Contro le discriminazioni riconoscere le differenze (Estratto)

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Contro le discriminazioni riconoscere le differenze (Estratto)
CONTRO LE DISCRIMINAZIONI:
RICONOSCERE LE DIFFERENZE
COME ELEMENTO DI FORZA
OSSERVATORIO SULLE DISCRIMINAZIONI NEL LAVORO E POLITICHE DI DIVERSITY
in collaborazione con
OSSERVATORIO GENDER DIVERSITY DEL COORDINAMENTO NAZIONALE PARI OPPORTUNITÀ E POLITICHE DI GENERE UIL
ABSTRACT
Documento di studio, ricerca e approfondimento sugli
argomenti legati alle discriminazioni nel lavoro e ai diritti.
La finalità e l’uso è puramente scientifico e limitato alle strutture interne della Uil.
CONTRO LE DISCRIMINAZIONI: RICONOSCERE
LE DIFFERENZE COME ELEMENTO DI FORZA
Premessa
2
Capitolo I
1 - Quadro normativo storico
5
2 - Direttiva 2000/78/CE
10
3 - Decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216
14
4 - Legge 6 giugno 2008, n. 101
22
Capitolo II
1 - Ampliare gli orizzonti di analisi ai nuovi diritti
24
all. 1 rapporto ILGA Europe Rainbow Map explanatory document and detailed index
all. 2 rapporto ILGA Europe Rainbow Map May 2013
2 - Nuovi diritti in nome delle pari opportunità
29
3 - Quando discriminazione significa negare il lavoro
32
4 - Banche globali rompono il tabù della diversity
34
5 - Oltre l’affermazione dei diritti
36
Conclusioni
39
ABSTRACT
PREMESSA
Prima di affrontare le questioni riguardanti il tema delle discriminazioni sui luoghi di lavoro e i
risvolti che queste assumono nella società in generale1, riteniamo doveroso presentarci ed
esplicitare le ragioni che ci hanno esortato a rivolgere la nostra attenzione nei confronti di questo
settore che nel suo complesso qualche giurista, in relazione alla disciplina antidiscriminatoria 2, ha
già denominato con la locuzione di diritto antidiscriminatorio.
Il progetto che ci accingiamo a realizzare consiste in un Osservatorio che intende occuparsi
espressamente dell’approfondimento delle argomentazioni sulle specificità e problematiche
concernenti le discriminazioni in ambiente lavorativo. L’ideazione di questo strumento di ricerca e
di riflessione è stata compiuta qualche mese fa dalla UILCA3 della Regione Lombardia, e più
precisamente dal suo Dipartimento delle politiche per le Pari opportunità. Questo spiega il motivo
per cui all’interno del presente elaborato troverete alcuni specifici riferimenti che traggono spunto
da circostanze legate al settore del credito.
Contemporaneamente alle fasi di stesura del testo, con estrema soddisfazione da parte dei promotori
di questa idea, la progettualità di questo percorso e le finalità perseguite sono state apprezzate non
solo dalla UILCA Nazionale, ma anche da altre categorie facenti parte dell’Organizzazione
sindacale UIL e dalla stessa Confederazione, sempre all’interno dei Coordinamenti per le politiche
di parità e di genere. Riteniamo, pertanto, che questo lavoro possa rappresentare il primo approccio
verso la predisposizione di un proposito globale più ampio che funga da collettore dei temi
riguardanti gli argomenti in nuce, proponendosi allo stesso tempo l’obiettivo di svolgere sulla
tematica un ruolo catalizzatore all’interno della stessa Confederazione sindacale UIL.
La scrupolosità e parsimonia con le quali affrontiamo i contenuti riguardanti gli assunti che
analizziamo vorrebbero infatti trovare momenti interessanti di collaborazione, per il coinvolgimento
di tutto il sindacato in una crescita politica e culturale volta a una vera e più alta tutela dei diritti e
delle libertà personali, cercando di cogliere attraverso le nostre rispettive esperienze un unicum che
rilevi ogni eventuale sfumatura di posizione, contribuendo così ad arricchire quel grande patrimonio
culturale e politico che è frutto delle diversità, per realizzare degli intendimenti che facciano propria
la cultura delle differenze.
Questo documento costituisce il primo elaborato che produciamo come Osservatorio sulle
discriminazioni nel lavoro e politiche di diversity in collaborazione con l’Osservatorio/
Laboratorio Gender Diversity del Coordinamento nazionale Pari opportunità e Politiche di genere
della Uil, ed è frutto di una analisi che abbiamo compiuto in merito alla direttiva 2000/78/CE del 27
novembre 2000 – pietra miliare «che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in
materia di occupazione e di condizioni di lavoro», che mira a determinare proponimenti oltreché
1
Gli effetti procurati dalle discriminazioni comportano dei riflessi che oltre all’individualità del soggetto in quanto
lavoratore, si estrinsecano anche in altri ambiti sia privati – quali la sfera familiare e i suoi affetti – che pubblici.
2
Se l’argomento in parola lo intendiamo nella concezione complessiva del termine potremmo asserire che nel dibattito
giuridico del nostro paese lo stesso è cosa piuttosto recente, contrariamente alla situazione esistente in altri paesi, in
particolar modo nel mondo anglosassone e nell’Europa del nord ove anche le Università hanno dedicato corsi specifici,
come nel caso di sexual orientation and the law diventato branca del diritto. Stesso discorso per quanto riguarda la
letteratura giuridica, composta da monografie, articoli finanche libri di testo accademici, le altre nazioni europee
vantano un’ampia bibliografia mentre l’Italia si limita a sporadici articoli o rari progetti di ricerca condotti perlopiù da
studi in ambito universitario.
3
Sindacato del settore creditizio, assicurativo ed esattoriale facente parte della Confederazione UIL.
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interventi «per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli
handicap, l’età anagrafica o le tendenze sessuali» – e sul conseguente decreto legislativo nazionale
di recepimento, il d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216. Al riguardo, ci sembra opportuno anticipare che, nello
specifico, la discriminazione che andremo a prendere in esame nella presente trattazione è quella
fondata sull’orientamento sessuale. Questo non significa volerne limitare lo studio o delinearne un
preciso e definito indirizzo. Tutt’altro. Il nostro intento, la raison d’être complessiva dell’iniziativa,
è infatti quello di completare successivamente questo lavoro integrando nell’indagine anche le
discriminazioni subite in ambito lavorativo dalle altre «categorie» ricomprese nella direttiva
summenzionata.
Esplicata questa sommaria premessa, che appariva doverosa se non altro per specificare quali siano
i confini di analisi cui intende rivolgersi questo Osservatorio, ma anche per individuare le figure dei
proponenti e le finalità perseguite, svisceriamo i propositi descritti nel presente dossier,
puntualizzando che essi non vertono all’esame minuzioso di ogni dettaglio e sfaccettatura degli
aspetti affrontati dalla normativa in questione, non è infatti questa la sede per affrontare ex professo
una materia di tal portata, in quanto questi meritano sicuramente una considerazione attenta e
accurata più cospicua che non può essere certo riassunta all’interno di questo breve elaborato di
presentazione.
Questa relazione, quindi, costituisce solo un preliminare e sommario ausilio di lettura, predisposta
allo scopo di intraprendere un percorso all’interno del sindacato per affrontare con maggiore
attenzione, quale perimetro sociale preminente, la complessità fenomenologica delle
discriminazioni nei luoghi di lavoro, anche mediante iniziative specifiche. In proposito, è necessario
trasporre le argomentazioni e le intenzioni in azioni concrete, cosicché gli scopi predeterminati dal
progetto che desideriamo realizzare possano trovare rispondenza, permettendo così di dare efficacia
ad un processo che altrimenti rimarrebbe una elencazione di buone intenzioni.
Auspichiamo con questa esposizione di riuscire a fornire un contributo che possa risultare utile
almeno all’ammissione che l’argomento delle discriminazioni non è un tema che può essere
trascurato, né dal sindacato, né dalla politica, né dalla comunità scientifica, né tanto meno dalla
società nel suo complesso: perché è un risvolto fondamentale della nostra esistenza e della nostra
dignità di persone.
L’obiettivo a tendere è quello di proseguire la riflessione rispetto alle diverse prospettive, ma anche
ai diversi nodi, poste in evidenza prima dalla direttiva europea 2000/78 e successivamente dal
decreto di recepimento nazionale (d.lgs. 216/2003). Un proficuo percorso di conoscenza volto ad
approfondire i ragionamenti, le teorie e le proposte che stanno alla base delle politiche
antidiscriminatorie, nel tentativo di trarre delle conclusioni che possano – se non rischiarare
completamente il problema – almeno cercare di desumere una definizione netta, non equivoca, non
edulcorata, che esprima una posizione chiara e coerentemente argomentata, tenendo saldo il filo
rosso che lega tutte le congiunzioni riguardanti il tema della difesa dei diritti dei più deboli.
Il contesto lavorativo è di fondamentale importanza per la lotta alle discriminazioni, per
l’acquisizione dei diritti di cittadinanza e il rispetto delle individualità di ciascuno. Spetta a noi il
compito di essere attenti interpreti delle peculiarità che riguardano questo fenomeno, considerando
oltretutto che recenti indagini hanno denunciato non solo quanto gli atteggiamenti discriminatori
siano una tematica di grande attualità, ancor più se si considera la rilevante dimensione del
problema e l’entità delle vittime di tali comportamenti, ma per giunta quanto queste nel corso del
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tempo abbiano assunto varie sfaccettature, mimetizzandosi ad arte con modalità sempre più latenti e
di riflesso.
Da quanto emergerebbe, uno dei principali problemi nella lotta alle discriminazioni in Italia è la
sottorappresentazione del fenomeno, anche da parte di funzionari e delegati sindacali che tendono a
non accorgersi o che trovano “normale” quanto avviene, e delle stesse vittime che auto-incolpandosi
si isolano. La funzione che deve avere il sindacato risiede nella congiuntura di queste circostanze, il
suo duplice compito deve essere da una parte quello di riconoscere le discriminazioni e sapersi
attivare per prevenirle e trattarle, dall’altro quello di farsi “promotore vitale” nel consapevolizzare i
lavoratori e i cittadini in genere circa i loro diritti.
Occorre una nuova riflessione critica che tenga conto delle rappresentazioni che vengono fornite da
coloro che si occupano quotidianamente del tema che affrontiamo in questa dissertazione; questo
permetterebbe di chiarire una questione cruciale che mette in gioco la libertà degli individui e la
sopravvivenza della moderna civiltà fondata sul rispetto e la pacifica convivenza. E se qualcuno,
anche all’interno del sindacato, si domandasse per quale ragione ci si debba occupare del tema delle
discriminazioni, la direttiva quadro europea non solo fornisce la migliore risposta, ma ha altresì
lanciato un’ulteriore sfida.
Per concludere anticipiamo che, nell’ottica di fornire maggiori elementi di riflessione, ma anche per
cogliere ulteriori spunti di analisi all’interno del campo presso cui si svolge principalmente la nostra
azione (scenario lavorativo), il proponimento che ci siamo prefissati è quello di approfondire
prossimamente anche gli approcci di ricerca e di intervento che si rifanno alle teorie metodologiche
del Diversity Management.
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QUADRO NORMATIVO STORICO
Se dovessimo storicamente definire quali furono le prime traduzioni in formulazioni legislative dei
princìpi giusnaturalisti e illuministi che ispirarono la lotta alle discriminazioni, potremmo
indubitamente certificare che esse trovano fonti nella Carta dei Diritti che emenda la Costituzione
degli Stati Uniti d’America nel 1789 e nella concomitante Déclaration des Droits de l’Homme et du
Citoyen francese. Queste due importanti scritture affermavano l’uguaglianza dei cittadini di fronte
alla legge ed elencavano alcuni diritti umani considerati naturali e inalienabili: la libertà di culto,
parola e stampa, di proprietà, la sicurezza, la resistenza all’oppressione e la sovranità democratica.
Dopodiché, gran parte del contenuto della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (trad.
in italiano) è confluito nella Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite del 1945 che sancì,
all’art. 1, «il rispetto per i diritti umani e le libertà fondamentali di tutti gli individui senza
distinzione di sesso, lingua o religione» e successivamente – con una dichiarazione più estesa –
nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata dalle Nazioni Unite nel 1948, che ha
stimolato la proliferazione della legislazione contemporanea contro le discriminazioni e per la
salvaguardia delle pari opportunità e dei diritti civili.
Oltre alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (base della Carta internazionale dei diritti
dell’uomo), i Patti internazionali relativi ai diritti economici e culturali da un lato e a quelli riferiti ai
diritti civili e politici dall’altro, costituiscono il punto di riferimento che ha ispirato la maggior parte
dei diritti nazionali. All’interno di questi testi, in un secondo tempo, sono state sviluppate delle
convenzioni tematiche, alcune delle quali più specificamente dedicate alle discriminazioni razziali.
Così sono state promulgate, il 25 giugno 1958 (entrata in vigore il 15 giugno 1960) la Convenzione
n. 111 della Conferenza Generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), che
proibisce la discriminazione in materia di occupazione e condizioni di lavoro4; e il 21 dicembre
1965 (firmata dall’Italia il 13 marzo 1968, ratificata il 5 gennaio 1976 ed entrata in vigore dal 4
febbraio 1976) la Convenzione internazionale per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione
razziale (CERD).
In ambito europeo, la legislazione contro la discriminazione è un avvenimento più recente: i primi
prodromi si avvertirono con il Trattato di Roma (25 marzo 1957), atto che istituisce la Comunità
economica europea (CEE). Principalmente il perimetro di azione cui tendevano le politiche contro
le discriminazioni si circoscriveva alla questione della nazionalità dei cittadini, in quanto
considerata elemento cardine per l’avvio del mercato comune5. Progressivamente, le evoluzioni
compiute per mezzo delle disposizioni comunitarie hanno sviluppato ulteriori previsioni, attraverso
4
A metà del 2001 la Convenzione era stata ratificata da 148 Stati. Di questi, più di 60 Stati membri hanno
specificatamente riconosciuto l’orientamento sessuale come forma di discriminazione vietata. In sostanza, la
Convenzione definisce la discriminazione come qualsiasi distinzione, esclusione o preferenza fondata sulla razza, il
colore, il sesso, la religione, l’opinione politica, l’ascendenza nazionale o l’origine sociale, avente per effetto di
distruggere o di alterare la parità di opportunità e di trattamento in materia di impiego o di professione (art. 1). La
Convenzione impone agli Stati di dichiarare e perseguire una politica nazionale intesa a promuovere, con metodi adatti
alle condizioni e alle pratiche nazionali, la parità di opportunità e di trattamento rispetto all’impiego e all’occupazione,
allo scopo di eliminare qualunque discriminazione al riguardo (art. 2). Mentre, l’art. 3 enumera le misure che ogni Stato
contraente dovrà adottare, mediante norme di legge nazionali, per rendere esigibili e applicabili i princìpi contemplati,
ribadendo altresì l’importanza della collaborazione che deve essere esercitata fra gli stessi Stati, le Organizzazioni dei
datori di lavoro e dei lavoratori e di altri organismi competenti, al fine di promuovere l’osservanza di questa politica.
5
Agli inizi della costruzione europea l’estensione riservata ai diritti fondamentali ha riguardato circoscritte specifiche
funzionalità, limitando la sfera del principio di non discriminazione entro definiti contesti economici. In assenza di un
sistema di norme estese nei trattati istitutivi, fu la giurisprudenza della Corte di giustizia europea a stimolare
l’elaborazione di uno strutturato impianto di garanzie normative nei riguardi dei diritti della persona.
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le quali anche il principio della parità fra uomini e donne assunse un rilievo sempre crescente6.
Nel corso degli anni, sulla parità dei sessi, sono stati compiuti ulteriori sviluppi7 per sollecitare gli
Stati membri della Comunità europea a legiferare misure che permettessero la reale applicazione del
principio della parità. Fin qui, sostanzialmente, i confini giuridicamente «protetti» dal diritto
comunitario, con le conseguenti azioni politiche miranti alla parità di trattamento nel mercato del
lavoro e l’uguaglianza dei lavoratori, hanno interessato soltanto alcune «categorie»8 di persone.
Questo ha comportato che diverse situazioni discriminanti, le cui motivazioni non rientravano
nell’alveo delle specificità propriamente contemplate, venivano formalmente condannate, ma tale
condanna non comportava un intervento costrittivo delle autorità comunitarie.
DIRETTIVA 2000/78/CE
Prima di entrare nel vivo del decreto promulgato dal nostro paese, frutto della direttiva europea,
possiamo stricto sensu asserire che, al di là di alcuni profili problematici, la direttiva 2000/78/CE
del 27 novembre 2000, cui osserveremo analiticamente, è il punto più avanzato dell’elaborazione
che concerne la tutela contro le discriminazioni e ineguaglianze, e costituisce un deciso fattore
rilevante nella costruzione di un modello sociale europeo che – come dimostra la Carta di Nizza –
trova proprio nel binomio eguaglianza/divieto di discriminazione uno dei pilastri fondanti.
Per quanto attiene la direttiva in parola, riguardo a quanto giustamente anticipato in precedenza,
sarebbe opportuno specificare, o meglio aggiungere, un elemento non di dettaglio che chiarisce
l’essenzialità e la diversificazione della direttiva 2000/78/CE rispetto all’art. 13 del Trattato di
Amsterdam. Appropriata la tesi di coloro che sostengono che la direttiva europea possa essere
ritenuta un continuum dell’articolato equipollente, ma per completezza dobbiamo asserire che
mentre l’art. 13, in ordine ai nuovi «fattori di rischio», assume una valenza generalizzata che
finalizza il suo interesse alla garanzia e al riconoscimento dei diritti sociali fondamentali, la
direttiva – e risiede in questa peculiarità il distinguo – si limita al circuito lavorativo.
Detto ciò, va comunque sottolineato che all’interno del perimetro delimitato di applicazione
materiale, la direttiva comunitaria 2000/78, in ottemperanza con quanto stabilito dall’art. 13 del
Trattato CE, ha sicuramente fornito misure appropriate e strumenti tecnici per la predisposizione di
interventi volti a contrastare ogni forma di discriminazione diretta e indiretta sull’orientamento
sessuale. Inoltre, lo spazio in cui trova attuazione la direttiva riguarda sia il settore pubblico che il
settore privato, sia il lavoro dipendente che autonomo e, specificatamente, si riferisce ai seguenti
6
Le istituzioni europee hanno adottato una serie di provvedimenti specifici per attuare il principio della parità di
trattamento nel campo dell’occupazione, il primo dei quali è la direttiva 75/117/CEE relativa al principio della parità
delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelle di sesso femminile. Successivamente, fu promulgata la
direttiva 76/207/CEE, centrale nell’azione comunitaria in materia di uguaglianza fra uomini e donne, attinente
all’attuazione del principio della parità di trattamento per quanto concerne l’accesso all’occupazione, alla formazione,
alla promozione professionale e alle condizioni di lavoro.
7
Ad esempio, in ottobre del 1979 il neoeletto Parlamento europeo istituì una Commissione per i diritti delle donne, la
cui funzione principale consisteva nella raccolta di informazioni sulla condizione femminile e la formulazione di
progetti comunitari.
8
Con il termine «categorie», oltre a riferirci a quell’insieme di individui definiti per omogeneità, intendiamo alludere a
quelle «situazioni» in cui vengono posti in essere differenti trattamenti discriminatori, compiuti a priori o a posteriori
per mezzo di norme e pratiche sia da soggetti privati che pubblici (come le istituzioni), circoscritti ad un determinato
assieme di persone ovvero a singoli individui che in quel dato momento si trovano nelle stesse condizioni.
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campi: condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, compresi i criteri di selezione e le
condizioni di assunzione e promozione; orientamento e formazione personale, perfezionamento e
riqualificazione (inclusi i tirocini); condizioni di lavoro compreso la retribuzione, affiliazione e
attività in una organizzazione di lavoratori o datori di lavoro; nonché l’eventuale licenziamento.
Senza mettere assolutamente in discussione l’humus culturale su cui è maturata la direttiva
2000/78/CE e non misconoscendo l’impatto rilevante generato dalla stessa sui rispettivi ordinamenti
nazionali degli Stati membri, al contempo, per completezza argomentativa, vanno altresì
evidenziate le lacune non sanate e menzionati i motivi delle critiche sollevate nei confronti di
questo provvedimento.
DECRETO LEGISLATIVO 9 LUGLIO 2003, n. 216
Transitando dal panorama dell’acquis comunitario a quello del diritto nazionale, sulla base di
quanto previsto dall’art. 18 della direttiva 2000/78/CE, che fissava la data del 2 dicembre 2003
quale termine per gli Stati membri della UE affinché formulassero e attuassero all’interno delle
proprie legislazioni le disposizioni legali, regolamentari e amministrative stabilite dalla direttiva in
epigrafe, l’Italia ha recepito i contenuti espressi nella stessa mediante l’approvazione del decreto
legislativo del 9 luglio 2003, n. 216 9.
Al di là delle considerazioni soggettive ma al tempo stesso oggettive sul fatto che il legislatore
italiano abbia provveduto ad introdurre una protezione normativa antidiscriminatoria soltanto in
virtù di un adempimento a un obbligo comunitario10 – come già accaduto in occasione delle
direttive del 1975 e del 1977 sulla parità salariale e di trattamento tra uomini e donne che hanno
portato alla L. 903 del 1977 –, e che già diversi paesi europei e occidentali prevedevano uno
specifico corpus giuridico in tal senso, quello che ci interessa evidenziare in questo lavoro è che
l’Italia non solo non sia apparsa fra le pioniere dell’appello europeo, ma addirittura che la stessa,
con l’approvazione del d.lgs. 216/2003, abbia persino contravvenuto all’impianto generale delle
disposizioni previste dalla direttiva, facendo risultare questo decreto ambiguo e del tutto
insoddisfacente, provocando così tanto nel sindacato quanto nelle associazioni che si battono per i
diritti civili più sconcerto e delusione che soddisfazione. Il testo approvato, infatti, sfruttò in chiave
estremamente restrittiva le «zone d’ombra», le zone di indeterminatezza possibili della direttiva
2000/78/CE, cosicché l’introduzione di eccezioni generali e non circostanziate all’applicazione del
principio di parità di trattamento comportò il rischio che i concetti contenuti nella direttiva
restassero lettera morta, determinando in sostanza l’inefficacia degli strumenti che avrebbero
dovuto rappresentare ed esercitare tutela e adeguata protezione.
Di fatto, quindi, il legislatore italiano si è sentito in dovere di proteggere le lavoratrici e i lavoratori
da ogni forma di discriminazione solo dopo l’aut aut europeo, non sentendo come imperativo etico
di Stato laico il principio secondo cui non può essere ammessa disparità di trattamento nei confronti
dei cittadini sulla base di un retaggio culturale e sociale fondato sul pregiudizio e sull’oscurantismo.
Per giunta l’Italia, oltre a non essere stata immediata nel recepimento della direttiva europea
78/2000 – comunque entro i termini previsti – quando l’ha fatto ha omesso parti essenziali previste
della normativa antidiscriminatoria, rendendo così non solo «asettica» la struttura complessiva ma
9
Ritoccato per lievi errori materiali dal d.lgs. 2 agosto 2004, n. 256.
10
Per la prima volta la direttiva 2000/78/CE ha indotto il legislatore italiano a introdurre nell’ordinamento nazionale un
divieto di discriminazione fondato sull’orientamento sessuale.
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addirittura inconciliabili alcune disposizioni introdotte rispetto ai princìpi indicati nella direttiva
stessa, soprattutto per quanto attiene la discriminazione per orientamento sessuale. Un recepimento
minimalista, dunque, che ha ignorato se non addirittura distorto l’impianto della direttiva.
LEGGE 6 GIUGNO 2008, n. 101
Le forti critiche rivolte al Governo italiano per la formulazione impostata con l’approvazione del
d.lgs. 216/2003 che, di fatto, rendeva inapplicabili le tutele sancite a livello europeo con la direttiva
2000/78/CE, e l’azione di denuncia intrapresa da parte delle associazioni e organizzazioni che si
occupano della lotta alle discriminazioni, le quali palesarono immediatamente la violazione della
direttiva stessa, hanno prodotto una “Messa in mora nell’ambito della procedura di infrazione n.
2006/2441” con la quale la Commissione europea, rispondendo alle obiezioni sollevate, intimò
l’Italia a correggere le parti del decreto non osservanti della direttiva europea. Solo allora, il nostro
paese si accinse ad apportare norme correttive richieste dalla Corte di giustizia europea.
Le modifiche apportate, compiute attraverso il dl. 8 aprile 2008, n. 59 – convertito in L. 6 giugno
2008, n. 101 –, anche se presentano ancora carenze, si possono registrare con soddisfazione in
quanto oltre a prefigurare un atto importante, stabiliscono finalmente il principio che l’onere della
“prova della discriminazione” non sia più a carico della vittima, ma di chi ritiene di non aver
discriminato: «Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto idonei a fondare, in termini gravi,
precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori,
spetta al convenuto l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione».
Questo rivolgimento, già pacifico nella direttiva europea, consente finalmente ai discriminati di
poter utilizzare concretamente questo strumento. È inoltre importante che sia stato previsto che «le
organizzazioni sindacali, le associazioni e le organizzazioni rappresentative del diritto o
dell’interesse leso», che per funzione e ruolo risultano essere interessate, possano costituirsi in
giudizio.
AMPLIARE GLI ORIZZONTI DI ANALISI AI NUOVI DIRITTI
Molti studiosi e ricercatori dell’argomento riguardante le discriminazioni in ambiente lavorativo,
così come fra coloro che si occupano di Diversity Management, riconoscono che se originariamente
le politiche per la parità si riferivano quasi esclusivamente alla differenza di genere, negli ultimi
anni le stesse hanno ampliato il ventaglio di indagine ad altre condizioni quali: le diversità culturali
o opinioni personali, l’orientamento sessuale e affettivo, la religione, le disabilità, la razza e l’etnia
o l’età anagrafica. Nonostante ciò, il dibattito «si mostra paludoso e fossilizzato sull’uguaglianza
uomo/donna all’interno delle organizzazioni, mostrando poche aperture verso nuove problematiche
e istanze portate da altri soggetti nell’arena sociale», scrivono Chiara Paolino e Zenia Simonella
della SDA Bocconi11.
Al riguardo, proseguono le due autrici, «non è un caso che non si contino articoli che
approfondiscano le questioni legate all’orientamento sessuale, una categoria inclusa invece nella
teorizzazione originaria del Diversity Management». Ed è proprio a partire da tale assenza nel
dibattito pubblico e con l’obiettivo di sensibilizzare le organizzazioni nel tenere conto delle altre
11
Cfr. C. PAOLINO e Z. SIMONELLA nella prima newsletter dell’anno 2012 dell’Osservatorio sul Diversity Management
dell’Università SDA Bocconi.
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categorie di diversità oltre a quella del genere, che lo stesso lavoro svolto dall’Osservatorio della
SDA Bocconi ha voluto arricchire «lo strumento di ricerca in questa direzione, includendo nuove
categorie e nuove dimensioni per affinare l’analisi delle organizzazioni in un’ottica di diversity», si
legge nell’articolo, ricordando con questo che il genere «rappresenta ormai una sola parte, certo
importantissima, della sfaccettata identità di chi lavora».
Consapevoli di questa carenza, l’obiettivo che si è posto l’Osservatorio sulle discriminazioni nel
lavoro e politiche di diversity e l’Osservatorio/Laboratorio Gender Diversity del Coordinamento
nazionale Pari opportunità e Politiche di genere della Uil è quello di allargare il paradigma di
riferimento, ponendo maggiore attenzione su quegli aspetti ancora poco esaminati.
Nei confronti di molte forme di comportamento che possono assumere atteggiamenti discriminanti,
la portata della direttiva sembra sufficiente per consentire un’adeguata salvaguardia del principio
della parità di trattamento, sebbene alcuni punti dubbi od oscuri. La direttiva, inoltre, si pone in
generale un complesso di princìpi e regole – che possono certamente essere sviluppati ulteriormente
– rispetto cui non è possibile arretrare sia nell’ambito dell’impiego e dell’occupazione che in molti
altri settori della vita associata.
Nello specifico, l’argomento dell’orientamento affettivo/sessuale è molto delicato perché tocca una
sfera che riguarda la vita privata ma che allo stesso tempo riflette anche la vita sociale quotidiana.
La tutela della ‘vita privata’ assume dunque il ruolo di garanzia delle ‘scelte fondamentali’ e della
dignità umana. Gli orientamenti sessuali, come chiaramente riconosciuto dalla Corte costituzionale
in alcune sentenze fin dagli anni ottanta, rientrano nel novero della libertà individuale e il loro
rispetto con conseguente accettazione sociale è funzionale alla realizzazione personale.
In questo senso, per esempio, condividiamo le proposte sollevate dalle organizzazioni LGBT cui
chiedono che venga rinvigorita l’esperienza delle Commissioni per i diritti delle persone LGBT
presso il Ministero per le Pari opportunità e che si attivino politiche sociali, culturali e formative nei
diversi settori dell’azione di Governo: dal Lavoro alla Cultura, dalla Salute agli Interni. In questa
ottica, valutiamo positivamente il sistema di governance multilivello istituito per il progetto
sperimentale denominato «Verso una Strategia nazionale per combattere le discriminazioni basate
sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere» proposto dal Consiglio d’Europa per
l’attuazione e l’implementazione della Raccomandazione del Consiglio dei Ministri (2010)5. Infatti,
come riporta il medesimo documento realizzato dal Dipartimento per le Pari opportunità della
Presidenza del Consiglio dei Ministri e dall’Ufficio per la promozione della parità di trattamento e
la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica (UNAR) – operante
presso il Dipartimento stesso –, per definire e permettere l’attuazione che la Strategia richiede è
necessario un coinvolgimento «di tutti gli attori a vario titolo interessati alle politiche in materia di
prevenzione e contrasto della discriminazione per motivi di orientamento sessuale e identità di
genere».
Un modello articolato e integrato che grazie all’azione sinergica delle istituzioni, della società
civile, delle parti sociali e di altre associazioni coinvolte nonché della Federazione Nazionale della
Stampa Italia e l’Ordine dei Giornalisti, permette all’UNAR – nella sua qualità di Focal Point
nazionale per il contrasto ad ogni forma di discriminazione e autorità centrale delegata al
coordinamento delle attività inerenti la Strategia – di compiere un percorso di condivisione,
costruzione e attuazione delle finalità perseguite dal progetto mediante un lavoro partecipato e
concordato sia negli obiettivi che nelle attività da realizzare.
OSSERVATORIO SULLE DISCRIMINAZIONI NEL LAVORO E POLITICHE DI DIVERSITY
Contro le discriminazioni: riconoscere le differenze come elemento di forza
ABSTRACT
Tale impegno, formalizzato in Italia dalla Direttiva del ministro del Lavoro con delega alle Pari
opportunità per l’attività amministrativa dell’anno 2012, assegna «l’attuazione di obiettivi operativi
rilevanti in materia di prevenzione e contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento
sessuale e sull’identità di genere, ed in particolare la definizione di una Strategia nazionale di
attività in collaborazione con il Consiglio d’Europa».
L’ulteriore aspetto positivo che cogliamo dallo strumento di governance predisposto concerne la
possibilità di avviare più tavoli di lavoro settoriali su tematiche specifiche costituiti dai referenti dei
Ministeri competenti e dai rappresentanti del terzo settore. Tale modalità è finalizzata ad affrontare
e a risolvere singoli quesiti, facilitando il contatto diretto tra associazioni e istituzioni in una
congiuntura collaborativa di problem solving. Questo permetterà di far fronte in modo organico alle
questioni sollevate dalle associazioni impegnate sul tema delle discriminazioni contro le persone
LGBT, affinché possa essere affrontato anche l’argomento afferente al contrasto della violenza
omo-bi-transfobica e il bullismo.
L’omofobia (per brevità lessicale non menzioniamo anche i termini bifobia e transfobia, ma che
sono ricompresi nelle nostre intenzioni) è quell’atteggiamento che si esprime attraverso attitudini
negative, molestie, forme di violenza, disparità di trattamento nei riguardi delle persone LGBT, o
percepite tali o associate ad esse, che costituisce una minaccia nei confronti della diversità, nonché
della libertà e dell’uguaglianza di ciascuno. Attualmente il diritto fornisce un contributo limitato e
non certo risolutivo dei molti fattori culturali, sociali e politici che rinforzano questa grave piaga
sociale. Per questo appare urgente stabilire regole certe, conosciute ed efficaci per colmare quel gap
normativo che discosta l’Italia dagli altri paesi europei, attraverso l’introduzione di interventi che
permettano l’erosione del pregiudizio sociale, il contenimento degli atteggiamenti di esclusione e
marginalizzazione delle persone LGBT e la realizzazione di una più compiuta parità di trattamento.
Fondamentale importanza per compiere una efficace politica di prevenzione l’assume la conoscenza
dei fenomeni discriminatori e l’elaborazione di strategie incentrate principalmente sull’educazione e
la sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Risulta altresì essenziale l’impiego di programmi
d’azione supportati da misure repressive nei confronti dei comportamenti violenti.
Le norme rivestono un ruolo preminente, tra le quali quelle internazionali sul lavoro così come la
Dichiarazione sui princìpi e i diritti fondamentali del lavoro (1998), per vigilare nell’identificazione
e nel contrasto dei trattamenti discriminatori nei luoghi di lavoro. Questo assunto, tuttavia, non si è
dimostrato onnicomprensivo. Lo ammette anche il Direttore Generale dell’ILO, Guy Ryder, che in
occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia ha rilasciato una dichiarazione stampa
nella quale sostiene che «fino a poco tempo fa la discriminazione contro le persone LGBT non è
stata oggetto di misure specifiche». I segnali stanno comunque cambiando, sostiene Ryder, tant’è
che l’ILO sta «avviando ricerche mirate in un certo numero di paesi per iniziare a monitorare la
discriminazione nel luogo di lavoro per motivi di orientamento sessuale e identità di genere, con
l’obiettivo di promuovere luoghi di lavoro che sostengano l’uguaglianza e la diversità in tutte le sue
espressioni»12.
Il dato che riporta l’ILO avalla quanto abbiamo sostenuto sin ora: le legislazioni che, rispetto al
precedente stato indefinito, introducono specifiche misure per la prevenzione delle discriminazioni
nei luoghi di lavoro per le persone LGBT sono in crescita, e questo permette di compiere innegabili
12
ILO, 2013. Giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia, messaggio del Direttore Generale dell’ILO. ILO
Dichiarazioni e discorsi per la stampa [online]. Disponibile su: <http://www.ilo.org/rome/risorse-informative/per-lastampa/speeches/WCMS_213611/lang--it/index.htm> [ultima consultazione: 24/05/2013]
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Contro le discriminazioni: riconoscere le differenze come elemento di forza
ABSTRACT
passi in avanti sia in ambito lavorativo che in altri contesti. Malgrado ciò, l’altra risultanza emersa,
che conferma la nostra percezione, riguarda il fatto che i lavoratori LGBT siano ancora i soggetti
maggiormente vittime di discriminazione e molestie. Ci allarma, inoltre, il dato riferito secondo cui,
dal 2011 al 2012, è stato per giunta registrato «un lieve aumento — da 76 a 78 — del numero dei
paesi con una legislazione che criminalizza le persone in base al loro orientamento sessuale».
Per concludere, il messaggio lanciato dall’Organizzazione internazionale del lavoro ha confermato
l’impegno affinché siano aumentati gli sforzi contro la discriminazione sul lavoro per motivi di
orientamento sessuale o di identità di genere. Il comunicato riconosce che: «Il mondo del lavoro
rappresenta un luogo fondamentale per avanzare nel cambiamento, per porre fine a stereotipi e per
far comprendere il bisogno di dare dignità a tutti gli esseri umani». «Nel corso dell’ultimo decennio
– prosegue la nota –, i progressi raggiunti in materia di riconoscimento dei diritti delle persone
lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (LGBT) sono innegabili. Tuttavia, molto resta ancora da fare.
In questa importante giornata che celebra l’uguaglianza di tutti gli individui, l’ILO ribadisce il suo
impegno a liberare i luoghi di lavoro da ogni forma di discriminazione, compresa quella per motivi
di orientamento sessuale e di identità di genere».
La situazione legale circa il rispetto dei diritti umani delle persone gay, lesbiche, bisessuali e
transessuali è stata affrontata dall’ILGA Europe. Attraverso una «mappa arcobaleno», riferita al
maggio 2013, la stessa Organizzazione attribuisce a ciascuno dei 49 paesi europei una percentuale,
che a sua volta si trasforma in classifica, circa l’osservanza dei diritti LGBT. I punteggi assegnati a
ciascuna nazione riflettono le condizioni previste all’interno di ogni paese per ciò che attiene:
riconoscimento legale del genere, rispetto della libertà di assemblea, associazione ed espressione,
protezione contro crimini/discorsi d’odio, asilo, leggi e politiche contro le discriminazioni e
riconoscimento famigliare (all. 1 rapporto Rainbow Map explanatory document and detailed index).
NUOVI DIRITTI IN NOME DELLE PARI OPPORTUNITÀ
La fase germinativa, l’incipit, rispetto all’idea di occuparci di tutte le questioni afferenti al tema
delle pari opportunità sta nella consapevolezza che occorre rendersi conto dell’evolversi e dei
mutamenti sociali che sono in corso. Senza prevaricazioni, ma neppure mostrando diffidenza verso
le tendenze evolutive che fanno nascere, maturare e tramontare atteggiamenti e credenze. Partendo
da questo presupposto, un ulteriore spunto riflessivo in tal senso l’abbiamo colto dalla decisione
assunta dalla sezione Lavoro della Corte d’Appello di Milano, attraverso la sentenza n. 7176 del 31
agosto 2012, che ha riconosciuto, estendendo lo status di convivente more uxorio, il diritto
all’assistenza sanitaria integrativa per il compagno di un lavoratore bancario. Una sentenza che
conferisce senso e dignità nei confronti della parità dei diritti.
QUANDO DISCRIMINAZIONE SIGNIFICA NEGARE IL LAVORO
Questi rapporti testimoniano come il fenomeno delle discriminazioni sia tutt’altro che debellato,
nonostante si riversi su questo argomento maggiore attenzione, e colpisce ancora un numero
spropositato di lavoratori. Tra l’altro, registriamo anche un ulteriore dato allarmante conseguente
alla situazione di crisi economica e finanziaria. Questa fase recessiva che stiamo attraversando e che
sta causando pesanti conseguenze sulla vita delle cittadine e dei cittadini, potrebbe avere effetti
anche sullo stesso rapporto di lavoro accrescendo una connessione dipendenza-sudditanza, e con
essa potrebbe tornare in uno stato di latenza la denuncia di sopraffazioni e soprusi.
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Contro le discriminazioni: riconoscere le differenze come elemento di forza
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Al riguardo, occorre inoltre tenere presente che il mutamento della realtà economica e sociale ha
permesso una trasformazione anche degli atteggiamenti discriminatori che, nel corso del tempo,
hanno assunto varie sfaccettature, mimetizzandosi ad arte con modalità sempre più latenti e di
riflesso, tramite nuovi abusi più subdoli e meno percepibili che si ripercuotono nella sfera lavorativa
per mezzo di pratiche dirette o indirette apparentemente neutre, ma che in realtà recano trattamenti
sfavorevoli e peggiorativi per determinate categorie di lavoratori, fino a sfociare nei casi più estremi
in azioni di vera e propria pressione e mortificazione psicologica, se non esclusione dall’ambiente
lavorativo.
BANCHE GLOBALI ROMPONO IL TABÙ DELLA DIVERSITY
Se qualcuno, nonostante le argomentazioni già sostenute sin qua, avesse ancora qualche dubbio sul
perché – nello specifico – un sindacato debba inserire nella propria agenda anche il tema dei diritti e
delle relative politiche antidiscriminatorie in senso lato, citiamo un recente avvenimento che ha
destato molto interesse non solo fra coloro che si occupano di questi argomenti ma anche dei
commentatori economici.
OLTRE L’AFFERMAZIONE DEI DIRITTI
La civiltà europea dello Stato sociale costruita a fatica nel corso del Novecento, ha come proprio
fondamento il principio della dignità e dell’autonomia di ogni persona, che come tale va tutelata dai
rischi di un mercato del lavoro soggetto a oscillazioni, crisi e altri accidenti. Eppure oggi ci sembra
normale che questa civiltà non venga estesa a tutti. E questo specialmente quando, per effetto delle
disuguaglianze accresciute dalla globalizzazione, si acuisce la sensazione di scarsità delle risorse
pubbliche da destinare a scopi sociali e si finisce per credere che la garanzia dei propri diritti di
cittadino implichi l’esclusione da quegli stessi diritti ad alcune categorie, soprattutto se considerate
“non meritevoli”.
Un problema di non facile lettura che, oltre alla sensibilità personale, richiede specifiche
conoscenze e competenze in un mondo sempre più multiculturale e articolato al proprio interno. È
per tanto necessario saper percepire le discriminazioni, esplicitarle evitando la falsa “normalità”
imposta dal silenzio, per poter poi intervenire con efficacia. In questo senso, la collaborazione con i
gruppi discriminati è un fattore strategico per comprendere meglio i fenomeni e trovare, alla luce
dell’esperienza, dei percorsi di miglioramento rispettosi di tutti e di ognuno. Così intesa, proprio per
le implicazioni di largo respiro che si intersecano nella relazione tra libertà, uguaglianza e diversità
e che incidono sulla definizione di nuovi diritti civili (e sociali), l’applicazione corretta del principio
delle pari opportunità deve portare al riconoscimento di tutti i diritti, compresi quelli definiti con la
denominazione di «nuovi diritti», e deve essere in grado di saper individuare e distinguere le
variegate forme di discriminazione che vengono attuate.
Proprio in un momento difficile come questo, in cui atteggiamenti conservatori inducono ad ergere
barriere con retaggi di vecchi/nuovi steccati contro la società multiculturale e contro l’affermazione
delle pluralità sociali, che bisogna saper valorizzare i princìpi di laicità come valore fondante dello
Stato italiano e difendere le conquiste di libertà ottenute, ma occorre inevitabilmente andare oltre,
imparando a riconoscere nell’altro le differenze, saperle valorizzare ed avere la possibilità di
utilizzarle come ulteriore elemento di forza sociale e quindi sindacale. Questa sfida però è cosa
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ABSTRACT
tutt’altro che semplice e rischia di divenire uno slogan di facile lettura, una accezione estetica, una
“moda”, se non ci si impegna fattivamente per garantire a tutti e a tutte pari opportunità nel lavoro e
nella società.
Riteniamo che le tante ingiustizie sociali, i tanti diritti negati debbano trovare soluzione e che non
vada mai accantonata, ritenuta superata o logorata dal tempo la speranza che deve unire nuove e
passate generazioni affinché, in ogni parte del mondo, sia riconosciuta e rispettata effettivamente la
dignità di ogni essere umano. Le battaglie per i diritti delle persone e le tutele contro le
discriminazioni vanno viste in un’ottica più generale e ampliate in un panorama di azione per le
libertà civili di tutti, rivolgendo maggiore attenzione al tema dei nuovi diritti: per i diritti di chi non
ha diritti.
Questa crisi economica, che assume risvolti e proporzioni generali, auspichiamo possa essere
l’occasione per rimuovere rendite di potere a classi dirigenti principali responsabili non solo delle
ragioni strutturali della recessione, ma anche propulsori della drammatica arretratezza sociale e
civile del nostro paese. L’auspicio è che da questo difficile passaggio il paese possa uscire
rinnovato, più giusto, più attento alla vita concreta delle persone.
A dover essere superata è quella concezione meramente formale di eguaglianza intesa
semplicemente come eguale trattamento, uniforme disponibilità di opportunità sociali ed
economiche, ma «cieca» rispetto alle condizioni di partenza fortemente diseguali, dunque parziali.
Solo se visto in questa luce, il tema della discriminazione legata alle molteplici ed eterogenee
condizioni viene affrontato senza eludere la problematicità teorica e applicativa che comporta,
permettendo di offrire delle risposte non solo contingenti e parziali, ma fondamentali e generali.
A dover essere ricercate sono dunque le possibilità di legittimazione e di attuazione di una
eguaglianza materiale che, senza trascurare i fatti reali ma pure senza rinunciare ad analizzarli sullo
sfondo di uno scenario più ampio, ambisce alla realizzazione del principio di libertà individuale.
Anche il recente messaggio del Direttore Generale dell’ILO riprende questi concetti. Secondo Guy
Ryder: «Il mandato dell’ILO sulla giustizia sociale prevede la promozione dell’occupazione in
condizioni di libertà, equità, sicurezza e dignità per tutti: noi siamo portatori di questa agenda
fondata sul rispetto dei diritti, sull’accettazione della diversità e sulla tolleranza finalizzata al
raggiungimento del lavoro dignitoso per le persone LGBT».
Concludendo, vogliamo riprendere le celebri parole di Locke: «Gli uomini sono per natura tutti
liberi, uguali e indipendenti»13, per rammentare un altro momento storico nel quale l’accettazione
della libertà e dell’uguaglianza di tutti gli individui ha offerto alle femministe e ad altri gruppi
svantaggiati le parole necessarie per l’emancipazione generale.
13
Cfr. LOCKE, Two Treatises of Government, (ed. P. Laslett, 1988), ‘The Second Treatise’, par. 95.
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Contro le discriminazioni: riconoscere le differenze come elemento di forza
ABSTRACT
CONCLUSIONI
Come già anticipato nelle premesse, la finalità che ci siamo prefissati quando abbiamo pensato di
concretizzare il progetto di nascita di un Osservatorio, che si ponesse quale obiettivo precipuo
quello di osservare, per l’appunto, studiare, argomentare e desumere le articolate sfaccettature che
concernono i confini e gli scenari legati alle discriminazioni nel lavoro e l’attuazione di politiche di
diversity nel mondo lavorativo, si riferiva in prima battuta a una chiave di lettura più circoscritta
riguardante unicamente l’ambiente relativo al settore del credito.
Contemporaneamente, l’interesse trasversale suscitato da questa iniziativa e l’ampliamento del
raggio di azione (e di analisi), conseguente alla collaborazione subentrata da diversi contributi
provenienti da altre categorie merceologiche, da lavoratori atipici e da disoccupati, ci ha permesso
di estendere il percorso ipotizzato inizialmente, facendoci porre un nuovo traguardo che sviluppasse
le condizioni per delineare una forma più estesa e articolata.
Da questa esperienza possono strutturarsi i presupposti per avanzare alla Confederazione sindacale
UIL una proposta che vorrebbe concretizzarsi nella realizzazione di un gruppo di lavoro che si
occupi nello specifico dei contesti supra descritti. D’altronde, nella realtà del rapporto di lavoro,
così come in ogni altra sfera della vita sociale compreso l’ambito familiare, il riconoscimento
dell’eguaglianza sostanziale dei diritti è presupposto necessario per l’affermazione concreta dei
diritti di ogni cittadino. Non può essere misconosciuto che le molteplici forme che assumono lato
sensu i diritti di cittadinanza nella società moderna impongono la necessità di porsi nuove sfide,
nuovi propositi, volti alla piena integrazione e realizzazione dei «nuovi diritti».
Partendo da questo assunto, senza alcuna pretesa di completezza e di esaustività, risulta irriguardoso
continuare a delimitare le politiche per le pari opportunità come se riguardassero solo una parte
della società. L’eguaglianza, la parità dei diritti, le azioni di contrasto alle diverse forme di
discriminazione o di soprusi sui più deboli, rappresentano un terreno che riguarda l’intera comunità
e il relativo benessere sociale di tutti è un obiettivo generale da raggiungere attraverso l’impegno
dell’intera società.
Contestiamo la teoria di chi sostiene che le diversità possano rappresentare un pericolo in grado di
minare l’integrità etica e morale della società. Questa bizzarra idea tradizionalista, non suffragata da
alcun elemento scientifico, è ripetutamente sostenuta come mantra da coloro che vorrebbero rifarsi
a dei “valori artificiali”, di facciata, che nella realtà non sono rispettati nemmeno da chi
ufficialmente appare come il più accanito paladino. Al contrario, riteniamo vadano superati i
pregiudizi ancorati alla morale sociale dominante e archiviata l’epoca in cui si tendeva a sopprimere
le altre identità, quale segnale di supremazia, in nome dell’affermazione della propria. Dalle
persone non va ricercata la perfezione, perché questa non è umana, appartiene alle macchine. Sono
gli aspetti distintivi quelli che rendono unici. Nel fattore umano sono le interiorità quelle che
rendono speciali.
Le diversità rappresentano una risorsa e vorremmo, in minima parte, nella nostra unicità, lanciare
questo messaggio ed essere designati ad esprimere quella che potremmo definire una: «squadra di
diversità dove nessuno assomigli a nessuno».
OSSERVATORIO SULLE DISCRIMINAZIONI NEL LAVORO E POLITICHE DI DIVERSITY
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