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PK
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Il tema
di pedagogia...
...in tasca
PER LA PROVA SCRITTA
DI PEDAGOGIA DELL’ESAME DI STATO
s Tecniche di stesura
s Temi svolti con percorso compositivo
ragionato
s Tracce ufficiali degli Esami di Stato
degli ultimi anni
SIMONE
EDIZIONI
Estratto della pubblicazione
Š
Gruppo Editoriale Esselibri - Simone
Estratto della pubblicazione
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Via F. Russo 33/D
80123 Napoli
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l’editore è a disposizione degli aventi diritto. L’editore provvederà, altresì, alle
opportune correzioni nel caso di errori e/o omissioni a seguito della segnalazione degli interessati.
Prima edizione: aprile 2011
PK32/1
ISBN 978-88-244-5948-8
Ristampe
8 7 6 5
4
3
2
1
2011
2012
2013
2014
Questo volume è stato stampato presso
Officina Grafica Iride
Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano (NA)
Si ringrazia il prof. Gian Mario Quinto per i materiali forniti.
Per informazioni, suggerimenti, proposte: [email protected]
Grafica e copertina:
Gianfranco De Angelis
Presentazione
Questo volume propone un’ampia scelta di temi svolti per il superamento della seconda prova scritta di pedagogia dell’esame di maturità.
I componimenti, le cui tracce ricalcano la struttura di quelle ufficiali,
consentono al candidato un ripasso del programma e, al tempo stesso,
un utile esercizio di rielaborazione in forma scritta degli argomenti
affrontati nel corso dell’anno scolastico.
In apertura del volumetto, lo studente troverà una breve ma indispensabile guida alla stesura del tema, una tipologia di scrittura
che richiede alcune indispensabili abilità per il buon esito della prova.
Il testo si articola in due sezioni:
• la Parte prima è dedicata alla storia del pensiero pedagogico e
tratta i principali autori e le teorie che hanno segnato il percorso
dell’educazione occidentale e che, pertanto, possono costituire oggetto
di esame: l’approccio romantico di Fröbel; la pedagogia scientifica di
Herbart e Spencer; il positivismo; il comportamentismo di Skinner; le
teorie psicosociali e dello sviluppo cognitivo; le neuroscienze; Bruner,
Piaget, Vygotskij; i tipi di intelligenza postulati da Gardner; le scuole
nuove e l’attivismo; John Dewey; il metodo Montessori; la pedagogia
nel regime fascista con Giovanni Gentile; don Milani e la questione
sociale; i contributi della psicoanalisi con Winnicott, Spitz ed Erikson;
• la Parte seconda approfondisce le più importanti tematiche delle
scienze educative contemporanee: la scuola tra multicultura e
intercultura; didattica e social media; ruolo e funzioni educative di
famiglia, scuola, gruppo dei pari; il gioco come attività formativa; le
professioni educative; modelli e prospettive della pedagogia oggi.
Lo svolgimento dei temi si sviluppa seguendo i diversi punti indicati
dalla traccia, così come previsto dalle prove ufficiali, in modo da abituare il candidato a rispettare un percorso guidato ed evitare rischiose
e inutili divagazioni.
Chiude il volume un’Appendice che propone le tracce dei temi di
pedagogia degli Esami di Stato degli ultimi anni.
Estratto della pubblicazione
Estratto della pubblicazione
INTRODUZIONE
Il tema di pedagogia
1. La seconda prova scritta dell’Esame di Stato
1. La seconda prova scritta dell’Esame di Stato
Il tema di pedagogia come seconda prova dell’esame di maturità
richiede, per la preparazione teorica e la capacità di sintesi, un impegno particolare.
Il candidato è tenuto a svolgere, a sua scelta, due temi tra i quattro
proposti dalla commissione.
Si tratta di una prova in cui si chiede di sviluppare una traccia articolata, in genere, su una citazione d’autore, seguita da tre o quattro
«punti di riflessione» che fungono da scaletta per il candidato.
In alcuni casi non è presente il brano, ma le «questioni» su cui riflettere sono sempre fornite dalla traccia. È importante che la trattazione
sia organica, lineare, rispondente alla traccia e della giusta dimensione
(il cui limite è indicato in sede d’esame) e che al suo interno forma,
contenuti e proporzioni contribuiscano a determinare il raggiungimento
di un esito soddisfacente.
Viene proposta, di seguito, una sintetica guida alla stesura del tema
particolarmente utile per raggiungere un buon risultato in sede d’esame.
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Estratto della pubblicazione
2. Indicazioni per il corretto svolgimento dell’elaborato
Introduzione: Il tema di pedagogia
Il tema è una modalità di scrittura di uso prettamente scolastico.
La scuola superiore avvia gli studenti alla composizione di temi di tipo
espositivo (per verificarne le conoscenze in merito a specifici argomenti
relativi ai programmi svolti) o argomentativo (per valutarne le capacità critiche). In entrambi i casi, si richiede di dimostrare il possesso
di adeguate competenze linguistiche e la capacità di organizzare un
testo. Com’è noto, il termine «tema» sta a designare sia l’argomento di
composizione proposto sia la trattazione che, di tale argomento, si
svolge. Il requisito richiesto però non cambia, e consiste nel rispetto
delle coordinate fissate dalla traccia, senza inutili divagazioni e tenendo
sempre ben saldo il «filo del discorso».
L’elaborato consiste in un enunciato di lunghezza variabile contenente idee organizzate che riguardano un argomento dato. L’elemento
costitutivo della prova è rappresentato dalla traccia, che fornisce allo
studente istruzioni e coordinate sul lavoro da svolgere. La traccia cambia, nella sua struttura, sulla base di numerose variabili: la disciplina su
cui verte la trattazione (storia, letteratura, attualità, pedagogia, etc.) e
la tipologia stessa di tema (traccia aperta, traccia strutturata, riflessione
su una citazione, etc.).
A prescindere dal tipo di tema che ci si accinge a svolgere, è di
fondamentale importanza leggere attentamente e comprendere chiaramente la traccia prima di ogni altra fase della prova. Essa è, infatti,
la chiave per il buon esito della prova stessa. La comprensione della
traccia e la sua corretta interpretazione mette al riparo dal rischio di
dar vita ad un elaborato che, seppur ricco di contenuti e accurato
nell’esposizione, non raggiunge un livello di sufficienza perché non
risponde alla domanda posta dalla prova.
È possibile individuare due macrocategorie di traccia: analitica e
sintetica. La prima consiste in un enunciato di una certa lunghezza
nel quale è contenuto l’intero percorso logico del tema, e in cui è
possibile individuare tutte le idee e le correlazioni che lo studente è
tenuto a sviluppare. La seconda è, in genere, più breve e si limita ad
offrire una sommaria indicazione dell’argomento che il candidato deve
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Le caratteristiche di un buon tema possono essere così sintetizzate:
• esposizione logica e corretta. Le affermazioni, le premesse, le conclusioni esposte devono avere chiari legami logici. La punteggiatura
deve rendere agevole la lettura e chiara la struttura delle frasi;
• coerenza del pensiero. Lo sviluppo dei concetti esposti deve essere
il più possibile graduale. Non si ammettono salti logici o affermazioni non legate al contesto. Tutti gli elementi del discorso devono
essere intimamente collegati fra loro. È importante dare al tema un
senso globale di unità;
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Estratto della pubblicazione
2. Indicazioni per il corretto svolgimento dell’elaborato
trattare. Questo secondo tipo di traccia presenta un livello di difficoltà
superiore proprio perché lascia ampia libertà allo studente, che si trova
a dover delimitare il campo delle idee e degli argomenti e a definire
l’intera struttura dell’elaborato.
Il secondo passo da compiere è quello di raccolta e organizzazione
delle idee e pianificazione dei tempi, cui segue la stesura della «scaletta» o schema da seguire nella fase di scrittura vera e propria. Nel
caso del tema di pedagogia della seconda prova, questo passaggio va
sostituito con la lettura e la comprensione delle «questioni» poste dalla
traccia stessa che sostituiscono la scaletta. Lo schema è uno strumento
importante che, se costruito correttamente, consente di dar vita ad un
elaborato proporzionato, organico e omogeneo. La «scaletta» serve a
non perdere mai di vista il filo complessivo della trattazione; aiuta ad
esporre gli argomenti nel giusto ordine e consente di verificare continuamente lo stato del lavoro.
Nella fase della stesura vera e propria, è importante tendere alla
chiarezza, prediligendo i periodi brevi e non eccessivamente complessi.
Se lo schema di partenza prevede l’esposizione di considerazioni personali, è bene stare attenti a non ridurre l’intera trattazione, o la gran
parte di essa, ad opinioni non argomentate e a non lasciarsi trascinare
dalle proprie idee perdendo di vista le richieste della traccia. La stesura
deve occupare una buona parte del tempo previsto per la prova ma
è importante che si interrompa almeno mezz’ora prima della fine, per
avere il tempo necessario per rileggere l’elaborato e correggere eventuali errori grammaticali, sintattici, imprecisioni, squilibri o contraddizioni
presenti nella trattazione.
Introduzione: Il tema di pedagogia
• organizzazione delle proprie conoscenze. Il candidato deve dare
prova di aver assimilato e rielaborato le conoscenze acquisite in
maniera personale e di essere in grado di riesporle in forma sistematica e originale, secondo le proprie caratteristiche di pensiero e
di scrittura;
• informazioni precise e approfondite. È di fondamentale importanza
tendere a dimostrare di possedere informazioni desunte da fonti
precise e attendibili;
• è bene evitare: la ripetizione meccanica di pagine di manuali o
trattati; di voler esporre tutto quanto si conosce e si è studiato sull’argomento (anche la capacità di selezione critica e quella di sintesi
sono qualità fondamentali che saranno prese in considerazione in
sede di valutazione); di abbandonarsi a divagazioni, interruzioni,
inutili riprese e soprattutto noiose ripetizioni.
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Estratto della pubblicazione
PARTE PRIMA
Storia del pensiero pedagogico
1. Burrhus Skinner e le «tecnologie didattiche»
«La legge dell’effetto è stata presa sul serio: abbiamo acquisito la certezza
che gli effetti si manifestano veramente e che si manifestano in condizioni
che rappresentano l’optimum per ottenere quei mutamenti che chiamiamo
apprendimento».
B. SKINNER, La tecnologia dell’insegnamento, 1970
La psicologia scientifica e il metodo sperimentale cominciano ad
avere, fin dalla prima metà del XX secolo, una forte influenza sugli
orientamenti educativi e scolastici. La psicologia scientifica controlla
la validità delle sue affermazioni per mezzo della rilevazione di dati
empirici, cioè cerca riscontri nella realtà di fenomeni osservabili. Un
primo esempio di ricerca psicologica ispirata a metodi scientifici e
rivolta ai problemi educativi è da attribuire ad Alfred Binet. All’inizio
del Novecento, su mandato del governo francese, egli elaborò i primi
test di intelligenza atti a diagnosticare i punti deboli e di forza degli
allievi, al fine di intervenire in maniera più puntuale ed efficace nella
loro formazione. Per misurare il ritardo mentale, ad esempio, Binet
utilizzava la semplice differenza tra l’età mentale del bambino e la sua
età cronologica. Tale sistema era però poco pratico, perché non rendeva bene l’idea dell’entità del ritardo. Infatti, un ritardo di due anni a
un’età di cinque anni, indicava un limite intellettivo molto serio, mentre
le stesso ritardo conteggiato, ad esempio, in un ragazzo di quattordici
anni, rappresentava uno svantaggio molto più lieve.
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1. Burrhus Skinner e le «tecnologie didattiche»
Il candidato inquadri le teorie di Skinner nel contesto storico e sociale del XX
secolo, mettendo in evidenza:
• il primo esempio di ricerca psicologica ispirata ai metodi scientifici di Alfred Binet;
• l’approccio della corrente comportamentista di Skinner e la nascita della
tecnologia didattica;
• il concetto di «istruzione programmata».
Parte Prima: Storia del pensiero pedagogico
Tale particolare attenzione nei riguardi del comportamento umano,
ovvero degli aspetti dell’agire più facilmente osservabili e registrabili,
ha caratterizzato la corrente «comportamentista» di Skinner.
Riguardo alla tecnologia didattica, il comportamentismo di Skinner
aveva trovato la sua espressione più compiuta nel mastery learning, nel
senso che i contenuti della disciplina venivano scomposti in sequenze
(unità didattiche) che prevedevano con precisione metodi, mezzi,
obiettivi e strumenti di verifica dell’apprendimento. Procedimenti di
feedback, dunque, che promuovevano azioni di rinforzo e integrazione
qualora gli obiettivi relativi non fossero stati raggiunti. Con tale metodo
innovativo l’insegnamento risultava fortemente individualizzato.
La realizzazione della sua «istruzione programmata» si basa su
alcuni step fondamentali. Ognuno di essi si articola in tre punti: la
presentazione di una nuova conoscenza o di una nuova abilità; uno
stimolo che solleciti una risposta che evidenzi se tale conoscenza o
tale abilità sia stata acquisita; un rinforzo positivo, se la risposta può
essere considerata valida.
In primo luogo bisogna individuare l’obiettivo da raggiungere in
termini di comportamento osservabile e misurabile. In un momento
successivo è possibile sottoporre l’allievo al percorso di step elementari che lo porteranno progressivamente dal livello di conoscenza già
acquisito all’obiettivo prefissato. Una condizione importante è data
dalla relazione esistente tra il comportamento e le sue conseguenze.
L’apprendimento ha luogo quando il comportamento viene «rinforzato».
Elaborando le cosiddette contingenze di rinforzo è possibile provocare
delle notevoli modifiche nel comportamento: nelle discussioni dell’insegnante con i suoi studenti, ad esempio, nei libri che egli dà loro da
leggere, nelle tabelle e nell’altro materiale che mostra, nelle domande
che pone e nelle contingenze. L’analisi sperimentale chiarisce queste
contingenze e suggerisce numerosi interventi finalizzati al conseguimento di progressi nel processo di apprendimento.
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2. John Dewey e la didattica laboratoriale
«Là dove i giovani agiscono socialmente, essi devono riferire il loro modo
di agire a ciò che fanno gli altri e farlo combinare con quello; il che dirige
la loro azione a un risultato comune e crea la reciproca comprensione dei
partecipanti».
J. DEWEY, Democrazia ed educazione, 1916
L’esperienza didattica del laboratorio si basa sulle dinamiche di
apprendimento di gruppo. Il gruppo in cui si apprende non è una
semplice aggregazione di individui, ma si caratterizza per la presenza
di dinamiche particolari che facilitano l’organizzazione delle attività e
contribuiscono a creare le condizioni per facilitare gli apprendimenti
di ciascun individuo ad esso appartenente.
Le dinamiche relazionali che si sperimentano a scuola hanno, tra le
altre, la funzione di importante strumento di lettura dei bisogni primari
degli allievi, in modo da consentire ai docenti una «diagnosi» su eventuali problemi o difficoltà individuali; attraverso attività comuni, inoltre,
la scuola argina gli effetti dell’uso-abuso dei media e del computer ai
quali sono spesso abituati gli allievi quando sono a casa.
Tale tipologia didattica educa a un modo collettivo di fare cultura,
attraverso strumenti come la discussione, la costruzione, la verifica, che
diventano occasione di confronto tra adulti e studenti e tra il gruppo
dei pari. Il laboratorio si presenta, infatti, come luogo formativo nel
quale alimentare la pratica della cooperazione, strumento necessario
per la difesa dell’ideale di una «scuola del diritto di tutti allo studio e
alla qualità dell’istruzione», contro i messaggi più aggressivi e competitivi di una parte della società che vorrebbe rendere la scuola il primo
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Estratto della pubblicazione
2. John Dewey e la didattica laboratoriale
Il candidato esponga le sue riflessioni sulla didattica laboratoriale, soffermandosi
in particolare su:
• i presupposti teorici che hanno dato forma a questa tipologia di esperienza
didattica;
• come si organizza un’attività laboratoriale;
• le dinamiche del laboratorio come esperienza di apprendimento attraverso
l’interazione tra pari.
spazio fisico e mentale della competitività. Cooperazione e solidarietà,
dunque, da contrapporre, come ideali positivi, alla rivalità tra gli allievi
e ai valori potenzialmente pericolosi dell’individualismo e dell’indifferenza nei confronti dell’altro.
Parte Prima: Storia del pensiero pedagogico
La didattica che sta alla base del laboratorio si ispira ad alcune teorie
sull’apprendimento e si basa su specifiche procedure metodologiche. Il
modello teorico di riferimento è quello dell’apprendimento attraverso
l’interazione tra pari.
Le metodologie adottate prevedono una serie di operazioni da
svolgere all’interno del percorso didattico in una dimensione cooperativa: assunzione, definizione e contestualizzazione dell’obiettivo
didattico; realizzazione di operazioni pratiche e concrete; individuazione di soluzioni possibili e funzionali; realizzazione di un prodotto
visibile; controllo sia del processo che porta alla realizzazione del
prodotto, sia del prodotto stesso, che deve essere funzionale alla
risoluzione del problema definito al principio del percorso; concettualizzazione dei processi che hanno portato alla soluzione del
problema; documentazione cartacea dei percorsi, dei processi attivati
e dei risultati ottenuti.
Per avviare un’attività di laboratorio bisogna innanzitutto organizzare
un gruppo; a prescindere dal compito e dalle modalità di svolgimento
dei lavori, infatti, l’esperienza di laboratorio ha come obiettivo principale lo sviluppo dell’abilità di lavorare insieme, rispettare i ruoli e
apprezzare il lavoro di ogni componente del gruppo.
Nella fase organizzativa dell’esperienza di laboratorio vanno definite le aree di responsabilità, individuati i nuclei operativi relativi a
ciascun ambito di lavoro e distribuite le competenze tra i membri. Al
termine della fase di preparazione, il gruppo entra nella fase operativa,
partendo dal formulare una proposta metodologica condivisa; seguono
poi puntuali riscontri dello stato dei lavori e discussioni su eventuali
problemi non previsti e, infine, ci si confronta sui risultati ottenuti.
Dal punto di vista didattico, la risoluzione di eventuali conflitti
all’interno del gruppo assume una dimensione fondamentale. I giovani
coinvolti nell’attività laboratoriale imparano infatti a «negoziare» per
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Estratto della pubblicazione
2. John Dewey e la didattica laboratoriale
superare le divergenze, mettendo in atto vere e proprie strategie di
conciliazione, quali, ad esempio, chiedere a ciascun componente del
gruppo il suo parere rispetto al problema e ascoltare i diversi punti di
vista; essere disposti a cambiare idea di fronte a fatti e opinioni inoppugnabili; riconoscere differenze e similitudini tra i diversi approcci
dei membri del gruppo; favorire infine l’empatia, cioè la reciproca
comprensione e condivisione degli obiettivi comuni.
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Estratto della pubblicazione
3. La pedagogia scientifica di Herbart
«La riflessione pratica sull’intenzione che deve guidare l’educatore nella sua
opera [...] costituisce la prima metà della pedagogia. Essa deve accompagnarsi ad una seconda metà, in cui la possibilità dell’educazione dovrebbe
essere esposta teoreticamente e presentata come limitata in ragione della
variabilità delle circostanze».
F. HERBART, Pedagogia generalee (1806)
Parte Prima: Storia del pensiero pedagogico
Il candidato esponga i problemi che Herbart affronta nella sua riflessione, con
particolare attenzione alle seguenti questioni:
• il rapporto con la cultura e le istituzioni educative del suo tempo;
• la fondazione e la sistematizzazione scientifica della pedagogia;
• la dimensione educativa dell’istruzione;
• la teoria dell’interesse.
Herbart è ritenuto il fondatore della pedagogia scientifica. Egli
orientò la sua riflessione in senso nettamente anti-idealistico, rifiutando
l’identificazione della pedagogia con la filosofia e negò la riduzione
della pedagogia a pratica empirica. La pedagogia è, per Herbart, scienza
autonoma dell’educazione, anche se per raggiungere questo obiettivo
ha bisogno di un metodo che le consenta di acquisire uno statuto
disciplinare e che ne stabilisca le competenze. Ma autonomia non significa isolamento: al contrario la pedagogia è scienza interdisciplinare.
La pedagogia di Herbart intende dunque presentarsi come scienza,
e vuol rispondere agli interrogativi di indole pratica e teorica inerenti
al fenomeno educativo. Grazie ad Herbart si prende coscienza della
valenza formativa delle singole discipline, per cui l’istruzione non si
riduce a pura trasmissione di conoscenze, bensì a una vera e propria
istruzione educativa.
Uno dei problemi più importanti all’epoca dello studioso era dare
alla pedagogia il suo status accademico nell’ambito di un contesto
sottoposto all’influenza di numerose correnti pedagogiche, tra cui il
dominante romanticismo, che intendeva la formazione come percorso
di crescita intellettuale basato sulla promozione del «bene e del bello»,
senza una dottrina pedagogica a monte del processo educativo. Tali
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correnti suscitarono in Herbart interrogativi e stimoli di riflessione, gli
stessi che lo portarono alla definizione e sistematizzazione della sua
ricerca.
L’istruzione è, per Herbart, un momento essenziale dell’educazione,
che può avvenire attraverso influssi diversi nell’apprendimento, come
l’esperienza e il contesto ambientale.
L’educazione, che va distinta dalla pedagogia, è arte: «l’arte di
educare». Essa risulta da un complesso di abilità, che ha come scopo
finale la formazione del soggetto. L’arte dell’educare si apprende con
l’esercizio, in riferimento non ad un esercizio qualunque, come mera
ripetitività, ma attraverso l’«azione» che fa riferimento ad una «teoria».
In tal modo l’agire non si riduce ad un esercizio di routine da parte
dell’insegnante, ma diventa esperienza significativa per tutti i soggetti
coinvolti nel processo di apprendimento.
Lo stimolo e l’apertura ad una istruzione che sia veramente educativa sono dati dall’interesse. Esso si forma, secondo Herbart, quando
il soggetto apprende una molteplicità di oggetti che gli consentono di
arricchire il suo patrimonio conoscitivo. In questo modo, si attua la
necessaria fusione tra le nuove conoscenze – le «rappresentazioni» – e
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Estratto della pubblicazione
3. La pedagogia scientifica di Herbart
Seguendo l’insegnamento di Kant, egli sostenne che la realtà è data
dalla dinamica delle cose molteplici, che Herbart definisce «reali»; tali
eventi entrano in rapporto con l’Io umano e generano una relazione
specifica che si chiama «rappresentazione». Questa relazione costituisce
l’oggetto di studio della psicologia. La stessa anima non è che uno
dei tanti «reali» di cui è possibile conoscere l’esistenza solo mediante
l’interazione con gli altri enti. La vera realtà è costituita dal complesso
delle relazioni tra l’Io e le cose e può identificarsi con i meccanismi
psichici del soggetto.
Herbart non identificò pedagogia e filosofia, come l’idealismo, e non
accettò neanche una pedagogia puramente descrittiva che pretendesse
di giustificarsi con la sola esperienza. L’insegnamento, per Herbart, ha
lo scopo di suscitare l’attività del soggetto, la formazione di se stesso,
il proprio perfezionamento e il raggiungimento della virtù.
Parte Prima: Storia del pensiero pedagogico
quelle già precedentemente possedute. La formazione dell’uomo di
cultura richiede, dunque, un’apertura che presuppone una molteplicità
dell’interesse.
Per il suo eclettismo e la novità di molte soluzioni elaborate, la
riflessione psico-pedagogica di Herbart ebbe vasta influenza sia in
Europa sia in America. In particolare l’approccio scientifico fece sì che
essa riscuotesse ampi consensi nell’età del Positivismo, senza peraltro
mancare di lasciare una traccia significativa anche in molti pensatori
contemporanei.
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4. Cooperative learning: origini
storiche e prospettive didattiche
«Non basta mettere insieme delle persone per ottenere un gruppo valido.
Per promuovere il singolo individuo all’interno del gruppo, il gruppo deve
esprimere determinate qualità. Tali qualità sono molto importanti non solo
come punto di riferimento per l’interpretazione di eventuali difficoltà o insufficienze nel modo di procedere ma come meta orientativa di sviluppo del
gruppo stesso. Il cooperative learningg punta al miglioramento dei processi
di apprendimento e socializzazione attraverso la mediazione del gruppo, i
cui membri devono agire sentendosi positivamente interdipendenti tra di
loro, in maniera tale che il successo di uno sia il successo di tutti»
M. COMOGLIO, M. A. CARDOSO, Insegnare e apprendere in gruppo,
LAS, ROMA 1996
La didattica laboratoriale ha numerosi punti di contatto con la
metodologia di insegnamento del cooperative learning: un metodo
didattico in cui gli studenti lavorano insieme in piccoli gruppi per
raggiungere obiettivi comuni, cercando di migliorare reciprocamente
il loro apprendimento. Si distingue sia dall’apprendimento competitivo
che dall’apprendimento individualistico e si presta ad essere applicato
ad ogni compito, ad ogni disciplina, ad ogni curricolo. Il cooperative
learning punta al miglioramento dei processi di apprendimento e socializzazione attraverso la mediazione del gruppo, i cui membri devono
agire sentendosi positivamente interdipendenti tra di loro, in maniera
tale che il successo di uno sia il successo di tutti.
Il cooperative learning può essere definito da due punti di vista
diversi: come movimento educativo e come metodo di insegnamentoapprendimento in gruppo dotato di particolari principi e specifiche
applicazioni che privilegia l’interazione tra gli allievi, stabilendo attorno a tale relazione tutto il processo di acquisizione della conoscenza:
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Estratto della pubblicazione
4. Cooperative learning: origini storiche e prospettive didattiche
Il candidato esponga le sue riflessioni sull’argomento illustrando in particolare:
• le caratteristiche dell’apprendimento cooperativo;
• lo sviluppo dell’idea di lavoro di gruppo nella storia della pedagogia.
obiettivi didattici, ruolo dell’insegnante, organizzazione della classe,
problemi di valutazione ecc. L’espressione cooperative learning include
infatti diverse correnti educative che hanno la caratteristica comune di
fornire suggerimenti su come lavorare in piccoli gruppi all’interno della
classe al fine di migliorare sia il rendimento scolastico che l’acquisizione
di abilità collaborative.
Parte Prima: Storia del pensiero pedagogico
L’idea del lavoro di gruppo non è nuova nella storia dell’educazione: se ne trova traccia già in Comenio e numerosi sono i contributi
relativamente più recenti in Europa e altrove. Il cooperative learning
presenta molti punti in comune con le esperienze preesistenti di lavoro
di gruppo ma anche numerose differenze che lo rendono totalmente
innovativo rispetto al passato. Un impulso decisivo agli studi nel settore
è partito agli inizi del Novecento ad opera di due scuole di pensiero,
quella pedagogica di Dewey e quella psicologica di Lewin: entrambi
gli studiosi sottolinearono l’importanza dell’interazione e della cooperazione nella scuola come mezzo di promozione umana e sociale. Le
idee di Dewey sull’apprendimento cooperativo, unite agli studi condotti
da Lewin e, in seguito, dai suoi allievi per l’elaborazione di metodi
scientifici di raccolta di dati sulle funzioni e sui processi coinvolti
nella cooperazione, costituiscono il corpus concettuale centrale che
ha ispirato e ha continuato a sostenere gli studi sull’apprendimento
cooperativo. Il quadro teorico di riferimento adottato da diversi studiosi
del cooperative learning deriva anche dall’integrazione di vari filoni e
principi teorici, che possono identificarsi nella psicologia costruttivista
della conoscenza di Piaget, nella psicologia umanistica di Rogers e
nella pedagogia di Freire.
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5. La pedagogia tra laicità e religione
«Se la religione non avesse presa un poco di cura della educazione sua, qual
sarebbe mai questo popolo? Ma la religione può essere un efficace istrumento di educazione, non già l’educazione istessa. È necessario che la legge
le dia la norma, perché spetta alla legge, alla sola legge, il determinare qual
debba essere la virtù del cittadino. È necessario che la filosofia le indichi i
mezzi, perché la filosofia è quella cui spetta conoscere il cuore e la mente
umana e le vie per insinuarvi le virtù e la saviezza. In quella città vi sarà
educazione perfetta, in cui il legislatore, il ministro della religione, il filosofo
vi concorreranno tutti egualmente e tutti saran di accordo; in quella città
si otterrà ciò che di tutte le istituzioni civili deve esser il fine: la massima
concordia tra le parti e la massima energia nel tutto».
V. CUOCO, Educazione e politica, 1925
La storia della pedagogia è stata costantemente caratterizzata dalla
coesistenza e dalla prevalenza alternata di una corrente di stampo
religioso e una di stampo laico. Correnti pedagogiche legate, a loro
volta, a concezioni della vita, dell’uomo e della donna, della natura e
dello spirito, della società. Nel nostro Paese, il pensiero religioso si è
caratterizzato prevalentemente come cattolico.
Il dominare dell’una o dell’altra corrente genera una serie di conseguenze nella formulazione del pensiero pedagogico, non solo nelle
teorie particolari ma anche nel modo in cui si intendono la disciplina
stessa e le sue finalità: ciascun orientamento privilegia, ad esempio,
un ruolo da assegnare alla pedagogia.
È importante ricordare, però, che i primi progetti di educazione
popolare si diffondono nel nostro Paese proprio per iniziativa ecclesiastica; è il sacerdote cremonese Ferrante Aporti che, nei primi anni
dell’Ottocento, realizza nella sua provincia la prima scuola infantile
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5. La pedagogia tra laicità e religione
Il candidato esponga le sue riflessioni sul ruolo della religione nell’educazione,
illustrando in particolare:
• il ruolo storico della religione nella pedagogia italiana;
• principali differenze tra approccio laico e cattolico all’istruzione;
• le nuove prospettive della convivenza interreligiosa.
pubblica. Sarà poi Giovanni Bosco, qualche anno più tardi, a raccogliere
la sua eredità, fondando l’oratorio, ovvero un ambiente protetto che
riunisce la dimensione educativa con quella familiare.
Parte Prima: Storia del pensiero pedagogico
In senso generale, la pedagogia di ispirazione cristiana riconosce un
valore particolare alla fede e alla trascendenza, alla persona in quanto
creazione divina, alla dimensione spirituale dell’individuo, al messaggio
evangelico come fonte di guida per la definizione spirituale, etica e
valoriale dell’educazione.
Le correnti laiche focalizzano, invece, l’attenzione sulle dimensioni
più concrete dell’esperienza radicate nella storicità della vita sociale
e culturale e riconoscono un ruolo di maggiore rilievo alla scienza
nell’ambito della pedagogia.
Alcuni studiosi contemporanei hanno effettuato, a proposito della
dimensione scientifica e di quella filosofica all’interno della pedagogia,
un’ulteriore distinzione, sottolineato come la pedagogia personalista (di
ispirazione cristiana) privilegi la dimensione filosofica, considerata più
adatta al piano della coscienza, dell’attenzione alle istanze più intime e spirituali, in genere trascurate dalla scienza e dalle sue metodologie di analisi.
Al contrario, la pedagogia laica, pur riconoscendo alla filosofia un
ruolo di rilevo, riserva ampio spazio all’analisi scientifica.
Il rapporto tra le due correnti pedagogiche è stato a lungo conflittuale ma dalla metà del XX secolo, a partire dal Concilio Vaticano II
(1962-1965), grazie all’inversione di rotta della Chiesa cattolica, che ha
avviato un’opera di “sdogmatizzazione” del proprio pensiero, è stato
possibile porre le basi di un dialogo critico e costruttivo tra la pedagogia
personalista e quella laica. Dialogo che ci si augura possa dar vita ad
un progetto di integrazione in vista di obiettivi comuni universalmente
riconosciuti come positivi, al di là delle fedi e delle ideologie. Questa
apertura dovrebbe consentire all’istituzione scolastica un’autonomia
quanto mai necessaria all’accoglienza dei sempre più numerosi studenti
stranieri, portatori di valori, culture e credenze religiose differenti, che
richiedono attenzione e rispetto.
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Estratto della pubblicazione
6. Il positivismo nella pedagogia italiana
Il positivismo ha offerto un contributo di rilievo allo sviluppo della pedagogia come scienza. Tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento, questa corrente di pensiero dominò la cultura europea in tutti i
suoi aspetti, agendo sullo statuto epistemologico delle discipline in modo
da introdurre cambiamenti che sarebbero sopravvissuti al superamento del
positivismo stesso.
Il positivismo è una corrente di pensiero che dalla metà dell’Ottocento fino al primo decennio del Novecento domina la cultura europea
nei suoi vari aspetti: filosofici, politici, letterari, scientifici, religiosi, e
pedagogici. Esso è caratterizzato dall’affermazione del primato della
scienza e del suo metodo conoscitivo, dalla negazione di ogni realtà
non osservabile e non sperimentabile, dall’applicazione del metodo
induttivo a tutti i fenomeni naturali, culturali e sociali e, soprattutto,
dalla nascita della sociologia e della psicologia come scienze. Per tali
ragioni il positivismo definisce la pedagogia come scienza dell’educazione. L’educazione, come tale, può essere studiata come qualsiasi
altro evento della natura e se ne possono determinare le leggi. Si ha
in questo modo la «riduzione» della pedagogia a scienza.
Tale processo evolutivo denota la difficoltà che incontra la pedagogia nel trovare il suo statuto epistemologico. I pedagogisti del
positivismo come Ardigò e Gabelli sottolineano e accentuano gli
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6. Il positivismo nella pedagogia italiana
Il candidato esponga le ragioni per cui il positivismo riduce la pedagogia a scienza
sperimentale, delineando:
• i tratti fondamentali che caratterizzano il positivismo;
• i punti in comune e le differenze del pensiero di Ardigò e Gabelli, studiosi che
hanno caratterizzato il positivismo in pedagogia;
• i concetti di critica didattica e didattica critica di Lombardo Radice e il loro
reciproco rapporto;
• le motivazioni che Gentile (massimo esponente del Neo-idealismo) addusse a
sostegno della teoria che identificava la filosofia e la pedagogia.
aspetti verificabili dell’educazione, focalizzando l’attenzione sul «metodo
induttivo»; sulle lezioni sostanziate da «cose» e non da sole «parole»;
sull’esperienza e sull’acquisizione di «abilità».
Più che di educazione, è il caso, in relazione ai pedagogisti citati,
di parlare di «addestramento»: l’educazione è legata a leggi fisiologiche, psicologiche e sociologiche che lasciano poco spazio alla libertà
e creatività del soggetto. Per educare è necessario conoscere tali leggi
appartenenti all’evoluzione dell’umanità, perchè il singolo le ripete
nell’ambito del proprio sviluppo. Tuttavia Gabelli, scrupoloso osservatore della realtà scolastica, intuisce l’innata ricchezza di vita posseduta
dal fanciullo, rompendo gli schemi e le leggi di una visione positivista.
Egli, pur partendo dall’osservazione della realtà educativa e sociale,
non si chiude in una visione puramente deterministica dell’educazione,
bensì ne scopre l’aspetto spirituale.
Parte Prima: Storia del pensiero pedagogico
Lombardo Radice rivendica la necessità di studiare e valutare il fatto
educativo nei suoi soggetti, sia nell’educatore e nell’educando, sia nelle
istituzioni. Con la sua «critica didattica», Lombardo Radice non ha la
pretesa di dettare leggi e precetti dell’educazione, perché essa nasce
dopo l’esperienza educativa. Per tali ragioni egli, partito dalla critica
didattica, approda alla «didattica critica». La metodologia educativa di
Radice si basa sull’elaborazione di una visione del processo educativo
puramente filosofica. Egli individua un legame tra le presupposizioni teoretiche dettate dalla filosofia e la concretezza dell’esperienza educativa,
frutto della sua personale esperienza di allievo, di padre e di maestro.
L’idealismo, soprattutto con Giovanni Gentile, si colloca in una
posizione contrapposta a quella del positivismo, identificando filosofia e pedagogia. Per Gentile, l’unica realtà esistente è il pensiero nel
momento in cui si attua: il «pensiero pensante», che non è altro che il
soggetto, l’«Io», che ha coscienza di sé, cioè l’uomo in quanto spirito.
Dunque, se la pedagogia è scienza dell’educazione e questa è formazione dell’uomo secondo il suo concetto, risulta che la pedagogia è
uguale alla filosofia. Per Gentile «essere» e «dover essere», «educatore»
ed «educando»; «autorità e libertà»; «eteroeducazione» e «autoeducazione»
sono tutte antinomie, ovvero contraddizioni dell’educazione, perché
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6. Il positivismo nella pedagogia italiana
nella concezione idealistica i due spiriti (educatore-educando) si fondono nell’atto educativo, ossia nel momento in cui si fa educazione. A
differenza di Lombardo Radice, per Gentile la riduzione della pedagogia a filosofia è totale, per cui egli rifiuta il concetto di didattica come
scienza e tecnica dell’insegnamento.
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7. Piaget e l’apprendimento per «stadi»
«Lo sviluppo psichico, che comincia con la nascita e termina con l’età adulta, è paragonabile alla crescita organica: come quest’ultima, consiste essenzialmente in un cammino verso l’equilibrio. Infatti, così come il corpo
è in evoluzione sino ad un livello relativamente stabile, caratterizzato dal
compimento della crescita e la maturità degli organi, analogamente possiamo concepire la vita mentale come evolventesi in direzione di una forma
di equilibrio finale rappresentata dalla mente adulta».
J. PIAGET, Lo sviluppo mentale del bambino, 1967
Parte Prima: Storia del pensiero pedagogico
Il candidato esponga le sue riflessioni sul testo sopra riportato e si soffermi, in
particolare, sulle seguenti questioni:
• il rapporto tra crescita organica e sviluppo psichico secondo Piaget;
• le «invarianti funzionali» dello sviluppo;
• la teoria dello sviluppo per stadi.
Secondo lo psicologo svizzero Jean Piaget, ogni attività mentale presuppone una maturazione neuro-biologica che ne orienta lo sviluppo.
Quest’ultimo non è dunque esclusivamente riducibile all’influenza di fattori
esterni sociali e culturali sul bambino, come invece sostenevano, più o
meno contemporaneamente a Piaget, i rappresentanti del comportamentismo. Lo sviluppo deve, in altri termini, tener conto anche e soprattutto
dell’esistenza di un livello genetico alla base delle formazioni cognitive.
L’ipotesi fondamentale di Piaget è, infatti, che ci sia un “parallelismo tra i
progressi compiuti, l’organizzazione razionale e logica della conoscenza,
e i corrispettivi processi psicologici formativi”.
Il bambino, ad esempio, cresce e potenzia le proprie capacità mentali rispettando una sequenza determinata di variazioni e di mutamenti
connessi a certi stadi della sua vita. Ogni stadio, che nello sviluppo cognitivo si differenzia da un altro, presuppone necessariamente lo stadio
precedente. In senso stretto, nulla è innato, poiché ogni fase riflette e ha
bisogno delle acquisizioni pregresse. Lo sviluppo avviene, così, mediante
un’interazione molto complessa e stratificata tra individuo e ambiente; la
mente stessa è come un organismo vivente che, in rapporto con l’esterno,
si accresce e si sviluppa.
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