Lo sfruttamento criminale del minore

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Lo sfruttamento criminale del minore
La figlia di un soldato non piange mai
di James Ivory
Presentazione critica
Introduzione al film
Il più “europeo” dei registi americani
Pur originario degli Stati Uniti, James Ivory esprime un percorso artistico profondamente devoto alla
cultura della Gran Bretagna e, più generalmente, dell’Europa. Legato, fin dai primissimi anni Sessanta, al
produttore indiano Ismail Merchant e alla scrittrice tedesca Ruth Prawer Jhabvala realizza, con essi,
interessanti film, sovente ambientati in India, incentrati sul rapporto tra la cultura inglese e quella
indiana, di cui possiamo ricordare Shakespeare Wallah (id., India, 1965), per il quale Ivory si avvalse della
collaborazione, in qualità di compositore delle musiche, del grande regista indiano Satyajit Ray.
Successivamente, indagando l’opera del romanziere inglese Edward M. Forster, Ivory approfondisce il
percorso iniziato con i film indiani, ampliando, ad esempio, il termine di confronto alla cultura italiana
(Camera con vista [A Room with a View, Gran Bretagna, 1985]), o analizzando i contrasti di classe
all’interno di un’unica società, quella londinese edoardiana (Casa Howard [Howards End, Gran Bretagna,
1992]). Uomo di ottime letture e fine sensibilità (si veda, in quest’ultima direzione, la delicatezza con cui
tratta l’omosessualità in Maurice [id., gran Bretagna, 1987], ancora tratto da Forster), critico verso
l’aristocrazia ma da essa affascinato, ne descrive i riti guardando ai composti, equilibrati affreschi
cinematografici di David Lean (il cui ultimo film, Passaggio in India [A Passage to India, Gran Bretagna,
1985], a conferma dei comuni interessi dei due registi, è tratto da Forster e ambientato in India: e non si
tratta certo dell’unico film di Lean incentrato sul rapporto tra due culture differenti); attratto anche
dall’Italia, che guarda con gli occhi affascinati di un viaggiatore del passato che sta compiendo il suo
Grand Tour, desume da Luchino Visconti la cura, estrema, per la fattura dei costumi, la ricercatezza delle
scenografie e più generalmente l’eleganza formale dell’inquadratura; ama Puccini, che omaggia con
ridondanza in Camera con vista (O mio babbino caro) ma anche in La figlia di un soldato non piange mai,
quando Francis e Channe iniziano la loro amicizia divertendosi ad inscenare, una notte in casa di lei,
un’arruffata e divertita Tosca; contempla entusiasta la campagna intorno a Firenze, che ripropone,
sempre in Camera con vista, ricordandosi di certi schemi della pittura inglese di paesaggio. Nei casi meno
riusciti è un convincente illustratore (non solo dei romanzi di Forster, ma anche di quelli di Henry James,
altro insigne appassionato dell’Inghilterra), dal buon gusto che non viene mai meno; altre volte sa stupire
con lavori inconsueti, misconosciuti, come Party selvaggio (The Wild Party, USA, 1974), ispirato alla
tragica vicenda giudiziaria del grande comico Roscoe “Fatty” Arbuckle, o proprio con La figlia di un
soldato non piange mai, film di bambini e adolescenti girato col sentimento del miglior cinema francese
sull’argomento.
Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
Americani in Francia
La struttura della narrazione è piacevolmente originale: il film è diviso in tre blocchi, ognuno dei quali
è dedicato ad un personaggio, specificato, all’inizio di ogni sezione, da una didascalia: si parte con
“Billy”, si prosegue con “Francis” e si conclude con “Daddy”, cioè il papà Bill. Di ogni sezione è
coprotagonista il personaggio di Channe, che, dunque, è il fulcro del film. La figlia di un soldato non
piange mai è un piccolo compendio dei rapporti che si possono instaurare tra i bambini, tra gli adolescenti
e tra questi ultimi e i genitori. Il primo segmento propone una situazione molto classica: dapprincipio il
piccolo Benoit, che presto diverrà Billy, stenta ad ambientarsi nella nuova casa: con spiccata sensibilità,
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La figlia di un soldato non piange mai – scheda critica
Ivory tratteggia un bimbo il cui atteggiamento dimesso, introverso e monoespressivo è l’esito dei traumi
sofferti in orfanotrofio (di notte, per la paura del “lupo mannaro” che crede di intravedere fuori dalla
finestra, bagna il letto, e dice chiaramente a Channe: “Suor Hélène ci picchiava”). A zittire Benoit,
inoltre, vi è l’ostacolo della lingua: in casa Willis si parla prevalentemente inglese, a fronte del quale il
piccolo oppone disorientati silenzi, rotti ogni tanto da poche parole dette in francese, a bassa voce, quasi
con imbarazzo. Questa fase iniziale del primo segmento, in cui l’ostilità espressa da Channe, bambina
saputa e antipatica, si sovrappone all’acrimonia dell’ambiente scolastico, pullulante di maestre
severissime e inadeguate (sovente Billy è rinchiuso, per punizione, in un buio stanzino), deriva, almeno in
parte, le proprie atmosfere da quel cinema francese che ha descritto la vita a scuola, o in collegio, con
toni austeri e, talvolta, criticandone i funzionamenti. Il film, però, sostiene la fondamentale importanza
dell’affetto e delle attenzioni da parte dei genitori adottivi, per rendere sereni l’ambientamento e la vita
di un piccolo orfano nella nuova casa: da un lato Marcella, donna esuberante e intelligente, esalta il
figlioletto (“È il bambino più intelligente che io conosca!”) e prende nettamente le sue difese contro
l’insegnante; dall’altro, Bill lo introduce nella propria cultura, vestendolo da cowboy e guardando con lui
Ombre rosse (Stagecoach, USA, 1939) di John Ford. Billy, adesso veramente “The Kid”, mangia
allegramente un hot dog e, con una pistola giocattolo, spara, divertendosi, contro lo schermo televisivo
che trasmette l’immagine di Ringo. L’ingresso nella vita adulta è stabilito da due eventi-simbolo: la
frequentazione, durante la gita in Normandia, con un gruppo di ragazzine sgradevoli e volgari, figlie di
amici, che, tra sigarette e insulti ai più piccoli Willis prefigurano comportamenti e valori tipici, appunto,
degli adulti (la sequenza in cui tali ragazzine, sedute a cena con Billy e Channe, li sfottono e si passano
una sigaretta accesa, richiama chiaramente il tavolo da poker attorno a cui Marcella, con gli amici, parla
male dei francesi ed esclama tranquillamente “Porca merda!”); le molestie, peraltro non gravi, da parte
di Stephane nei confronti di Channe, evento che introduce la sessualità e, dunque, chiude il segmento
dedicato all’età infantile. Nella seconda sezione l’attenzione è spostata su Channe, e sulla sua amicizia
con Francis, un coetaneo che inizia a frequentare la scuola internazionale della ragazza. Inizialmente,
tutto lascia presagire che Francis e Channe possano vivere una relazione sentimentale: i due divengono
molto amici e trascorrono insieme momenti spensierati e complici. La loro amicizia, però, non conosce
ulteriori evoluzioni. Francis esprime interessi molto particolari: ama l’opera lirica, canta arie mozartiane
con voce in falsetto, veste seguendo la sgargiante moda del momento (siamo negli anni Settanta) con fini
interpretazioni personali. Si tratta, invero, di atteggiamenti che paiono esprimere ambiguità sessuale: ma,
al termine della sezione, avviene la sorprendente confessione di Francis. Se, fino a quel punto, il film ha
lasciato credere che lo stallo in cui si era bloccata l’amicizia tra i due fosse dovuto all’omosessualità di
lui, la rivelazione finale attribuisce al personaggio di Francis una psicologia altrimenti complessa e ben
precisa. Con Channe, Francis vorrebbe vivere un’amicizia esclusiva; la mette in imbarazzo, inoltre, con
comportamenti inopportuni, ad esempio cercando di baciarle le mani durante le ore di lezione: “Sei il mio
migliore amico; – gli dice lei – […] la devi smettere di fare lo scemo”. Francis, col suo atteggiamento,
vorrebbe, in qualche modo, far presente alla ragazza i sentimenti che prova. Il suo modo di porsi nasconde
un forte disagio: egli coltiva, con passione intensa, un interesse, l’opera lirica, inconsueto per un
adolescente: perciò, si sente diverso dai coetanei (e tale diversità è ben espressa quando, a teatro, è
quasi l’unico ad applaudire una stupenda e trasgressiva Salomé) e, soprattutto, più fragile di essi. Ed è
quest’insicurezza, probabilmente, ad impedirgli di aprirsi con Channe, con la quale, in ogni modo, la
sintonia non sarebbe mai stata totale: in America, la ragazza sceglierà il più sicuro (e rassicurante) ma
anche più banale Keith. Nella terza parte si distingue il bel dialogo tra Channe e il padre, in cui Bill
sollecita la figlia a non vivere relazioni inutili, ma ad attendere l’incontro con la persona giusta: e la
invita, arrivato quel momento, a parlarne con lui. Si tratta di un aspetto estremamente interessante e
prezioso, poiché sono ben rari, nel cinema, I confronti tra un padre ed una figlia adolescente su questioni
relative alla sessualità di lei; condotto, da Bill, con pudore e affettuosa delicatezza, tale dialogo suggella
il rapporto intenso, basato sulla reciproca tendenza alla comunicazione, che intercorre fra i due per
l’intero film.
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La figlia di un soldato non piange mai – scheda critica
Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici
La figlia di un soldato non piange mai si presta ad essere utilizzato in ogni rassegna che affronti uno o
più temi tra quelli sommariamente descritti come le difficoltà di ambientamento di un orfano in una
famiglia, l’amicizia tra adolescenti di sesso diverso, il rapporto padre/figlia adolescente. Tra i film che
trattano argomenti simili, si possono indicare Daddy Nostalgie (id., Francia, 1990) di Bertrand Tavernier,
delicata cronaca del rapporto tra un padre gravemente malato e la giovane figlia (non si tratta, in ogni
modo, di un’adolescente, ma il film di Tavernier è consigliabile per la profonda intensità con cui affronta
il tema del rapporto padre/figlia, paragonabile a quella del film di Ivory), e Un ragazzo, tre ragazze
(Conte d’été, Francia, 1996) di Eric Rohmer, incentrato sull’amicizia, in ogni momento sul punto di
divenire qualcos’altro, tra i due giovani protagonisti Gaspard e Margot. La figlia di un soldato non piange
mai è consigliato ad un pubblico di adolescenti e adulti, non di bambini.
Costantino Maiani
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