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Fair Play d'altri tempi, EUGENIO MONTI: LA LEGGENDA DEL
BOB
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Fair Play d'altri tempi, EUGENIO MONTI:
LA LEGGENDA DEL BOB
Quando si sente parlare di Bob o di Cortina d' Ampezzo
subito la memoria va al "Rosso Volante", come lo definì
Gianni Brera per il colore dei suoi capelli ed il coraggio,
al secolo Eugenio Monti.
Nato il 28 gennaio 1928 a Dobbiaco (BZ) e tragicamente
scomparso suicida, alla soglia dei 76 anni, nella sua
bella casa di Chiave a Cortina.
Un palmares infinito di titoli, di trionfi; una persona
inquieta, proiettata sempre in avanti, alla ricerca del
limite. Una vita intensa di avventura, degna di biografie
che si dedicano ai grandi.
Una storia incastonata di successi, di vittorie ma anche
di tragedie e sconfitte.
Chi l'ha conosciuto sa che Eugenio aveva il piacere della
sintesi, poche e sommesse parole. Lui così irruento si
defilava, era quasi timido. Forse negli ultimi anni si è
sentito solo.
L'ho conosciuto nel 1986 quando da turista fui cooptato
dalla "Perla della Dolomiti" per lavoro.
Mi invitò a casa sua con la mia famiglia e ebbi modo di
conoscere la sua: la moglie Linda ed i figli Alec ed
Amanda.
Di quell'incontro di famiglie resta un dolce ricordo; tre
degli otto protagonisti ci hanno lasciato ed il loro profili
che, di anno in anno, si sfocano nella memoria: Eugenio
che ancora una volta ha preceduto tutti, anticipando con
la morte la malattia che lo consumava; Alec che in una
stanza d'albergo di Auronzo se ne é andato per sempre
nel paradiso artificiale della droga e mia moglie Vera
strappata alla vita dalla lebbra del secolo, il tumore.
Linda ed Amanda sono tornate ad essere americane.
Miei figli ed io rientrati nella normalità della vita.
Si quella vita che aveva amato tanto, con la quale aveva
giocato alla ricerca dell' estremo, Eugenio l'ha interrotta il
1 dicembre del 2003.
Per me quella tragedia resta un punto interrogativo: lui
che aveva sfidato la morte in una continua ricerca del
limite, ha interrotto volontariamente quella sfida.
Pochi giorni prima in un capannone industriale di Pian da
Lago eravamo stati gomito a gomito a consumare, con
altre 80 persone, un maiale allo spiedo infarcito di
pollame. La sua malattia, il Parkinson, l'aveva reso più
mite, rinunciatario; ma quella sera avevamo bevuto
qualche bicchiere di più e chiacchierato fittamente.
Certo, aveva a fianco una bella e giovane signora, e lui
era sempre stato sensibile alle belle donne. Era
ringalluzzito e mi raccontava "a nastro", come direbbero i
giovani, le sue imprese, per me era un ripasso, per la
gentile signora era un messaggio di un uomo ferito nel
fisico ma non domo nello spirito.
Questa immagine rimane indelebile nella mia memoria.
Poi la pioggia, scendiamo le scale di legno, ombrelli che
si aprono, portiere di auto che inghiottono i commensali
portandoli ai loro destini, e lui sotto il mio ombrello. Non
parla, cerco di capire cosa intendesse fare, nulla.
Poi mi viene uno spontaneo "Eugenio vuoi che ti
accompagni a casa?". Un gutturale "magari".
Raggiungiamo la mia auto, lo accompagno a Chiave
nella sua bella villa in posizione strategica e
dominante della valle d'Ampezzo.
Scende, ci salutiamo, un ultimo grazie un po' strascicato,
una luce dietro la finestra del salotto e la figura di una
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persona che lo attende: la badante.
Il mito, la leggenda rimane nella mia memoria come un
uomo ferito, indifeso, un po' solo.
Venti giorni dopo leggo la tragedia sul giornale degli
sportivi italiani.
Eugenio lascia una eredità pesante, l'atleta più titolato in
assoluto della storia della disciplina del Bob: undici ori
mondiali, 6 medaglie olimpiche e ci fermiamo a questo,
per non ridurre il suo essere ad una mera elencazione di
titoli. Basta dire, è più semplice e più veloce, cosa non
abbia vinto che elencare i suoi trionfi.
A vent'anni era la migliore promessa dello sci italiano:
vinse titoli italiani di Slalom speciale e gigante, riuscendo
a battere anche Zeno Colò.
Nella discesa del Kandahar, a Muerren, arrivò secondo
alle spalle del grande Jean Couttet. Nel 1951 cadde
durante un allenamento al Sestriere e si lacerò i
legamenti di entrambe le ginocchia. Il grave incidente
pose fine alla sua carriera di sciatore, ma la velocità, il
rischio erano nel suo DNA: quindi pilota di bob ma anche
di auto da corsa.
Nella metà degli anni "50, con le scuderie Centro Sud e
L'Arena, lo troviamo in Formula Uno con una CooperMaserati sul circuito di Pau in Francia, al Giro di Sicilia
con una Ferrari ufficiale, a Monza ed a Vallelunga. Vince
titoli di classe ed assoluti. Possiede anche una Osca
Maserati 1500 ufficiale, ma nel 1957 chiude con
l'automobilismo "costa troppo".
Eugenio, mito delle mie e di molte altre fantasie giovanili,
mi hai dato la gioia di conoscerti e il dolore di ricordarti,
scusami se sono stato troppo veloce nel descriverti ma
questa era la tua essenza, non avresti amato i
trionfalismi.
Correva l'anno 1964, Giochi Olimpici Invernali di
Innsbruck, vinse due medaglie di bronzo (nel bob a due
con Sergio Siorpaes). In questa occasione compì un
gesto di sportività che lo rese importante nel modo ed
indelebile nella storia delle sport, tanto da essere il primo
atleta al mondo a vincere la medaglia Pier De Coubertin.
All'equipaggio britannico di Tony Nash e Robin Dixon si
era rotto un bullone del bob e Monti prestò loro il suo.
Senza quel gesto i britannici non avrebbero vinto l'oro.
Rispondendo alle critiche della stampa italiana più
avvezza al tifo che allo sport, Eugenio il Grande disse:
"Nash non ha vinto perchè gli ho dato il bullone. Ha
vinto perchè è andato più veloce".
Nel 1968 vince due ori olimpici a Grenoble,
Commendatore della Repubblica per meriti sportivi, si
ritira nella sua Cortina ad occuparsi dei suoi impianti di
risalita.
Lo potevi trovare di notte o all'alba a spalar neve,
trasportarla nelle gerle con i suoi uomini, per rendere
sempre perfetta la sua pista Olimpia.
Un mito una leggenda, Eugenio quando urla al suo
frenatore " se te frene te cope!" (se freni t'ammazzo!); o
quando nel 1996, ai festeggiamenti dei quaranta anni
dai tre ori
olimpici di Toni Sailer a Kitzbuhel, entra nella sala del
tempio degli sport invernali, il tripudio e l'ovazione per il
"rosso volante" copre quello dell'idolo di casa: tu ci sei e
senti il cuore scoppiare in tricolore.
Eugenio sono appena trascorsi cinque anni da quando ci
hai voluto lasciare, ma quando compirai i tuoi ottantuno
anni celesti sii protagonista di un' altra impresa: la pista
Eugenio Monti di Cortina d' Ampezzo deve essere
riaperta in memoria tua, della storia del bob mondiale,
quale monumento alla prima Olimpiade invernale
mediatica, per l'orgoglio di un Italia e di un Veneto che,
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troppo spesso, dimenticano le tradizioni e la storia che
sono patrimonio dell'Umanità come vuole L' UNESCO.
Roberto Contento
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