CDT-Giovani-e-apparire-9-07-2016
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2 Primo Piano Corriere del Ticino Sabato 9 luglio 2016 Primo Piano Corriere del Ticino Sabato 9 luglio 2016 Società Un look più o meno strano è un modo per comunicare l’inTervisTa zxy Stefano laffi* «La crisi riguarda gli adulti e si riflette sui loro figli» Le nuove generazioni cercano solo di riscattarsi L’aspetto dei ragazzi è un compromesso tra la loro natura e le convenzioni sociali Per descrivere questo fenomeno è nata l’espressione «vetrinizzazione sociale» I giovani senza lavoro, ambizioni, valori, futuro. Sono davvero così le nuove generazioni? Tanti look diversi, tanti modi diversi di proporsi, perché uno dei codici che i giovani hanno per far conoscere agli altri il proprio modo di intendere la vita, di sentirsi o meno parte di qualche «gruppo», è quello di comunicare attraverso il proprio aspetto. Questi contrasti possono concretizzarsi in atteggiamenti dove l’apparire assume un’importanza superiore rispetto all’essere, anche se questo sembra ormai un obbligo imposto a tutta la società, non solo ai giovani. Ma che ruolo hanno gli adulti in tutto ciò? Inoltre un’importanza nell’influenzare il modo di proporsi dei ragazzi negli ultimi anni la giocano sicuramente anche i social media, capaci con la loro forza di imporre facilmente mode ad una schiera sempre maggiore di adolescenti, perché sempre connessi e sempre raggiungibili. Per saperne di più sul tema e sull’influenza che certi modelli diffusi da Internet possono avere, nei giorni scorsi abbiamo incontrato il sociologo Stefano Laffi che ci ha rilasciato l’intervista che proponiamo in queste pagine. Pagine di marCo della brUna zxy Capita a volte di incrociare nelle strade delle nostre città, nei centri commerciali, davanti a scuole e licei ragazzi con capelli tipo «dreads» (comunemente definiti rasta) o con creste dai colori sgargianti, oppure con indosso pantaloni a cavallo basso alla turca, ma anche jeans con risvoltini, oppure ancora ragazze avvolte in abitini succinti o capi firmati alla moda. Tanti look diversi, tanti modi diversi di proporsi. Ma il look è anche una forma di compromesso a cui i ragazzi scendono con se stessi, visto che da una parte ci sono convenzioni sociali da rispettare, mentre dall’altra c’è la necessità di essere il più possibile fedeli alla propria natura. Pubblico e privato Ragazzi e ragazze, in ogni caso, mettono in mostra solo una parte delle proprie caratteristiche, ponendo in risalto quelle particolarità che giudicano importanti per raggiungere un certo tipo di «pubblico». Tutto ciò, però, spesso non si limita ad esporsi attraverso un modo di vestire, una capigliatura originale, qualche vistoso tatuaggio, ma può giungere a rendere sempre più pubblico quanto dovrebbe essere privato. I propri sentimenti, le proprie emozioni, a volte anche il proprio corpo, vengono quindi esposti, esattamente come un negoziante espone i propri prodotti per avere successo. L’immagine scelta non è casuale: per descrivere questo fenomeno, infatti, negli ultimi anni è nata l’espressione «vetrinizzazione sociale», un concetto esposto dal sociologo italiano Vanni Codeluppi, che in un suo saggio definisce questo processo di spettacolarizzazione degli individui e della società come «l’amplificazione esagerata della funzione esercitata inizialmente dalle vetrine dei negozi verso le merci esposte, la quale si proietta, ora, dall’altra parte del vetro, sull’individuo stesso, che diventa inevitabilmente oggetto della messa in scena quotidiana, soprattutto attraverso l’uso dei media». Con questo concetto è quindi possibile definire e studiare alcuni fenomeni so- zxy Ricercatore presso Codici, cooperativa di ricerca e intervento sociale a Milano, Stefano Laffi è anche autore di alcuni libri sul mondo giovanile, tra cui «Crescere nonostante» (Gli asini) e «Quello che dovete sapere di me» (Feltrinelli). Lo abbiamo incontrato. Tra i giovani proporsi in un certo modo significa anche dare informazioni sul proprio pensiero, sul proprio approccio alla vita. È così? «È vero che da sempre tutti noi, ma in particolare i ragazzi e i giovani, usiamo il nostro aspetto per schierarci, per comunicare un’appartenenza, per raccontare qualcosa di noi, al di là delle parole e al di là di altri titoli che a volte è più difficile avere da ragazzi che da adulti. Paradossalmente io credo che oggi valga meno di ieri. Io per esempio ho perfettamente memoria di quando ‘‘ Oggi si bada molto più all’estetica che al messaggio politico del modo di vestirsi un certo abbigliamento indicava uno schieramento politico o un altro. Oggi questa cosa è meno forte e quindi non sarebbe giusto apporre didascalie a tutto quello che i ragazzi manifestano con quanto indossano o usano come se questi dovessero simboleggiare qualcosa. Credo che ci sia, casomai, più un’estetizzazione di alcune cose, un’attenzione, un accostamento di gusto più che un messaggio simbolico denso, portatore di grandi significati». Quanto questo modo di apparire nei giovani è sincero, quanto è influenzato dai media, dai social network? «Non so se esiste un look sincero o non sincero. Certamente l’arena sociale, il teatro nel quale si muovono i ragazzi in particolare quello costituito dai social network, che è oggi il teatro loro per eccellenza, è decisivo perché costituisce la sceneggiatura nella quale ci si muove, il copione che si ha a disposizione. È chiaro che quello è un teatro nel quale si sceglie di rappresentare qualcosa e rispetto a quel teatro c’è una forzatura nei confronti di sé, una forzatura verso un’immagine che si ritiene che in quel teatro dia l’impressione di felicità, di divertimento, di essere in qualche modo in grado di incontrare il gusto delle proprie cerchie di riferimento. È chiaro quindi che si cerca di corrispondere a questo, come lo si è sempre fatto e come lo si fa anche fuori dai social network». L’apparire tra i giovani è allora più importante dell’essere? identità Gli adolescenti, magari con sfumature diverse, cercano il riconoscimento dei propri coetanei. A destra: Stefano Laffi. (Foto Keystone) ciali, in questo caso riferiti in modo particolare al mondo giovanile. In una società come quella attuale che per certi versi propone un processo di progressiva spettacolarizzazione e valorizzazione dei principali ambiti delle società – per esempio quelli che interessano la sfera affettiva, la sessualità, la cura del proprio corpo – l’apparire diventa di conseguenza un modo per cercare il proprio spazio, per garantirsi quella porzione di vetrina che «giustifichi» la propria esistenza. Un certo condizionamento sul modo di proporsi dei giovani lo svolgono senza appartenenza L’aspetto è uno dei codici che i giovani hanno per far sapere agli altri il loro modo di intendere la vita, di sentirsi o meno appartenenti ad un gruppo dubbio componenti quali la moda, la pubblicità, i media, quanto insomma i giovani incontrano facilmente nel loro percorso quotidiano. E poi ci sono i social media, capaci, con la loro forza e l’impressionante diffusione, di imporre facilmente «mode» ad una schiera sempre maggiore di adolescenti, perché sempre connessi e sempre raggiungibili online. dal bikini al tatuaggio Facebook, Instagram, Twitter e tutti questi «luoghi» virtuali frequentati dai giovani (e meno giovani) oggi, possono a volte proporre modelli di riferimento che si rivelano essere molto distanti dalla realtà, se non addirittura completamente sbagliati. Sui social network i personaggi pubblici sfoggiano molto spesso foto con look originali, fisici perfetti (magari corretti con ritocchi digitali), atteggiamenti provocatori che a volte i giovani faticano a percepire nel modo corretto. Il bikini mozzafiato, il tatuaggio tribale, lo sberleffo in una foto diventano quindi modelli di riferimento, non soltanto immagini da osservare. media sociali Con la loro forza di imporre nuove mode da seguire i social network hanno un ruolo fondamentale nell’influenzare il modo di proporsi agli altri la TesTimonianza zxy nicholaS* «L’apparenza inganna, le persone si conoscono davvero solo attraverso il dialogo» affinitâ È più facile socializzare con chi ha un look simile al tuo. zxy Proporsi in un certo modo, con un certo look, significa dare informazioni sul proprio pensiero, sul proprio modo di intendere la vita. Ma cosa ne pensano i giovani di questa affermazione? Come vedono questo loro modo di proporsi agli altri? Lo abbiamo chiesto a Nicholas studente diciassettenne luganese, incontrato di recente al Liceo 1 di Lugano. «Credo sia vero che con il proprio look, attraverso gli abiti che uno indossa per esempio, si può mostrare agli altri una parte di sé. Però non credo che questa informazione sia sempre legata in senso stretto a come una persona è realmente. Penso che in questo caso possa essere valido il detto l’apparenza inganna. Con l’abbigliamento, il modo di portare i capelli ed altro, si dà qualche spunto, qual- 3 che indicazione, ma non il curriculum esatto di una persona. Le persone si conoscono attraverso i sentimenti, il dialo- la pubblicità il look di un ragazzo o di una ragazza può anche essere indotto da un cartellone pubblicitario visto per strada go, le parole». Socializzare con persone che si propongono in un certo modo, con un look simile al nostro sembrerebbe essere più semplice, in particolare tra i giovani, dove l’appartenenza ad un «gruppo» è spesso un modo per aggregarsi. «Certo, è vero – spiega Nicholas – a volte notare un determinato abbigliamento in una persona facilita un certo tipo di approccio, perché si può immaginare che ci possano essere degli interessi comuni, però non ci si può affidare soltanto a questo aspetto nell’avvicinarsi a qualcuno». Un capitolo a parte merita il tema dei social network, sempre molto presenti nella quotidianità dei giovani oggi. Ma che influenza ha sul modo di proporsi dei ragazzi questa loro assidua presenza, la frequentazione continua di questi ambienti virtuali? «Io penso che i social media, con certe immagini proposte da persone note del mondo dello spettacolo, della musica, dello sport o di quant’altro, possano sicuramente influenzare il look dei giovani. I fans di un rapper per esempio possono magari imitarne gli atteggiamenti, il modo di vestirsi del proprio idolo. Ma credo che sia così da sempre. Il look di un ragazzo o di una ragazza a volte può anche essere indotto da fattori esterni, anche magari solo da un cartellone pubblicitario visto per strada, da immagini che ci colpiscono, visto che ogni giorno siamo bombardati da modelli da seguire». Nicholas sembra avere le idee molto chiare anche su una domanda che ci si pone spesso quando si parla di look: è più importante essere o apparire? «Certo, essere è sempre più importante che apparire. Negli anni più recenti ho però notato che questa differenza diventa sempre minore, sempre meno visibile. Si tende quasi a non voler più socializzare con la parola, ma al contrario si sceglie di farlo attraverso il proprio aspetto. Si punta molto sul primo approccio, sui messaggi che si danno attraverso come si appare. Questo aspetto limita certamente il contatto con gli altri, ed anche in questo caso credo sia importante l’influenza dei social che hanno posto dei paletti di modelli da seguire molto rigidi, che forse alcune persone non riescono a notare subito e magari lo fanno quando è troppo tardi». * studente liceale «No, questo io credo che non sia vero. Credo che per i ragazzi, oggi come ieri, sia importante risolvere la questione ‘‘che cosa ci faccio io qui’’. Una domanda chiave. E in questa domanda c’è un disperato bisogno di riconoscimento. Quindi il come, il quanto e rispetto a cosa gli altri ti riconoscono importante, capace, protagonista, simpatico e così via. Questo significa che ovviamente i ragazzi sono molto attenti ai segnali di ritorno, che è il processo con cui ogni comunicazione si conclude. Nel momento in cui si manda un messaggio, che può essere verbale, di aspetto, di comportamento, si sta attenti a quello che i ragazzi che sono presenti in quella scena ti dicono o fanno rispetto a come tu ti mostri. È quindi chiaro che in questa scena c’è un’attenzione dei ragazzi, ma la questione chiave continua ad essere comunque quella dell’identità dei ragazzi. Un’identità che è mutevole e che certo è soggetta anche alle frizioni di questo teatro sociale». L’influenza di certi media ha portato ad un fenomeno che qualcuno ha chiamato «vetrinizzazione sociale», dove tutto viene esposto al prossimo e non vi è più spazio per il privato. Un fenomeno che sembra essere più preoccupante quando riguarda i giovani. «Questa cosa è in parte vera e in parte no. Nel senso che ci sono delle ricerche molto solide, e penso alla ricerca ‘‘It’s complicated’’ della ricercatrice americana Danah Boyd, che per molti anni ha fatto interviste e indagini nel mondo degli adolescenti statunitensi proprio su queste questioni. Le sue ricerche mostrano come i ragazzi questo confine lo abbiano ben presente, anche se può essere diverso dal nostro. ‘‘ Più che sull’apparenza i giovani si interrogano sul senso delle cose, dell’essere qui ora Vero è che i social network, come spiegato in questo libro, rappresentano un luogo in cui collassano - cioè si trovano improvvisamente uno accanto all’altra - diverse sfere. Quindi se un adulto, un genitore, vede un figlio in quella sfera lì, lo incontra magari in una dimensione di esibizione, di perdita del privato, che non vorrebbe vedere. Così come succederebbe nella vita reale se una madre vedesse un figlio o una figlia ballare in discoteca alle tre di notte, cioè in una situazione assolutamente pubblica: noterebbe dei comportamenti, delle situazioni che faticherebbe a riconoscere come adeguate ad una situazione pubblica. Questa situazione è legata al fatto che, per esempio, nei social network chiunque può andare a ritrovare le tracce degli altri e quindi varcare dei confini che non sono stati sufficientemente protetti. Non credo però che ci sia una perdita vera e propria di confini. C’è a volte, semmai, un uso dell’immagine e una ricerca di consenso da parte dei ragazzi che passa molto attraverso l’espressione del corpo. Ma tutto questo avviene in un mondo che altrimenti ai ragazzi non ha concesso molto altro e che quindi ha nell’esibizione del proprio corpo, giovane e bello, la chiave di esistenza, di riconoscimento sociale». Sembra che il mondo giovanile oggi sia in crisi. Crisi di identità ma anche di ideologie o motivazioni, di insicurezze. È solo colpa dei giovani o di chi è la colpa? «Negli anni scorsi ho pubblicato un libro che s’intitola ‘‘La congiura contro i giovani: crisi degli adulti e riscatto delle nuove generazioni’’. Il mio punto di vista è che quindi in crisi siano gli adulti e non i ragazzi. Perché gli adulti si stanno rendendo conto di essere esempi, testimoni, di un tempo che non c’è più. Faticano quindi a rapportarsi ai più giovani e ad essere credibili in un ruolo di guida, di modello per i ragazzi, perché sono consapevoli di esserlo loro stessi sempre di meno, in un mondo che cambia così velocemente. Ed è inevitabile che la loro esperienza non sia la misura dell’esperienza dei ragazzi e che tutto ciò che loro prescrivono e affermano sia indebolito dalla velocità dei cambiamenti. Di conseguenza, in una situazione di contraddizione tra il ruolo che esercitano e lo statuto sempre più debole che hanno, a me sembra che siano gli adulti in crisi. Cosa succede allora ai giovani di fronte a questi adulti insicuri? Succede che in effetti i giovani fatichino a trovare degli interlocutori forti negli adulti che hanno di fronte e quindi anche i ragazzi stessi patiscano evidentemente di riflesso questa crisi. Faticano a confliggere con gli adulti, come sarebbe naturale, perché gli adulti sanno di non essere un modello ‘‘ Chi ha qualche anno in più sa di non essere un modello forte per gli adolescenti forte e quindi inevitabilmente di non essere qualcosa contro cui contrapporsi. In questa scena, paradossale se vogliamo, gli adulti fingono di essere più di quello che oggi in realtà possono essere e i ragazzi sono assoggettati a dover seguire regole, come andare a scuola per esempio, e far finta di credere a quello che è uno sviluppo lineare, cioè che quello che si studia a scuola diventi poi in effetti un mestiere congruente con quello che si è studiato. In questa situazione, nella quale è difficile prevedere quanto succederà domani, i rapporti tra le generazioni certamente vanno in crisi». Nel suo recente libro «Crescere nonostante», sottolinea come stia aumentando la distanza tra adulti e giovani a causa dei rapidi cambiamenti della società, al punto che «l’esperienza di vita degli adulti diventa sempre meno utile per un ragazzo in termini di istruzioni per l’uso». «Questo credo che sia il grande cambiamento. È sempre avvenuto che i figli, i giovani, tradiscano le attese, le prescrizioni, le indicazioni degli adulti, perché altrimenti non ci sarebbe mai innovazione, cambiamento sociale, che sono elementi vitali per una società. In questa epoca in particolare succede che gli adulti stessi credo si rendano conto della perdita di forza e di rispondenza al reale di quello che sono stati e di quello che magari raccomandano. L’urto del tempo chiederebbe rapporti più paritari, libera circolazione del sapere, valorizzazione di ogni forma di esperienza come possibile fonte di sapere. Nessuna di queste cose avviene oggi per esempio nei luoghi dell’istruzione, dell’università, dove tendenzialmente ancora va in scena il fatto che un docente insegna a tanti allievi, che il sapere dato è definito una volta per tutte, che ci sono manuali, indicazioni forti e prescrittive per tutti. Al contrario credo che la sfida più interessante sia la costruzione insieme di nuovi saperi, il superamento di confini disciplinari, la messa in comune di tante conoscenze e quindi un altro modello cognitivo, dove gli adulti e i ragazzi stanno insieme gli uni accanto agli altri, senza un problema di ruolo, ma con una missione comune che è quella dello spostamento della frontiera della conoscenza». * ricercatore esperto in culture giovanili