Ritratto di Drieu La Rochelle - ilgiornaleOFF

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Ritratto di Drieu La Rochelle - ilgiornaleOFF
Drieu La Rochelle, legittimo suicidio di un vero ribelle - Il Giornale OFF
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Drieu La Rochelle, legittimo
suicidio di un vero ribelle
13/05/2015
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Claudia Gualdana
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Pronunci il nome e sai di toccare un nervo scoperto. Pierre Drieu la Rochelle; suona
così bene, peccato che un certo riduzionismo lo abbia liquidato con un epitaffio: il
fascistaTEATRO
morto suicida.
Così l’élite
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italiana ha consegnato al ghetto
degli impresentabili uno dei più
MODA
SONDAGGIO
talentuosi scrittori francesi della
prima metà del Novecento. Per
fortuna in Francia è andata
altrimenti: a Parigi si usa prima
considerare il valore di uno
scrittore, poi l’appartenenza politica
e non viceversa. Perciò a Drieu anziché l’oblio è toccata la gloria.
Alle prefiche dell’italico e dominante culto unico ex comunista, sempre in cerca di
malpensanti da fustigare e di eroi liberal da santificare, ree di aver consegnato la gran
parte dei libri di Drieu ai piccoli editori, si consiglia di sbirciare il catalogo di
Gallimard. Ci sono le opere complete nella Bibliothèque de la Pléiade, mai comparse
nella versione italiana Einaudi-Gallimard, e poi romanzi, racconti, poesie, saggi.
Insomma, neanche una virgola della produzione dello scomodo normanno è stata
trascurata. Nel 1963 il regista Louis Malle lo consegna all’olimpo degli immortali
girando il magistrale Le feu follet, tratto dal capolavoro di Drieu, in Italia
disponibile – almeno questo – presso un editore di grande diffusione come
Mondadori con il titolo Fuoco Fatuo.
MUSICA
VIDEO
MADE IN ITALY
P OR TA M I A TEA TR O
A piedi nudi in Der
Park
Botho Strauss è considerato uno
dei principali autori tedeschi
contemporanei. Si incontra da
giovanissimo, quando faceva il
critico, con il promettente regista
Peter Stein. I due poi si
conosceranno meglio,
intellettualmente, artisticamente, e
Di recente è uscita una sua
biografia a firma di Antonio
Serena, Drieu aristocratico e
giacobino, per i tipi della
Settimo Sigillo, nota casa
editrice di estrema destra.
Tuttavia è doveroso strappare
questo cattivo maestro alle
Maurice Ronet in Le feu Follet, capolavoro di Louis Malle
opposte tifoserie politiche per
consegnarlo al posto che merita.
Pierre Drieu la Rochelle, nato nel 1893 a Parigi in una famiglia piccolo borghese e
nazionalista di antica fede napoleonica, è uno dei figli migliori della generazione
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nel 1978 Stein mette in scena la
sua trilogia del Rivedersi. Da qui la
proposta dell'autore di [...]
ven, 22 mag 2015
Portami a teatro
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perduta. E’ vissuto tra le due guerre: è stato ferito nella prima e si è tolto la vita sul
finire della seconda, per l’esattezza il 15 marzo 1945, dopo aver ingerito una dose letale
di Fenobarbital. Tutto ciò che lo riguarda, come letterato e come uomo, è accaduto
durante quella pace “fatua” andata in scena a Parigi tra le due guerre. Amico di Louis
Aragon e André Malraux, dei dadaisti e dei surrealisti, dandy delle serate alla
moda, marito fallimentare, amante di donne piacenti e ricche, Drieu in fondo è
passato nel secolo breve senza legarsi ad alcuno, fedele alla sua spietata coerenza.
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IN EVID ENZ A
Coerenza nello stile, innanzitutto. Nei suoi romanzi – tra i più importanti si ricordino
Gilles, Cani di paglia, Le memorie di Dirk Raspe e il già menzionato capolavoro,
Fuoco fatuo – non si sa bene se per indole o per scelta, Drieu non sperimenta. Niente a
che vedere con un altro cattivo maestro, Céline: il francese è per lui una bandiera di
continuità con la storia e con il passato della patria adorata, servita stando dalla parte
sbagliata perché in fondo quella giusta non c’è. Periodare breve e schietto,
punteggiatura immacolata, idioma pulito, intelligibile.
Non avrebbe potuto essere altrimenti. Sodale delle avanguardie nelle scorribande
notturne questo biondo alto, elegante e attraente, aveva scelto di vivere e di morire per
il suo paese e per l’Europa intera. Credeva che soltanto il nazi-fascismo avrebbe
potuto arginare la mentalità americana in cui, veggente involontario, vedeva
profilarsi l’imperialismo e la fine della civiltà del vecchio continente. Quindi, dove
rifugiarsi? In un meditato nichilismo, in un anarchismo individualista che lo pone
all’avanguardia – lui, che era conservatore – nella letteratura e nel pensiero a livello
internazionale.
Spietatamente moderno dunque. In la
Rochelle si realizza l’identità tra arte e vita.
L’esistenza di Drieu si spiega nei suoi libri.
Basta leggere Stato civile e Racconto segreto per
capirlo. Scritti il primo nel 1921, il secondo tra
il ’44 e il ‘45, sono diari in cui traspare quella
che è comunemente ritenuta la sua ossessione
per il suicidio. Non è da escludersi che la
Rochelle risulti scomodo quanto un tizzone
ardente tra le mani più per questa volontà,
apparsa già nell’infanzia e poi ponderata con
filosofica intelligenza nel corso degli anni, che
non per il collaborazionismo. Sarebbe facile dire che si è ucciso per sfuggire a un
processo sommario ormai inevitabile dopo lo sbarco in Normandia. Lo sarebbe, se lui
non avesse messo nero su bianco le sue intenzioni e il suo paese non avesse avuto il
merito di continuare a ristamparle.
L’opera di Drieu è una scomoda riflessione sul togliersi la vita. E tutto ciò con il
senno di poi sembra rispecchiare la crisi autolesionistica che attraversa
l’Occidente. Il bello è che lui credeva nell’immortalità dell’anima, anche se in senso
più induista che cristiano. Accanto al suo cadavere fu trovata una copia delle
Upanishad. Drieu aveva cercato, affacciandosi alla filosofia, al cristianesimo, infine
alle tradizioni dell’estremo oriente, senza trovare una via d’uscita. La sua letteratura
dice questa ricerca. Dalle Memorie di Dirk Raspe, in cui racconta Vincent Van Gogh,
grande suicida, a Fuoco Fatuo, in cui la morte dello scrittore surrealista Jacques Rigaut,
suo sodale, è il presupposto per scrivere di getto i pensieri di un uomo incapace di
appartenere alla realtà e di amare perché “non può toccare niente” e soltanto la pistola è
finalmente reale, un oggetto solido attraverso cui realizzare finalmente qualcosa di
tangibile. Ed eccolo, terribile e crudele, l’unico atto possibile per chi non ha più ideali
né dei. Stiano zitti i medici, semmai a chi vuole leggere Drieu consiglino di tenere a
portata di mano un flacone di antidepressivi, ma per carità non lo si liquidi con
l’etichetta del depresso.
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IL SONDAG G IO a cura ddii
EUROM EDIA RES EA RCH
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Drieu era lucido. Aveva deciso da giovane di andarsene prima di invecchiare, con
pagana deferenza per la sua bellezza e un narcisismo a dir poco attuali. In Racconto
segreto cerca di dimostrare la validità delle sue intenzioni muovendosi tra Baudelaire,
“il poeta della meditazione”, e Dostoevskij, nel dilemma di “cristiano o suicida,
credente o ateo”, dicendosi felice di aver evitato di togliere il disturbo nella “frittata
collettiva” della trincea per scegliere infine una morte aristocratica, filosofica, come
onorevole via d’uscita da un mondo che a suo avviso non gli apparteneva. Con un salto
all’indietro e neanche troppa fantasia, bisogna ammettere che se proprio gli si deve
affibbiare un’etichetta può andar bene quella dello stoicismo. Se la mia patria e le idee
di cui sono figlio sono destinate all’oblio, è inutile aggrapparsi alla vita: è ridicolo
sopravvivere a se stessi. Drieu muore un po’ come Seneca e Catone, con distacco e
dopo una ferma e meditata scelta. Un atto di estrema e violenta libertà, inquietante,
scomodo, deprecabile, ma in cui dimostra ancora una volta una spietata coerenza: la
patria e le idee sono perdute, tuttavia la vita è mia e ne dispongo come meglio credo.
Certo il suo alter ego, Alain-Jacques Rigaut, in Fuoco fatuo si rifugia nella droga e
nell’alcol, quindi è un debole. Ma in fondo va bene anche questo. La sobrietà non è
contemplata nell’arte della decadenza. Perché gli antieroi di Drieu sono attuali almeno
quanto quelli narrati dai suoi stanchi epigoni involontari. Tutta gente che si metterebbe
le mani nei capelli, se fosse consapevole di scimmiottare un uomo vissuto molto tempo
fa: un fascista morto suicida.
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