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78 Michelarcangelo Dolci (Ponteassieve 1724-Urbino 1803 ?) attr. Via Crucis, seconda metà del XVIII sec. 14 oli su tela, cm 40 x 30 (ciascuno) URBINO, Chiesa di Santo Spirito L’attribuzione di quest’opera a Michelarcangelo Dolci è registrata per la prima volta in un manoscritto della Biblioteca Oliveriana di Pesaro, contenente il Catalogo delle migliori pitture che si conservano nelle chiese della città di Urbino, redatto nel 1794 da un anonimo personaggio, ben informato sul patrimonio artistico della città1; la stessa notizia riappare successivamente in una guida di Urbino manoscritta, composta da Innocenzo Ansaldi (Pescia 1735-1816) e conservata presso la Biblioteca Civica di Pescia, in stretta relazione con il Catalogo pesarese2. Pittore, matematico e scrittore, toscano di Pontassieve, il Dolci, dopo un breve apprendistato fiorentino, passò a Bologna alle scuole di Ercole Lelli e di Giovan Pietro Zanotti nell’Accademia Clementina3, e giunse ad Urbino verso il 1745 dove, protetto dai cardinali Albani e Stoppani, divenne lettore di geometria pratica e disegno di pittura, poi di matematica, presso la locale università4. Freddo nel colore e scarso d’inventiva, secondo la testimonianza dell’erudito Antaldo Antaldi5, fu poco apprezzato come pittore, attività alla quale appartengono le poche opere al momento rintracciate, tra cui il dipinto con Le Sante Chiara ed Elisabetta d’Ungheria, eseguito nel 1747 per le suore di Santa Chiara6, il San Francesco di Paola dell’altar maggiore dell’omonima chiesa urbinate databile ai primi anni ‘70, il Ritratto di Raffaello dell’Accademia Raffaello di Urbino7, due tele, solo attribuite, conservate nella Pinacoteca Civica di Fossombrone8. Maggiormente stimato come architetto, gli sono ascritti alcuni progetti di rinnovamento della facciata e dell’interno del Duomo urbinate, databili al 17809. Più interessante però la sua attività di scrittore di cose artistiche, documentata dal manoscritto con le Notizie delle pitture che si trovano nelle chiese e nei palazzi d’Urbino; datate al 1775 e redatte nella forma di guida cittadina, costituiscono un importante contributo per lo studio del patrimonio artistico e collezionistico urbinate del XVIII seco- 8 lo, prima delle dispersioni che misero a dura prova i nostri territori10. Ben informato sulla realtà Cinque e Seicentesca della città, di cui offre puntuali notizie, il Dolci, avendo “somma venerazione per i professori” dell’arte “dei quali sapeva distinguere il merito”11, si dimostra particolarmente attratto dall’opera di Federico Barocci, alla quale, nella sua guida, dedica lunghe riflessioni; interessante, ad esempio, quanto aggiunge, in sintonia con una formazione di stampo accademico, riguardo a Barocci disegnatore, a conclusione della descrizione dell’Ultima cena del Duomo della città: “Passiamo ora al disegno che per detto universale è il fondamento di tutta l’arte e termina i colori e distingue gli oggetti. Questa gran parte adunque in una tal opera, è di sublime carattere, prodigiosa giustezza, e naturale facilità. Le mosse sono naturali e non sforzate, il nudo molto bene inteso, e prescelto, gli scorci egregiamente delineati, gli arbitri, la sveltezza, la simmetria son quasi meravigliosi. I vestimenti e le di loro pieghe non possono essere meglio gettati i primi sopra il nudo e le seconde con somma intelligenza caratterizzate attorno al medesimo, con andamento naturale, e grandioso, prive dal tritume e dalla confusione. Qui mi sia lecito dire che questo valentuomo nella sua lunga vita di anni ottantaquattro non si stancò mai di disegnare facendone testimonianza alcuni suoi quadri, ed infiniti disegni non compiti ove si scorgono i diversi pentimenti e mutazioni delle figure come nelle differenti posizioni delle loro parti”. Non menzionate nelle Notizie, le piccole tele di Santo Spirito (alla cui confraternita lo stesso Dolci appartenne), databili prima del 1794, costituiscono un utile contributo alla definizione del catalogo dell’artista e del suo stile. Sottoposte ad una leggera preparazione che ne lascia trasparire l’ordito, le tele sono dipinte con particolare attenzione al gioco chiaroscurale che definisce spazi e figure; la costruzione delle scene si basa sulla sintesi prospettica e su un’inquadratura rav- 79 vicinata che ben poco concede agli aspetti più narrativi. Come in certi bozzetti, i volti, appena accennati, sfuggono ad ogni tentativo di caratterizzazione giacché ciò che conta è la vivacità dell’insieme, il taglio inconsueto della scena che rafforza la concentrazione dell’attimo. Nella prima stazione il Dolci si attiene a modelli diffusi, che prevedono il contrapporsi delle figure di Pilato e del suo seguito, collocate in posizione eminente, a quelle di Gesù e dei suoi carcerieri; il risultato è però nuovo: grazie ad una corretta prospettiva e ad un gioco luministico ben calcolato che sostiene la temperatura drammatica dell’evento, l’artista ricrea l’intensità dell’attimo in cui il gesto del procuratore romano decreta la condanna del figlio di Dio. Frammenti di architetture sorrette da un rigoroso gioco prospettico, sul quale il Dolci doveva essere particolarmente ferrato, costituiscono spesso lo sfondo o il contenitore entro il quale si muovono i personaggi; nella prima stazione l’inquadratura ravvicinata e diagonale lascia al particolare architettonico il compito di suggerire la maestosità dell’edificio reale, dove il pilastro della balaustra sormontato da una sfera, posto all’estrema sinistra in funzione di repoussoir, costituisce una citazione del tanto amato Barocci, desunta dal Perdono d’Assisi; nella seconda stazione il particolare delle mura di Gerusalemme, improbabili nel laterizio rosso che ricorda quelle urbinati, assicura l’avvio del doloroso cammino; nella quarta l’incontro con la Vergine avviene entro le logge di un porticato. Le figure che si muovono attorno a Cristo sono colte nella concentrazione dei gesti, in singolari posizioni, in scorci arditi; quasi in tutti gli episodi qualcuno offre le spalle allo spettatore e spesso irrompono nella scena soldati a cavallo saldi nelle varie posture, di fianco, di fronte, da dietro, offrendo un’ulteriore occasione di virtuosismo prospettico. 82 Note 1. Su questa guida, rintracciabile sotto la segnatura MAM, VII, 4.56, pubblicata per la prima volta da F.V. Lombardi, Cataloghi settecenteschi inediti sulle pitture delle chiese d’Urbino, “Studia picena”, LX, 1995, pp. 267-306, cfr. anche La guida di Urbino di Innocenzo Ansaldi e altri inediti di periegetica marchigiana, a cura di G. Perini e G. Cucco, Quaderni di Notizie da Palazzo Albani n. 2, 2004, pp. 103-111, in part. p. 104. 2. Cfr. La guida di Urbino, cit., p. 98. Sui rapporti tra le due guide si veda, nello stesso volume, il contributo di chi scrive, L’anonimo Catalogo oliveriano delle pitture d’Urbino (1794) e i suoi rapporti con la guida dell’Ansaldi, pp. 113-122. 3. La notizia, riferita dall’Antaldi, risulta tratta dai manoscritti del bolognese Marcello Oretti; cfr. A. Antaldi, Notizie di alcuni architetti, pittori, scultori di Urbino, Pesaro e de’ luoghi circonvicini (1805), a cura di A. Cerboni Baiardi, Ancona 1996, pp. 46-47. 4. L’attività didattica del Dolci presso l’università d’Urbino si data, con diverse pause, dal 1767 al 1799; cfr. F. Marra, Chartularium per una storia della Università di Urbino (1563-1799), Urbino 1975, I, p. 136. 5. Cfr. Antaldi, Notizie, cit., pp. 46-47. 6. Cfr. A.R. Nanni, Michelangelo Dolci pittore e critico settecentesco ad Urbino, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Urbino, Facoltà di Lettere Moderne, A.A. 1993-1994, Relatore Prof. Ranieri Varese, che ha rintracciato i documenti relativi a questa committenza. 7. Firmato e datato al 1755, venne eseguito per l’urbinate Raffaele Venezianelli; si tratta di una copia del Ritratto di Bindo Altoviti (?) non concordemente attribuito a Raffaello e conservato presso la National Gallery di Washington, che, a lungo ritenuto un autoritratto dello stesso Raffaello, venne utilizzato dal Bottari nella riedizione delle Vite del Vasari, in sostituzione dell’immagine che l’Aretino aveva liberamente tratto dall’autoritratto dell’Urbinate presente nella Scuola d’Atene. Per altre notizie sull’attività pittorica del Dolci cfr. A. Lazzari, Delle chiese di Urbino e delle Pitture in esse esistenti, Urbino 1801; R. Valazzi, Dolci Michele Arcangelo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 40, 1991, pp. 429-430; Nanni, Michelangelo Dolci, cit., pp. 94-131; S. Partsch, Dolci Michelangelo, in Saur Allgemeines Künstler-Lexicon. Die Bildenden Künstleraller Zeiten und Völker, 28, 2001, p. 316. 8. Le due tele attribuite al Dolci fanno parte di un gruppo di otto dipinti legati al tema della Passione, provienti dalla Chiesa della Santissima Annunziata di Fossombrone e commissionati dal conte Ludovico Passionei attorno alla metà del Settecento; altri dipinti della serie sono attribuiti a Sebastiano Conca (1680-1764) e Gaetano Lapis (1706-1776). 9. Sui disegni architettonici del Dolci cfr. P. Rotondi, Ancora un’opera sconosciuta di Francesco di Giorgio a Urbino, “Commentari”, I, 1950, 2, pp. 89-91; F. Negroni, Piazza del Rinascimento: momenti di urbanistica in Urbino, “Notizie da Palazzo Albani”, XIX, 2, 1990, pp. 31-44; F.P. Fiore, in Francesco di Giorgio architetto, catalogo della mostra (Siena 1993) a cura di F.P. Fiore e M. Tafuri, Milano 1993, pp. 198-202; F. Negroni, Il Duomo di Urbino, Urbino 1993, pp. 93, 121, tavv. X, XI. Uno di questi fogli, raffigurante lo Spaccato prospettico del Duomo d’Urbino, costituisce un importante e raro documento per la ricostruzione ideale dell’edificio quattrocentesco, prima degli interventi del Valadier, seguiti ai gravi danni causati dal terremoto del 1781. 10. Conservato presso l’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’arte di Roma, il manoscritto delle Notizie venne pubblicato per la prima volta a cura di Luigi Serra in “Rassegna Marchigiana”, XI, 1933, pp. 283-367. Sebbene datato al 1775, fu aggiornato in tempi successivi, come rivelano, ad esempio, i riferimenti al dipinto con la Deposizione dalla croce della Chiesa di San Girolamo d’Urbino, firmato e datato da Girolamo Marchetti nel 1778, al terremoto del 1789 e alle spoliazioni napoleoniche. Sui rapporti tra Dolci ed il bolognese Luigi Crespi, che sollecitò la stesura del manoscritto, rimando all’intervento di G. Perini, Michelarcangelo Dolci e Luigi Crespi: le vicende della guida urbinate del 1775 dietro le quinte, in Guide e viaggiatori tra Marche e Liguria dal Sei all’Ottocento, Atti del Convegno (Urbino 2627 ottobre 2004) a cura di B. Cleri e G. Perini, Quaderni di Notizie da Palazzo Albani n. 3, Sant’Angelo in Vado 2006, pp. 291-320. L’Antaldi ricorda anche un altro scritto del Dolci riguardante le “regole intorno alla pittura”, probabilmente da identificarsi con le Regole sull’arte del disegno che, assieme ad altri due manoscritti intitolati Documenti sul disegno e Istoria compendiaria de’ Pittori della Grecia, era custodito nel 1822 da padre Luigi Pungileoni che l’aveva ottenuto, assieme agli altri, da Antonio Rondelli, allievo del Dolci; cfr. L. Pungileoni, Elogio storico di Giovanni Santi (1822), edizione anastatica a cura di R. Varese, Roma 1994, p. 57. 11. Cfr. Antaldi, Notizie, cit., p. 46. Bibliografia essenziale A. Lazzari, Delle chiese d’Urbino e delle pitture in esse esistenti. Compendio storico, Urbino 1801; R. Valazzi, Dolci Michele Arcangelo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 40, 1991, pp. 429-430; A.R. Nanni, Michelangelo Dolci pittore e critico settecentesco ad Urbino, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Urbino, Facoltà di Lettere Moderne, A.A. 1993-1994, Relatore Prof. Ranieri Varese; S. Partsch, Dolci Michelangelo, in Saur Allgemeines Künstler-Lexicon. Die Bildenden Künstleraller Zeiten und Völker, 28, 2001, p. 316. 83 84 Via Crucis, post 1782 14 oli su tela, cm 60 x 40 (ciascuno) URBINO, Chiesa di San Francesco 9 Anche per queste tele, una delle più antiche attribuzioni alla scuola del Lazzarini si registra nel già menzionato manoscritto della Biblioteca Oliveriana di Pesaro contenente il Catalogo delle migliori pitture che si conservano nelle chiese della città di Urbino, redatto nel 17941; la stessa notizia si legge nella guida di Urbino di Innocenzo Ansaldi (Pescia 1735-1816), conservata manoscritta presso la Biblioteca Civica di Pescia, in stretta relazione con il Catalogo pesarese, ed è confermata anche dal Lazzari nel 18012. Nato a Pesaro nel 1710, ordinatovi sacerdote, il Lazzarini si formò artisticamente a Roma, dove fu allievo di Francesco Mancini, compagno di studi di Domenico Corvi, amico di Raffaello Mengs, e dove visse dal 1734 al ‘49, con numerosi ritorni in patria, protetto da monsignor Gaetano Fantuzzi3. Oltre all’attività di pittore, condotta in linea con un classicismo memore della grande tradizione seicentesca e della rilettura di questa fattane da Carlo Maratta, Giannandrea si dedicò alla riflessione su importanti questioni teoriche, di cui il primo contributo apparve in quella Dissertazione sopra l’arte della pittura, letta nel ‘53 nell’ambito dell’Accademia Pesarese4. Interpretò alla perfezione il ruolo del pittore letterato, categoria alla quale rende omaggio Luigi Lanzi nella Prefazione della sua Storia pittorica, convinto che i giudizi più ‘rispettabili’ sono quelli “che immediatamente vengono da’ professori... poiché d’ordinario chi meglio fa, meglio giudica”5. Secondo Lanzi, poi, “al ben scrivere congiunse il Lazzarini anco il ben dipingere; facile e tuttavia studiato in ogni parte; leggiadro e nobile insieme; erudito nell’introdurre fra’ suoi dipinti l’immagine dell’antichità ma senz’affettazione e senza pompa... Quanto differiscono nelle invenzioni un pittor letterato, e un pittor senza lettere!”6. Pittore, architetto e teorico, il Lazzarini fu protagonista e animatore della fiorente attività pittorica della Pesaro settecentesca, dove egli stesso aveva aperto una frequentatissima scuola7, per la ricostruzione della cui consistenza risultano particolarmente utili le numerose lettere conservate presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro, indirizzate al cononico dai suoi allievi8, nonché l’elenco degli Scolari del Lazzarini, redatto nel 1804 da quell’assiduo raccoglitore di memorie patrie che fu Domenico Bonamini, dove al nome degli artisti, elencati alfabeticamente, si affiancano brevi notizie biografiche9; tra i più dotati vanno almeno circordati Carlo Paolucci e Pietro Tedeschi, spesso collaboratori del maestro10. Pagata da un fedele generoso, la nostra Via Crucis venne presumibilmente eseguita dopo il 1782, giacché risulta in stretta relazione con una serie di incisioni pubblicate a Roma in quello stesso anno, dall’incisoreeditore Pietro Leone Bombelli (Roma 1737-1809) che, assieme ad altri artisti attivi a quelle date nella capitale (Francesco Cecchini, Antonio Capellan, Giuseppe Sforza Perini, Angelo Campanella, Francesco Pozzi, ecc.), firmò le tavole, dove non risulta alcuna indicazione riguardante l’inventore dei soggetti delle diverse rappresentazioni; alcuni esemplari della suite, impreziositi da fini acquerellature colorate che rendono le incisioni simili a pitture, sono conservati in almeno due chiese dei nostri territori, a San Costanzo (vedi scheda n. 17) e a Sant’Angelo in Lizzola. Probabilmente acquisita a Roma dal Lazzarini, che anche dopo il rientro in patria mantenne contatti con la capitale e fu particolarmente sensibile ai problemi dell’incisione, certo utilizzata anche come strumento didattico, la serie del Bombelli propone un’iconografia ormai ben attestata in precedenti cicli pittorici e calcografici: nella prima stazione la figura di Cristo incatenato si contrappone a quella di Pilato, seduto su un trono posto sopra alcuni gradini; le due scene successive si svolgono sullo sfondo delle imponenti mura di Gerusalemme; le Scuola di Giannandrea Lazzarini (Pesaro 1710-1801) attr. 85 altre, inserite perlopiù in un contesto non caratterizzato, si concentrano sull’episodio narrato, fino alla Crocifissione, risolta nei modi più classici, con le figure della Vergine e San Giovanni che affiancano la croce, e la Deposizione nel sepolcro, ricavato quest’ultimo nella roccia, secondo un modello che si sviluppa parallelamente a quello del sepolcro marmoreo. Non facilmente identificabili ma forse rintracciabili tra quelli ancora presenti nella bottega del maestro negli ultimi due decenni del XVIII secolo, gli allievi del Lazzarini coinvolti nella realizzazione del ciclo si preoccuparono di rimanere fedeli alle immagini incise, restituendone l’impianto compositivo, il numero e le diverse posture dei personaggi; più impacciata la resa pittorica, a volte piuttosto sommaria specie nella esecuzione delle vesti, ben poco panneggiate, o dei volti dei coprotagonisti, in molti casi appena abbozzati. Eseguita a più mani, dissimile dal modello solo nell’ultima stazione, dove viene introdotta una figura femminile piangente all’estremità destra, questa Via Crucis può aprire nuove considerazioni sulla realtà della scuola lazzariniana, sulle modalità di lavoro all’interno di essa e, ancora una volta, sui modelli prescelti e proposti, in linea con il classicismo sul quale si fonda l’opera del maestro, in grado di tenere sotto controllo, alla luce di un preciso decorum, l’empito drammatico che rappresentazioni del genere avrebbero potuto richiedere. Note 1. Su questa guida, rintracciabile sotto la segnatura MAM, VII, 4.56, pubblicata per la prima volta da F.V. Lombardi, Cataloghi settecenteschi inediti sulle pitture delle chiese d’Urbino, “Studia picena”, LX, 1995, pp. 267-306, si veda anche La guida di Urbino di Innocenzo Ansaldi e altri inediti di periegetica marchigiana, a cura di G. Perini e G. Cucco, Quaderni di Notizie da Palazzo Albani n. 2, 2004, pp. 103-111, in part. p. 104. 2. A. Lazzari (Delle chiese di Urbino e delle pitture in esse esistenti. Compendio storico, Urbino 1801, pp. 112-113) cita la Via Crucis di scuola del Lazzarini fatta a spese di un devoto. 3. Cugino dell’Olivieri, monsignor Fantuzzi, poi cardinale, fu figura di qualche rilevanza nella curia romana per una brillante carriera condotta sotto la protezione di Clemente XII, Benedetto XIV, dei cardinali Annibale e Alessandro Albani, e per l’at- 88 tiva partecipazione alla vita culturale della capitale. 4. La Dissertazione sopra l’Arte della Pittura letta nell’Accademia Pesarese l’anno 1753 apparve per la prima volta nella “Nuova Raccolta di opuscoli scientifici e filologici”, II, 1756, pp. 97-137; venne poi pubblicata nel 1782 a Vicenza, e nel 1783 nel Catalogo delle pitture che si conservano nelle chiese di Pesaro; nel 1806 riappare nelle Opere del Canonico Giannandrea Lazzarini, con il titolo di Dissertazione prima sull’invenzione, accompagnata da altre cinque Dissertazioni rimaste fino a quella data manoscritte. Ancora con il titolo di Dissertazione sopra la pittura, venne poi riedita a Pesaro nel 1883, da Saverio Lazzarini, in occasione delle nozze di Giuseppe Vaccaj e Teresa Gennari. 5. L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, Bassano 1809, ed. cons. Pisa 1815, I, pp. XXVIII ss. 6. Lanzi, Storia pittorica, cit., V, pp. 201-202. 7. Nell’Orazione funebre in lode del canonico Giannandrea Lazzarini, Pesaro 1803, G. Raffaelli ricorda che “dopo che fu tornato da Roma (1749) si forma la scuola di cinquanta e più giovani”. Sulla figura del Lazzarini e sulla sua opera si rimanda a Gianandrea Lazzarini 1710-1801, catalogo della mostra (Pesaro 1974) a cura di G. Calegari Franca, N. Cecini, R. Mazzoli, Lissone 1974; G. Calegari Un protagonista del ‘700 pesarese, in Arte e cultura nella Provincia di Pesaro e Urbino, a cura di F. Battistelli, Venezia 1986, pp. 473-480; G. Calegari, Disegni inediti di Giannandrea Lazzarini. I Taccuini ritrovati, Urbania 1989; I taccuini ritrovati. Giannandrea Lazzarini e il Settecento pesarese, catalogo della mostra (Pesaro 1989) a cura di G. Calegari, Urbania 1989; G. Calegari, Il Settecento a Pesaro, in La cultura delle Marche in età moderna, a cura di W. Angelini e G. Piccinini, Milano 1997, pp. 168-177; G. Calegari, Un disegnatore neoclassico di arredi: l’eclettico Giannandrea Lazzarini, in Il mobile pesarese, a cura di G. Calegari e P. Giannotti, Ancona 2000, pp. 96-99. 8. A questo proposito cfr. L. Fontebuoni, Il ciclo decorativo di palazzo Montani, in Il palazzo e la famiglia Montani a Pesaro, a cura di A. Brancati, Milano 1992, pp. 205-251, in part. p. 210. 9. Si tratta di un duerno contenuto nel Ms. Oliveriano 1066; l’elenco venne redatto dal Bonamini per aiutare l’amico Antaldo Antaldi che stava raccogliendo, su richiesta di Pietro Zani, l’autore dell’Enciclopedia metodico-critico-ragionata di Belle Arti (Parma 1817-1824), notizie sugli autori della provincia; infatti proprio all’Antaldi si deve la compilazione delle Notizie di alcuni architetti, pittori, scultori di Urbino, Pesaro e de’ luoghi circonvicini, datato al 1805 e rimasto a lungo manoscritto. Sul Bonamini, sulla sua figura di conoscitore e scrittore d’arte, nonché di collezionista cfr. G. Patrignani, Introduzione, in D. Bonamini, Abecedario degli architetti e pittori pesaresi, a cura di G. Patrignani, “Pesaro città e contà”, 6, 1996, pp. 13-42. 10. Nato nei pressi d’Urbino, dove venne avviato all’arte sotto la guida di Michelangelo Dolci, Carlo Paolucci (1738?-1803) entrò nella bottega del Lazzarini verso la fine del 1762; nel gennaio 1770 passò all’Accademia Clementina di Bologna, dove seguì i corsi di Giuseppe Varotti, Tommaso Nicola Bertuzzi, Ubaldo Gandolfi, Filippo Balugani. Autore di diverse tele, espresse la sua vena migliore sulle grandi superfici murali, dove spesso introdusse finte statue di sapore antico, in uno stile che trasforma l’eredità barocca in chiave neoclassica; su di lui R. Valazzi, Paolucci Carlo, in La pittura in Italia. Il Settecento, Milano 1990, p. 819; Fontebuoni, Il ciclo decorativo, cit.; G. Calegari, Note su una “collezione” recuperata, in Il filo di Arianna. Raccolte d’Arte dalle Fondazioni Casse di Risparmio Marchigiane Jesi Macerata Pesaro, catalogo della mostra (Ancona 2001) a cura A.M. Ambrosini Massari, Milano 2001, pp. 190-197 e 250-254. Pietro Tedeschi (1750?-post 1808), pesarese, attivo assieme ai colleghi dell’entourage lazzariniano a Pesaro e Macerata, visse molto a Roma (ininterrottamente dal 1777 alla morte) protetto dagli Albani, dove a sua volta fondò una scuola di pittura. Su di lui cfr. R. Valazzi, Tedeschi Pietro, in La pittura in Italia, cit., p. 876; Fontebuoni, Il ciclo decorativo, cit.; Calegari, Note su una “collezione”, cit. Bibliografia essenziale A. Lazzari, Delle chiese di Urbino e delle pitture in esse esistenti. Compendio storico, Urbino 1801, pp. 112-113; E. Ricotti, Il convento e la chiesa di San Francesco d’Assisi d’Urbino, Padova 1954, p. 49; F. Merletti, La chiesa e il convento di San Francesco d’Assisi d’Urbino, Urbania 2000, p. 9; F. Merletti, La Beata Vergine Maria nel San Francesco d’Urbino (Arte devozione storia), Ancona 2002, p. 25. 89