Verso una reinvenzione del business della televisione

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Verso una reinvenzione del business della televisione
CAPITOLO TERZO
VERSO UNA REINVENZIONE DEL BUSINESS DELLA TELEVISIONE
di Giandomenico Celata e Marco Stendardo
Dal Network alla Connected Television:
gli economics dei nuovi assetti dell’industria televisiva
L’industria televisiva – cioè i network televisivi, altrimenti chiamati broadcaster – nasce a cavallo del secondo
conflitto mondiale negli USA e si presenta sul mercato con una offerta di prodotti modulata sul modello dei
preesistenti network radiofonici privati da cui è gemmata. L’Europa segue a ruota sulla stessa strada anche se, a
differenza che negli USA, si poggia sull’intervento diretto dello Stato e, nell’immediato dopoguerra, incomincia
ad occupare progressivamente una posizione dominante rispetto a altre forme di spettacolo, informazione e
utilizzo del tempo libero.
Col passare dei decenni, la Televisione si arricchisce di canali e di contenuti e, negli anni ’70, nascono i primi
dispositivi di videoregistrazione seguiti, dopo diversi anni, dai lettori DVD che le permettono, parzialmente, di
uscire dalla rigidità del palinsesto e di prolungare, perlomeno per alcuni suoi prodotti (le serie televisive
principalmente) il ciclo di vita e di valorizzazione .
L’entrata in campo di internet pone i broadcaster di fronte ad un competitore che, nelle nuove vesti che ha
cominciato ad assumere negli anni novanta del vecchio secolo e ancor più in quelli zero del nuovo, la sfida sul
piano dei contenuti e trascina altri competitori sul suo stesso terreno.
La sfida è quella degli User Genereted Content (UGC) e del filesharing che non competono sul piano del
mercato televisivo direttamente, ma lo fanno indirettamente sottraendo spazi di tempo dei viewers: il prodotto
audiovisivo non è più monopolio dello schermo televisivo, ma si inserisce in una dinamica che potremmo definire
di ubiquitous playing. Qualsiasi schermo connesso ad internet (desktop, laptop e più recentemente smartphone e
tablet) diventa un possibile player di contenuti audiovisivi. La sfida delle audience, dunque, si gioca in un campo
apertissimo sicuramente sul fronte dei contenuti, ma anche su quello del tempo, dei formati e dei linguaggi.
Lo stesso contenuto più propriamente e tradizionalmente televisivo, come ad esempio può essere un talk sulla
politica, si trova, in questi ultimi mesi, a confrontarsi con una dimensione di coinvolgimento e partecipazione del
suo pubblico che può influenzarne in modo decisivo il successo. La grande penetrazione dei Social Network nel
ciclo quotidiano della vita delle persone, ha determinato la nascita e l’evoluzione di forme di interazione tra gli
spettatori a ridosso dei prodotti televisivi (questa è una delle più semplici definizioni che si può formulare per il
concetto di Social Tv) tanto che i broadcaster hanno dovuto necessariamente tenerne conto fino a provare a
gestirli, interpretarli e, in più occasioni, integrarli nel flusso del programma in onda.
Ma in questo scenario così mutevole e complesso, i nuovi competitori, hanno trovato il modo di irrompere
direttamente nel mercato televisivo con l’ingresso appunto della Connected Television, cioè di quello schermo
televisivo che è connesso alla rete internet e al Web. Si tratta delle Digital Companies (Vudu, Netflix, Hulu,
Google Tv, Apple Tv ed altri) che, nate aggregando e distribuendo contenuti su internet passando dallo schermo
dei pc e di tutti gli altri devices connessi (smartphone e tablet su tutti) si propongono anche sullo schermo
televisivo. In questo caso, sembra di rivivere il percorso dell’Industria musicale nel rapporto tra Industrie
Discografiche e iTunes, con risultati che vedono la Apple conquistare una posizione di indiscusso predominio nel
campo della distribuzione di musica online. Lo schermo tv connesso chiama poi nel mercato televisivo gli altri
due protagonisti strettamente collegati a questo nuovo meta-settore del mercato dell’entertainment: l’Industra
Elettronica e le Telcom. Entrambe, infatti, si propongono autonomamente come aggregatori e distributori di
contenuti televisivi.
Digital Companies e Industria Elettronica tendono poi ad intrecciarsi tra di loro, lungo una filiera verticale, e a
comporre il comparto delle Tech Industries.
C’è poi un rovescio della medaglia che rende l’analisi economica più complessa e, nello stesso tempo, molto
più interessante: quanto più nuovi protagonisti tendono ad occupare lo spazio economico dello schermo televisivo,
tanto più i broadcaster tendono a dispiegarsi anche sul Web alla conquista delle audience e degli spazi di tempo
che questo ha conquistato sugli altri schermi.
Tutto ciò sta cambiando gli assetti di mercato sia dal lato dell’offerta che della domanda, la catena del valore, i
modelli di business e con questi ruolo e riposizionamento dell’investimento pubblicitario.
Il mercato dal lato dell’offerta
L’introduzione della Connected Television si accompagna ad un mercato televisivo impegnato (o forse travolto)
da una radicale e inevitabile mutazione, innescata dalla digitalizzazione dei contenuti e dalla loro possibilità di
essere distribuiti online e considerevolmente accelerata dal processo di inarrestabile convergenza dei media.
La mutazione si innesta su cinque dinamiche fondamentali:
 l’aumento dell’offerta dei prodotti televisivi (Fiction, News, Entertainment, ecc.) a causa della
moltiplicazione dei canali digitali e degli schermi dei device su cui è possibile fruirli (PC, Tablet,
smartphone, Game Console);
 la nascita di una concorrenza sullo schermo televisivo classico, ma anche su tutti quelli dei device in grado di
riprodurre contenuti video, tra prodotti televisivi e formati nativi Web;
 la nascita di una concorrenza tra diverse piattaforme distributive, con la discesa sul mercato di altri player
industriali: in particolare Tech Industries (Fornitori di apparati, Content Aggregator, Social Network,
Motori di Ricerca, ecc.) e Telcom (Società di Telecomunicazioni e internet Provider), che si propongono,
al pari dei broadcaster, come intermediari nella distribuzione del prodotto televisivo essendo, a diverso
titolo, già operativi su gli altri formati nativi Web;
 l’aumento della domanda di audiovisivi, dentro il cui alveo si collocano i prodotti televisivi, segnalato
dall’aumento del tempo libero che i consumatori passano davanti a questi tanti schermi1;
 il necessario riposizionamento dell’investimento pubblicitario tra i tanti schermi, i diversi formati (Tv e
Web) e le diverse modalità di fruizione da parte del consumatore finale.
Un mercato quindi, come si può facilmente intuire (Figura 1), molto complesso, con player che tendono a
interpretare più ruoli, per di più diversi tra di loro e diversi dal loro tracciato industriale precedente, alla ricerca
tutti di implementare i loro modelli di business.
Figura 1 – Il complesso mercato Televisivo 2
La tracimazione dell’offerta televisiva
Il viraggio della distribuzione televisiva da analogica a digitale ha moltiplicato l’offerta televisiva permettendo
l’affiancamento di una molteplicità di nuovi canali tematici e premium digitali ai limitati canali generalisti ex
analogici.
Canali della Televisione terrestre che si aggiungono, con un peso specifico significativo, derivato dal loro
posizionamento storico sul mercato, a quelli numerosissimi già distribuiti dalla Televisione satellitare.
Questa aumentata numerosità dei canali e la conseguente offerta di prodotti televisivi sta già vedendo vincitori
e vinti nel campo propriamente televisivo:
 da un lato, l’aumentata potenza di fuoco dell’offerta dei broadcaster nazionali sta soffocando quella delle
cosiddette Televisioni locali di cui sopravvivranno solo quelle capaci di interpretare la domanda, vitale,
presente e importante, di Televisione di prossimità3;
1
Secondo Nielsen, solo il consumo di Tv, in Italia, nei primi 9 mesi del 2011 è aumentato del 5% rispetto al 2010, segno di
continuità dei 10 anni di costante crescita dei consumi televisivi (fonte: TIVU’ – anno IX – numero 12).
2
Elaborazione sulla base di J.C. Ulin, The Business of Media Distribution, Elsevier Focal Press, 2010
3
Per Televisione di prossimità si intende quella Televisione che si rivolge a contesti territorialmente ben definiti. Una Televisione
che va dall’iper alla micro territorialità, con vocazione per lo più informativa, ma anche partecipativa che contrapponga un modello

dall’altro, le audience televisive si ridistribuiranno con share sempre più a favore dei nuovi canali tematici,
a detrimento di quelli generalisti che manterranno, in ogni caso, un valore significativo seppur meno
proporzionale all’investimento pubblicitario che saranno capaci di raccogliere.
La competitività dei broadcaster: tra Roma e Troia
Già oggi, ma ancor più in prospettiva, lo schermo televisivo diventa il campo competitivo tra broadcaster, Tech
Industries e Telcom che, per motivi che si vedranno appresso, vogliono entrare nella partita.
Parafrasando la storia antica, i broadcaster, oggi padroni dello schermo televisivo e di parte decisiva dei contenuti
audiovisivi, saranno come Troia padrona del commercio tra Asia ed Europa, che di fronte all’attacco dei competitori
Greci si chiuse dentro le sue mura e si fece ingannare dal Cavallo di Ulisse, che oggi, nel nostro caso, sarebbe
rappresentato da internet? Oppure i broadcaster saranno capaci come l’antica Roma, allora padrona del Mediterraneo
di portare lo scontro sul terreno della sua antagonista Cartagine e l’ebbe vinta? Oppure troveranno un punto di equilibrio
e collaborazione tra grandi oligopoli, quali sono tutti nel loro settore specifico?
Le leggi dell’economia dicono che maggiore sarà il livello di cooperazione, minore sarà il vantaggio per i
consumatori, e viceversa.
I nuovi player in campo
La crescita degli interlocutori per la negoziazione si deve principalmente alle Telcom e alle Industrie di
Elettronica di consumo. Difatti, questi due settori industriali, alla ricerca dei margini perduti nei loro modelli di
business tradizionali, hanno gradualmente trasferito l’attenzione alla distribuzione di contenuti.
Nel caso delle Telcom si tratta dell’offerta del cosiddetto triple play, ovvero della possibilità di sottoscrivere
abbonamenti che includano traffico voce (fisso e anche mobile), navigazione internet e una serie di contenuti
audiovisivi, dalla fruizione su cavo di alcuni canali di flusso fino a più innovativi servizi di catch-up Television e
video on demand. L’offerta triple pay non è sicuramente una novità commerciale: già dai primi anni 2000 furono
lanciati alcuni servizi di IPTv da aziende di telecomunicazioni che però, soprattutto in Italia, non seppero
convincere il mercato. Ma le nuove abitudini di consumo, i nuovi device e l’ampiezza del bouquet dei contenuti
disponibili hanno convinto le Telcom a reinvestire in nuove offerte triple play.
Nel caso dei produttori di elettronica, e in particolare delle industrie che producono apparecchi televisivi, il
corso è del tutto inedito. L’innovazione e la competizione tra le case produttrici di Tv set, da circa 15 anni fa fino
al 2010, si è giocata sostanzialmente su tre leve: il design, le prestazioni/qualità delle immagini e, più
recentemente, i consumi. Negli ultimi 2 anni, a questi tre fattori di competitività, si è affiancata un quarto terreno
di confronto che però valica, semplificando, il confine della cornice dello schermo. I produttori offrono nuove
funzioni, attraverso moduli di connettività internet e interfacce software pre-implementati negli apparecchi, che
consentono al consumatore di utilizzare applicazioni e scaricare (legalmente) contenuti secondo una proposta che
gli stessi produttori organizzano.
Allo stesso tempo, come si è già detto, sono entrate nel mercato alcune digital companies, assieme a qualche
industria tradizionale che ha deciso di trasferire il proprio core business su internet. Evolvendo il concetto dell’ecommerce e degli store digitali, si sono proposte come aggregatori e, quindi, distributori di, più o meno grandi,
cataloghi di contenuti audiovisivi (soprattutto film e serie televisive), contando sulle loro audience consolidate in
Rete. Ciò che danno all’industria dei contenuti è una platea di mercato «abilitata» a consumi alternativi al flusso
televisivo classico (on demand enabled audience) e piattaforme di distribuzione sperimentate, efficienti e in
continua evoluzione tecnologica.
Il quadro degli interlocutori della produzione e della distribuzione di audiovisivi, fino ad oggi limitato al
theatrical, ai broadcaster e all’home video, tende così ad arricchirsi.
Lo scenario televisivo si è affollato così di nuovi player. Ai broadcaster che da sempre lo presidiano si sono
aggiunti i broadbander (telco e internet provider) e, come veri e propri nuovi outsider, le Tech Industries: da
Apple a Google, dalle HW co. ai Social Networks, ai motori di ricerca.
Le Tech Industries sono soggetti proteiformi che hanno eletto il cambiamento, molto spesso attraverso
acquisizione di innovazione (Galbraith dixit4), come la strada per il vantaggio competitivo. Si presentano ormai
come conglomerate che a differenza di quelle tradizionali, manifatturiere o dei servizi, hanno come stella polare
l’acquisizione di audience su cui costruiscono le offerte più funzionali. Il loro assett più prezioso rispetto agli altri
locale di esclusività alle lacune inevitabili della Televisione nazionale, sia pubblica che commerciale.
4
J.K. Galbraith, economista di fama e consigliere dei Presidenti Americani Roosevelt, Kennedy e Clinton, autore, tra gli altri, de
Il capitalismo americano. Il concetto di potere di equilibrio, Ed. di Comunità, Milano, 1955, La Società Opulenta Ed. di Comunità,
Milano, 1963 e Il progresso economico in prospettiva, Ed. di Comunità, Milano, 1963
(broadbander e broadcaster) è la facilità con cui cambiano pelle senza mai perdere quella originaria. Gli altri due
player, al contrario, mostrano fatica rispetto al cambiamento (ovviamente chi più e chi meno), come avviene
sempre alle industrie consolidate dal punto di vista di cultura industriale, organizzativa, gerarchica e di mercato,
quando si tratta di affrontare un nuovo paradigma tecno-economico.
In ogni caso, broadbander e broadcaster, conservano delle posizioni di vantaggio competitivo :
 per i primi, nella loro possanza economica (che va tarata in termini congiunturali dalla riduzione dei
margini);
 per i secondi, nella proprietà dei contenuti audiovisivi (che va tarata sempre in termini congiunturali dalla
debolezza e dal cambiamento degli investimenti pubblicitari).
Lo scenario in divenire dell’offerta
Il mercato sta cangiando verso confini ancora non definibili con velocità inusitata, secondo la direzione che
assumono da un lato la tecnologia, dall’altro la creatività applicata alla tecnologia. Ed è un mercato tutt’altro che
stabilizzato e tendente all’equilibrio. Unica certezza: l’audiovisivo digitale, senza uccidere le altre forme e
linguaggi analogici, assume un ruolo predominante e contaminante verso i prodotti media cosiddetti tradizionali.
La sfida di mercato vede:
 i broadcaster in una difesa attiva sullo schermo televisivo e all’attacco sugli altri schermi dalla
posizione di content industry,
 i broadbander tributari dei contenuti di altri (Tv e Over-The-Top Player) dalla posizione di connettori di
device,
 le Tech Industries all’attacco di tutto ciò che è innovativo e porta audience dalla posizione di
capitalizzazione (spericolata?) che hanno acquisito.
E’ un mercato sempre più concentrato attorno ad oligopoli il cui DNA conflittuale può stemperarsi secondo le
fasi contingenti e i vari mercati geografici o linguistici, in uno spazio però che non è mai nazionale, ma sempre
più meta-nazionale.
E’ un mercato la cui soglia d’ingresso si innalza continuamente anche se la distanza che per alcuni si facesse
grande tra obiettivi e risorse disponibili non esclude singole catastrofi economiche.
Oltre la Coda Lunga: il modello della Piramide Rovesciata
La teoria della coda lunga, per come abbiamo imparato a conoscerla, si basa sull’osservazione di Chris
Anderson che nei mercati dell’industria culturale ci sono molti più prodotti di nicchia che hit/blockbuster e che il
costo sostenuto per raggiungere queste nicchie è diminuito in maniera drastica grazie proprio all’innovazione
tecnologica. Gli attori dei vari mercati della cultura e dell’entertainment che si sono dimostrati più innovativi,
infatti, hanno registrato risultati economici significativi affiancando ai prodotti di maggior richiamo, che
comunque garantiscono la parte fondamentale dei ricavi, una serie di prodotti rivolti a gruppi di interesse ristretti.
Le imprese che aggregano contenuti digitali sono i prototipi perfetti della teoria della coda lunga. Difatti per
queste imprese il costo di distribuzione tra 1.000 e 10.000 articoli è pressochè identico o quantomeno la differenza
dell’investimento si potrebbe definire trascurabile, molto di più di quanto fosse stoccare e spedire 9.000 libri in
più per Amazon nel 2004 quando Anderson ne analizzò il modello per scrivere il suo articolo.
Nei sistemi tradizionali dove i costi di distribuzione sono elevati, vengono quindi venduti solo i prodotti più popolari;
quando la coda lunga funziona, invece, i diversi interessi specifici vengono soddisfatti e possono aumentare
esponenzialmente le possibilità di scelta, ribaltando la logica della scarsità delle risorse dell’economia classica.
I broadcaster televisivi analogici si sono trovati in una condizione paradossale, ovvero hanno gestito il
palinsesto come il più classico dei negozi fisici di dischi o libri: le ore di programmazione erano scaffali che
dovevano essere riempiti solo da titoli in grado di garantire un numero minimo di acquisti, ossia da programmi in
grado di garantire ascolti per vendere pubblicità. Una gestione arrivata ad essere estremamente rodata, quasi
infallibile per alcuni versi, ma che si è trovata irrimediabilmente compromessa dai processi di digitalizzazione e di
convergenza inter-mediali. L’assett fondamentale, infatti, è andato incontro ad una violenta svalutazione: quella
rete broadcast che conferiva al network televisivo il primato del mass medium, non è stato più in grado di
garantire l’oligopolio de facto della distribuzione dei contenuti audiovisivi. A questo punto, prima con la pay-tv
(satellitare o via cavo) e poi con lo switch-off al digitale terrestre, l’aumento dei canali e la contro-conseguente
frammentazione delle audience hanno portato i broadcaster a dover cominciare a ripensare le loro logiche di
palinsesto. Ma questa crisi dell’esclusivo modello mass, se così si può definire, è ovviamente deflagrata nel nuovo
scenario della Connected Television che fin qui è stato descritto, visto che i nuovi player hanno allargato
esponenzialmente sia i confini temporali della fruizione, sia le possibilità di interlocuzione per i detentori dei
contenuti altri. Ma è assodato che questi contenuti non possono costituire da soli un mercato diametralmente
alternativo.
Figura 2 – Rappresentazione della Coda Lunga di Anderson
La piramide rovesciata rappresenta l’evidenza, sulla base delle esperienze maturate dai motori di ricerca e dalle
grandi Web companies (ebay, Amazon, B&N, ecc.) che i niche products maturano la chance di cui parla la curva
di Anderson nella misura in cui sono parte di un grande aggregatore di contenuti. Ma la piramide rovesciata è
anche il modello che i broadcaster devono rielaborare per continuare ad essere competitivi: il rovesciamento della
piramide infatti restituisce visivamente la capacità di penetrazione dei generi e dei gusti del pubblico, necessaria
per ovviare agli elementi di criticità ineluttabili del mercato televisivo classico, in funzione soprattutto delle
diverse piattaforme di distribuzione che si riescono a sfruttare.
Figura 3 – La Piramide Rovesciata
Si può affermare che mentre la curva di Anderson è, semplificando, un modello bidimensionale che, tenendo
conto dell’abbattimento dei costi di distribuzione dovuto alle nuove reti digitali, mostra come la somma di svariati
volumi di vendita minimi estremamente prolungati nel tempo possa raggiungere risultati pari a quelli dei pochi
prodotti campioni nelle vendite, la piramide rovesciata è un modello tridimensionale che si applica a mercati
digitali più complessi. Essa è infatti la rappresentazione di come la massimizzazione del ricavo (sia pubblicitario
che pay) sia legata all’ampiezza dello spettro delle piattaforme di distribuzione integrate e alla pervasività
dell’offerta rispetto ai gusti del consumatore e dei suoi spazi/tempi di fruizione: tanto più ampia sarà la base
distributiva, tanto più profonda potrà essere la penetrazione nei momenti di fruizione e nelle scelte delle audience.
Per quanto riguarda la Televisione, dunque, nell’era della Connected Television, la sfida per i diversi player è
quella di creare un sistema che assecondi la mobilità delle audience fornendo loro diverse modalità di visione e
sempre più contenuti, dallo show generalista al documentario d’autore.
Il mercato dal lato della domanda
L’offerta di prodotti televisivi è parte decisiva della più ampia famiglia dei prodotti audiovisivi che somma
quelli del cinema, dei clip musicali, dei video pubblicitari, ecc. a cui internet ha aggiunto quelli nativi Web.
Tutti assieme sono esplosi nella rete internet, prima attraverso il cosiddetto filesharing e poi in forme
variamente commerciali, facendo nascere un nuovo mercato prima inesistente. La sua crescita è impressionante
(Figura 4) ed è destinato con la Connected Television ad invadere lo schermo televisivo.
A questa offerta delle Tech Industries e delle Telcom, i broadcaster provano a rispondere sul Web:
 offrendo i loro prodotti modalità di streaming, catch-up e Over the Top Television (OTTTv) nelle loro
versioni integrali;
 rimodulando gli stessi prodotti nei formati propri della cosiddetta snack tv, pensati rispetto ai tempi e alle
modalità di fruizione più tipiche dell’utente internet.
Questa dilatazione di piattaforme distributive e di formati ha già dato prodotto degli effetti sull’offerta del
prodotto televisivo:
 ha interrotto la fase di maturità in cui si era incamminato il suo ciclo di vita, ristretto com’era
nell’analogico e nella programmazione generalista e di flusso,
 gli sta conquistando spazi di fruizione nel tempo disponibile del consumatore a detrimento di altri media e
di altri utilizzi del tempo libero con il Video on Demand (VoD) sullo schermo televisivo e sugli altri
schermi dei device;
 sta rendendo più lunga la sua catena del valore nella direzione del continua ri-fruizione, oltre i formati
tradizionali del palinsesto;
 continua a premiare gli hit ma da più opportunità anche ai niche products (curva di Anderson).
L’entrata in gioco della Connected Television ridà, nello stesso tempo, vitalità e funzionalità allo schermo
televisivo, mentre già si stava recitando il suo de profundis sotto i colpi dell’invasività e della pervasività dei
monitor dei computer e, più recentemente, degli schermi dei Tablet e degli smartphone sempre rigorosamente
connessi alla Rete.
Ma se lo schermo televisivo di per sé gode ancora di buona salute, questo non significa che la domanda di
contenuti audiovisivi non stia trovando nuovi modi di rimodulare i propri bouquet di canali.
Quella on demand enabled audience a cui si è accennato in precedenza, infatti, altro non è che quella porzione
di pubblico televisivo (o audiovisivo) più dinamica che è pronta a trasferire abitudini di consumo tipiche del Web
anche sullo schermo del salotto secondo il paradigma cerco-trovo-guardo. E questa porzione di pubblico è quella,
che soprattutto oltre oceano, spaventa maggiormente gli incumbent televisivi ed è oggetto privilegiato delle
attenzioni dei nuovi player, per la loro (presunta) disponibilità a rescindere gli abbonamenti pay (cord cutters) per
investire il loro budget di spesa per entertainment audiovisivo in altri e diversi pacchetti di contenuti disponibili
grazie agli schermi connessi.
Volendo semplificare all’estremo, abbiamo l’alternativa tra la Tv free+pay (oggi) e Connected Television
free+pay + Tv free (domani, nell’ipotetica casa di un cord cutter). Secondo un sondaggio sul pubblico americano
Deloitte dei primi giorni del 20125, il nove per cento degli intervistati dice di aver recentemente «tagliato il cavo»,
ma ammettono di guardare i propri show preferiti su Netflix, Hulu, iTunes, ecc E un altro 11 per cento dice che sta
pensando di farlo. Deloitte segnala che circa nove milioni di persone afferma di aver da poco smesso di pagare per
la Tv. Numeri per l’Italia, come per la stragrande maggioranza del mercato Europeo, inimmaginabili, visto la
pochezza dell’offerta connected, ma questo è, probabilmente, il passaggio successivo e ancora più intenso su cui
dovranno fronteggiarsi gli operatori Tv e i nuovi contenders.
Il peso della regolamentazione
Parlando di settore televisivo non si può però non sottolineare che questo tipo di attività è pesantemente
regolamentata dagli Stati e vecchio Continente anche dall’Unione Europea. Sulla stessa strada si stanno ponendo
le attività su internet contro cui lavorano le lobby di quei settori che, incapaci di cogliere le opportunità del nuovo,
remano contro l’innovazione che tutto ciò comporta. Sono vicende che si ripetono stancamente nella storia
economia del pianeta.
Nel caso specifico della Televisione, la regolamentazione è già sedimentata, seppur soggetta a cambiamenti,
mentre quella su internet è in progress.
Il Parlamento Europeo ha adottato ufficialmente una posizione comune sui servizi media audiovisivi senza
frontiere. La direttiva 2007/65/CE, infatti, offre un quadro legale internazionale, compresi i servizi on-demand,
5
Consultabile online su http://allthingsd.com/20120105/where-did-nine-million-cable-subscribers-go/
regolando in particolare la pubblicità, il collocamento di prodotti, nuovi diritti per i cittadini e tutela dei valori
chiave europei. La direttiva, viene applicata sia per la Televisione analogica che per quella digitale, compreso
anche l’online.
In Italia la regolamentazione televisiva ha un trascorso più complesso: dal monopolio fino al ’76, allo sviluppo
delle reti commerciali fino agli anni ’90 con la legge Mammì (n. 223/1990) e la legge Meccanico del 1997 (n.
249/1997) e più la legge Gasparri nel 2004 (n. 112/2004).
Negli Stati Uniti, mercato televisivo di riferimento degli analisti, perché spesso anticipatore di problematiche
che interverranno successivamente in Europa, un garante vigila sulla titolarità delle stazioni che sono soggette a
regolamentazioni diverse. Le più importanti sono:
 la regola della proprietà delle Tv nazionali (vieta l'entità di raggiungere oltre il 39% delle famiglie
televisive degli Stati Uniti);
 la norma sulle Tv locali (consente a un'entità di possedere due stazioni televisive nello stesso mercato
designato);
 la regola della dual Tv (vieta una fusione tra le più grandi reti televisive come ABC, CBS, Fox e NBC).
Inoltre negli Stati Uniti operano oltre 200 stazioni televisive via cavo di rilievo, che si distinguono da quelle
via cavo premium, per le quali il consumatore paga un abbonamento incrementale per l'accesso a specifici canali
premium come HBO. Con l'aumento della penetrazione del cavo e del satellite, molte aziende di grandi mezzi di
comunicazione offrono una programmazione diversificata con canali di nicchia o specializzati, ampiamente
consolidati (esempi di emittenti via cavo con portata nazionale sono Comedy Central, MTv, CNN, Disney
Channel).
Inevitabile pensare che, fuori dallo stato embrionale, nella prospettiva di un settore Connected Tv più strutturato
si dovrà tener conto di una discussione di alcune regole e principi che non potranno essere elusi dagli operatori.
Non è un caso, infatti, che all’inizio del 2012, l’Amministratore Delegato della Ofcom, l’Autorità di Garanzia
delle Comunicazioni britannica, ha dichiarato, alla Oxford Media Convention, che quegli apparecchi Tv connessi,
che incorporano video-on-demand e servizi internet aperti, devono essere considerati alla stregua di un classico
servizio Tv a livello di esperienza di consumo. Ed Richards sottolinea, quindi, che il pubblico si aspetta contenuti
su questi dispositivi che siano più regolati di quanto i contenuti internet accessibili tramite PC e portatili6. Il
pensiero dell’Autorità britannica è, dunque, quello di elaborare e suggerire dei principi di base che si tradurranno
in standard minimi di servizio nell’ottica, da un lato, di evitare frodi e danni per i consumatori meno preparati e,
dall’altro, di garantire la piena informazione a quei fruitori che possono essere in grado di scegliere un prodotto
dall’offerta Connected Tv anche in base alla qualità tecnica che viene garantita. Questo è, presumibilmente, un
orientamento legislativo su cui tutti i Paesi interessati da emergenti servizi di Connected Tv, soprattutto quegli
europei, convergeranno, spinti sia dalla volontà da evitare elementi distorsivi della concorrenza, sia dalla
pressione che gli incumbent eserciteranno per aumentare le barriere all’ingresso negli emergenti assetti del
mercato.
La creazione del valore e i modelli di Business
Fattori di Valorizzazione, Work Flow e Filiera Distributiva
Quattro sono i fattori di valorizzazione del prodotto televisivo:
 innanzi tutto il tempo che, per le cose sopra dette, viene inesorabilmente consumato dalla fruizione dei media e
quindi assume una importanza strategica; la distribuzione online e il VoD allungano il periodo di sfruttamento
dei prodotti e la loro ubiquità;
 la differenziazione dei prezzi, dal momento che, nei vari passaggi, si deve tener conto non solo della
competitività verso altri media e usi del tempo libero, ma anche della distanza di tempo che intercorre tra le
varie piattaforme distributive per cercare di capitalizzare al meglio ogni singolo prodotto;
 la reiterazione dei contenuti permessa senza soluzione di continuità dall’online decisamente più efficacemente di
quanto possa fare la distribuzione fisica dei DVD e la riproposizione dello stesso contenuto nel palinsesto che
conserva in ogni caso una sua rigidità;
 l’esclusività, nel senso di valorizzazione specifica del prodotto in ognuna delle piattaforme, evitando la
simultaneità della fruizione che abbassa la sua capitalizzazione media.
6
Consultabile online su http://www.broadbandtvnews.com/2012/01/25/ofcom-looks-again-at-vod-regulation/
Figura 5 - Il Work Flow
Valorizzazione tanto più alta quanto maggiore sarà l’interazione tra questi quattro elementi attraverso i quali,
inoltre si possono interpretare meglio i passaggi che determinano il work flow, cioè l’organizzazione del processo
produttivo (Figura 5); e si possono comprendere meglio i passaggi successivi della Filiera Distributiva (Figura 6).
Figura 6 - La Filiera Distributiva (Elaborazione su J.C. Ulin)
Il percorso del Work Flow parte dalla tessera decisiva che comprende la creazione e ideazione del contenuto;
passa poi attraverso la sua realizzazione per giungere infine alla distribuzione. Nel tassello va anche comprende
l’apporto decisivo del fund raising, ancora più importante nel caso dell’audiovisivo, dove i costi sono tutti
concentrati sulla cosiddetta «prima copia». Ciò vuol dire che, a differenza degli altri settori industriali, in quello
televisivo, così come in quello più generale dell’audiovisivo, non c’è alcuna possibilità di recupero costi e
investimenti nel caso di insuccesso di
mercato o di risultato inferiore alle
attese. Di conseguenza il rischio è
altissimo.
Il
crescente
sviluppo
della
distribuzione internet, allungando il
periodo di sfruttamento del prodotto e
allagando la platea dei fruitori (Anderson, 2006), nonché abbattendo i costi di distribuzione, costituisce un elemento
di mitigazione del rischio di impresa.
La catena del valore
L’accrescimento del valore del prodotto televisivo avviene poi lungo una catena in cui si evidenziano i blocchi
principali del processo televisivo. A seconda dei casi i blocchi si uniscono o rimangono divisi. In Italia, così come
in Europa e negli Stati Uniti, i broadcaster maggiori accumulano sia le funzioni di produzione sia quelle di
distribuzione, essendo nei casi conosciuti anche i proprietari della rete. Più articolata è la catena nel caso delle
Televisioni locali, dove il rapporto tra produzioni interne ed esterne, cioè acquisti da produttori televisivi terzi, è
sbilanciato a favore di queste ultime.
Figura 7 - La catena del valore dell’industria televisiva
Dal momento che nella catena del valore irrompe il digitale e l’online, due blocchi diventano decisivi:
 il primo è quello è relativo all’aggregazione e distribuzione di contenuti; difatti il broadcaster, abituato a
proporre una programmazione di flusso a palinsesto, si attrezza per offrire online sia in streaming che
tramite VOD di porzioni di palinsesto;
 Il secondo è relativo alla presenza sul mercato di schermi televisivi dotati di connettività broadband, i quali
danno la possibilità ad aggregatori esordienti o già esistenti sul mercato di entrare in competizione con la
programmazione degli incumbent broadcast.
Figura 8 - La catena dei contenuti digitali su internet
Più specificamente:
 Approvvigionamento o creazione di contenuti, che può avvenire sia attraverso la produzione diretta sia
attraverso l’acquisto di contenuti da produttori terzi. Questa è la fase presidiata dai detentori dei diritti di
proprietà intellettuale;
 Post-produzione, che consiste nelle attività necessarie a rendere i contenuti in formato digitale fruibili e
sicuri, con notevoli differenze a secondo del device su cui il contenuto dovrà essere reso disponibile;
 Aggregazione e distribuzione, è la fase in cui operano i soggetti che svolgono attività di mediazione tra
produttori e consumatore finale. Si tratta di packager che organizzano i contenuti in funzione della
piattaforma e del tipo di utenza, trattenendo una quota dei ricavi, secondo un modello di revenue sharing;
 Infrastruttura di rete, che coincide con la fase di trasmissione di contenuti attraverso piattaforme
tecnologiche di diversi tipi. Di questo comparto sono protagonisti gli operatori di telecomunicazione (sia
fissa che mobile), gli operatori di Tv digitale terrestre e della Tv satellitare, gli internet Service Provider
(ISP);
 Accesso, ossia la effettiva fruizione da parte dell’utente.
Il valore generato lungo tutta la fase di distribuzione fino a valle resta caratterizzato da una forte
concentrazione, essendo suddiviso tra operatori TLC (telecomunicazioni) e broadcaster. Il valore dei contenuti
prodotti si moltiplica lungo la filiera nel passaggio da una fase all’altra, dal produttore all’utente finale.
Alcuni grandi broadcaster a livello internazionale come NBC, BBC e CBS hanno reagito con prontezza ai
fenomeni precedentemente descritti della crisi degli indici di ascolto classici e del calo della raccolta pubblicitaria,
valorizzando le proprie libraries ed espandendo la loro presenza sul mercato, gli operatori europei (ad eccezione di
BBC) sono intervenuti su questo terreno con un certo ritardo, forse preoccupati delle ricadute negative sulla
raccolta pubblicitaria.
Gli operatori di TLC si sono orientati sull’offerta di IPTv e si sono proposti come alternativa alle offerte
proposte da altri soggetti quali le Tv satellitari e i broadcaster tradizionali per creare nuovi palinsesti.
Contestualmente i portali di video online hanno optato per un modello più aperto, in cui coesistono sia contenuti
Tv che user generated content.
Questo potrebbe portare ad un netto abbassamento delle barriere all’accesso e conferire alle emittenti minori la
possibilità, almeno teorica, di accedere a mercati prima irraggiungibili con il solo uso delle frequenze terrestri.
Questo renderà possibile la nascita di platee globali per contenuti locali.
Tali tendenze potrebbero comportare effetti su tutte le fasi della catena del valore ed evolvere in forme di
business con incidenza differente a seconda della tipologia di operatore:
 I broadcaster incumbent hanno scelto la multicanalità (gestita direttamente) come linea di condotta
comune, puntando al presidio delle fasi iniziali della filiera, ovvero di gestione del content;
 sulle pay Tv pesa il costo dell’attività di CRM (Customer Relationship Management), la cui spesa si
attesta, secondo alcune stime, tra il 20-25% del valore del fatturato. Il ruolo delle entrate legate alla
pubblicità diventerà sempre più importante, specialmente quella targettizzata su canali tematici;
 gli operatori di Web Video, saranno una forma ibrida tra Tv generalista e pay Tv, da cui si differenziano
soprattutto per il maggior peso delle infrastrutture di rete, fattore di principale costo per i data center
(encoding video e storage). Campagne di viral e buzz marketing determineranno in maniera crescente la
sorte di queste nuove Tv che puntano sui ricavi pubblicitari come fonte primaria, e PPV e subscription
come fonti secondarie. L’acquisizione dei diritti di ritrasmissione preferirà soluzioni bundle piuttosto che
revenue sharing (ossia ripartizione delle entrate e delle uscite tra partner).
Figura 9 - I modelli di business dei distributori di contenuti video su Web
I modelli di Business: tra free, pay e connected
La free Television è la forma di Televisione più tradizionale (comunemente indica trasmissioni televisive overthe-air). Il mercato si divide tra le terrestri, nazionali e locali e la satellitare. Le terrestri si poggiano su reti che, da
analogiche, si stanno progressivamente trasformando in digitali, secondo il piano di switch-off definito
dall’Unione Europea e dagli Stati nazionali.
Il passaggio della Televisione terrestre dall’analogico al digitale, moltiplicando perlomeno per 4 i canali
disponibili, ha indotto la Televisione italiana commerciale fondata e cresciuta sui ricavi da pubblicità ad entrare
anche nel campo della Pay Tv. Le motivazioni possono essere individuate ne:
 il successo della campagna abbonamenti della Televisione satellitare, che ha portato alla luce un mercato
mai prima esplorato nel nostro Paese;
 la crisi economica e la stagnazione degli ultimi anni che ha lasciato intravedere una fase di maturità nella
crescita finora pressoché ininterrotta degli introiti pubblicitari; inoltre, le tendenze in atto lasciano
prevedere che alla fine del 2012 si completerà il sorpasso tra ricavi da pubblicità e ricavi da pagamento
diretto degli utenti;
 l’aumento del costo dei contenuti premium, per la forte concorrenza tra Televisioni terrestri e satellitari, ha
quasi imposto alla free Television di recuperare ricavi attraverso il modello pay, non lasciando alla
satellitare campo libero in contenuti come il calcio e il cinema che sono driver per ogni singola emittente
nel suo complesso.
Secondo e-Media Institute, nel 1992 le famiglie italiane spendevano «per guardare» poco meno di € 2 miliardi.
Nel 2008, tale spesa ha superato i 6,2 miliardi di € e potrebbe crescere fino a quasi € 8 miliardi nel 2012. Nel
1992, la spesa «per guardare» era sostanzialmente ripartita a metà tra canone radio-Tv da una parte e
Cinema/Home Video dall’altra. Vent’anni dopo, nel 2012, la Pay Tv potrebbe generare quasi il 60% del totale
della spesa.
Le previsioni al 2012, sempre secondo E-Media Institute, di danno i ricavi della Pay Tv superiori a quelli
da pubblicità e da canone:
 cresce considerevolmente la Pay Tv in valore assoluto e percentuale, a cui internet e la Mobile Tv
danno un contributo ancora assolutamente marginale;
 la crescita della Pay Tv erode quote sempre maggiori del mercato home video, riducendo il suo
fatturato in termini assoluti e contraendo drasticamente la sua percentuale sul totale della spesa;
 incide in termini percentuali sulla sala cinematografica che, al contrario dell’home video, vede
crescere sensibilmente il valore assoluto del box office;
 si ridimensiona percentualmente il peso del canone Rai Tv che rimane pressoché costante nei suoi
valori assoluti.
Si può osservare questa evoluzione attraverso i dati di una ricerca E-Media Institute sul mercato italiano
(2009) secondo la quale la spesa «per guardare» negli ultimi 20 anni delle famiglie italiane, oltre ad essere
cresciuta dai circa 2 miliardi di euro del 1992 fino ai circa 8 stimati del 2012, è radicalmente cambiata nella
sua distribuzione come rappresentato nella fig. 10.
Figura 10 - Distribuzione percentuale della spesa «per guardare» degli italiani (Fonte: E-media Institute)
Complessivamente si possono declinare i diversi Modelli di Business nello schema della Figura 11 in relazione
ai target di riferimento, agli standard e alla logica economica che li sottende.
Figura 11 - Una declinazione dei modelli di Business
Il Video on Demand (VoD) tra free e advertising
Da questo complesso processo si distacca, tendendo ad assumere una importanza crescente, il Video on
Demand (VoD).
Il VoD dà al consumatore la possibilità di gestire in funzione dei suoi tempi di vita la fruizione di contenuti
audiovisivi e quindi di Televisione. Non si dimentichi mai, infatti, che il consumo di media implica il consumo del
tempo del consumatore. Quindi, più si creano device e modalità di consumo (in questo caso il VoD e l’online)
capaci di incunearsi negli slot di tempo libero del consumatore, maggiore sarà l’ampiezza del mercato.
Questo sarà tanto più vero quanto più si estende la rete a banda larga e quanto più matureranno i passaggi
anagrafici degli alfabetizzati informatici.
Come già descritto, la Televisione, con l’entrata in scena dell’ online, tende progressivamente a dispiegarsi su
di una galassia di diverse piattaforme. In questo quadro il VoD tende ad occupare uno spazio crescente.
Questa fruizione video supportata dalla pubblicità è chiamata advertising VoD ed è una sottocategoria del più
generico free video on demand.
In futuro, free Television vorrà dire programmare il broadcast in Tv in simultanea con altre piattaforme. Così
già fa la RAI con rai.tv a cui associa la snackTv dei programmi di maggior successo e l’ advertising VoD delle sue
serie televisive, raccogliendo così audience prescindendo così dalla rigidità dei palinsesti.
Lo sviluppo del VOD sta crescendo anche in Europa e in Italia sull’onda dell’affermazione di servizi di IPTv,
Web Video e Over The Top Tv, grazie al protagonismo degli operatori Telco e dei portali dei broadcaster.
Tipicamente (circa l’80% dei casi) il servizio VOD è di tipo rent cioè permette la visione dei programmi, con
varie formule, entro un dato intervallo di tempo (24/48). Negli altri casi l’offerta è di downloading illimitato, il
cliente cioè entra in possesso di una copia originale dell’opera.
Il VoD di HBO, Disney e NBC
Una delle più importanti reti televisive americane come NBC (National Broadcasting Corporation) cede i diritti
di sfruttamento dei suoi programmi ad Hulu, uno dei più importante Web Aggregator. ABC, il network televisivo
di punta del gruppo Disney, rende disponibili i suoi programmi esclusivi di prima serata anche sul suo sito
abc.com in maniera gratuita (nonché interviste inedite, fuori scena e interviste ai protagonisti). CBS Corporation
offre on demand le sue famose serie televisive trasmesse in prime time. Si rendono gratuitamente accessibili
alcune tra le serie di maggior successo (come CSI o Desperate Housewives), con il solo vincolo di vedere uno
spot pre-roll.
HBO (Home Box Office) che è uno dei più importanti servizi di Pay Tv, con oltre 40 milioni di abbonati negli
Stati Uniti e in altri 150 Paesi associa l’offerta pay come broadcast a quello di VoD. I servizi premium sono quasi
sempre costituiti dalla sottoscrizione di un’offerta di base, il che significa che ci si può abbonare a HBO, senza
essere obbligati a sottoscrivere tutti i pacchetti commerciali. Tuttavia, la sottoscrizione di un servizio individuale
include automaticamente l'accesso a tutti i contenuti di quel canale, l’utilizzo di particolari servizi e, in alcuni casi,
l'accesso ai contenuti tramite VOD.
Il riposizionamento della pubblicità
Tutto quanto detto finora apre una serie di riflessioni campali sullo scenario del mercato pubblicitario riguardo:
 le modalità di investimento dei grandi inserzionisti pubblicitari;
 le modalità di redistribuzione, da parte dei centri media, degli investimenti pubblicitari tra la nuova folta
schiera di canali dell’offerta televisiva digitale;
 le modalità di acquisizione di pubblicità da parte delle concessionarie del broadcaster pubblico e di quello
commerciale-privato.
Nei prossimi 5 anni avverranno maggiori cambiamenti per l’industria della pubblicità di quanto sia successo
negli ultimi 50.
Il maggior potere dei consumatori, la maggiore autonomia degli investitori pubblicitari e la continua evoluzione
delle tecnologie, stanno ridefinendo come la pubblicità verrà venduta, prodotta, consumata e misurata.
I player tradizionali – broadcasters, distributori e agenzie pubblicitarie, potranno sopravvivere solo se
adatteranno con successo i loro modelli di business e saranno capaci di innovare la loro struttura interna.
Nei nuovi scenari che si prospettano ci sarà forse la possibilità di superare quell’allarme che girava tra i
pubblicitari al tempo della Televisione analogica, quando si mandavano in onda gli spot sperando di catturare
l’attenzione del proprio target:
«Metà del denaro che si spende in pubblicità è sprecato, e il guaio è che non si sa quale metà sia».
Oggi studiare il proprio target, misurare i propri risultati e analizzare il successo di una campagna tende ad
essere sempre più possibile da un lato per la diversificazione dei canali tematici che per sé stessi mirano ad un
target d’identità; dall’altro perché tutto ciò che passa attraverso internet e il Web permette un posizionamento
decisamente migliore.
Una campagna di marketing tenderà sempre più ad essere un piano strategico interattivo e integrato, e il payoff7 di tale campagna tenderà ad avvenire su dati reali (cost per mille impression, CPM), resi da uno spot sulle
diverse piattaforme.
Le campagne saranno sempre più «multiple», cioè con versioni diverse a seconda dei diversi segmenti di
pubblico e delle varie piattaforme su cui la comunicazione è veicolata; se così sarà il ROI (Return On Investiment)
crescerà perché le campagne saranno più efficaci.
In questo caso non esisterà più un mezzo privilegiato per un audience di massa, ma mezzi tutti ugualmente
importanti per raggiungere target specifici:
We will see neutral evaluation of all media formats. There is no primary role for linear Tv any more› (Gerbarg, 2009)
La televisione analogica, imperniata per di più sui canali generalisti e quindi su un flusso lineare comandato da
palinsesti preordinati, tenderà a perdere quel rapporto privilegiato con gli investitori che ha mantenuto per molti
anni e che per certi versi continua a mantenere, ma che è destinato inesorabilmente a perdere le quote di audience
e di share attuali.
Diversi settori dell’industria e dei servizi, come per esempio quelli di viaggio, automobili, finanza, tempo
libero, etc., già da diverso tempo privilegiano il Web, mettendo come secondaria la promozione su Televisione.
Questo cambiamento che sta avvenendo nell’industria dell’advertising, sta seguendo quattro driver: attention,
7
Pay-off è inteso non in termini pubblicitari, laddove si indica il posizionamento dell'azienda o del prodotto a cui si riferisce. Per
«posizionamento» si intende lo spazio occupato dal prodotto o dall'azienda nella mente del target, in parole povere la personalità del
prodotto o dell'azienda; ma in termini economici laddove si indica il ritorno economico di una azione intrapresa.
creatività, misurazione e advertising inventory.
I primi due driver prendono come soggetto l’utente/consumatore che diventa sempre più autonomo e cosciente
del proprio potere, abilità verso le nuove tecnologie e controllo sui media ai quali accede, divenendo quelli che
molti definiscono «prosumer».
Gli altri due driver prendono come soggetto l’investitore pubblicitario, le agenzie pubblicitarie, i centri media,
che diventeranno, o saranno costretti a diventare, sempre più attenti al cambiamento che guiderà i processi e i
protagonisti del video ed in particolare: in primis avendo attenzione alla ricerca di più efficienti KPI (Key
Performance Indicator) e, subito dopo, sul pay-off degli slot pubblicitari acquistati.
Che cosa si intende per ognuno dei driver sopra indicati?
Attention
Con questo termine si deve intendere il tempo che viene speso davanti ad uno schermo che non è più solo
quello televisivo dei pochi canali analogici; prima la Televisione satellitare e poi il digitale terrestre hanno
moltiplicato l’offerta televisiva redistribuendo le audience tra i tanti canali digitali; l’entrata in scena della
Connect Tv è destinata a bulimare l’offerta televisiva.
Allo schermo televisivo si era, in termini di tempo di visione e quindi di spazi di tempo che il consumatore
impegna da questo punto di vista, si è già aggiunto da tempo il monitor del PC, con lo sterminato mondo di
internet e del Web, cannibalizzandogli fasce d’età e di interesse.
Questo scenario tenderà ad essere sempre più complesso con la Connected Television che, se da un lato
cannibalizza le audience dei broadcaster, dall’altro rimetterà lo schermo televisivo come perno sia dell’offerta dei
broadcaster, sia il wide space e le sue modalità di consumo dell’offerta che vi si precipiterà dal protocollo
internet.
Tutto ciò renderà il consumatore di Televisione, sempre meno costretto nell’ offerta broadcaster e sempre più
aperto ad un’offerta digitale da qualsiasi sorgente essa provenga. In questo modo eserciterà una sempre maggiore
sovranità rispetto ai providers, broadcast o broadband che siano, e rispetto alla scelta di vedere o di non vedere, o
di selezionare i messaggi pubblicitari. Difatti per quanto riguarda la Televisione lineare, i DVR e il VOD gli
permetteranno un controllo e/o una selezione dei messaggi pubblicitari. Lo stesso gli permettono da un lato lo ad
skipping delle pubblicità non interessanti e, dall’altro, lo ad sharing per quelle di interesse che vuole condividere.
I consumatori tenderanno ad esercitare sempre più il controllo su quello che vedono, a creare interazione e
filtrare la pubblicità, continuando a spostare la loro attenzione dalla Televisione lineare e adottando tutta una serie
di strumenti per saltare, condividere e dare un giudizio su una specifica pubblicità.
Per quanto riguarda il mercato americano, quello più avanzato da questo punto di vista, il PC è già diventato il
secondo medium, dopo la Televisione, per livello di attenzione: il 71% dei rispondenti di una ricerca condotta da
IBM dichiara di usare internet più di due ore al giorno per uso personale, mentre solo il 48% dichiara di spendere
un tempo analogo guardando Televisione. Tra gli heaviest users il 19% spende più di 6 ore al giorno o più davanti
al PC, mentre solo il 9% sono quelli che passano un tempo equivalente davanti alla Tv (Gerbarg, 2009).
Creatività
Internet e il Web ha dato vita ad un fenomeno di assoluta significatività che ha assunto una sempre maggiore
estensione ed ampiezza: da un lato sono nati i cosiddetti user-generated content (UGC), dall’altro si è estesa la
condivisione grazie al file sharing e i Social Network.
Nel primo caso si è in presenza di un fluorilegio di nuove forme video: si va dai machinima ai mush-up, dai
remix e open-movies alle Web series, dai fun movies ai UGC contest, etc. E, dall’altro, all’enorme riflesso di
diffusione che ricevono dal file sharing e dai Social Network. Queste nuove forme video vengono realizzate in
gran parte sotto forma amatoriale, ma stanno dando luogo a forme di creatività semi professionale che tendono a
porsi sul mercato video e sull’ip come competitor rispetto ai formati professionali. Allo stesso tempo, queste
nuove figure tendono ad essere considerate dagli investitori come una alternativa alla creatività delle agenzie.
Specie se si considera il loro carattere low-cost, attraente, oltre che per i grandi investitori, per le piccole e medie
imprese, che possono contemporaneamente sfruttare la capacità virale (e gratuita) di diffusione del messaggio
pubblicitario nella Grande Rete.
Ciò porta ad immaginare nuovi scenari per l’industria della pubblicità che si potrebbero prefigurare in un futuro
non troppo lontano: in particolare sempre di più si nota come ci sia un accorciamento della catena del valore e una
rifocalizzazione a monte e a valle della produzione video, come vedremo nei prossimi capitoli. Produttore video e
consumatore dialogano sempre maggiormente (spesso questi due profili finiscono per sovrapporsi), cancellando di
fatto la fitta rete di intermediazione costituita da distributori, creativi, etc.
Misurazione
Con questo termine si intende l’assoluta necessità di misurare le audience in presenza di una proliferazione dei
canali e dei media, che propongono medesimi contenuti video su piattaforme diverse (dalla game console, alla
Televisione, al PC, al mobile, tablet, etc.) che se da un lato fa crescere le audience video, dall’altro le disperde tra
le tante Televisioni, internet e il Web.
Questo scenario renderà sempre più complessa la scelta del medium da parte degli investitori pubblicitari e dei
centri media che, se da un lato si troveranno in possesso di un database sempre più ricco di informazioni, profili
ed abitudini psico-sociologiche dei target, dall’altro non avranno più un pubblico massificato, quello correlava la
scelta della Televisione generalista e l’efficacia della campagna con i grandi numeri delle audience. Sempre più
dovranno invece tener conto delle eyes ball impression di internet.
Si avranno, quindi, due spostamenti in prospettiva: da un lato l’inseguimento delle audience (la pubblicità si
colloca laddove c’è il suo target); dall’altro gli investitori pubblicitari chiederanno sempre più i numeri che
derivano da misurazioni più specifiche ed efficaci che rendano il coinvolgimento del consumatore e quindi
l’impression sullo stesso.
Advertising Inventory
Per advertising inventory si intende lo spazio venduto online per veicolare messaggi pubblicitari su diversi
spazi come siti Web, RSS feed, blog, applicazioni di istant messaging, adware, email e altri strumenti. Gli spazi
acquistati sono per due terzi quelli sui siti, per i quali vengono stretti accordi con reti di agenzie pubblicitarie
tramite il pagamento di un abbonamento o di una percentuale sulle entrate pubblicitarie (PPC).
Nel nuovo scenario televisivo, come si è detto, sono già entrati e sono destinati a crescere nuovi player come i
grandi motori di ricerca e i Web Aggregator o i Web Hosting che offrono e aprono agli investitori nuovi spazi
pubblicitari.
Alcune indagini con riferimento al mercato americano calcolano che nei prossimi 5 anni, queste
piattaforme otterranno il 30% delle entrate pubblicitarie a discapito degli attuali protagonisti del mercato come i
broadcaster. Uno scenario che è già visibile oggi, dove sempre maggiori investitori sono presenti in maniera
sempre più rilevante sul Web, decidendo di investire in maniera sistematica, e non solo in maniera pionieristica e
non definita (spesso infatti le campagne su Web non rientravano nei piani di comunicazione, non venivano definiti
nella strategia complessiva né nella creatività).
Gli scenari possibili per la raccolta pubblicitaria
Da quanto appena descritto è possibile trarre, per quanto riguarda la pubblicità, due considerazioni:
 la prima riguarda la prospettiva per i viewers di gestire il proprio consumo pubblicitario e dall’altro di
partecipare alla creazione di campagne marketing e alla loro gestione nella grande Rete;
 la seconda riguarda il passaggio da un’area chiusa e limitata di spazi pubblicitari, quelli della Televisione
analogica, ad un’area aperta ed in divenire per effetto della digitalizzazione e della distribuzione con protocollo
internet di video short e long form.
Da queste considerazioni si possono trarre quattro diversi tracciati che potrà seguire l’industria televisiva:
Continued Evolution, Open Exchange, Consumer Choice e Advertising Marketplace.
Figura 12 - I nuovi scenari dell’industria pubblicitaria
Lo schema nella Fig. 12 mostra a livello grafico come sono posizionati i quattro scenari secondo i quattro
indicatori: maggiore o minore apertura/chiusura del mercato televisivo verso gli investitori pubblicitari; e
maggiore/minore controllo dei media da parte dei provider o dei consumatori.
Il primo tracciato, ovvero quello della Continued Evolution, vede l’industria televisiva imperniata su un
modello one-to-many. Questo tracciato presuppone il mantenimento del sostanziale oligopolio e uno sviluppo
della catena del valore. L’industria, come già ha intrapreso azioni in risposta al videoregistratore (DVR),
applicherà strategie analoghe per affrontare la crescente popolarità degli user-generated content e del peer-topeer, adeguandosi, da un lato ai cambiamenti dei modelli economici e dei pay-off generato dall’avvento di nuovi
strumenti; e dall’altro alle nuove misurazioni dell’efficacia pubblicitaria, basate non solo sull’impression ma
anche sull’engagement del consumatore. In questo sta l’evoluzione rispetto al modello precedente.
L’industria pubblicitaria continuerà a fronteggiare un’industria televisiva controllata dai provider e quindi un
mercato non aperto a più concorrenti.
Gli investitori pubblicitari collocheranno una parte del loro budget sulle nuove piattaforme digitali, mantenendo
una quota significativa di investimento sulla Televisione considerata ancora mass-media, continuando a ridurre
l’impegno verso altri old media come ad esempio i quotidiani.
Il controllo del mercato pubblicitario rimane quindi strettamente ancorato ai produttori dei contenuti video e ai
distributori tradizionali, a cui si aggiungeranno i Web Aggregator e i Web Hosting per quanto riguarda il Web.
Crescerà in ogni caso il potere dei consumatori che iniziano in questa scenario a ritagliarsi comunque un ruolo
di driver per l’evoluzione del mercato, diventando attori coinvolti indirettamente nei progressi di evoluzione dei
modelli di Business delle imprese dell’entertainment. L’industria non può infatti ignorare gli spostamenti delle
audience verso nuove piattaforme, né può sottovalutare le implicazioni dell’uso massivo di questi nuovi device,
primo tra tutti il DVR e altri tool come TiVO.
Di fronte ad un pubblico sempre più attivo e ad un’attività pubblicitaria ancora in maggioranza di massa, si
prefigura così quello che si potrebbe definire un mercato bifronte: per gran parte del target continueranno ad
essere utilizzati i modelli pubblicitari tradizionali, mentre per gli altri target (generalmente giovani e culturalmente
evoluti) verranno sviluppate pubblicità più interattive e innovative.
Il secondo tracciato è quello dell’Open Exchange che vede l’industria pubblicitaria, in termini diversi
dall’attuale, cavalcare questa evoluzione assieme ai grandi player televisivi ed internet.
Gli investitori pubblicitari e i provider rimarranno principalmente gli stessi, ma cambieranno invece i processi
per l’acquisto degli spazi pubblicitari: quest’ultimi verranno comprati e venduti grazie a un efficiente sistema di
scambio diretto tra investitori e provider, escludendo probabilmente da questo processo la grande industria
pubblicitaria.
Si faranno spazio i piccoli e medi new comers pubblicitari in grado di interpretare con più flessibilità i nuovi
scenari di mercato e, accanto ai player televisivi, entreranno in gioco i Multiple System Operator (MSO) e le
Telco, se riusciranno a spostare il centro del loro core business dalla vendita di connessioni alla vendita di servizi.
Nel mercato pubblicitario di internet, insieme ai nuovi player legati al settore tecnologico, deterranno invece il
controllo del mercato i Web Aggregator e i Big dell’hosting, insieme ai produttori di contenuti video.
Una significativa porzione dello spazio pubblicitario sarà quindi «open», ovvero venduto attraverso scambi,
permettendo così anche ai piccoli compratori di entrare nel mercato, una volta prerogativa solo delle grandi aziende.
I fattori caratteristici dell’industria pubblicitaria in questo tracciato saranno quelli del massimo controllo media da
parte del provider e apertura del mercato pubblicitario.
Per quanto riguarda il Consumer Choice, tale tracciato prevede un mercato pubblicitario controllato
principalmente da un consumatore prosumer, che decide quale pubblicità vedere e filtrare.
I formati pubblicitari evolvono quindi verso un modello più interattivo, basato sul consenso del consumatore e
su messaggi specifici per i diversi target. I driver che hanno maggiore importanza in questo processo sono
sicuramente l’attenzione e la creatività, ovvero tutti quei processi guidati dal consumatore. I fattori caratteristici
dell’industria pubblicitaria in questo tracciato saranno quelli del massimo controllo media da parte del
consumatore e massima apertura del mercato pubblicitario.
Il distributore non fa quindi altro che offrire al consumatore diverse possibilità e sta al consumatore selezionare
quale sia il prodotto video più accattivante, la piattaforma più idonea per consumarlo, e addirittura il «pacchetto»
pubblicitario più appetibile e rilevante per le sue caratteristiche e per i suoi gusti personali (questo è possibile non
solo grazie ai tool ad skipping e ad sharing già citati precedentemente ma attraverso gli spider dei motori di
ricerca, che registrano le preferenze dell’utente). Per esempio, potrebbe scegliere di guardare solo pubblicità di
automobili, orientate al pubblico maschile di una certa fascia d’età.
L’ultimo tracciato che si prefigura è quello dell’Ad Marketplace. Questo tracciato presuppone la scomparsa
dell’attuale modello dell’industria pubblicitaria e la nascita di un nuovo sistema, basato su due soli player nella
catena del valore: produttore e consumatore. I consumatori rifiuteranno la pubblicità tradizionale e saranno
sempre più coinvolti nel processo di sviluppo e distribuzione della pubblicità, scegliendo di quali media usufruire
e creando un palinsesto tailor-made, come si era già prefigurato in maniera più contenuta nei tracciati del
Consumer Choice e, più limitatamente, nella Continued Evolution.
La pubblicità viene venduta attraverso scambi aperti e dinamici come nell’Open Exchange, ma in questo
modello si raggiunge per così dire una sorta di mercato concorrenzialmente perfetto. Questo tracciato prevede
infatti che potenzialmente ogni pubblicitario possa rivolgersi a qualsiasi consumatore, creando perciò infinite
possibilità di scambio e di interazione. La distribuzione avviene perciò principalmente attraverso attività di
buzz e di viral per la diffusione delle informazioni sul brand, cancellando tutte le figure di intermediazione che si
frappongono tra produttore e consumatore. I fattori caratteristici dell’industria pubblicitaria in questo tracciato
saranno quelli del massimo controllo media da parte del prosumer e massima apertura del mercato pubblicitario.
Il tracciato più vicino a quello attuale è sicuramente il Continued Evolution, che si posiziona rispettivamente
nella parte più bassa a sinistra del grafico, con una chiusura sostanziale del sistema pubblicitario e da un controllo
quasi assoluto dei provider e dei broadcaster.
In futuro l’industria pubblicitaria potrebbe spostarsi verso i modelli adiacenti, ma non si può prevedere in anticipo
dove si sposterà realmente e se questi tracciati sia collegati tra loro da un percorso evolutivo o meno.
Molto dipenderà dal comportamento dei player coinvolti nel cambiamento, dalla capacità di innovazione
tecnologica, dai nuovi posizionamenti che riusciranno a ritagliarsi nella catena del valore e dal potere di un
consumatore/prosumer sempre più rilevante.
Starà ai vari attori del mercato scegliere i modelli di business
più idonei, cercando nuove modalità di vendita della pubblicità, instaurando nuove relazioni e partnership,
ridefinendo i modelli di guadagno e le misurazioni dei risultati.
Sulla base di queste osservazioni i player
all’interno dell’attuale catena del valore potrebbero prendere differenti percorsi di mutamento. Il percorso naturale
potrebbe essere quello che va dallo scenario attuale, quello dell’adattamento del mercato (Continued Evolution) al
mercato pubblicitario (Ad Marketplace), attraverso due possibili passaggi intermedi: quello del Consumer-based o
quello basato sull’Open Exchange.
Segni di evoluzione sono già presenti nel mercato attuale.
Esempi di Open Exchange sono presenti già in
internet, ma è chiaro che questo modello potrebbe estendersi anche in altri mercati in un futuro non lontano
(Google ha già eliminato gli intermediari, essendo al tempo stesso distributore e produttore di contenuti e fornitore
di servizi (AdSense, Radio, News, PrintAds, Tv, Telco, etc).
Esempio di Consumer Choice è TiVo, che permette di selezionare i programmi e di saltare le pubblicità non di
gradimento.
Il futuro della pubblicità sembra disegnare un distacco radicale dal passato. La ricerca del controllo
dell’attenzione, della creatività, del rilevamento dei risultati e degli spazi pubblicitari, sta ridisegnando la catena
del valore e sta spostando il peso e il potere negoziale che le aziende si erano ritagliate in questi anni.
La crescita degli investimenti pubblicitari ha generalmente un rapporto direttamente proporzionale
all’andamento dell’economia. E’ chiaro quindi che a fronte di un ciclo favorevole economico maggiori investitori
avranno un budget più elevato da spendere in iniziative pubblicitarie; al contrario uno sfavorevole passaggio
economico porterà non solo ad un taglio degli investimenti in questo ramo, ma al tempo stesso si ridurranno le
sperimentazioni e le iniziative pionieristiche, riducendo le azioni a quelle di esito certo e con ROI massimo.
Quello che interessa di più in questo lavoro non è quindi indagare in che punto del ciclo economico ci
troviamo, ossia in quale direzione ci stiamo muovendo, se il cambiamento è verso una crescita o decrescita degli
investimenti, ma è invece molto più interessante osservare con quale rapidità e in che misura i cambiamenti
avverranno.
Il cambiamento è molto più veloce di quanto si possa immaginare. Tutti i dati provenienti del mercato americano,
che prendiamo in questo lavoro come esempio esemplificativo di ciò che succederà di qui a pochi anni nel contesto
italiano, indicano che l’online, il Mobile e i formati interattivi sono chiaramente le chiavi di crescita dell’industria
della pubblicità che traineranno il mercato.
Mentre i formati maturi come stampa, direct marketing e Tv avranno una crescita piuttosto bassa, i nuovi
formati (compresa la Televisione interattiva e la pubblicità attraverso videogiochi) avranno infatti una crescita
complessiva superiore al 20%. Questa percentuale, seppur ancora moderatamente bassa in termini assoluti,
rappresenta una rivoluzione se viene considerato come lasso temporale gli ultimi 8 anni. Si parla infatti di una
crescita di investimenti da pochi bilioni di dollari, a una fetta consistente del mercato che vale oggi diversi bilioni
di dollari: sono internet mostra una crescita quasi doppia in soli 5 anni, contro un sostanziale assestamento di tutti
i media tradizionali e già da tempo posizionati nel mercato pubblicitario.
Oggi, dunque, l’attenzione del consumatore viene contesa infatti tra numerose piattaforme per l’intrattenimento
tramite schermi, Tv, PC, game console, smartphones, e molti altri.
Ma non tutti quelli che accendono la Televisione, veramente usufruiscono dei prodotti che il medium propone.
Sempre da ricerche americane si è visto come la Televisione, specialmente presso il pubblico giovane, sta
inesorabilmente diventando un medium di background, al quale ci si dedica una attenzione «di secondo piano».
Il focus di attenzione viene sempre conteso tra almeno due attività, una di primo e una di secondo piano, a cui ci si
deve dedicare minor impegno. Per i giovani l’attività principale diventerà quindi quella di navigare su internet,
chattare o giocare ad un gioco online o tramite game console, mentre la Televisione, incapace di competere con tale
livello di coinvolgimento attivo e di interattività, viene guardata di sfuggita, se non addirittura solo ascoltata.
Questo spiega perché questi nuovi mezzi non abbiano eroso lo spazio e l’importanza del mezzo Televisione,
che continua a mantenere il suo potere contrattuale nel mercato dell’advertising pur perdendo l’attenzione di parte
dei suoi spettatori.
Allo stesso tempo internet e i device assumono sempre maggiore importanza in termini di ritorno pubblicitario,
sia attraverso la pubblicità classica che attraverso servizio di abbonamenti per contenuti premium, modalità di
entrata diretta che ha interessato la Televisione solo negli ultimi anni con la Pay Tv. Sarà interessante nel futuro
capire, specialmente in ambito Web, quale modello di Business, tra premium ed advertising-supported, prevarrà.
Un indicatore che aiuta a comprendere maggiormente la direzione e l’intensità del fenomeno premium/adsupported è sicuramente l’analisi demografica. La frammentazione dell’attenzione dei consumatori varia infatti a
seconda delle fasce d’età e in base a queste fasce varia sostanzialmente il servizio che viene richiesto per usufruire
del contenuto.
L’unico media, se così possiamo definirlo, l’unico service che ha una audience di massa è diventato il Social
Networking, specialmente per le fasce di popolazione sotto i 35 anni.
Sono proprio gli heaviest user, appartenenti alle fasce giovani della popolazione, che dichiarano di passare più
ore su internet che guardando la Televisione8, gli stessi che sperimentano maggiormente i contenuti provenienti
dalle nuove piattaforme e che sono disposti a pagare per servizi online.
Le audience più mature invece adottano servizi più tradizionali come i contenuti premium della Televisione e i
servizi di abbonamento ai quotidiani online.
Queste statistiche, riferite al mercato degli Stati Uniti, possono essere applicate al mercato italiano, che sta
anche questo sviluppando le medesime caratteristiche.
Diviene chiaro che, a seconda del target, gli
investimenti si sposteranno da una piattaforma all’altra, anche se alcuni strumenti attraversano in maniera
trasversale tutta la popolazione e subiranno una crescita notevole nei prossimi anni: la Tv premium video content
per esempio, il Social Networking e i siti aggregatori di UGC .
Gli investitori di pubblicità sono quindi costretti a seguire questi mutamenti capricciosi del target: è sempre più
seguire il consumatore dove vuole, quando vuole e come vuole.
Per quanto riguarda il consumo di video, è possibile che in un futuro il consumo di Tv sarà sostituito da altri
visual media, anche se ad oggi tale potere è ancora in gran parte detenuto dalla Televisione tradizionale.
Anche se il video su Mobile riveste ancora una fascia molto limitata nel mercato globale, questa tecnologia sta
crescendo in maniera sostenuta, e quasi metà della popolazione USA afferma di aver già visto o di voler vedere
una mobile Tv o un video su telefonino. In Giappone la mobile Tv è un fenomeno molto sviluppato e tale
strumento viene usato quotidianamente anche in casa.
Oltre al mobile sono nati in questi anni nuovi strumenti e nuovi schermi per l’intrattenimento, come ad esempio
l’Ipad della Apple, già largamente utilizzato dai cosiddetti «esploratori», ovvero da coloro che per primi esplorano
e usano le nuove piattaforme che escono sul mercato.
Questi device multimediali stanno crescendo in
maniera differente da nazione a nazione, come i lettori mp3 in Germania e la game console portatile in Giappone,
i Video-On-Demand in Gran Bretagna.
Qual è l’impatto di questi nuovi strumenti sugli investimenti pubblicitari? Gli executive dell’advertising si
aspettano una significativa diminuzione degli introiti provenienti dagli spot da 30 secondi e il rientro per i siti
open source, dalla pubblicità su internet e dal product placement. Se i consumatori si stanno lentamente
spostando dalla Televisione tradizionale alle nuove piattaforme di contenuti, come i maggiori siti online (es.
YouTube, Myspace, Facebook), giochi, mobile ed altre piattaforme per l’intrattenimento, sembra una
conseguenza quasi logica che la pubblicità, le sottoscrizioni e i guadagni d’intermediazione si spostino verso
questi service. A loro volta il successo di questi Web Aggregator è data dallo sviluppo di device sempre più
sofisticati, maneggevoli, userfriendly, accessibili a sempre più estese fasce di popolazione. Questo porta però a
rischio i distributori di contenuti tradizionali – specialmente per quelli che non producono direttamente i contenuti
o quelli che non hanno i diritti di distribuire questi contenuti sui canali più nuovi.
Allo stesso tempo però i nuovi player offrono agli inserzionisti la possibilità di portare la propria pubblicità in
un network di aziende che investono su stessi siti, generando economie di scala. Un gruppo di imprese può infatti,
attraverso apposite concessionarie pubblicitarie online, comprare degli spazi pubblicitari in condivisione con altre
aziende, comparendo in maniera alterna ad ogni click del navigatore. Questa possibilità genera benefici per tutti
gli attori, come la migliore gestione degli spazi, una maggiore trasparenza nel prezzo, lo snellimento dei processi
di vendita e acquisto e miglioramento nell’analisi e nella misurazione dei risultati. I nuovi arrivati e le nuove
piattaforme si sono così posizionati per assicurarsi una parte importante nel futuro della pubblicità e in questa
8
Dati IBM 2007, Digital Consumer Study
catena del valore del video content. Se gli attori del mercato tradizionale spesso non sanno adeguarsi al nuovo
mondo della Rete, al contrario i player di internet hanno dimostrato spesso di essere più adatti ad estendere il loro
business tanto su diverse piattaforme online come anche su altri canali media.
E’ il caso di Google che sta adattando il suo studio di tracking e sta configurando gli algoritmi sia per i vecchi
che per i nuovi canali, siano questi radio, Tv e stampa (es, il lancio di Google PrintAds). Questo è un esempio di
spostamento verso un mercato adiacente che ha permesso un’ulteriore crescita nel campo della ricerca a
pagamento.
L’investimento da parte di questi nuovi attori nella pubblicità tradizionale crea una ulteriore frattura
destabilizzante nell’attuale catena del valore, come vedremo nel prossimo paragrafo.
Come diventa permanente la frammentazione tra media e intrattenimento, così i pubblicitari dovranno sforzarsi di
essere maggiormente competitivi nel proprio ambito, rendendo le piattaforme più efficienti e dinamiche, capaci di
gestire gli spazi, pianificarli, tracciarli, misurarli, attraverso i canali multimediali e in tempo reale.
Inoltre i proprietari di contenuti, i distributori, i pubblicitari e le agenzie devono diventare molto più creativi e
agguerriti, disposti a tutto per attrarre il proprio target. Un esempio lampante è la creatività continua per attirare
l’attenzione verso la pubblicità: stanno crescendo nuovi formati pubblicitari sia per lo schermo televisivo che per
il Web, come lo short-for video, i flickers, bugs, i banner e i pop-up che continuano ad evolvere e migliorare.
La Catena del valore della pubblicità
Gli scenari futuri finora proposti hanno un impatto rilevante nella catena del valore pubblicitario. In particolare
cambiano il peso rivestito dai vari player, che vedono perdere o aumentare il controllo sul processo di produzione
del valore.
I new comers nel settore dell’acquisto di spazi, pianificazione e misurazione della pubblicità sui media
interattivi, tenderanno a sostituirsi a quelli tradizionali e al tradizionale direct marketing, posizionandosi allo
stesso livello ai centri media e alle agenzie di pubblicità.
Allo stesso modo crescono i distributori interattivi di internet e Mobile, che si misurano con il potere dei grandi
distributori broadcaster e i distributori tradizionali di telefonia.
Di fronte di un generalizzato depotenziamento del potere contrattuale degli intermediari, sembra infine
crescere, a monte e a valle del processo, il potere dell’investitore pubblicitario e del consumatore.
Fig. 13 L’impatto sulla catena del
valore della pubblicità
I distributori tradizionali (operatori di sistemi multipli e Telco) e i nuovi player interattivi (provider internet e
Mobile) devono condividere una stessa fetta di mercato pubblicitario.
L’introduzione dei nuove piattaforme e formati e il bisogno di difendere la propria posizione nella catena del
valore, porterà questi soggetti a sviluppare nuove forme di pubblicità (come il VOD advertising) integrandoli ai
canali video, mobile e internet, focalizzandosi inoltre nel mercato locale.
La sfida rimane sull’integrazione cross piattaforma, specialmente tra Telco e multiple system operator, che
hanno la possibilità di integrare servizi di wireless, broadband e video.
E se internet fosse la nuova generalista?
internet è ormai in tutto e per tutto un mass medium. internet rende le Telecomunicazioni, che erano già
considerate nel «canestro» dei media, un media a tutto tondo e il Web completa questa straordinaria operazione di
parificazione. internet e il Web quindi sono media al pari livello di libri, giornali e riviste, fotografia, radio,
Televisione e cinema.
Una affermazione che può apparire a prima vista scontata, ma che racchiude in sé un dato: ad oggi molti tra gli
advertiser e tra gli spender di pubblicità lavorano ancora in un ottica di old media. È in corso però un
cambiamento culturale con tempi più rapidi nei paesi anglosassoni e più lenti negli altri, che sta portando a
comprendere internet come un mezzo specifico, con una sua audience profilata e con modelli di business alla
ricerca di stabilità.
Questo ritardo deriva da un sentiment ancora legato ad una lettura del mercato con lo specchietto retrovisore e
dalle difficoltà di swiching delle culture d’impresa, dei paradigmi tecnico-economici, che si frappongono sempre
rispetto al cambiamento.
In realtà il livello di penetrazione di internet ha raggiunto numeri molto interessanti, tanto da essere
considerato un medium nella fase di sviluppo del ciclo di vita del prodotto. La sua diffusione è favorita dalla
preesistenza di reti di telefonia e di elettricità, così come dalla riduzione tendenziale dei costi sia di abbonamento
alla rete, sia di acquisizione dell’hardware e del software necessari. In termini anagrafici si può affermare che ha
conquistato le fasce di età fino ai 35-55 anni, mentre si stanno affacciando i cosiddetti nativi digitali.
Questa realtà, la realtà di internet, ha dato anche luogo ad una straordinaria crescita delle industrie ICT
collegate e da un florilegio di canali distributivi che vedono assieme al PC, le game console, i device mobili e,
ultimi ma prepotenti entranti, gli schermi televisivi.
Oggi due italiani su tre accedono ad internet da casa, due su cinque dall’ufficio, e con una percentuale minore
(sotto la soglia del 10% della popolazione) anche da altri luoghi. Sempre di più cresce il numero di persone che si
collegano al Web attraverso gli smartphone o i tablet, un settore in rapida espansione e che rappresenta per molti
il futuro di internet9.
Si può anzi affermare che la crescita di internet sui device mobili è ritardata dalle carenze di disponibilità di
banda. Mentre la ancora limitata utilizzazione di larga banda su rete fissa è dovuta principalmente allo scarso uso
che ne fanno la pubblica amministrazione e le imprese. È quindi un uso ancora squilibrato dal punto di vista
dell’efficienza Paese, ma molto forte per quanto riguarda i consumatori finali, cioè i destinatari dei messaggi
pubblicitari.
Ciò che emerge dai dati di AudiWeb 2010 è l’ubiquità e l’enorme potenzialità del mezzo: ormai
la maggior parte della popolazione è in grado di accedere ad internet da qualsiasi luogo/strumento. Un medium
altamente pervasivo e permeabile in qualsiasi spazio e momento della giornata.
Il trend di crescita di internet è quindi decisamente positivo (una crescita dell’12% rispetto all’anno precedente,
altrettanto positivo), anche a fronte di una congiuntura economica sfavorevole che lo vede come unico medium a
crescere, assieme alla Televisione.
Nella dinamica del totale della popolazione, internet può essere considerato uno tra i medium più affermati e
nelle dinamiche di alcune popolazioni, in particolare quelle dei nativi digitali, è diventato il medium di
riferimento.
Tuttavia i minuti spesi su internet sono ancora minoritari rispetto a quelli passati davanti alla Televisione
generalista (la Tv viene vista dal 99% degli italiani, internet dal 33%), anche se in una misura difficilmente
quantificabile lo schermo è acceso senza una effettiva visione da parte dello spettatore. internet sta raggiungendo
quelli spesi per la radio nazionale (ascoltata da 1 italiano su 2) e ha già di gran lunga superato i minuti spesi
leggendo quotidiani e periodici, tanto che questi ultimi proprio su internet stanno cercando di rinnovarsi e
recuperare attraverso il Web le audience perdute.
I key drivers della crescita di penetrazione di internet nella popolazione sono soprattutto i Social Network e i
video, che raggiungono entrambi livelli di consumo tra gli utenti superiori al 70%. Terzo fattore di crescita, con
circa il 44%, è il mondo dell’informazione. Un dato che va letto insieme alla crescita dello smartphone e dell’uso
del telefonino con uso di internet in abbonamento.
La vera innovazione è quindi quella della penetrazione del video nel consumo di internet, che fino a pochi anni
fa era trascurabile e che adesso sia dal punto di vista del consumatore che del pubblicitario sta diventando un item
fondamentale per lo sviluppo del mezzo e che pone problemi serissimi di upgrading delle attuali linee telefoniche
verso le Next Generation Networks.
Detto ciò, lo scenario che si delinea è quello di un mercato pubblicitario che ha raggiunto una certa (forse
preoccupante) maturità. Dai dati Nielsen del report Watch Insight del dicembre 2011, si osserva un monte
investimenti da gennaio a settembre del 2011 leggermente minore, ma pressochè identico nella sostanza, rispetto
allo stesso periodo dell’anno precedente. Internet si presenta ovviamente come lo strumento più dinamico e vivo
di raccolta, segnando un + 15%, ma la riflessione che occorre fare è più profonda. Se, infatti, il cumulo degli
investimenti pubblicitari si è ormai stabilizzato, ma le modalità di investimento e di raccolta sono tutt’altro che
ferme, le posizioni più statiche, seppur dominanti, saranno oggetto di drenaggio di risorse a favore di altri settori
9
Anche se in valori assoluti si hanno ancora numeri molto bassi, alcuni esperti ritengono che nel 2020 gli Smartphone saranno i
primi strumenti di connessione ad internet. Il collegamento da cellulare ha infatti avuto una crescita molto consistente rispetto al 2009
di circa il 63%. Stanno infatti continuando a crescere le ore di collegamento e la penetrazione di cellulari abilitati all’uso di internet e
con servizio di abbonamento internet incluso stanno raggiungendo cifre rappresentative.
media.
Se, visto quanto detto sopra, il Web è sempre più il medium di riferimento per alcune fasce di popolazione,
sembra inevitabile che la Tv vedrà impoverirsi la sua raccolta su porzioni di programmazione che diventeranno
sempre più aderenti e direttamente concorrenti con i video visti sul Web. Il Web, tra le sue molteplici versioni e
visioni, assume anche quel tratto spiccato di generalismo che tanto piace, e continuerà a piacere, ad un certo tipo
di investitore pubblicitario e che, almeno per i prossimi anni, potrà comprarlo su internet a buon mercato. E’
quindi il generalismo on demand del Web il contender più temibile della Tv nell’agone pubblicitario ed è anche il
motivo per il quale i broadcaster devono pensare all’orizzonte Connected Tv come un’opportunità decisiva per
rigenerare il proprio comparto di raccolta e aggredire, secondo il modello della piramide rovesciata, su più fronti
un mercato dell’advertising che richiederà sempre più innovazione e integrazione. Ovviamente sapendo che
faranno lo stesso tutti i nuovi player del settore.