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artiColi E Studi
La responsabilità del Direttore Generale
di banca e la nomina formale
Commento a Cass. 23630/2015
di Rossana Leggieri*
*Avvocato. Studio De Poli - Venezia
La responsabilità del direttore
generale di banca è un tema il
cui esame comporta l’analisi,
preliminare, della qualificazione di taluno come direttore generale, ai sensi dell’art. 2396
c.c.
Tale norma, infatti, si limita ad
estendere al direttore generale
di una società per azioni
“nominato dall’assemblea o
per disposizione dello statuto”
e “nei limiti dei compiti affidati” le previsioni in materia di
responsabilità dettate per gli
amministratori, facendo salve
le azioni derivanti dal rapporto
di lavoro, senza dare alcuna
definizione della figura in questione.
Anche la recente giurisprudenza della Suprema Corte di
Cassazione è tornata ad occuparsi del problema in una pronuncia nella quale di nuovo
afferma la necessità di una for-
male investitura come condizione per far ricadere su un
dipendente della banca la
responsabilità per gli atti di
mala gestio che abbiano cagionato un danno alla stessa.
Con la recente pronuncia della
Prima Sezione Civile, n.
23630, pubblicata l’8 ottobre
2015, la Corte di Cassazione
ha riesaminato una precedente
pronuncia della Corte d’Appello di Napoli, la n. 78/2012,
con la quale il ricorrente, dopo
essere stato qualificato come
direttore generale, era stato
condannato al risarcimento dei
danni a favore della banca per
la quale lavorava (sottoposta a
liquidazione coatta amministrativa).
Il ricorrente obiettava di non
aver rivestito il ruolo di direttore generale; di non essere
mai stato formalmente investito di svolgere quel ruolo,
richiamando l’orientamento
della Suprema Corte assunto
con sentenza 28819/2008;
sosteneva, inoltre, di non aver
svolto neppure de facto i compiti tipicamente assegnati ai
direttori generali; si difendeva,
altresì, affermando di essersi
sempre limitato a eseguire le
deliberazioni del consiglio di
amministrazione, alle riunioni
del quale, peraltro, sosteneva
di non aver mai partecipato.
Affermava, infine, che la Corte
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d’Appello di Napoli avrebbe
dovuto tenere in considerazione la transazione (parziale)
sottoscritta dalla banca con
tutti gli altri convenuti – e alla
quale il ricorrente non aveva
partecipato – e avrebbe conseguentemente dovuto pronunciare la cessazione della materia del contendere perché trattandosi di rapporti solidali
inscindibili, anche la decisione
sulla sua responsabilità sarebbe superata dalla transazione
medesima.
Così ricostruita in breve la
vicenda, occorre premettere
che la sentenza in questione
riguarda una vicenda per la
quale, ratione temporis, trovava applicazione l’art. 2396 c.c.
nella sua formulazione precedente alla riforma del diritto
societario del 2003.
Esaminando la norma nel suo
testo previgente, però, è agevole notare come, rispetto
all’attuale formulazione, essa
manca solo della previsione
“salve le azioni esercitabili in
base al rapporto di lavoro con
la società”. Le riflessioni che
verranno svolte in relazione al
caso di cui si discute, quindi,
possono essere ritenute ancora
valide anche in relazione al
testo dell’art. 2396 c.c. attualmente vigente.
Passando all’esame del merito
della vicenda, rileviamo come,
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anche con la pronuncia del
2015 la Suprema Corte abbia
ribadito quello stesso orientamento già espresso nel 2008 in
forza del quale, mancando
(anche a tutt’oggi) una definizione normativa del direttore
generale, al fine di configurare
la responsabilità di un soggetto
per atti di mala gestio ai sensi
dell’art. 2396 c.c. è necessario
che vi sia stata una formale
investitura come direttore
generale in forza di una delibera assembleare o del consiglio
di amministrazione in base ad
apposita previsione statutaria.
La Cassazione nega, quindi,
che possa avere autonomo
rilievo la circostanza che il
soggetto si trovi in una posizione apicale e abbia concretamente svolto quei compiti che
la dottrina e la giurisprudenza
hanno individuato come caratteristici della figura in questione. Resterebbero in ogni caso
salve le azioni derivanti dal
rapporto di lavoro subordinato
e la possibilità, al ricorrere dei
relativi presupposti, di configurare il soggetto come amministratore di fatto.
Con la sentenza n. 28819/
2008, la Corte di Cassazione,
infatti, aveva preso atto della
mancanza di una previsione
normativa che consentisse di
identificare un soggetto come
direttore generale in base ad
una valutazione concreta dei
compiti allo stesso affidati;
oltre a ciò, la Corte ha rilevato
la mancanza di un pieno accordo in dottrina e giurisprudenza
sulle caratteristiche del direttore generale; non ritenendo
consentito estendere ipotesi di
responsabilità al di fuori delle
ipotesi normativamente disci-
plinate e dovendosi, quindi,
adottare un criterio di interpretazione restrittivo dell’art.
2396 c.c., la Suprema Corte ha
limitato l’applicazione della
norma in questione escludendo
la possibilità di un’estensione
al c.d. direttore generale di
fatto.
Invero, la stessa dottrina non è
concorde sull’individuazione
dei requisiti essenziali affinché
un soggetto sia qualificabile
come direttore generale. In un
famoso scritto del 1991,
Abbadessa afferma che “il
direttore generale può tranquillamente definirsi come
colui che ha il compito di mettere in esecuzione le decisioni
del consiglio di amministrazione, interpretandole, operando le opportune scelte tattiche, trasmettendole agli organi subordinati e controllandone la puntuale esecuzione; il
tutto sotto la direzione e la
vigilanza dello stesso consiglio”.
Altra definizione molto esaustiva è quella di Campobasso
che li individua, a prescindere
dal nomen juris che assumono,
in quei “dirigenti che svolgono
attività di alta gestione dell’impresa sociale, i dirigenti
cioè che sono al vertice della
gerarchia dei lavoratori subordinati dell’impresa ed operano in rapporto diretto con
gli amministratori dando attuazione alle direttive generali
dagli stessi impartite … con
ampi poteri … nella gestione
dell’impresa”.
Una definizione, seppur parziale, del direttore generale di
banca, inoltre, può essere rinvenuta nelle circolari di Banca
d’Italia n. 263/2006 e 285/
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2013 dove, nella definizione di
organo con funzioni di gestione – del quale fa parte anche il
direttore generale – si legge
che “Il direttore generale rappresenta il vertice della struttura interna”.
La pronuncia quindi si inserisce nel dibattito sulla possibilità o meno di configurare una
responsabilità del “direttore
generale di fatto” e si esprime
nel senso di escluderla. In
commento alla sentenza del
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 20 febbraio
2009, Dolmetta si pone in contrasto con l’orientamento della
Cassazione appena espresso,
affermando che non vi sarebbe
distinzione alcuna tra la configurabilità dell’amministratore
di fatto rispetto al direttore
generale di fatto, aprendo alla
possibilità di un’estensione
analogica che porti alla
responsabilità di un soggetto
che ricopra una posizione apicale all’interno della società e
che svolga quei compiti gestori a suo dire tipici della figura.
Si rileva, però, come la recente
pronuncia della Cassazione
sembri non lasciare alcuno
spazio ad una interpretazione
sostanziale e non formalistica
dell’art. 2396 c.c.
Nel caso di specie, poi, contrariamente a quanto affermato
dal ricorrente, la Suprema
Corte ha ritenuto sussistere il
conferimento formale dell’incarico di direttore generale in
forza di un’apposita previsione
statutaria, con la conseguente
possibilità di configurare una
sua responsabilità ai sensi dell’art. 2396 c.c. per le conseguenze dannose derivanti dalla
sua condotta alla Banca per la
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quale egli lavorava. L’esame
dei compiti effettivamente
svolti dal ricorrente restava,
quindi, questione assorbita dal
prevalente dato formale.
Altro interessante principio
espresso dalla sentenza 23630/
2015 è quello riguardante la
possibilità per il direttore
generale di essere esente da
responsabilità affermando di
essersi limitato ad eseguire le
delibere del consiglio di amministrazione. La Suprema Corte
ha escluso una tale possibilità,
ribadendo l’orientamento già
espresso dalla giurisprudenza
di merito (v. ad es. Trib. Santa
Maria Capua Vetere 20 febbraio 2009) che assegna al
direttore generale l’autonomia
di decidere se porre in esecuzione o meno le delibere dell’organo gestorio, rifiutandosi
di eseguire decisioni che siano
in contrasto con la legge o che
possano recare danno alla
società; secondo alcuni per
andare esente da responsabilità
oltre a rifiutare l’esecuzione il
direttore generale dovrebbe
dar corso anche alle formalità
di cui all’art. 2392, 3° co. c.c.,
ossia, venuto a conoscenza di
fatti pregiudizievoli, dovrebbe
fare quanto in suo potere per
impedire il loro compimento o
eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
Tra le varie difese svolte, il
ricorrente richiama anche la
possibilità per il consiglio di
amministrazione di avocare a
sé i compiti assegnati al direttore generale, qualora dalla sua
condotta ne fosse potuto derivare un danno per la società.
Neppure tale rilievo, secondo
la Suprema Corte, vale a mandare esente il ricorrente da
responsabilità. Ma la difesa in
questione offre lo spunto per
soffermarsi sui rapporti tra
consiglio di amministrazione e
direttore generale: è certo, però,
che il direttore generale, in
caso di nomina da parte del
consiglio di amministrazione,
sia organo delegato da questo e
che agli amministratori, in qua-
tà, nei limiti dei compiti a lui
assegnati, deve essere improntata al perseguimento del
miglior interesse della società,
con la conseguente responsabilità per la violazione dei doveri
di corretta amministrazione
sullo stesso gravanti, nonostante si tratti di poteri delegati.
Soffermandosi per un istante
Premio ASMEF "Cilentani nel mondo”
a Michele Albanese
Michele Albanese, Direttore Generale della Banca Monte
Pruno di Roscigno (Salerno), professionista eccelso e uomo di
grandi qualità, é stato insignito del Premio ASMEF per essersi sempre prodigato a favore delle comunità italiane nel mondo.
Una sua particolare iniziativa è stata la creazione della “Carta
dei servizi” a favore degli Italiani all'Estero.
Al Direttore Michele Albanese, cui tutti riconoscono i compiti
difficili di cui è investito nel territorio, vanno i più vivi rallegramenti dalle colonne della Rivista Dirigenza Bancaria con la
convinzione che ancor più ambiziosi riconoscimenti gli vengano attribuiti.
lità di organo delegante, spetti
la vigilanza sull’operato del
direttore generale, con conseguente possibilità di riappropriarsi dei compiti oggetto di
delega; tale profilo si intreccia
con le implicazioni della normale (ma non necessaria) esistenza di un rapporto di lavoro
subordinato con la banca, con
il conseguente obbligo di
fedeltà in capo al dipendente
nei confronti del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2105 c.c.,
obbligo che grava su ogni lavoratore. Tali argomenti, tuttavia,
non possono elidere l’intrinseca autonomia decisionale del
direttore generale, la cui attiviDirigenza Bancaria, n. 178, 2016
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sui rapporti tra direttore generale e consiglio di amministrazione, sul primo gravano i
seguenti doveri:
- fornire tutte le informazioni
relative alla gestione e alla sua
possibile evoluzione, tutti gli
elementi necessari per la compilazione dei bilanci e in generale tutte le notizie influenti
(cfr. 2381 c.c.);
- contribuire all’elaborazione
dei piani strategici, industriali
e finanziari della società ed alla
cura dell’assetto organizzativo,
amministrativo e contabile (cfr.
2381 c.c.);
- supportare al meglio il potere
decisorio ed amministrativo;
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- dare attuazione alle decisioni
del consiglio di amministrazione.
Emerge quindi chiaramente
come non si tratti di un mero
esecutore bensì di soggetto in
possesso di (una quota di)
autonomia gestoria.
In relazione all’ulteriore profilo esaminato dalla sentenza
relativo alla qualificazione
come inscindibile dei rapporti
solidali nascenti dall’esercizio
dell’azione di responsabilità, il
ricorrente aveva tentato di
avvantaggiarsi di una transazione alla quale non aveva
partecipato, affermando che
l’accordo in questione avrebbe
sottratto all’esame del giudice
la parte più rilevante delle condotte imputabili agli organi
sociali e censurate con l’azione
di responsabilità, con conseguente necessità di pronunciare la cessazione della materia
del contendere nei suoi confronti.
La Cassazione, invece, ha confermato la decisione della
Corte d’Appello di Napoli, in
primo luogo, perché la natura
parziale della transazione comporta che il convenuto estraneo
all’accordo non può profittarne
se non limitatamente alla
misura delle quote di responsabilità ascrivibili ai soggetti che
hanno sottoscritto l’accordo
transattivo: per quelle quote di
responsabilità non potrà più
essere pronunciata sentenza di
condanna nei suoi confronti;
in secondo luogo, perché,
richiamando la pronuncia n.
7909/2012, la Suprema Corte
ha ribadito come “l’azione di
responsabilità introdotta cumulativamente contro più amministratori e sindaci può de-
terminare l’inscindibilità delle
cause, ove la condotta addebitata a ciascuno sia definibile
come illecita a causa dello
stretto collegamento con la
valutazione della condotta
degli altri (è il caso in particolare, ove ai sindaci sia attribuita la mancata doverosa
vigilanza sulla condotta colpevole degli amministratori), ma
da ciò non consegue che non
sia possibile la transazione
solo con alcuni degli stessi,
atteso che l’accordo transattivo stesso scioglie il vincolo di
solidarietà passiva, ponendo
così fine ai soli rapporti facenti capo ai transigenti”.
La Suprema Corte ha rigettato,
quindi, anche tale motivo di
ricorso, confermando la condanna del ricorrente al risarcimento del danno a favore della
banca in liquidazione coatta
amministrativa.
In conclusione, emerge chiaramente che la giurisprudenza di
legittimità individua la figura
del direttore generale (anche di
banca) anzitutto in base alla
formale investitura dello stesso in forza di una previa autorizzazione assembleare o di
una previsione statutaria che
contempli la figura in questione. Secondo la Cassazione,
quindi, nessuno spazio residuerebbe, almeno ad oggi, per
la configurabilità di una
responsabilità dei direttori
generali di fatto, ossia per quei
soggetti che svolgono i compiti tipici di una tale figura in
assenza di un incarico formale.
Vi è da chiedersi però se dal
punto di vista di coerenza del
sistema giuridico una tale
impostazione sia condivisibile.
Seguendo le linee guida dettaDirigenza Bancaria, n. 178, 2016
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te dalla Cassazione, ad esempio, si escluderebbe la configurabilità di un’azione di responsabilità nei confronti del vice
direttore generale che svolga
compiti di supplenza del direttore generale magari per un
periodo di tempo anche lungo,
mancando l’esplicito conferimento dell’incarico che si
richiede al fine dell’applicabilità dell’art. 2396 c.c.
Nell’ipotesi di danni derivanti
dall’attività di questo vice
direttore generale viene da
chiedersi quale sia la ragione
per la quale la società non può
agire nei confronti di questo
invocando quelle stesse norme
che disciplinano la responsabilità del direttore generale.
L’orientamento seguito dalla
Suprema Corte, poi, sembra
non prendere in alcuna considerazione il fatto che nel particolare settore del diritto bancario, quella del direttore generale – specie se si guarda, come
nel caso oggetto della sentenza
del 2015, alle banche di credito
cooperativo – è una figura
caratteristica, quasi necessaria
e destinataria di specifiche previsioni di legge (si pensi ad
esempio ai requisiti di professionalità richiesti dall’art. 26
TUB).
Indubbiamente, l’impostazione
formalistica fatta propria dalla
Cassazione, in assenza di una
chiara individuazione normativa delle caratteristiche tipiche
del direttore generale, è ispirata a ragioni di maggior tutela
del soggetto destinatario di
un’azione di danni. Vi sarebbero, tuttavia, fondate ragioni per
rimeditare la posizione della
giurisprudenza, quanto meno
per il settore bancario.