Miranda viaggiò in l’Europa, con l’idea di studiare le istituzioni delle nazioni più istruite, in modo da ottenere informazioni necessarie che potessero favorire il suo paese .
Naturalmente furono tre i viaggi che intraprese Bolivar in
Europa e che portarono al succedersi dei propri eventi e di
quelli dell’intero continente.
Oggi, possiamo dire che quegli ideali degli indipendentisti
americani servirono a suscitare anche in Italia quel senso di
libertà che più tardi avrebbe dato origine all’Unità d’Italia
ed al “Risorgimento Italiano.” A questo proposito possiamo ricordare, come afferma Astuto (2014: 33) :
Risale all’esperienza americana l’adozione di un modello
che poi Garibaldi cercherà di applicare in Italia, con i dovuti
compromessi, nel corso del processo di unificazione.
D’altra parte, risale a molto tempo fa la presenza dei primi italiani in Venezuela, uomini e donne, che decisero, per
motivi diversi, di stabilirsi nella nostra Terra e qui si moltiplicarono .
Le relazioni con l’Italia, con l’Europa, hanno contribuito ad
arricchire, come succede in tutti i processi interculturali,
quell’eredità culturale già fiorente nel nostro Paese. Il risultato di questo incontro culturale si manifesta in una serie di
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aspetti che descriveremo in seguito.
Come affermava lo storiografo ed ecologista R. P. Thomas
Berry , l’essere umano è predisposto biologicamente ad essere preparato culturalmente. La cultura è un adattamento
all’ambiente e l’ambiente impone degli obblighi.
Si tratta di un fenomeno naturale, sorto grazie ad un forte
sentimento di solidarietà che ha riempito da sempre l’anima
del paese venezuelano ed italiano. Una solidarietà che Alejo
Carpentier fa diffondere nei paesi latino-americani.
Solidarietà che ha contribuito all’accrescimento degli ítalo-venezuelani , o ‘venezoítalos’ ( permettetemi di creare
questo neologismo in quanto ritengo che il contenuto semantico sia più fedele a quel valore culturale che lo sostenta
), sia dal punto di vista culturale e, ancor di più, umano.
È una solidarietà che porta non solo il il nostro paese ,il
Venezuela, ad amare l‘Italia, la patria dei nostri antenati, la
terra che ci ha accolti e che ancora ci aiuta a crescere, ma si
tratta anche di un sentimento di solidarietà profondo che
si dilata e si manifesta in tutta l’America Latina e in tutta
l’Africa, anch’essa terra di antenati.
I fatti storici, sociali, politici hanno modificato lo spagnolo
parlato in Venezuela. Gli immigranti hanno diffuso liberamente la loro lingua e cultura e lontano dal mettere in pericolo l’unità linguistica, l’hanno arricchita con un’infinità di
voci ormai attuali nella nostra lingua.
Oggi, in Venezuela, l’italiano è parlato dai molti italiani che
vi abitano. L’italiano è presente nella lingua spagnola da secoli, tanto è vero che a volte ci rendiamo conto che ci sono
parole di origine italiana (‘piñata’, ‘pasticho’, ‘piza’, ‘espague-
In collaborazione con l’Universitá degli Studi di Roma Tre, l’Ambasciata della Repubblica Bolivariana del Venezuela
a Roma (presto anche il Consolato venezuelano di Napoli e la città di Napoli si uniranno a noi), l’Istituto Italiano
Latinoamericano (IILA), l’Istituto Cervantes, e con l’alto patrocinio della Presidenza dei Ministri della Repubblica
Italiana, questa associazione convoca tutti gli anni studiosi di differente provenienza a un incontro multidisciplinare
e itinerante denominato Giornata Siciliana di Studi Ispanici nel Mediterraneo. Sono molti i temi dedicati al Venezuela, all‘Italia, all‘America latina in generale, e al Mediterraneo, così come al mare dei Caraibi “Mediterraneo”d’America. La seconda Giornata è dedicata alla commemorazione dei 200 anni delle Guerre di Indipendenza dei Paesi
latinoamericani e ai 150 anni dell’Unità d‘Italia. Durante la Quarta Giornata c‘è una sezione speciale che riprende il
metodo musicale di José Antonio Abreu; quest‘anno, durante la Quinta Giornata c’è stata un’esposizione bibliografica dedicata a Francisco di Miranda ed a Simón Bolívar. Inoltre, l’Associazione italo-venezuelana Casa Caribana si
sta occupando del settore editoriale e oggi conta sulla collezione Miscellanee Mediterraneee: Vecchi e Nuovi Mondi,
Aracne Editrice. Per conoscere l’attività dell’Associazione si visiti la pagina web www.casacaribana.com.
L. M. F.
Trad. S.P.
tis’, ‘raviolis’, ‘menestrón’, ‘chao’ ‘galera’, ‘tramontana’, ‘embajada’, ‘soneto’, ‘mafia, ‘capo, etc.-- pignatta, pasticcio, pizza, spaghetti, ravioli, minestrone, ciao, galera, tramontana,
ambasciata, sonetto, mafia, capo). Allo stesso modo, nell’italiano ci sono alcuni prestiti linguistici provenienti dallo
spagnolo (‘golpe’, ‘guerrilla’, ‘siesta’, ‘sombrero’, ‘canoa’; voces
de bailes como ‘merengue’, ‘salsa’, etc.--- ‘colpo’, ‘guerriglia’
‘siesta’, ‘sombrero’, ‘canoa’; balli come ‘merengue’, ‘salsa’, etc.).
D’altra parte, l’istruzione in italiano, nel nostro Paese, si
porta a termine ed è garantita grazie alla presenza di scuole
ed istituzioni private. Sono molte le manifestazioni culturali
che gli italiani realizzano in Venezuela con lo scopo di promuovere la cultura italiana.
Allo stesso modo, il lavoro che i venezuelani realizzano in
Italia, per lo stesso motivo, è abbastanza significativo. Sono
numerosi i programmi culturali che si realizzano e da parte
delle Istituzioni, Ambasciate, Consolati, Università, e privatamente.
Un caso rappresentativo è l’influenza che il Venezuela ha
esercitato sul sistema pedagogico italiano nel campo della
musica. Si tratta di un metodo di insegnamento musicale,
creato da José Antonio Abreu, denominato “Il Sistema” che
si è diffuso enormemente in Italia con gran successo; in realtà, sono molti i ‘nuclei’ presenti in Italia da nord a sud.
Si può così parlare di un fenomeno venezuelano che tutta
l’Italia sta vivendo con interesse. Oggi il modello musicale
venezuelano è molto apprezzato in un paese, come Italia,
dove l’idea stessa della musica continua ad essere vincolata
al “talento.”
Un altro aspetto importante in Italia è quello del consociativismo venezuelano. Credo che il lavoro svolto dalle Associazioni culturali sia un mezzo importante per diffondere
la conoscenza del paese in Italia e non solo; ricordo il lavoro realizzato dall’associazione ABRUZZO SOLIDALE che
raccolse denaro attraverso tutte le Associazioni Italiane in
Venezuela, per collaborare con la Regione Abruzzo alla ricostruzione della città dell‘Aquila dopo il Terremoto.
Le associazioni, infine, con le loro iniziative contribuiscono
al progresso della cultura nonchè alla collaborazione e al
progetto comune tra i due paesi.
Il numero di venezuelani residenti in Italia, è senza dubbio,
inferiore rispetto a quello degli italiani residenti in Venezuela, questo si deve al fatto che in Italia non si sono verificati grandi flussi migratori provenienti dal Venezuela. I
venezuelani si sono stabiliti in varie regioni italiane, durante il corso degli anni, non conformemente. Tuttavia, credo
che la qualità del lavoro che molti di essi hanno conseguito
possa supplire la quantità a cui di solito si fa riferimento.
Se le istituzioni diplomatiche, le associazioni, le università
collaborassero in sinergía, per raggiungere un stesso obiettivo ossia : diffondere la nostra (nostre), cultura(culture );
intendere la cultura come tutto ciò che “una società fa e
pensa”, secondo Edwuard Sapir (1966, 247) ; comunicare
quel grande senso di solidarietà, senza pregiudizi politici,
sociali, religiosi, etc., allora, la nostra cultura si diffonderebbe e si difenderebbe dalla crudeltà del tempo che mette in
pericolo la storia e la vita di una comunità.
Traduzione di Simona Palumbo
*Docente di Lingua, Cultura e Istituzioni dei Paesi di lingua
spagnola (Facoltà di Scienze Politiche, Università Roma Tre) e
Presidente Associazione Casa Caribana
19
La parola agli emigranti
Quando gli italiani arrivavano in Venezuela vi trovavano un mondo pronto ad accogliere,
pieno di bellezza e di opportunità. Ecco alcune testimonianze
Nostalgia
Era il 1953. Avevo 16 anni e non ero mai uscita dall’Italia.
Con la mia famiglia partimmo da Napoli – raggiungevamo mio
padre che intanto già lavorava in Venezuela da 2 o 3 anni – e il
viaggio in nave durò 16 giorni, di cui 8 trascorsi a letto per via della
nausea e del vomito.
Ma arrivai a La Guaira e, appena sbarcata, vidi questo Paese
bellissimo, così grande, che ci accoglieva. “Leggi molto, ascolta la radio!”,
mi diceva papà. Imparai la lingua e cominciai a lavorare con
mia sorella nel settore della sartoria; poi imparai a fare dolci e scelsi
di lavorare in pasticceria. Infine fu la volta della profumeria: ho
lavorato sempre. I miei due figli nacquero lì, a Los Teques, dove
ancora vivono e lavorano.
Ho sempre nel cuore i 53 anni vissuti in Venezuela. Credo sia stata
una pazzia ritornare in Italia: adesso farei di tutto per vivere a
Mérida!
(di Carmelina Patuto)
Un emigrante italiano
[…] Chi ancora sta partendo, in nave, forse a prua
Nell’aria sente ancor l’odor di casa sua
Ma la casa non c’è più, e già il cuore è più pesante
Viaggia solo e triste ancora un emigrante [...]
Molti non tornano più,
per colpa del destino, per orgoglio di una fortuna non trovata
O per paura di ritrovare un passato macchiato
Per questo si accontentano di vivere e morire
In terra straniera senza sapere né sentire
La fine che hanno fatto, terre e cittadini
Della patria che ha lasciato prima di partire
[...]
Partito per tornare, per ripartire e ritornare
Nel paese dove nacqui: Arpaia
Di certo nel tornare le cose son cambiate,
parenti che ho lasciato non ho più ritrovato,
ma il posto che han perduto è stato poi occupato
dai figli che ognuno a sua volta ha generato
Così le mie radici si sono consolidate.
(di Michele Fucci)
20
21
Dedalo e le radici mitiche
del progresso
di Antoine Fratini*
I
l linguaggio è spesso specchio di credenze inconsapevoli. Vi circolano significanti particolarmente ricorrenti e carichi
di fascino. Uno dei motivi di questo è che ciascun significante può rimandare ad altri significanti più pregnanti appartenenti alla stessa catena associativa inconscia. Questi fungono allora da significato producendo effetti propriamente
trascendenti sulle persone. La Storia evidenzia infatti che l’uomo può credere alle cose più insensate, purché rientrino
in un discorso.
Uno di questi significanti è certamente quello di “progresso”. La parola “progresso” proviene etimologicamente dal latino
progressus che significa “andare avanti”. Ora, la nostra idea di progresso è strettamente legata allo sviluppo dell’economia
e della tecnologia, due delle “qualità” sulle quali la nostra società si fonda maggiormente. L’economia appare, oggi più che
mai, dipendente dallo sviluppo tecnologico (si pensi per esempio alla manipolazione genetica e al tipo di agricoltura che ne
consegue). Nel mettere avanti la tecnologia e nell’affidarsi così tanto ad essa l’uomo moderno è irrimediabilmente portato
a sostituire la riflessione con l’azione. Nell’etica interventista che ne deriva il “perché” è sostituito dal “come”. Il problema
primario diventa “come agire” per ottenere quel che si vuole: il Progresso. Per capire meglio le implicazioni di una simile
unilateralità psicologica evocheremo l’antico eroe greco Dedalo, il quale rappresenta in qualche modo il prototipo dell’ingegnere di oggi.
22
Il mito racconta che quando il re cretese Minosse cercò
di ottenere il trono, chiese un segno a Poseidone che fece
emergere dal mare un toro meraviglioso. Quel toro era così
bello che Minosse scelse di non sacrificarlo al dio, come
avrebbe dovuto fare, ma di tenerlo per sé. Per punizione
Poseidone ispirò alla moglie di Minosse, Pasifae, una irresistibile passione per l’animale. Minosse incaricò il suo ingegnere Dedalo di trovare il modo per rendere possibile tale
unione, forse nell’intima convinzione che nessuno vi sarebbe mai riuscito. Questi allora costruì una vacca in legno e in
pelle (un po’ come quelle che esistono oggi presso i centri di
inseminazione artificiale) che permise a Pasifae di copulare
con l’animale. Da questa unione nacque il Minotauro, un
mostro metà uomo e metà toro. Di nuovo interpellato per
rimediare alla situazione, Dedalo inventò il suo famoso labirinto dove confinarvi il mostro. A questo punto la vicenda
s’incrocia con un altro mito, quello di Teseo, altra grande
figura eroica della Grecia antica. Questi venne incaricato di
uccidere il Minotauro la cui sopravvivenza era subordinata
al sacrificio annuale di nove ragazzi e nove fanciulle ateniesi imposto dal re cretese. Arianna, figlia di Minosse, si
era innamorata di Teseo e chiese al solito Dedalo di escogitare uno stratagemma che permettesse al suo benamato
di uscire dal labirinto. L’impareggiabile ingegnere le indicò
la tecnica del filo da srotolare durante il percorso di andata nel labirinto. Grazie a tale astuzia Teseo riuscì ad uscire
dal labirinto dopo avere ucciso il mostro, dimenticandosi
però Arianna per strada. Forse a causa di questa perdita,
oppure, a secondo delle versioni dello stesso mito, a causa
del congegno che permise a Pasifae di copulare con il toro,
Minosse imprigionò Dedalo e suo figlio Icaro nel labirinto.
Allora Dedalo, che evidentemente nutriva una grande fiducia nei propri espedienti tecnici, fabbricò per lui e suo figlio
delle ali fatte di cera e piume di uccelli che permisero loro di
fuggire dal labirinto. Ma Icaro, esaltato dal volo, non seguì
il monito del padre. Egli si avvicinò troppo al sole, le ali si
staccarono dal corpo e quindi precipitò nel mare sotto agli
occhi del padre disperato.
no più impellente che mai per via dell’enorme potenziale
dei moderni strumenti tecnologici. L’uomo moderno, in
particolare l’uomo politico, è posseduto da una vera e propria mania del fare in nome di Economia. La tecnologia, in
quanto prodotto di un certo atteggiamento umano, diventa
pertanto la via privilegiata attraverso la quale Economia si
concretizza nel mondo moderno.
A questo punto una domanda urgente s’impone: lasceremo
la follia del Progresso invadere completamente la nostra società oppure riusciremo a trovarvi un giusto contrappeso
d’anima?
*Presidente dell’Associazione Europea di Psicoanalisi (AEPSI) e
membro dell’Académie Européenne Interdisciplinaire des Sciences
Questa vicenda mostra bene come, partendo da una richiesta illegittima (sprovvisto del giusto contrappeso d’anima),
il ricorso sistematico alla tecnica non fa che generare nuovi
problemi fino ad arrivare al tragico esito finale. Oggi, sostiene P.H.Gouyon, professore al Museo di Storia Naturale
di Parigi e specialista della biodiversità, coesistono fondamentalmente due tipi di persone: il primo pensa che la
corsa al progresso (così come lo abbiamo qui definito, tutto
teso al profitto economico e al dominio sulla Natura) rappresenta l’unica via di salvezza e che gli eventuali problemi
che ne potranno derivare si affronteranno strada facendo.
Nel mio ultimo libro ho cercato di dimostrare la natura
propriamente religiosa di questo punto di vista. Il secondo
tipo ritiene invece che l’atteggiamento tecnico superficiale
dell’uomo abbia già provocato abbastanza danni così e che
sia giunto il momento di anteporre all’agire la giusta dose
di riflessione. Un simile provvedimento si rende oggigior-
23
CONDIVIDERE, INSEGNARE, DECOLONIZZARE
Ricontestualizzare. Modificare il contesto concettuale ed
emozionale di una situazione, o il punto di vista secondo
cui essa è vissuta, così da mutarne completamente il senso.
Questo cambiamento si impone, ad esempio, per i concetti
di ricchezza e di povertà e ancor più urgentemente per scarsità e abbondanza, la “diabolica coppia” fondatrice dell’immaginario economico. L’economia attuale, infatti, trasforma
l’abbondanza naturale in scarsità, creando artificialmente
mancanza e bisogno, attraverso l’appropriazione della natura e la sua mercificazione.
Ristrutturare. Adattare in funzione del cambiamento dei
valori le strutture economico-produttive, i modelli di consumo, i rapporti sociali, gli stili di vita, così da orientarli
verso una società di decrescita. Quanto più questa ristrutturazione sarà radicale, tanto più il carattere sistemico dei
valori dominanti verrà sradicato.
Rilocalizzare. Consumare essenzialmente prodotti locali, prodotti da aziende sostenute dall’economia locale. Di
conseguenza, ogni decisione di natura economica va presa
su scala locale, per bisogni locali. Inoltre, se le idee devono
ignorare le frontiere, i movimenti di merci e capitali devono
invece essere ridotti al minimo, evitando i costi legati ai trasporti (infrastrutture, ma anche inquinamento, effetto serra
e cambiamento climatico).
Ridurre. Sia l’impatto sulla biosfera dei nostri modi di produrre e consumare che gli orari di lavoro. Il consumo di
risorse va ridotto sino a tornare ad un’impronta ecologica
pari ad un pianeta. La potenza energetica necessaria ad un
tenore di vita decoroso (riscaldamento, igiene personale,
illuminazione, trasporti, produzione dei beni materiali fondamentali) equivale circa a quella richiesta da un piccolo
radiatore acceso di continuo (1 kw). Oggi il Nord America
consuma dodici volte tanto, l’Europa occidentale cinque,
mentre un terzo dell’umanità resta ben sotto questa soglia.
Questo consumo eccessivo va ridotto per assicurare a tutti
condizioni di vita eque e dignitose.
Riutilizzare. Riparare le apparecchiature e i beni d’uso anziché gettarli in una discarica, superando così l’ossessione,
funzionale alla società dei consumi, dell’obsolescenza degli
oggetti e la continua “tensione al nuovo”.
Riciclare. Recuperare tutti gli scarti non decomponibili derivanti dalle nostre attività.
*Economista e filosofo, professore emerito di Scienze
economiche (Università di Parigi XI e Institut d’études du
developpement économique et social [IEDES], Francia)
Ridistribuire. Garantire a tutti gli abitanti del pianeta l’accesso alle risorse naturali e ad un’equa distribuzione della
ricchezza, assicurando un lavoro soddisfacente e condizioni di vita dignitose per tutti. Predare meno piuttosto che
“dare di più”.
Il programma delle otto R
Obiettivi per una decrescita serena
di Serge Latouche*
L
a “società della decrescita” presuppone, come primo passo, la drastica diminuzione degli effetti
negativi della crescita e, come secondo passo, l’attivazione dei circoli virtuosi legati alla decrescita:
ridurre il saccheggio della biosfera non può che condurci ad
un miglior modo di vivere. Questo processo comporta otto
obiettivi interdipendenti, le 8 R: rivalutare, ricontestualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Tutte insieme possono portare, nel tempo, ad
una decrescita serena, conviviale e pacifica. (Da una proposta di Osvaldo Pieroni al Forum delle ONG di Rio).
24
Rivalutare. Rivedere i valori in cui crediamo e in base ai
quali organizziamo la nostra vita, cambiando quelli che
devono esser cambiati. L’altruismo dovrà prevalere sull’egoismo, la cooperazione sulla concorrenza, il piacere del
tempo libero sull’ossessione del lavoro, la cura della vita
sociale sul consumo illimitato, il locale sul globale, il bello
sull’efficiente, il ragionevole sul razionale. Questa rivalutazione deve poter superare l’immaginario in cui viviamo, i
cui valori sono sistemici, sono cioè suscitati e stimolati dal
sistema, che a loro volta contribuiscono a rafforzare.
DAL MANIFESTO DELLA DECRESCITA DI SERGE LATOUCHE
“La corrente di pensiero che si riferisce alla decrescita ha conservato fino a oggi un carattere quasi confidenziale.
[…]. Nata negli anni sessanta, il decennio dello sviluppo, da una riflessione critica sui presupposti dell’economia e
sul fallimento delle politiche di sviluppo, questa corrente riunisce ricercatori, attori sociali del Nord come del Sud
portatori di analisi e di esperienze innovatrici sul piano economico, sociale e culturale”.
I punti sviluppati nel Manifesto sono: Rompere l’immaginario dello sviluppo e decolonizzare le menti; Illusioni e
rovine dello sviluppo; I nuovi aspetti dello sviluppo; Oltre lo sviluppo; Decrescere e abbellire; Sopravvivere localmente.
25
POLITICHE SOLIDALI
E BUEN VIVIR
POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR
L’economia sociale e solidale
come strategia di sviluppo
nel contesto dell’integrazione
regionale latinoamericana
di José Luis Coraggio
UN ALTRO SVILUPPO, UN’ALTRA
ECONOMIA
P
ossiamo iniziare chiarendo che, quando utilizzeremo il termine “sviluppo”, sarà da intendersi nel
significato attribuitogli dai popoli originari: il bien
vivir di tutti e tutte. Svilupparci significa ampliare e
rendere effettive le nostre capacità come società di costruire
e istituzionalizzare un’economia adatta a tutti, un’economia
giusta, un’economia solidale che dia risposte materiali ai legittimi desideri di tutti i suoi cittadini. Questo ci differenzia
dalla ricerca del benessere, concetto proprio della modernità occidentale che definisce la ricchezza come la massa
di merci che vengono prodotte e distribuite, e il benessere
individuale come la quota di questa ricchezza che si riesce
a ottenere.
Per questo l’Altra Economia, sia quando la portiamo a modello nei nostri discorsi o attraverso le nostre pratiche, deve
essere sociale, perché non deve solo produrre e distribuire
beni e servizi materiali, ma essere anche capace di generare e consentire altre relazioni sociali, un diverso rapporto
con la natura, altri modelli di riproduzione, altre opzioni
di vita in società che rifiutano il paradigma del capitalismo
possessivo e individualista. Per questo motivo, non abbiamo nessun indicatore della crescita economica misurata
dal Prodotto Interno Lordo, tantomeno presupponiamo
che l’aumento della produzione sia un fattore migliorativo
(massimizzazione). [...].
L’ATTUAZIONE DI UNA STRATEGIA
POSSIBILE
U
[...].
na strategia di sviluppo [...] deve generare le
basi materiali della libertà effettiva. Questa
strategia deve includere, naturalmente, una
redistribuzione del reddito monetario generato nelle società dove il mercato e il denaro sono divenuti
determinanti, ma questa misura da sola oltre ad essere insufficiente può rivelarsi funzionale alla riproduzione dello stesso sistema che polarizza la società (come quando il
reddito popolare affluisce alle strutture monopolistiche di
commercio al dettaglio, o viene depositato nelle banche
28
che concentrano il potere economico). Si tratta in realtà di
trasformare la struttura stessa dell’economia, e non esclusivamente la distribuzione dei suoi prodotti. Si tratta di trasformare il modo di organizzare socialmente il lavoro per
la produzione, la distribuzione, le forme di proprietà, di
circolazione e di consumo. Tutto questo non può essere realizzato come un esercizio d’ingegneria civile. Non stiamo
parlando di costruire un ponte. Questa nuova costruzione
prevede l’abbattimento della struttura economica capitalista, aggravata nella sua negatività da trenta, orribili, anni di
neoliberismo. Prevede un confronto d’interessi, di visioni
del mondo, implica lotta contro il dominio o, quello che è
più difficile, contro l’egemonia manifestata in buona misura
nella leggittimazione del sistema capitalista di mercato nel
senso comune. Questa lotta implica che i soggetti popolari
devono costruire un “noi” per far fronte negli spazi democratici ai progetti delle classi dominanti [...].
IL PUNTO DI PARTENZA E LA
TRANSIZIONE
L
[...].
a transizione verso l’Altra Economia, mediante
quelle pratiche che definiamo “economia sociale
e solidale”, non può limitarsi all’integrazione degli
esclusi (dall’economia ufficiale) attraverso la produzione e la commercializzazione di beni e servizi e il rispetto delle regole del mercato idealizzato (la competitività
come prova di legittimità). E’ chiaro che i nostri criteri sono
volti a valorizzare tutte quelle attività capaci di generare
condizioni favorevoli per la libera associazione degli individui, delle famiglie, delle comunità. A ricostruire un metabolismo socio-naturale basato su relazioni di reciprocità tra
gli esseri umani e con la natura. Anche questo, però, non è
sufficiente. E’ tassativo impedire che il principio del mercato prenda il sopravvento rispetto a tutti gli altri su cui poggia l’inevitabile istituzionalizzazione dei sistemi economici:
il già citato principio di reciprocità, basato sull’impegno
disinteressato o “interessato” (impegno per costruire una
comunità/società che mi protegga), quello della redistribuzione, d’importanza cruciale in questa fase di transizione
segnata da un enorme squilibrio nell’accesso alle risorse ed
ai suoi prodotti; il principio della pianificazione consape-
vole circa le azioni e le previsioni degli effetti su individui,
gruppi e società nella loro interezza, superando così l’immediatezza regnante; e lo straordinariamente importante
principio dell’autarchia, dell’autosufficienza e autodeterminazione (sovranità) non solo alimentare, ma di tutti quei
beni e servizi essenziali per la vita.
Noi vogliamo una società con mercato, ma non di mercato.
Ciò implica che il paradigma dell’impresa efficiente e del
mercato autoregolato non può orientare le nostre pratiche
socio-economiche. [...].
MOLTE DEFINIZIONI, LO STESSO
SIGNIFICATO
V
i sono molte definizioni di economia alternativa: popolare, del lavoro, sociale, solidale,
sociale e solidale, comunitaria, per la vita, etc.
etc. Il documento Lima +10 traccia un quadro
esaustivo, tale da poterlo condividere senza entrare in tecnicismi: “L’economia sociale e solidale è basata su valori
umani e principi di solidarietà, volti al riconoscimento della persona come fondamento dell’agire umano e asse per
il rinnovamento dell’economia, la politica e la società (…)
comprende l’insieme di attività ed associazioni di carattere
comunitario, associativo, cooperativo, mutualista e le ulteriori forme collettive create per rispondere alla necessità di
lavoro e benessere dei popoli, così come alle esigenze dei
movimenti dei cittadini orientati a democratizzare e trasformare l’economia”. Le nostre pratiche hanno contenuti
multipli e propositi immediati (generare reddito è solo uno
di essi). Ma fondamentale è attivare le capacità di autorganizzazione e cooperazione dei lavoratori per soddisfare i
propri bisogni e per la crescita di tutti. [...]. Molteplici sono
le forme di organizzazione che sta prendendo la ESS: imprese familiari, comunitarie, liberamente associati, cooperative, associazioni, reti di mutuo sostegno, di commercializzazione o rifornimento congiunto, reti per il rispetto dei
diritti [...], le monete sociali, reti di commercio equo e solidale, la finanza solidale, i processi di recupero delle risorse
delle società di capitale o dello Stato (attrezzature, imprese
in generale, terreni, edifici, case, etc.) e ogni movimento o
azione collettiva che agisce per trasformare l’economia con
i valori prima descritti (movimenti ecologisti, femministi,
etnici, giovanili, etc.). Valori di solidarietà e una morale
economica che include il consumo e anche la produzione
responsabile vanno alimentati con la pratica non solo con
discorsi fini a se stessi.
Sappiamo che vogliamo un altro mondo, ma non abbiamo
modelli, tantomeno un sistema alternativo chiavi in mano.
Dobbiamo sperimentare, e farlo con responsabilità verso la
vita umana e la natura. Invece, il neoliberismo ha sperimentato sulla nostra pelle, ha avuto l’impudenza di raccontare
vite, di valutare che la libertà di mercato valeva il prezzo
pagato in vite umane, in culture e biodiversità sparite. [...].
LA SPECIFICITÀ STORICA DELL’ESS IN
AMERICA LATINA
F
[...].
orse vale la pena ribadire che in questo continente,
aperto allo scambio fraterno, più che nella ricerca
di definizioni e modelli da adottare, è in corso un
processo di creazione di una pluralità di forme d’economia alternativa, e per portarlo avanti dobbiamo basarci su quel terreno forte e fertile che è la nostra storia, per
avanzare nella costruzione di un’altra economia.
Perché qui, periferia spoliata dall’Occidente, lo stato sviluppista (la versione latinoamericana del Welfare State dei
“gloriosi trent’anni del dopoguerra) non avrebbe mai potuto portare a termine il suo compito, e quegli stati riusciti ad
avanzare verso società industriali in molti dei nostri paesi
furono smantellati da dittature e democrazie neoliberiste
condizionate da organismi internazionali controllati dal
Nord e da un debito illeggittimo e usuraio imposto ai nostri
popoli; così la povertà strutturale – rurale e urbana – non
potè essere sradicata e ad essa andò a sommarsi il massiccio
impoverimento di metà della popolazione, perchè la gran
parte dei nostri cittadini continuò a ricorrere a forme non
capitalistiche di produzione per la sopravvivenza, rese evidenti dalla persistenza di forme contadine nel settore informale urbano. [...].
Perché qui, dopo essere stati per secoli colonia dell’Europa e
cortile dell’Impero, rinascono con ribellione e forza straordinaria i popoli originari con le loro cosmovisioni, che con
frequeza crescente vengono assunte come proprie da organizzazioni politiche e movimenti sociali. [...] Perché questo
è un continente rivoluzionario, alla ricerca della propria
definizione di socialismo, che comprende tanto Cooperativismo e Mutualismo originari quanto l’ampio spettro che va
dalla Rivoluzione Cubana fino alla Rivoluzione in Libertà
nel Cile della Unidad Popular, passando per la particolare
Rivoluzione Sandinista in Nicaragua, e per la viva ed attuale
esperienza della Rivoluzione Bolivariana in Venezuela, della Rivoluzione Ciudadana in Ecuador e del profondo processo rivoluzionario in Bolivia.
Traduzione di Fabrizio Verde
*Economista e professore emerito della Universidad Nacional de
General Sarmiento (UNGS, Argentina)
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POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR
Il buen vivir o la dissoluzione
dell’idea di progresso
La filosofia dei popoli ancestrali diventa politica
in Ecuador e Bolivia
di Eduardo Gudynas* e Alberto Acosta**
INTRODUZIONE
I
l concetto di “buen vivir” ha guadagnato notorietà a
partire dai dibattiti in America del Sud, in maniera
particolare per le sue recenti formulazioni costituzionali. Dalla prospettiva degli emarginati dalla storia, dai
popoli e nazionalità indigene, il Buen Vivir si presenta come
un’opportunità per costruire un’altra società sostenuta dalla
coesistenza dell’essere umano nella diversità e in armonia
con la natura, a partire dal riconoscimento dei diversi valori
culturali esistenti in ogni paese e in tutto il mondo.
Quest’idea viene espressa come Buen Vivir o sumak kawsay
in kichwa, mentre in Bolivia viene definita Vivir Bien, suma
qamaña in aymara, o ñandareko in guaraní e sumak kawsay
in quechua. Nella costruzione del concetto vengono messi a
nudo gli errori e i limiti delle varie teorie dello sviluppo, si
mettono in discussione alcune delle basi fondamentali ancorate all’idea di progresso, mentre si aprono le porte a opzioni alternative. Il Buen Vivir non è, allora, uno sviluppo
alternativo compreso in un lungo elenco di opzioni, ma si
presenta come alternativa a tutte quelle posizioni. In Bolivia
ed Ecuador hanno avuto luogo i progressi più importanti. Si
tratta di un’idea plurale ancora in discussione e costruzione,
non solo in questi paesi andini.
PUNTI DI PARTENZA
I
[...].
n realtà, osserviamo nel mondo un “cattivo sviluppo” generalizzato, esistente anche nei cosiddetti paesi
sviluppati. [...]. L’ethos del progresso è intimamente
legato alle posizioni culturali proprie della modernità di origine europea. Nasce con un nuovo protagonismo
concesso all’essere umano, esterno alla natura, che doveva
essere dominata e manipolata (…). Gradualmente l’idea di
progresso diventò uno dei concetti dominanti e più influenti (Nisbet, 1980), diffondendosi in America Latina, attraverso un lungo processo che ebbe inizio con la conquista,
continuò lungo la fase coloniale e si proiettò nelle giovani
repubbliche. [...].
L’idea di progresso è stata poi riformulata con il concetto di
sviluppo agli inizi del XX secolo [...]. In effetti, negli ultimi
decenni sono proliferate diverse posizioni, e in alcuni casi,
30
come la scuola strutturalista, dipendentista e neostrutturalista dello sviluppo, l’America Latina ha giocato un ruolo
chiave. […] l’idea di progresso è profondamente radicata
nella cultura latinoamericana dominante, e le sue radici
sono eurocentriche. Le sue espressioni accademiche o politiche sono comuni, avendo come obiettivo dello sviluppo la
crescita economica, tramite l’incremento delle esportazioni
e la raccolta di investimenti esteri. È anche alla base di un
mito, quello di un’enorme ricchezza ecologica che consente
forti espansioni economiche.
I concetti del Buen Vivir mettono in scacco tutte queste
idee. Provengono da un collegamento diretto con i saperi
tradizionali che erano subordinati, mettono in discussione
i trapianti culturali e si allontanano dall’idea di sviluppo
come crescita economica. In molte cosmovisioni indigene
non esiste un concetto di sviluppo inteso come processo
lineare, come successione di stati anteriori e posteriori.
Non si difende la visione di uno stato di sottosviluppo da
superare e neppure quella di un obiettivo di “sviluppo” da
raggiungere, forzando la distruzione delle relazioni sociali e
l’armonia con la natura. In molti casi non ha luogo la dicotomia occidentale che separa la società dalla natura. Né vi è
una concezione di povertà come carenza di beni materiali
o di ricchezza intesa come abbondanza. In altre parole, il
Buen Vivir mette in discussione la validità dell’idea stessa di
progresso. Nella cosmovisione indigena, il miglioramento
sociale – il suo sviluppo? – è una categoria in permanente
costruzione e riproduzione. In essa è in gioco la vita stessa.
LA CRITICA ALLO SVILUPPO E IL
PROGRESSO
I
n questo contesto, si manifesta il Buen Vivir come
terreno di discussione. Ciò è stato reso possibile dalla
recente formazione di ampli e diversi scenari di resistenza ai postulati del neoliberismo in particolare, e
come messa in discussione dello stesso concetto classico di
sviluppo in generale [...]. Pertanto, la caratterizzazione del
Buen Vivir, inteso sempre come idea in costruzione, richiede la revisione della conformazione dei processi che hanno
reso possibile la sua nascita.
[...] Da un lato, l’applicazione delle strategie abituali di svi-
luppo non portava i benefici promessi. [...]. Da un altro
lato, molti progetti presentati sotto l’etichetta dello “sviluppo” hanno generato impatti sostanzialmente negativi, tanto
nella sfera sociale quanto in quella ambientale. [...]. Infatti,
si sono venute creando reti di cittadini per denunciare e allertare su questi effetti negativi.
Se accettiamo che l’attuale sistema mondiale comporta un
“cattivo sviluppo”, dobbiamo concludere, coma fa Tortosa
(2008), che questo ci conduce verso un Mal Vivir. Di conseguenza, la ricerca di una buona vita deve basarsi su di un
modello molto diverso da quello dello sviluppo tanto promosso e desiderato. [...].
Infine, altri attori, in particolare alcuni popoli indigeni, rifiutano l’idea stessa di sviluppo e comprendono che qualsiasi tentativo su questo versante rappresenterebbe un deterioramento del loro stile di vita presente e futuro.
[...]. La Terra non ha capacità di assorbimento e resilienza per continuare su questa strada. Si raccomanda, quindi,
di smettere di vedere le risorse naturali come condizione
per la crescita economica o come un semplice oggetto delle
politiche di sviluppo. [...]. Tutti questi fattori, dalla “stanchezza” dello sviluppo ai cambiamenti politici derivanti dai
nuovi governi progressisti, sono stati fondamentali per consentire la nascita del dibattito sul Buen Vivir.
IL BUEN VIVIR NELLE NUOVE
COSTITUZIONI
L
e idee del Buen Vivir sono state cristallizzate nelle nuove costituzioni della Bolivia e dell’Ecuador.
Questo è spiegato, tra l’altro, dalla maggiore rilevanza data ai saperi indigeni. L’azione in questo
senso delle organizzazioni dei popoli indigeni, così come
la spinta degli accademici, fece ottenere maggiore rispetto
alle culture ancestrali da parte delle varie componenti politco-partitiche e nuovi legami con i movimenti sociali. In
molti casi le organizzazioni indigene hanno svolto un ruolo
chiave, nelle piazze o nelle urne, per questi cambi di governo. A sua volta, si diffuse uno spirito affine orientato alla
decolonizzazione del pensiero e alla rottura delle catene che
mantenevano questi saperi subordinati [...].
Sotto questa influenza, il Buen Vivir invocava il recupero
di un sapere indigeno, che agiva in contrasto allo sviluppo.
In questo modo si allontanava dalla convenzionale idea di
progresso di stampo occidentale, e si dirigeva verso un modello di buona vita, comprendente una particolare attenzione alla natura.
Nel caso dell’Ecuador, il Buen Vivir è parte di una lunga
ricerca di alternative di vita forgiate nelle lotte popolari, in
particolare indigene (…) fino alla cristallizzazione nel processo costituente del 2007 e 2008.
Nel caso della Bolivia, il dibattito è stato forse più recente
e senza dubbio più teso. In questo paese l’idea della “vida
buena“ o “vivir bien“ è un’espressione, di tono quasi rivendicativo, di alcuni capi indigeni, militanti e intellettuali. Per
questa ragione, il concetto è stato sempre associato ai vocaboli di lingua aymara suma qamaña, la cui migliore traduzione probabilmente afferisce al Buen Convivir. [...].
Nella nuova Costituzione dell’Ecuador (2008) quest’idea
viene presentata come i “Diritti del Buen Vivir”, nei quali
sono inclusi una vasta gamma di diritti (come all’alimentazione, ambiente sano, acqua, comunicazione, istruzione,
salute, energia, etc). [...]. La Costituzione, con i suoi 444
articoli, rompe con la concezione classica che assegnava la
priorità ad alcuni diritti rispetto ad altri. Anzi, al contrario
sottolinea la completezza degli stessi, riconoscendoli come
interdipendenti e di pari rango. [...]. In seguito vengono indicati due campi d’azione principali in uno stesso livello di
gerarchia: da un lato, il “regime del Buen Vivir”, e dall’altro
il “regime di sviluppo” [...] (Art. 275). (…)
Nel caso ecuadoriano è chiaro che la conquista del Buen
Vivir è direttamente vincolata all’insieme dei diritti, e che
questi necessitano di cambiamenti sostanziali nelle strategie di sviluppo. [...].
La parola “progresso” ha una presenza marginale nel nuovo
testo costituzionale (compare come progresso scientifico
nell’art. 25, e in riferimento ai diritti collettivi dei popoli
montubi nell’art. 59).
[...]. Nel caso della nuova Costituzione della Bolivia
(2009) i riferimenti al Buen Vivir appaiono nella sezione
sui fondamenti dello Stato. Dove vengono trattati i valori e gli obiettivi dello Stato (articolo 8), che “garantisce e
promuove come principi etici e morali della società plurale: ama qhilla, ama llulla, ama suwa (non essere pigro, non
essere bugiardo, non essere ladro), suma qamaña (vivere
bene), ñandereko (vita armoniosa), teko kavi (buona vita),
ivi maraei (terra senza male) e qhapaj ñan (cammino o vita
nobile). In questo caso è possibile osservare una maggiore
ampiezza culturale, concezioni del Buen Vivir provenienti
da differenti tradizioni indigene come quella Aymara, Quechua e Guaraní.
Questi principi del Buen Vivir (…) sono direttamente connessi con la forma di organizzazione economica dello Stato,
dove si punta ad alcuni cambiamenti nel percorso di sviluppo. Infatti, si sostiene che “il modello economico boliviano
è plurale ed orientato al miglioramento della qualità della
vita e al Buen Vivir” (articolo 306). [...]. Va notato, infine,
che la parola ‘progresso’ non compare nella Costituzione
boliviana.
[...]. In entrambi i casi, l’idea del Buen Vivir è direttamente
legata ai saperi ed alle tradizioni indigene. [...]. Inoltre, entrambe le Costituzioni si dirigono verso un’altra tipologia
di sviluppo, con l’indicazione di un profondo cambiamento
nelle economie. Il mercato da solo non è la soluzione, non
lo è neppure lo Stato. Ma subordinare lo Stato al mercato
porta a subordinare la società alle relazioni mercantili e
all’egolatria individualista. [...].
Vi sono anche importanti differenze tra la proposta boliviana e quella ecuadoriana. Nel caso della Bolivia, il suma qamaña e gli altri concetti associati sono principi etico-morali
e non appaiono come diritti. Essi si focalizzano nella defi-
31
POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR
nizione del quadro di una società che si definisce plurinazionale. [...]. Nel caso ecuadoriano, invece, il sumak kawsay
è presentato su due livelli: come il quadro di una serie sostanziale di diritti, e come espressione di gran parte dell’organizzazione ed esecuzione di questi diritti, non solo nello
Stato, ma nell’intera società. Si tratta di una formalizzazione di maggiore ampiezza ma ancora più accurata, poiché il
sumak kawsay appare all’interno dell’insieme dei diritti e
anche come contrappeso a un nuovo regime di sviluppo. Invece, nel testo costituzionale boliviano questo legame tra il
suma qamaña e i diritti non è esplicito; per esempio, non vi
è alcun riferimento a questo concetto nella sezione riguardante i diritti fondamentali. Nel testo boliviano il suma qamaña è chiaramente presentato come uno degli scopi dello
Stato. Invece, nella Costituzione ecuadoriana il Buen Vivir
possiede un alto livello di gerarchia, e da questa circostanza
derivano molti diritti.
La dimensione plurinazionale risulta essere più forte nel
caso della Bolivia, arrivata a riconoscere 36 lingue indigene oltre al castigliano; un punto non raggiunto in Ecuador.
La dimensione ambientale è invece più intensa in Ecuador,
dove per la prima volta sono stati riconosciuti i Diritti della
Natura (articoli da 71 a 74). [...].
DIFFUSIONE E PRATICHE
DEL BUEN VIVIR
I
l dibattito sul Buen Vivir in Ecuador e Bolivia si è
diffuso in America Latina […] grazie a un interesse
rafforzato dalle discussioni accademiche e pratiche
sull’applicazione e lo sviluppo di quest’idea.
Allo stesso tempo si verificano le prime applicazioni ed affiorano le tensioni derivanti da queste innovazioni costituzionali. Un importante esempio è il “Plan Nacional para el
Buen Vivir, 2009- 2013” dell’Ecuador (SENPLADES, 2009).
Il testo stabilisce l’allontanamento dai programmi classici di
“sviluppo” nazionale. Il piano parte definendo il Buen Vivir una reazione di fronte ai precendenti stili di sviluppo
di stampo neoliberista [...]. Oltre a questo, ha come obiettivo l’abbandono dell’antropocentrismo occidentale al fine
di generare altre relazioni con la natura e ricercare l’uguaglianza, la giustizia sociale e la valorizzazione di altri saperi.
Il Buen Vivir, almeno concettualmente, si profila come una
versione che supera lo sviluppo “alternativo” e prova ad essere una “alternativa allo sviluppo”; in sintesi, un’opzione
radicalmente diversa da tutte le idee di sviluppo. Questa
32
costruzione troverà l’opposizione di ideologie radicate che
contemplano lo sfruttamento di ricchezze naturali enormi,
sorgeranno quindi molte tensioni e contraddizioni. Questo
spiega le difficoltà e le contraddizioni nella pratica, il perché in molti casi si è tornati a cadere nuovamente nelle vecchie strategie estrattiviste nel campo petrolifero e minerale.
Mentre nel caso ecuadoriano non sono state delineate le vie
d’uscita dall’estrattivismo, il Piano Nazionale di Sviluppo
(2006) della Bolivia indicava il Vivir Bien come modello da
seguire, ma nonostante questo non riusciva a fermare l’intensificarsi dell’attività estrattiva. [...].
Il ritorno a un concetto in costruzione. Insomma, il Buen
Vivir stesso è un concetto in costruzione. Un’idea che emerge dal mondo andino e amazzonico, ma che raccoglie preziosi contributi elaborati negli altri angoli del mondo. In
questo modo, presenta un ancoraggio storico nel mondo
indigeno, e al contempo in principi che sono stati portati
avanti da correnti occidentali restate subordinate per molto tempo. Risponde a vecchi problemi come eliminare la
povertà o conquistare l’uguaglianza, insieme ad altri nuovi,
come la perdità della biodiversità o il cambiamento climatico globale.
[...]. Il Buen Vivir propone uno “spaiamento” tra la qualità
della vita e il progresso. Alla stessa maniera difende l’articolazione tra la molteplicità delle culture e una nuova relazione con la natura. Il Buen Vivir, per queste ragioni, dev’essere
costruito a partire da concezioni di relazionalità, anziché
dal dualismo natura/società. [...]. Occorre rammentare che
questi stili di vita, che propugnano la relazione armonica
tra gli esseri umani e la natura, con tutti i limiti che si possono incontrare, sono stati alla base di quelle culture indigene capaci di resistere a oltre 500 anni di colonizzazione
e sfruttamento. Il Buen Vivir, infine, offre le linee guida da
seguire per costruire collettivamente stili diversi e alternativi al progresso materiale.
Traduzione di Fabrizio Verde
* Docente e ricercatore (CLAES / Centro Latino Americano de
Ecología Social, Montevideo), saggista e analista in temi sviluppo
sostenibile
** Docente e ricercatore (FLACSO / Facultad Latinoamericana de
Ciencias Sociales, sede Ecuador), già docente presso le università di
Quito, Guayaquil e Cuenca (Ecuador), e Complutense de Madrid
(Spagna)
NUOVE COSTITUZIONI
BOLIVIA
EQUADOR
Art. 1
Art. 1
La Bolivia si costituisce come Stato Sociale Unitario
di Diritto Plurinazionale Comunitario, libero, indipendente, sovrano, democratico, interculturale,
decentralizzato e con autonomie. La Bolivia si fonda
sulla pluralità e sul pluralismo politico, economico,
giuridico, culturale e linguistico, all’interno del processo di integrazione del Paese.
L’Ecuador è uno Stato Costituzionale di diritto e giustizia, sociale, democratico, sovrano, indipendente,
unitario, interculturale, plurinazionale e laico. Si da
come forma organizzativa la Repubblica e si governa
in modo decentralizzato.
La sovranità ha le sue radici nel popolo, la cui volontà è il fondamento dell’autorità, e si esercita attraverso gli organi del potere pubblico e le forme di
partecipazione diretta previste dalla Costituzione. Le
risorse naturali non rinnovabili del territorio dello
Stato appartengono al suo patrimonio inalienabile,
irrinunciabile e inviolabile.
Art. 5I.
Sono lingue ufficiali dello Stato il casigliano e tutte
le lingue delle nazioni e popoli indigeni originari
contadini, che sono: ayamara, araona, baure, bésiro,
canichana, cavineño, cayubaba, chàcobo, chimàn,
ese ejja, guaranì, guarasu’we, guarayu, itonama,
leco, machajuyai-kallawaya, machineri, maropa,
mojeño-trinitario, mojeño- gnaciano, moré, mosetén, movima, pacawara, puquina, quechua, sirionò,
tacana, tapiete, toromona, uru-chipaya, eenhayek,
yaminawa, yuki, yuracarè e zamuco.
Art. 8I. e II.
Lo Stato assume e promuove come principi etici e
morali della società plurale: ama qhilla, ama llulla, ama suwa (non essere pigro, non essere bugiardo, non essere ladro), suma qamaña (vivere bene),
ñandereko (vita armoniosa), teko kavi (buona vita),
ivi maraei (terra senza male) e qhapaj ñan (cammino
o vita nobile).
Lo Stato si regge sui valori di unità, uguaglianza,
inclusione, dignità, libertà, solidarietà, reciprocità,
rispetto, complementarietà, armonia, trasparenza,
equilibrio, uguaglianza di opportunità, equità sociale
e di genere nella partecipazione; benessere comune,
responsabilità, giustizia sociale, distribuzione e redistribuzione dei prodotti e dei beni.
Art. 2
La bandiera, l’emblema e l’inno nazionale, stabiliti
dalla legge, sono simboli della patria. Il castigliano
è la lingua ufficiale dell’Ecuador; il castigliano, il kichwa e lo shuar sono le lingue ufficiali di relazione
interculturale. Le altre lingue ancestrali sono di utilizzo ufficiale per i popoli indigeni nelle zone dove
essi vivono e nei termini stabiliti dalla legge. Lo Stato
rispetterà e stimolerà la loro conservazione e il loro
utilizzo.
Art. 10.
Le persone, le comunità, i popoli, le nazionalità e le
collettività, sono titolari e godono dei diritti garantiti
dalla Costituzione dagli strumenti internazionali.
La natura sarà titolare dei diritti che le sono riconosciuti dalla Costituzione.
33
POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR
Le relazioni internazionali
nella visione del Comandante
Supremo Hugo Chávez
Elementi geopolitici, geostrategici e geoeconomici
di Amarilis Gutiérrez Graffe*
CONTESTO REGIONALE
Commercio dei Paesi (ALBA-TCP).
on tutte le sue imperfezioni e proroghe, il processo di integrazione regionale è riuscito a realizzare importanti progressi istituzio- nali, accordi e
compromessi, innovativi pro- grammi di cooperazione, consolidandosi in diversi campi. Gli schemi sub-regionali sono così disposti: Comunità Andina delle Nazioni
(CAN), Sistema di Inte- grazione Centroamericano (SICA),
Comunità dei Caraibi (CARICOM) e il Mercato Comune
del Sud (MERCOSUR) e ancora, nei progressi dell’Associazione degli Stati dei Ca- raibi (AEC), nell’Associazione
Latinoamericana di Integra- zione (ALADI) e nella sottoscrizione di numerosi accordi bilaterali e plurilaterali che
ampliano ed approfondiscono il processo.
Su scala regionale, forse il fatto più sensazionale fu l’Integrazione e lo Sviluppo della Cima dell’America Latina e dei
Caraibi, effettuata in Salvador, Costa di Sauípe in Brasile, il
16 e 17 dicembre del 2008, la quale riunì 34 Capi di Stato e
di Governo della regione e quasi la totalità degli Organismi
Regionali e Sub-regionali di integrazione e cooperazione,
così come anche alte personalità impegnate nel processo di
integrazione dell’ ALC.
C
Praticamente nessun paese della regione è rimasto esente
da qualche vincolo nell’integrazione regionale. Gli accordi
di integrazione regionale sono ALADI, AEC, UNASUR e
ALBA-TCP; mentre quelli tipicamente sub-regionali sono
CAN, CARICOM, SICA e MERCOSUR.
Tra i meccanismi istituzionali che hanno fortificato l’integrazione dell’ ALC nel periodo analizzato menzioniamo la
conformazione politica ed organizzativa dell’Unione delle
Nazioni Sud-americane (UNASUR), i progressi nel funzionamento del Mercato e dell’ Economia Únicos dei Caraibi,
l’inizio dell’Unione Doganiera Centroamericana, l’ampliamento del Progetto Mesoaméricano, i progetti dell’Alleanza
Bolivariana per i Paesi della Nostra America e il Trattato del
I Presidenti, tra le altre cose, espressero nella Dichiarazione di Salvador de Bahía, la convinzione che l’integrazione
politica, economica, sociale e culturale dell’America Latina
e dei Caraibi fosse un’aspirazione storica dei propri paesi e
che costituisse un fattore necessario per inoltrarsi nello sviluppo sostenibile e nel benessere sociale di tutta la regione.
Nel caso specifico della partecipazione del Venezuela, le
Linee Generali del Piano di Sviluppo Economico e Sociale
2007-2013 (2007), dichiarano che:
La realizzazione di un mondo multipolare implica la creazione di nuovi poli di potere che rappresentino la ripartizione dell’egemonia dell’imperialismo nordamericano,
nella ricerca della giustizia sociale, della solidarietà e delle
garanzie di pace attraverso la ricerca del dialogo fraterno
tra i popoli, il rispetto delle libertà di pensiero, la religione e
l’autodeterminazione dei paesi.
Finalmente nel contesto regionale e sub-regionale del
sud-America la Repubblica Bolivariana del Venezuela ha
avuto ed ha ancora un ruolo trascendente, poichè ha contribuito a formulare le basi concettuali dell’analisi geopolitica,
intesa come ricerca della massima autonomia energetica, da
realizzarsi sia economicamente che tecnologicamente, preservando il patrimonio ecologico ed energetico territoriale
della regione di Magallanes, realtà che deve essere definita
ed intesa come interesse pubblico.
Le risorse energetiche rinnovabili e non rinnovabili di cui
dispone la regione di Magallanes, conferiscono una nuova
importanza strategica, geopolitica ed oceano politica.
34
Da una prospettiva geopolitica, il risultato della massima
autonomia energetica relativa alla regione, di medio e lungo
termine, costituisce una necessità che diventa sempre più
stimolante, se si osserva il deterioramento che hanno arrecato le risorse di petrolio e gas naturale, conseguenza del
suo rapido sfruttamento.
Il Venezuela, con lo scopo di diminuire lo squilibrio energetico e facilitare l’integrazione dei paesi latini, ha esposto
fondamentalmente il principio di solidarietà e complementarità dei paesi dell’America Latina e dei Caraibi, e per
riuscirci ha creato un’impresa multistatale chiamata Petroamérica.
CONTESTO EMISFERICO
I
n questo contesto si apre un nuovo commercio che
darà i suoi frutti a medio e lungo termine, procedendo
vittoriosa- mente nella lotta contro la vulnerabilità che
oggi caratteriz- za ancora il paese.
Esempio di questa politica internazionale è il Petrocaribe
che si sta inoltrando con passo costante verso l’integrazione dei paesi dell’America latina e dei Caraibi attraverso una
solidarietà condivisa.
Petrocaribe è un’iniziativa di cooperazione energetica solidale proposta per il Governo Bolivariano del Venezuela
ed incorniciata dall’ Alba, con l’intento di risolvere lo squilibrio che si evidenzia nell’accesso alle risorse energetiche,
attraverso un nuovo schema di scambio favorevole, equo ed
adeguato, tra i paesi della regione caraibica, per la maggioranza consumatori non sottoposti al controllo statale della
somministrazione delle risorse.
Petrocaribe rientra in Petroamerica, un’ iniziativa geopolitica orientata verso l’organizzazione di meccanismi di cooperazione ed integrazione il cui punto di forza è l’utilizzo
delle risorse energetiche delle regioni dei Caraibi, America
Centrale e Sud-America, piattaforma per l’impulso socioeconomico dei paesi del continente.
Si apre un nuovo commercio che darà i suoi frutti a medio e lungo termine, procedendo vittoriosamente nella lotta
contro la vulnerabilità che oggi caratterizza ancora il paese.
Esempio di questa politica internazionale è il Petrocaribe
che avanzando procede con passo costante verso l’integrazione dei paesi dell’America latina e dei Caraibi attraverso
una solidarietà condivisa.
L’alleanza strategica tra gli operatori nazionali di energia ha
lo scopo di fortificare e trasformare la fonte in uno strumento efficace a garantire una totale somministrazione
energetica, un’iniziativa venezuelana che favorisce il concetto di complementarità economica.
E come l’integrazione regionale anch’essa è una questione
di Stato, si tratta infatti di un processo che cerca di svilupparsi in forma progressiva mediante accordi bilaterali o sub
regionali. Con questa iniziativa venezuelana, l’integrazione
energetica ha lasciato il contesto emisferico per spostarsi in
uno scenario strettamente latinoamericano e sud-americano; una trasposizione che dipende dal processo di trasformazione dello Stato venezuelano.
CHÁVEZ: POLITICA ESTERA E
SOLIDARIETÀ
L
a dinamica del prototipo del Pensiero Strategico
del Comandante Supremo Hugo Rafael Chávez
Frías circa le Relazioni Internazionali, si concentra
sull’unione con altri paesi per:
A) La diversificazione delle relazioni politiche, economiche
e culturali.
B) La creazione di nuovi blocchi di potere.
C) La ricerca di giustizia sociale, la solidarietà e le garanzie
di pace, con la ricerca del dialogo fraterno tra i popoli, il
rispetto delle libertà di pensiero e di religione.
D) Il rafforzamento degli interessi politici comuni tra i paesi.
E) La ricerca dell’amicizia, fiducia e solidarietà per la cooperazione e coefficienza dei paesi affiliati.
Traduzione di Simona Palumbo
*Console generale
Consolato Generale della Repubblica Bolivariana
del Venezuela a Napoli
CELAC, NUOVI SEGNALI DI UNITÀ
Al terzo vertice della Comunità degli Stati Latinoa- mericani e dei Caraibi (Costa Rica, gennaio 2015), tutti
i capi di Stato che compongono il blocco regio- nale dei 33 Paesi hanno diffuso un comunicato nel quale
criticano le azioni unilaterali intraprese dagli Stati Uniti contro il Venezuela (le sanzioni contro alcuni funzionari venezuelani accusati di avere avu- to un ruolo nella repressione delle proteste contro il governo nei
primi sei mesi del 2014; e le restrizio- ni sui visti per funzionari accusati di violazione dei diritti umani e
corruzione). Il documento ribadisce inoltre il rifiuto all’adozione di misure coercitive unilaterali contrarie
al diritto internazionale e l’im- pegno del blocco regionale “a non intervenire, diret- tamente o indirettamente, negli affari interni di un altro Stato”, nel rispetto della sovranità nazionale e dell’autodeterminazione
dei popoli. I cinque pilastri per i prossimi anni saranno: ridurre povertà estrema e disuguaglianze; educazione; scienza, tecnologia e innovazione; medio ambiente e cambiamento clima- tico; finanziamento per
lo sviluppo, infrastrutture e trasporti; oltre a proseguire nel potenziamento del ruolo della CELAC come
blocco regionale.
35
POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR
I Caraibi. Una sola possibilità di integrazione
La diplomazia dei popoli
di Andrés Bansart
T
radizionalmente, la diplomazia è la scienza e l’arte delle relazioni internazionali, corrisponde alle
conoscenze ed alle competenze necessarie per
riuscire a ottenere la coesistenza tra gli stati. Nei
Caraibi, la situazione geopolitica è molto particolare: i molteplici territori della regione hanno status giuridici e politici
variegati. Molti sono basati su metropoli extra-regionali situate a diverse migliaia di chilometri di distanza in contesti
geografici, storici, e umani che non hanno nulla a che vedere con la regione (salvo che per i passati legami coloniali).
Nei Caraibi non vi sono relazioni tra paesi, bensì tra popoli che vivono geograficamente vicini ma giuridicamente
lontani gli uni dagli altri. I popoli dei Caribi desiderano e
necessitano d’integrarsi.
Come promuovere allora relazioni amichevoli, incentivare
la cooperazione e realizzare l’integrazione regionale? In maniera indiretta passando per la diplomazia
di quelle metropoli lontane e sottomettendosi a interessi economici, strategici o altri,
estranei alla regione?
Senza scartare a priori le azioni che possono essere realizzate nel quadro della diplomazia tradizionale come, per esempio,
la determinazione delle linee di confine,
nella misura del possibile, per risolvere
certi problemi “internazionali” pare indispensabile, soprattutto in una regione
tanto eterogenea come questa, conoscersi,
riconoscersi reciprocamente, dialogare e
cooperare tra popoli.
Questo tenendo conto della diplomazia dei
paesi indipendenti della regione, la quale
può incitare, incentivare e appoggiare la
diplomazia dei popoli.
Parliamo di una diplomazia diretta che
corrisponderebbe alla democrazia diretta,
una diplomazia
attiva, audace e creativa nella quale – ripetiamo – tutti i popoli dei Caraibi possano
partecipare in egual misura. Si tratta, ovviamente, di una proposta totalmente decentralizzata, multifocale, la cui dinamica
sarà data dalle comunità di base. Non si
tratta, quindi, di confrontare le condizioni di un territorio con quelle di un altro
e consultare le autorità al fine di decidere
chi deve dialogare con chi. Lo abbiamo
già detto, le strutture giuridiche dei diversi
36
territori sono differenti. Si tratta di una diplomazia senza
diplomatici.
Il concetto di diplomazia dei popoli potrebbe essere inteso
in modo molto diverso in altre regioni del mondo. Finanche
in altre zone della Nuestra América potrebbe essere definita
e organizzata in maniera differente. Così, in Sud America,
tra i paesi indipendenti – adesso con l’aiuto e il sostegno
dell’Unasur (Unione dell’America del Sud) – si possono
immaginare e realizzare sistemi di relazioni per l’avvicinamento tra i popoli. È possibile, ad esempio, creare sistemi
di relazione e integrazione nelle aree di confine visto che
come spesso accade una stessa popolazione indigena vive
in diversi paesi limitrofi: il popolo yanomamis in Brasile e
Venezuela; i guajiros tra Venezuela e Colombia; oppure i
quechuas dei paesi andini. Tutti questi popoli indigeni hanno la stessa storia, parlano la stessa lingua e condividono la
stessa cultura, ma sono stati separati da frontiere ereditate
dal periodo coloniale. Gli stati possono creare meccanismi
all’interno delle loro relazioni per agevolare la vita di questi
popoli e permettergli di organizzarsi per difendere i loro
diritti e organizzare la vita comunitaria.
Un altro esempio potrebbe essere l’avvicinamento guidato
da gruppi di cittadini boliviani e cileni con l’obiettivo di attivare un dialogo tra i rispettivi paesi, in modo che fossero
riprese formali relazioni diplomatiche al fine di porre fine
ad un conflitto antico e di difficile risoluzione. Anche in
questi casi si è soliti parlare di “diplomazia dei popoli” che
si identifica con una certa partecipazione e differisce dalla
“diplomazia dei popoli” praticata qui nei Caraibi, che corrisponde piuttosto alla democrazia diretta. Perché se sono
forme diverse di democrazia hanno lo stesso nome? Nei Caraibi, dunque, la situazione è variegata e molto sui generis.
La regione, lo sappiamo, è un rompicapo molto complesso
e, se vogliamo una vera integrazione sono i popoli stessi che
devono assumere questa sfida.
Per questo possiamo parlare di diplomazia diretta nello
stesso modo, anche se in riferimento a un’altra sfera, in cui
abbiamo parlato di democrazia diretta. Entrambi i concetti
possono essere applicati nei Caraibi e condurre i popoli verso una cooperazione finora quasi inesistente, che si riflette
solo in iniziative sparse e occasionali; ma fino a questo momento non si può parlare ancora di diplomazia dei popoli.
A volte viene menzionato il termine diplomazia cittadina,
concetto relativo al diritto e alla capacità d’intervento delle
associazioni di cittadini in quegli spazi fino ad ora riservati
alle istituzioni nazionali, come i ministeri degli esteri o taluni organismi internazionali. Nel nostro caso, l’obiettivo non
è quello di condividere lo spazio con queste istituzioni, ma
consentire a tutti i popoli senza alcuna eccezione, di trovarsi su di un piano di parità, riunirsi come e quando desiderano, discuetere le problematiche comuni, creare così ponti
tra le comunità di base che hanno gli stessi interessi, comparare le esperienze e, se possibile, progettare programmi
di cooperazione, valutarli ed eseguirli in autonomia senza
alcuna interferenza da parte “autorità ufficiali”.
Cosa sono queste comunità di base? Ricordiamo che una
comunità di base è un’associazione autonoma di persone
che hanno deciso, volontariamente, di unirsi e collaborare.
Funziona sulla base dei principi della democrazia diretta e
si pone lo scopo di ottenere benefici per i propri membri, le
loro famiglie e la base locale, in campo sociale, ecologico,
economico, educativo, culturale e quant’altro. Il suo obiettivo è quello di far fronte – come organismo collettivo – a
precise esigenze in uno o più settori tra quelli appena citati.
Tra i valori delle comunità di base vi sono il rispetto reciproco e i saperi condivisi, la solidarietà, la partecipazione
paritaria e diretta di tutti i membri, l’uguaglianza rispetto a
diritti e doveri. Vengono promossi valori etici di onestà, trasparenza, responsabilità sociale e impegno per gli altri, vale
a dire, con le altre comunità che costituiscono l’ambiente
umano e, soprattutto con gli esclusi, quelle persone o gruppi di persone che sono o si sentono emarginati.
Per quest’ultimi vanno fatti sforzi per la comprensione e
l’inclusione.
Quando si parla di comunità di base, si pone l’accento sulla condivisione, la comunicazione e il lavoro comunitario.
Viene sottolineata la circostanza che si tratta di conformazioni composte da persone che vivono in uno spazio preciso
e relativamente piccolo, che si conoscono tra loro, si vedono con frequenza e possono collaborare quotidianamente.
Sono comunità di questo tipo quelle aventi le caratteristiche
e le capacità necessarie per costruire ponti tra i diversi territori dei Caraibi e spingere verso l’integrazione.
Di conseguenza, la diplomazia dei popoli è molto differente dalla diplomazia degli stati, senza per questo entrare in
constrasto con essa. Risponde a una legge di visibilità e consiste in un’azione diretta, attiva, flessibile, adattabile a tutte
le circostanze. E’ agli antipodi rispetto alla diplomazia degli
affari; è la diplomazia della dignità.
Diplomazia dei popoli significa scambio tra comunità di
base di due o più territori: condivisione di preoccupazioni,
analisi ed esperienze. Rappresenta la possibile elaborazione
di progetti tra comunità di base miranti al comune sviluppo
umano e alla salvaguardia dell’ambiente.
Non è possibile, per tutte queste ragioni, il verificarsi
dell’ingerenza di un territorio in un altro, ma al contrario vi
saranno dialogo e cooperazione che potranno diffondersi
nell’intera regione.
La diplomazia dei popoli è un aspetto della democrazia diretta che esce da un piccolo territorio e si proietta nell’insieme dei Caraibi. Non è sufficiente la partecipazione ma è
essenziale realizzare e rafforzare l’autogestione su scala interregionale scala affinchè i popoli, uniti, possano conquistare i propri diritti civili e migliorare la qualità della loro
vita.
I CERCHI DELL’INTEGRAZIONE
I
n un altro lavoro abbiamo parlato di cerchi dell’integrazione, il cui sviluppo deve avvenire attraverso cerchi concentrici. Insistiamo su questa ipotesi quando ci
riferiamo alla possibilità di una integrazione caraibica.
Il centro dev’essere, a nostro avviso, la comunità di base,
perché è il luogo dove s’incontra l’uomo in carne ed ossa,
l’essere umano che soffre, ha fame ed è senza lavoro, e che
quindi, ha da risolvere problemi concreti. E lì che possiamo
trovare quella che definiamo comunità di base, costituita da
donne e uomini che si conoscono, sono vicini, patiscono
gli stessi problemi e possono, uniti, trovare soluzioni a questi problemi (in materia di alloggi, occupazione ,istruzione, acqua potabile, rifiuti e raccolta differtenziata, incontri
culturali, sicurezza e quant’altro). Nella comunità di base è
necessario integrarsi per migliorare le condizioni di vita. Se
lì si realizzerà una vera integrazione, si potrà avanzare a un
livello superiore intorno a questo punto, per cerchi concentrici: il comune, la provincia, il territorio nel suo complesso,
poi i Caraibi. Risulta evidente, che i cerchi dell’integrazione
devono partire dal territorio più piccolo sino ad arrivare a
37
POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR
quello più grande. Fino a questo momento si è cercato di
realizzare un’integrazione dall’alto verso il basso, dai vertici politici, sociali ed economici, agli uffici governativi, alle
amministrazioni.
Alla base non è accaduto nulla.
Noi pensiamo che siano le basi quelle che devono integrarsi. In primo luogo, sapere che cosa è l’integrazione e agire di
conseguenza dall’interno. In seguito, conoscendo le proprie
potenzialità, costruire l’integrazione dal basso verso l’alto,
per cerchi concentrici. Ma – parleremo di questo alla fine
del capitolo – questi cerchi dovranno essere anche in comunicazione diretta tra loro, senza intermediari, orizzontalmente. Agendo in questo modo potrà essere raggiunta
l’integrazione dei Caraibi.
RELAZIONI CON GLI ORGANISMI
UFFICIALI
L
e proposte contenute in queste pagine potrebbero spaventare qualcuno. Non solamente gli antidemocratici che, naturalmente, vedranno in esse
la possibilità di rafforzare una vera democrazia e
una mobilitazione popolare che non potranno controllare.
A noi non interessano i timori di questa gente. Quello che
ci interessa è la perplessità di alcune istanze democratiche
ufficiali dei Caraibi che potrebbero intravedere dei rischi
nelle iniziative (anche se totalmente legali) delle comunità
di base. Noi conosciamo bene i rischi, ma molte persone
temono l’ignoto. E, di certo, noi affrontiamo l’ignoto perché
ci troviamo dinanzi a delle novità:l’ esplorazione dell l’immenso potenziale creativo dei popoli che, grazie a questa
iniziativa, potranno essi stessi ideare progetti inediti di società e dar vita alla cooperazione per lo sviluppo endogeno
dei Caraibi.
Se sono democratici, le autorità o gli eletti della democrazia
rappresentativa invece di mostrare preoccupazioni dovrebbero gioire, perché in queste iniziative vi è il germe fondatore di una democrazia rafforzata. Se sono eletti, con la democrazia diretta eviteranno l’isolamento politico e saranno
parte di un tutto. I loro ideali democratici saranno rafforzati
e rivitalizzati. Se sono autorità, invece, dovranno ricordare
l’etimologia del termine: una parola che deriva dal latino
augere (aumentare). Il ruolo che gli è assegnato è quello
di migliorare la gestione della cosa pubblica e vedranno in
questa mobilitazione, la possibilità di moltiplicare, ingrandire i risultati dei loro sforzi in maniera tale da aumentare
l’impegno della cittadinanza nella costruzione della città.
Per il bene di tutti e la felicità di ognuno.
Per questo, invece di agitarsi gli organismi ufficiali – qualunque essi siano, nei diversi sistemi giuridico-politici dei
Caraibi – dovrebbero incentivare le iniziative delle comunità di base, la democrazia diretta e la diplomazia dei popoli.
Incentivare non significa interferire. Devono essere le comunità di base a prendere l’iniziativa e concretizzare le
azioni. Gli organismi ufficiali possono (e dovranno) propi-
38
ziare queste iniziative e fornire i mezzi necessari per realizzare queste attività.
ORGANIZZAZIONE DELLE
COMUNITÀ DI BASE
N
on è questo lo spazio per spiegare come possono essere organizzate le comunità di base.
Sull’argomento ci sono manuali eccellenti. Inoltre, sono le comunità stesse a dover decidere il
proprio modello di autogestione. Tuttavia, al fine di conoscere il processo che va dal concetto di democracia diretta
alla prassi della diplomazia dei popoli, ci sembra utile formulare alcuni principi funzionali che riteniamo siano importanti.
Le comunità di base sono gruppi sociali auto-organizzati,
vale a dire, nuclei costituitisi per la risoluzione di alcuni
specifici problemi. L’autogestione è allo stesso tempo, un
metodo e una dinamica di cambiamento sociale. Partono
da una concezione ben precisa della vita per arrivare all’assunzione di un approccio attivo ed esigono che da parte dei
propri membri vi sia capacità, visione chiara, e volontà mettere in pratica la democrazia diretta. I suoi membri possono
essere uomini o donne, uniti o separati a seconda del progetto, adulti o giovani, ma anche anziani che possono essere
molto d’aiuto con la loro saggezza e, talvolta, con il tempo
libero di cui dispongono.
In questo senso, si potrebbe articolare quanto affermato
in precedenza rispetto alle università, di cui deploriamo
il fatto che nella maggioranza non svolgano il ruolo che,
a nostro giudizio, a loro spetterebbe in relazione allo sviluppo dei territori nelle quali sono stabilite. Se le università
tradizionali non lo fanno, dobbiamo dar vita a università
popolari cooperative volte a creare conoscenza a partire
dalle pratiche sociali delle popolazioni, consentire ai membri delle comunità di base d’istruirsi in maniera reciproca e
permanente, offrire assistenza alle comunità in modo che
queste possano organizzarsi, identificare i problemi, analizzarli, progettare piani e programmi, autogestirsi e realizzare
opportune valutazioni circa le proprie azioni.
Quello che a noi qui interessa è l’integrazione dei Caraibi,
le comunità di base devono stabilire ponti con comunità simili e con esse organizzarsi in rete. Le università popolari
e cooperative sarebbero a loro disposizione per analizzare
la realtà dei Caraibi, aiutare a conoscere gli altri territori e
popoli della regione, apprendere la storia comune e le storie
particolari, valorizzare le culture popolari, studiare l’evoluzione economica, evidenziare i danni ecologici da questa
provocati nel corso dei secoli, e apprezzare la biodiversità e
l’etnodiversità dei Caraibi.
Traduzione di Fabrizio Verde
Docente di Sviluppo e ambiente (Universidad Simón Bolívar, Caracas), già professore emerito (Université François Rebelais Tours,
Francia)
Belligeranza e solidarietà
Nuove identità
di Duilio Medero*
I
l concetto di solidarietà al quale ci riferiremo indica
quella volontà politica che mobilita l’azione sociale al
fine di sostenere la causa di emancipazione e di anti-egemonismo che oggi caratterizza l’America Latina. Nel
comportamento individuale, essa rianima atteggiamenti
deliberativi, critici, concordi con la giustizia e l’equità sociale. In ambito organizzativo è attuata da partiti, governi
e organizzazioni, sostenuti dagli enti territoriali sorti nei
processi rivoluzionari in atto da tempo, i quali sono anche
debitori diretti o indiretti dell’impatto geopolitico di Hugo
Chávez e della sua opera. La solidarietà manifestata oggi nel
territorio, ha una forte consapevolezza della conflittualità
che è in gioco, sia a livello nazionale che internazionale.
La idea di solidarietà è una costante dall’enorme forza simbolica nella cultura latinoamericana. Dall’eccessiva falsità
scaturita dai discorsi della Conquista, pieni di appellativi
come “unione e mansuetudine indigena”, adesione forzata, accolti dalla dottrina della Chiesa, fino alle letterature
politiche repubblicane ed oltre, il tema della solidarietà
condisce ogni genere di appello. L’America, immensamente
caratterizzata da una solidarietà tribale, civilizzatrice, autoctona, vedrà strappato quel patrimonio con il sangue e
con il fuoco, con la spada e con la croce. Bisognerà aspettare
l’arrivo della prospettiva antropologica che caratterizzerà il
XX secolo per capire a fondo e rivendicare le sue ricchezze, le sue forze, la sua esemplare singolarità. Ma persisterà,
essendo fondamento primario per la resistenza indigena, e
sopravvivrà con vigore arrivando fino ai nostri giorni.
Ma se parliamo di conflitti, la tradizione ispano-americana
ha una copiosa e longeva tradizione nel dare applicazione
alla solidarietà: le guerre campali lo testimoniano: la coalizione Argentina-Uruguay-Brasile, asserragliata contro l’eroico Paraguay (1865 -1870); il Cile contro il Perù (1879);
il Chaco (1932 -1935)… tali scontri - propizi per il grande
capitale straniero - chiamano alla solidarietà diplomatica
di fronte a tante avversità; continueranno ad accrescere la
consapevolezza delle assurdità della storia piena di contraddizioni. I danni arrecati al Messico (1835) o Panama (1903),
che ingigantiscono il potere degli USA, scatenano anche indignazione e urgenze solidali, che essendo però esercitate
da nazioni troppo deboli, non vanno oltre l’essere semplici lezioni morali, seppure piene di insegnamenti strategici
racchiusi nel supremo aforisma: Si bis pacem, para bellum.
L’invasione alle Malvine (1982), e quella a Panama (1989)
saranno il maggiore avvertimento per tutto il territorio. Le
nuove solidarietà dovranno fare memoria di questo monito, imparato con il sangue e con il fuoco, e renderlo realtà
a qualsiasi costo. Inevitabilmente questi conflitti divengono belligeranza, assumono le nuove modalità della guerra
e, con la stessa dinamica geopolitica, trasformano la spinte
solidali in forze attive della stessa.
SOLIDARIETÀ E MODERNITÀ
L
a solidarietà borghese originariamente era belligerante, il suo fine era quello di conquistare il potere
durante il secolo XVIII. Le strutture rigorosamente
non-politiche si basarono su una serie di collegamenti che avevano l‘intento di rafforzare la consapevolezza
della classe sociale, stabilire il proprio campo culturale ed
istituire unità di potere corporativo, commerciale e finanziario. La Francia eccelse nella formazione e propagazione
di tali atteggiamenti. Nel frattempo, i club e le società scientifiche in Inghilterra formarono una poderosa e influente
rete di solidarietà. Inevitabilmente, la politica ufficiale e
specifiche iniziative si associarono per proiettare l’immagine di una società di successo, trionfante, espressione dei
nuovi tempi, una civiltà lanciata a conquistare spazio nel
mondo. Questa necessità avrebbe conformato un particolare senso di solidarietà ed è ciò che caratterizzò le re-
39
POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR
pubbliche nascenti a partire dal 1800; in questo processo il
pensiero politico anglosassone lascerà un segno profondo.
Anche la necessità di un cambiamento si tradurrà in una
nuova forza, ossia l’affermazione di processi di lotta per l’Indipendenza, questi si proietteranno verso il Vecchio Mondo, conferendo un impatto politico allo stesso Illuminismo.
Ed ancora, incoraggiando le nuove filosofie di solidarietà,
rendendo il progetto America sinonimo di lotta indomabile per la libertà.
Le rivoluzioni del XX secolo raramente ebbero il potere
di radunare il popolo al fine di conferire alla solidarietà
quel grande potere sociale in quanto il sostegno era molto limitato; tale fu per quella dei lavoratori dinanzi ad una
determinata rivendicazione, o fine politico; o quella di un
proletariato che non fu mai sociologicamente solido né uniforme. Per esempio, i movimenti che accorsero nella lotta
armata in Venezuela e nel Cono Meridionale, non poterono contare su numerosi supporti sociali, ed ottennero una
solidarietà abbastanza limitata ideologicamente che non
avrebbe esercitato nessun obbligo nel cambiamento sociale
né nella presa al potere, in quanto spesso i partiti politici in
rivolta restavano fuori dalla lotta “istituzionale”, emarginati
nella loro società ed è quello che accadde nella “lotta armata” venezuelana del 1960; o con i comunisti e socialisti nel
Cono Meridionale; o ancora con la sinistra in Cile dopo la
sconfitta di Allende. Fino al peronismo, in Argentina, così
tanta energia sarebbe stata illegale. Le abominevoli repressioni, orchestrate dal Piano Condor, determinarono un senso di sottomissione e omertà soprattutto nelle associazioni
di solidarietà politica di sinistra (condannandole alla vita
clandestina), sottoponendo il popolo e la classe media ad
un processo di inibizione della coscienza di classe.
Furono tempi in cui si consolidò un’ideologia liberale, di
fronte ad ogni pensiero socialista, rivoluzionario o rivendicativo della classe sociale. Ma che solidarietà può sorgere
dal laissez-faire? In primo luogo, essendo una celebrazione
dell’individualismo, il pensiero liberale difende i comportamenti dell’individuo che ha come unico scopo quello di
ricercare il benessere particolare, privo di contenuti sociali.
Per quanto riguarda la cultura, le libertà che bandisce e afferma di difendere non vanno oltre l’adempimento ad alcuni ruoli particolari. Nel campo politico-istituzionale, si
conforma la base (e la ragione di essere) della Democrazia
Liberale, una storia così ricca di eventi dell‘ America Latina
e di quei mediocri risultati che riguardano la realizzazione
delle sue repubbliche. Per questo, tali solidarietà non riuscirono a conseguire quei progetti sociali che sarebbero dovuti
emergere durante la Guerra di Indipendenza. E gli stessi limiti ebbero quei modelli di solidarietà prodotti in periodi
caratterizzati da numerose lotte e da un‘ingiustizia radicata nelle funzioni primarie del governo, un processo che lo
stesso operò con rigore nel XIX e XX secolo. Il nascente
positivismo, a suo modo, dovrà accogliere le solidarietà
come un input sociale per realizzare concretamente ordine
e progresso, degni di vanto.
40
Se si esamina la vasta letteratura riportata nella filosofia
politica e sociale ispano-americana del XIX secolo, e qui ci
troviamo nel Rio de la Plata, le società confidavano nella
realizzazione dell’immagine precisa dell’essere umano come
prodotto della civiltà, ma fu estremizzato nei contenuti e nei
valori dagli europei , condizionando così la percezione della
realtà e la realizzazione fedele ed esatta dell’essere latino-americano. Tuttavia, questa “sindrome” porterà ad un concetto comune: questo fenomeno di “consacrazione dell’individuo straniero” sarà così interpretato da Carlos Pereyra :
«In quell’ambiente caratterizzato dall’inquietudine, il creolo
alimentava i suoi aneliti con chimere […] Privo di fini e,
pertanto, di orientamenti, il creolo li cercò all’estero».
Tuttavia, con queste illustrazioni cariche di valori, non ci si
rapporta alla realtà, così segnata da crude e graffianti contraddizioni. Le voci che rivendicavano l’originalità come
unico criterio valido furono zittite, e solo due secoli più tardi, si comprenderà la qualità di questo discorso e si potrà
parlare di associazioni di solidarietà sia nel civico, culturale,
etico, e, ovviamente, ci sarà la realizzazione di nuove strutture politiche, che vanno dalla democrazia partecipativa e
protagonistica venezuelana fino all‘affermarsi del socialismo.
UNA NUOVA SOLIDARIETÀ
P
ossiamo affermare che la Rivoluzione Bolivariana,
nel suo discorso etico, esaltando il tema dell’identità culturale, si affermò come mezzo di propaganda
di quel senso di solidarietà che con tanta difficoltà
andava affermandosi nel XIX secolo, quando il liberalismo
poté dare libero sfogo ai propri concetti di base ormai già
avviati nella società , imponendo la sua scala di valori fondamentali del successo individuale, l’inumana pratica con
cui si ottenevano ricchezze, discorsi in contrasto con la
tradizione cristiana, i cui valori si erano ben radicati nella
Colonia e progressivamente indeboliti nel corso dei secoli
con la crisi del XIX secolo post-indipendentista e successivamente con l’industrializzazione e il capitalismo nel XX
secolo.
In America Latina si affermò un liberalismo che non ebbe
per nulla successo in quanto, quella solida prosperità economica, alla lunga si sarebbe trasformata solo in una comoda facciata del successo oligarchico che in pratica aveva
lo scopo di corrompere le classi creando scompiglio e farsi
testimone della coscienza degli ostentatori della ricchezza e
dei privilegiati del potere.
Inizialmente Bolívar lo capisce, e sintetizza l’essenza del
problema quando si vede obbligato ad imprecare: “Pensare
che i guadagni di quattro commercianti possano fare la felicità della nazione, significa ignorare i principali elementi
dell’economia politica” (El Correo del Orinoco). Tutto questo alla fine si tramuterebbe in una disgregazione dei principi della solidarietà richiesti dal bolivarismo con lo scopo di
edificare l’unità continentale e raggiungere quella stabilità
repubblicana.
Si è giunti ad una nuova identità sociale delle solidarietà e
un’effettiva lotta contro la sua emarginazione sta portando cipazione. Ed è per questo che questa nuova identità soall’attuale ondata delle valide soluzioni per vincere la po- ciale della solidarietà che oggi va consolidandosi, continua
vertà. Tra le altre caratteristiche: un patriottismo collegato a basarsi su un criterio ben distinto per quanto riguarda
ad un attivismo internazionalista il cui obiettivo principa- l’integrazione; i suoi principi non lasciano dubbi, vengono
le è la resistenza; e quando si sbilanciano con quella forza rilevati nell’ALBA, Mercosur, ALAC, Unasur, Petrocaribe…
integrazionista, nell’ambito degli organi regionali, dette so- Oggi l’America latina è caratterizzata da un intenso e colidarietà consolidano quell‘ordine giuridico che non deve stante sviluppo della solidarietà .
assolutamente perdere quel suo vigore in quanto con esso Tale percezione mette oggi in evidenza che si può trascenrivendicano la sovranità (patrimonio dello Stato, minaccia- dere dalla pura coscienza culturale per stabilirsi in un’ito dalla globalizzazione).
stanza più profonda: la consapevolezza di essere. Così, le
Questo nuova coscienza che caratterizzerà la solidarietà solidarietà non potevano diventare effettive se influenzate
avrà anche diverse responsabilità e si convertirà in quella da problemi di crisi di identità.
che potremmo definire come “pietra angolare” della nuova Una volta individuate le prospettive del conflitto, orientato
Costituzione venezuelana, incaricata nel progetto di pia- verso un nuovo ordine mondiale, si è riscontrata una vonificazione sociale, e nella nuova dottrina di difesa della lontà più definita e fluida rispetto al passato e ciò che risulta
nazione. Così, solidarietà e responsabilità dantrascendente è che non parte nè dalla retorica nè
no origine ad un’impresa che incomincia
dall’utopia ma da un nuovo tipo di realia farsi largo oltre le frontiere, distrugsmo.
gendo barriere ed operati che non
Per tali ragioni, un piccolo consipossiedono altra meta se non
glio comunale di un quartiere
quella di trasformare l’intero
venezuelano, o un comitato
pianeta in un mercato globadell’Altopiano, o una vigorosa
LA RIVISTA
lizzato, a qualunque prezzo.
squadra di cordiali attivisti,
ÁMBITO CÍVICO MILITAR
Questo lo ritroviamo ultecondividono le stesse idee
riormente negli ideali policirca le conseguenze che
Si tratta di una rivista da collezione, con oltre 100 pagine a
tici ed etici del socialismo
loro azioni avrebbero su un
colori. Il contenuto tratta di attualità, storia, nuovo pensiero
del XXI secolo.
probabile conflitto con altri
militare venezuelano, nuove questioni legislative, geopolitiInoltre, se la responsabilità
dominatori.
che, internazionali, nuove tecnologie, partnership, energia,
concede quella forza legale,
E‘ un grande risultato l‘aver
tra le altre cose. È pubblicato bimestralmente con tiratura
è proprio attraverso questo
compreso che la solidarietà
di 5.000 copie. La rivista è anche on line alla pagina
processo che la dottrina di
bellicosa è un valore pratiwww.ceofanb.mil.ve
difesa viene valorizzata, e lo
co, come lo è l’integrazione.
fa con la compatta partecipazioIl modo in cui queste nuove
ne dei cittadini. Si arriva quindi
solidarietà si sono diffuse nella reall‘“inteligencia” e al controllo sociagione, con l‘intento di conseguire un
le. Nella speranza che ci sia stato un camrapido cambiamento o affrontare l’ostrubiamento di rotta ora la cosiddetta rivoluzione
zionismo, senza minacce o sottomissioni ,
stabilisce le distanze nel tempo e nello spazio: riprende
mette in evidenza una condizione specifica da analizzaquelle rivendicazioni amerindie (che irromperanno in Bo- re: l’uomo americano torna a sentire l’urgenza della liberlivia ed Ecuador); evoca quelle lotte per la liberazione che tà, ed è quello che darà a queste solidarietà quel carattere
ruppero con l’assolutismo; ed ancora quelle lotte che carat- battagliero.
terizzarono il periodo neo coloniale e che richiederanno E questo perché non può essere altrimenti, in quanto i
validi soccorsi.
semplici e moderati riformismi ebbero il loro momento in
Così, nei suoi primi anni, Hugo Chávez evocherà frequen- America Latina, la borghesia come potenziale incaricata di
temente Omar Torrijos; questo a sua volta conosceva la un probabile cambiamento ebbe la sua opportunità storica
connessione con le altre lotte del passato, e in un discorso e la sprecò, per lasciare il continente in quell’intrappolacita il combattente indipendentista Amilcar Cabral, il qua- mento neoliberale.
le sostiene: “La solidarietà senza l‘uguaglianza è solo carità, Ma anche l’uscita da questo labirinto ,equivalente ad un
e la carità non ha mai contribuito al progresso delle nazioni enigma storico, ha rivelato un tempo prodigioso ed inarné degli esseri umani. E la sicurezza senza l‘uguaglianza è restabile.
solo un paternale controllo autoritario, protezionismo, colonialismo, ed è questo che sta alla base del conflitto tra il Traduzione di Simona Palumbo
sentimento di liberazione delle nazioni e quello degli esseri
umani” .
*Antropologo, ricercatore e consulente del Ceofanb,
Gli interessi diffusi non riescono a formare legami solidi Ministero della Difesa (Repubblica Bolivariana del Venezuela)
di spessore politico così come accade nei contesti di eman-
41
POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR
L’impegno solidale in Venezuela
Tra governo bolivariano
e media comunitari
di Geraldina Colotti*
S
olidarietà. Una parola che risuona, in Venezuela, da
15 anni, coniugando nei principi del socialismo il
senso della condivisione (compartir). Un concetto
che declina, in nuova veste e con nuove modalità,
l’antico significato della parola “compagno”: cum-panis,
colui o colei con cui si divide il pane. Nonostante quanto
afferma la destra, le politiche di solidarietà non sono semplice assistenza, volta a perpetrare un sistema clientelare, né
rappresentano subdole logiche di asservimento dottrinale.
Il Partito socialista unito del Venezuela (Psuv) non è per le
classi popolari l’equivalente della chiesa cattolica per i poveri, oggetto di beneficenza e destinati a raggiungere una
vita felice solo dopo la morte, in Paradiso. I piani sociali del
governo mirano invece a far crescere la coscienza e l’organizzazione di chi altrimenti sarebbe solo merce e carne da
cannone per il capitalismo. Il presidente Nicolás Maduro lo
ha espresso chiaramente nel suo colloquio in Vaticano col
papa Bergoglio: “venga, la chiesa – ha detto – ad appoggiare
in Africa, lo spirito delle nostre Misiones”. E ha proposto la
beatificazione di Gregorio Hernández, il medico dei poveri
che ha messo al centro della sua vita la solidarietà con gli
ultimi e l’impegno sociale. Rifiutando la logica del palazzo,
il “governo della strada” di Maduro imprime un forte messaggio di solidarietà, condivisione e partecipazione politica,
invitando il popolo e le comunità alla gestione diretta della
società. Una visione che il Comandante Hugo Chavez ha
diffuso intorno a sé fin dai primi momenti della sua attività
politica. Come ci ha raccontato l’editore Manuel Vadell –
suo amico di lunga data – quando Chávez è uscito dal carcere di Yare dopo aver diretto la ribellione civico-militare
del 4 Febbraio, aveva solo la sua pensione da ex ufficiale,
ma la divideva con i compagni che non avevano neanche
quella. E con questo spirito ha condiviso fino all’ultimo col
suo popolo ogni istante della sua vita.
Solidarietà degli oppressi contro l’arroganza e l’egoismo di
chi li sfrutta. Su questa base, le più alte cariche dello Stato
rinnovano la loro scelta di campo: se i capitalisti fuggono
chiudendo le fabbriche, il presidente le occupa, insieme agli
operai. E nessuno viene lasciato a casa, costretto al suicidio
come in Europa perché senza lavoro.
Solidarietà e condivisione ispirano l’impegno dei media
alternativi e comunitari, ai quali Chávez ha dato visibilità e strutture. Ed è stato il tam tam dei media alternativi
a far conoscere il golpe del 2002. Grazie all’informazione
42
dal basso e alla solidarietà, il presidente legittimo ha potuto tornare al suo posto e riprendere il cammino interrotto
dalla borghesia.
Oggi, in Venezuela ci sono 2.896 media, e solo il 3,22% appartiene al servizio pubblico. Per il 20,76% si tratta di media
comunitari. La battaglia contro il latifondo mediatico è però
ancora lunga. Il 65,18% dell’informazione (circa 2.332 media) è nelle mani dei gruppi privati e quasi completamente
di opposizione. Nonostante questo, nonostante l’egemonia
mediatica dell’opposizione e il suo potere di disinformazione, il socialismo bolivariano ha vinto 18 elezioni su 19
(perso, di stretta misura, solo il referendum costituzionale
del 2007). Come dire che, proprio grazie al lavoro capillare dell’informazione alternativa e comunitaria, il messaggio delle destre non è passato. Come rileva un’analisi del
gruppo di Prensa Alternativa y Comunitaria El Negrero, il
messaggio escludente, razzista ed elitario dei rappresentanti
oppositori della “democrazia rappresentativa” è finora stato
oscurato dalla forza solidale, comunitaria, inclusiva e partecipata del Governo comunitario e dello Stato comunale.
Esperienze di potere popolare in cui i Medios Alternativo y
Comunitarios Escritos (Mace) diventano il fulcro della comunicazione, del dialogo e della cooperazione solidale: agitatori e organizzatori collettivi, che smascherano insieme
alle comunità il sabotaggio, la guerra economica e quella
mediatica, volta a indurre nella popolazione paura del futuro e sfiducia nella rivoluzione. Grazie al lavoro dei media
comunitari, sono stati scoperti magazzini pieni di merci
accatastate, pronte per essere vendute a prezzo maggiorato
al mercato nero. Grazie alle radio e alle televisioni comunitarie, i quartieri hanno potuto accorgersi della costruzione
artificiale delle code, organizzate a uso e consumo dei media internazionali.
Lucidi anticorpi contro le menzogne interessate dei poteri
forti, ieri come oggi i media alternativi sono al centro degli
appelli alla solidarietà internazionale contro i tentativi di
golpe delle destre eversive. Anche dalle reti della comunicazione territoriale è partita la proposta per una settimana
di mobilitazione internazionale a sostegno del socialismo
bolivariano (1-8 marzo 2015). La risposta è stata ampia e
polifonica, ma accordata su un unico spartito e un solo grido: No volverán.
*Scrittrice e giornalista
Le Monde Diplomatique / Il Manifesto
43
POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR
Venezuela solidale
con il mondo nella lotta contro il cambiamento climatico
di Porfirio Hernández*
L
a Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela in materia ambientale è già di per sé una
proposta di solidarietà tra i popoli del mondo; così
indica il suo preambolo, dove si delinea uno “Stato
di giustizia, federale e decentralizzato che […] promuove la
cooperazione pacifica tra le nazioni, […] il disarmo nucleare, l’equilibrio ecologico e i beni giuridici ambientali come
patrimonio comune e irrinunciabile dell’umanità”.
Coerentemente con questa proposta, la Legge del Piano
della patria 2015-2019, eredità del comandante supremo ed
eterno della Rivoluzione Hugo Chávez, stabilisce nel quinto obiettivo storico quanto segue: “Contribuire alla tutela
della vita nel pianeta e alla salvaguardia del genere umano”;
gli obiettivi nazionali 5.1 e 5.4 lo sviluppano nella seguente
maniera: “5.1. Costruire e potenziare il modello economico
produttivo eco-socialista, basato sulla relazione armonica
tra l’uomo e la natura, che garantisca l’utilizzo e lo sfruttamento razionale, ottimale e sostenibile delle risorse naturali, nel rispetto dei processi e dei cicli della natura”; “5.4.
Contribuire alla conformazione di un grande movimento
mondiale per contrastare le cause e riparare gli effetti del
cambiamento climatico, che si verificano come conseguenza del devastante modello capitalista”.
Questo obiettivo storico, che fa parte del piano di sviluppo
del nostro Paese, è indubbiamente un appello alla solidarietà con la madre terra, attualmente minacciata dal cambiamento climatico.
Il cambiamento climatico è ancora, per alcuni, oggetto di
un dibattito che non giunge a conclusione. Le nazioni industrializzate da anni si ostinano sistematicamente a non
ammetterne la gravità: parliamo, secondo Valencia e i suoi
collaboratori (Ecoportal.net, 10/03/14), di 200 anni di negazione al solo scopo di appoggiare il capitalismo da cui
ha origine. Seguaci e propugnatori del sistema capitalistico
sono impegnati a negare ogni responsabilità dello stesso rispetto al cambiamento climatico e, naturalmente, non sono
disposti a seguire le raccomandazioni scaturite dai diversi
convegni tenutisi nel mondo per tentare di ridurre gli effetti
del disastroso fenomeno. Una delle proposte più ragionevoli alle quali è arrivata la comunità scientifica in relazione
al tema è quella che punta al cambio di modello economico mondiale verso il modello socialista, essendo giunti alla
conclusione che, se il capitalismo è la causa, la possibile soluzione non si troverà mai al suo interno.
Attualmente la lotta al cambiamento climatico e al riscaldamento globale implica la necessità di intraprendere
una lotta di classe contro il sistema capitalista, sfruttatore
dell’essere umano e della natura. Solo attraverso un nuovo
sistema basato sulla solidarietà e sull’uguaglianza potremo
procedere alla riorganizzazione con nuove fonti di energia
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pulite e rinnovabili, una forma di produzione rispettosa dei
cicli naturali, e uno stile di vita non incentrato su guadagno
e consumismo smisurati. Un esempio di alternativa potrebbe essere quello di Cuba, che in seguito all’embargo ha saputo impostare un’agricoltura ecologica, adeguata a favorire
un’alimentazione abbondante e sana.
Intanto i problemi generati dal cambiamento climatico si
presentano e si manifestano con sempre maggiore intensità
in forme e modi diversi: uragani, incendi forestali, desertificazione, siccità prolungata, esodi umani, fame nera, perdita di biodiversità, comparsa di nuove malattie e pandemie,
diminuzione dei raccolti e della pesca – di fenomeni attivi
ce ne sono a milioni – e ci sono migliaia di milioni di persone a rischio per la scomparsa delle aree costiere, patrimoni
mondiali come Venezia, San Pietroburgo, Amburgo, più altri 40 luoghi, stando alle informazioni.
Le vittime di questo crimine brutale del sistema capitalistico contro il pianeta sono in maggioranza i poveri; i sopravvissuti restano in tali condizioni di miseria e abbandono
che in breve tempo possono finire emarginati o diventare
mano d’opera disperata e facilmente sfruttabile.
Gli effetti continuano a sentirsi: a maggio 2013 è scesa sotto
la soglia di 400 ppm di concentrazione di CO2 nell’atmosfera, fatto che secondo gli esperti ci avvicina a un punto
di non ritorno; continua anche lo sfruttamento di minerali
e combustibili fossili con tecniche sempre più inquinanti
(miniere a cielo aperto, fatturazione idraulica o fracking,
uso di cianuro, sfruttamento dei fondali marini), il disboscamento, il consumo di carne e l’agricoltura intensiva con
pesticidi e transgenici.
Alcuni studiosi come Serge Latouche (Ecoportal.net,
04/04/14) propongono soluzioni rivoluzionarie come quella della cosiddetta decrescita economica, un tema provocatorio per sottolineare la necessità di una rottura e colpire gli
animi come uno slogan pubblicitario.
Il Venezuela, solidale nella lotta al cambiamento climatico,
non si ferma alla proposta del Piano della Patria: questa lotta fa parte dell’azione politica. Attualmente il 64% del consumo di energia elettrica è energia pulita che viene dalle
cascate d’acqua; intanto, essendo parte della stessa legge, si
esplorano le enormi potenzialità che abbiamo per utilizzare
a medio termine altre fonti di energia pulita come quella solare e quella eolica. Al tempo stesso, si lavora intensamente
per promuovere il consumo efficiente dell’energia elettrica.
Traduzione di Emilia Saggiomo
*Docente di Agronomia (UNELLEZ, Universidad Nacional Experimental de los Llanos Occidentales “Ezequiel Zamora”), articolista
ed ex deputato dell’Assemblea Nazionale (Venezuela)
POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR
I Sem Terra in Brasile
Germogli di un mondo nuovo
nei domini dell’agro-business
di Giovanna Russo
L
a riforma agraria è un problema antico in Brasile.
Una ristretta classe di latifondisti (1,6%) controlla il
46% delle terre fertili, in gran parte incolte, mentre
il minifondo contadino, spesso insufficiente a soddisfare i bisogni alimentari della famiglia, occupa appena
l’1,4% della superficie totale Il Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra, il movimento contadino più grande
dell’America Latina, si batte per attuazione della Costituzione del 1988, che prevede l’espropriabilità delle particelle
non coltivate o poco sfruttate..
OCCUPAÇÃO UNICA SOLUÇÃO
L
a strategia del Mst si basa sull’occupazione delle
terre improduttive o grilate (usurpate), appartenenti ai vecchi latifondisti e ai nuovi proprietari
multinazionali che investono nelle monocolture di
soia, canna da zucchero, eucalipto per l’esportazione.
Individuata la terra da occupare, i Sem Terra si insediano
in un acampamento provvisorio, fatto di capanne di legno
e fango con tetto di plastica, in cui mettono in comune
cibo, risorse e forze. Da qui partono le manifestazioni e le
iniziative politiche per fare pressione sulle istituzioni. L’acampamento è anche un laboratorio politico dove si insegna il valore della solidarietà e dello spirito comunitario,
indispensabile al proseguimento della lotta: per anni gli occupanti dovranno difendersi dalle forze dell’ordine e dalle
aggressioni dei pistoleros mandati dai latifondisti; scacciati
dal campo, si rifugeranno nell’area demaniale al ciglio della
strada, per ritornare più tardi ad occupare il latifondo, fino
alla vittoria. In 30 anni il Mst è riuscito ad insediare 500.000
famiglie in 5.000 assentamentos.
Quando la terra viene assegnata in concessione dall’INCRA, l’ente federale per la Riforma Agraria, si può optare
per la distribuzione dei lotti alle singole famiglie oppure per
l’assegnazione comunitaria. Si può formare una cooperativa, che entra a far parte della rete Concrab del Mst. Negli assentamentos si usano tecniche produttive ecologiche,
recuperando i terreni esauriti dalle monocolture, e al loro
interno tutti gli indicatori di benessere sociale migliorano:
la mortalità infantile, per esempio, testimonia la FAO, è la
metà della media nazionale.
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VALORI E PRATICHE VERSO UNA
NUOVA SOCIETÀ
U
n risultato centrale nell’esperienza dei Sem Terra è la ri-socializzazione delle persone. Nell’agire comune nascono relazioni paritarie e solidali,
non basati sulla competizione e l’individualismo; lottando per una nuova vita, si trova il riscatto della
dignità umana; attraverso la messa in comune della terra
e degli strumenti di lavoro per un nuovo ordine produttivo si fa strada l’alternativa possibile al modello capitalistico
dominante. Le donne, in questa trasformazione, hanno un
posto centrale .
Nel congresso di Brasilia nel 1995 si riassumeva l’ambizioso
progetto politico del Mst: costruire una società senza sfruttamento, dove il lavoro abbia il posto preminente; fare della terra un bene comune, per il profitto di tutta la società;
garantire lavoro a tutti, con la redistribuzione della terra e
della ricchezza; realizzare la giustizia sociale e l’uguaglianza dei diritti economici, politici, sociali; combattere tutte le
forme di discriminazione, garantire la partecipazione delle
donne. Proprio grazie a questa aspirazione ad un mutamento sociale profondo, i Sem Terra hanno conquistato un vasto consenso, anche sul piano internazionale.
UN TORNANTE DIFFICILE
T
uttavia il land grabbing, la corsa mondiale all’accaparramento del suolo agrario, continua ad
avanzare velocemente favorito dalle politiche
neo-liberali, espelle contadini poveri e popolazioni originarie, si impossessa di terre demaniali disboscando
e devastando l’ambiente, crea nuovi “senza terra”. Si rafforza
il modello di sviluppo basato sull’esportazione di materie
prime, a danno delle colture alimentari. Il Brasile è diventato il maggior produttore mondiale di soia ma è costretto ad
importare riso e fagioli, il piatto nazionale tradizionale. Né
la “modernizzazione” dell’agricoltura ha fatto scomparire la
piaga del lavoro in condizioni di schiavitù .
Nel sesto congresso di Brasilia, nel febbraio 2014, i Sem
Terra hanno affermato che é impossibile una vera riforma
agraria senza cambiare il modello neoliberista e hanno lanciato una nuova fase di lotta per una “Riforma Agraria Popolare”, facendo appello a tutta la società per un modello di
agricoltura centrato sulla produzione ecologica di alimenti, un sistema di cooperazione agricola associato a piccole
agro-industrie, che rispetti l’ambiente e garantisca la salute
dei produttori e dei consumatori.
Tenere in piedi la lotta in uno scenario sempre più complesso e globalizzato, non è facile. Ma il germoglio è saldamente
piantato e garantisce che la Storia che non sia affatto finita.
*Dottore di ricerca in Geopolitica e Geoeconomia e cultrice di Geografia dell’America Latina (Università “Orientale” di Napoli)
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DOVE TROVARE AMERINDIA
PUNTI DI CONSULTAZIONE E DISTRIBUZIONE
• Biblioteca Nazionale di Napoli Vittorio Emanuele III / Sezione Venezuelana / Sala di lettura Simón Bolívar
Piazza del Plebiscito, 1 - 80132 Napoli
(referente: Responsabile Sezione, Maria Consiglia Massimo)
• Università degli Studi di Napoli L’Orientale, Biblioteca Sezione Giusso
Largo San Giovanni Maggiore, 30 - 80134 Napoli
(referente: Prof. Pasquale Gallifuoco)
• Università degli Studi di Napoli Federico II, Facoltà di Sociologia. Dipartimento di Scienze Sociali
Vico Monte della Pietà, 1 - 80138 Napoli
(referente: Prof. Francesco Pirone)
• Università degli Studi Roma Tre, Facoltà di Scienze Politiche
Dipartimento di Lingua, Cultura e Istituzioni dei Paesi di Lingua Spagnola
Via G. Chiabrera, 199 - 00145 Roma
(referente: Prof.ssa Luisa Messina Fajardo)
• Associazione Marx XXI
II Strada Privata Borrelli, 34 - 70124 Bari
(referente: Prof. Andrea Catone)
• Associazione Casa Caribana
Via G. Arcoleo, 20 - 95030 Gravina di Catania
(referente: Presidente Associazione, Luisa Messina Fajardo)
• Albainformazione
www.albainformazione.com - [email protected]
(referente: Responsabile blog, Ciro Brescia)
Per ricevere la rivista in formato digitale, scrivete a [email protected]
Distribuzione:
Marnoglia Hernández Groeneveledt
Massimo Rea
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Questa pubblicazione, di distribuzione gratuita, è stata realizzata
dal Consolato Generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Napoli