I DOMENICA DI QUARESIMA Anno C Dt 26,4

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I DOMENICA DI QUARESIMA Anno C Dt 26,4
I DOMENICA DI QUARESIMA
Anno C
Dt 26,4-10; Rm 10, 8-13; Lc 4, 1-13
La prima domenica di quaresima ci conduce, attraverso le letture che la liturgia ci propone, nel deserto,
luogo della prova, della purificazione della fede e del cuore, luogo delle scelte profonde che conducono
all’incontro con Dio. Nel deserto si impara a conoscere Dio e ci si lega a lui; si impara a dire i molti “no” per
poter professare, in un unico “si”, la propria fedeltà e appartenenza al Vivente.
Gesù, colmo dello Spirito santo disceso su di lui nel battesimo al Giordano, è colto da Luca nel momento del
discernimento che precede ogni vocazione. In questo cammino compare sulla scena un “falso alleato”, il
diavolo. Un falso alleato perché suggerisce una strada da percorrere, una possibilità di risposta a
quell’essere “figlio di Dio”. Ma ciò che propone non è il disegno di Dio quanto piuttosto una via facile e più
consona alla natura umana.
La prima prova del deserto è quella del digiuno e della fame. Come Israele nella sua lunga peregrinatio,
anche Gesù sperimenta la fatica e la debolezza che provengono da un bisogno primario: la fame. Il cibo
significa possibilità di sussistenza ma anche di autodeterminazione; la fame di Gesù richiama la fame e il
bisogno di ogni uomo che quotidianamente fatica per il proprio sostentamento. Richiama il bisogno di
quanti, oppressi dalle ingiustizie, questo sostentamento non possono procurarselo a sufficienza. Gesù è
solo nel deserto ed è a questo punto che il diavolo si presenta come possibile alleato per suggerire la via più
semplice e più immediata che dia una risposta ad un bisogno che nella vita dell’uomo significa vita o morte.
“Se sei Figlio di Dio”; con questa frase, ripetuta per ogni tentazione, il diavolo spinge verso un
discernimento errato e dunque verso una risposta non in linea con la verità di Dio. Perché non trasformare
le pietre in pane? Perché non trovare la risposta alla propria identità di Figlio di Dio attraverso un miracolo
che evidenzi la potenza e la forza di un Dio? La potenza e la forza di un Dio può sfamare tutti i poveri del
mondo, perché non usarla per fare del bene? La stessa tentazione verrà adombrata, seppur in altra forma,
dall’evangelista Giovanni quando, a conclusione della narrazione della moltiplicazione dei pani1, ci dice che
le folle cercano Gesù per farlo re. La risposta che Gesù dà in quel contesto illumina il nostro brano: Voi mi
cercate non perché avete visto dei segni ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da
fare non per il cibo che non dura ma per il cibo che rimane per la vita eterna”2. L’uomo ricerca sempre un
dio che gli renda la vita semplice, che gli tolga la fatica di ogni giorno. All’uomo piacciono le vie facili. Ma il
Padre di cui Gesù è Figlio non risponde a questa descrizione. Nel discernere il proprio volto Gesù ci mostra il
volto di un Dio che chiede all’uomo innanzitutto di porsi davanti a lui in una relazione amicale. L’uomo non
vive di solo pane “ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”3. È interessante che si faccia riferimento
alla bocca, l’organo del cibo e della parola. Ma tra le due è la parola ad avere un peso maggiore. Questo
perché Dio non vede l’uomo come un soggetto di bisogno ma un soggetto di relazione; non qualcuno su cui
chinarsi ma anche come colui che , libero, può stargli davanti come partner di relazione. Il cibo diventa una
“conseguenza” di questa relazione, così come in Genesi la rottura dell’amicizia con Dio si trasforma in
1
Gv 6
Gv 6, 26-27
3
Dt 8,3
2
privazione di cibo4. La risposta di Gesù è un riportarsi all’esigenza primaria di “cercare innanzitutto il regno”
perché tutto il resto verrà dato in aggiunta5. No, essere Figlio non è ricercare se stessi.
La seconda tentazione è quella di un altro genere di potere, quello che permette di guardare tutto e tutti
dall’alto. Quello che implica sottomissione e schiavitù dell’altro. I regni della terra con la loro autorità
(exousia) e gloria (doxa)6 vengono offerti a Gesù. La possibilità dell’autorità da esercitare su qualcuno è una
delle cose che ammaliano l’uomo maggiormente, forse anche più del pane. Ma tutto questo ha un prezzo:
la schiavitù. “Se, prostrandoti, mi adorerai”, è la moneta da pagare al satana per sottomettere gli altri al
proprio volere. Ma chi si inchina a questo “falso alleato” per avere potere sarà a sua volta schiavo perché si
immette in un circuito di favori e di scambi in cui ognuno deve vendere la propria libertà. Ma questo modo
di esercitare la “exousia” non è quello che contraddistingue il Dio di Israele che, al contrario, stende la forza
del suo braccio e manifesta la sua potenza nel liberare chi è prigioniero7. No, essere Figlio non è dominare
sugli altri.
L’ultima tentazione è rappresentativa dell’esercizio di un potere ancora più grande dei primi due, una
“vertigine”, simboleggiata dall’altezza del pinnacolo del tempio: la tentazione di sfidare Dio. Buttarsi
dall’alto e non morire. Qui il falso alleato ha in bocca le parole di un Salmo8. Come avesse imparato dalle
precedenti risposte di Gesù che rimandava ogni proposta con una citazione della Scrittura, il diavolo si
serve della Parola cercando di insinuarne una lettura errata. Il suo linguaggio è una maschera sacra: parla
recitando un Salmo e invitando l’uomo-Gesù a mettere alla prova Dio sulla veridicità delle sue promesse. È
la tentazione più sottile e più dolorosa perché va a toccare una corda a cui l’uomo è molto sensibile: la
fiducia che scaturisce dall’amore. La stessa tentazione della Genesi dove il serpente insinua nel cuore
dell’uomo e della donna il non amore di Dio nei loro confronti; addirittura la sua non lealtà9. È la tentazione
più ambigua alla quale Gesù risponde affermando che l’amore vero non conosce il ricatto. La relazione
uomo-Dio non è quella tra schiavo e padrone ma tra figlio e padre. Ed essere figlio implica una fiducia
fondata sull’amore che non ha bisogno di “prove”. Non si condiziona la libertà di Dio e la sua volontà per
“mettere alla prova” il suo amore, perché così facendo si esce dalla logica del figlio per entrare in quella
dello schiavo. No, essere Figlio non è sfidare Dio per provare il suo amore.
Il cammino di discernimento, attraverso molti no per un solo “si”, conduce Gesù alla consapevolezza della
sua missione: mostrare, nella sua persona, il vero volto di Dio amore.
Rimane l’ultima tentazione, quella del Getsemani, quando il diavolo torna per il “momento fissato”, a
mettere in dubbio la sua vocazione di Figlio: abbandonato, tradito, consegnato, impotente. Quando la lotta
costerà sudore di sangue. Nell’atto supremo di obbedienza si leverà il “si” nella fiducia del Figlio all’amore
del Padre e allora il diavolo sarà sconfitto e non ci saranno altri tempi in cui tornare.
4
“Maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà
per te”, Gen 3, 17-18
5
Cfr. Lc 12, 22-32; Mt 6, 25-34
6
Si tratta di prerogative tipiche di Dio, secondo il Salmo 97
7
Cfr. il brano seguente, Lc 4, 16-21, dove Gesù, dopo il discernimento nel deserto, è pronto a mostrare il vero volto di
Dio.
8
Cfr. Sl 91, 11-12
9
L’esclamazione del serpente in Gen 3, 4, Non morirete affatto, instilla il dubbio sulla veridicità della parola di Dio e
delle sue promesse. Non un Dio amore, in definitiva, ma un padrone di schiavi che vuole l’uomo sottomesso
impedendogli di possedere ciò che lo renderebbe felice.