Luglio/Agosto

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Luglio/Agosto
GERIATRIA
ORGANO UFFICIALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA GERIATRI OSPEDALIERI (S.I.G.Os.)
ISSN: 1122-5807
GERIATRIA
RIVISTA BIMESTRALE - ANNO XXII n. 4 Luglio/Agosto 2010 – Poste Italiane S.p.A. - Sped. in Abb. Postale D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 N. 46) Art. 1 Comma 1 - DCB Roma
ORGANO UFFICIALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA GERIATRI OSPEDALIERI (S.I.G.Os.)
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Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto
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SOMMARIO
AI LETTORI – Palleschi M. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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EDITORIALE: QUALE FUTURO SI PROSPETTA PER GLI ANZIANI?
Palleschi M. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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IL TRATTAMENTO FARMACOLOGICO NELLA MALATTIA DI ALZHEIMER: SOLUZIONI TERAPEUTICHE A CONFRONTO
Mossello E. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
121
UNA RARA ASSOCIAZIONE DI DERMATOMIOSITE E LIPOSARCOMA RETROPERITONEALE: DESCRIZIONE DI UN CASO CLINICO INSORTO IN ETÀ AVANZATA
Galanti A., Scolieri P., Marci M. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
125
PROGETTO COPE (CONTROL OF PAIN IN THE ELDERLY)
Madaio R.A., Gianni W., Ceci M., Zuccaro S.M. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
129
Sezione Nursing
NURSING: ASSISTENZA INTRA ED EXTRA OSPEDALIERA AL PAZIENTE CARDIOPATICO
Rosso B., Galleazzi M., Marin M., Gasparato F., Rebellato M. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
133
RUBRICHE
Vita agli anni
Sabatini D. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
139
Geriatria nel mondo
Zanatta A. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
141
Calendario Congressi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
142
XIII Convegno Nazionale Geriatrico “Dottore Angelico”
Città di Aquino - Città di Cassino
La Geriatria Arte,
Scie nza e Cuore a l
servizio delle criticità
d ell’Anziano:
m ultimorbilità e
danno cerebrale
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Dicembre
2010
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Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto
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AI LETTORI
IL CONSENSO DEI
FAMILIARI DEL MALATO
VERSO IL GERIATRA
Prof. Massimo Palleschi
Carissimi,
consentitemi di prendere l’argomento un po’ da lontano. Circa venti anni or
sono sul Medico d’Italia io scrissi un articolo sul consenso accordato ai medici, esprimendo con amarezza il parere che il prestigio di cui godevano era in
pieno declino.
Essendo stato mio padre medico, ho potuto valutare la considerazione che circondava questa professione dedita a salvare vite umane e a lenire sofferenze.
È anche per queste implicazioni che la Medicina veniva assimilata ad una vera
e propria missione.
Nei riguardi di aneddoti significativi, ricordo molto bene quello riferitomi da
una mia infermiera che, durante la guerra, da bambina ricevette un sonoro
ceffone dalla mamma. Si era in un paesino dell’Emilia Romagna e regnava la
miseria più nera. In questo contesto, nel quale mancava tutto erano tenuti da
parte per il medico curante l’asciugamano di lino più pregiato e la saponetta
più raffinata della casa.
La bambina, nella sua esuberanza e distrazione, avendo utilizzato quegli
oggetti destinati ad una persona di grande riguardo, era stata aspramente rimproverata.
In quell’articolo io cercavo di analizzare le ragioni del declino dei consensi,
alcune essendo estranee ai comportamenti del medico, altre invece in relazione a questi ultimi, non sempre ineccepibili.
Al di là delle cause, non vi è dubbio che la classe medica goda da molti anni
di minori favori. Significativa al riguardo può essere l’opinione del Presidente
Nazionale dell’Ordine dei Medici, Dott. Parodi, che ad un Convegno tenutosi
alcuni anni fa a Palermo e consistente in una discussione aperta tra Medici e
Magistrati, disse che vivevamo in un’epoca nella quale la medicina aveva raggiunto le più alte vette, ma nonostante questo, aveva ottenuto il minor consenso della sua storia.
Il Medico, per recuperare interamente tutta la considerazione che di per sé
merita, deve riappropiarsi di determinati valori (rettitudine, disponibilità, solidarietà, disinteresse verso il denaro, ecc.), soprattutto se si tratta di un Geriatra
che rivolge la sua attenzione verso persone malate, gravemente compromesse
sul piano funzionale, spesso destinate a concludere in breve tempo la propria
esistenza, a volte emarginate, non proprio all’apice della condizione sociale.
In sostanza se è vero che l’essenza stessa della medicina presupponga un
grande rispetto della persona, indipendentemente dalle sue caratteristiche,
questo appare ancor più evidente nel caso della Geriatria.
Non sempre i requisiti nominati, essenziali nella professione del Geriatra,
costituiscono in realtà un suo sicuro patrimonio. Ma quand’anche si tratti di
Geriatri ineccepibili da ogni punto di vista ed in particolare da quello etico,
come vengono apprezzate queste qualità e qual è il giudizio complessivo da
parte dei familiari del malato anziano?
Io sono convinto che chi compie una buona semina ha un buon raccolto e
quindi ritengo che anche in questo caso, pur insieme ad inevitabili sconfitte ed
amarezze, i consensi e le gratificazioni prevalgono senz’altro.
Desidero però soffermarmi su due aspetti che possono ridurre, inquinare o
ribaltare il consenso dei familiari verso il Geriatra.
È noto che una delle attività fondamentali della nostra disciplina sia costituita dalle misure antiinvalidanti rivolte a conservare o recuperare l’autonomia
del malato anziano.
118
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto
Si tratta di un complesso di misure diverse da quelle fisiatriche e che pre s u ppongono una grande collaborazione dei familiari.
In non rari casi la richiesta da parte del Geriatra di un ulteriore impegno può
suscitare una notevole contrarietà da parte di familiari molto occupati e/o
poco solidali.
D’altra parte la partecipazione dei familiari ad un programma in grado di
migliorare l’autonomia della persona anziana è indispensabile perché non
prevede semplicemente la messa in atto di “esercizi”, ma l’attuazione di
un’assistenza continuativa di tipo geriatrico, molto più adatta ad apporti di
tipo familiare.
Le difficoltà però possono essere notevoli e a volte riducono il potenziale favore accordato dai familiari dei malati anziani compromessi.
Un altro possibile aspetto critico nei rapporti tra Geriatra e familiari del
paziente è rappresentato dalla sua tendenza a non istituzionalizzare le persone anziane.
A volte, soprattutto quando riteniamo che il paziente possa recuperare la sua
autonomia e non avere più alcun bisogno di vivere per il resto della vita al di
fuori del proprio domicilio, non possiamo per una questione di onestà pro f e ssionale non prospettare possibilità assistenziali diverse, anche se osteggiate
dai familiari.
In sostanza non sempre il bene per il malato anziano compromesso coincide
con gli obiettivi e/o le possibilità dei familiari.
Queste difficoltà possono essere superate con un grande equilibrio ed una
forte disponibilità del medico geriatra che avrà dalla sua parte i risultati positivi del suo impegno antiinvalidante e la soddisfazione di aver operato corre ttamente.
Quali sono state le vostre esperienze in questo senso? Sarebbe molto proficuo
ricevere qualche vostra testimonianza.
EDITORIALE
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto 119
QUALE FUTURO SI PROSPETTA PER GLI ANZIANI?
Palleschi M.
Presidente Onorario Fondatore Società Italiana Geriatri Ospedalieri
Una prima risposta all’interrogativo posto nel
titolo di questo elaborato riguarda la maggiore
durata dell’esistenza per le generazioni future, un
aumento di circa un anno dell’età media di vita,
ogni 3-4 anni.
Si ritiene che questo andamento si manterrà nei
prossimi decenni, al di là di possibili accelerazioni
determinate da innovazioni non facilmente prevedibili comprendenti quelle di ingegneria genetica.
Ci si può chiedere se una previsione del genere, con un’aspettativa di vita così lunga, abbia
implicazioni sicuramente e pienamente positive.
Chi ama la vita, generalmente l’apprezza in tutte
le fasi, anche in quelle avanzate, ma le aspettative
possono essere molto diverse essendo quanto mai
variegato il modo di vivere gli anni della vecchiaia.
Il Prof. Carrel, premio Nobel per la Medicina
ed autore del famoso libro “L’uomo questo sconosciuto” diceva “Bisogna aggiungere vita agli anni
e non anni alla vita”.
Questa frase, diventata celebre nel mondo
geriatrico, testimonia l’importanza della qualità
della vita più ancora della sua durata.
Il binomio durata/qualità della vita non va
comunque concepito in maniera alternativa nel
senso che nei Paesi nei quali la vita è lunga generalmente si vive bene, viceversa in Biafra e in
Sierra Leone, nazioni nelle quali l’età media di
vita è bassissima, si vive molto male.
Una prospettiva positiva sul futuro degli anziani ci perviene dal parere degli esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo il quale
attualmente non solo si vive molto di più, ma si sta
meglio da un punto di vista funzionale. Ad esempio un uomo di 70-80 anni è oggi più efficiente,
potremmo quasi dire è meno vecchio del corrispondente uomo delle generazioni precedenti.
Queste conoscenze ci consentono di mandare
un messaggio positivo ai giovani e di trasmettere
a loro la gioia di sapere che ciascuno avrà una vita
più lunga ed una migliore salute rispetto alle
generazioni precedenti.
La duplice condizione rappresentata da una
maggiore durata della vita ed un più elevato livello di salute impone che vi sia un incremento dell’età del pensionamento.
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Massimo Palleschi
Via Apuania, 13 – 00162 Roma
Tel. 0644232969
Infatti, al di là dell’esigenza economica di un’elevazione dell’età pensionabile, determinata dall’invecchiamento della popolazione e dal conseguente restringimento della fascia di popolazione
produttiva, vi sono inequivocabili ragioni mediche
che consentono o addirittura suggeriscono un più
tardivo abbandono del lavoro.
Non era giustificato che negli ultimi decenni
l’età del pensionamento fosse rimasta sostanzialmente la medesima, a fronte di una vita tanto più
lunga e migliore per efficienza funzionale.
Molti governi delle nazioni sviluppate hanno
elevato o stanno per elevare l’età pensionabile, sia
nell’uomo che nella donna, nel tentativo di tenere
il passo con l’invecchiamento della popolazione.
Alcuni Paesi prospettano anche settimane
lavorative ridotte, con un numero maggiore di
part-time.
Il futuro potrebbe essere quello della ridistribuzione del lavoro tra le diverse età, con settimane lavorative ridotte, distribuite su una vita lavorativa più lunga.
Inoltre il lavoro che si prospetta per le persone
anziane, oltre a non essere obbligatorio, potrebbe
avere peculiarità tali da non incidere negativamente sulla disoccupazione giovanile.
Significativo in proposito è l’esempio dell’Assolombarda che ha offerto possibilità occupazionali a dirigenti d’azienda pensionati per svolgere
opera di “divulgazione della cultura di impresa”.
Una più lunga attività lavorativa potrà contribuire a rendere meno frequente ed intenso quel
senso di inutilità che a volte colpisce le persone di
età avanzata. Ricordo che negli USA è normativamente proibita la cosiddetta “Age Discrimination”: è infatti previsto che i contratti di lavoro
non vengano interrotti per limiti di età.
Ovviamente se un anziano è in condizioni di
salute tali da essere incompatibile con l’attività
lavorativa viene escluso dalla produzione, ma
questo si verifica anche per il giovane. L’età in
quanto tale però non può essere motivo di esclusione dal lavoro.
Un’altra prospettiva sul futuro degli anziani è
rappresentata dalla socializzazione e dal mantenimento delle capacità creative, più facili ad ottenersi in un determinato contesto socio-culturale:
può essere ad esempio utile frequentare l’università della terza età o della libera età, od anche i
centri sociali per gli anziani.
Dopo le esperienze pioneristiche svolte in que-
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Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto
sto settore in Francia da Vellas, a partire dall’inizio degli anni ’80, le Università della terza età si
sono diffuse capillarmente a livello internazionale
ed anche nel nostro Paese.
Gli anziani desiderano essere valorizzati nella
società e nelle singole realtà che la compongono:
l’acquisizione di alcune capacità pratiche (lingue
straniere, corsi di informatica, scuola di cucina,
ecc.) può svolgere un ruolo significativo in questa
direzione.
Anche i centri sociali possono avere una funzione molto utile, ma devono prestare attenzione
a non rispondere solo ad esigenze di passatempo.
Numerose altre iniziative e misure potranno
incidere positivamente sul futuro degli anziani
che hanno il diritto ad una soddisfacente qualità
di vita.
In sostanza per il futuro la speranza dell’anziano è quella di poter mantenere un suo equilibrio
individuale sia nei riguardi della salute, sia dell’ambiente sociale, economico e culturale.
Si tratta di programmare una vecchiaia serena
ed operosa e non preventivare od incoraggiare
una “gerontocrazia” nella quale il dominio degli
anziani è determinato oltreché dal numero crescente di soggetti appartenenti a questa fascia
della popolazione, dalle possibilità di mantenere
od incrementare il potere conquistato.
È comunque difficile fare previsioni sul futuro
degli anziani che forse più degli altri risentono
della complessità dei cambiamenti a carico della
società e dell’ambiente (sviluppo dell’informatica,
delle biotecnologie, della robotica, ecc.).
Alcuni di questi mezzi hanno già e ancor di più
potranno avere un ruolo utilissimo nel migliorare
la qualità di vita dell’anziano: basti pensare alla
possibilità di compiere operazioni a distanza da
parte di una persona immobilizzata od impedita.
Queste innovazioni non dovranno però alterare l’equilibrio e l’armonia della persona anziana.
In sede di conclusione sulle aspettative degli
anziani, mi sembra indispensabile una precisazione.
Quando si parla di condizione degli anziani,
bisogna tenere sempre presenti che al loro interno
esistono variazioni molto più ampie di quelle
riscontrate nelle altre fasce di età della popolazione.
Se ci riferiamo ai soggetti più ammalati, più
compromessi funzionalmente, in condizioni socio-economiche svantaggiose, le prospettive, comunque non rosee, saranno in relazione da una
parte all’affermarsi o meno di una cultura e di una
prassi solidaristica, dall’altra alla maggiore o minore valorizzazione della Geriatria, della disciplina cioè che con un approccio di tipo globale è in
grado di meglio valutare le esigenze della persona anziana fragile.
121
IL TRATTAMENTO FARMACOLOGICO NELLA MALATTIA DI
ALZHEIMER: SOLUZIONI TERAPEUTICHE A CONFRONTO
Mossello E.
Unità Funzionale di Gerontologia e Geriatria, Dipartimento di Area Critica Medico-Chirurgica, Università degli Studi, Firenze
Riassunto: Nell’anziano con Malattia di Alzheimer (AD), il trattamento farmacologico specifico deve essere collocato all’interno di un approccio clinico multidimensionale. I dati di letteratura dimostrano l’efficacia sintomatica
degli inibitori delle colinesterasi (ChEI) sullo stato cognitivo e funzionale. Il rischio di effetti avversi e gli effetti
terapeutici crescono entrambi all’aumentare della dose. Al momento della diagnosi di AD è sempre opportuno stabilire l’opportunità di intraprendere un trattamento con ChEI. Successivamente è necessario valutare la risposta al
farmaco, avvalendosi sia della valutazione testistica che del giudizio clinico; in conseguenza, la terapia può essere
adeguata, cambiando la molecola assunta, sostituendo i ChEI con la memantina o associando le due classi farmacologiche. La memantina sembra avere anche un effetto favorevole sui comportamenti agitati, oltre che sul livello
cognitivo e funzionale, nella fase moderata-grave di malattia. Sono ancora incerti gli effetti a lungo termine di tali
terapie e non è stato dimostrato che essi siano in grado di modificare la storia naturale della malattia.
Parole chiave: malattia di Alzheimer, inibitori delle colinesterasi, memantina.
Summary: In older patients with Alzheimer’s Disease (AD) specific drug treatment must be included within a comprehensi ve clinical approach. Literature data show the symptomatic effect of cholinesterase inhibitors (ChEI) on cognitive and functio nal status. Both risk of adverse events and therapeutic effects become greater at higher doses. At the time of diagnosis treat ment with ChEI should be considered. Afterwards it is necessary to assess drug response, using both cognitive testing and cli nical judgment; accordingly treatment may be tailored, changing the prescribed molecule, substituting ChEI with memanti ne or associating both pharmacologic classes. Memantine seems to have also favorable effects on agitated behaviors, besides
cognitive and functional status, in moderate-to-severe phase of disease. Long term effects of such treatments are still uncer tain and a modifying effect on disease’s natural history has not been established yet.
Key words: Alzheimer’s disease, cholinesterase inhibitors, memantine.
PREMESSA
In attesa che i numerosi trial in corso siano in
grado di identificare una terapia in grado di arrestare il processo patologico alla base della Malattia
di Alzheimer (AD), il trattamento di tale condizione nell’anziano richiede l’utilizzo di molteplici
strumenti. È necessario prima di tutto identificare
e compensare al meglio le patologie somatiche
acute e croniche associate, secondo il modello che
vede in esse una concausa rilevante dei disturbi
cognitivi nel paziente geriatrico con demenza (1).
D’altra parte il medico ha a disposizione un ventaglio di opzioni farmacologiche e non farmacologiche che hanno dimostrato una certa efficacia nel
contenere i disturbi causati della malattia.
Per quanto riguarda le terapie farmacologiche
specifiche oggi a disposizione, la presente review
prenderà in esame:
– le evidenze e le problematiche relative al loro
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Enrico Mossello
Unità Funzionale di Gerontologia e Geriatria
Dipartimento di Area Critica Medico-Chirurgica
Università degli Studi e A.O.U. Careggi
Viale G. Pieraccini, 6 – 50139 Firenze
Tel. 0554271470 – 0554271006
E.mail: [email protected]
effetto sintomatico sul livello cognitivo e lo stato
funzionale globale;
– i dati relativi alla gestione del trattamento nella
progressione della malattia e ai suoi possibili
effetti a lungo termine;
– l’effetto di tali terapie sui sintomi psicologici e
comportamentali;
– le ricadute sul carico assistenziale.
A tale scopo saranno prese in esame con particolare attenzione: le meta-analisi di studi randomizzati relativi all’efficacia degli inibitori della
colinesterasi nella AD; gli studi randomizzati ed
osservazionali che abbiano valutato gli effetti a
lungo termine di inibitori della colinesterasi e
memantina sulla storia naturale di malattia ed in
particolare sul rischio di istituzionalizzazione; gli
studi randomizzati e le meta-analisi che abbiano
valutato gli effetti di inibitori della colinesterasi e
memantina sui sintomi psicologici e comportamentali; gli studi randomizzati che abbiano valutato gli effetti degli inibitori della colinesterasi sul
carico assistenziale.
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO DELLA
AD: EFFETTO SINTOMATICO
N u m e rosi trial, sintetizzati nell’ambito di
meta-analisi, hanno dimostrato in modo chiaro
che il trattamento con inibitori delle colinesterasi
122
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto
(ChEI, donepezil, rivastigmina, galantamina),
rispetto al placebo, produce un effetto sintomatico
limitato ma statisticamente significativo sui
disturbi cognitivi nella AD dopo 6 mesi di trattamento. L’entità di tale effetto è pari in media a 2.5
punti della scala ADAS-Cog e a 1.5 punti del Mini
Mental State Examination (2). In parallelo gli stessi studi hanno anche dimostrato che tale effetto si
traduce in una lieve ma significativa riduzione del
declino dell’autonomia funzionale (3).
Tale effetto sintomatico risulta più evidente ai
dosaggi maggiori dei diversi ChEI (4), sebbene al
crescere del dosaggio aumenti anche il rischio di
effetti avversi, in particolare quelli gastrointestinali. Tali effetti sono inferiori con il donepezil e
massimi con la formulazione orale di rivastigmina (2). In tal senso appare un avanzamento la
commercializzazione della rivastigmina transdermica, che produce una concentrazione stabile del
farmaco nel sangue, invece delle fluttuazioni causate dalla somministrazione orale, riducendo così
i “picchi” connessi alla somministrazione orale
(5). Questo ha consentito di ridurre di 2/3 l’incidenza di effetti avversi rispetto alla formulazione
per os, mantenendone la stessa efficacia e riuscendo a raggiungere nella quasi totalità dei casi il
dosaggio massimo del farmaco (6).
Il significato dell’effetto sintomatico dei ChEI,
sebbene supportato dai dati statistici, è sempre di
difficile valutazione nel singolo paziente, particolarmente in una malattia che è inevitabilmente
p ro g ressiva malgrado le terapie disponibili,
mostra una elevata variabilità inter-individuale
nella risposta alle cure e d’altra parte dimostra
negli studi una risposta positiva al placebo nel
17% dei casi (7). Tale dato è ben esemplificato
dalla stima che è stata fatta del Number Needed
to Treat (NNT), espressione del numero di soggetti che occorre in media trattare per dare beneficio
ad un paziente in più rispetto al placebo. Tale
valore è pari a 7 per i ChEI; per avere un confronto il NNT è circa 4 per gli inibitori del reuptake
della serotonina nella depressione maggiore.
Questo suggerisce la necessità di identificare i
soggetti che rispondono efficacemente alla terapia
rispetto a quelli che non rispondono. In tal senso,
dati osservazionali suggeriscono che la stabilità o
il miglioramento del MMSE dopo tre mesi di terapia sono predittivi di un mantenimento del livello cognitivo globale dopo 9 mesi di cura (8).
D’altra parte il medico nella sua pratica clinica
non sempre è guidato dalla sola valutazione testistica guida. Un approccio alternativo e complementare è quello proposto dagli autori del Goal
Attainment Scale (GAS), che propongono, mediante tale strumento, l’individuazione di obiettivi
personalizzati con paziente e caregiver e, in un
secondo momento, la possibilità di valutare in che
misura gli obiettivi prefissati siano stati raggiunti
(9). Utilizzando il GAS, che è concettualmente vicino a quella che possiamo considerare una corretta
relazione medico-paziente-caregiver, in un’ampia
casistica di soggetti trattati con rivastigmina si è
osservato un miglioramento dei problemi identificati nel 30-45% dei casi ed un loro peggioramento
solo nel 5-10% dopo un anno (10).
Una ulteriore problematica relativa alla scelta
del trattamento è costituita dal fatto che, particolarmente nei pazienti più anziani, la presenza di
malattia cerebrovascolare coesiste nella maggioranza dei casi con la neuropatologia di tipo
Alzheimer (11). Tale dato sottolinea come solo la
presenza di segni rilevanti di malattia cerebrovascolare debbano far porre la diagnosi di demenza
vascolare: secondo i criteri NINDS-AIREN la presenza di infarti multipli dei grossi vasi, di infarti
“strategici” (es. giro angolare, talamo, lobi frontali), di lacune multiple dei nuclei della base, di
estese alterazioni della sostanza bianca (12).
D’altra parte uno studio condotto con galantamina ha dimostrato che nel sottogruppo di pazienti
con AD associata a malattia cerebrovascolare gli
effetti sintomatici siano sovrapponibili rispetto a
quanto osservato nei soggetti senza malattia cerebrovascolare (13).
I dati riportati giustificano perché, nelle linee
guida europee recentemente pubblicate re l a t i v amente alla diagnosi ed al trattamento della AD,
costituisca “raccomandazione di livello A” il fatto
che, al momento della diagnosi, debba sempre
essere valutata la possibilità di istituire un trattamento con ChEI, discutendo con paziente care g iver i benefici attesi ed i possibili effetti avversi (14).
IL TRATTAMENTO NELLA PROGRESSIONE
DELLA MALATTIA
Sono invece più limitati e tra loro contrastanti i
dati relativi all’effetto a lungo termine dei ChEI.
Secondo alcuni dati un inizio più precoce della
terapia sarebbe in grado di ritardare il declino cognitivo a distanza di tempo, dato questo che suggerirebbe un possibile effetto di modifica della storia
naturale di malattia oltre al semplice effetto sintomatico. Vanno in questo senso i dati delle “estensioni” in aperto dei trial randomizzati controllati,
in cui è stato osservato che i soggetti inizialmente
randomizzati all’assunzione del placebo, e che pertanto avevano iniziato il farmaco 6-12 mesi dopo il
gruppo di trattamento attivo, rimanevano ad un
livello cognitivo mediamente inferiore per 12-36
mesi rispetto al gruppo che aveva assunto il farmaco fin dall’inizio (15,16) ed avevano un rischio inferiore di istituzionalizzazione (17). Tali dati, seppur
non dirimenti, in particolare per l’elevato tasso di
soggetti perduti al follow-up, sono in accordo con
gli studi naturalistici che hanno osservato un
minor tasso di istituzionalizzazione nei soggetti in
Mossello E. - Il trattamento farmacologico nella Malattia di Alzheimer: soluzioni…
123
trattamento con ChEI rispetto a soggetti appaiati ai
precedenti in cui tale trattamento non era stato prescritto (18;19). Sono invece in contrasto con tale
ipotesi i dati di AD2000, trial randomizzato sponsorizzato dal National Health System britannico,
che ha confrontato gli effetti di donepezil e placebo
in un trial in doppio cieco di lunga durata e che,
pur confermando l’effetto sintomatico del farmaco
sul livello cognitivo e l’autonomia fino a 2 anni di
follow-up, non ha osservato alcuna riduzione del
rischio di istituzionalizzazione a 3 anni (20). I limiti di tale studio sono stati tuttavia autorevolmente
elencati nell’ambito della revisione Cochrane: la
complessità del disegno, che prevedeva una seconda randomizzazione a distanza di 12 settimane
dall’inizio dello studio e che rende i dati di difficile interpretazione; il limitato numero dei soggetti
arruolati, largamente inferiore a quanto programmato (565 rispetto ai 3000 previsti); la successiva
notevole perdita di soggetti nel follow-up (40% nel
primo anno) (2). Per tutti questi motivi i revisori
concludono che lo studio ha mancato di raggiungere i suoi obiettivi, lasciando così nell’incertezza
quali siano gli effetti a lungo termine del trattamento con ChEI e non consentendo né di aff e r m are né di negare in modo definitivo un loro effetto di
modifica della storia naturale della malattia.
Un secondo problema che si pone nella progressione della malattia è come comportarsi di
fronte ai pazienti che, malgrado il trattamento,
mostrano una progressione dei deficit. Alla luce
dei dati che suggeriscono la possibilità di una
diversa risposta individuale a diversi ChEI (21),
appare ragionevole cambiare la molecola assunta
se si osserva fin dall’inizio della terapia un peggioramento cognitivo. Un’alternativa ai ChEI è
costituita dalla memantina, che possiede un effetto modulatore sui recettori NMDA per il glutammato, la cui efficacia è stata dimostrata nei trial
randomizzati controllati in fase moderata-grave
di malattia, sia in monoterapia rispetto al placebo
(22) che in associazione a donepezil rispetto al
solo donepezil (23). La terapia di associazione
appare pertanto ragionevole nei casi in cui, a distanza di tempo dall’inizio della terapia con ChEI,
si osserva un peggioramento cognitivo dopo un’iniziale risposta positiva. Ancora una volta i dati
sono confermati da studi osservazionali, che
hanno mostrato un tasso di istituzionalizzazione
significativamente inferiore nei soggetti trattati
con l’associazione ChEI+memantina rispetto a
quelli trattati con i soli ChEI (24).
trial disponibili abbia evidenziato un beneficio
lieve ma statisticamente significativo del farmaco
rispetto al placebo (25), va ricordato che i pazienti con gravi disturbi del comportamento erano
esclusi dai trial (il punteggio basale della
Neuropsychiatric Inventory negli studi è compreso tra 9 e 13). Nell’unico trial che ha preso in
esame come outcome primario gli effetti del donepezil sull’agitazione in pazienti con AD moderata-grave, gli effetti del farmaco sono risultati
sovrapponibili a quelli del placebo (26).
Sembra avere un miglior profilo di azione su
tali sintomi la memantina, come dimostrato da
una meta-analisi di tre trial randomizzati controllati che ha dimostrato un beneficio chiaramente
significativo del farmaco su agitazione, allucinazioni e deliri dopo 3 e 6 mesi di trattamento nel
sottogruppo di pazienti che mostravano tali sintomi alla valutazione basale (27).
Tali dati di efficacia, seppure ancora limitati,
rivestono una particolare importanza alla luce del
fatto che il trattamento con antipsicotici atipici, la
classe di farmaci che più di tutti ha dimostrazioni
di efficacia nel trattamento di agitazione e psicosi
in corso di AD (28), è risultato associato ad un
incremento lieve ma statisticamente significativo
della mortalità (29). Tale osservazione giustifica la
raccomandazione di utilizzare tali farmaci solo nei
casi di sintomi gravi o comunque non responsivi al
trattamento non farmacologico, per il tempo minimo e alla dose minima necessaria (30).
Vi è infine un numero limitato di studi che ha
dimostrato l’efficacia del trattamento antidepressivo nel miglioramento a breve termine dei sintomi depressivi (31). Dati osservazionali suggeriscono che l’associazione di farmaci antidepressivi e
ChEI potrebbe avere un beneficio anche sul profilo cognitivo (32,33).
IL CONTROLLO DEI SINTOMI
PSICOLOGICI E COMPORTAMENTALI
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Sono più limitate le prove di efficacia dei ChEI
nel trattamento dei sintomi psicologici e comportamentali. Infatti, sebbene una meta-analisi dei
LA RIDUZIONE DELLO STRESS
ASSISTENZIALE
Alcuni studi hanno infine incluso tra i loro outcome l’entità del carico assistenziale fornito dai
caregiver. Nell’ambito di uno studio con donepezil è stato possibile dimostrare che il trattamento
farmacologico di pazienti con AD moderata-grave
si associa, dopo sei mesi, ad una riduzione di circa
50 minuti del tempo quotidiano di assistenza
nelle attività della vita quotidiana rispetto a quanto osservato nel gruppo di pazienti in trattamento
con il placebo (34).
I dati riportati supportano l’efficacia sintomatica
dei ChEI nel trattamento dei sintomi cognitivi e
della disabilità nei pazienti con AD, senza significative differenze di efficacia tra le diverse molecole.
124
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto
Limitatamente alla fase moderata-grave di malattia
vi è un effetto dimostrato anche della memantina,
che può essere associata ai ChEI, con un possibile
beneficio anche sui sintomi psicologici e comportamentali. Non vi sono evidenze conclusive in rapporto ad un possibile effetto di questi farmaci nel
modificare la storia naturale della malattia.
Si può quindi concludere che gli strumenti farmacologici oggi disponibili costituiscono una
parte del trattamento dell’anziano con AD, da
inserire all’interno di un approccio multidimensionale che comprenda valutazione e trattamento
della comorbilità, trattamento non farmacologico
dei sintomi della malattia e supporto dei caregiver.
Relazione presentata al XXII Congresso Nazionale della S.I.G.Os. – Roma 12-15 Maggio 2010.
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125
UNA RARA ASSOCIAZIONE DI DERMATOMIOSITE E
LIPOSARCOMA RETROPERITONEALE:
DESCRIZIONE DI UN CASO CLINICO INSORTO
IN ETÀ AVANZATA
Galanti A., Scolieri P., Marci M.
U.O.C. di Medicina Interna, Ospedale “San Giovanni Evangelista”, Tivoli - ASL Roma/G
Riassunto: Le sindromi paraneoplastiche rappresentano per il clinico un vero problema diagnostico nella pratica
quotidiana di corsia ospedaliera. Nel presente lavoro viene descritto il caso di una paziente anziana giunta alla
nostra osservazione, nella quale era presente l’associazione tra dermatomiosite e liposarcoma retro-peritoneale; la
singolarità del quadro clinico, non segnalato in precedenza, è stato arricchito da una breve, ma esaustiva, review
della letteratura.
La sintomatologia di presentazione della dermatomiosite, quando vi è associata una neoplasia, può talora essere
subdola e trarre in inganno anche clinici molto esperti. Il sospetto diagnostico di tale patologia o comunque di una
connettivite secondaria ad una forma neoplastica, va sempre preso in considerazione, quando di fronte al soggetto in età avanzata, vi è una presentazione improvvisa senza sintomi prodromici e la presenza di un’elevata velocità di eritrosedimentazione.
Parole chiave: sindromi paraneoplastiche, dermatomiositi, liposarcoma, autoimmunità, tipi di cancro.
Summary: The paraneoplastic syndromes are a real problem for the clinical diagnosis in everyday practice of hospital wards.
This paper describes the case of an elderly patient came to our observation, in which there was an association between derma tomyositis and retroperitoneal liposarcoma, and the singularity of the clinical picture, not reported previously, has been enri ched by a brief but exhaustive review of the literature.
The presenting symptoms of dermatomyositis when there is an associated neoplasia, can sometimes be deceptive and mislea ding also very experienced clinicians. The suspected diagnosis of the disease or at least a secondary connective tissue disease
linked to cancers, must always be taken into consideration when we observe a subject with an advanced age, with a sudden
presentation without prodromal symptoms and the presence of a high sedimentation rate.
Key words: paraneoplastic syndromes, dermatomyiositis, liposarcoma, autoimmunity, cancer types.
INTRODUZIONE
La Dermatomiosite (DM) è una collagenopatia
caratterizzata da un processo infiammatorio localizzato in corrispondenza della muscolatura e
della cute, dovuta a cause ancora non del tutto
conosciute. Colpisce prevalentemente il sesso femminile (2:1), in tutte le età, ma predilige l’infanzia
e l’età media. Ha un’incidenza compresa tra 2 e 10
nuovi casi per milione di abitanti per anno con una
prevalenza di 4 su 100.000 abitanti (1).
L’ipotesi patogenetica di maggior credito, alla
luce delle attuali conoscenze scientifiche, prevede
una predisposizione genetica (HLA B7, DRw6 negli afro-americani e B8, DR3, DRw52 nella razza
caucasica) sulla quale un fattore scatenante può
innescare una reazione immunitaria con successiIndirizzo per la corrispondenza:
Dott. Enrico Mossello
Unità Funzionale di Gerontologia e Geriatria
Dipartimento di Area Critica Medico-Chirurgica
Università degli Studi e A.O.U. Careggi
Viale G. Pieraccini, 6 – 50139 Firenze
Tel. 0554271470 – 0554271006
E.mail: [email protected]
vo danno muscolare (2). Virus quali echovirus,
coxachie, influenza, epatite B, Herpes, rosolia,
Epstein Barr, HIV, vaccini e la penicillamina sono
stati annoverati in vari studi scientifici come possibili fattori esterni possibili “trigger” agenti su la
suddetta predisposizione genetica (3,4). Al contrario quando tale patologia colpisce soggetti con età
superiore a 60 anni si è notata un’associazione con
vari tipi di neoplasie in circa il 15-25% dei casi (5)
con predilezione per il sesso maschile.
Non sembra esistere una stretta correlazione
temporale tra le due manifestazioni: la neoplasia
può precedere, concorrere o seguire l’episodio
della miosite come fenomeno paraneoplastico; si
considera come limite per la comparsa dei sintomi
clinici del tumore, i due o tre anni che seguono o
precedono la diagnosi di miosite.
Il quadro clinico con il quale si presenta la DM
è caratterizzato da astenia con esordio spesso subdolo coinvolgente la muscolatura prossimale
degli arti e del cingolo scapolo-omerale progressivamente ubiquitaria sino ad interessare anche i
muscoli del collo, della fonazione, masticatori e
della deglutizione. Per meglio indagare sul sintomo astenia è utile chiedere al paziente se negli
126
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto
ultimi tempi ha presentato difficoltà nello svolgimento di comuni atti quotidiani della vita quali
posizionare un oggetto su di un piano rialzato,
pettinarsi, salire o scendere delle scale, sollevarsi
dalla posizione accovacciata, sollevare il capo.
Nell’esame obiettivo bisogna andare a cercare con
attenzione la riduzione della forza muscolare, l’eventuale dolorabilità esplicitata da una minima
compressione muscolare sino all’evidenza di una
franca atrofia muscolare. Il rash cutaneo patognomonico (eliotropo) è caratterizzato dalla colorazione violacea-rossastra delle palpebre superiori
con associato edema delle stesse (l’edema può
precedere di mesi, anni la sintomatologia muscolare). Si possono riscontrare anche le papule di
Gottron ossia placche rossastre localizzate a livello delle nocche delle dita, ginocchia o gomiti, caviglie. Nella fase florida di malattia sono di frequente osservazione le artralgie, mentre nel 30% dei
casi il paziente riferisce disfagia (causa l’interessamento già citato della muscolatura coinvolta nella
deglutizione). La sintomatologia polmonare è
tipicamente in relazione al coinvolgimento dell’interstizio con dispnea, tosse stizzosa, toracodinia come peraltro presente nelle altre forme di
connettiviti. L’ i n t e ressamento polmonare ha
un’incidenza di circa il 45%, si manifesta sotto forma di polmoniti (ab ingestis), infezioni delle basse
ed alte vie respiratorie e rappresenta un’importante causa di mortalità nei pazienti affetti da DM
(6). Sono descritti in letteratura casi di glomerulonefrite e conseguente insufficienza renale (1).
Per quanto concerne la diagnostica di laboratorio oltre ad una elevazione degli indici di flogosi (VES, PCR, α·2globuline), sono alterati gli enzimi muscolari ed in particolare il CPK.
Quest’ultimo è di fondamentale importanza perché le sue variazioni monitorizzano l’andamento
della malattia; bisogna però ricordare che nelle
primissime fasi della DM, o quando è già presente l’atrofia muscolare, le titolazioni del CPK possono risultare anche entro il range di normalità.
La ricerca degli autoanticorpi condotta con metodiche ELISA ha dimostrato che nel 15-25% dei
pazienti si riscontra una positività per gli anticorpi anti Mi2 (Mi2 è una proteina coinvolta nei processi regolatori di replicazione, riparazione ed
espressione genetica), mentre in circa l’80% dei
casi sono dimostrabili gli anticorpi anti-nucleo
(ANA). L’elettromiografia-neurografia (EMGENG) viene eseguita per consentire di registrare il
pattern tipico di danno a localizzazione muscolare, ma poi viene integrata con la biopsia muscolare. La sede idonea per eseguire la biopsia solitamente è a livello della muscolatura prossimale
degli arti, preferibilmente dove l’interessamento
muscolare è maggiormente evidente. L’istologia
evidenzia aree di degenerazione focale o diffusa
delle fibre muscolari scheletriche, alternate a zone
di rigenerazione di fibre con grossi nuclei vescicolari, infiltrati infiammatori cronici; se la patologia
è presente da tempo si possono osservare fibrosi
interstiziale e perimisiale (7). Da segnalare che in
una percentuale che oscilla dal 10 al 20% dei casi
non sono evidenziabili alterazioni patologiche in
particolare quando c’è associazione tra patologia
neoplastica e DM.
I criteri diagnostici attualmente più usati sono
quelli di Bohan e Peter del 1975 (8); la diagnosi di
D.M. è accertata quando sono presenti almeno tre
dei seguenti: a) debolezza dei muscoli prossimali,
b) elevati tassi di CPK, c) alterazioni elettromiografiche d) alterazioni istologiche e) presenza di
rash cutaneo caratteristico. Quando sono presenti
2 criteri può definirsi probabile, mentre con un
solo criterio, possibile. Rispetto ai classici criteri di
Bohan, attualmente la biopsia muscolare è considerata il “gold standard” dal punto di vista diagnostico (con le dovute considerazioni già specificate). È importante considerare che non tutti i criteri diagnostici sovra elencati devono essere presenti all’esordio della DM, perché talora sono presenti i segni cutanei e la miosite si sviluppa mesi
dopo (9), mentre le caratteristiche muscolari possono essere presenti anche senza o con un rash
cutaneo molto sfumato (10). La diagnosi differenziale deve necessariamente includere tutte le
patologie che coinvolgano l’apparato muscoloscheletrico.
DESCRIZIONE DEL CASO CLINICO
È giunta alla nostra osservazione nel mese di
ottobre 2009 la sig. U.L. di anni 79, origine caucasica, presentando in anamnesi remota soltanto
una pregressa colecistectomia nel 1972 per patologia litiasica ed un episodio lipotimico occorsole
nel 2008 con conseguente trauma cranico minore
e frattura rotulea destra senza peraltro alcun reliquato motorio e/o cognitivo. Assumeva saltuariamente FANS per riferite osteoartralgie alla colonna dorsale.
La paziente riferiva da circa sette giorni astenia ingravescente con associata impotenza funzionale localizzata elettivamente alla muscolatura
prossimale degli arti superiori (cingoli scapoloomerali) e degli inferiori. All’esame obiettivo si
evidenziava uno “sfumato” rash cutaneo a livello
delle palpebre superiori di colore violaceo con
lieve imbibizione delle stesse. Apiretica, eupnoica
ed in buon compenso emodinamico.
Sottoposta alle prime indagini strumentali e
laboratoristiche veniva rivelato un aumento considerevole di CPK totale con valori di 13.384 U/L
(v.n. 24-180), AST 217 U/l (v.n. 2-5), ALT 109 U/l
(v.n. 2-5), LDH 959 U/l (v.n. 60-22), VES 90 mm/h
(v.n. 0-30), con normalità degli ormoni tiroidei.
Venivano eseguiti prelievi per il dosaggio degli
Galanti A., Scolieri P., Marci M. - Una rara associazione di dermatomiosite e liposarcoma…
autoanticorpi (prima di iniziare terapia medica),
che poi risultarono essere nei limiti della norma
come peraltro i markers per epatite virale A, B, C
e HIV. L’elettrocardiogramma, l’ecocardiogramma e l’Rx del torace non mostravano alcun reperto patologico.
Dopo una attenta visita neurologica nella
quale si riscontrava ipostenia prevalente a livello
deltoideo e degli ileopsoas bilateralmente, la paziente veniva sottoposta ad elettromiografia ed
elettroneurografia degli arti superiori ed inferiori
che evidenziava “segni di denervazione a livello
di ileopsoas e deltoide bilateralmente con rilievi
elettrofisiologici indicativi di miosite”. Una biopsia muscolare rivelatrice di miosinolisi, atrofia
perifascicolare e presenza di infiltrati di cellule
infiammatorie (per lo più linfociti e rari macrofagi “ reattivi”) confermava il sospetto diagnostico
di dermatomiosite. Nel frattempo alla paziente
veniva somministrata terapia steroidea ed idratazione con cristalloidi e dieci giorni dopo l’ingresso in reparto presentava CPK 5604 U/l, AST 135
U/l, ALT 80 U/l, LDH 729 U/l.
In considerazione del presupposto che nel soggetto anziano la dermatomiosite si associa a neoplasie nel 15-25% dei casi, a seconda delle diverse
casistiche citate in letteratura scientifica (1), la
paziente veniva sottoposta a diversi esami clinicostrumentali tra cui una TC total body che rilevava
“… formazione espansiva retroperitoneale sinistra di aspetto ovoidale, dimensioni di 9,2 cm per
4,1 cm sita posteriormente alle anse intestinali ed
inferiormente al muscolo psoas ed al polo inferiore del rene sinistro”. Tale immagine era suggestiva per liposarcoma, diagnosi che poi veniva confermata all’esame istologico con prelievo effettuato mediante biopsia TC guidata.
La paziente non volle essere sottoposta immediatamente ad intervento chirurgico ed il decesso
avvenne un mese dopo presso il proprio domicilio,
per quanto è dato sapere, in seguito ad improvvisa
insufficienza cardio-respiratoria (riscontro diagnostico non eseguito).
DISCUSSIONE
La correlazione esistente tra patologie reumatiche e varie forme di neoplasia è ben conosciuta in
letteratura scientifica, ma l’individuazione nella
pratica clinica è spesso fonte di sforzi notevoli per
lo staff medico che si trova di fronte al caso clinico
specifico. Le sindromi paraneoplastiche sono quadri clinici “reumatici” che compaiono in concomitanza ad una neoplasia, indotti dalla stessa
mediante la produzione di ormoni, mediatori
autocrini o paracrini, anticorpi e linfociti citotossici (con la mediazione del sistema immunitario).
Quest’ultimo meccanismo si ritiene sia responsabile delle miopatie infiammatorie croniche (in par-
127
ticolare nel caso della DM) associate a neoplasie. Si
ritiene che alcuni tumori presentino, durante il
loro sviluppo, autoantigeni miosite specifici (anti
Mi2, anti Jo1, anti Ku) espressi sui mioblasti, ma
non evidenti nelle cellule muscolari normali. Con
lo sviluppo del tumore l’aumentata espressione di
suddetti antigeni produce linfociti T e B specifici
per cui in certi pazienti l’effetto di un fattore esterno (virale, farmacologico o traumatico, come già
discusso nell’introduzione), sul tessuto tumorale
potrebbe innescare danno muscolare, comparsa di
mioblasti, rigenerazione e induzione di livelli di
autoantigeni miosite specifici tali da riattivare risposte immunitarie già sviluppate nella fase della
risposta antitumorale iniziale. Questo modello di
autoimmunità crociata, tumore indotta, può giustificare il miglioramento clinico-laboratoristico
della DM che si osserva talora dopo la rimozione
chirurgica della neoplasia.
Il razionale potrebbe essere trovato nel fatto
che alla riduzione/eliminazione della massa
tumorale con conseguente riduzione/eliminazione degli autoantigeni miosite specifici possa
determinare una riduzione della risposta autoimmune. Per quanto attiene al nostro caso clinico
bisogna sottolineare che pazienti affetti dalla associazione DM/neoplasia possono presentare bassi
valori di CPK se non addirittura compresi nel
range di normalità e negatività degli autoanticorpi miosite specifici.
La DM più comunemente si associa a tumore
ovarico, polmonare, gastrico, colon retto, pancreas, linfomi non Hodgkin (11,12) e raramente al
sarcoma di Kaposi (13,14). Il liposarcoma che rappresenta il secondo per diffusione dei sarcomi dei
tessuti molli nell’adulto con localizzazione nel 2040% dei casi nel retroperitoneo non sembra mai
essere stato messo in relazione con la dermatomiosite.
CONCLUSIONI
Dalla disamina della letteratura scientifica, per
quanto è a nostra conoscenza, non è stata mai
descritta l’associazione DM-liposarcoma. Le sindromi paraneoplastiche riconoscono come fattori
di rischio l’età avanzata, motivo per il quale la
presentazione improvvisa senza sintomi prodromici ed il riscontro di un’elevata velocità di eritrosedimentazione, deve sempre far pensare a questa
possibilità diagnostica. L’associazione neoplasiaDM è così percentualmente elevata per cui in letteratura esiste ormai il consenso, specialmente per
soggetti in età geriatrica, ad eseguire, dopo aver
diagnosticato la DM, uno screening neoplastico
sino a tre anni seguenti la diagnosi (TC toraceaddome-pelvi, mammografia per le donne e ricerca del sangue occulto nelle feci ecc.) (15). Il caso
da noi descritto offre lo spunto per segnalare
128
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto
come è fondamentale conoscere l’associazione esistente tra patologie del sistema immunitario e
neoplasie (sotto forma di sindromi paraneoplastiche) quando le prime vengano osservate in età
avanzata e non accontentarsi di una “apparente”
diagnosi che potrebbe comportare danni irreparabili al paziente e, non da ultimo, problematiche
medico legali a tutto lo staff medico intervenuto
nel caso in oggetto.
Comunicazione presentata al XXII Congresso
Nazionale della S.I.G.Os. – Roma 12-15 Maggio
2010.
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129
PROGETTO COPE (CONTROL OF PAIN IN THE ELDERLY)
Madaio R.A., Gianni W.°, Ceci M., Zuccaro S.M.
Ospedale Israelitico Roma
° I.N.R.C.A.-I.R.C.C.S. sede di Roma
Riassunto: Il dolore cronico rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica nel mondo occidentale,
arrivando a interessare fino al 36% della popolazione. Il 26% della popolazione adulta del nostro Paese, quindi 1
italiano su 4, soffre di dolore cronico, che risulta essere prevalentemente di natura non-oncologica. Un ulteriore
dato di rilevante importanza, che emerge dagli studi epidemiologici, è quello relativo alla gestione della terapia
antalgica per il trattamento del dolore moderato-severo: quasi il 70% dei pazienti che soffre di dolore cronico riceve una terapia antalgica a base di FANS. Queste tematiche hanno rappresentato il punto di partenza per lo sviluppo del progetto COPE (COntrol of Pain in the Elderly). Uno strumento cardine del progetto COPE è la cartella clinica informatizzata appositamente studiata da S.I.G.Os., con l’obiettivo di fornire uno strumento che guidi il clinico alla corretta gestione del dolore cronico, oncologico e non, nell’anziano e all’uso appropriato degli oppioidi
per il paziente geriatrico “collaborante”.
Parole chiave: dolore cronico, paziente anziano, oppioidi.
Summary: Chronic pain is a major public health problem in the Western world, coming to affect up to 36% of the popula tion. 26% of the adult population of our country, and one Italian out of four suffers from chronic pain, being mostly non-onco logy. Another matter of great importance, which emerges from epidemiological studies, is on the management of analgesic the rapy in the treatment of moderate to severe pain, almost 70% of patients suffering from chronic pain received analgesic the rapy based NSAIDs. These issues have been the starting point for the development of the COPE project (Control of Pain in
the Elderly). A central instrument of the COPE project is specifically designed to computerized medical records S.I.G.Os.,
with the aim of providing a tool to guide the clinician in the proper management of chronic pain, cancer and non-elderly and
the appropriate use of opioids for the geriatric compliance of patient.
Key words: chronic pain, elderly, opioid.
Il dolore cronico rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica nel mondo occidentale, arrivando a interessare fino al 36% della
popolazione.
Recenti studi epidemiologici di ampia portata
confermano questi dati sottolineando la rilevanza
sociale del dolore cronico, ovvero un dolore che
persiste da più di 6 mesi. In base ai dati di queste
indagini, il 26% della popolazione adulta del
nostro Paese, quindi 1 italiano su 4, soffre di dolore cronico, che risulta essere prevalentemente di
natura non oncologica (Fig. 1) (1-2).
Un ulteriore dato di rilevante importanza, che
emerge dagli studi epidemiologici, è quello relativo alla gestione della terapia antalgica per il trattamento del dolore moderato-severo: quasi il 70% dei
pazienti che soffre di dolore cronico riceve una
terapia antalgica a base di FANS. L’uso improprio
di questa classe farmacologica contribuisce a collocare il nostro Paese all’ultimo posto, insieme a Grecia e Portogallo, nell’impiego di oppioidi forti, unici analgesici indicati per il trattamento del dolore
cronico d’intensità moderata-severa (Tab. 1) (3).
Questi dati assumono ancora più rilievo se si
considera che il dolore interferisce in modo significativo con il sonno, la mobilità, la postura e che
un terzo dei pazienti associa la depressione con il
dolore. Anche per questi motivi il dolore va trattato nel modo più tempestivo ed efficace possibile. Definito come il “quinto segno vitale” dal dipartimento del Veterans Affairs americano, il
dolore deve essere valutato routinariamente, con
la stessa attenzione con cui si valutano la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, la temperatura
corporea e la frequenza respiratoria (4-9).
Recentemente è stata approvata la legge 38 del
15 Marzo del 2010 che riconosce il dolore cronico
come “malattia” e non solo come sintomo. Un
Indirizzo per la corrispondenza:
[email protected]
Fig. 1 – Cause più comuni di dolore riferite da pazienti
affetti da dolore cronico (n = 4.292).
Artrite/osteoartrite
Ernie/dischi deteriorati
Lesioni traumatiche
Artrite reumatoide
Emicranie
Frattura/deterioramento spinale
Danni al nervo
Danni alla cartilagine
Colpo di frusta
Chirurgia
4
4
4
3
8
7
6
12
15
34
130
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto
Tab. 1 – Tipo di trattamento nella gestione del dolore cronico
Peso
totale
FANS
Oppioidi deboli
Paracetamolo
Inibitori COX-2
Oppioidi forti
44
23
18
6
5
UK
Francia
(n=300) (n=300)
23
50
38
3
12
25
19
38
6
4
Germania Italia
(n=302) (n=300)
54
20
2
8
4
68
9
6
7
0
Spagna
(n=301)
Polonia
(n=300)
Svezia
(n=300)
Norvegia
(n=304)
Danimarca
(n=303)
49
13
8
2
1
71
28
8
1
4
27
36
26
7
3
24
50
45
11
6
38
8
0
8
11
L’Italia si distingue per l’elevata percentuale di FANS utilizzati
e la quasi inesistente percentuale di oppioidi forti
passaggio importante della legge prevede che
medici ed infermieri dovranno misurare e segnalare in cartella clinica il dolore riportato dai pazienti, oltre ai farmaci con i quali viene trattato.
Un’indagine condotta dalla S.I.G.Os. nel 2006
presso reparti geriatrici di 7 città italiane ha dimostrato che il 67,3% dei pazienti anziani ricoverati
in ospedale risultava affetto da dolore cronico,
con un’intensità del dolore da moderata a grave
(NRS ≥4). È importante sottolineare che la maggior parte di questi pazienti non riceveva alcun
trattamento antalgico. L’undertreatment del dolore nel paziente anziano assume grande importanza dato che il dolore incide profondamente sulla
qualità di vita di questi soggetti, compromettendo
le capacità relazionali, i rapporti sociali, lo stato
dell’umore e la sfera cognitiva (10).
Da queste considerazioni emerge quanto sia
importante affrontare in modo adeguato il dolore
cronico nel paziente anziano.
La necessità di una maggiore sensibilizzazione su
queste tematiche ha rappresentato il punto di partenza per lo sviluppo del progetto COPE (COntrol of
Pain in the Elderly). Patrocinato da S.I.G.Os. e realizzato in collaborazione con Grünenthal, questo progetto è specificatamente rivolto a geriatri e internisti.
Come accennato inizialmente, molte sono le
sfide da affrontare nella lotta al dolore cronico;
una delle più importanti è quella di avere piena
consapevolezza del “problema dolore” nel paziente geriatrico, in termini sia di prevalenza che
di ripercussioni sulla qualità di vita.
Indipendentemente dalla causa che genera il
dolore cronico, quest’ultimo non deve essere considerato solo un sintomo ma una vera e propria
malattia, con un pesante impatto sulla vita di re l a-
zione e sugli aspetti psicosociali della persona,
soprattutto se di età avanzata. Per questa ragione
non deve essere sottovalutato ma trattato nel modo
più tempestivo e completo possibile (Tab. 2) (11).
Il razionale del progetto COPE nasce da quanto discusso fino ad ora: fornire un quadro esaustivo del dolore cronico nell’anziano, chiarire il
ruolo della terapia con oppioidi, favorire la gestione del paziente nella pratica clinica quotidiana
(Tab. 3).
Uno strumento cardine del progetto COPE è la
cartella clinica informatizzata appositamente studiata da S.I.G.Os, con l’obiettivo di fornire uno
strumento che guidi il clinico alla corretta gestione del dolore cronico, oncologico e non, nell’anziano e all’uso appropriato degli oppioidi per il
paziente geriatrico “collaborante”.
Tramite la cartella clinica on line il clinico potrà raccogliere i dati indispensabili per un corretto inquadramento del dolore, per l’impostazione
di un’adeguata terapia analgesica e per il monitoraggio della risposta a tale trattamento, sia in termini di efficacia che di tollerabilità.
La pagina iniziale della cartella clinica permette di inserire tutti i dati anagrafici del paziente, il
tipo di dolore e l'intensità del dolore mediante l’utilizzo della scala Number Rate Scale (NRS), la
terapia antalgica e la terapia al bisogno che il paziente sta assumendo, e differenziare se il dolore è
di tipo oncologico o non (Figg. 2, 3).
Inoltre per una valutazione più accurata è preTab. 3
Progetto COPE
Per sensibilizzare la classe medica
nei confronti del dolore cronico
Tab. 2
Tutti coloro che operano nel SSN hanno l’obbligo di conoscere di più sul dolore per consentire un più adeguato trattamento e un miglioramento della qualità di vita di 1 italiano su 4, affetto da una vera e propria malattia:
il dolore cronico.
Per ottimizzare la gestione del paziente anziano
con dolore cronico
Terapia consapevole
con farmaci oppioidi
Uso di strumenti semplici e
validati nel follow-up
Madaio R.A., Gianni W., Ceci M., Zuccaro S.M. - Progetto COPE…
131
Fig. 2
vista una valutazione geriatrica mediante l’utilizzo delle seguenti scale:
– Mini Mental State Examination (MMSE), strumento rapido e sensibile per esplorare le funzioni cognitive e seguirne le modificazioni nel
tempo;
Fig. 3
– scala del dolore neuropatico (SDN), per una valutazione specifica del dolore di origine neuropatico;
– Basic Activity Daily Living B-ADL, strumento
utilizzato per valutare in modo accurato le sei
attività di base come fare il bagno, vestirsi, toilette, spostarsi, continenza, alimentazione;
132
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto
– SF-12 per una valutazione soggettiva dello stato
di salute;
– PBI Brief Pain Inventory- Mario Negri, strumento agevole per una rapida valutazione della
complessità del dolore e le ricadute sull’umore e
le principali attività quotidiane;
– la Beck Depression Inventory BDI, è scala di
autovalutazione per valutare lo stato depressivo.
Successivamente il clinico imposterà la nuova
terapia antalgica e l’eventuale terapia al bisogno.
Ad ogni visita successiva il medico potrà riaprire la scheda del paziente e valutare di nuovo
l’intensità e le caratteristiche del dolore ed even-
tualmente somministrare di nuovo le scale somministrate inizialmente ed impostare la nuova terapia antalgica (12,13).
In conclusione la cartella clinica informatizzata oltre ad essere uno strumento utile al clinico per
un corretto inquadramento del dolore e per una
impostazione e un monitoraggio adeguati della
terapia analgesica, permette di controllare automaticamente gran parte dei dati che vengono
immessi evitando dimenticanze, immettere in
modo coerente ed omogeneo i dati ed infine avere
la possibilità di un controllo continuo dell’intera
raccolta dati.
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SEZIONE NURSING
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto 133
NURSING: ASSISTENZA INTRA ED EXTRA OSPEDALIERA
AL PAZIENTE CARDIOPATICO
Rosso B., Galleazzi M.*, Marin M.**, Gasparato F.°, Rebellato M.°°
Infermiera S.C.U. Geriatria e M.M.O., A.O.U. S. Giovanni Battista, Torino
* Coordinatrice Inferm.ca S.C.U. Geriatria e M.M.O., A.O.U. S. Giovanni Battista, Torino
** Dietista Ospedale S. Chiara, Trento
° Infermiera Ospedalizzazione a Domicilio, S.C.U. Geriatria, A.O.U. S. Giovanni Battista, Torino
°° Responsabile Counselling Ospedalizzazione a Domicilio, S.C.U. Geriatria, A.O.U S. Giovanni Battista, Torino
Riassunto: Nel nostro Paese le malattie dell’apparato cardiovascolare rappresentano un importante problema di
Sanità Pubblica essendo la prima causa di decesso, con i tassi di mortalità più elevati nella fascia d’età tra 60 e 79
anni; si configurano inoltre come la principale causa di inabilità nella popolazione anziana. Tra le malattie cardiocircolatorie si evidenziano l’infarto del miocardio, le malattie valvolari, la fibrillazione atriale, lo stroke e lo scompenso cardiaco. La presa in carico ad opera del professionista, deve necessariamente tenere conto di un obiettivo
fondamentale, rappresentato dal recupero o mantenimento dell’autonomia del paziente, al fine di supportare la
continuità assistenziale. L’identificazione precoce di pazienti ad alto rischio può essere fondamentale per ottimizzare le strategie terapeutiche e, di conseguenza, migliorare l’outcome. Nell’ambito del Progetto Cuore l’Istituto
Superiore di Sanità ha elaborato, quale “strumento predittivo” in regime di prevenzione primaria la Carta del
rischio cardiovascolare. Sono stati rilevati i dati su una popolazione di 10233 uomini e 15895 donne di età compresa fra 35 e 74 anni: raccolti e validati 932 eventi coronarici (233 fatali) e 471 cerebrovascolari (152 fatali) occorsi in
un tempo mediano di 10 anni. Le linee guida suggeriscono raccomandazioni che hanno lo scopo di ridurre i fattori di rischio attraverso la modificazione dello stile di vita acquisito dal paziente nel corso degli anni. Gli ambiti
di educazione comprendono: adeguata alimentazione, attività fisica, cessazione del fumo, controllo del peso corporeo, valori pressori nella norma.
Le attività di educazione terapeutica e counselling devono pertanto essere all’attenzione di tutti i professionisti
coinvolti. Di particolare rilievo il ruolo educativo e di supporto svolto dall’infermiere, sia durante la fase di ricovero del paziente sia attraverso attività predisposte in regime non degenziale.
Parole chiave: Rischio cardiovascolare, prevenzione, educazione terapeutica, intervento dietetico.
Summary: In our Country cardiovascular system diseases represent an important Public Health trouble, because they’re the
first cause of death, with the highest mortality rate in the age range from 60 to 79 years old; they’re also the main cause of
disability in elderly people.
Among cardiovascular diseases stand out myocardial infarction, valvular diseases, atrial fibrillation, stroke and cardiac
decompensation.
The patient admission, due to the work of professionals, must necessarily consider a fundamental target, which is recovery or
conservation of residual autonomy of the patient.
The early identification of high-risk patients can be vital to optimize therapeutic approaches and, consequently, improve the
outcome.
On the occasion of Progetto Cuore the Istituto Superiore di Sanità elaborated, as a predictive tool in primary prevention con text, the Paper of cardiovascular risk (Carta del rischio cardiovascolare). To the updating of the Paper, they considered data
about a population of 10233 men and 15895 women, in the age range from 35 to 74 years old. The results obtained were: 932
coronary incidents (233 fatal) and 471 cerebrovascular (152 fatal), occurred in average 10 years. Guidelines suggest recom mendations with the aim to reduce risk factors through a variation of the lifestyle the patient’s adopted over the years. Areas
of education include: correct diet, physical activity, smoking cessation, weight control and the maintenance of correct pressu re values.
Every involved professional should be interested in therapeutic education and counselling.
The educational and supporting nurse’s role has got a special importance, both during patient hospitalization and during
extra hospital background care-activities.
Key words: Cardiovascular risk, prevention, therapeutic education, dietary treatment.
Nel nostro Paese le malattie cardiovascolari
rappresentano un rilevante problema di Sanità
Indirizzo per la corrispondenza:
Manuela Rebellato
Ospedalizzazione a Domicilio
A. O. U. S. Giovanni Battista
C.so Bramante, 88 – 10126 Torino
Tel. 0116334771
Pubblica in quanto sono le principali cause di
mortalità, morbilità e inabilità.
Le priorità indicate dal Piano Sanitario
Nazionale 2010-2012 sono dedicate alla promozione degli stili di vita sani, all’identificazione dei
soggetti ad alto rischio, e alla gestione del paziente che ha già avuto un evento cardiovascolare.
Lo studio longitudinale Hale (“Healthy A-
134
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto
geing” comprendente 1507 uomini ed 832 donne
di età compresa tra 70 e 90 anni), dopo aver valutato l’effetto dei singoli fattori separati (attività
fisica, dieta mediterranea, moderata assunzione
di alcool e astensione dal fumo) ha correlato i
diversi stili di vita con la mortalità per tutte le
cause a 10 anni, la morbilità coronarica e cardiovascolare. Lo studio ha dimostrato che le curve di
sopravvivenza migliorano significativamente allorché ad uno stile di vita si assommano progressivamente gli altri (1).
I risultati indicano che lo stile di vita sano nel
soggetto anziano è positivamente correlato ad
una riduzione del rischio di mortalità soprattutto
per le patologie cardiovascolari (2).
Nelle strategie di prevenzione un ruolo decisivo
viene riconosciuto all’attività infermieristica in particolare per quanto riguarda l’educazione sanitaria
all’utente e ai suoi familiari o a gruppi mirati, per il
controllo e la correzione dei fattori di rischio.
Nell’ambito del Progetto Cuore l’Istituto superiore di sanità ha elaborato, quale “strumento predittivo” in regime di prevenzione primaria la Carta
del rischio cardiovascolare. I nuovi dati epidemiologici relativi alle malattie cardiovascolari sono
stati presentati il 14 e 15 aprile 2010 nell’ambito
della IV Conferenza Nazionale sulla Prevenzione
Cardiovascolare in Italia. L’aggiornamento della
carta del rischio è stato possibile grazie all’inclusione nel data-base del Progetto CUORE della coorte
dell’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare
arruolata nel 1998; ciò ha permesso di raggiungere
la numerosità di 10233 uomini e 15895 donne di età
compresa fra 35 e 74 anni, sui quali sono stati raccolti e validati 932 eventi coronarici (233 fatali) e
471 cerebrovascolari (152 fatali) occorsi in un
tempo mediano di 10 anni. L’aggiornamento della
carta contiene un quinquennio in più (70-74 anni)
rispetto alla precedente effettuata nel 2003.
Dai dati emerge che negli uomini aumentano in
modo significativo obesità (dal 19% al 25%) e sindrome metabolica (dal 24 al 28%), si riduce l’abitudine al fumo (dal 31% al 24%); nelle donne l’obesità
(24%), sindrome metabolica (22%) e diabete (8%)
rimangono praticamente invariate, ai livelli già elevati registrati. Un dato interessante è che queste
variazioni riguardano in modo particolare il livello
socio-economico più basso, dove raddoppiano i
valori della prevalenza di diabete (16% nel livello
socio-economico più basso, 6% nel livello socioeconomico più elevato), sindrome metabolica (33%
nel livello socio-economico più basso, 17% nel
livello socioeconomico più elevato), obesità (32%
nel livello socio-economico più basso rispetto al
19% nel livello socio-economico più alto) la prevalenza di ipertesi non trattati rimane alta (24% contro il 18%) e l’abitudine al fumo rimane elevata
(23%). È stato possibile costruire funzioni di rischio
specifiche per uomini e donne e per fasce di età 35-
54 anni e 55-74 anni (età, pressione arteriosa sistolica, colesterolemia, abitudine al fumo e diabete) (2).
Per quanto riguarda l’andamento dei fattori di
rischio e delle condizioni a rischio, infatti, si è rilevato, sia negli uomini che nelle donne, l’andamento in discesa della pressione arteriosa sia
sistolica che diastolica, andamento dovuto non
solo alla aumentata proporzione degli ipertesi
trattati adeguatamente, ma in maggior misura
all’aumento della proporzione di persone con valori di pressione arteriosa inferiori a 140/90
mmHg quindi ad un beneficio dovuto a strategie
preventive di comunità; un aumento significativo
della colesterolemia media e un aumento significativo della glicemia (3).
Attualmente solo il 30% dei soggetti ultraottantenni è curato efficacemente per l’ipertensione che
può condurre a complicanze cerebrali e disturbi
cognitivi, e risulta essere un fattore predisponente
per la demenza vascolare.
La fibrillazione atriale colpisce 6,8 milioni di
persone in Europa e negli U.S.A. con una prevalenza dell’8,8% nei soggetti con età compresa tra
80-99 anni.
In Italia, i dati dell’ILSA (studio multicentrico
sulla popolazione ultrasessantacinquenne) indicano una prevalenza di scompenso cardiaco del
5% in soggetti tra 65-69 anni che raggiunge la percentuale del 12% negli ultraottantenni (4).
Il CHF (Congestive Heart Failure) studio condotto per tre anni in Italia, ha evidenziato quanto
la comorbilità risulti significativamente più elevata nei pazienti con scompenso cardiaco. Un altro
aspetto del medesimo studio sottolinea che i
disturbi cognitivi e le condizioni di non autosufficienza si presentano con maggiore frequenza nei
soggetti con scompenso e spesso il buon esito del
trattamento è condizionato, oltre che dalla complessità clinica, anche dagli aspetti cognitivi, funzionali e sociali. Alla polipatologia si associa la
polifarmacoterapia, l’età avanzata, la scarsa aderenza ai trattamenti con conseguente incremento
del rischio di eventi a cascata e disabilità (5).
Divengono pertanto necessari per questi pazienti
ad alta complessità, la valutazione multidimensionale e l’intervento di molteplici figure sanitarie
di tipo medico specialistico, infermieristico ed
assistenziale (6). In questa tipologia di pazienti la
probabilità di ospedalizzazione risulta del 41%
rispetto ai tre anni dell’osservazione dello studio,
con una mortalità intraospedaliera del 24,5% e di
oltre il 50% a trentasei mesi. Aumenta inoltre la
p robabilità di riospedalizzazione rispetto ai
pazienti non scompensati (7,8).
Lo scompenso cardiaco è l’unica patologia cardiovascolare maggiore a presentare un’incidenza
in continuo aumento negli ultimi 40 anni. I fattori
che hanno portato a questi progressivi incrementi
sono molteplici: invecchiamento della popolazio-
Rosso B., Galleazzi M., Marin M., et al. - Nursing: assistenza intra ed extra…
ne, riduzione della mortalità per eventi acuti cardiovascolari, efficacia del trattamento delle malattie croniche (cardiopatia ischemica, ipertensione
arteriosa e diabete mellito) ed aumentata sopravvivenza per malattie neoplastiche, trattate con
chemioterapici potenzialmente cardiotossici e
radioterapia (con successivo possibile sviluppo di
cardiomiopatie attiniche). Diversi autori, probabilmente non a torto, hanno definito lo scompenso cardiaco l’“epidemia del millennio” (9,10).
La diagnosi di scompenso cardiaco cronico
non è generalmente percepita come quella di una
malattia grave in termini di invalidità e di mortalità soprattutto da parte della popolazione.
Tuttavia, i dati epidemiologici lo identificano
come una patologia ad elevata incidenza e prevalenza, assai grave in termini di morbilità, mortalità, riduzione della qualità di vita con elevati
costi sociali (11-12). Per la gestione ottimale di
questa patologia, che vede frequenti riacutizzazioni e coinvolge differenti figure professionali
nei diversi setting di cura, è di fondamentale
importanza assicurare la continuità assistenziale
secondo percorsi di cura condivisi.
La gestione delle malattie card i o v a s c o l a r i
necessita di un tipo di approccio multiprofessionale, attraverso una rete integrata di servizi intra
ed extraospedalieri (13).
La presa in carico ad opera del professionista,
deve necessariamente tenere conto dell’obiettivo
fondamentale rappresentato dal recupero o mantenimento dell’autonomia del paziente.
La fase di assessment infermieristico e la conseguente identificazione dei bisogni del paziente,
permette l’individuazione dei fattori di rischio su
cui orientare l’educazione terapeutica (14).
Le linee guida suggeriscono delle raccomandazioni che hanno lo scopo di ridurre notevolmente
i fattori di rischio e che agiscono sullo stile di vita.
Gli ambiti di educazione comprendono: adeguata
alimentazione (Knoops et al.,2004 – level II), attività fisica (Netz et al.,2005 – level I), cessazione del
fumo (U.S. Department of Health and Human
Services, “The health consequences” 2004 – level
I), controllo del peso corporeo (American hearth
association Nutrition Committee et al., 2006 – level
I), valori pressori nella norma (“Seventh report”
2004 – level I) (15).
I pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico vanno inoltre incontro a una significativa perdita dell’appetito con conseguente riduzione dell’intake alimentare (16).
Per quanto le cause non siano ancora del tutto
note includono una serie di fattori tra cui: le alterazioni del gusto e dell’olfatto, le indicazioni dietetiche sulla restrizione di sodio e liquidi, l’isolamento sociale, le alterazioni della perfusione e
della barriera intestinale (17).
L’evoluzione più grave nel paziente con scom-
135
penso cardiaco cronico è l’insorgenza della cachessia cardiaca che per gravità dei sintomi è assimilabile alla cachessia neoplastica. La prevenzione
secondaria deve focalizzarsi su interventi atti a
trattare per quanto possibile la cachessia (fattore di
rischio indipendente per la mortalità) ritardandone
ove possibile l’insorgenza e la progressione (17).
Da un punto di vista clinico la cachessia cardiaca è costantemente caratterizzata da almeno
tre elementi: anoressia, perdita di nutrienti attraverso il tratto gastro-enterico ed ipermetabolismo.
L’edema intestinale (da insufficienza cardiaca
destra) causa malassorbimento, mentre la dispnea
e l’attivazione del sistema simpatico aumentano
la spesa energetica a riposo del 20% con una perdita di azoto che può arrivare a 15-18 gN/die (18).
Ne consegue un significativo calo di peso con perdita della massa muscolare, della massa grassa e,
della massa ossea. Nessun intervento nutrizionale può ridurre la perdita della massa muscolare
quando si è instaurata la cachessia cardiaca (19),
Quando questa situazione clinica non si è
instaurata, il recupero di peso nei pazienti con
scompenso cardiaco cronico rappresenta un
importante fattore prognostico.
Per quanto riguarda i pazienti obesi affetti da
scompenso cardiaco cronico è utile un calo di peso
del 10 % al fine di evitare il sovraccarico cardiaco:
il calo ponderale auspicato dovrebbe comunque
essere graduale e avvenire sotto stretto monitoraggio clinico e metabolico.
Le Linee Guida SINPE (Società Italiana di Nutrizione Enterale e Parenterale) ed ESPEN (The
European Society for Clinical Nutrition and Metabolism) per il trattamento nutrizionale dello
scompenso cardiaco cronico consigliano apporti
energetici pari a 25 kcal/Kg die (REE x 1,5) proteici pari a 1,2-1,5 g /Kg di peso attuale die e infine
apporti idrici di 20 ml /Kg/die in particolar
modo nell’anziano (20).
L’intervento dietetico, sebbene gli studi siano
ancora limitati in questo senso, prevede una limitazione del sodio a 2 g die nelle condizioni più
avanzate della patologia. In linea più generale
l’indicazione è quella di escludere gli alimenti a
maggior contenuto in sodio (come contenuto di
base) nonché i cibi conservati sotto sale e già precucinati contenenti sale tra gli ingredienti.
L’esclusione degli alimenti a maggior contenuto in sodio determina a sua volta l’esclusione di
cibi a elevato contenuto in grassi saturi e colesterolo altra limitazione importante nella dieta del
paziente con scompenso cardiaco.
Il principale limite alla compliance presentato
dalle diete a marcata restrizione sodica (esclusione
del sodio aggiunto come Nacl) è dato dalla scarsa
palatabilità degli alimenti “senza sale aggiunto”
così come delle pietanze preparate senza aggiunta
di sale (Nacl) in particolare se si tiene conto dell’al-
136
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto
terazione del gusto che si riscontra nei pazienti con
scompenso cardiaco (ageusia).
Per quanto riguarda i liquidi, una moderata
restrizione idrica è indicata particolarmente nei
pazienti con sintomatologia più severa in quanto
apporti idrici elevati negativizzano gli effetti positivi dei diuretici e inducono iponatremia.
L’assunzione frazionata di liquidi è indicazione
necessaria onde evitare il sovraccarico cardiaco così
come la ripartizione dell’alimentazione in più pasti
di ridotto volume e a maggior densità energetica.
Alcuni studi segnalano come favorevole la
somministrazione di antiossidanti e vitamine del
gruppo B.e le vitamine C, E, A e D3.
In particolare può essere utile come nel caso di
altre patologie infiammatorie croniche la somministrazione di acidi grassi polinsaturi della serie
omega 3 dalle ormai note proprietà antinfiammatorie e anticataboliche.
È stato dimostrato da tempo che l’acido eicosapentanoico (EPA) e l’acido docosaesaenoico (DHA)
sono in grado di inibire la produzione di citochine
pro infiammatorie e ridurre l’attivazione dei linfociti T e non solo.
L’aderenza a diete iposodiche e in linea di
massima a tutti i trattamenti nutrizionali che prevedano cambiamenti significativi nelle abitudini
alimentari è senza dubbio più complicata nei
pazienti di età avanzata che possono presentare
tra l’altro (e non certo di minor importanza) problematiche di tipo socio-economico cui si associano spesso patologie neurologiche importanti
quali la depressione, l’Alzheimer, la SLA ecc., con
gravi conseguenze e limitazioni sull’autonomia e
sulla qualità di vita della persona (20). Ove non
risulti possibile la copertura dei fabbisogni di cui
sopra mediante la sola dieta e in particolare nei
pazienti più defedati e/o inappetenti e nel paziente anziano è indicato un supporto con integratori nutrizionali proteico-calorici (pool di aminoacidi) da inserire nell’ambito di un intervento
terapeutico multidisciplinare allargato che preveda inoltre interventi di educazione terapeutica al
paziente e interventi di counselling (allargato
eventualmente ai familiari) al fine di garantire
una migliore ed efficace compliance al trattamento medico e nutrizionale proposti (21-23).
Un recente studio sulla prevalenza dell’ipertensione nei soggetti anziani nel post dimissione,
evidenzia che al ritorno al proprio domicilio, i
pazienti hanno avuto un ulteriore abbassamento
dei livelli pressori, con un aumento del rischio
delle cadute e di episodi sincopali (24). A questo
proposito, le raccomandazioni suggeriscono particolare attenzione del rispetto dei tempi nelle
variazioni posturali (Kenney, 2003 – level V).
Al fine di ottimizzare l’approccio clinico-terapeutico, che comporta spesso la somministrazione di molteplici farmaci in associazione, è necessario prevedere un approccio globale che tenga
conto delle priorità di intervento e della adesione
al trattamento per periodi protratti. Assoluto rilievo all’interno di questo percorso di cura assume
pertanto l’attività di nursing e di counseling, le
quali dovranno essere attivate precocemente e ad
ogni livello assistenziale. Il rischio di ricorrenti
episodi di instabilizzazione della malattia richiede, fin dal momento dell’ingresso nel reparto di
degenza, una valutazione complessiva delle problematiche cliniche e socio-assistenziali, un’azione di counseling (conoscenza della malattia, adeguato stile di vita, adesione alla terapia farmacologica con ottimizzazione della posologia, monitoraggio di parametri clinici di semplice rilevazione, comunicazione dei percorsi assistenziali da
intraprendere in caso di peggioramento clinico)
ed un’accurata programmazione delle dimissioni.
Per i pazienti affetti da SC è necessario definire dei percorsi educativi che prendano in considerazione diversi aspetti legati a questa patologia:
riconoscimento precoce dei segni e dei sintomi,
corretta assunzione dei farmaci, controllo costante del peso corporeo, alimentazione corretta con
dieta iposodica, appropriato esercizio fisico. Gli
interventi educativi devono chiaramente essere
appropriati e mirati in base alle condizioni del
paziente e alla fase in cui si trova la sua patologia.
Le attività di educazione terapeutica e counseling devono essere sempre all’attenzione di tutti i
professionisti coinvolti. Di particolare rilievo il
ruolo educativo e di supporto svolto dall’infermiere, sia durante la fase di ricovero del paziente sia
durante la gestione territoriale. In entrambi i casi,
l’intervento di educazione terapeutica dovrebbe
essere avviato precocemente, da un lato anticipando il più possibile il momento di contatto con il
paziente durante la fase di ricovero, dall’altro pianificando attività di consultazione in ambulatori
dedicati attraverso “consulti telefonici”.
Rosso B., Galleazzi M., Marin M., et al. - Nursing: assistenza intra ed extra…
137
BIBLIOGRAFIA
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Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto
139
VITA AGLI ANNI
a cura di:
Sabatini D.
IL BARBIERE DI SIVIGLIA OVVERO
IL DISPREZZO DELLA VECCHIEZZA
Non conosco le ragioni antropologiche che
portano gli uomini anziani a desiderare e a sposare le donne giovani. Quando mi succede di interessarmene, rimango alle spiegazioni più facili: il
piacere estetico, i riflessi della bellezza e della giovinezza su di sé, il bisogno di dimostrare la propria vitalità biologica.
Chi affronta con più competenza le problematiche della coppia vecchio uomo - giovane donna,
magari anche nei luoghi giusti della televisione,
dopo un vasto e dotto preambolo, finisce sempre
col riportare il fenomeno ai moventi essenziali: l’interesse economico di lei, le voglie inquiete di lui. Il
quale, dovunque si collocasse nella scala delle scelte, è sempre derisibile per i suoi pensieri fuori età,
come dicono abbondantemente l’esperienza di
ognuno e le numerose opere di letteratura.
Nei quadri, poi, tutto è chiarissimo: lui ha una
mano sul corpo di lei, seno o glutei; lei ha una
mano sul portafoglio di lui. Nei secoli dei secoli.
Più complesso è lo studio della coppia, quando il vecchio dovrebbe avere verso la giovane un
obbligo di protezione, come è, per esempio, un
parente o un tutore. Proporsi con i sentimenti in
mano ad una donna minorenne, di cui si devono
difendere gli interessi, va oltre le espressioni della
psicologia, e meriterebbe qualche spiegazione,
anche di fronte alla legge.
Tuttavia, per provare a parlarne con leggerezza, si può rimanere dentro lo schema vecchiaia giovinezza - sessualità - soldi, buono per tutto,
dalle barzellette fino alle più elevate espressioni
artistiche, come appunto “Il barbiere di Siviglia”.
(…) il signore don Bàrtolo (in Spagna sono
tutti “don”, dai preti in giù), é un anziano dottore
in Medicina e tutore di una giovane ragazza,
Rosina, descritta docile ma non remissiva, onesta
ma non ingenua. Come talvolta succede ai tutori,
Bartolo é avidissimo. Egli anela non solo al corpo
della ragazza, che già sarebbe un bel desiderio
proibito, ma soprattutto ai soldi. (…)
Oltre alla vecchiaia, Bartolo ha mille altri difetti. È avaro, geloso, sospettoso; tiene segregata la
ragazza a triplice mandata di chiavi, perennemente controllata dalla servitù, nell’attesa di murarle
il balcone e di far costruire porte da cui “nemmen
l’aria entrar potrà”.
È subdolo, infido, brontolone, presuntuoso,
convinto che nessuno possa “infinocchiarlo” neppure con “imposture” ben costruite. (…)
Bartolo si circonda, ovviamente, di persone più
cattive di lui. Una, in particolare, don Basilio, che
sarebbe una specie di prete, visti gli abiti che indossa e la mano perennemente benedicente, insegna
musica alla “pupilla”. Nonostante gli abiti talari o
proprio in virtù di essi, Basilio è descritto come “un
solenne imbroglion di matrimoni, un collo torto,
un vero disperato, sempre senza un quattrino”. Più
precisamente egli è un denigratore scientifico dell’umanità intera; infatti, per sbarazzarsi del rivale
in amore, consiglia a Bartolo di distruggerlo con la
diffamazione.
Bartolo rifiuterà l’idea malsana, ma non per
remore morali, non per un minimo senso di appartenenza alla specie umana, ma perché il sistema di diffusione e di amplificazione delle maldicenze, come gli viene proposto, fa perdere tempo,
mentre “qui stringe il bisogno”.
E però accetterà la calunnia come mezzo strategico, quando gli verrà proposta da don Alonso,
finto allievo di don Basilio, per diffamare il conte
Almaviva verso Rosina.
(…..)
Bene. Tanta cattiveria a piene mani e tanta vecchiaia “barbogia” e “rimbambita” toccano ancor
più il nostro senso estetico e morale - gerontologicamente parlando - perché contrapposte ad una
gioventù sempre pulita e generosa.
La “pupilla” Rosina è innamorata di un giovane studente squattrinato e ne apprezza le tenerissime serenate. Alla fine della storia lei saprà che
l’oggetto del suo amore, in realtà, è un ricco conte,
mostratosi sotto mentite spoglie, solo per essere
sicuro della sincerità dei suoi sentimenti. Tuttavia,
allo svelamento dell’identità, Rosina non s’offenderà nemmeno un po’ per essere stata messa alla
prova, anticipando quanto dirà un secolo dopo
Cesare Pavese, che le donne amano sempre disinteressatamente, poiché anche quando sposano un
uomo ricco, sanno prendersi cura - prima - di
innamorarsene.
L’altro giovane, il conte di Almaviva, che pure
qualche piccolo raggiro lo combina, si muove soltanto sulla spinta dell’Amore, e tanto basta per
scagionarlo dai peccatucci. Quanto egli sia vane-
140
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto
sio e cascamorto con le donne ce lo dirà Mozart ne
“Le nozze di Figaro”, ma con gli anni, sappiamo
tutti, non si può che peggiorare (…).
Infine Figaro (..) che non è un gran lavoratore,
ma fa tutto, e se lo fa pagare bene. Antesignano di
Bill Gate, si fa pagare anche le idee a suon di
monete d’oro. Quasi come Robin Hood, egli ruba
ai ricchi per tenere tutto per sé.
Figaro sembra astutissimo. In realtà, nel seguito di Mozart, sarà la moglie a spiegargli che, se il
conte di Almaviva ha preteso la sua camera da
letto molto vicina alla sua, non è per eccesso di
generosità, non è per avere servitori e servizi a
portata di mano, ma per potergli insidiare e usare
con maggiore facilità proprio la moglie.
Comunque sia, anche quando mostrasse qualche defaillance, anche quando le sue azioni non
avessero per fine né la giustizia né il bene, egli ha
sempre dalla sua la simpatia. E questo, finché si è
giovani, sembrerebbe bastare.
Don Bartolo ha una governante, Berta, verso
cui non nutre fiducia, non ritenendola neppure
capace di sorvegliare una porta (atto II scena VII)
o forse, ritenendola dalla parte della pupilla,
come tutte le vecchie domestiche. Berta, diversamente dal padrone, nutre pensieri più rispettosi
verso l’anagrafe. Lei impreca contro la vecchiaia,
ma prima ancora contro l’amore che stravolge l’anima delle persone di qualunque età, che è “un
male universale, una smania, un pizzicore, un solletico, un tormento”.
Anche lei, Berta, sente l’amore dentro di sé, ma
non può mostrarlo, perché alla “vecchiaia maledetta” non è concesso. E allora, è meglio morire.
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto
141
GERIATRIA NEL MONDO
a cura di:
Zanatta A.
TROMBOEMBOLIA VENOSA RICORRENTE
DOPO L’INTERVENTO CHIRURGICO
CONTRO IL TROMBOEMBOLISMO IN
PAZIENTE INTERNISTICO
WHITE R.H., MURIN S., WUN T., DANIELSEN B.
Journal of Thrombosis and Haemostatis, vol. 8, Issue
5, pages 987-997, May 2010.
Background: l’incidenza di recidiva di tromboembolismo venoso (TEV) varia in base alla natura
del fattore di rischio precipitante, soprattutto in
pazienti chirurgici (provoked) o di tipo internistico (unprovoked).
Obiettivi: confrontare l’incidenza e il decorso di
recidiva di TEV in paziente internistico versus paziente chirurgico (sono stati valutati nove diversi
tipi di intervento).
Pazienti/Metodi: analisi retrospettiva in un ospedale della California e schede di dimissione di reparto. Tra il 1997 e il 2007, gli episodi analizzati di
TEV conseguenti ad interventi chirurgici erano
diagnosticati entro 60 giorni. L’incidenza di recidiva di tromboembolia venosa è stata confrontata
con specifici periodi di follow up analizzando età,
razza, sesso, evento di TEV, anno e co-morbidità.
Risultati: l’incidenza cumulativa di recidiva di
TEV a 4 anni secondo Kaplan-Meier è stata del
14,7% (95% CI: 14,2-15,1) nel gruppo di pazienti
internistici e del 7.6% (CI: 7,0-8,2) in 11797 pazienti sottoposti a chirurgia (P <0,001).
La riduzione del rischio complessivo è stato del
48% nei pazienti chirurgici rispetto a quelli internistici.
Il rischio più basso (P <0,001) pari al 64% si ha dopo l’intervento chirurgico di bypass coronarico,
inferiore del 25% (P = 0,06) rispetto alla chirurgia
del disco.
Il rischio di recidiva di TEV a 1-5 anni dopo il primo evento era significativamente più basso nel
gruppo chirurgico (HR = 0.47, CI: 0,41-0,53).
All’interno del gruppo chirurgico, il rischio di recidiva di tromboembolia venosa è risultata simile
in uomini e donne (HR = 1.0; CI: 0,8-1,3).
Conclusioni: il rischio di recidiva di tromboembolia venosa dopo chirurgia è stata di circa il 50%
inferiore rispetto al paziente internistico.
Ciò conferma l’opinione che la TEV dopo chirurgia è associata ad un più basso rischio di recidiva.
Vi è però eterogeneità del rischio associata alle
diverse tipologie di interventi chirurgici.
Commento: la tromboembolia post chirurgica è un
evento ampiamente probabile e prevenibile specie
nei pazienti anziani dopo chirurgia ortopedica.
La tromboembolia in pazienti internistici invece è
causata da molteplici fattori (neoplasie, etc.) che
rendono la prevenzione e il trattamento più complesso.
In particolare per la prevenzione della tromboembolia nel paziente neoplastico è più utile l’eparina
a bpm che l’anticoagulante.
142
Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto
CALENDARIO CONGRESSI
XXII Congresso Nazionale S.I.G.Os.
Gestione e Trattamento delle Malattie Geriatriche
Roma 12-15 Maggio 2010
Per informazioni:
Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma
Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598
E.mail: [email protected]
Web: www.congressline.net
Convegno Regionale S.I.G.Os.
La Geriatria sarda nella terra della longevità
Sassari 12 Giugno 2010
Per informazioni:
Congress Line
Via Cremona, 19 - 00161 Roma
Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598
E.mail: [email protected]
Web: www.congressline.net
5° Congresso Nazionale FIMeG
Invecchiare bene si può
Roma 14-16 Giugno 2010
Per informazioni:
Congress Line
Via Cremona, 19 - 00161 Roma
Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598
E.mail: [email protected]
Web: www.congressline.net
21st International Congress on thrombosis 2010
Milano 6-9 Luglio 2010
Per informazioni:
ARSEducandi Srl
Viale Gian Galeazzo
20136 Milano
Tel. 02 58189242/62
Fax 02 8373448
E.mail: [email protected]
[email protected]
Web: www.arseducandi.it
Corso Nazionale SIC Sport
San Daniele del Friuli 10-11 Settembre 2010
Per informazioni:
Congress Line
Via Cremona, 19 - 00161 Roma
Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598
E.mail: [email protected]
Web: www.congressline.net
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Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto
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NORME PER GLI AUTORI
La rivista GERIATRIA prende in esame per la pubblicazione articoli contenenti argomenti di geriatria. I
contributi possono essere redatti come editoriali, articoli originali, review, casi clinici, lettere al direttore.
I manoscritti devono essere preparati seguendo rigorosamente le norme per gli Autori pubblicate di seguito, che
sono conformi agli Uniform Requirements for Manuscripts Submitted to Biomedical Editors editi a cura dell’International Committee of Medical Journal Editors
(Ann Intern Med 1997; 126: 36-47).
Non saranno presi in considerazione gli articoli che non
si uniformano agli standards internazionali.
I lavori in lingua italiana o inglese vanno spediti in triplice copia (comprendente pagina di titolo, riassunto in
inglese, parole chiave in inglese, testo, figure, tabelle,
didascalie, bibliografia) con relativo dischetto a:
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Internazionale
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In caso di invio on-line si prega di salvare il testo in
rich text format (rtf).
L’invio del dattiloscritto sottintende che il lavoro non sia
già stato pubblicato e che, se accettato, non verrà pubblicato altrove né integralmente né in parte.
Tutto il materiale iconografico deve essere originale.
L’iconografia tratta da altre pubblicazioni deve essere
corredata da permesso dell’Editore.
La rivista recepisce i principi presentati nella Dichiarazione di Helsinki e ribadisce che tutte le ricerche
che coinvolgano esseri umani siano condotte in conformità ad essi.
La rivista recepisce altresì gli International Guiding
Principles for Biomedical Research Involving Animals
raccomandati dalla WHO e richiede che tutte le ricerche su animali siano condotte in conformità ad essi.
Il lavoro deve essere accompagnato dalla seguente
dichiarazione firmata da tutti gli Autori: “I sottoscritti
Autori trasferiscono la proprietà dei diritti di autore
alla rivista Geriatria, nella eventualità che il loro
lavoro sia pubblicato sulla stessa rivista.
Essi dichiarano che l’articolo è originale, non è stato
inviato per la pubblicazione ad altra rivista, e non è
stato già pubblicato.
Essi dichiarano di essere responsabili della ricerca, che
hanno progettato e condotto e di aver partecipato alla
stesura e alla revisione del manoscritto presentato, di
cui approvano i contenuti.
Dichiarano inoltre che la ricerca riportata nel loro lavoro è stata eseguita nel rispetto della Dichiarazione di
Helsinki e dei Principi Internazionali che regolano la
ricerca sugli animali”.
Gli Autori accettano implicitamente che il lavoro venga
sottoposto all’esame del Comitato di Lettura. In caso di
richiesta di modifiche, la nuova versione corretta deve
essere inviata alla redazione o per posta o per via e-mail
sottolineando ed evidenziando le parti modificate. La
correzione delle bozze di stampa dovrà essere limitata
alla semplice revisione tipografica; eventuali modificazioni del testo saranno addebitate agli Autori. Le bozze
corrette dovranno essere rispedite entro 10 giorni a Geriatria - C.E.S.I. - Casa Editrice Scientifica Internazionale, Via Cremona, 19 - 00161 Roma. In caso di
ritardo, la Redazione della rivista potrà correggere d’ufficio le bozze in base all’originale pervenuto.
I moduli per la richiesta di estratti vengono inviati insieme alle bozze.
Gli articoli scientifici
possono essere redatti nelle seguenti forme:
Editoriale. Su invito del Direttore, deve riguardare un
argomento di grande rilevanza in cui l’Autore esprime
la sua opinione personale. Sono ammesse 10 pagine di
testo dattiloscritto e 50 citazioni bibliografiche.
Articolo originale. Deve portare un contributo originale
all’argomento trattato. Sono ammesse 14 pagine di testo
dattiloscritto e 80 citazioni bibliografiche. L’articolo
deve essere suddiviso nelle sezioni: introduzione, materiali e metodi, risultati, discussione, conclusioni.
Nell’introduzione sintetizzare chiaramente lo scopo
dello studio. Nella sezione materiali e metodi descrivere in sequenza logica come è stato impostato e portato
avanti lo studio, come sono stati analizzati i dati (quale
ipotesi è stata testata, tipo di indagine condotta, come è
stata fatta la randomizzazione, come sono stati reclutati e scelti i soggetti, fornire dettagli accurati sulle caratteristiche essenziali del trattamento, sui materiali utilizzati, sui dosaggi di farmaci, sulle apparecchiature non
comuni, sul metodo stilistico...). Nella sezione dei risultati dare le risposte alle domande poste nell’introduzione. I risultati devono essere presentati in modo
completo, chiaro, conciso eventualmente correlati di
figure, grafici e tabelle.
Nella sezione discussione riassumere i risultati principali, analizzare criticamente i metodi utilizzati, confrontare i risultati ottenuti con gli altri dati della letteratura, discutere le implicazioni dei risultati.
Review. Deve trattare un argomento di attualità ed
interesse, presentare lo stato delle conoscenze sull’argomento, analizzare le differenti opinioni sul problema
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Geriatria 2010 Vol. XXII; n. 4 Luglio/Agosto
trattato, essere aggiornato con gli ultimi dati della letteratura. Sono ammesse 25 pagine di testo dattiloscritto e 100 citazioni bibliografiche.
Caso Clinico. Descrizioni di casi clinici di particolare
interesse, Sono ammesse 8 pagine di testo e 30 citazioni bibliografiche. L’articolo deve essere suddiviso nelle sezioni: introduzione, caso clinico, discussione, conclusioni.
Preparazione dei lavori
I lavori inviati devono essere dattiloscritti con spazio due, su una sola facciata (circa 28 righe per pagina)
e con margini laterali di circa 3 cm. Gli Autori devono
inviare 3 copie complete del lavoro (un originale e due
fotocopie) e conservare una copia dal momento che i
dattiloscritti non verranno restituiti. Le pagine vanno
numerate progressivamente: la pagina 1 deve contenere il titolo del lavoro; nome e cognome degli Autori; l’istituzione ove il lavoro è stato eseguito; nome, indirizzo completo di C.A.P. e telefono dell’Autore al quale
dovrà essere inviata ogni corrispondenza.
Nella pagina 2 e seguenti devono comparire un riassunto e le parole chiave in inglese; il riassunto deve
essere al massimo di 150 parole.
Nelle pagine successive il testo del manoscritto
dovrà essere così suddiviso:
Introduzione, breve ma esauriente nel giustificare
lo scopo del lavoro.
Materiali e metodi di studio: qualora questi ultimi
risultino nuovi o poco noti vanno descritti detta-gliatamente.
Risultati.
Discussione.
Conclusioni.
Bibliografia: le voci bibliografiche vanno elencate e
numerate nell’ordine in cui compaiono nel testo e compilate nel seguente modo: cognome e iniziali dei nomi
degli Autori in maiuscolo, titolo completo del lavoro in
lingua originale, nome abbreviato della Rivista come
riportato nell’Index Medicus, anno, numero del volume,
pagina iniziale e finale. Dei libri citati si deve indicare
cognome e iniziali del nome dell’Autore (o degli Autori), titolo per esteso, nome e città dell’editore, anno,
volume, pagina iniziale e finale.
Ta b e l l e: vanno dattiloscritte su fogli separati e
devono essere contraddistinte da un numero arabo (con
riferimento dello stesso nel testo), un titolo breve ed una chiara e concisa didascalia.
Didascalie delle illustrazioni: devono essere preparate su fogli separati e numerate con numeri arabi
corrispondenti alle figure cui si riferiscono; devono
contenere anche la spiegazione di eventuali simboli,
frecce, numeri o lettere che identificano parti delle illustrazioni stesse.
Illustrazioni: tutte le illustrazioni devono recar
scritto sul retro, il numero arabo con cui vengono menzionate nel testo, il cognome del primo Autore ed una
freccia indicante la parte alta della figura.
I disegni ed i grafici devono essere eseguiti in nero
su fondo bianco o stampati su carta lucida ed avere una
base minima di 11 cm per un’altezza massima di 16 cm.
Le fotografie devono essere nitide e ben contrastate.
Le illustrazioni non idonee alla pubblicazione saranno rifatte a cura dell’Editore e le spese sostenute saranno a carico dell’Autore.
I lavori accettati per la pubblicazione diventano di
proprietà esclusiva della Casa editrice della Rivista e
non potranno essere pubblicati altrove senza il permesso scritto dell’Editore.
I lavori vengono accettati alla condizione che non
siano stati precedentemente pubblicati.
Gli Autori dovranno indicare sull’apposita scheda,
che sarà loro inviata insieme alle bozze da correggere,
il numero degli estratti che intendono ricevere e ciò
avrà valore di contratto vincolante agli effetti di legge.
Gli articoli pubblicati su GERIATRIA sono redatti
sotto la responsabilità degli Autori.
N.B.: I lavori possono essere inviati via email a [email protected] oppure
per posta su CD o pen drive salvati in word.
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