Impaginato DEF 1-96 FOTO DEF - Provincia di Pesaro e Urbino

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Impaginato DEF 1-96 FOTO DEF - Provincia di Pesaro e Urbino
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Michelarcangelo Dolci
(Ponteassieve 1724-Urbino 1803 ?) attr.
Via Crucis, seconda metà del XVIII sec.
14 oli su tela, cm 40 x 30 (ciascuno)
URBINO, Chiesa di Santo Spirito
L’attribuzione di quest’opera a Michelarcangelo Dolci è registrata per la prima
volta in un manoscritto della Biblioteca
Oliveriana di Pesaro, contenente il Catalogo
delle migliori pitture che si conservano nelle
chiese della città di Urbino, redatto nel 1794
da un anonimo personaggio, ben informato
sul patrimonio artistico della città1; la stessa
notizia riappare successivamente in una
guida di Urbino manoscritta, composta da
Innocenzo Ansaldi (Pescia 1735-1816) e
conservata presso la Biblioteca Civica di
Pescia, in stretta relazione con il Catalogo
pesarese2.
Pittore, matematico e scrittore, toscano di
Pontassieve, il Dolci, dopo un breve apprendistato fiorentino, passò a Bologna alle
scuole di Ercole Lelli e di Giovan Pietro
Zanotti nell’Accademia Clementina3, e
giunse ad Urbino verso il 1745 dove, protetto dai cardinali Albani e Stoppani, divenne
lettore di geometria pratica e disegno di pittura, poi di matematica, presso la locale università4. Freddo nel colore e scarso d’inventiva, secondo la testimonianza dell’erudito
Antaldo Antaldi5, fu poco apprezzato come
pittore, attività alla quale appartengono le
poche opere al momento rintracciate, tra
cui il dipinto con Le Sante Chiara ed
Elisabetta d’Ungheria, eseguito nel 1747 per
le suore di Santa Chiara6, il San Francesco di
Paola dell’altar maggiore dell’omonima
chiesa urbinate databile ai primi anni ‘70, il
Ritratto di Raffaello dell’Accademia Raffaello di Urbino7, due tele, solo attribuite,
conservate nella Pinacoteca Civica di Fossombrone8. Maggiormente stimato come
architetto, gli sono ascritti alcuni progetti di
rinnovamento della facciata e dell’interno
del Duomo urbinate, databili al 17809.
Più interessante però la sua attività di scrittore di cose artistiche, documentata dal
manoscritto con le Notizie delle pitture che si
trovano nelle chiese e nei palazzi d’Urbino;
datate al 1775 e redatte nella forma di guida
cittadina, costituiscono un importante contributo per lo studio del patrimonio artistico e collezionistico urbinate del XVIII seco-
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lo, prima delle dispersioni che misero a dura
prova i nostri territori10.
Ben informato sulla realtà Cinque e
Seicentesca della città, di cui offre puntuali
notizie, il Dolci, avendo “somma venerazione per i professori” dell’arte “dei quali sapeva distinguere il merito”11, si dimostra particolarmente attratto dall’opera di Federico
Barocci, alla quale, nella sua guida, dedica
lunghe riflessioni; interessante, ad esempio,
quanto aggiunge, in sintonia con una formazione di stampo accademico, riguardo a
Barocci disegnatore, a conclusione della
descrizione dell’Ultima cena del Duomo
della città: “Passiamo ora al disegno che per
detto universale è il fondamento di tutta
l’arte e termina i colori e distingue gli oggetti. Questa gran parte adunque in una tal
opera, è di sublime carattere, prodigiosa
giustezza, e naturale facilità. Le mosse sono
naturali e non sforzate, il nudo molto bene
inteso, e prescelto, gli scorci egregiamente
delineati, gli arbitri, la sveltezza, la simmetria son quasi meravigliosi. I vestimenti e le
di loro pieghe non possono essere meglio
gettati i primi sopra il nudo e le seconde con
somma intelligenza caratterizzate attorno al
medesimo, con andamento naturale, e grandioso, prive dal tritume e dalla confusione.
Qui mi sia lecito dire che questo valentuomo nella sua lunga vita di anni ottantaquattro non si stancò mai di disegnare facendone testimonianza alcuni suoi quadri, ed infiniti disegni non compiti ove si scorgono i
diversi pentimenti e mutazioni delle figure
come nelle differenti posizioni delle loro
parti”.
Non menzionate nelle Notizie, le piccole
tele di Santo Spirito (alla cui confraternita
lo stesso Dolci appartenne), databili prima
del 1794, costituiscono un utile contributo
alla definizione del catalogo dell’artista e del
suo stile. Sottoposte ad una leggera preparazione che ne lascia trasparire l’ordito, le tele
sono dipinte con particolare attenzione al
gioco chiaroscurale che definisce spazi e
figure; la costruzione delle scene si basa sulla
sintesi prospettica e su un’inquadratura rav-
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vicinata che ben poco concede agli aspetti
più narrativi. Come in certi bozzetti, i volti,
appena accennati, sfuggono ad ogni tentativo di caratterizzazione giacché ciò che conta
è la vivacità dell’insieme, il taglio inconsueto della scena che rafforza la concentrazione
dell’attimo. Nella prima stazione il Dolci si
attiene a modelli diffusi, che prevedono il
contrapporsi delle figure di Pilato e del suo
seguito, collocate in posizione eminente, a
quelle di Gesù e dei suoi carcerieri; il risultato è però nuovo: grazie ad una corretta
prospettiva e ad un gioco luministico ben
calcolato che sostiene la temperatura drammatica dell’evento, l’artista ricrea l’intensità
dell’attimo in cui il gesto del procuratore
romano decreta la condanna del figlio di
Dio.
Frammenti di architetture sorrette da un
rigoroso gioco prospettico, sul quale il
Dolci doveva essere particolarmente ferrato,
costituiscono spesso lo sfondo o il contenitore entro il quale si muovono i personaggi;
nella prima stazione l’inquadratura ravvicinata e diagonale lascia al particolare architettonico il compito di suggerire la maestosità dell’edificio reale, dove il pilastro della
balaustra sormontato da una sfera, posto
all’estrema sinistra in funzione di repoussoir,
costituisce una citazione del tanto amato
Barocci, desunta dal Perdono d’Assisi; nella
seconda stazione il particolare delle mura di
Gerusalemme, improbabili nel laterizio
rosso che ricorda quelle urbinati, assicura
l’avvio del doloroso cammino; nella quarta
l’incontro con la Vergine avviene entro le
logge di un porticato.
Le figure che si muovono attorno a Cristo
sono colte nella concentrazione dei gesti, in
singolari posizioni, in scorci arditi; quasi in
tutti gli episodi qualcuno offre le spalle allo
spettatore e spesso irrompono nella scena
soldati a cavallo saldi nelle varie posture, di
fianco, di fronte, da dietro, offrendo un’ulteriore occasione di virtuosismo prospettico.
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Note
1. Su questa guida, rintracciabile sotto la segnatura MAM, VII, 4.56, pubblicata per la prima volta
da F.V. Lombardi, Cataloghi settecenteschi inediti
sulle pitture delle chiese d’Urbino, “Studia picena”,
LX, 1995, pp. 267-306, cfr. anche La guida di
Urbino di Innocenzo Ansaldi e altri inediti di periegetica marchigiana, a cura di G. Perini e G. Cucco,
Quaderni di Notizie da Palazzo Albani n. 2, 2004,
pp. 103-111, in part. p. 104.
2. Cfr. La guida di Urbino, cit., p. 98. Sui rapporti tra le due guide si veda, nello stesso volume, il
contributo di chi scrive, L’anonimo Catalogo oliveriano delle pitture d’Urbino (1794) e i suoi rapporti
con la guida dell’Ansaldi, pp. 113-122.
3. La notizia, riferita dall’Antaldi, risulta tratta dai
manoscritti del bolognese Marcello Oretti; cfr. A.
Antaldi, Notizie di alcuni architetti, pittori, scultori di
Urbino, Pesaro e de’ luoghi circonvicini (1805), a cura
di A. Cerboni Baiardi, Ancona 1996, pp. 46-47.
4. L’attività didattica del Dolci presso l’università
d’Urbino si data, con diverse pause, dal 1767 al
1799; cfr. F. Marra, Chartularium per una storia
della Università di Urbino (1563-1799), Urbino
1975, I, p. 136.
5. Cfr. Antaldi, Notizie, cit., pp. 46-47.
6. Cfr. A.R. Nanni, Michelangelo Dolci pittore e
critico settecentesco ad Urbino, Tesi di Laurea,
Università degli Studi di Urbino, Facoltà di Lettere
Moderne, A.A. 1993-1994, Relatore Prof. Ranieri
Varese, che ha rintracciato i documenti relativi a
questa committenza.
7. Firmato e datato al 1755, venne eseguito per
l’urbinate Raffaele Venezianelli; si tratta di una
copia del Ritratto di Bindo Altoviti (?) non concordemente attribuito a Raffaello e conservato presso
la National Gallery di Washington, che, a lungo
ritenuto un autoritratto dello stesso Raffaello,
venne utilizzato dal Bottari nella riedizione delle
Vite del Vasari, in sostituzione dell’immagine che
l’Aretino aveva liberamente tratto dall’autoritratto
dell’Urbinate presente nella Scuola d’Atene. Per
altre notizie sull’attività pittorica del Dolci cfr. A.
Lazzari, Delle chiese di Urbino e delle Pitture in esse
esistenti, Urbino 1801; R. Valazzi, Dolci Michele
Arcangelo, in Dizionario Biografico degli Italiani,
40, 1991, pp. 429-430; Nanni, Michelangelo
Dolci, cit., pp. 94-131; S. Partsch, Dolci
Michelangelo, in Saur Allgemeines Künstler-Lexicon.
Die Bildenden Künstleraller Zeiten und Völker, 28,
2001, p. 316.
8. Le due tele attribuite al Dolci fanno parte di un
gruppo di otto dipinti legati al tema della Passione,
provienti dalla Chiesa della Santissima Annunziata
di Fossombrone e commissionati dal conte
Ludovico Passionei attorno alla metà del Settecento; altri dipinti della serie sono attribuiti a
Sebastiano Conca (1680-1764) e Gaetano Lapis
(1706-1776).
9. Sui disegni architettonici del Dolci cfr. P.
Rotondi, Ancora un’opera sconosciuta di Francesco
di Giorgio a Urbino, “Commentari”, I, 1950, 2,
pp. 89-91; F. Negroni, Piazza del Rinascimento:
momenti di urbanistica in Urbino, “Notizie da
Palazzo Albani”, XIX, 2, 1990, pp. 31-44; F.P.
Fiore, in Francesco di Giorgio architetto, catalogo
della mostra (Siena 1993) a cura di F.P. Fiore e M.
Tafuri, Milano 1993, pp. 198-202; F. Negroni, Il
Duomo di Urbino, Urbino 1993, pp. 93, 121, tavv.
X, XI. Uno di questi fogli, raffigurante lo Spaccato
prospettico del Duomo d’Urbino, costituisce un
importante e raro documento per la ricostruzione
ideale dell’edificio quattrocentesco, prima degli
interventi del Valadier, seguiti ai gravi danni causati dal terremoto del 1781.
10. Conservato presso l’Istituto Nazionale di
Archeologia e Storia dell’arte di Roma, il manoscritto delle Notizie venne pubblicato per la prima
volta a cura di Luigi Serra in “Rassegna
Marchigiana”, XI, 1933, pp. 283-367. Sebbene
datato al 1775, fu aggiornato in tempi successivi,
come rivelano, ad esempio, i riferimenti al dipinto
con la Deposizione dalla croce della Chiesa di San
Girolamo d’Urbino, firmato e datato da Girolamo
Marchetti nel 1778, al terremoto del 1789 e alle
spoliazioni napoleoniche. Sui rapporti tra Dolci ed
il bolognese Luigi Crespi, che sollecitò la stesura
del manoscritto, rimando all’intervento di G.
Perini, Michelarcangelo Dolci e Luigi Crespi: le
vicende della guida urbinate del 1775 dietro le quinte, in Guide e viaggiatori tra Marche e Liguria dal
Sei all’Ottocento, Atti del Convegno (Urbino 2627 ottobre 2004) a cura di B. Cleri e G. Perini,
Quaderni di Notizie da Palazzo Albani n. 3,
Sant’Angelo in Vado 2006, pp. 291-320. L’Antaldi
ricorda anche un altro scritto del Dolci riguardante le “regole intorno alla pittura”, probabilmente
da identificarsi con le Regole sull’arte del disegno
che, assieme ad altri due manoscritti intitolati
Documenti sul disegno e Istoria compendiaria de’
Pittori della Grecia, era custodito nel 1822 da
padre Luigi Pungileoni che l’aveva ottenuto, assieme agli altri, da Antonio Rondelli, allievo del
Dolci; cfr. L. Pungileoni, Elogio storico di Giovanni
Santi (1822), edizione anastatica a cura di R.
Varese, Roma 1994, p. 57.
11. Cfr. Antaldi, Notizie, cit., p. 46.
Bibliografia essenziale
A. Lazzari, Delle chiese d’Urbino e delle pitture in esse esistenti. Compendio storico,
Urbino 1801;
R. Valazzi, Dolci Michele Arcangelo, in
Dizionario Biografico degli Italiani, 40,
1991, pp. 429-430;
A.R. Nanni, Michelangelo Dolci pittore e critico settecentesco ad Urbino, Tesi di Laurea,
Università degli Studi di Urbino, Facoltà di
Lettere Moderne, A.A. 1993-1994, Relatore
Prof. Ranieri Varese;
S. Partsch, Dolci Michelangelo, in Saur
Allgemeines Künstler-Lexicon. Die Bildenden
Künstleraller Zeiten und Völker, 28, 2001, p.
316.
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Via Crucis, post 1782
14 oli su tela, cm 60 x 40 (ciascuno)
URBINO, Chiesa di San Francesco
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Anche per queste tele, una delle più antiche
attribuzioni alla scuola del Lazzarini si registra nel già menzionato manoscritto della
Biblioteca Oliveriana di Pesaro contenente
il Catalogo delle migliori pitture che si conservano nelle chiese della città di Urbino, redatto nel 17941; la stessa notizia si legge nella
guida di Urbino di Innocenzo Ansaldi
(Pescia 1735-1816), conservata manoscritta
presso la Biblioteca Civica di Pescia, in stretta relazione con il Catalogo pesarese, ed è
confermata anche dal Lazzari nel 18012.
Nato a Pesaro nel 1710, ordinatovi sacerdote, il Lazzarini si formò artisticamente a
Roma, dove fu allievo di Francesco
Mancini, compagno di studi di Domenico
Corvi, amico di Raffaello Mengs, e dove
visse dal 1734 al ‘49, con numerosi ritorni
in patria, protetto da monsignor Gaetano
Fantuzzi3. Oltre all’attività di pittore, condotta in linea con un classicismo memore
della grande tradizione seicentesca e della
rilettura di questa fattane da Carlo Maratta,
Giannandrea si dedicò alla riflessione su
importanti questioni teoriche, di cui il primo
contributo apparve in quella Dissertazione
sopra l’arte della pittura, letta nel ‘53 nell’ambito dell’Accademia Pesarese4.
Interpretò alla perfezione il ruolo del pittore letterato, categoria alla quale rende omaggio Luigi Lanzi nella Prefazione della sua
Storia pittorica, convinto che i giudizi più
‘rispettabili’ sono quelli “che immediatamente vengono da’ professori... poiché d’ordinario chi meglio fa, meglio giudica”5.
Secondo Lanzi, poi, “al ben scrivere congiunse il Lazzarini anco il ben dipingere;
facile e tuttavia studiato in ogni parte; leggiadro e nobile insieme; erudito nell’introdurre fra’ suoi dipinti l’immagine dell’antichità ma senz’affettazione e senza pompa...
Quanto differiscono nelle invenzioni un
pittor letterato, e un pittor senza lettere!”6.
Pittore, architetto e teorico, il Lazzarini fu
protagonista e animatore della fiorente attività pittorica della Pesaro settecentesca,
dove egli stesso aveva aperto una frequentatissima scuola7, per la ricostruzione della cui
consistenza risultano particolarmente utili
le numerose lettere conservate presso la
Biblioteca Oliveriana di Pesaro, indirizzate
al cononico dai suoi allievi8, nonché l’elenco degli Scolari del Lazzarini, redatto nel
1804 da quell’assiduo raccoglitore di memorie patrie che fu Domenico Bonamini,
dove al nome degli artisti, elencati alfabeticamente, si affiancano brevi notizie biografiche9; tra i più dotati vanno almeno circordati Carlo Paolucci e Pietro Tedeschi, spesso
collaboratori del maestro10.
Pagata da un fedele generoso, la nostra Via
Crucis venne presumibilmente eseguita
dopo il 1782, giacché risulta in stretta relazione con una serie di incisioni pubblicate a
Roma in quello stesso anno, dall’incisoreeditore Pietro Leone Bombelli (Roma
1737-1809) che, assieme ad altri artisti attivi a quelle date nella capitale (Francesco
Cecchini, Antonio Capellan, Giuseppe
Sforza Perini, Angelo Campanella, Francesco
Pozzi, ecc.), firmò le tavole, dove non risulta
alcuna indicazione riguardante l’inventore
dei soggetti delle diverse rappresentazioni;
alcuni esemplari della suite, impreziositi da
fini acquerellature colorate che rendono le
incisioni simili a pitture, sono conservati in
almeno due chiese dei nostri territori, a San
Costanzo (vedi scheda n. 17) e a Sant’Angelo
in Lizzola.
Probabilmente acquisita a Roma dal
Lazzarini, che anche dopo il rientro in
patria mantenne contatti con la capitale e fu
particolarmente sensibile ai problemi dell’incisione, certo utilizzata anche come strumento didattico, la serie del Bombelli propone un’iconografia ormai ben attestata in
precedenti cicli pittorici e calcografici: nella
prima stazione la figura di Cristo incatenato
si contrappone a quella di Pilato, seduto su
un trono posto sopra alcuni gradini; le due
scene successive si svolgono sullo sfondo
delle imponenti mura di Gerusalemme; le
Scuola di
Giannandrea Lazzarini
(Pesaro 1710-1801) attr.
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altre, inserite perlopiù in un contesto non
caratterizzato, si concentrano sull’episodio
narrato, fino alla Crocifissione, risolta nei
modi più classici, con le figure della Vergine
e San Giovanni che affiancano la croce, e la
Deposizione nel sepolcro, ricavato quest’ultimo nella roccia, secondo un modello che si
sviluppa parallelamente a quello del sepolcro marmoreo.
Non facilmente identificabili ma forse rintracciabili tra quelli ancora presenti nella
bottega del maestro negli ultimi due decenni del XVIII secolo, gli allievi del Lazzarini
coinvolti nella realizzazione del ciclo si preoccuparono di rimanere fedeli alle immagini incise, restituendone l’impianto compositivo, il numero e le diverse posture dei personaggi; più impacciata la resa pittorica, a
volte piuttosto sommaria specie nella esecuzione delle vesti, ben poco panneggiate, o
dei volti dei coprotagonisti, in molti casi
appena abbozzati.
Eseguita a più mani, dissimile dal modello
solo nell’ultima stazione, dove viene introdotta una figura femminile piangente
all’estremità destra, questa Via Crucis può
aprire nuove considerazioni sulla realtà della
scuola lazzariniana, sulle modalità di lavoro
all’interno di essa e, ancora una volta, sui
modelli prescelti e proposti, in linea con il
classicismo sul quale si fonda l’opera del
maestro, in grado di tenere sotto controllo,
alla luce di un preciso decorum, l’empito
drammatico che rappresentazioni del genere avrebbero potuto richiedere.
Note
1. Su questa guida, rintracciabile sotto la segnatura MAM, VII, 4.56, pubblicata per la prima volta
da F.V. Lombardi, Cataloghi settecenteschi inediti
sulle pitture delle chiese d’Urbino, “Studia picena”,
LX, 1995, pp. 267-306, si veda anche La guida di
Urbino di Innocenzo Ansaldi e altri inediti di periegetica marchigiana, a cura di G. Perini e G. Cucco,
Quaderni di Notizie da Palazzo Albani n. 2, 2004,
pp. 103-111, in part. p. 104.
2. A. Lazzari (Delle chiese di Urbino e delle pitture
in esse esistenti. Compendio storico, Urbino 1801,
pp. 112-113) cita la Via Crucis di scuola del
Lazzarini fatta a spese di un devoto.
3. Cugino dell’Olivieri, monsignor Fantuzzi, poi
cardinale, fu figura di qualche rilevanza nella curia
romana per una brillante carriera condotta sotto la
protezione di Clemente XII, Benedetto XIV, dei
cardinali Annibale e Alessandro Albani, e per l’at-
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tiva partecipazione alla vita culturale della capitale.
4. La Dissertazione sopra l’Arte della Pittura letta
nell’Accademia Pesarese l’anno 1753 apparve per la
prima volta nella “Nuova Raccolta di opuscoli
scientifici e filologici”, II, 1756, pp. 97-137; venne
poi pubblicata nel 1782 a Vicenza, e nel 1783 nel
Catalogo delle pitture che si conservano nelle chiese di
Pesaro; nel 1806 riappare nelle Opere del Canonico
Giannandrea Lazzarini, con il titolo di Dissertazione prima sull’invenzione, accompagnata da altre
cinque Dissertazioni rimaste fino a quella data
manoscritte. Ancora con il titolo di Dissertazione
sopra la pittura, venne poi riedita a Pesaro nel
1883, da Saverio Lazzarini, in occasione delle
nozze di Giuseppe Vaccaj e Teresa Gennari.
5. L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, Bassano
1809, ed. cons. Pisa 1815, I, pp. XXVIII ss.
6. Lanzi, Storia pittorica, cit., V, pp. 201-202.
7. Nell’Orazione funebre in lode del canonico
Giannandrea Lazzarini, Pesaro 1803, G. Raffaelli
ricorda che “dopo che fu tornato da Roma (1749)
si forma la scuola di cinquanta e più giovani”.
Sulla figura del Lazzarini e sulla sua opera si rimanda a Gianandrea Lazzarini 1710-1801, catalogo
della mostra (Pesaro 1974) a cura di G. Calegari
Franca, N. Cecini, R. Mazzoli, Lissone 1974; G.
Calegari Un protagonista del ‘700 pesarese, in Arte e
cultura nella Provincia di Pesaro e Urbino, a cura di
F. Battistelli, Venezia 1986, pp. 473-480; G.
Calegari, Disegni inediti di Giannandrea Lazzarini.
I Taccuini ritrovati, Urbania 1989; I taccuini ritrovati. Giannandrea Lazzarini e il Settecento pesarese,
catalogo della mostra (Pesaro 1989) a cura di G.
Calegari, Urbania 1989; G. Calegari, Il Settecento
a Pesaro, in La cultura delle Marche in età moderna,
a cura di W. Angelini e G. Piccinini, Milano 1997,
pp. 168-177; G. Calegari, Un disegnatore neoclassico di arredi: l’eclettico Giannandrea Lazzarini, in Il
mobile pesarese, a cura di G. Calegari e P.
Giannotti, Ancona 2000, pp. 96-99.
8. A questo proposito cfr. L. Fontebuoni, Il ciclo
decorativo di palazzo Montani, in Il palazzo e la
famiglia Montani a Pesaro, a cura di A. Brancati,
Milano 1992, pp. 205-251, in part. p. 210.
9. Si tratta di un duerno contenuto nel Ms.
Oliveriano 1066; l’elenco venne redatto dal
Bonamini per aiutare l’amico Antaldo Antaldi che
stava raccogliendo, su richiesta di Pietro Zani, l’autore dell’Enciclopedia metodico-critico-ragionata di
Belle Arti (Parma 1817-1824), notizie sugli autori
della provincia; infatti proprio all’Antaldi si deve la
compilazione delle Notizie di alcuni architetti, pittori, scultori di Urbino, Pesaro e de’ luoghi circonvicini, datato al 1805 e rimasto a lungo manoscritto.
Sul Bonamini, sulla sua figura di conoscitore e
scrittore d’arte, nonché di collezionista cfr. G.
Patrignani, Introduzione, in D. Bonamini, Abecedario degli architetti e pittori pesaresi, a cura di G.
Patrignani, “Pesaro città e contà”, 6, 1996, pp.
13-42.
10. Nato nei pressi d’Urbino, dove venne avviato
all’arte sotto la guida di Michelangelo Dolci, Carlo
Paolucci (1738?-1803) entrò nella bottega del
Lazzarini verso la fine del 1762; nel gennaio 1770
passò all’Accademia Clementina di Bologna, dove
seguì i corsi di Giuseppe Varotti, Tommaso Nicola
Bertuzzi, Ubaldo Gandolfi, Filippo Balugani.
Autore di diverse tele, espresse la sua vena migliore sulle grandi superfici murali, dove spesso introdusse finte statue di sapore antico, in uno stile che
trasforma l’eredità barocca in chiave neoclassica; su
di lui R. Valazzi, Paolucci Carlo, in La pittura in
Italia. Il Settecento, Milano 1990, p. 819;
Fontebuoni, Il ciclo decorativo, cit.; G. Calegari,
Note su una “collezione” recuperata, in Il filo di
Arianna. Raccolte d’Arte dalle Fondazioni Casse di
Risparmio Marchigiane Jesi Macerata Pesaro, catalogo della mostra (Ancona 2001) a cura A.M.
Ambrosini Massari, Milano 2001, pp. 190-197 e
250-254. Pietro Tedeschi (1750?-post 1808), pesarese, attivo assieme ai colleghi dell’entourage lazzariniano a Pesaro e Macerata, visse molto a Roma
(ininterrottamente dal 1777 alla morte) protetto
dagli Albani, dove a sua volta fondò una scuola di
pittura. Su di lui cfr. R. Valazzi, Tedeschi Pietro, in
La pittura in Italia, cit., p. 876; Fontebuoni, Il ciclo
decorativo, cit.; Calegari, Note su una “collezione”,
cit.
Bibliografia essenziale
A. Lazzari, Delle chiese di Urbino e delle pitture in esse esistenti. Compendio storico,
Urbino 1801, pp. 112-113;
E. Ricotti, Il convento e la chiesa di San
Francesco d’Assisi d’Urbino, Padova 1954, p.
49;
F. Merletti, La chiesa e il convento di San
Francesco d’Assisi d’Urbino, Urbania 2000,
p. 9;
F. Merletti, La Beata Vergine Maria nel San
Francesco d’Urbino (Arte devozione storia),
Ancona 2002, p. 25.
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