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la Biblioteca di via Senato
mensile, anno iii
Milano
n.7 – luglio/agosto 2011
UTOPIA
G. Camillo:
e il teatro
della memoria
di gianluca montinaro
SETTECENTO
Una pittoresca
metafora umana:
i miti dell’asino
di annette popel pozzo
ILLUSTRANDO
La Nausikaa di
G. de Latenay
una (ri)scoperta
di mauro nasti
CARTEGGI
“Aria d’Italia”
tra Malaparte e
Daria Guarnati
di laura mariani conti
e matteo noja
IL SAPERE
Buffon,
un ricercato
naturalista
di arianna calò
la Biblioteca di via Senato - Milano
MENSILE DI BIBLIOFILIA – ANNO III – N.7/25 – MILANO, LUGLIO/AGOSTO 2011
Sommario
4 L’Utopia: prìncipi e princìpi
“L’IDEA DEL TEATRO”,
UTOPIA DELLA MEMORIA
di Gianluca Montinaro
12 BvS: dal Fondo Antico
L’ASINO PITTORESCO
DEL SETTECENTO
di Annette Popel Pozzo
19 BvS: dall’Archivio Malaparte
DARIA GUARNATI E LE SUE
EDIZIONI “ARIA D’ITALIA”
di Laura Mariani Conti
e Matteo Noja
26 BvS: il libro illustrato
GASTON DE LATENAY,
UN ARTISTA DA SCOPRIRE
di Mauro Nasti
33 IN SEDICESIMO - Le rubriche
IL TEATRO DI VERDURA,
CATALOGHI, SPIGOLATURE,
L’INTERVISTA D’AUTORE,
RECENSIONI, MOSTRE
50 BvS: un editore dell’Ottocento
L’ELVETICA DI CAPOLAGO
E QUELLE EDIZIONI
“ALLA MACCHIA”
di Beatrice Porchera
55 BvS: rarità per bibliofili
L’ELEGANTE HISTOIRE
NATURELLE DEL CONTE
DI BUFFON
di Arianna Calò
60 BvS: dal Fondo Impresa
“CIVILTÀ DELLE MACCHINE”
DALLA RICOSTRUZIONE
AL BOOM
di Giacomo Corvaglia
66 BvS: un editore del Novecento
SCHEIWILLER,
DUE GENERAZIONI
DI EDITORI A MILANO
di Paola Maria Farina
72 BvS: una Storia editoriale
I SALANI, EDITORI
FIORENTINI CON
LA PASSIONE PER DANTE
di Valentina Conti
76 BvS: nuove schede
RECENTI ACQUISIZIONI
DELLA BIBLIOTECA
DI VIA SENATO
80 La pagina dei lettori
BIBLIOFILIA
A CHIARE LETTERE
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Fulvio Pravadelli, Miranda Ratti,
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Illustrazione di Nausikaa
di Gaston de Latenay, Parigi 1899
Organizzazione Mostra del Libro Antico
e del Salone del Libro Usato
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Margherita Savarese
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Questo periodico è associato alla
Unione Stampa Periodica Italiana
Reg. Trib. di Milano n. 104 del
11/03/2009
Editoriale
Q
uesto bollettino va in vacanza
con un numero doppio arricchito
di pagine e diversi interventi
che riguardano anzitutto il tema dell’Utopia,
caro a questa Biblioteca, poi il fondo
Malaparte che si sta sempre più svelando
pieno di veri e propri inediti.
Ancora una puntata sul mito dell’asino
nel Settecento che precede l’ultima
e conclusiva indagine bibliografica
sul curioso tema.
Si aggiunge l’opera vasta e ricca di
illustrazioni sulla storia naturale del grande
Buffon, qui nella mitica edizione originale;
la presentazione in chiave storica della
tipografia svizzera di Capolago; la civiltà
delle macchine ripresa dal nostro fondo
dell’Impresa italiana e dalla storia
dell’industrializzazione e infine quell’iniziativa
degli Scheiwiller, esempio raffinato e colto
ma purtroppo estinto del nostro panorama
editoriale, accompagnano il lettore in questa
strana estate che nel Teatro della Biblioteca
di Via Senato continua tuttavia tra piogge
e caldo tropicale ad allietare le serate
di chi resta in città.
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
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L’Utopia: prìncipi e princìpi
“L’IDEA DEL TEATRO”,
UTOPIA DELLA MEMORIA
Giulio Camillo e l’arte mnemotecnica rinascimentale
GIANLUCA MONTINARO
n un celebre racconto, Isidoro Funés, o della memoria,
Jorge Luis Borges immagina una mente, quella del
protagonista, il giovane Funés, capace di ricordare
tutto: dalle nozioni più complesse ai fatti più insignificanti. Dietro questa fantasia ossessiva si cela l’interesse
del bibliotecario Borges per l’arte della memoria, o
mnemotecnica, cioè quel sistema generale e insieme di
tecniche volte a sostenere la memoria per farle acquisire
il più ampio sapere possibile.
Su quest’arte quasi magica, capace di elevare un insieme nozionistico a sistema gnoseologico, esiste un corpus abbastanza discreto di trattati, fin dall’epoca romana. Molti fra essi si possono annoverare fra i testi componenti il canone dell’utopia per la tensione allo sguardo
complessivo che li anima, per la forza innovativa che li sottende, per la
convinzione di poter sussumere tutto il sapere nell’Uno. Nell’ambito
delle collezioni antiche conservate
presso la Biblioteca di via Senato
I
A sinistra: Frontespizio di Giulio
Camillo, L’idea del theatro dell’eccellen.
M. Giulio Camillo. In Fiorenza 1550
(Stampato in Fiorenza appresso
Lorenzo Torrentino impressor
ducale del mese d’aprile l’anno 1550.
Con privilegi ...).
A destra: Tiziano Vecellio (1488/901576), L’orazione di Alfonso d’Avalos,
1540, Museo del Prado, Madrid
spicca un testo mnemotecnico importantissimo: L’idea
del theatro di Giulio Camillo («stampato in Fiorenza
appresso Lorenzo Torrentino impressor ducale del
mese d’aprile l’anno 1550», con la curatela di Lodovico
Domenichi).
La ricerca e gli studi sulla memoria erano materia
di interesse già presso gli antichi i quali ponevano grande cura nell’esercitare l’arte del ricordo. Anche i trattati
di retorica dedicavano a essa una particolare attenzione.
Cicerone e Quintiliano consigliavano di collegare mentalmente le “cose” precise da ricordare a loci (luoghi fisici
veri e propri) dei quali chiaramente si distinguano parti e
sezioni (per esempio edifici architettonici, con le loro diverse e ordinate strutture) entro cui collocare
una serie di immagini capaci di richiamare, tramite associazione, gli
“oggetti” al posto dei quali esse
compaiono. E’ l’anonimo manuale
di retorica Ad Herennium a contenere la descrizione più completa di tale
tecnica, essenziale soprattutto agli
oratori per tenere a mente i discorsi;
altrettanto importanti risultano altri due testi: il De oratore di Cicerone
e l’Institutio oratoria di Quintiliano.
Durante il Medioevo, invece, la
mnemotecnica si orientò secondo
una prospettiva combinatoria e, più
che uno strumento per facilitare il
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la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
Dedica del curatore Lodovico Domenichi al diplomatico
spagnolo Diego Hurtado de Mendoza
ricordo, divenne un momento di sintesi di tutte le forme
e contenuti del sapere. Fu soprattutto al filosofo catalano Raimondo Lullo (1235-1315) che si deve quest’indirizzo, chiaramente ispirato alla cabala ebraica.
Ma è nel Rinascimento che l’arte della memoria
raggiunge il suo massimo splendore, incontrandosi e
fondendosi con le correnti neoplatoniche ed ermetiche
che percorrevano le sofisticate corti europee. Nel 1482
Jacopo Publicio pubblica, a Venezia, il suo Oratoriae artis epitome a cui è annessa, come appendice un’Ars Memorativa. Seguono, negli anni successivi, la Phoenix sive artificiosa memoria (Venezia, 1491) di Pietro da Ravenna e
la Congestorium artificiosa memoriae (1520 e poi, tradotto
da Ludovico Dolce, Venezia 1533) di Johannes Romberch. Fra i testi pubblicati nella seconda metà del Cinquecento vale la pena ricordare il Thesaurus artificiosae
memoriae di Cosmo Rosselli (Venezia, 1579), la Plutosofia di Filippo Gesualdo (Padova, 1592) e l’Ars reminiscendi (Napoli, 1602) di Giovan Battista Della Porta. An-
che Giordano Bruno si interessa alla mnemotecnica,
con due trattati stampati durante il primo soggiorno parigino, nel 1582: il De umbris idearum e il Cantus Circaeus
(«Quest’arte non serve soltanto ad acquisire una semplice tecnica mnemonica, ma apre anche la via e introduce
alla scoperta di numerose facoltà» scrive Bruno). Per
Bruno l’architettura mentale alla quale occorre dar vita è
articolata in una serie di cinque ruote concentriche (ispirate a Lullo), ciascuna delle quali, divisa in trenta parti,
reca lettere dell’alfabeto latino, greco ed ebraico, suddivise a loro volta in cinque settori. Su esse vanno distribuite mentalmente le immagini dei trentasei decani dello zodiaco, dei quarantanove pianeti, del Draco Lunae e
delle ventotto mansiones della luna, oltre a altre trentasei
immagini sparse. L’insieme rappresenta la volta celesta
con i relativi influssi astrologici. Il girare delle ruote permette ogni possibile intreccio (per la cifra astronomica
di oltre 505 milioni di permutazioni).
Il mago che si impadronisse di questo sistema non
solo aumenterebbe la propria capacità di ricordare, ma
avrebbe impresso in sé, controllandolo, (secondo il
principio d’unità che tutto è in tutto e che il caotico
mondo subceleste degli elementi è governato dal mondo sovraceleste) l’intero insieme delle forze celesti in
tutte le sue forme sempre cangianti. Insomma la mnemotecnica assurge, nelle intenzioni, a divenire «non una
semplice tassonomia del mondo ma lo strumento essenziale per la sistematizzazione del sapere, il palinsesto generale della percezione cognitiva, la cifra che schiude il
più recondito segreto dell’universo»1 e quindi i significati segreti nascosti, l’essenza delle cose, la conoscenza
stessa.
Dell’autore de L’idea del theatro - Giulio Camillo
Delminio - non si conosce molto. La sua figura e le sue
gesta sfumano nella leggenda: le fonti sulla sua vita sono
due biografie scritte nel XVIII secolo da Federigo Altan
e Giorgio Liruti. Nato probabilmente a Portogruaro
nel 1480, e morto a Milano nel 1544 in circostanze misteriose (forse assassinato), Giulio Camillo è una figura
poliedrica: filosofo e letterato, umanista ed erudito, noto anche come buon rimatore, commentatore e autore
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
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L’Idea del Theatro di Giulio Camillo
di vari scritti (alcuni ancora inediti) fra cui un trattato
sull’imitazione nell’arte.
Dopo aver studiato presso l’università di Padova, si
dedica a insegnare eloquenza e logica. Nel 1508 fonda a
Pordenone l’Accademia Liviana. In seguito si trasferisce
a Venezia ove stringe amicizia con Pietro Bembo, Pietro
Aretino e Tiziano, conoscendo anche Erasmo da Rotterdam il quale lo ricorda nella sua opera Ciceronianus,
attribuendogli eccellenti doti di oratore. Imbevuto dal
clima cabalistico-esoterico che si respira a Venezia si dedica ad approfondire lo studio della lingua ebraica e delle lingue orientali, del pitagorismo e del neoplatonismo.
Nel 1519, in occasione di un viaggio a Roma, conosce il
cardinale Egidio da Viterbo, uno dei più grandi cabalisti
cristiani e probabile autore della celebre e misteriosa
Hypnerotomachia Poliphili.
In questi anni matura, sulla spinta dei suoi interessi
retorico-oratori, mnemotecnici ed ermetico-cabalistici, dapprima l’idea d’una enciclopedia delle scienze
organizzata secondo l’armonia del corpo umano e,
infine, l’idea di un teatro, di un vero teatro ligneo - in
scala ridotta - di stile vitruviano, come proiezione
reale dell’arca della memoria.
In esso Giulio Camillo intende rappresentare, per
“luoghi” materiali, una vera topica o alfabeto universale comprensivo di tutte le arti e le scienze, che, visualizzate per mezzo di simboli e memorizzate in cartigli distribuiti in sette ordini o gradi, avrebbero costituito una summa paradigmatica dello scibile e una
via spedita a cogliere e impossessarsi di ogni più minuta nozione. Questo “edificio della memoria”
avrebbe dovuto rappresentare in una visione unitaria
la serie organica e armonica dell’universo, cabalisticamente suddiviso in mondo sovraceleste, celeste e
sublunare. Sefirot e idee platoniche avrebbero costituito i “luoghi eterni” della memoria, i veri modelli
primordiali della retorica garantiti dalla ontologia
misterica. Come si vede, Giulio Camillo insegue il
sogno di unificare cose parole e arti in una enciclopedia del sapere, ch’egli intende proiettare ad extra in
una memoria materializzata nelle forme d’una “fabrica” artificiale e organizzata in un sistema di luoghi ri-
gorosamente ordinati. Questa sistemazione dello scibile, condotta secondo i principi della retorica classica e della memoria artificiale, deve costituire per
Giulio Camillo la novità mirabile ed arcana, la chiave
universale con cui attingere con somma facilità ogni
linguaggio e ogni scienza. Alla costruzione e al perfezionamento, mai concluso, di tale “fabrica” Giulio
Camillo impegnerà tutta la vita, alla ricerca continua
del concreto patrocinio di un mecenate.2
Nel 1521 è a Bologna, da dove intrattiene rapporti
epistolari con Bembo e quindi a Genova dove, secondo
la testimonianza di Sebastiano Fausto da Longiano, nella casa di Stefano Sauli, posta «in quel piacevolissimo
colle sopra il mare», che Giulio Camillo «ritrovò, principiò, e terminò con la scorta del giudizio di V. S. la Fabrica del suo Teatro».3 Negli anni successivi viaggia fra
Venezia e Bologna (ove assiste anche, nel 1530, alla inco-
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la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
“Il secondo grado del Theatro havera le porte sue dipinte
di una istessa imagine, & questa sara un convivio”
millo si sentirà legato non si spiega se non con la precisa richiesta di prelazione sul “brevetto” da parte di
Francesco I, a cui una questione di “scienza curiosa”
dovette apparire del più grande interesse.4
ronazione di Carlo V), sempre alla ricerca di fondi per la
costruzione materiale dell’edificio mnemotecnico. Il
progetto, ormai noto negli ambienti intellettuali, gli attira lode ma anche invidia e derisione. Francesco I di
Francia, informato dal suo ambasciatore presso la Serenissima, si dimostra interessato al progetto e chiede a
Giulio Camillo di raggiungerlo oltralpe per mostrargli
un modello in scala dell’edificio della memoria. Giunto
a Parigi in compagnia di Girolamo Muzio, in mezzo a
sospetti e intrighi, ottiene udienza, promettendo al sovrano, a patto del riserbo più assoluto, di
renderlo sia in greco sia in latino oratore e poeta pari
ai più celebri antichi, impiegando una sola ora al giorno per brevissimo tempo, il tutto per 2.000 scudi d’oro annui. Di fatto, dopo due incontri, Giulio Camillo
ne ottiene 600 per ritornare in patria, con l’impegno
di portare a termine il teatro ad esclusivo godimento
del re. Il forzato silenzio a cui in seguito Giulio Ca-
Tornato quindi a Venezia, e coinvolto in una spiacevole polemica con Erasmo da Rotterdam, continua
nel suo lavoro, iniziando la stesura dell’Idea del Theatro,
un trattato apologetico in difesa dei propri studi e delle
proprie scoperte. Nel 1534 riparte per la Francia, circondato sempre da un’aurea di riverenza, mista ad accuse, neppure troppo larvate, di ciarlataneria. Nella capitale francese è protagonista di un episodio celebre. Un
giorno, in compagnia di altri gentiluomini (fra cui Luigi
Alamanni e il cardinale Giovanni di Lorena), si reca in
visita a un serraglio. All’improvviso, da una gabbia fuoriesce un leone. Nel generale parapiglia, Giulio Camillo
rimane immobile di fronte all’animale il quale, invece di
assalirlo, «lo prese senza nocumento per le coscie, et con
la lingua lo andava leccando».5 La sua fama di mago, capace di ammansire anche le fere, cresce enormemente.
Di quegli anni è anche un’opera intitolata De transmutatione. In essa Giulio Camillo scrive significativamente di
una triplice trasmutazione: «la Divina, quella delle Parole et quella ch’è pertinente alli Metalli». Tornato in
Italia conosce, grazie a Girolamo Muzio, il governatore
di Milano Alfonso d’Avalos il quale lo convince a entrare
al suo servizio. E’ lo stesso Muzio a narrare i monologhi
di Giulio Camillo col suo nuovo mecenate. Quando narra del suo teatro appare come «rapito in Spirito», posseduto da «una specie di furore quale descrivono i Poeti
della Sibilla, o della Profetessa de’ tripodi d’Apolline».
Alcuni mesi dopo, a Milano, muore misteriosamente
(forse assassinato), lasciando tutte le sue opere inedite.
L’Idea del Theatro, unica testimonianza di tutti i suoi studi mnemotecnici, sarà pubblicata sei anni più tardi.
Nell’Idea del Theatro Giulio Camillo non comunica il segreto dell’effettivo funzionamento del sistema, rivelato al solo Francesco I. Le parole di Camillo, suonano
oscuramente allusive.
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Mercurio Trismegisto dice che il parlar religioso e
pien di Dio viene a esser violato quando gli sopravviene moltitudine volgare. Laonde non senza ragione gli
antichi in su le porte di qualunque tempio tenevano, o
dipinta, o scolpita, una sphinga; et da cabalisti Ezechiel vien chiamato propheta villano, per haver alla
guisa d’huomo di villa scoperto tutto quello ch’egli
havea veduto. […] Passiam col nome del Signore a ragionar del nostro Theatro.6
tinuo gli ha fatto quasi perdere l’uso della parola. Si
dice, comunque, che sia di un qualche valore nell’uso
del volgare, che ha insegnato in un certo periodo a
Bologna, a quel che dicono. Quando gli ho fatto delle
domande circa il significato dell’opera, e il piano e i
risultati - parlando con reverenza e come attonito davanti a quel miracolo - mi ha messo innanzi certi scritti, e li ha letti in modo che dava risalto a numeri, clausole e a tutti gli artifici dello stile italiano, sia pure con
qualche disuguaglianza a causa del suo impedimento
nel parlare. Si dice che il re gli faccia premura perché
torni in Francia con la sua magnifica opera. Ma poiché era desiderio del re che tutto il materiale latino
fosse tradotto in francese, e per questo già egli aveva
messo al lavoro un interprete e uno scrivano, disse di
pensare che avrebbe differito il viaggio piuttosto che
esibire un’opera imperfetta. Egli chiama questo suo
teatro con molti nomi, dicendo ora che è una mente e
un’anima artificiale, ora che è un’anima provvista di
finestre. Pretende che tutte le cose che la mente umana può concepire e che non si possono vedere con
l’occhio corporeo, possono tuttavia, dopo essere state raccolte con attenta meditazione, essere espresse
mediante certi simboli corporei in modo tale che l’osservatore può, all’istante, percepire con l’occhio tutto ciò che altrimenti è celato nelle profondità della
mente umana. E appunto a causa di questa percezione
corporea lo chiama un teatro. Quando gli domandai
se aveva scritto qualcosa a sostegno della sua opinione, poiché ci sono molti, oggi, che non approvano
questo zelo nell’imitazione di Cicerone, rispose che
aveva scritto molto, ma aveva per il momento pubblicato poco, salvo alcune cosette in italiano dedicate al
re. Intendeva però pubblicare le sue opinioni sull’argomento, quando avesse potuto godere di qualche
tranquillità e fosse terminata l’opera a cui stava dedicando tutte le sue energie. Dice che ci ha speso già
1500 ducati, benché il re sinora gliene abbia dati solo
500. Ma attende dal re ampio compenso, quando abbia sperimentato i frutti del lavoro.8
L’idea di Delminio è quella di raccogliere con
un’unica visione, diretta verso un unico luogo, tutto lo
scibile. Del modello mostrato al re di Francia non rimane traccia ma sappiamo che lo spettatore entrava materialmente dentro un teatro ligneo: nella posizione di attore, dal palcoscenico, doveva guardare verso le gradinate, gremite di figure e immagini. Uno spettatore, Viglio Zwichem, lo descrive nei seguenti termini, scrivendo a Erasmo da Rotterdam:
Dicono che quest’uomo ha costruito un certo anfiteatro, un lavoro di mirabile ingegno, dove, chiunque
vi sia ammesso come spettatore, sarà in grado di discorrere di ogni argomento con loquela non meno
fluente di quella di Cicerone. Pensai dapprima che si
trattasse di una favola finché non appresi su ciò di più
da Battista Egnazio. Si dice che questo architetto abbia raccolto su certi luoghi determinati tutto ciò che
su ogni argomento si trova in Cicerone... ed abbia
disposto certi suoi ordini e gradi di figure... con stupendo lavoro e divino ingegno.7
E continua in una lettera successiva:
L’opera è in legno, segnata con molte immagini e gremita, in ogni parte, di piccole cassette; e vi sono diversi ordini e gradi. Egli ha assegnato il suo posto ad ogni
figura ed ogni singolo ornamento, e mi ha mostrato
una tal quantità di carte che, sebbene io abbia sempre
sentito che Cicerone è la più ricca fonte dell’eloquenza, difficilmente avrei pensato prima che un autore
potesse contenere tanta roba o che dai suoi scritti si
potessero mettere assieme tanti volumi. Ti ho scritto
in precedenza il nome dell’autore, che si chiama Giulio Camillo. È balbuziente assai, e parla latino con
difficoltà, scusandosi col pretesto che lo scrivere con-
Probabilmente articolato in sette ordini, tagliati
da altrettante corsie, il modello di Giulio Camillo poneva nel primo i sette pianeti. «L’intero sistema poggia, cabalisticamente, sui sette pilastri della Casa dalla sapienza
di Salomone, sette “misure” destinate a ripetersi nel
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la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
Tiziano Vecellio (1488/90-1576),
Allegoria del Tempo governato dalla Prudenza, c. 1565,
National Gallery, Londra
mondo sopraceleste delle sette Sefirot, dei sette angeli e
delle idee platoniche, nel mondo celeste dei sette pianeti
(posti al primo ordine dei gradi e ognuno in corrispondenza a una corsia) e nel mondo terrestre-elementare,
che si svolgeva dal secondo al sesto grado». In tal modo
sarebbe stato rappresentato «in ordine ascendente il
procedere e l’espandersi della creazione dell’universo
nei successivi stadi, dalle eterne idee primigenie al mutevole esplicarsi delle attività umane».9
Quest’alta et incomparabile collocazione fa non solamente officio di conservarci le affidate cose, parole, et
arte, che a man salva ad ogni nostro bisogno informati prima le potremo trovare; ma ci da anchor la vera
sapienza, ne’ fonti di quella venendo noi in cognition
NOTE
1
F. A. YATES, L’arte della memoria, Torino,
Einaudi, 1993, p. 101.
2
G. STABILE, Camillo, Giulio, detto Delminio, in Dizionario Biografico degli Italiani,
Istituto Nazionale dell’Enciclopedia Italiana,
Roma.
delle cose dalle cagioni et non dalli effetti. Il che, più
chiaramente esprimeremo con uno esempio. Se noi
fossimo in un gran bosco et havessimo desederio di
vederlo tutto, in quello stando, al desiderio nostro
non potremmo soddisfare: percioché la vista intorno
volgendo, da noi non se ne potrebbe veder se non una
piccola parte, impedendoci le piante cirocnvicine il
vedere delle lontane: ma se vicino a quello vi fosse una
erta, la qual ci conducesse sopra un alto colle, del bosco uscendo, dall’erta cominciaremo a veder in gran
parte la forma di quello; poi sopra il colle ascesi tutto
intiero il potremmo raffigurare. Il bosco è questo nostro mondo inferiore, l’erta sono i Cieli, et il colle il
sopraceleste mondo. Et a voler bene intendere queste
cose inferiori è necessario di ascendere alle superiori:
et di in alto in giù guardando, di queste potremo haver più certa cognitione.10
L’aspetto più destabilizzante, che probabilmente i
detrattori di Giulio Camillo hanno scambiato per ciarlataneria, è il ruolo che dovrebbe assumere lo spettatore
una volta dentro il “teatro della memoria”. L’edificio, in
realtà, non si limita a ricostruire nella forma una visione
globale e complessiva della natura, del globo, e quindi
delle stelle e di tutto l’universo. Il Teatro vuole cogliere
l’atto stesso Dio, attraverso la ricostruzione dell’azione
della divina sapienza, ovvero di tutto ciò che è fluito dalla Sua mente: il creato. E allo spettatore, sul palco, tocca
vestire proprio i panni dell’attore unico e principale: i
panni di Dio.
CICERONE, Orationi, II, a c. di S. Fausto da
Longiano, Venezia, 1556, p. 4 (nella dedicatoria a Stefano Sauli).
4
G. STABILE, Camillo, Giulio, detto Delminio, cit.
5
G. CAMILLO, L’Idea del Theatro, Firenze,
Torrentino, 1550, p. 39.
3
IBIDEM, pp. 8-9.
E. DA ROTTERDAM, Epistolae, a c. di P. S. Allen, Oxford, Clarendoniano, 1992, IX, p. 479.
8
IBIDEM, X, pp. 29-30.
9
G. STABILE, Camillo, Giulio, detto Delminio, cit.
10
G. CAMILLO, L’Idea del Theatro, pp. 11-12.
6
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BvS: dal Fondo Antico
L’ASINO PITTORESCO
DEL SETTECENTO
Jean-Baptiste Oudry illustra le Fables di Jean de La Fontaine
ANNETTE POPEL POZZO
L
a figura dell’asino – come accennato in un contributo apparso nello scorso numero sul genere
letterario dell’Encomium Asini e l’elogio paradossale dell’animale nella letteratura cinquecentesca
italiana (N. 6, giugno 2011) – è stata oggetto di particolare attenzione fin dai tempi più lontani, soprattutto
perché tra l’uomo e l’asino vi è evidentemente una contiguità che investe le radici stesse della natura umana.
Di conseguenza l’asino occupa un posto di primo
grado nella favola, il genere letterario (in prosa o in versi) che ha come obiettivo il presentare una verità morale o un insegnamento di saggezza pratica facendo ricorso agli animali – talvolta assieme a uomini e dèi – investiti di tipizzazioni e quasi stilizzazioni di vizi e virtù
umani, al contempo istruendo e divertendo: Fabula docet et delectat. Universalmente note sono le favole del
greco Esopo e del latino Fedro, che del genere istituirono i tratti principali e che misero assai sovente in scena l’asino con delle caratteristiche spiccatamente antropomorfe, facendo leva su un sapiente gioco di ambivalenza e ambiguità.
Molto apprezzata nel Medioevo – si pensi all’epopea animalesca del Roman de Renard – così come tra
Umanesimo e Rinascimento, la favola vede la sua età
aurea nella seconda metà del Seicento con le Fables di
Jean de La Fontaine (1621-1695; con varie edizioni, dal
1668 al 1694, raggiunse complessivamente dodici libri)1 e nel Settecento, che trasforma il genere alla stre-
Antiporta contenente il busto di La Fontaine circondato
dai molti animali protagonisti delle favole
gua di una propedeutica all’Illuminismo e l’adorna
spesso di un ricco apparato illustrativo.
Tra i più pregiati e costosi esempi settecenteschi
(ci vollero cinque anni per finirne la stampa) figurano le
Fables choisies, mises en vers par J. de La Fontaine, stampate a Parigi da Durand, Desaint & Saillant nella tipografia di Jombert, tra il 1755 e il 1759, in quattro sontuosi
volumi in folio. L’edizione, con una tiratura limitata, fu
stampata su quattro differenti tipi di carta; l’esemplare
conservato nella Biblioteca di via Senato si presenta su
grand papier de Hollande (Ray, The Art of the French Illustrated Books, p. 16-20; Cohen-Ricci, Guide de l’amateur
de livres à gravures du XVIIIe siècle, coll. 548-550; Huntington Library, Great Books in Great Editions, 21; Després, Bibliographie des livres de fables de La Fontaine illustrées, 1892, 12/XX).
Oltre all’antiporta contenente il busto dell’autore
circondato dai molti animali protagonisti delle varie favole (fig. 1), l’opera - “the most heroic enterprise in the
history of the rococo illustrated book”2 - contiene 275
tavole a piena pagina, eseguite, su disegni del pittore
francese Jean-Baptiste Oudry (1686-1755), da una
pleiade d’incisori quali Aubert, Aveline, Baquoy, Cochin, Dupuis, Fessart, Flipart, Legrand, Lemire, Sornique, Surugue e Tardieu.
Allievo del pittore di bottega rubensiana Nicolas
de Largillière (1656-1746), Oudry deve la sua notorietà alle raffigurazioni di animali, nature morte e scene di
caccia. Dal 1722 è pittore ufficiale delle “cacce reali” di
Luigi XV. Direttore della manifattura di arazzi di Beau-
14
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2
3
Da sinistra: il mugnaio e suo figlio che portano l’asino “le quattro gambe in mazzo legate all’agnellino” devono supportare
le critiche delle persone che incontrano “Dei tre la più gran bestia non è quella che pare”; scena che accompagna il mugnaio
seduto sull’asino “Guarda se c’è giustizia, - esclaman tutte in coro, - se c’è pietà che zoppichi a piedi quel fanciullo,
e faccia invece l’asino sull’asino il citrullo, superbo, trionfante in groppa all’animale”
vais dal 1734 e ispettore della manifattura di Gobelin
dal 1736, Oudry idea diverse serie di cartoni dedicati a
Le cacce di Luigi XV (1733-1738).
La genesi dell’edizione delle Fables di La Fontaine (dedicata ovviamente a Luigi XV) è complessa se si
considera che Oudry ne aveva già realizzato i disegni
tra il 1729 e il 1734 (dunque ben vent’anni prima della
stampa), tavole poi vendute - nel 1751 - all’amante di
opere d’arte Charles-Philippe de Monthenault d’Égly
(il futuro editore dell’edizione parigina), che a sua volta, per adattare i disegni alla stampa, li fece ridisegnare
da Charles-Nicolas Cochin (1715-1790), membro della famiglia di incisori divenuta famosa per il suo contributo all’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert.3
Nel suo Avertissement, a proposito del ruolo parti-
colare e distinto di Oudry (definendolo il La Fontaine
della pittura), Monthenault osserva appunto che: “Les
Fables de la Fontaine vinrent saitisfaire à cette espece
de besoin […] C’est alors qu’il [i.e. Oudry] étudia ces
Fables, & qu’il sçut si bien s’approprier dans ses desseins les idées du Poëte, que l’on diroit, en quelque façon, que la même Muse s’est servie du crayon de M.
Oudry pour nous les tracer d’une maniere aussi poëtique qu’ingénieuse & naturelle. Aussi peut-on à juste titre l’appeller lui-même, le la Fontaine de la Peinture;
puisque personne n’a mieux sçû faire agir & parler les
animaux qu’il l’a fait dans ses tableaux, & particulièrement dans les desseins que nous annonçons”.4
L’asino appare in verità in numerose favole fontainiane: Les voleurs et l’âne (Livre premier, fable XIII),
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4
5
L’âne chargé d’éponges & l’âne chargé de sel (Livre second,
fable X), Le lion et l’âne chassans (Livre second, fable
XIX), Le meunier, son fils et l’âne (Livre troisième, fable
I), L’âne et le petit chien (Livre quatrième, fable V), L’âne
portant des reliques (Livre cinquième, fable XIV), L’âne
vêtu de la peau du lion (Livre cinquième, fable XXI), Le
vieilliard et l’âne (Livre sixième, fable VIII), L’âne et ses
maitres (Livre sixième, fable XI), Le cheval et l’âne (Livre
sixième, fable XVI), L’âne et le chien (Livre huitième, fable XVII), Les deux chiens e l’âne mort (Livre huitième,
fable XXV), Le lion, le singe & les deux ânes (Livre onzième, fable V).
Da sinistra: l’asino che porta reliquie “Alla croce, al grado,
al titolo, illustrissimi cretini, non a voi sono gli inchini”.
L’Asino vestito della pelle del Leone
“Un Asino, sebben asino tondo, vestito della pelle
del Leone, il terror divenuto era del mondo”
Del resto Oudry non si accontenta di illustrare
ogni favola con una sola tavola, ma spesso la arricchisce
di illustrazioni aggiuntive, come nel caso delle cinque
tavole di Le meunier, son fils et l’âne (figg. 2 e 3), nelle
quali non solo coglie l’esatta intenzione di La Fontaine
(la morale della favola è l’impossibilità di piacere a tutti), ma ne migliora l’arguzia e l’intento moralistico pro-
prio grazie all’invenzione iconica. Raramente, come in
questo caso, la ricchezza dell’apparato illustrativo è
prova che la figura va ben al di là del semplice accompagnare il testo.
“C’est, en France, à la fin du règne de Louis XIV,
qu’apparurent les symptômes d’une illustration qui s’émancipe de l’écriture, lorsque, par exemple, l’image
ose rivaliser avec le texte pour être drôle […] Sous la
Régence se produisit la rupture, à l’occasion de la production exemplaire de ce qui devait devenir le prototype de la bibliophilie moderne, livre de luxe et de plaisir,
òu l’illustration s’étale avec complaisance et raffinement, flattant à la fois le goût du pittoresque et l’imagination”.5
6
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A sinistra: l’asino in una tipica scena rococò nella favola
L’Asino e il Cagnolino
A destra: l’Asino e i suoi Padroni
In questa prospettiva, anche la figura dell’asino
acquista nuove valenze, come peraltro accade a quasi
tutti i protagonisti di La Fontaine rappresentati da
Oudry.
Resta certamente invariato l’uso ambiguo dell’asino (in veste ora positiva ora negativa). Può capitare,
però, che La Fontaine modifichi l’interpretazione della
tradizione. In L’âne portant des reliques (fig. 4), la figura
dell’asinus portans mysteria, che si radica nell’antica
consuetudine di usare l’asino per il trasporto di divinità
misteriche, viene trasformata dalla bestia umile e docile della tradizione in una vanesia e sciocca che è convinta che la gente ammiri lui e non le reliquie.
Ma la peculiarità più importante nelle illustrazioni di Oudry è l’integrazione dell’animale protagonista
della favola in vasti paesaggi caratterizzati da una natura selvatica, tra fiumi, boschi, rocce, pascoli, intercalata
da ambienti umani e personaggi settecenteschi.
“The appeal that La Fontaine made to Oudry was
at least as much in the open-air settings of his Fables as
in the doings of his animal actors. Indeed, it has been
shown that Oudry led a campaign to replace conventional landscape painting with the picturesque rendering
of country scenes based on direct observation […] So it
came about that Oudry’s best designs are often those in
which the presence of animals is subordinated, sometimes, […] present creatures so tiny as to be barely noticeable. In the foreground are farmyards, roads, gardens,
or meadows, in the background towns, rivers, valleys,
and hills, these last often of fantastic configuration”.6
Spiccano l’immensa struttura rocciosa con il mulino e diverse figure distanti d’ambientazione fantastica in L’âne vêtu de la peau du lion (fig. 5), come saltano
all’occhio l’accuratezza dei legumi posti in primo piano in L’âne et ses maitres (fig. 7) e l’interpretazione fedele della scena ancora quasi notturna, dato che la favola è ambientata sul far del giorno. Certo, se non si
conosce il contenuto della favola e il suo intento moralistico, non è facile interpretarla sulla base della sola illustrazione.
7
Il momento pittorico predomina sull’aspetto moralistico. Del resto l’illustrazione ha come fine il presentare la natura ed essere accurata nel dar conto degli
aspetti anatomici e naturalistici degli animali. Basti vedere l’asino che cerca di imitare il salto del cagnolino in
L’âne et le petit chien (fig. 6), ma risulta un asino imbizzarrito, o l’asino che nuota in L’âne chargé d’éponges & l’âne chargé de sel. Oudry definisce i suoi disegni proprio sul
fiorire del genere delle “storie naturali”, e infatti la Histoire naturelle di Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon (1707-1788), vede la sua realizzazione in princeps dal
1749 al 1783. Né si può ignorare la dimestichezza del segno di Oudry nel raffigurare gli animali domestici,
mentre i tratti degli animali esotici (ad esempio il leone e
la scimmia) sono assai meno precisi (fig. 8).
Prevalgono gli ambienti pittoreschi, dove la natura si presenta opulenta in gran ricchezza di linee curve,
serpentine e spirali d’impronta rococò.
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Il Leone, la Scimmia in primo piano
con i due asini sullo sfondo
Secondo il modello anacreontico, la cornice ideale per
qualsiasi cosa piacevole va vista in
una natura del tutto spontanea, anche se poi non è difficile vedere che
si tratta pur sempre di una natura
addomesticata. Oudry anticipa le
messe in scena degli idilli pastorali
di Marie-Antoinette che sembrano
naturali, ma sono completamente
costruiti.
8
NOTE
1
Il Musée Jean de La Fontaine nella casa
natale del poeta a Château-Thierry tra Parigi e
Rheims dispone di un bel sito contenente utili
informazioni su La Fontaine e la sua opera
( h t t p : / / w w w. m u s e e - j e a n - d e - l a fontaine.fr/accueil.php?lang=fr; aperto 0807-2011).
2
Owen Holloway, French Rococo Book Illustration, New York, Transatlantic Arts, 1969.
Sui disegni originali Cohen-Ricci indica:
“Les dessins originaux d’Oudry […] réunis en
deux volumes reliés en maroquin vert. Ils ont
figuré en 1853 à la vente J.-J. De Bure, où ils
furent vendus (n. 344) 1,800 fr. au comte Thibeaudeau, puis à la vente Solar (n. 627: 6,100
fr. à Cléder pour le baron Taylor). Achétés par
M. E. Pereire, ils ont été depuis revendus
30,000 fr. à Louis Rœderer de Rheims […] Les
dessins des figures retouchées par Cochin ont
3
L’aspetto moralistico sparisce
a favore dell’attimo fuggente, diciamo dell’attimo fuggente artificiale e costruito. In Oudry, la polarità tra artificiale e naturale si presenta in maniera evidente e con cariche simbolico-poetiche precise.
Finanche nelle favole, compaiono
le “rovine” di edifici antichi: una
statua, un pezzo di colonna, un
frammento architettonico. Pittoresco e rovine diventano ingredienti inseparabili, che ritorneranno nell’arte romantica dell’Ottocento; e gli asini, fedeli, restano centrali nel paesaggio. (fine seconda parte)
été dispersés. Un certain nombre se trouvent
dans la collection Rodrigues” (col. 548). Nel
1946 i disegni vengono acquistati da Raphaël
Esmérian che li rivende nel 1973.
4
Avertissement au lecteur, p. iii-iv.
5
Michel Melot, L’illustration. Histoire d’un
art, Ginevra, Skira, 1984, p. 117.
6
Ray, The Art of the French Illustrated
Books, New York, The Pierpont Morgan Library, p. 16 e 19.
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
19
BvS: dall’Archivio Malaparte
DARIA GUARNATI E LE SUE
EDIZIONI “ARIA D’ITALIA”
Il rapporto tra Curzio e l’audace imprenditrice: un carteggio
LAURA MARIANI CONTI
E MATTEO NOJA
«F
orse vi ricorderete anre del Petit Palais; lei stessa vi ha cucora di me – donna dai
rato la collezione Dutuit sino dal
capelli rossi – cono1912. Al Petit Palais ha addirittura
sciuta un giorno alla Giustiniana o
abitato con il marito, Giacomo
del libro di mio marito sulle stampe,
Francesco, studioso d’arte e grande
Bianco e nero o di qualche grido di
esperto di stampe e incisioni.
ammirazione lanciatovi attraverso
Nel 1936, alla morte prematulo spazio (guardate che tra i suoi [sic]
ra del marito, Daria si trasferisce a
appassionati ammiratori c’è colui
Milano, prima in via dell’Annunciache ha innalzato la roccaforte della
ta e poi dal maggio ’39 in via DelleaMontecatini, Gio Ponti, col quale
ni, angolo Correggio. Amica di Niparlo spesso di voi)». Così incomincodemi1, Bardi2, Arrigoni3 e Palluccia una delle prime lettere di Daria
chini4, non fatica a inserirsi nei saGuarnati a Curzio Malaparte, tra
lotti buoni della città e in breve temquelle custodite nell’Archivio Mapo diventa una della animatrici delle
laparte della Biblioteca di via Senaserate culturali meneghine.
to. È datata 22 agosto 1939, diciasMalaparte in una foto della fine degli
settesimo dell’era fascista; nelle
’40, scattata per la ristampa di Kaputt
Con il marito aveva costituito
precedenti loda lo scrittore e lo rinuna cospicua collezione di opere
grazia dell’avere benignamente acd’arte: De Nittis, Gemito, Rosso,
colto il libro del marito e di avere
Modigliani, Louis David, Utrillo, De Pisis, De Chirico
intenzione di parlarne su “Prospettive”.
Nel seguito della lettera, con molta deferenza,
e molti altri maestri, anche antichi. Oltre ai quadri, aveDaria Guarnati chiede un articolo per la rivista che, asvano raccolto sculture, disegni e stampe antiche e mosieme all’amico architetto Gio Ponti, ha in animo di
derne, tappeti persiani: il tesoro dei coniugi Guarnati
pubblicare. Si tratta al momento di un numero unico,
viene ora venduto per finanziare la casa editrice “Daria
per il Natale di quell’anno. Le occorrerebbe averlo per
Guarnati Edizioni” che nel giro di una ventina d’anni,
il 5 settembre e lo invita a segnalarle l’argomento. La ricompreso il periodo bellico, sfornerà una cinquantina
vista si chiama “Aria d’Italia”. Sarà poi riconosciuta codi titoli, quasi tutti dedicati alle arti d’ogni epoca, oltre
me una delle più belle riviste italiane di quegli anni.
agli 8 numeri della rivista (compreso quello intitolato
Daria Guarnati è una signora poco più che quaEspressione di Gio Ponti, uscito nel 1954). Oltre naturalrantenne, arrivata da poco a Milano dalla natia Parigi.
mente alle opere di Malaparte che usciranno con la sigla
Suo padre, Henri Lapauze, è stato per anni conservatoAria d’Italia, di cui parleremo dopo.
20
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
A sinistra: Malaparte sul fronte
francese in divisa da capitano degli
Alpini. Sotto, la copertina della prima
edizione di Kaputt.
Nella pagina accanto, i primi libri della
casa editrice Aria d’Italia
La rivista deve essere curata in ogni particolare e si
rivolge a un pubblico simile a quello di “Harper’s”, di
“Verve” o dei “Cahiers d’art”. Le ingenti spese cui va incontro nel pubblicarla, costringono Daria a cercarsi anche un lavoro al di fuori della sua normale attività di editrice. Glielo offre Bompiani, pregandola di occuparsi
della impaginazione e della stampa di “Civiltà”, rivista
bimestrale (dal secondo anno, n. 3, trimestrale) dedicata
all’Esposizione Universale di Roma e diretta da Luigi
Federzoni. Alla rivista – di cui escono 11 fascicoli, tra il
21 aprile del ’40 e il 21 ottobre ’42 – collaborano, tra gli
altri, Corrado Alvaro, Emilio Cecchi, Cipriano Efisio
Oppo, Guido Piovene, Giovanni Gentile e Massimo
Bontempelli5.
Per il primo numero di “Aria d’Italia”, dal titolo
Inverno 1939, Malaparte scrive il racconto Guardiani di
Maremma, che in un primo tempo doveva intitolarsi Gli
stupendi cani della campagna romana. Daria, che da tempo
ammira incondizionatamente “il genio sregolato e sensibilissimo” di Malaparte, gli scrive «Gentilissimo per
quanto illustre Malaparte, avuto ieri mattina prestissimo il vostro espresso, ho letto il vostro articolo andando
a lavorare da Pizzi… e ho pianto in tram! È forse un po’
ridicolo. Ma so che voi mi capirete. Piangevo per la bellezza dello stile e piangevo su quelle bestie che ho sempre tanto amate. Raramente ho letto pagine così commoventi e così nobili, e così interessanti. Si sente che
avete scritto con piacere anche perché l’argomento vi
“andava”. Vi sono molto grata di aver avuto fiducia in
una pubblicazione della quale non sapevate niente e
spero penserete fra qualche settimana che non avete
sciupato le ore che le avete consacrate»6.
Uscito il primo fascicolo della rivista, Daria Guarnati all’inizio del 1940 si rimette subito in moto per preparare il secondo: il titolo è L’Italia attraverso il colore.
Primavera 1940.
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
21
E in febbraio, il 21, scrive a Malaparte: «Se m’ascoltassi vi scriverei spessissimo: ma non m’ascolto per
non disturbare inutilmente il vostro spirito sempre in
atto di creare meraviglie. Quel vostro “mare ferito”7:
immaginare e scrivere una così bella cosa! Abbiatevi la
mia umile gratitudine per le sensazioni piacevoli e dolorose avute nel leggervi. Dunque avrei tante cose “refoulées” da dirvi […] In terzo luogo che vi avrei chiesto, anzi pregato, supplicato di darmi una cosa vostra per il mio
secondo fascicolo (colore delle case d’Italia, colore di
terre italiane, colore di acque italiane, qualunque cosa.
Almeno una poesia smarrita in un cassetto, tra una gemma e l’altra); ma che non posso perché sono in debito
con voi e qualche notte non ci dormo».
lazzo e il colore cangiante dei suoi marmi. Unisco qualche appunto per facilitarvi il compito e vi manderei molte fotografie per il caso non l’aveste presente».
Il “grande maestro nell’arte dello scrivere” (così lo
chiama Daria, ringraziandolo in una lettera del 18 aprile) non si smentisce e dedica al palazzo di Gio Ponti, che
intanto è diventato suo amico, un lungo scritto, illustrato dalle fotografie della stessa Guarnati e di Federico
Pallavicini8, dal titolo Un palazzo d’acqua e di foglie.
«Quasi a rifare Monet, [le foto] riprendono in diversi
momenti della giornata quella “facciata di marmo di un
verde chiarissimo e sensibile, che varia d’intensità secondo le ore del giorno e le stagioni”»9.
E mentre lo scrittore si prepara a raggiungere il
fronte – richiamato alle armi come capitano degli alpini
viene inviato sulle Alpi al confine con la Francia –, Daria
gli scrive ancora, il 14 giugno: «Ho riletto in “Aria d’Italia” pronta, almeno per la terza volta, le poetiche pagine
sullo strano palazzo-giardino. Ponti gliene è molto più
grato di quanto può immaginare. Non parliamo di me!
Preparo un numero sul Mediterraneo». A questo terzo
fascicolo, Estate mediterranea. Estate 1940, Malaparte
non invia nulla.
In marzo si fa più ardita ed esplicita: «Per il prossimo numero di Aria d’Italia il quale uscirà ai primi d’aprile, vorrei un articolo che illustrerò con grandi fotografie
a colori (le prime) del Palazzo della Montecatini di Milano, il più bel palazzo moderno d’Italia e il più bel building d’Europa internamente ed esternamente. Vorrei
data l’importanza del soggetto e la mia amicizia per
Ponti, fare una cosa completamente diversa dal solito
articolo su simili soggetti, e cioè vorrei si facesse in un
modo che chiamerei lirico se non temessi fosse ridicolo,
con spirito e fantasia. Il soggetto, anche se non sembra
apparentemente, si presta con la forma insolita del pa-
Il quarto numero di “Aria d’Italia” si intitola Bellezza della vita italiana. Autunno 1940. Per tempo, in
agosto, la Guarnati chiede allo scrittore un brano sulla
22
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
bellezza della sua vita di soldato. In realtà sarà poi Giancarlo Vigorelli a dedicare all’amico un brano scherzoso,
nel quale gli augura di scrivere un libro che possa “deludere” tutti, intimi inclusi. A illustrarlo, una fotografia
del “capitano” in divisa sul Monte Bianco.
Anche il quinto fascicolo, Bellezza delle arti italiane. Inverno 1940, parla di Malaparte, ancora indirettamente, riportando la fotografia della sua casa a Capri,
sul capo Massullo.
E sicuramente Malaparte è presente anche negli
ultimi due fascicoli della rivista, seppure solo “in spirito”. Il sesto (Arte dei giovani) ricalca, infatti, in qualche
maniera l’impaginazione di “Prospettive” (è abbastanza
palese nell’indice, che per la prima volta non “buca” una
immagine sottostante, ma scorre a epigrafe su due colonne, in caratteri Bodoni) e il settimo, dedicato al cinema italiano (Stile italiano nel cinema), si ispira alla rivista
malapartiana, che aveva dedicato al cinema il suo secondo fascicolo (1937), dove compariva un lungo articolo
dello scrittore pratese, dal titolo Verità sul cinema. In
questo articolo, dopo aver affermato il (passato) primato del cinema italiano e la necessità di riconquistarlo attraverso una politica di confronto diretto con gli aspetti
più avanzati del cinema americano, preso come costante
punto di riferimento, polemizzava con quanti, anche in
Italia, intendevano il cinema come una nuova religione
e il film come una «preghiera collettiva».
puramente commerciali. […] L’americano medio, il
Babbitt10 in tutte le sue varie gradazioni, è assolutamente impermeabile al virus dell’estetismo e dell’intellettualismo. Il suo buon senso e la sua ignoranza rozza e
cordiale, il suo ottimismo di natura e di educazione, corretto da un fondo di sentimentalismo di vaga origine puritana lo salvano da qualunque pericolo di ordine intellettualistico. Il suo ideale cinematografico non è perciò
il film d’arte, il film d’eccezione […], ma il film di serie».
Questa digressione cinematografica, apparentemente inutile, ci permette invece di proseguire nella
storia dell’amicizia tra Daria Guarnati e Curzio Malaparte. Anche perché il cinema sarà un argomento ricorrente nelle loro lettere.
Malaparte si schierava quindi
contro l’avanguardia e l’estetismo, a
favore di un’arte concretamente attenta alla dimensione politica e sociale (dello stesso anno era uno slogan mussoliniano, ricalcato su uno
analogo di Lenin, «La cinematografia è l’arma più forte»). Lo scrittore
celebrava i fasti della produzione
media e del cinema d’evasione fabbricato in serie con i metodi della
più avanzata industria culturale.
Riferendosi al cinema americano, con una sconcertante lucidità
e lungimiranza, scriveva: «Ciò che si
salverà del cinema americano, è il
film di produzione in serie, il film di
livello medio, prodotto con criteri
Dal giugno 1942 a novembre 1945, vi è una brusca
interruzione delle missive. Daria, che ha passato il periodo più brutto della guerra a Venezia, a San Samuele,
scrive per comunicargli che ha letto e riletto (solo però
alcune parti) Kaputt; gli scrive notizie di De Pisis, comune amico. L’aprile successivo, gli scrive da Roma: «Se
non sbaglio sono cinque anni che non ci vediamo e se
non ho – et pour cause – i capelli grigi che lei annuncia alla
nostra Margherita, troverà su di me le tracce di questi
tremendi anni. Non vorrei riviverli per tutto l’oro del
mondo. […] E sto cercando un libro sensazionale ma
non scandaloso da lanciare strepitosamente in Italia e
all’estero. Una specie di Kaputt!?!».
Il 10 marzo del 1947 da Parigi,
Daria si sbilancia: «La sig.ra Manteau mi scrive che ha avuto con piacere la nuova copia di Kaputt. (Perché non le hanno comperato almeno il titolo per un film?) […] Per le
poesie risponderei, come dice lei “in
massima” di sì». Si tratta di un approccio reciproco, un tentativo tra i
due di collaborare editorialmente,
cominciando dalla pubblicazione di
alcune poesie, probabilmente in
forma di libro d’arte, magari con illustrazioni di Federico Pallavicini.
Ma è anche di un primo accenno a
una trasposizione cinematografica
del romanzo di Malaparte, idea fissa
di Daria per qualche tempo: «Caro
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
23
Sopra: alcune lettere di Daria Guarnati a Malaparte. Nella pagina accanto, Malaparte a Chamonix nel 1949
Malaparte, due righe (perché alla fine non abbiamo più
parlato di Kaputt cinema) per dirle che me ne occupo subito. Tengo molto alla mia idea e credo potrebbe venir
fuori una bella cosa. Non ne parli con nessuno!».
Nel gennaio 1948, Daria scrive, ancora da Parigi:
«Ho avuto ier l’altro la sua lettera con l’opzione per il
film e la lettera di Casella e la ringrazio tanto di tutto.
Anche Isa Miranda11 e Guarini12 ringraziano. Guarini la
prega di scrivere, appena le sarà possibile perché gli occorre per combinare tutto quanto presto e bene, quelle
dieci pagine, specie di novella, che contengano il sog-
getto del nostro film, raccontato come lei sa raccontare
(anche solo parlando!) ma si capisce senza preoccuparsi
del modo come è scritto. Che ne venga fuori la figura
della donna e come si svolgono le cose per lei e intorno a
lei. […] Non so se ha visto Zaza13 fatto da Miranda. Era
una cosa meravigliosa. Molto bella anche in Malombra14, ma è un film non molto interessante».
La Guarnati insisterà per avere queste poche pagine che spieghino il soggetto del film tratto da Kaputt.
L’amicizia con la Miranda e, soprattutto, con il
marito, Alfredo Guarini, produttore legato agli americani, la rende ottimista per il buon successo di una pellicola che abbia per soggetto il libro di Malaparte, suc-
24
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
Sopra: Malaparte e Raf Vallone sul set del film Il Cristo proibito. Nella pagina accanto la locandina del film.
cesso che sarebbe stato anche economico, quindi utile
per tutti. Gli introiti del film, che lei stessa avrebbe partecipato a finanziare, avrebbero una volta per tutte risolto i problemi della sua casa editrice e le avrebbero
permesso di stampare tutti quei libri che le sarebbero
piaciuti.
Ma lo scrittore non aveva ancora deciso di cimentarsi con il cinema. È il momento in cui a Parigi, tutti
calcano i palcoscenici: da Sartre a Camus – coloro che
Malaparte visceralmente soffre e sente come usurpatori della scena intellettuale di una città che ormai non gli
appartiene più –, tutti scrivono per il teatro. Anche lui,
tra i tanti e con discussa fortuna, scrive due pièce: Du côté de chez Proust e Das Kapital. Andranno in scena, più
con polemiche che con successo, tra il 1948 e l’anno
successivo. Il cinema, intanto, può attendere.
Mentre gli domanda del soggetto tratto dal suo libro, Daria pensa anche a ristampare Kaputt, emendandolo da tutti quegli errori e imprecisioni che avevano
costellato – forzatamente, dato il drammatico momento in cui era stata pubblicata – l’edizione di Casella.
Per farlo ha costituito una società con Giovanni
Olivotto, suo legatore da anni e proprietario di un importante stabilimento a Vicenza15 (direttore amministrativo della piccola società, «uno di quegli italiani
meravigliosi che battono la gente di qualunque paese
per onestà e amore del lavoro»), il dottor Emanuele Almansi di Milano16, i marchesi Gagliardi di Roma e il
marchese Antonio Roi17.
In data 13 febbraio 1948, il contratto viene inviato
allo scrittore mentre è in vacanza a Chamonix e qui lo
sigla il 26 febbraio; prevede la ristampa di 10.000 copie
di Kaputt e un diritto per l’autore del 15 % sul prezzo di
copertina.
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
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Mentre Daria comunica a Malaparte ogni avanzamento dei lavori
circa la ristampa di Kaputt, in ogni
lettera non manca di scrivere quanto sarebbe vantaggioso trarne un
film, tanto più che attraverso Guarini è arrivata a contattare degli
americani interessati al progetto:
«Se riuscissimo a realizzare il nostro film, non solo i vantaggi che
potrei averne sarebbero, per me,
provvidenziali, ma forse mi aprirebbero una strada verso attività più
proficue, e ne ho veramente necessità.
Mi aiuti, la prego, scrivendo quelle
pagine di volata!»18.
«Caro Malaparte bisogna che
lei entro due giorni mi mandi quelle pagine per il film.
Sono passati cinque mesi, lei sa quanto ci teniamo e che
cosa importante potrebbe essere per noi tutti. […] Immagini la figura che faccio verso la Miranda e Guarini.
Non so più cosa dire. Se scagiono me, comprometto lei.
Ormai non e più possibile ritardare. La prego, si chiuda
in casa qualche sera […], prenda dei bei fogli bianchi, e
dato che mi ripete che ci pensa, e
che ci ripensa, scriva […]. Non possiamo, non dobbiamo più ritardare.
È impossibile. Tanti auguri per il
nostro lavoro, prima quello del
film, poi quello del libro»19.
«D’altra parte Guarini (diventato v.presidente dell’ENIC) è
sempre più potente. Ha firmato ora
due contratti nientemeno che con
Pabst20, è alleato con un potentissimo produttore americano, ha in
mano il colore per l’Italia […] dice
che gli possono bastare cinque pagine!!! […] per l’ultima volta, la
prego di volere scrivere subito
quelle pagine […] “poche chiacchiere e molti fatti”, se no ne sarei irrimediabilmente
addolorata e delusa»21.
NOTE
1
Giorgio Nicodemi (n. 1891) fu un critico
d’arte, direttore del Museo Civico di Milano.
2
Pietro Maria Bardi (1900-1999), critico
d’arte. Istituì il Museu de Arte de Saõ Paulo.
3
Luigi Arrigoni (1896-1964), pittore.
4
Rodolfo Pallucchini (1908-1989), segretario della Biennale di Venezia dal ’48 al ’54.
5
La rivista completa è collezionata in BvS.
6
Lettera del 13 ottobre 1939.
7
Mare ferito, in “Corriere della Sera”, 30
gennaio 1940.
8
Lo svizzero Federico Berzeviczy Pallavicini (1909-1989), pittore, grafico, arredatore, è
grande amico di Daria; in Aria d’Italia si occupa della grafica. Negli Usa, ridisegna “Flair” ed
è art director di Elizabeth Arden e consulente
artistico e arredatore di Helena Rubinstein.
Malaparte quelle pagine non le scriverà mai e per
un po’ di tempo il tono delle lettere di Daria si farà più
freddo e determinato.
(fine prima parte)
Citato in “Aria d’Italia” di Daria Guarnati.
L’arte della rivista intorno al 1940, a cura di Silvia Bignami. Milano, Skira, 2008; p. 96.
10
George F. Babbitt, protagonista dell’omonimo romanzo di S. Lewis che prende satiricamente di mira la middle-class americana.
11
Pseud. di Ines Isabella Sanpietro (19051982), attrice italiana che a fine anni Trenta
ebbe un discreto successo anche negli USA.
12
Alfredo Guarini (1901-1981) attore, regista e produttore, marito di Isa Miranda.
13
Film del ’44 diretto da Renato Castellani.
La Miranda doveva interpretare l’omonimo
film di Cukor, ma fu scelta Claudette Colbert.
14
Film di Mario Soldati del 1942.
15
Legatoria editoriale Giovanni Olivotto
L.E.G.O., in attività ancora oggi.
16
Piemontese, di famiglia ebraica, è uno
9
stimato libraio antiquario; negli anni ’30 ospita Umberto Saba, cui è legato da amicizia e lavoro, a cui presenta Vittorio Sereni. Suo figlio
Federico fu amico del poeta triestino, con cui
intrattenne un fitto scambio epistolare, sino a
diventarne “musa ispiratrice”.
17
Vicentino (1906-1960), nipote di Antonio Fogazzaro. Dal 1928 al ’42 fu presidente
del Vicenza calcio, ricordato come un mecenate dello sport in città. Negli anni ’50 fu anche produttore cinematografico.
18
Biglietto del 13 aprile 1948.
19
Lettera del 25 maggio 1948.
20
Georg Wilhelm Pabst (1885-1967) regista e sceneggiatore austriaco. Tra i suoi film,
L’opera da tre soldi, tratto da Brecht. È considerato uno dei maestri del cinema realista.
21
Ibidem.
26
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
BvS: il libro illustrato
GASTON DE LATENAY,
UN ARTISTA DA SCOPRIRE
Dentro e oltre la sua rilettura per immagini del mito di Nausikaa
MAURO NASTI
n titolo come questo può
destare qualche sorpresa
quando l’illustratore è Gaston de Latenay e se, per di più, l’implicito riferimento è proprio alle sue
illustrazioni per Nausikaa: come dire
a una pietra miliare, e largamente
nota, nell’intera storia del libro figurato Art Nouveau. Dell’edizione
stampata nel 1899 a Parigi, si conserva presso la Biblioteca di via Senato
“l’exemplaire offert à Mme Masson
sur papier vélin des Vosges à la Cuve,
1
fabriqué spécialement” contenente
22 tavole a piena pagina, 22 bordure,
24 vignette, capilettera e culs-de-lampe (fig.11).
Pure, come adesso vedremo, quell’ampia conoscenza si è fermata un po’ troppo presto: l’analisi è rimasta, sostanzialmente, in superficie e, quel che è peggio, la
mancanza di un adeguato approfondimento si è tradotta,
malgrado tutto, in una sottovalutazione.1
U
Per rendersene conto è bene partire da tre punti salienti della valutazione corrente, il primo di carattere
tecnico e gli altri due di carattere estetico: le illustrazioni
di Nausikaa sono autotipie, risentono della lezione dei
grandi silografì giapponesi, si ritrova in esse quel lirismo
che caratterizza la pittura e l’illustrazione dei nabis. Termine questo, come si sa, tratto dall’ebraico (traslitterato
alla brava) nabi, cioè “profeta”. E forse non sarà del tutto
inutile aggiungere che intorno al 1890, alludendo anche
a una loro specifica e condivisa esigenza di rinnovamen-
to della pittura, così si chiamarono
alcuni giovani artisti. Fra i quali, pur
tacendo dei minori, gioverà ricordare almeno lo svizzero Vallotton e i
francesi Bonnard, Denis, Desvallières, Roussel, Sérusier, Vuillard.
Anche se è bene precisare che, a
proposito di ‘lirismo nabi’, nessuno
pensa, almeno d’acchito, a Vallotton:
il nabi étranger rappresenta, come
quasi sempre accade, un caso a parte.
Ora, quanto al primo punto,
quello di carattere tecnico, è bene dire subito che, almeno in questa sede e
per evidenti motivi di spazio, una disamina adeguatamente dettagliata è fuori questione. Basti dire, a titolo riassuntivo, che, quanto alla tecnica di riproduzione delle illustrazioni tratte dagli originali di Latenay, si tratta di fotoincisione al tratto, e dunque con matrice rilevata, per la linea e invece, per il colore, di genuina, non fotomeccanica cromolitografia, dunque planografia, molto probabilmente su zinco (ma estesamente rifinita, o addirittura sostituita, dalla coloritura a mano).
Parlare dunque solo di autotipie per le composizioni di Nausikaa è non solo riduttivo, ma conduce a un’indebita e duplice sottovalutazione di tutto il libro sul piano tecnico e, di riflesso, su quello estetico. Ma, come ora
vedremo, non è questo il solo modo in cui l’opera di Gaston de Latenay, e la sua traduzione nella forma libro,
hanno sofferto di una valutazione fuori bersaglio.
Per la verità, se si guarda più da vicino al secondo
caposaldo di tale valutazione, il japonisme delle composizioni come si è detto, non si può negare l’influenza su
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
27
5
2
Nausikaa di certe stampe giapponesi. Si tratta però, più
che altro, di spunti tanto, in quegli anni, ampiamente diffusi quanto in Latenay sostanzialmente epidermici, generica concessione al gusto allora dominante.
Quel che importa davvero a Latenay sta altrove ma,
per rendersene conto, è necessario prima passare al terzo
punto, cioè se non refutare del tutto, almeno opportunamente ridimensionare quel che di solito si dice circa la
presenza, in Latenay, del cosiddetto lirismo nabi.
Come è stato giustamente e frequentemente ripetuto (in anni maggiormente vicini a noi, e direi con particolare efficacia, da Sasha Newman)2 uno degli aspetti più
caratteristici di tale lirismo, e della visione complessiva
dei nabis, è il loro rifiuto della fede, più o meno impressionistica, nelle apparenze. Per converso, vi è più lirismo nabi nella linea, poniamo, di una calla di Pitcairn-Knowles
4
che in tutta la profusione florale, arbustiva e arborea delle
composizioni di Latenay. E basti, per ulteriore contrasto
illuminante con quella linea, dare uno sguardo anche all’algida, quasi accademica eleganza della coquille de SaintJacques porta-titolo nella copertina di Nausikaa (fig. 1).
Quanto al trattamento del colore, il discorso sostanzialmente non cambia. In realtà, basta guardare a
certe tonalità cromatiche di Latenay con un minimo di
attenzione per ritrovare tutt’altro: se mai, la sobrietà della gamma, o la sovrana delicatezza di certi azzurri e di
certi malva, che ben conosciamo. Infatti sono già nella
grande pittura decorativa, e in quegli oli che paiono e voglion parere affreschi, di Puvis de Chavannes. Al quale
del resto lo stesso Latenay, buon giudice di se stesso,
amava rifarsi, giusta la testimonianza di uno dei suoi primi critici, Jean Vignaud.
Per converso, è anche a partire da Puvis che in qualche modo si inaugurano e si rinnovano modalità croma-
28
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
3
6
tiche dagli esiti così diffusi, indiretti, ramificati e persistenti da renderli ancor oggi chiaramente riconoscibili
in cose fra loro tanto distanti quanto possono esserlo
un’illustrazione di Latenay e una bande dessinée di Moebius, che pure soprattutto da quei modi del colore sono
unite come da un filo sottile. Non solo: in Latenay, anche
al trattamento di temi classici, come appunto in Nausikaa, più che un classicismo problematico, di ricerca e di
sintesi qual era quello dei nabis, fa da sfondo il ben più
confortante classicismo che proprio un Puvis poteva
condividere.
Malgrado tutto questo, è doveroso aggiungere che,
pur opportunamente circoscritte, non mancano tangenze significative, e non casuali condivisioni, fra Latenay e
un certo gusto nabi. Così, l’autentica libertà espressiva
(sempre tanto aristocraticamente lontana dalla licenza
plateale), che fa per molti versi Latenay non indegno
erede di certi petits maîtres del ‘700 francese - sì che in
Nausikaa par di vedere illustrato Teocrito piuttosto che
Omero - la si ritrova (mutato quel che c’è da mutare) nella sfumata armonia, nella raffinatezza, nell’autentica tendresse degli interni di un Bonnard o di un Vuillard e nella
visione, unificata e complessiva, genuinamente neo-rococo, sia dei loro piccoli quadri di interni che dei grandi
insiemi decorativi; anche ad esorcizzare, beninteso, le
tensioni sociali di allora.
Il che, giova ammetterlo, trova definiti riscontri in
Latenay. Che poi, di suo, potrà aggiungere persino qualche piccola trovata dall’apparente ingenuità quasi infantile, qual è il cartiglietto di sinistra a p. 5 (fig. 2) con una
sorta di siglato riferimento alla città natale, Toulouse, come ‘città del cuore’ (al quale allude nel cartiglio un quissimile del seme di cuori). Che è modo tanto volutamente
naif da poterlo addirittura ritrovare, e proprio lo stesso
anno, nel capolettera d’esordio di un libro per ragazzi
(Due Anni in Velocipede) di tutt’altra caratura, scritto ed illustrato dal nostro Yambo, pseudonimo di Enrico Novelli (dove invece il seme è di picche perché l’allusione è al rispondere picche).3 E, per illuminante soprammercato,
cfr. qui, entro il cartiglietto situato a destra nella fig. 11, la
forse non casuale ambiguità fra la figurazione di un artefatto (com’è appunto quel seme, duplicato e opportunamente indicatomi da Annette Popel) e la parimenti duplicata figurazione di un oggetto naturale dato che, in mancanza della piccola base orizzontale di un seme di picche,
potrebbe anche trattarsi della figurazione di una foglia.
Come che sia, nulla però si trova in Latenay di quel
che di fluido, personale, intuitivo era invece, in Bonnard
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
29
7
e in Vuillard, la spia del loro intimismo anti-impressionista. Ora, proprio partendo dalla evidente divaricazione
fra tutto questo da un lato, e il nucleo essenziale della visualità del Latenay illustratore di Nausikaa dall’altro, è
possibile una autentica comprensione di tale nucleo,
senza rischiare di rimanere in superficie limitandosi, poniamo, a dire che Nausikaa è non più che un esito magistrale del talento paesaggistico di chi l’ha illustrata.
Tanto per cominciare, gli elementi del paesaggio (e
più in generale gli oggetti naturali) sono, in modo discreto ma sistematico, traslati, per non dire stravolti, e al di là
di qualsiasi proposito psicologistico o decorativo che sia.
Basti ricordare, ad esempio, la botanica lievemente
eterodossa delle illustrazioni di Latenay, certi tronchi
che dovrebbero tutt’al più, per fedeltà al testo, essere
quelli di un giovane pioppeto ma che invece parrebbero
mimare delle improponibili e un po’ troppo gracili betulle (fig. 3), o quei fiori tanto simili ad ortensie, ma dalle
foglie non ovate, bensì implausibilmente lanceolate (fig.
4). Anche se, del flagrante anacronismo di quei fiori rispetto al testo, non c’è poi da stupirsi troppo dato che - ci
sarebbe da giurarlo - l’illustratore è riuscito perfino a
procurarsi una foto di Nausicaa, come mostra l’accattivante ritratto frontale a p. 17 (fig. 5). Cose tutte, queste,
che non sembrano volute, o volute soltanto, per esibire,
coniugandoli, talento decorativo e abilità paesaggistica.
Per di più il divenire temporale, in Latenay, appare
legato a una semplice, unitaria, oggettiva rappresentazione della realtà naturale, senza alcun legame, una volta
ancora, con una qualsiasi preponderanza della soggettività trasformatrice della memoria (in tutte le sue risonanze bergsoniane, come si è visto almeno nei nabis).
Il punto è che Latenay (non è difficile avvedersene)
nel testo da illustrare, il sesto canto dell’Odissea, ha voluto dar risalto a una circostanza che in Omero è del tutto
accessoria: il fatto che l’episodio dura solo un giorno e
così, in ogni tavola di Nausikaa, la tonalità del paesaggio
esprime un’ora differente, dal mattino al farsi della sera.
E, a questo punto, comincia a diventare man mano più
chiaro il movente nascosto, autentico e profondo dell’illustratore. Perché la sua scelta è innanzitutto un dar risalto al circoscritto, l’arco di un sol giorno, e (pur tanto
prima della poetica déco dell’instant charmant) all’effimero, il ciclico mutar della luce in quel particolare giorno. E
va pur detto che, per soprammercato, Latenay si guarda
bene dall’illustrare quelli che, invece, sono i momenti essenziali della vicenda nel testo omerico: nessuna traccia,
nelle composizioni di Nausikaa e tanto per esemplifica-
30
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
11
re, della sontuosa dimora di Alcinoo né, addirittura, della splendida immortale preghiera, nella sua pura e archetipica verginalità, di Nausicaa ad Odisseo.
Anzi (sia pure a titolo di nota incidentale) le presenze femminili - e il personaggio principale fa tutt’altro che eccezione - potrebbero, agli occhi di un osservatore di oggi, sembrare addirittura la versione Art
Nouveau (certo infinitamente più fine e sfumata, e meno plateale) di certe fanciulle, tutt’altro che verginali,
di un Milo Manara: si veda, fra le altre, la figurina (fig.
6) in pagina di titolo e, assai più, una delle illustrazioni
scartate, che dovrebbe però esser presente nelle copie
della suite in prima tiratura di testa e figura anche nel
quarto volume, tomo settimo di una rivista, Art et Décoration, pubblicato l’anno successivo.4 Il vero scopo di
Latenay appare dunque sempre più una sorta di risposta, anzi un rifiuto avanti lettera di quel che Paul Valéry
scriverà tanti anni più tardi, dando voce del resto a una
tradizione consolidata ed illustre, nelle sue splendide
pagine dedicate a Le physique du livre: che cioè “l’illu-
9
stration d’un texte se déduit de ce texte”.5
Oggi, a oltre mezzo secolo di distanza da quelle pagine e a più di un secolo di distanza da Latenay, sappiamo
naturalmente non solo che il suo rifiuto è legittimo, ma
anche che è il tratto distintivo dell’illustrazione moderna, per eccellenza e costituzionalmente antimimetica
nei confronti del testo scritto. Ma Latenay non si limita a
questo. Non più di due anni dopo la pubblicazione di
Nausikaa, un critico attento come Graul aveva inserito
l’opera di Latenay nel contesto di quella che allora veniva
indicata, da più parti, come “la crisi delle arti applicate”.
E i bibliofili più tradizionali non avevano mancato di criticare, in Nausikaa, l’indebito e ubiquitario debordare,
anche prima del celebre eterodosso Frontispice a doppia
pagina (fig. 7), delle composizioni e delle tavole rispetto
all’impaginato del testo a stampa. Interpretando però
quella prevaricazione, ancora una volta, come intemperanza: eccesso e mancanza di controllo del pittore che
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
31
prende la mano all’illustratore. Anche se poi nessuno dei
critici tradizionali aveva segnalato che, se mai, l’autentico stridore poteva derivare dall’uso di un carattere tipo
Louis XV, certo non privo di affettazioni e disequilibri
(capitali accentate e provviste di grazie, ma con l’indistinzione epigrafica della U dalla V), per una traduzione di
così classica e lineare aderenza al testo omerico come
quella di Leconte de Lisle.
Il punto essenziale è un altro, e sta proprio nel rendersi conto che il prevaricare dell’immagine nei confronti del testo è, in Latenay, tutt’altro che dovuto a istintività
e mancanza di controllo. E’, al contrario, un’operazione
lucidamente sistematica, condotta con la perfetta consapevolezza di chi persegue il capovolgimento non solo del
rapporto tradizionale di subordinazione del significato
delle illustrazioni (detto altrimenti: del testo iconico) a
quello del testo scritto, ma vuole estendere addirittura tale
capovolgimento dai simbolizzati ai simboli, dai significati ai
loro rispettivi significanti, battendo così in breccia, e per
di più con grazia un po’ sorniona, tutte le avanguardie e i
livres de peintre anche di molti decenni dopo.
ligramma, il rapporto fra le lettere alfabetiche e le figure
che da esse nascono e sono costituite, è proprio lo stesso
che si ha fra sostanza e (non necessariamente ingannevole) apparenza, fra “qualità primarie” quali sono gli atomi
e “qualità secondarie”, i suoni o i colori che da quegli atomi, in definitiva, sono prodotti. Come si possono avere
gli atomi senza i colori (anzi, un singolo atomo è, ovviamente, incolore), ma non i colori senza gli atomi così,
poniamo, nel celeberrimo (fig. 8) “La cravate et la montre” di Apollinaire le singole lettere alfabetiche sono
concepibili di per sé, anche non disposte calligrammaticamente, cioè anche senza che esse ‘disegnino’ una cravatta e un orologio (o qualsiasi altra cosa) mentre con la
cravatta e l’orologio comunque raffigurati, ma senza i loro costituenti alfabetici, i loro ‘atomi’ sostanziali e fondanti, l’intero calligramma scompare. Proprio perché,
mentre è possibile avere lettere alfabetiche senza figurazione calligrammatica, non è possibile avere questa senza quelle. Ecco il motivo per il quale, forse ad onta delle
apparenze, nel calligramma i caratteri tipografici sono in
realtà più importanti delle figurazioni che dalla disposizione di quei caratteri sono prodotte.
Per comprendere meglio di che si tratti, e la portata
rivoluzionaria di questo punto capitale, è bene, prima di
tutto, rifarsi ad un procedimento ben noto e che, da Rabano Mauro al Satyrus etymologicus ad Apollinaire, ha una
lunga e venerabile storia, e molte varianti: dai cosiddetti
versi intessuti, al carme figurato, al calligramma più propriamente detto. Ora, questo modo fondamentale della
‘parola dipinta’ ha una, altrettanto
fondamentale e fondante, caratteristica comune a tutte le sue forme: per
dirla con uno dei massimi studiosi di
queste cose, Giovanni Pozzi,7 si tratta
del rapporto di maggioranza da parte
della lingua e di minoranza da parte
del disegno. Infatti ad esempio (forse
il più noto, grazie ad Apollinaire, al
lettore d’oggi) in un singolo calligramma il sistema di comunicazione
figurale e quello linguistico sono variamente compresenti e interagenti,
ma è sempre il secondo che domina
prevalendo sul primo.
Pozzi non spiega perché, ma la
ragione è semplice. In effetti, nel cal-
Bene, guardate ora i capilettera di Nausikaa. Nella
maggior parte dei casi le lettere hanno forme che in qualche modo alludono, talvolta mimandolo, all’organico figurale o addirittura figurativo. Così, il capolettera iniziale,
la A di p. 8 (fig. 9), è una sorta di tralcio vegetale che nasce
da un piccolo tronco e si ramifica: uno dei rami, in modo
del tutto innaturale, si attorciglia intorno all’altro, che a sua volta è sostenuto da un bastoncello. Ma il culmine è raggiunto dal capolettera di p. 22
(fig. 10). Qui, gli elementi costitutivi
della lettera M, che dovrebbero essere naturalmente le sue quattro aste di
varia lunghezza e inclinazione, sono
invece quattro piume di cigno, perché cigni sono i volatili raffigurati
nella grande illustrazione a doppia
pagina che relega il testo a stampa entro un circoscritto riquadro.
Ormai, la rivoluzione aggraziata di Latenay è stata, a questo punto, portata a termine. I due nastri
8
che, in modo apparentemente quasi
32
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
esso, senza le piume di cigno, anche quella lettera M, cioè
l’elemento linguistico, anzi alfabetico, svanirebbe nel
nulla. E, per chi non avesse ancora capito che l’inverso
non può più accadere perché - a finale ed assoluto trionfo
del figurativo sul linguistico, caratteri tipografici inclusi qui ormai anche il calligramma sarebbe annientato, Latenay, subito a destra e al di sotto del riquadro a stampa, raffigura delle singole piume, quasi a mettere in evidenza che
ciascuna di esse potrebbe benissimo, di per sé, esimersi
dalla fatica di costituire una lettera alfabetica.
10
lezioso ma in realtà quasi beffardo, annodano le piume di
più marcatamente diversa lunghezza e dimensione intersecantisi l’una con l’altra, non fanno che suggellare il verificarsi di un rovesciamento inaudito che, anche e soprattutto, è autentica nemesi, pur dopo vita millenaria, del
rapporto di dominanza costitutivo del calligramma. Ad
opera, non occorre dirlo, di chi davvero quei nastri ha annodato, inventando, disegnando e colorando quella M.
Nel capolettera di Latenay l’elemento figurale, anzi figurativo, diventa infatti, e con modalità che forse non hanno
precedenti, qualità primaria, atomo e sostanza: senza di
NOTE
1
Devo all’acume, alla sottigliezza critica,
all’amor di libro e alle capacità persuasorie di
Francesca Baccarini il fatto che le nostre discussioni, spesso vivaci e lungamente protratte, sulle illustrazioni di Nausikaa abbiano trovato forma ed assetto migliori, più stabili, e
meglio giustificabili, in questo articolo. L’obbligo e il piacere di ringraziarla qui è, di tutto
ciò, un esito naturale.
2
Almeno a partire da S. Newman & al., Félix Vallotton. New York: Abbeville Press, 1991
(ma cfr. anche C. Frèches-Thory, U. Perucchi-
Così dunque, in modo più o meno lepido e paradossale, si potrebbe addirittura dire che un’avanguardia, pur
se di millenaria tradizione, è divenuta retroguardia ancor
prima di nascere: questa la rivoluzione sorridente e radicale di Latenay. Se infatti, sotto mentite spoglie Art Nouveau, un Marcel Duchamp avesse voluto prendersi gioco
dei Calligrammes, non avrebbe proceduto forse troppo
diversamente da come (ma in anticipo di un ventennio
sulla pubblicazione del libro di Apollinaire) ha potuto e
saputo procedere Latenay. Il quale poi (ma in realtà prima
di ogni altra cosa) sembra, in tutto questo, non aver mai
dimenticato un prezioso e illuminante precetto (sempre,
se mi sorregge la memoria, di Giovanni Pozzi) secondo il
quale vero artista non è tanto colui che, in modo più o meno evidente, viola per partito preso la regola, quanto colui
che varia, ma genialmente, la consuetudine, così come il
buon giocatore non è il baro, bensì l’inventore di soluzioni inconsuete nella condotta del gioco. Un illustratore
sottovalutato, dunque, Gaston de Latenay. Anzi, e ciò che
più conta, un illustratore da riscoprire.
Petry (a c. di), Die Nabis: Propheten der Moderne. Zurigo: Kunsthaus, 1993).
3
Vedilo ad es. in [E. Novelli,] Due Anni in
Velocipede. Avventure straordinarie di due Ciclisti intorno al Mondo. Genova: Donath,
1899, p. 7, libro anch’esso a suo modo straordinario, e con fermenti e spunti calibrati fra
pre-futurismo ed iperrealismo (ben prima di
Jarry, Novelli ha introdotto, ad es., il classico
topos della gara di velocità fra velocipede e locomotiva).
4
Vedila a p. 119 con la didascalia Fantaisie
o anche, forse più facilmente ma con una ri-
produzione di qualità più bassa, utilizzando il
link http:gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k5401
1404/f141.
5
Cfr. ad es. P. Valéry, Le physique du livre.
Parigi: Auguste Blaizot, 1945 (rara plaquette contenente solo questo testo, presente
del resto anche in una coeva e più nota opera collettanea su Paul Bonet, con contributi
di Paul Valery, Paul Eluard, Renée MoutardUldry, Georges Blaizot e Louis-Marie Michon).
6
Ad es. in G. Pozzi, La parola dipinta. Milano: Adelphi, 1981.
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
33
inSEDICESIMO
I L T E AT R O D I V E R D U R A – C ATA L O G H I – S P I G O L AT U R E
L’ I N T E RV I S TA D ’ A U T O R E – R E C E N S I O N I – M O S T R E – A S T E
SPETTACOLI, LETTURE, READING POETICI, CONCERTI E
CONFERENZE PER UNA FRESCA ESTATE MILANESE
Tra le novità della XIV stagione, la collaborazione con la Milanesiana
TEATRO DI VERDURA
Stagione 2011
a XIV Stagione del Teatro di
Verdura è caratterizzata da cicli
di incontri tematici, che hanno
come comune denominatore il libro e
il sapere in tutte le sue molteplici
forme.
Antonio Zanoletti dà voce alla
Trilogia del lontano, con il commento
musicale dal vivo di Salvino Strano:
tre serate in cui la poetica di Lucrezio,
dei poeti arabi di Sicilia e di Kavafis
hanno scandagliato l’infinità del cosmo,
la nostalgia del lontano e le decifrazioni
dell’inespresso, del negato e della
solitudine dell’esistere.
Franco Loi anima, invece, quattro
mercoledì d’agosto con il ciclo Dante
e la poesia.
La Divina Commedia, uno
dei pilastri della letteratura italiana di
tutti i tempi, si scopre anche fonte di
ispirazione manageriale nella divertente
serata divulgativa di Enrico Cerni.
Torna, poi, quale fonte di ispirazione
scientifica in Big Bang, ultimo lavoro
teatrale di Lucilla Giagnoni che
si propone di rispondere alle domande
fondanti dell’universo e delle regole
che lo governano, attraverso le risposte
che ne danno la religione, la scienza
L
Biblioteca
di via Senato
F O N DA Z I O N E
Teatro
XIV Stagione
diVerdura
Libri in scena
giugno – settembre 2011
Fondazione Biblioteca di via Senato – via Senato, 14 – 20121 Milano – tel. 02 762151 – [email protected] – www.bibliotecadiviasenato.it
INFORMAZIONI GENERALI
TEATRO DI VERDURA
Fondazione Biblioteca
di via Senato
via Senato, 14 – 20121 Milano
www.bibliotecadiviasenato.it
e la letteratura, meno distanti tra loro
di quanto ci si aspetterebbe.
Come ormai consuetudine,
alcune serate sono dedicate
all’approfondimento delle tematiche
trattate nella mostra in corso presso
lo spazio espositivo della Fondazione:
Memorie di Milano. Monsignor Bruno
Maria Bosatra, direttore dell’Archivio
Diocesano di Milano, ha tenuto una
conferenza che ha permesso al pubblico
di conoscere meglio San Carlo Borromeo,
modello di vescovo e padre dei poveri.
Philippe Daverio, poi, animerà due
incontri di cultura, costume e società
sulla Milano del Cinquecento.
Un’altra importante conferenza,
questa volta di stampo artistico, è stata
curata dalla professoressa Alberta
Gnugnoli, giornalista e critica d’arte
per Art e Dossier, che ha presentato
gli Impressionisti attraverso le collezioni
dei coniugi Clark e del Musée d’Orsay,
in mostra rispettivamente a Palazzo Reale
di Milano e al Mart di Rovereto.
Nell’anniversario dei 150 dell’Unità
d’Italia non potevano mancare
appuntamenti legati a questo importante
anniversario: Marco Zannoni ha dato la
sua particolare rilettura di una delle
figure più rappresentative e fondanti
della formazione della nostra Nazione:
Garibaldi; mentre Davide Rondoni ha
proiettato in avanti la storia della poesia
verso i prossimi centocinquant’anni,
attraverso le voci dei nuovi poeti che
si affacciano sulla scena culturale
nazionale. Un’altra serata è stata, invece,
dedicata al Senso religioso della poesia,
tentando di far comprendere come in
34
un’epoca dove spesso si blatera
di religione come fonte di divisione
e di faziosità, la poesia di ogni tempo
e di ogni cultura abbia invece dato voce
al senso religioso degli uomini.
La nuova e proficua
collaborazione con la Milanesiana, ideata
e diretta da Elisabetta Sgarbi, ha visto al
Teatro di Verdura cinque serate del ciclo
Filosofia – L’urlo e il silenzio, coordinate da
Armando Torno, con il contributo di
Antonio Ballista al pianoforte. Importanti
nomi del teatro, del giornalismo e della
filosofia hanno letto Teresa D’Avila, Karl
Marx, Giovanni della Croce, Nietzsche,
Agostino.
La sola serata musicale della XIV
Stagione del Teatro di Verdura è stata la
V-Piano Grand World Premiere, unica
tappa italiana di presentazione del nuovo
pianoforte di casa Roland, con
un concerto del M° Michele Fedrigotti.
Immancabile, naturalmente,
la presenza dei libri in scena: Enrico
Beruschi rileggerà con la sua proverbiale
verve comica il Corrierino delle famiglie
di Giovannino Guareschi; dal romanzo
di Giuseppe Pontiggia Nati due volte
è, invece, tratto lo spettacolo teatrale
di Giorgio Sciumè che approfondisce
l’importante e poco trattato tema
dell’handicap. Corrado d’Elia, infine, come
ogni anno presenterà uno studio che
diventerà la nuova produzione della
Compagnia Teatri Possibili per la Stagione
2011-2012. Questa volta a essere portato
sulla scena è Mercurio, la favola nera di
Amélie Nothomb in cui è il pubblico
a partecipare direttamente alla “scrittura”
del finale della storia.
Non meno importanti,
gli appuntamenti per ragazzi e famiglie:
il coloratissimo film animato di Luzzati
sul Flauto magico secondo Papageno,
divertente rilettura dell’opera di W. A.
Mozart. Parlo italiano, una “pedalata” tra
1000 anni di letteratura italiana, per
riscoprire il gusto di rileggere da Dante
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
• Giovedì 23 giugno
DANTE PER I MANAGER
la Divina Commedia in azienda
lettura scenica di e con Enrico Cerni
• Mercoledì 29 giugno
IL SENSO RELIGIOSO DELLA POESIA
con Davide Rondoni
• Giovedì 30 giugno
GARIBALDI
di e con Marco Zannoni
alla letteratura dei giorni nostri. Infine
due appuntamenti, di cui una matinée
interamente dedicata alle scuole, in
compagnia di Gianni Biassaca e del suo
Sul fondo, tratto da Se questo è un uomo
di Primo Levi. Per rispondere alla
domanda simbolica «quanto pesa un
chicco di riso?». Per non dimenticare
l’importanza di ogni vita umana, in ogni
luogo, in ogni tempo.
TEATRO DI VERDURA
XIV STAGIONE: UN’ALTRA
ESTATE IN COMPAGNIA
DELLA CULTURA A MILANO
ELENCO SERATE
• Martedì 14 giugno
GLI IMPRESSIONISTI E LA
TRASGRESSIONE DELLO SGURADO
conferenza a cura di Alberta Gnugnoli
• Giovedì 16 giugno
BIG BANG
di e con Lucilla Giagnoni
• Mercoledì 22 giugno
IL FLAUTO MAGICO
SECONDO PAPAGENO
di Gianini e Luzzati
dall’opera di W. A. Mozart
in collaborazione con Museo Luzzati,
Genova
(6 – 99 anni)
• Martedì 5 luglio – LA MILANESIANA
FILOSOFIA DELLE BUGIE
ore 18.00
SENZA PRENOTAZIONE
• Giovedì 7 luglio
V- PIANO GRAND WORLD PREMIERE
con il M° Michele Fedrigotti
• Venerdì 8 luglio – in collaborazione
con LA MILANESIANA
FILOSOFIA – L’URLO E IL SILENZIO 1
Anna Bonaiuto legge Agostino
SENZA PRENOTAZIONE
• Sabato 9 luglio – in collaborazione con
LA MILANESIANA
FILOSOFIA – L’URLO E IL SILENZIO 2
Andre Renzi legge Nietzsche
SENZA PRENOTAZIONE
• Domenica 10 luglio – in collaborazione
con LA MILANESIANA
FILOSOFIA – L’URLO E IL SILENZIO 3
Andre Renzi legge Giovanni della Croce
SENZA PRENOTAZIONE
• Lunedì 11 luglio – in collaborazione
con LA MILANESIANA
FILOSOFIA – L’URLO E IL SILENZIO 4
Enrico Ianniello legge Karl Marx
SENZA PRENOTAZIONE
• Martedì 12 luglio – in collaborazione
con LA MILANESIANA
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
FILOSOFIA – L’URLO E IL SILENZIO 5
Galatea Ranzi e Sabrina Colle
leggono Teresa D’Avila
SENZA PRENOTAZIONE
Dante e la poesia
DELLA LINGUA DEI DIALETTI
con Franco Loi
SENZA PRENOTAZIONE
• Martedì 19 luglio
Trilogia del lontano
LUCREZIO “ho vegliato sereno le notti”
di e con Antonio Zanoletti
• Mercoledì 24 agosto
Dante e la poesia
DELLA FEDE
con Franco Loi
SENZA PRENOTAZIONE
• Mercoledì 20 luglio Trilogia del lontano
IBN HAMDIS E ALTRI POETI
ARABI DI SICILIA
“la nostalgia del lontano”
di e con Antonio Zanoletti
• Giovedì 21 luglio
SAN CARLO, MODELLO DI VESCOVO
E PADRE DEI POVERI
conferenza a cura di Monsignor Bruno
Maria Bosatra
• Martedì 26 luglio
2011 – LA POESIA FUTURA
Un’occhiata ai prossimi
centocinquant’anni di poesia…
con Davide Rondoni
• Giovedì 28 luglio
Trilogia del lontano
KAVAFIS “il sentimento del luogo”
di e con Antonio Zanoletti
• Mercoledì 3 agosto
Dante e la poesia
LO SPECCHIO
DELLE DIVINA COMMEDIA
con Franco Loi
SENZA PRENOTAZIONE
• Mercoledì 10 agosto
Dante e la poesia
COS’È LA POESIA
E COME È UTILE ALL’UOMO
con Franco Loi
SENZA PRENOTAZIONE
• Mercoledì 17 agosto
• Mercoledì 31 agosto
CORRIERINO DI GIOVANNINO
ED ENRICO
dal Corrierino delle Famiglie
di Giovannino Guareschi
con Enrico Beruschi
SENZA PRENOTAZIONE
• Giovedì 1 settembre
MILANO, FUCINA DEL MADE
IN ITALY DAL CINQUECENTO
con Philippe Daverio
• Martedì 6 settembre
NATI DUE VOLTE
Spettacolo teatrale dal romanzo di
Giuseppe Pontiggia
Ingresso libero con prenotazione
obbligatoria solo telefonica
a partire dal giorno
precedente lo spettacolo.
Le Serate del ciclo
“Filosofia – L’Urlo e il Silenzio”
e quelle del mese di Agosto
sono SENZA PRENOTAZIONE
(fino a esaurimento posti)
Modalità di prenotazione
Prenotazione telefonica ai numeri
02.76020794
02.76318893
Numero posti prenotabili a
nominativo: max 2
35
regia Giorgio Sciumè
• Mercoledì 7 settembre
MARCURIO
di Amélie Nothomb
regia Corrado d’Elia
• Giovedì 8 settembre
DALLA PARRUCCA ALLA
GHIGLIOTTINA
con Philippe Daverio
• Martedì 13 settembre
PARLO ITALIANO
1000 anni di storia letteraria italiana
in 90 minuti
Produzione Torino Spettacoli
in coproduzione con Fama Fantasma
(13 – 99 anni)
• Mercoledì 14 settembre
Giovedì 15 settembre – ore 10.00 –
MATINÉE RISERVATA ALLE SCUOLE
SUL FONDO
da SE QUESTO È UN UOMO
di Primo Levi
con Gianni Bissaca
(11 – 99 anni)
ORARI SEGRETERIA
dal lunedì al venerdì ore 9.00 - 13.00
solo nei giorni di spettacolo
ore 9.00 – 13.00 e 14.00 – 18.00
Attenzione
Per usufruire della prenotazione
è indispensabile presentarsi presso
il teatro entro e non oltre le ore 21.00,
in caso contrario i posti verranno
riassegnati ad altri spettatori.
Le disdette di prenotazione vanno
comunicate entro le ore 18.00
Per accedere alle rappresentazioni
è richiesto un abbigliamento decoroso
In caso di pioggia gli spettacoli sono
sospesi
36
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
IL CATALOGO
DEGLI ANTICHI
terra e delle sue colonie d’India e nell’America Settentrionale, in cui prevede la
rivoluzione delle colonie stesse.
Libri da leggere
per comprare libri
Bernard Quaritch LTD.
40, South Audley Street
London W1K 2PR
www.quaritch.com
di annette popel pozzo
ITALIA E REGNO UNITO, TRE
SECOLI DI AFFINITÀ ELETTIVE
Bernard Quaritch LTD.
Britalia – A short list of books
celebrating the mutual love affair
between Italy and its northerly cousin
Una divertente collezione che unisce 37 titoli d’argomento italo-britannico.
In offerta la rara contraffazione
della Relatione delle qualità di J. Di Crettone fatta da A. Manutio, Venezia, Aldo
Manuzio, 1581, ma in realtà stampata a
Milano da Tosi nel 1830 circa. L’inglese
James Crichton, noto anche come Giacomo Critonio (1560-1582), nel 1580 si trova a Venezia, “dove un’accurata campagna promozionale condotta da Aldo Manuzio […] gli procurò presto il pieno riconoscimento […] della sua qualità di ‘mostro’ intellettuale: […] padrone di dieci
lingue, esperto in filosofia, teologia, matematica e astrologia, il C. stupiva un secolo particolarmente sensibile a queste
prestazioni con prodigi nell’arte mnemonica, disquisizioni cabalistiche e una bril-
lante versificazione estemporanea la
competenza in ‘cose di Stato’, un passato di
soldato, l’essere buon ballerino, cavaliere,
giostratore, e inoltre nobile e bellissimo,
sempre a detta dei suoi ammiratori, ne facevano un perfetto cortigiano e un potenziale segretario ideale. A completare l’immagine, Aldo, dedicandogli la sua edizione
dei Paradoxa di Cicerone (Venetiis 1581),
gli conferiva per primo l’epiteto di ‘admirabilis’” (www.treccani.it/enciclopedia/james-giacomo-crichton_%28DizionarioBiografico%29/; controllato 11-07-2011).
Particolarmente interessante il fatto
che la citata edizione aldina non esiste affatto, ma la contraffazione ottocentesca
si basa sul testo di In appulsu ad celeberrimam urbem Venetam de proprio statu
Carmen ad Aldum Manuccium, stampato
nel 1580 da Domenico e Giovanni Battista Guerra, anche se Renouard (131:4) indica che “cette feuille, en gros italique des
Manuce, paroît avoir été imprimée par
Alde le jeune” (numero 1, £1.800).
Degna di interesse è inoltre la prima edizione dell’Istoria d’Inghilterra,
scritta dal toscano Vincenzo Martinelli
(1702-1785), che, dopo una vita avventurosa, si stabilisce a Londra, dove pubblica questa prima storia inglese in lingua
italiana “per la curiosità dei miei nazionali” (numero 9, £600). Per il 1763 è documentato un incontro con Giacomo Casanova nella città inglese.
L’avventuriero aderisce con due
copie al Decamerone, curato da Martinelli. Tornato a Firenze, Martinelli pubblica nel 1776 la Storia del governo d’Inghil-
STORIE “D’ACQUA DOLCE”
TRA LARIO, TICINO, VERBANO
Libreria Antiquaria Pregliasco
Tra Como e il Canton Ticino – Storia e
Arte
Annunciato come “listino di curiosità”, l’ultimo catalogo prima della chiusura estiva della libreria torinese presenta ben 157 edizioni di argomento locale
tra Como e il Ticino. Particolarmente interessante la riproduzione in fototipia,
probabilmente realizzata in pochissime
copie, di un manoscritto originale mai
pubblicato, compilato da un certo generale Bellini di cui non si riescono a reperire ulteriori informazioni, sulla Valle Intelvi, Note geografiche e storiche, del 1898
(numero 85, €550).
“Notevoli sono le informazioni sugli usi e costumi, con note sui ‘vestimenti’, le abitazioni, l’alimentazione, le pratiche sociali e la vita religiosa; si esaminano le belle arti e il dialetto, le tradizioni, le
credenze e le canzoni popolari. Una intera sezione è dedicata alla Geografia statistica della Valle Intelvi nel Comasco: l’autore passa in rassegna catasto e agricoltura, trasporti, finanze e amministrazione, risparmio e previdenza, istruzione,
beneficenza, criminalità, lavori pubblici,
igiene e nosografia. Alcune importanti
informazioni sono relative anche alle cave un tempo aperte nella Valle”.
Libreria Antiquaria Pregliasco
Via Accademia Albertina 3 bis
10123 Torino
e-mail: [email protected]
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
IL CATALOGO
DEI MODERNI
Libri da leggere
per comprare libri
di matteo noja
DI TRIESTE, DELLE SUE TERRE
E DEI SUOI LIRICI CANTORI
Libreria Editrice Goriziana
Catalogo 70. Libri Antichi, Moderni
d’Artista e Novecento Triestino
Ci sono città che per chi ricerca
libri rari del Novecento sono mitiche.
Trieste, per la sua storia, letteraria
e non solo, è tra queste. Poco tempo fa
il ‘catodico opinionista’ e grande bibliofilo
Giampiero Mughini le ha dedicato
inaspettatamente il libro In una città atta
agli eroi e ai suicidi. Trieste e il caso Svevo
(Milano, Bompiani, 2011; pp.160, €15,00).
Inaspettato poiché tra lui e la città
adriatica non c’è nulla in comune.
Non fosse altro però per la storia che
riguarda i libri del Novecento che rende
Trieste città molto coinvolgente anche
per chi conosce a malapena la bora,
piazza Unità d’Italia e qualche osteria
a buon mercato (sempre meno…) dove
bere un buon bicchiere di vino del Collio.
Proprio per Trieste (e per la Venezia
Giulia e per il Friuli), va ricordato
un catalogo che, pur non recentissimo –
è di qualche mese fa, ahinoi! – riporta
un’interessante sezione dedicata
alla letteratura cittadina.
A pag. 95 comincia la lista dei titoli
della città di Svevo. Si apre con l’edizione
mondadoriana (collana Le Pleiadi; Milano,
1950; p. 222, 15,5 cm; €100,00) de La
Buffa di Giulio Barni (pseud. di Glauco
Camper 1891-1941) che riporta una
prefazione molto bella di Umberto Saba,
Di questo libro e di un altro mondo.
Le poesie che compongono
il libretto, scritte durante la guerra,
furono pubblicate sul repubblicano
"L'Emancipazione" in 12 puntate, tra 1920
e 1921; nel 1935 vennero raccolte
in volume da Virgilio Giotti, stampate
dallo Stabilimento Tipografico Mutilati,
ma prontamente sequestrate per ordine
del prefetto della città, Carlo Tiengo.
Il titolo viene da una delle strofe che dice
«La fanteria l’è buffa…».
Tra gli altri titoli, ne segnaliamo
alcuni (per l’esattezza 31): i raffinati
piccoli libri dello Zibaldone, in tiratura
limitata, pubblicati con la consapevolezza
di un progetto editoriale ben definito,
dedicato a Trieste e alla sua complessa
fisionomia culturale (dai 60 ai 100 euro
ciascuno). Tra gli autori, Luciano Budigna,
Virgilio Giotti, Claudio Grisancich,
Umberto Saba, tutti amici e testimoni
dell’incredibile lavoro di Anita Pittoni,
temeraria editrice che nel 1949, momento
drammatico per la sua città, spese ogni
suo avere per dare corpo a un sogno.
Libreria Editrice Goriziana
Corso Giuseppe Verdi, 67 - 34170 Gorizia,
tel. 0481/33776 - [email protected] - www.leg.it
ALCUNE “NAVIGATE” RARITÀ
DEL NOVECENTO IN LETTERE
“900 di carta”
Catalogo 17
Segnaliamo il sito della libreria ’900
di carta, di Archie R. Pavia. Letta una sua
vecchia intervista, ci è parso interessante
37
visitarlo. Racconta il libraio di aver aperto
nel 2003. In piena crisi di identità, umana
e professionale, ricorda di esser partito
dalla sua passione per i libri rari del ’900
ambendo a uno spazio piccolo, in antitesi
con le superfici delle librerie di catena,
che potesse tener conto della personalità
di chi vi entrava. Un luogo dove non solo
comprare libri, ma anche confrontarsi
con il libraio, interlocutore privilegiato
per chi ama sognare.
Sogni di carta, ovviamente, e poi
i suoi miti letterari, cui dedicare piccole
mostre documentate: da Pannunzio
ad Arrigo Benedetti e da Gadda a Libero
Bigiaretti, passando per Orwell, Fenoglio,
Pavese, Soldati, Piovene, Fellini e l'amato
Flaiano. Senza dimenticare il poeta Guido
Ceronetti, amico della libreria.
Da ultimo, parlando dei mestieri
che hanno preceduto quello di libraio,
Pavia dice: «Ho fatto svariati mestieri, da
ragazzo, sempre al di fuori dei canoni
prestabiliti. Ho fatto studi irregolari. Ho
lavorato da ragazzo negli alberghi (questo
spiega perché ogni tanto ritorna, nei miei
scritti, la camera e la stanza di un
tranquillo albergo demodé); ho fatto il
gallerista, in via del Tritone, e
l'investigatore privato. L'investigatore, sì...
è un ruolo che ha molto in comune col
libraio antiquario: cercare un libro raro
può essere difficile come cercare una
persona scomparsa».
Il catalogo attualmente in linea
risente della stagione, ma è di garbo e
vale la pena di scorrerlo, qualcosa si trova
sempre… d’altronde è pur vero quanto
diceva Manganelli, che la cultura
comincia dalla lettura dei cataloghi dei
libri…
900 DI CARTA
Libreria di Archie R. Pavia
Libri esauriti, rari e d'occasione
Via Acqui, 9/b - 00183 Roma,
tel. 06/7010558 - www.900dicarta.com [email protected]
38
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
ET AB HIC ET AB HOC
Nella speranza di ferie splendenti,
niente vacanze, se non tra le righe
di laura mariani conti e matteo noja
FERIE E VACANZE. Vacanza
da vàcans, participio presente del verbo
latino vacàre: «il rimaner vuoto un ufficio;
il tempo in cui nelle scuole cessano
le lezioni, o le assemblee e le accademie
tacciono per cagion di riposo». Ferie,
dal latino feriae, sembra risalire a due
etimi diversi: uno legato a festus che vuol
dire pregare e l’altro, vicino al greco phas
che significa risplendere. Quindi le ferie
possono essere giorni dedicati
alla preghiera oppure giorni splendenti.
Oggi invale più il secondo significato,
vista la sempre più rara spiritualità e l’uso
diffuso dell’abbronzatura indotta dallo
“splendido” sole estivo. Nella letteratura
del ’900 – se non nelle trame almeno nei
titoli – si parla spesso di ferie e vacanze.
La lettura stessa viene invocata come
passatempo, sotto l’ombrellone o sotto
gli alberi in montagna, quasi il tempo
vacanziero sia l’unico in cui è possibile
leggere con profitto un libro.
DAL CREPUSCOLO ALLA LUCE
CALDA DELL’ESTATE. Essere nati
a Cesenatico può essere una fortuna:
la vacanza è, nella cittadina romagnola,
affare d’ogni giorno. Marino Moretti
nasce a Cesenatico nel 1885 e sempre
lì muore nel 1979, felice della sua
provincialità. L’ultima estate (Milano,
Mondadori, 1969; Lo Specchio; p. 239, 19
cm) segna dopo anni di silenzio il ritorno
di Moretti alla poesia e fa scalpore:
i critici si sorprendono dell’uso più fresco
e moderno della lingua e della sintassi.
Il titolo non tragga in inganno: “ultima”
in senso cronologico, un mesto arrivo,
ma, al contrario, per il poeta, l’occasione
di una ripartenza con rinnovato vigore,
che gli permette di ingaggiare battaglia
contro un “nuovo” che prevarica ogni
vero valore, e di offrire così
alla sua poesia un aspetto più combattivo
e rabbioso di quello degli inizi,
crepuscolare e languido.
CONTRAPPOSIZIONI. Una volta
“andare in campagna” era sinonimo
di “andare in vacanza”. Forse perché
nell’Italia postbellica, per la maggior parte
ancora rurale, bastava andare in mezzo
ai campi e godere dell’aria buona
per ritemprarsi dalle fatiche dell’inverno
cittadino. Come pure, per chi abitava
in campagna, un’idea felice di vacanza
era quella di farsi tentare dalle lusinghe
della città. Soprattutto se si veniva dalla
campagna soffocante e si approdava
in una città che sulle prime sembrava
magica. Cesare Pavese è uno scrittore,
forse tra i maggiori, che più ha sviscerato
il tema dell’antagonismo tra città
e campagna. Anche se, rileggendo dopo
anni La bella estate (Torino, Einaudi, 1949;
p. 348, 23 cm; contiene anche altri due
romanzi brevi: Il diavolo sulle colline e Tre
donne sole) un maggiore ottimismo
sarebbe auspicabile.
LA VACANZA È DIVERTIMENTO.
Tale sarà stata la raccolta di racconti
Il mare colore del vino per Leonardo
Sciascia (Torino, Einaudi, 1973; p. 160, 20
cm). Lasciate per un attimo le inchieste,
le denunce e le divagazioni erudite,
lo scrittore di Racalmuto torna un attimo
alla scrittura di invenzione per svagarsi,
per riflettere e riordinare quanto fatto
fino ad allora: «Perchè raccolgo
e pubblico questi racconti? Ecco: perchè
mi pare di aver messo assieme una specie
di sommario della mia attività fino
ad ora… e che tra il primo e l'ultimo
di questi racconti si stabilisce come
una circolarità: una circolarità che non è
quella del cane che si morde la coda».
La vacanza è anche meditazione.
VITTORIO SERENI con Un posto
di vacanza (Milano, All’Insegna del Pesce
d’Oro, 1973. Collana Acquario, n. 62;
p. 39, 18 cm) indica Bocca di Magra come
luogo ameno capace di mostrare meglio,
alla fine dell’estate, la nuda essenzialità
del vivere, luogo dove «ogni eccedenza
andata altrove e spenta» e l’uomo,
«perplesso non propriamente amaro»,
non riesce a soddisfare la memoria
(«la memoria non si sfama mai»). Luogo
perciò dove si può meditare, lasciandosi
alle spalle ogni scoria invernale
per ripartire con impeto verso il futuro,
senza però poter dimenticare..
“PICCOLE VACANZE”. Esordio
letterario di Alberto Arbasino, esce
nel 1957 (Torino, Einaudi; p. 201, 20 cm).
Lo compongono cinque racconti (Distesa
estate; I blue jeans non si addicono al
signor Prufrock; Giorgio contro Luciano;
Luglio, Cannes; Agosto, Forte dei Marmi).
Le vacanze sono appunto il tema: piccole
perché ancora troppo vicine alla guerra,
piccole perché i protagonisti sono giovani
che tentano di diventare adulti, piccole
perché governate da un’ansia egoistica
di provincia che vuole uscire dai suoi
confini, di borghesia che vuole emergere.
«Addio giallo paese che ricade nel sonno,
Grand Hôtel sepolcrale, ombroso parco
spazzato dal vento, addio bosco tennis
piscina ore pungenti, giorni che da oggi
in poi rimpiangerò […] addio fiori scale
orologio immobile giochi perduti;
non sarò ragazzo mai più e neanch’io
lo vorrei, però mi è piaciuto molto».
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
39
ASPETTANDO “ARTELIBRO”
Dal 23 al 25 settembre, Bologna ospita
l’edizione VIII del Festival del libro d’Arte
di matteo tosi
iusto il tempo di rientrare in città,
riprendere il consueto tran tran lavorativo e aspettare che i ragazzi
tornino a “digerire” la sveglia per andare a
scuola. Poi, di solito, la nostalgia per i giorni
di ferie riaffiora e, insieme a essa, la voglia
di partire ancora, magari anche solo per un
finesettimana ristoratore.
Per bibliofili, bibliomani e appassionati
di arte ecco, allora, l’appuntamento giusto nel
momento giusto, l’ultimo
weekend di settembre.
Dal 23 al 25, infatti, a Bologna va in scena l’ottava
edizione di “Artelibro. Festival del Libro d’Arte”.
Il tema guida di
quest'anno è “Archeologia/Archeologie”,
come a indicare le molteplici declinazioni di
un metodo di studio del passato, indispensabile per capire e interpretare il nostro
presente. Un approccio storico, da ”collezionista di reperti” che troverà perfetta
esemplificazione nella mostra di libri d'artista della collezione di Danilo Montanari,
Libro / Opera. Viaggio nelle pagine d’artista.
1958 - 2011, che svelerà al pubblico della
suggestiva Aula Magna della Biblioteca
Universitaria oltre 200 volumi tra i più rappresentativi dei nostri ultimi cinquant’anni
in Italia, da Lucio Fontana a Maurizio Cattelan, passando per Giulio Paolini e Luciano
Bartolini.
Al Museo della Musica, poi, si potrà
visitare la mostra ControCorrente. Riviste,
dischi e libri d’artista delle case editrici della
poesia visiva italiana, organizzata insieme
alla Fondazione Berardelli di Brescia e al
G
Museo Pecci di Prato. A Palazzo Re Enzo e
del Podestà, invece, accanto alla mostra
mercato che ospita librai antiquari italiani
e stranieri in collaborazione con ALAI Associazione Librai Antiquari d'Italia (con specifiche sezioni dedicate agli editori di libri
d'artista, di pregio e facsimilari), si potranno ammirare i Libri di Luce di Mario Nanni e
le pubblicazioni storiche
dell'Officina d'Arte Grafica Lucini. E ancora altre
esposizioni, cicli di conferenze, letture e presentazioni di libri, senza dimenticare gli incontri
professionali: su tutti, il
convegno “Più simile del
facsimile. Editoria d'arte
tra libreria collezionismo
e iPad”, promosso da AIE, Associazione Italiana Editori.
Quest'anno Bologna festeggia anche i 2200 anni dalla fondazione della colonia romana di Bononia e i 130 anni dall’istituzione del Museo Civico Archeologico,
una delle più significative realtà culturali di
Bologna.
Proprio per questa occasione Artelibro ha attivato un’importante collaborazione con il Comune di Bologna - in particolare con il Museo Civico Archeologico per realizzare un evento dalla doppia anima, colta e popolare, che celebri al meglio
entrambe le ricorrenze. Nasce così il progetto “Artelibro – Archeopolis”, che riunisce le istituzioni culturali cittadine in un
week-end interamente dedicato a quest’affascinante disciplina attraverso rievocazioni storiche, visite tematiche, mostre,
convegni e conferenze, nonché importanti
eventi serali e laboratori per i più piccoli.
Di assoluto interesse la Lectio Magistralis di Andrea Carandini, archeologo di
fama internazionale (e Presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali), che si
terrà giovedì 22 alle 19.00 presso il Teatro
comunale, seguita dal concerto del Coro
Athena del Museo Civico Archeologico di
Bologna; venerdì 23, invece, la serataspettacolo sul mito nella cultura popolare,
curata dall'attore Ivano Marescotti presso
l'Aula Magna di Santa Lucia - Alma Mater
Università di Bologna.
Dall’inaugurazione (venerdì 23 alle
dieci del mattino) in poi, le sale di Palazzo
Re Enzo e del Podestà ospiteranno la grande mostra mercato di librai antiquari, editori di pregio, libri d’artista, facsimilari e riviste specializzate, mentre gli editori d’arte
saranno alloggiati nella Libreria dell’Arte,
in Piazza Nettuno, di fronte allo stesso Palazzo, già dal 10 settembre.
40
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
L’intervista d’autore
ANTONIO ZANOLETTI, TRE SERE
A TEATRO PER VEDERE LONTANO
di matteo tosi
rilogia del lontano: LucrezioIbn Hamdis-Kavafis. In scena
nel mese di luglio in tre serate
al Teatro di Verdura.
T
Tre autori così lontani e così
diversi, cosa li lega?
C’è un sottile filo che collega
e intreccia questi tre autori
apparentemente slegati e lontani.
Intanto dei classici e come tali “vivi”.
Tu li leggi e nel momento che lo fai
ti parlano. Come i grandi testi. Così loro,
ecco perché li chiamo classici. Poi se si
scava e si entra nella loro parola, vi sono
dei sentimenti che li richiamano,
li collegano. Non ultimo i vertici poetici,
la scrittura proprio, ad altissimo livello.
Cos’è il tema del “lontano”?
Ho definito “lontano” una nota,
un rimando che li accomuna,
uno struggimento. Lucrezio, si interroga
nel suo De Rerum Natura sulla nascita
della materia, sulle origini del mondo,
sul cosmo e si chiede in questa fragilità
del tutto se non vi siano altri mondi come
il nostro, e quindi noi non più soli nella
vastità della materia. E come dice “se
fuori da queste ampie mura del mondo si
stende lo spazio, la mente vuole alzarsi a
vedere e in quel vuoto l’anima mia
peregrinare”.
Ibn Hamdis, il poeta arabo nato
in Sicilia, siamo nell’anno Mille, e la sua
amata terra siciliana. Lontana perché
mandato in esilio con la caduta
del Regno di Siviglia, iniziando così
le sue peregrinazioni sempre più lontane,
Algeria, Tunisia, Maiorca. Muore
ottantenne nel 1133 e la nostalgia della
sua terra che non rivedrà mai più
non lo abbandonerà in nessun modo.
Le musiche dello spettacolo sono
eseguite dal vivo da Salvino Strano.
E poi Kavafis a cavallo del ‘900
col suo mondo poetico e il sentimento
dell’inespresso, del non vissuto
se non nella memoria, “meglio la vita
che non abbiamo vissuto e solo
immaginata e lontana, che quella reale”
dirà in una sua poesia.
Per lei il teatro può essere
un mezzo per verificare certi
comportamenti umani, certe verità?
Non ho mai amato il teatro fine
a se stesso, quello che chiamano
“d’evasione”, così come non amo
la disinvoltura sulla scena, che è
puramente una cosa televisiva.
In teatro ci si sta per una
necessità, per un’urgenza. È rituale.
È una zona franca dove la materia
rappresentata con onestà e senso
morale può diventare incandescente.
Sincera carne pulsante. E in arte
chi non è sincero non è un artista.
Non giriamo intorno alla questione.
Ed essere sinceri è una questione morale;
e dico morale e non moralismo piccoloborghese. L’arte è una cosa dell’uomo.
Il teatro dunque come lavoro umano
sull’uomo. E noi attori, ricordiamocelo,
siamo un mezzo, uno strumento,
insostituibile, forse, ma strumento della
poesia. Niente altro. Noi passiamo e lei
resta, la poesia, il teatro, l’arte tutta. Noi
solo messaggeri, ed è già un grande
compito.
Il poeta arabo di Sicilia Hamdis,
davvero poco conosciuto…
…ma grande! È un mio personale
omaggio alla Sicilia e ai grandi uomini
che vi sono nati, e sono tanti.
Lampedusa, Pirandello, Verga, Lucio
Piccolo tutto da scoprire e altri,
tantissimi che ho in testa tutti grandi
e non solo artisti. Tornato da poco
da Siracusa dove al Teatro Greco ero
Ulisse in Filottete di Sofocle.
E quella terra è davvero speciale.
Come dice il poeta arabo “chi partendo
ha lasciato il cuore in quella terra,
con il corpo desidera tornare”.
Lei spesso si dedica alla poesia.
Diciamo che oltre al teatro
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
classico, quello vero, quello che ci parla
e ci consola ogni volta che lo
affrontiamo, è il mio pane preferito.
Ma mi piace sperimentare la materia
che “si fa” teatro come i testi letterari,
i saggi, o la poesia. In questo senso è
interessante e mi piace il Teatro
di Verdura: I libri in scena. Ossia materia
che si sperimenta e si verifica attraverso
la rappresentazione, sulla scena.
Lei non è nuovo qui al Teatro
di via Senato.
No, ma nemmeno tanto vecchio!
Ho debuttato con l’ultimo romanzo
di Testori, poi Van Gogh e le sue lettere
al fratello Theo, Ulisse del premio Nobel
Walcott, Dreyfus, Lampedusa e le sue
lettere, Poesie dai banchi di scuola,
la Milano e i suoi teatri dal dopo guerra
ad oggi, i Diari di Mussolini… come vedi
materiale non nato per il Teatro
ma che diventa tale.
Però… ripercorrendo il tutto
non è poca cosa, me ne accorgo ora.
Da andarne orgogliosi.
E Kavafis?
Una scoperta emozionante.
Parola altissima dell’inespresso,
attraversata da grandi silenzi. Fa
pensare a certa pittura di De Chirico,
anche lui vissuto a lungo ad Alessandria
d’Egitto, come il poeta. Un poeta che
ripiegato su se stesso sa ascoltare i moti
più profondi dell’essere e dell’esistere.
Tutto filtrato dal ricordo, un mondo
vissuto tutto dal di dentro fra le quattro
mura di casa sua. Materia non facile
certo, ma come spieghi allora che il
pubblico riempie il Teatro? Vorrà pur dire
qualcosa. Non è vero che il pubblico
vuole solo divertirsi. Lo si può fare anche
con cose serie. Quando il bambino gioca
lo fa con grande serietà.
Dobbiamo tornare bambini?
Non necessariamente, ma nutrire
il bambino che c’è in noi, questo sì.
In questo sono un privilegiato col mio
41
mestiere. Noi attori abbiamo una nostra
parte bambina che non vuole crescere.
È la nostra salvezza perché coltiva
lo stupore delle cose. Ma è un discorso
che ci porterebbe lontano.
Altri progetti fatti e che farà?
Appena tornato da San Miniato,
rassegna del Teatro Sacro, dove ho
affrontato un libro della Bibbia,
il cosiddetto “libro nero”: il Qhoèlet. Ecco
una materia davvero incandescente.
E per il Teatro di Verdura?
Tanti progetti che mi frullano
nella testa. Vedremo. Idee che ho già
inseminato ma che per scaramanzia
tengo sotto chiave.
Ma in sostanza, alla fine,
i libri salveranno il mondo?
Non ci è dato saperlo, sicuramente
lo possono migliorare. Ma vanno letti,
non usati esclusivamente per riempire
gli scaffali di casa.
42
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
PAGINE CHE PARLANO DI LIBRI
I capolavori sinonimo dell’Italia, gli archivi
delle nostre case editrici e le lettere di Zeri
di matteo noja e matteo tosi
ALCUNI INDISPENSABILI TOMI
PER CONOSCERE GLI ITALIANI
I centocinquanta anni dell’Unità d’Italia
e le varie attività per i festeggiamenti
hanno mosso anche il mondo culturale
ed editoriale, proponendo in varie sedi,
diversi libri, in diverse quantità,
a rappresentare degnamente questo
traguardo nazionale. Dai tre libri che
in vari simposi ha proposto lo storico
Mauro Moretti limitandosi ai titoli
che hanno unificato linguisticamente
la Penisola – Il Bel Paese di Stoppani,
le ricette dell’Artusi e Cuore
di De Amicis –, ai 400 che Fabrizio Govi,
noto libraio antiquario di Modena,
propone in un “ricco” volume (I classici
che hanno fatto l’Italia. Per un nuovo
canone bio-bibliografico degli autori
italiani, Modena, Giorgio Regnani
Editore, 2010; p. XXXV, 415, €65,00).
Senza porsi il limite temporale
degli anni che vanno dall’Unità a oggi,
e cercando di confrontarsi con il celebre
Printing and the Mind of Man, elenca
una serie di “classici”, dal ’400 al secolo
scorso, che possono a buon diritto
formare un valido percorso lungo
la nostra letteratura. Fino ad arrivare
ai 150 (più 15) che ha proposto con una
mostra (poi itinerante) il Salone del libro
di Torino, per suggerire una lettura
del nostro Paese attraverso le pagine
di tante opere quante gli anni passati
dalla proclamazione del Regno. Volumi
di narrativa e poesia, ma anche teatro
e saggistica per rappresentare
una mappa storica della nostra cultura.
Ma in mezzo ai tanti libri che
propongono in questi giorni un “nuovo
canone”, per l’Italia unita e non solo,
ne è uscito uno abbastanza singolare,
se non altro perché propone 52 libri
della letteratura italiana di tutti i tempi,
uno a settimana.
Si tratta di Per una biblioteca
indispensabile di Nicola Gardini (Torino,
Einaudi, 2011; p. 329, €21,00).
Professore di letteratura italiana del
Rinascimento a Oxford, Gardini scrive
nella sua prefazione: «Volevo scrivere
un libro sull’Italia migliore avendo
chiara cognizione di quella peggiore;
e cercare nel passato, per amore della
vita, perché la vita è piú nel passato
che nel presente, com’è stato detto;
e parlare di letteratura, ma fuori dagli
schemi falsificanti della storia letteraria.
[…] Questo catalogo presenta una
letteratura italiana anticonvenzionale,
non quella degli “ismi”, delle scuole
e delle correnti, non quella […]
formalistica, retriva e provinciale
che i manuali continuano
a confezionare; bensí una letteratura
magnanima, europea, laica, piena
di spirito, di protesta […]. Ecco l’Italia
migliore che cercavo».
Nicola Gardini, “Per una biblioteca
indispensabile”, Torino, Einaudi, 2011
(pp. 330, €21,00)
TUTTE LE STORIE “SEGRETE”
DI CHI PUBBLICA STORIE
Bel volume che dovrebbe essere il primo
di una collana editoriale curata
dal Settore Biblioteche, Archivi e Istituti
culturali della Direzione Cultura Turismo
e Sport della Regione Piemonte,
per diffondere la conoscenza
del patrimonio archivistico e librario
del territorio.
Raccoglie le relazioni presentate
in occasione della Fiera del libro 2009
di Torino cui si sono aggiunti altri
contributi. La prima parte è dedicata
al patrimonio piemontese e riporta
notizie e considerazioni sugli archivi
di editori come Einaudi, Utet, Pomba,
Boringhieri, Viglongo, SAIE, SEI,
confrontati, nella seconda parte,
con l’esperienza di altre realtà italiane
come la Fondazione Mondadori, Giunti,
Olschki, Laterza.
«Gli archivi delle case editrici
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
costituiscono un campo di indagine
di estremo interesse, ancora poco
sviluppato nonostante i progetti
di tutela, censimento e riordino tuttora
in atto» dice il curatore Brunetti,
e oseremmo dire non solo quelli delle
case editrici ma anche quelli dei vari
autori, come quelli fotografici o quelli
delle imprese. Il patrimonio
delle conoscenze che questi archivi
contengono, direttamente
o indirettamente, non può e non deve
essere sottovalutato in un’epoca come
la nostra di crisi (economica
ma soprattutto di valori) che necessita
un continuo raffronto con il passato.
I valori propugnati da editori
e intellettuali che inseguirono progetti
culturali a volte complessi e di grande
respiro (Utet e Einaudi, per esempio),
racchiusi nei loro archivi, vanno difesi
e tramandati, come le opere stesse
degli scrittori, che in molti casi
determinarono e influenzarono.
Tra i tanti motivi di suggestione
del volume, si può ricordare la vicenda
dell’erede del “libraio cantante Vedova
Pomba e figli” (così viene citata la casa
editrice in tutte le suppliche al re,
agli inizi dell’800) Giuseppe Pomba,
già raccontata da Luigi Firpo
in una Strenna Utet del 1976.
La figura di quest’uomo, che forse Firpo
non aveva in grande simpatia, esce
comunque dall’esame delle carte
dell’archivio ingigantita («Si trova
fra queste carte traccia delle sue
battaglie, delle sue rare sconfitte
e delle sue molte vittorie»), vero
e proprio “tycoon” del tempo, che prima
di lasciare il ponte di comando
della sua azienda, seppe progettare
quel magnifico Dizionario della lingua
italiana, a cui il vecchio Tommaseo
attese per ben tre lustri.
Dimitri Brunetti (a cura di),
“Gli Archivi storici delle case
editrici”, Torino, Centro Studi
Piemontesi - Ca de Stüdi Piemontèis,
2011, pp.300, s.i.p. ma €18,00
FEDERICO ZERI IN LETTERE.
SPEDITE ALLA “SUA” EINAUDI
Non sembri snobismo scegliere
una “ristampa” tra le tante novità
che vengono pubblicate in Italia
a ogni pié sospinto. Ma in un numero
come questo, ricco di storie editoriali
e di carteggi che testimoniano il lavoro
dello scrittore “su commissione”, questa
riedizione di Lettere alla casa editrice
di Federico Zeri pare starci
alla perfezione.
La casa in questione, ovviamente,
è l’Einaudi (che lo pubblicò la prima
volta e oggi concede il bis), con cui
il noto critico d’arte iniziò a collaborare
fin dal 1955, firmando il volume Pittura
e Controriforma e divenendo presto
il principale consulente in materie
artistiche per i tipi dello Struzzo.
Da quello stesso 1955 fino
al 1980 (ma in realtà il rapporto durò
ben oltre, pur non dovumentato),
Federico Zeri inizia così a intrattenere
43
un fitto carteggio con “divo” Giulio
in persona, Paolo Fossati e soprattutto
con Giulio Bollati. 116 missive in tutto di cui 102 raccolte in questo volume -,
che approfondiscono la conoscenza
del critico e della sua personalità,
lasciandone intuire alcune letture
nello specifico e, in particolar modo,
svelando cosa potesse generare in lui
la voglia di fare polemica.
La scelta dei fogli da collezionare
è stata curata da Anna Ottani Cavina,
docente di Storia dell’arte moderna
all’Università di Bologna e collaboratrice
di diversi atenei statunitensi. Ne esce
uno Zeri estremamente attivo
e propositivo nei confronti dei suoi
interlocutori, non un semplice “censore”
o fornitore di pareri, ma una vera
e propria fucina di idee, studi, ricerche
e progetti, a partire dal suggerimento
di alcuni titoli “insoliti” da tradurre
in italiano, senza il timore di rompere
steccati o sembrare forzatamente
anticonformista.
Non mancano aneddoti e spunti
di riflessione, naturalmente, ma la cosa
forse più interessante è la fotografia
di un modo di fare libri che forse oggi si
è perso, un lavoro frutto di un dialogo
tra intellettuali attenti al loro lavoro.
Federico Zeri, “Lettere alla casa
editrice” (a c. di Anna Ottavi Cavina),
Einaudi, Torino 2011, pp.132, €18,00
46
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
ANDANDO PER MOSTRE
Italiani d’Egitto, scatti siciliani, obiettivo
Grand-Tour e nuove figurazioni di carta
di matteo tosi
GLI ITALIANI ALLA CONQUISTA
DELL’EGITTO DEI FARAONI
due passi dal Duomo di Orvieto,
una delle chiese più note
e visitate dell’intero Belpaese,
va in scena una grande esposizione
dedicata all’antico Egitto e al fascino
misterioso delle sue storie.
Non l’ennesima tappa di una
mostra itinerante e già vista in chissà
A
quanti altri luoghi, ma un’inedita
collezione di preziosi reperti provenienti
da una quindicina di musei e istituzioni
culturali italiane, selezionati dalle
egittologhe Elvira D’Amicone (della
Soprintendenza per i Beni Archeologici
del Piemonte e del Museo di Antichità
Egizie di Torino) e Massimiliana Pozzi
(della Società Cooperativa
Archeologica), sotto la supervisione di
Giuseppe M. Della Fina, direttore
scientifico della Fondazione per il
Museo “Claudio Faina”, sede
IL FASCINO DELL’EGITTO.
IL RUOLO DELL’ITALIA
PRE E POST-UNITARIA NELLA
RISCOPERTA DELL’ANTICO EGITTO
ORVIETO, MUSEO “CLAUDIO FAINA”
(PIAZZA DEL DUOMO, 19)
E PALAZZO COELLI - FONDAZIONE
CASSA DI RISPARMIO DI ORVIETO
(PIAZZA FEBEI, 3),
FINO AL 2 OTTOBRE,
INFO: TEL. 0763-341511
dell’esposizione insieme alla vicina
Fondazione Cassa di Risparmio di
Orvieto.
Il sottotitolo, “Il ruolo dell’Italia
pre e post-unitaria nella riscoperta
dell’antico Egitto”, chiarisce l’intento
evidenziare gli ottimi risultati avuti lungo
le sponde del Nilo dai “nostri” numerosi
egittologi, partiti a più riprese per spirito
d’avventura o per sete di facili guadagni,
ma quasi sempre con il sincero obiettivo
di approfondire le conoscenze sull’antica
Terra dei Faraoni.
Sopra: statua di Ptahnose, XVIII dinastia,
Firenze. A sinistra: Modellino ligneo
con scena di agricoltura, Soprintendenza per
i Beni Archeologici del Piemonte Sotto:
frammento parietale figurato, Firenze
Seguendo le tracce delle Missioni
archeologiche italiane, si ammirano
elementi di corredo funerario che
illustrano varie epoche, come reperti che
giungono dal Medio Egitto, risalenti al
1900 a.C., e altri che provengono dalla
Valle delle Regine, databili al 700 a.C..
I numerosi spunti offerti
dai materiali esposti permettono inoltre
di affrontare alcuni aspetti della vita
quotidiana di allora, approfondendo temi
affascinanti come la conservazione
di materiali delicati come le stoffe,
e analizzando le informazioni
che i ricercatori contemporanei possono
trarre dalle analisi diagnostiche
più all’avanguardia.
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
47
FOTOGRAFI SICILIANI: NASCE
UNA NUOVA “SCUOLA”?
NICOLA VILLA E LA CONTEMPORANEITÀ
VERA DI CHI RISCOPRE CARTE E DISEGNO
iennale in testa, l’estate è spesso
stagione di mostre “collettive”
e progetti eclettici, ma l’esistenza
di un vero e proprio “tema” non di rado
si fatica a intuire. Non così per la bella
esposizione che la Fondazione Gruppo
Credito Valtellinese porta ad Acireale,
nella propria sede siciliana, prima
di farla arrivare alle Stelline di Milano.
furia di opere al
neon, installazioni multimediali e
amenità varie, la tanto
cantata novità delle giovani generazioni di artisti
sembra essere sempre più
solo un luogo comune.
Il futuro della creatività,
B
A
allora, pare dover passare
forzatamente da una rilettura (anche dissacrante) della tradizione e dalla riscoperta dei “vecchi“
linguaggi e materiali.
Come fa Nicola Villa, pittore lariano che si è imposto per il suo “disegno”
La tesi che il progetto vuole
sostenere è che in Sicilia stia nascendo
una vera e propria “scuola di fotografia”
isolana, sempre riconoscibile e coerente
con se stessa.
In senso strettamente
cronologico, infatti, al lavoro di Carmelo
Bongiorno, Sandro Scalia e Carmelo
Nicosia, tutti e tre nati tra gli anni
Cinquanta e Sessanta, si contrappone
quello degli esponenti di spicco della
generazione precedente, nomi di fama
internazionale come Ferdinando
Scianna, Enzo Sellerio, Nicola Scafidi
e Letizia Battaglia, ma il percorso ideato
e per un’innata passione
per la carta.
Dal 23 al 30 luglio
è a Monteggiori (LU), con
“Urbano/Mediterraneo”.
Info:
www.monteggioriarte.it
da Cristina Quadrio Curzio e Leo Guerra
(La nuova scuola di fotografia siciliana,
fino al 2 ottobre; info: tel. 095/600208 www.creval.it) riesce a sottolineare
l’importanza crescente dei tre “giovani”,
docenti presso le accademie di Catania
e Palermo, nell’influenzare un’intera
nuova generazione di fotografi.
Grande attenzione, infatti,
è dedicata agli aspetti “tecnici” e alle
consuetudini formali dei tre, come
a ricercare proprio nell’incontro
tra pratica e approccio teorico quella
cifra distintiva che diventa firma
non solo dei loro scatti.
I MUSEI D’ARTE CONTEMPORANEA E IL NOSTRO PAESAGGIO,
RITROVATO DENTRO UN GRAND TOUR FOTOGRAFICO A 18 MANI
i intitola “Viaggio
in Italia” ed è una
sorta di attualizzazione del mitico Grand
Tour attraverso le testimonianze etiche ed estetiche di diciotto fotografi
selezionati ad hoc da
Amaci, l’Associazione dei
Musei d'Arte Contemporanea Italiani.
Un progetto che adesso
saluta la partenza della
propria seconda tappa, a
cui prende parte una
S
nuova squadra di sei artisti: Riccardo Benassi ci
conduce sul Po, mentreRossella Biscotti propone
un’immagine di archivio
di Esino Lario e Rä di Martino gioca a farci scoprire
un sito archeologico dell’antica Roma; Andrea
Mastrovito, poi, ricama
sull’immagine da cartolina di Bergamo Alta, Andrea Nacciarriti ferma la
poesia di una foresta di
sclerofille e Moira Ricci
omaggia la bellezza selvaggia di una spiaggia in
Maremma.
Info: tel. 035/ 270272 –
www.amaci.org
La contro-copertina è affidata
a uno sguardo esterno, quello di uno
“straniero”, Richard Avedon.
Con un unico scatto, un combatshot dedicato alla Cripta dei Cappuccini
rubato a Palermo durante la campagna
di liberazione della Sicilia nel 1944,
al seguito della V Armata.
48
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
DANTE POETA E ITALIANO
Mostra di Manoscritti e Stampe antiche
della Raccolta di Livio Ambrogio
di annette popel pozzo
el 150mo anniversario dell’Unità
d’Italia si tiene a Roma nel
Palazzo Incontro, dal 21 giugno
al 31 luglio 2011, la Mostra Dante poeta
e italiano “legato con amore in un
volume”, dedicata interamente alla
Prima Corona della letteratura italiana e
al “padre della lingua italiana” con
manoscritti, antiche stampe, volumi
illustrati, quadri e sculture provenienti
dalla collezione privata dell’imprenditore
torinese Livio Ambrogio. Frutto di
trent’anni di passione o con le parole di
Livio Ambrogio nella Presentazione del
Catalogo: “ripresi in mano i volumi
sgualciti di Manfredi Porena, e lessi la
Commedia nella sua interezza.
Rimastone affascinato, la rilessi due o
tre volte, e divenne così per me Il libro,
buono per ogni anno e ogni giorno della
vita, ogni volta nuovo e rivelatore di
aspetti sfuggiti nella letteratura
N
precedente” (p. 8).
Certamente sapendo che sono
stati censiti oltre 850 codici o frammenti
della Commedia dantesca con 132
manoscritti nella Biblioteca Medicea
Laurenziana, 76 nella Nazionale Centrale
di Firenze e 70 nella Biblioteca
Apostolica Vaticana, non è sicuramente il
numero dei manoscritti o edizioni
preziosi presenti in una collezione che ne
determina il pregio, ma piuttosto
l’insieme degli elementi che
compongono il quadro complessivo.
Nella Raccolta Ambrogio figurano una
gran parte delle edizioni incunabole
(talvolta in esemplari prestigiosi come la
copia postillata da Vincenzo Buonanni
dell’edizione di Vindelino da Spira del
1477), affiancate da testi secondari
importanti per una lectura Dantis come
l’incunabolo di Lattanzio impresso a
Roma da Sweynheim e Pannartz nel
1468, che contiene la prima citazione
della Commedia mai apparsa in un testo
a stampa.
Inoltre sono presenti tutte le
edizioni cinquecentesche, dalla prima
aldina curata da Pietro Bembo del 1502
fino a quella fondamentale
dell’Accademia della Crusca del 1595.
Una copia della seconda edizione aldina,
anche la prima a essere illustrata, del
1515 si presenta in legatura
cinquecentesca in marocchino,
appartenuta al cardinale Carlo Borromeo.
Presenti le sole tre edizioni del Seicento
(secolo di “appannamento” della fortuna
dantesca), seguite dagli esempi più
illustri del Sette, Otto e Novecento che
mettono in rilievo la Commedia
illustrata. La passione di Ambrogio per
l’Autore si manifesta anche nell’iniziativa
di promuovere nel 2005 un’edizione
privata della Commedia, stampata in
tiratura limitata dalla Stamperia
Valdonega recante le illustrazioni di
Monika Beisner che offrono una
moderna interpretazione figurativa del
poema dantesco.
In Mostra si trova anche una
selezione dei più importanti volumi
danteschi della Casa di Dante in Roma,
tra i quali lo splendido esemplare della
Commedia stampata a Venezia da Pietro
de Piasi Cremonese nel 1491,
interamente postillata dal frate
francescano Pietro da Figino, curatore
fra l’altro di questa stessa e di altre
edizioni veneziane della Commedia, e
arricchita di un denso e prezioso corredo
iconografico attribuito ad Antonio Grifo.
La Mostra con il sottotitolo
“legato con amore in un volume”, in
netta allusione alla folgorazione di
Dante al cospetto della grazia di Dio
(Paradiso, XXXIII, 86), trova la sua
corrispondenza in un omonimo
Catalogo, stampato dalla Salerno
Editrice (ISBN 978-88-8402-733-7,
€38,00).
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
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luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
51
BvS: un editore dell’Ottocento
L’Elvetica di Capolago e quelle
edizioni “alla macchia”
La stamperia ticinese che contribuì alla nascita dell’Italia Unita
BEATRICE PORCHERA
«O
italiano che vai |
quando Italia era un
sogno in esilio | la
tua Patria fu qui | qui fu l’umile
eroica stamperia | onde il proscritto pensiero | in sacro contrabbando varcato il confine | anticipava
l’Italia nei cuori». Queste parole
reca l’epigrafe posta sull’obelisco
eretto nel 1911 a Capolago in ricordo della storica Tipografia Elvetica
che da lì, raccolta tra le acque del lago di Ceresio e le falde del monte
Generoso, attraverso i suoi torchi,
partecipò attivamente alla causa del
Risorgimento e dei patrioti italiani.
La storia della Tipografia Elvetica di Capolago ebbe inizio il 9
ottobre del 1830, quando un gruppo
di cittadini ticinesi decise di fondare
in questo piccolo borgo una «società di commercio per lo stabilimento
ed esercizio di una Tipografia e negozio di libreria» con lo scopo di
produrre, o riprodurre, «opere utili,
od istruttive, con assoluta esclusione
di quelle dirette contro la religione e
il buon costume».1 La sede fu stabilita nel palazzo detto “Badia”, dove
sempre rimase.
Numerose sono le edizioni
capolaghiane che fanno capolino
dagli scaffali della Biblioteca di via
quali l’ICCU censisce un unico
esemplare. Il 1831 fu invece l’anno
della cantica In morte di Lorenzo
Mascheroni di Vincenzo Monti,
corredata qui, per la prima volta,
degli ultimi due canti rimasti fino
ad allora inediti.
Senato, a partire dagli Esempi di bello scrivere in prosa scelti e illustrati
dall’avv. Luigi Fornaciari, che, pubblicati nel 1830, non compaiono
nella bibliografia di Caddeo2 e dei
Nella pagina accanto: ritratto di
Alessandro Volta al frontespizio
dell’Ape dell’agosto 1835. Sopra:
frontespizio degli Esempi di bello
scrivere di Luigi Fornaciari, 1830
Nel 1833 venne affidata alla
Tipografia Elvetica la stampa della
tragedia Lodovico Sforza, detto il Moro del toscano Giovanni Battista
Niccolini. Il perché di questa scelta
lo deduciamo da una lettera, datata
5 dicembre 1833, indirizzata dall’autore stesso al prof. Giovanni
Carmignani: «Ho dovuto farla
stampare [la tragedia Lodovico Sforza] fuori di Toscana, per non avere
nuovi dispiaceri dalla Censura, la
quale nessuno sa indovinare perché
vi abbia proibita la recita».3
Ecco presentarsi già a quest’altezza uno dei principali motivi
per cui molti autori decisero di rivolgersi alla stamperia di Capolago: sfuggire alla ferrea censura dei
vari staterelli italiani – tra i quali la
Toscana rappresentava, tra l’altro,
il paese più tollerante –.
La stessa sorte toccò nel 1834
alla Storia del Reame di Napoli dal
52
1734 sino al 1825 di Pietro Colletta,
la cui pubblicazione venne proposta all’Elvetica da Gino Capponi.
L’opera riscosse da subito un grande successo grazie sia al suo valore,
sia al nome dell’autore, sia alle polemiche che suscitò. Il testo venne
messo al bando dai reazionari,
mentre le censure e le polizie ne
vietavano l’introduzione con controlli alle dogane e presso i librai.
L’informatore di Livorno il 20 agosto del 1834 scriveva alla Polizia
milanese: «In Livorno si sono vendute una quantità di copie della Storia stampata del fu general Colletta
relativa al Regno di Napoli. Essa è
in 4 volumi e stampata a Capo Lago
[sic], come vedrà dal frontespizio
che qui accluso le rimetto. Da pochi brani che ne ho veduti parla con
molto livore di alcuni viventi; immaginatevi del resto; non si sa come
se ne possa permettere la vendita.
[…] In questi momenti è opera pericolosa assai per l’Italia e specialmente per il Regno di Napoli».4
A partire dal luglio 1833 si era
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
cominciata a stampare coi tipi dell’Elvetica L’Ape delle cognizioni utili.
La pubblicazione continuò fino a
tutto il 1835 – annata posseduta
completa dalla BvS – quando la rivista venne trasferita a Milano.
L’informatore che la Polizia
lombarda aveva a Lugano il 26 gennaio 1836 scriveva: «Per quanto
sappia, il compilatore dell’Ape è
l’avvocato Massa, piemontese, da
molti anni dimorante a Rovio col
permesso del Governo Sardo e del
Cantonale. Egli si serve per la maggior parte degli articoli del Journal
des connaissances utiles che stampasi a
Parigi da quello inseriti e di altri
consimili che vedono la luce in Italia. Vuolsi che gli articoli riguardanti l’industria serica siano scritti
e mandati da esperti in tal genere
appartenenti agli Stati Sardi; e non
mi consterebbe che alcun Lombardo scriva per quel foglio. Quello
che è certo si è che ha moltissimi
abbonati, tanto è il merito di quel
periodico, a cui devesi anche dar lode perché non importuni il pubblico di cose politiche, e su tale proposito è fermo nell’intendimento di
non parlarne giammai, per non demeritarsi il prezioso favore de’ varii
Governi degli stati d’Italia, che si
degnano permetterne l’ingresso e
lo smercio nelle rispettive dipendenze».5 Ma L’Ape venne posta sotto censura dal Ducato di Modena.
Ma, nonostante le difficoltà
continuamente incontrate dalle
edizioni stampate a Capolago nel
circolare liberamente negli stati
italiani, il loro successo portò alcuni editori e tipografi a produrre delle contraffazioni. Tale fu il caso delle Opere filosofico-politiche ed estetiche
di Mario Pagano, stampate dalla
Tipografia Elvetica nel 1837 e ristampate riportando gli stessi dati
editoriali, in questo caso falsi, al
frontespizio di un certo numero di
esemplari dell’edizione impressa a
Napoli da Gabriele Rondinella nel
1848, retrodatata perciò di 11 anni.
La Filosofia della storia di He-
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
53
Nella pagina accanto da sinistra: tavola litografica a colori raffigurante due militi dell’Artiglieria Bandiera-Moro (fasc. 10
dei Documenti della Guerra Santa d’Italia). Sopra: sede della Tipografia Elvetica di Capolago
gel uscì dai torchi della stamperia di
Capolago, tradotta dal tedesco da
Giambattista Passerini, nel 1840 e
fu riproposta con un’aggiunta l’anno successivo. In una lettera a Passerini datata 8 luglio 1843 Giuseppe Mazzini scriveva: «Ebbi finalmente il volume hegeliano e ve ne
ringrazio assai. Ho letto subito la
vostra prefazione: l’approvo in tutto; già sapete che appartengo alla
stessa serie d’idee».6 Fu soprattutto
grazie agli studi di Passerini che l’Italia cominciò a conoscere Hegel.
Nel 1844 venne pubblicato
dalla Tipografia Elvetica il primo
libro di carattere politico nazionale italiano: la seconda edizione, riveduta e aumentata, delle Speranze
d’Italia di Cesare Balbo. Il 1845 fu
invece l’anno Del buono di Vincenzo Gioberti. Qualcosa stava per
cambiare.
Il 31 ottobre 1846 la Tipografia Elvetica di Capolago divenne
proprietà di Modesto Massa e Alessandro Repetti, che ne faceva parte
fin dal 1844. L’anno successivo
Massa lasciò l’azienda nelle mani di
Repetti che in essa investì tutte le
proprie risorse fisiche ed economiche, dandole un carattere politico e
patriottico e rendendola uno strumento importante e attivo nell’ambito del Risorgimento italiano. Il
suo scopo principale fu infatti, fin
da subito, quello di rendere l’Elvetica editrice di opere di propaganda
italiana, anche invise o proscritte
dall’Austria. Dai suoi torchi uscirono proclami, fogli volanti, opuscoli
e libri di Balbo, Gioberti, Dall’Ongaro, La Farina, Cattaneo, Ferrari,
Rusconi, D’Azeglio, Tommaseo
ecc., che venivano poi introdotti
clandestinamente in Italia, soprat-
tutto per opera di Luigi Dottesio.
Nello stesso 1846 furono
stampate le Autentiche prove contro i
Gesuiti moderni e loro affigliati, difesa del Gesuita Moderno di Vincenzo
Gioberti che termina con queste
parole: «L’Italia, o Gioberti, vi deve molto, e vorrebbe rimunerarvi,
se in qualche modo ne avesse facoltà: non potendo altro vi ringrazia, e
afferma che in voi vede e riverisce il
più grande suo amico, il più ardente
fra’ suoi difensori. Il guiderdone
principale delle vostre fatiche,
l’immortalità vi è già assicurata, né
può fallirvi: continuate nella gloriosa impresa, e, favorendovi Iddio,
ne avrete intera la palma». L’anno
successivo fu la volta Della Sovranità e del Governo temporale dei Papi di
Leopoldo Galeotti, opera che riscosse grandi consensi presso l’opinione pubblica, ma che, a causa della sua visione moderata, non piac-
54
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
Contraffazione dell’edizione capolaghiana delle Opere filosofico-politiche ed
estetiche di Mario Pagano
que agli estremisti: ai mazziniani da
una parte, ai fautori dell’assolutismo clericale dall’altra.
Degni di nota furono poi i Documenti della Guerra Santa d’Italia.
28 fascicoli pubblicati tra il 1849 e il
1851, volti a costituire una ferma
denuncia contro la politica austriaca, proibiti in tutti gli stati italiani.
In un annuncio editoriale dell’epoca la redazione così scrive: «In questa Raccolta si pubblicheranno i
Documenti editi ed inediti della
nostra guerra, dai monti di Paler-
mo sino agli ultimi avvenimenti. A
concorrere alla perfezione di essa
noi invitiamo tutti gli Italiani che
possedono carte o atti ufficiali, note, o lettere pubbliche o private che
v’abbiano relazione; e preghiamo
tutti i generosi che ebbero parte
qualunque nel gran dramma della
nostra rivoluzione a dettare le loro
memorie, e comunicarle alla Tipografia editrice». Padre ideale della
collana fu probabilmente Carlo
Cattaneo.
L’unica opera di Niccolò
Tommaseo stampata dai torchi della Tipografia Elvetica (coeditrice la
NOTE
1
Citato in R. Caddeo, La Tipografia Elvetica di Capolago: uomini, vicende, tempi,
Milano, Alpes, Archetipografia, 1931, p. 14.
2
R. Caddeo, Le edizioni di Capolago:
storia e critica, Milano, Bompiani, 1934.
Citato in ibi, p. 185.
Citato in ibi, p. 93.
5
Citato in ibi, p. 31.
6
Citato in ibi, p. 150.
7
L. Gasparotto, La Tipografia degli esuli
a Capolago, Como, Gagliardi, 1911, pp. 21-22.
3
4
Libreria Patria di Torino), Rome et
le monde, uscì nel 1851, contemporaneamente alla prima traduzione
italiana eseguita, dietro approvazione dell’autore, da Giuseppe
Campi e dedicata «alla coscienza di
Pio IX». Il testo fu interdetto dalla
Censura toscana e messo all’indice
il 20 aprile del 1852, ma, grazie al
contrabbando, intorno alla metà di
settembre del 1851 il libro poteva
già essere letto in Firenze sia in
francese, sia in italiano. Tra il 1851
e il 1852 vennero inoltre pubblicati
le Carte segrete e Atti ufficiali della
Polizia austriaca in Italia in 3 volumi. Edizione che risentì dell’ormai
alterna fortuna finanziaria, oltre
che politica, dell’Elvetica: il terzo
volume non ebbe quasi diffusione.
Nel frattempo, il 12 gennaio
1851, Luigi Dottesio era stato arrestato al confine e, l’11 ottobre, impiccato a Venezia; Alessandro Repetti aveva ormai consumato tutto
il suo patrimonio per la causa italiana e così, il 12 marzo 1853, la Tipografia Elvetica di Capolago fermò i
suoi torchi.
Parlando dell’impresa ticinese Luigi Gasparotto scrisse: «L’Italia piangeva ancora i propri morti e
i morti rivivevano nei documenti di
Capolago. Il presente, prima ancora di diventare passato, veniva fermato nei piombi e immortalato nel
libro. Ecco il fatto nuovo e grande:
nessuna soluzione di continuità fra
l’avvenimento e la storia, fra il fatto
e l’insegnamento, fra il libro e la vita. In questo senso la Tipografia Elvetica ha fatto opera precorritrice
dei metodi moderni»7 e, scuotendo
le coscienze, ha contribuito alla nascita dell’Italia.
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
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BvS: rarità per bibliofili
L’elegante Histoire Naturelle
del conte di Buffon
Georges Louis Leclerc, tra Illuminismo e geniali intuizioni
ARIANNA CALÒ
L
e “Jardin Royal des Herbes
médicinales”, divenuto nel
1793 Museo nazionale di
Storia Naturale, è la più antica istituzione scientifica francese creata
dalla monarchia, dopo il Collegio
di Francia. Quando Georges Louis
Leclerc (1707-1788), conte di Buffon, ne viene nominato intendente
al posto dello scomparso Charles
Dufay, ha soli 32 anni e un brillante
estro scientifico, ottenuto maturando un’ampia formazione nei
campi della matematica, della cosmologia, della fisica, e soprattutto,
della biologia. Di nobile discendenza e vivace istruzione, vide l’ingresso nel mondo accademico con
la traduzione dall’inglese del Vegetable Staticks di Stephen Hales e del
Method of Fluxions di Isaac Newton.
La carica al Jardin du Roi diventa tuttavia la collocazione più
congeniale per la sua inclinazione
verso le scienze naturali.
Recensendo le collezioni sino
ad allora raccolte senza criterio di
ordinamento e organizzazione per
gli studi, Buffon ottiene credito e
autorevolezza presso i propri superiori e matura il progetto di un’opera che abbracciasse nella descrizio-
quindici volumi, un catalogo del
mondo naturale sino ad allora conosciuto attraverso il Jardin du Roi.
Ritratto di Georges Louis Leclerc,
conte di Buffon (1707-1788), antiporta
incisa tratta dal Supplément, Tome
Premier de l’Histoire Naturelle, 1774
ne tutta la ricchezza della natura.
I primi lavori preparatori segnano la data del 1744, e sono accompagnati da un intenso periodo di
studio ed erudizione, nel quale lo
stesso Buffon lascia trapelare i dettagli di quanto sarebbe venuto da lì a
breve; già nell’ottobre del 1748 il
Journal des Savants annuncia ai lettori il progetto di una pubblicazione in
Finalmente i primi tre volumi
appaiono nel 1749, recando il titolo
di Histoire naturelle, générale et particulière, avec la description du Cabinet du
Roi: edizione magnifica, licenziata
dai torchi dell’Imprimerie Royale e
dunque elevata al rango di ufficialità.1 Quanti aspettavano il saggio dell’universo vivente, in realtà ne ottengono la prefazione teorica: i volumi
pubblicati, infatti, non contengono
la lista del regno animale tanto attesa; il primo tomo stila di fatto un’introduzione metodologica generale
(Premier Discours. De la manière d’étudier et de traiter l’histoire naturelle) e
una teoria della Terra (con la descrizione della fisica terrestre, con ipotesi sulla sua formazione, l’origine delle montagne, il ruolo delle maree e
dei vulcani..).
Il secondo volume si apre con
un’Histoire générale des animaux, in
cui Buffon espone la propria teoria
della generazione e afferma l’unità
del mondo organico, seguita dal Discours sur la nature de l’homme, con l’affermazione della differenza metafisica dell’uomo rispetto agli animali.
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
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A sinistra: incisione a grandezza
naturale per “Le dragon”, dal primo
volume de l’Histoire naturelle des
quadrupèdes ovipares et des serpens par
M. le Comte de La Cepède, 1788.
A destra: frontespizio del primo
volume de l’Histoire Naturelle,
générale et particulière, avec la
description du Cabinet du Roi. Parigi,
Imprimerie Royale, 1749
Infine, al terzo volume, un’importante descrizione antropologica,
volta a classificare le Variétés dans l’espèce humaine.
Già dal prospetto iniziale,
dunque, l’Histoire naturelle di Buffon manifesta l’ambizione di riportare un sistema generale della natura, una “physique” che la analizzi nel
dettaglio e ne riduca a sistemi le operazioni.
Lontano dalla visione teologica che teorizzava lo “spettacolo” e la
perfezione della Natura come prova
dell’esistenza di Dio, Buffon si muove nel particulier per identificare le
forze materiali che vi operano: attrazione e propulsione per la fisica
della Terra (con l’intervento di una
cometa in luogo del soffio divino),
forze “penetranti” nella fisica dei
corpi viventi a spiegare l’organizzazione della materia. Una storia générale, dunque, che presuppone necessariamente un’altra filosofia della natura, nella quale il divino non è
più onnipresente.
“Principio sì giolivo ben conduce”: la prima tiratura è esaurita in
sei settimane, seguita da una seconda e da un’edizione in 12-mo nel
1750.
Il quarto volume compare so-
lo nel 1753, in ritardo rispetto al calendario ipotizzato dall’Autore,
presentando dopo grande attesa le
prime tre monografie sugli animali
domestici (cavallo, asino, bue). Ed
è proprio nella descrizione dell’asino che Buffon formula con chiarezza la ben nota teoria della “degenerazione”: e se l’asino non fosse altro
se non un cavallo degenerato? Prima di Lamarck e quasi un secolo
prima di Darwin, Buffon dà per la
prima volta un’impronta dinamica
agli organismi viventi e alle manifestazioni vitali.
La pubblicazione dei successivi undici volumi dedicati ai quadrupedi continua fino al 1767,
mantenendo costante la formula
per la quale ciascun animale è introdotto sia da uno scritto dello
stesso Buffon, con “les considera-
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la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
A destra: “La pantere femelle”,
Histoire naturelle […], Tome
quinzième, 1767
no pubblicati a ruota dal 1783 al
1788, con la firma del solo Buffon.
Eppure, mentre aggiungeva tessere
al mosaico della trattazione della
natura, già a partire dal 1774 Buffon concepisce l’idea della pubblicazione di vari Suppléments a l’Historie naturelle, esattamente come
Charles-Joseph Panckoucke e JeanBaptiste-René Robinet avrebbero
fatto due anni più tardi (17761777) con i quattro volumi di supplemento all’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert.
tions générales, la peinture des
mœurs et de pays, en un mot toutes
les parties où il pouvoit déployer
son génie et son talent dans l’art
d’écrire”,2 sia da una scheda elaborata dal suo collaboratore Louis
Jean-Marie Daubenton contenente i risultati di un preciso studio
anatomico condotto sugli esemplari “du Cabinet du Roi”.
La preparazione di biologo
permette a Buffon di sviluppare un
ulteriore primato, elaborando il
metodo di classificazione binomiale che, contrariamente a quanto si
pensa, è poi solo migliorato da Lin-
neo e introduce quindi i concetti di
Classe, Ordine e Famiglia, arricchendo la tassonomia zoologica e
botanica.
L’Histoire des oiseaux, in nove
volumi, è edita dal 1770 al 1783.
Daubenton abbandona il sodalizio
con Buffon, irritato dal permesso
concesso dall’Autore al libraio
Panckoucke di tirare un’edizione
priva degli interventi da lui firmati;
Buffon si avvale dunque degli apporti di Gueneau de Montbéliard e
dell’abate Bexon. A loro volta, i cinque volumi che formano la collezione dell’Histoire des mineraux so-
Tra i sette volumi (17741789, l’ultimo pubblicato postumo) dei Suppléments, la maggiore
attenzione va al tomo V, contenente le Époques de la nature, capolavoro ultimo dello studioso, completato all’età di 71 anni. La tradizione
critica sostiene che il manoscritto
dell’opera sia stato fatto ricopiare
da Buffon ben diciotto volte per
raggiungere la perfezione dell’ultima opera della maturità, il suggello
di tutta la sua lunga carriera di naturalista: ideale superamento di
quell’Histoire et Theorie de la Terre
pubblicata 29 anni prima nel primo
volume dell’Historie Naturelle, il testo propone una rielaboratissima e
completa storia della natura, dalla
sua origine, generata da comete entrate in collisione con il Sole, fino
alla sua futura e totale distruzione.
Assorbito dalla compilazione
di quest’ultima opera, Buffon delega il completamento degli ultimi
rami dell’“albero della natura” a
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Da sinistra. “Le sai a gorge blanche”, Histoire naturelle […], Tome quinzième, 1767.
“Le Kakatoës”, Histoire naturelle des oiseaux, Tome sixième, 1779
Bernard Lacépède che aggiunge ai
36 volumi sino ad allora pubblicati
una trattazione in cinque volumi
dei pesci, una storia dei cetacei e la
descrizione degli ovipari e dei serpenti (1786-1804), portando a termine, anche dopo la morte, il lavoro del maestro.
del XVIII secolo è un momento in
cui la storia dell’umanità e la filosofia della storia interessano sempre
più gli intellettuali; la maggior parte
di questi pensatori sostiene la convinzione di Buffon che la storia dell’umanità sia il seguito della storia
naturale e ponga gli stessi problemi
di metodo.
Abbracciando l’Illuminismo
e successivamente aprendo a nuovi
scenari, Buffon è stato dunque allo
stesso tempo testimone e attore
della profonda trasformazione intellettuale che ha marcato il passaggio dal XVIII al XIX secolo.
Elogiata come esempio di
“bello scrivere” in ambito scientifico (Buffon soleva ripetere “Le style,
c’est l’homme même”), ma malvista
e aspramente condannata per le innovazioni e i pioneristici metodi di
studio e classificazione, L’Histoire
naturelle, con i suoi Suppléments, segna un nodo cruciale nello sviluppo
della scienza settecentesca: la fine
NOTE
1
Il primo volume venne terminato di
stampare nell’agosto del 1749, ma non poté
essere messo in circolazione, insieme al secondo e al terzo, se non nel settembre, dovendo attendere l’impressione delle stampe
e la compilazione dell’elenco dei destinatari
a cui inviarli: dall’Imprimerie Royale furono
licenziati circa mille esemplari, di cui 250
destinati immediatamente alle biblioteche,
ai membri della famiglia reale, a dignitari, ad
alti funzionari e sovrani stranieri. Buffon ricevette per sé 86 esemplari, di cui 56 rilegati.
2
Richard, M. A., Œuvres complètes de
Buffon mises en ordre et précédées d’une
notice historique […], Parigi, Boulanger et
Legrand, 1830 ca., I, p. IV.
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61
BvS: dal Fondo Impresa
“Civiltà delle macchine”,
dalla ricostruzione al boom
La rivista che seguì la ripresa dell’Italia fondendo arte e scienza
GIACOMO CORVAGLIA
C
iviltà delle Macchine è stata
una rivista aziendale di Finmeccanica, prima, e del
Gruppo IRI poi. Stampata da gennaio 1953 (anno I, numero 1) a luglio
1979 (anno XXVII, numero 4 - 5).
“Civiltà delle Macchine” veniva distribuita con periodicità bimestrale
tramite abbonamenti omaggio ai soci
e ai clienti delle aziende del gruppo.
La rivista della Finmeccanica
fu ideata da Sinisgalli e nasceva dal
suo grande amore per i meccanismi,
per i congegni per le macchine. L’obiettivo era di avvicinare poeti, artisti e letterati alle macchine, al mondo della fabbrica e farli riflettere sui
loro ritmi e sui loro bisogni. La macchina viene vista come cerniera e
simbolo di civiltà.
Civiltà delle Macchine si ispirava
alla rivista Pirelli che era nata nel
1948 con l’intento principale di unire la cultura tecnico-scientifica e la
cultura più largamente intesa.
Temi relativi alla produzione,
alla scienza, alla tecnologia erano
trattati con un linguaggio semplice e
comprensibile a tutti uniti ad argomenti di interesse generale. Redatta
da personalità del mondo industriale
ma anche da persone estranee, la rivista si ispirava ai rotocalchi ed era ri-
Vito, Carlo Bo, Giorgio Caproni,
Libero De Libero, Carlo Emilio
Gadda, Alfonso Gatto, Alberto Moravia, Giuseppe Prezzolini, Michele
Prisco, Salvatore Quasimodo, Sergio Solmi. Grande importanza viene
data alla veste editoriale e alla copertina che è sempre a colori.
Nella pagina accanto: copertina
interna del numero 6 del 1953:
“IL CAMPIONE (statistico)”, Manzi
Sopra: Opera di Riccardo Manzi
apparsa sul numero 2 del marzo 1953
di Civiltà delle Macchine
volta al grande pubblico, uscendo tra
il 1948 e il 1972 a cadenza prevalentemente bimestrale. Anche Pirelli fu
diretta Leonardo Sinisgalli.
La testata si avvaleva di collaboratori prestigiosi e famosi del calibro di Arnaldo Maria Angelini,
Francesco Santoro-Passarelli, Giuseppe Ungaretti, Francesco Maria
Nato a Montemurro, in provincia di Potenza, nel 1908 Sinisgalli studia ingegneria, ma poi, emigrato a Milano negli anni ’30, si occupa
di poesia e design, e soprattutto progetta riviste con l’intento di gettare
un ponte tra la cultura umanistica e
quella scientifica. Sinisgalli ha la fortuna di cogliere il momento giusto,
quello cioè in cui alcuni dirigenti industriali si fanno carico dell’aspetto
culturale e pubblicano riviste di
grande spessore con l’aiuto e la collaborazione di firme illustri.
Così scriveva Sinisgalli in un
articolo apparso nella rivista Pirelli
del giugno 1951: “La Scienza e la
Tecnica ci offrono ogni giorno nuovi
ideogrammi, nuovi simboli, ai quali
non possiamo rimanere estranei o
indifferenti, senza il rischio di mummificazione o di una fossilizzazione
totale della nostra coscienza e della
62
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
Da sinistra: linoleum di Pablo Picasso, copertina del numero 6 del 1962; Numero 1 di gennaio-febbraio 1961: copertina
originale di Gino Severini
nostra vita. L’uomo nuovo che è nato
dalle equazioni di Einstein e dalle ricerche di Kandinskij è forse una specie di insetto che ha rinunciato a
molti postulati: è un insetto che sembra incredibilmente sprovvisto di
istinto di conservazione. […]
“L’Arte deve conservare il
controllo della verità, e la verità dei
nostri tempi è una verità di natura
sfuggevole, probabile più che certa,
una verità “al limite”, che sconfina
nelle ragioni ultime, dove il calcolo
serve fino ad un certo punto e soccorre una illuminazione; una folgorazione improvvisa. Scienza e poesia
non possono camminare su strade
divergenti”.
Civiltà delle macchine diviene
subito una testata molto apprezzata
dal pubblico del tempo, italiano e no.
Tra i vari fattori che hanno contribuito e determinato la fondazione
del bimestrale il più importante è legato sicuramente a Giuseppe Eugenio Luraghi (1905 – 1991) che, chiamato nel ’52 a dirigere Finmeccanica, affida a Sinisgalli la direzione della rivista.
Il direttore, in questa sua impresa editoriale, si giova sia della sua
esperienza al servizio della grande
industria sia della sua frequentazione con pittori e poeti, per “spiegare
le macchine” agli uomini di scienza e
agli uomini di lettere; ai primi offre
la letteratura, e i secondi li manda a
frequentare le fabbriche. Il periodico nasce con l’obiettivo di analizzare
e raccontare la civiltà tecnologica,
cercando di far dialogare l’universo
umanistico con quello scientifico.
Non a caso il progetto individua il
suo nume tutelare in Leonardo da
Vinci, a cui la rivista dedica la copertina del primo numero (che reca una
riproduzione del manoscritto sul volo degli uccelli) e una serie di articoli
finalizzati ad illustrare sia gli interessi meccanici, idraulici, architettonici
che quelli letterari del genio.
L’idea di mettere in contatto
industria, architettura, pittura,
scienza e letteratura si attua attraver-
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
so una serie di iniziative presentando
a un pubblico di non addetti ai lavori
figure di rilievo nel panorama degli
studi matematici e fisici o accostando articoli d’argomento artistico letterario a saggi di natura puramente scientifica, affidandoli a specialisti, ma con un taglio divulgativo.
Un ruolo determinante hanno
i poeti e gli artisti cui viene chiesto di
schierarsi pro o contro le macchine
come con le Lettere di Ungaretti,
Gadda, Moravia, Ferrata, Tofanelli,
che aprono i primi numeri della rivista, o di visitare le fabbriche per poi
raccontarne le impressioni attraverso una serie di cronache.
Civiltà delle Macchine divenne
una rivista sempre più ambiziosa che
mirava alla coesistenza tra due mondi. Nel primo numero (1953), Sinisglalli pubblica una lettera di Giuseppe Ungaretti. Che un poeta, premio Nobel per la letteratura, scriva
alla rivista aziendale della Finmeccanica, è il segno chiaro che due culture: quella scientifica e quella umanistica si stiano fondendo in un’unica
identità.
Così parte la grande avventura
di “Civiltà delle Macchine” che dopo
il primo anno di pubblicazione, diviene un punto di riferimento per la
comunità culturale internazionale
nel suo essere un punto di unione tra
fisica e poesia, matematica e scultura, meccanica e pittura, architettura
e scienze umane.
Sinisgalli firma la direzione dei
primi diciannove numeri della rivista: dal numero 1 del gennaio 1953 al
numero 2 del marzo-aprile 1958.
Dal numero 3 di giugno – luglio
1958 la direzione passa sotto la guida
di Francesco D’Arcais.
Mentre la fase sotto la direzione di Sinisgalli è caratterizzata dalla
ricerca di convergenze comuni, la
seconda segue una vocazione più descrittivo-didascalica.
Sotto la guida di D’Arcais la testata acquisisce una fisionomia meno divulgativa, predilige un taglio
settoriale, con interventi radunati
per temi o raggruppati in numeri
monografici, dedicati a precisi eventi storici, a ricorrenze storiche, ad avvenimenti di attualità, come ad
esempio i numeri monografici dedicati al centenario dell’Unità (nell’ottobre del 1961), al settecentenario
della nascita di Dante Alighieri (settembre/ottobre 1965), il cinquecentenario della nascita di Niccolò Copernico (gennaio/aprile 1973).
Dopo ventisette anni di attività
nel 1979, con il numero 4 – 6 luglio
dicembre, la rivista chiude. L’ultima
uscita apre con Commiato di Fran-
63
cesco D’Arcais, Una rivista muore:
«Scrivevo nel fascicolo del Venticinquesimo, nascondendo sotto la forma di un aforisma forse inconsci presagi di eventi non lontani, che «una
rivista nasce e, un giorno o l’altro,
muore». Quel giorno è venuto.
“Civiltà delle Macchine” finisce come “rivista di cultura contemporanea”, un sottotitolo sostanzialmente legato e riferito alla testata
durante il lungo periodo della mia
gestione, e termina di conseguenza
con questo numero la mia direzione.
Concludiamo dunque insieme, questa rivista ed io, la lunga stagione di
iniziativa e ricerca culturale – senza
alcun altro interesse che non fosse
quello del dibattere e del conoscere –
durata ventidue anni , quanti ne conta , si può dire una generazione umana; e concludiamo il nostro grande
ciclo offrendo ai lettori la “riflessione ultima”, anche sotto l’aspetto speculativo e culturale: ed è del resto ,
una coincidenza felice».
“Cornigliano ottobre 1953” di Gentilini, Civiltà delle Macchine numero 6 del 1953
64
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
L’impegno di Med
6.000 spot gr
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
iaset per il sociale
atuiti all’anno
6.000
i passaggi tv che Mediaset, in collaborazione con
Publitalia’80, dedica ogni anno a campagne di carattere sociale.
Gli spot sono assegnati gratuitamente ad associazioni ed enti
no profit che necessitano di visibilità per le proprie attività.
250
i soggetti interessati nel 2008 da questa iniziativa.
Inoltre la Direzione Creativa Mediaset produce ogni anno,
utilizzando le proprie risorse, campagne per sensibilizzare
l'opinione pubblica su temi di carattere civile e sociale.
3
società - RTI SpA, Mondadori SpA e Medusa SpA costituite
nella Onlus Mediafriends per svolgere attività di ideazione,
realizzazione e promozione di eventi per la raccolta
fondi da destinare a progetti di interesse collettivo.
65
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la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
67
BvS: un editore del Novecento
Scheiwiller, due generazioni
di editori a Milano
Giovanni e Vanni e i loro taschinabili all’Insegna del Pesce d’Oro
PAOLA MARIA FARINA
A
ventisette esemplari su carta Japon
numerati da I a XXVII per gli Amici
del libro), fu a spese dello stesso editore.3 Costui, di fronte al successo e
all’apprezzamento verso la nuova
collana, decise ben presto di vararne
altre, come “Serie Illustrata”, “Serie
a colori”, “All’Insegna della baita van
Gogh” e “Occhio magico”, destinate
a raccogliere e testimoniare le esperienze più significative dell’arte e
della letteratura di quegli anni.
rte e Letteratura. Oriente e
Occidente. Sono queste le
passioni che hanno accomunato Giovanni e Vanni Scheiwiller,
padre e figlio milanesi di origini
svizzere, e che hanno trovato
espressione nella loro lunga e proficua esperienza editoriale “All’Insegna del Pesce d’Oro”. Il nutrito fondo Scheiwiller che la BvS conserva
permette di analizzare e valutare
l’attività di questi importanti editori
nell’arco del secolo scorso.
Nato nel 1889 nel capoluogo
lombardo, Giovanni fu per molti
anni direttore della Libreria Hoepli,
per la quale nel 1925 inaugurò la
collana “Arte Moderna Italiana”,
comprendente testi in 16mo dedicati ad artisti contemporanei del panorama nazionale, e alla quale, dopo
pochi anni, e precisamente nel 1931,
affiancò la collana “Arte Moderna
Straniera”, dimostrando quella peculiare volontà di guardare oltre i
confini italiani e quel cosmopolitismo intellettuale che il figlio Vanni
avrebbe pienamente ereditato.1
La collana “All’Insegna del
Pesce d’Oro”, il cui nome deriva da
quello di una trattoria toscana di via
Pattari a Milano nella quale i due
Nella pagina accanto: copertina
di un’edizione Scheiwiller: Filippo
Tommaso Marinetti, Bombe bambini
bambine Santi e Madonne, Milano,
Scheiwiller - Strenna per gli Amici,
1976.
Sopra: Aligiu Sassu, Passio Christi.
Bassorilievi di Manzù, Milano, 1945
editori erano soliti incontrare artisti
e uomini di cultura,2 venne fondata
nel 1936 e il volume d’esordio fu 18
poesie di Leonardo Sinisgalli, poetaingegnere lucano, che inaugurò con
i suoi versi la prima “Serie Letteraria” curata da Scheiwiller.
La stampa, in duecento esemplari numerati su carta uso mano (e
Vanni subentrò al padre alla
guida dell’ormai ben avviata impresa
editoriale nel 1951, pubblicando in
quarantotto anni di attività (dal 1951
al 1999)4 oltre tremila titoli suddivisi
in quarantaquattro collane. Tra le
più rinomate “Acquario”, “Carteggi
di artisti”, “Lunario”, “La coda di
paglia”, “Collana critica”, “Nuova
Serie Illustrata”, “Narratori”, “Prosatori”, “Poeti”, “Poeti stranieri tradotti da Poeti Italiani”, “Pagine di
Letterature Straniere Antiche e Moderne”, “La Primula Rossa”, “Il
Quadrato” e gli annuali volumi fuori
commercio delle “Strenne per gli
Amici di Paola e Paolo Franci”.
Proprio la sovrabbondanza di
collane varate da Vanni fu uno dei
motivi di maggiore critica nei suoi
68
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
Da sinistra: Acquaforte originale numerata e firmata di Franco Fortini allegata alle prime cento copie di Franco Fortini,
Versi primi e distanti. 1937-1957, Milano, 1987 (Acquario, 167). Uccello Rut, acquaforte originale di Fabrizio Clerici su
carta Japon, per la cartella di Marco Polo, Dell’isola di Madegascar, Milano, 1955 (Serie Incisioni Originali)
confronti, tanto che in più occasioni
i librai lo rimproverarono appunto
di avere nei suoi cataloghi più collane che libri.5
Alcune sono le caratteristiche
più notevoli, e per molti aspetti inedite, delle pubblicazioni Scheiwiller.
Anzitutto, la predilezione per i formati piccoli e piccolissimi (anche in
32mo), quelli che lo stesso Vanni ribattezzò taschinabili6 e che si conquistarono anche il nome di libri-farfalla; si tratta, infatti, di libricini non solo da tasca, ma addirittura da taschino, che nelle loro paginette accolgo-
no famosi poeti e artisti italiani e
stranieri.
Innumerevoli i nomi che hanno trovato spazio in queste edizioni e
la scelta di essi era legata, oltre che alla sensibilità e al gusto personali, a un
preciso impegno dell’editore, ovvero lo sforzo di affiancare i grandi nomi della letteratura italiana moderna
e contemporanea (tra i prediletti:
Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti, Clemente Rebora, Franco
Fortini, Giacomo Noventa, Libero
de Libero, Aldo Palazzeschi, Vittorio Sereni, Elio Vittorini, Camillo
Sbarbaro, Dino Campana, Giovanni
Raboni, Alda Merini, Nanni Bale-
strini, Felice Chilanti) a quelli di illustri autori stranieri di fama internazionale (come Ezra Pound,7 Costantino Kavafis, Ghiannis Ritsos, Seamus Heaney, Murilo Mendes, James
Joyce, Paul Valéry, T. S. Eliot, Guillaume Apollinaire).
L’obiettivo era quello di raccordare la cultura italiana alle altre
culture, istituendo percorsi e rimandi in un orizzonte che spaziava dalla
produzione dialettale a quella europea ed extraeuropea.
L’asse geografico lungo il quale
si mosse Vanni comprendeva sia
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
l’Occidente sia l’Oriente, percorsi e
indagati seguendo una volontà di riscoperta delle tradizioni e delle culture meno conosciute o addirittura
marginali; emblematici, a questo riguardo, alcuni titoli della collana
“Oltremare”, fondata nel 1951, come Proverbi cinesi (1956), Proverbi dei
negri dell’Africa (1956), Cinquanta
bantu indonesiani (1956), Strofe del
Vietnam (1956) e Proverbi kurdi
(1963), tutti raccolti da Giacomo
Prampolini, e ancora Antiche liriche
giapponesi (1956), Poesie degli Indios
Piaroa (1957) e Incantesimi e scongiuri
degli antichi Egiziani (1958).
All’asse Est – Ovest occorre
aggiungere, e incrociare, un secondo
asse, quello Arte – Letteratura. L’amore per l’arte, innanzitutto, si tradusse in innumerevoli edizioni dedicate agli artisti maggiormente rinomati, da Amedeo Modigliani a Bru-
no Munari, da Giorgio De Chirico
ad Adolfo Wildt, da Mario Sironi a
Filippo De Pisis, da Fabrizio Clerici
a Carlo Carrà, passando per il francese Henri Matisse, il giapponese
Kengiro Azuma, lo spagnolo Pablo
Picasso, la polacca Alina Kalczyńska
(moglie dello stesso Vanni).
Un panorama ampio e variegato, che spaziava lungo amplissime
coordinate geografiche e artistiche
per superare i confini del nostro Paese e far respirare all’Italia e agli italiani un po’ di cultura internazionale,8
senza per questo trascurare un sacrosanto culto delle radici.
In generale, le raccolte poetiche del catalogo Scheiwiller si presentano come brevi sillogi contenenti al massimo poche decine di
componimenti, i quali si propongo-
69
no come selezione rappresentativa
della produzione di un autore.
L’arte e la letteratura non rimasero certo interessi tra loro separati,
ma si declinarono anche in una ricerca attenta e tutt’altro che occasionale
in merito al rapporto tra immagine e
testo, tra pittura, scultura e parola:
da qui, numerose edizioni di testi in
prosa e poesia accompagnate da pregevoli illustrazioni e, talvolta, anche
da incisioni originali numerate e firmate da artisti di grande fama (come
le sei acqueforti di Giuseppe Viviani
con la presentazione di Libero de Libero, la raccolta poetica di Franco
Fortini accompagnata da un’incisione dello stesso autore, le acqueforti
su carta Japon di Fabrizio Clerici per
Dell’Isola di Madegascar di Marco Polo e l’incisione di Mirando Haz che
illustra la raccolta Un Albero di Natale, tutte opere conservate in BvS).
Da sinistra: La prima opera edita “All’Insegna del Pesce d’Oro”: Leonardo Sinisgalli, 18 poesie, Milano, 1936.
Una delle strenne per gli Amici di Paola e Paolo Franci, con applicata alla copertina una pietra serigrafata di Ghiannis Ritsos:
Ghiannis Ritsos, 12 poesie per Kavafis. Tradotte da Nicola Crocetti, Milano, Scheiwiller - Strenna per gli Amici, 1977.
La copertina di uno dei volumetti Scheiwiller della collana “Acquario”: Franco Fortini, Versi primi e distanti. 1937-1957,
Milano, 1987 (Acquario, 167)
70
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
bizzarra, ma sempre estremamente
piacevole e curiosa a vedersi.
Inoltre, furono date alle stampe serie di titoli di artisti presentati
da letterati e di poeti illustrati da artisti, come per esempio Sarfatti – Funi, Soffici – Carrà, Solmi – De Pisis,
Sinisgalli – Degas, testi che contribuirono significativamente a infittire le maglie di una rete espressiva e
artistica multiforme.
Artisti e scrittori non s’incontravano solo sulla carta, ma come ricordato in una testimonianza in memoria di Vanni, grazie all’editore si
creavano preziose occasioni di conoscenza diretta tra gli stessi protagonisti della cultura di quegli anni:
«Scheiwiller era anche questo, un
motore di aggregazione di letterati e
artisti, di cui appunto le edizioni all’Insegna del Pesce d’Oro erano la
superficie pubblica».9
A proposito della contaminazione tra espressione artistica e letteraria, meritano una menzione particolare le pubblicazioni che Vanni
Scheiwiller dedicò ai futuristi e alla
neoavanguardia, correnti che ben
esprimevano in forme nuove e spesso piuttosto ardite quella connessione tra disegno e parola che l’editore
tanto amava; ne derivarono volumetti che riuscivano a coniugare versi, forme e colori in maniera a volte
La scelta, infine, di affidare la
stampa dei volumi “All’Insegna del
Pesce d’Oro” ad alcuni tra i maggiori
tipografi italiani (Mardersteig, Lucini, Campi, Riva, Maestri) dimostra
quanto l’attenzione e la cura dell’editore fossero rivolte anche all’aspetto artigianale del libro in quanto
oggetto, in relazione alla volontà di
presentare un prodotto editoriale di
qualità e fattura apprezzabili.
Giovanni e Vanni Scheiwiller
sono stati editori estremamente raffinati e colti, con una notevole dose
di coraggio, capacità di sperimentazione e lungimirante intuizione,
pregi che hanno reso l’esperienza
editoriale scheiwilleriana un caso di
significativa importanza nel panorama milanese novecentesco.
NOTE
1
PIETRO GIBELLINI, Il Pesce d’Oro in dialetto,
in Per Vanni Scheiwiller, a cura di Alina
´
Kalczynska,
Milano, Libri Scheiwiller, 2000
(edizione fuori commercio), p. 148.
2
JOLE DE SANNA, Vanni Scheiwiller: Fausto
Melotti, in Per Vanni Scheiwiller, pp. 98-99.
3
SILVIA BIGNAMI - ROBERTA CESANA - DAVIDE
COLOMBO, I due Scheiwiller. Editoria e cultura
nella Milano del Novecento, a cura di Alberto Cadioli – Andrea Kerbaker – Antonello
Negri, Milano, Università degli Studi di Milano - SKIRA, 2009 (Le vetrine del sapere, 8),
p. 70.
4
Nel 1977, per superare una stagione di
difficoltà economiche, Vanni Scheiwiller
fondò la Libri Scheiwiller, destinata alle
pubblicazioni per banche e aziende.
5
S. BIGNAMI - R. CESANA - D. COLOMBO, I due
Scheiwiller. Editoria e cultura nella Milano
del Novecento, p. 92.
6
DOMENICO ASTENGO, “Lei è Vanni Schei-
willer?”, in Per Vanni Scheiwiller, p. 26.
7
La famiglia Scheiwiller fu, tra l’altro, legata a Ezra Pound da un duraturo e affettuoso rapporto d’amicizia, oltre che professionale.
8
GIUSEPPE GUGLIELMI – SERGIO ROMANO, Arcana Scheiwiller. Gli archivi di un editore, a
cura di Linda Ferri e Gianfranco Tortorelli,
Milano, Libri Scheiwiller, 1986, p. 21.
9
ALESSANDRO SPINA, Nell’Ordine degli Imperdonabili, in Per Vanni Scheiwiller, p. 286.
Disegno a penna e dedica autografa di Fabrizio Clerici all’amica Luisa,
contenuti nella copia posseduta dalla Biblioteca di via Senato di Fabrizio
Clerici, Capricci 1938-1948, Milano, 1957 (Serie Illustrata, 60)
72
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
BvS: una Storia editoriale
I Salani, editori fiorentini
con la passione per Dante
Dal 1862 al 1966, l’epopea di una grande “casa” nota per i piccoli
VALENTINA CONTI
L
a casa editrice Salani è conosciuta soprattutto per la pubblicazione della collana “La
Biblioteca dei Miei Ragazzi”, edita
tra il 1931 e il ’55, e per il recente successo della saga di Harry Potter.
Il fondatore Adriano Salani
(1834-1904) e i suoi successori, il figlio Ettore (1869-1937) e il nipote
Mario (1894-1964), però, realizzarono molte altre opere degne di lode,
ma meno note, molte delle quali
conservate in BvS. I tre editori mantennero tutti una politica editoriale
basata sul rispetto della morale “libri
un po’ allegri sì, sporchi e cattivi
mai”, ma ognuno indirizzò le proprie pubblicazioni verso un pubblico
o un argomento specifico.
Il “Rossino”, così veniva chiamato Adriano per il colore dei capelli, era un giovane di poca cultura, ma
munito di grande tenacia e molta intraprendenza, doti che lo aiutarono a
fondare la sua attività tipografica a
Firenze nel 1862, dopo anni di apprendistato presso le botteghe di
Luigi Niccolai, Felice Le Monnier,
Ferdinando Mariani e Spiombi.1
In origine pubblicò prevalentemente fogli volanti e libretti economici realizzati per soddisfare le
importanti: «Biblioteca Illustrata
delle Opere Celebri», «Biblioteca
Moderna», «Biblioteca Economica», «Biblioteca Salani Illustrata»,
«Romanzi di Carolina Invernizio»,
«Classici e Poesie», «Volumetti a 25
centesimi», «Biblioteca Scolastica»,
«Codici e Leggi», «Libretti di Versi
e Novene», «Libri da Messa», «Libretti a 5 centesimi», «Librettini Illustrati di storie antiche moderne»),
tutte vendute a prezzi ridotti.
Chiostri riassume in una tavola il
mondo delle favole: animali, fate e
gnomi, compagni inseparabili, sono
protagonisti dei sogni dei bambini
esigenze del popolo minuto, ma tale
destinazione dei suoi prodotti librari
costò alla casa editrice lo scarso interesse degli studiosi che, come afferma Mario Infelise, tendono a essere
vittime di una sorta di pregiudiziale
colta, che penalizza la memoria delle
letture più diffuse e popolari.2
L’editore organizzò la produzione in diverse collane (tra le più
La particolarità di dedicarsi a
un pubblico poco avvezzo alla lettura
stimolò Salani a trovare espedienti
per interessare i suoi clienti e tenerne desta l’attenzione. Per questo
motivo la cura della veste tipografica
e l’uso delle immagini caratterizzarono da sempre la produzione del
fiorentino.
L’apparato iconografico, oltre
ad arricchire e rendere esteticamente più piacevole un libro, ne manifestava immediatamente il contenuto:
anche chi non era in grado di leggere
autonomamente il testo aveva la possibilità di seguire attraverso le immagini la storia narrata.
Le illustrazioni di copertina
avevano una funzione diversa, d’impatto, finalizzata ad attirare l’atten-
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
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Carolina Invernizio, I sette capelli d’oro
della fata Gusmara, Firenze, Salani,
1909. La fata introduce un pubblico di
bambini del primo novecento alla
magia del cinematografo. La realtà
moderna convive con la fantasia
zione dei possibili acquirenti esplicitando anche il contenuto dell’opera.
Con il passare degli anni la ripetizione di elementi iconografici aiutava i
lettori a scegliere i testi, creando anche un legame con il pubblico che si
fidelizzava alla casa editrice.
Tra gli artisti che lavorarono
con Salani è da ricordare Carlo
Chiostri (1863-1939), uno dei massimi illustratori vissuti in Italia tra
Otto e Novecento, che si dedicò alle
illustrazioni di libri per bambini, in
particolare quelli di argomento fiabesco dove la creazione grafica poteva sbizzarrirsi maggiormente.
La casa editrice rivolse sempre
un’attenzione speciale ai lettori più
giovani realizzando molte collane di
racconti per l’infanzia, tra le quali
«Libri pei ragazzi» della Biblioteca
Salani Illustrata e i «Racconti delle
Fate», tutte arricchite dai disegni di
Chiostri.
L’artista si occupò anche delle
vignette per i dodici volumi del ciclo
di «Marchino: l’Asinello Volante»
(1914-1924) di Tommaso Catani
[Marchino: Avventure d’un asino, Firenze, Salani, 1914] realizzando illustrazioni grandi e piccole, in bianco e
nero o a colori, creando una piccola
enciclopedia naturalistica con un’atmosfera sospesa tra il realismo magico e la divulgazione scientifica.3
Questa ambivalenza è particolarmente esplicita nel disegno “Il cinematografo delle fate” proposto
nel racconto di Carolina Invernizio,
I sette capelli d’oro della fata Gusmara
(1909), dove Chiostri riuscì a unire il
tema fantastico con elementi reali illustrando una fata che spiega a dei
bambini un cartone animato proiettato al cinema. Un’autentica novità,
poiché la prima proiezione di disegni
animanti avvenne in Francia nel
1908 e il cinema, inventato nel 1895
dai fratelli Lumièr, era protagonista
della scena culturale dell’epoca.
Adriano Salani raggiunse il suo
traguardo di massimo successo nel
1886 con la pubblicazione della Di-
vina Commedia voltata in prosa con testo a fronte, curata da Mario Foresi
con illustrazioni di Enrico Mazzanti.
Quest’opera promosse definitivamente il Rossino dal rango di mero
tipografo a editore, ma non rappresentò un cambiamento di politica
editoriale, bensì un’evoluzione.
Salani e Foresi, realizzarono
per la prima volta una versione in
prosa e senza note dell’opera di Dante affinché la conoscenza di uno dei
capolavori cardine della nostra tradizione fosse accessibile anche ai lettori meno preparati culturalmente
attraverso una lettura “facile, dilet-
74
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
Francesco Petrarca, Le Rime
di Francesco Petrarca voltate in prosa
col testo a fronte
da Mario Foresi, Salani, Firenze,
1904, pag. 452, 453.
È manifesto il cambiamento grafico
tra gli originali in poesia
e i corrispondenti componimenti
in prosa
tevole e corrente”, come la definì
egli stesso nella prefazione.
L’edizione riscosse l’ammirazione di molti intellettuali, tra cui
Giambattista Giuliano che la reputò
una “pubblicazione di somma importanza, la sola adatta per eccellenza a propagare la lettura del divino
poema […]. Noi salutiamo come un
avvenimento letterario questa versione: a lei molti stranieri e moltissimi italiani dovranno la completa lettura del nostro poema nazionale, e
alla perfetta conoscenza di esso, un
più largo e sereno orizzonte del loro
intelletto”.
Il 7 ottobre 1886 il ministro
della Pubblica istruzione Coppino
inviò una lettera a Salani encomiando “il nobile scopo che questa parafrasi della Divina Commedia avrebbe conseguito” e scrivendo che “il
Re, il quale mostrava testè l’alto conto in cui tiene gli studi danteschi, accolse con benevolenza la bella pubblicazione fatta da S. V. nell’intendimento di diffondere la conoscenza
del divino poema”.4
Il successo di vendite della
Commedia in prosa fu tale che nel
1899 Salani giunse a pubblicarne
una terza edizione riveduta e corretta, divisa in tre volumi in sedicesimo
in sostituzione dell’unico tomo in
ottavo, meno maneggevole, della
prima edizione.
Nel 1904 Adriano, affiancato
dal figlio Ettore, propose un’edizione voltata in prosa anche delle Rime
del Petrarca curata da Mario Foresi
“per i giovani, per i forestieri, per i
non letterati in generale, nonostante
la sentenza del Settembrini che il Petrarca si sente non si commenta, la
lettura di questo sommo poeta può
risultare ardua”.
Foresi giustificò l’assenza delle
note spiegando che “il lettore novellino non ha perseveranza” di studiare i commenti che accompagnano il
testo e che meglio gli si addice “una
lettura senza sforzo, più dilettevole”
al fine di ottenere una “più profonda
impressione dell’opera”.5
Alla morte di Adriano, avvenuta nel 1904, la direzione fu affidata al
figlio Ettore, che trasformò l’impresa artigianale del padre in una industriale. Egli abbandonò l’idea di rivolgersi esclusivamente al popolo
minuto, creando diverse collane corrispondenti alle differenti età dei lettori e perseguendo lo scopo di pubblicare “libri buoni a buon prezzo”
per un pubblico più ampio.
Desideroso di emulare il successo ottenuto dal padre con l’edizione della Divina Commedia del
1886, studiò un’edizione dell’opera
dantesca per celebrare il seicentenario dell’autore. Nel 1921 con la collaborazione di Enrico Bianchi, docente presso l’università di Firenze, pubblicò la Divina Commedia come primo numero dell’“Edizione Florentia”, una collana di classici ispirata alla collezione francese “Edition Lutetia” proposta da Nelson Editeurs.
Questa edizione valse al Salani
molti elogi e il filologo Ermenegildo
Pistelli, maestro nelle scuole dei padri Scolopi, scrisse un articolo intitolato Il Salani e Dante pubblicato sul
«Marzocco» del 13 luglio 1925, nel
quale giudicò la pubblicazione “degna del migliore stampatore ed editore” aggiungendo che “nel centenario dantesco non era uscito un
Dante che valesse quello del Salani,
con una legatura di schietta eleganza, tipi bellissimi e netti, formato
maneggevole, carta buona, corre-
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
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Da sinistra: Dalì illustra
con il suo inconfondibile stile
pittorico caratterizzato da forme
molli il morso di Gianni Schicchi
raccontato nel XXX dell’Inferno
della Divina Commedia.
Eloquente disegno di Dalì
raffigurante un uomo condannato
in Purgatorio che guarda
dentro si se’, aprendo dei cassetti
nel suo corpo, per trovare
e cancellare i suoi peccati.
“l’uman spirito si purga e di salire
al ciel diventa degno” (Purg. I)
zione tipografica perfetta, commento sobrio, chiara, alla portata di tutti
ad un prezzo veramente irrisorio”, di
5,75 lire.
Con Ettore la casa editrice attraversò il suo periodo di massimo
splendore, durante il quale furono
varate più di 22 nuove collane, dedicate soprattutto ai ragazzi, e la produzione dei libri divenne totalmente
interna in seguito a ingenti investimenti nell’acquisto di strumenti di
lavoro all’avanguardia che garantirono la produzione di opere di qualità a prezzi ridotti; ma la stabilità economica non durò a lungo poiché la
politica fascista e i conflitti mondiali
influirono negativamente sul mercato editoriale italiano e portarono
anche la Salani a un’inevitabile crisi.
Fu per merito di Mario, suo figlio, se la casa editrice riuscì a superare il periodo di difficoltà, interrompendo le pubblicazioni solo nel
1944. Si concentrò sulle collane per
ragazzi e ampliò la produzione delle
opere religiose, rendendole il fiore
all’occhiello del proprio catalogo.
Le conseguenze degli scontri bellici,
e le calamità che si riversarono su Firenze in quegli anni, non resero possibile la sopravvivenza autonoma
della Salani, che nel 1960 divenne
una S.p.a.
Parte del pacchetto azionario
fu acquistata da Mirko Skofic, marito dell’attrice Gina Lollobrigida e
già proprietario della piccola casa
editrice romana Arti e Scienza.
Questa collaborazione permise di pubblicare opere di pregio come l’edizione della Divina Commedia del 1963 illustrata da Dalì.
L’esemplare conservato presso
la Biblioteca di via Senato è composto da 9 volumi, ciascuno in propria
custodia, e impressi nel torchio a mano dell’Officina di Verona su carta a
tino del Giappone Kaji Torinoko: 2
volumi per cantica, 1 con 100 tavole
a colori, 1 con le progressive dei colori di una tavola e 1 con 100 tavole in
nero riprodotte in calcografia. Furono necessari 5 anni di lavoro per incidere i 3500 legni delle illustrazioni
permeate del periodo mistico e metafisico di Dalì.
Nonostante l’importanza delle
sue ultime edizioni la Salani s.p.a. alla fine degli anni ’60 era quasi sull’orlo del fallimento quando fu rilevata
dal gruppo Longanesi di Milano che
la rilanciò sul mercato, permettendole di restare una delle case editrici
italiane più importanti.
1
Adriano Salani tipografo editore fiorentino, Firenze, Salani, 1910.
2
Libri per tutti: generi editoriali di larga
circolazione, tra antico regime ed età contemporanea, a cura di Mario Infelise, Lodovica
Braida, Torino, Utet libreria, 2010.
3
Fernando Tempesti, Paola Pallottino, Tra
fate e nani. Il mondo incantato di Carlo Chio-
stri, Firenze, Salani, 1988.
4
Dante Alighieri, La Divina Commedia
voltata in prosa col testo a fronte da Mario
Foresi, Firenze, Salani, 1899.
5
Francesco Petrarca, Le Rime di Francesco
Petrarca voltate in prosa col testo a fronte da
Mario Foresi, Firenze, Salani, 1904.
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la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
BvS: nuove schede
Recenti acquisizioni della
Biblioteca di via Senato
Ex libris, prime edizioni, esemplari rari e “numeri” speciali
Arianna Calò, Valentina Conti,
Giacomo Corvaglia, Margherita
Dell’Utri, Paola Maria Farina,
Annette Popel Pozzo
e Beatrice Porchera
Jardère, H.
Ex-libris ana. Notices historiques
et critiques sur les Ex-libris français.
Depuis leur apparition jusq’à l’année
1895 par H. Jardère suivies de la table
des noms cités, et d’un index bibliographique des ouvrages et articles de revues,
journaux français et étrangers se rapportant aux ex-libris. Ouvrage orné de
32 planches gravées. Parigi, L. Joly,
1895.
Esemplare n. 36 di un’edizione
a tiratura limitata di 400 esemplari
che raccoglie 12 numeri del periodico “Ex libris ana” (dal n. 1-2 di ottobre-novembre 1893 al n. 12 del settembre 1894) accompagnati da 32
tavole incise rappresentanti ex libris
di letterati e nobili francesi. Copia
appartenuta a Pascal Greppe (notaio
e bibliofilo), il quale inserì più tavole
dei propri ex libris tra quelle dell’edizione.
Legato con: Ex libris imaginaires et supposés de personnages célèbres
anciens et modernes. Tiré à petit nombre. Parigi, L. Joly, 1895.
Album che contiene 34 tavole
recanti le incisioni di ex libris imma-
ginari e fantasiosi di personaggi famosi, tra i quali figurano Napoleone, Marat, Hugo, La Fontaine, Dumas e Baudelaire. (P.M.F.)
Leopardi, Giacomo (17981837); Verlaine, Paul (1844-1896);
Shelley, Percy Bysshe (1792-1822);
Goethe, John Wolfgang von (17491832).
Dimmi, o luna. Quattro grafiche
dedicate a quattro canti alla luna. Belluno, Proposte d’Arte Colophon,
1993.
Esemplare n. 7 dell’edizione a
tiratura limitata a 113 copie della
collana “Poien”. Contiene quattro
poesie tradotte in italiano dedicate
alla luna: Luna Calante di Percy
Bysshe Shelley, Chiaro di luna di Paul
Verlaine, Alla luna di John Wolfgang
von Goethe, Alla luna di Giacomo
Leopardi e 6 illustrazioni di pregio,
2 sulla copertina e 4 nel testo, realizzate dall’artista Carlo Mattioli con
tecnica mista su carta appositamente
realizzata a mano. (V.C.)
Marinetti, Filippo Tommaso
(1876-1944).
Il poema di Torre Viscosa & Poema Chimico della Luce Tessuta. Latina,
Novecento, 2011.
Ristampa anastatica con prefazione critica di Carmelo Calò Carducci. Finito di stampare a chiusura
della mostra “città di fondazione italiane 1928 - 1942”, allestita presso il
Cid di Torviscosa dal 23 ottobre
2010 al 31 gennaio 2011. Cento copie non venali numerate a mano.
(G.C.)
Marinetti, Filippo Tommaso
(1876-1944); Trimarco, Alfredo
(1900-1971); Scrivo, Luigi; Bellanova, Piero (1917-1987).
L’arte tipografica di guerra e dopoguerra. Manifesto futurista [numero
di: Graphicus. Rivista mensile di tecnica
ed estetica grafica. Anno XXXII - n. 5 maggio 1942-XX]. Roma, Graphicus, 1942.
Numero speciale della rivista
Graphicus, interamente dedicato al
Manifesto dell’arte tipografica, fondamentale testo teorico della tipografia futurista, in cui si pone all’ordine
luglio / agosto 2011 – la Biblioteca di via Senato Milano
del giorno la creazione di “nuovi caratteri aggancia sguardi”. Il fascicolo
si apre con la tavola L’Autoblinda F.
T., testo firmato da Trimarco e stampato in viola con la riproduzione della grafia di T. al recto. Segue L’arte tipografica di guerra e dopoguerra, con
testo stampato in rosso su due colonne; in fine la ricostruzione tipografica di alcune pagine del romanzo
esplosivo 8 anime in una bomba. Contiene 2 tavole impresse su cartoncino giallo e arancio con la riproduzione del volume Zang Tumb Tumb di
Marinetti (prima tavola) e quattro
pagine estratte dallo stesso volume
(seconda tavola). In copertina composizione a due colori (verde/nero)
di P. Saladin. (A.C.)
Marmontel, Jean François
(1723-1799).
Bélisaire, par M. Marmontel de
l’Académie françoise. Londra [i.e.
Reims], [s.n.] [i.e. Cazin], 1780.
Prima delle due edizioni stampate da Cazin nel 1780 di questa celebre opera del 1767. L’Autore, figura di spicco della Francia intellettuale prima della Rivoluzione, elabora
nella seconda parte del testo le proprie teorie politiche, fino a spingersi, nel quindicesimo capitolo, in un
aperto elogio della tolleranza religiosa. Criticata dalla Sorbona e censurata con atto ufficiale dall’arcivescovo di Parigi Christophe de Beaumont (peraltro incline a simili iniziative nei confronti dei “nuovi filosofi”), l’opera tuttavia circolò liberamente in Francia e all’estero, e fu apprezzata dalle corti assolutistiche: la
stessa Caterina II dispose la traduzione in russo del contestato capitolo XV.
Brissart-Binet, pp. 82-83. Cohen-De Ricci, 688-689. (A.C.)
Menghi, Girolamo (15291609).
Compendio dell’arte essorcistica,
et possibilita delle mirabili & stupende
operationi delli demoni, & de’ malefici;
con li rimedi opportuni alle infirmità
maleficiali. Bologna, Giovanni Rossi, 1576.
Prima edizione, contenente lo
stemma del dedicatario cardinale
Giulio Feltrio Della Rovere sul
frontespizio. L’opera vede 17 edizioni dal 1576 al 1617, con un’edizione
anastatica della princeps, pubblicata
nel 1987. “La natura apologetica del
trattato […] è esplicitata fin dal Proemio, in cui il M. dichiara di voler
combattere lo scetticismo che riscontrava non solo tra i dotti, ma anche ‘nella mente del vulgo’ (Proemio,
cc. n.n.); anche di qui la necessità di
scrivere in volgare. Nel Compendio si
intrecciano strettamente teoria demonologica, arte esorcistica e caccia
alle streghe; il M. fece largo uso di
opere precedenti e in particolare del
Malleus maleficarum del domenicano Heinrich Krämer (Institoris). La
parte relativa all’esorcistica vera e
propria, tranne alcuni accenni isolati, occupa soltanto il terzo libro; anch’essa peraltro è in parte debitrice
del Malleus e si limita ai presupposti
teorici dell’esorcistica, con scarse
indicazioni pratiche. I pochi brani
originali sono quelli in cui il M. fa ricorso alla propria esperienza personale e alla testimonianza di altri
esorcisti da lui conosciuti e stimati,
tra cui un sacerdote bolognese di nome Antonio Muccini, morto nel
1575” (http://www.treccani.it/enciclopedia/girolamomenghi_%28D
izionario-Biografico%29/).
(A.P.P.)
Mercanti d’Italia: dagli archivi
77
storici dei fratelli Alinari.
Milano e Firenze, BPM e Alinari 24 ore, 2010.
Interessante volume che, attraverso le foto a colori e in bianco e
nero degli archivi storici Alinari,
racconta la storia dei più importanti
e caratteristici mercati italiani: i luoghi, le persone, le merci. (G.C.)
Petrarca, Francesco (13041374).
Nel VI. centenario dalla nascita di
Francesco Petrarca la rappresentanza
provinciale di Padova. Padova, Tipografia del Seminario Vescovile,
1904.
Edizione giubilare a tiratura limitata a 100 esemplari, stampata
nell’occorrenza del VI centenario
dalla nascita di Petrarca e dedicata
dai promotori alla Città di Arezzo.
Contiene la trascrizione di un’epistola di Petrarca all’amico Giovanni
Dondi dell’Orologio, accompagnata da una riproduzione in facsimile
della stessa e dalla traduzione in italiano, insieme alla recensione di alcuni codici petrarcheschi conservati
presso la Biblioteca del Seminario di
Padova. (A.C.)
Ritsos, Ghiannis (1909-1990).
12 poesie per Kavafis. Tradotte da
Nicola Cricetti. Milano, Strenna per
gli amici (di Paolo Franci) - Vanni
Scheiwiller, 1977.
L’edizione, fuori commercio, è
stata impressa dall’Officina d’Arte
Grafica A. Lucini & C. in 300 esemplari numerati da 1 a 300; l’opera è a
cura di Vanni Scheiwiller e la traduzione è stata eseguita da Nicola Crocetti sulla base della terza edizione
delle 12 poesie per Kavafis, riveduta
dall’Autore e pubblicata ad Atene,
presso Kedros, nell’aprile 1974 (pri-
78
la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
ma edizione 1963). Il volumetto presenta alcuni disegni di Ghiannis Ritsos, che, oltre a essere autore di più
di 100 volumi di poesia, dipinge e disegna su pietre, ossi e radici di canne
raccolti sulle spiagge. Al piatto anteriore della brossura è applicato un
frammento di pietra con decorazione serigrafata. (P.M.F.)
Sala, Antonio.
Biografia di San Carlo Borromeo
scritta dal professore Antonio Sala edita
dal canonico Aristide Sala con corredo di
dissertazioni e note illustrative. Milano, Tip. Boniardi-Pogliani di Ermenegildo Besozzi, 1858.
Edizione a cura di Aristide Sala. All’antiporta ritratto litografico
di san Carlo Borromeo in ovale, sotto al quale si trova la scritta “S. Carlo
Borromeo cardinale arcivescovo di
Milano da un dipinto a pastello di
Giorgio Solerio, eseguito il gionrno
[sic] del primo solenne ingresso di s.
Carlo in Milano esistente presso l’illust.mo sig. conte Carlo Borromeo”. Contiene 8 tavole fuori testo,
7 delle quali raffiguranti diversi edifici, soprattutto milanesi, legati alla
vita del santo. Al recto della carta che
segue il frontespizio troviamo
un’Avvertenza: “Danno compimento a questo lavoro i Documenti circa la
vita e le gesta di s. Carlo Borromeo pubblicati dal canonico Aristide Sala,
che si troveranno qui frequentemente citati, e dei quali sono venuti
in luce i primi due volumi e si sta preparando il terzo ed ultimo”. (B.P.)
Sala, Aristide.
Documenti circa la vita e le gesta
di S. Carlo Borromeo pubblicati per cura del canonico Aristide Sala archivista
della Curia Arcivescovile di Milano.
[Segue] Fascicolo conclusionale dell’opera circa S. Carlo Borromeo pubblicata
per cura del canonico Aristide Sala già
archivista arcivescovile di Milano. 4
volumi in 3 tomi. Milano e Pinerolo,
Tip. Boniardi-Pogliani di Ermenegildo Besozzi e Giuseppe Chiantore, 1857-1862 [i.e. 1863].
Opera di notevole interesse
storico-archivistico, redatta dal canonico Aristide Sala sotto impulso
dell’arcivescovo mons. Bartolomeo
Romilli. Il Fascicolo conclusionale,
pubblicato a Pinerolo, costituisce
fondamentale completamento di
tutta la vasta ricerca, con appendice
di documenti, precisazioni, rettifiche, risposte alle obiezioni avanzate
da alcuni studiosi dopo la pubblicazione dei tre volumi dei Documenti e
della Biografia di S. Carlo Borromeo,
compilata dal padre di Aristide, Antonio Sala (Tip. Boniardi-Poliani,
1858). All’antiporta dei primi tre volumi rispettivi ritratti litografici di
san Carlo Borromeo. Da segnalare
quello che lo ritrae all’età di tredici
anni, ricavato da un dipinto dell’epoca. Alcune delle tavole sono state
colorate a mano. (B.P.)
Sansovino, Francesco (15211583).
Del secretario di M. Francesco
Sansovino libri quattro. Ne quali con
bell’ordine s’insegna altrui a scriver lettere messive & responsive in tutti i generi, come nella tavola contrascritta si
comprende. Con gli essempi delle lettere
formate & poste a lor luoghi in diverse
materie con le parti segnate. Et con varie
lettere di Principi a piu persone, scritte
da diversi secretarij in piu occasioni, e in
diversi tempi. Venezia, Francesco
Rampazetto & Francesco Sansovino, 1564.
Prima edizione sull’arte di
scrivere lettere. L’Autore, figlio del
grande architetto Jacopo Sansovino,
fu poligrafo attivissimo, e autore di
versi, di prose letterarie, storiche,
retoriche, di traduzioni, editore e
commentatore di classici. Oltre che
prestare la propria opera nelle tipografie veneziane, ne aprì una propria. (A.P.P.)
Tasso, Torquato (1544-1595).
La Gierusalemme di Torquato
Tasso con gli argomenti del Sig. Gio.
Vincenzo Imperiale figurata da Bernardo Castello stampata per Giuseppe
Pavoni in Genova 1604. Genova,
Giuseppe Pavoni, 1604.
Seconda edizione genovese
dopo la princeps del 1590 a cura di
Giovanni Vincenzo Imperiale
(1571-1645). Contiene da †2r-†11v
dedica di Bernardo Castello a don
Angelo Grillo; componimenti di
Angelo Grillo, Ansaldo Ceba, Gio.
Andrea Ceva, Giulio Guastavini,
Leonardo Spinola, Gio. Michele
Zoagli, Paolo Vincenzo Ratto, Poro
Fogetta, Io. Battista Pinelli, Gio.
Battista Marini, Giovanni Magliani, Francesco Maria Vialardo, Scipion de’ Signori della Cella. Frontespizio allegorico inciso su rame contenente il ritratto di Tasso entro medaglione sorretto da due putti. 20
tavole a piena pagina incise su disegni di Bernardo Castello, per accompagnare ciascun canto. L’argomento dei canti entro cartiglio xilografico. (A.P.P.)
Vivanti, Luca.
Tisettanta: quarant’anni di design, quarant’anni di casa = forty years
of design, forty years of home. Milano,
Electa, 2011.
Volume pubblicato nell’ambito degli eventi celebrativi del quarantesimo anniversario di Tisettanta, 1971-2011. Riccamente illustrato; con un’introduzione di Marco
Vaudetti. (G.C.)
la Biblioteca di via Senato
Milano
Questo “bollettino” mensile è distribuito
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la Biblioteca di via Senato Milano – luglio / agosto 2011
La pagina dei lettori
Bibliofilia a chiare lettere
Il commiato da In tanta frivolezza attraverso i vostri commenti
Ero passata dalla Biblioteca
per visitare la mostra su Milano
e l’Arcimboldo (davvero molto bella,
complimenti) e una volta lì
mi è tornato in mente di aver letto
anche di questa. Rintracciarla è stato un
po’ meno facile, ma ne è di certo valsa
la pena. L’incontro con i grandi del
Novecento, specie se così “intimo” da
scorrerne la grafia, è sempre
un’avventura emozionante.
Meriterebbe certamente più visibilità,
ma la tranquillità della visita,
il silenzio e il tempo a disposizione,
probabilmente ne risentirebbero.
Francesca Ghisleri,
Vigevano
Tante belle pagine da studiare con
calma. Peccato non averne il tempo!
Complimenti.
Roberto Negri,
Modena
Mostra eccezionale, straordinaria,
da archivi che permettono di ricostruire
e quasi rivivere momenti di arte
e di vita, testimonianze di un’epoca
che, purtroppo, ci portano a ingenerosi
confronti con “questi” nostri tempi.
Un grazie commosso!
Renata Piva,
Sondrio
Penso spesso che la spasmodica ricerca
del manoscritto, delle pagine chiosate
o dell’esemplare con dedica, sia solo
E giudico con più umana misericordia
gli eventuali sfizi che mi sono concesso
e mi concederò!
G. Fabbri
Soddisfattissima… come sempre!!!
Giuseppina Cennarano
Magnifica esposizione, di grande
interesse storico-culturale, capace
di far rivivere certe vibrazioni uniche,
anche e forse soprattutto attraverso
il contatto diretto con la “mano”
dei grandi letterati protagonisti.
Marco Rovelli,
Varese
Se volete scrivere:
[email protected]
Tutti i numeri sono scaricabili
in formato pdf dal sito
www.bibliotecadiviasenato.it
un irrazionale vezzo di quasi tutti noi
bibliomani, che dovremmo invece
privilegiare l’edizione e la “fattura”
di ogni singolo libro. Ma quando
mi capita di imbattermi in carte così
luminose e in “penne” così decisive,
il fascino dei loro tratti mi conquista
senza che nemmeno me ne accorga.
Come se quei segni potessero raccontare
qualcosa in più delle cose che “dicono”.
Davvero una bellissima mostra,
che dà al visitatore una conoscenza più
intima dello scrittore, come se la sua
grafia ne svelasse meglio l’anima.
Camillo Pantaleone,
Palermo
Un luogo magico, interessante,
prezioso, importante come la persona
che mi ha accompagnato in questo
piccolo viaggio. Forse anche per questo,
una bellissima esperienza.
Vladi Ceruti,
Milano
Bello tutto. L’eleganza della sala,
l’immagine della carta e il piacevole
effetto di quelle grafie così “vicine”.
Rosanna Cosi,
Ancona
Carina!
ALLEGRA E SPENSIERATA
SEI CARINA