Post/teca 01.2011

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Post/teca 01.2011
Post/teca
materiali digitali
a cura di sergio failla
01.2011
ZeroBook 2011
Post/teca
materiali digitali
Di post in post, tutta la vita è un post? Tra il dire e il fare c'è di
mezzo un post? Meglio un post oggi che niente domani? E un post
è davvero un apostrofo rosa tra le parole “hai rotto er cazzo”?
Questi e altri quesiti potrebbero sorgere leggendo questa antologia
di brani tratti dal web, a esclusivo uso e consumo personale e
dunque senza nessunissima finalità se non quella di perder tempo
nel web. (Perché il web, Internet e il computer è solo questo: un
ennesimo modo per tutti noi di impiegare/ perdere/ investire/
godere/ sperperare tempo della nostra vita). In massima parte sono
brevi post, ogni tanto qualche articolo. Nel complesso dovrebbero
servire da documentazione, zibaldone, archivio digitale. Per cosa?
Beh, questo proprio non sta a me dirlo.
Questo archivio esce diviso in mensilità. Per ogni “numero” si
conta di far uscire la versione solo di testi e quella fatta di testi e di
immagini. Quanto ai copyright, beh questa antologia non persegue
finalità commerciali, si è sempre cercato di preservare la “fonte” o
quantomeno la mediazione (“via”) di ogni singolo brano. Qualcuno
da qualche parte ha detto: importa certo da dove proviene una cosa,
ma più importante è fino a dove tu porti quella cosa. Buon uso a
tutt*
sergio
Questa antologia esce a cura della casa editrice ZeroBook. Per info: [email protected]
Per i materiali sottoposti a diversa licenza si prega rispettare i relativi diritti. Per il resto, questo libro esce sotto
Licenza Creative Commons 2,5 (libera distribuzione, divieto di modifica a scopi commerciali).
Post/teca
materiali digitali
a cura di Sergio Failla
01.2011 (solo testo)
ZeroBook 2011
Post/teca
20110103
Internet 2010: cosa è successo?
Tutti gli avvenimenti che hanno animato il mondo di
internet nel corso dell'ultimo anno.
Nel 2007 un team di ricercatori del Nemertes Research Group aveva analizzato il
tasso di crescita del traffico dati in Rete e aveva inferito che nel 2010 Internet sarebbe
arrivata al collasso. L’ipotesi avanzata dagli studiosi si basava sull’osservazione che la
crescita della quantità di informazioni veicolata delle infrastrutture di Rete planetarie
sarebbe stata superiore a quella che lo sviluppo delle infrastrutture tecnologiche avrebbe
potuto sostenere. Fortunatamente questa previsione apocalittica si è rivelata infondata,
grazie anche al crescente sviluppo di tecnologie di cloud computing, e la salute generale
dell’universo Internet alla fine del 2010 non è affatto critica.
Al contrario, nonostante gli effetti della crisi economica mondiale, Internet e il web sono in
ottima salute, al punto da diventare sempre più uno strumento imprescindibile per la ricerca
di qualsiasi tipo di informazioni, per la comunicazione, per sostenere le attività delle
imprese, per l’intrattenimento.
Uno sguardo alle statistiche, riferite all’Italia, aiutano a focalizzare l’entità del
fenomeno Internet come si profila alla fine del 2010. Ad ottobre di quest’anno sono circa 24
milioni gli italiani che accedono a Internet, un po’ più del 50% dell’intera popolazione. In
particolare, sono circa 21 milioni gli utenti che dichiarano di connettersi alla Rete almeno
una volta alla settimana. In realtà, però, gli utenti che usano Internet sporadicamente sono
ormai una percentuale esigua, infatti mediamente gli italiani vanno online almeno 5 volte a
settimana, evidenziando quanto la Rete e i suoi servizi stiano diventando ormai sempre più
indispensabili nella vita quotidiana di gran parte della popolazione.
Quello che rattrista è che invece nel nostro paese l’utilizzo della Rete a scuola rimane
bloccato alla stessa incidenza del 2004. Segno evidente che, a dispetto di tanti annunci di
riforma e di ammodernamento delle compagini scolastiche da parte dei nostri governi, nulla
di sostanziale è mai stato fatto realmente per offrire ai giovanissimi un vero cambiamento
negli strumenti tecnologici, con l’effetto di migliorare radicalmente la qualità della
formazione primaria.
In che posizione si trova l’Italia rispetto agli altri paesi più industrializzati per quanto
riguarda l’utilizzo della Rete? La Gran Bretagna è la nazione più internettizzata, con un
utilizzo di Internet da parte di più dell’80% della popolazione. Seguono Germania,
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Giappone, Canada, Stati Uniti e Francia, tutti con quote superiori o uguali al 70%. Argentina
e Spagna hanno una percentuale di utilizzo intorno al 60-65% dell’intera popolazione.
L’Italia, con la sua percentuale leggermente superiore al 50%, si posiziona al nono posto,
mostrando un significativo attardamento nella diffusione e nell’uso di Internet. Ancora una
volta, non si può non attribuire alle politiche governative nazionali la responsabilità
principale dell’arretratezza tecnologica che continua a connotarci.
In questo contesto, quali sono state le principali tendenze che quest’anno hanno
caratterizzato lo sviluppo di Internet?
I social network e in particolare Facebook sono le aree del web più frequentate in
assoluto dagli utenti. A novembre 2010 risultano essere 12 milioni gli italiani iscritti al
social network creato da Mark Zuckerberg, cifra che corrisponde al 26% dell’intera
popolazione. Invece, rispetto al totale degli utenti Internet del Bel Paese, corrispondono al
62% degli uomini e al 65% delle donne. Negli USA, addirittura, Facebook assorbe agli
utenti più tempo di permanenza online di Google, ponendosi a buon diritto come il sito più
frequentato in assoluto. Questo sorpasso non deve passare inosservato: è la spia di un
cambiamento epocale nelle abitudini dei netizen. Se finora, infatti, la quota più ampia del
tempo speso in Rete è stata dedicata alle ricerche di informazioni, ormai la maggior parte
dei frequentatori del web preferisce dedicarsi a interagire con altri utenti attraverso spazi di
aggregazione sociali. In questo senso Facebook è diventato una sorta di web nel web, di hub
in cui tutti i contenuti e le attività che si svolgono da ogni parte del web vengono riversate,
condivise e discusse. L’unico problema di tutto questo è quello che gli esperti di
comunicazione definiscono “rumore sul canale”. In altri termini, dal momento che tutte le
informazioni presenti in Facebook sono introdotte direttamente dagli utenti e quindi non
sono prefiltrate, si corre il rischio di trovarsi sommersi da una valanga di contenuti
totalmente eterogenei e di scarso interesse, con l’esito di non riuscire a trovare notizie e
contenuti realmente interessanti solo con enorme difficoltà. Proprio il tentativo di risolvere
questo problema potrebbe essere il punto di partenza verso un’ulteriore evoluzione di
Facebook o di altri social network, o più in generale del web.
Un altro social network in crescita considerevole è Twitter, in cui l’effetto rumore
però è ancora più elevato e aggravato dall’estrema asfitticità delle informazioni veicolate –
ogni post non può superare i 140 caratteri. Risultato: una crescita rapidissima nel numero di
iscrizioni accompagnata però da un tasso di abbandono tra i più alti tra quelli registrati in
tutti i social network: il 60% degli utenti abbandona Twitter già il mese successivo alla
creazione dell’account.
Tra gli altri social network appare sempre più inarrestabile l’affermazione di
YouTube, che sta espandendo i suoi servizi in direzione dello streaming televisivo. I media
center per la TV usciti quest’anno infatti puntano a integrare tra i loro servizi l’accesso a
Internet e ai contenuti video esistenti, in primo luogo proprio di quelli di YouTube. Un
esempio per tutti è la Google TV, presentata in anteprima all’IFA di Berlino, un set top box
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che porta l’utente verso una perfetta convergenza di Internet e televisione, in un ambiente
che dal punto di vista tecnologico è basato sull’agilissimo quanto versatile sistema operativo
Android. Sebbene possa essere considerato un progetto di quest’anno, sarà comunque solo
nel 2011 che potremo iniziare a valutare l’impatto di questa nuova tecnologia – e in generale
dell’integrazione tra televisione e Internet – sull’evoluzione del rapporto della popolazione
con i media.
In questo scenario, contraddistinto da una parte dall’esigenza di socialità attraverso la
Rete e dall’altra da una crescente convergenza di televisione e Internet, non poteva non
inserirsi Apple. Anche Apple propone il suo media center, Apple TV, con caratteristiche
sicuramente innovative, anche se ancora lungi dall’affermarsi pienamente sul mercato e non
ancora commercializzato in Italia.
Il contributo veramente innovativo di Apple in realtà si colloca su un altro versante,
altrettanto importante: quello dell’esportazione verso il mobile di tutti i contenuti e i servizi
Internet. Prima con l’introduzione dell’iPhone, quest’anno giunto alla quarta versione, poi
con il lancio dell’iPad, vero fenomeno tecnologico di punta del 2010, l’azienda di Steve
Jobs detta nuove regole all’approccio all’universo Internet.
Alla base di tutto sono le app, i software concepiti per funzionare all’interno dei
device portatili di piccole dimensioni e capaci di svolgere ciascuno una serie di funzionalità
ben definite. Il principio è: per ogni servizio, un’app. Lo stesso vale per i servizi e le attività
che si riferiscono a Internet e al web. Vuoi leggere le notizie del tuo giornale online
preferito? Usa l’app di quel giornale. Vuoi seguire gli aggiornamenti di Facebook? Usa una
delle app dedicate proprio al social network. Vuoi fare un acquisto su eBay, c’è un’app
dedicata. E così via, convincendo alcuni analisti che proprio a causa delle app il web in
senso tradizionale, basato sul browser, sia ormai in agonia avanzata.
In effetti è azzardato affermare che le app distruggeranno il web tradizionale. Certo è
che, come già definito dalle caratteristiche del Web 2.0, non è più concepibile un web
statico, fatto di compartimenti stagni non interrelati se non mediante qualche link. Ormai
Internet e il web sono innanzi tutto servizi che stimolano la creatività e la produttività diretta
degli utenti e l’idea portante è: connessi sempre e dovunque. Con l’effetto di riversare in
Rete ogni esperienza fatta e condividerla con i propri contatti.
In questo senso il social network Foursquare rappresenta un esempio interessante di
tendenza che nel 2011 potrà svilupparsi in modo sempre più forte. Si tratta di un social
network pensato proprio per un utilizzo da smartphone dotato di GPS. Il funzionamento è
semplice: grazie al GPS Foursquare è in grado di localizzare la posizione fisica dell’utente
dovunque si trovi durante la giornata. Nelle mappe associate al servizio la posizione viene
individuata su una mappa in cui sono presenti esercizi commerciali, ristoranti, alberghi e
ogni tipo di punto d’interesse. Ogni volta che l’utente accede a uno di questi luoghi
predefiniti effettua un check, ossia registra la sua presenza e rende la cosa visibile alla
comunità di Foursquare. Ovviamente questo permette di creare relazioni tra gli utenti
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basandole proprio sulla prossimità fisica o sui commenti ai luoghi e, dall’altra parte,
consente agli esercenti di proporre servizi e promozioni commerciali sulla base della
presenza fisica reale di un iscritto a Foursquare in un determinato luogo. Per esempio: i
primi venti utenti che fanno un check in piazza Duomo a Milano vincono uno sconto del
20% sull’acquisto di un prodotto a propria scelta alla Rinascente. Insomma, la vita reale
passa ormai attraverso Internet e non potrà più separarsene.
Considerando la crescita vertiginosa degli acquisti di smartphone – non solo Apple,
ma anche quelli basati su Android o su altri sistemi operativi per mobile – c’è da pensare
che entro pochissimi anni la maggior parte degli accessi a Internet verrà effettuata mediante
dispositivi ultraportatili. A conferma di una tendenza che ha iniziato a manifestarsi
pienamente quest’anno e che sta gettando le basi per l’Internet del futuro.
fonte: http://www.webmasterpoint.org/speciale/internet-2010.html
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Tecnologia 2010: i fatti principali. Che cosa è
successo?
Gli eventi tecnologici che hanno segnato il 2010: nuovi
prodotti, tecnologie annunciate e affermate nel 2010
Il 2010 probabilmente non sarà ricordato come un anno in cui sono state lanciate
tecnologie che hanno cambiato radicalmente la vita umana. Però ci sono numerose
innovazioni tecnologiche che sono assolutamente rilevanti e che lasceranno il segno negli
anni a venire. Proviamo a capire qual è il retaggio tecnologico di quest’anno che sta
volgendo al termine.
La quasi totalità degli appassionati di gadget e dispositivi hi-tech ricorderà il 2010
come l’anno dell’iPad. Sicuramente il tablet di Apple ha introdotto una nuova ondata di
energia nel mercato. Se infatti il 2009 ha visto concentrare intorno ai netbook le attenzioni
di chi cercava dispositivi portatili con caratteristiche simili ai computer, a partire da aprile di
quest’anno l’universo dell’hi-tech si è concentrato sulla tavoletta supertecnologica di Apple
e tutti – utilizzatori ed esperti – hanno fatto a gara a tesserne le lodi o a evidenziarne i (non
pochi) difetti e limiti. Tutti gli altri produttori, come era accaduto per l’iPhone, hanno
iniziato a creare nuovi tablet PC pronti a lanciare la sfida a Cupertino su questo nuovo
segmento di mercato. Oggi, alle soglie del 2011, si sa bene che l’iPad ha creato un nuovo
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oggetto tecnologico finalizzato a effettuare navigazioni veloci sul web, a leggere libri,
giornali e riviste in formato digitale, ma soprattutto a mettere a disposizione dell’utente un
universo quasi infinito di applicazioni che aprono il dispositivo a una serie inesauribile di
opportunità di utilizzo, i cui confini sono solo nella fantasia degli sviluppatori.
Sull’onda dell’iPad, ha raggiunto la sua maturità anche un altro tipo di dispositivo, l’ebook
reader, che somiglia molto al tablet di Apple, ma in realtà serve quasi esclusivamente a
permettere la lettura di libri e giornali digitali nel modo più confortevole per la vista. Inoltre
permette l’inserimento di appunti e segnalibri, così come di introdurre sottolineature e note
che possono essere direttamente apposte sul testo. Insomma, l’idea di fondo è: scordatevi i
libri di carta, ormai ogni testo si può visualizzare, e meglio, su uno schermo elettronico. La
tecnologia che sta alla base di oggetti come il Kindle di Amazon, arrivato al terzo modello, è
l’E Ink, un particolare tipo di display che ottimizza la qualità del contrasto e rende i caratteri
e le immagini in bianco e nero – tipiche della maggior parte dei libri e dei giornali in
commercio – perfettamente nitide e riposanti per la vista. Già a dicembre 2009 Amazon ha
dichiarato che il lettore di ebook Kindle è l’oggetto più venduto della storia dell’azienda,
mentre le vendite di ebook hanno superato quelle dei libri cartacei. Un trend che si è
mantenuto nel corso del 2010 e che seguiterà a crescere negli anni futuri. Al punto che
parecchi analisti si chiedono se non sia già segnato il destino dei libri e delle librerie
tradizionali...
Un’altra tecnologia che nel 2010 ha mostrato tutte le sue reali potenzialità è il sistema
operativo per dispositivi mobili creato da Google, l’Android, arrivato alla versione 2.3
Gingerbread. Nato inizialmente come piattaforma software per smartphone di ultima
generazione, la versatilità del sistema operativo ha consentito di adattarlo con successo a
una quantità di device diversi, dai tablet PC ai netbook, aprendo le porte a un universo di
applicazioni di portata imprevista. Essendo basato su un codice open source, la comunità di
sviluppatori ha accolto con entusiasmo Android e ha iniziato a creare app che hanno
decretato il vero successo dei dispositivi basati su questo sistema operativo, che sono ormai
intesi come i veri anti iDevice. Quasi tutti gli utenti che hanno acquistato un iPhone hanno
dichiarato che la più valida alternativa al melafonino è proprio uno smartphone con
Android.
Proprio lo sviluppo pressoché esponenziale di applicazioni per dispositivi mobili – e
da pochissimo è entrato in campo anche Windows Phone 7, che segue una filosofia simile –
è la vera novità del 2010, che sta spostando le abitudini degli utenti dall’uso di device
diversi per ogni differente funzione all’idea che possa esserci un unico dispositivo con cui
fare tutto, a condizione di installarvi l’applicazione che serve. Inoltre, questo dispositivo
jolly è portatile e può essere connesso a Internet in modo permanente. A ben pensare, questa
è a tutti gli effetti una piccola rivoluzione.
Altra tendenza in atto nel 2010 è stato il sorpasso dei dispositivi mobili rispetto a
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quelli fissi: si vendono sempre meno computer desktop rispetto ai portatili e agli
ultraportatili. E nel campo della telefonia, sono sempre più numerosi gli utenti che
preferiscono spendere qualche euro in più e portare a casa uno smartphone anziché
accontentarsi del solito telefonino con poche funzionalità. E utilizzare così lo smartphone
come sostituto del PC per la navigazione sul web e per la comunicazione (email, chat,
accesso ai social network, ecc.).
Ovviamente, perché un dispositivo multifunzionale possa davvero essere
continuamente arricchito con nuove applicazioni, è necessario che disponga di una banca di
memoria di massa ampia. Una delle tecnologie che ha consentito infatti lo sviluppo dei
nuovi smartphone e dei computer ultraportatili è proprio la miniaturizzazione delle memorie
flash, che consentono di immagazzinare montagne di informazioni occupando un ingombro
assolutamente ridotto. Un esempio di queste nuove memorie sempre più ampie e
contemporaneamente sempre più fisicamente compatte è la nuova memoria flash SDXC,
apparsa per la prima volta nel 2009, ma solo quest’anno arrivata a pieno titolo sul mercato.
Permette di archiviare fino a 2 terabyte di dati e di trasferirli alla velocità di 104 megabyte
per secondo. Questa tecnologia nei prossimi anni permetterà per esempio di realizzare nuovi
dispositivi per le videoriprese capaci di riprendere in alta definizione, o addirittura in 3D,
senza più rischiare di esaurire rapidamente la memoria disponibile.
Restando nell’ambito dell’audio/video, il 2010 è l’anno dell’introduzione sul mercato
dei primi televisori 3D. Sebbene gli utenti che li hanno provati ne diano un giudizio
positivo, questa nicchia di mercato al momento ha una crescita quasi azzerata. Le ragioni
sono diverse, ma innanzi tutto il problema è che mancano i contenuti che giustificano
l’acquisto, non certo a basso costo, di questi apparecchi televisivi sofisticatissimi. Ci sarà da
attendere il 2011 per vedere se e come l’industria di produzione di contenuti televisivi e di
intrattenimento si orienterà a offrire agli utenti un catalogo di proposte capaci di valorizzare
al meglio la tecnologia dell’home 3D. Intanto, in Italia Sky ha inaugurato l’era del
broadcasting in 3D, trasmettendo il 3 ottobre scorso la Ryder Cup di golf.
L’altro fronte dell’intrattenimento aperto alle più ampie sperimentazioni è quello dei
videogiochi. Nel 2010 sono state introdotte sul mercato la Kinect per Xbox 360 e la
PlayStation Move. Quest’ultima è un controller provvisto di una sfera che si connette
otticamente a una videocamera collegata alla console. Il controller dispone di accelerometri
e giroscopi che permettono di rilevare in ogni istante la posizione del device e la velocità
con cui si sposta. Uno strumento che dà modo ai giocatori di gestire tutte le azioni del gioco
in modo estremamente naturale e istintivo. Kinect invece è semplicemente – si fa per dire –
una videocamera, che registra la posizione del corpo del giocatore ed è in grado di leggerne
i movimenti interpretandoli come comandi per guidare le azioni del gioco. Un dispositivo
rivoluzionario che parecchi sviluppatori vogliono adattare a un utilizzo con il PC per la
gestione dinamica e naturale di applicazioni di nuova concezione .
Guardando alle tecnologie informatiche e telematiche, sicuramente il 2010 ha portato
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un consolidamento del cloud computing. L’utilizzo delle “nuvole” permette di erogare
servizi telematici e informatici a costo più basso per le imprese, rendendo più snella e
accessibile la gestione di processi che, diversamente, avrebbero un costo molto elevato o, in
riferimento alle piccole e medie imprese, addirittura proibitivo. In questo senso, la tendenza
in atto porta i sistemi aziendali a concentrarsi sempre meno sulla creazione di impianti di
gestione di dati estremamente performanti, per spostare il baricentro sull’ottimizzazione
delle reti e sulla versatilità dei client, con grande vantaggio in termini di riduzione degli
investimenti in hardware.
A queste innovazioni più rilevanti si possono aggiungere altre tecnologie minori, che
però lasceranno il segno nel 2011. Ne menzioniamo due.
L’arrivo sul mercato del primo computer compatibile con lo standard USB 3.0.
Questo standard permetterà di connettere dispositivi che gestiscono masse di dati di grandi
dimensioni – soprattutto di tipo multimediale – a velocità tali da ridurre al minimo i tempi di
trasferimento delle informazioni.
L’introduzione della connessione wireless Wi-Fi Direct, che permette di interfacciare
dispositivi diversi in modalità Wi-Fi senza bisogno dell’intermediazione di un router. Una
piccola rivoluzione che permetterà di mettere in rete quasi ogni tipo di device digitale in
modo immediato e semplificato.
fonte: http://www.webmasterpoint.org/speciale/tecnologia-2010-i-fatti-principali-che-cosa-e-successo.html
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"Sai cosa si fa quando non se ne può più? Si
cambia."
— Alberto Moravia, Gli indifferenti (esistonostorie)
(Source: neverneverland, via raelmozo)
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"La vita ti mette continuamente di fronte a
grandi scelte: pandoro o pane e nutella? Figa
o culo? Berlusconi o… ? .. merda!"
—
spaceman70:
ma anche porcodio, eh?
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Post/teca
via: http://curiositasmundi.tumblr.com/
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progettomayhem:
Se nasci poeta non puoi morir brigante. Tutt’al più maledetto.
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"L’occasione fa l’uomo ladro… e la donna
puttana."
— (via imlmfm)
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"Tutto ciò che cresceva aveva bisogno di
tanto tempo per crescere; e tutto ciò che
finiva aveva bisogno di lungo tempo per
essere dimenticato."
—
Joseph Roth
(via hollywoodparty)
(via cutulisci)
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"Niente è statico. Tutto va a pezzi."
— Chuck Palahniuk - Fight Club (via bacinella)
(via lalumacahatrecorna)
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Post/teca
Orgasmi
spaam:
Il sesso della mattina è una masturbazione di coppia, in bilico tra onirico e
ciclette. Entrambi concentrati su se stessi, ci si aggrappa ad un orgasmo
rintanato giù giù giù nel nostro inconscio, quasi impaurito e che potrebbe
sparire da un momento all’altro. Mi aiuto con godimenti passati; il cucchiaio
di Totti nel derby del 5-1, il mio primo 30 all’Università, le tette di Moana
Pozzi. Lunghe scopate che portano a brevi orgasmi prima di un secondo
sonno.
Il sesso del pomeriggio. Oh sì, il sesso del pomeriggio è il sesso. Siamo giovani
esperti, con una mattina alle spalle, ma non ancora proni del peso della
giornata intera. Il futuro è nostro. Davanti a noi solamente colpi che scivolano
lenti e decisi. Lunghi orgasmi spezzano il ritmo tra un cambio di posizione e
l’altro.
La sera scivolo nell’oblio del sogno erotico, dove la poca luce non ti distrae
dall’ascolto dei suoi gemiti. Mi afferro a loro per farmi portare fuori dal tunnel
del mio stesso piacere.
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"Una grande città europea: uno studente
ventiduenne molto carino e piuttosto
effeminato conversa al tavolo di un bar con
due ragazze. Il gruppetto non si avvede di
essere diventato oggetto di attenzione da
parte di tre coetanei “machi”. Cominciano a
piovere insulti omofobi pesantissimi. Non
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Post/teca
reagiscono. I veri maschi si avvicinano
facendosi più minacciosi. Il ragazzo si alza,
seguito dalle amiche, e tenta di allontanarsi.
Viene inseguito e di nuovo insultato. Si
ferma, coraggiosamente cerca di reagire, e
qui i veri maschi lo aggrediscono fisicamente,
ferendolo al padiglione auricolare sinistro
con un frammento di vetro. Se il taglio fosse
stato inferto pochi centimetri più in basso,
all’arteria, avrebbe rischiato la vita.
La città: Roma; il quartiere: Trastevere. La
sera: il 28 dicembre scorso.
La stessa aggressione a Barcellona, Berlino o
Parigi comporterebbe l’aggravante della
motivazione omofoba. In Italia no. Perché il
Parlamento italiano – sobillato da coloro che
credono, o fingono di credere, nell’ordine del
creato – nel 2009 ha bocciato la proposta di
legge Concia."
— Credenze e aggressioni (via dottorcarlo)
(via coqbaroque)
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Post/teca
G8
spaceman70:
Trovo incredibile che l’Italia sia nel G8, che sia tra i primi Paesi
industrializzati del mondo.
Abito in periferia, a pochi km dalla Ferrari, ma cosa vedo intorno?
Capannoni, piccole industrie, il distretto ceramico mezzo in crisi, le fabbriche
di prosciutti e le fabbriche di quegli hamburger che mangiamo nei McDonald.
Un comparto metalmeccanico vecchio di decenni, strade, strade, strade
ovunque e ferrovia nessuna. Una società che si regge sul fossile. Combustibile,
ma fossile.
Tanti neri venuti in Italia per sopravvivere. Girano in bici. La sera senza fari,
con quei giubbetti rifrangenti omologati-per-scendere-dall’auto. E i
padroncini con auto grosse, inquinanti, straniere per lo più. I ricchi, quelli
tanto ricchi, non si fanno vedere. Qualcuno non abita neanche più qui, sta a
Milano o New York.
Un tessuto di tanti microscopici artigiani e bottegai amici tra di loro che
gravitano attorno a poche industrie dalla qualità scadente, ma dalla grande
quantità. Un’agricoltura in cui i contadini non sono padroni.
Ci si fa strada perché si è amici di amici. Anche se uno è onesto su ciò che vale
non gli si crede. Si diffida, si teme di spartire una fetta troppo piccola.
Qualche cittadino ha i pannelli solari, qualcun’altro il fotovoltaico. Altrimenti
regnano gli infissi di mia nonna. L’ecologia affidata alla coscienza e alle tasche
del singolo individuo.
Case nuove sfitte, case vecchie in rovina.
Ogni anno meno servizi e si cerca di evitare di dover fruire di pubblici
autobus, corriere, cure sanitarie, scuole perché diventa sempre tutto peggio.
In ritardo.
E’ un paesaggio di parassiti incoscienti. Beppe Grillo dice “scarafaggi”. Ci si fa
strada sul terreno, ci si riproduce, si mangia. All’Esselunga sempre il pienone.
Un paesaggio vecchio, nebbioso e fermo. Senza lungimiranza, senza senso
della cultura di cui sarebbe ricco, senza guida.
La nascita, il matrimonio e la morte consegnati monopolisticamente a dei
preti. Con cerimonie magiche. Dei, spiriti, reliquie, figli di dei, martiri, vergini
evocati per proteggere, raccomandare, richiamare sensi di colpa,
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Post/teca
tranquillizzare, vegliare, controllare.
Stupirsi nel trovare più “moderno” l’orto sotto casa della fabbrichetta che
produce cartone per imballaggi.
Nessun ideale, nessuna spinta, poche passioni frustrate.
Forse ho visto troppi film, sono un idealista, immagino le cose “grandi”,
magnifiche come Lorenzo il Magnifico, ma anche il suo regno era retto su
servi.
E’ come il catalogo Ikea e l’Ikea, come mangiare i biscotti nel Mulino Bianco e
mangiarli a casa propria, il 3D e guardare dalla finestra, Matrix e qui.
Vedo e non comprendo. Non riesco a fare il salto successivo. Non so
rispondere a “perché?” e a “come posso superare tutto ciò?”.
Come può essere che l’Italia sia nel G8? Di quali Lorenzo il Magnifico devo
inorgoglirmi di essere servo?
(da un blog privato)
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"comunque 2011 una sega.dove sono le
macchine volanti? dove sono i proiettori di
ologrammi al posto delle tv? dove sono le
macchine che si ribellano ai loro creatori e ci
costringono a una lotta senza pietà nè
speranza in trincee costruite usando resti di
suore? dov’è la nostra colonia su marte?
dov’è il calcio giocato dai robot coi cannoni al
posto delle braccia che la neo geo mi aveva
promesso? dove sono i campi di
concentramento in cui gli orribili mutanti ci
confinano? dove. sono. i. miei. orribili.
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Post/teca
mutanti?
undici, torna quando avrai fatto i tuoi
compiti, dai, da bravo. e non ti do del 1990
solo perché non ce la farei a sopportare di
nuovo zenga che esce a vuoto su caniggia."
—
servizio deragliamenti uppsala: uno si aspetta grandi cose, poi invece muore
(via batchiara)
(via vivenda)
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"- Mi sto sentendo con una del ‘92.
- E cosa vi dite?
- Boh, però metto un sacco di faccine per
sembrare giovane!"
— L. (via fabulousfabio)
--------------All'età di 64 anni è morto Pete Postlethwaite, interprete shakespeariano e volto noto
del cinema britannico. L'attore è deceduto domenica in un ospedale dello Shropshire.
Ad annunciare la notizia della morte è stato l'amico e giornalista Andrew Richardson.
Nonostante soffrisse da tempo di cancro, aveva continuato a lavorare anche nelle
ultime settimane. Lascia la moglie e due figli. L'esordio cinematografico di
Postlethwaite risale a "I duellanti" (1977) di Ridley Scott, ma la popolarità arriva negli
anni 90 quando interpreta "L'ultimo dei Mohicani" (1992) di Michael Mann e "Nel nome
del padre" (1993) di Jim Sheridan, per cui ottiene la nomination all'Oscar come miglior
attore non protagonista. Indimenticabile nel ruolo del direttore della banda dei
minatori in "Grazie, signora Thatcher" (1996) di Mark Herman, ha partecipato anche a
"I soliti sospetti" (1995) di Bryan Singer, "Dragonheart" (1996), "Amistad" (1997) e
"Jurassic Park" (1997) di Steven Spielberg che lo ha definito "il miglior attore del
mondo". Ha lavorato anche con Sofia Loren in "Cuori estranei" (2002) diretto dal figlio
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Post/teca
della diva, Edoardo Ponti, e presentato alla Mostra di Venezia. Nel 2004 è stato
insignito dell'Order of the British Empire. Di recente è apparso in "The Town",
"Inception" e "Scontro tra Titani"
di Rita Celi
Pubblicato da Trovacinema
fonte: http://trovacinema.repubblica.it/multimedia/copertina/addio-a-postlethwaite-quotmiglior-attorequotper-spielberg/27688590/1/1
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"Vivere con 100 cose"
È la tribù dei minimalisti
Il diktat arriva dagli Stati Uniti. Con un manuale e un messaggio:"Basta
schiavitù degli oggetti. I consumi dovranno essere ridimensionati, tanto vale
cominciare subito"
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI
NEW YORK - "Si comincia dagli armadi dei vestiti, del resto ne abbiamo sempre
tanti, troppi. Ridurre il proprio guardaroba è il primo gesto catartico, e ti dà forza per
proseguire col resto della casa. Buttare via tanto, ti vaccina contro la tentazione di
comprare ancora più di prima. Dopo qualche mese anche le tue abitudini di
consumatore cominceranno a cambiare". Sono i consigli pratici del manuale "La sfida
delle 100 cose", la Bibbia di un nuovo movimento. L'autore Dave Bruno di San
Diego, in California, è adorato dai suoi fan su Facebook e ha seguaci in tutti gli Stati
Uniti. Famiglie intere aderiscono a quella che si definisce una "nuova aritmetica della
vita", ovvero: "minima addizione, massima sottrazione".
Liberarsi di tutto il superfluo, e resistere alla tentazione di nuovi acquisti impulsivi,
dettati dai riflessi pavloviani che scatena in noi la pubblicità o l'emulazione del
vicino. Imparare a vivere con 100 cose, appunto, non una di più. "In realtà quel
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Post/teca
numero non va visto come un feticcio", spiega Bruno che è aperto a compromessi e
mediazioni, "ma aiuta a concentrarsi, a tenere d'occhio l'obiettivo finale". O i
molteplici obiettivi. Perché il movimento delle "cento cose" in America piace agli
ambientalisti, ovviamente, ma raccoglie anche consensi di colore molto diverso.
Ha una funzione economica: l'America vuole imparare a vivere entro i limiti del
proprio reddito, curandosi dalla tentazione di indebitarsi. Ha una dimensione
psicologica, la liberazione dallo stress, e non a caso sorge in parallelo la figura
professionale del "life-coach", colui o colei che ti allena alla vita, una sorta di
psicoterapeuta delle scelte quotidiane. Infine c'è una scelta educativa: bisogna
preparare figli e nipoti a vivere sereni con meno cose, visto che queste saranno le
prime generazioni occidentali costrette a ridimensionarsi rispetto ai genitori. E così
con tante motivazioni diverse, un esercito di famiglie americane si riconosce nella
nuova definizione di "personal downsizers".
Il "downsizing" era stato sinonimo delle feroci ristrutturazioni aziendali,
licenziamenti di massa per fare più profitti, e come risultato finale produceva
un'industria manifatturiera sempre più rimpicciolita. Ora il "downsizing" lo adotta
questa nuova tipologia di consumatore. Il Washington Post racconta una giornata in
casa della famiglia Swindlehurst, a Minneapolis, che inizia dal grande gesto di
catarsi: svuotare armadi, soffitte, ripostigli, cantine e garage. Sembra la riscoperta di
una tradizione antica, gli yard-sale, la vendita sul marciapiede di casa degli oggetti di
troppo, che le famiglie americane hanno sempre praticato per svuotarsi del superfluo
in occasione di matrimoni, traslochi, funerali.
Ma ora è diverso, il grande ripulisti non è la premessa per tornare all'assalto degli
ipermercati. Uno studio della compagnia assicurativa MetLife rivela che il 40% della
"generazione millennio" (americani nati fra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta) è
convinta di avere già tutto il necessario: erano solo il 28% nel 2008, agli albori della
grande crisi. La percentuale di quelli che si sentono sotto pressione per "comprare di
più" è scesa dal 66 al 47% durante la recessione. E non è un fatto esclusivamente
generazionale. Il 77% degli americani di ogni età si dice convinto che per migliorare
la qualità della vita oggi le relazioni con gli altri esseri umani sono più importanti del
benessere materiale.
Sean Gosiewski, direttore della Alliance for Sustainability, saluta questa evoluzione
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Post/teca
dei valori: "Ci aspettano vent'anni in cui dovremo tutti ridimensionare le nostre
aspettative di consumo e adottare abitudini di vita più semplici, tanto vale cominciare
subito e con lo spirito giusto". Per esempio usando i primi giorni di riposo del 2011
per riunire la famiglia e redigere la lista delle "cento cose di cui non possiamo
davvero fare a meno".
Un gioco divertente, assicurano i fan del movimento, e che ci aiuta a scoprire tanto di
noi stessi. Oltre a liberare spazio disponibile, metri quadri preziosi, occupati da
stratificazioni di oggetti inutili forse già al momento del primo acquisto.
(03 gennaio 2011)
fonte: http://www.repubblica.it/esteri/2011/01/03/news/vivere_con_cento_cose-10801248/?ref=HREC2-9
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SABATO 1 GENNAIO 2011
Almeno questo
Trovarsi a capodanno a tavola con un’epidemiologa tedesca che vive in Svezia e lavora per la
Comunità Europea, e si occupa di tutte le epidemie che esplodono sul suolo europeo, o quelle in
giro per il mondo su cui l’Europa interviene economicamente, logisticamente o scientificamente.
Chiederle se prima o poi moriremo tutti di ebola o di marburg. Sentirsi dire che no, di quelle
malattie non moriremo. Stanno in posti troppo piccoli e remoti. Ma soprattutto quelli che si
ammalano di ebola e marburg cominciano a sanguinare da tutte le mucose nel giro di un giorno e
mezzo, e nessuno ti mette su un aereo se sanguini da tutte le mucosa (segnatevelo, in caso).
Quindi, insomma, questo post è per quelli che hanno avuto un anno di merda. Non posso
assicurarvi che il 2011 sia meglio, però vi posso dire con una dose di affidabilità abbastanza elevata
che di febbre emorragica africana non si morirà. È già qualcosa, no?
Dice, però, la signora, che si muore al mondo soprattutto di diarrea. Che non è una malattia, dice
ancora, ma piuttosto un sintomo, un disturbo causato da batteri, virus, salcazzo, che porta alla
morte per disidratazione. Dice che devi essere povero sfasciato per morire di diarrea. Povero al
punto che non leggi Freddy Nietzsche. Sì sì, ce ne sono.
Buon anno a tutti, manica di pirla.
fonte: http://www.freddynietzsche.com/2011/01/01/almeno-questo/
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i post dell'una e passa di notte che nessuno legge e nessuno dovrebbe scrivere
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Post/teca
uds:
quando ero piccolo e giocavo in cortile mi piaceva un sacco guardare le formiche
(sono pigro da lustri, se posso un attimo vantarmi). quei cazzo di doppi puntini neri
con le zampe non si fermavano mai. stavano sempre in fila per uno, ordinate come
erano ordinate le camerette degli altri bambini secondo mia madre, tutto il santo
giorno ad andare, non so, dalla crepa del muro a alla crepa del muro b e viceversa,
oppure fino alla stretta aiuola dei vicini. tutta la loro vita in fila. tranquille. sicure.
ce ne fosse stata una che sgarrava.
secondo me è perché non hanno idea di cosa sia la felicità, lo hanno barattato col
poter sopportare trenta volte il loro peso. voi umani invece andate in fila per un po’,
poi vi fanno assaggiare la felicità per qualche secondo, senza stare a dirvi che no,
non è possibile diventi uno stato definitivo, e da quel momento in poi cominciate a
correre intorno completamente a caso finché non ne trovate un altro pezzetto. e poi
ancora. e ancora. però fate fatica a sopportare il peso di un muscolo grande come un
pugno che si rompe.
augurare la felicità è pericoloso, perché comporta tutto quel correre in giro
chiedendosi come mai non si riesca più a sentirsi così. e il terrore di perderla
quando la si trova. e il terrore di non assaporarla il giusto. e il terrore di non trovarla
più. e il terrore di
non ho idea se ne valga la pena, non chiedetemelo. sto guardando le formiche.
via: http://plettrude.tumblr.com/
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Forse è questo ciò che chiediamo l’uno all’altro: un posto dove poter smettere di fuggire.
(via cheppalleee)
via: http://nives.tumblr.com
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“Per il nuovo anno sto stilando una lista di
cattivi propositi.
E sono fermamente intenzionato a metterli in
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Post/teca
pratica tutti”.
via: http://ilnuovomondodigalatea.wordpress.com/2011/01/01/propositi-per-il-2011/ (via
myborderland)
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La letterina di Natale
di M. Mantellini - Una missiva scritta alla vigilia per provare a cambiare cose piccole. Piccole ma
significative. E chissà mai che il panciuto lappone non ci dia ascolto
Roma, 24 dicembre 2010
Caro Babbo Natale,
Ti scrivo questa lettera per la faccenda dei regali che non arrivano mai. Sono molti anni che ti spedisco le
stesse richieste ma - scusami se mi permetto - non mi pare che i miei piccoli desideri siano stati ancora
esauditi. Mi rendo conto che il momento è difficile, nevica molto e gli aeroporti chiudono, i soldi
scarseggiano ovunque, il prezzo del cibo per le renne lo immagino. Però mi hanno sempre detto che tu sei
superiore a queste umane questioni, così mi permetto di mandarti un breve riassunto.
1- Mi piacerebbe che molte più persone in Italia utilizzassero Internet. Non sono mai stato un tifoso della
tecnologia in sé, davanti ad un computer nuovo vengo colto dalla stessa eccitazione (quasi) che ho per il
crick della macchina. Tuttavia penso, da molto tempo, ostinatamente, che mentre il crick solleva solo
automobili (di poco, tra l'altro, quanto basta per sfilare la ruota e metterne un'altra) attraverso le reti di
computer noi abbiamo sollevato di molto la qualità delle nostre vite. O per lo meno, per me e per molte altre
persone che conosco è stato così. Non voglio annoiarti troppo: con Internet siamo collegati agli altri, meglio
informati, collaboriamo a grandi progetti senza nemmeno conoscere i nostri compagni di viaggio. La metà
degli abitanti di questo paese che non sa cosa sia la rete, non sa cosa si perde, mi piacerebbe tu riuscissi a
convincerli.
2- Essere cittadini informati tiene lontane le tentazioni. Avrai notato anche tu che nei paesi autoritari Internet
è spenta, controllata o pesantemente filtrata. La ragione di tutto questo è molto semplice e non c'è bisogno
che te la dica io. Navigare dentro le differenze ci aiuta a scoprire e comprendere gli altri. Internet è una
palestra di accettazione dell'altro. Anche se alcuni sostengono (secondo me sbagliano) che tutto questo
confrontarsi alla fine rafforzi solo le proprie personali inclinazioni. Se tu potessi non sarebbe male se per il
prossimo Natale riuscissi a raccontare ai politici di questo paese l'importanza di tutto questo. Giusto ieri
guardavo la diretta della seduta del Senato. Ho notato un certo numero di senatori alle prese con il touch
screen dei loro iPad. Puoi per cortesia bloccargli il sistema operativo fino a quando continueranno a
legiferare sui temi della Rete in maniera tanto demenziale?
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Post/teca
3- Sergio Maistrello qualche anno fa diceva che non gli piaceva troppo l'espressione "cittadini digitali". È
una frase molto usata, di quelle che solitamente usiamo per raccontare le avanguardie. Da un decennio
sentiamo parlare di musica digitale, di libro e commercio elettronico, i quotidiani ed i libri di carta
traboccano dell'aggettivo "virtuale". Anche la realtà si è fatta virtuale, tutto è rapidamente diventato virtuale,
dall'alpinista alla colonscopia. Ma in particolare, chi diavolo sarebbero i "cittadini digitali"?
Maistrello diceva che quando, in Rete come altrove, inizieremo a parlare semplicemente di "cittadini", al
posto di questi fantomatici "cittadini digitali", una parte importante del percorso sarà compiuta. Io sono
d'accordo con lui. Si tratta di aggettivi brutti, che tengono a rispettosa distanza l'innovazione piuttosto che
descriverla e favorirla. Così, come ultimo regalo di fine anno, caro Babbo, ti chiedo questo: puoi per cortesia
passare rapidamente sopra la biblioteca di Babele e allontanare definitivamente la parola "digitale" dalla
parola "cittadini"?
Un caro saluto,
il sempre tuo Massimo
Manteblog
fonte: http://punto-informatico.it/3062099/PI/Commenti/contrappunti-letterina-natale.aspx
----------20110104
LUCIA ANNUNZIATA
Chi ha ragione delle due sinistre che
guardano alla Fiat? Hanno ragione gli
uomini del Pd, cioè i suoi principali
leader, che si sono schierati per
l’accordo con Marchionne - sia pur con
una serie di distinguo - o i dirigenti
della Fiom che lo hanno respinto senza
se e senza ma?
Il lodo Marchionne, che come tale si è
ormai configurato, comunque lo si
guardi, è, innanzitutto, per il
centrosinistra forse la prima decisione
che deve affrontare senza poterla
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Post/teca
circumnavigare.
Senza il soccorso di un «ma anche»; è
il primo luogo mentale cui non si può
sottrarre. In questo senso, la cosa più
ovvia da dire oggi, alla vigilia del
referendum Mirafiori che si terrà fra
un paio di settimane, è che
l’appuntamento è per la sinistra una
presa d’atto, ovvia, pubblica,
definitiva, di una sconfitta. Il piano
Fiat ne tocca in effetti la cassaforte di
famiglia, il suo core business, lo
zoccolo duro dei suoi elettori, e la idea
stessa di mondo che ci ha proposto
nell’ultimo mezzo secolo. In
particolare per la sinistra italiana,
lavoro e diritti sono sempre stati
presentati come armoniosamente (e
utilmente) compatibili, una realtà
inscindibile. In questo senso, quando
la Fiat chiede nuovi termini di
organizzazione, qualunque essi siano,
e qualunque ne sia la ragione, le nuove
condizioni costituiscono
obiettivamente per questa area politica
la conclusione di un intero ciclo
storico. Qualunque parte le varie
anime della sinistra sceglieranno di
giocare in questa trattativa, quella di
chi lavora con Marchionne o quella di
chi lo rifiuta, qualcosa è già perso,
comunque - da Mirafiori non uscirà
nessun vincitore.
Sono condizioni nuove di cui si
discuterà con accanimento per molto
tempo. Ma intanto c’è molto da
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Post/teca
ragionare sul fatto che, dopo sedici
anni di Silvio Berlusconi, identificato
da molti addirittura come costruttore
di un «regime», la sinistra sia stata
messa con le spalle al muro non dal
Premier ma da un manager di una
antica azienda. Manager e Azienda
entrambi - è utile qui ripeterlo considerati dei seri interlocutori da
parte di questa stessa sinistra. Un vero
e proprio paradosso, una sorta di
poetica vendetta della storia. Come è
stato possibile? Avanzo qui solo alcune
delle moltissime, possibili, spiegazioni.
La prima è che Silvio Berlusconi, a
dispetto di tutti i suoi modi forti, le sue
leggi ad personam, i suoi assalti alla
Costituzione, si riveli alla fine un
avversario meno efficace di quel che si
teme. Il viceversa di questa possibilità
è che la sinistra abbia trascorso più di
un decennio a capire chi era
Berlusconi, e a dividersi su come
combatterlo, perdendo di vista la
società che, intorno, galoppava in
tutt’altre direzioni. L’elemento della
vicenda Fiat che più colpisce, alla fine,
forse è proprio questo: quanto
impreparata sia arrivata la classe
politica del centrosinistra
all'appuntamento con Marchionne. Le
domande che si sta facendo ora nella
spirale finale delle decisioni, in realtà
avrebbero dovuto essere se non
anticipate, sicuramente affrontate
prima. Il Pd - e non solo, dal momento
che questa è una storia che fa cambiare
25
Post/teca
il volto alla industrializzazione
dell’Italia - avrebbe dovuto sapere,
anticipare, dirigere, insomma.
E non è che Marchionne abbia messo
tutti dinanzi a un fatto compiuto: della
Fiat si sa tutto, la vicenda si è
sviluppata in perfetta trasparenza da
almeno un paio di anni, e dall’estate
scorsa, cioè dal referendum per
Pomigliano, la conflittualità fra Fiom e
manager Fiat è passata al calor bianco.
Ma lo scontro è rimasto per mesi nel
ghetto delle «relazioni industriali»,
come si dice in gergo per indicare che è
rimasta tutta una questione di
fabbriche e di sindacati. La storia che
in questi giorni arriva alla conclusione
è maturata - è necessario ricordarlo confusa in mezzo alle varie agende
della politica. Il governo per mesi è
stato a guardare perché non aveva per divisioni interne - il ministro dello
Sviluppo economico, il Pd si è perso
nella lotta interna fra le sue varie
anime (veltroniane, dalemiane,
popolari, centriste, cattoliche di
ordinanza o meno) dopo la nomina di
Bersani, mentre i centristi seguivano
affascinati la «rupture» fra Fini e
Berlusconi. Se un giorno qualche
ragazzo in vena di fare i conti con
questo Paese farà una ricerca per la
sua tesi di laurea sul giornalismo
nell’anno 2010 troverà (possiamo
anticiparlo) molto più spazio dedicato
alle escort di Silvio, alle case di
Montecarlo, e allo scontro fra Palazzo
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Post/teca
Chigi e Magistratura. Un ordine di
interessi perfettamente riscontrabile
anche sui fogli di informazione di
sinistra.
Di operai si è parlato poco, negli ultimi
anni. Solo lo stretto necessario. Con
una fondamentale incredulità della
trasformazione in corso nel mondo.
L’agenda politica intorno a cui la
sinistra si è avviluppata nel 2010, a
guardarsi indietro, ci appare oggi come
estremamente laterale, se non
addirittura irrilevante. Questa è la vera
responsabilità dell’area democratica:
essersi fatta bloccare da Berlusconi
come un cervo abbagliato dai fari di
una macchina, mentre il resto del
Paese e del mondo continuavano a
correre.
Oggi che l’operazione Marchionne si
scopre decisiva, la sinistra vi arriva
così troppo tardi per avere soluzioni
diverse, o anche solo per avviare una
discussione. Ma può sempre fare
peggio: può ad esempio, di fronte alla
difficoltà, cedere alla tentazione di
lacerarsi - come sa fare benissimo, e
come effettivamente già sembra
incline, anche questa volta, a fare.
fonte: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?
ID_blog=25&ID_articolo=8254&ID_sezione=&sezione=
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Post/teca
La Confindustria va in crisi e le Coop
fanno l'alleanza
di roberto mania
La crisi della rappresentanza non è uguale per tutti. Anzi. Picchia duro nell'industria, nei
suoi sindacati e nella centenaria Confindustria. Con il caso Fiat-Chrysler la globalizzazione
è entrata per la prima volta, e con prepotenza, anche nelle relazioni industriali. Così non è
più detto che la strada dei rapporti sociali sia prevalentemente nazionale. Nell'incertezza c'è
chi corre ai ripari, rafforzandosi, mettendo un po' di fieno in cascina, superando le vecchie
barriere ideologiche, gli antichi legami culturali e gli apparentamenti partitici del secolo
passato. I grandi raggruppamenti delle cooperative italiane hanno deciso di cominciare a
mettersi insieme. Si chiamerà l'"Alleanza delle cooperative" oppure la "Federazione delle
cooperative". Il nome uscirà prima del 26 o 27 gennaio quando a Roma verrà pubblicamente
celebrato il patto tra Lega Coop (le cooperative rosse), la Confcooperative (le bianche) e
l'Agci (le laiche).
Alleanza molto graduale, ma che in ogni caso chiude con la stagione delle divisioni
politiche e anche con quella, più recente, dello scontro tra "coop bianche" e "coop rosse"
provocato dal tentativo di Unipol (Lega) di lanciare un'opa sulla "Banca nazionale del
lavoro". Si volta pagina e la nascente Alleanza riguarderà il centro e non le aree regionali,
non intaccherà i rispettivi organigrammi né i patrimoni di ciascuno. Si comincerà con una
sorta di portavoce unico (come hanno già fatto con "Rete Imprese Italia" i commercianti e
gli artigiani) in particolare nel rapporto con il governo nazionale e gli organismi comunitari
di Bruxelles. La lobby delle cooperative punta a fare massa critica, a far pesare insieme le
sue 43 mila imprese (dall'agro-alimentare alla grande distribuzione, dalle banche alle
costruzioni fino alle cooperative dei servizi alla persona) con 1,1 milioni di lavoratori e un
fatturato superiore a 125 miliardi di euro l'anno.
(31 dicembre 2010)
fonte: http://www.repubblica.it/rubriche/lobby/2010/12/31/news/confindustria_coop-10743066/
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Per uscire da una vite occorre
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Post/teca
necessariamente:
1. Dare piede contrario alla rotazione
2. Barra in avanti
3. Centralizzazione dei comandi cessata la
rotazione
4. Richiamata e ripresa del volo normale
In genere dopo mezzo giro l’aereo torna in
assetto normale. Alcuni velivoli antichi, o
velivoli molto grandi, o caricati troppo o con
baricentro arretrato, o comunque
particolarmente dediti a cadere in vite però
potrebbero proseguire anche due giri. Il
pilota deve mantenere fiducioso il piede
contrario alla rotazione nonostante la
situazione sgradevole fisicamente e
spaventosa, e sperare che la vite finisca
prima di toccare terra.
Situazione sgradevole fisicamente e
spaventosa. Stiamo vivendo gli ultimi 15 anni
come una vite.
"
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Post/teca
— 3nding e la vite (via 3nding)
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"La guerra di religione: “in pratica vi state
uccidendo per decidere chi abbia l’amico
immaginario migliore”."
—
- Richard Jeni
(via imlmfm)
-----------------IL CASO BATTISTI: TUTTI I DUBBI SUI PROCESSI E LE CONDANNE; ESPOSTI PUNTO PER
PUNTO
PERCHÉ IL BRASILE HA ACCOLTO IL "MOSTRO"
di Carmilla
Questa nuova versione delle nostre FAQ sul caso Battisti, già lette da centinaia
di migliaia di utenti e tradotte in molte lingue, cadono in un momento di isteria
collettiva mai visto in Italia dai tempi di Piazza Fontana e della
colpevolizzazione di Pietro Valpreda. Battisti si trova da quasi due anni, mentre
scriviamo, in un carcere brasiliano. Ha ottenuto asilo politico in Brasile,
concesso dal ministro della giustizia Tarso Genro e ripetutamente avvallato dal
presidente Lula. La stampa italiana, a fronte di un’opinione pubblica
sostanzialmente indifferente, si è scatenata con toni da linciaggio. Battisti è
tornato a essere il mostro, l’assassino per vocazione, il serial killer. Il Brasile è
stato dipinto (per esempio da Francesco Merlo, su La Repubblica del 15
gennaio) come una democrazia da operetta, abitato da una popolazione quasi
scimmiesca. Persino il presidente Napolitano, che non brilla per attivismo, si è
mobilitato a sostegno della richiesta di estradizione del criminale del secolo.
Seguito ovviamente dal PD di Walter Veltroni, in perfetta armonia con le
componenti più reazionarie del governo e delle presunte “opposizioni”.
Va notato che tanto furore non era mai stato esercitato nei confronti, per
esempio, di Delfo Zorzi, quando era sospettato di essere coautore della strage
di Piazza Fontana e riparato in Giappone. Per non dire dei membri delle Forze
dell’ordine uccisori, dagli anni Settanta a Genova 2001, di oltre un centinaio di
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Post/teca
militanti di sinistra, tutti quanti assolti da giudici compiacenti e da politici
complici. O degli autori del massacro del Circeo, uno dei quali poté espatriare
con il passaporto italiano in tasca.
Urgeva aggiornare le nostre FAQ, anche alla luce di un’indiretta replica del
sostituto procuratore di Milano Armando Spataro, apparsa su Il Corriere della
Sera del 23 gennaio 2009, nella rubrica delle lettere. Nonché di un articolo in
cui era intervistato il pentito Pietro Mutti, massimo accusatore di Battisti
(“specialista in giochi di prestigio” nell’attribuire ad altri le proprie
responsabilità, lo definisce una sentenza citata più sotto; ma ne vedrete delle
belle), pubblicato da Panorama del 25 gennaio 2009.
Confidiamo che una lettura pacata di quanto segue faccia sorgere, in chi è in
buona fede, molti dubbi sull’effettiva colpevolezza di Battisti.
Comunque, a noi non preme dimostrare che Battisti sia innocente. Ci interessa,
piuttosto, denunciare le distorsioni che la cosiddetta “emergenza” provocò,
negli anni Settanta, nelle procedure processuali italiane, fondate, come ai
tempi dell’Inquisizione, su “pentimenti” veri o fasulli (1).
Perché Cesare Battisti fu arrestato, nel 1979?
Fu arrestato nell’ambito delle retate che colpirono il Collettivo Autonomo della
Barona (un quartiere di Milano), dopo che, il 16 febbraio 1979, venne ucciso il
gioielliere Luigi Pietro Torregiani.
Perché il gioielliere Torregiani fu assassinato?
Perché, il 22 gennaio 1979, assieme a un conoscente anche lui armato, aveva
ucciso Orazio Daidone: uno dei due rapinatori che avevano preso d’assalto il
ristorante Il Transatlantico in cui cenava in folta compagnia. Un cliente,
Vincenzo Consoli, morì nella sparatoria, un altro rimase ferito. Chi uccise
Torregiani intendeva colpire quanti, in quel periodo, tendevano a “farsi giustizia
da soli”.
Cesare Battisti partecipò all’assalto al Transatlantico?
No. Nessuno ha mai asserito questo. Si trattò di un episodio di delinquenza
comune.
Cesare Battisti partecipò all’uccisione di Torregiani?
No. Anche questa circostanza – affermata in un primo tempo – venne poi
totalmente esclusa. Altrimenti sarebbe stato impossibile coinvolgerlo, come poi
avvenne, nell’uccisione del macellaio Lino Sabbadin, avvenuta in provincia di
Udine lo stesso 16 febbraio 1979, quasi alla stessa ora.
Eppure è stato fatto capire che Cesare Battisti abbia ferito uno dei figli
adottivi di Torregiani, Alberto, rimasto poi paraplegico.
E’ assodato che Alberto Torregiani fu ferito per errore dal padre, nello scontro a
fuoco con gli attentatori.
I media insistono nell'indicare Cesare Battisti come l'uccisore di
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Post/teca
Torregiani, spesso addirittura dicono che è stato lui a ferire Alberto e a
ridurlo in sedia a rotelle. Alberto non rettifica mai, nemmeno per
amore di precisione. Non rettifica mai nemmeno Spataro. Perché?
Ciò è inspiegabile. Gli assassini reali (Sebastiano Masala, Sante Fatone,
Gabriele Grimaldi e Giuseppe Memeo) furono catturati poco tempo dopo
l’agguato, e hanno scontato condanne più o meno lunghe.
Il procuratore Armando Spataro, ne Il Corriere della Sera del 23
gennaio 2008, dice che Battisti “giustiziò” Luigi Pietro Torregiani, reo
di avere reagito con le armi a una rapina che aveva subito.
Anche questo è inspiegabile. La dinamica dei fatti è molto diversa, Spataro
stesso la spiegò altre volte: Torregiani e un collega fecero fuoco, con revolver
di grosso calibro, su chi stava rapinando la cassa del ristorante Transatlantico
in cui cenavano con amici.
Perché dunque Cesare Battisti viene collegato all’omicidio Torregiani?
Anzitutto perché, per sua stessa ammissione, faceva parte del gruppo che
rivendicò l’attentato, i Proletari Armati per il Comunismo. Lo stesso gruppo che
rivendicò l’attentato Sabbadin.
Cos’erano i Proletari Armati per il Comunismo (PAC)?
Uno dei molti gruppi armati scaturiti, verso la fine degli anni ’70, dal
movimento detto dell’Autonomia Operaia, e dediti a quella che chiamavano
“illegalità diffusa”: dagli “espropri” (banche, supermercati) alle rappresaglie
contro le aziende che organizzavano lavoro nero, fino, più raramente, a
ferimenti e omicidi.
I PAC somigliavano alle Brigate Rosse?
No. Come tutti i gruppi autonomi non puntavano né alla costruzione di un
nuovo partito comunista, né a un rovesciamento immediato del potere.
Cercavano piuttosto di assumere il controllo del territorio, spostandovi i
rapporti di forza a favore delle classi subalterne, e in particolare delle loro
componenti giovanili. Questo progetto, comunque lo si giudichi (certamente
non ha funzionato), non collimava con quello delle BR.
Il procuratore Spataro ha detto che gli aderenti ai PAC non superavano
la trentina.
Gli indagati per appartenenza ai PAC furono almeno 60. La componente
maggiore era rappresentata da giovani operai. Seguivano disoccupati e
insegnanti. Gli studenti erano tre soltanto. La sigla PAC fu comunque usata da
altri raggruppamenti.
Trenta o sessanta fa poca differenza.
Ne fa, invece. Cambiano le probabilità di partecipazione alle scelte generali
dell’organizzazione, e anche alle azioni da questa progettate. Teniamo presente
che, se le rapine attribuite ai PAC sono decine, gli omicidi sono quattro. La
32
Post/teca
partecipazione diretta a uno di questi diviene molto meno probabile, se si
raddoppia il numero degli effettivi.
Cesare Battisti era il capo dei PAC, o uno dei capi?
No. Questa è una pura invenzione giornalistica. Né gli atti del processo, né altri
elementi inducono a considerarlo uno dei capi. Del resto, non aveva un passato
tale – come ex ladruncolo e teppista di periferia, privo di formazione ideologica
- da permettergli di ricoprire un ruolo del genere. Era un militante tra i tanti.
In sede processuale Battisti fu però giudicato tra gli “organizzatori”
dell’omicidio Torregiani.
In via deduttiva. Secondo il dissociato Arrigo Cavallina, avrebbe partecipato a
riunioni in cui si era discusso del possibile attentato, senza esprimere parere
contrario. Solo con l’entrata in scena del pentito Mutti – dopo che Battisti,
condannato a dodici anni e mezzo, era evaso dal carcere e fuggito in Messico –
l’accusa si precisò, ma ancora una volta per via deduttiva. Poiché Battisti era
accusato da Mutti di avere svolto ruoli di copertura nell’omicidio Sabbadin, e
poiché gli attentati Torregiani e Sabbadin erano chiaramente ispirati a una
stessa strategia (colpire i negozianti che uccidevano i rapinatori), ecco che
Battisti doveva essere per forza di cose tra gli “organizzatori” dell’agguato a
Torregiani, pur senza avervi partecipato di persona.
Eppure, di tutti i crimini attribuiti a Battisti, quello cui si dà più rilievo
è proprio il caso Torregiani.
Forse si prestava più degli altri a un uso “spettacolare” (si veda l’impiego
ricorrente nei media di Alberto Torregiani, non sempre pronto, per motivi
anche comprensibili, a rivelare chi lo ferì). O forse – visto chi ci governa e le
proposte formulate qualche anno fa dal ministro Castelli, in tema di autodifesa
da parte dei negozianti – era l’episodio meglio capace di fare vibrare certe
corde nell’elettorato di riferimento.
Comunque, chi difende Battisti ha spesso giocato la carta della
“simultaneità” tra il delitto Torregiani e quello Sabbadin, mentre
Battisti è stato accusato di avere “organizzato” il primo ed “eseguito”
il secondo.
Ciò si deve all’ambiguità stessa della prima richiesta di estradizione di Battisti
(1991), alle informazioni contraddittorie fornite dai giornali (numero e qualità
dei delitti variano da testata a testata), al silenzio di chi sapeva. Non
dimentichiamo che Armando Spataro ha fornito dettagli sul caso – per meglio
dire, un certo numero di dettagli – solo dopo che la campagna a favore di
Cesare Battisti ha iniziato a contestare il modo in cui furono condotti istruttoria
e processo. Non dimentichiamo nemmeno che il governo italiano ha ritenuto di
sottoporre ai magistrati francesi, alla vigilia della seduta che doveva decidere
della nuova domanda di estradizione di Cesare Battisti, 800 pagine di
33
Post/teca
documenti. E’ facile arguire che giudicava lacunosa la documentazione prodotta
fino a quel momento. A maggior ragione, essa presentava lacune per chi
intendeva impedire che Battisti fosse estradato.
La simultaneità fra il delitto Sabbadin e quello Torregiani dimostra
un’unica ideazione.
Ma andrebbe provato che Battisti partecipò effettivamente all’uccisione di
Sabbadin. Inizialmente, il pentito Mutti incolpò Battisti di avere sparato al
macellaio. Purtroppo per lui, il militante dei PAC Diego Giacomin si dissociò e
rivelò di essere stato lui stesso a uccidere il negoziante. Non fece altri nomi.
Una complice, non menzionata da Mutti, fu condannata all'ergastolo. Vive oggi
in Francia
Comunque, quello a Cesare Battisti e agli altri accusati del delitto
Torregiani fu un processo regolare.
No, non lo fu, e dimostrarlo è piuttosto semplice.
Perché il processo Torregiani, poi allargato all’intera vicenda dei PAC,
non fu regolare?
Precisiamo: non fu regolare se non nel quadro delle distorsioni della legalità
introdotte dalla cosiddetta “emergenza”. Sotto il profilo del diritto generale, il
processo fu viziato da almeno tre elementi: il ricorso alla tortura per estorcere
confessioni in fase istruttoria (2), l’uso di testimoni minorenni o con turbe
mentali, la moltiplicazione dei capi d’accusa in base alle dichiarazioni di un
pentito di incerta attendibilità. Più altri elementi minori.
I magistrati torturarono gli arrestati?
No. Fu la polizia a torturarli. Vi furono ben tredici denunce: otto provenienti da
imputati, cinque da loro parenti. Non un fatto inedito, ma certo fino a quel
momento insolito, in un’istruttoria di quel tipo. I magistrati si limitarono a
ricevere le denunce, per poi archiviarle.
Forse le archiviarono perché non si era trattato di vere torture, ma di
semplici pressioni un po’ forti sugli imputati.
Uno dei casi denunciati più di frequente fu quello dell’obbligo di ingurgitare
acqua versata nella gola dell’interrogato, a tutta pressione, tramite un tubo,
mentre un agente lo colpiva a ginocchiate nello stomaco. Tutti denunciarono
poi di essere stati fatti spogliare, avvolti in coperte perché non rimanessero
segni e poi percossi a pugni o con bastoni. Talora legati a un tavolo o a una
panca.
Se i magistrati non diedero seguito alle denunce, forse fu perché non
c’erano prove che tutto ciò fosse realmente accaduto.
Infatti il sostituto procuratore Alfonso Marra, incaricato di riferire al giudice
istruttore Maurizio Grigo, dopo avere derubricato i reati commessi dagli agenti
della Digos da “lesioni” a “percosse” per assenza di segni permanenti sul corpo
34
Post/teca
(in Italia non esisteva il reato di tortura, e non esiste nemmeno ora),
concludeva che la stessa imputazione di percosse non poteva avere seguito,
visto che gli agenti, unici testimoni, non confermavano. Dal canto proprio il PM
Corrado Carnevali, titolare del processo Torregiani, insinuò che le denunce di
torture fossero un sistema adottato dagli accusati per delegittimare l’intera
inchiesta.
Nulla ci dice che il PM Carnevali avesse torto.
Almeno un episodio non collima con la sua tesi. Il 25 febbraio 1979 l’imputato
Sisinio Bitti denunciò al sostituto procuratore Armando Spataro le torture
subite e ritrattò le confessioni rese durante l’interrogatorio. Tra l’altro, raccontò
che un poliziotto, nel percuoterlo con un bastone, lo aveva incitato a
denunciare un certo Angelo; al che lui aveva denunciato l’unico Angelo che
conosceva, tale Angelo Franco. La ritrattazione di Bitti non fu creduta, e Angelo
Franco, un operaio, fu arrestato quale partecipante all’attentato Torregiani.
Solo che pochi giorni dopo lo si dovette rilasciare: non poteva in alcun modo
avere preso parte all’agguato. Dunque la ritrattazione di Bitti era sincera, e
dunque, con ogni probabilità, anche le violenze con cui la falsa confessione gli
era stata estorta. Sisinio Bitti riportò lesioni permanenti ai timpani. Se le era
procurate da solo?
Ammesso il ricorso alle sevizie in fase istruttoria, ciò non assolve
Cesare Battisti.
No, però dà l’idea del tipo di processo in cui fu implicato. Definirlo “regolare” è
a dir poco discutibile. Tra i testi a carico di alcuni imputati figurarono anche una
ragazzina di quindici anni, Rita Vitrani, indotta a deporre contro lo zio; finché le
contraddizioni e le ingenuità in cui incorse non fecero capire che era psicolabile
(“ai limiti dell’imbecillità”, dichiararono i periti) (3). Figurò anche un altro teste,
Walter Andreatta, che presto cadde in stato confusionale e fu definito
“squilibrato” e vittima di crisi depressive gravi dagli stessi periti del tribunale.
Pur ammettendo il quadro precario dell’inchiesta, c’è da considerare
che Cesare Battisti rinunciò a difendersi. Quasi un’ammissione di
colpevolezza, anche se, prima di tacere, si proclamò innocente.
Può sembrare così oggi, ma non allora. Anzi, è vero il contrario. A quel tempo, i
militanti dei gruppi armati catturati si proclamavano prigionieri politici, e
rinunciavano alla difesa perché non riconoscevano la “giustizia borghese”.
Battisti vi rinunciò perché disse di dubitare dell’equità del processo.
Tralasciate violenze e testimonianze poco attendibili in fase istruttoria,
il processo fu però condotto a conclusione con equità.
Non proprio. Accusati minori furono colpiti con pene spropositate. Il già citato
Bitti, riconosciuto innocente di ogni delitto, fu ugualmente condannato a tre
anni e mezzo di prigione per essere stato udito approvare, in luogo pubblico,
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Post/teca
l’attentato a Torregiani. Era scattato il cosiddetto “concorso morale” in
omicidio, direttamente ispirato alle procedure dell’Inquisizione. Il già citato
Angelo Franco, pochi giorni dopo il rilascio, fu arrestato nuovamente, questa
volta per associazione sovversiva, e condannato a cinque anni. Ciò in assenza
di altri reati, solo perché era un frequentatore del collettivo autonomo della
Barona.
Secondo Luciano Violante, una certa “durezza” era indispensabile a
spegnere il terrorismo. E Armando Spataro sostiene che, a questo fine,
l’aggravante delle “finalità terroristiche”, che raddoppiava le pene, si
rivelò un’arma decisiva.
Spezzò anche le vite di molti giovani, arrestati con imputazioni destinate ad
aggravarsi in maniera esponenziale nel corso della detenzione, pur in assenza
di fatti di sangue.
Ciò non vale per Cesare Battisti, condannato all’ergastolo per avere
partecipato a due omicidi ed eseguito altri due.
Di Torregiani e Sabbadin si è detto. Veniamo a Santoro e Campagna. Mutti
accusa Battisti di essere l’omicida di Santoro, ma poi le prove lo costringono ad
ammettere di essere stato lui, l’assassino. L’uccisione dell’agente Campagna
avviene dopo che i PAC sono stati sciolti, e un gruppetto di quartiere ne
perpetua le gesta. L’assassino si chiama Giuseppe Memeo, reo confesso. Ha
sparato con la stessa pistola che aveva ucciso Torregiani. Mutti ne parla per
sentito dire. Memeo aveva un complice biondo, altro 1,90. Battisti? Ne
parleremo tra poco.
Al termine del processo di primo grado Battisti, arrestato in origine per
imputazioni minori (possesso di armi, che peraltro risultarono non avere mai
sparato), si trovò condannato a dodici anni e mezzo di prigione. Le condanne
all’ergastolo giunsero cinque anni dopo la sua evasione dal carcere. Ma qui è
tempo di parlare dei “pentiti” e, soprattutto, del principale pentito che lo
accusò. Per poi entrare nel merito degli altri tre delitti.
Vediamo di capire che cos’è un “pentito”.
Se ci riferiamo ai gruppi di estrema sinistra, vengono così chiamati quei
detenuti per reati connessi ad associazioni armate che, in cambio di consistenti
sconti di pena, rinnegano la loro esperienza e accettano di denunciare i
compagni, contribuendo al loro arresto e allo smantellamento
dell’organizzazione. Di fatto una figura del genere esisteva già alla fine degli
anni ’70, ma entra stabilmente nell’ordinamento giuridico prima con la “legge
Cossiga” 6.2.1980 n. 15, poi con la “legge sui pentiti” 29.5.1982 n. 304.
Manifesta i pericoli insiti nel suo meccanismo sia prima che dopo questa data.
Quali sarebbero i “pericoli”?
La logica della norma faceva sì che il “pentito” potesse contare su riduzioni di
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Post/teca
pena tanto più elevate quante più persone denunciava; per cui, esaurita la
riserva delle informazioni in suo possesso, era spinto ad attingere alle
presunzioni e alle voci raccolte qui e là. Per di più, la retroattività della legge
incitava a delazioni indiscriminate anche a distanza di molti anni dai fatti,
quando ormai erano impossibili riscontri materiali.
Esistono esempi di questi effetti perversi?
Il caso più clamoroso fu quello di Carlo Fioroni, che, minacciato di ergastolo per
il sequestro a fini di riscatto di un amico, deceduto nel corso del rapimento,
accusò di complicità Toni Negri, Oreste Scalzone e altre personalità
dell’organizzazione Potere Operaio, sgravandosi della condanna. Ma anche altri
pentiti, quali Marco Barbone (oggi collaboratore di quotidiani di destra),
Antonio Savasta, Pietro Mutti, Michele Viscardi ecc. seguitarono per anni a
spremere la memoria e a distillare nomi. Ogni denuncia era seguita da arresti,
tanto che la detenzione diventò arma di pressione per ottenere ulteriori
pentimenti. Purtroppo ciò destò scandalo solo in un secondo tempo, quando la
logica del pentitismo, applicata al campo della criminalità comune, provocò il
caso Tortora e altri meno noti.
Pietro Mutti fu l’accusatore principale di Cesare Battisti. Chi era?
Fu, per sua stessa confessione, il fondatore dei PAC. Figurò tra gli imputati del
processo Torregiani, sebbene latitante, e l’accusa chiese per lui otto anni di
prigione. Fu catturato nel 1982 (dopo che Battisti era già evaso), a seguito
della fuga dal carcere di Rovigo, il 4 gennaio di quell’anno, di alcuni militanti di
Prima Linea. Mutti fu tra gli organizzatori dell’evasione. Era stato compagno di
cella di Battisti, quando questi era in carcere per reati comuni, e autore della
sua politicizzazione (un ruolo curiosamente poi rivendicato dal dissociato Arrigo
Cavallina).
Di quali delitti Mutti, una volta pentito, accusò Battisti?
Tralasciando reati minori, per tre omicidi. Battisti (con una complice e con lo
stesso Mutti, che sulle prime cercò di negare la sua presenza) avrebbe
direttamente assassinato, il 6 giugno 1978, il maresciallo degli agenti di
custodia del carcere di Udine Antonio Santoro, che i PAC accusavano di
maltrattamenti ai detenuti. Avrebbe direttamente assassinato a Milano, il 19
aprile 1979, l’agente della Digos Andrea Campagna, che aveva partecipato ai
primi arresti legati al caso Torregiani. Tra i due delitti avrebbe preso parte,
senza sparare direttamente ma comunque con ruoli di copertura, al già citato
omicidio del macellaio Lino Sabbadin di Santa Maria di Sala. Di tutto ciò si è già
discusso.
L’omicidio Sabbadin è tra quelli di cui più si è parlato. In un’intervista
al gruppo di estrema destra francese Bloc Identitaire, il figlio di Lino
Sabbadin, Adriano, ha dichiarato che gli assassini del padre sarebbero
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Post/teca
stati i complici del rapinatore da questi ucciso.
O la sua risposta è stata male interpretata, o ha dichiarato cosa che non risulta
da alcun atto. Meglio tralasciare le dichiarazioni dei congiunti delle vittime, la
cui funzione, nel corso degli ultimi quattro anni, è stata essenzialmente
spettacolare.
Cesare Battisti è colpevole o innocente dei tre omicidi di cui lo accusò
Mutti?
Lui si dice innocente, anche se si fa carico della scelta sbagliata in direzione
della violenza che, in quegli anni, coinvolse lui e tanti altri giovani. Qui però
non è questione di stabilire l’innocenza o meno di Battisti. E’ invece questione
di vedere se la sua colpevolezza fu mai veramente provata, nonché di
verificare, a tal fine, se l’iter processuale che condusse alla sua condanna
possa essere giudicato corretto. In caso contrario, non si spiegherebbe
l’accanimento con cui il governo italiano, con il sostegno anche di nomi illustri
dell’opposizione, ha cercato di farsi riconsegnare Battisti prima dalla Francia e
oggi dal Brasile.
A parte le denunce di Mutti, emersero altre prove a carico di Battisti,
per i delitti Santoro, Sabbadin (sia pure in ruolo di copertura) e
Campagna?
No. Quando oggi i magistrati parlano di “prove”, si riferiscono all’incrocio da
loro effettuato tra le dichiarazioni di vari pentiti (Mutti e altri minori) e gli indizi
indirettamente forniti dai “dissociati”, tipo Cavallina.
Armando Spataro continua ad asserire che prove e riscontri vi
sarebbero.
Continua a dirlo, ma non specifica mai quali.
Cosa si intende per “dissociato”?
Chi prenda le distanze dall’organizzazione armata cui apparteneva e confessi
reati e circostanze che lo riguardino, senza però accusare altri. Ciò comporta
uno sconto di pena, anche se ovviamente inferiore a quello di un pentito.
In che senso un dissociato può fornire indirettamente indizi?
Per esempio se afferma di non avere partecipato a una riunione perché
contrario a una certa azione che lì veniva progettata, pur senza dire chi c’era.
Se nel frattempo un pentito ha detto che X partecipò a quella riunione, ecco
che X figura automaticamente tra gli organizzatori.
Cosa c’è che non va, in questa logica?
C’è che sia la denuncia diretta del pentito, che l’indizio fornito dal dissociato,
provengono da soggetti allettati dalla promessa di un alleggerimento della
propria detenzione. La loro lettura congiunta, se mancano i riscontri, è
effettuata dal magistrato che la sceglie tra varie possibili. Inoltre è comunque il
pentito, cioè colui che ha incentivi maggiori, a essere determinante. Tutto ciò in
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Post/teca
altri paesi (non totalitari) sarebbe ammesso in fase istruttoria, e in fase
dibattimentale per il confronto con l’accusato. Non sarebbe mai accettato con
valore probatorio in fase di giudizio. In Italia sì.
Nel caso di Battisti mancano altri riscontri?
Vi sono solo dei riconoscimenti di testi che lo stesso magistrato Armando
Spataro ha definito poco significativi.
Eppure dice che “le confessioni di Mutti (…) sono state convalidate da
molte testimonianze e dalle successive dichiarazioni di altri ex
terroristi” (Il Corriere della Sera, 23 gennaio 2009).
Si tratta sempre di Mutti e di Cavallina. Quanto ai testi, basti dire che l’autore
del delitto Santoro aveva la barba (e qui ci siamo, Mutti parla di una barba
finta), era biondo (Battisti avrebbe potuto tingersi i capelli) ed era alto 1,90
(qui non ci siamo più: Battisti supera di poco l’1,60).
Ma il pentito Pietro Mutti non può essere ritenuto credibile? Vi sono
motivi per asserire che sia mai caduto nel meccanismo “Quanto più
confesso, tanto meno resto in prigione”?
Emerge dal dibattimento che condusse a una sentenza di Cassazione del 1993.
Citiamo testualmente:
“Questo pentito è uno specialista nei giochi di prestigio tra i suoi diversi
complici, come quando introduce Battisti nella rapina di viale Fulvio Testi per
salvare Falcone (…) o ancora Lavazza o Bergamin in luogo di Marco Masala in
due rapine veronesi”.
Più sotto:
“Del resto, Pietro Mutti utilizza l’arma della menzogna anche a proprio favore,
come quando nega di avere partecipato, con l’impiego di armi da fuoco, al
ferimento di Rossanigo o all’omicidio Santoro; per il quale era d’altra parte
stato denunciato dalla DIGOS di Milano e dai CC di Udine. Ecco perché le sue
confessioni non possono essere considerate spontanee”.
Teniamo inoltre conto che Mutti, colpevole di omicidi e rapine, ha scontato solo
otto anni di prigione. Un privilegio condiviso con l'uccisore di Walter Tobagi
(anche quel caso, su cui permangono molti dubbi, fu istruito da Armando
Spataro), con il pluri-omicida Michele Viscardi e con molti altri pentiti.
Ci sono altri motivi per dubitare della sincerità di Mutti?
Sì. Le denunce di Pietro Mutti non riguardarono solo Battisti e i PAC, ma furono
a 360 gradi, e si indirizzarono nelle direzioni più svariate. La più clamorosa
riguardò l’OLP di Yasser Arafat, che avrebbe rifornito di armi le Brigate Rosse.
In particolare, elencò Mutti, “tre fucili AK47, 20 granate a mano, due
mitragliatrici FAL, tre revolver, una carabina per cecchini, 30 chilogrammi di
esplosivo e 10.000 detonatori” (mica tanto, a ben vedere, a parte il numero
incongruo dei detonatori; mancava solo che Arafat consegnasse una pistola ad
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Post/teca
aria compressa). Il procuratore Carlo Mastelloni poté, sulla base di questa
preziosa rivelazione, aggiungere un fascicolo alla sua “inchiesta veneta” sui
rapporti tra terroristi italiani e palestinesi, e chiamò persino in giudizio Yasser
Arafat. Poi dovette archiviare il tutto, perché Arafat non venne e il resto si
sgonfiò.
Ciò ha a che vedere con le armi, provenienti dal Fronte Popolare per la
Liberazione della Palestina, mercanteggiate nel 1979 da tale Maurizio
Follini, che Armando Spataro dice essere stato militante dei PAC?
Questo Follini era mercante d’armi e, secondo alcuni, spia sovietica. Fu tirato in
ballo da Mutti, ma in relazione ad altri gruppi. Meglio stendere un velo pietoso.
Dopo avere notato, però, quanto le rivelazioni di Mutti tendessero al delirio.
Mutti non sarà attendibile per altre inchieste, ma nulla ci garantisce
che, almeno sui PAC, non dicesse la verità.
Nulla ce lo dice, infatti, se non un dettaglio. Nel 1993, la Cassazione ha
mandato assolta una coimputata di Battisti (nel delitto Santoro), anche lei
denunciata da Mutti. Parlo del 1993. Per dieci anni la magistratura aveva
creduto, a suo riguardo, alle accuse del pentito. Ciò dovrebbe commentarsi da
solo.
Anche ammesso che il processo che ha portato alla condanna di Cesare
Battisti sia stato viziato da irregolarità e imperniato sulle deposizioni
di pentiti poco credibile, è certo che Battisti ha potuto difendersi nei
successivi gradi di giudizio.
Non è così, almeno per quanto riguarda il processo d’appello del 1986, che
modificò la sentenza di primo grado e lo condannò all’ergastolo. Battisti era
allora in Messico e ignaro di ciò che avveniva a suo danno in Italia.
Il magistrato Armando Spataro ha detto che, per quanto sfuggito di
sua iniziativa alla giustizia italiana, Battisti poté difendersi in tutti i
gradi di processo attraverso il legale da lui nominato.
Ciò è vero solo per il periodo in cui Battisti si trovava ormai in Francia, e
dunque vale essenzialmente per il processo di Cassazione che ebbe luogo nel
1991. Non vale per il processo del 1986, che sfociò nella sentenza della Corte
d’Appello di Milano del 24 giugno di quell’anno. A quel tempo Battisti non aveva
contatti né col legale, pagato dai familiari, né con i familiari stessi.
Questo lo dice lui.
Be’, lo dice anche l’avvocato Giuseppe Pelazza di Milano, che si assunse la
difesa, e lo dicono i familiari. Ma certamente si tratta di testimonianze di parte.
Resta il fatto che Battisti non ebbe alcun confronto con il pentito Mutti che lo
accusava. Si era sottratto al carcere, d’accordo; però il dato oggettivo è che
non poté intervenire in un procedimento che commutava la sua condanna da
dodici anni di prigione in due ergastoli (nessun altro imputato nel processo
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Post/teca
ebbe una condanna simile, inclusi gli assassini di Torregiani!), e gli attribuiva
l’esecuzione di due omicidi, la partecipazione a svariato titolo ad altri due,
alcuni ferimenti e una sessantina di rapine (cioè l’intera attività dei PAC).
Questo era ed è ammissibile per la legge italiana, ma non per la legislazione di
altri paesi che, pur prevedendo la condanna in contumacia, impone la
ripetizione del processo qualora il contumace sia catturato.
Ma Battisti sottoscrisse delle deleghe ai suoi legali, perché lo
rappresentassero, lui contumace.
E’ stato ampiamente dimostrato, dai periti di parte, però scelti tra quelli della
Corte di Parigi, che le firme furono falsificate (forse a fin di bene). Le deleghe
erano in bianco, e furono redatte nel 1981.
Battisti asserisce la propria innocenza, salvo fatti minori attribuibili ai
PAC, senza fornire prove concrete.
Ma Battisti non è tenuto a provare nulla! L’onere della prova spetta a chi lo
accusa. Quanto alla sostanza della questione, vediamo di ricapitolarla: 1)
un’istruttoria che nasce da confessioni estorte con metodi violenti; 2) una serie
di testimonianze di elementi incapaci per età o facoltà mentali; 3) una
sentenza esageratamente severa; 4) un aggravio della stessa sentenza dovuta
all’apparizione tardiva di un “pentito” che snocciola accuse via via più gravi e
generalizzate. Il tutto nel quadro di una normativa inasprita e finalizzata al
rapido soffocamento di un sommovimento sociale di largo respiro, più ampio
delle singole posizioni.
Ciò non toglie che gran parte della sinistra sia compatta nel sostegno a
un magistrato come Armando Spataro, e sia unanime nel richiedere al
Brasile l’estradizione.
Questo è un problema della sinistra, appunto. C’è da chiedersi se sia a
conoscenza di ciò che non il solo Spataro, ma altri magistrati che come lui
furono tra i protagonisti della repressione dei movimenti degli anni ’70 e dei
primi anni ’80, pensano dei casi di Adriano Sofri o di Silvia Baraldini. Immagino
– o forse spero – che non pochi esponenti della “sinistra” (chiamiamola così)
ne resterebbero un po’ scossi. Per non parlare del “malore attivo” (?) a cui
Gerardo D’Ambrosio ha attribuito la morte di Giuseppe Pinelli. O del rimbalzo di
un proiettile contro un sasso volante che ha ucciso Carlo Giuliani. La
denigrazione dei magistrati ha il suo contraltare nella santificazione dei
magistrati.
Inutile menare il can per l’aia. Cesare Battisti non ha mai manifestato
pentimento.
Il diritto moderno – l’ho già detto - reprime i comportamenti illeciti e ignora le
coscienze individuali. Reclamare un pentimento qualsiasi era tipico di
Torquemada o di Vishinskij. Il rigetto da parte di Battisti dell’ipotesi di lotta
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Post/teca
armata è esplicito nei suoi romanzi Le cargo sentimental e Ma cavale, non
tradotti in Italia. Essendo uno scrittore, si esprime tramite la scrittura.
Ha persino esultato quando, in Francia, è stato momentaneamente
liberato.
Lo farebbe chiunque.
Da perfetto vigliacco, si è sottratto all’estradizione ed è riparato in
Brasile, dove è andato a vivere nientemeno che a Copacabana.
Chi conosca Copacabana, sa che oltre la spiaggia e gli alberghi si estendono
caseggiati popolari. Lì viveva Battisti. Ma adesso basta con queste stronzate.
Battisti è stato tutto ciò che volete, salvo una cosa: non è mai stato ricco. Non
è mai stato il prediletto dei salotti di cui favoleggia Panorama. Era il portinaio
dello stabile in cui abitava. Si permetteva ogni tanto un caffè al bar di
immigrati sotto casa.
Armando Spataro dice, sul numero citato del Corriere della Sera, che
Battisti non è mai stato un criminale politico, bensì un delinquente
comune, assetato di denaro.
Spataro sovrappone il percorso di Battisti prima della politicizzazione, quando
era un semplice delinquente di periferia, a quello successivo. Nessuna delle
azioni che gli sono attribuite quale “terrorista”, vere o fasulle, obbediva a fini di
lucro personale. Battisti fu un militante dei settori armati di quella che era
chiamata “autonomia operaia”. Lo sanno tutti, Spataro incluso. Negare la
natura politica dei suoi atti, per indurre il governo brasiliano a concedere
l’estradizione, è la menzogna più colossale che circondi la vicenda Battisti. Un
delinquente comune non rivendica la sua affiliazione ai “Proletari Armati per il
Comunismo”. Del resto, i fascisti, i parafascisti, i post-fascisti dell’Italia odierna
citano di continuo la sua posizione di “comunista” quale aggravante. Mentre gli
ex-comunisti manifestano nei confronti di Battisti identico orrore, visto che
incarna le idee che hanno rinnegato. Non c’è mai stato caso più “politico”, da
Valpreda a oggi.
Non si può liquidare così, in una battuta, un problema più complesso.
Esatto. Non si può liquidare così il problema più generale dell’uscita, una buona
volta, dal regime dell’emergenza, con le aberrazioni giuridiche che ha
introdotto nell’ordinamento italiano. Ma ciò può essere oggetto di altre FAQ,
che prescindano dal caso specifico fin qui trattato. Quanto agli accusatori, che
gridano a squarciagola “dagli all’assassino!”, osservino le proprie mani. Sono
abbondantemente macchiate di sangue. Hanno applaudito un poco tutto, a
cominciare dai bombardamenti su Belgrado, fino ad arrivare alle stragi in
Libano e a Gaza. Si sono arrossate negli applausi a “missioni umanitarie”
condite da massacri. Hanno dato il via libera all’eliminazione sociale dei
soggetti deboli, sul mercato del lavoro. Davvero, oggi, i “nemici dell’umanità” si
42
Post/teca
chiamano Battisti o Petrella?
NOTE
1) Cfr. I. Mereu, Storia dell’intolleranza in Europa. Sorvegliare e punire,
l’Inquisizione come modello di violenza legale, Bompiani, 1988.
2) L’uso della tortura, nei processi contro i terroristi di sinistra fra la fine degli
anni Settanta e gli anni Ottanta, è scrupolosamente documentato nel volume
Le torture affiorate, coll. Progetto Memoria, ed. Sensibili alle foglie, 1998.
3) Su Panorama del 25 gennaio 2009 il giornalista Amadori, sentita la famiglia,
mette in dubbio la labilità della memoria di Rita Vetrani - chiamata a
testimoniare, lei minorenne, contro lo zio. I referti dei periti, poco contestabili,
sono riportati testualmente in L. Grimaldi, Processo all’istruttoria, Milano Libri,
Milano, 1981.
***
APPENDICE
- Le domande assurde di Panorama a cui Battisti non risponde
Su Panorama del 12 febbraio 2009, il giornalista Giacomo Amadori ha elencato
una serie di domande, raccolte tra i magistrati e gli ex compagni, cui Cesare
Battisti non saprebbe o non vorrebbe rispondere. Ebbene, ci proviamo noi,
quale appendice alle nostre FAQ. Qualche considerazione in chiusura.
Pubblicato Gennaio 30, 2009 03:17 AM
fonte: http://www.carmillaonline.com/archives/2009/01/002924.html
---------------------------
4/1/2011
Il mercato
al posto
43
Post/teca
della
politica
MARIO DEAGLIO
Ci possono essere molte buone ragioni
per essere d’accordo e forse altrettante
per essere in completo disaccordo con
le strategie dell’amministratore
delegato della Fiat, Sergio
Marchionne. Su un punto, però,
sostenitori e avversari debbono
convenire: queste strategie
rappresentano il principale elemento
di discontinuità sulla scena politicoeconomica italiana degli ultimi
decenni.
Il passaggio dalla cosiddetta «prima»
alla cosiddetta «seconda» Repubblica
non ha infatti portato ad alcuna vera
discontinuità: ha determinato un certo
ricambio, forse peggiorativo, della
cosiddetta classe politica lasciando
sostanzialmente intatti i meccanismi
di fondo dell’economia e della società.
Non ha di fatto modificato né la
concertazione sui problemi del lavoro,
ossia la soluzione delle controversie
44
Post/teca
mediante un dialogo teso a
raggiungere un equilibrio tra le parti,
sovente con la mediazione del
governo; né le procedure atte a
realizzare mutamenti nel potere
economico attraverso aggregazioni e
aggiustamenti più o meno grandi,
largamente concordati nei cosiddetti
«salotti buoni».
Con il loro misto di concretezza e di
durezza, i casi industriali di
Pomigliano e di Mirafiori stanno
invece proponendo un’alternativa
radicale ai meccanismi della
concertazione. La quotazione in Borsa,
iniziata ieri, di una galassia di titoli
con il marchio Fiat e la parallela
suddivisione del gruppo stesso in due
grandi aree - che potrebbero avere
destini economici e industriali
differenti - propone un’alternativa
quasi altrettanto radicale ai
meccanismi interni del capitalismo
italiano.
Pomigliano e Mirafiori hanno posto
l’esigenza di un forte cambiamento
nelle relazioni industriali in Italia e
quindi anche nel ruolo non solo del
sindacato ma anche della
Confindustria che pure in passato è
ripetutamente riuscita a reinventarsi
mediante riforme interne.
Parallelamente, i nuovi titoli Fiat
potrebbero di fatto indurre un
mutamento di funzioni della Borsa
45
Post/teca
Italiana, altro ente che ha cercato di
reinventarsi: da quello prevalente di
luogo in cui vengono ratificati, con
nuove configurazioni azionarie,
cambiamenti decisi altrove a quello di
vero «campo di battaglia», di vero
terreno di scontro tra vari progetti
finanziari e industriali. Anche in
questo caso, come per la
concertazione, si avrebbe una
sostanziale riduzione dello spazio
riservato ai pubblici poteri e quindi
una profonda modificazione nei
rapporti tra economia e politica.
Negli incontri Fiat-sindacati, così
come nell’incontro di ieri tra
Marchionne e i media, sono state di
fatto delineate non solo due proposte
specifiche di investimento industriale,
ma un nuovo modello di relazioni
industriali e un nuovo modello di
funzionamento della Borsa italiana. Il
tutto è privo di un’incastellatura
teorica e di una particolare armatura
giuridica, ambedue tipiche del
cambiamento graduale all’italiana. Ha
il merito di squarciare il velo
dell’ipocrisia sul grave indebolimento
produttivo italiano che politici e parti
sociali hanno a lungo cercato di non
vedere.
I rapporti tra economia e politica ne
dovrebbero risultare profondamente
modificati, alla politica non viene
richiesta alcuna particolare
benedizione né alcun particolare aiuto.
46
Post/teca
La politica stessa viene di fatto
sostituita dal mercato e dal profitto,
ma sarebbe un errore immaginare che
il riferimento al mercato e al profitto
sia necessariamente tipico di una
politica miope, della ricerca di un
«mordi e fuggi» a favore degli
azionisti: il ciclo di investimenti
proposto si articola infatti su uno o più
decenni e non certo su pochi trimestri
e l’impegno finanziario è di tutto
rispetto. Al posto della vecchia Fiat,
con la sua componente «istituzionale»
nel quadro dell’economia italiana, che,
proprio per questo, racchiudeva al suo
interno settori produttivi molto diversi
tra loro, con un complicato sistema di
rapporti con il settore pubblico, si
propongono almeno due grandi
imprese, una nel settore dell’auto e
un’altra in vari settori legati alla
motorizzazione, con logiche di
alleanze, crescita ed espansione molto
diverse tra loro. In grado, secondo
questo progetto, di competere sul
mercato globale senza particolari
«garanzie» e di essere separatamente
molto più efficienti di quanto non
fossero rimanendo unite.
Le discontinuità sono sempre
scomode, il loro esito contiene una
componente di incertezza e occorre
capire se l’Italia di fatto accetterà la
particolare discontinuità che le viene
proposta. Dovrebbe però essere chiaro
che nell’attuale contesto mondiale è
difficile pensare a vie alternative per
47
Post/teca
una nuova crescita, il rilancio
dell’occupazione, l’interazione tra
produzione e ricerca scientifica. E’
difficile vedere qualcosa di diverso di
un’Italia che vivacchia e che si
allontana sempre più rapidamente dal
gruppo dei Paesi di testa, nei quali si
sviluppano e si applicano le tecnologie
da cui dipende il nostro futuro; di
un’Italia eccessivamente attenta agli
scontri tra i politici e clamorosamente
lontana dai grandi movimenti di idee,
di invenzione, di produzione, che
stanno dando al pianeta una nuova
dimensione.
[email protected]
fonte: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?
ID_blog=25&ID_articolo=8255&ID_sezione=&sezione=
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«Io, Dario Fo e l'eterno
'68 del Mistero buffo»
di Toni Jop
Ma tu, che di mestiere fai il tecnico di computer nelle valli di alta
montagna e non hai ancora quarant'anni sai chi è Dario Fo? Che
domande, sì che lo so. E Mistero Buffo, sai cos'è? Madonna, ci sono
cresciuto dentro, così volevano i miei genitori.
Ecco cos'è Mistero Buffo in questo inizio di 2011: è una di quelle «cose»
che ciascuno di noi si porta dentro, un teatro, un mucchio di parole, un
corpo, una parabola in crescita, un ambiente mentale, una lunghissima
poesia senza «a capo», un Vangelo interpretato da una intelligenza
48
Post/teca
senza potere, una immensa nuvola di tenerezza forte come un maglio,
parola di chi non ha parola, discreto canto senza regole, esperienza
morale, riso gentile, il bagliore di vittoria riflesso da una barricata di
liberazione che sogna convinzione e non vittoria. Quando apparve al sole
del lontanoe tumultuoso 1969, Mistero Buffo sembrò a molti unsegnale,
l'avviso di una utopia realizzata: forse era nato o stava nascendo l'Uomo
Nuovo, quello che avrebbe costruito il Mondo nuovo, sostituendo la
critica alle armi, la comprensione allo schiaffo, l'uguaglianza alla legge
del più forte.
Gramsci aveva detto: abbiamo bisogno di tutta la nostra intelligenza e Fo
– con Franca, sempre – aveva detto: io ci provo, vado avanti e poi si
vede.
Mise a punto uno sguardo sulla storia e sul contemporaneo che partiva
dai Vangeli, apocrifi, irregolari e inventò una giostra di «crisi»
meravigliosa, orgogliosamente «pop», popolare, mossa da un ritmo, da
una frequenza che aveva a che fare con la musica dei corpi mentre
sussurrava urlando: la vita è roba nostra, non del potere. Messo in scena
da altri giullari, ora,42 anni dopo la prima «apparizione » Mistero Buffo
torna nelle mani e nelle ossa di Dario e Franca, e plana in un altro
mondo. Domani a Milano, al teatro Lirico. Un'altra Milano, un'altra Italia
ma il Mistero è sempre più buffo.
Sei un po' matto. Quella è roba che scotta, anche e soprattutto
per chi se la porta sulle spalle: Mistero Buffo è una fatica fisica
anche per un giullare nato come te... chi te lo fa fare?
«Sì, sì. Ci provo ancora, nonostante tutto tira un'aria che sembra
annunciare primavera, quei ragazzi delmovimento, quelli che sono scesi
in piazza in queste settimane: lo sento che non si fermeranno, sento che
non è finita con Marchionne, sento che la Fiom, la Cgil non sono acqua
passata, a loro è appesa in gran parte la dignità dell'umanità di oggi e di
domani, sono loro imuratori, e anche noi, giullari...».
Benedetto “fiol de Deo”, non saranno invecchiati le tue Madonne,
i tuoi Gesù belli, cari fantasiosi che danno vita alla creta, i tuoi
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Post/teca
Bonifaci ottavi, i tuoi papi mercanti di indulgenze, non sarà
invecchiata la tua tigre accogliente e dispotica?
« Chiudi gli occhi e pensa: chi ti ricorda Bonifacio Ottavo? Un altro papa,
ovvio, ti lascio il nome nell' ipofisi. Chi ti ricorda la Madonna se non la
madre, la grande madre, dolce come una donna, forte e intelligente
come una donna? E la tigre cosa ti insegna oggi, forse qualcosa di
diverso da quel che insegnava ieri?»
Riso e dolcezza, riso e dolcezza, Dario: hanno consegnato il Nobel
nelle mani di un rivoluzionario davvero pericoloso, il più
pericoloso perché predichi, ad una età in cui non puoi finire in
galera, che la rivolta senza amore semplicemente non è...
«Entusiasmo, figliolo. Torno a quei ragazzi del Movimento: loro hanno
capito da soli la lezione e nessuno gliel'ha insegnata, grande
generazione, tutto intorno a loro sostiene altro e cioè che se non
prevarichi e non metti sotto i piedi gli altri non sarai nessuno, questa è
vita fratello... ».
Adesso basta – si fa per dire -: sei un fottuto sessantottino con la
testa tra le nuvole e il corpo in purgatorio...
«Ecco, bravo che me lo ricordi: la signora Gelmini ha detto che il
Sessantotto è finito e sepolto..
Ha ragione, in molti hanno provveduto a seppellirlo e lei ha fatto
la sua parte con la riforma universitaria, dopo Marchionne, dopo
Berlusconi e le sue tv....
«Nessuno seppellisce il Sessantotto perché, bada, è immortale. Può darsi
che la signora in questione abbia ragione mentre fa il conto della spesa.
Ma quello sa fare, per il resto non sa nulla, non sa nemmeno che senza
Sessantotto lei, una donna, col cavolo che starebbe al governo:
femminismo e uguaglianza tra i sessi è roba che nasce lì. Si tornerà lì, in
questo calderone di crisi e di parole oggi apparentemente senza senso
quando l'idiozia del potere sarà costretta a fare un passo indietro. E col
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Post/teca
Purgatorio ci andrei cauto: se lo sono inventato in Vaticano qualche
secolo fa perché gli serviva a far soldi e a mietere potere...».
A proposito del Vaticano: com'è che si sono seccati alla prima
uscita di Mistero Buffo? Mi sembra un lavoro non lontano dal
clima di un morbido presepe...
«Ricordando, il Vaticano si lamentò con lo Stato italiano per aver
permesso che si recitasse in pubblico una cosa simile. Poi, è vero che
Mistero Buffo rivendica al popolo la titolarità del sentimento religioso,
della religiosità più profonda che ha a che fare con il senso della vita e
della morte. Così Dio non è lontano da Bacco, Gesù è molto vicino a
Dioniso. Nella cultura popolare, queste distanze sono cancellate: per
esempio, nel “Risus Pascalis” , abolita nell'Ottocento, la gente si dava da
fare per scatenare la gioia per la resurrezione, per la vittoria contro la
morte, era una festa allegrissima e vitalissima...».
Dal punto di vista della tecnica teatrale, da Oltretevere hanno
sempre posto l'accento sulla compostezza ortodossa e misterica
con cui Jacopone da Todi aveva tessuto le laudi, tanto per dire
che tu eri fuori...
«Meglio fuori che male accompagnati. Però, con Jacopone hanno
confezionato uno dei loro falsi meglio riusciti: bisogna leggerlo davvero
per capire quanto fosse sanguigna e accesa la sua critica all'ordine delle
cose che allora regnava. Te lo recito?»
Diamolo per fatto. Se non sbaglio, hai continuato per anni ad
arricchire il panorama del Mistero...
«Vero, e così per metterlo in scena tutto ho calcolato che servirebbero
dieci giorni e dieci notti. Stavolta torno in scena con una parte che mette
assieme pezzi vecchi e fondamentali con pezzi nuovi, ma poi cambiamo
in corso d'opera. E l'opera è il corpo, siamo noi, i nostri corpi, il più
grande mistero buffo».
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Post/teca
3 gennaio 2011
fonte: http://www.unita.it/culture/io-dario-fo-e-l-eterno-br-68-del-mistero-buffo-1.264059
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S'ode a destra
Il lavoro ieri e oggi di Bruno Ugolini
Fiat: tre ipotesi per bloccare gli
anni 50
Anno orribile per il sindacato questo 2010. Dovrei dire, però, per il
sindacato più grande, la Cgil. Non per Cisl, Uil e Ugl, la nuova Triplice:
appaiono liete e soddisfatte per come vanno le cose. Noncuranti del fatto
che sia stato l'anno che ha registrato il massimo grado di divisione non
solo tra le sigle ma nello stesso mondo del lavoro. Con un
depotenziamento dell'autorità sindacale complessiva. Non bastano infatti
i riconoscimenti formali di mass media, governo e imprenditori.
Ora che succederà? E’ possibile, come fa Marchionne, immaginare piani
A, B,C. Nel primo la Cgil capeggiata da Susanna Camusso (unica seria
novità del 2010) conquista un nuovo accordo unitario con altri sindacati
e Confindustria sulla rappresentanza e la Fiat rientra nei ranghi della
Confindustria stessa. Lo sbocco suggerito anche da un esito del
referendum non lineare e che mostra, come per Pomigliano, stati di
sofferenza. È così aperta anche con la Fiom la trattativa sul nuovo
contratto nazionale del settore (anche se non è chiaro quale altra
azienda potrà parteciparvi oltre la Fiat) magari inserendo in un nuovo
consiglio di sorveglianza alla tedesca dirigenti sindacali come Landini.
Anche lui, come i sindacati della Chrysler, un po’ padrone dell’azienda.
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Post/teca
Il piano B vede tramontare tali ipotesi. Gli scioperi generali di Fiom e Cgil
scuotono il Paese, radicalizzano la lotta politica ma non mutano le scelte
di Marchionne. Il rischio, come diceva Aventino Pace, è di “andare come
tori nella nebbia”. Nelle aziende e non solo alla Fiat trovano nuovi spazi i
Cobas. Addio al sindacato come soggetto politico generale. E i risparmi
sul lavoro non fanno decollare i vecchi modelli Fiat.
C'è una terza ipotesi. La Cgil, la Fiom non si accontentano delle giuste
proteste. Decidono di stare comunque nelle "nuove" fabbriche per
spingere i sindacati "nominati" e non eletti a farsi carico dei problemi
degli operai, a proporre alternative a condizioni disumane che
corrompono l'integrità psicofisica del lavoratore, a imporre
un'informazione seria sugli investimenti promessi. Un modo per
riconquistare sul campo una rappresentanza negata, fino a ottenere un
nuovo sistema di relazioni nei luoghi di lavoro. Compito difficile, anche
per le difficoltà di delegati sindacali semiclandestini: senza le
agevolazioni assegnate solo ai "nominati". Non una guerriglia ma una
guerra impegnativa. Col contributo delle numerose altre categorie che
finora non hanno subito le umilianti sconfitte riservate alla Fiom. E per
ricostruire dal basso l'unità sindacale che nel 2010 è sembrata andare
definitivamente a pezzi.
Fantasticherie? Può essere. Ma possono essere fantasticherie anche
quelle di tanti tifosi che dai loro scranni decretano gli osanna ai moderni
presunti vincitori e brindano ai nuovissimi anni 50. Dovrebbero
perlomeno ricordare che dopo gli anni 50 arrivarono gli anni 60 e 70.
3 gennaio 2011
fonte: http://sodeadestra.blog.unita.it/fiat-tre-ipotesi-per-bloccare-gli-anni-50-1.263937
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"Noi maschi, specie quelli grandicelli, siamo
ciò che diciamo. Non siamo il lupo cattivo,
non siamo maniaci stalker, non stiamo già
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Post/teca
morendo dietro di voi se vi chiediamo il
numero o un appuntamento. Meno che mai
se vi invitiamo ad un aperitivo o al cinema, o
a pranzo. Non siamo – e non vogliamo da voi
– ciò che il vostro istinto vi sta suggerendo.
Anzi, mettiamola così: dopo i 30, soprattutto,
quello che vogliamo ve lo facciamo capire
molto bene. Se non lo capite, è perché non lo
vogliamo – e quindi non ve lo abbiamo
detto/chiesto, guarda un po’ – e non siete
autorizzate a fare neppure un educated
guess."
— Dall’articolo “E tu, ce l’hai la SdC?” di Guy (via pollicinor)
--------------------
"se ci abbracciamo molto forte ci stai anche
tu, al centro del mio mondo insieme a me"
— happy new year. (a chi mi dice non-ci-sto)
(via anarchaia)
----------------
La merda che strasborda
dal cervello [pt. 1]
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Post/teca
oneblood:
nonmenefregauncazzo:
Si parta dall’assioma che la maggior parte delle donne abbia merda mescolata
a materia grigia dentro il cazzo di cranio.
In alcune accezioni si ha solamente merda.
Questa merda rimane dormiente, tipo le cellule terroriste, fino ai 30 anni
circa, ma si possono manifestare casi in cui piccole quantità interferiscano
con il comportamento standard dei soggetti anche in età prematura.
Basti pensare alle vostre compagne delle medie/superiori che si truccano
come delle troie e fumano per apparire più grandi.
E 15 anni dopo truccarsi ancora di più per apparire più giovani.
Questa è la merda che era rimasta dormiente e si è attivata allo scoccare
dell’ora X.
Verso i 30 anni per le donne è un casino. Ci sono quelle sposate, accasate,
realizzate, con figli e poi ci sono quelle che fanno finta di esserlo.
Le classiche “sono felice così”/”sto bene così”. Ma dentro di loro lo sanno che
tra un po’ non potranno più dare alla luce figli, non saranno più così
avvenenti, la pelle non sarà più così tonica e potranno contare solo sulla loro
personalità, solo su quanto sono interessanti, seducenti e tutte quelle belle
cose che vanno oltre all’aspetto fisico.
Purtroppo queste non si rendono conto del fattore M. La merda inizia ad
attivarsi, a sconvolgere i pensieri, ad annebbiare la mente.
La donna non sa più a cosa pensare, non sa come rendersi più interessante…
cambio acconciatura? cambio look? compro delle scarpe nuove! sì, ecco, un
bel paio di scarpe nuove! E se cambiassi la montatura degli occhiali? Magari
la prendo verde! Che pazzah che sono!
Oppure te le vedi partecipare ai vari corsi di cucina finlandese o di
meditazione indù o che cazzo ne so, basta che siano cose stranissime e
nuovissime per non sfigurare con le altre durante le patetiche cene dove si
beve solo chardonnay (almeno 20€ a bottiglia, perchè sono tutte, ovviamente,
intenditrici) e si parla di quanto siano sfigati gli uomini e di quanto non ci
siano più maschi in giro.
E tra una risata e l’altra assale loro la tristezza di essere lì, in 4-5, sole, a
sparlare degli uomini, sapendo che tutte le loro amiche che non sono a tavola
con loro sono abbracciate ai loro uomini, progettando un futuro assieme,
ridendo delle future zitelle.
55
Post/teca
Una sorta di Sex & the city ambientato a Gemona del Friuli o a Ravenna.
Presente, che tristezza?
Poi oh, quando sei in giro li riconosci subito questi esseri col cranio pieno di
merda.
Tipo quando sei in vacanza sono quel gruppetto di 5-6 donne che ridono
sempre e che la sera ballano sguaiatamente in infradito e pareo, perchè sono
troppo easy per vestirsi bene la sera. Non hanno niente da perdere, loro.
Quelle cagate le lasciano a quelle troie che si accaparreranno i maschi più
superficiali, che badano molto alle apparenze, al bel vestito, alle scarpe col
tacco.
Loro non sono interessate a quel tipo di uomo. Loro vogliono quello più
profondo. Quello intellettuale, colto, sensibile.
Ed è chiaro che gli uomini in estate fan di tutto per sembrare intellettuali e
sensibili.
Generazioni di bagnini riminensi che indossano costume e tocco.
Alla fine, seleziona seleziona seleziona, si ridurranno all’ultima notte per
scoparsi un tedesco che indossa i sandali con le calze (che per la cronaca sarà
un imponente alemanno in viaggio di studio/affari in questa esclusivissima
location).
Anche su facebook le riconosci al volo, ste cretine.
Innanzitutto i loro status sono o citazioni coltissime e raffinatissime, o frasi in
spagnolo/inglese.
Nel caso si trattasse di pensieri propri, la donna con la merda nel cervello si
scorge perchè questi sono descritti con frasi solitamente molto sintetiche, con
un numero assurdo di segni di interpunzione. Una quantità spropositata di
“punti” e virgole. Per enfatizzare. Qualsiasi cosa. Qualsiasi. Cosa.
Esempio. Io per scrivere che oggi è una bella giornata e il cielo è azzurro ecc
ecc scriverei:
“cazzo che bella giornata oggi raga”
la donna affetta da fattore M, invece, scriverà:
“Blu. Vedo solo blu. E azzurro.”
e dopo 5 minuti aggiornerà lo status:
“Todo es azul. La vida es azul. El mundo es azul. El sol brilla.”
Le stesse caratteristiche sono riscontrabili nei blog di ste poverette, che,
credendosi delle novelle Fabio Volo (che poi, come cazzo si fa a voler tendere
a Fabio Volo, Cristo di un Dio?), scrivono post ricchi di sti cazzo di incisi che
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Post/teca
enfatizzano anche l’odore della merda.
E niente, apparentemente gira sta voce per cui ora “scrivere con molti punti
fermi = scrittrice”.
Prendo un blog a caso, non cercatelo, tanto non lo trovate. E’ di una mia
amica ultratrentenne:
“Mangio una mela.
E’ rossa. E’ rossa come le emozioni. Come la vita.
Fuori è tutto grigio. Milano è grigia. Il rosso non sta un granchè bene col
grigio.
Forse Milano vorrebbe essere rossa. Come questa mela”
No, scusa, vaffanculo. Piantala per dio onnipotente.
Come scrissi tempo fa: non sei una scrittrice, sei solo una scema con una
connessione ad internet.
FAI. BASTA. (tel’ho scritto seguendo le regole della tua poetica del cazzo e
della merda.)
E internet alla fine è diventata un po’ una discarica, una fogna dove tutte ste
cretine si ritrovano per darsi consigli su come arginare la merda che tenta con
tutte le sue forze di scappare da quel cranio, o come mascherarla con qualche
atteggiamento disindividuante.
E così fioriscono blog ultraprolissi che nessuno si caga, fioriscono siti dove
ognuna pubblica una poesia e all’istante si è poetesse, fioriscono video su
youtube dove con una drammatizzazione e un enfasi che nemmeno nelle
peggiori fiction italiane si riscontra si parla di questa o quell’altra stronzata.
Perchè alla fine cos’è che cercano, ste poverine? Un po’ di considerazione, un
po’ di attenzioni, qualcuno che le faccia sentire importanti per un giorno o
due.
E quindi eccole, quelle che si tuffano a capofitto in tutta quella serie di
situazioni sfigatissime perchè convinte che saranno loro a sbrogliare la
situazione, saranno loro l’ago della bilancia o ciò che la farà pendere
definitivamente da una parte o dall’altra. Per cui eccole schierarsi con una
minoranza piuttosto che con un’altra e quando parli con loro di questa
minoranza si fanno tutte serie serie e con aria solenne ti spiegano che il
problema è gravissimo e che loro stanno facendo di tutto per risolvere; ci
57
Post/teca
stanno mettendo tutte loro stesse, anteponendo il fine ultimo anche alla
propria vita. Ma il percorso è lungo, e meno male che ci sono loro.
[fine della prima puntata]
ps. ciò che ho scritto vi potrebbe offendere. Questo vuol dire che siete donne e
avete merda nel cervello. Iscrivetevi subito ad un corso di urinoterapia o
datevi alla coltivazione di bonsai giganti.
can’t wait for parte 2
----------------------
"Alla fine di tante discussioni su Cesare
Battisti resta un dubbio: ma se non avesse la
faccia che ha, con quel ghigno da furfante che
ha mostrato ai fotografi due o tre volte di
troppo, ne staremmo ancora parlando? In
fondo un motivo ci deve pur essere, se a
distanza di tanti anni il suo volto è ancora sui
titoli dei tg, mentre di tanti altri latitanti non
si parla semplicemente più. Non si parla più
di Giorgio Pietrostefani, che per i giudici
italiani è colpevole dell’omicidio di Luigi
Calabresi. Nessun La Russa si permette di
minacciare fuoco e fiamme contro la Svizzera
che non intende estradare Alvaro Lojacono,
complice dell’assassinio di Moro, divenuto
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Post/teca
cittadino elvetico; nessuno propone sanzioni
contro il Nicaragua se il brigatista Casimirri
gestisce suo ristorante in riva all’oceano."
— Un latitante troppo fotogenico - Leonardo (via federicochi)
(via hneeta)
------------------
Così gli scrittori si odiano
ennelletti:
Un duello molto famoso fu quello fra Giuseppe Ungaretti e Massimo
Bontempelli che incrociarono le spade il 9 agosto del 1926. I due scrittori
dopo un incontro casuale nel quale si erano accusati a vicenda di «maldicenze
letterarie» si diedero appuntamento nella villa romana di Luigi Pirandello.
Vinse Bontempelli che infilò la spada nell’ avambraccio destro di Ungaretti
procurandogli una ferita di «tre centimetri».
(Source: ricerca.repubblica.it, via lalumacahatrecorna)
-------------------“Mi piace dire. Dirò meglio: mi piace parolare. Le parole sono per me corpi toccabili, sirene visibili,
sensualità incorporate. Forse perché la sensualità reale non ha per me interesse di nessuna specie – neppure
mentale o di sogno, il desiderio mi si è trasferito in ciò che mi crea ritmi verbali o li ascolta da altri.
Rabbrividisco se qualcuno parla bene.”
Pessoa (via yoruichi)
pessoa, chi altri.
(via lalumacahatrecorna)
via: http://luciacirillo.tumblr.com/post/2584019042/mi-piace-dire-diro-meglio-mi-piace-parolare-le
----------------
Druckerei
spaam:
Entro in una copisteria per stampare la mia tesi. Dietro al bancone c’è il monolito di
59
Post/teca
2001 - Odissea nello Spazio.
Io : salve. Dovrei stampare la mia tesi
Monolito : per quando?
Io : questa sera
Monolito: impossibile
Accanto a me c’è una vecchia signora, borsetta nera e guanti di pelle nera, quelli
corti senza svastica. Le afferro la testa per i capelli e gliela sbatto un paio di volte
sul bancone poi, tenendola ben stretta sotto la morsa del mio braccio, la trascino
fino alla copiatrice gigante a colori. Sollevo il coperchio e dentro ci blocco la
capoccetta della vecchia tramortita. Programmo 100 copie a colori e pigio invio. Fa
Flap….Fa Flap…Fa Flap. Dopo 12 copie da 100 gr. di carta l’una, formato A5, fisso
di nuovo il monolotio e chiedo
Io : salve. Dovrei stampare la mia tesi
Monolito : …
Io : è per questa sera
Monolito: alle 18 va bene?
Sento un vuoto dentro di me. Prendo strade a casaccio e mi ritrovo in un
McDonald’s appena innaugurato. Lo si capisce perché non vedo scarafaggi in coda.
Ordino tagliolini al burro. Ci vuoi qualcosa da bere, tesoro? Il burro, faccio io.
Mentre aspetto gli chiedo se si può piangere in questo locale. No - dice lei senza
mollare la cassa con lo sguardo - fuori però c’è un apposito angolo.
Fuori fa freddo. Con altri due signori, intorno ad una specie di posacenere anni ‘90,
piangiamo, ognuno a modo suo. Un giovane passante si ferma e ci chiede qualcosa
per piangere. Mi dispiace - faccio io - ma mi son rimaste solo 2 paranoie.
———————
La stampa della tesi mi porta dentro un provvisorio limbo, prima di chiudere
definitivamente, con la discussione, una lunga fase della mia vita. È stato un
viaggio incredibile. Per questa ragione ho usato la citazione del nobel Mullis:
“Back in the 1960s and early ’70s I took plenty of LSD. A lot of people were doing
that in Berkeley back then. And I found it to be a mind-opening experience. It was
certainly much more important than any courses I ever took.”
--------------------------------
Leggerli entrambi
3nding:
Dal libro di Edoardo Montolli Il Caso Genchi. Storia di un uomo in balia dello
60
Post/teca
Stato:
Genchi: “Litigammo tutta sera e per buona parte della notte. Ero infuriato: il
mancato riscontro sul viaggio di Falcone, l’abbaglio su Maira, e ora l’arresto di
Scotto per le confessioni di due personaggi improbabili come Candura e
Scarantino che rischiavano di far naufragare l’inchiesta. Pietro Scotto no. Lui no.
Strilla Genchi, strilla convinto che ogni cosa sarà persa se lo arresteranno (Pietro
Scotto). E quel che poi accade è ciò che non sarebbe mai dovuto accadere. Un
nodo alla gola che si porterà dietro per sedici anni: Fu allora che La Barbera
scoppiò a piangere. Pianse per tre ore. Mi disse che lui sarebbe diventato questore
e che per me era prevista una promozione per meriti straordinari. Non volevo e non
potevo credere a quello che mi stava dicendo. Ma lo ripeté ancora. E ancora. E
furono le ultime parole che decisi di ascoltare. Me ne andai sbattendo la porta.
L’indomani mattina abbandonai per sempre il gruppo Falcone-Borsellino. E le
indagini sulle stragi”.
È la notte tra il 4 e il 5 maggio 1993. Genchi si chiama fuori. Il 14 un’autobomba
esplode a Roma, in via Fauro. L’attentato pare diretto al giornalista Maurizio
Costanzo, che ci stava passando, ma che al momento dello scoppio era ancora
fuori bersaglio. Sulla stessa via, a una manciata di metri, c’è parcheggiata la Y10
di Lorenzo Narracci, vice di Contrada al Sisde, che abita lì. C’è chi si chiede se il
vero obiettivo fosse lui. La strategia della tensione si sposta poi a nord. Il 27 tocca
a Firenze, via dei Georgofili, agli Uffizi: cinque morti e trentasette feriti.Il giorno
dopo, Pietro Scotto viene arrestato. L’11 luglio, il ministro dell’Interno Nicola
Mancino promuove La Barbera dirigente superiore e col grado di questore lo
assegna alla direzione centrale della polizia criminale di Roma. L’anno successivo
diventerà il nuovo questore di Palermo.
L’agente indicato da Spatuzza, in mare con Contrada quando Borsellino saltò
in aria. Ebbero la notizia prima di tutti
È tutta racchiusa in cento secondi la verità sulla strage di via D’Amelio, dove il 19
luglio 1992 morirono Paolo Borsellino e la sua scorta. Un vuoto di cento secondi
che ora – grazie alle rivelazioni del pentitoGaspare Spatuzza e del testimone
Massimo Ciancimino, incrociate con vecchie perizie del consulente antimafia
Gioacchino Genchi – si riempie di due nomi: quelli di un uomo di mafia e di un
servitore dello Stato. Il doppio Stato.
L’uomo di mafia è Gaetano Scotto, della famiglia palermitana dell’Arenella, che il
61
Post/teca
6 febbraio 1992 risulta aver telefonato a un’utenza del Cerisdi (il centro studi che
ha sede nel castello Utveggio sul Monte Pellegrino che domina Palermo, dove il
Sisde aveva un ufficio “coperto” e da dove, secondo molti, sarebbe stato premuto il
detonatore dell’autobomba che ha ucciso Borsellino) e parlato con un dirigente per
4 minuti; poi fu condannato all’ergastolo per quella strage.
leggi tutto
L’uomo dello Stato è Lorenzo Narracci, all’epoca funzionario del Sisde e
fedelissimo di Bruno Contrada (allora numero tre del servizio civile con delega
all’antimafia, poi condannato in Cassazione a 10 anni per concorso esterno in
associazione mafiosa). Narracci fu indagato con Contrada a Caltanissetta in una
delle inchieste sui “mandanti esterni” delle stragi, poi archiviata nel 2002. Ora però
è stato riconosciuto sia da Spatuzza sia da Ciancimino jr: il pentito dice che
Narracci era presente nel garage in cui fu imbottita di tritolo la Fiat 126 che poi
sventrò via D’Amelio; il figlio di don Vito dice di averlo visto in un hotel di
Palermo dove erano presenti anche suo padre e il “signor Franco”, l’uomo degli
“apparati” che lo assistè per trent’anni; quel giorno, nel bar dell’hotel, Narracci
avrebbe parlato con Scotto.
Sebbene di nuovo indagato a Caltanissetta, Narracci al momento non è colpevole di
nulla: il rischio che, 18 anni dopo, la memoria dei testimoni sia confusa è forte. Ma,
se il doppio riconoscimento trovasse conferma, sarebbe il tassello mancante di un
mosaico di “coincidenze” che lascia senza fiato. Perché Narracci è, nel migliore dei
casi, l’uomo delle coincidenze (come ha ricordato ieri Marco Lillo, il suo nome
emerse pure a vario titolo nelle inchieste sulle stragi di Capaci e di via Fauro,
senz’alcuna responsabilità penale).
Quattro uomini in barca. Nel pomeriggio di domenica 19 luglio 1992 Narracci è in
gita in barca al largo di Palermo con alcuni amici e amiche, fra cui Contrada, un
capitano dei carabinieri e il proprietario della barca,Gianni Valentino, un
commerciante di abiti da sposa in contatto con il boss Raffaele Ganci (condannato
all’ergastolo per le stragi del ’92). Racconterà Contrada a verbale che, dopo pranzo,
Valentino riceve una telefonata della figlia “che lo avvertiva che a Palermo era
scoppiata una bomba e comunque c’era stato un attentato. Subito dopo il Narracci,
dal suo cellulare o dal mio, ha chiamato il centro Sisde di Palermo per informazioni
più precise”. Appreso che la bomba è esplosa in via D’Amelio, dove abita la madre
di Borsellino, Contrada si fa accompagnare a riva, passa da casa e, in serata,
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Post/teca
raggiunge via D’Amelio con Narracci.
Ma gli orari ricostruiti da Genchi non tornano. Tutto in 100 secondi. L’istante esatto
della strage è fissato dall’Osservatorio geosismico alle ore 16, 58 minuti e 20
secondi. Alle 17 in punto, 100 secondi dopo l’esplosione, Contrada chiama dal suo
cellulare il centro Sisde di via Roma. Ma, fra lo scoppio e la chiamata, c’è almeno
un’altra telefonata: quella che ha avvertito Valentino dell’esplosione.
Dunque, in 100 secondi, accadono le seguenti cose: la bomba sventra via
D’Amelio; un misterioso informatore (Contrada dice la figlia dell’amico) afferra la
cornetta di un telefono fisso (dunque non identificabile dai tabulati), forma il
numero di Valentino e l’avverte dell’accaduto; Valentino informa Contrada e gli
altri; Contrada afferra a sua volta il cellulare, compone il numero del Sisde e ottiene
la risposta dagli efficientissimi agenti presenti negli uffici (solitamente chiusi la
domenica, ma guardacaso affollatissimi proprio quella domenica).
Tutto in cento secondi. Misteri su misteri. Come poteva la figlia di Valentino
sapere, a pochi secondi dal botto, che – parola di Contrada – “c’era stato un
attentato”? Le prime volanti della polizia giunsero sul posto 10-15 minuti dopo lo
scoppio. E come potevano, al centro Sisde, sapere che era esplosa una bomba in via
D’Amelio già un istante dopo lo scoppio? Le prime confuse notizie sull’attentato
sono delle 17:30. Le sale operative di Polizia e Carabinieri parlavano
genericamente di “esplosione” e di “incendio nella zona Fiera” fino alle 17:10–
17:15 senz’aver ancora individuato il luogo preciso, forse a causa dell’isolamento
dei telefoni dei condomìni adiacenti, coinvolti nell’esplosione. Valentino e
Contrada, però, in alto mare, pochi secondi dopo le 17 già sapevano tutto:
“Attentato”.
Escludendo che la figlia di Valentino e gli uomini Sisde siano veggenti e ricordando
i rapporti di Valentino con i Ganci, viene il dubbio che l’informazione sia giunta da
chi per motivi “professionali” ne sapeva molto di più: magari qualcuno appostato in
via D’Amelio o sul Monte Pellegrino (dove il Sisde aveva una succursale occulta in
contatto col mafioso Scotto), che attendeva il buon esito dell’attentato per
comunicarlo in diretta a chi stava in barca. Nel qual caso la gita dei nostri
marinaretti assumerebbe tutt’altro significato. Purtroppo la chiamata non ha lasciato
tracce: proveniva da un fisso (abitazione, ufficio o cabina). E Valentino nel
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Post/teca
frattempo è morto. Ma ora, quando quei 100 secondi misteriosi sembravano sepolti
per sempre, i ricordi di Spatuzza e Ciancimino hanno provveduto a riaprire il caso.
Marco Travaglio (il Fatto Quotidiano, 29 maggio 2010)
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Mirafiori, 23 dicembre 2010: l’accordo della vergogna
ze-violet:
uomoinpolvere:
@Wu_Ming_Foundt:
La FIOM di Torino decifra e commenta l’accordo separato di Mirafiori (PDF)
Sostieni la Fiom
L’analisi essenziale del testo dell’accordo.
CANCELLAZIONE RSU: non ci saranno più le RSU elette liberamente e
democraticamente dai lavoratori, saranno sostituite dalle “vecchie RSA”
previste dall’art. 19
dello Statuto dei Lavoratori, nominate esclusivamente dal sindacato esterno.
Le RSA potranno essere nominate solo dalle organizzazioni firmatarie
dell’intesa del 23
dicembre 2010, mentre coloro che non hanno firmato, non potranno nominare
nessun
rappresentante e i lavoratori saranno impossibilitati ad eleggere propri
rappresentanti
facenti parte delle organizzazioni non firmatarie (in questo caso la FIOMCGIL).
Commento: viene totalmente smantellata la rappresentanza sindacale. I
lavoratori non potranno più eleggere i propri rappresentanti in modo libero e
segreto. Saranno solo le organizzazioni sindacali esterne, firmatarie dell’intesa,
che potranno nominare propri rappresentanti, non più istanza dei lavoratori e
delle loro condizioni di lavoro, ma esclusivamente di rappresentanza “politica”
delle burocrazie sindacali.
ASSEMBLEE: le assemblee potranno essere indette e svolte solo da coloro che
hanno
firmato l’intesa, viene conseguentemente negato anche il diritto di indire le
assemblee di
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Post/teca
organizzazione, quindi anche l’ora all’anno di assemblea spettante alle
organizzazioni
sindacali esterne, non potrà essere indetta da coloro che non hanno firmato
l’intesa.
Commento: le organizzazioni non firmatarie dell’intesa, anche se confederali,
non avranno più il diritto di indire assemblee (nemmeno l’ora di
organizzazione), privando i lavoratori di un confronto democratico con
organizzazioni sindacali non “accondiscendenti”.
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Adieu, Anne Francis. Salutaci
Leslie, se puoi
L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.
Ci ha lasciato Anne Francis, l'attrice che interpretò la splendida e
innocente Altaira nel Pianeta Proibito. Aveva 80 anni. Ne dà notizia il
Los Angeles Times. Il 26 novembre scorso si era congedato Leslie
Nielsen, che nel film era il comandante J.J. Adams dell'astronave C57D, mandata su Altair IV per scoprire che fine aveva fatto la
spedizione inviata vent'anni prima. Sigh.
Arrivati sul pianeta, trovano che tutti i coloni sono morti
misteriosamente, tranne uno, il dottor Morbius (Walter Pidgeon), e sua
figlia Altaira, che non ha mai visto nessun essere umano tranne il
padre. C'è anche Robbie, il primo robot del cinema di fantascienza a
seguire le Tre Leggi della Robotica di Isaac Asimov. E c'è uno dei mostri
più terrificanti dello schermo: inarrestabile, invincibile e invisibile.
Classe 1956, e che classe.
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Post/teca
Altaira (in piscina): Si tuffi!
Comandante Adams: Non ho il costume da bagno
Altaira: Cos'è un costume da bagno?
La Neytiri della mia generazione. Senza bisogno di grafica
computerizzata.
fonte: http://attivissimo.blogspot.com/2011/01/ci-lascia-anne-francis-pianeta-proibito.html
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Le donne sottovalutate dalla
Storia: Beulah Henry
pubblicato: martedì 04 gennaio 2011 da Sexyvia
Per continuare degnamente la serie di donne sottovalutate dalla Storia secondo
l’autore Mark Juddery, non possiamo evitare di parlare di Beulah Henry, una donna
che ha svolto un mestiere che in passato è stato esclusivo appannaggio degli uomini,
almeno per quanto viene ricordato, e che si tinge di mito e di leggenda, risultando
quindi ancora più interessante: Beulah Henry infatti era un’inventrice.
Vissuta a cavallo tra il XIX e il XX secolo (è morta nel 1973), Beulah Henry si
guadagnò, già negli anni ‘20 e ‘30, il soprannome di “Lady Edison”, proprio per la
fervente attività e le numerose invenzioni attribuitele. Nonostante infatti i brevetti
ottenuti ufficialmente siano stati soltanto 49 circa, pare che il numero degli oggetti
inventati da Beulah possa aggirarsi intorno ai 110.
Beulah è stata una donna fuori dal comune in tutto, soprattutto per l’epoca:
indipendente, intraprendente, sorprendentemente capace; frequentò due college nella
Carolina del Nord e nel 1924 si trasferì a New York, dove fondò due compagnie,
vivendo in diversi hotel della città, senza sposarsi mai (o almeno è quel che ci viene
riportato, in realtà le notizie su questa figura di donna così particolare non sono
molte).
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Post/teca
Tra le sue numerosissime invenzioni, ce ne sono alcune che potrebbero aver
contribuito a determinate rivoluzioni tecnolgiche: Protograph ad esempio fu un
primitivo modello di fotocopiatrice, funzionante con una macchina da scrivere
manuale, mentre la prima macchina da cucire senza bobine e quella con il “zig-zag”
cambiarono sicuramente il lavoro delle sarte di allora.
Altre invenzioni, non tecnologicamente avanzate, ma ugualmente importanti nella
vita quotidiana riguardano ad esempio l’ormai scontato apriscatole, senza il quale
invece potremmo fare davvero fatica in cucina; i bigodini, che hanno rivoluzionato la
vita estetica di molte donne; diversi giocattoli per bambini, tra cui una bambola che
poteva chiudere gli occhi e cambiarne il colore.
Insomma una donna straordinaria, di cui si sa poco e nulla purtroppo. Non si tratta
comunque dell’unica inventrice della Storia, ma di una delle poche i cui meriti sono
stati parzialmente riconosciuti, nonostante il suo mestiere fosse esclusivo
appannaggio maschile. Sono diverse invece le donne inventrici che proprio perchè
tali, non hanno mai potuto registrare brevetti e riceverne compensi e riconoscimenti:
“Mary S.”, morta nel 1880 ad esempio, fu costretta a vendere tutte le sue invenzioni a
personaggi di sesso maschile, per somme misere; gli acquirenti dei suoi brevetti
invece, fecero fortuna e acquisirono una fama immeritata. Quanti casi simili
potrebbero essere disseminati nella Storia senza che a noi ne sia giunta traccia?
fonte: http://www.pinkblog.it/post/7746/le-donne-sottovalutate-dalla-storia-beulah-henry#continua
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Le donne sottovalutate dalla
Storia: Murasaki Shikibu
pubblicato: mercoledì 15 dicembre 2010 da Sexyvia
Tressugar ha pubblicato un interessante spunto di riflessione riguardo il mondo
femminile; intervistando Mark Juddery, autore del libro “Overrated: The 50 Most
Overhyped Things in History”, la domanda che ha generato risposte sicuramente
stimolanti, ha voluto sottolineare un aspetto storico del tutto contrario rispetto al tema
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Post/teca
del libro, ma sicuramente inevitabile: quali figure di donne nella Storia sono state
sottovalutate?
Juddery ha fatto dieci nomi di donne che secondo lui avrebbero potuto essere più
famose di come sono state in realtà; certo non si tratta di sconosciute e la loro
notorietà in qualche modo l’hanno guadagnata, altrimenti i loro nomi sarebbero
caduti nell’oblio; la Storia è costellata di donne messe in ombra dal predominio
maschile, è il destino di un genere a lungo sottovalutato forse proprio perchè temuto.
Ma di quelle davvero sepolte, sotto ogni punto di vista, anche se eccezionali,
purtroppo non ce ne rimane traccia.
Per fortuna però possiamo ancora discutere, anche se con pochissime informazioni, di
donne come Murasaki Shikibu, la scrittrice giapponese che diede alla luce forse il
primo romanzo della storia, considerato ancora oggi un capolavoro, “Genji
Monogatari”. Un mito effettivamente poco conosciuto, una donna vera ma allo stesso
tempo leggendaria, perchè vissuta un millenio fa, perchè cresciuta in modo diverso in
una società che non dava particolare peso alle doti femminili, e perchè la sua
personale storia si perde nella notte dei tempi, tra storie reali e storie inventate.
A cominciare da come viene ricordata, tutto ciò che la riguarda è avvolto nel
mistero:Murasaki Shikibu probabilmente non fu il suo vero nome; alcuni studiosi
ipotizzano che in realtà si chiamasse Takako, ma non possiamo averne la certezza; il
soprannome con cui è conosciuta potrebbe derivare dal nome di uno dei personaggi
del suo romanzo, Murasaki, che in giapponese significa color porpora o viola, e dal
mestiere di suo padre, Shikibu, Maestro Cerimoniere.
Murasaki Shikibu, o anche Lady Murasaki, crebbe intorno all’anno 1000 (forse nel
973) in modo anomalo: avendo perso la madre quando era molto piccola, fu cresciuta
dal padre, contro le usanze e le abitudini dell’epoca. Tametoki, funzionario alla corte
imperiale, le insegnò tutto ciò che allora veniva fatto conoscere soltanto agli uomini e
si lamentò spesso del fatto che la ragazza fosse molto più intelligente e recettiva del
fratello maschio; così Lady Murasaki, poi ancella dell’imperatrice Shoshi/Akiko,
iniziò a scrivere e oltre all’opera che ha portato il suo “leggendario” nome fino a noi,
compose quasi sicuramente anche altri due lavori (Diario di Murasaki Shikibu e le
poesie contenute nelle Raccolte di Murasaki Shikibu), ma non ci è dato sapere se fu
ancora più prolifica.
Anche la sua morte è avvolta nel mistero: c’è chi sostiene che sia morta nel 1014,
quando il padre tornò d’improvviso a Kyoto, oppure fra il 1025 e il 1031, a un’età
piuttosto avanzata per l’epoca.
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Post/teca
Genji Monogatari è considerato il primo romanzo moderno o psicologico della storia:
ben lungi da un improbabile e semplicistico romanzo rosa, si tratta di una vera e
propria saga composta da 54 libri, che raccontano la vita di Genji, figlio di un
imperatore del Giappone, passata alla ricerca di una donna idealizzata e sfuggente, in
realtà mai trovata, che potesse ricordargli la madre morta quando era piccolo. Storie
d’amore si intrecciano dunque con la vita di corte, tracciando minuziosamente un
contesto estremamente affascinante e per noi molto esotico.
Ammaliante e misteriosa la figura di questa donna eccezionale, giunta fino a noi ma
forse non con la fama che le sarebbe giustamente toccata; probabilmente un mito, in
tutti i sensi, per tutte le epoche e per ogni cultura; sicuramente un faro femminile
nella Storia e un modello per tutte coloro che come me, sognano di scrivere il
romanzo della loro vita.
fonte: http://www.pinkblog.it/post/7656/le-donne-sottovalutate-dalla-storia-murasaki-shikibu
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"Tutte le mattine ho preso la buona
abitudine, dopo la doccia, di farmi un 10
minuti di air guitar, nudo davanti allo
specchio. Come levetta per le distorsioni uso
il mio pisello."
— wah wah (via spaam)
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"Se Marchionne fosse il Direttore di una
mensa scolastica le cose andrebbero così:
obbligherebbe i genitori a pagare una retta
mostruosa rispetto alla qualità del cibo
prendendo contemporaneamente i soldi dallo
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Post/teca
Stato, farebbe cucinare i bambini,
minacciandoli di aprire una mensa altrove
lasciando tutti senza cibo e senza mensa. Ma
dico, voi a un Direttore così la fareste gestire
una mensa scolastica? E la FIAT?"
— 3nding (via 3nding)
--------------
"Ormai viene ammesso senza remore da
commentatori di differente ispirazione, come
Innocenzo Cipolletta e Loretta Napoleoni (1).
Alle origini dell’attuale crisi economica ci
sono le guerre in Iraq e in Afghanistan. Per
finanziare imprese militari che gli Stati Uniti
non potevano permettersi, l’amministrazione
americana, attraverso la Federal Reserve,
quasi azzerò i tassi di interesse, in modo da
avere disponibilità dei capitali ingenti liquidi
che le necessitavano. Tutti i governi
occidentali furono obbligati, come sempre
accade, a fare lo stesso per reggere il passo.
Simultaneamente gli Usa, in cerca di
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Post/teca
consenso a favore della guerra tra le classi
medie, resero agevole – sempre tramite la
Federal Reserve, che guida il comportamento
delle altre banche - l’ottenimento di mutui
per l’acquisto delle case, senza riguardi per la
solvibilità degli acquirenti. Non lo dico io, lo
scrive Cipolletta."
— Economia Metapolitica (via misantropo)
(via flatguy)
----------------Economia metapolitica
di Valerio Evangelisti
Ormai viene ammesso senza remore da commentatori di differente ispirazione,
come Innocenzo Cipolletta e Loretta Napoleoni (1). Alle origini dell’attuale crisi
economica ci sono le guerre in Iraq e in Afghanistan. Per finanziare imprese
militari che gli Stati Uniti non potevano permettersi, l’amministrazione
americana, attraverso la Federal Reserve, quasi azzerò i tassi di interesse, in
modo da avere disponibilità dei capitali ingenti liquidi che le necessitavano.
Tutti i governi occidentali furono obbligati, come sempre accade, a fare lo
stesso per reggere il passo.
Simultaneamente gli Usa, in cerca di consenso a favore della guerra tra le
classi medie, resero agevole – sempre tramite la Federal Reserve, che guida il
comportamento delle altre banche - l’ottenimento di mutui per l’acquisto delle
case, senza riguardi per la solvibilità degli acquirenti. Non lo dico io, lo scrive
Cipolletta.
Affluirono capitali, però in larga misura speculativi, attratti dalla pacchia che si
profilava. Il mercato immobiliare diventò un nuovo Far West, un oggetto di
conquista. Tutto ciò, nelle intenzioni, sarebbe stato riequilibrato dalle materie
prime dei Paesi assoggettati. Non fu così. Le guerre divennero pantani,
incapaci di compensare ciò che costavano. La finanza crebbe oltre misura, con
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Post/teca
un volume di scambi insostenibile. Chi aveva venduto titoli di dubbia
consistenza, confidando in un imminente rialzo dei tassi, restò deluso. I mutui
sulle case furono le prime sabbie mobili delle eccessive esposizioni bancarie;
seguirono altre voragini.
Gli istituti di credito, a quel punto, tirarono frettolosamente i remi in barca,
dopo un paio di naufragi illustri. Vendettero all’estero quote di debito in
abbondanza, confezionate in pacchetti che includevano consistenti percentuali
di pattume. Troppo tardi. La crisi non era più ciclica, ma strutturale. Digiune di
prestiti, le compagnie europee non abbastanza solide cominciarono a chiudere,
quelle più forti a delocalizzare. Il dogma monetarista, affermatosi dopo il
tracollo del campo socialista e socialdemocratico, vuole che il costo del lavoro
sia il primo da comprimere nei momenti difficili. Così è stato. Ovviamente i
consumi, nei paesi occidentali, sono crollati, in vista di discutibili eden futuri
nelle potenze economiche dette emergenti (Cina, Brasile, India, in parte
Russia).
Peccato che laggiù larghi settori di popolazione restino esclusi da ogni sviluppo,
e dunque non in grado di assorbire l’intera sovrapproduzione dell’Occidente.
Peccato altresì che, via via che le nuove potenze emergono, siano in grado di
produrre cloni o evoluzioni degli stessi manufatti tipici dell’Ovest, a volte di
altissimo contenuto tecnologico.
Caduta del saggio di profitto, sovrapproduzione. Tra queste due coordinate, e
altre conseguenti, ecco i fondamenti di una crisi niente affatto volatile.
Potrebbe rimediarvi solo il raggiungimento degli obiettivi economici prefissati
con le avventure militari. Nulla lascia prevedere che ciò sia possibile. Aprire
altri fronti di guerra, provarci di nuovo? Malgrado le ringhiose esortazioni del
governo israeliano, e di alcuni Stati arabi (come rivelato da Wikileaks), nessuno
al momento se lo può permettere.
Si è parlato di “crisi di sistema”. In parte è vero, ma se per sistema si intende il
capitalismo in senso lato, finanziario e produttivo, questo mai cade da solo. Se
non contrastato, ha molte armi per reagire e sopravvivere. In primo luogo
limitare la propria appendice voluttuaria, la democrazia (2). Desta invidia, in
numerosi osservatori occidentali, il modello russo. Limitazione drastica del
controllo dal basso, nell’ambito di un assetto economico niente affatto
socialista, affidato a strati privilegiati costruiti dall’alto, pezzo per pezzo (con
epurazioni periodiche, sotto pretesti giudiziari, dei tasselli che non funzionano o
si rivelano troppo ingombranti). Analoga ammirazione suscita il modello cinese.
Gli strumenti della vecchia “dittatura del proletariato” al servizio di una crescita
prettamente capitalistica (checché ne pensi Diliberto), con classi egemoni
create ad hoc. Coloro che criticavano “da sinistra” il socialismo reale,
asserendo che la facciata nascondeva le forme di accumulazione del sistema
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Post/teca
che diceva di combattere, avevano ragione da vendere.
La vecchia arma primaria con cui il capitalismo affronta storicamente le proprie
crisi, l’autoritarismo, è verificabile in tutto il mondo occidentale, Unione
Europea inclusa. Questa non fa che generare organi centrali di controllo
economico sottratti a ogni vaglio democratico e investiti di pieni poteri. Il
monetarismo, la UE lo ha elevato a dottrina centrale e indiscutibile addirittura
per costituzione (costringendo a votare di nuovo chi si era espresso contro, fino
a non fare votare per nulla la sua ultima riproposizione, il “Trattato di
Lisbona”). I parlamenti sono stati esautorati delle loro prerogative attraverso
limitazioni di mandato, o meccanismi di voto alterati sino a escludere
opposizioni ostili alla filosofia di fondo. Ogni impegno è volto a impedire che i
cittadini possano influire sulle scelte determinanti che li riguardano.
Naturalmente, l’effetto è più sensibile nelle fabbriche, la cellula autoritaria per
eccellenza. Guai a ostacolare l’efficientismo dei padroni, salvo una
trasmigrazione delle aziende. Si pisci di meno, si mangi di meno, si lavori fino
allo sfinimento, dal giorno alla notte. Altrimenti produrremo (senza peraltro
vendere) dove la forza-lavoro costa quasi un cazzo, e dove i diritti dei
lavoratori confinano con quelli della prima rivoluzione industriale. Sindacati
gialli, forti solo di una base di pensionati iscritti a forza per presentare la
dichiarazione dei redditi, applaudono entusiasti. Due ipotesi alternative: o non
hanno capito nulla, o hanno capito troppo e sono complici. Buona la seconda.
Ma come si fa, senza riuscire a vendere ciò che si è prodotto (per esempio
automobili), a tenersi sul mercato? Il fatto è che il capitale finanziario ha finito
col sovrapporsi al capitale reale. Hilferding lo aveva previsto, ma anche Marx lo
aveva intuito (con la formula D-M-D: si rilegga il primo volume de Il Capitale
per vedere cosa significa). La “M”, merce, è comunque uscita di scena. Paesi
prosperi come l’Irlanda o la Spagna sono messi in un angolo, declassati da
entità futili quali le agenzie di rating. Agenti fasulli e obbrobriosi, che solo una
teoria forsennata come il monetarismo, privo di qualsiasi base scientifica (come
aveva dimostrato il compianto Federico Caffè in Lezioni di politica economica,
Bollati-Boringhieri, 1980), poteva formulare. Ebbene, proprio il monetarismo è
la dottrina ufficiale dell’Unione Europea. Non conta quanto un Paese sia vitale e
produttivo. Conta, per valutarlo, il suo indebitamento. Verso cosa? Verso un
debito complessivo più grande. Tutti sono indebitati. Specialmente l’Africa, il
continente più ricco di materie prime e di giacimenti. Guarda caso, sembra il
più povero. I suoi abitanti fuggono al nord inseguiti dalla fame. Chi li
perseguita? Una povertà naturale? No, il debito. Chi è ricco diventa povero, chi
è povero diventa ricco. C’è qualcosa che non va.
Uno spettro si aggira per l’Europa e per il mondo: è un errore di calcolo. Non
ha niente a che vedere con l’economia propriamente intesa, cioè con la
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Post/teca
ripartizione delle risorse tra gli appartenenti al genere umano, cercando di far
sì che esistano beni per tutti. E’ una follia collettiva che va oltre le atrocità del
capitalismo, cioè la versione moderna del rapporto tra padroni e schiavi. Siamo
alla servitù delle cifre, si produca o no. Siamo servi di un registratore di cassa
in mano altrui, che pare manipolato da un folle. Ma folle non è poi tanto.
Sceglie quale classe colpire, per farla vittima delle sue bizzarre matematiche.
E’ sempre la classe subalterna, quella dei salariati e degli stipendiati. Tutto si
tocchi salvo i profitti e le rendite, essenziali ai fini dell’algebra astratta del
regno della finzione economica. Dove chi non produce guadagna, chi produce
soffre, chi sarebbe ricco è povero, chi è povero lo è per calcoli immateriali e
per flussi di ricchezza inesistente fatti apposta per non beneficiarlo.
Il “debito pubblico” è un’astrazione legata a un’ideologia stupidissima, oggi
l’unica insegnata nelle università – il “monetarismo”, più la sua variante
volgare, la Supply Side Economy, cara a Reagan, alla Thatcher, a Pinochet – e
il sistema, vergognoso, vi ha costruito sopra un intero edificio teorico.
Smettiamo di essere servi di un pallottoliere privo di senso.
Ma ricordiamoci anche di un vecchio motto: “Senza la forza la ragion non vale”
(Andrea Costa, Avanti!, 1881). Non è un invito al terrorismo, bensì
un’esortazione a tenere le piazze con la determinazione del dicembre scorso.
NOTE
(1) Innocenzo Cipolletta, Banchieri, politici e militari, Laterza, 2010; Loretta
Napoleoni, La morsa. Le vere ragioni della crisi mondiale, Chiarelettere, 2009.
(2) Cfr. Vladimiro Giacchè, La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella
politica contemporanea, Derive / Approdi, 2008.
Pubblicato Gennaio 4, 2011
fonte: http://www.carmillaonline.com/archives/2011/01/003739.html
-------------"l'intelligenza totale dell'umanità è costante, e gli uomini stanno aumentando di numero"
via: http://xmau.com/notiziole/arch/201012/007001.html
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Guido Catalano - le carte in tavola
eclipsed:
ho visto donne uscire in lacrime dal proprio parrucchiere
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Post/teca
maledicendo tinte, messe in piega, tagli, colpi di sole
sbagliati
ho sempre pensato che i cessi pisciati
sia colpa dell’uomo
finché una donna mi ha confessato
che per non sedersi
esse sono in grado di farla
stando intrespolate in piedi
sulla tazza
e spisciazzando tutto
ho visto donne strapparsi l’odiato vello
dai loro corpi morbidi
utilizzando tecniche degne di un inquisitore medievale
soffrendo in silenzio
ho visto gambe traballanti
su tacchi inauditi
sfidare le leggi della gravità
dell’equilibrio e del buon senso
ho avuto più volte la certezza
che le borse delle donne
siano portali dimensionali
verso la sfera dell’entropia
quasi tutte le donne si guardano di nascosto
su qualsivoglia superficie riflettente
ogni qual volta si presenti l’occasione
per vedere se sono belle
se la tua donna non lo fa mai
preoccupati
potrebbe essere una vampira
da quando sul mio blog ho messo una poesia
che si intitola “io ho visto le donne nude”
ho ricevuto – ad oggi – 18.414 visite
di gente che cerca su google “donne nude”
contro 18.290 che cerca il mio nome e cognome
la poesia è stata inserita sei mesi fa
il blog è stato aperto cinque anni fa
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Post/teca
immagino che chi cerca “donne nude” su internet
all’alba del 2011
non possa avere più di dodici o tredici anni
se io avessi avuto internet a dodici-tredici anni
mi sarei devastato di seghe
garantito al limone verde, signori
mi spiace di essere andato fuori tema
la poesia era iniziata bene
comunque giuro che se leggerò ad alta voce
questa poesia davanti a delle persone
davanti a delle persone sensibili
o a bambini
non dirò seghe ma pippe o pugnette
come fanno alla tele
io per avere quasi quarant’anni
ho visto pochissime donne nude vere
pochissime ne ho baciate
pochissime ci ho fatto l’amore
le tette in assoluto è la mia parte preferita sessuale
gli occhi quella che cambia le carte in tavola
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“Ti rendi conto che, se c’è una cosa che gente della mia età non sopporta di sentire, è
gente della tua età che ci fa la predica sulla morale? Guarda il mondo intorno a te. Il
mondo che voi ci avete lasciato in eredità. Credi che ci conceda qualche possibilità di
fare le cose per principio? Sono stufa di sentir dire che la mia generazione non ha
valori. Che siamo materialisti. Che ci manca ogni senso della politica. Lo sai perché
succede? Prova un po’ a indovinare. Sì, risposta esatta: perché è così che ci avete
educati! Saremo anche i figli della Thatcher, per quel che vi riguarda, ma siete voi
quelli che hanno votato per lei, e più di una volta, e poi avete continuato a votare per
tutti quelli che sono venuti dopo di lei, e ne hanno pedissequamente seguito le orme.
Siete voi che ci avete educato a essere gli zombi consumisti che siamo. Avete gettato
tutti gli altri valori dalla finestra, o no? Il cristianesimo? Non ce n’è bisogno. La
responsabilità collettiva? A cosa mai è servita? Produrre merci? Fabbricare delle
cose? Roba da sfigati. Sì, lasciamo che siano gli sfigati dell’Estremo Oriente a
76
Post/teca
fabbricare tutto per noi così possiamo stare seduti sulle nostre chiappe davanti alla tv,
a guardare il mondo che va in pezzi - su uno schermo gigante e ad alta definizione,
naturalmente.”
—
Jonathan Coe, I terribili segreti di
Maxwell Sim, Feltrinelli, Milano
2010, pp. 49-50.
-------------
tempibui:
Che mi piaci lo sai e che ti aspetto pure. E immagino che tu lo abbia capito perchè
non sei idiota. Quindi basta. Se vuoi, sono qui.
Se no non eri tu quello giusto.
------------
“Una mente di terz’ordine è felice solo quando pensa come la maggioranza”,
ha scritto A..A. Milne, il creatore di Winnie the Pooh. “Una mente di
second’ordine è felice solo quando pensa come la minoranza. Una mente di
prim’ordine è felice solo quando pensa”. Nel 2011 avrai ottime opportunità di
coltivare questa definizione di una mente di prim’ordine, Acquario. Secondo
la mia lettura dei presagi astrali, la vita complotterà per rafforzare la tua
intelligenza. Se deciderai di affilare il tuo ingegno, di usare la lingua in modo
più preciso e di vedere il mondo con maggiore chiarezza e obiettività, tutto
andrà per il verso giusto. Per cominciare, compila una lista di tutto quello che
potresti fare per spingere la tua intelligenza oltre i suoi limiti attuali.
Acquario, di Rob Brezsny (http://www.internazionale.it/oroscopo/)
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«E’ l’omosessualità di
77
Post/teca
Pasolini a fare ancora
paura all’Italia»
Intervista a Marco Belpoliti, scrittore, critico
letterario, curatore delle opere di Primo
Levi, in libreria per Guanda il suo “Pasolini
in salsa piccante”
«Pasolini non è la vittima o addirittura il martire delle trame occulte che dal 1969, e
anche prima, hanno intorpidito e manipolato la storia del nostro paese: Pasolini
assassinato dai servizi segreti deviati; Pasolini che scopre le piste nere, gli autori
degli attentati neofascisti e per questo viene eliminato». «Di Pasolini oggi ci viene
offerto un santino quasi fosse il Padre Pio della sinistra, bisognosa, come i fedeli
dello stigmatizzato di San Giovanni Rotondo, di uno sciamano che decifri in modo
rabdomantico il presente, un sant’uomo cui rivolgersi con religioso stupore e
abbandonata fiducia per conoscere il nostro futuro anteriore».
A trentacinque anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini, ucciso nella notte tra il 1 e il
2 novembre del 1975 all’idroscalo di Ostia, la figura dell’intellettuale friulano
continua a fare scandalo. Ma questa volta non sono la sua opera o le sue idee a
suscitare dibattito, bensì la sua trasformazione in una sorta di “icona progressista”,
chiamata in causa e utilizzata per sondare il lato in ombra della società italiana da
parte di chi, specie a sinistra, preferisce le scorciatoie e le formule precostituite al
faticoso lavoro dell’analisi e del confronto con la realtà quotidiana.
Questa sembra essere almeno la lettura delle sorti toccate alla vicenda umana e
intellettuale del poeta friulano proposta da Marco Belpoliti nel suo libro Pasolini in
salsa piccante, un volume articolato in quattro saggi accompagnati dalle fotografie
di Ugo Mulas che esce oggi per Guanda (pp. 144, euro 12,50) - e che sarà presentato
a Roma alla Libreria Feltrinelli di Piazza Colonna alle ore 18 dall’auotre insieme a
Andrea Cortellessa e a Walter Siti.
Belpoliti, scrittore, critico letterario, curatore delle opere di Primo Levi, e autore de
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Post/teca
Il corpo del capo e Senza vergogna, due indagini sulla ”narrazione del populismo”
attraverso i corpi e le immagini, per il titolo del suo libro si è ispirato ad alcune
battute tratte da Uccellacci e uccellini, quando Totò e Ninetto Davoli immaginano
come mangiarsi il Corvo, “I maestri sono fatti per essere mangiati in salsa piccante”.
Così, spiega il critico, oggi si deve «mangiare Pasolini per capirlo meglio, per trarre
forza da lui, dalla sua contraddizione, per non subirla, ma per declinarla. Per non
restare vittime del complesso Pasolini che attanaglia ancora chi attende la
palingenesi generale della nostra società, tutta da salvare o tutta da perdere,
inclinazione moralistica che il poeta per primo avrebbe, ne sono certo, colpito e
sferzato con la sua urticante vis polemica». Per Belpoliti Pasolini è stato soprattutto
«un uomo e un poeta che usava contraddirsi per restare vivo, per capire e farci
capire, un esercizio che gli costava fatica e dolore ma che gli era inevitabile». Da
questo spirito contraddittorio si dovrebbe perciò partire per leggere oggi la sua
opera.
“Mangiare” Pasolini dunque, per non tradirlo. Ma cosa significa
concretamente?
Dobbiamo uscire dal “complesso di Pasolini” che ci fa dire ogni volta “chissà cosa
avrebbe detto su questo o su quello”, “chissà cosa avrebbe scritto”. Dobbiamo
responsabilizzarci e prendere posizione, utilizzando la sua opera ma senza
nasconderci dietro di essa. Credo che quella di Pasolini sia diventata un’icona, non è
neppure più un’immagine, ma solo un’icona. L’icona del santo, del taumaturgo, del
profeta... E invece Pasolini va restituito alla sua storicità, e come si può farlo?
Affrontando il tema della sua omosessualità, del suo amore per i ragazzi
eterosessuali, del suo desiderio, e collocando tutto ciò al centro della sua opera,
perché questa era la sua ispirazione fondamentale.
Nel libro lei spiega come l’omosessualità di Pasolini sia troppo spesso
considerata anche dai suoi estimatori come un «elemento su cui
sorvolare, mentre costituisce la radice vera della sua lettura della
società italiana», vale a dire?
L’etica di Pasolini era fondata sulla sua estetica. Può sembrare una formula ma era
effettivamente così. La lettura che lui dava ad esempio della crisi della società
italiana era una lettura legata ai suoi amori, di lui omosessuale per dei ragazzi
eterosessuali. Questo lo sfondo su cui vanno lette le sue analisi sulla realtà, il che
non significa diminuire in alcun modo la potenza delle sue visioni o la lucidità delle
sua analisi, ma dargli la giusta collocazione.
Perciò è questo elemento della vicenda pasoliniana, così centrale a suo
giudizio, a suscitare ancora scandalo?
Certamente. e questo a destra come a sinistra. Vorrei chiedere al sindaco di Roma
Alemanno, che ha ricordato in questi giorni la figura di Pasolini, come pensa di
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Post/teca
regolarsi con l’omosessualità del poeta, con il suo amore per i ragazzi. Perciò, certo
che fa scandalo, nessuno ne parla. Alemanno ha parlato di un museo per Pasolini:
potranno trovarvi posto i suoi “ragazzi di vita”?
Anche il considerare l’uccisione di Pasolini come uno dei molti “misteri
italiani” non sembra convincerla e, nel libro, la attribuisce alla
«propensione alla paranoia che attanaglia la sinistra italiana». Perché?
Nelle indagini sulla morte di Pasolini ci sono dei buchi macroscopici, evidenti a tutti
e molte cose oscure e mai chiarite. Questo non significa però che si debba pensare al
“complotto”, ma solo a una vicenda che deve essere ancora chiarita completamente.
Del resto lo stesso Pasolini, nell’ultima intervista che rilasciò a Furio Colombo
prima della sua morte, spiegava come l’interpretazione complottista delle vicende
italiane non lo convincesse affatto. Per questo non credo che ci sia da cercare una
“pista politica” per spiegare la sua morte e che questa ricerca attenga piuttosto
all’indole paranoica di una sinistra che cerca di spiegare tutto, compresa la sua
stessa sconfitta politica negli ultimi vent’anni, attraverso il ricorso a questa
categoria.
Guido Caldiron
in data:05/11/2010
fonte: http://www.liberazione.it/news-file/-E--l-omosessualit---di-Pasolini-a-fare-ancora-paura-allItalia----LIBERAZIONE-IT.htm
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La volta che venne giù la statua di Saddam
La caduta della statua di Saddam Hussein fu orchestrata dall'esercito americano in cerca di consensi
Un'inchiesta di New Yorker e Pro Publica racconta che cosa successe davvero quel giorno a
Baghdad
4 GENNAIO 2011
Una delle immagini più note della guerra in Iraq è sicuramente quella della statua di Saddam
Hussein che viene tirata giù dalla folla in piazza Firdos a Baghdad, il 9 aprile del 2003.
Diffusa in tempo reale da tutte le televisioni del mondo, divenne subito il simbolo della
liberazione dell’Iraq. “Baghdad è caduta”, titolavano il giorno dopo molti giornali. Erano
passati solo venti giorni dall’inizio della guerra.
Oggi sappiamo che quello che sembrava la fine di una guerra breve in realtà fu l’inizio di un
lungo e sanguinoso conflitto, avviatosi sulla via della risoluzione solo parecchi anni dopo. E
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Post/teca
un’inchiesta congiunta di New Yorker e ProPublica rivela ora alcuni particolari di quella
giornata che mostrano come quelle immagini di straordinaria potenza visiva furono possibili
anche grazie all’operazione mediatica orchestrata dall’esercito americano con la
collaborazione di diversi mezzi di comunicazione, affascinati e distratti da quello che
stavano osservando. Peter Maas, che era presente in piazza come inviato, spiega sul New
Yorker quello che successe davvero quel giorno.
I media esagerarono il numero delle persone presenti
Le foto riprodotte da ProPublica mostrano che piazza Firdos in quel momento era semi
vuota e che i media si concentrarono soltanto sulle immagini del gruppo di persone sotto
alla statua per dare l’idea che fosse affollata. Peter Mass spiega così l’operazione: «Se
guardi bene le riprese ti accorgi che raramente sono state usate inquadrature ampie e che la
maggior parte delle persone che erano presenti erano soprattutto giornalisti e marine:
c’erano pochissimi iracheni».
Gli Stati Uniti fornirono la mazza e la bandiera irachena
Fu il sergente dell’esercito americano Leon Lambert a dare agli iracheni presenti in piazza la
mazza con cui colpire la base della statua di Saddam per poi tirarla giù. La stessa bandiera
irachena che poi fu issata sulla statua fu portata in piazza da un soldato americano, il tenente
Casey Kuhlman, che l’aveva comprata come souvenir. L’intera operazione durò in tutto due
ore circa: durante quel periodo di tempo la CNN continuò a trasmettere immagini dalla
piazza ogni quattro minuti.
I media ignorarono altri episodi più importanti
Maass dice che nella fretta di coprire quello che stava accadendo in piazza Firdos i media
tralasciarono di seguire storie più importanti. «Quel giorno Bagdad era violenta e caotica.
La città veniva saccheggiata da centinaia di persone che a bordo di camion, taxi, cavalli e
carriole portavano via tutto quello che trovavano nei palazzi del governo, nei musei e
persino negli ospedali».
Le testate chiesero a molti giornalisti di coprire soltanto quella storia
«Invece di incoraggiare gli inviati a trovare le notizie, molte testate li chiesero ai loro
giornalisti di raccontare soltanto quello che era già passato nelle immagini televisive».
Quando un giornalista cercò di spiegare al suo direttore che in realtà pochi iracheni erano
stati veramente coinvolti durante la rimozione della statua, e che quelli presenti sembravano
farlo più per compiacere la stampa che per altro, si sentì semplicemente rispondere di
riattaccare il telefono e correre a scattare qualche foto.
Piazza Firdos peggiorò la guerra?
Maass cita infine uno studio della George Washington University, che dimostra le
conseguenze negative prodotte dall’enfasi mediatica sugli eventi di piazza Firdos. La
ripetizione di quelle immagini su tutti i canali e su tutti i giornali trasmise erroneamente
l’idea che la guerra era già stata vinta e distolse l’attenzione dall’Iraq proprio nel momento
in cui ce ne sarebbe stato più bisogno. «Senza l’immagine di quella statua che veniva giù»,
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Post/teca
si legge nello studio «sarebbe stato molto più difficile dire “Missione Compiuta”».
fonte: http://www.ilpost.it/2011/01/04/iraq-statua-saddam/
------------
“Quando si vive non accade nulla.
Una volta ogni tanto - raramente- si fa il punto, ci si accorge che ci si è appiccicati ad una
donna, impelagati in una sporca faccenda. La durata di un lampo. Poi la sfilata ricomincia,
ci si rimette a fare l’addizione delle ore e dei giorni. Lunedì, martedì, mercoledì. Aprile,
maggio, giugno. 1924, 1925, 1926.
Vivere è questo. Ma quando si racconta la vita, tutto cambia.
Jean - Paul Sartre, La Nausea
via: http://gaeoskin.tumblr.com/
-----------
PROPOSITI PER IL 2011.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Smetterla di farmi seghe mentali con venuta finale per ogni minchiata possibile.
Scrivere ‘sta storia, mandarla alla casa editrice e farla finita con questa cosa.
Conoscere nuove persone.
Non perdermi in quel di Milano a giugno per il concerto dei SOAD.
In relazione al punto precedente: prenotare volo e ostello.
Avere 80 crediti entro maggio.
Smetterla di martoriarmi le labbra, ormai in versione post-scartavetratura.
Trovare una soluzione per questo benedetto tatuaggio ( aka trovare un tatuatore migliore o uno che
assecondi le mie scempiaggini senza rimproverarmi, come al solito ).
9. Non essere così timida.
10. Avere quel tantinoino di fiducia in più in me stessa che mi farebbe portare a termine tutti i punti
precedenti e quelli seguenti.
11. Smetterla di colmare i malumori con lo shopping compulsivo.
12. Leggere tutti i libri già comprati prima di acquistarne degli altri ( questo punto non si
realizzeràmai ).
13. Riuscire ad andare a Brindisi ad agosto.
14. Smetterla di distrarmi così facilmente ogni volta che studio.
15. Smetterla di incazzarmi per ogni cosa.
Più che fare delle cose, devo smetterla di farne tante ._.
via: http://coactusvolui.tumblr.com/post/2567334450
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Post/teca
---------pantherain:
Cinque cose che si possono trovare nella mia borsa:
1) Una specie di amuchina;
2) cellulare;
3) agenda;
4) iPod;
5) forcine.
Cinque cose in camera mia:
1) la scritta Amor vincit omnia sul muro;
2) librilibrilibri;
3) foto;
4) vestiti sparsi;
5) collane in ogni dove.
Cinque cose che ho sempre desiderato fare nella vita:
1) scrivere i libri che ho in testa ( quoto, ma il problema è che non ci riesco, e la casa editrice attende..
argh ;_; );
2) inviata di guerra;
3) visitare Istanbul, Gerusalemme e Sarajevo;
4) imparare decentemente l’inglese;
5) imparare a cucinare.
Cinque cose che fai sempre in una giornata:
1) leggere/scrivere;
2) oziare su internet;
3) spuntini vari;
4) riflettere su cose inutili;
5) progettare acquisti / cambiamenti estetici.
Cinque cose che mi rendono molto felice:
1) entrare in libreria e uscire con una busta pesante;
2) ricevere regali / fare regali azzeccati; 3) ascoltare l’iPod e passeggiare a temperature miti;
4) mangiare;
5) i giusti complimenti per le giuste cose.
Cinque cose con cui sono in fissa ultimamente:
1) cappuccino al ginseng;
2) libri classici;
3) acquisto compulsivo di collane;
4) malumore notturno;
5) perder tempo traducendo lett. francese anziché studiar contemporanea.
Cinque cose nella mia lista delle cose da fare:
1) viaggi estivi;
2) imparare a cucinare alla perfezione ( quoto ); 3) trovare il lavoro per cui mi sto facendo il culo sui libri;
4) continuare con i tatuaggi;
5) essere serena.
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Post/teca
Cinque cose che gli altri potrebbero o meno sapere di me:
1) mi piacciono le lentiggini ( per la precisione: impazzisco per le lentiggini );
2) sogno continuamente di morire in acqua;
3) non mi permettono di mettermi l’apparecchio;
4) adoro mangiare;
5) ho un’idea di famiglia che molti non capirebbero.
via: http://coactusvolui.tumblr.com/post/2488698157
-----------
quartodisecolo:
Faccio la dieta dissociale: il primo che rompe i coglioni su cosa devo o
non devo mangiare, lo mando ‘affanculo.
via: http://mariaemma.tumblr.com/
-------------
Passo con gli evidenziatori sulle cicatrici.
Sto scaricando talmente tanti film che nemmeno se mi fossero concessi 70
anni supplementari di vita probabilmente riuscirei a guardarli tutti.
Ho la casa piena di libri di cui di nemmeno la metà ricordo la trama.
Mi piacerebbe che per ogni difficoltà che affronto mi dessero gettoni free per
farci qualcosa di fico.
Tipo che, se per ogni persona che mi ha fatto del male avessi un buono sconto
da spendere in qualche negozio di scarpe, probabilmente avrei almeno 56 paia
di scarpe Louboutin nell’armadio.
Poi però lo so che entrerebbero in gioco anche le cose che ho fatto di male io.
Perchè anche se non vuoi, finisce sempre che ferisci le persone senza
nemmeno accorgertene.
Ti escono fuori parole sgradevoli, rabbia che dio solo sa da che parte era
nascosta e dei desideri che sarebbe meglio non farli sapere a nessuno
altrimenti i tuoi vicini ti farebbero internare tempo zero.
Ho mangiato una mela rossa ma visto che non mi piaceva ho deciso di
mangiare del cioccolato al peperoncino: ed è la storia della mia vita, parto con
un sacco di buone intenzioni e poi per strada succede sempre qualcosa che me
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Post/teca
ne fa imboccare una dove non ci sono cartelli ma gente sbronza seduta sul
ciglio, zero luce e braccia che tentano in tutti i modi ditoccarti.
Lascivia e gola.
Ci sono troppe donne insicure.
Più mostro le mie debolezze e più, inspiegabilmente, la gente mi mostra le
proprie. Abbiamo una paura fottuta, tutti quanti, tutti fottutamente quanti, di
non venire capiti, amati e accettati per quello che siamo che abbiamo smesso
di sforzarci di capire che anche gli altri hanno gli stessi nostri desideri.
Ma ho deciso, questa volta di smettere.
Voglio esserci.
E fare di vizi di forma, virtù.
via: http://pescanoce.blogspot.com/2011/01/passo-con-gli-evidenziatorisulle.html
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Exeter come Napoli, inglesi furiosi
Londra, 03-01-2011
Si va da Exeter, nel Devon, a Epping, nell'Essex, fino a Warrington nel Cheshire. Sui
giornali inglesi arrivano le foto dei cumuli di immondizia, e questa volta le strade non sono
quelle della Campania, che alcuni lettori, indignati, richiamano nei commenti di protesta.
Il problema, qui, non è di ciclo di smaltimento inefficace o parziale, ma di austerity: molti
comuni hanno tagliato drasticamente la spesa per rirportare sotto controllo il bilancio, alle
prese con trasferimenti da Londra quasi dimezzati. E allora, anche il servzio della raccolta
dei rifiuti cittadini può essere rallentato, anzi, interrotto, a fine anno.
Una scelta catastrofica a fine anno, quando l'accumularsi dei resti di cenoni e feste in
famiglia e dei pacchi dei regali scartati sotto l'albero aumenta il volume dell'immondizia.
A Exeter, dice il Daily Mail, ai cittadini è stato detto che il camion dei netturbini non
sarebbe più passato dall'8 dicembre all'8 gennaio. Risultato, topi e gabbiani sempre più
aggressivi fra montagne di immondizia cresciuti a dismisura in strada, e mamme costrette a
tenere.. ai domiciliari gli incauti figli che pensavano di poter passare qualche ora di svago
fuori, grazie alla pausa natalizia delle scuole.
A Birmingham, il problema ha assunto caratteristiche quasi napoletane: qui il personale
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Post/teca
addetto alla raccolta dei rifiuti è in sciopero per rivendicazioni salariali.
Ma non va meglio in uno dei 'giardini' della Gran Bretagna, lo splendido Dorset, dove molte
località registrano stop nella raccolta dei rifiuti ormai da tre settimane.
A Edimburgo, in Scozia, A Edimburgo, bidoni pieni da cinque settimane: non se ne può più
e di fronte alla minaccia di proteste popolari le autorità cittadine non hanno saputo trovare
soluzione milgiore di inviti ai citadini a portare i sacchetti di rifiuti nei parcheggi di
supermercati nei cortili delle scuole. Un fai da te che, scrive il Telegraph, si è presto
trasformato in un mezzo disastro, con code, ingorghi e altri cumuli di immondizia.
Ricordando l'ironia e il sarcarsmo che ha accompagnato sulla stampa britannica, non di
rado, la cronaca dell'interminabile emergenza campana, verrebbe da porre una sola
domanda: a quando i piloti della Royal Air Force in missione sui marciapiedi con la scopa in
mano?
fonte: http://www.rainews24.it/it/news.php?newsid=148829
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20110105
"Potrei illudermi, credere di esser bella, di
appartenere alla categoria delle donne belle e
ammirate, perché davvero tutti mi guardano.
Ma io so che non si tratta di bellezza, ma di
qualcos’altro, si qualcosa di diverso, che
appartiene forse allo spirito. Sono come
voglio apparire, anche bella se gli altri lo
vogliono, o carina, carina diciamo per i
familiari, per loro e basta, insomma posso
diventare come gli altri vogliono che sia. E
crederci. Anche credere che sono
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Post/teca
affascinante. Dal momento che lo credo, so
anche farlo diventare vero agli occhi di chi mi
vede e desidera che io sia di suo gusto."
— Marguerite Duras - L’amante (via batchiara)
via: http://curiositasmundi.tumblr.com/
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"Io non sono stata rapita dagli alieni. A me,
gli alieni, m’hanno abbandonata qui."
— progettomayhem:
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Cominciamo a
parlare del
collasso europeo
di REDAZIONE il 18 DICEMBRE 2010 · 1 COMMENTO
in DAZIBAO,RIVISTA
Franco Berardi Bifo
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Post/teca
Il progetto europeo sta attraversando la sua crisi più
profonda. La causa di questa crisi è il collasso finanziario
iniziato nel settembre del 2008, ma la tragedia che ne è
seguita in Europa sembra inarrestabile. Dichiarata
l’emergenza dopo la crisi greca di primavera, si è costituito
di fatto un direttorio politico-finanziario che si ispira
rigidamente ai princìpi del monetarismo neoliberista – i
princìpi che hanno portato all’esplodere della crisi attuale. Il
direttorio Trichet-Sarkozy-Merkel sta imponendo ai governi
nazionali politiche di riduzione della spesa pubblica e del
costo del lavoro il cui effetto imminente sembra essere la
deflazione e una recessione di lungo periodo.
Per salvare il sistema finanziario le risorse vengono dirottate
dalle strutture sociali verso il sistema bancario, e questo
comporta il taglio della spesa sociale, la riduzione dei salari,
la precarizzazione del lavoro. La competizione con i paesi di
nuovo sviluppo, si dice, richiede l’abrogazione di fatto
dell’eredità su cui riposa la modernità europea: la tradizione
umanistica, illuminista, socialista e democratica che fino a
pochi anni fa costituiva l’orizzonte insostituibile del discorso
ufficiale europeo.
In nome di una nuova necessità, inevitabile come un evento
della natura, si impongono regole il cui effetto non può che
essere la devastazione della civiltà sociale europea. Chi non
accetta le regole della nuova necessità sarà fuori del gioco,
mentre coloro che vogliono rimanere nel gioco devono
accettare ogni punizione, ogni rinuncia ogni sofferenza che
la nuova necessità richiede. Ma cos’è la nuova necessità, e
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Post/teca
perché mai dovremmo subirla?
Inquietante è il silenzio con cui assistono a questo processo
l’opinione pubblica e l’intellettualità europea – ammesso che
esistano ancora. Intellettuali come Habermas, Derrida e
molti altri, negli anni scorsi affermavano la necessità di
un’unità politica del continente, perché l’unione non fosse
unicamente una potenza finanziaria. Quel loro auspicio
sembra oggi realizzato, ma in maniera amaramente
paradossale. L’unità politica è finalmente realizzata, ma la
sua funzione è unicamente affermare il primato assoluto del
finanziario, il dominio degli interessi delle banche e delle
corporazioni sulla democrazia, sul Parlamento europeo e sui
Parlamenti nazionali.
In un’intervista a Massimo Giannini, uscita sulla
«Repubblica» di qualche settimana fa, il ministro Tremonti
aveva dichiarato che è inutile accalorarsi tanto su quello che
accade a Roma, dal momento che le decisioni essenziali
ormai non si prendono più lì, ma in sedi europee totalmente
sottratte alla discussione parlamentare. In Italia ci si
appassiona (si fa per dire) alla crisi terminale del regime
berlusconiano. Ma è davvero Berlusconi il problema? O la
devastazione della civiltà sociale è iscritta nelle regole
imposte dall’interesse della classe finanziaria globale che ha
fatto dell’Unione europea il suo strumento più rigido e
distruttivo?
via: http://www.alfabeta2.it/2010/12/18/cominciamo-a-parlare-del-collasso-europeo/
-----------------------
89
Post/teca
A rivista anarchica. Numero speciale.
Di Nadia Agustoni
[ Con un articolo di Paolo Finzi su una singolare figura
dell'anarchismo.]
Copertina bianca con il personaggio di Anarchik che in una vignetta
dice: “ Ehi! Sono passati quarant’anni!”, così il numero speciale di
“A rivista anarchica”, 258 pagine 10 euro, festeggia un compleanno
importante. E’ passata molta politica da queste parti, cultura (libri,
musica, interviste, rubriche, dibattiti) e sempre rinnovata la
presenza “dell’utopia”, del pensare un mondo diverso e un fare
concreto, con progetti che hanno toccano i campi dell’editoria, delle
comunità, dell’attivarsi nei quartieri e tra i rom e gli ultimi della
società. Da pagina 121 a pagina 210 tutte le foto delle copertine:
dal n 1, che ricorda un po’ i vecchi volantini e il ciclostile e quindi il
n.2 con il volto di Pietro Valpreda e con la storia che ci viene
incontro. Continuando troviamo altri pezzi di passato: “Gli anarchici
non archiviano. 1969/1979” e siamo al gennaio 1980, l’inizio di un
decennio di rimozioni, di sfaldamenti e di fughe in avanti e
indietro…
Molti collaboratori della rivista hanno scritto un pezzo apposito (c’è
anche la sottoscritta), e niente appare più importante o meno
importante: è un insieme che si compone sotto gli occhi e tutto
conta perché tutto ha contato; dal sindacalismo libertario
all’antimilitarismo, dalle donne agli uomini, dal femminismo
all’ecologia sociale. Su “A rivista” sono apparsi scritti di Colin Ward,
Murray Bookchin, Alex Comfort, e molti inserti speciali sono stati
dedicati ai classici del pensiero anarchico come a questioni attuali. I
cd di De Andrè, con inediti, e il cofanetto “ A forza di essere vento”
sullo sterminio degli zingari, sono alcune delle altre realizzazioni
della rivista, fatte con la cura che sempre contraddistingue il lavoro
della redazione e del direttore Paolo Finzi.
Dori Ghezzi nel suo breve intervento dice una cosa importante: “
Fino a un certo punto della mia vita, per me il concetto di anarchia
è stato una versione distorta rispetto a ciò che l’anarchia è nella
90
Post/teca
sua vera essenza; e credo che questo possa capitare alla maggior
parte delle persone condizionate da un’informazione che troppo
spesso usa a sproposito la parola anarchia. La presa di coscienza di
che cosa significasse è maturata conoscendo da vicino chi si
dichiarava anarchico con consapevolezza e onestà.”
A rivista anarchica, numero speciale 358, 10 euro.
La diffusione del numero avverrà anche in due serate che la
redazione sta organizzando:
c/o Circolo Arci “La Scighera” a Milano giovedì 24 febbraio
2011 e ancora da definire riguardo la località a fine maggio/inizio
giungo in Emilia Romagna. Per informazioni scrivere
[email protected]
Propongo di seguito l’intervento di Paolo Finzi “Quell’edicola che
non c’è più”.
(Franco Pasello)
Quell’edicola che non c’ è più. Di Paolo Finzi
Nella terza di copertina di ogni numero di “A” c’è l’elenco dei nostri
punti-vendita. Fino allo scorso numero, a Milano, accanto a librerie,
qualche edicola, centri sociali, ecc. c’era anche questa curiosa
indicazione: vendita diretta davanti alla Stazione Nord (p.le
Cadorna) tutti i mercoledì dalle 17 alle 19. Se andavi lì, nel luogo e
nell’orario indicati, trovavi lui, Franco Pasello, in piedi, di fronte
all’entrata più affollata della stazione, proprio nell’ora di punta del
rientro. In mano Umanità Nova, “A”, magari Sicilia Libertaria, e
appoggiati per terra o nella borsa (per evitare grane con i vigili o i
poliziotti), alcuni libri – magari proprio quello ordinatogli la
settimana prima da quello studente residente nel Varesotto e da
quel professionista, tutto elegante, che faceva il pendolare da
Como. Franco era un’edicola umana, o – se preferite – un
uomo/edicola.
Con regolarità, da decenni, presidiava quel luogo in quell’ora. Così
come aveva fatto per più di vent’anni, il sabato (prima per tutta la
giornata, poi – sai, è dura andarci direttamente dal lavoro dopo la
91
Post/teca
nottata del venerdì, quando si fa il pane triplo – solo al pomeriggio)
alla Fiera di Sinigaglia, il mercato delle pulci milanese. Per tanti
anni da solo, poi insieme con Lillino e Patrizio, poi di nuovo da solo.
Era mitico Franco, aveva un’innata capacità di vendita, era la gioia
di noi editori. In realtà il trucco c’era, quel ragazzone che con il
passare degli anni diventava più vecchio restando sempre un
ragazzone, investiva molto di sè in quell’attività apparentemente
commerciale. Sembrava che vendesse, in realtà cercava l’occasione
per parlare, per spiegare le nostre idee, per dire e ascoltare
commenti sull’attualità, per “cuccare” o almeno cercare di farlo con
le ragazze. Era solido come un’edicola vera, te lo ritrovavi lì con la
pioggia e il gelo (che a Milano non mancano, con un inverno che
può andare da ottobre a marzo), sempre con la sua chiacchiera, il
suo sorriso, la sua comunicativa. Quando me lo ritrovavo al fianco
in qualche corteo, si divertiva sempre a fare il confronto con la mia
incapacità: io vendevo per venti euro, lui per settanta, più un
abbonamento, più il cellulare di una ragazza, più il volantino della
cena vegana dato a due di Mortara, ecc.. A volte mi sembrava
anche eccessivo, al limite dell’insistenza.
Franco non era amico dei Rom, era un Rom. Non a caso solo nei
campi regolari e irregolari lui si sentiva del tutto a casa propria. Più
ancora che in redazione, dove in media è venuto almeno una volta
alla settimana per 35 anni – e, d’estate, quando non andava in
ferie, ti si piazzava qui con la chiacchiera, ed era un problema (e
solo qualche Franco ne parliamo la prossima volta, se no non
riusciamo a fare la rivista nuova e ti tocca continuare a vendere
quella vecchia lo faceva desistere).
I suoi amici Rom (qualcuno anche amico mio) non gli rompevano,
come noi a volte facevamo, con l’invito a curarsi i denti, a lavare più
spesso i suoi vestiti, a darsi una regolata. Nei campi era amato,
faceva foto a tutti, ma soprattutto parlava, stava ad ascoltare,
cercava di capire quel mondo così diverso dal nostro. Dal nostro?
Che dico: certo Franco, persona di grande sensibilità umana, di
attente letture, di fini ragionamenti, partecipava anche al nostro
92
Post/teca
mondo anarchico, ma la componente Rom è andata assumendo
sempre maggiore peso nella sua vita. E lui, single certo non per
scelta, ha sempre trovato nella grande famiglia allargata degli
zingari, dei giostrai, dei Sinti la propria famiglia: quella famiglia che
non ha mai avuto, da piccolo, e che non si è creato da grande (e chi
lo conosce sa quanto ciò gli pesasse).
E allora ti snocciolava le parentele, i Braidic, i matrimoni incrociati,
le detenzioni (tante) e le scarcerazioni (poche), e le fuitine delle
ragazze, i raid nei campi delle forze dell’ordine. E poi comprava e
divorava tutto quanto c’era sui Rom, la loro storia.
Aveva una forte etica del lavoro. Non saltava mai un turno di notte,
aveva un’intima coscienza del valore sociale del panificare.
Non era un “talebano”. Convintissimo delle idee anarchiche, dedito
come pochi altri alla loro diffusione, aveva una mentalità aperta,
frequentava anarchici di tutti i tipi, da quelli dei centri studi agli
insurrezionalisti, attento a capire ma fermo nei propri
convincimenti. Bazzicava i vegani e mangiava carne, era di fondo
un individualista ma non si applicava etichette e non considerava
quelle altrui dei filtri per l’amicizia o la collaborazione. Era critico
verso le forme che gli apparivano troppo organizzate nel
movimento anarchico, ma (per esempio) aveva tanti amici nella FAI
(di cui non avrebbe mai fatto parte) e ne vendeva il settimanale
anche se spesso non ne condivideva il taglio o alcune cose: era
troppo libertario e serio per farsi condizionare, nella sua attività di
venditore, da giudizi personali e contingenti. In questo, era più
serio e affidabile di altri che, pur parlando di militanza e di
organizzazione, introducono motivi polemici ad ogni piè sospinto.
Era molto sensibile, anche troppo – se esiste il troppo. E per una
sua vicenda personale, che aveva a che fare con amore, paternità e
altre cose di grande rilievo personale, perse quasi la testa e
arrivammo a litigare di brutto. Per tanto tempo ridusse di molto la
sua frequentazione della redazione e si ritrovò “contro”, fortemente
critici, tanti compagni e amici. Fu un periodo orribile per lui, per
altri e altre, per noi.
93
Post/teca
Capii in quei mesi, lunghi mesi, che cosa significhi “sangue del mio
sangue”. Scientificamente Franco non era sangue del mio sangue,
ma di fatto è come se lo fosse: non fui capace di rompere con lui –
di litigare sì, e tanto – per quante stronzate potesse fare (e ne fece,
quante ne fece in quel periodo). Era come un mio fratello minore, o
forse Aurora e io eravamo per lui figure un po’ genitoriali – ed io in
particolare, forse, in parte, quel padre che non ebbe mai e che
ancora non tanto tempo prima di morire era andato a cercare a
Lendinara, il paese del Rodigino in cui era nato 56 anni fa.
Risultato: una volta saputo chi era, il padre lo cacciò, intimandogli
di non farsi più vedere, se no avrebbe chiamato i carabinieri.
Quanta sofferenza nel suo racconto di questo viaggio nella terra
natia!
Ne aveva vissute di cose forti, Franco. Come quella notte di una
quindicina di anni fa’, quando si era ritrovato, come sempre, nel
cuore della notte, solo con il panettiere per cui lavorava. Per una
tragica fatalità, il suo “padrone” letteralmente perse la testa,
risucchiata e maciullata negli ingranaggi di un macchinario. E da
solo con quel cadavere decapitato e sanguinante, Franco aveva
dovuto avvisarne la moglie, che abitava nello stesso stabile, finendo
– Franco – all’ospedale sotto shock. E da qui aveva chiamato
Fausta, della redazione di “A”. Noi, la sua famiglia.
Tante immagini si affollano nella mente: la campagna per Monica
Giorgi, Senzapatria, il periodo della sua appartenenza al gruppo
Anarres (l’unica sua “appartenenza” che io ricordi), le sue critiche a
tante cose che abbiamo pubblicato, la sua passione per la bici
(rigorosamente l’unico suo mezzo di trasporto), la sua essenzialità
nel vivere, con tirchierie e generosità.
Tra tante immagini, spicca la nostra prima volta. Era il 1976, ero in
corrispondenza con lui, giovane detenuto per rifiuto del servizio
militare. Si era fatto vivo prima dal carcere militare di Gaeta, poi da
quello civile (si fa per dire!) di Sondrio, per chiedere l’invio della
rivista e di alcuni libri. Poi uscì e ci scrisse. Abitava non distante
dalla redazione, ma non venne a trovarci. Insistetti e alla fine
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Post/teca
venne, era imbarazzatissimo, non spiccicava una parola, ma ci fece
subito simpatia. Tornò, lo intervistai. Poi ci fece conoscere sua
madre, fummo invitati a pranzo. Il ghiaccio era rotto. Ora tutto
questo appartiene al passato.
Franco è morto, un ictus a casa sua, mentre due Rom che lui
aiutava da tempo (me ne aveva parlato) erano probabilmente
passati a lavarsi i vestiti e a bere un caffè. Quei due Rom rumeni,
che dormono in un’auto, non troveranno nessun altro gagio (come i
Rom e i Sinti definiscono i non-appartenenti al loro popolo) che
apra loro le porte della propria casa e della propria vita, come
faceva con naturalezza Franco. Una cosa che nessuno di noi, pur
grandi teorici della solidarietà e bla bla bla, farebbe mai. E che lui,
invece, faceva. Concretamente.
Ma anche qui il trucco c’era. Franco smettila di imbrogliarci. Ora che
sei morto, lasciaci dire la verità: tu non sei mai stato un gagio. E i
tuoi fratelli Rom, i soliti imbroglioni, lo sapevano o almeno lo
percepivano.
fonte: http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2010/12/05/a-rivista-anarchica-numero-speciale/
------------------------
Avatar ha ritmo nel senso che non ti
addormenti ma ha un difetto enorme: non
appassiona. Non è altro che un’accozzaglia di
“già visto” che non aggiunge nulla nè al
genere “fantascienza e dintorni” nè,
ovviamente, alla storia del cinema. E poi fa
ridere quando non c’è niente da ridere.
Cose a cui ho pensato mentre mi -yawn95
Post/teca
annoiavo:
Il film si apre con un occhio che si apre ed è
Lost. C’è Sigurni Uivah ed è Alien. Poi un
robot gigantesco mezzo umano ed è
Yattaman. C’è Michelle Rodriguez aka ANA
LUCIA ed è Lost again. Un branco di
lucertoloni ed è Giurassic Park. C’è Giovanni
Ribisi ed è Phoebe Buffet. Una svaria di
elicotteri e di aerei che compare dalla parte
destra dello schermo ed è Apocalipse Now e
anche Apocalipse now redux. L’eroe si infiltra
da infiltrato ed è Cavallo di Troia. C’è
un’enorme quercia che crolla ed è caduta del
comunismo. Ci sono due che fanno l’amore
in mezzo alle lucciole ed è Lady Oscar. La
popolazione di indigeni lucertoloni blu si
mette a pregare inchinandosi ad un albero -!ed è Re Leone. C’è scissione tra fazioni di uno
stesso partito ed è Sinistra Italiana. I
lucertoloni si mettono a fare strana danza ed
è All Blacks. Ah, i lucertoloni sono tutti blu e
96
Post/teca
hanno capo anziano ed è I Puffi e Grande
Puffo (sì, c’è anche Puffetta). L’Eroe viene
schifato ma poi viene accolto come un Dio ed
è Gesù Cristo. L’Eroe incita lucertoloni alla
rivolta con grande profitto ed è Braveheart.
Per dire quando parlo di accozzaglia.
"
— TuttoFaMedia (via darkpassenger)
(via rinello)
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Gli operai, la FIAT e il PD
Per comprendere meglio ciò che accade a Mirafiori e a Pomigliano è
necessario affondare lo sguardo nelle tendenze storiche che muovono il
capitalismo del nostro tempo. E bisogna scomodare Marx, che aveva
colto come «legge fondamentale dell’accumulazione capitalistica » una
tendenza già evidente ai suoi tempi e oggi conclamata: «Dato che la
massa di lavoro vivo impiegato diminuisce costantemente in rapporto
alla massa di lavoro oggettivato da essa messo in movimento (cioè ai
mezzi di produzione…) anche la parte di questo lavoro vivo che non è
pagato e si oggettiva nel plusvalore, dovrà essere in proporzione
costantemente decrescente rispetto al valore del capitale complessivo
impiegato». Nel corso del suo sviluppo, dunque, il capitalismo riduce
costantemente la quota di lavoro per unità di prodotto, cercando di
sfuggire alla caduta tendenziale del saggio di profitto e di sostenere la
competizione. Quella competizione che oggi si fa a se stesso,
delocalizzando parte delle imprese nei paesi a bassi salari. Ma il capitale
97
Post/teca
che espelle lavoro cerca di sfruttare più intensivamente quello che
impiega, perché più ridotta diventa nel frattempo la quota da cui può
estrarre plusvalore. André Gorz ha riassunto questa contraddizione che
stritola i lavoratori: «Più la quantità di lavoro per una data produzione
diminuisce, più il valore prodotto per lavoratore – la sua produttività –
deve aumentare affinché la massa del profitto realizzabile non
diminuisca. Si ha dunque questo apparente paradosso per cui più la
produttività aumenta, più è necessario che aumenti ancora per evitare
che il volume del profitto diminuisca». «La corsa alla produttività tende
così ad accelerarsi, gli impiegati effettivi a essere ridotti, la pressione sul
personale a inasprirsi, il livello e la massa dei salariati a diminuire». In
questa morsa oggi, letteralmente, si soffoca. Chi ha la pazienza di
leggersi la grande inchiesta della Fiom del 2008, cui hanno partecipato
100 mila lavoratrici e lavoratori, può farsene un’idea. Siamo dunque
giunti a una fase storica nella quale o noi costringiamo il capitalismo a
cambiare il suo modello di accumulazione, o esso trascinerà l’intera
società industriale nella barbarie. Non è un’espressione di maniera. Non
è uno slogan. Chi oggi, anche in buona fede,difende il nuovo
contratto imposto da Marchionne, crede che il cedimento sia
accettabile come un compromesso temporaneo, dovuto alla
crisi in atto e ai vincoli della competizione mondiale. E’ un
gravissimo errore. Questa idea fa parte di una campagna
pubblicitaria che punta a far arretrare ulteriormente i rapporti di classe
con un argomento puramente propagandistico: oggi occorre tirare la
cinghia per poter ritornare allo splendore di prima. Ma prima
il cielo era davvero così splendido?
(lo scompongo ch’è lunghetto, non fatevi trarre in inganno dall’inizio
pieno di tecnicismi, il resto è molto più leggibile ndr)
Che questa sia una menzogna è possibile illustrarlo con una semplice
analisi storica, con fatti scientificamente verificabili. Prima della crisi,
nel 2000, nei paesi dell’Ocse si contavano 35 milioni di lavoratori
disoccupati. Come ha spesso illustrato Luciano Gallino, i nuovi posti di
lavoro creati in Europa sono stati in gran parte «a tempo» e precari.
Negli Usa, non solo i nuovi posti di lavoro – per lo più nei servizi e con
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Post/teca
ampie quote di part-time femminile – sono stati gonfiati dal sistema di
rilevazione statistica: una sola settimana di lavoro poteva «fare» un
impiego annuale nelle stime generali sull’occupazione. Ma in quegli anni
sparivano dalle statistiche oltre 2milioni di persone «occupate» nelle
carceri di Stato (e in quelle private). E qualche anno fa abbiamo scoperto
che tra il 1973 e il 2005 il reddito dei lavoratori «è lievemente
diminuito». Ma sul paese più ricco del mondo, epicentro della crisi
mondiale, voglio aggiungere due dati che persuaderanno il lettore. Nel
1995 il numero dei bambini al di sotto della linea ufficiale di povertà
assommavano al 26,3%, quasi alla pari con la Russia di Yeltsin (26,6%),
allora in vendita ai predoni di tutto il mondo e in mano alle mafie locali.
In tale statistica – da un’inchiesta comparativa su 25 paesi – figuravano
al 3° e 4° posto il Regno Unito (21,3%) e l’Italia (21,2), i paesi più zelanti
nell’applicare verbo e dettami del pensiero neoliberista. E sempre per
restare negli USA, già nel 1990 la National Association of State Board of
Education aveva dichiarato senza mezzi termini: «Mai prima una
generazione di teenagers americani è stata meno sana, meno curata,
meno preparata per la vita di quanto lo fossero i loro genitori alla stessa
età». Potremmo continuare. Ma qui è sufficiente ricordare è che già
prima della crisi il capitale aveva saccheggiato il lavoro salariato e i
redditi dei ceti medi, senza risolvere il drammatico problema della
disoccupazione e diffondendo la precarietà. In Italia, dopo decenni di
asservimento del ceto politico – di centro-sinistra e centro-destra – alle
ragioni dell’impresa, è andata anche peggio. Nell’utilizzare il termine
asservimento, non mi riferisco solo alle vendite del patrimonio pubblico,
alla liberalizzazione di tanti servizi municipali. In questo caso penso alla
deliberata volontà di scaricare sul lavoro i rischi dell’impresa,
rendendo il lavoratore flessibilmente subordinato alle sue
necessità. Dalla Legge Treu del 1997, alla Legge 30 del 2003, il
capitalismo italiano ha potuto godere di condizioni di generosa
disponibilità nell’uso della forza lavoro. Con quale esito? Mi è sufficiente
sintetizzare i risultati di tale geniale strategia con un bilancio recente
(2008) del Governatore della Banca d’Italia: «Negli ultimi vent’anni la
nostra è stata una storia di produttività stagnante, bassi investimenti,
99
Post/teca
bassi salari, bassi consumi, tasse alte». Tasse relativamente più gravose
per gli operai che – secondo un’indagine Ires – tra il 2002 e il 2008
hanno lasciato al fisco, mediamente, 1.182 euro delle loro misere paghe.
E per finire (dati Banca d’Italia 2008), la metà più povera della
popolazione possedeva il 10% della ricchezza nazionale, mentre il 10% di
quella più ricca deteneva il 44%. E allora torniamo alla Fiat, agli operai,
ai partiti politici. Quanto abbiamo ricordato significa innanzi tutto una
cosa: la politica moderata del centro-sinistra, che ha attuato –
non diversamente dal centro- destra – le ricette neoliberiste,
non è minimamente servita a difendere i ceti operai, anzi li ha
ulteriormente impoveriti. Non ha ottenuto maggiori investimenti da
parte delle imprese, ha contribuito a fare arretrare il paese nel suo
complesso. Continuare su questa linea fallimentare, con l’idea di «uscire
dalla crisi» secondo la ricetta moderata, costituirà una sciagura di
portata incalcolabile per le masse popolari e per tutta la società
industriale italiana. Il tracollo economico in cui siamo immersi non è la
solita crisi ciclica. Altrimenti non avremmo avuto così tanta
disoccupazione e povertà prima che essa esplodesse. Nelle fasi alte del
ciclo – come sappiamo dalla lunga storia storia dei tracolli capitalistici –
crescono ricchezza e occupazione. Noi abbiamo avuto soltanto la bolla
finanziaria, cresciuta sul debito. La «crisi» di questi anni è il risultato di
un gigantesco saccheggio di reddito che il capitale ha compiuto in una
fase storica di debolezza del suo avversario di classe e del movimento
operaio organizzato. Perciò dal presente imballo sistemico non si
esce se non attraverso una altrettanto gigantesca opera di
redistribuzione della ricchezza. Un compito di ampia portata, ne
siamo consapevoli. Ma bisognerebbe innanzitutto incominciare a
dichiararlo. Poi predisporre le forze. Perché oggi, per essere all’altezza
delle sfide, bisognamettere in piedi un fronte di conflitto sociale di non
comune ampiezza. Il comportamento «moderato» di tanti dirigenti del
Pd, sostanzialmente favorevoli ad accettare la strategia di Marchionne, è
a mio avviso un fatto drammatico, che impone una presa d’atto di tutte
le persone che militano oggi nella sinistra. Il Pd: «un amalgama
malriuscito» è stato definito da chi conosce la materia (e lo disse
100
Post/teca
d’alema in persona, figuriamoci ndr), avendo ridotto la politica all’arte
di «amalgamare» capipartito. Credo che sia stato qualcosa di ben più
grave. La scelta veltroniana del «bipartitismo perfetto» rivela
una lettura di retroguardia delle tendenze politiche mondiali.
Laddove esso è stato storicamente dominante (Usa e UK) oggi
appare una barriera all’esercizio della democrazia. Gli scienziati
della politica hanno coniato in proposito il termine di cartel party,
cartello di partiti, per indicare questo assetto di duopolio che emargina
le voci e le culture politiche dissenzienti e realizza invariabilmente le
medesime politiche alternandosi alla guida degli esecutivi. Ma è la scelta
di equidistanza tra le classi, il moderatismo sociale, che oggi fa del Pd –
sia detto con tutta la responsabilità che l’argomento e il momento
richiedono – un partito inservibile. Ha privato la società italiana di una
opposizione che portasse i bisogni del paese dentro il Parlamento.
Qualcuno dei lettori ha mai sentito D’Alema, Veltroni, Bersani parlare –
poniamo – di legge urbanistica e di problemi della città, di assetto del
territorio, di riscaldamento climatico, di agricoltura biologica, di ritmi di
lavoro e di sfruttamento in fabbrica, di beni comuni? Non aggiungo
all’elenco precarietà e disoccupazione, perché sono presenti nel loro
vocabolario, ma come slogan privi di qualunque contenuto. Mi permetto
di continuare con le domande. Quanto, la sfida che Marchionne ha
lanciato alla Fiom e alla classe operaia di Pomigliano e di Torino, si
fonda sul calcolo di un’opposizione benevola di tanta parte del Pd? E
infine una questione generale, relativa alla vita politica italiana recente:
quanto il dilagare della Lega nelle zone operaie del Nord o la
permanenza del potere berlusconiano, anche in queste ultime settimane,
dipendono direttamente dall’assoluta incapacità del Pd – culturale ancor
prima che politica – di rappresentare gli interessi delle masse popolari,
di offrire agli italiani un progetto e almeno un’immagine diversa di
società? Il moderatismo politico non è oggi una scelta di prudenza, di
politica dei piccoli passi. È piuttosto un galleggiamento sull’esistente. Ma
l’esistente, dominato oggi da forze predatorie, non rimane fermo, tanto
meno procede verso il meglio. Si indietreggia lentamente sul terreno
sociale, dei diritti, della democrazia. In una fase storica in cui solo la
101
Post/teca
ripresa del conflitto può ridare equilibrio alla macchina economica e alla
società, come anche significato e forza alla politica, i partiti moderati
sono inservibili. Sono oligarchie parassitarie. Danno ospitalità
permanente a professionisti che vivono di politica. E dobbiamo
amaramente concludere: a che serve un Pd che crede di uscire dalla
situazione in cui siamo precipitati replicando la politica che ci ha
condotti sino a questo punto?
Piero Bevilacqua - Il Manifesto del 4 gennaio 2011
via: http://classe.tumblr.com/post/2598707865/gli-operai-la-fiat-e-il-pd
---------------------
tempibui:
Amava sempre ripetermi mia nonna, quando ero piccola, un insegnamento da non
scordare mai: “Stai attenta nella vita: se sputi in cielo, in faccia ti ritorna.”
-------------------“I migliori afrodisiaci per le donne sono le parole, il punto G è nelle orecchie.”
—
Isabel Allende (via
carapacedicristallo)
----------------flusso di cocenza
uds:
non capisco cosa vogliano dimostrare le coppie che, anche dopo anni, fanno tutto
assieme. conosco veramente gente che lo vota perché è il presidente del milan.
praticamente tutti i telefilm inglesi che mi capita di vedere prima o poi confermano
i pregiudizi sul curioso concetto di igiene degli albionici. i giochi in scatola sono
ok, specie quando uno dei partecipanti li prende troppo sul serio. a chi scherza su
tutto tranne che se stesso non dovrebbe essere consentito votare. un naso
leggermente aquilino in una ragazza è awwwww. non siamo esistiti per un sacco di
tempo, non esisteremo per anche più tempo: non è che dormo troppo, è tutto
102
Post/teca
allenamento. gli ottimi cattivi diventano buoni noiosi. svariati testimoni confermano
che i vestiti anni ottanta erano imbarazzanti già negli anni ottanta. in amore di solito
non soffre maggiormente chi ama di più, ma chi sa di aver meno speranze di trovare
qualcun altro in caso finisca; di norma nei rapporti comanda chi ha potenzialmente
più opzioni. il giorno libero passato al centro commerciale come fallimento del
sistema capitalistico. sì, ovviamente sei l’eccezione a ognuna di queste frasi, tu che
leggi, piccola splendente unicità in un universo composto al settanta per cento di
noia e al trenta per cento di pessima pubblicità.
------------------
Obiettivo 'migrazioni'. Di alfabeti
Una linea di ricerca condotta dall’Iliesi Cnr in collaborazione con Unesco e Fédération Internationale des
Sociétés de Philosophie mira alla traduzione sincronizzata dei testi filosofici mediante l’allineamento nelle
lingue di alfabeto non romano, come ebraico, arabo, farsi e cirillico. L’innovativo programma sarà
presentato a Roma, il prossimo 10 gennaio
Nella società della globalizzazione a migrare non solo le persone, ma anche le lingue e i saperi, questa l’idea
di fondo di ‘Migrazioni di alfabeti’, linea di ricerca dell’Istituto per il lessico intellettuale europeo e storia
delle idee del Consiglio nazionale delle ricerche (Iliesi-Cnr).
Il programma, che si inserisce nell’ambito del più vasto progetto interdisciplinare 'Migrazioni', al quale
prendono parte 13 Istituti del Cnr, sarà presentato a Roma, il prossimo 10 gennaio (Aula Marconi-Cnr,
piazzale Aldo Moro 7, ore 9:30), durante un convegno organizzato da Maria Eugenia Cadeddu e Riccardo
Pozzo dell’Iliesi-Cnr e introdotto da Tullio Gregory e Giovanni Puglisi (Commissione italiana per l’Unesco),
con la partecipazione di Istituto di informatica e telematica (Iit-Cnr) e Istituto di scienze e tecnologie della
cognizione (Istc-Cnr).
L’innovativa linea di ricerca, che mira ad ampliare nell’era del Web 2.0 l’accesso alle opere filosofiche più
significative di tutti i tempi e culture, mediante l’allineamento semantico di corpora filosofici nelle lingue di
alfabeto non romano come l’ebraico, l’arabo, il farsi e il cirillico, coinvolge altri 2 Istituti del Cnr ed è
realizzata in collaborazione con Unesco e Fédération Internationale des Sociétés de Philosophie (Fisp).
“L’obiettivo del nostro progetto è rendere accessibili in rete i testi filosofici nelle lingue originali e in
traduzione sincronizzata”, spiega Riccardo Pozzo. “Oggi studenti e studiosi si documentano molto sui testi
on line e grazie ai motori di ricerca possono trovare facilmente citazioni e corrispondenze fra ipertesti in
romano, arabo e greco. Con il nostro progetto estenderemo questa possibilità anche alle altre lingue di
alfabeto non latino”.
Dal punto di vista tecnologico, ‘Migrazioni di alfabeti’ “rende necessarie importanti sinergie di e-science,
che permettano di trovare le matrici per traslitterare da qualunque alfabeto in entrata a qualunque alfabeto in
uscita, e che realizzeremo grazie alle diverse competenze disciplinari dei ricercatori Cnr coinvolti”, prosegue
il direttore dell’Iliesi-Cnr. Dal punto di vista culturale, “la filosofia si presta particolarmente a questo
esperimento di allineamento semantico multilingue per via del suo lessico limitato e codificato. Ad esempio,
una stringa testuale in alfabeto greco antico come ‘conosci te stesso’ (gnōthi seautón) oggi traslitterata in
maniera pressoché univoca in alfabeto romano, in futuro produrrà altre traslitterazioni. Una volta raggiunto
103
Post/teca
questo traguardo, avremo ipertesti e libri elettronici in alfabeti diversi ma legati da comuni motori di ricerca
che permetteranno l’individuazione sempre più precisa di citazioni in originale e in traduzione nonché
l’elaborazione di confronti lessicali. Per il cinese si lavorerà sulle corrispondenze tra lemmi e ideogrammi”.
La posta in gioco è non solo la comprensione linguistica ma lo scambio dialogico tra le diverse identità
culturali grazie alle soluzioni informatiche sempre più raffinate. “L’Italia vanta un’antica tradizione di
eccellenza nelle scienze umane”, conclude Pozzo, “nel XXI secolo diventa però strategico coniugare la
filologia con la rivoluzione tecnologica della lettura. La migrazione degli alfabeti, dunque, rappresenta un
banco di prova importante”.
Al convegno parteciperanno tra gli altri: Gholamreza Aavani (Iranian Institute of Philosophy), Enrico Berti
(Iliesi-Cnr), Marcelo Dascal (Tel-Aviv University), Hans Poser (Technische Universität Berlin), Evandro
Agazzi (Universidad Autónoma Metropolitana de México), Gino Roncaglia (Università della Tuscia), Sandro
Schipani ed Emanuele Raini (La Sapienza-Cnr), Aldo Gangemi (Istc-Cnr) e Domenico Laforenza (Iit-Cnr).
Roma, 5 gennaio 2011
La scheda:
Che cosa: Convegno sul progetto ‘Migrazione di alfabeti’
Chi: Istituto per il lessico intellettuale europeo e storia delle idee (Iliesi-Cnr)
Dove: Cnr - Aula Marconi, Piazzale Ado Moro 7, Roma
Quando: 10 gennaio 2011, dalle ore 9:30
------------------
"Non basta essere governati oppressi
dall’uomo più ricco del Paese. No, la cosa
peggiore è che in molti tra quelli che non lo
trovano adatto, credano che sia una vergogna
internazionale, vorrebbero vederlo
processato o almeno in pensione, ignorano
una cosa fondamentale: è l’uomo più ricco
perchè ogni giorno qualcosa diventa suo, o
noi si contribuisce a finanziarlo. Anche chi
non lo sopporta. Il centro nevralgico del
104
Post/teca
berlusconismo non è l’uomo, ma il suo
potere. Potere d’acquisto chiaramente. Io
questa lista presente su Wikipedia la
conoscevo bene ma è malamente aggiornata:
Queste sono le attuali partecipazioni di
Fininvest: # Mediaset 38,62% # Arnoldo
Mondadori Editore 50,135% # A.C. Milan
100% # Mediolanum 35,130% # Teatro
Manzoni 100% # Mediobanca 2% #
Warnsing Design 20% Altre proprietá di
famiglia: # Il Giornale (ceduto a Paolo
Berlusconi nel 1992) # Edilnord (ceduta a
Paolo Berlusconi nel 1992) # Programma
Italia (fusa in Mediolanum) # Silvio
Berlusconi Editore (fusa in Mondadori) #
Medusa Film (confluita in Mediaset) #
Jumpy (confluita in Mediaset)
Questi quelli di cui ignoravo il
collegamento….
The Space Cinema catena di multisala
Lottomatica Uno degli azionisti è
105
Post/teca
Mediobanca S.p.A. - 5,213% (di cui 1,314% in
qualità di prestatore)
Poi ci sono i decoder … Nei primi anni
novanta, la Paolo Berlusconi Finanziaria s.r.l.
acquisì da parte del gruppo Fininvest anche
le attività edili (Italcantieri) ed immobiliari
(gruppo Edilnord), oltre a quelle commerciali
del Girasole, attive nella distribuzione tessile
(Zambaiti). La PBF srl (con la figlia Alessia)
detiene il 51% della Solari.com srl che dal sito
risulta essere in liquidazione dal 30 gennaio
2008. Socio di minoranza, con il 49%,
Giovanni Cottone su cui gravano pesanti
sospetti di appartenenza alla malavita
organizzata (fonte
AntimafiaDUEMILA.com). La Solari.com è
distributrice Amstrad, la quale, specializzata
nel settore elettronico, ha cominciato a
commercializzare i decoder DVB-T per
digitale terrestre a gennaio 2005; lo stesso
mese in cui è stato lanciato il servizio pay per
106
Post/teca
view Mediaset Premium. Nel 2006 la
Solari.com srl ha acquisito il marchio Garelli
e da allora commercializza con questo logo
gli scooter cinesi della Baotian Motorcycle
Industrial Company.
E molto altro ancora.
Finanziarlo per farsi rovinare.
Avete ancora qualche argomentazione valida
contro chi ha deciso di andarsene dall’Italia?"
—
3 nanosecondi dopo i nostri guai: Se vi ha fatto incazzare sapere di aver dato
involontariamente i soldi alla Chiesa, allora è il caso che vi sediate un attimo
(via 3n0m15)
------------------
"Ogni volta che un bimbo dice: ‘Io non credo
nella Madonna puttana’, c’è una Binetti che
da qualche parte cade a terra morta."
—
(scusate ma mi hanno fatto notare che non stavo mantenendo fede al nome
del mio blog)
[piú bimbi che dicono “madonna puttana” subito!]
(via emmanuelnegro)
(Source: madonnaliberaprofessionista, via ze-violet)
--------------
107
Post/teca
"Preferirei parlarti invece di scrivere, che
scrivere è una vigliaccata, è dire le cose alle
spalle, è rispondere quando si ha la risposta
pronta e il momento di rispondere è già
passato."
— Io sono di legno — Giulia Carcasi (via impararedalvento)
(Source: heart-attack, via biancaneveccp)
--------------
"E se posso darle un consiglio prima di
lasciarla, è di prendersi cura dei suoi occhi.
Sono magnifici quando ci mette dentro
qualcosa."
—
Prima di morire addio, Fred Vargas.
(via esistonostorie)
(via vivenda)
---------------------
"L’ignorante non si conosce mica dal lavoro
che fa ma da come lo fa."
— ah, Cesare Pavese, quante ce ne sarebbero da dire su questa frase (via
placesthatpull)
(Source: it.wikiquote.org, via lalumacahatrecorna)
-------------------108
Post/teca
Tardo Devoniano: perché avvenne l'estinzione di massa
Il risultato deve valere come monito per l'epoca attuale, in cui l'alto livello di
invasione di nuove specie sovrasta di gran lunga la speciazione
L'impatto della specie invasive può arrestare il processo naturale di formazione di
nuove specie dominanti e scatenare eventi di estinzione di massa: è questo il
risultato di un nuovo studio pubblicato sulla rivista online ad accesso libero PLoS
ONE.
L'analisi è basata sul collasso della vita marina verificatosi sul nostro pianeta tra
378 e 375 milioni di anni fa e corroborerebbe l'ipotesi che gli attuali ecosistemi
della Terra compromessi dalla perdita di biodiversità potrebbero andare incontro
a un destino simile.
Sebbene il pianeta sia stata teatro di cinque grandi eventi di estinzione, quello
del Tardo Devoniano si distingue dagli altri: il tasso di estinzione non fu maggiore
di quello normale, ma a venire meno fu la nascita di nuove specie.
Partendo dai risultati di precedenti studi e utilizzando l'analisi filogenetica per
esaminare alcuni eventi di speciazione, Alycia Stigall ricercatrice della Ohio
University e autrice dell'articolo si è concentrata sui bivalvi dell'ordine
Leptodesma(Leiopteria), su due brachiopodi Floweria e Schizophoria
(Schizophoria), così come sui crostacei predatori dell'ordine Archaeostraca.
Questi piccoli organismi marini dotati di guscio erano tra i più comuni abitanti
degli oceani del Tardo Devoniano che, secondo le attuali conoscenze, hanno
ospitato il più esteso sistema di barriere coralline di tutta la storia del pianeta.
Altrove, sulla terraferma, in tale periodo iniziarono a formarsi le prime foreste e
gli anfibi cominciarono a uscire dall'acqua.
Con nuovi habitat disponibili e con l'instaurarsi di un nuovo clima, cominciarono a
espandersi anche le popolazioni di specie invasive, favorite dalla possibilità di
sfruttare diverse fonti alimentari: in tale periodo le specie invasive erano così
prolifiche da impedire la nascita di nuove specie.
Tutte le specie studiate subirono una sostanziale perdita di diversità durante il
Tardo Devoniano, e le specie di Floweria si estinsero. L'intero ecosistema marino
soffrì un enorme collasso; i coralli delle barriere furono decimati e queste non
ricomparvero prima di 100 milioni di anni.
La ricerca suggerisce che all'origine dell'estinzione di massa potrebbe esserci
stata la mancanza della tipica modalità di formazione di nuove specie, la
vicarianza, che si verifica quando una popolazione originaria viene divisa in due
109
Post/teca
da un processo a lungo termine che modifica l'habitat, come il sollevamento di
una catena montuosa o la formazione di un'isola dovuta all'innalzamento del
livello del mare. Nuove specie si possono originare anche per dispersione, quando
una sottopopolazione si sposta in un nuovo habitat.
“Quella del Devoniano è definita estinzione di massa, ma fu in realtà una crisi di
biodiversità”, ha spiegato la Stigall. “Questa ricerca contribuisce in modo
significativo alla nostra comprensione delle invasioni delle specie su un arco
temporale molto ampio: le registrazioni fossili documentano che questa
principale modalità di speciazione si interruppe durante questo periodo. Il
risultato deve valere come monito per l'epoca attuale, in cui l'alto livello di
invasione di nuove specie sovrasta di gran lunga la speciazione”. (fc)
fonte: http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/Tardo_Devoniano:_perch
%C3%A9_avvenne_l_estinzione_di_massa/1346144
-----------------
arewekidding:
unavitadaimparare:
prezzemolo:
uds:
in amore di solito non soffre maggiormente chi ama di più, ma chi sa di aver
meno speranze di trovare qualcun altro in caso finisca; di norma nei rapporti
comanda chi ha potenzialmente più opzioni.
tre righe di spiegazioni e duemilioni di anni di sbattimenti di neuroni
sai quelle rivelazioni che ti aprono a nuovi mondi?
Sai quelle rivelazioni che ti chiudono l’unico che hai, e rimani col buio
dentro? ecco…
via: http://plettrude.tumblr.com/
fonte: http://arewekidding.tumblr.com/post/2607894004
-----------------In un libro ci si tuffa
110
Post/teca
come un birba nella zuffa,
come in mare il cormorano
o un pigrone sul divano,
come un bacio sulla guancia,
come lingua nell'arancia,
come l'ape dentro il fiore
o l'amante nell'amore,
come amante nel guadagno
o la rana nello stagno.
Versi di Roberto Piumini
via:
http://mestierediscrivere.splinder.com/post/23822983/in-un-libro-ci-si-tuffa
-------------------
Non credo che Cristo si scandalizzasse mai. Anzi, non s’è mai
scandalizzato.
Si scandalizzavano i Farisei.
Alberto Moravia, intervistato da Pasolini
via: http://lachimera.tumblr.com/
--------------
"Chi rifiuta il sogno deve masturbarsi con la
realtà."
— Ennio Flaiano (via alkemilk)
(via washingmachine9)
---------
"Prima di lavorare alla Sagrada Familia,
111
Post/teca
Antoni Gaudì realizzò la Pedrera, un
condominio fantastico, tanto bello quanto
poco “pratico”. Racconta la Lonely Planet che
quando una inquilina si lamentò con Gaudì
perché nessuna delle stanze riusciva a
contenere il suo pianoforte, lui le suggerì di
iniziare a suonare il flauto."
—
(River)
Quando uno è un genio, è genio.
(via eclipsed)
(via paz83)
----------
"Non mi devi giudicare male
anch’io ho tanta voglia di gridare
ma è del tuo coro che ho paura
perché lo slogan è fascista di natura."
—
Daniele Silvestri - Voglia di gridare
Spesso, aprendo tumblr, mi viene in mente questa canzone.
(via divara)
------------
L’addio al Duse di Bologna
Se Verona ancora spera, Bologna ha già detto
112
Post/teca
addio al teatro più antico della città, 400
anni di storia spazzati via da un Bondi
qualsiasi. Il Duse non riaprirà nel 2011, il più
antico della città, gestito dall’Eti fino alla sua
soppressione, decisa a fine maggio dal
Governo. Il 31 dicembre, infatti, scadrà il
contratto di affitto del teatro pagato fino ad
oggi dal ministero dei Beni Culturali. Vani i
tentativi di salvataggio, guidati dall’assessore
regionale alla Cultura Massimo Mezzetti e dal
commissario di Bologna Anna Maria
Cancellieri, più volte in missione a Roma
negli ultimi mesi: il progetto di rilancio che
avrebbe trasformato il Duse in parte attiva di
un polo teatrale regionale non è andato in
porto. Così, a pochi giorni dall’ultimo
spettacolo (sul palco c’era Giorgio Comaschi
e per l’occasione erano state organizzate
anche visite guidate alla struttura), i
dipendenti hanno voluto ricordare con un
ultimo messaggio la scomparsa del teatro,
113
Post/teca
”un palcoscenico tra i più capienti e
importanti d’Italia con i suoi 1.000 posti: da
qui è passato e si è esibito tutto il meglio del
teatro dagli anni ’50 al maggio scorso”.
"
— Tagli alla cultura. Gli effetti su alcuni dei più famosi teatri nazionali.
ilfattoquotidiano.it (via 3nding)
(via hneeta)
------------
A colazione da Ubaldo.
Tragedia alfabetica in atto
unico.
Posted 1 day ago
Ad Asti arriva l’Ammiraglio.
- Buongiorno beve brandy?
- Le 5 e 50. Credo che comincierò con caffè.
- Dio. Dimentichi del drink. Dorotea!! Due datteri da divorare.
- E l’espresso.
- Favorisce frutta fresca?
- Grazie generale gradisco.
- Incontrai Innocenza ieri.
- La lurida libertina?
- mmm. Menzionavo la mia massaggiatrice. Mi massaggiò i malleoli ma
mentre massaggiava mi morse la mutanda.
- Neanche ai nani ne nega.
- Odo ordunque onta? Onorerò l’onore!
114
Post/teca
- Per piacere. Parliamo più piano. Pratica puttanaggio per portar pane
alla prole. Pensavo presumesse.
- Qual qui-pro-quo questo.
- Riccia? Rossa? Robusta?
- Si sebbene sembra strano.
- Troione.
- Udii ugoleggiare “Ubaldo unico uomo.”
- Voltato il vento, voleva valori vero?
- Zoccola.
FINE
fonte: http://wollawolla.tumblr.com/post/2582615916/a-colazione-da-ubaldo-tragedia-alfabetica-in-atto
---------
ode al cazzo piccolo
Posted 5 days ago
ciò che piace alla pupilla
e poi sazia la papilla
ma che non soddisfa la pipilla
fonte: http://wollawolla.tumblr.com/post/2528007638/ode-al-cazzo-piccolo
-----------
Da quando sono morto vivo meglio
ecco, credo che questo sia l’epitaffio definitivo che vorrei sulla mia lapide.
via: http://paz83.tumblr.com/post/2608580315/da-quando-sono-morto-vivo-meglio
--------
Dio è grande, ma Voltron è più forte.
Dio mica ci ha:
Aghi a neutroni: Piccoli aghi sparati dalla due estremità poste sulla testa del robot.
Croce radioattiva: Croce energetica sparata dallo scudo posto sul petto del robot.
115
Post/teca
Dardi allo ionio: Raffica di missili sparati dalle bocche dei leoni poste sulle braccia del robot
Elettro saetta: E’una lancia scagliata verso il nemico.
Frusta
Lama laser: Disco rotante dotato di spuntoni acuminati.
Lingue di fuoco inferiori
Lingue di fuoco superiori
Missile al protone: Missili lanciati dalle bocche dei leoni che costituiscono i piedi del robot.
Morso: Le bocche dei leoni che compongono le braccia e le gambe possono azzannare il
nemico.
Occhi laser
Pistole rotanti: dalle parti esterne delle gambe in prossimità delle ginocchia del robot vengono
lanciati una raffica di missili.
Sfera distruttrice: E’ una mazza ferrata che viene scagliata contro il nemico.
Ma soprattutto non è la combinazione di 5 leoni robot assemblati fra loro. Vogliamo ancora
mettere Dio con Voltron difensore dell’universo?
fonte: http://paz83.tumblr.com/post/2583657387/dio-e-grande-ma-voltron-e-piu-forte-dio-mica-ci
--------------
La nostra destinazione non è mai un luogo, ma un
modo nuovo di vedere le cose»William Least Heat-Moon, Strade blu
(via babbicciu)
via nobordersdaily
via: http://placesthatpull.tumblr.com/
---------
avere ragione
uds:
le persone che guardano i telefilm si dividono in due categorie.
ci sono quelli che rompono le balle con la lingua originale, e l’adattamento, e il
doppiaggio, eh ma senti che voci gli hanno messo, eh ma che vergogna, eh ma il
rispetto per l’opera originale, no per carità io non guardo più niente doppiato.
e poi invece ci sono gli altri, quelli che non capiscono un cazzo.
diccelo te a quelli lì!
(con affetto, eh.)
116
Post/teca
via: http://thebeginningoftheend.tumblr.com/post/2498802855
-------------
"Niente buoni propositi per il 2011: devo ancora
realizzare quelli del ‘97."
nubetossica (via waxen)
(via batchiara)
via: http://thebeginningoftheend.tumblr.com/post/2380267926
--------------
"I periodi in cui l’arte non ha grandi uomini […]
sono periodi di decadenza spirituale . […]. In
queste epoche silenziose e cieche gli uomini
danno importanza solo al successo esteriore, si
preoccupano unicamente dei beni materiali, e
salutano come una grande impresa il progresso
tecnico, che giove e può giovare solo al corpo. Le
energie spirituali vengono sottovalutate, se non
ignorate.
[…]
L’arte, che in tempi come quelli, ha vita misera,
serve solo a scopi materiali. E poiché non
conosce materia delicata cerca un contenuto nella
117
Post/teca
materia dura . Deve sempre riprodurre gli stessi
oggetti. Il “che cosa” viene eo ipso meno; rimane
solo il problema di “come” l’oggetto materiale
debba essere riprodotto dall’artista. Questo
problema diventa un dogma. L’arte non ha più
anima. Su questa via del “come”, l’arte procede.
Si specializza e diventa comprensibile solo agli
artisti, che cominciano a lamentarsi
dell’indifferenza del pubblico. Poiché in tempi
simili l’artista medio non ha bisogno di dire
molto e gli basta un minimo di “diversità” per
farsi notare e osannare da certi gruppetti di
mecenati e conoscitori (il che può comportare
grandi vantaggi materiali), una gran massa di
persone superficialmente dotate si butta sull’arte,
che sembra così facile. In ogni “centro artistico”
vivono migliaia e migliaia di artisti, la maggior
parte dei quali cerca solo una maniera nuova, e
crea milioni di opere d’arte col cuore freddo e
l’anima addormentata. La “concorrenza” cresce.
La caccia spietata al successo rende la ricerca
118
Post/teca
sempre più superficiale. I piccoli gruppi, che
casualmente si sono sottratti a questo caos di
artisti e di immagini si trincerano nelle posizioni
conquistate. Il pubblico, che è rimasto arretrato,
guarda senza capire, non ha interesse per un’arte
simile e le volta tranquillamente le spalle."
Wassily Kandinsky, Lo spirituale nell’arte.
trad. Elena Pontiggia,
Milano, SE 1989, pp. 24-25.
via http://www.phemios.net
via: http://el-hereje.tumblr.com/
------------
Farsi passare una sbronza
Il Guardian fa l'elenco dei metodi usati in giro per il mondo per riprendersi dopo una gran bevuta
Noi ci mettiamo alcune delle migliori sbronze della storia del cinema: Dean, Murray, Hepburn e
Dumbo
Il Guardian ha provato a fare un elenco dei metodi migliori per farsi passare la sbronza,
probabilmente considerando che con i bagordi di queste settimane in molti ne avrebbero
beneficiato. Gli scienziati dicono che l’importante è assumere soprattutto cibi ricchi di
amminoacidi, che contrastano gli effetti dell’alcol. Ma a partire da questa indicazione di
base, ogni cultura ha poi sviluppato le sue varianti. Con alcune soluzioni abbastanza
estreme.
Il piatto post-sbronza più diffuso dei paesi anglosassoni è sicuramente il cosiddetto Eggs
Benedict: pane, uova, pancetta e salsa olandese. Si dice che la ricetta fosse stata messa a
punto a fine ottocento da un cliente del Waldorf Astoria di New York, che se li fece
preparare dalla cucina dell’hotel dopo una notte di bagordi. Oppure il Prairie Oyster, che va
forte soprattutto negli Stati Uniti e infatti si vede in un sacco di film e serie tv: uovo crudo,
salsa piccante, salsa Worcester.
In Cina bevono molto tè verde. In Romania, Messico e Turchia raccomandano di mangiare
119
Post/teca
trippa cucinata in brodo con aglio e panna. Che però non è esattamente un cibo molto
pratico, che uno può tenere in frigo o fare in due minuti quando torna a casa e non sta affatto
bene. Se la cavano meglio in Giappone, dove secondo il Guardian si usano prugne sottaceto.
In Germania aringhe marinate e cipolla cruda. In Mongolia suggeriscono di inghiottire un
paio di occhi di pecora cucinati in salsa di pomodoro. In Nuova Zelanda vanno più sul
classico con torta al cioccolato e latte. E in Corea zuppa di carne e verza.
Se poi si va indietro nel tempo si trovano rimedi ancora più strampalati. Una famoso
rimedio celtico per esempio consigliava di ricoprire la persona con i postumi da sbronza con
la terra umida della riva di un fiume. Mentre gli antichi romani si mangiavano un paio di
canarini fritti, ma ci fermiamo qui perché la cosa si è fatta piuttosto grottesca.Noi non
azzardiamo nessun consiglio, però vi segnaliamo alcune delle nostre sbronze
cinematografiche preferite: quella di James Dean in Gioventù Bruciata, quella di Bill
Murray in Ricomincio da capo, quella di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany e quella
di Dumbo.
fonte: http://www.ilpost.it/2011/01/05/farsi-passare-una-sbronza/
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La nostalgia
dei
conservatori di
120
Post/teca
sinistra
C'è qualcosa che accomuna l'opposizione della Fiom all'accordo Fiatsindacati su Mirafiori e quella del Partito democratico alla riforma Gelmini
dell'università, appena varata dalla maggioranza di governo. Sono le due più
recenti manifestazioni di quella strenua difesa dello statu quo in qualunque
ambito della vita sociale, politica, istituzionale, che è ormai da tempo la più
evidente caratteristica della sinistra italiana, nella sua espressione sindacale
come in quella politico-parlamentare. Si tratti di scuola, di rapporti di lavoro,
di magistratura, di revisioni costituzionali o quant'altro, non c'è un settore
importante della vita associata in cui il conservatorismo della sinistra non si
manifesti con forza.
Forse ciò aiuta a spiegare una circostanza che sarebbe altrimenti
incomprensibile: il fatto che l'opposizione di sinistra non si sia minimamente
avvantaggiata in questi anni, stando ai sondaggi, delle gravi difficoltà di un
governo che ha dovuto fronteggiare le conseguenze della crisi mondiale e che
è stato inoltre investito da scandali e furibonde divisioni. Tanto è vero che
tutti continuano a prevedere, in caso di elezioni, una vittoria (quanto meno
alla Camera) del centrodestra.
La domanda che la sinistra italiana dovrebbe porsi è la seguente:
perché nemmeno la forte disillusione di tanti italiani nei confronti di
Berlusconi, il fatto che ormai più nessuno creda nella «rivoluzione liberale»
sempre promessa e mai attuata spostano a sinistra l'asse politico del Paese?
Può essere che la risposta giusta sia la seguente: dovendo scegliere fra ciò che
ritiene un male (Berlusconi) e ciò che ritiene un male ancora maggiore (la
sinistra), il grosso degli italiani continua a optare per la minimizzazione del
danno, per il male minore. Una delle ragioni, forse, è che, tolta una cospicua
ma minoritaria area di conservatori a oltranza, la maggioranza relativa degli
italiani pensa che stare fermi condannerebbe il Paese alla decadenza
economica e sociale e che risposte magari insufficienti, o anche sbagliate, ai
problemi collettivi, siano comunque preferibili alle non risposte.
121
Post/teca
Ci sono due modi per fare opposizione a un governo. Il primo
consiste nel contrapporre ai progetti governativi di modifica più o meno
profonda dell'esistente, proposte diverse, che ovviamente si giudicano
migliori, di modifica altrettanto o anche più profonda. Il secondo consiste nel
difendere l'esistente. Quest'ultima è stata la scelta della sinistra in quasi tutti i
campi di interesse collettivo. Ne è derivata una paurosa mancanza di idee
nuove sul che fare, una mancanza di idee che ha fatto subito appassire la rosa
appena sbocciata del Partito democratico.
Non è facile ricostruire le cause del conservatorismo della sinistra.
Forse, una delle più importanti, è l'evidente nostalgia per la cosiddetta Prima
Repubblica, che poi altro non è se non nostalgia per i tempi in cui la sinistra
era rappresentata da un grande partito il Pci, rispettato e temuto da tutti,
capace, pur dalla opposizione, di influenzare potentemente la vita pubblica e i
costumi collettivi. Non avendo mai fatto davvero i conti con la storia
comunista, la sinistra italiana, o ciò che ne resta, non ha saputo nemmeno
fare i conti con tutto ciò che non andava nella Prima Repubblica. Ha finito per
idealizzarla. Solo così si spiega il fatto che la sua opposizione alla destra sia
sempre stata improntata al seguente ritornello: sono arrivati i barbari, i quali
stanno distruggendo tutto ciò che di buono avevamo. Ma davvero era così
buono ciò che avevamo? No, non lo era. Quasi tutti i problemi che ci
attanagliano oggi (ne cito tre: debito pubblico, cattiva qualità dell'istruzione,
cattivo funzionamento della giustizia) sono il frutto di pessime scelte della
troppo mitizzata classe politica della Prima Repubblica, almeno dagli anni
Settanta in poi. Il punto è che quella mal riposta nostalgia ha finito per
alimentare una ideologia conservatrice, che si traduce nella pura e semplice
difesa dalle minacce portate dai barbari di ciò che la Prima Repubblica ci ha
lasciato in eredità. C'è poi, certamente, a spiegazione del conservatorismo,
una ragione più generale. Fronteggiare i nuovi problemi, dall'invecchiamento
della popolazione alla immigrazione, alla accresciuta competizione
internazionale, significa dare risposte creative che rimettano in discussione
molte soluzioni del XX secolo che si ritenevano a torto definitivamente
acquisite.
Non essendo in grado di trovare risposte creative, la sinistra si è
122
Post/teca
ridotta a giocare solo sulla difensiva. C'è chi pensa che il conservatorismo
della sinistra venga da lontano, sia una eredità di quella incapacità di fare i
conti con la modernità che caratterizzava il vecchio Partito comunista: fu
proprio in polemica col Pci, oltre che con la Dc, che i socialisti craxiani si
appellarono allora a una idea di modernità che avrebbe dovuto far circolare in
Italia aria nuova. Ma è vero che ci sono stati anche momenti (diverse
importanti decisioni del primo governo Prodi ne sono un esempio) in cui la
sinistra ha saputo, sia pure con fatica, uscire dal recinto della conservazione
sociale. E, comunque, non ha mai potuto perseguire la vocazione
conservatrice, sua o del suo elettorato, senza pagare il prezzo di aspri conflitti
interni. Ciò forse spiega anche la sua nota schizofrenia: finché si tratta di
gestire, assieme alla maggioranza, nel chiuso delle commissioni parlamentari,
certi provvedimenti, la sinistra può anche esibire fervore riformista. È
costretta però a metterlo da parte (il caso della riforma Gelmini è esemplare)
non appena deve fare i conti con le sollecitazioni della parte più chiusa e
conservatrice del suo elettorato. Forse il discorso di Walter Veltroni al
Lingotto, con il quale si inaugurò la segreteria del neonato Partito
democratico, è stato l'ultimo tentativo (poi fallito come a suo tempo fallì il
tentativo craxiano)di
disegnare i contorni di una sinistra non conservatrice.
Dopo di che, il nulla. In altri Paesi, sinistre messe alle corde sono state capaci
di reagire e di rinnovarsi, di inventarsi idee nuove e proposte. La sinistra
italiana ne sembra incapace. Continua a denunciare i barbari per evitare di
parlare a se stessa e al Paese di progetti per il futuro.
Angelo Panebianco
29 dicembre 2010
fonte: http://www.corriere.it/editoriali/10_dicembre_29/la-nostalgia-dei-conservatori-di-sinistra-angelopanebianco_e5574c82-1318-11e0-8894-00144f02aabc.shtml
----------05/01/2011 - PERSONAGGIO
"Io, condannata dalla
123
Post/teca
nascita
a non dimenticare nulla"
Louise Owen è un caso rarissimo al mondo: "Ricordo
ogni istante vissuto"
VALENTINA ARCOVIO
NEW YORK
In vita sua non ha mai dimenticato una faccia o un compleanno. Non è mai successo
che mancasse a un appuntamento o che durante un concerto le sfuggisse qualche
nota. Louise Owen, violinista newyorkese di 37 anni, ricorda sempre tutto. Ogni
istante della sua vita è impresso indelebilmente nella sua testa. Perché Louise ha
quella che si dice «memoria autobiografica superiore» o ipertinesia, una condizione
che le permette di ricordare ogni attimo vissuto come se fosse accaduto pochi
secondi prima. Più che una memoria di ferro, Louise è come un vero e proprio
«archivio umano» che ha iniziato a registrare gli eventi già da quando era
piccolissima. «Ho tantissimi ricordi vividi di quando ero una bambina molto
piccola. Ma credo di aver capito che la mia memoria autobiografica è insolita –
racconta - quando avevo 12 anni. Era il 22 marzo 1986 nella settimana di Pasqua e
sono andata a trovare mia nonna. Lei mi ha dato un calendario dove c’erano delle
fotografie bellissime per ciascuna delle 52 settimane. Allora ho iniziato a scrivere sul
calendario i compleanni di amici e familiari. Li ricordavo tutti. Poi mi sono accorta
di poter addirittura scrivere a ogni data quello che era successo l’anno prima. E ho
iniziato a scrivere tutto dal 1 gennaio in poi». Comprensibile lo stupore della nonna
che stentava a credere come la sua nipotina facesse a ricordare ogni giorno dei 12
mesi precedenti.
«Quando lei mi ha detto che la maggior parte della gente non ricorda gli eventi di
ogni giorno della loro vita – dice Louise - mi resi conto per la prima volta che la mia
memoria funzionava in modo diverso». Se infatti chiediamo a Louise una data
casuale, dal 1985 in poi, lei ricorda perfettamente quale giorno della settimana era e
quello che ha fatto in ogni istante della giornata. «Ricordo se c’era il sole o la
pioggia e le notizie che ho ascoltato al tg o che ho letto sul giornale», aggiunge.
124
Post/teca
Louise definisce i suoi tuffi nel passato come «viaggi nel tempo». «Se qualcuno
parla di uno dei giorni degli ultimi 25 anni - dice Louise - viaggio immediatamente
nel tempo e ricordo vividamente gli eventi e le emozioni che ho provato quel giorno,
con la stessa immediatezza, come se fosse successo pochi istanti prima anziché tanti
anni addietro». Tutto senza sforzi. «Per me è come un gioco mentale – spiega - che
faccio con me stessa, pensando a quello che è successo in un giorno particolare per
quanto lontano sia il ricordo. Per esempio, l’altro giorno mentre stavo camminando
per Central Park, ho iniziato a pensare automaticamente a cosa ho fatto un anno fa,
il 30 dicembre. Poi a cosa ho fatto due anni prima. Poi tre anni prima fino a
ritornare indietro nel 1985».
Immaginate i vantaggi. «Nella mia professione – confessa - ho la fortuna di non
rischiare mai di sbagliare una prestazione». Per la sua famiglia e i suoi amici Louise
è un custode della loro storia. «Sono la persona che si ricorda tutti i dettagli e gli
eventi con grande chiarezza – racconta - e mi chiedono di aiutarli a ricordare le loro
vite». Ma non è sempre facile gestire una capacità così speciale. A volte più che un
dono, la memoria autobiografica di Louise si trasforma in una maledizione. «Ci
sono momenti – racconta - in cui mi piacerebbe dimenticare alcuni degli eventi più
dolorosi della mia vita. Se qualcuno parla di una semplice data dolorosa del mio
passato, rivivo immediatamente il dolore di quella giornata. Ad esempio, rivivo la
rottura di una relazione o una delusione lavorativa proprio come se fosse accaduto
ieri anziché l’anno prima o addirittura 15 anni prima». Ma Louise ha trovato un
modo tutto suo per difendersi. «Cerco di non soffermarmi sui ricordi brutti. Il mio
passato, con i suoi eventi dolorosi, è sempre lì - dice - ma mi sforzo cercando di
focalizzare la mia attenzione sulle parti belle della mia vita. Ora il mio scopo è
quello di riempire il “database della mia memoria” solo di ricordi positivi. Così,
anche se i ricordi dolorosi non scompaiono, i ricordi felici sicuramente superano
quelli tristi».
Pur avendo una memoria di ferro, Louise è prima di tutto una single newyorkese
alle prese ogni giorno con la vita frenetica della Grande Mela. Quindi, le capita a
volte che qualcosa sfugga dalla sua testa. «Per questo anch’io uso un’agenda come
fanno molte persone – dice - anche se spesso finisco per scrivere i miei
appuntamenti solo dopo che sono già accaduti!»
fonte: http://www3.lastampa.it/costume/sezioni/articolo/lstp/382436/
----------------
125
Post/teca
20110106
La mia amica ha tre figli, il
più grande ha undici anni e
la piccola neanche due.
Dice che ha una paura
fottuta che crescano, che
comincino a provare il
distacco che caratterizza
tutti gli adolescenti e che si è
resa conto che là fuori è
davvero un brutto mondo.
E subito dopo sempre lei, la
mia amica, mi ha raccontato
126
Post/teca
che un paio di settimane fa
ha preso l’autobus dopo anni
e anni che non lo faceva e ad
un certo punto, a una
fermata davanti a una
scuola, sono salite quattro
“ragazzine” che avranno
avuto si e no 13/14 anni.
Parlavano di una festa e una
delle quattro diceva che non
sapeva se riusciva ad andarci
perché non aveva i soldi, i
suoi genitori non le volevano
“sganciare” i trenta euro per
127
Post/teca
entrare.
Allora una delle altre tre ad
un certo punto, tirando fuori
il cellulare e scorrendo la
rubrica, ha detto: “senti
chiama questo numero, è un
mio amico. Se gli fai una
s*ga ti sgancia 30 euro, per
un p*mpino te ne da
cinquanta. Se gliela dai
arriva a 100. Così puoi
venire alla festa e hai risolto
il problema dei soldi.
del perché mi sento fortunata a non avere figli « blondeinside’s Blog
128
Post/teca
(viabatchiara)
(via batchiara)
via: luciacirillo.tumblr.com/
-----------------------------------
English vs. Tumblr
English: WHY DON'T YOU.....!
Tumblr: Y U NO......?!?!?!
-English: You're so immature and stupid.
Tumblr: LOL DIS BITCH
-English: I'm single.
Tumblr: Forever alone.
-English: I'm so mad!
Tumblr: FUUUUUU *inserts gif*
-English: Anonymous.
Tumblr: Anon.
-English: Dianna Agron is so hot.
Tumblr: ASDFKLADA;
-English: My work/Mine
Tumblr: MAH WORKZ
-English: *laughs* That's so funny!!
Tumblr: WHAT IS AIR?
-English: Hey
Tumblr: OHAI
-I think Tumblr pretty much wins here
129
Post/teca
via: http://prettystuff-.tumblr.com/
fonte: http://directi0nlessyes-.tumblr.com/post/2621183301/english-vs-tumblr
--------------------------“Ho capito che S. è una persona per cui manderei all’aria i miei progetti e i miei
sogni, io che ho sempre messo il mio futuro e soprattutto il mio lavoro davanti a tutto.
la sensazione che lui sia così, che lui sia quello per cui rivoluzionerei scelte,
cambierei luoghi, mollerei una delle cose più mi piace al mondo, è stata bellissima.
La paura che per lui non sia così, e non lo sarà mai è stata terribile. Sono con lui i
ricordi più belli di questo 2010. i mille messaggi, quelli inaspettati, quelli che mi
hanno fatto arrabbiare, quelli che ho mandato, senza aspettare una risposta, che infatti
non è mai arrivata. I mille momenti di affetto sincero, lo stupore di incontrarsi, la
bellezza della sua voce quando urla il mio nome. L’entusiasmo adolescenziale di una
notte in cui gli ho detto ora facciamo un esorcismo e ci siamo fatti cacciare da un
locale dove stavamo facendo l’amore. La notte passata a ballare, in un locale
semivuoto. La notte passata a dormire a casa sua, abbracciati. Tutte le volte che ho
pensato amarti mi affatica. Tutte le volte che ho detto basta, lui deve restare nel 2010.
tutte le volte che mi sono venute le lacrime agli occhi solo a pensarlo. Tutte le volte
in cui ho saputo, inevitabilmente, che finché sarò qui, lui sarà, per me, una possibilità.
La lucidità con cui continuo a credere che le cose cambieranno, contro ogni possibile
logica. La bellezza della notte in cui gli ho detto sono innamorata di te, e voglio stare
con te. E le parole con cui lui ha risposto.”
—
laddove “forse” è la parola chiave
via: http://plettrude.tumblr.com/
-------------------------------
“Bambini, bambini,
voglio confessarvi una cosa:
i vostri genitori non esistono,
li hanno inventati Babbo Natale e la Befana
per ingannarvi, imbambolarvi e tenervi più buoni.”
—
((( )))
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Post/teca
via: http://aitan.tumblr.com/
-----------------------------------
Marina Abramović and her lover/collaborator Ulay performing Death Self. This
performance consisted of the two artists seated in front of each other, connected at the
mouth. They took in each other’s breaths until all of their available oxygen had been
used up. The performance lasted only 17 minutes, resulting in both artists collapsing
unconscious to the floor, having filled their lungs with carbon dioxide. This personal
piece explored the idea of an individual’s ability to absorb the life of another person,
exchanging and destroying it.
fonte: http://couteaux.tumblr.com/post/2588045784/obsoletedesolate-marinaabramovic-and-her
-------------------------“Scrivo perché è sempre meglio che scaricare casse al mercato centrale.
Scrivo perché non so fare altro.
Scrivo perché dopo posso dedicare i libri ai miei nipoti.
Scrivo perché così mi ricordo di tutte le persone che ho amato.
Scrivo perché mi piace raccontarmi storie.
Scrivo perché mi piace raccontare storie.
Scrivo perché alla fine posso prendermi la mia birra.
Scrivo per restituire qualcosa di tutto quello che ho letto.”
—
Andrea Camilleri, “Ecco perchè
scrivo” (via chouchouette)
VIA: http://3nding.tumblr.com/post/2609430099/scrivo-perche-e-sempre-meglio-che-scaricare-casse
-----------------------------
Contorsionismi
elicriso:
dotakon:
Guardare al passato mi aiuta non tanto a comprendere gli errori compiuti per
131
Post/teca
evitare di ricaderci, quanto a compiere ancora gli stessi in forme sempre nuove ed
imprevedibili.
via: http://plettrude.tumblr.com/
--------------------------------
Huck Finn non può essere
corretto
CLAUDIO GORLIER
Qualche tempo fa il mio amico, il
Nobel Wole Soyinka, scherzava con me
sulle metamorfosi negli Stati Uniti del
termine negro , diventato, nel segno
del «political correct», nel corso degli
anni prima black , poi Afroamerican e
infine African American . «Spero», mi
disse ridendo «che alla fine si
fermino». Magari si fermano, ma certo
insistono; a posteriori la New South
Books, editrice americana, pubblica a
cura dello studioso Alan Gribben una
nuova edizione del capolavoro di Mark
Twain, Le avventure di Huckleberry
Finn ( Adventures of Huckleberry Finn
) apparso nel 1885, e provvede per così
dire alla ripulitura linguistica di due
termini: injun (per indian , indiano
d’America), e negro , appunto. È un
modo curioso di rinnovare la memoria
dello scrittore nel centenario della
morte, il 2010. Singolare paradosso
132
Post/teca
per uno scrittore maestro del comico, e
nella fase finale del tragico, costretto
in vita dalla moglie pudica a sostituire
parole che riteneva sconvenienti, e se
ne vendicò nel diario.
Per negro non può fare altro che
rivoltarsi nella tomba. Lo capisco
anche troppo bene, visto che sono
stato autore, più di quarant’anni or
sono, di una storia dei «negri degli
Stati Uniti». Poco tempo dopo un serio
studioso, Alessandro Portelli, iniziò in
Italia la doverosa campagna contro la
parola incriminata. Con l’impertinente
Mark Twain mi sento in buona
compagnia e penso che l’africano
Soyinka si diverta.
fonte: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?
ID_blog=25&ID_articolo=8262&ID_sezione=&sezione=
-------------------------------------05/01/2011 -
Parigi, Asterix torna sulle
barricate
Nella Francia gauchiste un nuovo vento di contestazione
globale: da Freud a Sarkozy, nessuno si salva
MASSIMILIANO PANARARI
Basta con Freud, codino e reazionario, dice nel suo ultimo pamphlet (Le crépuscule
133
Post/teca
d’une idole, Grasset), che ha incendiato gli animi, e fatto inorridire gli psicanalisti, il
filosofo Michel Onfray. Disobbedienza dura (sebbene «etica»…) all’ordine
neoliberale, teorizzano il sociologo Albert Ogien e la filosofa Sandra Laugier. C’è
stato uno scippo del futuro delle generazioni a venire a causa delle politiche
pubbliche degli ultimi trent’anni, sostengono i ricercatori sociali Louis Chauvel,
Cécile Van de Velde e Camille Peugny. Accidenti, cosa bolle nella «pentola di
Obelix» del pensiero radicale d’Oltralpe? Un vento di rivolta culturale, come tipico
di quel laboratorio della teoria critica e dell’ultragauche che è la Francia, alla cui
sinistra non dispiace, infatti, identificarsi con Asterix, il piccolo spavaldo eroe della
resistenza contro l’Impero romano omologatore e globalizzato (che fa tanto Stati
Uniti…).
Scomparsa la generazione dei grandi maîtres-à-penser politicamente impegnati,
che avevano reso la cultura francese del secondo Novecento un prodotto da
esportazione planetario (basti pensare alle tournée in stile rockstar di Foucault e
Baudrillard in America), l’attenzione del resto del mondo verso la Parigi
intellettuale sembrava decisamente affievolita. Ma l’anno appena finito, anche se
siamo lontani dagli antichi fasti, ha mostrato che la battaglia delle idee transalpina è
di nuovo intensa e combattuta; e, naturalmente, lo è innanzitutto al crocevia tra
cultura e politica. Lo spiegaLes Inrockuptibles, il settimanale (e sito) di musica e
cultura influenzato sin dalle origini dalle idee del sociologo Pierre Bourdieu (uno
degli esponenti per antonomasia del pensiero critico antiliberista). E, infatti, buona
parte di queste «linee di frattura», come le chiama Les Inrocks, provengono proprio
dalla sinistra radicale, non di rado fertile nel produrre idee originali, ancorché
discutibili (soprattutto quando non scattano tremendi riflessi pavloviani stile la
solidarietà nei confronti di un criminale come Cesare Battisti), oppure dalla sinistra
«senza aggettivi» (riformista, si sa, è un termine che non è mai stato molto popolare
nel lessico politico dell’Esagono).
Sullo sfondo, dopo i guasti provocati dalla recessione, si rinfocola la polemica
contro l’economia finanziaria e neoliberista, che attraversa molti dei dibattiti
culturali dell’anno scorso, e ha trasformato in un vero e proprio best seller il libro,
assai poco frou-frou, di due sociologi, LePrésident des riches, enquête sur
l’oligarchie dans la France de Sarkozy (Zones). Gli autori, marito e moglie, sono
Michel Pinçon e Monique Pinçon-Charlot, e vivisezionano un Nicolas Sarkozy capo
del «comitato d’affari della borghesia», vita pubblica e amicizie private, e forte
incremento della sperequazione della ricchezza. I due non ci vanno giù per il sottile,
con un notevole successo di pubblico che ha mandato questo testo sul passaggio
dalla lotta di classe alla «guerra tra le classi» (dichiarata unilateralmente) - uno
134
Post/teca
slogan che i due autori mutuano dal guru della finanza Warren Buffett direttamente nella classifica dei libri più venduti dell’anno.
E mentre il mensile Le Monde diplomatique (punto di riferimento per i no global di
tutto il mondo) si lamenta dell’assenza di un collante tra mobilitazioni degli
studenti e analisi degli intellettuali sugli affanni del neocapitalismo, anche il Partito
socialista in perenne crisi di identità si butta a sinistra. I socialisti di Martine Aubry
hanno così adottato il documento sull’«uguaglianza reale» preparato dal portavoce
del partito Benoît Hamon, con una serie di ricette decise, dal salario universale per i
giovani, tenuti anche a una sorta di servizio civile obbligatorio della durata di un
anno, al tetto per gli stipendi dei manager pubblici, che non deve essere più di 20
volte superiore a quello più basso all’interno dell’azienda. Dietro il progetto si
intravede l’influsso delle idee del sociologo François Dubet, direttore di ricerca
all’École des Hautes Etudes en Sciences Sociales, esperto di diseguaglianze sociali (e
scolastiche) e autore di un libro di grande circolazione, Les places et les chances
(Seuil), come pure quello del filone culturale anglosassone dell’etica del care
(sviluppato dai lavori della politologa Joan Tronto e della psicologa Carol Gilligan),
che prescrive l’esigenza morale e politica della protezione delle persone più deboli.
Insomma, non sono certamente più i tempi del «’68 pensiero», ma l’Asterix
gauchiste è sempre lì, sulle barricate.
fonte: http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/382475/
-------------------------------------02/01/2011 -
Somerset Maugham, il più
cattivo del '900
Cinico, vendicativo, ricchissimo, ammirato e detestato.
Nei primi racconti, l’autobiografia segreta del
romanziere
135
Post/teca
MARIO BAUDINO
C’è una donna precocemente invecchiata che nasconde qualcosa. Sta acquattata fra
le pagine di Honolulu, i primi racconti di Somerset Maugham ambientati fra le
Hawaii, Sumatra, la Malesia, da poco ripubblicati per Adelphi. Ed è così sgradevole,
Mrs Grange, che si rischia davvero di non volerla vedere, mentre nella piantagione
sperduta nella foresta narra a un antropologo il tedio e l’infelicità della sua vita
accanto a un marito che non ama, in un luogo che detesta. Relitti è il titolo scelto dal
traduttore italiano, ed è perfetto.
Quella donna dalla pelle «consunta e secca», dai capelli arruffati e malamente tinti
di un giallo vivido, squassata dai tic nervosi e goffamente truccata, è un relitto
almeno quanto il marito, piantatore rovinato dalle crisi della gomma. Ha anche un
terribile segreto, ma questa è un’altra storia. Quel che la rende memorabile sono le
foto della sua giovinezza, quando era un’attricetta da strapazzo, e in tutto e per tutto
simile a qualcuno che lo scrittore inglese aveva conosciuto bene, anzi voleva sposare
a ogni costo.
Pelle chiara, lunghi capelli raccolti sul capo, occhi azzurri e fisico sensuale, si
chiamava Sue Jones ed era una bella ragazza senza particolari qualità. Nel 1913
Maugham la scelse, nonostante già fosse conscio delle proprie tendenze
omosessuali, e ne fu respinto: qualche anno dopo si vendicò ferocemente, alla sua
maniera. Non fu certo la sola volta. In uno dei romanzi più celebri, Il fantasma
nell’armadio (Cakes and Ale, del 1949), dove anche Sue Jones è ben presente, ora
come personaggio positivo, mise talmente in ridicolo la figura dell’amico Hugh
Walpole, scrittore molto popolare - ne ricavò Alroy Kear, fatuo emblema del
perfetto imbecille - da farlo morire di crepacuore. Somerset Maugham è considerato
l’uomo più malvagio e detestato del suo tempo (diciamo ben oltre la prima metà del
Novecento, visto che è nato nel 1874 e morto nel 1965, a Nizza, smisuratamente
ricco, devastato dall’Alzheimer e naturalmente solo). A partire dal 1907 ha avuto
successo più di chiunque altro. Nel periodo d’oro di Hollywood riuscì a battere
Conan Doyle, il padre di Sherlock Holmes, quanto a numero di film tratti dalle sue
opere: 98 contro 93.
Più tardi, trasferitosi sulla Costa Azzurra, mise insieme una collezione d’arte che
oggi varrebbe cento milioni di dollari. Christopher Isherwood lo definì «una vecchia
valigia coperta di etichette. Solo Dio sa che cosa ci sia dentro»; ma Raymond
Chandler, il creatore di Marlowe, adorava i racconti dedicati all’agente segreto
Ashenden (dove Maugham fa ampio uso della propria esperienza spionistica nella
136
Post/teca
Prima guerra mondiale). «Non esistevano - scrisse - altre grandi spy story nemmeno una» che potessero stare alla pari. Fu un Re Mida che molti ammiravano,
nessuno amava, tutti detestavano. Non fece mai nulla per mettersi in una luce
favorevole, anzi. Fu spietato senza motivo con la figlia Liza, nei cui confronti il
dissoluto Gerald Haxton, l’amante segretario dello scrittore, si comportava con vero
e proprio sadismo, per esempio una volta gettandole il cagnolino dal finestrino
dell’auto.
A 74 anni si lasciò convincere da Graham Sutherland a posare per un ritratto, e il
risultato fu un quadro così sconvolgente, cattivo appunto, che lo scrittore lo
acquistò non senza fatica ma poi, non riuscendo a reggerne la forza quasi
demoniaca, lo sigillò in una stanza chiusa, proprio come quello di Dorian Gray nel
romanzo di Wilde. L’ultimo tassello biografico viene dal lavoro di Selina Hastings,
che in The secret Life of Somerset Maugham ha rivelato un particolare inedito: nel
’54, quando compì 80 anni, l’editore Heinemann decise di pubblicare un libro di
saggi in suo onore. Non ci riuscì, perché i critici e gli scrittori invitati, anche quelli
che sulla carta gli erano amici, si defilarono con le più svariate motivazioni. Lui non
se adontò. Fino all’ultimo, anche nel pieno della demenza senile, non versò una
lacrima. Era «violento come un tumore maligno», annota la pur favorevolissima
biografa, e teneva fede al principio che la vita non ha senso.
Lo aveva enunciato spesso, per esempio nel Filo del rasoio (del 1949), e forse per la
prima volta in Acque morte (1932), altro romanzo per molti aspetti straordinario
dove semmai Maugham inclina con un pizzico di curiosità verso la teoria della
reincarnazione. È l’ennesima avventura nei Mari del Sud, che rivela però in modo
evidente - perché l’autore lo spiega in una sorta di prefazione che vale un racconto il gioco di scatole cinesi da cui uscivano i suoi libri, il modo in cui sapeva, come
nessuno, «spacchettare» le storie. Questa nacque grazie a poche righe scartate da La
luna e sei soldi, uno dei romanzi di maggior successo, dove si ricrea l’avventura di
Paul Gauguin a Tahiti: in esse lo scrittore descriveva un capitano di mare, un
querulo malvagio che non aveva paura di nessuno, salvo della moglie. Era un cattivo
naturale, forse un «tumore maligno» anche lui, di cui si diceva avesse «perso» in
mare un passeggero importante, ricco e in fuga, che durante la navigazione gli aveva
vinto alle carte il denaro consegnato per la misteriosa crociera.
Maugham intuisce che lì si nasconde un altro romanzo, e lo scrive da par suo. Ma
ancora una volta compie un’operazione a lui abituale, il suo marchio di fabbrica:
mette un doppio di se stesso, un medico oppiomane, come testimone e narratore; e
lo lavora con una strategia più segreta. Il medico è infatti un esempio di ruvida
137
Post/teca
bontà: come altri personaggi a lui simili nei libri dello scrittore britannico, cura
gratis i poveracci, non ha ambizioni, vuole solo essere lasciato in pace. Capisce
molto di quanto sta accadendo sul battello i cui occupanti incrocia casualmente,
degli intrighi amorosi che si dipanano a terra fino alle conseguenze più
catastrofiche, ma lascia che gli eventi procedano verso la tragedia senza alzare un
dito. Semmai attutisce, copre, protegge i suoi interlocutori dalle conseguenze
nefaste delle loro poco commendevoli azioni.
Il dottore è uno strano esempio di bontà per disinteresse o per accidia, che torna in
molti romanzi e racconti e ha quasi sempre un riferimento autobiografico. «Credo
nell’amore, credo nell’entusiasmo... anche se sono incapace di praticarlo» disse
ormai molto anziano, quasi a suggello della propria vita, al nipote Robin che lo
scrisse in un libro amaro e delizioso, Conversazioni con zio Willie (di Robin
Maugham, pubblicato sempre da Adelphi). Doveva considerarsi, al fondo, molto
buono. Almeno quanto il principe Miskin, L’Idiota di Dostoevskij, che solo per la
sua natura di uomo buono scatena, pur senza esserne toccato, il male intorno a sé.
L’interpretazione di Maugham, che sembra voler riscrivere, in tutta la sua opera,
questo stesso libro, è evidente: così facendo svela la malvagità del mondo, oltre che
l’insensatezza della vita.
L’uomo buono resta una sorta di santo, un’idea di Cristo ben presente allo scrittore,
che ormai obnubilato faceva ripensando alla propria vita ironici paragoni, sul tipo:
«Gesù aveva certi vantaggi che a me mancano». Un Cristo insensato a sua volta, ma
non per questo meno ammirevole. Proprio come il giovane americano Laurence
Durrel, Larry, che nel Filo del rasoio rifiuta la promozione sociale e un ricco
matrimonio per compiere liberamente le sue esperienze in giro per il mondo, e
spogliatosi di tutto sparire infine nella sterminata provincia, a vivere di un lavoro
modesto. O come Walker, amministratore di un’isoletta nel Pacifico, irlandese
autoritario e volgare che ama gli indigeni al modo ferocemente paternalistico dei
colonizzatori; li aiuta, li protegge e li opprime. Ma quando viene assassinato, a
opera del suo secondo che lo odia, muore come un santo, perdonando tutti. Walker
è il protagonista di Makintosh, il primo racconto di Honolulu, scritto nel 1920.
Da allora per mezzo secolo l’uomo più cattivo del suo tempo non avrebbe più
cambiato idea. Credeva in una sola cosa, e lo spiegò come meglio non si poteva al
nipote Robin: «In tutto il mondo ci sono storie meravigliose da scrivere. Basta avere
le palle».
fonte: http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/382119/
138
Post/teca
--------------------------------------------20110107
vesuviano:
Siamo noi, siamo in tanti, ci nascondiamo di notte
per paura degli automobilisti, dei linotipisti
siamo gatti neri, siamo pessimisti, siamo i cattivi pensieri,
non abbiamo da mangiare
…solo in mezzo al mare
---------------------
"[…] Ma il grosso dell’esercito vagava sulla
sabbia senza scopo, come abitanti di una città
italiana all’ora del passeggio."
— «Espiazione» (I. McEwan)
(Source: cranioinaffitto)
--------------------------
"Alla fine è come in matematica: puoi anche
sentirti uno zero, tanto dipende tutto da dove
e con chi stai."
— (via tintenkiller)
-----------------------
"Per l’imperialismo è più importante
dominarci culturalmente che militarmente.
La dominazione culturale è la più flessibile,
139
Post/teca
la più efficace, la meno costosa. Il nostro
compito consiste nel decolonizzare la nostra
mentalità."
— Thomas Sankara (via alchemico)
(Source: Wikipedia, via alchemico)
------------------
"Diventare adulti non ha nulla a che vedere
con il tempo che passa, ma con lo spazio che
resta. Diventare adulti vuol dire venire a
compromessi con la geometria delle cose che
hai, e con quella delle cose che vorresti avere.
Crescere vuol dire imparare ad accartocciare
le cose, ad ordinarle, a tagliarle e spianarle
perché occupino il giusto spazio. La faccia
degli adulti è sempre segnata dalla
stanchezza e dalla disperazione per questo
inutile e continuo agire sulla dimensione
delle cose. Gli adulti sono costantemente
impegnati nel lavoro di fare spazio alle cose
belle, di procurarsi un ripiano capiente e
comodo dove poterle poggiare, prima che
140
Post/teca
quello spazio si riempia di piccole ed inutili
cianfrusaglie come la bancarella dei cinesi
nelle sagre di paese"
— Preferisco dormire | I Love Quentin (via lafra)
(via blondeinside)
----------------------------
"Cameriere, portami da bere ancora un
bicchiere di Franciacorta
che ho da mettere alla porta, un’altra storia
andata storta,
stavolta l’amata è morta, sepolta e dannata,
brindo a momenti piangenti come salici in
calici d’annata,
mica con uva annacquata.
Bacco, guida tu questo insano caduto per
mano di femmina,
insisto, giacchè il meteo ha previsto banchi di
nebbia sulla mia retina"
—
(via checcachicchi)
Capa
141
Post/teca
--------------------------
"E’ necessario che una donna lasci un segno
di sè, della propria anima, ad un uomo
perché, a fare l’amore siamo brave tutte"
—
Alda Merini
Ladra di Caramelle - FriendFeed
(via bastet)
Definitiva.
(via batchiara)
(via hneeta)
--------------------
"Se quando le ho detto
ti amo
non mi avesse detto
passami l’insalata
l’avrei sposata."
— Dino Risi, Versetti Sardonici (via alune)
---------------------
"Ci avevano detto che c’era un libro e su quel
libro c’era il nostro destino: quello che non ci
avevano detto era che il libro aveva le pagine
bianche e il destino ce lo saremmo dovuto
142
Post/teca
scrivere noi, senza la possibilità di sfogliare
indietro se non per rileggerci, buona la prima
anche quando buona non è."
— But you and I, we’ve been through that, and this is not our fate « yellow
letters (via batchiara)
(via batchiara)
------------------------
alune:
Garibaldi romanziere
Mussolini violinista
Reagan attore
Clinton sassofonista
Hitler pittore
Berlusconi cantante
tutti catalogati
come artisti mancati.
Perché non li hanno incoraggiati?
Dino Risi, Versetti Sardonici
---------------------
"Previsioni del tempo per questa notte:
buio."
—
George Carlin
Chiarina
(via creativeroom)
---------------------
"Di santa pazienza e molto stupore
143
Post/teca
ma senza pudore tre dubbi di vita
amore in salita due figli o due figlie
ed un puzzle da mille
le poche parole lanciate nel mucchio
sassate su specchio che crepan silenzi
o timidi assensi col cenno del capo
e un bacio non dato
l’amore pensato"
— L’amore Pensato - Max Gazzè (via batchiara)
-----------------------
Tutti abbiamo udito la donnetta che dice: Oh,
è terribile quello che fanno questi giovani a
se stessi, secondo me la droga è una cosa
tremenda. Poi tu la guardi, la donna che
parla in questo modo: è senza occhi, senza
denti, senza cervello, senz’anima, senza culo,
né bocca, né calore umano, né spirito, niente,
solo un bastone, e ti chiedi come avran fatto a
ridurla in quello stato i tè con i pasticcini e la
chiesa.
144
Post/teca
(Charles Bukowski)
"
—
guerrilla radio (via hneeta)
.
(via emmanuelnegro)
più droga meno chiese!
(via ze-violet)
-----------------------
"L’arte è un modo di perdonare al mondo il
suo male e il suo caos."
— Laszek Kolakowski, Presenza del mito, il Mulino, 1992, pagina 66 (via
reallynothing)
----------------06/01/2011 - TENDENZE- IL MATRIMONIO E' DIVENTATO PIU' FRAGILE
Tutti insieme,
separatamente
Vivono in case diverse,
rifiutano i figli, vogliono
145
Post/teca
amori pendolari: un libro
racconta le nuove "famiglie"
LAURA ANELLO
Vent’anni fa Woody Allen e Mia Farrow davano scandalo per la decisione di vivere
in due case diverse, seppure fossero una coppia con tanto di bambini. Quella storia
finì come finì, con il pasticciaccio della love story del regista con la figlia adottiva di
lei. Ma fatto sta che oggi in Italia ci sono 600 mila coppie che abitano sotto due tetti
diversi: amori Lat, dicono gli americani. Cioè Living apart together: si vive insieme,
ma separatamente. E non perché divisi dal lavoro, da necessità di salute, da
problemi familiari, ma per scelta.
E se le coppie Dink (Double income, no kids: doppio reddito, niente bambini) sono
diventate 650 mila, cresce il fronte di quelle radicalmente Childfree: gente che di
pargoli, pannolini e notti insonni non ne vuole proprio sapere e che furoreggia su
Internet con un decalogo molto spassoso che elenca le ragioni per non procreare:
dal denaro ai viaggi, dal tempo libero alla forma fisica. Stima accreditata, 138 mila
coppie. Di sicuro, il 6 per cento delle italiane tra 20 e 30 anni dichiara di non avere
alcuna intenzione di diventare madre. Mentre, al contrario, il 40 per cento delle
coppie sterili fa di tutto per avere figli, ricorrendo a tecniche di procreazione
assistita che funzionano nel 35 per cento dei casi.
Una nuova galassia di sigle, tendenze, nuove forme di relazione fotografata dalla
psicologa palermitana Alessandra Salerno, docente di Teoria e tecniche delle
dinamiche familiari e di coppia all’Università di Palermo, nel volume«Vivere
insieme», da poco pubblicato per Il Mulino. Il compendio di anni di indagini svolte
in un team di ricerca guidato da Angela Maria Di Vita, docente di Psicologia clinica.
Mirate a rispondere a una domanda cruciale: quali sono le nuove forme di famiglia?
«Fino a pochi anni fa - dice la Salerno - superata l’età del fidanzamento, esistevano
tre grandi categorie entro cui identificare un individuo: single, convivente o
coniuge. Adesso lo scenario si è fatto molto più complesso». E molto più difficile
perché, paradossalmente, la debolezza del matrimonio contemporaneo è che mette
a fondamento l’amore, con tutte le sue attese e le sue fragilità. Due o tre generazioni
fa, erano altre le basi su cui costruire l’unione coniugale: fuga dalla famiglia
d’origine, rispettabilità sociale, figli, stabilità economica.
Ecco allora che, superato il modello di unione tradizionale, si fanno avanti le nuove
146
Post/teca
forme di relazione. A partire da quelle a distanza, su cui (oltre a Lat), si sprecano le
definizioni: coppia del weekend, a coabitazione intermittente, a convivenza
alternata, con doppia residenza, amore pendolare, amore a distanza, amore part
time. «Le nuove tecnologie insieme alla diffusione dei voli low cost - dice Salerno consentono oggi di accorciare le distanze e di mantenere una forma di condivisione
della reciproca quotidianità anche a distanza di chilometri. Dalle indagini risulta
che la distanza fisica non coincide con un allontanamento affettivo».
Sono tre le macro-categorie di chi sceglie due cuori e due capanne: quelli che escono
da un’esperienza matrimoniale con le ossa più o meno rotte e non vogliono ripetere
l’esperienza, gli indecisi che non si sentono mai pronti al grande passo di mettere
insieme libri e pantofole, e infine gli ex conviventi che si sono presi la famosa pausa
di riflessione durante una crisi. E hanno scoperto che a distanza funziona meglio.
fonte: http://www3.lastampa.it/costume/sezioni/articolo/lstp/382633/
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“ho fatto il cretino ad una cena dei cretini. ci son cascati tutti.”
—
cristiano valli (via gravitazero)
via: http://gravitazero.tumblr.com/post/2635453674/ho-fatto-il-cretino-ad-una-cena-dei-cretini-ci
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Italia 150 via alla festa
schizofrenica
di massimo gramellini
Nel sovrano disinteresse del popolo sovrano e della maggioranza più che assoluta
dei suoi rappresentanti, comincia stamattina la sarabanda delle celebrazioni per i
150 anni dell’Italia Unita. Comincia a Reggio Emilia, con l’omaggio al Tricolore da
parte del Presidente della Repubblica: uno dei pochi a crederci davvero, e non solo
per dovere d’ufficio. Dopo il rito della bandiera (che di anni ne ha oltre duecento)
arriveranno le ricorrenze vere. Le prime elezioni nazionali del 27 gennaio 1861,
147
Post/teca
riservate a una minoranza di maschi abbienti, alfabetizzati e mangiapreti (la Chiesa
aveva proibito le urne ai cattolici): il più votato risultò Cavour con 620 voti.
L’assedio di Gaeta con cui il 13 febbraio si archiviò a suon di bombe la resistenza dei
Borboni, appena in tempo per non sciupare la seduta delle Camere riunite nel
cortile torinese di Palazzo Carignano, quando il Capo dello Stato, che allora era il
Re, rivolse ai parlamentari la prima di una lunga e mai terminata serie di prediche
inutili: «Signori deputati! Signori senatori! L’Italia confida nella virtù e nella
sapienza vostra!». Fino a quel 17 marzo, una domenica, in cui i pochi italiani che
sapevano leggere appresero dalla Gazzetta Ufficiale che il Parlamento aveva
proclamato il Regno d’Italia con il voto contrario di due soli senatori, dei quali
taceremo i nomi per non togliere a Bossi il piacere di scoprirli e di andare a deporre
sulle loro tombe una decalcomania del Sole delle Alpi. Qualche malizioso potrebbe
chiedere di protrarre il gioco delle ricorrenze al 18 aprile 1861, 150° anniversario
della prima rissa parlamentare, e mica fra cicchitti e bocchini: fra Garibaldi e
Cavour, che sarebbe poi morto quattro mesi dopo, lasciando l’Italia più o meno
dove sta adesso: nei pasticci.
Ci attende un anno di inni, parate, discorsi e baruffe sulla Patria, ma nessuno può
dire se alla fine del 2011 gli italiani si innamoreranno di lei o se ne saranno
definitivamente nauseati. Probabilmente continueranno a trattarla come ora, con
amore comparativo: parlandone bene solo quando sono all’estero. L’italiano non
considera l’Italia la sua Patria, così come - sia chiaro - non considererebbe Patria la
Padania, la Borbonia o qualsiasi altra comunità più vasta della sua famiglia, del suo
quartiere o, forse, della sua città che gli chiedesse di emettere fattura fiscale. Per un
italiano ciò che appartiene a tutti, per il semplice fatto di non appartenere soltanto a
lui, non appartiene a nessuno. Ci sono voluti quattordici secoli, dalla fine
dell’Impero Romano all’Unità, per cucirci addosso questo atteggiamento mentale.
Ne mancano quindi ancora dodici e mezzo per rimetterci in pari.
Ma non è onesto affermare che rispetto al Centenario del 1961 lo spirito di Patria si
sia affievolito. Il divario fra settentrionali e meridionali era molto più aspro
cinquant’anni fa, e si manifestava nelle forme di una diffidenza razzista che non di
rado trascendeva nell’ostilità. La differenza è che allora non c’erano, né a Nord né a
Sud, partiti di massa disposti a cavalcarla. Ciò che l’emigrazione, i matrimoni e la tv
hanno unito in questi decenni è stato in parte disfatto dalla politica, che ha
sistematicamente eroso i simboli dell’unità nazionale, dalla Costituzione ai miti
fondativi (esagerati ma autentici, come tutti i miti) del Risorgimento e della
Resistenza. Come nel mondo capovolto di Alice, la Patria ha cessato di essere una
parola di destra e si è spostata verso il centro, se non proprio a sinistra. Ma
148
Post/teca
chiunque, a destra e a sinistra, intenda oggi fondare un partito, sostituisce le
ideologie con le microappartenenze territoriali e vede quindi nella Patria tutta
intera un inciampo. Sono i politici, non i cittadini, ad aver rimosso la ricorrenza del
2011. Infatti, nel dibattito «elezioni a marzo sì-elezioni a marzo no» che li
appassiona da mesi, nessuno dei leader ha neanche minimamente pensato che
sovrapporre i veleni di una campagna elettorale alle celebrazioni del
Centocinquantenario sarebbe come invitare una banda di bulli muniti di pennello e
vernice alla festa di compleanno della scuola. Nordisti e sudisti che insultano l’Italia
sulle piazze d’Italia, mentre il Capo dello Stato scopre targhe commemorative e
omaggia bandiere risorgimentali: fra le tante schizofrenie di questo beneamato
Paese, che almeno questa ci venga risparmiata.
fonte: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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“E come può il mio amore essere limpido se è la mia nazione che l’inquina…”
—
Sulle Labbra (via chouchouette)
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“Da piccola temevo il futuro e nessuno mi ha avvisata che non sarebbe mai arrivato.”
—
Altan (via thistumblrwillsaveyourlife)
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Un diverso punto di vista sul
mercato automobilistico
italiano
Via Dagospia
Un milione e mezzo di auto prodotte in Francia nei primi nove
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Post/teca
mesi del 2010. In Germania 4,1 milioni circa, oltre 930mila in
Gran Bretagna e 1,4 milioni in Spagna. Solo 444mila in Italia.
Parliamo di fior di Paesi europei che, in un anno certo non di
grande boom, hanno prodotto in casa loro una enorme quantita’
di auto, con leggi civili e costi europei. E per carita’ di Patria non
citiamo Polonia e Repubblica Ceca, che qualcuno potrebbe non
ritenere paragonabili in tutto e per tutto all’Italia.
Questi dati desolanti pubblicati oggi da Repubblica , e con la
precisazione ad esempio che in Germania l’operaio guadagna
500 euro al mese più’ del collega italiano, sono un macigno sulle
tante balle spacciate da anni dalla Fiat e dai suoi giornali e
politici amici. Il problema dunque non e’ la globalizzazione, ne’ la
Fiom Cgil che pure qualche suo problemino culturale lo ha. Il
problema sono la Fiat, il suo management e la famiglia che ne
mantiene il controllo con l’aiuto di molti soldi altrui.
Ieri era uscito un altro dato: Audi investira’ in quattro anni oltre
11 miliardi, dei quali circa meta’ in Germania. Marchionne, ma di
cosa stiamo parlando? Qui ci sono sul tavolo 11 miliardi di
investimenti della sola Audi, non certo un produttore di auto di
massa per il popolo. La grande abilita’ della Fiat e’ stata in questi
anni far credere a tutti che c’era un problema di mercato
mondiale di cui era vittima la Fiat, ma che, soprattutto, le auto
non si vendono perche’ per motivi di contesto esterno si produce
poco e male in Italia. E’ vero l’esatto contrario: si progettano e si
vendono male le auto fiat sicche’ la produzione in Italia cala a
livelli ridicoli.
Ma gli esperti di auto e di marketing, oltre che i normali
consumatori, pensano davvero che le auto Fiat si vendono poco
perche’ costano troppo care? Per colpa dei privilegi del ricco e
satollo operaio Fiat? Appare triste in questo quadro la
soddisfazione del grande vecchio di casa Agnelli. Parliamo di
quel Gabetti che assolto per ora dal Tribunale di Torino, insieme
a Grande Stevens Avvocato Franzo, ma condannati entrambi da
Consob, ha sempre rivendicato di aver fatto la cosa giusta nel
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Post/teca
garantire agli Agnelli il controllo di Fiat. Ad ogni costo.
via: http://www.pasteris.it/blog/2011/01/06/un-diverso-punto-di-vista-sul-mercato-automobilistico-italiano
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Vi volevo raccontare della mia
malattia e altre amare riflessioni
venerdì 7 gennaio 2011
Proverbio: Scherza coi fanti ma lascia stare gli alpini.
Dopo che ho letto questo proverbio alla mia morosa lei mi
ha chiesto se mi poteva lasciare.
Le ho spiegato che si trattava di un’amara riflessione sugli
alpini che muoiono nei teatri di guerra ma non è servito a
niente.
Se non era per oggi, ché bisogna andare a lavorare, sarei
stato in pigiama da mercoledì sera fino a lunedì mattina. È
che sono malato. Molto malato. Ho un’influenza, o qualcosa
di simile. Non le prendo mai, le malattie, ma stavolta sì, l’ho
presa, e ho deciso che è la mia malattia. Dico, lasciami qui
sul divano, io con la mia malattia. Mi dice Vieni a letto, io le
dico no, lasciami morire qui, con la mia malattia.
Ieri ho usato della candeggina. È stato bellissimo.
fonte: http://eiochemipensavo.diludovico.it/2011/01/07/vi-volevo-raccontare-della-mia-malattia-e-altreamare-riflessioni/
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Post/teca
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Penso che
di giuseppe civati
Quello che penso su Mirafiori e dintorni, senza avere la pretesa di essere
conclusivo. Perché sono preoccupato, ma è anche vero che prima o poi i
cosiddetti 'rottamatori' si sarebbero dovuti confrontare con il problema
dell'auto.
Penso che abbiamo perso vent'anni, al solito, anche sotto il profilo della
famosa modernizzazione del sistema produttivo e del passaggio dal
capitalismo familiare (e familistico) all'internazionalizzazione di tutto, dei
destini delle imprese e anche della vita del singolo lavoratore. Che potrebbe
essere un'opportunità, se solo venisse colta nella sua complessità.
Penso che non è un derby tra Fiom e Marchionne in cui il Pd non sa da che
parte stare, perché il Pd potrebbe condividere alcune cose e rifiutarne delle
altre e perché non è questo il punto.
Penso che dire che cosa farei io al posto degli operai della Fiat è insultante e
sbagliato.
Penso che quando si parlava di Pomigliano, tutti a farne la caricatura, perché
erano 'terroni' e non avevano voglia di lavorare.
Penso che chi chiedeva cautela avesse ragione e forse è evidente ora che si
parla del tempio della cultura operaia del Pci e della sinistra italiana (e c'è
sempre l'articolo 40 della Costituzione, da qualche parte).
Penso che sia un brutto accordo, quello di Torino, e che ce ne siano in giro di
migliori, in Italia, e non perché siano meno impegnativi, ma perché
contengono clausole e impegni ben diversi. Perché il contributo che i sacrifici
dei lavoratori rendono alla redditività aziendale è riconosciuto e compensato,
in termini monetari e anche in termini di adeguati turni di riposo.
Penso che non si può partire da un caso specifico per riformare una partita
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Post/teca
così delicata. E penso che ragionare "sotto ricatto" non è mai la cosa migliore.
Penso che la questione produttività vs. diritti è mal posta, così, ed è soltanto
una parte del problema, perché per essere competitivi ci vuole qualcosa in
più.
Penso che se fosse la Chrysler direttamente, senza la retorica provinciale della
Fabbrica Italia (che a me ricorda quell'altra fabbrica, quella che vola), i giudizi
sarebbero molto più cauti.
Penso che è una multinazionale e forse ci vorrebbe l'Europa, finalmente, a
dire alcune cose sui rapporti tra le economie nazionali e la dimensione
multinazionale, sulle imprese e sui diritti.
Penso en passant che i toni di Marchionne degli ultimi giorni siano proprio
stronzi.
Penso che se si vuole il modello tedesco (e per una volta non si parla di
sistema elettorale) allora bisogna parlare anche di chi partecipa al consiglio di
sorveglianza e qual è il ruolo delle maestranze nella direzione dell'azienda.
Perché la Mitbestimmung potrebbe essere una chiave. E a Mirafiori non lo è
stata, anche se ora la Cisl dice che magari.
Penso che se si parla di modello americano, bisognerebbe fare qualcosa per la
partecipazione azionaria dei dipendenti. Non dopo, prima di chiudere gli
accordi e di disegnare presunti nuovi modelli per il Paese.
Penso che altre cose ancora dovrebbe essere la politica a porle, altrimenti la
politica non serve a nulla.
Penso che se il governo non fa niente, sulla base di un calcolo e non di un
formale «lasciare alle parti sociali il compito di discuterne», è l'opposizione a
dover prendere l'iniziativa.
Penso che vorrei saperne di più degli investimenti del gruppo Chrysler-Fiat
perché mi pare che con il passare dei mesi si siano parecchio ridimensionati.
153
Post/teca
Penso che il problema sia se riusciamo ancora a produrre auto e soprattutto
se siamo competitivi producendo queste auto.
Penso che anche il tema della ricerca da qualche parte lo si dovrebbe anche
porre.
Penso che bisogna stare attenti a come si legge l'art. 19, perché i lavoratori
devono essere compiutamente rappresentati e che è ora che il Parlamento
faccia qualcosa in proposito, anche alla luce delle proposte del Pd.
Penso che il segretario del Pd debba farsi sentire più degli altri, perché
Chiamparino e Marchionne sono la stessa persona, ma la direzione politica
del partito compete al suo leader.
Penso che se non si esercita la leadership, se non se ne discute con gli alleati,
hai voglia poi a parlare di Terzo Polo e di congelamento delle primarie.
Penso che non si debba tornare al '93, ma che ce ne voglia uno nuovo, con uno
schema rinnovato, in cui la responsabilità sia assunta da tutte le parti in
causa. E che la politica, se vuole un ruolo, in Italia e in Europa, lo debba
interpretare, ora o (quasi) mai più.
fonte: http://civati.splinder.com/post/23843830
-----------------------“Se per un istante Dio si dimenticherà che sono una marionetta di stoffa e mi regalerà
un pezzo di vita, probabilmente non direi tutto quello che penso, ma in definitiva
penserei tutto quello che dico. Darei valore alle cose, non per quello che valgono, ma
per quello che significano. Dormirei poco, sognerei di più, andrei, quando gli altri si
fermano, starei sveglio, quando gli altri dormono, ascolterei, quando gli altri parlano
e come gusterei un buon gelato al cioccolato!! Se Dio mi regalasse un pezzo di vita,
vestirei semplicemente, mi sdraierei al sole lasciando scoperto non solamente il mio
corpo ma anche la mia anima. Dio mio, se io avessi un cuore, scriverei il mio odio sul
ghiaccio e aspetterei che si sciogliesse al sole. Dipingerei con un sogno di Van Gogh
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Post/teca
sopra le stelle un poema di Benedetti e una canzone di Serrat sarebbe la serenata che
offrirei alla luna. Irrigherei con le mie lacrime le rose, per sentire il dolore delle loro
spine e il carnoso bacio dei loro petali. Dio mio, se io avessi un pezzo di vita non
lascerei passare un solo giorno senza dire alla gente che amo, che la amo.
Convincerei tutti gli uomini e le donne che sono i miei favoriti e vivrei innamorato
dell’amore. Agli uomini proverei quanto sbagliano, a pensare che smettono di
innamorarsi quando invecchiano, senza sapere che invecchiano quando smettono di
innamorarsi. A un bambino gli darei le ali, ma lascerei che imparasse a volare da solo.
Agli anziani insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia ma con la
dimenticanza. Tante cose ho imparato da voi, gli Uomini! Ho imparato che tutto il
mondo ama vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità sta nel
risalire la scarpata. Ho imparato che quando un neonato stringe con il suo piccolo
pugno, per la prima volta, il dito di suo padre, lo tiene stretto per sempre. Ho
imparato che un uomo ha il diritto di guardarne un altro dall’alto al basso solamente
quando deve aiutarlo ad alzarsi. Sono tante le cose che ho potuto imparare da voi, ma
realmente, non mi serviranno a molto, perché quando mi metteranno dentro quella
valigia, infelicemente starò morendo.”
—
Gabriel García Márquez Iodellavitanonhocapitouncazzo:
fonte: http://iodellavitanonhomaicapitouncazzo.tumblr.com/post/2636010006/se-per-un-istante-dio-sidimentichera-che-sono-una
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Quando Pesci ed Acquario si uniscono in una relazione amorosa, ciò
che ne viene fuori è una relazione ricca di passione e creatività. Sono
partner molto idealisti come individui. Pesci ama viaggiare con la propria
mente ed Acquario, spesso viene fuori con nuove invenzioni e modi diversi di
fare le cose. La loro relazione scava a fondo alla ricerca della verità e delle
possibili soluzioni per risolvere i problemi; entrambi, inoltre, tendono ad
essere introspettivi.
Acquario è frettoloso nel giudicare chi non accorda con le sue opinioni,
mentre Pesci è troppo compassionevole anche con chi in realtà non ne ha
bisogno.
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Post/teca
Acquario e Pesci sono prima di tutto amici oltre ad essere amanti
eccellenti. I problemi tra loro sono rari, ma a volte Acquario può rivelarsi
troppo intellettuale e riservato per Pesci che a sua volta si rivela troppo
altruista ed ingenuo per i gusti di Acquario.
Qualche volta le diverse reazioni dinanzi una situazione possono creare una
barriera tra i due; Acquario è molto veloce nell’allontanare chi è in disaccordo
con le sue idee e Pesci fa in fretta a buttarsi in altre situazioni. In qualche
occasione la coppia avrà conflitti, ma sono entrambi capaci di perdonare e
dimenticare.
Acquario è governato da Urano e Saturno mentre Pesci da Giove e
Nettuno. Urano influenza con idee iconoclastiche e pratiche innovative:
Saturno fornisce la guida per agire in base a queste idee e l’abilità di
organizzare i dettagli che possa animarli. Giove interviene con la filosofia,
l’insegnamento e la comprensione mentre Nettuno focalizza sulla spiritualità;
in questo modo Pesci ama apprendere cose nuove ed eccitanti come il
partner. Quando Acquario ha una nuova idea, e questo capita spesso, Pesci è
desideroso di capirlo dal punto di vista intuitivo. Questa coppia crea una
relazione profonda grazie alle loro risorse complementari intellettuali ed
emotive.
Acquario è un segno d’aria, Pesci un segno d’acqua; è una relazione
motivata rispettivamente dall’intelletto e dal sentimento. Man mano che va
avanti la storia, l’unione diventa più flessibile. Quando le cose vanno bene,
sembra che si sia raggiunta la perfezione ma quando le cose vanno male, la
comunicazione diventa terribile.
Pesci ama trovarsi dove si mescolano le azioni e l’intelletto di Acquario;
Acquario, a sua volta, può imparare la tolleranza ed il calore dal riservato
Pesci.
Pesci Acquario è una coppia che forma un buon team di lavoro; pur
se in disaccordo riescono a trovare il punto di equilibrio. I conflitti
nascono a causa dei bisogni di dolcezza e supporto emotivo di Pesci mentre
Acquario è più focalizzato sulle idee che sui sentimenti.
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Post/teca
Acquario inizia nuovi progetti e li cambia spesso; Pesci riesce ad accettarli
finchè ha un ruolo ben preciso per migliorare la loro relazione. Quando fanno
delle cose insieme, non discutono mai su chi si prende il merito per gli
obiettivi raggiunti. Entrambi sono più abili nell’iniziare a fare una cosa
piuttosto che portarla a termine; se la relazione diventa troppo noiosa per
Acquario, Pesci sarà d’accordo con lui e deciderà di allontanarsi.
Qual è il miglior aspetto della relazione Pesci Acquario?
Il miglior aspetto della relazione è il loro interesse reciproco nel coltivare la
conoscenza e nell’accettare idee moderne e cosmopolite. Sono una coppia
unita riguardo all’entusiasmo, l’energia ed il desiderio per una relazione
aperta, onesta e sincera.
fonte:
http://www.oroscopo.it/servizi/amore/pesci-acquario.html
Come Sedurlo...
… Impara a far sì che film tragici e brani musicali drammatici facciano
scendere una lacrima dai tuoi occhi. Il tuo Pesci apprezzerà la sensibilità – e
asciugherà le tue lacrime con baci.
… Entra in contatto con il tuo amore compassionevole e intimo per ogni
essere umano dell’universo. Il tuo Pesci può aiutarti a enfatizzarlo con tutte le
forze, e ti aiuta a capire perché loro meritano il tuo amore.
… Impara come comunicare mille espressioni d’amore – tutte senza dire una
parola. Il tuo Pesci sarà capace di leggere la tua anima guardando nei tuoi
occhi.
… Offri appoggio al tuo Pesci; impara come tenerlo con i piedi per terra,
senza deprimerlo troppo, facendolo scendere dalle nuvole. Il tuo Pesci ti
insegnerà come sognare e osservare stelle cadenti nel cielo.
… Pensa ai modi con cui mostrare al tuo Pesci che una storia d’amore vera
può nascere, realmente, tra voi due ed egli vi mostrerà in che modo questa
157
Post/teca
storia d’amore può durare per sempre.
… Ama le belle arti e il buon vino – il tuo Pesci ti amerà per tutto ciò.
Da Evitare…
... Non credere che il tuo Pesci diverrà, nel vostro rapporto, l’esperto dal
punto di vista finanziario. Un Pesci affiderà spesso le questioni finanziarie agli
altri, poiché la sua mente é altrove.
... Non rimproverare il tuo Pesci troppo duramente di essere un sognatore a
occhi aperti invece di un intraprendente. Il Pesci è noto per essere in sintonia
con il lato spirituale, non quello materiale.
… Non criticare il vero amore all’antica. Il Pesci crede che esista e non ha
intenzione di accontentarsi di una relazione amorosa occasionale.
… Non buttar giù il tuo Pesci così per caso; puoi ferire i suoi sentimenti senza
neanche accorgertene. Un Pesci non potrebbe urlare di dolore o gettare cose
dalla finestra quando viene ferito, ma sta comunque male interiormente.
… Non trattare il tuo Pesci troppo superficialmente; non giocare con lui e non
lasciar che ti veda condurre il gioco. Un Pesci non ama questo
comportamento, poiché ciò va contro le sue idee sull’amore vero e sull’unione
spirituale.
… Non soffocare i suoi impulsi artistici – questo è un segno veramente
creativo, e tu puoi essere un punto fermo nella via della felicità e diventare la
sua bella opera d’arte.
fonte: http://www.oroscopo.it/12/il-segno-dei-pesci/455/Seduzione-Segno-Pesci.html
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fotonico:
158
Post/teca
Tessera 21
Il mio locale preferito, un piccolo club per fumatori dove si
accede per mezzo di tessera magnetica, che la prima cosa
che ti porta il proprietario dopo il suo sorriso e una stretta
di mano, è un posacenere.
È buio, ma le piccole luci sono calde.Odore di sigaro, aria
lattiginosa e una pila di libri sempre diversi sul bancone.
Si può persino mangiare, anche se la scelta è limitata al più
strepitoso panino con la pancetta della vostra vita.
L’impianto audio non smette mai di farti compagnia.
C’era solo una coppia, che chiacchierava distratta in un
angolo. Io seduto al banco aspettavo il mio drink che è
arrivato con un libro di poesie giovanili di sylvia plath. E
per settantacinque interminabili minuti una nenia d’un
vecchio, che cantava una canzone di chiesa di quando era
ragazzino, unita al progressivo incalzare e salire della
musica strumentale ed ero ridotto uno straccio. È bastata la
musica per prendermi per mano è condurmi in un trip
dentro al mio cuore.
È così potente la musica.
Ma tu sai ascoltare?
sì
via: http://batchiara.tumblr.com/
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“Ogni persona ha una stella, ogni stella ha un amico, e ogni persona ha qualcuno che
gli somiglia, una stella simile alla sua che si porta dentro come confidente.”
—
Orhan Pamuk (via apneadiparole)
via: http://biancaneveccp.tumblr.com/
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159
Post/teca
“Sono convinto, Lucas, che ogni essere umano è nato per scrivere un libro, e per
nient’altro. Un libro geniale o un libro mediocre, non importa, ma colui che non
scriverà niente è un essere perduto, non ha fatto altro che passare sulla terra senza
lasciare traccia.”
—
Agota Kristof - Trilogia della città di
K. (via arentweallrunning)
via: http://coactusvolui.tumblr.com/
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L'Epifania di Prudenzio
Poesia
di un triplice dono
di Inos Biffi
L'adorazione dei Magi e il loro triplice dono d'oriente. È il tema dei versi di Prudenzio assegnati all'ufficio
delle letture nella festa dell'Epifania: dimetri giambici acatalettici, non particolarmente ispirati, ma chiari e
lineari. Essi volgono in poesia il passo di Matteo (2, 11): "I Magi, entrati nella casa, videro il bambino con
Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro,
160
Post/teca
incenso e mirra", illustrati nel loro significato arcano.
Alludono infatti al sorprendente mistero racchiuso in quel bambino, invitato dal poeta a riconoscere il senso
inteso da quelle insegne: "Riconosci, o bambino, i segni della potenza e della regalità che il Padre tuo ti ha
assegnato". E precisamente il prezioso tesoro dell'oro e l'odore fragrante dell'incenso ne simboleggiano la
dignità regale e la divinità; mentre la polvere di mirra ne raffigura la mortalità e ne presagisce la sepoltura.
Quanto a Betlemme, si trova nobilitata e innalzata su tutte le città della Giudea, per il privilegio di aver dato i
natali a Colui, che, disceso dal cielo e fattosi carne, è guida alla salvezza.
Per decisione del Creatore, in conformità con l'annuncio siglato dai Profeti, sarà lui - prosegue l'inno - a
esercitare il giudizio e ad assumere il regno: "Un regno che si estende a tutto l'universo, da oriente a
occidente, e comprende ciò che sta sopra i cieli o giace negli inferi".
Sentiamo nei versi di Prudenzio echeggiare diversi richiami e motivi scritturistici. Vi sono intessuti l'oracolo
di Michea, "E tu, Betlemme, non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda" (5, 1-3); le promesse
divine fatte al Messia: "Lo scettro del tuo potere stende il Signore (...) A te il principato nel giorno della tua
potenza" (Salmi, 110 [109]); la sua esaltazione da parte di Dio, che "gli donò il nome che è al sopra di ogni
nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua
proclami che Gesù Cristo è Signore a gloria di Dio Padre" (Filippesi, 2, 9-11); l'implorazione per il re
messianico: "O Dio, affida al figlio del re la sua giustizia" (Salmi, 72 [71], 1) o l'affermazione stessa di
Gesù: "Il Padre ha dato ogni giudizio al Figlio" (Giovanni, 5, 22).
Il racconto della venuta dei sapienti d'oriente, attratti come primizie nella luce della stella, mentre rievoca le
vicissitudini passate d'Israele, delinea, in anticipo profetico, la missione universale di Gesù, l'Israele nuovo,
riconosciuto dalle nazioni ma rifiutato dalla sua gente. Nelle sue precoci tribolazioni si ripetono le
vicissitudini dolorose del popolo ebraico oppresso in Egitto dal Faraone, ora riapparso nella figura di Erode
che vanamente trama di uccidere il bambino.
Nella festa dell'Epifania, rievocando la venuta dei Magi che "si prostrarono e lo adorarono", la Chiesa
rinnova la sua fede gioiosa in Gesù, Figlio di Dio, unico Salvatore del mondo e ne proclama la signoria.
Tutta l'identità e la consistenza della Chiesa si risolvono e si raccolgono in questa assoluta adorazione.
Nessun altro salvatore, che non sia l'identico Gesù incontrato a Betlemme da quei misteriosi scrutatori degli
astri, riesce anche solo minimamente a incantarla o a distrarla. Al di fuori di lui, proclamato ogni giorno dalla
medesima Chiesa come il suo "solo Signore", ci sono solo ingannevoli idoli, intenti a traviarla. Anzi, essa
stessa, la Chiesa, sa di brillare nel mondo come l'esclusiva e provvida stella che a tutti gli uomini rischiara la
161
Post/teca
strada e si ferma dove si trova il bambino.
(©L'Osservatore Romano - 6 gennaio 2011)
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Voglio ridere abbastanza da tenere
in aria stormi di uccelli.
(Source: cardia)
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zeigarnik: “The Zeigarnik Effect is the tendency to experience intrusive
thoughts about an objective that was once pursued but left incomplete.”
vedi: http://lushlight.tumblr.com/post/2635489860/zeigarnik-thezeigarnik-effect-is-the-tendency
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questoblognonhaunnome:
Sai solo quello che io ti mostro, il resto non lo immagini neanche. E’ per
questo che rido.
(via lalumacahatrecorna)
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"Ciò non toglie che esistano svariati generi di
libertà, e il genere più prezioso è spesso
taciuto nel grande mondo esterno fatto di
vittorie, conquiste e ostentazione. Il genere di
162
Post/teca
libertà davvero importante richiede
attenzione, consapevolezza, disciplina,
impegno e la capacità di tenere davvero agli
altri e di sacrificarsi costantemente per loro,
in una miriade di piccoli modi che non hanno
niente a che vedere col sesso, ogni santo
giorno. Questa è la vera libertà. Questo è
imparare a pensare. L’alternativa è
l’inconsapevolezza, la modalità predefinita, la
corsa sfrenata al successo: essere
continuamente divorati dalla sensazione di
aver avuto e perso qualcosa di infinito."
— David Foster Wallace (via thistumblrwillsaveyourlife)
(Source: 42andpointless, via nives)
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"Sapere di non sapere è la cosa migliore.
Fingere di sapere quando non si sa è una
malattia."
— Lao Tzu (via tattoodoll)
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"
No, contrariamente a quanto molti di voi si
163
Post/teca
aspettano, non suggeriamo ai fedeli di
stroncarsi la statua in un orifizio a piacere,
no.
E non diciamo neanche che il solo pensiero
di vivere in una città il cui Comune dovesse
finanziare una stronzata del genere ci farebbe
vergognare come merde, anche più degli
abitanti di Adro.
Anzi, noi siamo più che favorevoli a questa
bella iniziativa, che trascende l’aspetto
prettamente religioso, privilegiando invece
quello della cultura popolare, dell’icona che
protegge dalla malasorte.
Ecco perché vorremmo addirittura
potenziare l’iniziativa per attirare la fortuna e
costringerla a volgere il suo sguardo (di una
dea bendata, comunque…) verso la nostra
beneamata città.
Queste le nostre proposte: innanzitutto ci
sembra più giusto che la statua della
Madonna vada ad impreziosire la facciata del
164
Post/teca
vescovado, invece di rompere i cogl… andare
sprecata sul porto; luogo, questo,
tradizionalmente più frequentato da troie,
marinai, delinquenti e scaricatori che,
durante i loro duri giorni di lavoro, non
mancheranno di nominarla svariate volte
(compresi i suoi stretti congiunti).
A protezione scaramantica della nostra gente
proponiamo anche sculture rappresentanti:
* un bel corno rosso, al posto del Faro;
* un ferro di cavallo all’ingresso
dell’ospedale;
* una zampa di coniglio al casello
dell’autostrada;
* un bel gobbo in comune al posto del
sindaco;
* un quadrifoglio al Punto SNAI;
* una scarpa che pesta una merda davanti
allo stadio A. Picchi.
Ma soprattutto, all’interno del porto, una
gigantesca statua di Don Zauker che si tocca i
165
Post/teca
coglioni.
Ecco, con questi potentissimi amuleti,
unitamente all’immagine della Beata
Vergine, la nostra città vivrà in pace e
prosperità per mille e mille anni.
"
— DonZauker - Madonna portuale (via superfuji)
(via 3n0m15)
-------------------
"Che cos’è il genio? E’ fantasia, intuizione,
decisione e velocità d’esecuzione."
— (“Il Necchi”)
(Source: megliotardi)
-------------------
"A nascere son buoni tutti! Persino io sono
nato! Ma poi bisogna divenire! divenire!
crescere, aumentare, svilupparsi, ingrossare
(senza gonfiare), accettare i mutamenti (ma
non le mutazioni), maturare (senza
avvizzire), evolvere (e valutare), progredire
(senza rimbambire), durare (senza vegetare),
invecchiare (senza troppo ringiovanire), e
166
Post/teca
morire senza protestare, per finire… un
programma enorme, una vigilanza
continua… perché a ogni età l’età si ribella
contro l’età, sai! E se fosse solo questione di
età… ma c’è anche il contesto!"
— Daniel Pennac (via clairefisher)
(via lalumacahatrecorna)
-------------------------
Confucianesimo e Taoismo: i
grandi pensatori cinesi a
confronto
Kong Zi, Lao Zi, Zhuang Zi:
tutti “figli” dello Yi Jing
MASSIMO CICCOTTI
Un giorno, Zhuang Zi si
addormentò in un parco: sognò
di essere una bellissima farfalla.
Vola di qua, vola di là, alla fine
la farfalla, stanca, si
167
Post/teca
addormentò. Anche la farfalla
fece un sogno: sognò di essere
Zhuang Zi. In quel momento
Zhuang Zi si svegliò: ma non
riusciva a capire se in quel
momento era il vero Zhuang Zi o
il Zhuang Zi che la farfalla
aveva sognato. Non sapeva più
se se era Zhuang Zi ad avere
sognato di essere una farfalla, o
se era una farfalla ad aver
sognato di essere Zhuang Zi.
Associare il Libro dei Mutamenti
alla base di confucianesimo e taoismo
può sembrare un po' bizzarro, in
quanto notoriamente Confucio e Lao
Zi rappresentano due orientamenti
filosofici contrapposti: tuttavia, se
guardiamo appena oltre le apparenze,
la situazione non è così contraddittoria
come sembra.
La formazione dei testi canonici cinesi
è indissociabile dal nome di Confucio.
Nei Dialoghi Confucio ricorre a delle
citazioni ed opera un uso didattico di
un certo numero di testi, che egli
stesso dichiara di avere modificato,
rimaneggiato ed anche emendato. Nel
II° secolo a.C. allorché si apre con la
dinastia Han l'epoca imperiale, il
primo grande storico cinese Sima Qian
così descrive i Classici:
«Il Classico dei Mutamenti, che
tratta del Cielo e della terra, dello Yin
e dello Yang, delle Quattro Stagioni e
168
Post/teca
dei Cinque Elementi è lo studio del
divenire per eccellenza;
Le Memorie sui Riti, che
definiscono i rapporti tra gli uomini,
sono lo studio della condotta;
Il Classico dei Documenti, che ci
tramanda le gesta dei re
dell'antichità, è lo studio della
politica;
Il Classico delle Odi, che canta
monti e fiumi, vallate e burroni,
alberi ed erbe, animali ed uccelli,
maschi e femmine, è l'espressione per
eccellenza della poesia;
Gli Annali delle Primavere ed
Autunni, che distinguono il giusto
dall'ingiusto, sono lo studio del
governo dell'umanità.»
Sicuramente tali testi già esistevano
all'epoca di Confucio, che se ne è
servito nel suo insegnamento e, ciò
facendo, li ha indubbiamente
rimaneggiati e reinterpretati alla sua
maniera in una ottica etica e
pedagogica. In particolare, è attribuito
a Confucio un notevole contributo al
completamento delloYi Jing (Il
Commentario alle immagini e
Commento alle singole linee degli
esagrammi, e le appendici, dette
“Dieci Ali”).
Ma anche Lao Zi e Zhuang Zi
conobbero questo libro e ne furono
ispirati nella scrittura dei loro
“classici”, il Dao De Jing e il Zhuang
Zi: la connessione tra i Yi Jing e
taoismo è molto stretta: tutto il
169
Post/teca
pensiero taoista è basato sulle teorie
dello Yin e Yang, su quella dei Cinque
Elementi e su quella degli Otto
Trigrammi. L'eterno alternarsi delle
energie primordiali, il flusso ciclico
delle stagioni, le interazioni
generative/distruttive dei Cinque
Elementi sono intimamente legate al
Libro dei Mutamenti.
Ma chi erano questi personaggi? E che
cosa hanno detto di importante per
avere fama ancora ai nostri giorni?
Confucio e la sua scuola
Confucio è la latinizzazione operata dai
gesuiti missionari (Confutius) del
nome cinese Kong Fu Zi (Maestro
Kong). Le notizie biografiche che
possediamo sono scarse e di molto
posteriori alla sua morte: secondo la
tradizione, Confucio nacque nel 551
a.C. e morì nel 479, all'età di
settantadue anni. Era originario del
piccolo principato di Lu (attualmente
lo Shandong, provincia costiera a sud
di Pechino). Apparentemente di
discendenza aristocratica, Confucio
stesso fa allusione nei “Dialoghi” ad
una giovinezza di condizioni modeste.
Per le sue origini sociali, Confucio è
rappresentativo di un ceto in ascesa,
intermedio tra la nobiltà guerriera e il
popolo dei contadini e degli artigiani:
si tratta del ceto degli shi che, in virtù
delle loro competenze in ambiti diversi
e segnatamente nel campo culturale,
finiranno per formare la nota categoria
170
Post/teca
dei letterati-funzionari della Cina
imperiale.
Confucio fu impegnato fin da giovane
nella vita politica di Lu, e dopo aver
ricoperto incarichi amministrativi
subalterni divenne infine ministro
della giustizia. La leggenda vuole che
abbia poi lasciato il paese natale per
protestare verso il malgoverno del suo
sovrano: sta di fatto che verso la
cinquantina egli rinuncia alla carriera
politica. Deluso dal sovrano del suo
paese tenta in seguito di offrire i propri
servigi e i suoi consigli ad altri, pare
senza grande successo.
Dopo i sessant'anni se ne torna a Lu,
dove trascorre gli ultimi anni della sua
vita ad insegnare a discepoli sempre
più numerosi. E' in questo periodo
che, secondo la tradizione, avrebbe
composto (o quanto meno riordinato) i
testi che gli sono attribuiti. Confucio è
influenzato dalle attitudini morali che
un tempo erano proprie della classe
nobile: moderazione, rispetto dei riti,
fedeltà alle antiche tradizioni. La sua
prospettiva è sostanzialmente
conservatrice, nel senso che mirava a
ristabilire il rispetto dei valori e
soprattutto dei comportamenti
tradizionali, anche dal punto di vista
formale. Nella visione dei confuciani,
la società doveva strutturarsi su una
rete gerarchica ben stabilita e sul
principio di un paternalismo
autoritario, sanciti da pratiche
171
Post/teca
formaliste e da comportamenti
prescritti; l'organizzazione statale era
improntata al modello delle relazioni
esistenti nella famiglia. Come
l'autorità del padre, contemperata dal
suo impegno a procurare ai familiari
prosperità e sicurezza, era indiscussa,
così nello Stato, il condizionamento
pervasivo di ogni pensiero e di ogni
atto era ritenuto indispensabile per
garantire l'ordine, la pace e la
prosperità materiale.
Ma cosa ha detto di “speciale” il buon
Confucio? Per lui innanzitutto c'è
«l'apprendimento», inteso però, non
tanto come un procedimento
intellettuale ma come esperienza di
vita, come pratica che si condivide con
altri, che è fonte di gioia. La finalità
pratica della educazione consiste nella
formazione di un «uomo di valore» sul
piano morale e capace di aiutare gli
altri nel sociale: in tal modo si delinea
da subito il destino «politico»
dell'uomo colto che, invece di tenersi
in disparte per meglio assolvere ad un
ruolo di coscienza critica, avverte
invece la responsabilità di impegnarsi
nel processo sociale e di governo.
Una delle qualità dell'uomo di valore è
il «senso di umanità», che si manifesta
in virtù di tipo relazionale fondate
sulla reciprocità e sulla solidarietà. La
relazione che in natura fonda
l'appartenenza di ogni individuo alla
comunità umana è quella del figlio nei
confronti del padre. Sulla «pietà
filiale» si fonda la relazione politica tra
172
Post/teca
suddito e principe, la relazione
familiare tra moglie e marito e quella
sociale tra amici. Poiché la famiglia è
percepita come una estensione
dell'individuo, lo stato come una
estensione della famiglia, e poiché il
principe è rispetto ai suoi sudditi ciò
che un padre è rispetto ai suoi figli,
non vi è soluzione di continuità tra
etica e politica. ll sovrano, nell'ideale
confuciano, dovrebbe incarnare
spontaneamente il senso di umanità,
imponendosi con la benevolenza e non
con la forza, dovrebbe possedere la
«virtù», che non è tanto la virtù in
senso morale, in opposizione al vizio,
quanto piuttosto la “virtus” latina
intesa come ascendente naturale,
carisma, che consente ad una persona
di affermarsi senza nessuna
coercizione.
Dopo la morte di Confucio, Mencio
(372-287 a.C.) razionalizzò
l'insegnamento di Confucio sulla
"benevolenza" (o bontà di cuore) e
sull'importanza dei valori morali nella
società, dando così inizio a una disputa
che avrebbe occupato i pensatori
confuciani per diversi secoli. Mencio
infatti sosteneva come norma della
moralità la natura umana, che è
fondamentalmente buona, per cui alla
vita morale occorreva soltanto un
processo di auto perfezionamento. Qui
il discorso religioso diventa più
esplicito, poiché il tentativo è quello di
mostrare come il dio-cielo (concepito
173
Post/teca
come forza morale) si rapporta
all'uomo e lo aiuta a realizzarsi.
Dong Zhong-Shu (197-104 a.C.)
riuscì a far adottare il Confucianesimo
come religione di stato sotto la
dinastia degli Han (136 a.C.). Grazie a
lui si svilupparono notevolmente la
burocrazia imperiale e la meritocrazia,
cui il sistema degli esami per il
mandarinato diede forte impulso.
Sotto questa dinastia, il
confucianesimo si arricchì di una
cosmologia e di una metafisica, basata
sul dualismo di yin (principio
femminile, ombra, freddo, riposo,
passività, terra) e yang (principio
maschile, luce, calore, energia, attività,
aggressività, cielo).
Xunzi (298-238 a.C.), che è il terzo
fondatore del Confucianesimo,
sosteneva invece che la natura umana
è incline al male e solo attraverso
un'educazione imposta dall'esterno,
essa può vivere pacificamente e con
dignità. Da notare che fu soprattutto
Xunzi a sviluppare il lato pratico della
religione confuciana con la sua
dottrina dell'azione rituale. Confucio si
era soffermato soprattutto
sull'esigenza di vivere la vita con
umanità e di preservare i riti
tradizionali. Xunzi formalizzò e
codificò questa prassi, introducendo
nuovi riti, i quali, peraltro, essendo
prevalentemente dei sacrifici ufficiali
statali, erano poco sentiti dal popolo.
Con l'avvento della dinastia Song
(960-1279 d.C.) il pensiero confuciano
174
Post/teca
entrò nella sua nuova e ultima fase di
elaborazione. A partire dal XII sec.
sorge praticamente il "neoConfucianesimo", in direzione del
panteismo e sotto l'influenza del
Taoismo e del Buddismo. La
preoccupazione fondamentale fu
quella di studiare la storia passata e i
testi classici, considerati depositari del
modello ideale del "buon governo".
L' impostazione del Confucianesimo
data da Dong rimase praticamente
invariata sino al 1905. Poi il culto
statale venne riorganizzato nel 1907 e
soppresso nel 1912. Durante la
"rivoluzione culturale" maoista ci si
scagliò contro il Confucianesimo in
quanto tale, senza distinguere le idee
originarie del fondatore da quelle, di
alcuni suoi seguaci, che poi risultarono
dominanti. Una campagna anti Confucio è stata condotta anche nel
1973: sotto accusa furono quegli
insegnanti che si servivano di metodi
autoritari. La casa di Confucio venne
saccheggiata dalle "guardie rosse": le
preziose edizioni di antichi testi
confuciani conservate nella biblioteca,
la statua di Confucio, quelle dei suoi
quattro discepoli e seguaci più celebri,
i vasi sacrificali, gli antichi strumenti
musicali, fra i quali il liuto: tutto andò
distrutto.
L'attuale governo cinese ha deciso da
qualche anno di rilanciare in grande
stile la figura del maestro Kong: gli
Istituti Confucio – oggi presenti in più
di 36 nazioni - servono non solo per
175
Post/teca
apprendere la lingua e la cultura, ma
anche per avere "una visione più
chiara della Cina moderna". Grazie
all'importanza della Cina nel mondo,
gli studenti stranieri di lingua cinese
crescono sempre più: secondo
l'agenzia Nuova Cina nel mondo vi
sono circa 30 milioni di stranieri che
studiano cinese ed anche in Italia,
nelle università di lingue, i corsi di
cinese stanno avendo un boom di
iscrizioni. (In Italia è stato aperto un
Istituto Confucio nel 2005 presso
l'Università “La Sapienza” di Roma.
[www.istitutoconfucio.it])
Si può intuire, alla luce di questi cenni
sul pensiero confuciano, come il
progetto del governo cinese intenda
promuovere non solo lo studio
all'estero, ma anche diffondere le idee
del grande filosofo in patria. Il
desiderio di mostrare un volto noto
alla cultura mondiale, la crisi della
moralità e dei valori spirituali nel
paese, la ricerca di identità ha fatto
puntare tutto sul filosofo del V secolo
a.C., sulla moralità da lui predicata,
soprattutto la pietà filiale, l'obbedienza
alle autorità, il sacrificarsi per il clan.
La contraddizione apparente è che sia
proprio il governo comunista a
riportare in luce un filosofo che Mao
ha tentato in tutti i modi di distruggere
e che la Rivoluzione Culturale ha
giudicato un simbolo della
"arretratezza feudale": ma, come
dicono i cinesi, “è del saggio cambiare
opinione …”.
176
Post/teca
La scuola taoista
Parallelamente allo sviluppo del
confucianesimo, si sviluppano
tendenze che possono sembrare
antisociali e persi
no
anarchiche, che continueranno ad
alimentare, anche nell'era imperiale,
una delle correnti più originali e vivaci
della intellettualità cinese. La «scuola
taoista» rappresenta la principale di
queste tendenze. La condanna del
lusso, della tecnologia, delle
istituzioni, l'indifferenza e il distacco
per le cose, tutti consigliano un ideale
di sobrietà riferendosi alle piccole ed
isolate comunità rurali. Per i taoisti i
tempi oscuri in cui gli uomini
ignoravano tutte le raffinatezze della
177
Post/teca
civiltà erano l'età dell' oro: ogni
progresso tecnico, ogni nuova
istituzione rappresentano un passo in
più verso l'asservimento dell'uomo e la
degradazione delle sue virtù naturali.
Lo stato doveva essere leggero e
limitato alle dimensioni del villaggio,
la virtù dei governanti doveva essere
misurata su un'intuitiva saggezza e
non su un elaborato possesso di
nozioni, il rapporto con la natura
poteva essere stabilito in termini di
convivenza e non di assoggettamento.
Il taoismo ha costituito nella civiltà
della Cina il momento libertario
dell'evasione dagli obblighi e dalle
coazioni, dell'iniziativa individuale, del
piacere e della curiosità personale (ha
dato un contributo senza pari
all'elaborazione della scienza, della
tecnologia e della medicina), della
fantasia (la pittura e la letteratura
cinesi sono dominate dalle concezioni
taoiste) e anche della trasgressione
dagli obblighi politici o familiari.
Secondo la leggenda che fa di lui un
contemporaneo di Confucio, vissuto
nel VI-V secolo a.C., sarebbe Lao Zi (
老子) ad aprire la «via taoista».
Tuttavia esistono a livello scientifico
dei dubbi sulla reale esistenza storica
di Lao Zi. Come tutti personaggi
mitici, strane leggende sono state
tramandate sulla sua nascita,
quantomeno originale: sua madre
l'avrebbe portato in grembo 81 anni
(ovvero nove volte nove anni, dato che
178
Post/teca
il 9 è un numero magico), e sarebbe
venuto al mondo con i capelli e le
sopracciglia bianche! Da cui il
soprannome di Laozi, che oltre
“Vecchio Maestro” può essere tradotto
come “Vecchio Bambino”. Ben presto
gli venne attribuita una favolosa
longevità: 80 anni, poi 160, 200 anni,
e anche più!
Successivamente, la figura di Lao Zi
subì un processo di divinizzazione:
divenne il dio della Longevità sotto
una particolare forma, quella di
Shoulao, una delle sue emanazioni.
Shoulao è molto popolare in Cina, e
nei musei si trova spesso la sua
immagine (in ceramica, pittura, ecc...).
È facilmente riconoscibile per il cranio
smisurato e calvo, a forma di proiettile
e per la fronte prominente, la lunga
barba bianca, il bastone di legno,
spesso portato da un ragazzino, il suo
assistente.
La tradizione vuole che in un
momento di innumerevoli e
sanguinose guerre tra i diversi regni e
feudi in cui il territorio cinese si
componeva, Lao Zi sviluppasse una
dottrina mirante ad arrestare le guerre
che imperversavano. Questa dottrina,
il taoismo, cercò di stimolare un
equilibrio nella società facendo
riferimento ad una forza che plasma,
circonda e fluisce sempre tra tutte le
cose. Sempre secondo la leggenda, Lao
Zi, demoralizzato per il declino dei
Zhou, sarebbe partito per dirigersi ad
ovest. Quando giunse all'ultimo passo
179
Post/teca
prima della steppa, il guardiano del
passo gli disse: «Dato che state per
ritirarvi dal mondo, vi prego di voler
comporre un libro per me». Lassù Lao
Zi scrisse le cinquemila parole del Dao
De Jing (IL Classico della Via e della
Virtù), poi se ne andò e nessuno seppe
dove morì. Il Dao De Jing (detto anche
Lao Zi) si presenta in una forma
completamente differente da tutte le
opere che l'hanno preceduta: invece di
una esposizione didattica sotto forme
di domande e risposte, alla maniera
dei “Dialoghi” di Confucio, si ha qui
una serie di versi ritmati e rimati, di
estrema concisione e connotati da uno
stile un po' esoterico. Il contenuto si
astiene deliberatamente da ogni
riferimento a luoghi, eventi,
personaggi, che consentano una
datazione dell' opera: di qui il numero
impressionante di interpretazioni e
traduzioni esistenti.
La tradizione ha fat
180
Post/teca
to di Zhuang Zi 庄子il secondo
maestro taoista dopo Lao Zi: peraltro
una lettura attenta dei testi induce a
rimettere in discussione la sequenza
tradizionale invertendone l'ordine e
collocando la composizione del
Zhuang Zi (l'opera attribuita al
maestro) nel IV sec., prima di quella
del Lao Zi databile all' inizio del III
sec. Occorre inoltre precisare che i due
nomi, che oggi vengono sempre citati
assieme, non furono associati prima
dell' età imperiale: fu infatti solo nel II
sec., all'epoca Han, nel II° sec. a.C. che
apparve l'etichetta di «scuola taoista»
道家(dao jia) nella classificazione delle
sei grandi scuole di pensiero degli Stati
Combattenti operata da Sima Qian
nelle Memorie di uno storico (shi ji).
Il Zhuang Zi, come testo, è steso in una
181
Post/teca
prosa esuberante, di alta qualità
letteraria e poetica: in confronto
all'anonimo Lao Zi, il Zhuang Zi
appare come una vera e propria opera
di autore dal tono marcatamente
personale. Tuttavia esso rimane
comunque una miscellanea di scritti
rappresentativi di correnti alquanto
diverse, scritti in periodi diversi, di cui
solo una parte viene attribuita a
Zhuang Zi. A differenza di Lao Zi,
Zhuang Zi è un personaggio di cui
almeno è certa l'esistenza, anche se si
sa molto poco su di lui. Il suo nome
personale era Zhou e sarebbe stato
originario dell'area meridionale di
Chu, vissuto tra la fine del IV e l'inizio
del III sec a.C. Dopo aver occupato un
posto amministrativo subalterno, si
sarebbe deliberatamente ritirato dal
mondo, offrendo di se stesso
l'immagine di un personaggio
eccentrico che costituisce l'oggetto di
numerosi aneddoti.
La disputa filosofica
Il tema centrale della speculazione
cinese è il seguente: esistono uomini di
vari tipi e condizioni (politici, artisti,
scienziati) e per ciascuno esiste la più
alta forma di sviluppo della quale il
tipo è capace. Ma quale è la più alta
forma di sviluppo di cui un uomo
«come uomo» è capace?
Secondo i filosofi cinesi è nientemeno
che quella del «saggio» e l'ideale di un
182
Post/teca
saggio è l'identificazione dell'individuo
con l'universo. Il dibattito filosofico
cinese non è tanto sulla domanda
“Cos'è la verità?” ma “Dov'è la Via?”,
(Dao) ovvero il modo di regolare lo
stato e di guidare l'esistenza
individuale. Questo termine, Dao
(detto anche Tao), di cui sovente si
attribuisce il monopolio ai taoisti, è di
fatto un vocabolo corrente nella
letteratura antica e significa «strada,
via», «cammino» e per estensione
«metodo, modo di procedere». Inoltre,
a causa della fluidità delle categorie
grammaticali del cinese antico, Dao
può anche significare «camminare»,
«avanzare», ma anche «parlare,
enunciare». Così ogni corrente di
pensiero ha il suo dao, in quanto
propone un insegnamento sotto forma
di enunciati la cui validità non è di
ordine teorico, ma si fonda su un
insieme di pratiche. Nel dao
l'importante non è attingere il fine
quanto piuttosto saper procedere. la
Via non è mai tracciata in precedenza,
ma si traccia mano a mano che vi si
cammina
Nel pensiero cinese prevale la
riflessione in rapporto all'azione
piuttosto che in rapporto alla
conoscenza in sé. Piuttosto che un
«sapere cosa», e cioè la ricerca della
verità, la conoscenza è soprattutto un
«sapere come» e cioè la ricerca del
come ordinare e dirigere la propria
vita nell'ambito di uno spazio sociale.
Il pensiero confuciano porta ad una
183
Post/teca
visione di tipo «politico», nel senso di
un ordinamento del mondo secondo la
visione umana, mentre i taoisti
privilegiano una visione «artistica»,
nel senso della partecipazione
dell'uomo alla gestazione del mondo.
La mente umana è capace di due tipi di
conoscenza, quella razionale e quella
intuitiva: la prima tradizionalmente
associata alla scienza, la seconda alla
religione. In occidente si privilegia la
razionalità, in oriente l'intuito: per
meglio dire, i cinesi hanno sempre
sottolineato la natura complementare
dell'intuitivo e del razionale: taoismo e
confucianesimo ne sono la
dimostrazione.
La conoscenza razionale appartiene al
campo dell'intelletto, la cui funzione è
discriminare, dividere, confrontare,
misurare ed ordinare in categorie.
L'astrazione è una caratteristica tipica
di questa conoscenza, perché per poter
analizzare l'immensa varietà di forme
e fenomeni non possiamo prendere in
considerazione tutti gli aspetti, ma se
ne devono scegliere solo alcuni
significativi. Il mondo naturale, d'altra
parte, ha una varietà e complessità
infinita, nella quale le cose non
avvengono in successione, ma tutte
contemporaneamente: è chiaro che il
nostro sistema astratto di pensiero
concettuale non potrà mai descrivere o
comprendere questa realtà nella sua
complessità: tutta la conoscenza
184
Post/teca
razionale è necessariamente limitata.
Poiché tuttavia la nostra
rappresentazione della realtà è molto
più facile da afferrare che non tutta la
realtà stessa, noi tendiamo a
confondere le due cose e a prendere i
nostri concetti e i nostri simboli come
se fossero la realtà.
Zhuang Zi ricorre ad ogni
procedimento possibile per deridere la
ragione discorsiva: nel suo libro, con
una forma di suprema ironia, spesso
usa le parole con un significato
opposto a quello usuale, mostrando
così di aver capito che spesso
l'umorismo è ben più efficace e
corrosivo di un lungo discorso.
Predilige il dialogo serrato o
l'aneddoto paradossale che si conclude
con un tocco di nonsenso finalizzato a
produrre un sussulto, un balzo in una
verità altra rispetto a quella della
logica ordinaria 1. Un altro suo
procedimento consiste nell'intavolare
una discussione pesudo-logica con
tutte le apparenze della razionalità, per
concluderla in modo delirante.
Zhuang Zi e Hui Zi passeggiavano
sull'argine del fiume Hao. Zhuang Zi
esclamò: «Guardate i pesci, come
sguazzano a loro agio. E' questo il
piacere dei pesci».
Hui Zi replicò: «Ma voi non siete un
pesce: come potete sapere quale è il
piacere dei pesci?».
185
Post/teca
Zhuang Zi gli ribatté:«E voi non siete
me; come potete dunque sapere che io
non so quale è il piacere dei pesci?».
E Hui Zi di rimando: «Io non sono
voi, e dunque di certo non so ciò che
sta in voi. Ma voi di certo non siete un
pesce, ed è dunque evidente che non
sapete quale è il piacere dei pesci.»
Zhuang Zi rispose: « Riprendiamo
dall' inizio, se non vi dispiace. Voi mi
avete chiesto come sapevo qual è il
piacere dei pesci: dunque, per farmi
questa domanda, sapevate che lo
sapevo. Ebbene lo so, standomene qui
in riva al fiume.»
Ciò che è messo ironicamente in causa
non è più soltanto l'uso che si fa del
linguaggio, ma il linguaggio stesso. Per
Zhuang Zi il linguaggio non può dirci
nulla sulla vera natura delle cose per il
fatto che è esso stesso a porre non
soltanto i nomi (名ming), che diamo
alle cose ma al contempo le cose stesse
(实shi). Cos'è che permette di decidere
che qualcosa «è questo» o non lo è?
Zhuang Zi si diverte a mettere le
proprie idee in bocca a Confucio
sovvertendone il ruolo. La sua critica
verso Confucio è feroce: lui aveva detto
al suo discepolo Zilu:
«Vuoi che ti insegni cos'è la
conoscenza? Sapere che si sa quando
si sa, e sapere che non si sa quando
non si sa, questa è la conoscenza»
Inoltre aveva affermato di sè nei
186
Post/teca
Dialoghi:
«Io, a quindici anni decisi di
dedicarmi allo studio; a trenta anni
mi affermai saldamente nella società;
a quaranta anni non ebbi più nessuna
incertezza; a cinquanta anni
compresi il Decreto del Cielo; a
sessant'anni seppi ascoltare tutti; a
settanta anni, riuscii a seguire i
desideri del cuore senza violare le
regole» (Dialoghi II-4)
Ed ecco la parodia che ne fa Zhuang
Zi:
«A sessanta anni Confucio non aveva
fatto altro che cambiare opinione
sessanta volte. Ogni volta che aveva
cominciato col dire “è così”, aveva poi
concluso con “non è così”. Chi sa se
per un uomo di sessant'anni la verità
non si presenti sotto lo stesso aspetto
di ciò che per cinquantanove anni fu
per lui un errore?»
In un epoca in cui imperversavano le
discussioni tra confuciani, moisti e
sofisti, Zhuang Zi ritiene che non vi sia
motivo di dare ragione agli uni
piuttosto che agli altri. Questo lo
induce a chiedersi: la ragione è
davvero ragionevole? La ragione
analitica funziona sul principio del
terzo escluso: la tal cosa «è quella» o
non lo è. Ma secondo Zhuang Zi è
illusorio pretendere di affermare
qualcosa, dato che è possibile,
187
Post/teca
simultaneamente affermarne il
contrario. I logici dicevano:
Asserire che nessuna proposizione
prevale nell'argomentazione logica
non può corrispondere alla realtà:
l'argomentazione consiste in questo:
l'uno dice che è così, l'altro dice che
non è così, e prevale colui la cui
proposizione corrisponde alla realtà
Ma Zhuang Zi risponde:
Supponendo che ci mettiamo a
discutere, voi ed io, e che voi abbiate
la meglio su di me, questo
significherebbe che voi avete ragione
e io torto? E se sono io ad avere la
meglio su di voi, questo
significherebbe che sono io ad avere
ragione e voi torto? O forse invece
avremmo ciascuno in parte ragione e
in parte torto? Oppure avremmo
entrambi ragione, oppure entrambi
torto? E se non siamo capaci di
dirimere noi stessi la questione, altri
sarebbero ancora più confusi. A chi
fare appello come arbitro? Se questo
qualcuno è d'accordo con voi o con
me, come potrebbe per ciò stesso
essere arbitro? E se non è d'accordo
né con me né con voi come potrebbe
dunque arbitrare? Ma se è d'accordo
sia con me sia con voi, l'arbitrato è
forse possibile? Così dunque se
nessuno – né io né voi né un terzo – è
capace di dirimere la questione,
potremmo forse ricorrere a qualcun
188
Post/teca
altro?
Un' altro ostacolo fondamentale alla
conoscenza è il linguaggio:
l'imprecisione e l'ambiguità del nostro
linguaggio sono indispensabili per i
poeti i quali lavorano molto per
associazioni, utilizzando i diversi strati
subconsci del linguaggio stesso. La
scienza mira invece a definizioni
chiare e a relazioni prive di ambiguità:
ecco quindi il linguaggio matematico
come forma più alta di rigore e di
logica. Il metodo scientifico
dell'astrazione è molto efficace e
potente, ma comporta un prezzo da
pagare: via via che definiamo con
maggiore precisione il nostro sistema
di concetti esso si distacca sempre più
dal mondo reale. Basta pensare alle
complesse teorie fisiche moderne, la
relatività, i quanti e alla estrema
complicazione degli esperimenti nel
mondo subatomico… chi di noi, poveri
mortali, potrà mai avere una idea
concreta di cosa è un orbitale di
probabilità o di quanto grande sia un
neutrino? E' così che per integrare i
modelli matematici dobbiamo usare i
modelli verbali, con tutte le loro
imprecisioni ed ambiguità… un circolo
vizioso!
Più che un irrazionale, Zhuang Zi è un
antirazionalista: mette in dubbio che la
ragione analitica possa mostrarci cosa
è il mondo.
Un giorno, Zhuang Zi si addormentò
189
Post/teca
in un parco: sognò di essere una
bellissima farfalla. Vola di qua, vola
di là, alla fine la farfalla, stanca, si
addormentò. Anche la farfalla fece un
sogno: sognò di essere Zhuang Zi. In
quel momento Zhuang Zi si svegliò:
ma non riusciva a capire se in quel
momento era il vero Zhuang Zi o il
Zhuang Zi che la farfalla aveva
sognato. Non sapeva più se se era
Zhuang Zi ad avere sognato di essere
una farfalla, o se era una farfalla ad
aver sognato di essere Zhuang Zi.
Qui il problema, per Zhuang Zi, è che
non vi è propriamente alcun modo di
sapere se colui che parla è in stato di
veglia o di sogno, così come non vi è
alcun modo di sapere se ciò che si
pensa sia conoscenza o ignoranza.
Mentre sogniamo, non sappiamo di
sognare, interpretando un sogno nel
mezzo di un altro sogno, e soltanto al
risveglio sappiamo di aver sognato.
Malgrado ciò gli sciocchi si credono
desti: voi e Confucio non fate che
sognare, ed io che dico che sognate,
sono io stesso un sogno.
Ma se Zhuang Zi sottolinea le
proprietà autodissolventi del
linguaggio, lo fa per ricusarlo
totalmente, o in vista di qualcos'altro?
In realtà sembra che Zhuang Zi pensi a
qualcosa «al di là del linguaggio». Il
linguaggio dunque va usato avendo
ben chiara la sua limitatezza: è per
190
Post/teca
questo che Zhuang Zi conclude:
«Colui che sa non parla, colui che
parla non sa».
E ancora:
«La ragion d'essere della nassa è il
pesce: una volta preso il pesce, si
dimentica la nassa.
La ragion d'essere della trappola è la
lepre: una volta presa la lepre, si
dimentica la trappola.
La ragione delle parole è il senso: una
volta afferrato il senso si dimenticano
le parole.
Dove troverò l'uomo che sappia
dimenticare le parole, per scambiare
con lui due parole?»
Rimane il fatto che anche l'esperienza
diretta intuitiva della realtà non può
essere descritta verbalmente, essendo
il nostro linguaggio sostanzialmente
limitato: per risolvere questo problema
sono state individuate diverse strade:
il misticismo indiano presenta le sue
affermazioni sotto forma di miti,
servendosi di metafore, di simboli, di
immagini poetiche, di similitudini, di
allegorie. Il linguaggio mitico è molto
meno condizionato dalla logica o dal
senso comune: è pieno di situazioni
magiche e suggestive, non è mai
preciso. I mistici cinesi e giapponesi
hanno trovato un modo diverso per
affrontare il problema del linguaggio:
invece del mito si servono del
paradosso, proprio per mettere in luce
191
Post/teca
le incongruenze che nascono nella
comunicazione verbale.
Nel suo intento di radicalizzazione, il
Lao Zi presenta delle tesi paradossali
più forti del Zhuang Zi, che per lo più
si limita a ironizzare sulla relatività
delle cose. Invece della domanda
«come so che ciò che chiamo
“conoscenza” non è ignoranza? E come
so che chiamo “ignoranza” non è
conoscenza?», il Lao Zi afferma:
Non considerare il sapere come
sapere è somma cosa
Considerare il non-sapere come
sapere è una peste
(Lao Zi, 71)
Il paradosso del Lao Zi consiste nel
prendere in contropiede determinate
abitudini di pensiero: preferire il
debole al forte, il non-agire all'agire, il
femminile al maschile, il sotto al
sopra, l'ignoranza alla conoscenza. Il
Lao Zi parla di preferenza, non di
considerare soltanto il debole
escludendo il forte, in quanto le coppie
di opposizione nel pensiero cinese non
sono mai a carattere esclusivo ma
complementare, poiché i contrari sono
in relazione non già logica, bensì
organica e ciclica, sul modello
generativo della coppia yin/yang.
Zhuang Zi arriva ad elogiare l'inutilità:
Mentre attraversava una montagna,
192
Post/teca
Zhuang Zi vide un albero dai lunghi
rami e dal fogliame rigoglioso.
Un boscaiolo che tagliava la legna lì
vicino non toccava quell'albero.
Zhuang Zi gli chiese il perché «Perché
la sua legna non è buona a nulla»
rispose il boscaiolo.
«Grazie alla sua inutilità quest'albero
giungerà al limite naturale della sua
esistenza»
concluse Zhuang Zi.
(Zhuang Zi, XX)
Ma il paradosso più radicale consiste
nell'affermare che il nulla ha più valore
di qualcosa, il vuoto ha più valore del
pieno:
Trenta raggi convergono nel mozzo
Ma è proprio dove non c'è nulla che
sta l'utilità della ruota
Si plasma l'argilla per farne un
recipiente
Ma è proprio dove non c'è nulla che
sta l'utilità del recipiente
Si aprono porte e finestre per fare
una stanza
Ma è dove non c'è nulla che sta
l'utilità della stanza
Così il «c'è» presenta delle
opportunità, che il «non c'è»
trasforma in utilità
(Lao Zi,11)
Con Zhuang Zi si apre una nuova era
della riflessione filosofica, incentrata
sulla grande questione del rapporto tra
193
Post/teca
l'uomo ed il Cielo (o il Dao). In
proposito il Zhuang Zi condivide con il
Lao Zi la medesima intuizione iniziale:
il Dao è il corso naturale e spontaneo
delle cose, che bisogna lasciare agire. Il
solo essere a staccarsene è l'uomo, con
la sua pretesa di sovrapporvi le proprie
parole e le proprie azioni. La
condizione primaria per la ricerca del
Dao è di rendersi disponibili, di
mettersi in ascolto, in modo da poter
captare le sottili vibrazioni che ci
giungono dalla natura, malgrado i
rumori che le si sovrappongono.
Con la solita irriverenza, così Zhuang
Zi si esprime a proposito:
Il Maestro Dong Guo domandò al
Maestro Zhuang: «Dov'è ciò che
chiamate il Dao?»
«Ovunque» disse Zhuang Zi.«Bisogna
localizzarlo» riprese Dong Guo .
«In questa formica» disse il maestro
Zhuang. «E più in basso?»
«In questo filo d'erba». « E più in
basso ancora?»
«In questo letame» disse il Maestro
Zhuang.
Il Maestro Dong Guo non aggiunse
altro.
(Zhuang Zi,XXII)
Nella visione politica di Confucio,
l'uomo di valore (junzi) è
l'incarnazione di una terna di
valori:apprendimento (xue), il
194
Post/teca
senso dell'umanità (ren) e lo
spirito rituale (li). Poiché la famiglia
è percepita come una estensione
dell'individuo, lo stato come una
estensione della famiglia, e poiché il
principe è rispetto ai suoi sudditi ciò
che un padre è rispetto ai suoi figli,
non vi è soluzione di continuità tra
etica e politica. Confucio converte
dunque l'autorità del principe
nell'ascendente dell'uomo esemplare,
allo stesso modo in cui il«decreto
celeste» è convertito da mandato
dinastico in missione morale. Il
sovrano che, nell'ideale confuciano,
incarna spontaneamente il ren,
imponendosi con la benevolenza e non
con la forza, possiede il 德de. Anche
questo termine, che viene
abitualmente tradotto con «virtù»,
viene rivisitato da Confucio. Non è
tanto la virtù in senso morale, in
opposizione al vizio, quanto piuttosto
la «virtus» latina intesa come
ascendente naturale, carisma, che
consente ad una persona di affermarsi
senza nessuna coercizione.
Il credo politico di Confucio lo conduce
così a definire un ordine di priorità che
resta sorprendentemente attuale:
Zigong chiese:«Cosa significa
governare?»
Il Maestro rispose:«Significa vigilare
perché il popolo abbia cibo ed armi a
sufficienza e assicurarsi la sua
fiducia».
195
Post/teca
Zigong chiese ancora:«E se si dovesse
fare a meno di una di queste tre cose,
quale sarebbe?».
Il maestro rispose: «Sarebbero le
armi».
L'altro chiese di nuovo:«E delle altre
due quale sarebbe?».
Il maestro disse: «Sarebbe il cibo. In
ogni epoca gli uomini sono stati
sempre soggetti alla morte. ma un
popolo privo di fiducia non sarebbe in
grado di reggersi.» (Dialoghi XII,7)
L'esistenza di una teoria politica nel
Lao Zi può sorprendere, se si fa
riferimento ad una concezione
largamente diffusa del taoismo come
saggezza individuale. In effetti soltanto
il Zhuang Zi si pronuncia per un
deliberato disimpegno dalla politica,
che nel Lao Zi rappresenta invece un
aspetto primario della pratica del nonagire.
Confucio aveva detto:
«Governare (zheng) equivale ad
essere nella rettitudine»
(Dialoghi XII,17)
Il motto politico di Lao Zi è:
«reggere un grande stato è come
friggere i pesciolini»
(Lao Zi,60)
Quando si fa cuocere un pesciolino,
non bisogna toccarlo e rivoltarlo,
196
Post/teca
altrimenti si rischia si schiacciarlo:
così non bisogna stancare il popolo
con continui cambiamenti e
amministrativi e nuove leggi. E
Zhuang Zi incalza:
«Chi sa governare il mondo è come
chi sa pascolare i cavalli.
Si limita ad allontanare dai suoi
cavalli tutto ciò che potrebbe nuocere
loro»
(Zhuang Zi, XXIV)
I taoisti non negano il rapporto
dell'uomo con il mondo. Il Santo è
colui che semplicemente riesce ad
intrattenere tale rapporto senza
lasciarsi «reificare dalle cose»: per
Zhuang Zi si tratta di liberarsi, di
svuotarsi del mondo, ma non per
negarlo in nome della sua
impermanenza, che è tematica
squisitamente buddista. Fondendosi
con il Dao, l'uomo ritrova invece il suo
centro e non è più ferito da ciò che lo
spirito umano considera abitualmente
come sofferenza; declino, malattia,
morte.
In mezzo ad un mondo che si perde, io
solo cerco il vero cammino,
ma come riuscirò a trovarlo? So che è
impossibile.
Ma so anche che se volessi
costringerlo, questo mondo,
commetterei un errore in più.
Meglio lasciarlo qual è, senza cercare
di stimolarlo,
197
Post/teca
e viverci in mezzo senza crucciarmi.
(Zhuang Zi, XII)
Le varie scuole taoiste sottolineano
tutte l'unità fondamentale
dell'universo che è la caratteristica
principale del loro insegnamento:
l'aspirazione più elevata dei loro
seguaci è quella di diventare
pienamente consapevoli dell'unità e
della interconnessione reciproca di
tutte le cose, di trascendere la nozione
di sé come individuo singolo e di
identificarsi con la realtà ultima. Il
raggiungimento di questa
consapevolezza, chiamata
«illuminazione» non solo è un atto
intellettuale, ma una esperienza che
coinvolge l'intera persona ed è
fondamentalmente di natura religiosa.
Il confucianesimo, invece, è la
giustificazione razionale e
l'espressione teorica sistema sociale
cinese dell'epoca. Il confucianesimo, in
quanto filosofia della organizzazione
sociale e quindi della vita quotidiana,
pone l'accento sulle responsabilità
sociali dell'uomo. La sua filosofia parla
solo di valori morali e non vuole
entrare nella sfera del metafisico.
In realtà, come abbiamo visto, questa
distinzione è solo strumentale: la
filosofia cinese è di questo mondo ed
insieme ultramondana. Le due
198
Post/teca
correnti di pensiero, benché rivali, si
completavano reciprocamente: è
difficile, di fatto, fare una separazione
netta tra loro: in ogni pensatore infatti,
si realizza una certa compenetrazione
dei due modi di vedere la realtà.
Leggi anche:
Parliamo di politica: i valori del PD
(Partito Daoista)
Dall'oscurità del Caos all'ordine dello
Yi Jing
Lo sciamanesimo e l'arte divinatoria
nella Cina antica
Bibliografia
1) Anne Cheng “Storia del pensiero
cinese” - Ed.Einaudi-2000.
2) Fung Yu-lan “Storia della filosofia
cinese”- Ed. Mondadori –1990
3) John A.G. Roberts “Storia della
Cina”- Ed. Il Mulino-2001
4) Jaques Gernet “La Cina Antica:
dalle origini all'impero” – Ed. Luni 1994
5) M.Sabattini, P.Santangelo “Storia
della Cina” – Ed. Laterza – 2003
6) J.J.L. Duyvendak “Tao Te Ching” –
Ed. Adelphi – 1990
7) Yuan Huaqing, Giorgio La Rosa “I
Classici Confuciani”- Ed. Vallardi –
1995
8) “Zhuang-zi” – Ed. Adelphi – 1992
9) F. Capra “Il Tao della fisica” – Ed.
Adelphi - 1990
10) M. Abbiati “La lingua cinese” –Ed.
Cafoscarina – 1992
199
Post/teca
11) Alan W. Watts “Il Tao: la via
dell'acqua che scorre” – Ed. Ubaldini 1977
fonte: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/blog/grubrica.asp?
ID_blog=300&ID_articolo=60&ID_sezione=&sezione=
-------------------------20110109
"L’amore non è un problema, come non lo è
un veicolo: problematici sono soltanto il
conducente, i viaggiatori e la strada."
— Franz Kafka. (via saneinsane)
(via creativeroom)
-------------------------
"Io non invecchio. Divento vintage."
— questoblognonhaunnome:
--------------------------------
"«L’Italia è un laboratorio del totalitarismo
moderno. Il potere, abusando del diritto,
privatizzandolo e considerandolo una merce,
crea le premesse per un fondamentalismo
politico e religioso e questo mina la
democrazia. I vescovi italiani si oppongono al
200
Post/teca
testamento biologico; quelli tedeschi ne
hanno proposto una regolamentazione che è
più avanzata di quella elaborata dalla sinistra
italiana. Ad un anno dalla morte di Eluana,
Berlusconi ha scritto una lettera alle suore
che l’assistettero comunicando loro il suo
dolore per non averle potuto salvare la vita.
Ha ammesso pubblicamente che il potere ha
tentato di appropriarsi della vita di Eluana;
adesso sta proponendo alla Chiesa un “piano
per la vita”, come moneta di scambio perché
lo appoggi e gli permetta così di continuare a
governare. Cioè ha svenduto lo Stato di
diritto al Vaticano per quattro soldi»."
—
Stefano Rodotà intervistato da El Pais
Qualcosa di sinistra » Piovono rane - Blog - L’espresso
(via killingbambi)
(via killingbambi)
--------------------------------
ora basta
marikabortolami:
voglio fondare una società, una religione, un’associazione qui in italia dove
201
Post/teca
tutto inizia dalle 14 in poi. sono stufa di sottostare all’egemonia dei pazzi
furiosi che si svegliano alle 6. perdio.
facciamo dalle 15, che alle 14 siamo postprandiali.
---------------------------
"Sono fatto così. O dimentico subito, o non
dimentico mai."
— Estragone, Aspettando Godot, Samuel Beckett. (via saneinsane)
(Source: pandateque, via nives)
------------------------
"Ragazze seminude incapaci di parlare
caratterizzate da un bassissimo quoziente di
intelligenza, unitevi! Siamo al punto in cui se
proclamate uno sciopero generale la TV
italiana chiude. Potete chiedere quello che
volete: pause più lunghe tra un pompino e
l’altro, copioni composti esclusivamente da
monosillabi non accentati, George Clooney,
la pace nel mondo… qualsiasi cosa! Serivisse
mai un sindacalista io sono qui. Costo anche
poco, all’inizio."
— cloridrato di sviluppina » Proletari del mondo. (via gianlucavisconti)
(via biancaneveccp)
------------------------
202
Post/teca
“Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano
sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che
risuonano in una zona già nostra - che già viviamo - e facendola vibrare ci
permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi.”
—
Cesare Pavese (via amberdrizzzly)
TEORIA GENERALE DEL
REBLOG.
(via gianlucavisconti)
via: http://piccole.rispostesenzadomanda.com/
-------------------------
“Sono uno di quelli che per capire le cose ha assolutamente bisogno di scriverle.”
—
Murakami Haruki (via beatandlove)
via: http://plettrude.tumblr.com/
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“Ho tante strade intorno e nessuna dentro.”
—
A. Baricco (via vetrosottile)
via: http://biancaneveccp.tumblr.com/
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Quale paesaggio ci fosse dietro la Giconda di Leonardo è sempre stato un enigma.
Ora Carla Glori, una studiosa di Savona, autrice di vari saggi sul celebre quadro
sostiene di averlo sciolto: sarebbe Bobbio, una località del piacentino. La Glori
parte, per l’identificazione del luogo, dal numero 72 scoperto da Silvano Vinceti
(giornalista, scrittore e attualmente presidente del Comitato nazionale per la
salvaguardia dei beni storici, culturali e ambientali) e tracciato sotto le arcate del
ponte che si intravede sopra la spalla sinistra della Gioconda, a destra di chi guarda
l’opera.
Glori, che aveva già individuato nella Gioconda la nobile Bianca Giovanna Sforza si
dice convinta - grazie ad una documentazione storica ponderosa - che lo sfondo alla
203
Post/teca
Gioconda sia Bobbio, centro medioevale del piacentino. Il ponte sarebbe Ponte
Gobbo, detto ponte Vecchio, devastato dall’onda del fiume Trebbia nel 1472. E per
Leonardo, che deve aver amato l’idea di far spremere le meningi ai posteri, quel 72
era un indizio importante. Altro che riferimenti esoterici.
fonte: http://multimedia.lastampa.it/multimedia/cultura-e-arte/lstp/10147/
-------------------------
Una musica che desse idea di un attacco alla baionetta
Dopo mezzogiorno veniva giù la pioggia tanto lietamente, che fu un piacere a sentirla. Il generale era sceso
da basso, dopo aver rinnovato certe sue raccomandazioni al capitano Castiglia. Ad un tratto, mentre stavo
chiacchierando con certi scolari dell’università di Padova il generale si affaccia, e mi dice:
– Bandi, venite giù.
Lo trovai tutto ilare in volto. Aveva sul naso gli occhiali, ed un pezzo di foglio in mano.
– Ecco, – cominciò – mi sono accorto che fra tanti poeti che siete, non ce n’è uno che abbia voglia di mettere
insieme quattro versi, per cantarli nel primo combattimento che avremo. Si direbbe che le vostre muse
patiscano il mal di mare: è toccato dunque a me, – soggiunse – a tirar giù qualche verso; vogliate però
compatirmi, perché fui sempre, e sono oggi più che mai, un cattivo poeta.
E mi lesse i seguenti versi, che furono scritti sopra un pezzetto di carta ingiallita e sulla quale, poiché l’ho
qui sott’occhio, si scorge una macchia, che può benissimo giudicarsi essere macchia di sangue:
Lo stranier la mia terra calpesta,
Il mio gregge macella – il mio onor
Vuol strapparmi – ma un ferro mi resta
Un acciar per ferirlo nel cuor.
Non sei stanco di giogo, d’oltraggi,
Di codarde lusinghe, d’inganni?
Questa terra – servili e tiranni
Solo porta – ma prodi non più!
Lo stranier, ecc.
La poesia era breve, ma prometteva di continuare.
Come capirà facilmente il lettore, io avevo tutt’altra voglia che quella di mettermi a fare il critico; ma
Garibaldi, per buona sorte, non mi pose il caso di dichiarare se i suoi versi mi piacevano o no; perché
consegnandomi il foglio, soggiunse subito:
– Io vorrei che a questi versi s’adattasse qualche musica; ma vorrei una musica vivace, buona a mettere il
fuoco addosso alla gente, al pari della Marsigliese; in una parola, una musica che desse idea di un attacco alla
baionetta…
– Generale, mi piace tanto la musica; – risposi – ma, per mia disgrazia e vostra, l’arte dei capperi non l’ho
imparata.
– E che importa? Avrete sentito molte opere, m’immagino; adattate a questi versi la musica di qualche coro
guerresco…
204
Post/teca
Mi provai a cantar que’ versi sull’aria del coro di guerra dell’Ernani, ma al generale non piacque; provai due
o tre altre arie ma ebbero la stessa sorte. Allora, pensai un momento, e percorsi colla celerità della folgore
tutte le opere che avevo udite negli anni lieti in cui piacciono a tutti la musica e le ragazze, mi parve avere
sciolto finalmente il gran nodo; e dissi, tutto allegro:
– Senta, generale, senta se a questi versi andasse bene la musica del coro della Norma, che dice: «Guerra,
guerra… ».
E spiegato nuovamente il foglio, cominciai a cantare. Garibaldi me lo fe’ ripetere due o tre volte, e si provò
anch’egli a cantarlo, e soggiunse:
– Ora tornate su, scegliete gente che abbia buon orecchio e buona voce, insegnatele cotesta musica; e quando
vi paia tempo, manderete ad avvisarmi e vi verrò a sentire.
Salito che fui sul ponte, chiamai Enrico Cairoli e tanti altri, e lessi loro le strofe, e dissi che il generale voleva
che imparassero a cantarle sull’aria del coro della Norma. In un baleno fu fatto intorno a me un bel cerchio e
cominciai a concertare, battendo il tempo, come l’orecchio mi suggeriva.
Quell’aria è bellissima e Wagner stesso le faceva tanto di cappello: ma la non è tale che possa imboccarsi lì
per lì alle turbe profane da un maestro arciprofano, qual era ed è l’umile scrittore di questi capitoli. Per la
qual cosa, per quanto battessi e ribattessi e cercassi tenere in tono e in misura i miei canarini, questi,
trasformandosi in aquile, in falchi e in altri simili uccellacci, strillavano e urlavano come spiritati e non c’era
modo di richiamarli al segno.
Era un diavoleto, un tumulto di stonazioni tale, da squarciar le orecchie; io avevo perso la pazienza, e
cominciavo a sfoderare i moccoli del mio bel paese; più si provava, e più cresceva la cananèa. Il pubblico
cominciava a ridere a più non posso, e ci avrebbe fischiati tutti, se non era la paura del generale. Finalmente
Giacomo Griziotti da Pavia audacissimo fra tutti e incapace di tener lungamente in briglia l’umor balzano,
facendosi a suon di spinte in mezzo a noi, cominciò a cantare ad alta voce La bella Gigogin e tutti i miei
coristi e tutto il riverito pubblico a fargli coro, che parve un finimondo.
Durava da qualche istante, e cresceva gloriosamente quel baccano infernale, quando Garibaldi fece capolino.
Corsi subito da lui.
– Che musica è quella? – chiese. – L’avete inventata voi?
– Non io; – risposi – è quel matto di Griziotti, che non vuol sentire il coro della Norma, e manda a rotoli il
mio concerto e ci fa fischiare…
– Eh diavolo!… – gridò il generale, e con un gran tonfo, si richiuse dentro.
(Giuseppe Bandi, “I Mille”, un libro bellissimo che da oggi si scarica qui)
fonte: http://manyinwonderland.tumblr.com/post/573652310/una-musica-che-desse-idea-di-un-attacco-allabaionetta
----------------
205
Post/teca
20110110
"Il paradiso degli umani, se c’è, non è quello cattolico, ma è nelle teste di chi rimane. Non devi
amare il prossimo o non peccare, devi farti amare. Se c’è, non è un premio, ma sei tu, per qualcun
altro, che rimani, il paradiso degli umani."
— Barabba: Il paradiso degli umani (via pensierispettinati)
(via pensierispettinati)
fonte: http://barabba-log.blogspot.com/2011/01/il-paradiso-degli-umani.html
via: http://pensierispettinati.tumblr.com/
via: http://curiositasmundi.tumblr.com/
-------------------
L’analfabeta politico
apertevirgolette:
Il peggiore analfabeta
è l’analfabeta politico.
Egli non sente, non parla,
nè s’importa degli avvenimenti politici.
Egli non sa che il costo della vita,
il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina,
dell’affitto, delle scarpe e delle medicine
dipendono dalle decisioni politiche.
L’analfabeta politico è così somaro
che si vanta e si gonfia il petto
dicendo che odia la politica.
Non sa l’imbecille che dalla sua
ignoranza politica nasce la prostituta,
il bambino abbandonato,
l’assaltante, il peggiore di tutti i banditi,
che è il politico imbroglione,
il mafioso corrotto,
il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.
Bertolt Brecht
206
Post/teca
via: http://apertevirgolette.tumblr.com/post/1592312021/lanalfabeta-politico
----------------
"Chi apre la porta di una scuola, chiude una prigione."
—
Victor Hugo (via scarligamerluss)
Infatti, qui in Italia…
(via ze-violet)
via: http://ze-violet.tumblr.com/
via: http://scarligamerluss.tumblr.com/
------------20110111
“Cos’è una storia non seria, si scopa ridendo?”
—
Il sommo Bart in Santa Maradona.
E tanto per dire che sì, una storia non seria dovrebbe solo farci ridere, farci sentire più belle, più
sexy, più tutto. Farci osare, divertire e andare a sbronzarsi assieme, subito prima o subito dopo.
Mai e poi mai lasciarci un velo di nebbia sul cuore.
Scopare ridendo. Gli uccelli allegri. Le passere migratrici.
(via divara)
sante parole
via: http://plettrude.tumblr.com/
fonte: http://divara.tumblr.com/post/2690134756/cose-una-storia-non-seria-si-scopa-ridendo
-----------
gli uomini sono le nuove fighe (cit)
blondeinside:
allora io ho quattro amici uomini di cui mi fido parecchio e che stimo anche tanto, tutti e quattro.
207
Post/teca
Non si conoscono fra loro, sono estremamente diversi e sono tutti e quattro amici che reputo
affidabili e sono anche persone con le quali io non mi sento affatto in imbarazzo a fare certe
domande.
Bene. Il primo è sposato da anni (la sottoscritta ha fatto da testimone al nozze), il secondo è un
tizio che ha avuto più donne lui di qualsiasi altro uomo di mia conoscenza, il terzo è fidanzato (più
o meno felicemente da un po’) e l’ultimo è single da una vita e ha avuto pochissime esperienze di
love-affair.
Credo quindi di aver post la domanda alle persone giuste, cioè a quelle che coprono tutto il
copribile dell’esperienza maschile.
La domanda era semplice semplice.
Ci fosse sta una risposta simile all’altra, non dico tutte, ma due su quattro.
No, mi hanno dato 4 risposte diverse.
Poi dicono che quelle complicate siamo noi.
C’ha davvero ragione la Soncini quando dice che gli uomini sono le nuove fighe.
Io, per me, di risposta ne avevo una sola.
#vita da zitella
fonte: http://blondeinside.tumblr.com/post/2689968164/gli-uomini-sono-le-nuove-fighe-cit
-----------
“se ti porta cattivo umore, mandalo a cagare.
un uccello si trova ovunque.”
—
PaolaSal, da me (via plettrude)
gli uccelli allegri, quelli sì che sono i più difficili da trovare.
(via divara)
il problema degli uccelli allegri è che amano volare di fiore in fiore, di solito
fonte: http://divara.tumblr.com/post/2689912256/se-ti-porta-cattivo-umore-mandalo-a-cagare-un
----------11/01/2011 -
Ogni dio ha l'albero che si
208
Post/teca
merita
Dalla quercia al faggio, dalla betulla all'acero, le piante
hanno assunto in tutte le religioni valenze sacre. L'anno
delle foreste ce lo ricorda
ALESSANDRA IADICICCO
Cammina sempre in linea retta e, se manterrai la direzione, riuscirai a uscire dal
bosco». Con questo semplice consiglio, formulato nel 1637 nel suo Discorso sul
metodo, Cartesio tracciò la linea sottile, diritta, indelebile che separa una volta per
tutte la natura dalla cultura. Davvero bastava un gesto, evidente come un dito
puntato, per venire a capo del luogo - il bosco - per eccellenza più selvaggio, vergine,
incontaminato, incolto: il contraltare esatto del logos coltivato dalla ratio
occidentale? Ce lo chiediamo adesso, all’inizio del 2011 che è stato proclamato
dall’Assemblea delle Nazioni Unite l’anno internazionale delle foreste, come se lo
chiedono i filosofi dacché il padre del pensiero moderno - Cartesio appunto impose la rettitudine delle sue coordinate, l'orientamento infallibile degli assi
cartesiani all’intrico di vegetazione per antonomasia inestricabile e impenetrabile.
Ce lo chiediamo oggi e la domanda è: dove si trova mai, dov’era ai tempi di Cartesio,
lo spazio di una natura inviolata e inviolabile? La questione non ha nulla a che
vedere con il degrado ambientale, i disastri ecologici e la moria delle foreste
amazzoniche. È una questione squisitamente culturale: di approccio, di metodo.
La foresta di cui è plausibile immaginare che l’autore del Discorso sul metodo
avesse esperienza più diretta è quella di Compiègne, poco lontano da Parigi: una
tenuta (molto ben tenuta) dov’era impossibile perdersi, una riserva di caccia che più
riservata e esclusiva non poteva essere, un parco giochi per la famiglia reale.
Paradossale la messinscena di un bosco che di fatto era un giardino. Ma non è per
rimpiangere una natura originaria e perduta che si fa qui questo esempio. Di fatto,
nell’Occidente moderno, più o meno da Cartesio in giù, il bosco è il luogo
geometrico delle più raffinate (talvolta aristocratiche) astrazioni e costruzioni
culturali. Metafora dell’inconscio nelle favole, meta di escursioni per i viandanti
romantici, fonte di ispirazione per poeti e pittori, sfondo di meditazione per i
pensatori, costituisce l’aldilà della ragione cui la ragione non può fare a meno di
aspirare.
209
Post/teca
Cammina sempre dritto e uscirai dal folto. O ritorna sui tuoi passi e scegli di
avventurartici… Se invece si volesse prescindere dallo spartiacque tracciato col
righello da Cartesio per stabilire il binomio natura/cultura, ragione/avventura? Ci
ritroveremmo in una foresta di simboli. Un mondo popolato di dèi, esseri fantastici,
creature mitologiche e magiche. Una dimensione dallo spessore evocativo così
profondo che le squadrate ascisse e ordinate non basterebbero a sondarla.
Ci riescono meglio i ghirigori - elegantissimi - di Émilie Vast che in punta di matita
disegna il profilo delle latifoglie europee, non più di una ventina di specie, per
raccoglierle nel suo meraviglioso erbario (L’erbario di Émilie Vast. Latifoglie
d'Europa, Salani, 48 pp. 18 €). Sfogliandolo, leggendo le sue brevi, fiabesche
notazioni, impariamo che nell’antica grecità l’acero era dedicato a Febo, il dio del
terrore figlio di Ares dio della guerra, e i suoi rami potevano mettere in fuga il
nemico in battaglia. Il castagno fu creato da Giove per la casta ninfa Nea, che a quel
divino innamorato volle rifiutarsi dandosi la morte. Il noce era l’albero di Caria,
l’amata di Dioniso, e anche di Persefone, la regina degli inferi: dunque un emblema
ambiguo di fecondità e di desolazione. L’olmo invece era caro a Ermes, il solare
messaggero degli olimpi, come agli Oneroi, le divinità della notte e del sogno. Ma
non solo l’Ellade venerò piante tanto longeve, possenti, maestose. La quercia,
maestà incontrastata delle foreste, fu sacra al greco Zeus, al latino Giove come a
Thor, il dio del tuono della mitologia norrena, mentre i Druidi, che credevano nelle
virtù magiche dei suoi germogli, li raccoglievano con falci d’oro per ornarne le corna
di tori bianchi… La betulla, simbolo di purezza, saggezza e scienza, fu oggetto di
culti sciamanici, adorata dagli amerindi e dalle popolazioni nordiche. Il faggio era
foriero di luce e pilastro dell’anno solare per i Celti. E il grande frassino, Yggdrasil,
che toccava con le radici il mondo infero e con le chiome quello celeste, era l'albero
cosmico degli Scandinavi e dei Germani.
Sono giganti soprannaturali, eppure vivi: ancora oggi da ammirare in una natura
resa significativa dai culti e dalla cultura. Li troviamo nelle foreste di Verzy, vicino a
Reims, dove crescono i sontuosi faggi ritorti festeggiati al solstizio d'inverno. Nei
boschi di Fontainebleau, dove tuttora vegeta la quercia di Giove. Sull’isola di Kos,
dove con una corona di quattordici metri di diametro getta ancora la sua ombra il
grande platano d’Ippocrate. Pare che il fondatore della medicina visitasse i pazienti
sotto le sue fronde, confortandoli con la visione di quel simbolo di rigenerazione sul
cui grande tronco levigato la corteccia ricresce sempre a placche come la pelle di un
serpente. Ma non c’è albero che non sappia dare lo stesso conforto: perché l’albero,
messo a fuoco dall’occhio che lo osservi con rispetto come depositario di antica
210
Post/teca
sapienza, è per i popoli di ogni tempo tra i più grandi simboli della vita.
fonte: http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/383173/
-----------------
“Certune si diranno: “E chi mi fa fare tutta questa fatica, e per cosa?” A loro
rispondo con le parole della top model Veronica Webb: Il tacco mette il culo là
dove deve stare: su un piedistallo.”
—
I tacchi: 12 centimetri sopra il
suolo | VanityBlog
via: http://plettrude.tumblr.com/
fonte: http://blog.vanityfair.it/2011/01/i-tacchi-12-centimetri-sopra-il-suolo/
----------------------
“Ma che cazzo vuol dire, quando finisce una relazione, “sappi che comunque
ti stimo”? Ma sella un cavallo con la tua stima e galoppa fino a Fanculo
centro.”
—
MentaMentina - FriendFeed (via
xlthlx)
fonte: http://friendfeed.com/miononnoincariola/940b8233/ma-che-cazzo-vuol-dire-quando-finisceuna
---------------
stanzevuote:
Per caso mentre tu dormi
per un involontario movimento delle dita
ti faccio il solletico e tu ridi
ridi senza svegliarti
così soddisfatta del tuo corpo ridi
approvi la vita anche nel sonno
come quel giorno che mi hai detto:
lasciami dormire, devo finire un sogno
Antonio Porta
211
Post/teca
via: http://tattoodoll.tumblr.com/
-------------------
littlemisshormone:
- Disturbo?
- No, rompi il cazzo.
---------------11/01/2011 -
Addio a Lietta Tornabuoni
S'è spenta a Roma, aveva 79 anni
Grande critico cinematografico
ha seguito per "La Stampa"
gli eventi più importanti
accaduti in 50 anni non solo
nel mondo della celluloide
RAFFAELLA SILIPO
ROMA
E’ mancata questa notte al Policlinico di Roma la nostra collega e grande critico
cinematografico de La Stampa Lietta Tornabuoni. Era stata ricoverata in ospedale
poco prima di Natale, dopo che si era sentita male a una proiezione
cinematografica, ma le sue condizioni non avevano mai destato preoccupazione fino
212
Post/teca
a un improvviso aggravarsi ieri.
Il suo vero nome era Giulietta, e avrebbe fra qualche mese compiuto ottant’anni: era
infatti nata a Pisa il 24 marzo 1931 sotto il segno dell’Ariete da un’antica famiglia
aristocratica, figlia di un militare e sorella di Lorenzo, noto pittore. Si era sposata
giovanissima e trasferita a Roma, dove aveva intrapreso appena diciottenne la
carriera giornalistica, che è stato sempre il suo vero grande amore. E' stata
testimone dei fatti nazionali e internazionali più importanti degli ultimi
cinquant’anni, dall'attentato terroristico alla squadra israeliana alle Olimpiadi di
Monaco 72 fino al sequestro e omicidio di Aldo Moro, fatti che raccontava con
meticolosa attenzione per i dettagli e sintesi fulminante del giudizio.
Aveva cominciato la professione nel 1949 a «Noi Donne», il settimanale dell'Udi,
passando nel 1956 a «Novella», poi all'«Espresso»e all’«Europeo». Alla Stampa era
arrivata nel 1970, dove ha continuato a lavorare fino a oggi, tranne un breve
intervallo dal 1975 al 1978 al «Corriere della sera». Tra i suoi libri: «Sorelle
d’Italia», «Album di famiglia della tv», «Era Cinecittà», dove raccontava la "grande
famiglia" del cinema, e l’annuale appuntamento di «Al cinema», il volume che
periodicamente raccoglieva le sue recensioni. Era critico cinematografico del nostro
giornale dai primi Anni 90, aveva raccolto il testimone dal grande amico Stefano
Reggiani: le sue recensioni asciutte e puntuali coglievano sempre il senso profondo
dei film. Indimenticabili i suoi ritratti dei grandi del cinema che aveva conosciuto,
come quello, tra gli ultimi, della sceneggiatrice Suso Cecchi d'Amico scomparsa in
agosto. Non si faceva problemi ad alternare il mestiere del critico a quello del
cronista, guardava la realtà con curiosità inesausta e affettuoso disincanto, senso
dell'umorismo tutto toscano e severo rigore sabaudo, prima di tutto con se stessa.
Una gran signora del giornalismo italiano.
fonte: http://www3.lastampa.it/spettacoli/sezioni/articolo/lstp/383210/
----------------20110113
"Vediamo i fatti. Nel 2009 la Fiat ha prodotto
650 mila auto in Italia, appena un terzo di
quelle realizzate nel 1990, mentre le quantità
213
Post/teca
prodotte nei maggiori paesi europei sono
cresciute o rimaste stabili. La Fiat spende per
investimenti produttivi e per ricerca e
sviluppo quote di fatturato
significativamente inferiori a quelle dei suoi
principali concorrenti europei, ed è poco
attiva nel campo delle fonti di propulsione a
basso impatto ambientale. A differenza di
quanto avvenuto tra il 2004 e il 2008 –
quando l’azienda si è ripresa da una crisi che
sembrava fatale – negli ultimi anni la Fiat
non ha introdotto nuovi modelli. Il risultato è
stata una quota di mercato che in Europa è
scesa al 6,7%, la caduta più alta registrata nel
continente nel corso del 2010. Al tempo
stesso, tuttavia, nel terzo trimestre del 2010
la Fiat guida la classifica di redditività per gli
azionisti, con un ritorno sul capitale del 33%.
La recente divisione tra Fiat Auto e Fiat
Industrial e l’interesse ad acquisire una quota
di maggioranza nella Chrysler segnalano che
214
Post/teca
le priorità della Fiat sono sempre più
orientate verso la dimensione finanziaria, a
cui potrebbe essere sacrificata in futuro la
produzione di auto in Italia e la stessa
proprietà degli stabilimenti. A dispetto della
retorica dell’impresa capace di “stare sul
mercato sulle proprie gambe”, va ricordato
che la Fiat ha perseguito questa strategia
ottenendo a vario titolo, tra la fine degli anni
ottanta e i primi anni duemila, contributi
pubblici dal governo italiano stimati
nell’ordine di 500 milioni di euro l’anno. A
fare le spese di questa gestione aziendale
sono stati soprattutto i lavoratori. Negli
ultimi dieci anni l’occupazione Fiat nel
settore auto a livello mondiale è scesa da 74
mila a 54 mila addetti, e di questi appena 22
mila lavorano nelle fabbriche italiane. Le
qualifiche dei lavoratori Fiat sono in genere
inferiori a quelle dei concorrenti, i salari
medi sono tra i più bassi d’Europa e la
215
Post/teca
distanza dalle remunerazioni degli alti
dirigenti non è mai stata così alta: Sergio
Marchionne guadagna oltre 250 volte il
salario di un operaio."
— Fiat, lettera di 46 economisti: “Produrre e lavorare meglio, con democrazia.
Solidarietà alla Fiom” - micromega-online - micromega (via paolo-c)
(via paolo-c)
------------------
"il tempo passa lo stesso, anche se lo
risparmi. Non c’è investimento più scellerato
che metterlo da parte."
— Cocci I. (via myborderland)
(via metaforica)
------------------
Universal, musica da biblioteca
La grande sorella del disco ha donato circa 200mila master alla US Library of Congress
statunitense. Tra queste, vecchie incisioni di Billie Holiday e Bing Crosby. Al via la fase di
digitalizzazione dei brani
Roma - È stato descritto come uno dei patrimoni audio più importanti di sempre, gentilmente
offerto dalla major del disco Universal Music Group ad una delle biblioteche più vaste del mondo,
la US Library of Congress.
Le primigenie registrazioni di circa 200mila canzoni della tradizione a stelle e strisce sono infatti
state donate alla biblioteca, tutte risalenti ad un periodo storico che inizia con il 1920 e finisce con
gli anni 40.
216
Post/teca
Brani di artisti leggendari come Bing Crosby - in una rara versione di "White Christmas" risalente al
1947 - Les Paul, Ella Fitzgerald e Billie Holiday. Curiosi e appassionati potranno accedere al
materiale sul sito web della biblioteca.
Una squadra di tecnici della stessa Library of Congress provvederà nelle prossime settimane ad
una massiva opera di digitalizzazione dei brani donati da Universal nel formato disco originario.
La sezione dedicata alla musica può ora contare su un totale di 3 milioni e 200mila brani. Le
operazioni di digitalizzazione - che si terranno al Packard Campus, in Virginia - dovrebbero
terminare entro la prossima primavera.
Mauro Vecchio
fonte: http://punto-informatico.it/3067943/PI/News/universal-musica-biblioteca.aspx
-----------------
"Cara Karen, se stai leggendo questa lettera
vuol dire che ho trovato il coraggio di
spedirtela.
Quindi, buon per me. Non mi conosci molto
bene, ma se me ne dessi l’occasione inizierei
a parlare per ore e ore di quanto sia difficile
per me scrivere. Ma questa.. Questa è la cosa
più difficile che io abbia mai dovuto scrivere.
Non c’è un modo facile per dirlo, quindi lo
dirò e basta.
Ho incontrato una persona. E’ stato un caso.
Non la stavo cercando, non ero a caccia. E’
stata la tempesta perfetta.
217
Post/teca
Lei ha detto una cosa, io un’altra. E
all’improvviso volevo passare il resto della
mia vita facendo quella conversazione. Ora
ho questo sensazione nello stomaco.
Potrebbe essere lei quella giusta. E’
completamente pazza, in un modo che mi fa
sorridere. E’ estremamente nevrotica. C’è
molto da sopportare.
Quella persona sei tu, Karen. Ecco la buona
notizia. La brutta è che non so come fare per
stare con te. E questo mi spaventa a morte.
Perchè se in questo momento non sono con
te, ho la sensazione che non staremo mai più
insieme.
Il mondo è enorme, cattivo, pieno di svolte e
cambiamenti. E le persone a volte si
distraggono e perdono l’attimo.. L’attimo che
avrebbe potuto cambiare tutto.
Non so cosa succederà tra di noi, e non so
spiegarti perchè dovresti perdere tempo con
uno come me.. Ma cazzo, profumi di buono..
218
Post/teca
Di casa.
E poi fai un ottimo caffè. Quello conterà pur
qualcosa, no?
Chiamami.
Infedelmente tuo, Hank Moody."
— (via somethingbeautifool)
(via biancaneveccp)
----------------
"Fino ai tempi di Demetrio Falereo gli
Ateniesi conservavano la nave su cui Teseo
partì insieme coi giovani ostaggi e poi ritornò
salvo, una trireme. Toglievano le parti
vecchie del legame e le sostituivano con altre
robuste, saldamente connettendole fra loro,
in modo che essa serviva di esempio anche ai
filosofi quando discutevano il problema della
crescenza, sostenendo alcuni che era la stessa
nave, altri che non era più la stessa."
— [Plutarco, Teseo, in Vite parallele, cit., p. 117]
Paolo Nori. (via 11ruesimoncrubellier)
(via 11ruesimoncrubellier)
-----------------
219
Post/teca
"L’uomo è l’unico animale la cui esistenza è
un problema che deve risolvere."
— Erich Fromm (via avereoessere)
---------
"È una tranquilla notte di Regime. Le guerre
sono tutte lontane. Oggi ci sono stati soltanto
sette omicidi, tre per sbaglio di persona.
L’inquinamento atmosferico è nei limiti della
norma. C’è biossido per tutti. Invece non c’è
felicità per tutti. Ognuno la porta via all’altro.
Così dice un predicatore all’angolo della
strada, uno dall’aria mite di quelli che poi si
ammazzano insieme a duecento discepoli. Ce
n’è parecchi in città. Dai difensori dei diritti
dei piccioni alla Liga artica. Siamo una
democrazia. Ogni tanto, sul marciapiede, si
inciampa in qualcuno con le mani legate
dietro la schiena. Forse la polizia lo ha
dimenticato la notte prima. Ho guardato in
alto, oltre le insegne illuminate e, obliqua su
un grattacielo, c’era la luna.
220
Post/teca
Le ho detto: Cosa ci fa una ragazza come te in
un posto come questo?"
—
(Stefano Benni, Baol, 1990)
20 anni, eh.
(via eclipsed)
(via rispostesenzadomanda)
-------
Invece a BorgoPio le
bandiere della pace
costano ancora 5€uri e un
sorriso.
cornerlist:
[Che poi quello era un indiano di CampoDe’Fiori]
E in cambio vi danno pure un po’ di SaggezzaRomana®.
Tipo che il tipo, prima di darmi la bandiera mi ha detto:
“Ma te credi che poi serve?”
…Io gli ho risposto “Non lo so. Ma finché non smettono loro non smetto
manco io”
M’ha detto “bravo” e m’ha dato un sorriso di resto.
-----------
L’inventore del pinyin
Nel 1955 Zhou fu incaricato di mettere in piedi un gruppo di lavoro per diffondere il
mandarino come lingua nazionale standard, semplificare i caratteri e concepire un alfabeto
che fosse uno strumento per l'apprendimento dei caratteri e la diffusione del mandarino
Il risultato dei lavori fu il pinyin, immediatamente adottato in tutte le scuole del paese
221
Post/teca
13 GENNAIO 2011 | MONDO | DI CECILIA ATTANASIO GHEZZI
«Quando superi i cento anni, smetti di minimizzare la tua età e cominci a
gonfiarla». Così commenta il suo compleanno Zhou Youguang, l’inventore del
pinyin, il sistema di traslitterazione dei caratteri cinesi approvato nel 1958 e
universalmente adottato nel 1979. Perché questo sistema è così importante? Pinyin
in cinese si scrive 拼音; provate a leggerlo e a memorizzarlo senza avvalervi della
sua traslitterazione. Se ci riuscite, potete smettere di leggere quest’articolo.
Il professor Zhou è nato il 13 gennaio del 1906 e oggi compie 105 anni, 106 se
contati alla cinese. Durante la sua lunga esistenza ha conosciuto Mao Zedong,
Zhou Enlai, Deng Xiaoping e, anche se ne parla con modestia, Albert Einstein («Gli
ho fatto visita un paio di volte, ma non ho mai capito la teoria della relatività, quindi
parlavamo di cose comuni»).
La sua vita ricalca ed è fortemente condizionata dalla storia della Cina moderna.
Zhou aveva sei anni quando la rivoluzione spazzò via l’ultimo imperatore nel 1912
e quarantatré quando il grande timoniere Mao Zedong fondò la Repubblica
popolare cinese. Banchiere di successo, lavorò per la Sin Hua Trust & Savings
Bank (oggi parte della Bank of China) e si trasferì nei suoi uffici di New York per
tornare in Cina solo quando i comunisti guadagnarono definitivamente il potere nel
1949. Era un momento di grandi speranze e chi era stato all’estero tornava per
portare il suo contributo alla nazione. Qui continuò a svolgere la sua ben
remunerata attività fino al 1955 quando il governo gli chiese di mettere in piedi un
gruppo di lavoro che si occupasse di riorganizzare la lingua nazionale.
La lingua cinese infatti non aveva mai avuto un alfabeto. La scrittura era stata
concepita come uno strumento per la creazione di un’entità statale stabile e
duratura capace di governare immensi territori e grandi masse di popolazioni
differenti. Proprio per questo mirava a segnalare i significati delle parole e non i
suoni, che sono soggetti a cambiamenti. Con l’avvento della nuova Cina sotto il
controllo del Partito comunista si apriva una nuova fase anche nella storia della
lingua cinese. La lingua doveva tornare a essere strumento e garanzia
dell’unificazione nazionale.
Si definirono quindi tre strade da percorrere: diffondere il mandarino come lingua
nazionale standard, semplificare i caratteri riducendo il numero dei tratti che li
componevano e concepire un alfabeto che potesse rappresentare la fonetica e che
fosse uno strumento ausiliare per l’apprendimento dei caratteri e la diffusione del
mandarino. Quest’ultimo compito fu assegnato a Zhou Youguang e al suo gruppo di
lavoro.
All’epoca la linguistica era solo un hobby per Zhou, ma era comunque uno dei
222
Post/teca
pochi cinesi che ne conoscesse qualche rudimento. Aveva persino scritto un libro,
The Subject of the Alphabet, di cui la segreteria di Mao gli chiese una copia prima
di affidargli l’incarico. Zhou all’inzio era scettico sulle sue capacità, ma si risolse ad
accettare il lavoro nonostante il suo stipendio passasse da 600 a 250 yuan. Lavorò
notte e giorno per tre anni con una ventina di persone.
Il risultato fu il pinyin, letteralmente trascrizione dei suoni, un sistema che utilizza
ventisei lettere dell’alfabeto latino e quattro segni diacritici per indicare il valore
tonale delle sillabe. Appena l’alfabeto fu pronto, il governo lo adottò in tutte le
scuole elementari del paese.
Il pinyin è estremamente semplice e, indicando il suono dei caratteri cinesi, ha
aiutato la popolazione a imparare il mandarino diventando uno strumento di
comunicazione tra gli stessi cinesi che vivono in differenti regioni della Cina. Il
risultato della politica di scolarizzazione del Partito comunista cinese, inoltre, è
straordinario. In sessant’anni il tasso di analfabetismo è calato dall’80 al 10 per
cento. Non solo.
All’estero il pinyin è diventato il sistema ufficiale di trascrizione di nomi e toponimi
cinesi, diventando il trait d’union tra la Cina e il resto del mondo. Oggi la maggior
parte delle persone che scrive un testo in caratteri cinesi, lo fa sfruttando
programmi che converono il pinyin in caratteri. Addirittura la versione cinese
dell’alfabeto braille è basato su questo sistema. Tutto questo non è sfuggito a Zhou
Youguang, che continua a lavorare nonostante la sua incredibile età. E lo nota
ridendo in un’intervista del 2009 al China Daily: «Avete visto? I cinesi usano il
pinyin per mandare sms e per digitare i caratteri sulla tastiera dei loro computer. È
questo che mi rende felice!».
Ed è per questo che chiunque debba scrivere in cinese lo ringrazia.
fonte: http://www.ilpost.it/2011/01/13/zhou-youguang-inventore-del-pinyin/
-------------
"Sono libero da ogni pregiudizio. Odio tutti
in eguale misura. - W. C. Fields"
— (via imlmfm)
--------
223
Post/teca
La tata che
fotografò
Chicago
Una monografica su Vivian
Maier e sul suo archivio
ritrovato di 100 mila
negativi. Una vita da
«nannie» e una passione
nascosta (scoperta per
caso)
La signorina Maier, la tata con l’accento francese che deliziava i
suoi bambini accompagnandoli a scuola con il furgone del gelataio,
224
Post/teca
passò una vita a lavorare nelle case eleganti del North Side di Chicago. Ma nel
giorno di riposo, dagli anni 50 fino alla fine degli 80, la signorina Maier sempre vestita come una Diane Keaton di Io e Annie ante litteram, scarpe da
uomo e cappellacci da pesca e vestiti a fiori e giacchette strette sulle spalle prendeva la sua macchina fotografica, la borsa piena di rullini, e se ne andava
in centro.
Nessuno sapeva quel che facesse nel giorno di riposo Vivian Maier
fino al 2008, quando un giovane agente immobiliare frequentatore delle aste
di periferia comprò dei bauli pieni di 100 mila negativi già sviluppati e
centinaia di rullini ancora da sviluppare. Messi all’incanto dal padrone di un
deposito dove erano stati lasciati e mai più reclamati (l’affittuaria aveva
smesso di pagare, e di lei si erano perse le tracce). Così l’agente immobiliare
scoprì che quelle foto, scattate dalla signorina Maier nel giorno di festa, sono
capolavori. Migliaia di capolavori. La vita delle strade di Chicago, umanissima
e commovente, piena di humor e di dolore, attraverso i decenni. Una storia
dell’America per immagini, «un poema epico e triste succhiato fuori dal cuore
dell’America», come scrisse Jack Kerouac del libro più bello del suo amico
Robert Frank, The Americans.
Ora i critici accostano la piccola tata di Chicago ai giganti: Frank,
Dorothea Lange, Paul Strand, Helen Levitt, Louis Faurer, Steve Schapiro,
nominando (non invano) perfino Henri Cartier-Bresson, il Picasso con la
Leica. E da ieri la signorina Maier è planata, con l’ombrello di Mary Poppins,
nel salotto buono dell’arte americana: si è aperta la sua prima mostra
personale. Proprio a Chicago, la sua città. In autunno, la Powerhouse Books,
raffinata casa editrice della fotografia e dell’arte che conta, pubblicherà il suo
primo libro. Nel 2012 uscirà un documentario sulla sua vita così poco
ordinaria.
Mancava solo la signorina Maier, l’altra sera, al Chicago Cultural Center:
perché la sua arte è così fresca e viva e appena adesso fa i primi passi nel
mondo anche grazie a Internet che ha diffuso negli ultimi due anni le sue
immagini in tutto il mondo. Ma la signorina Maier, che si è sposata soltanto
con la sua Rolleiflex e come figli ha avuto soltanto quelli che le affidavano le
famiglie per le quali lavorava, Non c’è più: è morta nel 2009, a 83 anni, senza
essersi mai ripresa da una brutta caduta risalente all’anno prima.
L’agente immobiliare le ha dedicato un blog
(vivianmaier.blogspot.com), sviluppa e scannerizza digitalmente i tanti
225
Post/teca
rullini esposti e poi dimenticati e cerca di diffondere la storia di Vivian Maier.
Che, come Emily Dickinson, non fece mai nulla perché il pubblico vedesse la
sua arte. Forse per modestia, per insicurezza, impossibile risolvere il mistero.
Forse perché come diceva Cartier-Bresson «ogni foto è una scommessa» e
scommettere non si addiceva a una tata gentile e solitaria con l’hobby dei film
stranieri (era per metà francese e per metà austriaca).
Ma quello che resta sono le fotografie. Le signore in pelliccia e gioielli
che fuori dai grandi magazzini aspettano un taxi con l’espressione acida, le
borse dello shopping come il fardello del loro materialismo. La tenera coppia
di anziani che cammina controvento, i capelli scomposti e il papillon di lui che
gira come le piccole pale di un mulino. La signora in rosso che nasconde le
mani dietro la schiena e si torce le dita dalla tensione - perché? Il grande cesto
della spazzatura in una strada di Chicago dove qualcuno ha adagiato un
piccione morto su un giaciglio di sacchetti di carta stropicciati, piccolo gesto
di tenerezza nella giungla d’asfalto. Il vecchietto male in arnese che sbuffa
nella pipa e porta il cartellone da uomo-sandwich: la pubblicità di un barbiere
fatta da lui che ha la barba lunga di tre giorni. Un ragazzo afroamericano a
cavallo nel traffico, impassibile, un piccolo principe sotto i viadotti del metrò.
Salvador Dalí in strada, fotografato dal basso mentre fissa quella strana
signora che ha avuto l’impudenza di chiedergli uno scatto - il maestro
arricciando i baffetti impomatati, stretto nel cappottone doppiopetto più
spesso di un’armatura.
E poi bambini, bambini, un esercito di bambini. Quello solitario
nascosto dietro la porta di un negozio; i fratellini col grembiulino lurido e la
faccia truce che paiono usciti da un libro di Diane Arbus; quello che pedala su
una bici troppo grande e viene sgridato dalla mamma senza volto ma con la
borsa di Hermès. Bambini malinconici, che stringono le loro bambole e i loro
giochi in un mondo che non promette niente di buono, popolato di adulti in
bianco e nero giganteschi e ostili, o assenti come i genitori di Charlie Brown.
Matteo Persivale
10 gennaio 2011(ultima modifica: 13 gennaio 2011)
fonte: http://www.corriere.it/cultura/11_gennaio_10/persivale-tata-fotografo-chicago_52ab31cc1cab-11e0-a4b5-00144f02aabc.shtml
---------20110114
226
Post/teca
"[…] Vidi che si allontanava e sentii di
perdere l’unica persona capace di
confortarmi, capivo adesso che i suoi silenzi
nascevano da una calma che io avevo
perduta, erano i silenzi di un cuore sensibile.
E la sua cinica noia era soltanto paura di
cedere."
— Ennio Flaiano - Tempo di uccidere (via occhinelcellophane)
(via biancaneveccp)
------------------
"Nel mondo del lavoro, in troppi casi, non v
´è più negoziazione “all´ombra della legge”.
Anzi non v´è più negoziazione, perché
sempre più spesso si chiede a sindacati e
lavoratori di prendere o lasciare un testo
predisposto unilateralmente dalla parte più
forte. Contratto collettivo e sindacato, i due
strumenti che dall´800 hanno cercato di
colmare il dislivello di potere tra datore di
lavoro e lavoratori, vengono variamente
svuotati. La soggettività del lavoratore si
227
Post/teca
perde, e con essa la dignità del lavoro. Se l
´efficienza è l´unica bussola, rischiamo di
tornare alla “gestione industriale degli
uomini”. E la retribuzione non è più ciò che
deve assicurare al lavoratore e alla sua
famiglia “una esistenza libera e dignitosa”,
come vuole l´articolo 36 della Costituzione,
ma il prezzo minimo che si spunta sul
mercato per vendere un lavoro di nuovo
ridotto a pura merce. Dall´esistenza libera e
dignitosa si tende a passare ad una sorta di
“grado zero” dell´esistenza, alla retribuzione
come mera soglia di sopravvivenza, come
garanzia solo del “salario minimo biologico”,
del “minimo vitale”."
— rodotà su repubblica, preso da lipperatura. (via 11ruesimoncrubellier)
rodotà ftw (via novaffanculotu)
(via novaffanculotu)
----------------------
chouchouette:
L’amore è diverso, l’amore è quotidiano. Ci si può innamorare tutti i giorni.
Invece per farsi degli amici a volte ci vuole una vita ecco perchè i ritmi delle
passioni sono diversi dai ritmi della vita.
A. 16 anni (su L’Amore)
228
Post/teca
(via biancaneveccp)
-----------------
"Se voto sì, mi toglie l’ombrello dal sedere?”
“No”
“E se voto no?”
“Lo apro."
— teresa (via myborderland)
(via batchiara)
----------------
"si ragiona come se una determinata facoltà o
un percorso di studi possa garantire
automaticamente, come una sorta di diritto
divino, un lavoro certo e sicuro, una specie di
rendita di posizione. E invece così non è. Ti
garantirà un lavoro di successo se avrai
studiato con passione qualcosa per cui
provavi un reale interesse, e se sarai
disposto, una volta terminati gli studi, ad
imparare ancora, saper cogliere le occasioni,
spesso anche a rischiare in proprio e a
sacrificare, per avere successo, tempo ed
energie. Altrimenti puoi aver preso la laurea
229
Post/teca
più utile del mondo, ma finirai comunque a
fare il disoccupato o il sottoccupato frustrato.
Qualcuno lo dica a Sacconi e alla Gelmini.
Potrebbe essere utile."
— Il nuovo mondo di Galatea (via fastlive)
(via fastlive)
------------------
L’OROSCOPO
2011 DI
TORINO
CRONICA
10 GENNAIO 2011
di Torino Cronica
ARIETE
Il 2011 sarà l’anno di voi Arieti. Infatti, grazie ai vostri noti “colpi di testa”
aprirete tutte le porte che puntualmente troverete sbarrate davanti a voi. Le
vostre frasi ricorrenti saranno: “Scusi, ho sbagliato entrata”, “Mi perdoni, non
230
Post/teca
sapevo che fosse occupato”, “Non sto guardando, ho gli occhi chiusi:
rivestitevi, per favore”.
Inutile, però, aprire le vie di fuga della nuova Porta Susa: quelle non sono
state realizzate! Desistete dal fondare un Comitato Pendolari dell’Ariete e
preferite una passeggiata ai giardini delle Porte Palatine o un giro tra negozi
dentro Porta Nuova, finché non saranno passati i bollenti spiriti. Cari “arieti”,
chiedetevi quindi dove vi porta la vostra testardaggine!
In primavera sarete pieni di iniziativa, ma la sprecherete organizzando
“apericena” al Lutece. In estate, avrete una carica esplosiva, ma butterete la
vostra peak performance organizzando “aperitivi tematici” al Fluido. In
autunno sparerete le ultime cartucce, per forza dell’abitudine, con gli
“aperitivi alternativi” al Pastis. In inverno se solo sentirete parlare di uscite
preserali minaccerete di chiudervi a guardare la versione torinese di X-Factor:
X-Faus.
TORO
Il 2011 sarà il vostro anno, amici del Toro. Non ci riferiamo al segno zodiacale,
né alla squadra di calcio, e tantomeno all’animale: stiamo parlando di Toro
Assicurazioni. Infatti, la proverbiale testarda impulsività dei nati sotto il
segno del Toro, vi porterà a eccessi che sprigioneranno energie incontrollabili:
sarà una strage di fiancate nei passi carrabili in Vanchiglia; un disastro di
cerchi in lega sugli spartitraffico di piazza Vittorio; una tragedia di fanalini nei
parcheggi dell’8gallery; una catastrofe di lunotti tra i vicoli del Quadrilatero.
Avrete il vostro momento di gloria in autunno, quando termineranno le
celebrazioni di Italia 150 e qualcuno proporrà Torino capitale di qualcos’altro
per il 2012: la vostra incornata sarà degna del miglior Pulici. Torino è del Toro
e il Toro, si sa, è geloso delle proprie cose.
Il vostro giorno favorevole è il sabato, che però passerete a lamentarvi del
freddo di Torino, in inverno, e dell’inquinamento di Torino, in estate.
GEMELLI
Questo sarà l’anno dei Gemelli. Ma quello eterozigote, che poco ha da spartire
con voi. La vostra doppia anima, infatti, vi metterà in crisi nel 2011: avrete la
“Sindrome di Profumo” che a ogni passo vi farà pietrificare, sequestrati dal
dubbio, ripetendovi come un mantra “Lo faccio o non lo faccio?”, “Vado o non
vado?”, “Ci sto o non ci sto?”, “Centrosinistra o centrodestra?”.
Il 2011 trascorrerà per voi come una mano a briscola. In primavera sarete
giorno e notte al bingo di piazza Massaua. In estate monopolizzerete il ping
231
Post/teca
pong della Cricca. In autunno metterete radici al videopoker in un bar di via
Sacchi. In inverno, avrete voglia di fare sul serio, ma per contrappasso gli
amici del torneo di Risiko vi organizzeranno, comodamente nel vostro nuovo
alloggio di via Peyron, la tombolata di Natale. Fino a Pasqua.
Affinità di coppia: molto buona con i Pesci, che viaggiano anche loro in
coppia; evitate come i finti sconti in via Roma i segni d’acqua …come
l’Acquario. A meno che non sia la Lurisia, in tal caso avrete uno sconto di 1
euro sulla guida Slow Food delle osterie d’Italia. C’è proprio da dire:
“Osteria!”.
CANCRO
Finalmente è arrivato il vostro anno, cancerini! Purtroppo è quello appena
trascorso. Nel 2011, invece, cercherete riposo per ricaricarvi. Avrete voglia di
calma e arte: così andrete a mostre di design convincendovi che si tratta di
“intuizioni di artisti molto avanti”.
In primavera, stanchi del solito tran tran torinese cercherete novità
meneghine: nei lunghi ritardi del Frecciarossa direte al vostro vicino “Adesso
lavoro su Milano”.
Verso l’estate, in preda ai consueti sbalzi d’umore, vorrete un ritorno alle
origini: sarete così fagocitati in iniziative istituzionali torinesi, e facendo la
scontata anticamera negli assessorati direte al primo che passerà “Serve una
messa a sistema”.
In autunno, ovviamente, avrete già cambiato idea: il non profit rappresenterà
la svolta. Ai vostri genitori esterrefatti direte “Mi occupo di progetti”.
L’esperienza durerà il tempo di una luna piena e in inverno tornerete al
profitto: in giacca e cravatta sul Suv del vostro capoarea direte “Occorre
efficientare le procedure”.
Alla fine un dossier su La Stampa vi convincerà a comprare casa. Sceglierete
un luogo simbolo della città: la casetta di piazzale Valdo Fusi, sviati forse dalla
notizia, falsa, che i gianduiotti di Atrium saranno rimontati lì. Dopo il rogito
vi addormenterete sognando questa “Wunderkammer sabauda”, il centro di
una corona di Spine urbanistiche.
LEONE
Il 2011 è proprio l’anno del Leone. Ma nello zodiaco cinese, che corrisponde al
nostro 1614. In quell’anno dubitiamo che qualcuno di voi fosse già in
circolazione, anche se la “cronicità” torinese potrebbe aver conservato qualche
amico Leone, probabilmente rimasto seduto in una delle poltrone di Palazzo
232
Post/teca
Civico o Palazzo Lascaris.
Tendenti all’autoincoronazione a re e regine, è meglio evitare esperienze come
le “Primarie di partito”, che potrebbero portare brutte sorprese tra i finti
amici tesserati.
Questo, infatti, sarà per il Leone un anno di transizione, di passaggio.
Tenterete di trasferirvi da via Cigna a corso Valdocco, ma resterete
imbottigliati al Rondò della Forca in attesa che venga riaperto il
sottopassaggio di corso Regina. Così, farete del sedile della vostra Fiat Punto,
unica orginale Made in Mirafiori, il trono che tanto desiderate.
VERGINE
Come si dice da tanti anni, tra gli astrologi più autorevoli, il 2011 sarà l’anno
della Vergine. Ma solo per chi ha come ascendente il Pungitopo. Si tratta
infatti di una speciale congiuntura spaziotemporale che porta a unificare le
Asl e a generare, in chi non ci sta, la terribile “Pantofologia Declamante”,
meglio nota come “Pd”. I nati sotto il segno della Vergine rischiano di
prendersela in primavera, durante la campagna elettorale.
Ma la vostra proverbiale precisione “pistina” vi terrà alla larga dagli
sbandamenti del ballottaggio.
In autunno alcuni di voi otterranno un mutuo dai No Grat, che manifestano
contro il grattacielo di IntesaSanPaolo, e lasceranno la casa dei genitori per
un bilocale in sottotetto a Borgo San Paolo.
In inverno penserete di aver scampato l’epidemia di Patologia Delirante, ma
vi sarete presi il “Complesso di E-Pd-ipo”, che vi porterà a chiudere gli occhi.
BILANCIA
Il 2011 è l’anno della Bilancia. A dirlo, però, sono i dietologi delle Molinette.
Voi “bilancini”, passerete tutto il vostro tempo libero a prendere le misure, del
vostro girovita e della parete in soggiorno in cui sistemare il nuovo divano.
Abitate a La Loggia e la prospettiva dell’Ikea a due passi è per voi la migliore
notizia dopo il calendario sexy delle ragazze del softball di A1.
Per voi sarà un anno di assestamento, della ricerca di un nuovo equilibrio,
soprattutto quando i vigili urbani di piazza Vittorio vi chiederanno di toccarvi
la punta del naso con le dita, alle 7 di mattina dopo una nottata da Giancarlo
2.
I mesi caldi saranno perfetti per chi sta cercando il grande amore. Peccato
però che il grande amore non stia cercando voi.
SCORPIONE
233
Post/teca
“L’anno dello Scorpione”: non è il 2011, ma un nuovo film con un parente di
Bruce e Brandon Lee (entrambi morti lavorando a film per il cinema) che per
scaramanzia ha cambiato cognome in Bianciotto. Il lungometraggio è in
lavorazione a Torino da gennaio a dicembre, occupando il suolo pubblico e
sottraendo parcheggi rispettivamente: dove abitate, dove lavorate, dove fate la
spesa, dove abita la vostra vecchia zia ereditiera, dove lavate il cane la notte.
Maledirete a vita la Film Commission, che tra l’altro è in opposizione al vostro
segno.
Autoritari per eccellenza gli Scorpioni vanno sempre per la loro strada: avrete
perciò problemi con la Ztl ambientale.
In autunno, dopo i preliminari di Champions League, attenti al Morbo di
Mercedes: bisogna saper perdere. E’ proprio sulle sconfitte dell’altra squadra
di Torino che costruirete la vostra fortuna, puntando venti euro più vostra zia
e il cane alla Snai di via Tripoli.
SAGITTARIO
Il 2011 è l’anno dei segni metà cavallo e metà umano: il Sagittario si addice
perfettamente all’identikit, se solo non fosse così bisognoso di libertà e quindi
fuori tutta la notte a perdere tempo tra Quadrilatero e Murazzi.
Se avete meno di 30 anni avrete voglia di viaggiare in Sudamerica, andare a
lavorare a New York, aprire un locale a Barcellona e abitare a San Salvario.
Se avete più di 30 anni aspetterete le occasioni del Byblos di Ospedaletti per i
weekend di maggio, archivierete documenti all’Unicredit, maledirete il nuovo
locale che vi hanno aperto sotto casa e abiterete in Basso San Donato dove
convivete con martellate e piallature dei vostri vicini che ristrutturano. Il
sabato mattina.
In amore tutto filerà liscio. Ma per i vostri amici. Voi invece resterete single
convinti, certi di bastarvi da soli, come un candidato alla primarie del Pd.
CAPRICORNO
Il 2011 potrebbe sembrare il vostro anno, cari Capricorni. Avrete grande
fortuna quando i saldi dell’Epifania transitano nel segno. Dopo, purtroppo,
saranno soltanto mesi di carestie e bisogni impellenti.
Ma voi avete pazienza e vi darete da fare: vi iscriverete a corsi di teatro, danza
afro, sommellier, taglio e cucito, guida sicura, nuoto sincronizzato, cucina
medievale, design d’interni. Passerete parecchie sere all’Artintown a San
Salvario nella speranza di istruire qualcuno su quanto avrete imparato, ma
naturalmente sarete da soli tutto il tempo.
234
Post/teca
Verso fine anno, mollerete ogni hobby e finirete per fare pilates in centro,
come tutti.
Il vostro colore fortunato, quindi da portare perfino nell’intimo, è il malva,
che tra l’altro è in congiunzione con Eataly.
Giorno favorevole il lunedì mattina presto, dalle 5 e mezza alle 6 e 10. Se siete
in turno alle presse di Mirafiori avrete successo, se siete cassintegrati
prendetevela con gli altri condomini.
ACQUARIO
Il 2011 sarebbe stato l’anno giusto per voi per realizzarvi, amici dell’Acquario.
Invece vi siete beccati il morbo del salutista. Ve ne accorgerete perché
asciugherete il box doccia dopo esservi lavati e farete la spesa al Frutto
permesso di via Napione.
In primavera, per entrare nel Clan dei Vegetariani, mangerete frutta e verdura
di Chivasso e abolirete tutti i cibi di provenienza animale. Nel dubbio
continuerete a servirvi del takeaway cinese sotto casa.
In estate, per entrare nella Setta dei Vegani, diventerete “crudisti”; chi di voi
ha una sorella “vicina ai potenti” e come cognato il più influente produttore
televisivo, verso luglio, potrebbe pubblicare un best-seller dal titolo “Crudo e
mangiato (ma non digerito)”.
Poiché siete ecologisti fino al midollo non userete veicoli a motore. La vostra
pietra portafortuna è quella di Luserna: vorreste andare a prenderne una da
usare come ciondolo, ma il treno arriva solo fino a Pinerolo.
PESCI
Il vostro 2011, anno meraviglioso per i Pesci, beneficierà del passaggio nella
costellazione della linea Ryanair dalla Russia. L’effetto astrofavorevole
svanirà, però, meno di un’ora dopo i ritardi al recupero bagagli.
Per i nati nella prima decade, influsso positivo di Superga, in quadratura col
segno. Chi è della seconda o terza decade invece subirà le traiettorie negative
della Fiom e dei dipendenti Rai di via Cernaia che resteranno a casa.
In primavera vi vanterete di esservi fatti sa soli, come il gelato di Grom.
In estate dovrete affrontare delle sfide, specie per chi di voi farà il bagno nel
Po per sfuggire alla calura torinese.
Gli ultimi mesi dell’anno saranno speciali per le cuspidi con l’Ariete. Per tutti
gli altri imbarazzi per gli inviti al Circolo della Stampa o borbottii per lo zig
zag tra le cacche di cane di razza sulla pista ciclabile di corso Re Umberto,
tratto Crocetta.
235
Post/teca
fonte: http://torinocronica.wordpress.com/2011/01/10/loroscopo-2011-di-torino-cronica/
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14/1/2011
"Siamo tutti
figli della
vostra
civiltà"
JOHN FITZGERALD KENNEDY
Dal discorso che JFK pronunciò nel
1961 in occasione dei 100 anni
dell’Unità d’Italia.
Molti dei presenti non sono italiani né
per sangue, né per nascita, ma ritengo
che tutti noi abbiamo un grande
interesse per questo anniversario.
Tutti noi, nel senso più vasto,
dobbiamo qualcosa all’esperienza
236
Post/teca
italiana.
E’ un fatto storico straordinario: ciò
che siamo e in cui crediamo ha avuto
origine in questa striscia di terra che si
protende nel Mediterraneo. Tutto
quello per la cui salvaguardia
combattiamo oggi ha avuto origine in
Italia, e prima ancora in Grecia. Perciò
per me come Presidente degli Stati
Uniti è un onore partecipare a questa
occasione importantissima nella vita di
un Paese amico, la Repubblica
Italiana.
Aggiungo, ed è un altro fatto storico
strano, che il nostro Paese, così
importante per la civiltà occidentale,
venne scoperto dall’ardita e difficile
navigazione di un italiano, Cristoforo
Colombo. Il nostro Paese aveva meno
di un secolo quando furono poste le
basi dell’Italia moderna.
L’Italia e gli Stati Uniti hanno un
legame antico e uno nuovo, intrecciati
inestricabilmente, nel passato, nel
presente e, crediamo, nel futuro.
Il Risorgimento, da cui è nata l’Italia
moderna, come la Rivoluzione
americana che ha dato le origini al
nostro Paese, è stato il risveglio degli
ideali più radicati della civiltà
occidentale: il desiderio di libertà e di
difesa dei diritti individuali.
Lo Stato esiste per proteggere questi
237
Post/teca
diritti, che non ci vengono grazie alla
generosità dello Stato. Questo
concetto, le cui origini risalgono alla
Grecia e all’Italia, è stato, secondo me,
uno dei fattori più importanti nello
sviluppo del nostro Paese.
E’ fonte di soddisfazione per noi
sapere che coloro che hanno costruito
l’Italia moderna siano stati in parte
ispirati dalla nostra esperienza, così
come noi prima eravamo stati in parte
ispirati dalla vecchia Italia. Per quanto
l’Italia moderna abbia solo un secolo
di vita, la cultura e la storia della
penisola italiana vanno indietro di
oltre duemila anni. La civiltà
occidentale come la conosciamo oggi,
le cui tradizioni e valori spirituali
hanno dato grande significato alla vita
occidentale in Europa dell’Ovest e
nella comunità Atlantica, è nata sulle
rive del Tevere.
A questo ruolo storico della civiltà
italiana dobbiamo aggiungere il
contributo di milioni di italiani che
sono venuti nel nostro Paese ha
rafforzarlo, a farne la loro casa e
diventarne cittadini di valore.
Questi legami antichi tra il popolo
dell’Italia e degli Usa non sono mai
stati più forti di quanto lo sono oggi,
né sono mai stati in maggiore pericolo.
La storia dell’Italia post-bellica è una
storia di determinazione e coraggio
nell’affrontare una missione grande e
238
Post/teca
difficile. Il popolo italiano ha
ricostruito un’economia e una nazione
distrutti dalla guerra, e ha svolto un
ruolo vitale nello sviluppo
dell’integrazione economica
dell’Europa Occidentale.
E’ certamente l’esperienza più
incoraggiante del dopoguerra: l’Italia
ha migliorato il benessere del suo
popolo, portandogli la speranza per
una vita migliore e giocando un ruolo
significativo nella difesa
dell’Occidente.
Nel grande anniversario del 1961
vediamo che ancora una volta forze
nuove e potenti tornano a sfidare le
idee su cui si fondano sia l’Italia che gli
Stati Uniti. Se dobbiamo affrontare
questa nuova sfida, dobbiamo
mostrare ai nostri popoli e al mondo
che ci guarda, che chi è disposto ad
agire nella tradizione di Mazzini,
Cavour e Garibaldi, come di Lincoln e
Washington, può portare agli uomini
una vita più ricca e più piena.
Questo è l’obiettivo del nuovo
Risorgimento, un nuovo risveglio delle
aspirazioni più antiche dell’essere
umano per la libertà e il progresso, e la
fiaccola accesa nell’antica Torino un
secolo fa guida la lotta degli uomini
dovunque: in Italia, negli Stati Uniti,
in tutto il mondo intorno a noi.
fonte: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?
ID_blog=25&ID_articolo=8294&ID_sezione=&sezione=
239
Post/teca
-----------------
14/1/2011 - TACCUINO
Centrosinist
ra e
centrodestra
Due crisi in
fotocopia
MARCELLO SORGI
Un tempo si diceva: simul stabunt,
simul cadent. Forse si tornerà a
ripeterlo a proposito dei due maggiori
partiti, nati uno dopo l’altro ed ora alle
prese con crisi simmetriche e parallele.
La malattia che sta consumando il Pd
somiglia stranamente a quella di cui ha
sofferto il Pdl fino alla rottura, con
Veltroni nella parte di Fini e Bersani in
quella di Berlusconi.
240
Post/teca
Come Fini a Montebello, Veltroni ha
convocato un’assemblea della sua
corrente a Torino, città ad alto valore
simbolico perché è lì che il partito fu
fondato, dallo stesso ex-segretario
adesso finito in minoranza. Bersani
non ha gradito e ieri, in direzione, ha
richiamato all’ordine i veltroniani,
ricevendone per tutta risposta le
dimissioni di Fioroni e Gentiloni dai
loro incarichi di vertice. A questo
punto il segretario ha frenato e la
frattura è stata in qualche modo
ricomposta. Ma la sensazione di tutti è
che il Pd sia ormai alle soglie della
dissoluzione, e che Bersani, pur
godendo di una larga maggioranza
interna (Franceschini e Fassino, che
prima stavano con Veltroni, sono
passati con il segretario), non sia in
grado di governarlo e di imporre una
sua linea.
In questo quadro il caso Fiat e il
referendum di Mirafiori, più che
l’ultima occasione di divisione sono
apparsi come un pretesto per portare
la situazione interna ai limiti di
rottura. Che il maggior partito di
opposizione decida di discutere di un
problema importante, legato al mondo
del lavoro, come l’accordo tra Fiat, Cisl
e Uil, contestato da Cgil e Fiom, è del
tutto legittimo. Ma che si riduca a farlo
solo nel giorno in cui a Mirafiori si
aprono le votazioni del referendum
proclamato dall’azienda, e dopo che il
fior fiore dei dirigenti, da Fassino a
241
Post/teca
Livia Turco, da Chiamparino a
D’Alema, fino ai cosiddetti rottamatori
e al sindaco di Firenze Renzi, si sono
espressi nei modi più svariati, è per lo
meno singolare.
Se Bersani voleva schierare il partito
con la Cgil, come è parso di capire alla
vigilia della direzione, forse doveva
pensarci un po’ prima. E in ogni caso
doveva pensare per tempo ad aprire la
discussione, senza aspettare l’ultimo
momento. Tra l’altro non si capisce
perché, dei tanti dirigenti che si sono
schierati a favore del “sì” a
Marchionne e al referendum, l’unico
che sia stato severamente redarguito,
come se non avesse titolo per
esprimersi, sia Renzi. Sono queste
incertezze, solo le ultime di una lunga
serie, a dare la sensazione di un Pd alle
soglie di un’implosione. Non è mai
buona cosa, in una democrazia che per
funzionare ha bisogno anche
dell’opposizione, che il maggior partito
della stessa opposizione si dissolva.
fonte: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?
ID_blog=25&ID_articolo=8295&ID_sezione=&sezione=
-----------------
"E ridemmo, ridemmo insieme e da soli, a
squarciagola e in silenzio, eravamo decisi a
ignorare qualunque cosa andasse ignorata,
decisi a costruire un nuovo mondo dal nulla,
242
Post/teca
se nulla si poteva salvare nel nostro mondo,
fu uno dei giorni più belli della mia vita, un
giorno in cui vissi la mia vita e non pensai
affatto alla mia vita."
—
— Jonathan Safran Foer
In punta di note
(via lunacrescente)
---------------------
"Sto cercando una cittadella arroccata nella
quale ritirarmi con un gruppo di volenterosi,
decisi a puntare il dito sull’Italia dall’alto di
un esempio di dignità ed autonomia. In
questo medioevo futuro avremo bisogno di
uomini come te. Porta una balestra."
—
(ricevo strane convocazioni)
dov’è che si firma?
(via fastlive)
Ci sto, preparo lo zaino e le frecce.
(Fonte: eclipsed, via nipresa)
---------------
Old Clint non invecchia, regna sull’immagine. C’è più suggestione nei suoi
effetti speciali quasi elementari (lo tsunami) che in ore e ore di coglionate
catastrofiste. C’è più miracolo nei raggi di luce con cui accarezza miseri
arredi (la casa dei gemelli con madre tossica) che in tutta la fuffa tv natalizia.
243
Post/teca
Ma “Hereafter” non è un capolavoro, e Matt Damon è solo l’ennesimo
sensitivo che vive il suo dono come una maledizione. E’ una buona opera,
un’opera buona che Eastwood tenta invano di fare sua – scrive Peter Morgan
di “The Queen” e “Frost/Nixon”, produce Spielberg – smussando con abile
tocco il soprannaturale e assecondando incroci che evocano fiaba (Dickens)
e realtà (gli attentati a Londra) con grandi speranze di commozione terrena
nel centro del mirino. Tutto è lieve, dosato, antico, foscoliano. Anche la
retorica.
(alessio guzzano)
via: http://plettrude.tumblr.com/
fonte: http://www.alessioguzzano.com/set.php
-----------------------
Edwin Edwards, una storia
Edwin Edwards ha ottantatré anni. È un politico, è americano, è
bianco ed è democratico. Viene eletto governatore della Louisiana
per la prima volta nel 1972, facendo molto parlare di sé per il suo
essere perennemente sopra le righe: polemico, carismatico,
impomatato, molto colorito, appassionato di lusso e bei vestiti. È un
bianco democratico del sud, e nonostante sia un democratico del
sud nato negli anni Venti, è un fortissimo sostenitore dei diritti
civili: è stato il primo governatore della Louisiana a scegliere dei
neri e delle donne per importanti incarichi della sua
amministrazione. Ed è ateo: o meglio, non ha mai detto di essere
ateo, ma ha detto che non crede nella resurrezione di Cristo e che,
se c’è un paradiso, lui non crede di andarci.
Fa due mandati, nel periodo in cui il settore petrolifero della
Louisiana va alla grande. Nel 1979 la costituzione dello stato gli
impedisce di candidarsi di nuovo. Aspetta quattro anni e si ricandida
nel 1983: è così sicuro di vincere che dice che può perdere “solo se
mi beccano a letto con una ragazza morta o con un ragazzo vivo”.
Del suo avversario, un repubblicano a caso, ha poca
considerazione: “è così lento”, dice, “che ci mette un’ora e mezza a
244
Post/teca
guardare 60 Minutes“. Lo rieleggono, comunque, nel 1983: terzo
mandato. La campagna elettorale costa più del previsto, così
Edwards tira su dei soldi offrendo a seicento persone la possibilità
di fare un viaggio con lui in Europa. Ognuno paga diecimila dollari,
la maggior parte dei quali finisce a ripianare i debiti. Vanno in
Francia e in Belgio: mangiano a Versailles e giocano al casinò di
Montecarlo. Perché Edwin Edwards è anche fissato col gioco
d’azzardo, coi casinò, con le scommesse. Tornano a casa, ognuno
col suo bel adesivo: “I did Paris with the Gov.”. Per molti anni in
Louisiana capita di imbattersi in auto con l’adesivo attaccato sul
portabagagli.
La terza legislatura non è un trionfo come le altre due. Il settore
petrolifero aveva fatto la fortuna della Louisiana negli anni Settanta
ma le cose sono cambiate. Le finanze dello stato se la passano
male. Edwards introduce delle nuove tasse, cosa che non giova alla
sua popolarità. Poi arriva il colpo di grazia, o meglio: quello che
sembra il colpo di grazia. Il procuratore dello stato lo mette sotto
inchiesta accusandolo di aver preso due milioni di dollari di tangenti
in cambio di qualche favore a qualche azienda. Corruzione. Durante
il processo, a un certo punto Edwards raggiunge l’aula dell’udienza
con un mulo, partendo dal suo hotel: per rappresentare
simbolicamente la rapidità e l’intelligenza del sistema giudiziario,
dice. Tiene delle conferenze stampa che sono degli show. Alla fine
viene assolto. La sua popolarità però è andata, anche perché la
stampa inizia a indagare in modo più puntuale sulle sue abitudini:
vengono fuori viaggi a Las Vegas durante i quali Edwards perde
centinaia di migliaia di dollari giocando d’azzardo sotto falso nome e
pagando con valigette piene di soldi di dubbia provenienza. Il suo
mandato finisce, Edwards decide incredibilmente di candidarsi di
nuovo.
Si vota con una specie di maggioritario a doppio turno, senza
primarie. Edwards viene sfidato da molti candidati, tra questi un
democratico moderato che si chiama Buddy Roemer. A un certo
punto, durante un dibattito, Roemer dice che se dovesse essere
245
Post/teca
sconfitto darebbe il suo appoggio a chiunque. “Chiunque ma non
Edwards”. I sondaggi lo davano per ultimo, prima del dibattito:
dopo quella frase raggiunge e supera tutti gli altri. Edwards allora
ribalta il tavolo e si ritira, prima del voto: sembra una resa
incondizionata, ma così facendo impedisce a Roemer di allargare la
sua coalizione cercando l’appoggio di tutti gli altri candidati. Roemer
deve ancora essere eletto ed era già un governatore di minoranza.
Vince, comunque. Ma Edwards si mette lì e aspetta, quattro anni.
È il 1991 ed Edwards, ritenuto da molti un politico logoro e
implicato in strani affari, decide di candidarsi a un quarto mandato
da governatore della Louisiana. Gira un detto, in quegli anni, messo
in giro da un giornalista locale: Edwards potrebbe vincere solo se il
suo sfidante fosse Adolf Hitler. I repubblicani decidono di sfidare il
pronostico candidando David Duke: un pazzoide suprematista
bianco, negazionista dell’Olocausto, ex membro del Ku Klux Klan e
di qualche gruppetto neonazista. E c’è sempre Roemer, il
governatore uscente. Al primo turno Edwards prende il 34 per
cento. Arriva secondo Duke, il nazista. Governatore eliminato.
Ballottaggio: Edwards contro Hitler, o quasi. Edwards si prende
l’appoggio dei democratici in massa e di molti repubblicani: persino
il presidente George H. W. Bush lo sostiene pubblicamente.
Chiunque ma non il nazista. Edwards vince: quarto mandato.
Fa aprire diversi casinò, e quindi è tutto un fiorire di case da gioco,
richieste di licenze, casinò sulle barche, permessi da accordare,
favori da chiedere e da fare. Amministra ordinariamente le finanze
dello stato. Emana un ordine esecutivo per proteggere gli
omosessuali e i transessuali dalle discriminazioni da parte del
governo statale per quel che riguarda servizi, contratti, condizioni
lavorative. Annuncia che si candiderà per ottenere un quinto
mandato, poi si sposa (per la seconda volta) e cambia idea,
annunciando invece che alla fine del suo mandato andrà in
pensione. Edwards finisce il suo mandato, non si ricandida, va in
pensione.
Nel 1998 un imprenditore texano lo accusa di aver ricevuto tangenti
246
Post/teca
per quasi un milione di dollari. Le indagini vanno spedite e stavolta
gli investigatori non vogliono che finisca come qualche anno prima:
lo seguono, lo filmano, lo registrano, alla fine si ritrovano in mano
un sacco di materiale e soprattutto un sacco di prove. Le licenze per
i casinò venivano semplicemente vendute al miglior offerente.
Edwards viene condannato, riconosciuto colpevole tra le altre cose
di corruzione, associazione a delinquere, estorsione, riciclaggio di
denaro. È il 2001. Edwards ha settantaquattro anni. Viene
condannato a dieci anni di prigione e ci va sul serio: niente
condizionale, niente domiciliari.
I primi tre anni li passa in un carcere del Texas, poi lo trasferiscono
in una struttura in Louisiana. Lui nel frattempo divorzia dalla
seconda moglie e si mette con un’altra donna. Nel 2007 compie
ottant’anni. Nel 2008 alcuni amici di Edwards, due suoi ex rivali
politici e l’ex presidente George H. W. Bush chiedono all’allora
presidente George W. Bush di graziarlo, alla fine del suo mandato.
Bush nega la grazia, poi lascia la Casa Bianca, poi arriva Obama.
Nel frattempo i dieci anni passano. Oggi, 13 gennaio 2011, Edwin
Edwards è uscito di prigione.
fonte: http://www.francescocosta.net/2011/01/13/edwin-edwards-una-storia/?
utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed:+Francescocosta+
(francescocosta.net)
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Il futuro e i diritti
È una vittoria di principio, la sentenza della Consulta sul legittimo
impedimento. Una vittoria simbolica – il riaffermarsi dell'idea di Giustizia
così come la definisce la Costituzione – destinata tuttavia a restare senza
effetti concreti. Come quasi sempre accade in questo nostro disastrato
paese non succederà nulla, alla prova dei fatti. Ora che la Consulta ha
fatto decadere in parte i contenuti della legge che consentiva al premier
di non presentarsi mai in aula il presidente del Consiglio dovrà farlo,
247
Post/teca
invece: l'imputato si presenti, dice questa decisione in teoria. In pratica
però esisteva già prima della legge un articolo del codice che definiva le
occasioni di legittimo impedimento: il giudice, di nuovo e come sempre,
deciderà di volta in volta se ci siano motivi validi, Silvio Berlusconi farà in
modo di presentare giustificazioni che appaiano valide.
Si presenterà in aula il meno possibile, giusto qualche volta, diciamo un
paio, per denunciare davanti alle telecamere all'uscita dall'aula la sua
condizione di perseguitato. Può comunque dormire sonni tranquilli: tutti i
processi in corso ripartono da zero per motivi legati alla nuova
composizione dei collegi (gli anni passano, i giudici cambiano) dunque a
conti fatti sono tutti destinati a cadere in prescrizione. Passeranno i mesi
e forse gli anni, non ci saranno sentenze definitive per chi ha corrotto e
comprato il comprabile, cose e persone, in spregio al diritto e alla
decenza.
Lo spregio al diritto e alla decenza è del resto lo spirito del tempo. Ho
ricevuto decine di lettere, in questi giorni, di operai di Mirafiori così come
era accaduto nei giorni di Pomigliano. Ho visto anziani operai piangere.
La responsabilità che grava sulle spalle dei lavoratori Fiat, in queste ore,
è enorme, sproporzionata, ingiusta. Un Paese non può delegare le sorti
del futuro di tutti alla decisione di chi non ha alternative al suo posto di
lavoro. E' vero che il modello Fiat è destinato a fare scuola. E' proprio per
questo che i lavoratori della Fiat non dovrebbero essere lasciati soli a
decidere.
Ci dovrebbe essere un governo che prende posizione in favore del lavoro
e dei diritti (ne abbiamo all’opposto uno che si appiattisce sul diktat di
Marchionne), naturalmente un sindacato, ovviamente una sinistra ferma
e coesa che si ponesse, unita, il problema della tutela dei lavoratori di
oggi e di domani. Chi chiede agli operai di bocciare l'intesa lo fa da casa,
dal caldo del suo salotto. Se è una rivoluzione quella che pesa sugli
uomini di Mirafiori allora forza, tutti ai cancelli a fare la rivoluzione con
loro. Gli inviti e gli appelli scritti al computer, col sigaro che fuma nel
posacenere accanto, sono un insulto a quei vecchi che piangono, a quei
giovani che scrivono “io come dico a mia moglie che ho perso il lavoro,
come pago i libri di scuola ai miei figli, come gli compro da mangiare?”.
248
Post/teca
Cosa fareste voi, ciascuno di voi, se aveste 50 anni, due figli, 1800 euro
al mese e nessuna alternativa? Bisognerebbe dire di no, certo, al ricatto.
Però bisognerebbe che un istante dopo ci fosse qualcuno che dicesse
bravo, hai fatto la scelta giusta, eccoci qua a garantirti la vita, vieni.
Eccomi, sono il governo del tuo paese, vieni. Eccomi, sono un
imprenditore illuminato, ecco un posto nella mia azienda. Eccomi, sono
l'opposizione, da oggi posso darti io da vivere. Stanno così le cose? Non
mi pare proprio. Sono con le spalle al muro, a Mirafiori. Siamo tutti con
le spalle al muro insieme a loro. L'atteggiamento di Marchionne è
inaccettabile, tutti gli aut aut lo sono: non si porta via la palla dal campo
a chi non accetta le nuove (odiose, illegittime) regole del gioco. Si decide
insieme, si decide prima di scendere in campo la regola qual è. Lo sanno
anche i bambini, persino quelli che fanno i capricci e la palla non la
vogliono restituire: sanno che hanno torto.
L'altro corno del problema, però, è che la difesa dei diritti di tutti – negli
ultimi decenni – è stata troppo spesso la mortificazione del merito di
molti e l'alibi dietro cui si sono nascosti coloro che hanno approfittato
della tutela collettiva (perché non sapevano, poveri di capacità e fuori
mercato, o perché non volevano, colpevoli di opportunismo) per dare il
meno possibile e prendere per sé a discapito degli altri, specialmente dei
più giovani. E’ anche questa l’origine della tragedia della generazione
senza futuro. Insieme ai deboli sono stati protetti i furbi. Questo anche
va detto, in tempi di gravissima crisi economica e sociale: che troppo
spesso le tutele garantiscono insieme chi lavora molto e chi poco, offrono
giuste garanzie a chi non può e ingiuste tutele a chi non vuole e non sa.
Questo avrei voluto sentir dire, anche, da chi difende giustamente i diritti
di tutti. Da chi dice agli operai: votate No. Avrei voluto sentir dire
mettiamoci al lavoro tutti insieme per ridisegnare i confini delle tutele
collettive - per i vecchi come per i giovani che non avranno contratti equi
né pensioni – per garantire chi sa e vuole fare e per mettere in fondo alla
lista chi approfitta. Non l'ho sentito e temo che pagheranno i deboli,
come sempre, e che vinceranno i furbi e i farabutti al potere, come tutto
intorno a noi accade ogni minuto.
13 gennaio 2011
249
Post/teca
concita de gregorio
fonte: http://concita.blog.unita.it/il-futuro-e-i-diritti-1.265933
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L’atomo di
Rutherford compie
cent’anni
14 gennaio 2011
tags: atomo, centenario, Rutherford
di Roberto Cantoni
STORIA – I britannici ci vedono un
plumcake, i francesi un farbretone. In Italia, invece, dicono abbia una
spiccata somiglianza con un panettone. Comunque lo si veda, il primo
modello dell’atomo descritto dal britannico Joseph John Thomson (18561940) sembra sbizzarrire l’interesse degli appassionati di pasticceria. E a
250
Post/teca
ragione: perché difficilmente si sarebbero trovati esempi migliori per
illustrare un modello composto da un certo numero di elettroni (l’uvetta)
spazialmente localizzati, immersi in una distribuzione di carica positiva
diffusa (l’impasto lievitato).
La formulazione del modello a panettone del 1904 seguiva la scoperta,
sette anni prima, dell’elettrone, sempre a opera di Thomson. Con quella
scoperta si capì che la materia era formata di due parti: una negativa, gli
elettroni appunto, e l’altra positiva. Come fosse però organizzata
quest’ultima, restava ignoto: la scoperta del nucleo avvenne infatti
successivamente all’ideazione del modello di Thomson. Quest’ultimo
resistette fino al 1909, anno in cui, con l’esperimento di Geiger-Marsden
diretto dal fisico neozelandese di nascita e britannico di adozione Ernest
Rutherford (1871-1937), fu scoperta l’esistenza del nucleo atomico.
Attorno al 1900, infatti, si iniziò a
pensare che gli atomi fossero sfere permeabili. Nel 1909 Rutherford, con la
collaborazione di Hans Geiger e Ernest Marsden, sottopose a verifica questa
teoria con l’esperimento, oggi famosissimo, della lamina d’oro.
L’esperimento era semplice: una sorgente radioattiva avrebbe sparato un
fascio di particelle alfa, ognuna formata da due protoni e due neutroni (al
tempo ci si sarebbe espressi diversamente, dal momento che il neutrone fu
251
Post/teca
scoperto soltanto una ventina d’anni dopo, nel 1932) contro una sottilissima
lamina d’oro. Attorno alla lamina d’oro era stato disposto uno schermo
ricoperto di solfuro di zinco, in modo che le particelle alfa, colpendo lo
schermo, lasciassero tracce microscopiche nel solfuro di zinco.
Lo scopo dell’esperimento era trovare prove a favore della teoria secondo
cui gli atomi sono sfere permeabili neutre. Ci si aspettava che le particelle
alfa, dotate di alta energia, non avessero problemi a sfrecciare
attraversando qualche atomo: esse avrebbero dovuto semplicemente
passare dritte attraverso la lamina d’oro e lasciare delle tracce in una
piccola regione dello schermo posto dietro la lamina. In realtà, lo schermo
mostrava tracce nella parte dietro la lamina ma, sorprendentemente, ne
mostrava alcune anche nella parte di fronte alla lamina.
Rutherford interpretò così i
risultati dell’esperimento: la maggior parte delle particelle alfa erano
passate senza problemi attraverso le regioni più esterne degli atomi, e le
particelle alfa restanti dovevano aver rimbalzato contro qualcosa, dentro
gli atomi, che fosse piccolo, denso e di carica positiva. Anche se ciò
sconfessava la sua ipotesi che gli atomi fossero sfere permeabili, gli forniva
elementi per una nuova ipotesi: che l’atomo avesse un nucleo. Questo
nuovo modello spiegava i suoi risultati, e non solo: è stato una chiave di
volta per lo sviluppo della moderna teoria atomica.
I risultati dell’esperimento del 1909 furono analizzati nei due anni
successivi e, nel 1911, esattamente cent’anni fa, Rutherford pubblicò un
articolo in cui formulava un nuovo modello, che prese il nome di “modello
planetario”. Come nel modello planetario vero e proprio a cui si riferiva,
252
Post/teca
infatti, anche quello atomico prevedeva una carica positiva centrale
concentrata in un volume ridotto (il “Sole” del sistema) e, a distanze
considerevoli, minuscole cariche negative che vi orbitavano intorno (come i
pianeti orbitano intorno al Sole) seguendo traiettorie ben precise. Ecco
perché ancora oggi l’atomo viene rappresentato secondo il modello di
Rutherford, per esempio nella bandiera dell’AIEA.
Eppure, quel modello non vale più. O, per meglio dire, vale soltanto
parzialmente. Già perché, se con il modello di Rutherford venivano risolte
alcune delle questioni lasciate insolute dal “panettone” di Thomson, se ne
aprivano altre, nuove. Per esempio, il modello planetario non andava per
niente d’accordo con la teoria elettromagnetica della fisica classica: gli
elettroni di Rutherford avrebbero dovuto emettere, orbitando attorno al
nucleo, energia sotto forma di radiazione elettromagnetica, e di
conseguenza spiraleggiare elegantemente fino a schiantarsi nel nucleo
stesso. Ma ciò non accadeva. Fu soltanto con la meccanica quantistica,
soprattutto con gli studi di Niels Bohr (1885-1962) prima, che di Rutherford
era stato allievo, e con quelli di Werner Heisenberg (1901-1976) ed Erwin
Schrödinger (1887-1961) poi, che si arrivò alla conclusione che non si poteva
parlare di orbite né di traiettorie per gli elettroni, ma soltanto
diprobabilità di trovare un elettrone in un certo punto dello spazio.
Insomma, dal modello planetario sparivano non solo le orbite, ma anche gli
elettroni intesi come oggetti identificabili singolarmente a un dato tempo e
in un dato spazio. Gli elettroni formavano invece, secondo gli studi di inizio
XX secolo, una nuvola che circondava il nucleo: un’entità, piuttosto che un
insieme di unità. Ma la rappresentazione dell’atomo Rutherford è ormai
entrata nella storia, e ci sono pochi dubbi sul fatto che neppure i prossimi
centenari degli studi di Bohr e colleghi riusciranno a scalfire l’immagine a
cerchi e sfere del suo modello.
fonte: http://oggiscienza.wordpress.com/2011/01/14/latomo-di-rutherford-compie-centanni/#more14096
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Regalare un Gronchi rosa nel 2011
Una pubblicità in prima pagina sulla Stampa suggerisce un'idea per un regalo
253
Post/teca
anacronistica, ma coraggiosa
8 GENNAIO 2011
Sulla prima pagina della Stampa di ieri, una pubblicità a fondo pagina invitava i
lettori a «scegliere un regalo che vale» per una occasione particolare e a orientarsi
sull’acquisto di un francobollo da collezionismo. L’annuncio pubblicitario, che suona
allegramente anacronistico in tempi di videochat e iPad, comprendeva una
riproduzione del Gronchi rosa, forse il francobollo più famoso della filatelia italiana
che per un certo periodo riuscì a rendere pop il collezionismo di francobolli negli
anni Sessanta, divenendo proverbiale sinonimo di oggetto prezioso fin dentro alle
storie di Topolino.
La storia del Gronchi rosa e delle ragioni del suo valore si è un po’ perduta, nel
frattempo. Per celebrare il viaggio del presidente della Repubblica Giovanni
Gronchi in Sudamerica, il 3 aprile del 1961 le Poste decisero di emettere una serie
di francobolli commemorativi. Quello di colore rosa aveva un valore di 205 lire e
rappresentava l’aereo del presidente in viaggio tra l’Europa e il Perù. Il disegnatore
del francobollo aveva tratto l’ispirazione per il disegno da un vecchio atlante
geografico e finì per sbagliare i confini dello Stato del Sud America. Sul Gronchi
rosa, infatti, mancavano i territori nel bacino del Rio delle Amazzoni che il Perù
aveva annesso dopo la guerra con l’Ecuador nei primi anni Quaranta.
La scorretta rappresentazione dei confini non piacque all’ambasciatore peruviano in
Italia, che protestò ottenendo la sospensione della distribuzione del francobollo. Per
riparare al danno, le Poste provarono anche a far sparire dalla circolazione i
Gronchi rosa già distribuiti, coprendo quelli sulle buste già affrancate con una
versione corretta e di colore grigio dei confini del Perù. L’operazione delle Poste
contribuì a rendere raro il Gronchi rosa e a farlo diventare uno dei pezzi più ambiti
per i collezionisti italiani.
A distanza di quasi cinquant’anni, non è ancora del tutto chiaro quanti Gronchi rosa
abbiano circolato e quanti siano stati ritirati dalle Poste. I Gronchi rosa venduti,
stando alle cifre ufficiali, furono 79.625, ma alcuni cataloghi di filatelia arrivano a
ipotizzare cifre intorno al milione, forse confondendo la tiratura con l’effettivo
numero di francobolli circolati.
Anche a causa delle informazioni poco chiare sull’effettivo numero di Gronchi rosa
ancora esistenti, lequotazioni del francobollo sono molto variabili. Un Gronchi rosa
nuovo mai usato vale circa mille euro, mentre la quotazione si dimezza per gli
esemplari che furono coperti dalle Poste con il francobollo grigio rivisto e corretto.
Per le buste affrancate sia col Gronchi rosa che con la versione grigia riparatrice, le
254
Post/teca
quotazioni oscillano tra i 900 e i 600 euro. Quelli che hanno più valore sono i
francobolli che sfuggirono alle Poste e che hanno viaggiato con regolare timbro
postale. Le quotazioni in questo caso sono sull’ordine delle decine di migliaia di
euro e, nel caso delle buste che hanno viaggiato sull’aereo presidenziale, si può
arrivare ai trentamila euro.
fonte: http://www.ilpost.it/2011/01/08/cosa-e-il-gronchi-rosa/
------------20110115
iwdrm:
“Mr. President, I’m not saying we wouldn’t get our hair mussed. But I do say
no more than ten to twenty million killed, tops.”
Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb
(1964)
-----------------
"[…] soprattutto i giovani sono l’anima della
protesta nelle strade, gli stessi cresciuti
all’ombra del presidente dittatore, che un
tempo forse ha rappresentato l’ancora di
salvezza dalla povertà. Tante famiglie,
soprattutto nella capitale, si sono affidate in
questi anni alle raccomandazioni elargite
dalla tentacolare e avidissima [cricca]
famiglia del presidente per poter avere un
lavoro, una casa, un posto qualsiasi. Ma
adesso hanno deciso che è tempo di rialzare
255
Post/teca
la testa, anche per i loro genitori, che li
guardano andare a manifestare e sperano di
rivederli tornare a casa […]"
— no, non è l’Italia. (via ze-violet)
---------------------
"La Regione Sardegna non bada a spese:
ristrutturata Villa Devoto, la sede di
rappresentanza a Cagliari che Renato Soru
non aveva mai voluto abitare e che intendeva
restituire alla città. Il governatore Ugo
Cappellacci si è fatto allestire
nell’appartamento presidenziale una sala
fitness attrezzata di tutto punto e una
lussuosa stanza da letto, anch’essa sistemata
e arredata in base alle esigenze dell’atletico
inquilino.
Quando si dice le priorità."
— Una sala fitness per Cappellacci (via ladridipane)
(via ladridipane)
------------------
"Esiste una specie di morti viventi, di gente
banale che a malapena ha coscienza di
256
Post/teca
esistere se non nell’esercizio di
qualche occupazione convenzionale."
—
- Robert Louis Stevenson
(via imlmfm)
---------------
3nding:
scarligamerluss:
Secondo quanto riferito, tra i prodotti incriminati vi erano mele moldave con
pesticidi, pane realizzato con forni non idonei, sale proveniente dal Marocco e
infettato da batteri. Inoltre il console Usa riferisce che, secondo quanto
appreso da un comandante dei carabienieri, fabbriche a Caserta producevano
mozzarelle usando latte in polvere boliviano.
Wikileaks Italia: cibi avariati in Campania
--------------------
“non mi piace festeggiare i compleanni”. davvero? “sì”. e invece secondo me
è una cazzata. secondo me si vede subito chi una festa di compleanno la
vorrebbe eccome, l’ha sempre voluta, ma pensa perché mai qualcuno
dovrebbe volermi festeggiare. e così le feste di compleanno se le beccano
sempre i bambini che attirano l’attenzione, quelli che la vogliono, anzi, la
pretendono una festa di compleanno. io ho costruito un’esistenza
sull’organizzare feste per chi non le voleva, o sull’accarezzare l’unico cucciolo
che se ne stava zitto e buono in un angolo. e allora ecco cosa penso. se non
hai sbagliato a capire, se hai scelto bene il tuo festeggiato, succederà che
magari per tutta la festa resterà un po’ rigido, un po’ imbarazzato, ma alla
fine, soli nel buio della vostra stanza, ti stringerà forte e ti dirà, nessuno aveva
mai organizzato una festa di compleanno per me. come quel cucciolo che
continua a starsene zitto e buono in un angolo, ma da quando l’hai
accarezzato quella prima volta quando ti avvicini tu scodinzola. tienili vicino al
cuore, quell’abbraccio e quello scodinzolio. è un bellissimo mestiere, quello
dell’apriscatole, se scegli le scatole giuste.”
257
Post/teca
—
vienimi nel cuore (via
allieandnoah)
via: http://coactusvolui.tumblr.com/
-----------------------20110116
"- Questo libro contiene la verità in ogni sua
parte, giusto? - Sì, è vero.
- A lei piacciono i gamberi? - Bè, a dire il vero
sì. - Perché nel levitico, giusto un paio di
righe prima di ‘giacere con un maschio è un
abominio’, dice che è un abominio anche
mangiare i crostacei. [..] Il punto è che se lei
può mangiare i gamberi, io posso succhiare il
cazzo."
— Queer as folk. (via ilventocontinuaasoffiareforte)
(via lalumacahatrecorna)
---------------
"Al generale Augusto Pinochet Ugarte e alla
sua distinta sposa signora Lucia Hiriarde
Pinochet, in occasione delle loro nozze d’oro
matrimoniali e come pegno di abbondanti
grazie divine, con grande piacere impartisco,
258
Post/teca
così come ai loro figli e nipoti, una
benedizione apostolica speciale”. Giovanni
Paolo II"
—
Lame Duck su FB (via wollawolla)
Presto Beato, poi Santo. Poi mi chiedono a che serve sbattezzarsi… ecco a cosa
serve, a non avere niente a che fare con questi criminali.
(via noneun)
(via hardcorejudas)
--------------------
mercipuorlapromenade:
l’inverno finirà
e ci piacerà ballare
più di quanto non ci piaccia già
e si parlerà di quando mi dicevi
ma che begli occhi che hai
(chissà come mi vedi bene)
(via alune)
-------------------------
Caro professore, come la mettiamo con gli
intellettuali, Torino e la Fiat? Cosa avete
combinato? «Non va così male, come si
potrebbe pensare perchè quelli che hanno
ancora la forza di parlare qualche cosa giusta
l’hanno detta, si sono schierati per il no
259
Post/teca
all’accordo di Mirafiori, hanno difeso i diritti
degli operai. Il mio rammarico è la politica,
quella dei partiti e degli amministratori, e
anche il sindacato. Dopo la vittoria del sì cosa
facciamo, che lotte pensa di mettere in
campo la Cgil? Il diritto di sciopero è un
diritto individuale sancito dalla Costituzione,
possiamo iniziare da qui, ma dobbiamo
pensare ad autorganizzarci, a trovare nuovi
sbocchi». Ci sono i partiti per questo? «Ma
quali partiti vuol trovare… Il sindaco
Chiamparino e il suo possibile successore
Fassino si sono schierati apertamente con
Marchionne, comprende il disastro in cui
viviamo? Non siamo qui per divertirci».
Se c’è una città dove l’impresa, la fabbrica, il
lavoro, la condizione operaia hanno
alimentato cultura e professioni, politica e
sindacato, questa è Torino. Qui è nata
l’industria dell’auto, questa è la città di
Antonio Gramsci, del capitale e dei
260
Post/teca
comunisti, questa è la company town per
eccellenza dove alla fine degli anni Settanta
ancora 130mila cittadini vivevano stretti alla
Fiat. Se in altri tempi fosse comparso Sergio
Marchionne con le sue proposte sapete cosa
sarebbe successo? Il Pci avrebbe organizzato
una conferenza operaia chiamando le più
belle teste della politica, dell’economia, del
sindacato e delle imprese a discutere di
Fabbrica Italia. Sui grandi giornali, anche su
quelli della Fiat, si sarebbero aperti dibattiti
senza fronzoli. Il ministro del Lavoro, magari
un democristiano duro e testone come Carlo
Donat Cattin, avrebbe chiamato sindacati e
impresa attorno a un tavolo per evitare
dolorose fratture. Il parlamento avrebbe
raccolto le sollecitazioni dell’impresa e del
lavoro.
Oggi non è rimasto quasi più nulla di tutto
questo patrimonio, ogni soggetto gioca per sè
e quello che risulta devastante, anche se
261
Post/teca
pochi ne comprendono la tragica portata per
la nostra democrazia, è la distruzione
progressiva dei corpi intermedi di
rappresentanza sociale, dal delegato di
fabbrica fino al sindacato confederale. Anche
gli intellettuali, di ogni origine e vocazione,
hanno smarrito negli ultimi anni il loro ruolo
di ricerca, di proposta, rifugiandosi in
comodi incarichi accademici o mettendo la
propria scienza al servizio della tv in cambio
di pubblici riconoscimenti e generose
retribuzioni. Diceva un grande torinese come
Norberto Nobbio che «il compito
dell’intellettuale è di seminare il dubbio e
non di raccogliere certezze
"
— Vattimo e la Fiat: le colpe degli intellettuali italiani (da qui)
(Fonte: seia)
----------------------
“L’uguaglianza” - Trilussa
cornerlist:
Fissato ne l’idea de l’uguajanza
262
Post/teca
un Gallo scrisse all’Aquila: - Compagna,
siccome te ne stai su la montagna
bisogna che abbolimo ‘sta distanza:
perché nun è né giusto né civile
ch’io stia fra la monnezza d’un cortile,
ma sarebbe più commodo e più bello
de vive ner medesimo livello.L’Aquila je rispose: - Caro mio,
accetto volentieri la proposta:
volemo fa’ amicizzia? So’ disposta:
ma nun pretenne che m’abbassi io.
Se te senti la forza necessaria
spalanca l’ale e viettene per aria:
se nun t’abbasta l’anima de fallo
io seguito a fa’ l’Aquila e tu er Gallo.
-------------------20110117
" Peggiore insulto per un giornalista?
Secchio di
fango.
Hack.
Reporter amatoriale.
PR.
Corrispondente diversamente
abile.
Blogger.
Apple non risponde alle tue chiamate."
sondaggio di Joy Of Tech (luglio 2008)
mailinglist: Punto-Informatico, Virgolette
--------------------
Il vero amore e' come
i reumatismi: non li si capisce
263
Post/teca
se non dopo averli avuti.
> Marie von Ebner-Eschenbach
Mailinglist Buongiorno.it
-----------------
Da Venezia partono i
roghi di libri. Vogliamo
fare qualcosa?
uomoinpolvere:
“L’assessore alla cultura della provincia di Venezia, l’ex-missino-oggiberlusconiano Speranzon, ha accolto il suggerimento di un suo collega di
partito e intimerà alle biblioteche del veneziano di:
1) rimuovere dagli scaffali i libri di tutti gli autori che nel 2004 firmarono un
appello dove si chiedeva la scarcerazione di Cesare Battisti;
2) rinunciare a organizzare iniziative con tali scrittori (vanno dichiarati
“persone sgradite”, dice).
Il bibliotecario che non accetterà il diktat “se ne assumerà la responsabilità”.
Si allude forse al congelamento di fondi, al mancato patrocinio delle
iniziative, al mobbing, a campagne stampa ostili?
La proposta ha avuto il plauso del COISP, un sindacato di polizia. Così il
bibliotecario ci pensa due volte, prima di mettersi contro l’ente locale e le
forze dell’ordine.
Una cricca di “sinceri democratici” si sta già muovendo per estendere la cosa a
tutto il Veneto, ed è probabile che l’iniziativa venga emulata oltre i confini
regionali.
Ecco cosa si può leggere sul “Gazzettino”:
«Scriverò agli assessori alla Cultura dei Comuni del Veneziano perché
queste persone siano dichiarate sgradite e chiederò loro, dato anche che le
biblioteche civiche sono inserite in un sistema provinciale, che le loro opere
vengano ritirate dagli scaffali […] Chiederò di non promuovere la
presentazione dei libri scritti da questi autori: ogni Comune potrà agire
come crede, ma dovrà assumersene le responsabilità. Inoltre come
264
Post/teca
consigliere comunale a Venezia, presenterò una mozione perché Venezia dia
l’esempio per prima […] Scriveremo agli assessori regionali Marino Zorzato
e Elena Donazzan, perché estendano l’iniziativa in tutto il Veneto.»
A questa schifezza dovremmo reagire tutti, non solo gli scrittori
direttamente coinvolti o i bibliotecari direttamente minacciati.
- Dovrebbero farsi sentire i cittadini, i lettori, i frequentatori delle
biblioteche.
- Dovrebbero farsi sentire amministratori, forze politiche e
associazioni di Venezia e dei comuni circostanti.
- Dovrebbe cercare di scriverne chiunque lavori nell’informazione o abbia
un bloget similia;
- Dovrebbe dire qualcosa l’Associazione Italiana Biblioteche.
- Dovrebbero dire qualcosa i sindacati dei dipendenti pubblici.
- Dovrebbero muoversi gli editori, anche legalmente, con querele e cause
civili, a fronte di un’azione che procura loro danni materiali e morali.
- Andrebbero mandate mail di protesta ai giornali (non solo a quelli
veneti), andrebbero affissi volantini e lettere aperte alle bacheche di
biblioteche e sale di lettura.
- Andrebbero diffusi e linkati post come questo (in calce al quale
metteremo gli aggiornamenti sulla vicenda) e qualunque altro articolo, testo o
video che informi su questo personaggio, sulle sue intenzioni liberticide e su
eventuali iniziative dei suoi emuli e sodali.
Se sottovalutiamo l’iniziativa perché è stupida, si crea un precedente. E’
un’iniziativa tanto più pericolosa quanto più è stupida.”
Chi è questo Speranzon
Chi è il tizio che gli ha dato l’idea
approfondisci e commenta su Mazzetta e su Giap | Wu Ming Foundation
Questo è nazismo! Il solo aver pensato e detto queste cose è
nazismo! Ancora prima che questi ordini vengano eseguiti! Contro
il nazismo non ci può essere indifferenza!
(via 3n0m15)
---------------------
"[…] Su proposta di Marx. nel I congresso
265
Post/teca
dell’Internazionale (Ginevra 1866) fu votata
questa risoluzione: “Noi dichiariamo che la
limitazione dell’orario di lavoro è la
condizione indispensabile perché gli sforzi
per emancipare i lavoratori non falliscano”.
Di conseguenza veniva proposto che il limite
legale per l’orario di lavoro fosse di 8 ore.
La richiesta delle 8 ore era nata d’altra parte
subito dopo l’abo-lizione della schiavitù nel
1861 tra la classe operaia americana. Ci
sarebbero voluti decenni di lotte e di sangue.
La giornata internazionale di lotta per le 8
ore, il 1° maggio, su cui si è costruito il
movimento operaio mondiale,
commemorava la strage di Chicago del 1886.
I primi risultati furono tutti frutto di lotte di
categoria: ad esempio in Inghilterra nel 1872
edili e meccanici strappano le 9 ore, mentre
in Russia bisogna aspettare il 1882 per
imporre almeno le prime limitazioni al lavoro
minorile e femminile, e solo nel 1896-1897 i
266
Post/teca
tessili di Mosca conquistano le undici ore e
mezzo. Eppure sarebbero stati i lavoratori
russi a ottenere per primi le 8 ore. Con la
rivoluzione del 1917
E’ significativo che la giornata di 8 ore non fu
richiesta al padronato o al governo
provvisorio, ma imposta dal basso: gli operai
rivoluzionari al termine delle 8 ore
suonavano la sirena per dare il segnare di
uscire e tutti uscivano. […]"
— Un secolo e mezzo di lotte per ridurre l’orario di lavoro di Antonio
Moscato (via selvaggiamente)
(via emmanuelnegro)
---------------------
"Davvero una vita non basta: così poco
tempo e così tanti coglioni da mandare
affanculo."
— Daniele Luttazzi (via visionarylandscapes)
(via svalvolataontheroad)
--------------------
"Il nostro bottino di guerra è la conoscenza
del mondo."
—
267
Post/teca
Wislawa Szymborska (via ilventocontinuaasoffiareforte)
(via colorolamente)
---------------
"Legalizzare la mafia sarà la regola del
duemila,
sarà il carisma di Mastro Lindo a regolare la
fila
e non dovremo vedere niente che non
abbiamo veduto già."
— Francesco De Gregori - Bambini Venite Parvulos (via alchemico)
(via alchemico)
------------------
verita-supposta:
E succede che domenica pomeriggio mi vada di traverso il caffè: una persona
che sa esattamente come la penso su certi temi mi dice che c’è la possibilità di
farsi nel giro di pochi minuti da € 5.000 in su puliti puliti senza fare nulla.
Dico interessante, e dov’è l’albero su cui crescono i soldi? Niente albero, mi
spiega, sta per ripartire il decreto flussi e mi chiede se voglio entrare nel giro
dei soldi spiegatomi durante la precedente regolarizzazione.
In pratica funziona così: per avere il permesso di soggiorno lo straniero deve
essere assunto per almeno un anno, con questo documento può entrare in
Italia e rimanerci. Prima parentesi da aprire è che lo straniero in questione è
già dentro lo Stato, essenso noi il paese con le leggi più ad cazzum mai
conosciute. Ma questa è un’altra storia, come direbbe Lucarelli.
La paura vera arriva quando scopri che chiunque può assumere chiunque. A
me per esempio è stato chiesto di assumere uno o due cinesi. Possono essere
un colf e un cuoco per esempio. Poco importa io non abbia i soldi per
mantenere neanche me stessa. I cinesi mi daranno cash i soldi per pagargli i
268
Post/teca
contributi per tutto l’anno e a me non verrà chiesto un soldo. Anzi, per
ricompensare la mia bella disponibilità da ItalianoBravaGente mi
pagheranno il disturbo con € 5.000 ciascuno. Ed ecco che potrò finalmente
togliermi qualche sfizio. Basta fare bene i conti, a tot sfizi da soddisfare
dovranno corrispondere n disperati che pur di stare in questa repubblica delle
banane si toglono l’ultimo pane di bocca.
Adesso, è vero che a me 10.000 euro, ma anche solo 5.000 farebbero comodo,
e chi dice di no? Son mica ricca io. Però bisogna sempre controbilanciare i
valori delle cose. Possibile la dignità di una persona valga solo 5.000 euro? La
mia moralità? La mia coerenza? La mia capacità di aproffittare della
disperazione altrui? A queste mie domande mi viene risposto che i cinesi son
ricchi e bastardi e non mi sto aproffittando di niente, sto solo prendendomi il
giusto compenso per permettere a loro di spadroneggiare sulla mia terra.
So benissimo che la persona che ho di fronte ha già contato quanti cinesi
pagheranno i suoi sfizi e dato che l’avermi proposto una cosa simile
rappresenta per me un insulto alla mia persona non vedo nessun problema
nel dire chiaramente che: puoi fare quello che vuoi, tu. Per me chi fa una cosa
del genere ha un solo nome: pezzo di merda. Significa abbassarsi al livello
della feccia che ogni giorno critico, significa inserirsi nel sistema della lotta fra
poveri che tanto disprezzo, significa diventare esattamente come quelli che si
fanno pagare per portare nel nostro paese uomini ridotti come stracci che
affrontano il deserto o il mare e spesso ci muoiono. Significa essere neanche
uno sciacallo ma qualcosa di ben peggiore. Se vuoi aiutare uno straniero fai
tutto questo senza farti pagare, se lo stai facendo per soldi è da merde umane
che meritano solo sputi e disprezzo. E soprattutto, te lo dico con il cuore visto
che i cinesi non conoscono il sardo, spero che i soldi fatti in questo modo
servano tutti, fino all’ultimo centesimo, per “mexina”.
Maledico? Eh direi di si, tu maledici l’umanità e i disperati e io non posso
maledire una che con una casa, un lavoro, un letto e il frigorifero pieno
succhia il sangue ai disperati?
---------------------
lollodj:
“Agenti ed esperti federali stanno cercando di rintracciare un geniale
«pirata elettronico» che da diversi giorni è riuscito ad immettersi in decine
269
Post/teca
di computer di una vasta rete nazionale di comunicazioni, la «Internet»
(…)”
E’ il 20 marzo 1990 ed è la prima volta che la parola internet compare sul
quotidiano La Stampa
Piste
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"Dove bruciano i libri, alla fine bruciano
anche le persone."
— Heinrich Heine (via easynameforanurl)
(via emmanuelnegro)
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”Siamo due sconosciuti?” dice lei.
”Siamo due sconosciuti che si riconoscono.” dice lui.
(Fonte: misswasabisauce, via lalumacahatrecorna)
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raelmozo:
Fondo pagina (1/1 – 15/1) « Magari Domani
Notizie, notiziole e notiziacce che potrebbero esservi sfuggite:
1 Gennaio 2011: Grande Raccordo Anulare, Roma. Il conducente di una Fiat
Seicento non agevola il sorpasso ad opera di una Ferrari, uno sgarbo che i
passeggeri del bolide non gradiscono, comincia un inseguimento che si
conclude col pestaggio del 32enne conducente della utilitaria. Un carabiniere
si accorge dell’aggressione e chiama i colleghi del 112. Arrestati i due della
Ferrari – che risulterà noleggiata – già noti alle forze dell’ordine, sull’auto
vengono rinvenuti oltre venti mila euro in contanti.
2 Genneaio 2011: Londra, scienziati annunciano il ritorno dei salmoni nel
Tamigi, intanto una misteriosa malattia stermina i numerosi cani della tenuta
reale di Sandringham, la regina Elisabetta chiede all’Animal Health Trust di
270
Post/teca
indagare.
4 Gennaio 2011: Un settantenne di Carrara ha denunciato l’Asl nella quale,
anni fa, gli è stato prescritto un farmaco anti-Parkinson, tale medicinale
avrebbe indotto l’uomo a una compulsione per il gioco d’azzardo portandolo a
sperperare i risparmi di una vita. Nell’attesa del processo la controparte
scarica la responsabilità alla casa farmaceutica.
5 Gennaio 2011: Ultima tendenza degli allevatori di cani di razza: la vendita a
rate dei cuccioli, con tanto di “garanzia” e diritto di recesso. Lo denuncia
l’Associazione Italiana Difesa Animali ed Ambiente (Aidaa).
Ristoratori veneti contro il governatore ed ex ministro dell’agricoltura Luca
Zaia, la colpa quella di essere un habitué di un ristorante cinese di Padova.
6 Gennaio 2011: Cola e patatine al posto dell’ostia durante la messa, questo lo
spot che la Pepsi e la Doritos avevano intenzione di mandare in onda durante
il Superbowl del 3 febbraio. Lo spot, intitolato “Nutri il tuo gregge” (la cui idea
nasce da un concorso sul web indetto dalle due ditte), ha suscitato la viva
protesta della comunità cattolica, che alla fine ne ha ottenuto il blocco.
7 Gennaio 2011: Della serie non è mai troppo tardi; una settantacinquenne di
Reggio Emilia ha prelevato con l’inganno un campione di saliva a un uomo di
cento anni ricoverato in un istituto, un uomo di sua conoscenza e su cui
nutriva un sospetto, quello che fosse il suo padre naturale. E il test del Dna le
ha dato ragione.
8 Gennaio 2011: Non solo donne e uomini nel mirino della follia e della
censura nazista, ma anche animali, come il cane Jackie, alias Hitler (nella
foto), a cui la padrone Josefine, esule tedesca in Finlandia, aveva insegnato ad
alzare la zampa ogni volta che veniva pronunciato il nome del fhurer, parodia
che il diretto interessato – o qualche zelante sottoposto – non doveva aver
mandato giù, visto che nel pieno della seconda guerra mondiale, Josefine e il
suo compagno Tor vennero convocati dall’ambasciata tedesca in Finlandia per
riferire del comportamento del loro meticcio. Racconta la vicenda lo storico
Klaus Hillenbrand sulle pagine del Die Tageszeitung.
9 Gennaio 2011: Rachel e Richard Strauss e la piccola Veronica, sono la
271
Post/teca
famiglia più ecologica del mondo; nel 2010 hanno prodotto un solo sacchetto
di spazzatura contenente qualche lametta usa e getta e qualche penna a biro
esaurita, tutto il resto lo hanno riciclato, riusato o addirittura regalato a chi ne
aveva bisogno – come alcuni vecchi mobili –, inoltre hanno installato pannelli
solari e una caldaia a legna per il riscaldamento della casa, ed è inutile dirlo,
fanno il compostaggio dei rifiuti organici da cui traggono fertilizzante per il
loro orto. La famiglia inglese a impatto zero è convinta che tutti potrebbero
farlo e sostengono che sia soprattutto un investimento economico.
10 Gennaio 2011: un 38enne romano si è presentato agli studi di Cinecittà
pretendendo di entrare nella casa del Grande Fratello in quanto nuovo
concorrente; addosso gli è stato trovato un coltello e un pugno di ferro.
11 Gennaio 2011: negli italiani non più giovanissimi è vivido il ricordo
dell’Uomo Tigre, il cartoon degli anni settanta (ma mandato in onda fino ai
novanta), e sembra non l’abbiano dimenticato nemmeno in madre patria, il
Giappone, in cui ultimamente molte azioni di beneficenza a favore di
orfanotrofi vengono firmate, appunto, dall’Uomo Tigre. Il primo episodio è
avvenuto il giorno di Natale, e da allora si sono ripetute donazioni anonime in
tutto il paese con le stesse modalità.
12 Gennaio 2011: il telescopio Hubble fotografa l’ “Oggetto di Hanny”, una
nube verde nei pressi della galassia Ic2947, il nome della nube è un omaggio
all’insegnante elementare Hanny Van Arkel che nel 2007 ha individuato per
la prima volta l’oggetto attraverso il progetto web “Galaxy zoo”. Alcuni
scienziati hanno definito l’Oggetto di Hanny come uno dei più curiosi
fotografati finora dal super telescopio Hubble.
14 Gennaio 2011: Bielorussia, un cacciatore colpisce una volpe, si avvicina
intenzionato a finirla, ma la volpe è ancora vitale, reagisce e con la zampa
sfiora il grilletto del fucile, parte un colpo che colpisce il cacciatore alla
gamba. Alla fine volpe libera e cacciatore in ospedale.
15 Gennaio 2011: uno studio svedese ha stabilito il maggiore contributo
nell’inquinamento degli uomini, specie se single, rispetto alle donne. Tale
differenza sarebbe dovuta alla maggiore propensione degli uomini ad
272
Post/teca
utilizzare mezzi privati e a mangiare carne (la carne implica un consumo
energetico superiore per la produzione rispetto alle verdure). In Norvegia e
Germania gli uomini sono più inquinanti delle donne solo del 6 e 8%, in
Svezia del 22% e in Grecia del 39%
--------------------
"A costo d’esser pedante, penso che finchè ci
saran mamme che si fan passare al telefono
l’uomo che sta possedendo la figlia messa a
carponi, per raccomandargli il futuro della
posseduta; nonne che sono orgogliose di
nipotine che si rifan le labbra alla bisogna;
nipotine che escon dalla Questura dopo sei
ore d’interrogatorio con il sorriso
soddisfatto ; ragazzine che evadono da
istituti di affidamento per affidarsi a una
discoteca del nord, ebbene: non ce la
potremo prender più di tanto con quello lì di
Arcore."
—
La questione femminile. « Anskijeghino’s Blog (via gianlucavisconti)
Bisognerebbe vedere come si e’ arrivati a tutto questo.
(via coqbaroque)
(via hardcorejudas)
--------------------
273
Post/teca
Eugenio Scalfari dixit:
emmanuelnegro:
ze-violet:
hollywoodparty:
ANZITUTTO l’aritmetica. A Mirafiori ha votato il 94 per cento dei dipendenti,
5.136, tra i quali 441 impiegati, capireparto e capisquadra. Le tute blu, cioè gli
operai veri e propri, erano dunque 4.660 in cifra tonda. I «sì» all’accordo
sono stati il 54 per cento e i «no» il 46 per cento. Al netto del voto
impiegatizio i «sì» hanno vinto per 9 voti, due dei quali contestati.
Marchionne aveva dichiarato che per andare avanti doveva avere almeno il 51
per cento. Con il voto dei colletti bianchi lo ha avuto, ma senza quel voto no:
ha avuto il 50 più nove voti (o sette), per arrivare al 51 gli mancano 41 voti.
Questa è l’aritmetica, che ovviamente non dice tutto ma dice già abbastanza.
Dice cioè che la situazione di Mirafiori che esce da questa votazione sarà assai
difficilmente governabile tenendo soprattutto presente che una parte notevole
dei «sì» ha votato di assai malavoglia e molti l’hanno esplicitamente
dichiarato. Ed ora una prima domanda alla quale, oltre che Marchionne,
dovrebbero rispondere i dirigenti Cisl, Uil e gli altri firmatari dell’accordo: è
possibile che in queste condizioni il 49,91 per cento degli operai di Mirafiori
sia privo di rappresentanza? Sulla base di un referendum del 1995 infatti –
ribadito nell’accordo Fiat-Cisl-Uil ed altri – la rappresentanza è riservata
soltanto ai sindacati che hanno firmato l’accordo, ma i loro delegati non
saranno eletti dai dipendenti, saranno «nominati » dai sindacati firmatari.
Avete capito bene? Nominati. Esattamente come avviene per i deputati
nominati dai partiti con la legge elettorale chiamata «porcellum», porcheria
dal suo autore, il leghista Calderoli, circondata ormai da una generale e
bipartisan disistima.
La «porcheria» della rappresentanza a Mirafiori che esclude anziché
includere, è in regola, lo ripeto, con quanto stabilito dalle intese sindacali
vigenti, ma è clamorosamente contraria al buonsenso e al ruolo di una
rappresentanza effettiva. Dequalifica metà dei dipendenti al ruolo di «anime
morte» reso celebre da Gogol e prassi costante nelle campagne della Russia
zarista fino alla rivoluzione del 1905. Si può adottare nella Fiat del 2011?
Ancora qualche numero. I lavoratori di Mirafiori iscritti alla Fiom sono
seicento; quelli non iscritti a nessun sindacato sono più di duemila.
274
Post/teca
Sommandoli insieme, i lavoratori che non avranno rappresentanza saranno a
dir poco 2.600 su un totale di cinquemila. Se ne deduce sulla base dei numeri
che la maggioranza largamente assoluta degli operai di Mirafiori non sarà
rappresentata. Bonanni e Angeletti ritengono che una situazione del genere
sia accettabile da veri sindacalisti, senza degradarli oggettivamente a
sindacalisti «gialli»?
su Repubblica di oggi oppure qui
oh, ecco. A parte il solito “e se ci arriva pure barbabianca di raepub…” tutto
tende a dimostrare che il rilancio non c’entra una mazza: volevano eliminare
la Fiom e di riflesso la contrattazione sindacale ovunque e non gli pare vero
che quella merda di marchionne gli faccia tutto il lavoro lercio. A spese nostre,
chiaro.
chiaro.
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I CABLE DI BABBO NATALE
gio 23 dicembre 2010
Tramesso dall'ambasciatore al Polo Nord. Assolutamente non confidenziale.
Elenco di cose per cui ringraziare Babbo Natale o chi per lui.
Ringrazio Babbo Natale perchè siamo ancora vivi, vegeti non so.
Ringrazio Babbo Natale perchè il 25 dicembre finisce la promozione dei libri di Bruno
Vespa.
Ringrazio Babbo Natale perchè c'ero nell'82 e per fortuna c'erano Pertini e Bearzot.
Ringrazio Babbo Natale perchè se Gasparri è ancora lì, allora c'è speranza per tutti.
Perchè se il PD prende ancora dei voti, c'è davvero speranza per tutti. Perchè se
Calderoli è ministro, beh no, allora non c'è rimasta nemmeno la speranza.
Ringrazio Babbo Natale perchè i miti erediteranno la terra, se nel frattempo
cominciano ad incazzarsi un po'.
Ringrazio Babbo Natale perchè se non c'era Wikileaks con cavolo che sapevo che
Berlusconi tirava tardi ai festini, faceva leggi ad personam e trafficava con Putin. Col
cavolo che lo sapevo.
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Post/teca
Ringrazio Babbo Natale perchè il mondo è un mezzo schifo, ma non è che poi su
Plutone si stia tanto meglio.
Ringrazio Babbo Natale perchè le centrali nucleari sono il futuro e sono sicure, come
del resto diceva quella pubblicità dell'Eternit.
Ringrazio Babbo Natale perchè il Papa non cambia idea sul preservativo. Prima c'è da
sistemare quella cosa del Sole che gira intorno alla Terra.
Ringrazio Babbo Natale perchè non sono stato miracolato all'Aquila e liberato in Iraq.
Ringrazio Babbo Natale perchè se D'Alema ancora parla, con gli Amatori posso perdere
tipo una quindicina di campionati da qui alla pensione.
Ringrazio Babbo Natale perchè le madonnine non piangono più, e in effetti non si
capisce perchè.
Ringrazio Babbo Natale perchè non vivo in un paese che mortifica ogni giorno la
scuola pubblica e ne approffitto per ricordare a Babbo Natale che mi sono trasferito in
Germania.
Ringrazio Babbo Natale per quel giorno che ho stretto la mano a Mario Monicelli,
perchè lui era lui e noi non eravamo un cazzo.
Ringrazio Babbo Natale perchè la risposta è comunque 42.
Perchè tortelli e vino non sono ancora fuorilegge. Perchè il tempo sistema le cose, o
mal che vada si crepa prima. Perchè sorridi ancora nelle foto in bianco e nero. Perchè
ci sono ancora cose per cui vale la pena.
Ringrazio infine Babbo Natale perchè, per fortuna, era la nipote di Mubarak. E non la
mia.
fonte: http://www.lorenzoc.net/index.php?itemid=1968
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"Oggi vorrei cambiare il mondo, ma non
trovo lo scontrino."
276
Post/teca
— Insopportabile - FriendFeed (via batchiara)
(via soggettismarriti)
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Il tredicesimo segno zodiacale
Si chiama Ofiuco, ma non viene preso in considerazione dagli astrologi che usano ancora
le mappe del cielo dei babilonesi
17 GENNAIO 2011
Ofiuco è una delle 88 costellazioni moderne, significa “colui che porta il serpente”,
viene spesso chiamata Serpentario e stando agli articoli pubblicati dai quotidiani
negli ultimi giorni rappresenta anche il tredicesimo segno zodiacale, ignorato dagli
astrologi accusati di non aver tenuto conto del moto di precessione della Terra, che
nel corso dei secoli ha cambiato il nostro modo di vedere la volta celeste.
L’esistenza dell’Ofiuco è naturalmente nota da tempo agli astronomi, ma
l’argomento è tornato in voga in seguito a un articolo pubblicato sullo Star Tribune,
un giornale del Minnesota, dove l’astrofisico Parke Kunkle ha ricordato che nel
corso dei millenni la Terra ha cambiato il proprio asse di rotazione a causa della sua
forma non perfettamente sferica e delle forze gravitazionali lunari.
Il moto di precessione, che impiega circa 25.800 anni per fare un giro completo
(immaginate il movimento di una trottola), fa sì che la posizione delle stelle sulla
sfera celeste cambi lentamente. Le stelle restano lassù dove sono, ma ci appaiono
collocate diversamente perché intanto la Terra si muove e cambia il proprio
orientamento. Gli astrologi non tengono conto di questo cambiamento e continuano
a usare mappe del cielo basate sui sistemi adottati circa duemila anni fa dai
babilonesi per misurare lo scorrere del tempo.
Ofiuco fa ormai parte delle costellazioni dello zodiaco, ma non ha dato il nome a un
segno astrologico. Il periodo della sua data astronomica va dal 30 novembre al 17
dicembre, ma non è invece contemplato nelle date astrologiche. Niente di così
grave, come ricorda il divulgatore scientifico Piero Bianucci sulla Stampa:
L’attrazione gravitazionale dei corpi celesti, unico modo con cui possono interagire
con noi, è trascurabile (fatta uguale a 1 la forza in media esercitata da Marte, quella
di Venere è 52, di Giove 5,8 di Saturno 0,2, mentre quella dell’ostetrica che segue il
parto vale duemila miliardi). Tutto bene, tutto vero. Ci sarà comunque sempre
qualcuno che ribatterà: eppure il mio oroscopo è quasi sempre giusto. L’argomento
277
Post/teca
da opporre è semplice: le previsioni sono così generiche che ci si stupirebbe del
contrario.
Hoard Chua-Eoan su Time racconta, invece, la storia del segno zodiacale che, se
comparisse nell’oroscopo, sarebbe rappresentato come un uomo nerboruto che
affronta una enorme anaconda. Diversi miti raccontano la vicenda del Serpentario.
Secondo gli antichi greci, la costellazione ricorda la storia di Asclepio, figlio della
mortale Arsinoe e del dio Apollo. I due concepirono insieme un figlio, ma Arsinoe
decise di sposarsi con un altro uomo, facendo adirare Apollo. Artemide, la sorella
del dio greco, uccise Arsinoe per vendicare il fratello, mentre ad Aclepio fu
risparmiata la vita.
Il ragazzino fu accudito e cresciuto dal centauro Chirone. Aclepio divenne molto
abile nel curare le malattie e nel ridare giovinezza alle persone. Il serpente, simbolo
di rigenerazione perché cambia la propria pelle tornando “giovane” fu associato alla
figura di Aclepio, facendo adirare gli dei che non gradivano ci potesse essere un
mortale in grado di dare la giovinezza ai propri simili. Zeus uccise Aclepio con un
fulmine, ma Apollo decise di riportalo in vita rendendolo il dio della medicina. Il
ragazzo diventato dio è quindi ora nella costellazione del Serpentario.
Un altro mito ha una magnifica opera d’arte associata alla sua storia: il Laocoonte,
la scultura che si trova a Roma scolpita da Michelangelo. Si trova nei Musei Vaticani
e mostra il veggente e sacerdote troiano Laocoonte con i propri due figli attaccato da
un serpente. E perché Laocoonte fu punito? Perché aveva sconsigliato ai cittadini di
Troia di accogliere entro le mura il cavallo di legno. La dea Atena inviò alcuni
giganteschi serpenti per uccidere lui e i suoi figli. I troiani interpretarono la
punizione come un segno e abbandonarono le ultime esitazioni facendo entrare il
cavallo entro le mura.
L’elemento comune ai due miti è quello del serpente, ripreso nelle raffigurazioni
della costellazione di Ofiuco. Per Chua-Eoan c’è però una terza storia che potrebbe
avere a che fare con la costellazione che latita dai nostri oroscopi.
Tiresia era considerato l’uomo più intelligente della terra e fu portato al cospetto
degli dei per risolvere un contenzioso tra Zeus e la sua sposa Era. Zeus insisteva nel
sostenere che il sesso piaceva più alle donne che agli uomini; Era invece sosteneva il
contrario. L’unico a poter conoscere la risposta era Tiresia. Perché? Una volta
mentre stava camminando nella foresta, si imbatté in due enormi serpenti che si
stavano accoppiando. Incuriosito e per nulla spaventato all’idea di disturbare i due
simboli della saggezza attirò la loro attenzione. Tiresia fu punito e venne
278
Post/teca
trasformato in una donna. Molti anni dopo, passeggiando nello stesso bosco,
incontrò nuovamente i due serpenti che si stavano accoppiando. Attirò nuovamente
la loro attenzione e così fu trasformato in un uomo.
Visto che Tiresia aveva vissuto sia come uomo che come donna era il giudice
ideale per risolvere la disputa tra Zeus ed Era. Alla domanda su chi fosse più
interessato al sesso, Tiresia indicò le donne senza alcuna esitazione. Era non la
prese benissimo e lo rese cieco.
La costellazione viene tradizionalmente associata al primo mito, quello di Aclepio,
ma la storia di Tiresia – concludono su Time – è forse la più moderna e attuale da
associare a Ofiuco. La sua esistenza, nota da tempo, non perturba comunque
l’astrologia e gli oroscopi, che erano e restano fregnacce.
fonte: http://www.ilpost.it/2011/01/17/ofiuco-oroscopo/
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“Sette semplici regole per vivere alla macchia:
1. mai fidarsi di uno sbirro con l’impermeabile;
2. attenzione all’amore e all’entusiasmo, sono temporanei e facili a fluttuare;
3. quando ti chiedono se ti importa dei problemi del mondo guarda
profondamente negli occhi chi te lo chiede: non te lo chiederà di nuovo;
4. e 5. E se ti viene detto di guardare te stesso… non guardare mai;
6. mai fare o dire qualcosa che la persona davanti a te non può capire;
7. mai creare niente verrà male interpretato ti incatenerà e ti seguirà per tutta
la vita.”
—
I’m not there (via
attraversoilvuoto)
via: http://falcemartello.tumblr.com/
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Uomini, donne e bambini: ecco perché vi sterminiamo
di Flore Murard-Yovanovitch
Perché un’immane strage di 300.000 civili, come quella causata dalle
279
Post/teca
bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki in un Giappone che aveva già
deciso di arrendersi, non è comunemente considerata un «genocidio»? E
il Presidente Truman non visto come assassino di massa al pari di Hitler,
Stalin, Mao o Pol Pot?
È con questa domanda provocatoria che Daniel J. Goldhagen, storico di
fama mondiale e già autore del controverso bestseller I volenterosi
carnefici di Hitler (1996), apre uno dei più esaustivi e potenti saggi sugli
eccidi di massa del 20° secolo: Peggio della guerra. Lo sterminio di
massa nella storia dell’umanità. Gli stermini di massa avrebbero causato
approssimativamente tra i 127 e i 175 milioni di vittime (se si tiene conto
anche delle carestie organizzate): più dei caduti delle due guerre
mondiali. Tanto per cominciare.
ESSERI UMANI CONTRO Così arriva subito la domanda di tutti i tempi:
perché degli esseri umani scelgono di eliminare altri esseri umani,
compresi donne e bambini? Lo storico americano si addentra negli
agghiaccianti meccanismi degli eccidi di armeni, curdi, maumau, maya,
bosniaci musulmani e di tutti coloro che Stalin, Mao o gli Khmer rossi
hanno considerato dissidenti... E svela le numerose tecniche, oltre alla
«soluzione finale», per eliminare, anche a lungo termine, altri gruppi con
conversioni forzate, marce della morte, campi e Gulag, purghe,
sterilizzazioni e stupri di massa....
Se l’Olocausto è stato il genocidio per antonomasia - per l’entità
dell’annientamento totale degli ebrei e senza precedenti nella Storia Goldhagen ritiene che stragi di massa di minore portata hanno avuto
meccanismi non molto diversi. Prendendo in contropiede la storiografia
ufficiale, lo studioso vede nell’«eliminazionismo» una costante buia della
Storia.
BASTANO I MACHETE E non è la «modernità» (tecnologia, burocrazia e
camere a gas), come diffusamente ritenuto, ad aver permesso ciascun
genocidio: «Stentavamo a capire che bastavano machete», come
confessa l’ex-segretario dell’ONU Boutros-Ghali nel caso del mancato
riconoscimento del colossale eccidio di massa ruandese. Né pseudo
cause socio-strutturali, come dimostra il caso del Sudafrica, dove anni di
280
Post/teca
Apartheid non sfociarono, all’ascesa dei «neri» al potere, in un attacco
contro i «bianchi», bensì nella strada della riconciliazione. Né tantomeno
una presunta natura umana «barbarica», che si presumerebbe annidata
in tutti noi e che farebbe di tutti noi potenziali massacratori.
Goldhagen dimostra invece che l’avvio di un genocidio è sempre una
«strategia» politica per la redistribuzione del potere, un «programma di
morte» pianificato a tavolino. Ben lontano dall'essere sfogo o esplosione
di follia improvvisa, è una scelta consapevole: «razionale».
CALCOLO RAZIONALE Questa nuova e radicale lettura dello sterminio
come «calcolo politico lucido» è uno degli aspetti più interessanti di
questo saggio che, dati alla mano, confuta e spazza via false quanto
radicate idee comuni sula presunta «irrazionalità» delle aggressioni
sterminazioniste.
A giocare un ruolo scatenante fondamentale sono infatti le visioni dei
carnefici circa una presunta «nocività» delle potenziali vittime: in primis
l’ideologia malata che fa dell’altro un morbo da «sradicare» per tornare a
una presunta «purezza» (Dio, il Volk o la Nazione, ecc). I veri strumenti
preparatori: i discorsi che fanno dei nemici «demoni», «sottouomini»,
«ratti», «serpenti», «babbuini»,«bacilli infetti» (o «pecore nere», come
nel recente referendum svizzero anti-stranieri, ndA.). È il processo di
«disumanizzazione» dell’altro che porta a trucidarlo: in uno dei capitoli
più drammatici del libro, ex-genocidari hutu confessano che non
consideravano i tutsi «esseri umani ma scarafaggi»...
TESTIMONIANZE DIRETTE I pregi di questo libro sono immensi: dalle
testimonianze dirette raccolte sul campo al rigore delle fonti
storiografiche; riporta alla luce stermini dimenticati, come quello del
popolo herero dell’Africa sudoccidentale a opera dei coloni tedeschi o dei
kikuyu dai britannici, e tanti altri per mano di coloni francesi, belgi, ecc.
Senza tralasciare il razzismo che ancora oggi permea la storia «minore»
dei popoli «non-bianchi». Domanda dopo domanda, Goldhagen ci porta
con genialità, in una indagine che si legge senza fiato, alla radice stessa
dello sterminio. E lancia un appello affinché la comunità internazionale si
doti di conoscenza, capacità di anticipazione e reale volontà politica per
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Post/teca
fermare in tempo stragi in corso o latenti, che esploderanno negli anni a
venire. Questo libro dovrebbe diventare un manuale per giovani e
dirigenti politici, in un’Europa dove fanno la loro riapparizione discorsi
xenofobi anti-migranti, espulsioni e deportazioni, che sono e sono
sempre stati all'origine di una «cultura» eliminazionista.
8 gennaio 2011
fonte: http://www.unita.it/culture/uomini-donne-br-e-bambini-br-ecco-perche-br-vi-sterminiamo1.264774
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Punto e a capo.
hangthedjhangthedjhangthedj:
Le virgole sono delicate, accarezzano i discorsi, li accompagnano facendoli
crescere. Costruiscono. Mi piacciono.
(Le parentesi no)
Mi piace il coraggio dei punti esclamativi. Che sanno prendere posizione,
come spade, tra le parole. Che sorprendono o feriscono, mai annoiano. Che
sono stati emotivi, prima di tutto. L’urgenza che esprimono. Il loro essere
suono di per sé. Questo mi piace.
(Le parentesi no)
Mi piacciono i punti interrogativi, quando le domande sono ben poste.
Quando le domande sono bisogni e i bisogni desideri. D’affetto, soprattutto.
(Le parentesi no)
Adoro i punti di sospensione. Che sono tre, non due né quattro. Lo spazio
esatto del non detto. Qui i pensieri contano i passi che li separano dalle
parole, in silenzio. Un silenzio che è timidezza o paura, mai arroganza. E’
un silenzio gentile, che non ferisce. Mi piace.
(Le parentesi no)
I punti fermi mi piacciono, sono forti e drammatici. Forse un po’ tristi, come
ogni fine. Se non esistesse il punto e a capo sicuramente mi piacerebbero
di meno. Se non avessi la possibilità di ricominciare. Ogni volta. A lettere
maiuscole.
Le parentesi no. Le parentesi sono sleali. E vigliacche. Come quando
proteggono frasi che non corrono il rischio di essere dette. Come quando
282
Post/teca
hanno la forma di abbracci al buio. Ché tanto, siamo tutti capaci di
abbracciare.
Di notte.
fonte: http://hangthedjhangthedjhangthedj.tumblr.com/post/2580482158/diabbraccieparentesi
via: http://curiositasmundi.tumblr.com/
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"Papa Woytila sarà beatificato. Famoso il
miracolo del balcone, dove comparve accanto
a uno che di mestiere faceva scomparire la
gente"
— La Palestra 15 gennaio 2011 | Daniele Luttazzi News (via scarligamerluss).
(via gravitazero)
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L'onore di Cipputi
Rossana Rossanda
Hanno votato tutti i salariati, a Mirafiori, sull'accordo proposto dall'amministratore delegato
Marchionne. Tutti, una percentuale che nessuna elezione politica si sogna. E sono stati soltanto il
54% i sì e il 46% i no, un rifiuto ancora più massiccio di quello di Pomigliano. Quasi un lavoratore
su due ha respinto quell'accordo capestro, calato dall'alto con prepotenza, ed esige una trattativa
vera.
Per capire il rischio e la sfida di chi ha detto no, bisogna sapere a che razza di ricatto - questa è la
parola esatta - si costringevano i lavoratori: o approvare la volontà di Marchionne al buio, perché
non esiste un piano industriale, non si sa se ci siano i soldi, vanno buttati a mare tutti i diritti
precedenti e al confino il solo sindacato che si è permesso di non firmare, la Fiom, o ci si mette
contro un padrone che, dichiarando la novità ed extraterritorialità di diritto della joint venture
Chrysler Fiat, si considera sciolto da tutte le regole e pronto ad andare a qualsiasi rappresaglia.
L'operaia che è andata a dire a Landini «io devo votare sì, perché ho due bambini e un mutuo in
corso, ma voi della Fiom per favore andate avanti» dà il quadro esatto della libertà del salariato. E
davanti a quale Golem si è levato chi ha detto no. Tanto più nell'epoca che Marchionne,
identificandosi con il figlio di Dio, ha definito «dopo Cristo», la sua.
Si vedrà che farà adesso, con la metà dei dipendenti che gli ha fatto quel che in Francia chiamano le
bras d'honneur e la sottoscritta non sa come si dica in Italia, ma sa come si fa; perché alla
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Post/teca
provocazione c'è un limite, o almeno c'era. Nulla ci garantisce, né ci garantirebbe anche se avesse
votato «sì» l'80 per cento delle maestranze, che Marchionne sia interessato a tenere la Fiat, a farla
produrre quattro volte quanto produce ora, a presentare quali modelli e se li venderà in un mercato
europeo stagnante, nel quale la Fiat stagna più degli altri. Se avesse intelligenza industriale, o
soltanto buon senso, riaprirebbe un tavolo di discussione, scoprirebbe le sue carte, affronterebbe il
da farsi con chi lo dovrà fare. Questo gli hanno mandato a dire i lavoratori di Pomigliano e quelli di
Mirafiori.
Da soli, solo loro. Perché la famiglia Agnelli, già così amata dalla capitale sabauda da aver pianto in
un corteo interminabile sulle spoglie dell'ultimo della dinastia che aveva qualche interesse
produttivo, l'avvocato, non ha fatto parola. In questo frangente si è data forse dispersa, non si vede,
non si sente, pensa alla finanza.
Né ha fatto parola il governo del nostro scassato paese, che pure, quale che ne fosse il colore, ha
innaffiato la Fiat di miliardi, ma si lascia soffiare l'ultimo gioiello in nome della vera modernità, che
consiste nel sapere che non si tratta di difendere né un proprio patrimonio produttivo, né i propri
lavoratori - quando mai, sarebbe protezionismo, da lasciare soltanto agli Usa, alla Francia e alla
Germania che si prestano a raccogliere le ossa dell'ex Europa. A noi sta soltanto competere con i
salari dell'Europa dell'Est, dell'India e possibilmente della pericolosa Cina.
Tutti i soloni della stampa italiana hanno perciò felicitato Marchionne che, sia pur ingloriosamente
e sul filo di lana, è passato.
La sinistra poi è stata incomparabile. Quella politica e le confederazioni sindacali. Aveva dalla sua
parte storica, che è poi la sua sola ragione di esistere, una Costituzione che difende come poche i
diritti sociali in regime capitalista. Gli imponeva - gli impone - quel che chiamano il modello
renano, un compromesso non a mani basse, keynesiano, fra capitale e società, che garantisce in
termini ineludibili la libertà sindacale. Fin troppo se le confederazioni sono riuscite fra loro,
attraverso qualche articolo da azzeccagarbugli dello statuto dei lavoratori, a impegolarsi in accordi
mirati a far fuori i disturbatori, tipo i fatali Cobas, per cui oggi nessuno osa attaccarsi all'articolo
39, che - ripeto - più chiaro non potrebbe essere. La Cgil ha strillato un po' ma avrebbe preferito
che la Fiom mettesse una «firma tecnica» a quel capolavoro suicida. Quanto ai partiti non c'è che
da piangere. D'Alema, che sarebbe dotato di lumi, Fassino, Chiamparino, Ichino, il Pd tutto hanno
dichiarato che se fossero stati loro al posto degli operai Fiat - situazione dalla quale sono ben
lontani - avrebbero votato sì senza batter ciglio. Diamine, non c'erano intanto 3.500 euro da
prendere? Ma che vuole la Fiom, per la quale è stato coniato lo squisito ossimoro di estremisti
conservatori?
Molto basso è l'onore d'Italia, scriveva un certo Slataper. Da ieri lo è un po' meno. Salutiamo con
rispetto, noi che non riusciamo a fare granché, quel 46% di Cipputi che a Torino, dopo Pomigliano,
permette di dire che non proprio tutto il paese è nella merda.
fonte: http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2011/mese/01/articolo/4005/
via: http://articoliscelti.blogspot.com/
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Tanti auguri..
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Post/teca
Tanti auguri ai fabbricanti di regali pagani! Tanti auguri ai
carismatici industriali che producono strenne tutte uguali!
Tanti auguri a chi morirà di rabbia negli ingorghi del traffico e magari
cristianamente insulterà o accoltellerà chi abbia osato sorpassarlo o
abbia osato dare una botta sul didietro della sua santa Seicento!
Tanti auguri a chi crederà sul serio che l’orgasmo che l’agiterà - l’ansia
di essere presente, di non mancare al rito, di non essere pari al suo
dovere di consumatore - sia segno di festa e di gioia!
Gli auguri veri voglio farli a quelli che sono in carcere, qualunque cosa
abbiano fatto (eccettuati i soliti fascisti, quei pochi che ci sono); è vero
che ci sono in libertà tanti disgraziati cioè tanti che hanno bisogno di
auguri veri tutto l’anno (tutti noi, in fondo, perché siamo proprio delle
povere creature brancolanti, con tutta la nostra sicurezza e il nostro
sorriso presuntuoso).
Ma scelgo i carcerati per ragioni polemiche, oltre che per una certa
simpatia naturale dovuta al fatto che, sapendolo o non sapendolo,
volendolo o non volendolo, essi restano gli unici veri contestatori della
società. Sono tutti appartenenti alla classe dominata, e i loro giudici
sono tutti appartenenti alla classe dominante
Pier Paolo Pasolini
(da Saggi sulla politica e sulla società, a cura di Walter Siti e Silvia De
Laude, Mondadori, Milano 1999)
via: http://miciomannaro.tumblr.com/post/2444511151/tanti-auguri
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Ho studiato moltissimi filosofi e moltissimi
gatti. La saggezza felina è infinitamente
superiore.
Hippolyte Taine
via: http://bastet.tumblr.com/
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giovedì 13 gennaio 2011
Il trucco del popolo
Mi succede da quando ero ragazzino che la gente mi attribuisca appartenenze di classe, ideologie,
atteggiamenti nei quali non mi riconosco. Capita a tutti nella vita. Come si è e come gli altri ci
vedono sono due concetti diversi come occhio destro e occhio sinistro: permettono di osservare le
cose da prospettive leggermente diverse, e questo ci dà una terza dimensione che altrimenti
perderemmo. È un equilibrio delicato: un lieve strabismo di Venere è interessante, dà
indipendenza, aiuta l’anticonformismo; se si procede con la divergenza, si diventa tendenzialmente
sociopatici. Tocca stare attenti, insomma.
A me però — l’ho già detto, lo so, ’spettate un secondo, questa e un’introduzione — capita che
degli sconosciuti mi diano dell’intellettuale nella torre d’avorio, dell’altezzoso miliardario, del
comunista borghese, del fighetta. E va be’, cazzi loro. Come dicevo poi uno si fa delle domande,
chiede a chi lo conosce, capisce se c’è dal vero o no. A me ormai non fa più effetto, se non nel
darmi modo di qualificare il parlante come un pirla. Detto questo, il fenomeno, l’artificio retorico,
insomma il trucco ormai mi affascina. È un classico molto diffuso ovunque del mondo, e ha
implicazioni molteplici. Ho deciso di rifletterci e scriverci della roba. Ci sono poi le espressioni
“fighetta”, “snob” e “radical chic” che vanno sgrovigliate, perché soffrono di un diffusissimo uso
spensierato. Insomma cercherò di farla breve, ma non lo so mica se ce la faccio.
***
Cominciamo col dire di chi accusa gli altri di essere quella cosa lì. In questo tipo di formulazione è
irrilevante se si usi un termine o l’altro: vengono percepiti come sinonimi. La ragione è semplice, e
sta nel fatto che l’effetto non è veramente diretto al destinatario dell’attribuzione, ma a chi la
estende e a chi ascolta. Poi spiego anche le parole una per una, ma per ora limitiamoci alla
situazione e al meccanismo. Perché io sostengo che non sia la sostanza dall’accusa a funzionare,
ma la dinamica. Non conta se si sia effettivamente una cosa, l’altra o l’altra ancora. Conta solo
avere l’occasione di dirlo davanti a qualcuno.
Immaginiamo che ci sia una platea che ascolta due persone discutere di qualsiasi argomento. Se
non siamo al golf club o in una discarica di Calcutta, è facile che la platea sia socialmente
eterogenea. Senza stare ad aprire una parentesi che non sarei in grado di affrontare sulla
questione delle classi sociali e del loro mutamento in questi decenni, è indubbio che in una platea
ci si senta molto più popolo che a casa propria, anche se non lo si è. È normale, siamo animali
sociali, siamo in una certa misura gregari per DNA, o forse siamo anche solo furbi. È l’effetto che si
sperimenta al concertone, allo stadio, nelle situazioni in cui si condivide con un sacco di gente un
contesto, un interesse, una passione, lacrime e sudore, e si è massa, appunto, popolo. In qualsiasi
platea, anche se in misura inferiore, si verifica lo stesso fenomeno. Ma se anche così non è, se la
platea è larga, è facile che un furbo voglia accaparrarsi il popolo e lasciare all’avversario l’élite, che
è meno consistente in termini numerici e, in una situazione di gruppo, paga lo scotto del volersi
distinguere. L’élite nelle masse scompare, si mimetizza. In un paese cristiano cattolico come Italia,
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Post/teca
aggiungerei il concetto per cui morto di fame is cool, the boss was on a cross.
Ripeto e ribadisco: è un trucchetto, non c’è niente di sostanziale, ma fa leva su ingranaggi
talmente oliati da essere molto difficili da fermare o anche solo svelare. Se a un certo punto della
discussione qualcuno difende una posizione che può sembrare meno ovvia, meno comune di
un’altra, il suo antagonista può giocare il jolly e dirgli che è uno snob, un radical chic, un fighetta.
Non importa se lui stesso non conosca il significato delle parole che usa; non importa se le parole
siano appropriate rispetto alla persona; non importa che questa eventuale categorizzazione sia
effettivamente rilevante per la discussione. Il fatto è che in quel momento si avvia il meccanismo,
it’s a kind of magic, si crea immediatamente un effetto irresistibile: chi parla diventa come chi
ascolta, e chi ascolta è popolo; l’altro è un diverso, un nemico di classe, un antagonista comune. È
un trucco che dà identità a chi si scaglia e al pubblico, accomunandoli tra loro mentre li definisce.
L’altro, il damerino, fa solo da sponda; a questo punto potrebbe anche sparire, mentre scrosciano
gli applausi. Perché se non è bravissimo, ormai c’è troppa trippa per gatti, e io gatti non si faranno
convincere facilmente a levarsi di torno. C’è il valore del gesto apparentemente rivoluzionario — «Il
re è gauche caviar!» — che mette tutti d’accordo, coi pugni alzati contro il niente, ma avvinti persi
dal momento masaniello (è aggettivo, va minuscolo, tiè). C’è la percezione della propria semplicità,
la propria purezza popolare, la propria umanità: il gusto pieno della vita che esplode in bocca.
È chiaro che chi appartiene davvero a una classe sociale — posto che le cosiddette, e fatto salvo
che le medesime, ma senza perdere di vista la misura in cui — difficilmente lo sbandiera. Capita
che lo dichiari, ma di rado, e senza tante menate. Io sono figlio di un medico e di una casalinga, un
altro è figlio di operai, un altro dei baroni von Minkiowitz. Chissenefrega. Mica tocca ripeterlo. Chi
lo ribadisce ossessivamente deve remare contro l’evidenza, oppure lo fa perché usa il trucco del
popolo, oppure entrambe le cose. È il caso di Sarah Palin, di tutta la retorica del Tea Party, così
come di molta nostra destra populista. Daniela Santanché è una di quelle che più spesso
sguainano la propria natura popolare, vicina alla pancia della gente, mica come bla bla. Il punto,
avrete capito, è tutto nel mica come: io sono come voi, sono diverso da lui che [X]. Che poi
l’essere dalla parte della gente di Daniela Santanché sia quanto di meno realistico al mondo non
ha importanza, non conta. Conta il meccanismo. Conta che chi ascolta si senta benissimo, un
neonato innocente, una vergine beata al cospetto della società, con sodali e nemici ben chiari,
delineati come in un libro per bambini molto piccoli, di quelli col mostro cattivo cattivo tutto nero,
che non ci si sbaglia più.
Cominciamo con l’analisi dei termini che vengono utilizzati per descrivere degli interlocutori di cui,
a quanto pare, dispiace la natura più delle posizioni. Natura apparente, inesistente, fuffa, come
dicevo.
Radical chic. Un’espressione talmente rotonda che gira in bocca come una ciliegia al maraschino,
chiude come lo sputo del nocciolo, tra francese e inglese, scherzo e fucilata. Non serve la
conoscenza della lingua; basta il suono per avere un’idea di perculo gustoso. Serve invece un po’
di conoscenza della lingua per capire a chi sia effettivamente indirizzato lo sberleffo, come
funzioni, da dove venga qualcosa di così preciso e irresistibile.
Il dizionario Oxford dice così:
radical chic
noun
the fashionable affectation of radical left-wing views : [as adj. ] completely immersedhimself in the
subculture of radical chic liberals.• the dress, lifestyle, or people associated with this.
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Post/teca
ORIGIN 1970: coined by U.S. writer Tom Wolfe.
Vi chiedo per prima cosa di soffermarvi sulla seconda riga.
noun
Radical chic è un sostantivo. Non è un aggettivo. Certo, si può usare come aggettivo, soprattutto
visto che in inglese quella funzione è, come dire, automatica, ma insomma non è come stronzo.
Stronzo è un sostantivo, ma si usa come aggettivo, tanto che uno può essere “stronzo” o “uno
stronzo”. Radical chic no. In inglese non si può essere “a radical chic”. Perché? Perché chic in
questo caso è sostantivo, e sta per sciccheria, eleganza, raffinatezza, ovvero un concetto astratto.
A esso si aggiunge un aggettivo, radical, che sta per radicale. Starebbe per radicale, anzi, ma a
causa di Pannella e Bonino (sempre in mezzo ai maroni) la parola non si può usare in quel senso.
Inutile fare finta che non sia così. E allora tocca scartarlo. Tocca dire rivoluzionario, più che
estremista. L’espressione è molto difficile da tradurre, comunque. Ci si prova con una serie di
espressioni alternative plausibili, e libere anzichenò. Sciccheria della rivoluzione. Sciccheria
rivoluzionaria. Mondanità della rivoluzione. Rivoluzione in frac. Rivoluzione in lungo. Rivoluzione in
smoking. Gran galà della rivoluzione. Gran ballo delle molotov.
Se si traduce radical chic con espressioni come “rivoluzionari da salotto”, “compagni in smoking”
eccetera, si sbaglia. Perché? Perché il sostantivo in inglese va dopo l’attributo. Quindi,
esattamente come “passive aggressive” si traduce “aggressivo passivo”, e non “passivo
aggressivo”, come sento dire spesso — «Sì, prendimi da dietro, testa di cazzo, che poi ti spacco
la faccia!» — con un certo gusto, nello stesso modo radical chic non è un radical che è chic, è
elegante, caspita, col cashmere e le scarpe di cavallino, ah però, il signorino, non si fa mancare
niente. No, cari amici. È eleganza, esclusività, sciccheria legata estremismo, alla rivoluzione, alle
molotov eccetera. Vedete un po’ voi quanto tirare di qua o di là. Ma non invertite l’ordine degli
addendi perché, non ci crederete, il risultato cambia.
Torniamo all’Oxford Dictionary.
the fashionable affectation of radical left-wing views
l’affettazione mondana di posizioni di estrema sinistra
O qualcosa del genere.
Ora andiamo in fondo.
ORIGIN 1970: coined by U.S. writer Tom Wolfe.
Sua enormità Tom Wolfe nel 1970 scrive un articolo per il New York Magazine, intitolato Radical
Chic. Racconta di una festa organizzata da Leonard Bernstein per raccogliere fondi per le Pantere
Nere. In particolare, racconta l’eccitazione palpabile nella New York ricca, elegante e impegnata
derivante dalla presenza di rivoluzionari in carne e ossa alle feste. In certi giri, avere fisicamente
un rivoluzionario in salotto era fonte di un gasamento sommo. Descrive il corto circuito tra queste
persone del mondo dei ricchi e dei colti, artisti osannati in girocollo eccetera, e l’ammirazione per le
cattive e fighissime Pantere Nere; la portabilità di certe idee quando non si rischia niente; la facilità
con cui le classi sociali potessero in alcuni casi fare ammuina, scambiarsi di posto, trovare assurdi
vasi comunicanti per i propri scopri reciproci: sostegno economico e culturale da una parte, allure
violenta, autentica, popolare e democratica dall’altra.
Di questo parla Tom Wolfe. A questo si riferisce l’espressione. (Il libro è stato pubblicato in Italia da
Castelvecchi prima, poi altrove non so.)
Ora. Le espressioni strascinate come le cime di rapa sono tipiche di chi fa il furbo o scrive molto
male. Quindi radical chic va detto a chi è straricco, mondano, e abbraccia idee rivoluzionarie di
estrema sinistra dal salotto di casa. Se si piega il concetto verso il centro, si arriva a stabilire una
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Post/teca
serie di concetti assurdi, senza un che di logico o sostanziale, che finiscono coll’essere solo molto
reazionari, oltre che fuori bersaglio: chi è rivoluzionario deve essere uno straccione per forza;
chiunque abbia i soldi è partecipe della mondanità; chi ha i soldi deve essere di destra per
coerenza; qualunque pensiero di sinistra è estremista e rivoluzionario. Tutto questo, come è
evidente a tutti, è falso. È pieno di gente a sinistra che non ha nessuna idea da estremista o
rivoluzionario, e ce ne sono anche che si rigirano nel conservatorismo più polveroso. Ci sono ricchi
che non fanno alcuna vita mondana. Ci sono mondani poi non così ricchi. Ci sono mondani destri,
sinistri, senza schieramento. Insomma, basta così.
Chi subisce il fascino del radical chic (ripeto che è un concetto, non una persona), finge un afflato
nei confronti di una classe sociale molto inferiore alla propria. Si finge in una certa misura
proletario. Eppure l’espressione viene vissuto da tutti come elemento imprescindibile di un’ambata
vincente, quasi sinonimo del suo compare, un termine che però risulta essere il suo contrario:
snob.
fonte: http://www.freddynietzsche.com/2011/01/14/il-trucco-del-popolo-%E2%80%94-2-radicalchic/#more-8922
http://www.freddynietzsche.com/2011/01/13/il-trucco-del-popolo/
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Dalla narrativa alla
cronaca nera, la nuova
età dei Fumetti
«Più colore»: quante volte i giornalisti si sentono ripetere questa frase dal proprio caposervizio. Il pezzo è accurato, ci sono i fatti, le
fonti hanno confermato. Eppure: «Mancano le immagini», «non vedo i personaggi». Un bel reportage, un’inchiesta solida, ma fredda.
Alla fine ce l’ha vinta il capo, ma il cronista conserva il diritto di mugugnare, e pensare: «Ci manca solo che mi chieda di disegnare».
Bene; se lo facesse, farebbe quello che fanno autori come Joe Sacco, Ted Rall, o Igort: giornalisti, sì, chi più chi meno, ma prima di tutto
fumettisti. Protagonisti di quello che è stato battezzatocomic journalism, l’ultimo ircocervo editoriale di genere che si sta facendo spazio
nel panorama del fumetto; o, meglio, della graphic novel.
Nato come reazione degli autori underground anni Settanta alle gabbie standard degli albi, è il fumetto nella sua piena evoluzione, che
diventa romanzo, e che da Will Eisner in poi si riscatta da decenni di occhiate snob di chi pensava di segregarlo nel retrobottega della
cultura di serie B, definita con sprezzo "pop". In Italia l’ondata è inarrestabile e, di fatto, la graphic novel ha sdoganato il fumetto per
platee di lettori più ampie, perché ne ha frenato la serialità, insita neicomics, ha allungato le storie, divenute auto-conclusive, e ha dato
spessore ai personaggi. Il volume è lievitato, e il formato è diventato simile ai libri. Il passaggio ricorda quello dal poema al romanzo.
E una volta incassato il riconoscimento, la graphic novel ha cominciato a figliare. Generi e sottogeneri. Non solo fantasy e supereroi, ma
vita reale, storia e cronaca. La stessa fame di realtà che oggi fa vendere i libri-inchiesta dei giornalisti, e che infine ha contaminato il
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Post/teca
comic journalism, il giornalismo a fumetti. Tendenza che ha radici antiche ma cittadinanza da un ventennio, da quando cioè sulla scena
si è presentato un giovane maltese naturalizzato americano, Joe Sacco, che con Palestina ha trasformato il suo taccuino in uno
storyboard, i suoi schizzi in un documentario di grande efficacia. Sacco è prima di tutto un reporter, di formazione – laureato in
giornalismo all’Università dell’Oregon – e per sensibilità, metodo, occhio. Racconta quello che ha visto, nei luoghi in cui i fatti si
verificano.
Per mesi ha vissuto nei Territori occupati, dove è tornato per la sua ultima graphic novel, Gaza 1956 (Mondadori), sulla strage dei civili a
Khan Yunis, durante la guerra tra Egitto e Israele. Sacco ha raccolto le testimonianze dai sopravvissuti e verificato i documenti. Ma la
sua è anche una ricostruzione viva, capace di restituire al lettore il contesto, l’ambiente, le facce, come un grande reportage. «A partire
dai libri di Sacco passando per l’attentato alle Torri gemelle raccontato da Art Spiegelman, gli autori di fumetti hanno dimostrato come le
graphic novel siano perfette per fare giornalismo di inchiesta», spiega Luca Crovi, conduttore di Tutti i colori del giallo, redattore alla
Sergio Bonelli, sceneggiatore e colui che ha inciso la definizione di graphic novel sulla Garzantina: «L’unione fra testi e disegni permette
un linguaggio diretto, semplice, che non può prescindere da una ricca documentazione.
Condensa in poche istantanee gli eventi e lascia aperti certi interrogativi drammatici». Quindici anni fa Sacco è volato nella Bosnia
devastata dalla pulizia etnica: Gorazde e Neven (The Fixer) sono altri due capisaldi del giornalismo disegnato che sono valsi all’autore il
titolo di pioniere del genere. Come ha ammesso Igort, al secolo Igor Tuveri, Sacco è stato fonte d’ispirazione anche per il suo Quaderni
ucraini (Mondadori), la prima parte di un dittico dedicato ai Paesi dell’ex Unione Sovietica. Tra i maggiori cartoonist italiani e fondatore
della Coconino Press, un faro nell’editoria dellagraphic novel, anche Igort ha vissuto per due anni in Ucraina, viaggiando fino in Siberia
e collezionando un materiale umano e storico sterminato (per il prossimo Quaderni russi e siberiani).
Era partito sulle orme di Cechov, e si è ritrovato davanti alla memoria di un popolo cementificata su uno degli olocausti dimenticati dello
stalinismo: l’Holodomor, il genocidio per fame indotta che ha sterminato tra 7 e 10 milioni di ucraini. «È un’esplorazione sul campo – la
definisce Igort – per capire cos’è rimasto del sogno comunista. Storie vere, che ho disegnato con l’aiuto di interviste, incontri con i
sopravvissuti, documenti dei servizi segreti, filmati».
Eccolo il reporter dei fumetti: non ha invadenti telecamere o microfoni, ma solo una matita in tasca; non ha scritto "stampa" in faccia e
non ha l’urgenza di mandare il servizio. Sacco lo definisce slow journalism: c’è tutto il tempo per capire e interagire, senza l’ansia da
notizia a tutti i costi. Questo ti permette di addentrarti, anche per mesi, dove altri non riescono, in zone schiacciate dalle dittature: il
canadese Guy Delisle è uno dei pochi ad essere riuscito a raccontare dall’interno un Paese ai confini del mondo come la Corea del
Nord, in Pyongyang.
Una forma di puro reportage illustrato ripetuta con Shenzen, sulla Cina, e con Cronache birmane. Anche Ted Rall, giornalista americano
finalista al Pulitzer, per una decina di anni ha girato l’ex Unione Sovietica, in Asia centrale, per capire cosa ci fosse dietro ai tragitti
geopolitici di gas e petrolio. Petrolio, pallottole e potere e Stan Trek sono il risultato di questa lunga inchiesta: un collage di fotografie,
articoli e fumetti, in Italia pubblicati dalla Becco Giallo.
La casa editrice che ha per vocazione la graphic novel giornalistica, fondata nel 2005 da Federico Zaghis e Guido Ostanel, con un
nome che omaggia il settimanale satirico antifascista costretto a chiudere nel 1926.
Ha collane dedicate alla cronaca nera, ai misteri italiani, a biografie di grandi personaggi ed è in libreria in questi giorni con fumetti sulla
tragedia della Moby Prince, sugli omicidi di Mauro Rostagno e di Anna Politkovskaja: «C’è tanta voglia di verità da parte dei lettori, di
capire – spiega Zaghis –. E noi abbiamo provato a intercettarla, su argomenti che restano radicati nella memoria collettiva del Paese».
Lo stragismo, per esempio, con un volume dedicato a piazza Fontana in occasione dei quarant’anni, o un altro sulla stazione di
Bologna. Vicende piene di zone d’ombra, come Ustica, il delitto Pasolini, l’omicidio di Ilaria Alpi. O fatti di violenta attualità come il G8 di
Genova e l’incidente ThyssenKrupp. «Ogni graphic viene seguita come un’inchiesta giornalistica, con continuo rimando alle fonti. Gli
sceneggiatori sono per lo più giornalisti, come Marco Rizzo che ha scritto il libro su Peppino Impastato, e Francesco Barilli su piazza
Fontana».
Il successo? «Raccontare vicende complicate "semplificandole" attraverso il fumetto», aggiunge Zaghis, che riflette sulla possibilità che
la graphic novel davvero possa diventare un mezzo d’informazione e di educazione per i più giovani, e non solo: «Molti insegnanti si
sono rivolti a noi. Il volume su Impastato è stato adottato da scuole del palermitano, ma anche del trevigiano. Mentre quelli su Cernobyl’
e sul petrolchimico di Porto Marghera servono per parlare ai ragazzi di temi ecologici».
Anche se i tempi di produzione della graphic novel sono più lunghi, l’impressione è che l’impostazione abbia qualcosa dei libri
d’inchiesta orientati alla logica degli instant book d’attualità. È avvenuto così per il caso Stefano Cucchi, il ragazzo morto in in carcere:
Non mi uccise la morte (Castelvecchi) attraverso le illustrazioni di Toni Bruno mostra le ultime ore prima di un insensato patibolo.
Ogni tavola è un pugno allo stomaco, e nella resa di un’atmosfera da incubo Stefano ha gli occhi spenti. Il nero si staglia forte sul bianco
e diventa il colore che rappresenta, più di qualsiasi articolo di giornale, il buio della giustizia.
Ilario Lombardo
290
Post/teca
fonte: http://www.avvenire.it/Cultura/Fumetti_201101171027258630000.htm
-------20110118
"Abbandono il festino
la tazza il tamburo
e torno al fiore di spina.
Il vostro modo di uccidere
di cantare e fare all’amore
non mi appartiene."
—
Fiore di spina, Raffaele Carrieri.
Poesie di Raffaele Carrieri
(via insalatadiparole)
(via cutulisci)
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"Il mare non ha paese nemmeno lui, ed è di
tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua
e di là dove nasce e muore il sole."
— Giovanni Verga (via thelisteningfriend)
(via fotonico)
------------------
thelastdomino:
Mi lascia indifferente il concetto di felicità, ritengo più importanti la serenità
e l’armonia. Il concetto di felicità presuppone che uno sia contentissimo, che
291
Post/teca
se ne vada in giro ridendo, abbracciando tutti, dicendo sono felice, che
meraviglia. È chiaro che anche un mal di denti gli toglierà la gioia e, quindi, la
felicità. Penso che la serenità sia una cosa diversa. La serenità ha molto
dell’accettazione, ma include anche un certo autoriconoscimento dei propri
limiti. Vivere in armonia non significa non avere conflitti, ma poter convivere
con gli stessi serenamente.
Josè Saramago
(via batchiara)
---------------------
"Oggi, ogni tanto, voltandomi indietro,
ripenso alla mia vita come un lungo discorso
che ho ascoltato. La retorica a volte è
originale, a volte piacevole, a volte
inconsistente (il discorso dell’incognito) a
volte maniacale, a volte pratica, a volte come
l’improvvisa puntura di un ago, e io l’ascolto
da tempo immemorabile: come pensare,
come non pensare; come comportarsi, come
non comportarsi; chi detestare e chi
ammirare; cos’abbracciare e quando
scappare; cos’è entusiasmante, cos’è
massacrante, cos’è lodevole, cos’è
superficiale, cos’è sinistro, cos’è schifoso, e
292
Post/teca
come restare un’anima pura. Si direbbe che
parlare con me non sia un ostacolo per
nessuno. Questa forse è una conseguenza del
mio essere andato in giro per anni con l’aria
di chi aveva un gran bisogno che qualcuno gli
rivolgesse la parola. Ma qualunque ne sia la
ragione, il libro della mia vita è un libro di
voci. Quando mi chiedo come sono arrivato
dove sono, la risposta mi sorprende:
“Ascoltando”."
—
Philip Roth - Ho sposato un comunista
(appena finito)
(Fonte: checcachicchi)
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"C’era una volta un coniglio bianco che
respirava dal culo: un giorno si è seduto ed è
morto."
—
robe di FB
mi fa ridere, son da troppe ore sui libri, forse.
(via checcachicchi)
--------------------
“La vita è quella cosa che ti capita mentre sei impegnato a fare altri progetti.”
293
Post/teca
—
Andrea C. su facebook (via
cheppalleee)
via: http://falcemartello.tumblr.com/
----------------------
“Sì, ma, più che pensarti e pensarti / eventualmente incontrarti vorrei, / e più
che scriverti e telefonarti / eventualmente baciarti vorrei.”
—
Paolo Conte, Paso Doble
(via hollywoodparty)
via: http://plettrude.tumblr.com/
------------------
“I gatti hanno intercettato i miei passi all’altezza delle caviglie per cosi lungo
tempo che la mia andatura, sia in casa che fuori, è stata paragonata a quella
di un uomo che che cammina nell’acqua, scavalcando basse onde”
—
Roy Blount Jr (via
PlacidiAppunti)
via: http://piccole.rispostesenzadomanda.com/
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curiositasmundi:
soggettismarriti:
● Se colorado caffé non mi fa ridere, sono sostenuto.
● Se dico che Zalone mi fa schifo, sono snob.
● Se penso che la bionda che legge Chi e Divaaccanto a me
sull’autobus sia un po’ oca sono pregiudizievole.
Shame on me?
Se espongo una soluzione democratica, sono comunista Se ritengo che la
tua auto è un camion a trazione integrale inutile e dannosa sono invidioso.
Se esprimo conceti laici, sono ateo (e comunista)
via: http://tattoodoll.tumblr.com/
294
Post/teca
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“È uscita, per Einaudi, per la collana Letture, a cura di Paolo Bertinetti, una
raccolta di racconti di Beckett, intitolata Racconti e prose brevi, che
comprende un racconto nel quale, all’inizio, nell’originale, c’è l’espressione «I
was feeling awful». Questo racconto, e questa espressione di Beckett, sono
già stati tradotti almeno due volte. Una volta, in dialetto reggiano (da Daniele
Benati), così: «A stèv mäl» (Stavo male). Un’altra volta, in italiano (edizioni
SE, traduzione di Valerio Fantinel), così: «Avevo una tarantola di inquietudini
in petto». In questa nuova edizione «I was feeling awful» è tradotto così:
«Pessimo stato d’animo» (traduzione di Valerio Fantinel).”
—
Paolo Nori » Awful
via: http://plettrude.tumblr.com/
----------------
“Nascondermi non mi ha reso più forte, solo più silenziosa.”
—
…aspetta un attimo » Blog
Archive » Polvere – Certe cose
non sono come andare in
bicicletta
via: http://plettrude.tumblr.com/
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“Chi apre il periodo, lo chiuda.
È pericoloso sporgersi dal capitolo.
Cedete il condizionale alle persone anziane, alle donne e agli invalidi.
Lasciate l’avverbio dove vorreste trovarlo.
Chi tocca l’apostrofo muore.
Abolito l’articolo, non si accettano reclami.
La persona educata non sputa sul componimento.
Non usare l’esclamativo dopo le 22.
Non si risponde degli aggettivi incustoditi.
Per gli anacoluti servirsi del cestino.
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Post/teca
Tenere i soggetti al guinzaglio.
Non calpestare le metafore.
I punti di sospensione si pagano a parte.
Non usare le sdrucciole se la strada è bagnata.
Per le rime rivolgersi al portiere.
L’uso del dialetto è vietato ai minori di 16 anni.
È vietato servirsi del sonetto durante le fermate.
È vietato aprire le parentesi durante la corsa.
Nulla è dovuto al poeta per il recapito.”
—
L’uovo di marx, Ennio Flaiano,
Libri Scheiwiller, Milano 1987
via: http://comeberlino.tumblr.com/
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This amazingly creative photos are product of Spanish photographer called Chema Madoz.
Jose Maria Rodriguez Madoz (born 1958) better known as Chema Madoz, is a
Spanishphotographer, best known for his black and white surrealist photographs.
Chema Madoz studied Art History at Universidad Complutense de Madrid between 1980
and 1983. It is here that he was first exposed to the study of photography and imaging.
In an interview published in 2001, Chema explains that he currently uses a Hasselblad
camera to take his photos. The book, Chema Madoz: Objetos 1990–1999 was presumably
shot entirely with this camera, rather than the 6×6 Mamiya he has used previously.
fonte: http://www.funzu.com/index.php/crazy-pics/amazingly-creative-photos-11122010.html?
utm_source=wahoha.com&utm_medium=referral&utm_campaign=wahoha
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“Se credi che la conoscenza costi troppo, prova con l’ignoranza.”
—
via: http://falcemartello.tumblr.com/
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Un professore (via dottorblaster)
Post/teca
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"Noterete che al mondo vi sono assai più
coglioni che uomini; ricordatevene."
—
- François Rabelais
(via imlmfm)
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Mirafiori, Pomigliano, e il pensiero fragile
di marco simoni
18 GENNAIO 2011
Per chi volesse risparmiare tempo, una versione breve è sull’Unità di oggi.
Caro Peppe, il tuo intervento sul voto a Mirafiori e sulla fragilità del pensiero di
sinistra mette il dito nella piaga, che è un esercizio sempre utile. Nel contrastare la
globalizzazione, dici, la sinistra ha perso il suo anelito globale. Tuttavia, allo stesso
tempo, non ti spingi a suggerire vie di guarigione, non compi il passo successivo.
C’è una contraddizione irrisolvibile insita nell’approccio che ha caratterizzato il
fronte del No al referendum, e che la sinistra italiana fa fatica a guardare
direttamente, come se ignorare le questioni semplici, ma di fondo, possa contribuire
a superarle. Un pensiero politico che si nutra delle istanze di liberazione,
sostanziale e non solo formale, dei gruppi più deboli e delle persone che li
compongono, non può non salutare come positivi i fenomeni di abbattimento dei
confini, che riguardano le merci, i capitali, ma anche le persone: l’apertura rende
tutti più ricchi, sia dal punto di vista materiale, che immateriale: la globalizzazione è
dunque una grande opportunità di maggiore conoscenza, benessere economico e
dunque maggiore libertà. E’ talmente ovvio da non costituire base di alcuna politica
il fatto che questi fenomeni vadano compresi, corretti, e indirizzati, ma non è questo
il punto.
Infatti, questi stessi fenomeni, e non solo a causa delle storture drammatiche che
hanno caratterizzato lo specialissimo mercato finanziario, hanno anche l’inevitabile
effetto di amplificare alcune diseguaglianze, specialmente se osservate dalla
prospettiva nazionale. Quello che non si discute a sufficienza, tuttavia, ignorando
questa contraddizione tra maggiore prosperità e maggiori diseguaglianze, è il metro
e la misura delle diseguaglianze, metro e misura invece, senza i quali, tutte le
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Post/teca
vacche sono nere, o rosse forse.
Rispetto all’accordo di Pomigliano, quello di Mirafiori conteneva una clausola in più:
l’esclusione della rappresentanza dei sindacati non firmatari, esclusione conforme
ad un articolo dello Statuto dei Lavoratori che in passato è servito ai sindacati
confederali per limitare la competizione dei sindacati di base. Data la dimensione
della FIOM, è evidente che con quella clausola si apre un problema di democrazia.
Tuttavia, è anche evidente che, posta in questi termini, ossia legata alla dimensione
e importanza della FIOM, non si tratta più di un problema di principio o di diritti: se
fosse così il problema varrebbe anche per qualsiasi sindacato di base, mentre
invece fino a ieri nessuno ha contestato quella norma. E’, al contrario, un problema
– molto serio e vero – contingente e relativo al caso specifico.
Si potrebbe giustamente notare che quel che conta, anche nella valutazione dei
diritti per i quali è importante battersi, non è la forma, ma la sostanza, e che la
sostanza della questione nel caso di Mirafiori e delle altre fabbriche della FIAT è
rappresentata dalla forza, anche numerica, della presenza della FIOM. Tuttavia,
questo è un paese dove la sostanza del diritto di sciopero – altro che
rappresentanza! – per almeno quattro, o forse cinque, milioni di lavoratori precari –
quasi tutti di età inferiore ai 40 anni – è stata sistematicamente messa in secondo
piano da almeno 15 anni, accanto alla sostanza del diritto ad un salario dignitoso,
una minima stabilità, e la possibilità di immaginarsi un futuro ragionevole, fatto di
cose normali, come una casa e una famiglia. Allora ecco che la misura inizia a
perdersi, e rischia – o forse ha la certezza – di non essere percepita proprio da
quella fetta, molto larga, e prevalente tra meno anziani, di lavoratori che vivono al
confine tra lavoro e non-lavoro, che il lavoro pienamente inteso, non l’hanno mai
conosciuto.
Pensi che da domani “gli appelli scritti al computer, col sigaro che fuma nel
posacenere accanto”, comedescritto con grande efficacia da Concita De Gregorio,
si replicheranno a favore dei milioni di giovani uomini e donne italiane con il reddito
in picchiata e le prospettive assottigliate? Forse no, ma la ragione non sta nel fatto
che si tratta di sfruttati di serie B, ma dipende dal fatto che l’assenza di metro e
misura rende impossibile immaginare e concepire sia la politica, che le politiche.
Nel caso di Pomigliano, né la FIOM né la CGIL si erano schierate per il No, ma per
la libertà di scelta. Il loro dissenso all’accordo, comunque forte e visibile, era tutto
mosso dalla cosiddetta clausola di responsabilità secondo la quale non si può
scioperare sui termini dell’accordo per la durata dell’accordo: la loro contrarietà, in
altri termini, non riguardava i nuovi turni, o le pause, o il salario che, a me come a
te, tracciano i confini di esistenze così dure. Ma allora, ancora, quale è il metro e la
misura della diseguaglianza in questa vicenda? Io non ne sono più sicuro. Il diritto
di sciopero che non deve conoscere limitazioni, nemmeno in accordi collettivi?
298
Post/teca
Oppure una paga troppo bassa per un lavoro troppo duro – che giustamente è
stato il tema che ha finito per prevalere nel dibattito, pur in assenza di una chiara
richiesta che si opponesse a quella dell’azienda? Oppure, come anche si è letto, il
tema riguarda le retribuzioni esagerate, fuori dal senso comune, che manager
globalizzati riescono ad attribuirsi in virtù del maggiore ruolo che una economia
globale assegna loro?
Il punto è che senza una riflessione di merito, è impossibile sia circoscrivere la
natura di una battaglia politica, che pensare agli strumenti da impiegare per
combatterla. A seconda del peso delle diverse dimensioni cambiano i confini della
battaglia, cambiano i luoghi in cui la discussione politica andrebbe concentrata.
Senza metro e misura, come sottolinei anche tu, sia pur indirettamente, diventa
persino difficile individuare dove sia il cuore del conflitto, capire chi siano i veri
avversari: forse gli operai serbi e polacchi che vorrebbero costruire le macchine e
accontentarsi di meno salario? Le tecnocrazie della regolamentazione dei mercati,
in Europa o al WTO? I dirigenti delle aziende multinazionali? Il grande capitale
finanziario?
Come si scorge da queste ultime battute, se si rimane senza misura, che poi
significa senza una riflessione complessiva che sia in grado di includere, accanto
agli operai della FIAT anche i milioni di precari che subiscono, forse ancora
maggiormente, il peso degli aggiustamenti economici legati ai fenomeni di
globalizzazione, (dunque in assenza di profondità, come da te rilevato) è un attimo
ricominciare a costruirsi nemici immaginari, costruzioni mentali confortevoli e pigre,
che servono solo a confondere ulteriormente l’analisi.
Senza misura il pensiero rimane ostaggio della gioventù che fu degli odierni
rivoluzionari col sigaro che fuma accanto al computer, e rimane completamente
sguarnito il campo della vera battaglia politica che andrebbe ingaggiata. Qual è la
vera battaglia politica? Quella che considera il presente e il futuro, l’epoca del
mondo sempre più aperto, come una prateria di opportunità per chi ha a cuore la
libertà delle persone e delle associazioni di cui fanno parte.
fonte: http://www.ilpost.it/marcosimoni/2011/01/18/mirafiori-pomigliano-e-il-pensiero-fragile/
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Tra papi ed elefanti
di haramlik
In Vaticano ne sanno, di cose del mondo, quindi non si capisce bene a che
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Post/teca
gioco voglia giocare Benedetto XVI intervenendo in modo tanto goffo e
inopportuno sull’attentato in Egitto, nello stesso giorno in cui l’imam di Al
Azhar andava ad abbracciare il vero Papa dei cristiani copti, Shenuda III, e a
mostrare la faccia davanti alla prevedibile rabbia della gente sconvolta.
Perché, oltre a non essere riconosciuto, appunto, come proprio Papa dai
suddetti copti, il Papa di Roma incarna anche un cristianesimo occidentale
che, a torto o a ragione, viene percepito in Medio Oriente come un retroterra
ideologico di tutte le bombe che il cosiddetto scontro di civiltà ha fatto
piovere su quella regione, dalla prima Guerra del Golfo ad oggi. E, siccome la
Chiesa di Roma è la prima ad affermare che l’attuale aumento della
cristianofobia in Medio Oriente è da imputare direttamente a ciò che
l’Occidente ha fatto in Iraq, non mi spiego per quale motivo abbia voluto
associare, in modo tanto eclatante, la propria figura a un attentato in cui è
morta gente di religioni che non sono la sua: gente copta e – già –
musulmana. In uno scenario in cui la priorità, per i cristiani di quelle terre, è
quella di ricordare a tutti che non sono la quinta colonna di potenze straniere
e aggressive, ma orientali – e in questo caso egiziani – come e più dei loro
concittadini musulmani.
E’ ovvio, quindi, che in Egitto si affronti questo disastro richiamando il
concetto di nazione, prima ancora che di religione, e che ci si aspetti dalle
diplomazie mondiali appoggio e rispetto in questo senso. E quindi, ripeto:
passi per il povero Frattini, che dal basso della sua pochezza starnazza di
chissà quali interventi dell’UE in Egitto. Egli è un cretino, pericoloso come tutti
i cretini ma, almeno, intelligibile.
Ma il Papa? La diplomazia vaticana? Che diamine si propongono, con
interventi irritanti per i musulmani d’Egitto e imbarazzanti per i copti? Chiedo,
perché l’impressione è che cerchino martiri giocando sulla pelle degli altri.
fonte: http://www.ilcircolo.net/lia/2889.php
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"Primo: non seguire corsi di scrittura creativa.
Secondo: esperire il dolore attraverso una lunga
300
Post/teca
malattia.
Terzo: vivere almeno due anni in un paese sconosciuto
di cui non si parla la lingua.
Quarto: lavorare in miniera.
Il quinto è facoltativo: ci vuole almeno un matrimonio
fallito alle spalle."
—Cose che insegna Philp Roth nei suoi corsi di scrittura creativa (via manyinwonderland)
(Source: inveceerauncalesse, via lunacrescente)
via: http://lalumacahatrecorna.tumblr.com/
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Gli elenchi del
telefono
di marco bardazzi
Nel palazzo dove abito sono arrivati, come ogni anno, gli elenchi del
telefono. Ho visto la pila di giganteschi volumi nell'androne, pagine
bianche e pagine gialle, e non ho potuto fare a meno di pensare: "Ma chi
li usa più?".
Passano gli inquilini, ma la pila non diminuisce: nel fine settimana mi
sembra che nessuno abbia preso la propria copia gratuita degli elenchi.
Un bambino ha chiesto al padre, aspettando l'ascensore: "Papà, quelli
che sono?". Non aveva mai visto un elenco del telefono.
Un tempo l'elenco era un punto di riferimento della casa. Stava di solito
in un cassetto o in uno scaffale sotto l'oggetto con cui viveva in simbiosi:
301
Post/teca
il telefono. Oggi nelle case il telefono, nella migliore delle ipotesi, è un
cordless che non si sa mai dove è finito. Ma cresce il numero delle
famiglie che il numero fisso non lo hanno più, usano solo il cellulare.
Quindi, a che serve l'elenco del telefono?
Non ricordo l'ultima volta in cui l'ho usato. Se vado su PagineBianche.it
oPagineGialle.it, faccio assai più in fretta che non sfogliando il librone
(peraltro diventato troppo ingombrante nelle nostre case). Le mie figlie,
poi, gli "elenchi del telefono" li hanno sulla rubrica del cellulare e nella
lista degli amici su Facebook. Del librone non sanno che farsene.
Così la pila degli elenchi resta là, immobile, nell'androne.
Che c'entra con questo blog?
Semplice: domani la sorte degli elenchi del telefono potrebbe toccare ai
quotidiani di carta…
fonte: http://marcobardazzi.com/blog8/2011/01/17/gli-elenchi-del-telefono/
---------La donna è mobile
qual piuma al vento,
muta d'accento
e di pensiero.
Sempre un amabile
leggiadro viso,
in pianto o in riso,
è menzognero.
La donna è mobil
qual piuma al vento,
muta d'accento
e di pensier,
e di pensier,
e e di pensier.
È sempre misero
chi a lei s'affida,
chi le confida
mal cauto il core!
Pur mai non sentesi
felice appieno
chi su quel seno
302
Post/teca
non liba amore!
La donna è mobil
qual piuma al vento,
muta d'accento
e di pensier,
e di pensier,
e e di pensier.
da: Rigoletto, atto III - il Duca
fonte: http://opera.stanford.edu/Verdi/Rigoletto/III.html
--------------
Destra e sinistra ai tempi della rete
di vittorio bertola
Oggi pomeriggio ho scritto la posizione del Movimento 5 Stelle torinese
sull’accordo di Mirafiori, e l’ho pubblicata. Uno dei primi commenti è
stato: “non siete di sinistra, di più”. E io sono rimasto perplesso: perché?
Destra e sinistra sono termini che ormai vogliono dire poco; le forze
politiche attuali (anche quelle “di sinistra”) sono nei fatti allineate al
sistema e ne traggono beneficio e rendita di posizione, e a quel punto il
modo in cui partecipano al teatrino diventa francamente poco rilevante:
alleandosi al primo o al secondo turno, alleandosi con entusiasmo o dopo
parole di fuoco, alleandosi su tutto o solo sulle spartizioni interessate,
ma sempre alleandosi col PD±L di turno e permettendo ad esso di
restare al potere, in cambio di briciole del potere stesso.
Se vogliamo operare una distinzione, dobbiamo dunque operarne una
teorica: tra forze politiche che pensassero al bene comune, ci si potrebbe
dividere tra quelli che pensano che il bene comune si ottenga lasciando il
più possibile liberi di fare i singoli cittadini, e quelli che pensano che il
bene comune si ottenga con un grandioso schema pianificato in cui lo
Stato è al centro di tutto. Questa, nella lontana galassia in cui i politici
sono onesti e disinteressati, sarebbe la differenza tra la destra e la
sinistra.
In questo schema, un internettaro come me non può che stare dalla
parte della libertà; Internet è il meraviglioso prodotto della libera e
303
Post/teca
incontrollata iniziativa individuale di tantissime persone, senza alcuna
pianificazione o alcun controllo centralizzato, e con regole che (almeno
nella sua fase costitutiva) si evolvevano davvero dal basso.
E allora com’è che su Mirafiori parlo di tassare le stock option all’80%
o mettere dazi alle importazioni? Beh, vedete, Internet è anche il
meraviglioso prodotto della libera condivisione, ovvero di tante persone
che hanno usato la propria libertà per farsi tra loro del bene invece che
del male, capendo che così si sarebbero ottenuti vantaggi superiori per
tutti. La competizione a somma zero, quella in cui ognuno costruisce per
sé solo sottraendo agli altri, non sta nello spirito della rete, né funziona.
Insomma, condivisione e competizione non sono - come ci hanno
fatto credere - due concetti tra loro inconciliabili, ma sono due facce
della stessa medaglia. La competizione promuove l’innovazione e
l’ingegno, ma non potrebbe esistere se non partisse da una base
condivisa di sapere e di opportunità. Compito della politica è mantenere
l’equilibrio tra le due facce della medaglia, lasciando libere le persone di
sviluppare al meglio le proprie attitudini e le proprie potenzialità, ma
garantendo la solidarietà necessaria perché possano esistere diritti,
sicurezze e opportunità per tutti, senza le quali non c’è civiltà ma solo la
giungla, e a lungo termine non c’è benessere per nessuno.
E’ per questo che è così difficile interpretare secondo i vecchi schemi
quello che diciamo; e intanto, io mi colloco fieramente a destristra. Ma
anche un po’ a sinestra.
fonte: http://bertola.eu/nearatree/?p=2058
via: http://www.pasteris.it/blog/2011/01/18/destristra-e-sinestra/
------------20110119
19/01/2011 -
Cornetto, il "copyright" è veneziano
Nel '600 arrivò in Laguna il dolce
304
Post/teca
che celebrava la vittoria sui turchi
torino
Il parco che circonda la Fondation Maeght di Saint-Paul-de-Vence, a pochi passi da Nizza, sembra
quasi irreale per le sculture e le fontane di Miró e Chagall. Accanto, il piccolo bar nascosto nel
verde è arredato con tavolini e sedie intarsiate di Giacometti. La locandiera spolvera il marmo del
bancone, sospira e chiede ai turisti italiani: «Adoro il mio lavoro e mi piace farlo come si deve,
perciò ditemi, non mi offendo: il mio cappuccino è buono come il vostro?».
Il primato italiano è un mito. Non fosse altro che il cappuccino lo prepariamo da più tempo. E lo
serviamo insieme al «cornetto», alias «brioche», alias «croissant»: la loro patria, nonostante i nomi
francesi, è l’Italia. Più precisamente, Venezia.
La tesi è di Gianni Moriani, ideatore del master in «cultura, cibo e vino» all’Università Ca’ Foscari
che sull’argomento ha scritto un libro «Cornetto e cappuccino. Storia e fortuna della colazione
all’italiana» (edizioni Terra Ferma).
Le prime notizie del caffè, materia indispensabile per un buon cappuccino, lo descrivono «acqua
negra» e sono del 1615: le portarono a Venezia i viaggiatori da Costantinopoli. Per gli stretti
rapporti economici i commercianti italiani, levantini e lungimiranti, decisero d’importarlo. Trent’anni
dopo, nel 1645, accade ciò che oggi si definisce un boom: Goldoni alla bevanda dedica una
commedia, Bach compone una cantata. L’«acqua negra» entra nella cultura e frequentare i «caffè»
diventa un modo di essere della borghesia veneziana. Ma il lusso, come spesso accade, finisce
per essere gustato anche dalla povera gente. E dei poveri frati: uno di loro, nel 1683, inventa il
cappuccino.
Marco da Aviano, diplomatico raffinato dall’eloquio straordinario, viene mandato a Vienna dal Papa
per coalizzare la lega cattolica contro il nemico turco. Qui, per gustarsi un caffè (che da Venezia
intanto aveva raggiunto il resto dell’Europa) entra in una bottega accanto al Duomo: non gli piace
granché, l’aroma è troppo forte, chiede di aggiungere acqua, poi latte e il colore scuro vira verso il
marrone. Assomiglia a quello del saio che indossa. L’esclamazione di chi lo serve, per quanto
lapalissiana, è la più immediata: «Kapuziner!».
Ma non esiste cappuccino senza croissant, e il professore Moriani, nel libro, spiega anche le origini
del dolce che nel nord Italia si chiama «brioche» e nel centro sud «cornetto». Il primo termine
deriva da «brier», impastare, il secondo ha una chiara valenza popolare partenopea. Ma
«croissant» che vuol dire?
L’origine della nascita del dolce è nella scelta francese del nome: significa «crescente». Come la
luna nella bandiera turca. Già perché il cornetto è legato all’assalto ottomano a Vienna nel 1683,
un anno decisivo per la colazione italiana. I turchi strategicamente pensarono di sorprendere
l’esercito di notte. A far fallire l’attacco, una categoria che di notte lavora, i fornai. A molti di loro si
deve la vittoria dell’Austria e a uno soltanto la creazione del dolce per festeggiarla: una pastafrolla
a forma di mezzaluna - appunto «crescente» - il «kipferl»: per mangiare simbolicamente gli
ottomani.
305
Post/teca
E così, poiché la repubblica di Venezia confinava con l’Austria, «il dolce - dice certissimo il
professor Moriani - prima di arrivare in Francia per la golosità di Maria Antonietta, è sbarcato in
laguna col nome “chifel”. Ci sono tomi, documenti a confermarlo».
Un cumulo di certezze per il professore e la barista della Fondation Maeght che in attesa della
risposta sulla qualità del suo cappuccino scruta l’espressione degli italiani: «Lo so, il segreto è
nell’equilibrio dei sapori e nella consistenza della schiuma. Battaglia persa: sono doti che voi avete
nel dna».
ELENA LISA
fonte: http://www3.lastampa.it/cucina/sezioni/notizie/news/articolo/lstp/384961/
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Il cane e' un gentleman.
Spero di andare nel suo Paradiso,
non in quello degli umani.
> Mark Twain
mailinglist Buongiorno.it
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Re Juan Carlos ha presenziato qualche giorno fa ad una riunione molto solenne, in cui gli venivano
presentati, per essere poi accreditati, un gruppo di ambasciatori colombiani. Il tutto in pompa
magna, con lui vestito in altissima uniforme e seguendo un protocollo estremamente formale come
è di prassi in una delle corti più antiche del continente. Peccato che a un certo punto, subito dopo
essere entrato nella sala sfarzosa e accolto da un nugolo di fotografi e giornalisti, si sia sentito nella
sala attigua il suono del suo cellulare che aveva dimenticato acceso su un mobile. A tal punto il re di
Spagna, con aristocratico aplomb – Noblesse Oblige verrebbe da dire - si è allora allontanato un
attimo dagli astanti per andare a spegnere il cellulare. Una piccola gaffe resa ancor più divertente da
due piccole noticine a latere: la suoneria che veniva riprodotta era quella della risata di un bambino
(registrazione della risata del nipotino) e il tutto è stato ripreso per essere diffuso in youtube,
cosicché il fatterello si è allargato universalmente.
(da una mailinglist)
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"[…] il paese ha litigato per due decenni sulla
306
Post/teca
giustizia, sull’informazione, sulla laicità, sulla
cultura, sull’inizio della vita e la fine della
vita – temi altissimi benché discussi con
deprimente approssimazione – ma quando
riusciremo a guardarlo da lontano rischiamo
di vedere scene di film porno con anziani."
— La facciamo finita? | Politica | Il Post (via bolso)
(via marikabortolami)
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"Il lavoro nobilita l’uomo” significa “sgobbare
tutta la vita per due soldi nobilita l’uomo”, e
questo non ha proprio nessun senso.
Sgobbare tutta la vita per due soldi può
essere una spiacevole necessità, non
un’aspirazione. Se uno passa la vita a
sgobbare per due soldi rischia di annullarsi
nello sgobbare, di immedesimarsi con il suo
sgobbare. È terribile quando uno diventa il
lavoro che fa: “mio cugino è un autista”, “è
morto un cameriere”, “è nato uno spazzino”.
Quando uno finisce con l’immedesimarsi con
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Post/teca
il proprio particolare tipo di sgobbare, il poco
tempo libero che ha non lo dedica più a ciò
che veramente gli interessa, ma a riprendere
fiato. Il tempo libero serve solo a rigenerarsi
per lo sgobbare. In questo modo uno si
svuota, perde interesse per tutto e inizia a
bere, a distruggersi di canne e a dilapidare i
due soldi che guadagna con puttane e video
poker.
Allora è meglio dire “il lavoro è il padre dei
vizi”.
Questo ha senso."
— in coma è meglio: IL LAVORO È IL PADRE DEI VIZI (via tigella)
(via bisax)
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"Più una società è stanca, più ammira nella
prostituzione la caduta dei suoi stessi ideali."
—
Ennio Flaiano, Taccuino del marziano, 1960
(via imlmfm)
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308
Post/teca
Vaticano, ma quanto ci costi?
helene benetti, 18 gen 2011
Città del Vaticano è il più piccolo stato del mondo, si estende su 44 ettari di
terreno, ha 911 residenti di cui 532 cittadini, il cui reddito pro-capite ammonta
a 407.095 euro; la sua economia (con i suoi profitti) si basa sugli investimenti,
mobili e immobili, sul patrimonio esistente, sulle rendite e sulle rimesse delle
diocesi sparse nel mondo. I suoi beni immobili sono spesso esenti da
imposizione di tasse, così come i suoi commerci, i contratti e le donazioni. In
Italia il Vaticano è leader in ben quattro settori economici: immobiliare,
turismo, sanità ed educazione privata. Qui, più che altrove, si intrecciano
proprietà immobiliari, attività bancarie, imprese industriali, finanziamenti diretti
e indiretti a carico del bilancio dello Stato e di Enti Pubblici.
Il governo italiano, infatti, con la stessa mano con cui continua nella politica
criminale dei tagli alla spesa pubblica, ai servizi sociali e ai finanziamenti alle
scuole e alle università pubbliche, elargisce con tanta disinvoltura oltre 5
miliardi di euro l’anno al Vaticano, l’equivalente dell’intera Finanziaria 2011.
Sul versante istruzione pubblica a fronte di un taglio triennale di circa 8
miliardi di euro, che significa la perdita di 140 mila posti di lavoro, l’espulsione
in massa dei precari e la drastica cancellazione di materie, scuole e classi, il
blocco dei contratti e degli scatti di anzianità, la Finanziaria 2011 aumenta di
245 milioni le risorse alle scuole private (in maggioranza cattoliche) che
vengano quasi raddoppiate, raggiungendo così i 526 milioni annui di
finanziamento statale.
Non tocca migliore sorte all’Università pubblica su cui incidono pesantemente
gli effetti negativi dei tagli introdotti dalla coppia Gelmini-Tremonti di circa 1,4
miliardi, a fronte di un finanziamento alle Università cattoliche che dal 2004
costano allo Stato oltre 110 milioni di euro. E ben 50 milioni sono stati
destinati all’Università Campus Bio-Medico, università privata che si
autodefinisce “opera apostolica della Prelatura dell’Opus Dei”, che “intende
operare in piena fedeltà al Magistero della Chiesa Cattolica, che è garante
del valido fondamento del sapere umano, poiché l’autentico progresso
scientifico non può mai entrare in opposizione con la Fede, giacché la
ragione e la fede hanno origine nello stesso Dio, fonte di ogni verità”, il cui
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Post/teca
“personale docente e non docente, gli studenti e i frequentatori dell’Università
[...] considerano l’aborto procurato e la cosiddetta eutanasia come crimini in
base alla legge naturale [...] (dalla Carta delle finalità).
Sempre sul versante scuola vi è lo scandalo degli insegnanti di religione i cui
stipendi ci costano ogni anno 650 milioni di euro. Infatti dal 2003 gli oltre
22.000 insegnanti di religione cattolica sono diventati dipendenti statali a tutti
gli effetti, con stato giuridico, trattamento economico e diritto alla mobilità
equivalenti a tutti gli altri insegnanti. L’idoneità all’insegnamento della
religione cattolica è data dal Vescovo e non occorre nemmeno avere una
laurea, basta un diploma di magistero in scienze religiose rilasciato da un
istituto approvato dalla Santa Sede.
Altro fatto vergognoso riguarda la fornitura idrica al Vaticano che l’art. 6 dei
Patti Lateranensi rende completamente gratuita. L’Italia si fa carico da allora
dei 5 milioni di metri cubi d’acqua consumati in media all’anno dallo Stato
Pontificio. Per le acque di scarico, Città del Vaticano si allacciava all’Acea,
Azienda del Comune di Roma incaricata dello smaltimento, ma si rifiutava di
pagare le bollette perché non riconosce la tassazione imposta da enti
appartenenti a stati terzi! Dal 2004 gli paghiamo anche quelle: con uno
stanziamento di oltre 30 milioni di euro per dotare il Vaticano di un sistema di
depurazione proprio.
Alla prodigalità dello Stato nei confronti della Chiesa cattolica, si è peraltro
aggiunto anche il particolare favore con cui le Regioni, pur gravate da
incipienti deficit di bilancio, hanno continuato a dispensare a suo favore
contributi pubblici sotto ogni forma, dai buoni scuola, ai generosi
finanziamenti al comparto della sanità convenzionata, fino alle recenti
sovvenzioni a favore della formazione dei volontari del movimento per la vita
per favorire il loro ingresso nei consultori (leggi governo Cota!).
I maggiori introiti nelle casse vaticane sono in realtà rappresentati da tre
grandi voci di entrate che rappresentano tre grandi voci di spesa per lo Stato
italiano, fra finanziamenti diretti e mancati introiti fiscali, che in concreto
significano per noi cittadini più tasse e meno servizi:
L’IMBROGLIO DELL’OTTO PER MILLE
1 MILIARDO e 67 milioni di euro, per l’anno 2010, destinato per il 80% alle
spese interne della Chiesa quali il sostentamento del clero (33,6%), le
esigenze di culto (catechesi, tribunali ecclesiastici, manutenzione e rinnovo
degli immobili, gestione del patrimonio); solo il 20% dei fondi sono destinati a
310
Post/teca
interventi caritativi, a dispetto di quanto vorrebbero farci credere le campagne
pubblicitarie che, in prossimità della denuncia dei redditi, invadono le Tv e le
radio nazionali con lo slogan: “Con l’otto per mille alla Chiesa cattolica, avete
fatto tanto per molti”. Altro problema è la ripartizione dei fondi: nella realtà,
soltanto un terzo degli Italiani sceglie a chi devolvere l’8 per mille, ma
ugualmente l’85% viene assegnato ogni anno alla Chiesa Cattolica. Infatti la
ripartizione della quota dell’otto per mille non direttamente assegnata (per
mancata indicazione di preferenza da parte dei contribuenti) avviene
proporzionalmente ridistribuita in base alle preferenze. Ciò avvantaggia la
Chiesa cattolica rispetto alle altre istituzioni aventi diritto in quanto,
storicamente destinataria della maggior parte delle preferenze.
L’ESENZIONE ICI SUGLI IMMOBILI, ANCHE SUGLI ALBERGHI A 5
STELLE
La Chiesa Cattolica gode dell’esenzione totale dell’ICI relativamente ai
fabbricati destinati in via esclusiva all’esercizio del culto e le relative
pertinenze. Dal 2007 è prevista anche l’esenzione dell’Ici per gli immobili di
proprietà del Vaticano adibiti a scopi commerciali, basta “che sia mantenuta
una piccola struttura destinata ad attività religiose.” Si calcola che tale
ulteriore “regalo” comporti un minor gettito per i già dissestati comuni italiani
di almeno 1 MILIARDO di euro all’anno.
Gli enti ecclesiastici sono 59.000 e posseggono circa 90.000 immobili, che
rappresentano il 22% dell’intero patrimonio immobiliare dell’Italia: parrocchie,
oratori, conventi, seminari, case generalizie, missioni, scuole, collegi, istituti,
case di cura, case di riposo, ospedali… Il loro valore è di almeno 30 miliardi
di Euro, ma sono esenti dalle imposte sui fabbricati (ICI), da quelle sul reddito
delle persone giuridiche, sulle compravendite e sul valore aggiunto (IVA), in
quanto tutti, anche gli alberghi a 5 stelle, sono classificati “non commerciali”:
infatti, dal 2007, è sufficiente che nell’immobile vi sia una cappella votiva per
classificarlo “non commerciale” e ottenerne l’esenzione totale.
ELUSIONE FISCALE LEGALIZZATA NEL BUSINESS DEL TURISMO
CATTOLICO
Il Vaticano è oggi uno dei più potenti broker nel turismo mondiale, si calcola
che gestisca un flusso annuo da e per l’Italia di 40 milioni di visitatori. In tutta
Italia preti e suore gestiscono 250.000 posti letto in quasi 4 mila strutture e
l’attività è in larga misura esentasse e frutta 5 miliardi di euro all’anno. In cima
alla piramide organizzativa del turismo cattolico sta l’Opera Romana
311
Post/teca
Pellegrinaggi, a fianco della quale svolge un ruolo importante l’Apsa,
l’amministrazione patrimoniale della Santa sede, che gestisce gli immobili
della Chiesa e spesso gli utili alberghieri.
Entrambe le società hanno sede nella Città del Vaticano, godono dunque di
un regime di extraterritorialità che in un settore ricco e in forte espansione
come il turismo si traduce in un formidabile ombrello fiscale e significa non
presentare bilanci e sfuggire alle leggi italiane in materia fiscale, di igiene,
prevenzione, ecc. Non si tratta soltanto dell’Ici non pagata per alberghi,
ristoranti, bar di proprietà degli enti ecclesiastici, ma anche del mancato
gettito di Irpef, Ires, Irap e altre imposte, sulla cui elusione sta indagando da
tempo la commissione europea. I lavoratori delle “case religiose”, sempre più
spesso veri e propri alberghi rintracciabili sul circuito commerciale, sono
spesso suore o preti o volontari o legati da contratti anomali di
collaborazione. Quindi la Chiesa non deve pagare le imposte sul lavoro
dipendente.
Inoltre, se i preti impiegati in queste strutture percepiscono uno stipendio, alle
suore la Cei non versa neanche un euro, nonostante si alzino all’alba e
lavorino 12 ore al giorno: questo significa che non avranno mai, a differenza
dei preti, né uno stipendio, né una pensione. Inutile gridare all’ennesima
discriminazione con soldi pubblici: sappiamo molto bene cosa il Vaticano
pensa delle donne!!
Nel sito della Cei, a questo proposito, si legge negli ultimi tempi una
ricorrente lamentela per il fatto che, visti gli indici di crescita, la catena
turistica religiosa deve ricorrere sempre più spesso al personale esterno; e il
personale esterno “non garantisce le stesse prestazioni di suore e preti,
pretende di essere pagato per gli straordinari e cerca di introdurre tutele
sindacali…”. Sia pure con i limiti enormi di libertà imposti dalla giurisdizione
pontificia.
I privilegi fiscali della Chiesa e le minori spese, si traducono in un vantaggio
sulla concorrenza e nella possibilità di praticare prezzi fuori mercato. Se i
prezzi calano il fatturato esplode. E lo stato italiano lo favorisce in ogni modo,
con le esenzioni e con i finanziamenti diretti. I 3.500 miliardi di lire versati
dall’erario alla Chiesa per il Giubileo sono serviti in buona parte a
riorganizzare la rete di accoglienza turistica, trasformando conventi, collegi e
ostelli in moderne catene alberghiere, tutti esentasse, tutti con una minuscola
cappella incorporata!
312
Post/teca
http://medea.noblogs.org/2011/01/12/vaticano-ma-quanto-ci-costi/
via: http://informarexresistere.fr/vaticano-ma-quanto-ci-costi.html
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Blogger usate l'archivio storico della Stampa
“Agenti ed esperti federali stanno cercando di rintracciare un geniale «pirata
elettronico» che da diversi giorni è riuscito ad immettersi in decine di computer
di una vasta rete nazionale di comunicazioni, la «Internet» (…)”
E’ il 20 marzo 1990 ed è la prima volta che la parola internet
quotidiano La Stampa. Repubblica lo aveva anticipato di pochi mesi,
dello stesso anno.
Gli archivi storici dei giornali sono una miniera ancora non sfruttata
blogger : quello di Repubblica arriva al 1984 ma quanti lo usano?
Stampa (http://www3.lastampa.it/archivio-storico ) è una bomba: è
ottobre scorso e arriva al 1867 presentando ogni singola pagina
Mitico.
compare sul
il 24 gennaio
a dovere dai
Quello della
online dal 29
scansionata.
Si apprendono cose meravigliose. Esempio: la prima volta che viene citato Silvio
Berlusconi siamo nel 1974, lui ha 38 anni ed è già miliardario. Cosa fa? Organizza
feste ad Arcore. Non ci credete? Cercate (8/12/1974 “Un principe fugge dall'auto
dei rapitori che urta per la nebbia uno spartitraffico” articolo di Gino Mazzoldi)
Tre anni dopo diventa Cavaliere (2° articolo). Al 4° articolo ci si comincia a
chiedere chi sarà questo Alberto Dell’Utri, fratello di Marcello, e chi rappresenti
(4/2/1978 “Sorpresa e interrogativi per la Venchi Unica 2000”, articolo di Adriano
Provera). Ma è al 5° che il nostro dichiara per la prima volta le sue vere
intenzioni: salvarci dai comunisti costruendo case « Fossi giovane e non avessi
la possibilità di avere una casa » dichiara, «anch'io forse avrei delle
tentazioni rivoluzionarie, diventerei un ribelle.» (7/2/1978 “Città complete
chiavi in mano”, marchetta di Pier Mario Fasanotti).
Al 6° articolo si scopre che tra queste nuove emittenti private C'è poi «Tele
Milano» che ha sede a «Milano Due», uno dei quartieri residenziali più «chic»
della città. E' diretta da Gabriele Ceccato e ne è direttore artistico Mike
313
Post/teca
Bongiorno. Si dice sia finanziata dall'impresario edile Berlusconi.(20/08/1978
“Editori, politici, finanzieri nel businness chiamato tv” articolo di Gino Mazzoldi).
All’8° articolo il noto direttore artistico di TeleMilano lascerà basita la cronista
dichiarando «Adesso questa è la mia attività principale». E’ il 5 ottobre 1978
(“Mike scende in campo con una maxi-tv privata” articolo di Adele Gallotti).
E chi non ha la possibilità di avere una casa? La prima volta che compare il
termine Brigate Rossesulla Stampa è il 26 gennaio 1971. Qualcuno ha lanciato
bottiglie molotov contro alcuni autocarri sulla pista prove della Pirelli di Lainate,
lasciando un foglietto di rivendicazione vicino all’ingresso. Due mesi dopo (!) La
polizia sta vagliando la posizione di un pittore, Enrico C. e sta ricercando
un'altra persona, Renato C. di 30 anni , che potrebbero essere i capi delle
fantomatiche « Brigate Rosse » che il questore ha definito « ne di destra, ne di
centro, ne comunisti » Fino a stasera nessun mandato dì cattura è stato pero
spiccato. I funzionari della squadra politica hanno interrogato a lungo
Margherita C., amica di Renato C. (25/3/1971 “Indagini a Milano sulle Brigate
rosse”, articolo di g.m.)
fonte: http://piste.blogspot.com/2011/01/blogger-usate-larchivio-storico-della.html
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Ma è un libro di sole domande?
«Un corpo che ne acchiappa un altro in un campo di segale va considerato una cosa
buona o cattiva? Consideri la pioggia un anestetico? Il dolore purifica?»
Esce per Guanda «Interrogative Mood», di Padgett Powell, un libro che non contiene
neanche un punto fermo
Le tue emozioni sono pure? I tuoi nervi flessibili? Che rapporto hai con le patate?
Costantinopoli dovrebbe chiamarsi ancora così? Un cavallo senza nome ti rende
più o meno nervoso di uno che il nome ce l’ha? Secondo te, i bambini hanno un
buon odore? Se li avessi davanti a te in questo momento, mangeresti salatini a
forma di animale? Potresti stenderti sul marciapiede e riposarti un po’? Volevi bene
al padre e alla madre, e i Salmi ti sono di conforto? Se finisci all’ultimo posto in tutte
le categorie, la cosa ti secca abbastanza da spingerti a risalire? Ti suonano mai alla
porta? Hai qualcosa sul gozzo? Un novello Mendeleev ti potrebbe incasellare con
precisione in una tavola periodica delle identità, oppure ti ritroveresti un po’ in tutti
gli elementi? Quante flessioni consecutive riesci a fare?
314
Post/teca
Tendi a prediligere le Isole Sottovento o quelle Sopravvento? Un uomo con la
brillantina in testa e il chewinggum in bocca ti ricorda un criminale o ti attrae per il
suo fascino sbarazzino? Hai familiarità con le posizioni religiose a proposito dei vari
zoccoli di animali? In quale circostanza, o insieme di circostanze, potresti pescare
un pesce gatto a mani nude? Spenderesti di più per un tessuto di spugna migliore?
Lo zucchero fa per te? Se un docile esemplare di bestiame ti passasse accanto
diretto al macello, gli accarezzeresti il sedere? Le scarpe troppo «tecniche» ti
disturbano?
Hai un debole per i gioielli? Ricordi la tua passione per la filosofia ai primi anni
d’università? Hai il mal di testa? Perché gli alieni non vengono in nostro soccorso?
Sapevi che tra gli indiani d’America le donne allattavano i figli fino a cinque anni,
semplicemente chinandosi a dar loro il seno in posizione eretta? Hai mai assistito a
una partita di shuffl eboard in un campo nudista? Se tutti i campi da tennis
potessero avere solo una superficie, quale dovrebbe essere? Nella tua economia,
in generale, sei per il laissez-faire o per il socialismo? Se potessi disegnare la
bandiera di una nazione, quale sarebbe il colore o i colori predominanti? Gli alberi
vanno potati? Rimani perplesso sul da farsi di fronte a un paio di mutande con
l’elastico rotto, ma per il resto in buone condizioni? Balli? Aver raccolto bottiglie di
Coca-Cola per riscuotere il prezzo del vuoto a rendere è uno dei ricordi
fondamentali della tua infanzia? Hai mai ferito o ucciso un animale per sbaglio?
Mangeresti carne di carogna? In materia di cuscini, sei un uomo da guanciale di
piume o di piumino d’oca? Sei un uomo? Metteresti duecento dollari nella classica
busta rossa e me li daresti? Ti sei mai dovuto preoccupare del rischio che gelasse
l’acqua nelle tubature, o hai mai avuto a che fare con tubature gelate? Come va la
salute? Se si potesse dire che nutri sia speranze che timori, diresti di avere più
speranze che timori, o più timori che speranze? Tutti i tuoi affari sono sotto
controllo? Avresti la benché minima idea, se per qualche motivo dovessimo
ricominciare da capo, di come reinventare la radio, o anche solo il telefono? Ricordi
quei particolari elastici di caucciù delle guaine che reggevano le calze da donna
prima dell’invenzione dei collant?
Chi è secondo te il miglior quarterback di tutti i tempi? Tra un meccanico e uno
psicologo, secondo te chi dovrebbe guadagnare di più all’ora? Sei felice? Tendi a
chiederti se gli altri sono felici? Conosci le differenze, empiriche o teoriche, tra
muschi e licheni? Hai mai visto un animale dal passo più felpato dell’elegantissi ma
volpe rossa? Sei disposto a chiudere un occhio nei confronti dei delitti passionali,
rispetto ai loro cugini, i delitti premeditati? Comprendi perché il sistema giudiziario
lo faccia? I calzini scompagnati ti infastidiscono per aspetti meno evidenti del
colore? Ti è chiaro cosa intendo? Ti è chiaro perché ti faccio tutte queste
domande? Diresti che ti è molto chiaro, o pochissimo, oppure ti trovi in un punto
315
Post/teca
imprecisato del mare melmoso della preveggenza? Dovrei dire forse mare
melmoso della lucidità mentale? Dovrei andarmene? Lasciarti in pace? Dovrei
importunare solo me stesso con questo spirito interrogativo?
Sei bravo ad andare in bicicletta? Imparare ad andarci, da bambino, è stato facile
oppure no? Hai avuto il piacere di insegnarlo a un bambino? Le tue emozioni sono
ricche, varie e intense, oppure sono misere, limitate, fragili e insignificanti come uno
sputo? Ti fidi almeno di te stesso? Non è dura – e scusami la banalità
dell’espressione – essere te? Se potessi fare cambio e diventare, che so, Godzilla,
non lo faresti al volo, tesoro? E in tal caso, non rinunceresti a quell’orrendo taglio di
capelli, a quel guardaroba austero e a quello stile deprimente per cominciare a
divertirti un po’, nei panni di Godzilla?
Cosa dobbiamo darti per convincerti a diventare Godzilla e a lasciarci in pace?
Dobbiamo aspettare la tua risposta? Soffri mai di quella sinusite che ti fa sentire il
verso di un procione dentro la testa? Sei affascinato quanto me dalla scienza, anzi
dall’arte, dell’artiglieria? Sei nauseato quanto me dalla locuzione «scienza e arte»,
e ancor più nauseato da «scienza, anzi arte»? Chi è il tuo pittore preferito?
Il tuo apprezzamento di un bell’oggetto – diciamo, per esempio, questa rivoltella
con il calcio in madreperla – è influenzato dall’aver dovuto lavorare sodo per
ottenerlo, oppure lo valuti allo stesso modo di un bell’oggetto che ti è capitato tra le
mani facilmente?
Hai un giorno della settimana preferito? Te l’ho detto che mi sono rifugiato, anzi in
realtà ho chiesto soccorso allo Shodlik Palace Hotel di Tashkent, in Uzbekistan?
Quanto peso si dovrebbe chiedere di portare a un portatore bambino? Ti sei mai
interrogato sui racconti rubati nella valigia di Mister Hemingway al binario di una
stazione di Parigi? Il fatto che non ne avesse una copia, e che avesse così tanti
bagagli da non riuscire a contarli, non sono la prova che era un tronfio bifolco e se
l’è meritato? Capisci cosa intendo che si sia meritato? Desideri, come tutti noi,
avere un carattere più solare? Ti piacerebbe imparare a sollevare pesi? Ti conforta
l’affermazione che ci sia ancora al mondo della gente che sa quel che fa? Oppure,
come me, concordi sul fatto che la gente che sa quel che fa ha cominciato a morire
intorno al 1945 ed è oramai a un passo dall’estinzione? E che è stata rimpiazzata
da gente falsa che sa solo atteggiarsi?
Che tra una decina d’anni, quando tutti andranno in Segway parlando a un cellulare
incastonato nei loro iTeeth, saremo in dolorosa presenza di un mondo totalmente
insensato? Che una gran parte della popolazione mondiale sarà impegnata ad
autodistruggersi, se non sarà già morta di fame, mentre una piccola parte della
popolazione mondiale si esalterà all’idea del rapido acquisto online di una T-shirt
dal costo esorbitante? Hai provato a usare la spugnetta antigraffi o tibetana alla
316
Post/teca
mandorla della Zenith Chemical Works di Chicago su dei mobili di qualità? Un
aeroplanino di carta ben fatto ti darebbe un pizzico di piacere? Posto che ti venisse
garantito di non subire danni né in un caso né nel l’altro, preferiresti passare del
tempo in compagnia di un terrorista o di un produttore di cereali per la colazione?
Qual è, a tuo modo di vedere, l’incarnato ideale di una mucca? Esiste una legge di
natura per cui i sacchetti di plastica sono attratti dai neonati analoga a quella per
cui i tornado sono attratti dalle case prefabbricate? Capisci esattamente cosa
s’intende con l’espressione « crema pasticcera »? Sarebbe meglio se le cose
andassero meglio, e peggio se andassero peggio, oppure meglio se andassero
peggio e peggio se andassero meglio? Hai mai sentito il termine « straccivendolo »,
e hai idea di cosa faccia, o facesse, uno straccivendolo? È ancora possibile
comprare kit elettronici per il fai-da-te presso aziende come Heathkit, Lafayette
Radio e Knight-Kit?
Un corpo che ne acchiappa un altro in un campo di segale va considerato una cosa
buona o cattiva? C’è un motivo per cui la clorofilla è verde invece che, supponiamo,
rossa, o è uno dei tanti esempi della cosiddetta casualità darwiniana?
Se qualcuno dicesse che un certo modo di suonare la chitarra – e sto pensando al
Clapton dei Cream – ha un suono valvolare, questa affermazione avrebbe un
significato per te? Sai che esistono gli aquiloni da combattimento? Riesci a
immaginare che fortuna accumulerebbe chi riuscisse a creare geneticamente un
gattino che resta perennemente cucciolo? Riesci già a immaginarti (e non ce l’ho
con te in particolare: saremo tutti orrendi e sembreremo tutti delle vecchie) che
aspetto orrendo avrai da donna vecchissima? In linea di principio, preferiresti avere
cento sacchetti da un chilo o un sacchetto solo da cento chili? Si può presumere
che l’universo sia a corto di energie, oppure che stia trovando nuove energie,
oppure che stia mantenendo le energie che ha? Se ti facessero osservare che
«Due sconosciuti entrano in confidenza, e man mano abbassano la guardia e fanno
meno caso alle buone maniere, finché non vengono commessi degli errori, e così la
confidenza diminuisce al punto che la loro distanza supera quella che c’era prima
che si incontrassero », saresti propenso a dirti d’accordo? Sai che la vipera del
Gabon è abbastanza forte da abbattere una mucca? Sai cosa s’intende con
l’espressione «fiume dalle acque nere»? In quale campo la tua mancanza di
conoscenze ti preoccupa o ti dispiace di più, botanica o matematica? Se
l’architettura è musica congelata, non ci meritiamo un libro completo di ricette per
cucinarla? Quando senti la frase « Quelli sì che erano tempi » o qualsiasi allusione
simile ai bei tempi andati, sei propenso a catalogare chi parla come un
sentimentale, o gli dai atto che quelli erano davvero tempi migliori?
La casualità darwiniana giustifica il fatto che cani e gatti e non, per dire, scimmie e
317
Post/teca
opossum, siano diventati animali domestici, oppure lo si deve a forze di altro tipo,
magari spirituali? Ti chiedi, quando rifletti su cose come chi ha avuto per primo la
furbizia di mangiare un’ostrica, chi sia stato il primo ad avere l’idea di tessere: non
trovi che un momento del genere abbia segnato davvero una svolta epocale, al
contrario di tutti gli sfigati nano-aggiustamenti odierni, che in pratica equivalgono a
poter giocare a dama contro un microchip? Ho dimenticato la domanda che dovevo
fare adesso? Era «Sta piovendo?»?
Consideri la pioggia un anestetico? Il dolore purifica? Hai i nervi saldi come quelli
delle mutillidi, le «formiche di velluto» che si affaccendano costantemente sulla
terra bassa e umile avvolte nella loro livrea di velluto carminio e seta nera? Sai
come stabilire con certezza se la formica di velluto punge? Hai mai visto il
monumento bronzeo a Mendeleev a San Pietroburgo, raffigurante a parete intera la
tavola periodica degli elementi? Sai che sotto il monumento c’è della spazzatura?
Hai mai ricevuto del contravveleno? Perché contra-veleno e non anti-?
Non è una meraviglia, la lana? Hai l’impressione che i traghetti siano coinvolti in un
numero esagerato d’incidenti? Riesci a immaginare un equivoco divertente
generato dal confondere le parole contrazione econtrattazione? Sei un
consumatore di vitamine? E dal confondere confusione con contusione, o ipnosi
conammoniaca anidra o elettrolisi? Se alle persone di sangue blu si stende il
tappeto rosso, la gente comune non diventa verde d’invidia, e i rivoluzionari
incavolati neri? Sai com’è in realtà il canto di un usignolo?
***
Padgett Powell è uno scrittore americano; ha scritto quattro romanzi, uno dei quali,
Edisto, è stato finalista al National Book Award. I suoi testi sono apparsi su The
New Yorker, Harper ’s Magazine, The Paris Review, Esquire e nelle antologie Best
American Short Stories e Best American Sports Writing. Vive a Gainesville, in
Florida, e insegna scrittura alla University of Florida.
Questo testo è tratto dal suo nuovo libro Interrogative Mood (Guanda).
fonte: http://www.ilpost.it/2011/01/18/interrogative-mood-padgett-powell
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il papa ha detto
reallynothing:
Tutta questa storia del papa che ha detto tipo che l’educazione sessuale è
contraria alla fede cattolica è un falso, veramente. Il papa non ha mai detto
318
Post/teca
una cosa del genere, tipo. Ma ovviamente tutti a fare i galletti scandalizzati del
pollaio, tipo per dimostrare che sono gente molto sveglia, così.
In realtà il papa ha parlato di una «minaccia alla libertà religiosa delle
famiglie in alcuni Paesi europei, là dove è imposta la partecipazione a corsi di
educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della
vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria
alla fede e alla retta ragione».
Tipo che i corsivi sono miei.
E tipo che quello che in realtà ha detto il papa è pure peggio di quello che uno
dice che ha detto e che invece non ha detto. Ma tanto che volete stare a capire.
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vivenda:
Non esistono donne brutte. Dipende solo da quanta vodka bevi. (proverbio
russo)
vale anche per gli uomini, eh
via: http://plettrude.tumblr.com/
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“In questo preciso istante sono di fronte al cancello della sede italiana di hello
kitty. È tutto fottutamente rosa. Che faccio, detono?”
—
nonmenefregauncazzo:
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“Il pensiero può essere elevato senza avere l’eleganza, ma,
nella misura in cui non avrà eleganza, gli verrà meno la
capacità di agire sugli altri. La forza senza la destrezza è una
semplice massa.”
yoruichi:Pessoa_ Il libro dell’inquietudine
via: http://falcemartello.tumblr.com/
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Post/teca
“Prima di amare impara a camminare sulla neve senza lasciare traccia”.
Proverbio Turco (via chetusiapermeilcoltello)
non l’ho capito,ma mi piace
(via cubeinthedesert)
--------I lutti, ce ne son di due tipi:<br/>
i lutti che uno muore, ciao, e lì non c’è un cazzo da fare,<br/>
e i lutti che sei tu, nella tua testa, che devi ammazzare una persona<br/>
che invece esiste, cammina, vive<br/>
respira<br/>
scopa, anche, magari anche bene,<br/>
insomma sta sul tuo stesso pianeta, che è intollerabile<br/>
specie quando sei sicuro che quella lì è la persona della tua vita, quella giusta<br/>
e ogni secondo passato a star lontani<br/>
è uno spreco di perfezione<br/>
e quindi niente, questa persona qua è viva, lutto un paio di palle<br/>
e tu la vorresti accanto nei tuoi giorni belli, e meno belli<br/>
e farle capire che con te potrà essere sempre se stessa<br/>
e prendere le sue paure e farle piccoline<br/>
e dirle le cose senza bisogno di dirle<br/>
e tenerla per mano tutta la vita</p>
<p>Te</p>
<p>Tutto questo, se ti amassi, ovviamente<br/>
ma non ti amo</p>
Perché no? » Blog Archive » Poesia d’amore (via fastlive)
via: http://biancaneveccp.tumblr.com/post/2733226822/i-lutti-ce-ne-son-di-due-tipi-i-luttiche-uno
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emmeintumblerland:
cancheabbaia:
elicriso:
Il vombato è un simpatico animaletto a pelo corto che vive in Australia.
Classificato nella specie dei mammiferi, non ha molto senso
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Post/teca
dell’orientamento. Si perde continuamente nelle grandi praterie e per
strada, non è raro per un australiano di provincia o città ritrovarsi il vombato
attaccato all’uscio di casa, all’alba, in cerca di riparo e protezione.
Sono un vombato.
esser vombato e non saperlo.
via: http://verita-supposta.tumblr.com/
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Stefano Rodotà
Laicità e governo sulla vita
Lezione tenuta il 10 marzo 2010 nell’Aula Magna dell’Università di Torino in occasione della
consegna del premio Adriano Vitelli “Laico dell’anno”
PREFAZIONE
a cura del Centro Studi del Pd
Non troverete in queste note le “cose da fare” ma, speriamo, qualcosa da dire e
soprattutto qualcosa su cui riflettere. Diciamo pure uno strumento di studio per il PD, per i
suoi dirigenti e iscritti a ogni livello. L’ambizione è seminare pensieri e annotazioni, senza
un ordine rigido e con grande curiosità. Potranno essere gli atti di un convegno o brevi
saggi, lezioni, position papers su argomenti particolari. Insomma sarà un interrogarsi sui
mutamenti, visibili e non, di economia cultura e società. Con uno sguardo all’Europa e ai
territori, alla “nazione italiana” e alla visione larga che un partito deve coltivare sempre su
di sé e sul proprio tempo. Giocoforza guarderemo un po’ al di là dell’urgenza e
dell’agenda, senza però scordarci mai di quel che siamo e del pluralismo fecondo che ci ha
fatto nascere. Sta qui, crediamo, l’anima di un progetto politico oggi in campo anche per
tornare a tessere le trame della cultura e della democrazia, in un disegno che esige
qualcosa di più del solo primato del governo. Esige in primo luogo un dizionario. Non
perché siamo “senza parole”. Tutt’altro. Uguaglianza Libertà Responsabilità o Persona,
sono termini vitali e bellissimi, oggi come in passato. Il punto, casomai, è rileggerne lo
sviluppo e proiettarli in avanti. Farli sentire tutt’uno con milioni di donne e uomini: qui, in
casa nostra, come altrove. Al fondo quel che ci serve è un’idea del Paese diversa dalla
miscela di populismo e antipolitica che sembra aver sfondato gli argini bassi di partiti
offuscati nel loro prestigio. Di questo vogliamo discutere. Della nostra funzione e del
bisogno di riscoprire uno spirito di comunità. Il sentirsi parte di uno stesso destino
contrastando le spinte a “fare da soli” nell’illusione che sia possibile una salvezza dei
singoli, siano essi individui, imprese, territori. La realtà è che la politica è l’opposto: è l’idea
irriducibile secondo cui, nonostante tutto, è sempre meglio camminare e pensare insieme.
321
Post/teca
LAICITA' E GOVERNO DELLA VITA
Laicità rinvia ad autonomia, e questa si declina come autodeterminazione. All’inizio del
millennio, nel 2001, uno studioso americano, Alan Wolfe, scriveva che, dopo il secolo della
libertà economica e quello della libertà politica, si era ormai entrati nel secolo della libertà
“finale” – la libertà morale1. Condivisibile o no che sia questa interpretazione, è certo che
mette in evidenza un mutamento qualitativo (di paradigma?), sottolinea una sorta di
passaggio, un cambiamento di gerarchia, un definitivo ampliarsi dei soggetti in campo.
Viviamo ormai in quella che è stata chiamata la “repubblica delle scelte”2. Sì che, parlando
di laicità, non possiamo più ritenere che l’orizzonte delle analisi sia individuato soltanto dal
rapporto tra due poteri, lo Stato e la Chiesa, “ciascuno nel loro ordine, indipendenti e
sovrani”, o dallo stesso confronto tra secolarizzazione e religiosità. E’ già avvenuta, e
continua a manifestarsi, una diversa e più complessa distribuzione dei poteri, che nella
persona non ha soltanto il suo punto di riferimento, ma la individua come protagonista
istituzionale. Considerata da questo punto di vista, la laicità, oltre che come principio di
organizzazione costituzionale e sociale, si manifesta ormai anche come principio di
governo della vita. Non è un caso, ma il risultato di un processo culturale e politico,
l’affermazione che troviamo nel Preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea: l’Unione “pone la persona al centro della sua azione”. Di questa diversa premessa
si fatica ad accettare le inevitabili conseguenze. Si racconta una società frammentata, una
deriva iperindividualistica, il congedo da qualsiasi valore. Nel tempo che viviamo, con le
paure e le regressioni culturali che l’accompagnano, vien forte la tentazione di mimare un
incipit giustamente famoso, e annotare che “uno spettro s’aggira per l’Italia – lo spettro
dell’autodeterminazione”. E tuttavia, se spingiamo lo sguardo sul mondo, ci avvediamo che
spiriti analoghi si manifestano nei luoghi più diversi. Ma, se così è, non sarà pure vero che
il tanto parlar polemico e aggressivo contro l’autodeterminazione ci dice che il tema è lì,
ineludibile? Molti segni ci confermano che è così. Per cogliere la sostanza del mutamento,
e le ragioni dell’inquietudine o della ripulsa, proviamo allora a muovere da quanto è scritto
nella sentenza n. 438 del 2008 della Corte costituzionale. Il punto chiave è il seguente: “la
circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 della
Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della
persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute”. Si coglie qui, nitidamente, una
distribuzione di poteri, anzi un trasferimento di poteri, la cui portata può essere meglio
colta attraverso due rapidi esercizi di riflessione storica. Il riferimento all’articolo 13,
dunque alla libertà personale, consente di risalire, fino al 1215, alla Magna Charta e al suo
habeas corpus, all’antica promessa che il re fa ad ogni “uomo libero”: “non metteremo né
faremo mettere la mano su di lui, se non in virtù di un giudizio legale dei suoi pari e
secondo la legge del paese”. Siamo di fronte all’abbandono di una prerogativa regia, ad
322
Post/teca
una autolimitazione di un potere che, proprio per i caratteri dell’impegno assunto, nella
fase precedente era stato con tutta evidenza esercitato in maniera sostanzialmente
arbitraria, peraltro in conformità con la sua natura. Quell’atto, se così si può dire, laicizza il
potere del re. Quel che ne risulta, infatti, non riposa più sulla sovranità/sacralità, ma si
cala nel mondo, si presenta come l’esito di una negoziazione complessa, manifesta l’avvio
di un intrecciarsi di fattori che, in tempi assai successivi, porterà a quella “autolimitazione”
dello Stato sovrano come atto di fondazione dei diritti pubblici subiettivi. Facciamo un salto
di più di sette secoli, e giungiamo ai primi mesi del 1947, quando l’Assemblea costituente
discute e approva l’articolo 32 della Costituzione. Qui la salute viene affermata come diritto
fondamentale dell’individuo, si prevede che i trattamenti obbligatori possano essere
previsti soltanto dalla legge. Ma si aggiunge: “ la legge non può in nessun caso violare il
limite imposto dal rispetto della persona umana”. E’, questa, una delle dichiarazioni più
forti della nostra Costituzione, poiché pone al legislatore un limite invalicabile, più incisivo
ancora di quello previsto dall’articolo 13 per la libertà personale, che ammette limitazioni
sulla base della legge e con provvedimento motivato del giudice. Nell’articolo 32 si va
oltre. Quando si giunge al nucleo duro dell’esistenza, alla necessità di rispettare la persona
umana in quanto tale, siamo di fronte all’indecidibile. Nessuna volontà esterna, fosse pure
quella coralmente espressa da tutti i cittadini o da un Parlamento unanime, può prendere il
posto di quella dell’interessato. Siamo di fronte ad una sorta di nuova dichiarazione di
habeas corpus, ad una autolimitazione del potere. Il corpo intoccabile diviene presidio di
una persona umana alla quale “in nessun caso” si può mancare di rispetto. Il sovrano
democratico, una assemblea costituente, rinnova a tutti i cittadini la sua promessa di
intoccabilità: “non metteremo la mano su di voi”, neppure con lo strumento grazie al
quale, in democrazia, si esprime legittimamente la volontà politica, dunque con la legge.
Anche il linguaggio esprime la singolarità della situazione, poiché è la sola volta in cui la
Costituzione qualifica un diritto come “fondamentale”, abbandonando l’abituale riferimento
all’inviolabilità. La rottura è netta. Nel lontano habeas corpus la volontà sovrana cedeva di
fronte al presidio della legge, alla garanzia affidata appunto alla legge e alla giurisdizione
(il giudizio dei pari). Questo è il modello storico, che nel Grundgesetz, nella Legge
fondamentale di Bonn coeva della nostra Costituzione, viene riprodotto, poiché anche per
il diritto alla vita e alla incolumità fisica si prevede la possibilità di limitazione in base alla
legge. L’autolimitazione del sovrano è sempre accompagnata da una riserva, dal potere di
rimettere la mano su quel diritto. Proprio questo modello è abbandonato dalla Costituzione
italiana che, nata in una temperie storica e culturale per questi temi simile a quella
tedesca, imbocca una strada completamente diversa, con piena consapevolezza,
testimoniata dallo scandalo manifestato da taluni costituenti per questo abbandono
ritenuto incompatibile con la natura stessa del Parlamento. Non siamo, infatti, di fronte alla
tradizionale autolimitazione del potere. Si opera un vero e proprio trasferimento di potere,
anzi di sovranità. Sovrana nel decidere della propria salute, e dunque della propria vita
come ci dicono le sempre più comprensive definizioni di salute, diviene la persona.
323
Post/teca
Passiamo così al secondo esercizio storico, spingendo lo sguardo ancora più indietro, a
quel quarto secolo prima di Cristo quando Ippocrate formula il giuramento che
accompagnerà nei secoli la professione medica. Come nella promessa del re inglese, anche
nella promessa del medico greco scorgiamo sullo sfondo una storia di violazioni, di abusi,
senza la quale la necessità di un giuramento non sarebbe stata avvertita. “Sceglierò il
regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar
danno e offesa” – recita solennemente il giuramento. E aggiunge, tra l’altro: “In tutte le
case che visiterò entrerò per il bene dei malati, astenendomi da ogni offesa e da ogni
danno volontario”. Di nuovo una autolimitazione del potere che, tuttavia, nel tempo
manifesterà una sostanziale inadeguatezza. La conferma la troviamo facendo questa volta
un salto addirittura di ventitre secoli, così giungendo sempre all’ultimo dopoguerra, al
1946, quando viene celebrato a Norimberga il processo ai medici nazisti. La scoperta
drammatica dell’abuso del potere medico attraverso la sperimentazione sugli esseri umani
(scopriremo poi che lo stesso era avvenuto in Giappone) provoca una immediata reazione,
affidata a un documento che prenderà il nome di Codice di Norimberga, che si apre con le
parole “il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente necessario”, seguite da
una serie di specificazioni che indicano le condizioni essenziali perché il consenso possa
essere considerato valido. L’affermazione di una radicale libertà e autonomia del soggetto,
nata come reazione alle terribili pratiche naziste, si estenderà progressivamente all’intera
materia dei rapporti tra il paziente e il medico e, infine, al riconoscimento alla persona del
diritto al governo della propria vita, al pieno esercizio della sovranità sul proprio corpo . La
“rivoluzione” del consenso informato modifica le gerarchie sociali ricevute, dando voce a
chi era silenzioso di fronte al potere del terapeuta, e definisce una nuova categoria
generale costitutiva della persona. Consentire equivale ad essere. Non a caso il
rovesciamento della relazione medico-paziente, fondato sulla nuova disciplina del
consenso, è stata descritta come nascita di un nuovo “soggetto morale”.
Dall’autolimitazione del potere del medico, definita unilateralmente dal giuramento, si
passa anche in questo caso ad un integrale trasferimento del potere alla persona. Qui la
laicizzazione è resa ancora più evidente dalla sostituzione di una morale esterna, quella
definita dalla deontologia medica, con una tutta risolta all’interno della sfera personale
dell’interessato. Qui si coglie con nettezza il momento fondativo di quel rapporto tra
consenso informato e diritto fondamentale all’autodeterminazione che ritroveremo nella
sentenza della Corte costituzionale già ricordata, e che ormai informa nella sua interezza la
dimensione della vita e del corpo, com’è detto esplicitamente nell’articolo 3 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea. Non a caso, nel novembre del 1983, il
Bundesverfassungsgericht, la Corte costituzionale tedesca, aveva riconosciuto
“l’autodeterminazione informativa” come diritto fondamentale della persona, di nuovo
operando una distribuzione di potere, sottraendo le informazioni personali al potere
incondizionato dello Stato (la sentenza era stata occasionata dalla legge sul censimento)
ed al potere dei “signori dell’informazione”. Anche qui, come nella relazione tra medico e
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Post/teca
paziente, assistiamo alla nascita di una nuova soggettività. Dove prima era soggezione a
poteri esterni pubblici e privati troviamo un potere attribuito direttamente alla persona. Lì
nasceva un nuovo soggetto morale, qui un nuovo soggetto sociale. La suggestione di
questo modello porterà a proporne una estensione in altri ambiti e, soprattutto in
ambiente tedesco, si parlerà di “autodeterminazione biologica” e, ancor più
specificamente, di “autodeterminazione relativa al materiale biologico”. Ma questa ansia di
aggettivare l’autodeterminazione, comprensibile nel momento in cui si voleva estenderne
la rilevanza, rischia ora di farle perdere l’ormai raggiunta generalità, ed è bene che venga
abbandonata. L’attenzione, allora, deve essere piuttosto rivolta al consenso informato, al
suo costituire il riferimento di base nel momento in cui si affronta il tema
dell’autodeterminazione. Considerata dal punto di vista della tradizionale cultura giuridica,
quella degli studiosi di diritto privato in particolare, “consenso informato” si presenta come
una tautologia, ritenendosi implicata nel consenso la necessaria informazione, sì che
l’eventuale distorsione informativa rileva solo se si traduce in uno specifico vizio del
consenso stesso. Diverso è il punto di vista dal quale considerare il consenso informato
quando riguarda l’autodeterminazione e rileva come strumento per governare la vita.
L’aver accompagnato il termine “consenso” con la specificazione “informato” individua un
modo peculiare di distribuire poteri e responsabilità. L’onere dell’informazione si sposta
dalla persona interessata al medico, ai molti interessati alla raccolta di dati personali, ad
istituzioni pubbliche. Sono questi i soggetti che devono fornirgli l’informazione necessaria
perché la sua decisione possa essere davvero libera e consapevole. Questa constatazione
smentisce la tesi di chi guarda al trasferimento di poteri alla persona, ed alla
autodeterminazione che ciò comporta, come ad una iperindividualizzazione, alla negazione
di ogni legame sociale, al sostanziale isolamento della persona. E’ vero il contrario. E’ la
tradizionale idea privatistica, e in sostanza mercantile, del consenso a isolare l’individuo.
Quando, invece, si parla di consenso informato, nel senso appena indicato, è una rete di
rapporti ad emergere. Ma questo vuol forse dire che l’autodeterminazione si impiglia in
questa rete fino a restarne prigioniera, perdendo così forza e autenticità? Non è così,
perché la persona ha il diritto di disporre delle informazioni, non l’obbligo di utilizzarle, e
meno che mai di uniformarsi agli aspetti direttivi che possono contenere. Nella dimensione
dell’autodeterminazione nessuna informazione può divenire normativa. Altra questione,
ovviamente, è quella delle eventuali regole sull’esercizio del diritto fondamentale
all’autodeterminazione, che tuttavia non possono essere in conflitto con i caratteri
essenziali di questo diritto. Ritenendo che l’autodeterminazione, proprio perché riguarda la
vita, debba essere circondata da particolari cautele, si è osservato che non si può
ammettere un suo esercizio sbrigativo. E si è osservato, polemicamente, che l’ordinamento
giuridico esige che la validità della manifestazione del consenso risponda a rigorosi
requisiti formali pure quando riguarda atti socialmente e economicamente di piccola
portata, quale può essere la vendita di un ciclomotore. Muovendo da premesse come
questa, e accettando queste semplificazioni, si è negato che il consenso possa essere
325
Post/teca
ricostruito facendo riferimento alle abitudini e agli stili di vita della persona, com’è
avvenuto nella lunga vicenda che ha accompagnato il morire di Eluana Englaro. Ma,
quando si fa riferimento al diritto fondamentale all’autodeterminazione, il consenso può
essere ridotto alla misura dell’autonomia privata quale ci è stata consegnata dalla
tradizione privatistica? Per evitare fraintendimenti culturali, e improprie conclusioni
politiche, è bene ricordare che quella nozione di autonomia e le conseguenti regole sul
consenso sono state costruite avendo come punto di riferimento le dinamiche di mercato e
le conseguenti esigenze di certezza nella circolazione dei beni. Non a caso il codice civile,
quando parla appunto del contratto, lo definisce “un rapporto giuridico patrimoniale”.
Basta questo per rendersi conto della improprietà dei tentativi di adoperare quei riferimenti
e quelle categorie giuridiche per delineare il quadro istituzionale in cui si colloca il diritto
all’autodeterminazione, che riguarda la vita, per sé irriducibile alla logica del mercato, e
che deve piuttosto essere riferito al tema della personalità e, in definitiva, della sovranità.
Giustamente Paolo Zatti ha messo in evidenza che “la dignità, l’identità, la libertà e
l’autodeterminazione, la privacy nei suoi diversi significati sono prerogative da declinare
con la specificazione ‘nel corpo’”3, dunque nella vita. Questa diversa consapevolezza è ben
evidente nella gran parte delle discussioni, purtroppo non sempre in quelle italiane, e ha
lasciato un segno in diverse leggi, che hanno esplicitamente individuato modalità di
accertamento della volontà della persona che si distaccano nettamente dai criteri adottati
in altri settori del diritto. Proprio l’aver scelto questa diversa strada ha attirato critiche
tanto severe, quanto inconsapevoli della peculiarità della materia, sulla motivazione del
nostro caso giurisprudenziale più importante, quello relativo appunto alla vicenda di
Eluana Englaro. In quella sentenza, infatti, la Corte di Cassazione ha fatto esplicito
riferimento agli stili di vita come uno dei criteri da seguire per l’accertamento dell’effettiva
volontà della persona relativa alle sue scelte sulla fine dalla vita. Questa è esattamente la
strada seguita dal Mental Capacity Act inglese del 2005 e dalla legge tedesca del 2009
sulle disposizioni del paziente. Vale la pena di ricordare alcune di queste norme, con la
legge inglese che, alla persona chiamata a decidere al posto dell’incapace, impone
l’obbligo di prendere in considerazione desideri e sentimenti, credenze e valori ai quali la
persona aveva ispirato la propria vita e che, proprio nel momento della decisione più
drammatica, quella sul morire, illuminano tutto il suo itinerario esistenziale, agganciano la
decisione a questa complessità e non la rinsecchiscono nell’esclusività burocratica di un
atto formale. La legge tedesca è altrettanto esplicita: “La volontà presunta va accertata in
base a elementi concreti. Devono essere considerati, in particolare, dichiarazioni orali o
scritte fatte in precedenza dall’assistito, i suoi convincimenti etici o religiosi ed eventuali
altri suoi valori di riferimento”. L’autodeterminazione si identifica così con il progetto di vita
realizzato o perseguito dalla persona. E qui la vita è davvero quella di cui ci parlava
Montaigne, “un movimento ineguale, irregolare, multiforme”, irriducibile a schemi formali,
governato da un esercizio ininterrotto di sovranità che permette quella libera costruzione
della personalità che troviamo iscritta in testa alla nostra e ad altre costituzioni. Sovranità
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Post/teca
e proprietà sono parole che, non da oggi, accompagnano la definizione del nostro rapporto
con il corpo, dunque con la vita tutta intera. Lo sapeva bene John Locke quando parlava di
un uomo “padrone di se stesso e proprietario della propria persona e delle sue azioni e del
proprio lavoro” 4. Intorno a questo tema si è affaticata assai la scienza giuridica, prima
incerta, poi ben decisa a liberare corpo e vita dal terribile involucro proprietario che, se
all’origine era valso a individualizzare il potere sulla vita e a sottrarlo a poteri esterni, così
laicizzandolo, tuttavia lo proiettava poi in una dimensione dove quel potere di disposizione,
conquistato dal singolo, serviva soprattutto a legittimare l’alienazione della sua forza
lavoro, dando prevalenza alla dimensione mercantile. Non quello della proprietà, allora, ma
quello della personalità diveniva il contesto all’interno del quale doveva essere collocato il
governo della vita. Respinto sullo sfondo, o escluso del tutto, il riferimento alla proprietà, si
creava la condizione propizia all’incontro con la sovranità. Pur con indubbie forzature
concettuali rispetto alle sue più generali teorizzazioni, quella parola esprime icasticamente
proprio la condizione di una persona sottratta alle pretese e alle interferenze di altri poteri.
Certo, tra “sovrani” sono sempre possibili tensioni o conflitti. Ma, proprio per evitare che la
vita divenga un campo di battaglia, è stato disegnato un perimetro, sono stati definiti
confini che, come si è detto, il potere politico e il potere medico non possono varcare. Sì
che, anche quando bilanciamenti o composizioni si rivelano possibili o necessari, ciò esige
non solo una considerazione paritaria dei poteri in campo, ma soprattutto l’impossibilità di
ritenere che lo Stato abbia giurisdizione sulla vita. Una estrema forma di rifiuto del
pubblico? Una deriva individualistica esasperata? Ho già accennato al modo in cui, al
contrario, si stabiliscono nuove forme di legame sociale, e su questo punto tornerò più
avanti. Ma la questione deve essere piuttosto affrontata tenendo l’occhio rivolto alla
pretesa di considerare il corpo della donna come luogo pubblico, denunciata da Barbara
Duden5. Una volta di più, in queste materie soprattutto, il pensiero delle donne ha indicato
la strada, sottolineando l’illegittimità di considerare il corpo, qualsiasi corpo, come un
luogo pubblico. E di questo abbiamo conferma dalla complessiva dinamica istituzionale che
consente di affermare che si è ormai realizzata una “costituzionalizzazione della persona”,
che nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ha trovato espressione
eloquente. Il richiamo della Carta impone di guardare al suo articolo 1 che, riproducendo
le parole di apertura della legge fondamentale tedesca, ci parla di una dignità umana
inviolabile, che dev’essere rispettata e tutelata. Ma, se il nuovo modo di riferirsi alla
sovranità libera la vita da soggezioni e ipoteche, il principio di dignità si carica ancora di
doppie letture, di ambiguità pericolose. Considerando il rapporto tra libertà e dignità,
queste sono viste talora in opposizione insanabile, con la prima portatrice del valore
dell’autonomia della persona, mentre la dignità sarebbe un veicolo di imposizione
autoritaria di valori limitativi di quell’autonomia, tanto che qualche studioso statunitense
ha enfatizzato a tal punto il conflitto tra libertà e dignità da costruire quest’ultima come
una versione dell’“onore” nazista. Il fraintendimento è clamoroso, ma rivela l’esistenza di
un problema. Si può sciogliere la contraddizione di cui la dignità sembra essere
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Post/teca
prigioniera? La via da seguire è indicata dall’articolo 36 della nostra Costituzione, dove si
parla di “esistenza libera e dignitosa”. E la Corte costituzionale tedesca, nel 1983, ha
scritto che “il fulcro dell’ordinamento costituzionale è il valore e la dignità della persona,
che agisce con libera determinazione come membro di una società libera”: linea, questa,
che si ritrova nella ricca giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo
sull’autonomia della persona. La dignità, la sua definizione e applicazione, dunque, non
possono essere separate dalla libertà delle persone alle quali si riferiscono, sfuggendo così
al rischio di una riduzione a strumento di imposizione autoritaria. Spingendo poi lo sguardo
anche nella direzione dell’eguaglianza, incontriamo l’articolo 3 della Costituzione e il suo
riferirsi, insieme, a libertà e eguaglianza. Dobbiamo concludere che l’ineliminabile
associazione con la libertà è la via che immunizza dagli eccessi dell’eguaglianza e dalle
ambiguità della dignità, che tanto avevano inquietato nel secolo passato e che proiettano
ancora un’ombra sulle discussioni di oggi? Ma si può poi dire che questa attrazione
nell’ambito dell’autodeterminazione fa perdere alla dignità la sua natura di valore comune?
Si riaffaccia così, prepotente, la nostalgia di una “morale normativa”, che sarebbe
addirittura il saldo bastione del quale il diritto ha bisogno per non perdersi nei mille rivoli
delle morali individuali, e ottenere il necessario consenso collettivo. Queste controversie ci
mettono di fronte ad una realtà nella quale il consolidarsi dell’autodeterminazione come
principio di governo della vita e come misura della laicità di un ordinamento non ha fatto
tacere resistenze profondamente radicate, che continuano a mettere in discussione la
piena legittimità della nuova distribuzione dei poteri, e il silenzio al quale alcuni di questi
dovrebbero essere tenuti. L’iconografia tradizionale e gli antichi scritti sono fitti di
descrizioni nelle quali figure diverse si contendono il corpo e la vita di una persona. La
virtù e il diavolo, il sacerdote e il principe, il medico e il soldato, le donne tentatrici e i
mercanti avidi sono tutti lì intorno ad una spoglia, privata di libertà e autonomia, quasi a
simboleggiare una sorta di impossibilità di sciogliersi pienamente dalla fitta rete di legami
che, più che circondare, avvinghiano la vita. Un grumo di quelle rappresentazioni è ancora
presente nelle nostre società, e si manifesta in forme e con mezzi diversi, tanto più poveri
e mortificanti quanto più è povera e mortificante la cultura che esprimono, come accade
sempre più spesso dalle nostre parti. I mezzi di comunicazione ci restituiscono immagini
inquietanti. Il pane e le bottiglie d’acqua sul sagrato d’una chiesa o davanti ad una clinica,
le scritte che rivendicano la proprietà d’un corpo e d’una vita, la presentazione del diritto
come un’arma che uccide ripropongono con deliberata violenza la negazione
dell’autodeterminazione. La vita non è tua, è di altri, di un Dio che te l’ha donata, di uno
Stato che se ne impadronisce, di una società che vuole controllarla, di un potere medico
che pretende l’esclusività della cura. Lo ha detto con l’abituale nettezza il Presidente del
consiglio che, usando come postini due membri del Governo, ha mandato una lettera alle
suore che avevano ospitato Eluana Englaro, addolorato “per non aver potuto evitare la sua
morte”. Non è il rammarico di un Re Taumaturgo al quale è stato impedito di imporre le
sue mani per una guarigione altrimenti impossibile. E’ la rivendicazione di un potere sulla
328
Post/teca
vita, di cui il politico vuole tornare a essere l’unico depositario. E questa pretesa compare
anche come il frutto d’una nuova alleanza tra Trono e Altare, ostentatamente esibita in
occasioni pubbliche e ufficiali attraverso le “rassicurazioni” offerte alle gerarchie
ecclesiastiche che il loro punto di vista rimane il solido fondamento dell’azione di governo.
In quest’uso strumentale dei valori cogliamo la drammatica povertà d’una politica che
ritiene che tutto sia negoziabile, pronta a sacrificare a qualsiasi sua esigenza la vita delle
persone. Con il pretesto di affermare altissimi principi, si apre la strada al ritorno di una
morale normativa e, soprattutto, si dà una nuova prova di quell’abbandono della legalità
costituzionale che sta disgregando non solo le istituzioni, ma il tessuto sociale nel suo
insieme. Intorno a noi è tutto un cercar di chiudere i varchi faticosamente aperti negli anni
passati perché l’autodeterminazione potesse essere concretamente esercitata. In un’ansia
di rivincita, l’alleanza tra libertà e tecnologie viene rovesciata. Le tecniche contraccettive
avevano reso possibile l’avvio di una sessualità liberata e di una maternità consapevole.
Ma le tecnologie della riproduzione, la pillola del giorno dopo, la pillola Ru 486 diventano
l’occasione per introdurre nuove proibizioni, e così riprendere il controllo del corpo delle
donne. Le tecnologie della sopravvivenza vengono rovesciate nell’obbligo di sopravvivere,
attraverso manipolazioni sconosciute alle leggi degli altri paesi. Si dovrà rinunciare ai loro
benefici per il timore di divenirne, poi, prigionieri? Questa continua, aggressiva perdita di
laicità produce i suoi contraccolpi. Per liberarsi di una mano pubblica che vuole ancora una
volta impadronirsi di corpo e vita delle persone, e così nega il nuovo habeas corpus, si
fugge in paesi che non conoscono questi vincoli, dando così origine a inedite forme di
emigrazione o, per meglio dire, a vere e proprie richieste di un provvisorio asilo politico per
sfuggire alle prepotenze legislative del proprio Stato (non solo l’Italia). Per nascere e per
morire, si varcano gli ormai labili confini nazionali, con un turismo dei diritti che
delegittima il Parlamento e le regole da esso approvate per lanciare un manifesto
ideologico, con la cinica consapevolezza che saranno aggirate. Si predica la morale
comune e, creando occasioni di rifiuto e conflitto, si fa di tutto per cancellare ogni
possibilità di discussione comune. La moralità dell’autodeterminazione è sacrificata alle
convenienze. E quel rifugiarsi altrove trasforma i diritti di tutti in privilegio dei pochi che
hanno le risorse necessarie per far valere le proprie decisioni. La pienezza della
cittadinanza è negata, al suo posto troviamo il risorgere della cittadinanza censitaria. Avrai
tanti diritti quante sono le risorse che puoi impiegare per procurarteli nel mercato del
mondo, inseguendoli magari su Internet. E proprio qui, nel cuore del mondo nuovo della
tecnologia, cogliamo una ambiguità e un rischio, ma pure una chiave per meglio intendere
quali dovrebbero essere i rapporti tra autodeterminazione e responsabilità pubbliche. La
rete è la grande metafora del mondo di oggi, un’occasione di libertà. Ma che cosa diviene
il navigare in rete quando esso non è il frutto di una scelta libera, ma di una ostilità o di un
abbandono che obbligano le persone a rifugiarsi in Internet correndo anche i rischi di una
frequentazione non sempre assistita dalla necessaria consapevolezza critica? Vi è spesso,
in questi casi, una reazione aggressiva, quella di censurare siti ritenuti pericolosi. Una via
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Post/teca
inutile, e impraticabile. La responsabilità pubblica consiste piuttosto nel riconoscere le
buone ragioni dei cittadini e nel creare il contesto all’interno del quale le loro scelte
possano essere davvero libere e consapevoli, mettendoli così al riparo da possibili rischi,
senza cadute autoritarie o scivolate paternalistiche in contrasto con il principio di laicità.
Invece di proclamare a parole, ad esempio, il dovere di accompagnare i morenti, la buona
strada è quella di prevedere, come già fanno diverse leggi, una indennità al familiare che
vuole restare accanto al suo congiunto nella fase finale della sua esistenza. Non è vero,
dunque, che il riconoscimento pieno dell’autodeterminazione segni un radicale congedo da
ogni presenza pubblica. Segna, al contrario, il passaggio dalla presenza aggressiva alla
presenza consapevole. “La percezione della libertà dei cittadini (…) è parte dell’identità
costituzionale della Repubblica Federale di Germania”. Queste sono parole della Corte
costituzionale tedesca nella recentissima sentenza del 2 marzo 2010 sulla conservazione
dei dati personali, una indicazione preziosa nell’orizzonte europeo sul necessario rispetto
della persona “costituzionalizzata”, che ridisegna i doveri degli Stati e potrebbe senza fatica
esser riconosciuta come parte del nostro quadro costituzionale, se la costituzionalità fosse
ancora, nel nostro paese, un bene al quale i poteri pubblici devono inchinarsi
rispettosamente. Percezione è parola forte, che ci porta al di là delle astrazioni e dei doveri
puramente formali, obbliga a un ascolto continuo della società, implica una attenzione per
la concretezza e la materialità del vivere. Proprio questo irrompere della realtà, del vissuto
delle persone, dell’”homme situé” e non disincarnato di cui ci ha parlato Albert Camus,
inquieta. L’autodeterminazione temuta dovrebbe lasciare il posto al ritorno di quello che
davvero sarebbe un fantasma, un soggetto astratto immune dalle contaminazioni della
realtà, decorporalizzato. Ma è questa l’unica via possibile per ricostruire l’universalità del
soggetto? O è proprio la concretezza della persona che ci restituisce un dato di realtà che
unisce e non divide, che implica un mutuo riconoscimento, e così fonda una universalità
che non nasce in opposizione alla diversità? L’astrazione del soggetto era indispensabile
per uscire dalla società degli status e aprire così la via al riconoscimento dell’eguaglianza.
Oggi la stessa eguaglianza ha il suo fondamento nel riconoscimento pieno della diversità,
dunque nell’emergere di una persona che l’entrata nel mondo delle relazioni giuridiche non
espropria della sua individualità. Non è vero, dunque, che in questo modo il soggetto si
autoistituisce, mentre questo dovrebbe essere il compito del diritto. Chi propone questa
tesi è, una volta ancora, prigioniero di vecchie categorie, fraintende il ruolo del diritto, che
avrebbe senso solo se costruisse una dimensione immune dalle contaminazioni della
realtà. Ma ormai il diritto ha dovuto prendere atto della impossibilità di scorporare la
persona dal contesto in cui vive. Dovrebbe saperlo soprattutto la cultura italiana che ha
una guida netta in quell’articolo 3 della Costituzione, che non è una norma a due facce,
l’una volta verso la conservazione dell’eredità, l’eguaglianza formale; l’altra rivolta alla
costruzione del futuro, l’eguaglianza sostanziale. A ben leggere, infatti, la novità si
manifesta fin dalle prime parole di quell’articolo, dove si parla di dignità sociale e, più
avanti, si dà rilievo alle “condizioni personali e sociali”, un riferimento, questo, sconosciuto
330
Post/teca
alle costituzioni del tempo e che sarà ripreso più avanti da costituzioni come quella
spagnola. Proprio l’attenzione per il contesto consente di ritenere impropria
l’identificazione dell’autodeterminazione con l’attribuzione di un potere nella sostanza
arbitrario, insofferente di qualsiasi limite. E, allo stesso tempo, impedisce di leggere i
vincoli esistenti come una smentita della qualificazione dell’autodeterminazione come
diritto fondamentale della persona. L’autodeterminazione vive in un contesto che la collega
con la dignità e la libertà, principi che immediatamente la sottraggono ai condizionamenti
derivanti, in primo luogo, dalla logica di mercato. Diversi documenti internazionali, ultima
la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, vietano che il corpo possa essere
fonte di profitto, ponendo così un principio che riguarda la vita intera. Questa non è
limitazione dell’autodeterminazione, una nuova sua soggezione a logiche paternalistiche. E’
invece la creazione delle condizioni necessarie per sottrarre la persona a forme di
condizionamento legate soprattutto a difficoltà economiche, che possono spingere a fare
del corpo una merce tra le altre. Davvero possiamo confondere la disperazione con la
libertà? L’autodeterminazione come sovranità sul sé, inoltre, identifica un perimetro che
esclude la possibilità di esercitare un potere sugli altri. Lo sappiamo da molto tempo. Ma
qui, tra i tanti, s’incontra un interrogativo radicale: si può costruire l’uomo? Per rispondere,
bisogna distinguere tra ciò che ricade nella sfera della persona e quello che tocca la sfera
di altri. E partire, ad esempio, dalla constatazione delle opportunità sempre più ricche
offerte da scienza e tecnologia non solo per “riparare” il corpo, ma per “migliorarlo”. Dopo
la vicenda di Oskar Pistorius, il corridore sudafricano che corre con due protesi di fibra di
carbonio al posto della parte inferiore delle gambe, un’altra atleta paraolimpica, Aimée
Mullins, ha affermato che “modificare il proprio corpo con la tecnologia non è un
vantaggio, ma un diritto. Sia per chi fa sport a livello professionistico che per l’uomo
comune”. Valutazioni etiche a parte, qui l’autodeterminazione s’incontra con l’eguaglianza.
Chi potrà godere dell’offerta tecnologica? Solo i benestanti? Si delinea così lo scenario di
una società castale, le cui preoccupazioni si manifestano sempre più frequentemente,
com’è di recente avvenuto quando si è appreso di una ricerca biologica che, condotta
finora sui topi, promette straordinari miglioramenti di memoria e intelligenza. Una volta
ammessa l’autodeterminazione, in queste materia diventa essenziale l’eguaglianza
nell’accesso. Rischiamo, altrimenti, non tanto quella che è stata descritta come una
possibile guerra tra umani e post-umani, ma un profondo, drammatico “human divide”,
l’estrema diseguaglianza incarnata nei corpi. Ma costruire un altro? Lasciamo da parte casi
limite come quello della clonazione o quello, reale e ben più inquietante, della decisione di
usare le tecniche riproduttive per far nascere un figlio sordomuto, che i genitori,
sordomuti, ritenevano meglio accetto nella loro comunità. In quest’ultimo caso, l’abuso del
potere di scelta consiste nel condannare un altro ad una “vita dannosa”, già ritenuta dalla
giurisprudenza una pretesa inammissibile, fonte di responsabilità per danni a carico dei
genitori, tanto da far parlare di un “diritto di non nascere”. Ben diverso si presenta il caso
del ricorso alla terapia genica per evitare la trasmissione di malattie. Davvero la scelta dei
331
Post/teca
genitori violerebbe un diritto a ricevere un patrimonio genetico non modificato o
dev’essere piuttosto collocata nella ben diversa dimensione della cura? Via via che si entra
nel mondo nuovo della scienza e della tecnologia l’autodeterminazione guadagna nuovi
spazi e, proprio per questo, richiede un ambiente pienamente laicizzato, dove tutte le
opportunità possano essere valutate senza pregiudizi e avendo come riferimento primario i
diritti della persona. Pensare che da dilemmi sempre più difficili si possa uscire limitando
l’autodeterminazione, non rappresenta soltanto una forzatura, ma può divenire una mossa
che pregiudica la stessa libera costruzione della personalità, il nostro libero stare nel
mondo. Scienza e tecnologia non aprono soltanto spazi di libertà, e così possono
affrancare da costrizioni naturali e culturali. Avviano anche processi di espropriazione, di
riduzione drammatica della libertà di scelta che possono essere contrastati proprio
esaltando al massimo le potenzialità dell’autodeterminazione. Non voglio qui insistere sulle
tecnologie del controllo. Voglio segnalare quella che chiamerei la consegna della persona
alla società dell’algoritmo. Riflettendo sull’ultima crisi finanziaria, si è messo in evidenza
come molte decisioni sugli investimenti fossero affidate ad algoritmi messi a punto da
matematici e fisici. Una delle potenze che governano il mondo, Google, è stata costruita
sulla base di un algoritmo che decide su raccolta, selezione, presentazione delle
informazioni. Algoritmi sono sempre più alla base della ininterrotta produzione di profili
individuali, familiari, di gruppo, che sono divenuti elemento costitutivo della società della
classificazione e producono nuove gerarchie sociali. La stessa costruzione del’identità viene
sottratta alla consapevolezza della persona e affidata all’“autonomic computing”. La
persona di nuovo consegnata all’astrazione, disincarnata, ridotta a fantasma tecnologico?
Se la dimensione della laicità e dell’autodeterminazione si connota sempre più nettamente
come il presidio della persona contro l’invadenza di qualsiasi potere, di queste nuove
prospettive, e dei nuovi poteri che esse manifestano, non possiamo disinteressarci. Si
torna così alle parole iniziali, senza la pretesa di chiudere un cerchio, ma sottolineando con
più convinzione come a quel principio e a quel diritto sia affidata la pienezza della persona.
Non dirò che la laicità sia il più umano dei principi, ma pure ad esso è affidata la nostra
problematica umanità.
Stefano Rodotà Laicità e governo sulla vita
1 A. Wolfe, The Final Freedom, in “The New York Times Magazine”, 18 marzo 2001.
2 L. M. Friedman, The Republic of Choice. Law, Authority and Culture, Harvard U. P.,
Cambridge (Mass.), 1990.
3 P. Zatti, Maschere del diritto volti della vita, Giuffré, Milano, 2009, p. 86.
4 J. Locke, Il secondo trattato sul governo (1690), sec. 44.
5 B. Duden, Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull’abuso del concetto di vita, tr. it
di G. Maneri, Bollati Boringhieri, Torino, 1994. note
332
Post/teca
fonte: http://giannicuperlo.ilcannocchiale.it/2010/12/20/laicita.html
-----------------
”Ho studiato moltissimi filosofi e moltissimi
gatti. La saggezza felina è infinitamente
superiore”.
Hippolyte Taine
333
Post/teca
20110120
"Camminare è come ballare, un ballo
solitario e sensuale."
— Imparare a camminare sui tacchi, Spora on Vanity blog (via spora)
(via batchiara)
-------------------
"No, ma veramente ho voglia di un viaggio
vecchio stile. Nessuna mail, nessun post sul
blog, nessuna foto su tumblr, cellulare
spento. Un viaggio stile “andatevene a fare in
culo tutti, io sono felice e ve lo faccio sapere
solo tramite lettere che arriveranno già
vecchie”."
—
Io, parlando con un’amica. (via micronemo)
E io approvo.
via: http://curiositasmundi.tumblr.com/
-------------------
"Molti uomini vivono in pacifica coesistenza
con la propria coscienza sporca."
—
- Henry Miller
(via imlmfm)
334
Post/teca
----------------
"Difficile dimenticare il silenzio che seguì:
nessun deputato si alzò, e ancor oggi la
nostra storia stenta a non essere storia
criminale. Ancor oggi si vorrebbe sapere
perché i deputati che si ritenevano onesti
rimasero appiccicati alla poltrona. Craxi pagò
appropriatamente, perché le sentenze erano
passate in giudicato e la legge è legge, ma
pagò per molti: anche per Berlusconi, che
con il suo aiuto costruì il proprio apparato di
persuasione televisiva e profittò del crollo
della Prima Repubblica sostituendola con un
suo privato giro di corrotti e corruttori. I
deputati rischiano di restar seduti anche
oggi, come allora: per schiavitù volontaria, o
peggio. Il sermone oggi necessario deve
essere un impegno a che simili ignominie
non si ripetano. Proprio perché il conflitto
d’interessi è sorpassato, e siamo di fronte a
un conflitto fra decenza e oscenità, fra
335
Post/teca
servizio dello Stato e servizio dei propri
comodi, fra libertinaggio innocente e
libertinaggio commisto a reati. Da molto
tempo, c’è chi ha smesso di parlare di Palazzo
Chigi: preferisce parlare di palazzo Grazioli
come sede dell’esecutivo, e fa bene. Che si
salvi, almeno, l’aura associata ai luoghi
italiani del potere. Domenica scorsa,
Berlusconi ha fatto dichiarazioni singolari,
oltre che ridicole. Definendo gravissima,
inaccettabile, illegale, l’intromissione dei
magistrati nella vita degli italiani ha detto:
“Perché quello che i cittadini di una libera
democrazia fanno nelle mura domestiche
riguarda solo loro. Questo è un principio
valido per tutti, e deve valere per tutti. Anche
per me”. L’uguaglianza fra cittadini equivale
per lui alla libertà di fare quel che si vuole, in
casa: anche un reato, magari. Non riguarda
certo l’uguaglianza di fronte alla legge.
L’antinomia stride, e offende. Siamo ben
336
Post/teca
lontani dall’ingiunzione di Eraclito, se tutto
diventa lecito nelle mura domestiche, e non
appena succede qualcosa di criminoso
l’uguaglianza cessa d’un colpo, e comincia
l’età dei porci di Orwell, in cui tutti sono
uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri."
— Il sermone della decenza - Repubblica.it (via flatguy)
(via mumblemumblr)
----------------
"Col tempo si dimentica perfino la paura di
calpestare le righe tra le piastrelle."
— David Grossmann, Che tu sia per me il coltello. (via bloodylabyrinth)
(Fonte: valinonfarumore, via soggettismarriti)
-----------------
I giudici se vogliono giudicare bisogna che si
facciano eleggere
i giornalisti se vogliono scrivere non devono
criticare
i sindacalisti devono alzarsi in piedi quando
mi vedono entrare
l’opposizione non deve opporsi se no non
337
Post/teca
vale
e insomma una buona volta lasciatemi
lavorare
ho sei ville in Sardegna e le bollette da pagare
e forse dovrei farmi ricoverare
Mi consenta mi consenta senta
c’è troppa anomalia in questa società violenta
I giudici se vogliono restare non ci devono
arrestare
la stampa estera l’Italia non la deve
riguardare
e io a casa mia mangio con chi mi pare
e insomma Bettino smettila di telefonare
più di quello che ho fatto proprio non lo
posso fare
ho sei televisioni sulle spalle da mantenere
e forse mi dovrei far ricoverare
Mi consenta mi consenta senta
c’è troppa finanza in questa società violenta
338
Post/teca
E i tre saggi se sono saggi non si devono
impicciare
e la Rai deve essere complementare
e perdio spiegatemi cosa vuol dire
complementare
e non dite che non so l’italiano che mi fate
incazzare
e i giudici i processi li devono stipulare
e i giornalisti non devono esageracerbare
e forse mi dovrei far ricoverare
Mi consenta mi consenta senta
c’è troppa poca Fininvest in questa società
violenta
E i giudici si alzino in piedi prima di
giudicare
e se la mafia mi vota cosa ci posso fare
e il milione di posti l’avevo detto per
scherzare
e voglio tremila guardie del corpo che mi
devono guardare
339
Post/teca
e un ritratto di sei metri vestito da
imperatore
e che sono fascista non me lo dovete dire
e i giornalisti prima di scrivere si facciano
eleggere
e i rigori contro il Milan non li dovete dare
e gli agit-prop vadano in Russia ad
agitproppare
e non chiamatemi Bokassa o vi faccio fucilare
e i giudici il paese non lo possono sventrare
e a me gli avvisi di garanzia non li dovete
mandare
e forse mi dovrei un po’ calmare
ma se io sono Dio cosa ci posso fare
Mi consenta mi consenta senta
no c’è più religione in questa società violenta
"
—
Stefano Benni, Bokassa Rap
tratto da ”Il Manifesto” di venerdì 29 luglio 1994
(via checcachicchi)
------------------------
340
Post/teca
"Casa non è dove vivi, è dove ti capiscono"
— (via stenmind)
(via batchiara)
----------------
"E’ una cosa ben schifosa, il successo.
La sua falsa somiglianza con il merito
inganna gli uomini."
—
- Victor Hugo
(via imlmfm)
-------------
Manager filosofi e secoli
in svendita
imlmfm:
Tutti padroni, tutti leader, tutti ribelli. Tutti filosofi manager, benefattori della
patria. Tutti liberisti, anzi liberi, di decidere sulla pelle degli altri. Fanno
offerte che non puoi rifiutare. Perché la legge del mercato, sai com’è. Lo
sappiamo: non esiste. Altrimenti ci spieghino com’è possibile che un pugno di
speculatori abbia il potere di ridurre sul lastrico decine di milioni di persone,
intere nazioni, così, da un giorno all’altro. A meno che non intendano la legge
della giungla. Ma che si dica, senza ipocrisie. Tutti padroni, tutti leader, tutti
ribelli. Anche i democratici, pure tanti a sinistra. Parlano di una classe politica
oscena. Autobiografici. In nome del mercato, tutto è lecito: umiliare i
lavoratori, screditare chi non piega il capo, permettere che tutto resti uguale.
Anche cancellare cent’anni di lotte combattute nei campi del sud, nelle
fabbriche a nord, in altri paesi lontani, dove i nostri nonni fuggirono per un
futuro meno amaro, dopo essere scampati alla fame e alle trincee. Ma se è
questo il gioco, giocatelo voi. Andate avanti, anzi, rotolate giù fino al fondo del
341
Post/teca
burrone. Non potremo che tirare un sospiro di sollievo. E non ci fermeremo
sull’orlo per guardarvi cadere: saremo già al lavoro per rimuovere le vostre
macerie.
----------------------
"El burdo fascismo berlusconiano, la
vulgaridad extrema de los perfectos
ignorantes de la Lega Nord y la pasividad
cómplice de los llamados partidos de “centro
derecha” son los responsables de esta odiosa
forma de censura. De aquí a quemar libros en
la plaza pública no hay más que un paso.
Pobre Italia, gobernada por un anciano
degenerado, y en manos de la peor escoria de
la sociedad."
—
Luis Sepulveda (aggiornamento in coda a Profezie post coitum Michela Murgia)
“en manos de la peor escoria de la sociedad”
(via emmanuelnegro)
(Fonte: uomoinpolvere, via ufficioreclami)
---------------------
“La vita è così: un giorno non hai possibilità e l’altro te le giochi male.”
—
via: http://lalumacahatrecorna.tumblr.com/
342
L’amore non è il mio forte.: (via
youcanwearit)
Post/teca
---------------------
“ma che c’hai nel cervello due neuroni? uno che va sull’altalena e l’artro che
spigne?”
—
detto zen romano (via animo-to)
via: http://lalumacahatrecorna.tumblr.com/
------------------------
Constatazioni.
inpuntadinote:
Ho bisogno di una libreria nuova.
Di una casa nuova, di una vita nuova, di una nuova me.
via: http://lalumacahatrecorna.tumblr.com/
------------------
Mi hanno detto: "Ci vuole coraggio!"
chouchouette:
Mi mancano i libri, le alzatacce alle 6 del mattino per correre al treno e le
corse alle 6 di sera per tornare a casa. Mi manca l’odore della biblioteca di
lettere e la sua luce quando fuori piove. Mi manca il suo giardino in
primavera e il chiacchericcio degli studenti che si ripetono teorie, filosofie e
autori nei giorni prima degli esami. Mi manca la mia assuefazione dentro le
parole dei testi da studiare, il mio leggere e sottolineare e continuare a fare
schemi inutili. Mi manca la paranoia pre-esame e il mio ripetere lateoria del
foglio bianco mentre andiamo a darlo, il vostro “non so niente”, “non mi
ricordo niente” e i caffè offerti perchè alla fine abbiamo preso il voto che ci
meritavamo o l’ombra di vino quando non succedeva. Mi mancano i “dai, ce
la possiamo fare!” i “quando ha spiegato questo non c’ero!” e tutti i pensieri
per laurearsi e far valere la borsa di studio chè altrimenti i soldi per studiare
non c’erano. Mi mancate voi e l’attesa, il giorno della discussione, che
sembra non arrivare mai, che vuoi che non arrivi mai ma continui a dire a
tutti che non vedi l’ora che arrivi… E poi? Aspetti un anno, ti prometti di
iscriverti alla specialistica, ma oggi un anno equivale ad una vita e le cose
343
Post/teca
cambiano a ritmi sconvolgenti, non hai perso la passione e la voglia di
immergenti di nuovo nella routine corso-studio-esame, a costo di fare mille
sacrifici, ma adesso è come se non dipendesse più da te, la borsa di studio
sembra un privilegio, il posto d’alloggio un giochetto da furbi e ti accorgi che
per le passioni ci vuole corraggio, anche per quelle che dovrebbero essere
un tuo diritto.
Ho p a u r a.
via: http://coactusvolui.tumblr.com/
---------------------“A- sei un bugiardo cronico
B- è vero
A- sei un bugiardo a priori, a prescindere
B- sì
A- ma io ti scopro sempre sempre sempre
B- lo so
A- e sai perchè? … Lo sai?
B silenzio
A- perchè anch’io sono una bugiarda cronica, una bugiarda a priori, a
prescindere, una bugiarda senza sensi di colpa
B- bene
A- no, bene un cazzo. Bene un cazzo. Perchè ogni cazzata che mi racconti,
ogni minima cazzata, io lo so che è una cazzata perchè probabilmente avrei
detto la stessa cazzata io, uguale. E non te ne farò passare una
B- e che facciamo?
A- che facciamo?
B- te ne vuoi andare? me ne devo andare?
A- no. Stiamo insieme per sempre. Per sempre. Insieme e in paranoia
B- in paranoia…
A- sì. In paranoia. All’erta. Sapendo che ce lo vogliamo mettere in culo con
amore il più possibile
B- ma non è colpa nostra
A- no, infatti. E ti controllerò ogni messaggio in entrata e in uscita nel cellulare
344
Post/teca
B- e io scoprirò la tua password e ti leggerò la posta elettronica ogni ora
A- e io ti frugherò nelle tasche dei pantaloni per trovare dei bigliettini o degli
accendini regalati da chissà-chi
B- e io ti controllerò nelle tasche laterali della macchina per cercare cd ed
oggetti sospetti
A- e io contrellerò gli scontrini che hai nelle tasche del giacchetto per vedere
se hai pagato una o due colazioni
B- …io controllerò se trovo la ricevuta di un’autostrada per andare da qualche
parte che non mi avevi detto
A- io controllerò se nello scontrino della spesa c’è qualcosa che non arriva a
casa
B- e io controllerò le lenzuola e se le cambi troppo spesso ti chiederò perchè
e se non le cambi le annuserò e cercherò dei capelli sul cuscino
A- e io ti controllerò scrupolosamente ogni data di ogni dedica su ogni libro
B- e io ti controllerò il cestino della spazzatura di camera per vedere se ci
sono preservativi, lettere, cerotti, cicche di sigarette che tu non fumi
A- e io guarderò nel lavello quanti piatti e quanti bicchieri ci sono da lavare
dopo che mi hai detto di aver cenato da solo
B- e io ti chiederò chi ti ha messo in testa quella canzone che canticchi
A- e io ti controllerò i titoli delle playlist di I-tunes perchè non si sa mai
B- eh?
A- sì, non si sa mai
B- e io vorrò sapere con chi stavi parlando al telefono con quella voce
A- e io ti risponderò di farti i cazzi tuoi!
A e B ridono. Ridono molto. Moltissimo
A- e un giorno troverò un capello lungo e rosso arrivato col vento dalla
finestra nella vasca
B- e io troverò una mail di un fidanzato di quando avevi 12 anni
A- e io troverò uno scontrino con due cene al giapponese che magari ci sei
andato con la tua mamma, ma magari no
B- e io troverò un biglietto dell’eurostar Mestre-Udine e non saprò che cazzo
ci sei andata a fare
A- e magari me lo avevano dato per fare un filtro
B- magari
A- però mi urlerai qualcosa
B- ti manderò affanculo
345
Post/teca
A- e io scoprirò del rossetto su una tazzina da caffè
B- e andrai a letto con qualcun’altro
A- e andrò sicuramente a letto con qualcun’altro
B- ma questo credo che non lo scoprirò mai
A- credo anch’io
B- sarà sicuramente qualcuno di cui non sono mai stato geloso
A- sarà qualcuno di cui non hai mai sentito neanche parlare
B- e allora anch’io ti tradirò
A- ma non lo sapremo mai
B- mai
A- ti amo
B- anch’io.”
—
DIALOGO, da una nota su FB (via
youcanwearit)
via: http://plettrude.tumblr.com/
------------------
“
Non è un paragone col nostro Premier, intendiamoci, però risulta che Hitler
fosse sotto controllo medico ben più di una persona normale. Che, per tenere
botta fosse costantemente dopato, letteralmente, e assumesse regolarmente
qualcosa come 82 farmaci diversi. La pervitina, ad esempio, che è un
eccitante oggi noto come crystal meth o “droga del Führer”, gli veniva
somministrata per mantenerlo negli incontri pubblici e nei meeting
adeguatamente hitleriano: nel senso che non si poteva permettere che
qualcuno, dopo averlo visto, ne ricavasse un’impressione di ammosciamento.
Allo stesso modo, avendo la necessità di essere un amante all’altezza del
suo potere, pare provato che Hitler si sottoponesse a forti dosi di testosterone
e di ormoni prelevati dalla prostata o dallo sperma di tori giovani, una specie
di Red Bull ante litteram disgustosa solo a dirsi ma necessaria - secondo le
convinzioni mediche dell’epoca - a garantire una potenza sessuale, anche
quella, adeguatamente hitleriana. Faccende di Stato e faccende di letto si
mischiano, quindi, non da oggi.
Poi c’è la questione delle flatulenze, sì insomma delle puzzette, che è
346
Post/teca
tragicamente incredibile: vegetariano, cronicamente afflitto da meteorismo,
Hitler non poteva certo permettersi di emettere gas intestinali durante qualche
delicato incontro con capi di stato o generali. Per evitargli l’imbarazzo, nei
decenni, è stato curato facendogli assumere con regolarità un farmaco a
base di stricnina, un alcaloide potente e mortale che in quegli anni, in piccole
dosi, veniva usato per scopi medici. Solo che, se assunto per molto tempo,
ha tra i suoi effetti collaterali convulsioni, delirio, paranoia, e infine pazzia.
Pensare che la Seconda Guerra Mondiale, l’Olocausto, siano stati causati da
un uomo che era tenuto costantemente fatto come un cammello e
mitridatizzato al veleno per ragioni di flatulenza, beh, è uno scherzo atroce
impossibile da accettare.
”
—
War Berlusconi krank? (via
hneeta)
via: http://verita-supposta.tumblr.com/
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Il volto spietato del potere
di GIUSEPPE D'AVANZO
IL berlusconismo arriva al suo compimento. Ci dovevamo arrivare prima o poi
e ora - ecco - ci siamo. Quel che si scorge è l'inizio di un lungo tormento.
Sapevamo di vivere in un Paese dove al governo c'è un uomo solo - un
grottesco Egoarca - che altrove sarebbe già stato allontanato per la sua
evidente inadeguatezza politica e insufficienza etica. Sapevamo che
quell'uomo solo, che stringe nelle sue mani il filo del potere economico,
politico e mediatico, non può permettersi di allontanarsi dal governo perché è
il governare, è il potere, sono i dispositivi di dominio che proteggono l'opacità
della sua storia, l'irresponsabilità dei suoi comportamenti, il suo futuro. Buona
parte dei disordini istituzionali che hanno accompagnato la vita pubblica degli
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Post/teca
ultimi quindici anni - lo sappiamo - è figlia di questa anomala e umiliante
condizione in cui viviamo; una condizione che sollecita in tanti o la
rassegnazione o una depressione cinica. Ci aspettavamo giorni difficili, ci
attendono lacrime e sangue. Non bisogna nasconderselo perché, dopo il
videomessaggio di Berlusconi, c'è una circostanza che è diventata chiara
come acqua di fonte: quell'uomo non vorrà mai lasciare il Palazzo, qualsiasi
cosa accada, qualsiasi siano le sue responsabilità accertate, qualsiasi siano
le urgenze del Paese.
Il Sovrano, accusato di concussione e di aver fatto sesso con una minorenne,
non accetta di farsi processare. Esige di essere immune. Comunica che se
l'impunità gli sarà negata, spingerà la sua avventura autocratica fino alle
estreme conseguenze, incurante di condurre l'Italia nel gorgo di un tragico
conflitto e le istituzioni dello Stato al collasso con risultati oggi del tutto
imprevedibili per il futuro del Paese.
La risolutezza annunciata dal capo del governo non è la caparbietà di un
"combattente nato", come pure qualche anima fioca dirà. È la nascita di un
potere postpolitico e neoautoritario. È postpolitico perché il processo del
governare - che cosa è necessario al Paese? qual è l'agenda delle priorità?
come affrontarla? - è ormai del tutto separato e scisso dallo spettacolo
mediatico che diventa la più autentica rappresentazione del nostro destino
pubblico. Questa scena di cartapesta, che impasta e mescola la realtà
trasfigurandola, liquida del tutto i meccanismi democratici che diventano
irrilevanti al punto che esprimono soltanto un vuoto. Il capo dello Stato, che
ha chiesto appena 24 ore fa trasparenza, è sconfessato. Il Parlamento dei
nominati mostra tutta la sua ininfluenza. L'opposizione non trova nemmeno il
luogo per esercitare le sue prerogative.
È un potere neoautoritario perché Berlusconi è stato esplicito: "la
magistratura sarà punita". Chi gli ha scritto il discorso aveva consigliato
"adeguata reazione". Il capo del governo ha corretto "punizione". Perché gli è
chiara la strada che intende esplorare: l'unificazione nella sua persona di tutti
i poteri. C'è un ostacolo lungo questa via: l'indipendenza del potere
giudiziario. Deve essere liquidata. È quel che reclama. Con animo da
mercante, potrebbe ripensarci soltanto se gli sarà concessa l'impunità (già si
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Post/teca
ode il lavorio di chi crede alla possibilità di "ridurre il danno").
In ogni caso il capo del governo annuncia nuove misure graduali da stato di
emergenza perché è un'emergenza l'autonomia della magistratura anche se il
solo a sentirsi minacciato è lui. "State sereni", dice Berlusconi. È una frase
chiave. Ci rassicura: la vita andrà avanti normalmente con le sue
permissività, i suoi piaceri, i suoi sogni ma - purtroppo - per colpa di una
magistratura che lavora con fini politici occorre qualche misura eccezionale
necessaria per proteggere la cosiddetta "libertà" che nel lessico del Sovrano
equivale a "piacere". Si avvera la profezia di Slavoj Zizek. Nel futuro dell'Italia
appare una sorta di autoritarismo permissivo che ha per formula più
divertimento e più misure straordinarie. Più "piacere" e meno libertà.
Sapremo comprendere i principi eversivi di questo discorso? C'è ancora da
qualche parte nella nazione un amor proprio che avverte come degradante,
disonorevole, vergognoso per tutti la presenza di quest'uomo al vertice dello
Stato? Ammesso che davvero esista nella nostra democrazia
ipermediatizzata, si riuscirà a rendere consapevole l'opinione pubblica di che
cosa è accaduto, di perché accaduto e per responsabilità di chi.
Nel suo monologo - mai che l'arrogante accetti un contraddittorio, una
domanda, la contestazione di "un fatto" - Berlusconi ha truccato le carte come
gli accade sempre. Come è possibile dimostrare, ha corrotto Ruby, l'ha
costretta a tacere di aver fatto sesso con lui, minorenne. Si è fatto firmare una
dichiarazione che lo scagiona. Berlusconi l'ha letta ieri in tv condendo la sua
difesa con bubbole e fiabe: mi difenderei volentieri nel processo (questo è un
falso indiscutibile), ma la procura di Milano è incompetente (altro falso); non
ho mai toccato quella ragazza (ancora un falso). È un altro aspetto della
nostra nascente democrazia neoautoritaria. Il Sultano pretende che il potere
delle sue parole sulla realtà e sui nostri stessi ricordi sia, per noi, illimitato e
indiscusso. È il paradigma che sempre il capo del governo oppone ai fatti
nella convinzione che, in ogni occasione, la forza del suo triplice potere possa
piegare la verità, ogni verità, tutte le evidenze. Corrompe i testimoni (già gli è
capitato con David Mills, ora c'è ricascato con Ruby che dice: mi vestirà
d'oro). Impone all'informazione che possiede e controlla di far deflagrare
quelle "verità capovolte" nella mente e nei cuori degli italiani che, otto su
dieci, s'informano dalla tv e dunque da fonti quasi esclusivamente sue.
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Trasforma un suo affare privato in un affare pubblico mobilitando le istituzioni
(governo, parlamento) che considera cosa sua. Questo spettacolo nero ha un
significato politico. Berlusconi ci dice che, al di fuori della sua "verità", non ce
ne può essere un'altra. Vuole ricordarci che la memoria individuale e
collettiva è a suo appannaggio, una sua proprietà, manipolabile a piacere. Si
scorge oggi nell'affaire Ruby, come nella "crisi di Casoria" del 2009, un uso
della menzogna come funzione distruttiva del potere che scongiura l'irruzione
del reale e oscura i fatti. Si misura l'impiego dei media sotto controllo diretto o
indiretto del premier come fabbrica di menzogne che finora ha preparato il
castigo per chi dissente e da oggi annuncia la "punizione" delle istituzioni
dello Stato che non si conformano. Quel che è abbiamo visto ieri in
televisione è il nuovo volto di un potere che diventerà spietato, se politica e
società non si uniranno per fermarlo. È il paradigma di una macchina politica
che deve convincerci della pericolosità di Berlusconi. C'è ancora qualcuno
che può pensare che questa sia la trama di un gossip o l'ennesimo episodio
del conflitto tra politica e magistratura? Diffidate di chi vi racconterà queste
favole. Berlusconi sta mettendo le mani sulla nostra democrazia e bisogna
decidere soltanto che la misura è colma.
(20 gennaio 2011)
fonte: http://www.repubblica.it/politica/2011/01/20/news/il_volto_spietato_del_potere-11430387/?
ref=HRER3-1
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Il viaggiatore leggero
Sellerio ristampa la raccolta di articoli di Alex Langer, con la prefazione di Goffredo Fofi
20 GENNAIO 2011
L’editore Sellerio ha ristampato una raccolta di articoli di Alex Langer che era uscita
nel 1996 con il titolo “Il viaggiatore leggero“. Langer fu un intellettuale e politico
ambientalista e pacifista, prima di uccidersi a 49 anni nel 1995. Di lui parla Goffredo
Fofi nella prefazione del libro. Pubblichiamo anche l’ultimo articolo di Langer
contenuto nella raccolta.
Se si dovesse chiudere in una formula ciò che Alex Langer ci ha insegnato, essa
non potrebbe che essere: piantare la carità nella politica. Proprio piantare, non
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inserire, trasferire, insediare. E cioè farle metter radici, farla crescere, difenderne la
forza, la possibilità di ridare alla politica il valore della responsabilità di uno e di tutti
verso «la cosa pubblica», il «bene comune», verso una solidarietà tra gli umani e
tra loro e le altre creature secondo il progetto o sogno di chi «tutti in sé confederati
estima / gli uomini, e tutti abbraccia / con vero amor, porgendo / valida e pronta ed
aspettando aita / negli ultimi perigli e nelle angosce / della guerra comun».
Dico carità nel preciso senso evangelico, poiché Alex era un cristiano, dei non molti
che cercavano di attenersi agli insegnamenti evangelici che era possibile
conoscere in quegli anni nel «movimento» (e oggi sono ancora di meno) e non,
come tanti di noi che gli fummo contemporanei e amici, di fragilissime convinzioni
«marxiste» oppure, al meglio, mossi confusamente da una visione solo etica del
cristianesimo. La «diversità» di Alex, la sua superiorità sui suoi amici e compagni,
gli veniva anche da una storia famigliare più ricca, a cavallo tra lingue e culture, tra
Germania e Italia e tra ebraismo e cattolicesimo, ma nessuno vide mai in questo il
marchio del privilegio, poiché essa era caratterizzata in lui da una convinzione di
umiltà reale e non esibita, non appariscente, dalla propensione all’ascolto degli altri,
di tutti, dalla libertà dei collegamenti e dalla scelta di «far da ponte». Quante volte
Alex Langer non ha teorizzato nei suoi testi la funzione e l’imprescindibile necessità
dei «ponti»?
Ricordava tanti anni fa Piero Calamandrei fondando, a guerra appena conclusa,
una rivista che si chiamava «Il ponte», il significato metaforico ma anche concreto
dei ponti, da riedificare dopo le distruzioni della guerra che si era accanita a
distruggerli. Ponti veri, che gli uni o gli altri avevano fatto saltare, e che dovevano
mettere di nuovo in comunicazione e in «commercio» persone e città, culture e
territori. Ponti ideali, che potessero permettere ai vinti e ai vincitori, tutti infine
perdenti, sopravvissuti ai conflitti e alle stragi e cioè al dominio della morte, di
ritrovare nell’incontro e nel dialogo la possibilità di un futuro migliore.
(L’attaccamento di Alex alle sue radici regionali e la sua ambizione cosmopolita gli
hanno permesso una concretezza precisa, mai parolaia, e una visione ampia,
internazionale, nel filone di quell’utopia che era stata per un tempo di una parte del
movement americano, quella che diceva di doversi preoccupare ostinatamente di
due ambiti da tenere strettamente collegati tra loro: «il mio villaggio e il mondo»). Il
progetto semplicissimo e immenso di far da ponte tra le parti in lotta, che ad Alex
costò infine la vita, è fallito e continua a fallire in un mondo dove le incomprensioni
permangono e prosperano gli odi, sollecitati dai diversi poteri e dal peso dei torti
ricevuti e fatti, di una memoria di gruppo che, invece che rendere aperti, rende più
chiusi alle ragioni degli altri. Poiché troppa memoria può uccidere alla pari della
(nostra, italiana) assenza di memoria. E tuttavia il messaggio di Langer è stato fino
all’ultimo chiaro: se anche c’è chi cade, chi non regge più il peso della storia e della
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Post/teca
solitudine (forse ci si uccide perché ci si sente o si è rimasti soli – ma alcuni, come i
vecchi e i malati, perché si è tagliati via dalla vita – più che per l’oggettiva
debolezza e insicurezza del genere umano e per la fatica di dover continuamente
ricominciare), bisogna imparare dall’esperienza quel che se ne può ricavare, e
andare avanti. Non perché «si spera», ma perché «si ama»: e la «carità» è allora il
centro di tutto, come voleva san Paolo – più della speranza e più della fede.
Alex Langer ha svolto una funzione di ponte in due direzioni prioritarie: quella di
accostare popoli e fazioni, di attutirne lo scontro e di promuoverne l’incontro, e
quella dell’apertura a un rapporto nuovo tra l’uomo e il suo ambiente naturale. E se
nel primo caso, quello più determinato dalle pesanti contingenze della storia (per
Alex, la guerra interna alla ex Jugoslavia), si trattava di far da ponte ma anche da
intercapedine, da camera d’aria dove potesse esprimersi un dialogo assai difficile,
nel secondo si trattava piuttosto di additare nuovi territori all’azione politica
responsabile, allargandone il significato da città a contesto, da polis a natura. Se
sul fronte della pace e della convivenza tra umani di diversa etnia o religione o
parte politica Alex è stato un continuatore, egli è stato su quel secondo fronte un
precursore, uno dei più persuasi pionieri dell’indispensabilità di una visione
ecologica dell’agire politico. Ha visto tra i primi l’arrivo della novità, come lo
Zaccheo del Vangelo che si portò nel luogo più avanzato del suo villaggio e nel suo
punto più alto per poter vedere per primo l’arrivo del Messia, e cioè della Novità, ed
è stato confortato in questo dalla sua conoscenza e vicinanza a uno dei pochi veri
profeti dello scorso secolo, il prete e filosofo che si faceva chiamare Ivan Illich. Tra
l’antico e l’eterno del messaggio cristiano e la verde novità dell’ecologia, tra le
esigenze della pace (gli uomini) e quelle dell’armonia (degli uomini con la natura)
tra loro fittamente intrecciate, sempre più interdipendenti, Langer si è mosso
quotidianamente, attento al presente ma cosciente del passato e
straordinariamente aperto al futuro, al possibile e al doveroso dei compiti della
politica (della militanza, della persuasione). Contro il gioco chiuso del potere. E
contro i ricatti paralleli di un’impazienza non meditata e di una lentezza non ipocrita:
nell’avvicendarsi che appartiene alla storia delle fasi di stasi e di quelle di febbre,
occorre prepararsi nella stasi per saper meglio muoversi nella furia che, prima o
poi, si scatenerà.
Anche se il nostro ritmo e tempo non sono quelli del potere e del capitale, della
violenza che essi propongono o provocano, dobbiamo però conoscerli, studiarli,
contrastarli. L’azione soffre di aver trascurato il pensiero, quando i suoi tempi si
accelerano, e un pensiero senza azione serve a poco, cambia poco. Si tratta allora
di agire su un doppio binario secondo modalità difficili da gestire, che esigono
ponderatezza e prontezza. Ma si tratta anche di saper giudicare la storia – per
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esempio, l’incidenza delle trasformazioni radicali, soggiacenti del sistema
economico, e il peso delle «sovrastrutture» che quelle finiscono per sconvolgere o
scatenare. E si tratta di sapere, nell’idealità di una sintonia dei fini con i mezzi, cosa
è possibile proporre, cosa è doveroso contrastare. Tutto questo Alex Langer ha, mi
pare, tenuto in gran conto. Dopo la secca sconfitta dei movimenti del dopo guerra
mondiale, nel mondo di fantascienza realizzata e di nuova barbarie, di nuovi sistemi
di dominio attuati (tra consumo e consenso) nei paesi ricchi, che in questo
mortuario progetto sono riusciti a coinvolgere quelli poveri ma anche, a volte, a
irritarli fino a provocare la loro risposta più tradizionale e micidiale, quella del
fondamentalismo identitario e religioso, la sfida di Alex è stata infine quella di molti,
ma più lucida e vissuta con più radicale generosità, è stata quella di non accettare
lo stato delle cose, di non darlo per scontato cercando e trovando al suo interno il
proprio spazio, bensì di metterlo in discussione fattivamente: con la rivolta, se
necessario di pochi ma in funzione di tutti. Con maggiore comprensione da parte
sua delle contraddizioni, della complessità dei problemi, e si è trattato allora per lui
di viverle, le contraddizioni, secondo il filo rosso della propria coscienza e delle
proprie convinzioni morali.
Viverle, le contraddizioni – anche le nostre di complici e di oppressi allo stesso
tempo – analizzandole senza paraocchi, e tentando di superarle nel fare, nel «ben
fare».
Contro le verità provvisorie e i fumi delle ideologie, del vitalismo dimentico del
sentimento dell’inquietudine e della domanda, o se vogliamo del tragico.
Riconquistando alla responsabilità verso la collettività, verso la polis, il suo spazio
centrale di azione per il cambiamento positivo, nella direzione dell’affermazione di
una solidarietà «che tutti fra sé confederati estima gli uomini». Si è trattato
insomma per Alex Langer e per pochi altri come lui, e si tratta per noi oggi, di
superare la diffidenza antica e nuovissima per la politica, di continuare o
ricominciare a occuparci della «cosa pubblica» con lo sguardo antico e nuovissimo
di una vocazione insieme profondamente cristiana e limpidamente laica, e con la
coscienza chiara dell’obbligo di superare i nostri limiti, di abbandonare le nostre
acquiescenze, di abbattere i nostri luoghi comuni ridefinendo la politica a partire
dagli obblighi di ciascuno, a partire dal gruppo (le minoranze eticamente
determinate) e dal singolo, chiedendo a noi stessi il massimo, ma del possibile.
E ricordando, come Alex Langer ha sempre avuto ben presente, che «non si lava
con l’acqua sporca» (è il rimprovero che Aldo Capitini faceva ai comunisti) ma
anche – come diceva Charles Péguy parlando di coloro che criticavano chi agiva in
nome di una purezza che la storia, e cioè le necessità dell’intervento, fanno
impossibile – che le mani bisogna almeno averle, e che bisogna saperle usare. Il
sentiero di cresta su cui Alex si è mosso (e l’immagine gli si addice, uomo di
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Post/teca
montagna e di confine) è stato, spinto fin quasi all’estremo, il più esemplare ed
educativo di tutti quelli percorsi dalla sua generazione, il più aperto al confronto con
le contraddizioni della politica e anche il più autenticamente, coerentemente,
lucidamente drammatico e vero. Di questo gli siamo grati, perché è anche a partire
dalle riflessioni sulla sua scelta finale che si può ancora ricominciare, nella
coscienza delle difficoltà e dei limiti delle nostre possibili scelte, della precarietà e
fragilità della nostra condizione di uomini, dell’immane peso della storia ma anche
della necessità di reagire e di dare un senso alla brutalità o al torpore della nostra
vita con scelte degne, nobili, responsabili e chiare oggi più che mai.
Alexander Langer – Caro San Cristoforo
Caro San Cristoforo, non so se tu ti ricorderai di me come io di te. Ero un ragazzo
che ti vedeva dipinto all’esterno di tante piccole chiesette di montagna. Affreschi
spesso sbiaditi, ma ben riconoscibili. Tu – omone grande e grosso, robusto,
barbuto e vecchio – trasportavi il bambino sulle tue spalle da una parte all’altra del
fiume, e si capiva che quella era per te suprema fatica e suprema gioia. Mi feci
raccontare tante volte la storia da mia madre, che non era poi chissà quale esperta
di santi, né devota, ma sapeva affascinarci con i suoi racconti. Così non ho mai
saputo il tuo vero nome, né la tua collocazione ufficiale tra i santi della chiesa (temo
che tu sia stato vittima di una recente epurazione che ti ha degradato a santo
minore o di dubbia esistenza). Ma la tua storia me la ricordo bene, almeno nel
nocciolo. Tu eri uno che sentiva dentro di sé tanta forza e tanta voglia di fare, che
dopo aver militato – rispettato ed onorato per la tua forza e per il successo delle tue
armi – sotto le insegne dei più illustri ed importanti signori del tuo tempo, ti sentivi
sprecato.
Avevi deciso di voler servire solo un padrone che davvero valesse la pena seguire,
una Grande Causa che davvero valesse più delle altre. Forse eri stanco di falsa
gloria, e ne desideravi di quella vera. Non ricordo più come ti venne suggerito di
stabilirti alla riva di un pericoloso fiume per traghettare – grazie alla tua forza fisica
eccezionale – i viandanti che da soli non ce la facessero, né come tu abbia
accettato un così umile servizio che non doveva apparire proprio quella «Grande
Causa» della quale – capivo – eri assetato. Ma so bene che era in quella tua
funzione, vissuta con modestia, che ti capitò di essere richiesto di un servizio a
prima vista assai «al di sotto» delle tue forze: prendere sulle spalle un bambino per
portarlo dall’altra parte, un compito per il quale non occorreva certo essere un
gigante come te ed avere quelle gambone muscolose con cui ti hanno dipinto. Solo
dopo aver iniziato la traversata ti accorgesti che avevi accettato il compito più
gravoso della tua vita, e che dovevi mettercela tutta, con un estremo sforzo, per
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Post/teca
riuscire ad arrivare di là.
Dopo di che comprendesti con chi avevi avuto a che fare, ed avevi trovato il
Signore che valeva la pena servire, tanto che ti rimase per sempre quel nome.
Perché mi rivolgo a te, alle soglie dell’anno 2000? Perché penso che oggi in molti
siamo in una situazione simile alla tua, e che la traversata che ci sta davanti
richieda forze impari, non diversamente da come a te doveva sembrare il tuo
compito in quella notte, tanto da dubitare di farcela. E che la tua avventura possa
essere una parabola di quella che sta dinnanzi a noi. Ormai pare che tutte le grandi
cause riconosciute come tali, molte delle quali senz’altro importanti ed illustri, siano
state servite, anche con dedizione, ed abbiano abbondantemente deluso. Quanti
abbagli, quanti inganni ed auto-inganni, quanti fallimenti, quante conseguenze non
volute (e non più reversibili) di scelte ed invenzioni ritenute generose e provvide.
I veleni della chimica, gettati sulla terra e nelle acque per «migliorare» la natura,
ormai ci tornano indietro: i depositi finali sono i nostri corpi. Ogni bene ed ogni
attività è trasformata in merce, ed ha dunque un suo prezzo: si può comperare,
vendere, affittare. Persino il sangue (dei vivi), gli organi (dei morti e dei vivi), e
l’utero (per una gravidanza in «leasing»). Tutto è diventato fattibile: dal viaggio
interplanetario alla perfezione omicida di Auschwitz, dalla neve artificiale alla
costruzione e manipolazione arbitraria di vita in laboratorio. Il motto dei moderni
giochi olimpici è diventato legge suprema ed universale di una civiltà in espansione
illimitata: «citius, altius, fortius», più veloci, più alti, più forti si deve produrre,
consumare, spostarsi, istruirsi… competere, insomma. La corsa al «più» trionfa
senza pudore, il modello della gara è diventato la matrice riconosciuta ed
enfatizzata di uno stile di vita che sembra irreversibile ed incontenibile. Superare i
limiti, allargare i confini, spingere in avanti la crescita ha caratterizzato in misura
massiccia il tempo del progresso dominato da una legge dell’utilità definita
«economia» e da una legge della scienza definita «tecnologia» – poco importa che
tante volte di necro-economia e di necrotecnologia si sia trattato.
Cosa resterebbe da fare ad un tuo emulo oggi, caro San Cristoforo? Quale è la
Grande Causa per la quale impegnare oggi le migliori forze, anche a costo di
perdere gloria e prestigio agli occhi della gente e di acquattarsi in una capanna alla
riva di un fiume? Qual è il fiume difficile da attraversare, quale sarà il bambino
apparentemente leggero, ma in realtà pesante e decisivo da traghettare? Il cuore
della traversata che ci sta davanti è probabilmente il passaggio da una civiltà del
«di più» ad una del «può bastare» o del «forse è già troppo». Dopo secoli di
progresso, in cui l’andare avanti e la crescita erano la quintessenza stessa del
senso della storia e delle speranze terrene, può sembrare effettivamente impari
pensare di «regredire», cioè di invertire o almeno fermare la corsa del «citius,
altius, fortius». La quale è diventata autodistruttiva, come ormai molti intuiscono e
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Post/teca
devono ammettere (e sono lì a documentarlo l’effetto-serra, l’inquinamento, la
deforestazione, l’invasione di composti chimici non più domabili… ed un ulteriore
lunghissimo elenco di ferite della biosfera e dell’umanità).
Bisogna dunque riscoprire e praticare dei limiti: rallentare (i ritmi di crescita e di
sfruttamento), abbassare (i tassi di inquinamento, di produzione, di consumo),
attenuare (la nostra pressione verso la biosfera, ogni forma di violenza). Un vero
«regresso», rispetto al «più veloce, più alto, più forte». Difficile da accettare, difficile
da fare, difficile persino a dirsi. Tant’è che si continuano a recitare formule che
tentano una contorta quadratura del cerchio parlando di «sviluppo sostenibile» o di
«crescita qualitativa, ma non quantitativa», salvo poi rifugiarsi nella vaghezza
quando si tratta di attraversare in concreto il fiume dell’inversione di tendenza. Ed
invece sarà proprio quello ciò che ci è richiesto, sia per ragioni di salute del pianeta,
sia per ragioni di giustizia: non possiamo moltiplicare per 5-6 miliardi l’impatto
ambientale medio dell’uomo bianco ed industrializzato, se non vogliamo il collasso
della biosfera, ma non possiamo neanche pensare che 1/5 dell’umanità possa
continuare a vivere a spese degli altri 4/5, oltre che della natura e dei posteri. La
traversata da una civiltà impregnata della gara per superare i limiti ad una civiltà
dell’autolimitazione, dell’«enoughness», della «Genügsamkeit» o
«Selbstbescheidung», della frugalità sembra tanto semplice quanto immane. Basti
pensare all’estrema fatica con cuiil fumatore o il tossicomane o l’alcoolista incallito
affrontano la fuoruscita dalla loro dipendenza, pur se magari teoricamente persuasi
dei rischi che corrono se continuano sulla loro strada e forse già colpiti da seri
avvertimenti (infarti, crisi…) sull’insostenibilità della loro condizione. Il medico che
tenta di convincerli invocando o fomentando in loro la paura della morte o
dell’autodistruzione, di solito non riesce a motivarli a cambiare strada, piuttosto
convivono con la mutilazione e cercano rimedi per spostare un po’ più in là la resa
dei conti. Ecco perché mi sei venuto in mente tu, San Cristoforo: sei uno che ha
saputo rinunciare all’esercizio della sua forza fisica e che ha accettato un servizio di
poca gloria. Hai messo il tuo enorme patrimonio di convinzione, di forza e di autodisciplina a servizio di una Grande Causa apparentemente assai umile e modesta.
Ti hanno fatto – forse un po’ abusivamente – diventare il patrono degli automobilisti
(dopo essere stato più propriamente il protettore dei facchini): oggi dovresti ispirare
chi dall’automobile passa alla bicicletta, al treno o all’uso dei propri piedi! Ed il
fiume da attraversare è quello che separa la sponda della perfezione tecnica
sempre più sofisticata da quella dell’autonomi dalle protesi tecnologiche: dovremo
imparare a traghettare dai tanti ai pochi chilowattori, da una super-alimentazione
artificiale ad una nutrizione più equa e più compatibile con l’equilibrio ecologico e
sociale, dalla velocità supersonica a tempi e ritmi più umani e meno energivori,
dalla produzione di troppo calore e troppe scorie inquinanti ad un ciclo più
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Post/teca
armonioso con la natura. Passare, insomma, dalla ricerca del superamento dei
limiti ad un nuovo rispetto di essi e da una civiltà dell’artificializzazione sempre più
spinta ad una riscoperta di semplicità e di frugalità.
Non basteranno la paura della catastrofe ecologica o i primi infarti e collassi della
nostra civiltà (da Cernobyl alle alghe dell’Adriatico, dal clima impazzito agli
spandimenti di petrolio sui mari) a convincerci a cambiare strade. Ci vorrà una
spinta positiva, più simile a quella che ti fece cercare una vita ed un senso diverso
e più alto da quello della tua precedente esistenza di forza e di gloria. La tua
rinuncia alla forza e la decisione di metterti al servizio del bambino ci offre una bella
parabola della «conversione ecologica» oggi necessaria.
Per «Lettera 2000», Eulema editrice, febbraio-marzo 1990.
fonte: http://www.ilpost.it/2011/01/20/il-viaggiatore-leggero/
--------------------
alchemico:
Il Tumblr è una Repubblica Followcratica basata sulle tettone e i
gattini.
via: http://falcemartello.tumblr.com/
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“Di rado va come ci aspettiamo che vada.
Per la precisione,
mai.”
—
somethingbeautifool (via
skiribilla)
via: http://piccole.rispostesenzadomanda.com/
-----------------20/01/2011 -
Chi non è pirata scagli la
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Post/teca
prima pietra
Adrian Johns ha scritto un libro sulla storia della
proprietà intellettuale da Gutenberg a Google: non
sempre violare il diritto d’autore è un male
Don Chisciotte deve difendersi, nel romanzo di Cervantes, da un libro falso che
racconta in modo diverso le sue avventure, tanto che modifica il proprio viaggio,
andando a Barcellona invece che a Saragozza, per sottolineare la differenza della
sua vicenda rispetto a quella che c’è nel testo «pirata»; non solo, fa irruzione in una
stamperia dove i tipografi stanno correggendo il libro impostore. In quel momento
sono passati 150 anni dall’invenzione di Gutenberg, e già il problema del diritto
d’autore e dell’attendibilità delle fonti ha un ruolo importantissimo, centrale, nella
cultura europea. Non solo per quanto riguarda l’aspetto economico.
L’arte della stampa ebbe appena il tempo di essere inventata e cominciò subito un
dibattito molto simile a quello che oggi riguarda Internet: come esser certi che le
informazioni siano vere, come sapere se chi ce le fornisce è veramente ciò che dice
di essere? Nel XVIII secolo Daniel Defoe tuonava contro gli autori di ristampe
abusive definendoli «briganti», la cui esistenza suonava di per sé come rimprovero
«a una nazione ben governata». Ma senza le ristampe abusive, imprecise,
pasticciate, cambiate arbitrariamente rispetto all’originale, forse non ci sarebbe
stato l’Illuminismo, che proprio nelle gerle dei librai «pirati» ha compiuto la sua
lunga marcia attraverso l’Europa, come ha dimostrato lo storico Robert Darnton. Di
«pirateria» intellettuale si cominciò a parlare in modo esplicito a Londra tra il 1695
e il 1710, dopo la «Gloriosa rivoluzione» contro gli Stuart e la fine dell’assolutismo
monarchico, per analogia con il boom dei pirati veri, nei Caraibi. Il termine entrò
nei dizionari per non uscirne mai più.
Ora uno studioso dell’Università di Chicago, Adrian Johns, ne ha affrontato la storia
in un libro che esce per Bollati Boringhieri, Pirateria, storia della proprietà
intellettuale da Gutenberg a Google, e che con le sue 700 pagine è un saggio
impressionante per ricchezza di dati e analisi, e una lettura affascinante. «Pirateria
e proprietà intellettuale - scrive - nacquero entrambi come fenomeni legati alla
stampa, e ne avrebbero seguito le sorti fino alla proliferazione di nuovi mezzi di
comunicazione, intorno al 1900». Dall’attenta analisi storica emerge che l’una non
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Post/teca
rappresenta sempre il male, l’altra non incarna il bene, la difesa di un diritto
inalienabile. Un atteggiamento «pirata» fu ad esempio in Inghilterra la difesa della
libertà contro la pretesa del sovrano di concedere patenti di esclusiva; molti
intellettuali, per esempio Newton o Voltaire, giocavano con i libri «abusivi» per
argomentare le loro tesi più audaci, pronti a disconoscere quelle pubblicazioni come
«false» e arbitrarie in caso di difficoltà col potere.
L’Illuminismo fu per molti aspetti una nave pirata, e la scienza sperimentale, per
affermarsi tra mille contrasti, non disdegnò quel vessillo. Non solo nel Settecento.
Johns studia tra gli altri un fenomeno poco noto, più vicino ai giorni nostri: quello
delle registrazioni musicali abusive fiorite con la diffusione della radio. In
Inghilterra si arrivò, per combatterle, a irruzioni nelle case private, che però i
giudici condannavano come violazioni della privacy. Il senso generale della sua
analisi è che la pirateria va considerata come una sorta di Leitmotiv della
modernità, e può essere una rivendicazione di libertà, non solo un modo truffaldino
per far soldi. «Dobbiamo riconoscere che non è il puro e semplice furto cui siamo
per lo più abituati a pensare - ci spiega dal suo studio di Chicago -. Una grande
varietà di pratiche sono state definite pirateria, nei secoli. Alcune di esse non erano
affatto illegali, come per esempio la libera ripubblicazione di libri europei negli Stati
Uniti, durante il XIX secolo. Ciò dette luogo a un importante dibattito sul rapporto
tra autore e originalità, e su come definire una sistema di leggi e una moralità nelle
comunicazioni».
La conclusione del libro è che gli enormi problemi di oggi (da Google alla tematica
del copy-less nata su Internet, ma anche per i brevetti soprattutto farmaceutici) non
possono essere affrontati senza una adeguata considerazione storica, e soprattutto
senza la consapevolezza che il diritto d’autore come lo conosciamo è un’invenzione
recente, codificata nell’Ottocento. Ma quali sono le conseguenze pratiche, sul piano
delle decisioni da prendere? «Una sensibilità storica ci aiuta a comprendere che
oggi ci sono molti problemi, e vanno al di là dei comportamenti individuali di
appropriazione truffaldina - è la risposta -. Anzi, ho il sospetto che molte delle
iniziative contro la “pirateria” intellettuale siano inefficaci proprio perché non
tengono conto di questo retroterra. Prenderlo in considerazione non semplifica le
cose, ma almeno ci fa capire gli effetti che possono avere le misure adottate di volta
in volta per affrontare il problema».
Narra Tucidide che i pirati erano in origine signori della guerra lungo le coste del
Mediterraneo, e prima dell’ascesa di Atene questa attività era considerata del tutto
onorevole. Le città-stato, quindi la civiltà greca, nacquero dall’esigenza di limitarne
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Post/teca
i danni. Il risultato fu che gli ateniesi «deposero l’uso di camminare armati...
diventarono meno austeri, più delicati». Adrian Johns ne ricava che «la
civilizzazione era l’antitesi della pirateria». Oggi però, nelle pratiche quotidiane, nei
nostri comportamenti comunicativi, in qualche modo «siamo tutti pirati». È finita
l’era del copyright? «No, non penso - ci dice lo studioso -. Ma potrebbe finire con la
prossima generazione. Il progetto di digitalizzazione universale di Google potrebbe
funzionare trovando un equilibrio tra tutte le forze in campo, e cioè editori,
pubblico, autori. Ma potrebbe anche non funzionare. E a quel punto tutto sarebbe
possibile».
L’attuale lotta contro la pirateria, o a seconda dei punti di vista contro il copy-less, è
tempo perso? «No, non lo penso affatto. Per molti aspetti sono favorevole a essa.
Non penso che le democrazie liberali possano vivere in un sistema di violazione di
massa di leggi regolarmente approvate. La pirateria intellettuale può costituire una
grave minaccia, per esempio in campo farmaceutico». Dove il cittadino sempre più
spesso non sa più esattamente che tipo di medicine stia comprando e quali possano
essere i loro effetti. Ma torniamo all’esempio dei «pirati» musicali negli anni Venti.
È un capitolo importante. Spiega come quei «pirati» domestici vennero combattuti
con mezzi illeciti. Per esempio la violazione di domicilio. E con scarsi risultati.
«Temo che quanti oggi vogliono estendere la protezione della proprietà intellettuale
in tutti i possibili campi, e in tutti i modi, siano altrettanto imprudenti; e
soprattutto possano creare un contraccolpo negativo fra la gente, che renderebbe
più difficile ottenere risultati ragionevoli».
Autore: Adrian Johnsn
Titolo: Pirateria, storia della proprietà intellettuale da Gutenberg a Google
Edizioni: Bollati Boringhieri
Pagine: 717
Prezzo: 39 euro
fonte: http://www3.lastampa.it/libri/sezioni/il-libro/articolo/lstp/385141/
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Tempi bassi. A volte
ritornano.
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Post/teca
da Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’ Italiani di Giacomo
Leopardi
Il grandissimo e incontrastabile beneficio della rinata civiltà e del
risorgimento de’ lumi si è di averci liberato da quello stato egualmente
lontano dalla coltura e dalla natura proprio de’ tempi bassi, cioè di tempi
corrottissimi; da quello stato che non era né civile né naturale, cioè
propriamente e semplicemente barbaro, da quella ignoranza molto peggiore e
più dannosa di quella de’ fanciulli e degli uomini primitivi, dalla
superstizione, dalla viltà e codardia crudele e sanguinaria, dall’inerzia e
timidità ambiziosa, intrigante e oppressiva, dalla tirannide all’orientale,
inquieta e micidiale, dall’abuso eccessivo del duello, dalla feudalità del
Baronaggio e dal vassallaggio, dal celibato volontario o forzoso, ecclesiastico o
secolare, dalla mancanza d’ogn’industria e deperimento e languore
dell’agricoltura, dalla spopolazione, povertà, fame, peste che seguivano ad
ogni tratto da tali cagioni, dagli odii ereditarii e di famiglia, dalle guerre
continue e mortali e devastazioni e incendi di città e di campagna tra Re e
Baroni, Baroni e vassalli, città e città, fazioni e fazioni, famiglie e famiglie,
dallo spirito non d’eroismo ma di cavalleria e d’assassineria, dalla ferocia non
mai usata per la patria né per la nazione, dalla total mancanza di nome e di
amor nazionale patrio, e di nazioni, dai disordini orribili nel governo, anzi dal
niun governo, niuna legge, niuna forma costante di repubblica e
amministrazione, incertezza della giustizia, de’ diritti, delle leggi, degl’instituti
e regolamenti, tutto in potestà e a discrezione e piacere della forza, e questa
per lo più posseduta e usata senza coraggio, e il coraggio non mai per la patria
e i pericoli non mai incontrati per lei, né per gloria, ma per danari, per
vendetta, per odio, per basse ambizioni e passioni, o per superstizioni e
pregiudizi, i vizi non coperti d’alcun colore, le colpe non curanti di
giustificazione alcuna, i costumi sfacciatamente infami anche ne’ più grandi e
in quelli eziandio che facean professione di vita e carattere più santo, guerre
di religione, intolleranza religiosa, inquisizione, veleni, supplizi orribili verso i
rei veri o pretesi, o i nemici, niun diritto delle genti, tortura, prove del fuoco, e
cose tali. Da questo stato ci ha liberati la civiltà moderna. (…)
A volte ritornano.
via: http://curiositasmundi.tumblr.com/
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Post/teca
"Per imparare le lezioni importanti nella vita
ogni giorno bisogna superare una paura."
— Ralph Waldo Emerson (via metaforica)
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Pensateci..
wollawolla:
indispos:
wlafiga:
Il solo fatto che state qui a rebloggare e commentare il rubygate è sintomo che
non c’è speranza.
mi spiego: la faccenda di piazzale loreto doveva già avvenire da tempo..
Ma poi tirato via il tipo e appeso a testa in giu cosa ci rimane? fini? casini?
bersani? nel più roseo dei casi di pietro?
E tutti quei coglioni che ancora continuano a fare orecchio da mercante?
Oh sono 20 anni che questo devasta l’italia e nessuno fa un cazzo di nulla.
che minchia vi meravigliate? basterebbero un milione di persone incazzate
per prendere parlamento e rai.
radere al suolo e ripartire da zero nau.
sennò stare zitti e postare fighe
tnx
LOAL
presente
(via coqbaroque)
da citare:
“Oh
sono 20 anni che questo devasta l’italia e nessuno fa un cazzo di nulla.
che minchia vi meravigliate? basterebbero un milione di persone incazzate
per prendere parlamento e rai.
radere al suolo e ripartire da zero nau.
sennò stare zitti e postare fighe”
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Post/teca
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littlechini:
“Non possiamo dire in quale preciso momento nasca l’amicizia. Come nel
riempire una caraffa a goccia a goccia, c’è finalmente una stilla che la fa
trabbocare, così in una sequela di atti gentili ce n’è infine uno che fa
trabboccare il cuore.”
Fahrenheit 451
(via elicriso)
(via monicabionda)
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Sull’epoca che ha detto
addio alla poesia
musaerato:
La poesia boccheggia come un pesciolino perché immersa nei detersivi
pubblicitari, nel risciacquo continuo che ognuno fa del proprio io dentro la
rete e fuori, in una sorta di perenne collutorio della psiche che ognuno sputa
in faccia agli altri. (…)
Franco Arminio
(via killingbambi)
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"Qual è la vera vittoria, quella che fa battere
le mani o battere i cuori?"
— Pier Paolo Pasolini (via apneadiparole)
(via lalumacahatrecorna)
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363
Post/teca
Mario Rigoni Stern:
«Perché dovete
chiamarmi compagno»
tattoodoll:
Cari Compagni, sì, Compagni, perché è un nome bello e antico che non
dobbiamo lasciare in disuso; deriva dal latino “cum panis” che accomuna
coloro che mangiano lo stesso pane. Coloro che lo fanno condividono anche
l’esistenza con tutto quello che comporta: gioia, lavoro, lotta e anche
sofferenze.
È molto più bello Compagni che “Camerata” come si nominano coloro che
frequentano lo stesso luogo per dormire, e anche di “Commilitone” che sono i
compagnid’arme.
Ecco, noi della Resistenza siamo Compagni perché abbiamo sì diviso il pane
quando si aveva fame ma anche, insieme, vissuto il pane della libertà che è il
più difficile da conquistare e mantenere.
Oggi che, come diceva Primo Levi, abbiamo una casa calda e il ventre sazio, ci
sembra di aver risolto il problema dell’esistere e ci sediamo a sonnecchiare
davanti alla televisione.
All’erta Compagni! Non è il tempo di riprendere in mano un’arma ma di non
disarmare il cervello sì, e l’arma della ragione è più difficile da usare che non
la violenza.
Meditiamo su quello che è stato e non lasciamoci lusingare da una civiltà che
propone per tutti autoveicoli sempre più belli e ragazze sempre più svestite.
Altri sono i problemi della nostra società: la pace, certo, ma anche un lavoro
per tutti, la libertà di accedere allo studio, una vecchiaia serena; non solo
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Post/teca
egoisticamente per noi, ma anche per tutti i cittadini. Così nei diritti
fondamentali della nostra Costituzione nata dalla Resistenza.
Vi giunga il mio saluto, Compagni dell’Associazione Nazionale Partigiani
d’Italia e Resistenza sempre.
Vostro
Mario Rigoni Stern
(20 gennaio 2007)
--------------------20110121
Il potere corrompe, il potere assoluto corrompe senza freni.
> Lord Acton
mailinglist Buongiorno.it
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Il Rubygate. Intervista a Peter Gomez
20 / 1 / 2011 |
Sul caso Ruby si sta scatenando una grande bufera politica. Ne parliamo con Peter Gomez,
giornalista del Fatto Quotidiano e direttore del sito www.ilfattoquotidiano.it.
Gomez quello che appare, a leggere i giornali, è un quadro devastante sul piano morale,
legale, politico, sociale. Lei che idea si è fatta di questa vicenda?
Mi sono fatto la stessa idea che si era fatta Veronica (ex moglie ndr). Silvio Berlusconi è un uomo
estremamente solo, che per avere compagnia è costretto a pagare i suoi ospiti in vari modi:
direttamente con ragazze che non necessariamente sono prostitute, è costretto a pagare quelli che
si presentano come suoi amici, Lele Mora ed Emilio Fede. Ma un problema grosso, che è legato a
certi suoi comportamenti, ed è dovuto al fatto che dopo che era scoppiato un problema politico, per
il caso D’Addario e il caso Noemi, non è diventato un minimo più prudente. Nessuno pretende che
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Post/teca
il Cavaliere sia casto e morigerato, si pretende, però, che cerchi di non cacciarsi in scandali di
questo tipo perché fanno male a lui e fanno male al Paese. Non è in grado di farlo quindi ha un
altro problema di natura psicologica e psichiatrica.
Barbara Spinelli su Repubblica invitava la politica a proclamare il “Sermone della decenza”.
Secondo lei avrà, la politica, la forza morale di fare questo?
La nostra politica, purtroppo, non ha nulla di morale per antonomasia. Il problema è se la politica
avrà la forza politica per farlo. Ora buona parte dei parlamentari ed esponenti del Centrodestra
sanno che dopo Berlusconi non ci sarà nessun tipo di poltrona ben pagata, quindi è da escludere
che la maggioranza di loro possano intervenire. E’ pensabile che per la Lega, senza il federalismo
decida di staccare la spina. Io alla rivolta morale non ci credo. La classe politica è quella che è,
abbiamo la classe politica più corrotta d’Europa.
In Francia si sta vivendo un forte moto d’indignazione politica nei confronti del sarkozismo.
Fatte le debite differenze lei vede, in Italia, la stessa cosa nei confronti del decadente
“berlusconismo”, oppure questo “pensiero unico” è talmente profondo che questi ultimi
avvenimenti non lo intaccheranno?
Non credo che sia un problema di pensiero unico. La questione è il controllo dei media e delle tv .
Non dobbiamo però dimenticarci che Berlusconi raccoglie il 33% delle persone che vanno a
votare. In termini di consenso, probabilmente, meno del 25%. Gli altri, o gli votano contro o non
votano, non stanno con lui. E’ semplicemente l’uomo più ricco d’Italia, ed è molto potente. E ,
tradizionalmente, questo è un paese in cui non solo i servi sono molti. Qui c’è gente che non vede
l’ora di vendersi pur di poter servire.
Tornando, per un attimo, ai protagonisti. Ve ne sono due, tra i tanti, che hanno colpito
l’opinione pubblica. Lele Mora ed Emilio Fede, due massimi “sacerdoti” del berlusconismo.
Dalle intercettazioni viene fuori un presunto raggiro al premier. E’ la vicenda del prestito a
Lele Mora con Emilio Fede che si trattiene una parte del prestito. Insomma quello che viene
fuori è una famelicità senza limiti…Anche questo è “berlusconismo”?
Berlusconi è circondato da persone che gli spillano denaro in maniera diversa, un po’ lo fregano,
ma lui si lascia anche fregare. Berlusconi è un uomo ricattato, questo è il grosso problema politico:
è costretto a dare soldi alle ragazze, è costretto a dare soldi a Mora e a Fede.
Perché Berlusconi ha questa capacità ipnotica nei confronti del pubblico?
Torno al discorso di prima. Berlusconi è in grado di far sognare, di vendere dei sogni, di dire che
farà stare tutti meglio. Ed è in grado di farlo perché ha in mano i media. Ben pochi tra i tg e i
giornali raccontano come stanno esattamente le cose. Ma non dobbiamo dimenticare che la
maggioranza di questo Paese non è mai stata con Berlusconi. Questo Paese ha un problema: la
mancanza di alternativa. Quando, in questi 17 anni, c’è stata una alternativa credibile Berlusconi
ha sempre perso. Berlusconi contro Romano Prodi ha sempre perso.
Volendo fare una previsione, se è possibile, come si svilupperà l’inchiesta dopo che i legali
del Premier hanno consigliato di non recarsi dai pm milanesi. Ovvero per loro il “giudice
naturale” è il tribunale dei ministri. Che succederà?
Loro faranno di tutto per stabilire che questo è un reato ministeriale (questa cosa il Parlamento lo
ha già fatto in altri casi). Berlusconi farà di tutto per allontanare il momento di questo processo,
perché a un eventuale processo pubblico non sopravviverebbe. Però è anche possibile che, visto
che la sua figura è destabilizzante per il sistema, nel giro di qualche mese, dal punto di vista
politico Berlusconi non esista più o perché si è andati alle elezioni o perché ci sarà un altro
governo.
L’inchiesta continuerà?
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Post/teca
L’inchiesta su Berlusconi è chiusa, è stato chiesto il giudizio immediato di fronte agli altri elementi
che non sono stati depositati, ma i magistrati ritengono di avere in mano la prova completa di
quello che è accaduto. Eventualmente se il Parlamento farà melina, accadrà che si andrà al
processo con gli atri imputati. E quello diventerà un processo in cui si parlerà tantissimo di
Berlusconi e questo creerà per lui un altro grossissimo problema.
fonte: http://confini.blog.rainews24.it/2011/01/20/il-rubygate-intervista-a-peter-gomez/
---------------------
imlmfm:
Toglimi una curiosità! Se le regole che hai seguito ti hanno portato sino a
questo punto, a che servivano quelle regole? - Anton Chigurh, Non è un paese
per vecchi
---------------------------
"Donne che si lamentano in continuazione
degli uomini. Donne che dicono di voler fare
a meno degli uomini. Che tanto qualsiasi
cosa è meglio. Fate pure le valigie, andate.
Siete le stesse donne con cui fare sesso è
molto meno soddisfacente che farsi una
buona sega. Ah, mandate una cartolina.
(sventolo un fazzolettino)"
—
Quarto di secolo
(via lollodj)
--------------------
"Poi il presentatore ha presentato il signore
col maglione azzurro, Lucio Caracciolo,
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Post/teca
direttore di Limes, rivista di geopolitica,
l’unica rivista di Geopolitica italiana, ha detto
il presentatore, e a me è venuta in mente una
rivista che si chiama L’accalappiacani e che è
un settemestrale di letteratura comparata al
nulla, l’unico settemestrale di letteratura
comparata al nulla al mondo, ho pensato."
— Paolo Nori » Basta, basta, basta, per favore (via pensierispettinati)
(via pensierispettinati)
--------------------
Siamo fottuti.
Andiamo a puttane.
(constatazione)
Andiamo a puttane!
(Consiglio, nonché presidente del)
"
— DeSangre su it.fan.studio.vit (via emmanuelnegro)
------------------
gravitazero:
gianlucavisconti:
Lo sai dove stan facendo la rivoluzione adesso? Ora tu dimmi, se dobbiamo
prendere lezioni dalla Tunisia. Cosa abbiamo solo noi, che nemmeno i
tunisini hanno più, cosa c’impedisce di guardare alle cose come stanno.
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Post/teca
Tu lo sai che sono fissato, per me è solo una questione di televisione. Punto.
Tutto il consenso sta lì, e un po’ sui giornali, ma neanche tanto. Abbiamo
voluto lasciargli le tv, e a lui non è servito altro, per raccontarci la realtà come
gli piace. Salvo che lui non ha mai avuto niente da raccontarci, una volta non
lo sapevamo, adesso sì.
È un debole come noi, succube dei suoi stessi programmi, è il pubblico del suo
stesso drive in. Non c’è dietro nessun disegno occulto, ci ha modellato a sua
immagine e somiglianza, e lui è brutto e senza fantasia.
L’obiettivo della sua vita era sedersi nel privé a guardare le tipe che fanno il
trenino; ce l’ha fatta e ora dovremmo invidiarlo. La nausea di avere avuto per
avversario un tizio così.
— leonardo: Lettera a Bruxelles (via maisuccesso)
(via emmanuelnegro)
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Seminfermità mentale |
Marco Travaglio | Il Fatto
Quotidiano
steff2410:
Per spiegare Tangentopoli, il pm più spiritoso di Mani Pulite ripete spesso:
“In ogni economia il numero dei ladri non può mai superare il numero dei
derubati. Quando i ladri arrivano al 51% cominciano a derubarsi fra loro e
il sistema implode”. Ora ci risiamo. Umilio Fede che fa la cresta sui “prestiti”
del Cainano a Lele Mora è l’emblema di una corte famelica e predona, dove
tutti derubano tutti e alla fine chi paga il conto è sempre Lui, il povero B. Una
certa Faggioli ha fretta, “mi restano solo mille euro, devo fare cassa per
forza”, e aspetta speranzosa un nuovo Bunga bunga. Ma corre voce che Lui
“voglia ridurre le cene” e soprattutto i dopocena, così una tale Iris medita: “È
ora che iniziamo a rubare qualcosa in casa”. Un’altra erinni ipotizza la
soluzione finale: “Che palle ‘sto vecchio, fra un po’ ci manda affanculo tutte
quante… quella è la volta buona che lo uccido… vado io a tirargli la statua in
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Post/teca
faccia”. Cioè: lui s’illude di averle fulminate col suo charme, “volete
mettere il piacere della conquista?”. E quelle, subornate dal partito dell’odio,
lo chiamano “la nostra fonte di lucro”, “che schifo quell’uomo”, “l’ho visto
out, ingrassato, imbruttito, più di là che di qua, è diventato pure brutto
(prima invece era un figo pazzesco, ndr): deve solo sganciare. Spero sia più
generoso, io non gli regalo un cazzo…”.
(via biancaneveccp)
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Revolution is not their
name
blondeinside:
impropriamente:
Lavoro al quarto piano di un palazzo che ne ha sette, in cui gli ascensori
funzionano in modo estemporaneo. Un po’ vanno, un po’ non vanno, un po’
qualcuno resta bloccato dentro. Quando si resta chiusi dentro bisogna restar
calmi e pazienti perché il portinaio deve chiamare la guardia armata che deve
chiamare la direzione che deve chiamare l’assistenza che al mercato mio
padre comprò (io non prendo più l’ascensore se non ho con me i generi di
prima necessità).
Oggi il caso ha voluto che saltasse la luce a tutto il quartiere (servono le
centrali nucleari gente, almeno una a testa, come ve lo si deve dire?). Palazzo
al buio, ascensori fermi, gente dentro, luci d’emergenza accese. Ora del blackout 18.10, ora in cui timbra il cartellino la maggior parte di chi lavora lì 18.10.
Bon, c’era gente a lume d’emergenza sul pianerottolo ad aspettare gli
ascensori invece che farsi quattro piani di scale e che è rimasta lì imperterrita
a pigiare il tasto di chiamata anche quando gli ascensori si sono mostrati
refrattari alla notizia del ritorno della corrente e hanno acceso la spia del fuori
servizio invece di ricominciare a funzionare.
Fate voi se questi possono fare una rivoluzione qualsiasi: è già tanto che non
muoiano stolidi nella loro imperizia in un modo qualunque di un giorno
qualunque, che ne so, investiti dal loro pastore tedesco a cui avevano deciso di
far guidare la macchina per l’occasione (è risaputo che i pastori tedeschi, alla
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Post/teca
guida di un’auto, perdano il lume della ragione e si scatenino in furiose gare
di drifting nei parcheggi dell’esselunga, invidiosi come sono delle anguille di
Comacchio che invece possono andarsene alle Antille quando vogliono senza
dir niente a nessuno).
Sepperò la rivoluzione volessimo farla noi, si dovesse mai esaurire la scorta di
corpi contundenti da scagliare contro il potere malato, ecco, io un’idea su
dove rimediare una decina di zavorre da lanciare ce l’avrei.
questo post è bellissimo.
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"P.S. Sono stato all’Aquila. Come città è un
po’ tipo Roma, solo che le rovine son più
recenti."
— E io che mi pensavo » Dal confine tra il Lazio e il mondo (via maisuccesso)
(via tattoodoll)
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i 6 comandamenti sul
fare,i fatti
diavoloporco:
Se sei obbligato a farlo è meglio non farlo, se invece lo fai e non sei obbligato
da nessuno allora continua a farlo.
Fai quello che vuoi,e non smettere di farlo solo perchè può sembrare strano
farlo.
Quelli che giudicano strana una cosa è perchè non trovano il coraggio di farla.
Quelli che non hanno il coraggio di fare una cosa in realtà non hanno molta
voglia di farla.
Non avere molta voglia non significa non averne in assoluto, quindi prima
prova a farla, e poi rifalla e se una volta rifatta ti sembrerà ancora strana, beh
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Post/teca
lascia perdere e cerca un altra cosa da fare.
Non è necessario fare qualcosa a tutti i costi, puoi anche non fare niente tutto
il giorno, ma preparati a pensare tanto, mentre il tuo corpo può stare fermo,
la tua mente no.
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Non siamo altro che sogni perversi di divinità pigre.
fonte: http://dotakon.tumblr.com/post/2829062602/non-siamo-altro-che-sogni-perversi-di-divinita
------------comunque l’amore passa, i sacchetti di plastica durano tipo per sempre.credo che la chimica stia
cercando di dirci qualcosa riguardo le nostre priorità.
(Fonte: uds)
via: http://bloodylabyrinth.tumblr.com/post/2847140400/comunque-lamore-passa-i-sacchetti-diplastica
fonte: http://uds.tumblr.com/
------------
Sulle età di mezzo dell’editoria: intervista a
Elizabeth Eisenstein
Le trasformazioni in corso nel sistema editoriale contemporaneo presentano
rilevanti elementi di similarità con quelle occorse in Europa dopo l’avvento
della stampa a caratteri mobili, ed il parallelo tra il mondo di allora e quello di
oggi fornisce un valido aiuto per darci senso del caos. E’ questa, in estrema
sintesi, la tesi proposta da Clay Shirky in un famoso e citatissimo blogpost del
marzo 2009, a sua volta ispirato al lavoro di Elizabeth Eisenstein nel suo The
printing revolution in early modern Europe.
Si tratta di un parallelo effettivamente utile per comprendere il tempo
presente? E quali sono gli elementi più simili tra l’”età di mezzo” attuale e
quella che si inverò in Europa nel Cinquecento? Per capirne qualcosa in più,
372
Post/teca
abbiamo provato a chiederlo direttamente a Elizabeth Eisenstein. [NB:
l'intervista che segue è stata pubblicata, in forma ridotta su Nòva- Il Sole 24
Ore, 23.04.09]
D. Secondo alcuni commentatori, la transizione attualmente in corso nel
mondo editoriale presenta diversi elementi di somiglianza con quella da
Lei descritto in The Printing Revolution in early modern Europe. Da cui
la domanda: come descriverebbe la descrizione Cinquecentesca? Che
aspetto aveva la Repubblica delle Lettere nel 1500?
I paralleli tra l’introduzione dei caratteri mobili e internet in generale implicano
un salto logico e cronologico troppo ampio. Tagliano fuori una serie di
innovazioni tecnologiche di grande importanza come il telegrafo, la fotografia,
il telefono, le fotocopiatrici, per nominarne solo alcune. Le attività di copia a
mano sono continuate negli uffici legali fino all’avvento della macchina da
scrivere [...] la xerografia ha intaccato l’integrità dei libri incoraggiando la
copia da parte dei docenti di porzioni discrete dei testi, e la creazione dei
cosiddetti “course packs” (uno standard de facto nei corsi universitari
statunitensi, NdR). Le copisterie contemporanee somigliano a quelle dei
copisti medievali, e sono similmente raggrumate intorno alle sedi
universitarie.
Tutto ciò premesso, vi è però un carattere che riguarda specificamente il
parallelo tra avvento della stampa ed avvento dei media digitali: penso
all’apparizione nella fase embrionale di un grande numero di start-up, diverse
delle quali sono destinate di lì a poco ad estinguersi. Le mappe che ci
mostrano il fiorire delle stamperie nell’Europa del Cinquecento generalmente
non danno conto del fatto che poche, tra quelle create, riuscirono a
sopravvivere ed operare a lungo.
D. Oggi, secondo alcuni osservatori, la Rete sta giocando il ruolo che la
stampa a caratteri mobili ebbe a giocare dopo Gutemberg. A causa
(anche) di internet, i giornali di carta continuano a perdere copie,
mentre il pubblico e gli inserzionisti volgono la loro attenzione verso il
mondo digitale, dove le fonti editoriali si moltiplicano in tempo
pressoché reale. Quali sono, a suo giudizio, le principali somiglianze tra
i due periodi? E quale fu, nel Cinquecento, la reazione degli attori preesistenti di fronte all’innovazione gutemberghiana?
Lo ribadisco: dire che “la Rete sta giocando oggi il ruolo che la stampa a
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Post/teca
caratteri mobili ebbe a giocare dopo Gutemberg” implica un salto logico
troppo ampio. Più plausibile è invece l’argomento secondo il quale internet
sta sussumendo alcune delle funzioni precedentemente svolte dai giornali del
diciannovesimo e ventesimo secolo.
Dopodiché, se mi chiede quale fu la reazione da parte dei copisti, degli
uomini di Chiesa, dei professori di fronte alla stampa a caratteri mobili, le
rispondo che essa non fu assolutamente arrabbiata e pregiudizialmente
luddista come alcuni l’hanno dipinta in passato. In realtà, i copisti si
ritrovarono con più lavoro di prima, presi com’erano dalla decorazione a
mano delle pagine- e degli spazi vuoti- dei primi libri a stampa. Alcuni di
questi artigiani divennero stampatori (si prenda ad esempio Peter Schoeffer).
Altri si specializzarono nella ricopiatura a mano dei libri, a partire dalle
commesse dei loro mecenati. I due tipi di testi venivano venduti negli stessi
negozi, e sistemati gli uni accanto agli altri nelle biblioteche. I venditori di
manoscritti continuarono a fare affari anche dopo la comparsa degli
stampatori. Insomma, il libro ricopiato a mano continuò a coesistere con
quello stampato per diversi secoli dopo l’avvento di Gutemberg.
Non solo: la reazione degli uomini di Chiesa, dei diplomatici e dei docenti
universitari fu tutt’altro che rassegnata. Predicatori come Savonarola e Geiler
von Keysersberg furono più che contenti di vedere i loro sermoni riprodotti in
più copie. Gli stampatori tedeschi furono invitati dalle élite francesi, italiane e
spagnole perché creassero delle stamperie anche a Sud. La prima stamperia
italiana fu realizzata all’interno di un monastero, salvo essere spostata a
Roma poco dopo. Ed erano le suore del convento di Ripoli a condurre una
delle botteghe più fiorenti di questo periodo. Certo, ci furono anche lamentele
per il lavoro frettoloso e trascurato di alcuni stampatori, e i nuovi imprenditori
furono talvolta raffigurati come mercenari. Ma nel complesso la divine art fu
ripetutamente celebrata in quanto capace di rendere i libri più economici e più
facilmente accessibili agli studenti ed ai prelati meno abbienti, di
standardizzare le liturgie religiose ed in generale di aiutare l’”avanzamento
della conoscenza”.
D. Il problema, osserva Shirky, è che mentre il collasso delle istituzioni
vecchie è relativamente veloce, la comparsa e l’affermazione di quelle
nuove può richiedere molto tempo. Da questo punto di vista, pensa che
la disponibilità di strumenti di comunicazione e coordinamento ubiqui e
real time possa velocizzare il processo di comparsa di nuove e
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Post/teca
rafforzate istituzioni editoriali?
Non sono così sicura che la scomparsa delle istituzioni tradizionali si possa
realizzare in tempi tanto rapidi. La Chiesa Cattolica è antichissima, ma non mi
sembra minimamente sul punto di collassare. La bibbia a stampa in volgare
esiste da ormai cinquecento anni, ma continua a circolare per il mondo come
allora- peraltro, il commento di Shirky secondo il quale la bibbia sarebbe stato
un “libro comune” al tempo dei copisti è fuorviante: per la parte in cui possono
esistere “libri comuni” (e ci sarebbe da discutere su questo) prima di
Gutemberg essi erano più probabilmente rappresentati dai Libri delle ore,
dagli almanacchi o da racconti delle vite dei santi più o meno brevi. [...].
Nondimeno, tornando all’attualità, è indubbiamente vero che i giornali e le
case editrici appaiono in grande difficoltà, e l’intensità con la quale si
registrano oggi chiusure in questo comparto non ha precedenti. Forse, la
maggiore minaccia alle entrate pubblicitarie dei periodici è legata alla
semplicità con la quale le persone possono ordinare e ricevere ogni sorta di
bene senza lasciare la propria scrivania e senza scorrere un solo rigo di
giornale. Ai suoi tempi, l’apparizione della stampa incoraggiò la nascita di
forme inedite di pubblicità e di dialogo tra produttori e fruitori (penso ad
esempio allo scambio dei pamphlet, all’avvento delle “lettere al direttore” ed
altre).
fonte: http://www.ebooklabitalia.com/eta-mezzo-editoria-intervista-elizabeth-eisenstein/
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LA CORSA AD OSTACOLI
Julio Monteiro Martins
Immaginate una corsa ad ostacoli in cui ogni ostacolo è più alto del velocista.
Così sembra il panorama attuale in Italia per quelli che desiderano pubblicare il
loro primo libro o che fino al momento abbiano solo pubblicato per piccole case
editrici, senza distribuzione. E questo a prescindere dai meriti dell’opera o del
suo autore.
Nell’Editoriale di questa edizione – in risposta anche a decine di messaggi
inviati dai lettori negli ultimi mesi a Sagarana chiedendo suggerimenti e
soluzioni alternative a questo dilemma – cercherò di esporre punto per punto
375
Post/teca
cosa sono questi immani ostacoli a partire dalla nostra esperienza, da questa
“torre d’osservazione” privilegiata che è una rivista letteraria.
È chiaro che non ho la pretesa di esaurire in un testo così breve un argomento
così complesso e in costante mutazione, ma presento su ciascuna “barriera”
alcune mie “pennellate impressionistiche” che spero serviranno almeno per
incoraggiare altre riflessioni e discussioni più approfondite.
La solitudine dello scrittore
Per tutto il Ventesimo secolo, e anche durante gli anni delle guerre mondiali, ci
sono state comunità di scrittori in ogni paese, che si riunivano nei caffè, nei
bar, nelle università e biblioteche, e anche clandestinamente, nei domicili
privati o nei cortili delle carceri durante i periodi più repressivi.
Questa esistenza comunitaria è da qualche decennio scomparsa, nel processo
in corso di atrofia e di chiusura della vita pubblica, in quella che è già stata
definita la “società alveare”.
Tuttavia, la frequente comunicazione personale tra autori e tra le loro opere era
indispensabile allo sviluppo della letteratura, quel misurarsi con i propri pari
che offriva allo scrittore il senso della misura e le giuste risposte critiche, e
forse anche una più solida coerenza ideologica.
La comunicazione via Internet di oggi solo parzialmente è in grado di colmare
questa lacuna. È un surrogato freddo, impersonale e poco efficace paragonato
alla lettura viva e al coinvolgimento diretto e genuino.
I corsi di scrittura
Forse cercando proprio di riempire il vuoto nel convivio pubblico e promuovere
lo scambio tra giovani scrittori sono nati, prima nei paesi anglosassoni e poi in
quelli sudamericani ed europei, i laboratori di scrittura creativa.
In Italia, dopo un periodo iniziale di diffidenza – prevaleva ancora il mito
romantico dello scrittore “ispirato” e “geniale” – a partire dagli anni Novanta gli
workshop si sono affermati e hanno proliferato. Forse anche troppo: con livelli
di qualità molto eterogenei, gran parte di questi corsi sono poco professionali e
tenuti da maestri poco preparati, che spesso non fanno altro che trasmettere le
loro idee personali e idiosincratiche sulla scrittura o gonfiare l’ego degli allievi,
tutti procedimenti di poca o nessuna utilità.
Ma anche quando l’allievo ha la fortuna di imbattersi in un vero workshop, con
professori brillanti, esperti e motivati e riesce a trarne beneficio, alla fine non
troverà lo stesso gli spazi editoriali per far fruttare i suoi progressi, se non li
creerà lui stesso, rischiando così una frustrazione ancor più grave.
L’università
376
Post/teca
L’ambiente accademico italiano è indifferente, quando non ostile, alla creazione
letteraria. Non ci sono mai stati corsi di scrittura all’interno dell’università –
oltre a effimere esperienze a Roma una decina di anni fa –; non è possibile
presentare un testo di narrativa come tesi accademica, al contrario di ciò che
accade in alcune grandi università all’estero – ho seguito personalmente tesi
del genere nell’Università dello Iowa e nell’Universidade Federal do Rio de
Janeiro, tra le altre –, e chi frequenta corsi di Lingue, di Lettere o di Scienza
delle Comunicazioni, come allievo o come docente, e scrive, non troverà mai
all’interno di questi dipartimenti alcun spazio di accoglienza per la sua attività
creativa, che dovrà essere sviluppata al di fuori della sfera accademica.
Sembra incredibile, ma l’ambiente universitario si ostina a ignorare le opere
creative di quelli che lì, secondo loro, devono occuparsi d’altro. Chiaramente gli
scrittori sono spesso invitati a visitare i diversi dipartimenti e a parlare a
studenti e a professori, ma ognuno deve attenersi al proprio ruolo ufficiale, e
l’unica opera riconosciuta è quella degli scrittori “esterni” in visita
all’istituzione.
Le riviste letterarie
Sono gli indispensabili “laboratori” della vita letteraria, dove l’autore si
presenta per la prima volta, dove si cimenta in generi diversi dal solito, dove si
avventura in audaci esperimenti formali o tematici e dove ottiene i primi
riscontri. E queste riviste sono praticamente scomparse in Italia.
Molte di quelle cartacee hanno smesso di circolare a metà degli anni Novanta
(ed erano tante quelle che servivano solo a scambi di favori, del tipo “io
pubblico te e tu pubblichi me” che la loro scomparsa è stata compianta alla fine
soltanto dagli stessi proprietari e dai loro amici). Hanno poi subito un ulteriore
colpo di grazia quando le librerie Feltrinelli, che riservavano degli scaffali
interni, vicini all’entrata, alle riviste culturali – e sono state le ultime a esporle
e a venderle – li hanno soppressi. Al loro posto, dalla fine degli anni Novanta,
sono nate le riviste on-line, come Sagarana o El-Ghibli, ma meno numerose.
Oltre al fatto che il “prestigio” della carta stampata riflette un preconcetto duro
a morire, è difficile valutare la vera visibilità di queste nuove riviste. Per
esempio, fino a che punto servono da vetrina per l’industria editoriale o sono
invece una risorsa importante per la massa dei lettori? Purtroppo non credo
che le case editrici abbiano finora sviluppato la sana abitudine di navigare tra i
siti letterari in cerca di nuovi talenti o di bei testi. Per quanto riguarda il
pubblico delle riviste on-line si tratta comunque di un pubblico di nicchia,
limitato e non di rado autoreferenziale, isolato dall’ambiente editoriale
professionale. Questo spiega perché autori che hanno grande visibilità in
Internet continuano ad essere inediti in forma cartacea, o almeno non presenti
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Post/teca
nelle vetrine delle librerie, e viceversa, autori di successo editoriale non siano
ospitati assiduamente nella Rete.
I concorsi letterari
I concorsi per opere inedite o per autori esordienti praticamente non esistono
oggi in Italia, nonostante siano – o dovrebbero essere – lo strumento più
efficace per far emergere nuovi valori. Ciò che esiste, e in tale abbondanza da
far insospettire che servano ad altri scopi meno nobili, sono i premi letterari,
promossi dai comuni, dalle fondazioni e associazioni, da cooperative o da
imprese private, che destinano una cifra annuale per premiare opere
pubblicate nell’anno precedente, nei casi dei piccoli premi spesso come scusa
per portare nei comuni decentrati gli autori più alla moda, oppure per fare un
“regalo” a un autore locale prescelto, che in futuro sa di doverlo ricambiare a
chi lo ha segnalato quando sarà dall’altra parte del banco.
Quanto ai grandi premi letterari italiani, quelli più noti e prestigiosi, con la
consegna dei premi trasmessa in tarda serata dalla tv di Stato, già da molti
anni hanno i loro risultati “lottizzati” tra alcune grandi case editrici e spartiti tra
gli autori dei loro cataloghi.
Dall’altra parte, mascherati da concorsi per esordienti, ci sono parecchi
concorsi-truffa che chiedono una consistente somma di denaro come “tassa di
iscrizione” e con questo stratagemma mettono su una piccola “industria” e
fanno profitto ogni anno sulle vane speranze di chi lo accetta. Comunque il
panorama generale non potrebbe essere più desolante.
Le agenzie letterarie
Immaginate una pasticceria che la mattina presto compra i suoi pasticcini in un
supermercato e li rivende durante il giorno per il doppio del prezzo. Cioè, una
pasticceria tutta vetrina, niente cucina. Così funzionano le agenzie letterarie in
Italia. Prendono il “prodotto” già pronto – i diritti di opere recenti di scrittori già
famosi, preferibilmente stranieri – e li offrono alle case editrici italiane.
Al contrario dei loro pari negli altri paesi, raramente accettano di rappresentare
autori esordienti o comunque non ancora noti, in quanto, per loro, si
tratterebbe di uno sforzo poco gratificante, una perdita di tempo insomma.
Ci sono anche casi di “agenti” che chiedono cifre piuttosto consistenti agli
autori per rappresentarli o addirittura solo per leggere il loro originale. E poi si
sa che è molto improbabile che un autore riesca a farsi pubblicare attraverso
questi “agenti”, che provano a contattare le case editrici solo per dare una
soddisfazione al loro autore-investitore, già prevedendo il risultato negativo,
oppure non ci provano nemmeno.
In ogni modo, anche se arrivare attraverso un agente letterario è in teoria il
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Post/teca
modo più “professionale” di farlo, in pratica questo approccio, in Italia, si è
dimostrato una strada non percorribile per i nuovi scrittori.
Le case editrici – la selezione
Una delle immagini che mi ha più colpito dopo il mio arrivo in Italia è stata una
pubblicità di una grande casa editrice su diversi giornali che chiedeva agli
autori di non mandare i loro manoscritti perché loro non avrebbero più letto
nessuna opera non sollecitata per esame, e che il plico sarebbe stato restituito
ancora chiuso al mittente, in caso di invio non richiesto. L’annuncio la dice
lunga sulla non disponibilità delle case editrici italiane a leggere gli originali che
gli pervengono da autori che non conoscono o che non sono stati raccomandati
da un contatto giusto. E infatti l’Italia è l’unico paese tra quelli che conosco in
cui le case editrici non si degnano nemmeno di rispondere negativamente sulle
proposte che ricevono dagli autori. Stanno in silenzio e basta. E lasciano gli
scrittori in un’attesa perenne. Un comportamento cafone e incivile, seppur
molto diffuso da queste parti. Ma tant’è.
Quello che si configura come ostacolo pressoché insuperabile è il circolo vizioso
che si forma, anche nei casi di opera di indubbio valore: l’autore non la
pubblica perché l’originale non è stato letto, non avendo avuto modo di farlo
arrivare alle case editrici attraverso i mezzi adeguati, e non ha nemmeno un
nome conosciuto dal pubblico che possa destare l’interesse della casa editrice,
e non potrà mai averlo proprio perché non riesce a pubblicare, e via dicendo.
Ci sono sempre le case editrici a pagamento, ma sono tristemente note,
conosciute dai critici e dalla stampa per la scarsa attenzione alla qualità del
loro catalogo. Oltre a non possedere alcun potere contrattuale nell’ambiente, i
loro titoli escono già bollati – a volte ingiustamente – come opere scandenti.
Quindi, questa “scorciatoia”, oltre ad essere onerosa, è sconsigliata per la sua
inefficacia. Anche l’altra strada, quella considerata legittima, è quasi sempre
bloccata a priori.
Le case editrici – l’editing
Per non perdere l’opportunità della pubblicazione, non di rado gli autori, e non
solo quelli esordienti, devono subire in silenzio un vero scempio delle loro
opere, con la scusa di “un adattamento ai gusti del lettore”. In nome di un
presunto incremento del potenziale commerciale del libro – che spesso non è
nemmeno reale e non ingrossa le vendite – si operano dei massacri editoriali, il
cui insuccesso in termini di vendite sta invece a dimostrare che il cattivo gusto
non paga.
Tale operato è spesso imputabile a direttori editoriali senza alcuna formazione
letteraria, oriundi dalle scuole di marketing, che riscrivono in peggio intere
379
Post/teca
parti dell’opera, sfigurandola, svuotandola dell’ambiguità e della complessità in
favore di strutture manichee e stereotipate. Spesso cambiano i finali per
renderli più “lieti”, eliminano i punti che considerano “polemici” o “ideologici”
per presentarli in modo più “appetibile” a un pubblico diversificato, e a volte
cambiano anche il titolo stesso del libro – che non considerano come parte
costitutiva e inscindibile dell’opera – in una qualche etichetta più
“commerciale”, e di solito chiaramente più banale e più stucchevole. In sintesi,
“castrano” l’originale in tutti i modi, incuranti del rispetto dovuto alle scelte
autoriali. E pensare che soltanto qualche decennio fa gli editori delle grandi
case editrici e delle collane erano letterati come Pavese, Vittorini o Calvino,
protagonisti del clima culturale, che favorivano anche il mantenimento di un
livello alto all’interno dell’editoria.
La concorrenza extra-letteraria
Le case editrici oggi non esitano a pubblicare con grande pubblicità finte opere
letterarie scritte (o soltanto firmate) da personaggi noti nel mondo dello
spettacolo che non hanno mai avuto niente a che vedere con questa attività.
Loro sanno che la semplice presenza del nome di queste figure sotto il titolo in
copertina (e in caratteri più grandi di quelli del titolo) può assicurare il successo
commerciale del libro.
Così, comici, giornalisti sportivi, presentatori di tv, attori e cantautori vari, vip
urlatrici, mistici religiosi, veline e ballerine sempre più spesso sorpassano gli
scrittori nelle scelte editoriali. Quelli del marketing trovano una grande furbata
“prendere un passaggio” dalla fama già acquisita del personaggio in altri
mestieri, risparmiando un bel po’ in pubblicità, investimento che dovrebbe
essere fatto invece nel caso del titolo di un giovane autore di talento ma
ancora sconosciuto.
Basta un’occhiata veloce sui banconi delle librerie o delle edicole per verificare
la proliferazione di questi prodotti, simili ma molto diversi dalla vera
letteratura.
La divulgazione
Sulla scia di quello che accade nei casi dei grandi premi, anche lo spazio per i
libri nella grande stampa viene “lottizzato” tra le grandi case editrici, e le liste
dei libri consigliati per l’estate o per i regali di Natale ne sono la prova. Durante
il resto dell’anno si possono trovare qua e là recensioni di titoli di case editrici
medie o addirittura piccole. Ma sono solo brevi recensioni “culturali”, mentre si
smuovono mari e monti per certi titoli che devono essere promossi a tutti i
costi per raggiungere le aspettative di vendita corrispondenti alle alte cifre che
sono state sborsate per l’acquisto dei copyright. Allora si scatenano
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Post/teca
gigantesche campagne di marketingcon interviste all’autore, anche negli show
televisivi di prima serata, copertine dalle riviste patinate, citazioni di altri
personaggi del mondo dello spettacolo, polemiche o scandali creati a tavolino e
moltiplicati dai media, fino a grottesche foto del corpo intero in dimensioni
naturali innalzate accanto alla porta delle librerie, come un fantasma a
infestare il circo mediatico.
Con la progressiva chiusura delle piccole librerie e delle riviste letterarie, il
pubblico è rimasto sempre più alla mercede di queste campagne di marketing
per informarsi sui nuovi titoli, e privo di parametri critici per valutare la
credibilità di queste informazioni, finendo così per lasciare condizionare le sue
letture da queste astuzie mercantili. In questo modo la letteratura, manipolata
dal marketing, diventa sempre meno letteratura e sempre di più un prodotto
della cosiddetta “industria dell’intrattenimento”. E questa operazione di
marketing avviene già con la letteratura infantile – pensiamo a “Geronimo
Stilton”, – fino a quella degli young adults – pensiamo a “Harry Potter”, a “Il
signore degli Anelli” e a “Twilight” – spesso in concomitanza con prodotti
cinematografici promossi dal marketing internazionale. Così facendo si
preparano intere generazioni a calcare questo modello di fruizione della
letteratura.
La critica
Ben diversamente dal fermento critico che c’era ai tempi di Calvino e di
Vittorini, che intervenivano sul presente, oggi sembra quasi che la critica si
senta tranquilla di scrivere su un autore solo dopo che questi muore. È come
se la morte lo sdoganasse, e solo la morte potesse farlo.
I critici, con rare eccezioni, non si prendono la responsabilità di intervenire nel
caos editoriale dettato dal mercato ripristinando i veri valori letterari. Così, il
mercato editoriale finisce per fare sempre da padrone per quello che riguarda
la produzione contemporanea, mentre la critica scrive tomi e tomi su Dante,
Tasso, Manzoni e Pirandello. Di quel che succede nel tempo presente quasi non
parlano: né della letteratura “stanziale” né di quella “migrante” o come vogliate
chiamarle, “letterature parallele” che isolate l’una dall’altra scrivono la storia
dell’Italia di oggi. Di queste si occupano quasi esclusivamente i giornalisti nelle
loro recensioni e gli uffici stampa delle case editrici.
La critica non dovrebbe fare l’assenteista in un periodo così complesso e
cruciale. Inoltre, da un punto di vista diciamo “umano”, quello che la critica
potrebbe fare per sostenere l’opera di un artista valido (e vivente!), sarebbe
intervenire nel presente, per colmare la terribile e deprimente sottrazione che
gli è comunque riservata per la lentezza congenita con cui si addensa un nuovo
canone.
381
Post/teca
Le librerie
Un altro capitolo dolente è quello della scomparsa delle piccole librerie, che
avevano, e che hanno tuttora un ruolo insostituibile nello sviluppo della
letteratura. I bravi librai, che più che un mestiere hanno una vocazione,
conoscono i loro clienti e organizzano la libreria in funzione delle loro
preferenze, setacciando nel miscuglio amorfo dei media quelle opere – anche
pubblicate dalla piccola editoria – che potrebbero interessargli. E poi sono dei
veri consiglieri letterari, fanno circolare le informazioni, incentivano i giovani
scrittori che li frequentano, suggeriscono strategie, mettono in contatto le
persone, aprono il loro spazio alle presentazioni di nuovi titoli e poi li
espongono e li tengono presenti in magazzino.
Possiamo chiederci quale delle mega-librerie che uccidono quelle tradizionali,
che con la politica degli sconti e del dumping gli rendono impossibile la
sopravvivenza, possono o vogliono assumersi questi compiti? Si comportano
come i supermercati, comprano all’ingrosso e vendono al dettaglio prodotti per
le masse anonime. Questo per non parlare delle crescenti vendite via Internet
e dei supermercati veri e propri, l’Esselunga, la Coop, il Carrefour e addirittura
il Media World che ora vendono anche libri, e le edicole, tutti concorrenti più
grossi che rendono il mercato dei libri una sorta di giungla. Le grandi catene
offrono molte copie di pochi titoli, vendono solo quelli che i media promuovono
in quel momento, pubblicati sempre dalle stesse grandi case editrici. Con
questo andazzo la concorrenza predatoria rende impossibile la sopravvivenza
delle librerie ma anche quella della media e piccola editoria, quella
responsabile della pubblicazione di libri di qualità, di spessore, mentre le grandi
si occupano dei best-seller – anche di quelli “sofisticati” – e della letteratura
diciamo “pastorizzata”, innocua e superficiale.
La distribuzione
Le librerie che nonostante tutto sopravvivono ancora all’assedio delle grandi
catene devono per di più subire inedite pressioni dalle ditte di distribuzione,
soprattutto da quelle che rappresentano i titoli delle maggiori case editrici,
quelle che sfornano il best-seller del momento, o che addirittura appartengono
alle case editrici come un loro reparto.
Un esempio di queste pressioni: spesso la consegna dei titoli più ricercati dai
lettori è condizionata dalla distribuzione all’acquisto di un numero consistente,
quando non eccessivo di copie, e anche all’offerta di uno spazio predeterminato
dalla distribuzione, tanti metri quadri di vetrina o di bancone destinati a quel
titolo e al materiale pubblicitario ad esso collegato. Nel caso dei titoli più
ricercati si rischia di ricevere le copie con grandi ritardi rispetto alla
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Post/teca
concorrenza o di non riceverle affatto. Si tratta di un vero e proprio ricatto.
Queste aggressive strategie di marketing finiscono per obbligare il libraio –
anche quello più intellettuale – a spingere la vendita dei best-seller per non
subire perdite che non sarà in grado di reggere, in quanto non potrà restare in
vita solo con la vendita occasionale dei titoli della media e della piccola
editoria. Poi, un altro meccanismo perverso fa sì che i distributori preferiscano
presentare ai librai soltanto i titoli più in evidenza, pensando così facendo di
ottimizzare il tempo dei loro venditori. Come conseguenza di questa politica, o
non accettano più di rappresentare le case editrici piccole, oppure accettano
ma poi non offrono i loro titoli ai librai, oppure accettano ma poi concentrano i
loro sforzi di vendita su un unico titolo per casa editrice: quello che ritengono a
più alto potenziale commerciale, abbandonando tutti gli altri. Questo spiega il
motivo per cui di tanti titoli appena usciti non è possibile trovare nemmeno una
sola copia in vendita in nessuna libreria. Ufficialmente il titolo è stato
distribuito, ma in pratica non è mai stato presentato ai librai, e le copie sono
rimaste nei magazzini nelle stesse scatole in cui sono arrivate, che dopo
qualche mese verranno restituite ancora chiuse alle case editrici che le avevano
consegnate.
Il pragmatismo dilagante
Alla fine della nostra lunga lista di “ostacoli”, torniamo alla dimensione umana
dello scrittore con cui l’abbiamo iniziata. Ma stavolta non più dalla prospettiva
individuale, di solitudine e isolamento, ma dalla prospettiva sociale ed
economica.
Lo scrivere, nella quasi totalità dei casi, è un’attività non redditizia, anche a
causa delle circostanze che abbiamo appena elencato, e così, per una
generazione tagliata fuori dal mercato del lavoro e con gravi difficoltà di
sopravvivenza economica, scrivere è qualcosa di difficilmente giustificabile.
Declassato da arte o mestiere a hobby superfluo, nella visione pragmatica
diffusa in questo modello di società, lo scrivere è visto sempre più spesso,
all’interno della precarietà dell’economia domestica, come qualcosa di inutile,
uno spreco di tempo e di energia, o addirittura come un’attività
destabilizzante, fonte di conflitto nelle coppie e nelle famiglie, sovversiva
riguardo agli imperativi finanziari.
Questa percezione spregiativa può contaminare la visione che lo scrittore ha di
se stesso. Se non riesce a fare leva su forti convinzioni e una volontà di ferro,
quasi mistica, del senso di quello che fa e della fede nella rilevanza della
creazione letteraria per l’intera società, può finire per arrendersi a queste
pressioni e abbandonare la propria scrittura, anche quando dà prova di avere
un alto merito reale o potenziale.
383
Post/teca
Al di là di tutto quello che ho scritto qui, so anche che gli ostacoli sono sfide ed
esistono per essere affrontati, e mi auguro che siano in tanti a superare questa
corsa ad ostacoli e a preparare un presente e un futuro brillante per la nostra
letteratura. Ma attenzione, caro scrittore: corri e salta e corri e salta senza
cercare il traguardo, non riuscirai a vederlo, perché non si trova in un qualche
luogo fuori di noi stessi. Un giorno, così, improvvisamente, ti accorgerai di
averlo raggiunto, ma non sarà facile riconoscerlo allora, talmente diverso sarà
da quello che immaginavi all’inizio della corsa.
fonte: http://www.sagarana.net/anteprima.php?quale=245
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1.21.2011
Noi che comunisti lo saremo per sempre
Ora Compagni, non ve ne abbiate se io non mi sento di festeggiare
i 90 anni del P.C.I. Lo commemoro, semmai, con la morte nel
cuore e col rispetto che merita il dolore. Non prendetevela con
me, è solo che non sono capace nemmeno di applaudire a un
funerale, o di augurare buon compleanno all’amico morto
ammazzato tanto tempo fa. C’è differenza tra festa e
commemorazione, e noi che comunisti lo siamo ancora e lo
resteremo per sempre, non possiamo aver voglia di festeggiare.
Il P.C.I. non è arrivato a compiere i 90 anni, lo hanno ucciso molto
tempo fa seguendo l’onda dell’economia democratica da imporre
ad ogni costo, anche con le guerre di pace, o con un ipocrita e
fasullo concetto di libertà, basato sempre sul danaro, che in Italia
ha trovato terreno fertile con l’avvento del berlusconismo e con la
chiesa di Marcinkus e del Papa che diventerà beato proprio il
primo maggio prossimo, come ultimo schiaffo verso tutti noi.
384
Post/teca
Non me la sento di festeggiare la perdita, tanto più che c’è ancora
chi si ostina a demonizzare la nostra ideologia, chi non perde
occasione per utilizzare il termine in modo intimidatorio, chi
insegna alle nuove generazioni, terribilmente devastate dalla
povertà culturale, che per migliorare questo mondo bisogna
abbandonarle, le ideologie, fingendo di ignorare che è stato
proprio per questo abbandono – che ha sapore del tradimento –
che siamo arrivati proprio qua, dove siamo oggi. Nel nulla più
profondo.
Sono comunista, penso comunista, vivo comunista. Come
un’orfana e addolorata, o una vedova angosciata. Nei momenti più
bui delle nostre esistenze, cerco disperatamente il padre che
potrebbe mostrarmi la via, o il padre dei figli capace di esser
sostegno, ma poi mi ricordo la perdita e il lutto, e come fanno le
donne che devono fare da sé mi ricordo chi sono, da dove vengo e
cosa ho imparato e vado avanti, aggrappandomi proprio
all’ideologia. Quella che ti impedisce di pensare a te stesso come
unico essere degno di esistere, ma come molecola facente parte
di un organismo più grande, al quale la coscienza deve importi di
partecipare.
Commemoro il Partito, ne ricordo le donne e gli uomini migliori
che l’hanno fatto grande, che non ci hanno regalato il pensiero,
ma ce lo hanno prestato perché potessimo farne qualcosa di utile
da tramandare, con l’esempio e con la tenacia, con la Resistenza
che oggi è diversa da quella di ieri, a volte persino più difficile da
comprendere e da spiegare. Resistere oggi, significa conservarsi in
vita, non piegarsi, non vendersi e non umiliarsi. Mantenersi
dignitosi. Resistere è dire: “Io sono comunista”, e mostrarsi
esattamente per quel che si è agli occhi di chi ti guarda
immaginando il sangue di bimbo che cola dall’angolo della tua
bocca, perché così qualcuno ha insegnato; qualcuno che le
385
Post/teca
bambine le sbranava davvero.
Resistere è insegnare attraverso la vita coerente con l’ideologia,
che essere comunisti non è né un fallimento, né una malattia, ma
un modo per non mandare sprecata un’intera esistenza. Non
cedere mai alla tentazione di rinnegare ciò che siamo, anche
quando sappiamo che sarebbe più facile trovare il coraggio di
svegliarsi alla mattina.
Ieri sulla mia bacheca di Facebook hanno postato una frase, che
forse spiega meglio quello che avrei voluto dirvi fin qui, e
ringraziando chi l’ha inserita, la copio: “Che cosa sarebbe stata
l’Italia senza il PCI lo vediamo oggi che il PCI non c’è più.”
Alexander Höbel
A pugno chiuso,
Rita Pani (APOLIDE COMUNISTA)
fonte: http://r-esistenza-settimanale.blogspot.com/2011/01/noi-che-comunisti-lo-saremo-persempre.html
Sono nata a Carbonia (CI) nel 1964, ora vivo, casualmente, in Umbria.
Ho collaborato con la redazione giornalistica di una piccola emittente locale in
Sardegna
Ha partecipato a diversi laboratori di scrittura creativa, e scrittura collettiva,
pubblicando racconti brevi e alcune poesie.
Ho appena pubblicato il mio terzo romanzo, Quell'amore alla finestra - storia di
Tello e Dora; il primo è stato Luce,nel 2007 e Vite di vetro nel 2008. Altre
informazioni sul mio sito personale www.ritapani.it
I miei libri su IBS
http://www.internetbookshop.it/libri/Pani+Rita/libri.html
fonte: http://guevina.blog.espresso.repubblica.it/about.html
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386
Post/teca
L'INTERVISTA
Corti, un Ulisse al
premio Nobel?
Venerdì Eugenio Corti si recherà ancora nella stanza al primo piano del palazzo di famiglia a Besana in Brianza (Monza), dove vide la
luce il 21 gennaio 1921: «Fu alle nove del mattino, mi ha riferito mio padre». È la stanza che è diventata il suo studio, e dove tuttora
lavora: attualmente a una nuova edizione del volume di saggi Il fumo nel tempio. Lo scrittore, noto soprattutto per il romanzo Il cavallo
rosso, pubblicato da Ares, (che ha avuto 27 edizioni vendendo oltre 300mila copie), ma che è stato spesso trascurato dalla critica, ci
tiene a sottolineare il valore artistico delle sue opere: «Ho cercato sempre di rendere l’universale nel particolare, secondo quanto
predicano Aristotele e San Tommaso». Della sua fede non vanta alcun merito («mi è stata trasmessa dai miei genitori»), ma resta fermo
nel proposito di contribuire con la bellezza all’affermazione del Regno: «Vedere l’assoluto nel relativo, la realtà specchio di Dio: se è
rispettata questa impostazione nel rendere la realtà viene fuori l’opera d’arte».
Come è nata la sua vocazione di scrittore?
«È nata dai giorni in cui in prima media ho preso in mano il testo di Omero, e ho cominciato a leggerlo ancor prima che iniziassero le
lezioni. Ho trovato che trasformava in bellezza tutto quello che scriveva: ne sono stato preso al punto da desiderare di imitarlo e da non
staccarmene più. L’altro fatto determinante è accaduto quando mi trovavo sul fronte russo: la notte di Natale del 1942, nella sacca di
Arbusov, che chiamammo la valle della morte. Fu un’esperienza terribile: c’erano anche 30 gradi sotto zero, eravamo senza viveri e la
fame e la morte ci circondavano. Spaventoso era l’odio reciproco tra russi e tedeschi, esempio dell’uomo ridotto a bestia. In quella
circostanza promisi alla Madonna (sapevo che anche mia madre la pregava per la mia salvezza), che se fossi scampato alla strage mi
sarei impegnato per la realizzazione del secondo versetto del Padre Nostro: 'Venga il tuo Regno'. E così ho fatto, cercando di
contribuire all’affermazione del Regno come scrittore».
Le sue prime opere raccontano appunto la vicenda della ritirata di Russia e quella del rinato esercito italiano a fianco degli
Alleati. Ma la prima ha avuto un certo successo, la seconda no. Perché?
«Il fronte russo era il luogo della grande tragedia, il posto dove era stato maggiore il numero di perdite umane. Il mio I più non ritornano
fu uno dei primi resoconti di quei drammatici giorni: uscì dall’editore Garzanti che lo accettò subito. Aiutò molto la recensione favorevole
che ne fece Mario Apollonio, allora preside della facoltà di Lettere dell’Università Cattolica di Milano e uno dei maggiori critici letterari.
Quell’articolo servì anche a me, per confermarmi nella mia vocazione letteraria. Viceversa il libro dedicato alla mia esperienza bellica in
Italia, nell’armata che contribuiva alla liberazione dai tedeschi a fianco degli Alleati, non ebbe fortuna, credo per due motivi. Dal punto di
vista militare noi soldati del re e i partigiani abbiamo avuto circa lo stesso peso (e forse più morti), ma l’epopea partigiana all’epoca era
sempre esaltata, mentre la nostra opera era lasciata nel silenzio fino a renderla quasi sconosciuta. Il secondo motivo è che nel libro
c’era dentro l’aspirazione di quello che sarebbe diventato Il cavallo rosso, ma mi mancava l’esperienza. Un autore cerca di rendere
l’umanità del suo tempo, tende a essere scrittore universale. Quando nel ’51 scrissi questo libro avevo trent’anni e non avevo ancora la
capacità di maneggiare una materia tanto vasta. A cinquanta invece, quando ho iniziato a scrivere Il cavallo rosso, ero pronto, avevo
studiato, mi ero documentato. E nello stesso tempo avevo ancora la forza espressiva, senza aver perso il ricordo delle esperienze
dirette. E il libro è uscito come un frutto maturo».
Quali sono i suoi modelli letterari. Dobbiamo partire da Omero?
«Certamente Omero, che nel mondo infantile mi apparì di una bellezza somma. Poi studiando al liceo le poetiche, mi imbattei in tutte
scuole letterarie, italiane e non solo. Capii che il mio campo era la prosa e non la poesia. E mi convinceva la linea che va da Omero al
suo 'allievo' Virgilio (che in alcuni punti mi pareva addirittura superiore, penso al secondo libro dell’Eneide). Poi Dante, che sceglie
Virgilio come maestro. Poi i romanzi dell’Ottocento: Manzoni da noi, Tolstoj che ritengo il più omerico di tutti gli allievi di Omero. Mentre
le poetiche novecentesche (anche delle arti figurative) non mi hanno mai convinto. Ecco, Bacchelli mi pare l’ultimo gagliardo di quelli
che seguono la linea tradizionale».
E la fede, quanto l’ha aiutata?
«Non credo di avere meriti nella fede. Ho seguito l’impostazione che mi hanno dato i miei genitori e la scuola dove ho studiato (il
Collegio San Carlo di Milano). In realtà pur non avendo alcun dubbio (dal punto di vista razionale è tutto chiaro), credo che ci sia molta
gente che ha molta più fede di me, missionari ma anche gente del popolo. Ed essendo vicino al passaggio nel mondo di là, conto molto
sulla misericordia di Dio».
Cosa pensa della mobilitazione dei comitati per candidarla al premio Nobel per la letteratura?
«So bene che non me lo daranno mai. Anche perché la giuria è animata da uno spirito anticristiano. Ma se non lo hanno dato a Tolstoj,
che secondo me vale come tutti gli altri vincitori messi insieme, non mi preoccupo. Tra i miei amici, è soprattutto il mio editore in
Francia, Vladimir Dimitrievic, a crederci. In ogni caso ringrazio tutti i miei sostenitori: questo movimento serve comunque a diffondere la
conoscenza dei miei libri».
387
Post/teca
Enrico Negrotti
fonte:
http://www.avvenire.it/Cultura/Corti+un+Ulisse+al+premio+Nobel_201101191111369870000.htm
------------------20110122
Gioventù del mondo
adrianomaini:
Gioventù del mondo;
siate intransigenti
sul dovere di amare.
Ridete di coloro
che vi parleranno di prudenza,
di convenienza,
che vi consiglieranno
di mantenere
il giusto equilibrio.
La più grande
disgrazia che vi possa capitare
è di non essere utili a nessuno,
e che la vostra vita
non serva
a niente.
Raoul Follereau
(via lalumacahatrecorna)
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Dalla parte giusta nella
rivoluzione sbagliata
388
Post/teca
solodascavare:
Ora che sembra stia per morire è il caso di dirlo, c’è poco da festeggiare, a
rimuovere Berlusconi non saremo noi, non sarà la democrazia, non saranno i
giovani precari sui tetti, non saranno i ricercatori, ne tanto meno saranno gli
studenti. A rimuovere Berlusconi saranno la Chiesa, i De Benedetti,
gli Agnelli, i Marcegaglia, i Colannino, i Tronchetti Provera, i
Moratti, i Benetton, tutta gente che per quanto mi riguarda non è
assolutamente migliore del proprietario di Mediaset, della Fininvest, della
Mondadori, della Medusa e del Milan.
Ci stanno facendo tifare senza farci scegliere una squadra. Ora, finalmente
tutti contro Berlusconi. Questi imprenditori non hanno alcun
interesse nell’investire su di noi, sui ricercatori, sulla democrazia,
ne tanto meno sul libero mercato dove le aziende competono tutte
con le stesse regole. Questa, portata avanti dai giornali, dalla magistratura
e dalla politica è l’ennesima rivoluzione all’italiana, fatta perché nulla cambi.
E poi, tanto per puntualizzare ulteriormente, stare da questa parte è giusto, è
democratico, è sacrosanto, ma finita questa guerra contro il Putin, il
Bush, il Blair, il Gheddafi, lo Sharon de noantri (che nemmeno questi,
inclusi tutti i Papi, sono meglio di Berlusconi), staremo dalla stessa parte della
barricata dei Bertone, dei Fini, dei Casini e dei Buttiglione. Teniamolo a
mente.
E’ il capitalismo baby
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Qualche questioncella
lessicale (e latamente
manzoniana) sul caso
Battisti/libri al rogo
uomoinpolvere:
“Terrorista, innanzi tutto: basta che in una qualsiasi cronaca giornalistica la
389
Post/teca
parola faccia capolino, perché essa inizi ad agire con il suo veleno, si può dire
quel che si vuole, ma se Battisti è stato ed è un terrorista ha, comunque in
ogni caso, su qualsiasi faccenda, torto. Sempre. A questo sostantivo, si fanno
seguire, di solito, una serie di apposizioni, per lo più dedicate a descrivere ed
individuare noi che quel manifesto firmammo: si va da ‘difensori’ (ancora
accettabile), a ‘fiancheggiatori’, o addirittura ‘complici’, in un tripudio di
alternative paradigmatiche, che trova la sua acmé nella titolazione dell’elenco
immediatamente pubblicato da Libero “Ecco chi sono gli amici di Battisti”. Il
prossimo passo sarà, probabilmente: i compagni di merende…Naturalmente
nessuno dei firmatari di quell’appello è stato, o è un terrorista, nessuno di
quei firmatari, molti dei quali, come me, hanno gli anni necessari, in quel
periodo ebbe complicità alcuna al proposito, né credo la abbia oggi: non ci
sono membri delle BR, di Prima Linea, o dei PAC tra noi. Ma questo conta
poco. Come conta poco che, quando comoda, da terrorista il Battisti si
tramuti, come per magia, in ‘criminale comune’. A Napoli lo chiamiamo il
‘gioco delle 3 carte. Un gioco a cui si perde sempre…Il malefico magnetismo di
quella parolina è eccezionalmente efficace, taglia le gambe a ogni discussione,
annichila ogni capacità di giudizio autonomo. Si ha torto e basta: non c’è una
buona ragione per difendere un terrorista. Nessuna. E’ come per Caino.
Lo facevano spesso anche i nazisti, questo giochino con le parole, lo fecero a
Bassano quando appesero ai cadaveri dei 31 partigiani impiccati agli alberi del
viale principale il cartello ‘BANDITEN’. Ora, sia chiaro, non c’è in me nessuna
intenzione di paragonare la pochezza di ciò che accade a noi, a quanto
accadde a quei combattenti per la libertà. Non è questo il caso, né è questa la
statura, non la mia almeno. Ma la forza delle parole, la loro ostinazione a
piegare la realtà a una narrazione ‘divergente’ fa davvero impressione. Il
lavoro, si sa, rende liberi… E via così…”
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"La cattiveria ha dei limiti.
La stupidità, no."
— (via megliotardi)
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390
Post/teca
"Puoi mantenere un sorriso autentico solo
per un po’, dopodiché è solo denti."
— (Chuck Palahniuk)
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L' abominevole
Tanlongo e il
crac della
Banca Romana
«Non è stato donnaiolo, non ha mai giocato, è agli antipodi di ogni eleganza,
la sua frugalità rassomiglia da vicino all' avarizia...». Così veniva descritto sul
Corriere della Sera del 20-21 gennaio 1893 il settantatreenne Bernardo
Tanlongo, banchiere abominevole ma romanissimo. Nella sua vecchia
palandrana tra i saloni della sua banca, dove dalle sedie di cuoio usciva la
stoppa dell' imbottitura, egli era per tutti l' affannato Sor Bernà. Cresciuto
nella Roma del Papa Re e reso ancor più potente dagli imbrogli edili di Roma
capitale, aveva fronte vasta e la barba bianca, venerabile come quella dei
vecchi di Omero. Ma la sua maniera di estrarre dai cassetti pratiche e lettere
391
Post/teca
di cui parlare davanti a chi gli chiedeva i soldi era solerte come quella dei preti
della Curia. Gli stessi che serviva ragazzino prima ancora che parlassero e per
i quali, ventinovenne, era evoluto da garzone a spia dei francesi nella Roma di
Garibaldi. Non era affatto un venale, ma piuttosto aveva inteso che i sederi
delle puttane che scrutava in gioventù pei cardinali, le lettere, le smorfie d'
odio che carpiva in un viso erano la segreta materia del denaro. Dunque era
leale ai gesuiti ma anche alle Logge, giacché le diversità di idee o di partito gli
parevano del tutto insignificanti. Seduto con la sciarpa nera sulle gambe,
davanti alla dama o all' appaltatore che contorto dai complimenti falsi
chiedeva denaro, lui vedeva cosa erano i soldi: il comando richiesto dalla
vanità universale. Potere che i vizi davano più delle virtù; vanità che circola
sempre senza requie. La vanità era il fiume torbido che sfociava nel mare delle
scadenze, che lui paterno, dunque avaro, doveva regolare: «Quando mi farò il
vestito nuovo io, allora ripareremo i salotti». Anche perciò aggiustava
volentieri i bilanci. Cos' erano l' avarizia dei numeri e le somme, rispetto alla
vanità umana? Col cassiere della Banca Romana e il figlio, firmava in cantina
banconote doppie. Ma non bastavano a colmare il buco di cassa iperbolico, 28
milioni di lire, che il suo istituto, ancora tra le banche d' emissione del Regno,
aveva accumulato. Era però in quei giorni sereno: la vecchia indagine sui
conti della banca era finita nel niente; e Giolitti, per i favori che il Sor Bernà
aveva fatto a re Umberto e alle sue amanti, l' aveva quasi nominato senatore.
Si sentiva protetto dal fatto che quasi non c' era un nome in vista che non
fosse coinvolto. Tanto che neppure si curava che prima di Natale in
Parlamento s' erano date prove pubbliche dei falsi in bilancio della Banca
Romana. Così, quando alle sette del 19 gennaio 1893 l' intendente di pubblica
sicurezza arrivò per arrestarlo, ne fu stralunato. Ma chiamò una carrozza;
come sempre contrattò un po' il prezzo col cocchiere; ieratico fece dirigere
verso Regina Coeli. Pareva che fosse lui ad accompagnare in carcere i
gendarmi. Anche perché la plebe della Suburra plaudì al suo passaggio,
ricevendone in cambio sorrisi bonari e dei sigari. Il Corriere della Sera ne
diede notizia con settentrionale sobrietà, come anche scrisse del banchiere
Cuciniello arrestato, mentre vestito da prete con due milioni e mezzo,
scappava da casa dell' amante. O del vecchio direttore del Banco di Sicilia
assassinato a coltellate per mancanza di rispetto alla mafia. Il tutto mentre,
odiandosi l' un l' altro, Crispi e Giolitti si davano in Parlamento a turno la
colpa di aver saputo e non detto. Parve palese a tutti gli onesti che Roma fosse
392
Post/teca
la cova d' ogni marciume: delle speculazioni edili e degli scandali bancari. I
plichi di lettere e ricevute, di cui si nutriva in ricatto reciproco la politica
italiana, temiamo non solo allora, erano del resto il mare ideale in cui
Tanlongo sapeva navigare. E il Corriere in una prima pagina memorabile lo
ricordò ai lettori. Sotto l' occhiello «un colloquio con Tanlongo prima dell'
arresto» riportò il chiaro avvertimento del Sor Bernà: «Se mi si vuole
chiamare responsabile di colpe non mie, io sarò costretto a fare uno
scandalo... (la faccia di Tanlongo in quel momento erasi accesa». Più che
accesa in effetti era rossa. Giacché il nostro soffriva non solo di gotta per
eccesso di abbacchi; ma anche di erisipela: malattia infettiva contagiosa per
cui la pelle infiammata tende al color porpora. Ma l' Italia è nazione dove
ricattato e ricattante si confondono, come mai altrove. Crispi infatti teneva in
pugno Tanlongo dal giugno del 1890, ovvero da quando aveva la relazione
della Commissione d' inchiesta sui suoi conti. E in fase istruttoria del
processo, richiesto sui soldi dati a Giolitti e le carte da lui sequestrate,
Tanlongo assecondò Crispi: «Lei non smentisce?». Lui rispose: «Veggo che la
verità si fa strada da sé, non ho più ragione di negare: è vero». Ripagato e,
scandalo nello scandalo, quindi assolto a fine luglio 1894. Eppure quell'
ammissione era il più perfetto scherzo da prete fatto pure a Crispi. Nel plico
che Giolitti aveva serbato dai cassetti del banchiere c' erano anche le lettere di
Lina Crispi al maggiordomo amante e le tracce dei soldi pretesi da lei e suo
marito. Il romanissimo banchiere Bernardo Tanlongo fu il sommo genio,
plebeo e pretesco, del ricatto per azione fallace: «E se ben poi fallace la
ritrova, pigliar non cessa una ed un' altra nuova». (Ariosto, Orlando Furioso,
canto XXXII, XV ottava).
Alvi Geminello
Pagina 29
(8 febbraio 2004) - Corriere della Sera
fonte:
http://archiviostorico.corriere.it/2004/febbraio/08/abominevole_Tanlongo_crac_della_Banca_co_9_
040208093.shtml
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Cristina Branco, Fado perdiçaõ
Non so se è la canzone più bella, resta comunque la più triste del mondo.
Este amor não é um rio
393
Post/teca
questo amore non è un fiume
Tem a vastidão do mar
ha la vastità del mare
A dança verde das ondas
la danza verde delle onde
Soluça no meu olhar
singhiozza nel mio guardare
Tentei esquecer as palavras
Tentai di scordarmi le parole
Nunca ditas entre nós
Mai dette tra noi
Mas pairam sobre o silencio
ma librano sopra il silenzio
Nas margens da nossa voz
nelle rive della nostra voce
Tentei esquecer os teus olhos
tentai di dimenticare i tuoi occhi
Que não sabem ler nos meus
che non sanno leggere nei miei
Mas neles nasce a alvorada
ma in essi nasce l’alba
Que amanhece a terra e os céus
che orna la terra e i cieli
Tentei esquecer o teu nomen
tentai di dimenticare il tuo nome
Arrancá-lo ao pensamento
strapparlo al pensiero
Mas regressa a todo o instante
ma torna ogni momento
intrelaçado no vento
intessuto nel vento
Tentei ver a minha imagem
tentai di vedere la mia immagine
Mas foi a tua que vi
ma fu la tua che vidi
No meu espelho, porque trago
394
Post/teca
nel mio specchio, perchè porto
Os olhos rasos de ti
gli occhi pieni di te
Este amor não é um rio
questo amore non è un fiume
Tem abismos como o mar
possiede abissi come il mare
E o manto negro das ondas
e il mantello nero delle onde
Cobre-me de negro o olhar
mi copre di nero lo sguardo
Este amor não é um rio
questo amore non è un fiume
Tem a vastidão do mar
ha la vastità del mare
(testo e traduzione da qui)
fonte: http://piccole.rispostesenzadomanda.com/
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Cosa unisce l'Italia
moni ovadia
Le celebrazioni del Risorgimento, il processo che portò all’unità del
nostro Paese stanno per prendere avvio in un’Italia lacerata, divisa,
precipitata nel ridicolo dal governo di un solo uomo con la collaborazione
di uno stuolo di cortigiani travestiti da politici. Per sovramercato una
delle componenti della coalizione di maggioranza, forte del suo potere di
ricatto, malsopporta l’idea stessa di un’Italia una. Ripetutamente alcuni
dei suoi esponenti sbeffeggiano il tricolore, inalberano simboli posticci e
paganeggianti come simboli di una presunta patria padana e si
pretendono depositari di pseudo tradizioni e pseudo culture che non
vanno al di là dello spirito da strapaese e da sagra simil popolare.
395
Post/teca
Io sono un cittadino italiano che disprezza ogni nazionalismo, a cui
ripugna ogni retorica patriottarda e ho una vocazione universalista che
mi fa sentire cittadino del mondo. Eppure l’Italia è anche la mia patria,
nel senso in cui lo intendevano i combattenti per la libertà della
Resistenza antifascista. I tanto calunniati e demonizzati comunisti italiani
si aggregavano in formazioni che portavano il nome di Garibaldi, o la
sigla Gap, gruppi di azione patriottica. Il Risorgimento si compie e si
invera solo con la Resistenza antifascista, solo allora lo Stivale diviene la
patria di tutti, perchè nel passaggio da sudditi del Regno a cittadini della
Repubblica anche le donne diventano cittadine italiane a pieno titolo. Non
solo.
Gli ebrei come me sono finalmente reintegrati nella piena dignità di
cittadini italiani, dignità che il fascismo aveva loro strappato con le infami
leggi razziali e con la complicità dei miserabili Savoia. Solo chi si
riconosce nella Resistenza può dirsi pienamente italiano. Ed è
sintomatico che un sindacastro leghista abbia cancellato la ricorrenza del
25 Aprile dal Calendario.
21 gennaio 2011
fonte: http://www.unita.it/commenti/moniovadia/cosa-unisce-l-italia-1.267502?
listID=1.58441&pos=0
-------------------------20110124
"Alcune persone sono vive solo perchè
l’assassinio è illegale."
—
- Confucio
(via imlmfm)
[non so se sia Confucio, ma chissene: parole di verità, augh]
(via ze-violet)
396
Post/teca
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dottorcarlo:
uomoinpolvere:
Carlos Lungarzo di Amnesty International Brazil: Democracia
analfabeta, Veneto censura escritores
Sueddeutsche Zeitung:
In der italienischen Region Venetien sollen Bücher kritischer Autoren aus
Bibliotheken entfernt werden
Actua-Littés:
Fahrenheit 451, ça vous parle ? En Italie, on y est
Alcune voci straniere sul #rogodilibri (via Giap). Segnalate se ne trovate altri.
.
(via dottorcarlo)
-----------------------
"Che epoca terribile quella in cui degli idioti
governano dei ciechi."
—
Shakespeare
adrianomaini
-------------------
gravitazero:
«Vita privata»: quanto ancora dovremo sopportare l’imbroglio per cui
un’ipotesi di reato – ripeto: robustamente fondata – è vita privata? Quanto
ancora dovremo sopportare l’anestesia totale che vorrebbe privati, comunque,
i comportamenti di chi è eletto ad alte cariche politiche, che in una società
trasparente sono invece pubblici per antonomasia, come del resto diceva lo
stesso direttore del Tg1 prima di essere ingoiato dalla sua ingordigia?
- Alessandro Gilioli
---------------------
397
Post/teca
emmanuelnegro:
ze-violet:
superfuji:
“qualche giorno prima ho discusso animatamente con persone di sinistra col
solito ritornello, gli italiani sono così. così i benpensanti si lavano le mani per
avere accettato, per non avere urlato quando bisognava farlo. ora è colpa dei
poveracci che sono “di natura” furbi e non vogliono pagare le tasse. quelli che
dicevano a sinistra e al centro “è già ricco non ruberà” o “non demoniziamo” o
“ammettiamo che è un genio” già non esistono più. oggi sono indignati e non
devono rispondere di nulla. se alla fine ce la farà torneranno a dire che ha
ragione. l’unico valore riconosciuto è il successo. credono di parlare con un
bicchiere di brandy in mano invece sono in cannottiera a sputare e scaccolarsi
e a scommettere sui galli da combattimento. le masse. la massa esiste anche
se nessuno ammetterebbe di farne parte. i pubblicitari hanno lusigato i suoi
membri raffigurandoli come “unici” ma non è vero. siamo unici
potenzialmente, potremmo essere unici, ma possiamo anche non esserlo
affatto. i pochi che hanno spirito critico, che si potrebbe anche chiamare
semplicemente intelligenza, avevano un ruolo un tempo ora sono ai margini,
sono zero. se fai notare a chicchessia che si sta muovendo eterodiretto,
chicchessia ti urla addosso. nega che questo possa accadere e che possa
accadere a lui. i chicchessia pecoroni sono ormai in tutti i luoghi dove si
prendono decisioni. chi non si è fatto comprare verrà preso per fame, questa è
l’idea. ma per chi voleva, a ciascuno è stato dato un prezzo, nessuno è stato
escluso. e ra alla resa dei conti, quella parte che era previsto non si sarebbe
piegata, quella parte viene dipinta come in estinzione. è solo questione di
tempo visto che è sparita da quasi tutte le forme di rappresentazione. prima si
viene cancellati, o ci si prova, nel mondo delle idee e poi si viene cancellati
nella realtà. i nostri voti, le nostre idee hanno un valore di ostacolo
provvisorio destinato ad essere rimosso perché alla fame non si resiste. nel
deserto non si fanno proggetti. i deserti sono fatti per essere attraversati, non
per viverci, non per nascerci. eppure eppure anche questo passerà e chi non
ne ha fatto parte uscirà intatto. continuiamo a ragionare, a lavorare a
progettare come si può, con quello che c’è. per adesso procederei così.”
—
SabinaGuzzanti - Siamo solo al 22… Pensavo peggio
no, dai: facciamo Tunisia, almeno.
398
Post/teca
“credono di parlare con un bicchiere di brandy in mano invece
sono in cannottiera a sputare e scaccolarsi e a scommettere sui
galli da combattimento” è da scrivere su tutti i muri.
------------------------
"cara signorina crubellier, dopo la scomparsa
delle mezze stagioni, e il nero che smagrisce,
ci si presenta in tutta la sua tonda semplicità,
la scoperta che gli altri, generalmente, non
sono molto più di quel poco che ne riusciamo
a vedere."
—
laziamarella dixit.
(via 11ruesimoncrubellier)
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"Se mi interesso a quello che dicono i cretini,
non avrò più tempo per quello che dicono le
persone intelligenti.."
— Éric-Emmanuel Schmitt (via apertevirgolette)
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"Come ha detto qualcuno, le storie capitano
solo a chi le sa raccontare.
Analogamente, forse, le esperienze si
399
Post/teca
presentano solo a chi è capace di viverle.
Ma questo è un punto controverso, non ne
sono sicuro."
— Paul Auster - Trilogia di New York (via firstbr3athaftercoma)
(via lalumacahatrecorna)
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philapple:
“Sono sopravvissuto alla scarlattina, agli orecchioni, a due rapine a mano
armata, alle piattole, all’estrazione di tutti i denti, a un’operazione all’anca, a
un processo per omicidio e a tre mogli. La prima è morta, mentre la Seconda
Signora Panofsky, nonostante sia passata un’eternità, al solo sentire la mia
voce strillerebbe: “Assassino, cosa ne hai fatto del cadavere?”, per poi
sbattermi la cornetta in faccia. Miriam no, Miriam mi parlerebbe. Chissà,
forse riderebbe dei miei tormenti. Magari queste stanze tornassero a riempirsi
delle sue risate. Del suo profumo. Del suo amore. Il problema è che molto
probabilmente risponderebbe Blair, e l’ultima volta quel bastardo spocchioso
mi ha mandato tutto di traverso. “Vorrei parlare con mia moglie” gli ho detto.
“Non è più tua moglie, Barney. E tu in compenso sei ebbro”. “Ebbro”. Certo,
cos’altro può dire uno come lui. “Intendi sbronzo? Ovvio che sono sbronzo.
Sono le quattro del mattino”. “E Miriam dorme”. “Ma guarda che è con te che
volevo parlare. Vedi, Blair, stavo facendo pulizia nei cassetti, e mi sono venute
per le mani certe magnifiche foto di nudo che avevo fatto a Miriam quando
stavamo insieme. Mi chiedevo se non sarebbe stato più giusto che le tenessi
tu. Così, tanto per sapere com’era da giovane”. “Sei uno schifoso”. E su questo
ha riattaccato. Non del tutto falso. Comunque, schifoso o no, mi sono fatto un
tip tap in giro per la stanza, con un bicchiere di Cardhu in mano.”
—
La versione di Barney (Mordecai Richler)
(Fonte: philapple, via piggyna)
-----------------------
«Non è la vergogna che fa le rivoluzioni,
400
Post/teca
tuttavia la vergogna è già una rivoluzione in
qualche modo. Se un’intera nazione
esperimenta davvero il senso della vergogna
è come un leone accovacciato pronto a
balzare».
Lo disse Karl Marx.
"
—
Indignatevi (via gianlucavisconti). (via gravitazero)
(vergogna, what is?)
(via emmanuelnegro)
------------------
siamo stati l’ultima
generazione a guardare i
film di totò (un post a
tempo determinato)
emmeintumblerland:
uds:
io scherzo continuamente perché la vita è qualcosa di assurdo, inquietante e
cattivo. siamo creature su una palla di acqua salata e sabbia, con un tempo
ridicolmente esiguo a disposizione, senza alcun indizio di cosa ci sia prima o
dopo questa parentesi. c’è una buona probabilità che non ci sia nulla. pur non
pensandoci continuamente, questa consapevolezza assurda, inquietante e
cattiva è ben radicata in me. e riderne è l’unica maniera che ho per
401
Post/teca
affrontarla. smascherarla. sopravviverci. di fronte all’assurdo ridere del
paradosso. anche se la battuta che faccio va contro le mie convinzioni.
l’importante è che funzioni in quel senso. nei film di totò la risata nasceva
dalle macerie e miserie che aveva intorno. ora che le macerie e le miserie le
abbiamo dentro c’è ancora più bisogno di esporle. nulla dovrebbe esser preso
sul serio perché nulla, a parte (credo) un minimo principio di solidarietà -che
comunque la maggior parte della gente ignora-, ha basi così solide da essere
inattaccabili.
questo era per rispondere alla tua domanda sul perché scherzo sempre. e
anche alla tua domanda sul perché sono completamente inabile nelle
discussioni da bar. ora, cortesemente, qualcuno mi porti sei litri di canadian
cola.
fissato (il post).
(via batchiara)
------------------
"A me mi garbano quelli che mettono
Scientology e La Bibbia nella sezione
“Fantascienza” in biblioteca."
— 3nding (via 3nding)
---------------------"Flâneur", parola introdotta dal poeta francese Charles Baudelaire, indica il gentiluomo che vaga
per le vie cittadine. La parola non presenterebbe però un'esatta traduzione in italiano.
Il concetto di flâneur è altresì significativamente presente nell'opera di Walter Benjamin, nonché
ricorrente nell'ambito di discussioni accademiche sulla modernità, ed è diventato significativo
anche in architettura ed urbanistica.
Attorno al 1850, Baudelaire sostenne che l'arte tradizionale era inadeguata per le nuove e
dinamiche complicazioni della vita moderna. I cambiamenti sociali ed economici portati
dall'industrializzazione richiedevano che l'artista si immergesse nella metropoli e diventasse, per
usare le parole di Baudelaire, 'un botanico del marciapiede', un conoscitore analitico del tessuto
urbano. Poiché coniò il termine riferendosi ai parigini, il 'flâneur' (colui che passeggia) e la 'flânerie'
(il passeggiare) sono associati con Parigi e con quel tipo di ambiente, che lascia spazio
all'esplorazione non affrettata e libera da programmi. Il flâneur è tipicamente molto consapevole
del suo comportamento pigro e privo di urgenza ed era descritto, per esemplificare questa sua
402
Post/teca
caratteristica umorale, come uno che porta al guinzaglio delle tartarughe lungo le vie di Parigi[1].
Walter Benjamin adottò questo concetto dell'osservatore urbano sia come strumento analitico che
come stile di vita. Dal suo punto di vista marxista Benjamin descrive il flâneur come un prodotto
della vita moderna e della rivoluzione industriale, senza precedenti nella storia e decisamente
appartenente ad un certo tipo di classe sociale, parallelo all'avvento del turista. Il suo flâneur è un
borghese dilettante, non coinvolto ma molto perspicace. Benjamin divenne il suo stesso esempio
principale, raccogliendo le osservazioni sociali ed estetiche che ricavava da lunghe passeggiate
per le vie di Parigi. Anche il titolo del suo incompiuto "Passagen-Werk", opera filosofica, deriva
dalla sua particolare affezione per le strade occupate dai negozi. Nel 1917, lo scrittore svizzero
Robert Walser pubblicò un racconto breve intitolato "La passeggiata", che rappresenta il
capolavoro della letteratura del flâneur.
Nel contesto dell'architettura e dell'urbanistica contemporanea, la progettazione rappresenta per i
flâneurs una delle modalità per approcciarsi agli aspetti psicologici della costruzione di edifici.
L'architetto Jon Jerde, per es., disegnò il suo Horton Plaza e il Universal CityWalk, costruendoli
intorno alla necessità di prevedere sorprese, distrazioni e sequenze di eventi per passeggiatori.
Note: 1] http://www.wcenter.ncc.edu/gazette/wernerreview.htm
fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Fl%C3%A2neur
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Toh, la Chiesa ha fatto
crac di Emiliano
Fittipaldi L’Espresso
di Emiliano Fittipaldi
Una diocesi slovena ha creato un buco per un miliardo di euro. Che il
Vaticano non sa come ripianare. Una storia incredibile di investimenti
sbagliati che ha fatto infuriare Ratzinger
(21 gennaio 2011)
C’è una piccola diocesi che da qualche settimana ha tolto il sonno alle notti di
Papa Benedetto XVI. Una chiesa che custodisce un segreto che potrebbe
travolgere il Vaticano. Stavolta non si tratta della curia americana o di quella
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Post/teca
irlandese, implicate negli scandali dei preti pedofili. Né di ecclesiastici
italiani, finiti nelle inchieste dei magistrati sulla “cricca” capitanata da Angelo
Balducci e sul presunto riciclaggio dello Ior scoperta da Bankitalia. La basilica
che angoscia Joseph Ratzinger e i suoi uomini di fiducia, Tarcisio Bertone su
tutti, è quella di Maribor, cittadina nel nord Slovenia famosa per ospitare una
gara di slalom della coppa del Mondo di sci.
La città rischia, ora, di diventare celebre anche per uno dei più gravi crac
finanziari della storia della Chiesa: l’arcidiocesi, oltre a pascolare le anime di
poco più di 100 mila fedeli, si è infatti lanciata negli ultimi anni in
investimenti quantomeno spericolati. Sarà stata l’incompetenza del vescovo
(rimosso da poco), sarà stata la crisi economica mondiale unita a qualche
colpo di sfortuna, fatto sta che la chiesetta e le società da lei controllate sono
riuscite ad accumulare la bellezza di oltre 800 milioni di euro di debiti. Un
buco mostruoso che attualmente nessuno è in grado di coprire: il rosso è pari
al 2 per cento dell’intero prodotto interno lordo sloveno e, per fare un
raffronto, è tre volte superiore alle entrate registrate nell’ultimo bilancio del
Vaticano.
Il default è dunque molto probabile, e avrebbe pochi precedenti nella storia
della Santa Sede. Sono in molti a tremare, a Roma e a Lubiana: perché
l’esposizione pesa su varie banche, compresa Unicredit, e su circa 30 mila
risparmiatori sloveni.
Ma come è stato possibile che una minuscola arcidiocesi abbia accumulato in
una ventina d’anni debiti degni di una multinazionale? “L’espresso” ha
consultato documenti riservati e parlato con autorevoli fonti slovene, che
definiscono la situazione semplicemente “catastrofica”. Andiamo con ordine,
partendo dalla fine. Da quando a San Pietro s’accorgono dell’enormità del
bubbone causato dalle avventure finanziarie del vescovo Franc Kramberger.
La scoperta avviene quasi per caso, quando a fine 2007 una tv controllata
dalla Chiesa slovena si mette a trasmettere programmi pornografici. Sui
giornali locali scoppia il pandemonio. A Roma sono preoccupati, anche
perché negli stessi giorni il vescovo di Maribor manda al Vaticano una strana
richiesta: vuole essere autorizzato ad aprire due mutui da 5 milioni di euro
l’uno.
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Post/teca
Le gerarchie competenti iniziano a sentire puzza di bruciato, chiedono lumi al
nunzio apostolico in Slovenia. L’ambasciatore del papa intuisce che dietro ai
filmini hard che la tv dei preti usa per sbaragliare la concorrenza c’è altro,
qualcuno inizia a sussurrare di esposizioni milionarie e investimenti folli.
Monsignor Mauro Piacenza, allora segretario della Congregazione per il clero,
comincia così a chiedere alla diocesi informazioni più dettagliate.
Prima sulla società di comunicazione T-2, quella che controlla la tv, poi su
tutti i conti e le varie holding controllate dalla diocesi. Le risposte arrivano
dopo mesi, omissive e incomprensibili: Piacenza avverte così Bertone e il papa
si decide di spedire a Maribor un ispettore di fiducia per studiare le carte da
vicino. Gianluca Piredda, esperto di bilanci, arriva in Slovenia all’inizio del
2010 con il titolo di “visitatore apostolico”. Ci mette poco a capire che il
dissesto dell’arcidiocesi è di proporzioni bibliche. Le sue conclusioni vengono
spedite in un rapporto a Roma lo scorso ottobre. “L’espresso” è in grado di
rivelarne il contenuto.
La piccola chiesa ha fatto il passo più lungo della gamba, creando un grande
impero economico che ora traballa. L’avventura parte all’inizio degli anni
Novanta, quando la diocesi di Maribor costituisce la banca Krek (in dieci anni
diventa il decimo istituto del Paese, nel 2002 viene venduto) e una società
commerciale (la Gospodarstvo Rast). Passa qualche anno, e nascono due
holding per investimenti e business assortiti, la Zvon 1 e la Zvon 2, controllate
a loro volta dalla Rast.
via: http://colorolamente.tumblr.com/post/2907765927
via: http://curiositasmundi.tumblr.com/post/2907866883/toh-la-chiesa-ha-fatto-crac-di-emilianofittipaldi
---------------------23/01/2011 - PERSONAGGIO
Tullia Zevi, la donna del
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Post/teca
dialogo tra ebrei e cattolici
E’ morta ieri a 92 anni. Nel 1987 aveva firmato la storica
l’intesa con lo Stato italiano
ELENA LOEWNTHAL
Tullia Zevi ha lasciato questo mondo ieri sera, proprio mentre si chiudeva il Sabato,
che la tradizione ebraica immagina in figura di sposa che viene e va dentro il tempo.
A giorni avrebbe compiuto 92 anni: era nata a Milano il due febbraio del 1919. Con
lei se ne va una grande figura dell’ebraismo italiano, e non solo perché ha ricoperto
importanti incarichi ufficiali, a incominciare dalla presidenza dell’Unione delle
comunità ebraiche italiane dal 1983 - unica donna a ricoprire questo ruolo cruciale.
Di incarichi ufficiali e non Tullia Zevi ne ha avuti davvero tanti, all’insegna di una
vita attiva, instancabile eppure sempre animata da quella sua pacatezza
straordinaria che ti colpiva immancabilmente quando la sentivi parlare, sorridere,
annuire in un modo che non era un puro assenso, ma diceva tante cose insieme a
quel gesto.
Tullia Zevi era davvero tante cose, tante figure interessanti dentro una vita. Nel
1992 il presidente della Repubblica Scalfaro l’ha insignita dell’onorificenza di
cavaliere di gran croce. Un cavaliere che era anche musicista, suonatrice d’arpa, e
giornalista - per più di trent’anni scrisse per il quotidiano israeliano Maariv. In
primo piano c’e certamente il suo impegno «politico» dentro l’ebraismo italiano:
Tullia Zevi non è stata soltanto la prima donna a diventare, nel 1983, presidente
dell’Unione che racchiude tutta la comunità degli ebrei italiani. Ha anche e
soprattutto impresso a questa carica e all’istituzione che guida un corso davvero
nuovo, nel presente e nel futuro. Con la sua dirigenza sono cambiati i rapporti fra le
istituzioni, la società e la cultura di questo Paese: ne è nata una dinamica tutta
nuova, di interazione, scambi. Soprattutto di una reciproca apertura che non è solo
il frutto di tempi nuovi ma anche, e non in marginale misura, della presidenza di
Tullia Zevi.
Grazie a lei l’ebraismo italiano, saldamente ancorato ai propri millenni di storia ma
perennemente in bilico su numeri minimi - non dimentichiamo che la comunità
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Post/teca
italiana conta oggi, in tutto lo stivale, non più di venticinquemila anime - ha
perduto quella paura della visibilità. Era lo spettro di un passato così generoso di
torti da portare con sé l’idea che meno si veniva visti e riconosciuti più era probabile
riuscire a sopravvivere indenni ai corsi e ricorsi di una storia per lo più ostile. Tutto
questo sembrava definitivamente alle spalle con l’emancipazione, avviatasi per gli
ebrei italiani a partire dalla metà dell’Ottocento in un lungo iter storico, ma le paure
e le diffidenze sono dure a morire. C’è voluta Tullia Zevi per perdere, da parte
ebraica, gli ultimi timori in merito a una partecipazione piena e attiva alla vita
pubblica italiana.
Eppure qualcosa da rimproverare a questo Paese, come del resto ogni ebreo che
abbia attraversato la prima e terribile parte del Secolo Breve, Tullia Zevi l’aveva,
eccome. Il suo cognome di nascita era Calabi - divenne Zevi sposando il grande
architetto Bruno - e la sua famiglia vide quell’atroce fulmine a ciel sereno delle leggi
razziali da Oltralpe: erano in vacanza in Svizzera e forse fu proprio quella salutare
distanza a dare loro le giuste misure dell’orrore che erano quei provvedimenti. I
Calabi iniziarono l’esilio prima di tanti altri ebrei, e fu proprio la consapevolezza a
concedere loro il beneficio di una salvezza che per molti non arrivò proprio perché
non riuscirono a rendersi conto di quanto stava accadendo.
Lei si rifugiò prima in Francia, a Parigi. E poi quando anche lì tutto sembrava
avviato verso quella catastrofe che puntualmente arrivò, attraversò l’oceano e
approdò negli Stati Uniti. Si dice spesso che gli ebrei sono cittadini del mondo. È
vero. Peccato che il più delle volte lo dovessero diventare loro malgrado. Certo
questi esilii hanno forgiato l’animo di tanti, lei compresa. In questo senso, e anche
in tanti altri, Tullia Zevi era davvero l’emblema di un ebraismo italiano tenace e
paziente, ricco di cose da raccontare, ma anche di una certa qual ritrosia ereditata
da secoli di difficoltà e paure.
E lei rappresentava e racchiudeva nella sua complessa, affascinante figura, questa
indole tipicamente «nostra», fatta di saggezza antica, pazienza, consapevolezza dei
propri esigui numeri ma anche di una nobiltà che non è blasonata perché la procura
solo la storia. Al di là dei tanti incarichi ufficiali da lei ricoperti, Tullia Zevi è stata
l’anima dell’ebraismo italiano, nel suo cuore - che in ebraico ha un’accezione ben
più ampia di quella puramente sentimentale - e anche nell’inventario di esperienze
che era stata costretta ad attraversare. Parlando con lei e ascoltandola parlare, quasi
ci si dimenticava di quello che aveva passato: c’era infatti una dolcezza che
disarmava, perché non era inermità, anzi. Era il buon uso dell’intelligenza e del
sentimento: lei capace sempre di insegnarti qualcosa di nuovo ogni volta che la
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Post/teca
incontravi, che la ascoltavi.
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ha inviato alla famiglia un
messaggio di cordoglio: «Il rapporto che ho potuto intrattenere con lei
personalmente e poi sviluppare negli anni della sua presidenza della Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane mi ha permesso di apprezzare profondamente la
limpida e ferma consapevolezza storica e posizione ideale, l’alto impegno civile e la
squisita umanità e cultura».
fonte: http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/385483/
-------------------24/01/2011 - PERSONAGGIO
Mauthausen per ogni
pidocchio cinque bastonate
I ricordi di Gianfranco Maris, ex deportato, che oggi
compie novant'anni: "Si moriva prima con la testa e poi
col corpo"
MICHELE BRAMBILLA
MILANO
È uno di quei pochi uomini che hanno ancora qualcosa da raccontare. Lo considera
un dovere: «Quando parlo ai ragazzi delle scuole li trovo attentissimi. Ma capisco
che non sanno niente di quei tempi: chiedono quando è stata la guerra, chi l’ha fatta
e contro chi, chi ha vinto e chi ha perso». L’avvocato Gianfranco Maris oggi compie
90 anni e viene festeggiato alla Fondazione Memoria della Deportazione (è a Milano
in via Dogana 3), di cui è presidente. È stato a Mauthausen-Gusen, il campo di
concentramento nazista che vanta, per modo di dire, la più alta percentuale di
vittime: morì il 60 per cento dei deportati. Dachau e Buchenwald sono sotto il 30
per cento. Auschwitz sembra poco sotto alla percentuale del Lager in cui è stato
Maris, ma lì non ci andavano i «politici» come a Mauthausen, ci andavano gli ebrei
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Post/teca
e spesso gli ebrei venivano mandati nelle camere a gas prima dell’immatricolazione,
così che la macabra contabilità è inesatta per difetto.
Lo incontro nel suo studio di Milano. Gianfranco Maris è un noto avvocato
penalista. Ha difeso anche Leonardo Marino, che ha confessato di aver partecipato
all’omicidio del commissario Calabresi. E siccome Maris è stato senatore del Partito
comunista (dal 1963 al 1972), qualcuno arrivò a dire che il processo contro gli ex di
Lotta continua era un complotto del Pci, che doveva regolare vecchi conti a sinistra.
Maris sorride: «Era estate, e io ero uno dei pochi avvocati non ancora in vacanza.
Marino non aveva un legale, il pubblico ministero che lo interrogava mi vide in
corridoio e mi chiese se volevo assumere la difesa d’ufficio. Parlai a lungo con
Marino, studiai le carte, accettai solo quando mi fu chiaro che era credibile». Maris
sorride, anche perché per un uomo che è stato in un Lager nazista quasi tutto, anche
certi veleni e sospetti, scivola via come una cosa piccola. Racconta con una lucidità e
una passione che sembrano azionare una misteriosa macchina del tempo.
«Il fatto che ha determinato tutto il mio destino è accaduto nel 1938, quando avevo
17 anni e frequentavo il terzo anno del liceo classico al Carducci di Milano. Un mio
amico mi presentò suo fratello, che era un tipo strano e affascinante. Mi diede dei
libri da leggere, erano libri di politica e di temi sociali. Mi accorsi che avevano tutti
il segno di un piccolo timbro con scritto “Ventotene”. Non sapevo nulla di
Ventotene. Seppi più tardi che quel ragazzo era il rappresentante del Pci clandestino
a Milano. Mi presentò Vittorini, Steiner, altri uomini di cultura. La mia fu
un’adesione di fatto.
«In casa non avevo respirato un’attività antifascista. Era una famiglia abbastanza
modesta, mio padre era un fonditore di ghisa e aveva una piccolissima azienda con
il fratello. Io ricordo solo che ebbe delle grane al tempo del delitto Matteotti. Era un
repubblicano e i fascisti un giorno vennero a cercarlo a casa. Lui non c’era. Si
nascosero in giardino e lo aspettarono. Quando la sera arrivò, mia madre riuscì a
divincolarsi dagli squadristi che la tenevano in casa e gli gridò di scappare. Avevo
tre anni ma mi ricordo tutto. Mio padre che scappa, e tutti a inseguirlo: i fascisti e
mia mamma con me in braccio. Riuscì a rifugiarsi in questura e a salvarsi, ma da
quel momento fece una gran fatica a trovare lavoro.
«Perché si diventava comunisti? Anche per episodi così. Tanti episodi. Nel 1938
avevamo un supplente che avrà avuto 25 o 26 anni. Un giorno entra in classe e ci
dice: “Sono venuto a congedarmi da voi. Purtroppo appartengo a una razza
inferiore, non sono ariano come voi”. Io non sapevo niente delle leggi razziali, e non
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Post/teca
avevo mai avvertito ostilità contro gli ebrei. Vidi allontanati dal Carducci molti miei
compagni di scuola e di giochi. Per me fu determinante».
La memoria scava in altri giorni lontani: «Nel 1939 una sera vidi un vecchio che
faceva la pipì sul muro dell’edificio che ospitava il Gruppo rionale fascista. Non lo
faceva per spregio politico: solo perché era vecchio e ubriaco. Uscirono dal Gruppo
sette-otto ragazzi e lo massacrarono di botte. Io intervenni e picchiarono pure me,
poi mi portarono dentro e mi portarono dal segretario. Mi interrogò: “Perché sei
intervenuto?”. Risposi che difendere un povero vecchio mi pareva un atto di
giustizia e di libertà. Ripresero a picchiarmi, e siccome qualche pugno riuscii a
piazzarlo anch’io, loro chiamarono la polizia accusandomi di lesioni e violazione di
domicilio. In questura un vecchio commissario meridionale, che aveva capito tutto,
fece finta di prendere la denuncia e mi lasciò andare».
Poi la guerra. «Ero ufficiale. Slovenia, Croazia, Grecia. Comandavo soldati che
avevano dieci anni più di me. L’80 per cento di loro era analfabeta. Pastori del Sud
che mi chiedevano di leggere le lettere che arrivavano da casa. Raccoglievo
confidenze di povera gente che era stata mandata a morire a migliaia di chilometri
da casa senza sapere perché. Mi guardavano e mi chiedevano: perché facciamo
questa guerra? Non sapevo che cosa rispondere. E non potevo non capire che quella
guerra era una rapina, un’infamia. Molti sono diventati comunisti a causa di quella
guerra». Gli chiedo se s’è mai sentito deluso – dopo – dal comunismo: «Quello che
è successo in Russia, e anche altrove, è una degenerazione del comunismo».
Torniamo a quei tempi. Arriva il 25 luglio, poi l’8 settembre, l’esercito nel caos,
ordini che non arrivano. «Siamo tornati in Italia a piedi. A Milano andai in una sede
del Pci davanti all’ospedale Fatebenefratelli. Decisero di mettere a disposizione la
mia esperienza militare. Vado in Val Brembana, organizzo una brigata in Val
Taleggio, poi mi mandano in Valtellina. Ma alla stazione di Lecco io e un compagno
veniamo arrestati dalle SS: ci aveva venduti un partigiano arrestato». Il carcere a
Bergamo e a San Vittore, le botte. Poi il binario 21: partenza per Fossoli, quindi
Mauthausen-Gusen. «Ci arrivammo il 5 agosto 1944. Era un campo per deportati
politici. Poi vennero deportati anche i non “politici”: bastava essere operai e avere
braccia buone per il Reich. I non idonei finivano nelle camere a gas, o uccisi con
un’iniezione di benzina al cuore». Mi spiega come cercavano di tenerli in forze, visto
che erano «utili» come forza-lavoro. «Nell’agosto del ’44, quando sono arrivato,
davano un chilo di pane al giorno da dividere in sei. Nel marzo del 1945 la stessa
razione veniva divisa in 24. Ricordo la fame, il freddo, la dissenteria.
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Post/teca
«La sera c’era il controllo dei pidocchi. Ti facevano spogliare e controllavano i
vestiti: per ogni pidocchio, cinque bastonate. Una sera d’inverno mi trovarono
cinque pidocchi. Presi venticinque bastonate, poi lasciarono i miei vestiti tutta la
notte sul tetto pieno di neve e mi fecero dormire nudo. La mattina tornai alla cava di
pietre indossando i vestiti inzuppati di neve e gelati». Come ha fatto a sopravvivere?
«Non lo so neanche io, forse non lo sa nessuno. Morirono in tanti: si moriva prima
con la testa e poi con il corpo. A volte, quando racconti ti dicono: non è possibile che
sia successo tutto questo. Ma è successo, e potrebbe succedere ancora. Ecco perché
noi dobbiamo mantenere la memoria. La conoscenza della storia è la prima
condizione per la libertà».
fonte: http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/385634/
-----------------
"La pazzia, signore, se ne va a spasso per il
mondo come il sole, e non c’è luogo in cui
non risplenda."
— William Shakespeare (via fotonico)
-----------http://www.youtube.com/watch?v=bLZ040RA3tM&feature=player_embedded
-----------
Segregazione culturale
By Luca De Biase on January 22, 2011 11:05 PM
Leggendo "La cultura degli italiani" per seguire le informazioni raccolte da Tullio De
Mauro sull'analfabetismo funzionale degli italiani. Una segregazione culturale che
tiene fuori una maggioranza di italiani dalle abilità fondamentali per vivere in pieno
nella società contemporanea. Non sanno proprio leggere oltre il 30%. Non
capiscono quello che leggono oltre il 50%. Non leggono mai circa 70%... De Mauro
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Post/teca
è esigente, ma bisogna ammettere che di questo si parla troppo poco... Tra l'altro,
l'unica dinamica albafetizzante, dice De Mauro, in un contesto altrimenti di
peggioramento, negli ultimi anni è stata innescata da internet che ha alimentato
l'inclusione di una fascia di popolazione che era poco sotto la soglia minima di
accesso agli strumenti della lettura e che l'ha superata per gli stimoli trovati in rete.
fonte: http://blog.debiase.com/2011/01/segregazione-culturale.html
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25 comandamenti per i giornalisti
Mettiamo da parte per un attimo le catastrofiche e deprimenti previsioni sulla ‘’morte’’
del giornalismo e immaginiamo che il mestiere continuerà ad esistere e ad avere delle
sue buone prassi – Ecco da un veterano del Guardian, Tim Radford, una garbata ma
pungente lezione per chi intenda accostarsi alla professione, che ha chiamato ”A
manifesto for a simple scribe’‘ – Consigli apparentemente leggeri, ma molto
efficaci e ‘’universali’’, suggeriti con grande ironia e semplicità, segno di quella
saggezza che solo una esperienza profonda riesce a far sedimentare – Un racconto
che presentiamo integralmente (in versione italiana) anche perché ci sembra una
lettura divertente
—–
Tim Radford, un giornalista che da 32 anni scrive per il Guardian, ha tenuto mercoledì
sera all’ Imperial College di Londra una lezione sul giornalismo basandola su una
serie di ‘’comandamenti’’ (25 per l’ esattezza, un ‘’Icosipentalogo’’) per chi si avvicina
alla professione.
Radford offre una serie di consigli garbati e apparentemente leggeri, ma molto
efficaci, suggeriti con grande ironia e semplicità, segno di quella saggezza che solo
una esperienza profonda riesce a far sedimentare.
Una ‘’lezione’’ che presentiamo (in versione italiana) anche perché ci sembra una
lettura divertente.
Radford racconta di aver elaborato queste indicazioni quando, dovendo fare dei corsi
di formazione per giornalisti per conto di un gruppo editoriale, in preda al panico,
cominciò a chiedersi quale fosse la cosa più importante a cui si doveva pensare
quando si scriveva un articolo. La risposta gli arrivò alla fine forte e chiara: ‘’Fare in
modo che qualcuno lo legga’’.
Alla fine – osserva – non c’ è un’ altra ragione migliore per scrivere. I giornalisti
scrivono per sostenere la democrazia, rispettare la verità, onorare la giustizia,
giustificare le spese, vedere il mondo e fare una bella vita, ma per fare
soddisfacentemente ognuna di questa cose si devono avere dei lettori. Correttezza e
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Post/teca
accuratezza sono molto importanti, certo. Senza di esse, non c’ è giornalismo
propriamente detto: si gioca qualche altra partita. Ma prima di tutto il giornalista deve
essere letto. Altrimenti giornalismo non è.
Ho cominciato a scrivere numerando gli argomenti e mi sono fermato a 25. Non ho
tempo per ridurre il tutto a un vero decalogo con i Dieci Comandamenti. Li ho lasciati
così, dandogli il sottotitolo, semiserio, di ‘’Manifesto per un semplice scrivano’’.
A MANIFESTO FOR THE SIMPLE SCRIBE – MY 25 COMMANDAMENTS FOR
JOURNALISTS
di Tim Radford
1.Quando ti siedi a scrivere c’ è una sola persona veramente importante nella tua vita.
E’ qualcuno che tu non incontrerai mai ed è chiamato lettore.
2. Non scrivi per far colpo sullo scienziato che hai appena intervistato, né per il
professore che ti ha seguito all’ università, o per il direttore che ti ha bocciato o per
quella tipa sexy che hai appena incontrato a una festa e a cui hai detto che sei uno
scrittore. Oppure per tua madre. Stai scrivendo per colpire qualcuno appeso a una
maniglia della metro fra Parson’s Green e Putney, che forse smetterà di leggere in un
quinto di secondo.
3. Quindi, la prima frase che scriverai sarà la frase più importante della tua vita, e così
la seconda, e così la terza. E questo perché, se tu puoi sentirti obbligato a scrivere,
nessuno si potrà mai sentire obbligato a leggere.
4. Il Giornalismo è importante. Ma non deve, mai, sentirsi e mostrarsi importante.
Niente spinge un lettore a rifugiarsi alla pagina delle parole crociate o a quella dei
risultati dell’ ippica più della pomposità. Quindi parole semplici, idee chiare e frasi
brevi sono vitali nella narrazione giornalistica.
5. C’ è una frase da incidere sul cartello che appenderai sulla tua macchina da
scrivere: ‘’Nessuno mai protesterà se renderai un fatto più semplice da capire’’.
6. Ed ecco un’ altra cosa che dovrai ricordare ogni volta che ti siedi davanti alla
tastiera: ‘’Nessuno ha il dovere di leggere questa merda’’.
7. Se hai dei dubbi, parti dal fatto che il lettore non sa nulla. Ma non fare mai la
sciocchezza di giudicarlo stupido. Un errore classico nel giornalismo è di
sopravvalutare quello che il lettore sa e di sottovalutare invece la sua intelligenza.
8. La vita è complicata, ma il giornalismo non può essere complicato. E’ proprio
perché i problemi – medicina, politica, finanza – sono complicati che i lettori si
rivolgono al Guardian, o alla Bbbc, a Lancet, o alle vecchie pagine di giornale con cui
si avvolge il pesce nelle pescherie e gli acquisti ai self service, sperando che li
renderanno più semplici.
9. Quindi, se una questione è aggrovigliata come un piatto di spaghetti, tratta il tuo
articolo come se fosse uno degli spaghetti, estratto dal groviglio. Rispettando la
ricetta, con olio, aglio e salsa di pomodoro. Il lettore ti sarà grato perché gli hai dato
la semplicità di una parte e non la complessità del tutto. Questo perché: a) il lettore
sa bene che la vita è complicata, ma è contento di avere per lo meno un aspetto che è
stato spiegato chiaramente e b) perché nessuno leggerebbe mai un servizio che
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annuncia: ‘’E’ una vicenda inspiegabilmente complicata…’’.
10. Una regola. Un articolo deve raccontare solo una cosa. Se hai di fronte quattro
aspetti di una vicenda, intrecciali attorno alla cosa principale che devi raccontare. Puoi
utilizzarne dei frammenti nel tuo articolo, ma solo se puoi farlo senza doverti staccare
troppo dal racconto che hai scelto di seguire.
11. Una osservazione. Non cominciare a scrivere fino a quando non hai deciso qual
è il senso della storia e cerca di formularlo con te stesso in una frase. Quindi chiediti
se tua madre riuscirebbe ad ascoltare questa frase per più di un microsecondo senza
riprendere a stirare. Quando dovrai vendere al direttore di un giornale una idea per un
articolo, avrai lo stesso livello di attenzione, e quindi fai attenzione a quella frase.
Spesso, non sempre, sarà la prima frase del tuo articolo.
12. C’ è sempre un attacco ideale per qualsiasi articolo. Esso aiuta veramente a
pensare a quello che viene dopo, perché scoprirai che le frasi successive si scrivono
quasi da sole, molto velocemente. Non significa che tu sei semplicistico o superficiale.
Oppure di gran talento. Significa solo che hai scritto la frase giusta.
13. Definizioni come queste non sono degli insulti per un giornalista. Il punto
essenziale per chi paga per un giornale è avere delle informazioni che scivolano via
facilmente e velocemente, senza troppe note, riferimenti oscuri e note alle note.
14. Parole come ‘’sensazionale’’ o ‘’futile’’ non devono far storcere il muso a un
giornalista. Leggi quello che leggi – teatro elisabettiano, romanzi russi, fumetti satirici
francesi, thriller americani – perché qualcosa nelle loro pagine stimola sentimenti di
eccitazione, o di humour, il romanticismo o l’ ironia. Il buon giornalismo dovrebbe darti
appunto la sensazione di humour, di eccitazione, di intensità o di sapore piccante.
Superficiale è uno degli insulti preferiti dai professoroni. Ma anche loro si
appassionano delle loro materie prima di tutto perché vengono attratti da qualcosa di
luccicante, appariscente e, è vero, di futile.
15. Le parole hanno un significato. Rispettalo. Guarda sul dizionario, scopri come
vengono usate. E usale con proprietà. Non pavoneggiarti dietro la tua ignoranza. Non
infilarti d’impulso in un sentiero impervio senza prima chiederti in che modo sarai
capace di aprirti una strada.
16. I cliché, nell’ istruzione classica del mondo dei quotidiani, devono essere evitati
come la peste. Tranne quando sono il cliché adatto. E’ sorprendente scoprire quanto
sia utile un cliché, quando viene usato giudiziosamente. Perché il giornalismo non è
tanto essere bravo quanto essere veloce.
17. Le metafore sono grandi cose. Ma non scegliere metafore astruse e mai, mai,
mischiarle. La ciurma del Guardian aveva un Premio speciale , una sorta di Oscar dell’
incompetenza, assegnato a un cronista di relazioni industriali che aveva spiegato al
mondo che ‘’alcuni gatti selvaggi al Congresso delle Trade Unions erano appostati nel
sottobosco, pronti a balzare come dei pirana, nonostante avessero la museruola’’. E
George Orwell raccontava di un poliziotto militare secondo cui ‘’la piovra dell’
oppressione fascista aveva intonato il suo canto del cigno’’.
18. Attenzione alle pose. Quando Mosé ordinò ai suoi comandanti di uccidere i
Madianiti non lo fece per dimostrare che lui era un vero duro. (…). Il linguaggio del
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Post/teca
pub o del bar ha i suoi ritmi, il suo codice corporeo, i suoi sistemi di segnalamento. Il
linguaggio della pagina non ha accentuazioni, non ha le tonalità che possono indicare
scherzo o commedia o autoironia. Deve essere diretto, chiaro e vivido. E per essere
diretto e vivo, deve seguire la propria grammatica.
19. Attenzione alle parole lunghe e incomprensibili. Attenzione al gergo. Se scrivi cose
scientifiche questo è doppiamente importante. Devi bandire le parole che gli esseri
umani normali non userebbero mai, come fenotipo, mitocondrio, inflazione cosmica,
distribuzione di Gauss o isostasia. Non cercare di sembrare ‘’sfavillante’’ o ‘’al settimo
cielo’’, basta essere brillante e felice.
20. L’ inglese è meglio del latino. Tu non stermini, tu uccidi. Tu non ‘’sbavi’’, tu sei
innamorato. Tu non deflagri, bruci. Mosè non disse al Faraone:’’La conseguenza della
mancata liberazione della popolazione di un particolare soggetto etnico potrebbe
determinare alla fine qualche particolare affezione alle colonie di alghe nel bacino
centrale del fiume, con delle conseguenze impreviste per la flora e la fauna, e anche
per i servizi ai consumatori’’. Disse invece: ‘’le acque del fiume…si trasformeranno in
sangue, e i pesci del fiume moriranno, e il fiume puzzerà’’.
21. Ricorda che le persone vengono colpite da quello che è più vicino a loro. I cittadini
della zona sud di Londra potrebbero preoccuparsi di più per la riforma economica in
Surinam che per il risultato della squadra del Millwall il sabato, ma la maggior parte di
loro non lo farà. Devi accettarlo. Il 24 novembre 1963, l’ Hull Daily Mail (un giornale
locale della zona di Hull, nello Yorkshire, ndr) mi mandò alla ricerca di un punto di
vista locale sull’ assassinio del presidente Kennedy. Una volta trovato l’ attacco del
pezzo, che faceva ‘’Gli abitanti di Hull erano in lutto stamani per…’’, potevo andare
avanti tranquillamente col racconto di quello che era accaduto a Dallas.
22. Leggi. Leggi un sacco di cose diverse. Leggi la Bibbia di Re Giacomo e Dickens, le
poesie di Shelley e i fumetti della Marvel e i thriller di Chester Himes e Dashiel
Hammet. Guarda le cose strabilianti che si possono fare con le parole. Osserva come
possono evocare per incanto interi mondi nello spazio di mezza pagina.
23. Attenzione alle cose troppo definitive. L’ ultimo cavallo di Godalming (cittadina del
Surrey, ndr) non sarà certamente l’ ultimo cavallo del Surrey. Ci sarà sempre più o
meno qualcuno più grande, veloce, vecchio, giovane, ricco o nauseante del candidato
a cui hai appena affibbiato l’ ultimo superlative. Salvati sempre dai seccatori: ‘’Uno dei
primi…’’ ti salverà. Altrimenti, per lo meno qualificalo così: ‘’Secondo il Guinness dei
primati…’’, ‘’L’ elenco dei ricchi del Sunday Times…’’. E così via.
24. Ci sono cose che il buon gusto e la legge ti impediscono semplicemente di dire per
iscritto. Le mie preferite sono: ‘’Assassino assolto’’ e (in un articolo sulle funzioni
religiose di Pasqua), ‘’Paul Meyers, che faceva Gesù Cristo, è emerso come la star
dello show’’.
25. Chi scrive ha delle responsabilità, non solo di tipo legale. Puntare alla verità. Se
quest’ ultima è sfuggente, e spesso lo è, per lo meno puntare alla correttezza,
coscienti che c’ è sempre un’ altra faccia della vicenda. Attenzione a chi predica l’
obbiettività. Costoro sono i più elusivi di tutti. Puoi scrivere che la Royal Society
sostiene che l’ ingegneria genetica è una buona cosa e che l’ uranio impoverito è
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Post/teca
assolutamente innocuo. Ma devi ricordarti che l’ ingegneria genetica è stata inventata
da persone che sono state immediatamente accolte nella Royal Society, per la loro
intelligenza, da altre persone che sono già membri della società perché hanno
scoperto come arricchire il combustibile delle barre di uranio e come impoverire il
resto. Dunque, parafrasando Miss Mandy Rice-Davies, (una delle protagoniste dello
scandalo Profumo, ndr), “Che altro potrebbero dire, non vi sembra?’’
fonte: http://www.lsdi.it/2011/01/23/25-comandamenti-per-i-giornalisti/
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I dieci piatti più sopravvalutati
Il sushi, il pane fatto in casa, le ostriche, la birra artigianale, prosciutto e melone
I piatti celebri che non meritano la loro fama nella lista di Massimo Bernardi
24 GENNAIO 2011 |
DI MASSIMO BERNARDI
Sono giorni che mi riprometto di scrivere una cosa sui piatti più sopravvalutati. Oggi
l’ho fatto, e siccome è tema sul quale tutti hanno un’opinione, mi aspetto che lo
facciate anche voi. Ma senza essere ipocriti, non più del necessario, insomma.
Il pane fatto in casa col lievito naturale (variante: la pizza fatta in casa)
Smanettare in cucina è senz’altro cosa degna di lode. E chi si dispone a fare il
pane con il lievito madre sta chiaramente ponedo le basi per. Ma di tutte le volte
che assaggiando le creazioni di volenterose neo-massaie avete commentato:
“mmm, buonissimo”, quante in realtà avete pensato: “Sola di scarpa inacidita”?
Il sushi
Coraggio — è arrivato il momento di interrompere bruscamente le insane relazioni
che prevedono richieste tipo: “sushi insieme, stasera?” I don’t do sushi no more. E i
crudisti che al cospetto di un trancio di tonno cinguettano di sentirci il mare penso lo
facciano per moda. Il punto è che non trovo mai un motivo per cenare col sushi
piuttosto che con qualunque altro piatto.
Le birre artigianali (quasi tutte)
Intendiamoci, la centralità dell’artigianale italiana è fuori discussione, alla prova
degustazione vince a mani basse. Ciò detto, ne hanno parlato cani, porci e
passanti, i prezzi son lievitati e ora, ogni volta che le vedo metto su un’espressione
di sana antipatia. Per la cronaca, la crisi di rigetto ha riempito il mio frigo di
Menabrea, Budweiser, Orval e Guinnes.
I formaggi con le marmellate
Da una parte, vedere pezzetti informi di cacio disposti in senso orario abbinati a
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Post/teca
schizzi collosi di confetture rosse e gialle mi provoca un’incontrollabile ilarità.
Dall’altra, la tentazione di alzarmi e andarmene ogni volta che fanno la comparsa
sul tavolo. Non voglio essere mai più l’utilizzatore finale di questa roba.
Le tagliatelle al ragù di Massimo Bottura
Per carità, l’Osteria Francescana è il vero punto G della cucina italiana, e la
tradizione remixata da Bottura è storicizzabile come la più ultimativa degli anni
zero. Ma dico, avete mai mangiato le tagliatelle al ragù? A parte che 9 su 10
arrivano tiepide, ma nell’improvviso deserto di sapore ho creduto di pensare che
fossero migliori quelle di mia suocera. Basta così?
I macaron
“Macaron c’est moi” potrebbe dire a ragione il pasticcere parigino Pierre Hermé. Ma
al di là dei suoi, e mettiamoci Luderée + una decina di adorabili eccezioni, il resto
dei macaron fa schifo. Belli son belli, eh, però diciamolo una volta per tutte che il re
è nudo, e che a meno di non amare il sapore degli aromi di sintesi c’ha le papille
gustative di legno. (© della lettrice Paola Roccuzzo).
Tofu e seitan
Provateci. No, dico: provateci. Convertite il vostro appuntamento alla filosofia del
light e fategli mangiare quello che prima dell’infatuazione esotica, quando ancora
chiamavamo le cose col lore nome, sarebbe stato cibo per galline. E sperate che
essendo troppo pigro per venirti a bruciare il citofono, si limiti a togliere l’amicizia su
Facebook.
Le ostriche
Conoscendo i miei polli (gastrofanatici italiani che trovano eccitante l’ambigua
pratica di succhiare molluschi dalla loro conchiglia) confesso un’ardente adorazione
per i frutti di mare tutti. Ma non posso non fare le pulci alle ostriche evocando il
sapore dell’acqua di porto che mi arriva in gola ogni volta che ne succhio una.
Magari perché non è delle migliori, non so.
Prosciutto e melone
Per quale motivo combinare due cose degne del massimo rispetto per farne una
terribile. Provate il melone con le aringhe affumicate, piuttosto.
La torta Mimosa
Senza giri di parole: guarderei una stagione di Antonella Clerici piuttosto che
mangiare una fetta di torta mimosa.
Baccalà e stoccafisso
In una democrazia compiuta “quel buon odore di baccalà” (?) sarebbe fuorilegge.
Non sono uno schizzinoso, non chiudo le narici sentenziando che stoccafisso e
baccalà puzzano come calzini. Sopporto perfino i sinonimi inventati dagli invasati
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Post/teca
per non dire che puzza, inebriante… divinamente muschiato. Ma io mi chiamo
fuori… e no, nemmeno fritto.
fonte: http://www.ilpost.it/2011/01/24/i-dieci-piatti-piu-sopravvalutati/
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Post/teca
20110125
"Non vergogniamoci di dire ciò che non ci
vergogniamo di pensare."
— Montaigne (via risorgenza)
(via lalumacahatrecorna)
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lollodj:
Sono preoccupato. Ma non per l’economia o la decadenza, che mi diverte
molto. No. Per i Motörhead. Sull’ultimo numero di Rolling Stone sono disco
del mese e la recensione, per 3/4, parla delle mamme con le magliette dei
Ramones che sono trendy e dice diocane, non è che poi succederà anche ai
Motörhead quando Lemmy schioppa, e tra l’altro il loro nuovo disco è il
primo di loro che non mi fa schifo?
Certo, purtroppo succederà, visto che se i Motörhead sono disco del mese su
Rolling Stronz, vuol dire che ormai la coolness prefabbricata li ha raggiunti.
Chiaro, tutti questi endorsement sono merda di giaguaro, confronto alla
partnership con Triple H: quella sì che è roba. Ma risale a prima, quindi non
vale.
(via Sei Un Idiota Ignorante)
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"Ah, certo. Gli italiani. Gente musicalmente
idiota!"
— “Amadeus”, Milos Forman, 1984 (via flatguy)
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Per il pane e la libertà |
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Post/teca
senzafrontiere
uomoinpolvere:
“Nel 1999, l’ammiraglio Fulvio Martini, già dirigente del Servizio Segreto
Militare(SISMI) riferì alla Commissione Stragi del Parlamento italiano:
“Negli anni 1985-1987 organizzammo una specie di colpo di Stato
in Tunisia, mettendo il presidente Ben Ali a capo dello Stato,
sostituendo Bourguiba (esponente di primissimo piano nella lotta di
indipendenza dal colonialismo francese, NdR)”. Martini, inoltre, nel suo libro
“Nome in codice: Ulisse” precisò che le direttive venivano da Craxi e da
Andreotti, allora rispettivamente presidente del consiglio e ministro degli
esteri. Successivamente l’oppositore del regime dittatoriale di Ben Ali,
Taoufik Ben Brik ha denunciato come i governanti italiani abbiano
rinforzato il regime “rimpinguando i suoi forzieri e armando il suo braccio
contro il popolo”. Non a caso fu in Tunisia che il latitante Craxi si rifugiò,
riverito, protetto e seppellito, per sfuggire alle condanne inflittegli.
La rivolta e la lotta in corso in Tunisia ci appartengono, le sentiamo come
nostre, sia perché sono contro un regime dittatoriale, arrogante e corrotto sia
perchè nate per conquistare, non solo migliori condizioni di vita, ma anche
libertà di parola e di organizzazione. Le sosteniamo in quanto espressione
autonoma di esigenze popolari, sganciate da logiche di compatibilità
geopolitiche.”
Commissione Relazioni Internazionali FAI
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"Ultimamente sono affascinato dalle donne
che si applicano quelle lunghissime unghie
decorate. Mi chiedo come riescano a
masturarsi senza finire al pronto soccorso."
— (via spaam)
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420
Post/teca
"Nella lingua italiana tutte le parole che
iniziano con “liber-” sono diventate
mostruose o, quando va bene, innocue. Ce n’è
una sola che ha conservato una quota di
senso, e infatti è la meno ricorrente, la più
tenuta ai margini del discorso pubblico, la
più temuta e odiata da sproloquiatori e
donazzànidi: “liberazione”. Spesso con
l’iniziale maiuscola: “Liberazione”. Parola
che descrive un processo e il suo esito, un
agire e il suo fine. Al contrario di “libertà”,
che può essere un concetto astratto e
disincarnato, “liberazione” implica gli esseri
umani. Senza di essi non esiste. Si libera
sempre qualcuno, e ci si libera daqualcuno.
“Popolo della Libertà” è un’espressione
orrorifica. “Futuro e libertà” è pura distopia.
“Sinistra, ecologia e libertà” è una borsa della
spesa che si rovescia.
Liberarsi della “libertà” sarebbe già l’avvio di
una liberazione."
421
Post/teca
—
Wu Ming (ovviamente, anche qui, il messaggio subliminale è hop hop hop)
Non è affascinante che i nazisti riescano sempre a piazzare la parola libertà
nella loro propaganda?
Stieg Larsson – Uomini che odiano le donne
(via nipresa)
(Fonte: manyinwonderland, via hneeta)
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Ancora una volta, il baratro non è politico: è
culturale. E’ l’assenza di istruzione, di
cultura, di consapevolezza, di dignità.
L’assenza di un’alternativa altrettanto
convincente. E’ questo il danno prodotto dal
quindicennio che abbiamo attraversato, è
questo il delitto politico compiuto: il vuoto, il
volo in caduta libera verso il medioevo
catodico, infine l’Italia ridotta a un bordello.
Sono sicura, so con certezza che la maggior
parte delle donne italiane non è in fila per il
bunga bunga. Sono certa che la prostituzione
consapevole come forma di emancipazione
dal bisogno e persino come strumento di
accesso ai desideri effimeri sia la scelta, se
scelta a queste condizioni si può chiamare, di
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Post/teca
una minima minoranza. È dunque alle altre,
a tutte le altre donne che mi rivolgo. Sono
due anni che lo faccio, ma oggi è il momento
di rispondere forte: dove siete, ragazze?
Madri, nonne, figlie, nipoti, dove siete. Di
destra o di sinistra che siate, povere o ricche,
del Nord o del Sud, donne figlie di un tempo
che altre donne prima di voi hanno reso ricco
di possibilità uguale e libero, dove siete?
Davvero pensate di poter alzare le spalle, di
poter dire non mi riguarda? Il grande
interrogativo che grava sull’Italia, oggi, non è
cosa faccia Silvio B. e perché.
La vera domanda è perché gli italiani e le
italiane gli consentano di rappresentarli. Il
problema non è lui, siete voi. Quel che il
mondo ci domanda è: perché lo votate? Non
può essere un’inchiesta della magistratura a
decretare la fine del berlusconismo,
dobbiamo essere noi. E non può essere la
censura dei suoi vizi senili a condannarlo, né
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Post/teca
l’accertamento dei reati che ha commesso:
dei reati lasciate che si occupi la
magistratura, i vizi lasciate che restino
miserie private.
"
— Le altre donne - Invece (via tommaso)
(via batchiara)
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Il governo del Paese
di massimo mantellini
Io me lo immagino, seduto in una stanza con le imposte
abbassate. Da solo e in silenzio. La luce azzurra dei monitor
televisivi sintonizzati sulle troppe trasmissioni che parlano di lui.
Sul tavolino, mescolati fra i tanti telecomandi, la trinitrina, le
gocce di En, un paio di telefoni cellulari di quelli non troppo
complicati. Se ne sta seduto un po’ di traverso, come se il
divano avesse le spine, lo sguardo passa da uno schermo
all’altro. Ogni tanto, silenziosamente qualcuno entra nella
stanza con una pila di quotidiani sottolineati sugli articoli che lo
riguardano, oppure con le stampate di qualche sito web. Lui
dedica un rapido sguardo sulle parole inchiostrate poi ritorna
agli schermi alle pareti. Qualche volta sbotta, salta in piedi,
prende un cellulare e consulta un foglietto pieno di numeri di
telefono scritti a penna, quei foglietti stropicciati, mille volte
maneggiati, vergati con una calligrafia ordinata ed inclinata da
ragioniere di una volta. Infine compone il numero, mentre
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Post/teca
pendola avanti indietro nella stanza. Qualche volta lo mandano
in onda, qualche volta no. Appena sente il click della diretta
esordisce sempre con la solita frase: ” Mi è stato segnalato che
nella vostra trasmissione…”. Che tradotto in italiano dal tenero
linguaggio degli adolescenti significa: ” Io avrei molto da fare
ma dedico un secondo pure a voi…”. Poi, inevitabilmente,
partono gli insulti, solo che una volta dall’altra parte dl filo lo
attendevano voci compite e preoccupate, molto gentili e
disponibili, rispettose del suo ruolo. Ora non è più così, lo
sente, annusa nell’aria l’odore acre del colpo di stato verbale.
Più la sua autorità precipita e più i suoi toni si accendono, le
parole si trasformano in pietre. E nemmeno la precipitosa
chiusura della comunicazione appena terminata la frase
sembra placarlo più di tanto. Ieri sera, per esempio, quel tizio
de La7 ha perfino osato rispondergli in diretta dandogli del
cafone. Lui ha messo giù lo stesso, poi si è seduto sul divano
per dominare l’emozione. Ha versato 10 gocce di En nel
bicchiere, aggiunto un dito di acqua povera di sali. In pochi
istanti era tutto passato. L’uomo della scorta è entrato
chiedendo se era tutto a posto. Lo ha congedato con un gesto.
Poi è tornato ad occuparsi del governo del paese dentro quella
stanza dai profili azzurrognoli. Che alle 23.45 su Rai Tre inizia il
prossimo programma che parla di lui.
fonte: http://www.mantellini.it/?p=11130
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Il paese delle escort che dimentica anche Marie Curie
di Nicla Vassallo
425
Post/teca
La cornice è quella di Massascienza, generosa manifestazione, la cui
ultima edizione si è aperta lo scorso 11 dicembre per chiudersi il
prossimo 18 febbraio, con un congruo numero eventi, non solo
conferenze, anzi, tra cui il mio intervento su «Donne e scienze.
Eccellenze e violenze» (Teatrino dei Servi, l’11 febbraio, alle ore 17,
Massa, n.d.r), a ricordare un centenario epocale, quello del conferimento
del Premio Nobel per la chimica a Maria Sklodowska, ovvero a Marie
Curie.
Eccellenze, appunto quali lei, al suo secondo Nobel, dopo quello per la
fisica, condiviso con Pierre Curie e Antonie Henrie Becquerel. Docente
alla Sorbona, moglie di un docente, madre di Irène Joliot- Curie, a sua
volta Nobel per la chimica nel 1935, e di Eve Devise Curie, scrittrice,
consigliere del Segretario delle Nazioni Unite, ambasciatrice dell’Unicef.
Lei, Madame Curie, tra i pochi a vincere due Nobel. Lei che non brevetta
il processo di isolamento del radio: a importare rimangono la libertà e il
progresso della ricerca scientifica, null’altro. Lei che si dedica alla
diagnosi dei soldati feriti nella Prima Guerra Mondiale. Lei che fonda
quanto individuiamo oggi come l’Istituto Curie. Lei che, dopo la morte
prematura del marito, investito da una carrozza nell’aprile 1906,
prosegue imperterrita a lavorare da scienziata «dura e pura», nonostante
gli invidiosi tentino di screditarla – pure certi ambienti, quelli scientifici,
pullulano di narcisi gelosi, come ci testimonia, tra gli altri, Patrick Coffey
in Cathedrals of Science. ThePersonalities andRivalries That Made
Modern Chemistry, Oxford University Press, 2008. In qualmodoscreditare
una donna intelligente, impegnata, generosa?
Ovvio, esaltandone la bellezza, il lato sexy predatorio; quindi, Madame
non deve valere più di tanto, se non in qualità di un’infiammata femme
fatale dai parecchi amanti – l’aneddoto non sfugge a Sam Kean nel
divertente e inquietante The Disappering Spoon. And Other True Tales of
Madness, Love and the History of the World From the Periodic Table of
Elements, Little, Brown & Company, 2010. Lei, l’eccellenza, che
smentisce in tutto e per tutto Albert Einstein, stando a cui «quando si
tratta di voi donne il centro produttivo non è situato nel cervello». Lei,
dai tanti altri riconoscimenti (per esempio, la Medaglia Davy, la Medaglia
Matteucci, il Pantheon), muore in un sanatorio della Savoia nel 1934,
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Post/teca
plausibilmente per una leucemia dovuta a un’eccessiva esposizione al
materiale radiativo. Lei che parecchi ricercatori hanno presente per la
Marie Curie Fellows Association, nonché per le opportunità che a suo
nome offre laCommissione europea per la ricerca e l’innovazione.
Se di Marie Curie sappiano, nonostante dovremmo sapere di più, di altre
donne, dalle grandi espressioni cognitive, proseguiamo e insistiamo col
voler sapere poco. Rarissime le donne insignite del Nobel, a troppe è
stato depredato. In ogni caso, i contributi intellettuali e scientifici
“femminili”, fioriti in legami con uomini, vengono di norma attribuiti a
questi ultimi.
Alcuni casi emblematici in cui a ottenere fama e onore è l’uomo,
quantunque troppi meriti spettino in effetti alla donna: Sophie Brahe e il
fratello Tycho, Gabrielle du Chatelet e Voltaire, Marie Paulze Lavoisier e il
marito, Ada Byron e Charles Babbage, Jocelyn Bell-Burnell e Anthony
Ewish, Rosalind Franklin e Francis Crick, James Watson, Maurice Wilkins,
Mileva Maric e Albert Einstein, Lise Meitner e Otto Hahn; Chien-Shiung
Wu e Tsung Dao Lee e Chen Ning Yang.
Ci troviamo di fronte a un tipo di violenza epistemica, in cui la capacità di
conoscere, in quanto donne, ai massimi livelli, risulta negata. Così capita
che queste donne, che faticano, insieme ad altre, non vengano
approvate, elogiate, premiate, neanche oggi, mentre le cosiddette escort
(non sempre prostitute di alto bordo,come si solevaun tempo)
conquistano facilmente denari e potere socio-politico, nella lapalissiana
assurdità ove viene consentito tutto ai diversi meccanismi di
prostituzione e servilismo, non solo corporei – non illudiamoci – ma pure
mentali e, purtroppo, intellettuali, per quanto criminali, perfidi, sleali.
Mentre le intellettuali oneste e serie soffrono.
E muoiono senza che il cosiddetto “grande pubblico” lo tenga a mente
(più divertente, sebbene degenerante, piazzarsi davanti alla tv con
Amici, Colpo Grosso, Drive In, il Grande Fratello, La pupa e il secchione,
L’isola dei famosi, X Factor, e via dicendo, quali modelli di riferimento).
Chi può ricordarsi allora di Rosalind Franklin, che a trentasette anni
muorediuncancro alle ovaie, presumibilmente a causa della forte
427
Post/teca
esposizione ai raggi X, se non quando il misogino James Watson la
denigra? E chi si ricorda invece di Marie-Claude Lorne, tra i filosofi della
biologia più rigorosi, che a trentanove anni si suicida, gettandosi nella
Senna? Forse chi tra noi si trova a leggere il commovente necrologio di
Thomas Pradeusu Biology and Philosophy (volume 24, numero 3, pp.
281-282, 2009).
I celebrati nonché le celebrate rimangono altri e altre. Riusciamo a non
smentirci: perfino quest’anno, con l’esiguo omaggio tributato nel nostro
paese all’esimia Marie Curie. A brillare sempre più persistono le escort.
Facciamo sì che le cose vadano altrimenti. Nel frattempo, un grazie a
Massascienza. E, in attesa del Festival della Scienza di Genova, che
incoraggia a parlare del Nobel per la chimica del 1911, spegniamo la tv e
rileggiamo ciò che ci racconta Susan Quinn in Marie Curie, una vita
(Bollati Boringhieri, 1998).
24 gennaio 2011
fonte: http://www.unita.it/italia/il-paese-delle-escort-br-che-dimentica-anche-marie-curie-1.267875
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L'adrenalina elettronica di un entusiasta detto Lorenzo
di Diego Perugini
Arriva vestito di tutto punto all’ultimo piano (31esimo!) del Pirellone
milanese, completo nero con camicia rossa, omaggio ai Kraftwerk di The
Man Machine nonché abito di gala con cui presentare in pompa magna il
suo nuovo cd, Ora. Lorenzo Jovanotti Cherubini è sempre il solito
inguaribile entusiasta, anche quando le cose del mondo sembrano
andare a rotoli.
Continua a «pensare positivo», insomma, magari con uno sguardo più
disincantato. Ora è un disco ottimista, potente e adrenalinico. Portatore
sano di un vitalismo contemporaneo, dove carne e spirito si fondono in
un sound tutto energia e passione. Diverso da Safari, suo capolavoro
428
Post/teca
della maturità, e più incentrato sull’istinto e sulla comunicativa a pelle,
con l’elettronica in gran spolvero unita alle dolcezze classiche di una
grande orchestra.
«Disco liberatorio», lo definisce lui. E dietro, è chiaro, c’è pure la risposta
a una di quelle brutte botte che ogni tanto la vita ti assesta. In questo
caso la morte di sua mamma. «È entrata in ospedale a giugno, non si è
più ripresa. Camminando fra le corsie, c’era un sacco di gente che mi
chiamava e voleva salutarmi. Così, per reazione, ho pensato a un album
che facesse star bene e desse un po’ di sollievo. E cosa di meglio, allora,
della dance? Che è poi quello da cui vengo, dagli esordi come dj».
Tanti i brani in scaletta, ben 15 (che diventano 25 nella doppia edizione
deluxe), racchiusi in un cd che contiene molti potenziali singoli vincenti.
Si ballerà molto, comunque, perché Lorenzo stavolta ha puntato forte sul
ritmo. Io danzo è un sonoro pugno in faccia ai tanti condizionamenti
della società: «libero perché io danzo», canta Lorenzo su una vivace
onda electro-dance.
E, a proposito di pugni, ecco il ricordo di Muhammad Ali in Battiti di ali di
farfalla, in duetto con Michael Franti per un rap dalle coloriture jazzy.
Curiosa la marcetta ska di Quando sarò vecchio, mentre Il più grande
spettacolo dopo il big-bang ha un vivace sapore rock, cita ironicamente
Lady Gaga e racconta di un amore al di sopra dell’immaginazione. Eh
già, l’amore. Evidente sin dal titolo nell’hit apripista Tutto l’amore che ho
(assai bella, detto per inciso), virato sul romantico nella ballata piano e
archi Le tasche piene di sassi, malinconico e notturno inUn’illusione,
oppure imperioso nell’incalzante «diktat» di Amami. Ma c’è dell’altro.
L’elemento umano è una ballata pensosa dalla raffinata tessitura
strumentale (ospite Luca Carboni), mentre La bella vita è un
divertissement in stile etnico («L’Afrique c’est chic» è l’ideuzza sottesa)
inciso coi maliani Amadou & Mariam. «Ho scelto Ora come titolo perché
si guarda sempre a passato e futuro senza mai soffermarsi abbastanza
sul presente: questo album rappresenta l’oggi. Per i suoni ho usato molto
le macchine e le tecnologie avanzate, con un motto ben preciso:
innamoriamoci del nuovo».
429
Post/teca
Nei testi sfilano immagini e visioni, citazioni colte (Ariosto e Cortazar) e
frasi pop (Battiato e Cremonini), senza indugiare su politica e società,
argomenti a cui Lorenzo comunque non si sottrae. A partire dal caso
Ruby. «Mai votato Berlusconi, non mi ha mai convinto, né capisco
l’entusiasmo di chi lo segue sempre e comunque. Perciò questo scandalo
non cambia nulla della mia opinione su di lui.
Semmai mi stanno a cuore altre cose per l’Italia. Un tempo parlavo di
sogno e speranza, oggi vorrei un progetto concreto per il nostro paese,
fatto da politici seri, per la scuola, il lavoro e la sanità. Vorrei che ai posti
di comando ci fosse gente competente. Mi piace Vendola, continua a
piacermi Veltroni.
Ma apprezzo anche uno come Granata, penso possa esistere un dialogo.
E vorrei che in Italia arrivasse un po’ dell’entusiasmo che gli Usa hanno
avuto per Obama. Perché con l’entusiasmo sopporti meglio anche i
peggiori sacrifici». Fra qualche settimana, sarà già tempo di live: un tour
in «4D» promette Lorenzo, una frase scherzosa per annunciare un
concerto molto energico e fisico, quasi un corpo a corpo col pubblico. Si
partirà il 16 aprile da Rimini, per poi proseguire nel resto dello Stivale.
25 gennaio 2011
fonte: http://www.unita.it/culture/l-adrenalina-elettronica-br-di-un-entusiasta-detto-lorenzo-1.268122
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Il Lingotto suona sempre due volte
di giuseppe civati
La ‘lenzuolata’ di Veltroni è di indubbio valore e le cose che propone vanno
approfondite e studiate con attenzione. Faccio una proposta, per evitare che
siano strumentalizzate dal solito dibattito interno: bisognerebbe fare come nei
concorsi, mettere le idee in una busta chiusa, senza apporre l’etichetta, così
non si potrà dire che sono le idee di questo o di quello e commentarle solo in
ragione della firma che portano, come accade ora.
430
Post/teca
Lo spirito del Lingotto aleggia, così come la promessa di cambiamento, ma
speriamo di non doverne organizzare un altro, di Lingotto, per lanciare
ancora il Pd, se non magari da forza finalmente al governo, perché vorrà dire
che il Pd lo avremo finalmente realizzato.
E allora pratichiamolo, il cambiamento, non annunciamolo soltanto.
Facciamolo perché è vero che c’è un’anomalia italiana, di cui si parla molto
oggi, ma l’anomalia dura da anni, diciassette per l’esattezza, anche l’anomalia
italiana sta diventando maggiorenne.
Ho sentito parlare di «power to the people», del partito degli elettori. E sono
d’accordo, ma possiamo prenderci l’impegno concreto di celebrare le primarie
per scegliere i parlamentari, oggi, qui e approvarle nella prossima assemblea
nazionale? Il partito degli elettori comporta anche che finalmente spegniamo
il caminetto, anche in ragione di questioni ecologiche?
Si parla tanto del modello tedesco per la partecipazione dei lavoratori ai
destini e alla direzione delle imprese, forse dovremmo adottare un modello
tedesco anche per la partecipazione degli elettori alla direzione del partito.
A Bersani, dobbiamo aprire una riflessione sul Pd nel corso dell'anno, chiedo
perché non iniziamo a farlo, il Pd, senza riflettere ancora? Perché anche
l’interpretazione secondo la quale è colpa dei media se siamo ‘percepiti’ così, è
vera solo fino ad un certo punto e non credo che esista un Pd percepito e un
Pd reale e fichissimo che le persone si ostinano a non vedere.
Veltroni ha citato Abramo (che visse fino a 175 anni, speriamo di fare prima),
ma ha ragione: perché dobbiamo riunire il popolo democratico.
Veltroni dice che non ci sono più ex-Ds e ex-Margherita. Meno male. Solo che
ora ci sono gli ex-Pd, i tanti elettori che non ci hanno votato più dopo il
risultato del 2008.
Ripartiamo da loro, sappiamo dove sono, perché abbiamo gli archivi delle
primarie e di tante altre consultazioni, che non abbiamo mai utilizzato.
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Post/teca
Ripartiamo da chi non ci vota più e da chi non vota più in generale. Gli
astensionisti in Italia sfiorano il 40%, come dieci Udc. Due su tre, dicono le
ricerche demoscopiche, sono di centrosinistra.
E prendiamoli con gli argomenti della ‘casta’, cercando di essere chiari.
Metà parlamentari a metà prezzo. E le province aboliamole tutte, in un
disegno complessivo, non solo quelle delle città metropolitane. E però, gli
astenuti, prendiamoli anche con la politica, che arriva sempre dopo, spesso
troppo tardi, come è capitato anche a Mirafiori. Che non vede alcune cose
drammatiche, che voglio ricordare, la sperequazione dei redditi, l’ingiustizia
sociale, i progetti di vita che si fanno sempre più sfuggenti, l’impossibilità di
arrivare a quella realizzazione di sé che riguarda gli individui e il Paese intero.
Senza paura, perché se il torero ha paura, il toro se ne accorge. E i familiari, a
casa, si preoccupano.
Ci sono questioni centrali da affrontare, perché sarebbe un momento
importante per la politica, e invece siamo apparsi, ultimamente, un po’
introversi.
Impegnati soprattutto a discutere di formule e di alleanze, sembriamo il
Conte di Sandwich, tragicomico personaggio di Woody Allen, che passò la vita
a cercare di capire in che giusto ordine mettere le fette di pane e quelle di
tacchino.
Forse dobbiamo chiederci cosa metterci, nel panino, perché il gusto si sente
troppo poco. E sembriamo sbilanciati, verso questo o verso quello. E siamo
sempre sulla difensiva: piccati, più che piccanti, a dirla tutta.
Ricordandoci che il nostro futuro è nell’Unità, la nostra e quella del Paese. E
solo nel futuro, in nuove rappresentazioni e in nuove idee, troveremo l’unità.
Oggi si parla di unità e lo slogan è «Fuori dal Novecento», e allora ho pensato,
di tornare all’Ottocento (come qualcun altro forse vuol fare, in un altro
senso). Ai giovani di allora.
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Post/teca
Nel Risorgimento i trentenni erano le avanguardie. Erano maturi e azzardati,
insieme. E colgo l’occasione per ricordare che non sono giovane, che solo nel
Pd si è «per sempre giovani» (un ottima campagna per il prossimo
tesseramento, se ci si pensa).
Qualcuno in prima fila dice che allora morivano presto. Ha ragione, solo che
loro se l’erano giocata.
Ippolito Nievo alternava la penna all’ardimento e alla battaglia, mentre qui la
penna serve solo per scrivere i curriculum, nella speranza di avere un amico
introdotto, e il conflitto è negato, nella società del conformismo e della
famiglia allargata.
A Teano, un garibaldino di oggi, non incontrerebbe nessuno, tale è il senso
dello Stato e la cultura delle istituzioni.
Se volesse allestire uno sbarco a Sapri, non troverebbe nessuno che gli finanzi
la start up.
A Caprera (una zona un po’ mal frequentata, di questi tempi), in pensione,
non ci andrà mai e nessuno ha idea di quale soluzione trovare, in proposito.
Se il giovane garibaldino sente dire, o si cambia l’Italia, o si muore, fa gli
scongiuri (perché è più probabile la seconda...).
Se legge su un muro la scritta «Viva Verdi», gli viene in mente la Padania.
Mentre allo sbarco dei Mille, oggi, si risponde con i respingimenti.
Mazzini e i giovani di allora pensavano alla patria in un quadro universale, e
noi ci ritroviamo con l’Italietta autarchica e provinciale di un «ghe pensi mi»
collettivo, ancora più ridicolo (e pericoloso) nel mondo della globalizzazione.
Non era questa, l'Unità che avevamo in mente, per questo consiglierei ai
nostri Cavour, Mazzini e Garibaldi di trovare le sedi di confronto: e di
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Post/teca
ricordarsi, magari, dei motivi per cui noi stessi ci siamo uniti.
Perché dobbiamo finalmente dare le risposte alle domande che ho passato in
rassegna.
Perché l’unità che serve al Paese è anche quella che serve al Pd, in cui ci si
confronta, si discute, si accoglie e si include, aprendosi all’esterno. E verso il
futuro. Perché è là che la troveremo, l’unità che cerchiamo.
fonte: http://civati.splinder.com/post/23932068
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L'altra rivoluzione
del libro
Potersi leggere un libro tutto di seguito, in una sola giornata, è un
lusso e io oggi mi sono goduta questo lusso.
Così, Nella vigna del testo di Ivan Illich alla mano, mi sono
sospinta stamattina presto fino alla soglia dell'era libresca - quella
che si sta chiudendo -, dove nasce il libro come lo conosciamo oggi
e pure l'editing come lo conosciamo oggi.
Soglia che non è affatto il famoso tardo quattrocento quando viene
inventata la stampa a caratteri mobili, ma un bel po' prima.
Quando appare Gutenberg tutto è già pronto. Lo stampatore di
Magonza stampa, ma non rivoluziona il libro.
La rivoluzione vera era avvenuta tutta in pochi decenni del XII
secolo, più o meno intorno al 1140.
Dalla lettura ad alta voce a quella silenziosa.
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Post/teca
Dalla lettura monastica a quella scolastica.
Dalla registrazione della parola all'organizzazione del pensiero sulla
pagina.
Dallo spartito al testo.
Dall'orecchio all'occhio.
Dal libro-pellegrinaggio al libro-magazzino.
Dalla lettura corporea a quella mentale.
Dal libro che si può percorrere solo dall'inizio alla fine al libro in cui
si può entrare da più punti.
Intorno, le città che crescono e le università che nascono.
A scatenare la rivoluzione, una serie di piccole ma concomitanti
innovazioni: l'uso della carta al posto della pergamena, l'adozione
della scrittura corsiva, l'introduzione di elenchi alfabetici, titoli,
paragrafi, sommari, indici per argomenti, uso di colore e diverse
dimensioni del testo come "segnali".
A fare la cerniera tra un'epoca e l'altra la figura di Ugo di San
Vittore, che Illich ci fa conoscere solo attraverso le limpide parole
del suo Didascalicon, il primo libro dedicato all'arte di leggere.
fonte: http://mestierediscrivere.splinder.com/post/23935783/laltrarivoluzione-del-libro
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Il trono e la scimmia
di ADRIANO SOFRI
AVVERTO che nelle righe che seguiranno, dedicate alla gara in corso fra
l'evoluzione delle cose e delle parole per dirle, sarà ripetutamente impiegato il
nome comune: culo. L'appiglio immediato è un bell'articolo, e discutibilissimo,
di Giuliano Ferrara sul Foglio, intitolato senz'altro "La libertà cortigiana, il culo
di Montaigne e di Ostellino". Il cui antefatto immediato è in un articolo di Piero
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Post/teca
Ostellino sulCorriere che, col più anestetico titolo "L'immagine dell'Italia e la
dignità delle istituzioni", difendeva il diritto di "una donna che sia consapevole
di essere seduta sulla propria fortuna" a non essere chiamata prostituta.
Ostellino stava citando, con una piccola correzione, perché secondo la
sentenza originaria ogni donna sta seduta sulla propria fortuna e non lo sa. Il
passo avanti starebbe dunque in questa conquistata consapevolezza, che
permette di mettere a frutto il tesoro sul quale si sta sedute.
Ma prima di venire a questi ultimi (per ora) capitoli del dibattito, vorrei
richiamare la nuova centralità che il culo si era andato guadagnando. Non
che fosse mai stato trascurato, ma si ammetterà che a questo punto chi
legga su un giornale la parola "c...", a parte l'ambivalenza, proverà solo un
fastidio nei confronti dell'ipocrisia inutile di quei puntini. La parola, e il suo
ininterrotto uso augurale, di andarci a fare, viene pronunciata dal palco
dell'Ariston come dalle tribune politiche, e aspira anzi a fare da distintivo
della liberata società civile. Non può farci impressione, dunque. Al contrario,
almeno in un paio di occasioni topiche l'uso della parola ha preso una
imprevedibile genialità. Per esempio, quando un signore, membro e anzi
nominatore della categoria dei "furbetti del quartierino", deplorò un tipico
modo di procedere come un "fare il frocio col culo degli altri". Si trattava a
quanto pare di un detto popolare romanesco: non l'avevo mai sentito, pur
avendo vissuto a Roma negli anni dell'adolescenza, quando (una volta, poi
passava) si prova un gran gusto a dire le parolacce sessualmente spinte,
dopo aver passato l'infanzia a dire le parolacce legate alle funzioni
escretorie. (Nella transizione dall'una all'altra età la parte del corpo di cui
parliamo conserva un posto d'onore). Violando ogni correttezza politica,
l'espressione aveva però un'efficacia innegabile: era difficile non interrogarsi
su quante persone di propria conoscenza si comportassero esattamente
così - e magari su se stessi.
Il secondo impiego ingegnoso è appena arrivato - mi pare - dalla giovane
Ruby. La quale, sapete, avvisata che Noemi era la pupilla del Presidente,
avrebbe concluso: "Se lei è la pupilla, io sono il culo". Le versioni diverse
della frase lasciano dei dubbi sull'intenzione della ragazza, ma preferisco
immaginarne la lusinghiera, e che Ruby, come il postino di Neruda (absit),
abbia fatto una metafora. Eccellente, perché la "pupilla" - la luce degli occhi di
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Post/teca
B. (e, tecnicamente, una bambola e una "minorenne affidata alla tutela")
diventava una parte del corpo, da sottomettere, con un certo senso di
superiorità e di vittoria, all'altra parte, quella sulla quale Ruby è
consapevolmente seduta, come su una metafora. Ecco: Ostellino, che ha
voluto sottrarre Ruby e le altre alla definizione di "prostitute", è stato tradito
da quella piccola correzione sulla consapevolezza. La citazione originale dice
che ogni donna è seduta sulla propria fortuna, e non lo sa; e implica che a
saperlo sia l'uomo. Pensiero esemplarmente maschile, due volte, quando
pensa lei (la parte per il tutto) e quando pensa sé. Anzi tre volte, perché dà
per ovvio che la prostituzione (sempre femminile) sia ignobile. La dilatazione
a dismisura, pratica e metaforica, della prostituzione nel nostro tempo offerta che arranca dietro alla domanda, pensate al nostro caso
presidenziale, dieci a uno, venti a uno, e Filippo II camminava solo la notte
nei corridoi dell'Escurial - va assieme a una moltiplicazione di equivocità
morali e sottocategorie sindacali, come in "escort", che hanno spazzato via di
colpo decenni di lotte coraggiose di prostitute intenzionate a liberarsi di
ruffiani, bigottismi e persecuzioni. La prostituzione nell'Italia di oggi è una
prerogativa presidenziale, una conquista della famosa Costituzione materiale.
La prostituzione - il "mestiere più antico del mondo", secondo un'altra
inveterata dizione maschile, "Puttana Eva!" - è diventata, diciamo così, una
vocazione berlusconiana. La storia dell'Italia contemporanea - e dei suoi
rapporti internazionali, con la Libia di Gheddafi, con la Russia di Putin e il
Kazakistan di Nazarbayev - si nutrirà delle memorie di Ruby e le altre, ben
più che di documenti diplomatici.
L'articolo di Ostellino, che contava di difendere l'onorabilità delle ragazze di
B. e la privacy di B. e di tutti, ha sollevato, com'era da aspettarsi, (se lo
aspettava soprattutto lui) proteste diffuse, e anche una secca lettera di
giornalisti del suo giornale, convinti che "sia inaccettabile pensare che "la
fortuna" di una ragazza risieda in una o più parti anatomiche da offrire al
potente di turno, e che il mondo sia pieno di persone che s'impegnano per
raggiungere risultati e far carriera conservando la propria dignità". Ostellino
allora è tornato sul tema, per dirsi frainteso, come quel Machiavelli che
sfrondava gli allori, e argomentando sul darla e non darla e come darla, e
concludendo di aver sostenuto il diritto delle donne a disporre del proprio
corpo liberamente, senza venir chiamate puttane. Con ciò offendendo le
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Post/teca
puttane, che appunto dispongono del proprio corpo se riescono a farlo
liberamente, e se vi sono costrette sono a maggior ragione da rispettare e
difendere, e dilapidando il lessico, per il quale la prostituta - o la puttana, o la
escort - è colei che vende il proprio corpo per denaro o beni equivalenti, dai
ciondoli con le farfalle alle case in condominio. Per esempio, l'impeto che
portò Monica L. e Clinton alla famosa impresa della Sala ovale non aveva a
che fare con la prostituzione, salvo dilatarne il significato alla generica
fascinazione di una donna per il potere, e di un potente per una stagista. Il
seguito boccaccesco della faccenda, fino al vestitino con la macchia umana
conservato in un freezer, raccontava la storia dell'uomo cacciatore e cacciato,
non della prostituzione presidenziale, e tanto meno minorile.
E così siamo arrivati all'articolo di Giuliano Ferrara, che ha molti pregi, a
partire da quello di dire vino al vino e culo al culo. Ma un difetto forte - a mio
affettuoso parere: di annullare le differenze fra un esemplare e l'altro della
categoria di uomini maschi. Le quali differenze non sono per lo più
abbastanza forti da esonerare affatto noi maschi da una correità in
maschilismo, ma lo sono abbastanza da non togliere a ciascuno il suo. E
Ferrara fa un gran torto a Berlusconi riducendolo a un esemplare fra gli altri
della umana e maschile debolezza della carne. Lo scrissi un'altra volta:
Berlusconi è fatto come noi? No, molto di più. Ferrara cita Montaigne: "Per
quanto alto sia il trono su cui ci si siede, si è sempre seduti sul proprio culo".
Con un'inversione pregevole, il culo è qui dell'uomo, e del regnante. Ci stiamo
seduti sopra - e siamo noi a non volerlo sapere, sembra dire Ferrara. E
avvisa che "culo è parola filosofica somma, denotazione... dello stigma di
umanità che tutti gli uomini e tutte le donne si portano appresso". È proprio
così. È vero che "siamo uomini di mondo", e che, com'è addirittura
proverbiale, l'avvocato Agnelli e l'editore Caracciolo siano stati spericolati
womanizers. Però non sono stati capi del governo (molto di più e molto di
meno).
Io non sono interessato alle descrizioni delle notti di B., Lele Mora, Emilio
Fede ecc., ne sono respinto. Quanto ai reati, affare dei magistrati, e che Dio
gliela mandi buona, agli uni e agli altri. Penso che un capo diurno del governo
braccato dalle sue pendenze giudiziarie e abituato (addicted) a fare dei suoi
giorni pubblici delle appendici sempre più esauste delle sue notti private, sia
438
Post/teca
una incresciosa iattura per sé e per i suoi concittadini. La circostanza non mi
sembra più, da tempo, solo indifendibile, ma indiscutibile. Sul rapporto fra
trono e culo, mi sono ricordato di un colloquio che ebbi, quando ero una
specie di leader politico, con un dirigente storico del Pci, uomo integerrimo e
all'antica, il quale volle ammonirmi (forse aveva sentito di qualche mia
dissolutezza) sulla differenza fra l'uomo e la scimmia. "La scimmia - disse più in alto sale, più espone agli sguardi il culo". Ecco. Io adesso sto dalla
parte delle scimmie. Gli uomini spinti troppo in alto, è ora che scendano.
(25 gennaio 2011)
fonte: http://www.repubblica.it/politica/2011/01/25/news/il_trono_e_la_scimmia-11618100/?
ref=HRER3-1
-----------
"un giorno o l’altro noi due, insieme, faremo
magie.
da uomo confuso, farò di te un uomo
contuso."
— delle buone intenzioni è lastricata la via dell’infermo. (via
11ruesimoncrubellier)
(via batchiara)
-----------
"Se “1 incidente su 3 è causato dall’alcol”
significa che 2 su 3 sono causati dalla
sobrietà?"
—
3 nanosecondi dopo i nostri guai: La logica ti frega
439
Post/teca
(via megliotardi)
(Fonte: tempibui, via megliotardi)
-------------
"se uno sembra stronzo,
magari lo è."
— la crubegliè porta gli occhiali e non basta. (via 11ruesimoncrubellier)
-----------
Amore, quando ti diranno che t’ho
dimenticata, e anche se sarò io a dirlo,
quando io te lo dirò, non credermi.
—
Pablo Neruda
(via eternoritorno)
via: http://falcemartello.tumblr.com/
-------------
“Ci sono giorni in cui sei il parabrezza e giorni in cui sei l’insetto.”
— Pensavo fosse amore invece era un calesse: Ci sono giorni in
cui sei il parabrezza e giorni in cui sei l’insetto. (via
usedtobeeasier)
via: http://lalumacahatrecorna.tumblr.com/
---------“Al primo (o al prossimo) che vi ripeterà a pappagallo che “è la vita privata”
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Post/teca
del Pres. del Cons. dite: “Ma sai cazzo che hai ragione? A questo punto tocca
rivedere la pena per Giovanni Brusca, se ha sciolto il piccolo Giuseppe Di
Matteo non in una vasca da bagno qualsiasi, ma nel cesso di casa sua, sarà
ben “vita privata” la sua no? Prima la privacy, poi i reati. Vieni a casa mia così
ti dò due calci nelle palle “in privato”. Testa di cazzo.”
— 3nding (via 3nding)
via: http://biancaneveccp.tumblr.com/
---------“…e allora invece della lotta politica, la coscienza di classe, tutte le
manifestazioni e ‘ste fesserie bisognerebbe ricordare alla gente cos’è la
bellezza, aiutare a riconoscerla a difenderla.”
— Peppino Impastato (via labrozzina)
via: http://tattoodoll.tumblr.com/
---------------
Ho pregato per avere una tua telefonata,
per sentire la tua voce, per sapere come
stavi. Ora mi basterebbe un pezzo del tuo
orecchio in un pacco postale. Sono sulla
via del riscatto.
(via queenofgodless)
via: http://waxen.tumblr.com/
--------------
“Cioè, quante volte un uomo può sentirsi ripetere che è un oppressore, che è
441
Post/teca
prevenuto, che è un nemico, prima che decida di gettare la spugna e
diventare nemico davvero?”
— Chuck Palahniuk (via eclipsed)
via: http://lalumacahatrecorna.tumblr.com/
----------20110126
Dialoghi:
"Mannaggia, un altro errore
0X0034RFR309458012XXS-213!"
"Sicuro? Mi sembrava un
0X0032RFR309458012XXS-21B..."
- Anonimo
fonte: mailiglist punto-informatico.it
----------------------“Da ragazzo ero anarchico, adesso mi accorgo che si può essere sovversivi
soltanto chiedendo che le leggi dello stato vengano rispettate da chi ci
governa.”
— Ennio Flaiano (via tattoodoll)
----------------Due regole per resistere alla tentazione di chiamare l'ex
coqbaroque:
1) Masturbati. Usa quello che vuoi: youporn, Vogue, Uomo Vogue,
Postalmarket trovato in soffitta, ma fallo. Vedrai che ti passa.
2) Ripeti la uno.
fonte: http://coqbaroque.com/post/2926271106
via: http://curiositasmundi.tumblr.com/
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Post/teca
--------------------“Lei deve pretendere di vivere in un mondo migliore, non si accontenti di
sopravvivere.”
— La finestra di fronte (via thistumblrwillsaveyourlife)
--------------questo post è stato ufficialmente approvato da una femminista
uds:
le femministe sono ok. mi piacciono le femministe. mia madre è una
femminista, anche se probabilmente non se ne è mai resa conto. le
femministe son quelle che rivendicano opportunità e libertà di scelta in
campi e situazioni che per secoli sono stati sbilanciati in modo vergognoso
a favore degli uomini, e non hanno paura di lottare per farlo.
poi ci sono le femministe del cazzo. le femministe del cazzo sono quelle che
rovinano il femminismo, dato che si considerano tali ma come obbiettivo
non hanno la parità delle opportunità, bensì una visione distorta di
uguaglianza che vede come risultato massimo l’imitazione libera e felice dei
peggiori atteggiamenti maschili (continuando a disprezzare, peraltro, gli
uomini che in tali atteggiamenti indugiano), oltre al mantenimento
orgoglioso degli aspetti peggiori di un certo tipo di femminilità. il tutto
condito dall’autoironia più farlocca del mondo (eppure non è difficile eh: non
è autoironia se finisce per farti sembrare la più meglio figa di tutte ogni
cazzo di santa volta) e da un’altezzosità che sarebbe sproporzionata se se
la portasse in giro giove, figuriamoci un essere umano qualsiasi.
poi ci sono le femministe del cazzo 2.0, che son quelle che, oltre
all’altezzosità di cui sopra, ci buttano sopra il carico da mille del naso
arricciato dei blogger di un certo tipo. quelli che partono dal presupposto
che hanno ragione perché sono ironicissimi mentre argomentano, tesoro.
gente che un piedistallo composto da piedistalli.
spaventoso, vero? brividi, vero?
E ALLORA SMETTETE DI REBLOGGARLE.
scusate. ora mi passa.
443
Post/teca
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L'homo berlusconensis secondo Andrea Camilleri
MicroMega, nel numero in edicola da oggi, intitolato "Berlusconismo e
fascismo", propone una analisi dell’ultimo quindicennio di storia italiana
con saggi, analisi (e sberleffi) su Berlusconi. Pubblichiamo una sintesi
del pezzo in cui Andrea Camilleri racconta l’involuzione antropologica che
ha segnato l’homo nella società berlusconizzata.
di Andrea Camilleri
Devo fare una premessa assolutamente necessaria. Che in realtà è una
doverosa precisazione. In queste poche pagine non prenderò in esame,
tra le molteplici categorie e sottocategorie attraverso le quali il fenomeno
dell’homo berlusconensis si appalesa, tutti coloro che del berlusconismo
sono in qualche modo attivi e pubblici esponenti, collaboratori, operatori
vuoi in qualità di membri del governo, del parlamento e del partito vuoi in
quanto amministratori comunali, provinciali e regionali. La cosiddetta
classe politica, insomma, di ogni ordine e grado. E nemmeno m’attarderò
a prendere in esame tutti coloro che ne sono diffusori del credo, in qualità,
ufficialmente riconosciuta e retribuita, d’apostoli o di zelatori. Ai quali,
com’è noto, settimanalmente l’Idolo appare via etere comunicando il
Verbo, la Parola da diffondere. L’esclusione è dovuta al fatto che resta del
tutto impossibile all’analisi verificare quanto il loro grado di purezza
d’adesione all’ideale berlusconiano sia o non sia inquinato da fattori
degenerativi quali, primo tra tutti, il desiderio di far rapida carriera, di
guadagnare, d’avere un certo potere. Prenderò in esame perciò solo
l’homo berlusconensis communis, quello, diciamo così, puro, colui che, in
parole povere, difende tutte le manifestazioni della berlusconità, quali che
esse siano, al mercato o sul tram, che guarda l’attuale Tg1, il telegiornale
di Rete 4, (Canale 5 no perché non sempre è rigidamente ortodosso), che
non si perde mai un’apparizione di Berlusconi alla tv saltabeccando da
una rete all’altra, che compra Il Giornale o Libero o tutti e due (il Foglio
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Post/teca
no, non si capisce bene cosa voglia) e che infine puntualmente lo vota
senza ricavarne alcun beneficio diretto. Trattandosi, a stare ai sondaggi,
di una cifra attualmente oscillante tra il 25 e il 30 per cento degli italiani,
non è chi non intuisca la molteplicità e la diversità della tipologia che si
presenta a un’indagine sia pure superficiale come la nostra. (…)
Così come la sacra scrittura afferma che Dio creò l’uomo a sua
immagine e somiglianza, si può tranquillamente affermare che c’è stato
un Uomo che ha saputo creare in Italia una televisione a sua perfetta,
totale immagine e somiglianza, anche se questo non è detto in nessuna
scrittura, sacra o meno. L’uomo che ha creato la televisione a sua
immagine e somiglianza era in origine un uomo d’affari spregiudicato ma
a parole osservante delle regole, cattolico dichiarato anche se poi (pluri)
divorziato, sedicente liberale, furbissimo, anticomunista, ricco, di scarsa
cultura, d’intelligenza mediocre, di statura un po’ più bassa della media,
non bello, dotato di un’italiano basico, che sapeva cantare canzonette
francesi e napoletane, che amava le donne e gli piaceva passare per
gran seduttore. Inoltre, almeno ai primi tempi, aveva l’abilità persuasiva e
la loquela spigliata e convincente di un venditore di macchine usate
americano. Ragion per cui, in un paese dai linguaggi incomprensibili (il
legale, il politico, il letterario, il critico eccetera) venne subito scambiato
per essere «un grande comunicatore». I palinsesti delle sue tre televisioni
private infatti accuratamente bandirono ogni forma di cultura, anche
quelle più popolari (come l’opera lirica), e ogni forma d’intelligenza.
Cultura e intelligenza sono parole che spaventano la maggior parte degli
italiani.
Esaltarono invece i programmi di quiz, le serie televisive comiche
americane con le risate incorporate che parevano fatte per un pubblico di
dementi, i concorsi a facile premio, i programmi di varietà di bassa lega
(tipo Colpo grosso e non è un caso che il suo ideatore occupi oggi il
seggio di uno dei più importanti ministeri) e soprattutto le profuse nudità
femminili (vallette, letterine eccetera), quasi proponendole come un diritto
di «evasione nel sogno», parole di Eco. Attraverso anni e anni di siffatto
modello televisivo, la piattaforma culturale degli italiani, già di per sé
445
Post/teca
tutt’altro che elevata, s’abbassò a gradi infimi, anche perché la tv di Stato
s’affrettò ad adeguarsi seguendo il cattivo esempio. Contestualmente,
l’uomo che aveva creato la televisione a sua immagine e somiglianza,
creò in breve tempo, proiettandosi attraverso le sue televisioni, degli
uomini che, sia potenzialmente sia effettivamente, potevano dirsi a sua
immagine e somiglianza. Il circolo così si chiuse perfettamente.
Va detto che gran parte di quegli uomini avevano già in loro un humus
predisposto e fertile dove i semi poterono attecchire con facilità e si
svilupparono magnificamente. In fondo, come scrive Eco, a quegli uomini
non si chiedeva altro che d’essere ciò che già erano. Solo che ora
potevano esserlo a viso scoperto, alla luce del sole e soprattutto
riconoscersi tra di loro. Altri, e furono molti, invece subirono una
trasformazione radicale. I più giovani, vale a dire i trentenni o poco più,
nacquero e crebbero in quella coltura e in essa si trovarono perfettamente
a loro agio come i pesci che nuotano nell’acqua senza sapere che
l’elemento dentro il quale vivono è l’acqua. La tipologia dell’homo
berlusconensis è dunque assai varia e non tutta catalogabile. Ma siccome
da qualche parte bisognerà cominciare, comincerò dai tipi più semplici.
Ci sono due statuine che non mancano mai in ogni presepe che si
rispetti. La prima è quella del contadino che davanti alla grotta col
bambinello appena nato, alza, meravigliato e stupito, le braccia al cielo. In
Sicilia è chiamato «‘u spavintatu do presepiu», perché la meraviglia che
esprime è tale da sfiorare lo spavento. La seconda è quella di un altro
contadino che, poco lontano dalla grotta, se ne sta beatamente a dormire
disteso per terra, dopo avere assistito al grande evento. Dalle mie parti è
detto «l’addrummisciutu do presepiu». Queste due statuine le prendo a
prestito perché plasticamente raffigurano due diffusissimi tipi di homo
berlusconensis. Il primo è sempre pronto ad esprimere, con partecipata
emozione, alte meraviglie qualsiasi cosa faccia il suo Idolo, sia che mostri
le corna in una foto ufficiale di gruppo («come sa fare le corna lui, nessun
altro!») sia che racconti una barzelletta stantia («nessuno è capace di
raccontarle come lui!») sia che presieda una riunione di governo
(«nemmeno il mio preside a scuola»). Tutto quello che Egli fa viene
446
Post/teca
definito dall’entusiasta con superlativi assoluti e un sorriso beato sulla
faccia. Questo tipo d’homo berlusconensis è trasversale, nel senso che
va dal beota puro al docente universitario proposto per il Nobel. A ben
considerare, l’homo berlusconensis sempre e comunque acclamante,
insomma colui che pratica il culto cieco della personalità, è la clonazione
più borghese e sciamannata del fascista osannante, in prima fila sotto il
balcone di palazzo Venezia.
Il secondo tipo, il dormiente, può abbandonarsi al sonno perché Egli è
nato alla politica, anzi, come ama dire, è disceso in campo. Quello è stato
il suo Natale. Probabilmente ha dovuto sloggiare da quella grotta che era
la sua abitazione per far posto all’evento, ma in compenso gli è stato
promesso un villino munito di tutti i comfort. Al risveglio, ne è certo, quel
villino sarà suo. Intanto, dorme. (…)
Quanti hanno dato il voto a Berlusconi sapendo che mai e poi mai
sarebbe stato in grado di mantenere le sue promesse, dalla riduzione
delle tasse a sole tre aliquote al ponte sullo Stretto? Non le ha
mantenute? Bene, nessuna disillusione, lo sapevamo già che non ce
l’avrebbe fatta, possiamo rivotarlo. L’importante non sono le promesse
che fa, ma come le fa.(...)
Nel suo piccolo, l’homo berlusconensis si considera e vuole che gli
altri lo considerino come il meglio in tutto: il miglior padre di famiglia
(anche se ha tre amanti), il miglior cliente della banca (anche se ha
firmato assegni a vuoto), il miglior amico (anche se è pronto a tradire
l’amicizia se ci trova un tornaconto) eccetera. E tale profondamente si
crede. L’homo berlusconensis quale sottoprodotto del piccolo
Münchhausen vive e opera in una fittizia realtà di comodo. In ogni paese
d’Italia da sempre c’è un personaggio locale, che si chiami Gigetto, Toni,
Efisio, Pippuzzu, Carlìn, non importa, soprannominato «il pallonaro». È
quello che le spara grosse per il gusto di farlo. Non ne può fare a meno,
fa parte della sua natura. Mentre della sua natura non fa parte la verità,
anche quella più piccola, più insignificante. Il pallonaro costituisce una
sottocategoria della precedente. (...)
447
Post/teca
L’homo berlusconensis è naturaliter pallonaro sempre e comunque.
Sottocategoria collaterale è quella di colui che mente sempre sapendo di
mentire. La menzogna in Italia è stata istituzionalizzata. Il più recente
esempio è costituito dalla mendace affermazione del premier che
un’extracomunitaria minorenne senza documenti, accusata di furto, già
frequentatrice di festini presidenziali, era in realtà la nipote del presidente
egiziano Mubarak e che perciò andava liberata subito e affidata a una
consigliera regionale che altri non era che la bella ex igienista dentale del
premier stesso. Un intrigo da operetta da belle époque nel quale l’homo
berlusconensis si è immediatamente riconosciuto e immedesimato,
invidiandone il protagonista. Ah, che uomo furbo! Come sa cavarsela
sempre! Ah, poter fare lo stesso! (...)
Il catalogo è questo canta il servitore di Don Giovanni nell’opera
omonima di Mozart e giù una sfilza di numeri che rappresentano le
conquiste femminili del suo padrone in varie parti d’Europa. Per lungo
tempo l’homo berlusconensis considerò l’Idolo, che poteva vantare un
catalogo meno affollato ma pur sempre straordinario, come una sorta di
astratto risarcimento d’ogni grama vita sessuale. Perché, nella realtà, Egli
rimaneva «un ideale di fatto irraggiungibile », per dirla con Eco.
Mentre le foto sui rotocalchi lo ritraevano con tre procaci ragazze
sulle ginocchia o con seminude fanciulle sui bordi delle innumerevoli
piscine della sua residenza sarda, mentre altre foto mostravano lo sbarco
da un aereo di un plotone di ballerine di fandango, di danzatrici del
ventre, di vallette televisive accorse a dare il cambio alle colleghe
stremate, voci ammirate propalavano la sua sovrumana resistenza, la sua
strabiliante capacità di reiterazione, la sua inesausta inventiva. Poi
accadde che l’Idolo scese a mezza costa dall’Olimpo allorché si riseppe
che non disdegnava intrattenersi con escort delle quali era «l’utilizzatore
finale» (definizione del suo legale onorevole Ghedini), dato che venivano
pagate da compiacenti procuratori. Questa notizia anziché abbassarne il
prestigio dongiovannesco, come ci si sarebbe aspettato, ne ampliò il
consenso. Ora l’homo berlusconensis infatti poteva «utilizzare» una
448
Post/teca
prostituta qualsiasi illudendosi d’essere come lui, sia pure per una notte e
sotto un certo, limitato aspetto. Mai, certamente, sotto quello della
conclamata, erculea, possente virilità.
L’elenco potrebbe continuare per altrettante e passa pagine. Ma
preferisco fermarmi qui.
Martedì 25 Gennaio 2011 - 13:48
fonte: http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=35997&sez=HOME_INITALIA
-------------------------Raptores orbis,
postquam cuncta vastantibus defuere terrae,
mare scrutantur,
si locuples hostis est, avari,
si pauper, ambitiosi.
Quos non oriens, non occidens satiaverit.
Soli omnium opes atque inopiam
pari adfectu concupiscunt.
Auferre trucidare rapere
falsis nominibus imperium.
Atque ubi solitudinem faciunt
pacem appellant .
An eandem romanis in bello virtutem
quam in pace lasciviam adesse creditis ?
Metus ac terror sunt infirma vincla caritatis;
quae ubi removeris,
qui timere desierint, odisse incipient
Predatori del mondo,
adesso che mancano terre alla vostra sete di devastazione,
frugate anche il mare.
449
Post/teca
Avidi se il nemico è ricco,
arroganti se è povero.
Gente che nè l'oriente nè l'occidente possono saziare.
Solo voi bramate possedere con pari smania
ricchezza e miseria.
Rubano, massacrano, rapinano
e con falso nome lo chiamano impero.
Infine dove fanno il deserto,
lo chiamano "pace".
Voi credete che i romani abbiano in guerra
un valore pari all'arroganza che assumono in tempo di pace?
Paura e terrore sono vincoli d'affetto deboli;
una volta venuti meno,
chi cesserà di tremare proverà odio.
Calcago, uno dei capi dei Britanni, arringa il suo popolo alla lotta contro l'invasore
romano che ha attraversato il mare per conquistare la loro terra (84 d.c.)
[da "De Vita Agricolae" di Tacito]
via: http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o1424
----------------------
“
Qualcuno puntualizza: ma come?! il leader di un partito araldo dei valori
cattolici, della famiglia concepita dal Creatore, del matrimonio, della
fecondazione naturale, della difesa della vita e nemico della depravazione e
delle coppie gay, in privato fa tutte queste porcherie?
Beh, signori elettori del PDL, se nel 2011 credete ancora a queste fregnacce
il problema è tutto vostro.
Anzi, no, il problema siete proprio voi.
”
— Profeta non sarò… | Don Zauker (via letsdoitadada)
----------------450
Post/teca
“Mi ricordavi diversa? Non porto più i capelli corti corti e l’orecchino al naso.
Non sono più arrabbiata con il mondo e sempre in fuga. Ho imparato, a fatica,
a stare ferma, a costruire e non solo ad abbandonare, ad ascoltare e non
solo a parlare parlare, a essere forte, a essere grande, a difendere e non solo
a difendermi. Non ti aspettavi di vedermi qui, un pomeriggio freddo di un
gennaio qualsiasi? I duecento chilometri che mi separavano da te sono stati il
viaggio più lungo della mia vita. Ci ho messo undici anni a percorrerli.”
— malafemmena
----------------“Vorrei scrivere con te il viaggio che non faremo mai, la notte che non
passeremo mai insieme, le città che non vedremo, le stanze che non ci
vedranno muoverci insieme tra le quattro pareti, l’erba nella quale non ci
rotoleremo ridendo, l’acqua nella quale non ci bagneremo coperti soltanto
dalla notte, i libri che non leggeremo mai a letto, i cibi che non assaggeremo
imboccandoci a vicenda con le dita. A volte penso che riuscirei a farmi
bastare cinque minuti di te e a volte penso che non mi basterai mai.”
— Mélancolie érotique « yellow letters
----------------“Tra me e te c’è qualcosa.”
“E allora spostalo che sennò inciampo.”
— somethingbeautifool (via saveme)
-------------------Il “testo riservato” del PD sul Lingotto
Il Foglio pubblica un "testo riservato" del responsabile economico del PD
Stefano Fassina demolisce le "irrealizzabili" proposte di Veltroni al Lingotto
26 GENNAIO 201
451
Post/teca
Il Foglio di oggi racconta delle reazioni di Bersani alla relazione pronunciata sabato
scorso da Walter Veltroni al Lingotto e spiega che nonostante le “rassicuranti parole
del segretario”, “un gruppetto di economisti bersaniani, dopo aver letto con stupore
le tante pagine elogiative dedicate dai giornali alla svolta veltroniana”, ha deciso di
“prendere carta e penna e di mettere per iscritto tutte le affermazioni totalmente
“irrealizzabili” suggerite dalla minoranza democratica”.
Quel documento risulta essere firmato da Stefano Fassina, membro della
segreteria nazionale del PD nonché responsabile Economia e Lavoro del partito.
Contiene due tesi, affiancate tra loro: che alcune delle cose dette da Veltroni siano
giuste e sensate, e per questo siano già da tempo parte delle proposte di Bersani;
che altre cose siano invece del tutto sballate, “irrealizzabili”, “da scartare”, “in
sintonia con Tremonti”, “preoccupanti” e contraddittorie. Oggi il giornalista del
Foglio Claudio Cerasa ha pubblicato il documento integrale sul suo blog. Lo trovate
anche di seguito.
***
Nonostante le celebrazioni di qualche autorevole quotidiano convinto di poter
tornare ad eterodirigere il Pd, la relazione di Walter Veltroni al Lingotto 2 segnala
una chiara convergenza programmatica della minoranza del partito sulle scelte
compiute dall’Assemblea Nazionale di Roma e di Varese. Vediamo.
Le prospettive dell’Unione Europea indicate nella relazione sono pari pari contenute
nel documento sul tema approvato all’unanimità a Roma il 22 Maggio scorso e
riproposte da Bersani in Piazza S. Giovanni l’11 Dicembre scorso. L’apprezzamento
alla proposta Tremonti-Juncker coincide con le posizioni espresse dalla segreteria
del partito il giorno stesso dell’articolo dei due ministri al Financial Times. Anche
l’elezione diretta del presidente del Consiglio Europeo è stata oggetto attivamente
condiviso dal Pd invitato al consiglio del PSE a Varsavia nel Dicembre scorso.
Sul piano politico, è noto e provato nell’azione di governo l’ampio consenso nel Pd
per la riduzione del debito pubblico. Non a caso, in tutti i documenti economici del
Pd indichiamo il vincolo. Quindi, nessuna obiezione principio. Il punto è tecnico:
l’obiettivo indicato da Veltroni è irrealizzabile: nessun paese al mondo è riuscito a
ridurre di 40 punti percentuali di Pil (640 miliardi di euro) il debito pubblico in 9 anni.
Il Fondo Monetario Internazionale, consapevole della natura del problema e delle
conseguenze deflattive deill’aggiustamento fiscale, è molto più cauto. Le tre
variabili individuate da Veltroni possono concorrere a centrare l’obiettivo, ma la
misura indicata è ordini di grandezza inferiore a quanto possibile ed utile
perseguire.
Primo, la proposta di Veltroni di cartolarizzare il patrimonio pubblico attraverso
un’agenzia non funziona. È stata messo in atto nel 2004 dal Ministro Tremonti e gli
452
Post/teca
esiti, nonostante l’entusiasmo iniziale per la cartolarizzazione fosse a via XX
Settembre alto almeno quanto al Lingotto, sono stati positivi soltanto per gli advisor
bancari. Come noto, l’INPS a fine 2008 ha dovuto ricomprare gli immobili ceduti dal
demanio alle varie Scip e cartolarizzati. Le ragioni del fallimento sono molteplici: le
caratteristiche dei beni immobili cartolarizzabili; le difficoltà amministrative,
vincolistiche e sociali alla valorizzazione; gli obiettivi finanziari da centrare.
Certamente, la valorizzazione del patrimonio va perseguita e parti del patrimonio
alienate, ma senza illusorie scorciatoie: l’Agenzia del Demanio, durante il secondo
Governo Prodi, aveva avviato ottime iniziative in partnership con i Comuni in
quanto responsabili della variazione della destinazione d’uso degli immobili
demaniali. Vanno riprese e potenziate. Inoltre, c’è il grande capitolo delle società
partecipate da Comuni, Province e Regioni, una giungla da disboscare al fine di
realizzare guadagni di efficienza, ridurre lo stock di debito e i flussi di deficit.
La seconda variabile indicata da Veltroni è la spesa primaria corrente. Ricordo il
documento sul fisco di Varese: “Quest’ultimo è un capitolo fondamentale, da
affrontare con coraggio. Va abbandonata la strada iniqua ed inefficiente dei tagli
ciechi praticata dal Ministro Tremonti e riavviata e potenziata la spending review. Va
realizzato, per ciascuna amministrazione centrale, un “piano industriale” di
riorganizzazione e ridimensionamento e va reso ordinario il benchmarking dei
servizi offerti ed efficace la valutazione dei risultati. Soprattutto, va data attuazione
efficiente ed equa del federalismo fiscale nel quadro di un radicale ridisegno delle
autonomie territoriali. Sussidiarietà verticale ed orizzontale, ma responsabilità
ultima della Repubblica a rimuovere gli ostacoli allo sviluppo integrale della
persona”. Sul punto, Veltroni converge. Tuttavia, l’indicazione di un obiettivo
quantitativo in riferimento al Pil è una posa gladiatoria più in sintonia con i tagli
orizzontali del Ministro Tremonti che con l’impianto culturale di una corretta ed
efficace spending review, ossia bottom up, non topo down. Infatti, l’impatto
complessivo degli interventi guidati dalla spending review può anche essere
superiore a quanto deciso al buio ed il risultato finale certo più equo ed efficiente.
Infine, la terza variabile ricordata da Veltroni è l’imposta patrimoniale. Anche qui,
nessuna obiezione di principio. La possibilità di un’imposta straordinaria sul
patrimonio l’abbiamo discussa a lungo per la preparazione del documento di
Varese. Poi, l’abbiamo scartata perché sarebbe massimamente regressiva data la
composizione e la residenza del patrimonio italiano. Va segnalato, infatti, che quasi
60% del patrimonio italiano è costituito da abitazioni, quasi tutte di residenza, l’11
da conti correnti, poi ci sono i titoli di stato. In altri termini, il 47% del patrimonio
italiano detenuto dal 10% dei proprietari più ricchi è prevalentemente di natura
finanziaria, in larga misura custodito all’estero, spesso in paradisi fiscali, da società
453
Post/teca
estere, come emerso dal condono-scudo fiscale voluto dal Ministro Tremonti.
Insomma, per arrivare ad un gettito significativo si dovrebbero tartassare
pesantemente i proprietari dell’abitazioni di residenza o le famiglie possessori di
titoli di Stato o di conti correnti bancari. I grandi patrimoni non verrebbero coinvolti
in misura significativa. Per tali ragioni, in “Fisco 20, 20, 20”, abbiamo proposto, in
alternativa alla patrimoniale, l’intervento sulle aliquote applicate ai rendimenti del
patrimonio, ossia una misura realistica in grado di eliminare il vantaggio fiscale
della rendita e favorire la capitalizzazione delle imprese. In sintesi, nonostante le
apparenze macroeconomiche, non vi sono scorciatoie per abbattere il debito. La
via maestra passa per l’innalzamento del potenziale di crescita economica
attraverso le riforme strutturali, le politiche industriali, gli investimenti innovativi
pubblici e privati, la redistribuzione del reddito. E passa pure per il recupero
dell’evasione fiscale, la distintiva anomalia italiana, completamente assente nel
riassunto programmatico svolto al Lingotto 2. Un’assenza di solito strumentale nei
discorsi della destra. Un’assenza preoccupante per un impianto centrato sul
ripristino del primato della legalità.
Altra proposta forte di Veltroni è, giustamente, la valorizzazione del potenziale
femminile per la crescita economica dell’Italia. Anche qui, il documento sul fisco di
Varese è preciso: “Per incentivare il lavoro femminile e sostenere la famiglia, la leva
fondamentale sono i servizi: dagli asili nido, all’assistenza alle persone nonautosufficienti. In sinergia con il potenziamento dei servizi, proponiamo di introdurre
una consistente agevolazione fiscale (detrazioni ad hoc o riduzione dell’aliquota
Irpef) per il reddito da lavoro delle donne in nuclei familiari con figli minori”. Veltroni
indica il taglio delle aliquote per tutte le lavoratrici per alleggerire il carico fiscale,
mentre a Varese abbiamo insistito su detrazioni ad hoc per mamme lavoratrici. A
Varese, l’intervento riproposto da Veltroni l’abbiamo valutato e scartato perché, in
un contesto di risorse finanziarie scarse, è fuori target: il problema dell’Italia è la
fuoriuscita dal mercato del lavoro delle donne alla nascita del primo figlio. È
sbagliato dimezzare l’aliquota ad una donna in quanto tale: la donna non è
soggetto debole in quanto donna, è indebolita dai carichi di lavoro che una società
maschilistica le impone in quanto madre. Pertanto, va sostenuta la donna
lavoratrice in quanto madre in un contesto povero di servizi di sostegno all’esercizio
delle responsabilità famigliare. La proposta di Veltroni spreca, tra l’altro in modo
regressivo, risorse preziose da concentrare su altre priorità, ad esempio la
costruzione di asili nido.
Sul versante fiscale, è tornato Beppe Fioroni nelle sue conclusioni, in particolare su
due rilevantissimi temi: le famiglie e le partite Iva. Sulle famiglie, Fioroni ha ripreso
la proposta della no-tax-area sulla quale è ora attestato il “Forum delle famiglie”,
dopo l’abbandono dell’impraticabile (per impatto finanziario) ed insostenibile (per
454
Post/teca
impatto regressivo) “quoziente famigliare”. È una proposta sostanzialmente
convergente con la proposta da anni portata avanti dal Pd: il bonus famiglie. Il
bonus famiglie, come la no-tax-area, è il risultato di un insieme di detrazioni (o
trasferimenti monetari in caso di incapienza) costruito in riferimento al numero e
alle caratteristiche dei componenti del nucleo famigliare. A Varese, è scritto nel
documento sul fisco proposto all’Assemblea, abbiamo sottolineato ed apprezzato il
passo avanti compiuto dal Forum delle famiglie, sebbene la proposta sia ancora
insoddisfacente in quanto rimuove le detrazioni per la produzione di reddito da
lavoro e richiede l’innalzamento dei contributi sociali ai lavoratori autonomi.
Sulle partite Iva, la ricerca insistita di un distintivo tratto di identità programmatica di
Modem non ha senso. Il documento sul lavoro approvato a Maggio a Roma
contiene le misure per l’universalizzazione del welfare oltre i confini del lavoro
dipendente (dal bonus famiglia, all’indennità di maternità, alle assicurazioni sociali
contro la disoccupazione, la malattia, ecc) ed esplicita la proposta di “Statuto per il
lavoro autonomo e professionale”. Il documento sul fisco approvato a Varese
compie una rivoluzione culturale in quanto, oltre al potenziamento del forfettone
fiscale, l’unica vera riforma finora attuata per il “popolo delle P.I., propone di tassare
come reddito da capitale, ossia ad aliquota piatta del 20%, il reddito ordinario del
lavoratore autonomo, del professionista e del piccolo imprenditore.
Infine, le proposte per il lavoro. Qui, i commenti dei media non hanno colto la
posizione di Veltroni. Nelle politiche di contrasto alla precarietà, Veltroni abbandona
l’obiettivo del “contratto unico” (mai nominato nel testo)per convergere sulla
proposta, radicalmente alternativa, contenuta nel documento approvato
all’Assemblea di Roma: “il diritto unico del lavoro”. In altri termini, al Lingotto 2 si
abbandona l’attacco all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e si sceglie la strada della
rimozione dei vantaggi economici dei contratti precari, la vera causa della
precarietà. Nella relazione, Veltroni fa riferimento all’elaborazione del sen Ichino,
ma il punto di contatto è relativo alla responsabilità della politica per la riforma delle
regole sulla rappresentanza e la democrazia sindacale. È un punto sul quale, come
abbiamo scritto ripetutamente nei mesi scorsi con Emilio Gabaglio, Presidente del
Forum Lavoro del Pd, siamo tutti, tutti, d’accordo.
Insomma, il Lingotto 2 è stato un passaggio importante in quanto ha evidenziato
che anche la minoranza del Pd converge su punti programmatici elaborati
dall’insieme del Pd, non solo dalla maggioranza, nei mesi scorsi. La convergenza è
evidente anche sul piano delle alleanze politiche ed elettorali, nonostante i tentativi
di rimpacchettamento.
Non vi sono differenze rilevanti allora? No, differenze, assolutamente legittime, vi
sono ed investono l’impianto politico-culturale: la rilevanza del paradigma liberal455
Post/teca
democratico. Veltroni lo conferma, esplicita il prof Salvati. Invece, va superato,
poiché la cultura liberal-democratica non è in grado di reggere lo sguardo di
Medusa dell’economia globale, come rileva un filone di pensiero ispirato alla
“Caritas in veritate” (es. Brokenforde e Bazoli), riconoscono oggi i fondatori del New
Labour (es. Policy-network) e sostengono illustri economisti mainstream (es. Rajan
in “Fault Lines”). Il pensiero liberale ispirato all’individualismo metodologico è
inadeguato ad affrontare le sfide drammaticamente scarnificate dalla crisi: la libera
interazione tra agenti economici razionali, impegnati a massimizzare funzioni di
utilità individuali, non conduce ad un equilibrio generale soddisfacente e allo
sviluppo integrale della persona. La politica non può, quindi, rimanere ancillare
all’economia. Non può limitarsi a liberare gli individui dai lacci e lacciuoli delle
istituzioni pubbliche. La politica deve portare a sintesi interessi diversi ed orientarli
verso il bene comune definito in un processo democratico. Le forze economiche
non portano autonomamente alla crescita e l’economia, da sola, non fa la società,
come assumevano le tramontate “Terze vie”. Il governo europeo dell’economia,
politica industriale, investimenti pubblici, canalizzazione del risparmio privato, redistribuzione del reddito, sono necessarie per la crescita. Insomma, è la logica di
funzionamento da cambiare. La giustizia sociale non può essere soltanto principio
correttivo di una logica di funzionamento informata esclusivamente
dall’individualismo proprietario. Celebrare la “modernità” economicistica di
Marchionne implica una prospettiva di rassegnazione pragmatica e di subalternità
politica al lavoro. Invece, la centralità politica ed economica del lavoro è l’eredità
del ‘900 da portare nel riformismo del XXI secolo.
Compito del Pd, dobbiamo sempre ricordarlo, è promuovere la centralità culturale e
politica del lavoro, in tutte le sue articolazioni, per ricostruire le condizioni dello
sviluppo integrale della persona (ed è qui il senso di fondo dell’incontro tra le
culture fondative del Pd) e rilanciare una democrazia delle classi medie, fondata sul
lavoro, in alternativa alla democrazia populista ed oligarchica conseguente alla
subalternità del lavoro e alla torsione corporativa dei sindacati. La centralità del
lavoro è l’unica bussola per un partito a “vocazione maggioritaria”. La prospettiva
del Lingotto 2 e la scelta di delegare a Vendola la rappresentanza della fascia di
gran lunga più ampia del lavoro, in una singolare contraddizione con il ritornello di
Modem di non appaltare ad altri la raccolta dei voti nell’arena del centrosinistra,
porterebbe il Pd ben al di sotto di quanto indicato dagli attuali, strumentalizzati ed
incompresi sondaggi. Soprattutto, lo renderebbe sostanzialmente inutile in quanto
condannerebbe l’universo del lavoro alla marginalità sociale e politica.
Stefano Fassina, segreteria nazionale Pd
456
Post/teca
fonte: http://www.ilpost.it/2011/01/26/documento-fassina-lingotto/
-------------------26/01/2011 - LUTTO NEL MONDO DEL TEATRO
E' morto l'attore Mario
Scaccia
È morto a Roma, all’età di 91 anni, l’attore Mario Scaccia. Era ricoverato al
Policlinico Gemelli, dove aveva subito, prima di Natale, un piccolo intervento che lo
aveva costretto ad interrompere lo spettacolo in scena al teatro Arcobaleno, un
tributo a tutta la sua vita intitolato appunto «Interpretando la mia vita».
L’ultima apparizione di Mario Scaccia sulle scene era stata al Teatro Arcobaleno di
Roma, prima di Natale 2010, alla vigilia del suo novantunesimo compleanno, per
’Interpretando la mia vita', uno spettacolo del tutto personale in cui aveva
raccontato il suo percorso artistico durato più o meno settant’anni. Nato a Roma il
26 dicembre 1919, Scaccia aveva costituito nel 1961 la Compagnia dei Quattro con
Franco Enriquez, Valeria Moriconi e Glauco Mauri.
Fra le sue più celebri interpretazioni sul palcoscenico: Fra Timoteo nella
Mandragola di Machiavelli, il Chicchignola di Petrolini e il Negromante dell’Ariosto.
Nel cinema ha debuttato nel 1954 in ’Tempi nostri' di Alessandro Blasetti e in
televisione è stato interprete di molti sceneggiati fra cui Plonplon in ’Ottocento' e
Capitan Sandracca ne ’La Pisana'.
fonte: http://www3.lastampa.it/spettacoli/sezioni/articolo/lstp/386088/
------------------------
E' morto a 91 anni Mario Scaccia
457
Post/teca
Grande protagonista del teatro
italiano
Era ricoverato al Gemelli dalla fine di dicembre, per un piccolo
intervento, poi sono sopraggiunte una serie di complicazioni, e la fine.
L'ultimo spettacolo, al Teatro Arcobaleno di Roma, è stato
"Interpretando la mia vita". In scena da 70 anni, è stato un grande
interprete dei classici e dei contemporanei, da Moliere a Miller. Al
cinema ha recitato con Blasetti e Risi
di ROSARIA AMATO
ROMA - È morto stanotte, al Policlinico Gemelli di Roma, l'attore Mario
Scaccia, uno dei maestri del teatro italiano, protagonista anche di una lunga
lista di film d'autore. Aveva appena compiuto 91 anni, il 26 dicembre. Era
stato ricoverato prima di Natale per un piccolo intervento ma poi, a causa di
una serie di complicazioni, non è più uscito dall'ospedale. L'ultimo spettacolo
che ha messo in scena, al teatro Arcobaleno, è in effetti un addio, un tributo a
tutta la sua vita intitolato appunto "Interpretando la mia vita", tratto
dall'omonimo libro di memorie scritto dallo stesso attore.
Scaccia, nato a Roma nel 1919, inizia presto la sua carriera di attore, come si
legge nella biografia pubblicata sul suo sito ufficiale 1 (che include anche un
blog molto frequentato dai fan dell'artista): "Appena reduce della seconda
guerra mondiale s'iscrive nel 1946 all'Accademia d'Arte Drammatica di Roma,
per poi esibirsi nel 1948 con la compagnia di Anton Giulio Bragaglia al Teatro
Ridotto di Venezia". In effetti, confessò molto più tardi in un'intervista,
all'Accademia aveva corso il rischio di non essere preso: "Dovetti partire per
la guerra d'Africa dove ero ufficiale e organizzavo spettacoli per gli altri
soldati. Quando sono tornato ho deciso di tentare con l'Accademia, ma non
ero nell'elenco dei partecipanti alle selezioni e non mi avrebbero mai preso,
però incrociai Silvio D'Amico e gli dissi che venivo dal Marocco: mi dovettero
prendere per forza, ero un reduce".
Finita l'Accademia, prosegue la biografia ufficiale di Scaccia, "inizia quindi
458
Post/teca
una vera attività professionale, dividendosi fra teatro leggero e teatro di
prosa, recitando accanto ad attori come Vittorio Gassman, Macario, Lamberto
Picasso, Memo Benassi, Isa Pola, e Nino Besozzi. Nel 1961 costituisce con
Franco Enriquez, Valeria Moriconi e Glauco Mauri la celebre Compagnia dei
Quattro".
Il repertorio di Scaccia è quanto mai ampio: ha recitato tutti i classici, Moliere,
Goldoni, Lonesco, Pirandello, Courteline, Feydeau, O'Neill, Stoppard, Arthur
Miller. Tra i personaggi che gli furono più cari Polonio in Amleto, Shylock nel
Mercante di Venezia, Fra Timoteo nella Mandragola, e il Chicchignola di
Petrolini, suoi grandi cavalli di battaglia. Al cinema ha interpretato numerosi
film di Alessandro Blasetti, a partire dai primi anni '50, ma ha anche recitato
con Luigi Zampa, DIno Risi, Pasquale Festa Campanile, Alberto Lattuada,
Elio Petri, Mauro Bolognini, Steno, Lina Wertmuller. L'ultima interpretazione
sul grande schermo è stataGabriel, nel 2001, con la regia di Maurizio
Angeloni.
Molti l'hanno definito come l'erede di Petrolini, ma in effetti Scaccia è stato
molto di più, un uomo di teatro e di spettacolo nel senso più completo del
termine, rimasto sul palcoscenico fino alla fine. Come tutti i grandi attori, in
effetti aveva annunciato il ritiro moltissime volte. In un'intervista del 2007
dichiarò sconsolato: "Il teatro non c'è più perché non c'è più il pubblico". Ma
poi aggiunse: "Purtroppo io vivo di teatro". Si è allontanato in effetti dall'ultimo
spettacolo in scena, un mese fa, solo per andare in ospedale. Pensare che
aveva annunciato un parziale ritiro dalle scene ("Reciterò solo nella mia città,
a Roma", aveva detto) già quando aveva compiuto 78 anni, lamentando
quanto le tournée fossero faticose per lui: "Per i vecchi non c'è posto", si era
lamentato. Ma poi era in scena regolarmente, e non solo a nella capitale.
Una carriera davvero lunghissima: "Sono salito sulla scena per la prima volta
a 3-4 anni. - aveva confessato in un'intervista a Repubblica - Mia zia,
filodrammatica, aveva bisogno di una bambina, e io avevo i capelli lunghi".
Una carriera anche piena di soddisfazioni e di successi, eppure, raccontava
sempre l'attore, "per il teatro mi sono venduto la casa più volte". Nonostante il
cinema e anche la televisione: Scaccia fu anche una protagonista della
grande stagione degli sceneggiati della Rai. Ma negli ultimi anni della sua vita
459
Post/teca
parlava assai male del piccolo schermo: "Non guardo mai la televisione. Non
c'è mai niente di interessante". Del resto anche il giudizio sul teatro negli
ultimi anni era sconsolato: "E' uscito dalla porta di servizio e non si sa che
fine abbia fatto. Quello che lo sostituisce non è teatro".
I suoi 90 anni vennero festeggiati con una festa memorabile al Teatro Valle, a
Roma: anche in quell'occasione Scaccia annunciò l'ennesimo addio al
palcoscenico, sostenendo che non avrebbe potuto "recitare con il bastone".
Alla sua città fu sempre molto vicino: le sue maschere romane sono state
definite "una grande metafora sui mali dell'uomo, sulle sue debolezze,
contraddizioni e confusioni". Di Roma accettava tutto, anche gli aspetti
negativi. All'intervistatore che, qualche anno fa, gli ricordava la sporcizia per
le strade della capitale, replicava: "Ma deve essere sporca. Roma non è mai
stata dei romani: anche ai tempi di Marziale era la capitale del mondo ed era
sporca".
(26 gennaio 2011)
fonte: http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2011/01/26/news/morto_mario_scaccia11667586/?ref=HREC1-6
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LA DUBLINO DI JOYCE, LA LUBECCA DI MANN E LA MANCIA DI
CERVANTES»
Ermanno Rea,
460
Post/teca
utopie e
sconfitte
«E ora la speranza che il
Sud conquisti l'autonomia»
Vieni fuori, dopo una lunga chiacchierata con Ermanno Rea, con un'idea di
forza che supera i pessimismi e le angosce. La forza di una speranza, anche
quando tutto sembrava perduto, finito nella spazzatura di un rione di Napoli.
Lo scrittore di Mistero napoletano non finisce di avere fiducia, e di regalarne.
Dopo tante sconfitte onestamente riconosciute. La sconfitta storica del
socialismo, a cui Rea aveva creduto negli anni giovanili, grazie alle utopie che
già erano in casa: «Sono nato in una famiglia molto affiatata. Con grande
affetto e stima reciproca. Mio padre e mia madre erano persone gentili. Sono
loro debitore dell'educazione e anche delle scelte che ho fatto. Papà era un
vecchio socialista e poi comunista, aveva fiducia nella capacità dell'uomo di
realizzare una giustizia superiore». A Napoli, papà Rea aveva un'azienda di
vernici e pennelli, ma a un certo punto vendette tutto e comprò una proprietà
a Massa Carrara, dove diventò rappresentante del Pci nel Comitato di
Liberazione. «Mi ricordo certe riunioni partigiane sul terrazzo di casa con il
fucile mitragliatore lì a fianco. Io sono stato partigianello nelle montagne
toscane in età molto giovane. Avevo il compito di girare tra le formazioni della
Brigata Garibaldi per fare un lavoro ideologico, per così dire, presso i
partigiani più giovani». Sorride a quel ricordo: «Parlavo di Marx e del
461
Post/teca
comunismo, cose che avevo orecchiato da mio padre». La speranza di una
modernizzazione della città, la sua, e di tutto il Mezzogiorno è stata un'altra
utopia, ugualmente naufragata. Infine, il progetto Bassolino, affondato nel
degrado di sempre: «Pavimentare, ristrutturare piazze e musei è bello, ma
prima bisognava eliminare la camorra». L'incarico alla presidenza del Premio
Napoli, dal 2003, si risolve nelle ennesime dimissioni: «Il premio nella mia
testa doveva essere una forma di battaglia civile e culturale. Quando sono
venuto a sapere che Napoli era diventata il capolinea della nettezza urbana
nazionale, mi sono chiesto: non lo sapevano le autorità? E perché hanno
taciuto? Probabilmente perché tenevano alle loro poltrone. Non mi restava
che dimettermi. È stato il distacco definitivo dalla mia città»
Dall'attico milanese di Rea si vedono i tetti della metropoli avvolti in una
nebbia fitta da cui non sembrano aprirsi spiragli. Tanto meno verso Sud:
«Pensavamo che il futuro del Sud dovesse essere l'industrializzazione, che la
liberasse delle sue eredità nefaste. Ma persino il mare era tagliato fuori dalla
vita produttiva della città: era un porto militarizzato. Ormai dobbiamo
smetterla di sentirci candidati a una catena di montaggio che non arriverà
mai». Già quasi dieci anni fa, del resto, con La dismissione, Rea scrisse un de
profundis dell'Ilva di Bagnoli. La storia di una fabbrica che muore e di una
città quasi condannata al sottosviluppo. Oggi? «Oggi guardo con interesse a
quelli che si occupano di economia alternativa e non inquinante: il
Mezzogiorno potrebbe diventare una macroregione autonoma - senza parlare
di secessione, ovviamente! - sulla falsariga anche del concetto di decrescita
elaborato da Latouche, per esempio». Concretamente? «Affidare a un pool di
intelligenze il progetto di un nuovo sviluppo, la mappatura dei problemi
aperti, la speranza di mobilitazione delle coscienze, il compito di elaborare
una prospettiva di futuro. Napoli è una città che non conosce se stessa». Il
nuovo libro di Ermanno Rea, che uscirà in febbraio da Feltrinelli, La fabbrica
dell'obbedienza, è un resoconto sulle ragioni della disunità del Paese: «L'Italia
non si è mai veramente unita. Gramsci diceva che l'unità avrebbe dovuto
tradursi in un insieme di economie omogenee e connesse tra loro come in
tutti i paesi del mondo. Ma il Sud è stato usato dal triangolo industriale
riserva di manodopera e fonte di emigrazione».
La vita di Ermanno Rea è la storia di un tormentato rapporto d'affetto
con la sua città, ma anche di una presa di distanza in età matura e di qualche
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Post/teca
ritorno deluso in età tarda. È anche il tentativo tenace di decifrare quella che
lui stesso definisce «una sorta di notte boreale che davvero non finisce mai».
Ripartiamo dall'inizio, anni 50: «Io seguivo le orme di Renzo Lapiccirella, vice
e poi capo cronista dell'«Unità», con cui vivevo una specie di fronda
antistalinista. Lasciai l'«Unità» nel '57 e mi trasformai in un libero cittadino,
anche se, senza tessera, restai legato sentimentalmente a Pci. Ma era
un'esperienza finita». Che cosa rimane a 83 anni di tante amicizie, dissensi e
fratture? «L'esperienza tra fine anni 40 e i 50 è stata determinante per me sul
piano della maturazione umana, sociale, ideologica. I personaggi di Mistero
napoletano mi hanno accompagnato per il resto dell'esistenza, anche da un
punto di vista affettivo. Gli amici di allora sono state amicizie definitive, e
sono rimasto un po' fermo a quel momento. In particolare il legame molto
forte con Lapiccirella, un medico colto e sensibile, mi ha segnato per sempre:
poverissimo, era rimasto impigliato nel partito, però era troppo intelligente
per inchinarsi alle pesanti regole del gioco. Il nostro ideale non era tanto il
socialismo, il nostro impegno era civile, aspiravamo ad aiutare Napoli a
liberarsi del suo sottosviluppo, e ci sembrava che il Pci avesse questa
funzione. Purtroppo le cose andarono diversamente».
Rea lascia il divano, scompare in un'altra stanza e torna con un libro da
cui estrae una citazione su Giordano Bruno: «Siamo figli della Controriforma,
- dice - abbiamo un'educazione pluricentenaria che ci rende diversi dal resto
dell'Europa. Tra le fiamme di Campo dei Fiori, Giordano Bruno rinunciò a
ritrattare le sue tesi: «il suo è stato il più eroico no mai pronunciato. Da allora
il popolo italiano ha smesso di dire no». Dopo l'uscita dall'«Unità», Rea a
Roma viene assunto da Maria Antonietta Macciocchi al settimanale «Vie
Nuove»: «Ma mi convinsi che dovevo cambiare mestiere senza diventare, da
militante del Pci, un militante anti-Pci». E così passa provvisoriamente alla
fotografia: «Presi il mio gruzzolo di liquidazione e decisi di partire a Berlino,
dove cominciai a fare fotografie di ambiente e di atmosfera: era la Berlino preMuro, una città triste e piena di contrasti, da una parte opulenza, luci e
lustrini, dall'altra un mortorio e un cumulo di macerie». Sono gli anni dei
viaggi: la Dublino di Joyce, la Lubecca di Mann, la Mancia di Cervantes, ma
anche l'Estremo Oriente e l'Africa. Il «richiamo della foresta del giornalismo»
lo riporta a Roma, e poi Milano. Com'era Napoli vista da lontano? «Era
sentirsi forse ancora più napoletani. A Milano e a Roma con i molti amici
carissimi napoletani erano un continuo interrogarsi sia sul passato sia sul
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Post/teca
presente. Ci chiedevamo se avevamo sbagliato o meno ad andarcene».
Risposta? «L'appartenenza ti accompagna ovunque, ma a ogni ritorno ci
toccava constatare come la città regredisse. Negli anni 50 c'era un borghesia
illuminata, una classe dirigente notevole: questo è un fenomeno italiano, ma
da noi tutto è più corposo e violento, e diventa disperazione totale».
Solo dopo i sessant'anni arriva la scrittura narrativa, con le inchieste
e i romanzi: «Da cronista ho capito che nel mare di notizie mi interessava
afferrare per i capelli uno di questi eventi per impedirne la rapida dissolvenza,
scavarlo per fermarlo nella memoria. Questa per me è la funzione dello
scrittore. Ma c'è sempre anche un rapporto molto forte con la vita:
l'invenzione semmai arriva in coda alla cronaca». Come si invecchia in questo
paese? «In Italia si concepisce un'unica dimensione: una vitalità più o meno
intensa. Guai a essere vecchio! Nel mio mondo, l'età avanzata esigeva rispetto
e i vecchi avevano il compito di trasmettere saggezza. Oggi la vecchiaia è
sempre al potere, ma trasmette una efficienza consumistica e una finta vitalità
giovanile».
Paolo di Stefano
24 gennaio 2011
fonte: http://www.corriere.it/cultura/11_gennaio_24/Ermanno-Rea-paolo-di-stefano_a052ffcc2782-11e0-a862-00144f02aabc.shtml
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"Voglio rassicurare quel piccolo sottoinsieme
razzista, xenofobo, orgogliosamente fascista
dei lettori del Gazzettino svelando che
purtroppo il titolo ad effetto non corrisponde
a verità: lo scrivente non è, purtroppo, ebreo
marocchino terrone. Parlo anzi il mio bel
dialetto del Nord (non veneto, ahimè),
conosco un buon numero di tradizioni
464
Post/teca
popolari “padane”, ho letto un buon numero
di pagine di Gianfranco Miglio e figuratevi
che some of my best friends are leghisti [1].
Qualche giorno fa scrivevo a proposito di un
sondaggio promosso dal Gazzettino su “Una
biblioteca pubblica ha eliminato i libri di
Saviano. Comportamento comprensibile o
inaccettabile?” (per inciso ricordo a tutti che
tale censura è venuta prima delle iniziative di
Speranzon e Donazzan, in collegamento alle
dichiarazioni dello scrittore a Vieni via con
me sui “rapporti” tra Lega e mafie) : Il
Gazzettino propone (in prima pagina sul
web) il sondaggio “Una biblioteca pubblica
ha eliminato i libri di Saviano.
Comportamento comprensibile o
inaccettabile?”. Tengono a precisare che i
risultati non hanno valore statistico (cmq
meritevoli di uno sguardo
http://bit.ly/fGdR29 ). Mi pare incredibile
che *l ‘ottavo quotidiano d’informazione
465
Post/teca
italiano e il maggior quotidiano del
Triveneto* (wiki) proponga un sondaggio del
genere. Dignifica chiaramente l’atto, lo porta
nell’alveo della discussione “democratica”,
delle “opinioni divergenti”. Ovvero siamo alla
legittimazione della censura come “libera
espressione di un atteggiamento ideologico
da parte di amministratori pubblici”. Cioè io
sono un servitore dello stato fedele alla
Costituzione e quindi ho il diritto di
esprimermi bruciando i libri che non
apprezzo e salvando i miei concittadini dalla
corruzione… (dal sito di Wu Ming)
Come sempre nella mia piccola azione contro
il #rogodilibri cercavo di unire fermezza e
serenità, insomma di non “spararle grosse”.
Chiarisco però meglio, con uguale serenità: il
sondaggio del Gazzettino è equivalente a “Gli
ebrei sono avidi? Si, no, forse”, “I terroni
hanno voglia di lavorare?”, “I marocchini
puzzano?”, o anche, se volete, “I veneti sono
466
Post/teca
razzisti?”. Non ritengo infatti di essere io in
questo contesto a “spararle grosse”,
l’enormità mi pare quella del Gazzettino:
l’avvallo implicito (neanche troppo implicito)
della “comprensibilità”, “accettabilità”,
“correttezza” di tendenze censorie e razziste
(Saviano è un terrone che parla male del
Nord-Est questa è la cosa peggiore) portate
avanti da amministratori della Repubblica
Italiana. Non devo ovviamente insegnare
nulla alla redazione di quel giornale, vorrei
però che avesse la bontà di chiedere ad Amos
Luzzato, Presidente della Comunità Ebraica
di Venezia, cosa ne pensa del sondaggio."
— jumpinshark: Siamo tutti ebrei marocchini terroni contro il #rogodilibri
(per gli amici del Gazzettino)
(via flatguy)
---------------------
"la tua età è il tempo che hai avuto per
arrivare ad essere ciò che sei ora. se ti senti
vecchio, probabilmente l’hai usato male."
— regola di vita n. 40 (via blondeinside)
467
Post/teca
(via blondeinside)
-----------------
in fondo a destra c'è il cesso. e io cerco in fondo,
sempre, ma a sinistra.
fonte:
http://infondoasinistra.splinder.com
---------------------mercoledì, 08 dicembre 2010
dove, quando
8/12/1980 dov'eri quando è morto john lennon?
2/8/1980 dov'eri quando esplose la bomba a bologna?
9/12/1978 dov'eri quando uccisero aldo moro?
12/12/1969 dov'eri quando esplose la bomba a piazza fontana?
20/7/1969 dov'eri quando l'uomo è andato sulla luna?
25/4/1945 dov'eri quando i partigiani liberarono milano?
20/9/1870 dov'eri quando è caduta roma?
12/10/1492 dov'eri quando colombo sbarcò in america?
9/12/2010 dove sarai domani?
fonte: http://infondoasinistra.splinder.com/post/23712351/dove-quando
-----------------
"Nei Paesi ricchi il consumo consiste in
persone che spendono soldi che non hanno,
468
Post/teca
per comprare beni che non vogliono, per
impressionare persone che non amano."
—
(Joachim Spangenberg, Vicepresidente del SERI, Sustainable Europe
Research Institute)
Consumismo. | CITARSI INDOSSO (via tostoini)
(via batchiara)
----------------NOI SIAMO ABITATI DA LIBRI E DA AMICI « Cosebelle
------------------
«Mi hanno ordinato: Devi
togliere subito quei testi
dagli scaffali»
uomoinpolvere:
Corriere del Veneto:
PREGANZIOL (Treviso) — Lucia ama i libri. «Quasi tutti i soldi che guadagno
come bibliotecaria li spendo per quello: libri». Lavora tra i libri da vent’anni e
per un libro, ora, si è dovuta trovare un avvocato. «Mi è stato detto: togli
Saviano dagli scaffali, volontà superiori. Ho chiesto se ci fosse un ordine
scritto emi è stato risposto che “non si tira su un casino per un libro”». Ma il
casino è scoppiato comunque ed ora a difenderla c’è solo la sua parola, contro
quella di chi la accusa di aver ordito un complotto. Perché Lucia Tundo (non
Barbara, come erroneamente scritto ieri) è la bibliotecaria al centro del «caso
Saviano» esploso a Preganziol. Quella delle «strane coincidenze» su cui ha
fatto leva il sindaco Sergio Marton per difendersi e spiegare che lui mai e poi
mai s’è sognato di censurare l’autore di Gomorra, «una cosa da dementi». E’
469
Post/teca
lei l’ultima ad aver preso il libro, appena questo era rientrato da un prestito, il
4 dicembre. «L’ho tenuto con mefino al 16 dicembre - racconta Lucia (nella
foto in alto) - volevo evitare che tornasse sullo scaffale» da dove pare che nel
frattempo fossero spariti gli altri due titoli di Saviano, l’audiolibro di Gomorra
e la conversazione con Langewiesche che però, secondo il sindaco e la
direttrice della biblioteca Gioia Rizzotto, non si sarebbero mai mossi da lì.
«L’ho fatto per salvarlo, non volevo che facesse la fine degli altri. L’ho tenuto
d’occhio fino al 23 dicembre, quando sono partita per le vacanze». Una volta
tornata, il 7 gennaio, Lucia non ha più trovato il libro al suo posto: «Non era
in prestito e non era su un altro scaffale, ho battuto la biblioteca palmo a
palmo». Chi l’ha preso, assicura, non lo sa. «Mi sono infuriata e mi sono
sfogata sul blog della Lipperini, con un commento anonimo». Un segreto che
non è durato a lungo, visto che qualche giorno dopo è arrivata a Preganziol
una troupe del Tg3. «C’è chi dice che la cosa era organizzata, che l’ho pilotata
io, ma non è vero: sono arrivati assicurando che ci avrebbero chiesto i libri
degli autori pro Battisti ed io ero anche contenta, perché li abbiamo tutti. E
invece la ragazza che era con loro mi ha chiesto di Gomorra. Ed è successo
quello che è successo: ho sbagliato, non avrei dovuto farli entrare». Lucia è
sconvolta, un moto d’indignazione s’è trasformato in una buriana che non
riesce più a controllare. Giovedì hanno persino organizzato una
manifestazione a suo sostegno, di fronte alla biblioteca: lei non ci andrà
perché l’avvocato le ha consigliato di stare lontana dai flash. E c’è chi l’accusa
di essere una «comunista», una «di sinistra », e per questo avrebbe ordito la
sceneggiata anti padana. «Non faccio mistero delle mie opinioni politiche ma
pensare che possa aver architettato tutto questo è una follia. Vivo male, non
dormo la notte. Certo è che al giorno d’oggi, se provi ad alzare la testa, ti
massacrano».
(via @Wu_Ming_Foundt)
Onore al coraggio di questa donna.
------------------20110127
«Il momento Sputnik della nostra generazione»
470
Post/teca
I passaggi più rilevanti del discorso di Obama sullo Stato dell'Unione
26 GENNAIO 2011
Questa notte Barack Obama ha tenuto davanti al Congresso il suo secondo
discorso sullo Stato dell’Unione. Il testo integrale del discorso si può leggere qui,
mentre invece qui si può trovare il video. Noi abbiamo selezionato e tradotto i
passaggi più importanti ed efficaci dal discorso del presidente statunitense.
*
«Dipende da noi»
Oltre tutto il rumore e le passioni e il risentimento del nostro dibattito pubblico,
Tucson ci ha ricordato che non importa chi siamo o da dove veniamo: ognuno di noi
è parte di qualcosa più grande e più importante di una preferenza politica o
partitica. Di per sé questa semplice consapevolezza non ci accompagnerà in una
nuova era di cooperazione. Quello che verrà da adesso in poi dipende da noi.
Quello che verrà da adesso in poi non sarà determinato dal fatto che siamo seduti
vicini stasera ma dal fatto che potremo lavorare insieme domani. Io credo che
possiamo. Io credo che dobbiamo.
«Il mondo è cambiato»
Sì, il mondo è cambiato. La competizione per i posti di lavoro è reale. Ma questo
non dovrebbe scoraggiarci, dovrebbe spronarci. Ricordate: pur con tutti i colpi che
abbiamo preso negli ultimi due anni, pur con tutti i pessimisti che prevedevano il
nostro declino, l’America è ancora la più grande e più prospera economia del
mondo. Non ci sono lavoratori più produttivi dei nostri. Non c’è un paese che abbia
più aziende di successo o che registri più brevetti a inventori e imprenditori. Siamo
la casa dei migliori college e delle migliori università del mondo: gli studenti
vogliono venire a studiare qui più che in qualsiasi altra parte della Terra.
Innovazione
La prima cosa da fare per conquistare il futuro è incoraggiare l’innovazione.
Nessuno può prevedere quale sarà la prossima grande industria, da dove verranno
i nuovi posti di lavoro. Trent’anni fa non sapevamo che una cosa chiamata Internet
avrebbe portato a una rivoluzione economica. Quello che possiamo fare – e che
l’America fa meglio di chiunque altro – è lasciare sprigionare la creatività e
l’immaginazione della nostra gente. La libera imprenditoria guida l’innovazione. Ma
siccome per le aziende non è sempre proficuo investire in ricerca, nel corso della
storia il governo ha dato a scienziati e inventori il sostegno di cui hanno bisogno. È
così che abbiamo piantato i semi da cui è nata Internet. Così abbiamo reso
possibile la nascita di cose come i microprocessori e la tecnologia GPS.
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Post/teca
Il momento Sputnik
Questo è il momento Sputnik della nostra generazione. Due anni fa, dissi che
dovevamo raggiungere un livello di ricerca e sviluppo che non conoscevamo dalla
Corsa allo spazio. Da qui a poche settimane, invierò una legge finanziaria al
Congresso che ci aiuta a raggiungere quell’obiettivo. Investiremo in ricerca
biomedica, in information technology e in energia pulita – un investimento che
rafforzerà la nostra sicurezza, proteggerà il nostro pianeta e creerà innumerevoli
posti di lavoro. Queste sono le cose su cui dobbiamo lavorare. E per potercele
permettere, chiedo al Congresso di eliminare i miliardi di dollari dei contribuenti che
diamo alle compagnie petrolifere. Non so se viene siete accorti, ma se la cavano
benissimo da sole. Inoltre, l’energia pulita creerà posti di lavoro solo se le aziende
che la producono troveranno un mercato. Quindi stasera vi invito a unirvi a me nel
porci un nuovo obiettivo: da qui al 2035, l’80 per cento dell’elettricità americana
verrà da fonti di energia pulita.
«Se vuoi fare la differenza nella vita di un bambino»
Nei prossimi dieci anni, la metà dei nuovi posti di lavoro richiederà un’istruzione che
va oltre un diploma di scuola superiore. E intanto oltre un quarto dei nostri studenti
non finisce nemmeno quella. La qualità della nostra matematica e delle nostre
scienze sta dietro quella di diverse altre nazioni. Siamo precipitati al nono posto al
mondo in proporzione al numero di laureati. La questione ci riguarda tutti – come
cittadini, come genitori – e riguarda la nostra volontà di fare quel che si deve per
dare a ogni bambino la possibilità di realizzarsi. Per questo, voglio dire una cosa ai
giovani che ci ascoltano stasera e stanno riflettendo sul loro futuro: se vuoi fare la
differenza nella vita del tuo paese, se vuoi fare la differenza nella vita di un
bambino, diventa un insegnante. Il tuo paese ha bisogno di te.
«Non ha senso»
Oggi ci sono centinaia di migliaia di studenti che eccellono nelle nostre scuole ma
non sono cittadini americani. Alcuni di loro sono figli di immigrati clandestini, e non
hanno responsabilità per le azioni dei loro genitori. Sono cresciuti come americani,
sono fedeli alla nostra bandiera e intanto vivono ogni giorno con la minaccia della
deportazione. Altri vengono qui dall’estero a studiare nei nostri college e nelle
nostre università. Non appena si laureano, però, noi li rispediamo a casa loro così
che possano competere contro di noi. Non ha senso.
Ricostruire l’America
Il terzo passo per conquistare il futuro è ricostruire l’America. Per attrarre nuove
imprese sul nostro territorio ci serve il modo più veloce e affidabile possibile per
spostare persone, beni, informazioni: dalle ferrovie ad alta velocità alla rete internet
ad alta velocità. Le nostre infrastrutture devono essere le migliori: ora non lo sono
più. In Corea del Sud le case hanno internet più veloce delle nostre. Ci sono paesi
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Post/teca
in Europa e in Russia che investono più di noi in strade e ferrovie. La Cina produce
più velocemente treni e aeroporti.
Internet wireless
Da qui ai prossimi cinque anni, faremo sì che sia possibile estendere la copertura
internet wireless ad alta velocità al 98 per cento degli americani. Non si tratta solo
di navigare più velocemente o non far cadere la linea quando telefoniamo. Si tratta
di collegare ogni parte dell’America all’era digitale. Si tratta di una comunità rurale
in Iowa o in Alabama dove fattori e piccoli imprenditori possono vendere i loro
prodotti in tutto il mondo. Si tratta di un pompiere che può scaricare la planimetria di
un edificio in fiamme su uno smartphone. Si tratta di uno studente che può studiare
su un libro digitale, di un malato che può parlare col proprio medico e vederlo in
faccia senza spostarsi.
Il debito pubblico
L’ultimo passo – il più critico – per conquistare il futuro è accertarci di non finire
sepolti da una montagna di debito. Viviamo con l’eredità di un debito che è
cominciato dieci anni fa. Alla luce della crisi finanziaria, una parte di quel debito è
servito a a salvare posti di lavoro e mettere dei soldi nelle tasche della gente. Ora
che il peggio è passato, dobbiamo affrontare il fatto che il nostro governo spende
più di quanto incassa. Non è sostenibile. Ogni giorno le famiglie fanno sacrifici per
vivere con i loro mezzi: meritano un governo che faccia lo stesso. Per questo
propongo il congelamento della spesa interna per i prossimi cinque anni. Questo
ridurrebbe il debito di 400 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni e richiederà tagli
dolorosi.
Dove tagliare
So che c’è chi in questa Camera chiede tagli ancora più profondi e incisivi, e ho
intenzione di eliminare tutte le cose di cui credo possiamo fare a meno. Ma
facciamo attenzione a non farlo sulle spalle dei nostri cittadini più vulnerabili. E
facciamo attenzione a tagliare quello che è davvero superfluo. Ridurre il debito
tagliando gli investimenti nell’innovazione e nell’istruzione è come alleggerire un
aereo troppo carico buttando via il motore: all’inizio magari potrà sembrarti di
andare più veloce, ma poi arriva lo schianto. La spesa interna rappresenta poco più
del 12 per cento del nostro bilancio. Per fare altri progressi dobbiamo smetterla di
far finta che tagliare quella spesa da sola possa essere abbastanza. Non è così. Se
abbiamo davvero a cuore la riduzione del debito, per esempio, non possiamo
permetterci tagli fiscali per il 2 per cento di americani più ricchi. Prima di togliere i
soldi alle nostre scuole dovremmo chiedere ai milionari di rinunciare ai loro sgravi.
Non si tratta di punire il loro successo, ma di promuovere il successo dell’America.
Il governo e il salmone
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Post/teca
Nonostante viviamo e lavoriamo nell’era dell’informazione, l’ultima grande
riorganizzazione del governo risale all’era della tv in bianco e nero. Oggi abbiamo
dodici diverse agenzie governative che hanno a che fare con le esportazioni.
Cinque diverse entità che si occupano di case. Questo è il mio esempio preferito: il
ministero degli Interni si occupa del salmone quando sta in acqua, ma il ministero
del Commercio se ne prende carico quando sta sotto sale. Quando è affumicato la
cosa diventa ancora più complicata. Ora, abbiamo fatto grandi passi avanti negli
ultimi due anni utilizzando la tecnologia e liberandoci degli sprechi. I veterani
possono scaricare la loro storia medica con un clic. Stiamo vendendo ettari di uffici
federali inutilizzati per anni, taglieremo la burocrazia per venderne ancora. Ma
dobbiamo fare di più. Nei prossimi mesi, la mia amministrazione metterà in piedi
una proposta per fondere, consolidare e riorganizzare il governo federale in un
modo più funzionale all’obiettivo di costruire un’America più competitiva.
La storia di Brandon Fisher
Possiamo avere differenze nelle politiche da adottare, ma crediamo tutti nei diritti
espressi dalla nostra Costituzione. Possiamo avere opinioni differenti, ma crediamo
nella stessa promessa che dice che c’è un posto in cui ce la puoi fare, se ci provi.
Possiamo avere storie differenti, ma crediamo nello stesso sogno che dice che
questo è il paese in cui tutto è possibile. Non importa chi sei e da dove vieni. Quel
sogno è la storia di un piccolo imprenditore che si chiama Brandon Fisher.
Brandon ha aperto la sua azienda a Berlin, in Pennsylvania: è specializzato in una
nuova tecnica di trivellazione. Un giorno, l’estate scorsa, ha sentito che dall’altra
parte del mondo trentatré persone erano rimasti intrappolati in una miniera in Cile e
nessuno sapeva come salvarli. Brandon ha pensato che la sua azienda poteva
dare una mano. Ha progettato un sistema di salvataggio che poi è diventato noto
come Plan B. I suoi operai hanno lavorato senza soste per costruire la
strumentazione necessaria. Poi Brandon è andato in Cile. Insieme ad altri, ha
cominciato a trivellare senza soste, lavorando tre o quattro giorni senza dormire.
Trentasette giorni dopo il Plan B ha funzionato e i minatori sono stati salvati. Ma
siccome non gli piace stare al centro dell’attenzione, Brandon era già tornato a
casa, lavorando al suo nuovo progetto. Pochi giorni dopo, uno dei suoi impiegati ha
detto: “Abbiamo dimostrato che Center Rock è una piccola azienda, ma fa grandi
cose”. Noi facciamo grandi cose. Dai primi giorni della nostra fondazione, l’America
è la storia di gente normale che osa sognare. Così conquisteremo il futuro.
fonte: http://www.ilpost.it/2011/01/26/obama-discorso-stato-unione/
-----------------------
474
Post/teca
"avevamo sogni così grandi che non ci sono
bastate le braccia per trattenerli."
—
lachimera:
(via rispostesenzadomanda)
----------------------
A Terezìn
3nding:
Erano in 15.000: non ne sono sopravvissuti nemmeno 100. Avevano
tutti un’età compresa tra i 12 ed i 16 anni. Terezìn fu il maggiore campo di
concentramento nazista sul territorio della Cecoslovacchia. Costruito come
transito per gli ebrei che dal Protettorato di Boemia e Moravia venivano
deportati verso i campi di sterminio dei territori orientali, dalla sua nascita vi
furono deportati 150.000 persone, fra le quali 15.000 bambini. La maggior
parte trovò la morte nel ghetto stesso o negli altri campi nazisti. Il campo di
Terezìn proprio perché di transito, è stato uno dei pochi che prevedeva uno
spazio per i bambini. Stesse condizioni igieniche, stessa fame, stesse malattie.
Proprio come gli adulti. Stessa Identica sofferenza.
Sotto la guida degli ebrei adulti, i bambini frequentarono lezioni e
parteciparono a molte iniziative culturali. Tra gli animatori anche Dicker
Brandejsovà, artista e progressista morta, proprio come la maggior parte dei
bambini, nel campo di Auschwitz nell’autunno del ‘44. I bambini rinchiusi a
Terezìn ci hanno lasciatoquattromila disegni, e sessantasei poesie.
(http://www.majorana.org/progetti/shoah/terezin.htm)
A Terezìn
Appena qualcuno arriva qui
ogni cosa gli sembra strana.
Come, io devo coricarmi per terra?
No, io non mangerò quella sudicia patata nera.
E questa sarà la mia casa? Dio com’è lurida!
Il pavimento è solo fango e sporcizia
475
Post/teca
e qui io dovrei distendermi:
Come farò senza sporcarmi!
C’è sempre un gran movimento quaggiù
e tante tante mosche:
le mosche non portano le malattie?
Ecco, qualcosa mi ha punto: una cimice forse.
Com’è orribile Terezìn!
Chissà quando ritorneremo a casa.
1943 “Teddy”
via: http://curiositasmundi.tumblr.com/post/2955297394/a-terezin
--------------------
"Non ci siamo capiti, qui o si fa alla tunisina
o il nano muore nel suo letto come Francisco
Franco."
—
@Filippo Cioni (via uomoinpolvere)
.
(via emmanuelnegro)
---------------------
"Vi giuro, signori, che l’esser troppo
consapevoli è una malattia, un’autentica,
assoluta malattia"
—
F.Dostoevskij (via dasheimweh)
Veramente.
(via divara)
476
Post/teca
-------------martedì 25 gennaio 2011
Resto alla mia Bompiani
anche se arriva Saviano
di Vittorio Sgarbi
Sarebbe un acquisto non ideologico, di un autore che fa
grandi profitti. Per questo non importa se è allineato al
pensiero politicamente corretto
Ieri, ore 14.25. Sul finger del terminal A a Fiumicino per il
volo in arrivo da Palermo, leggo, scritto d’impulso con un
pennarello: «Vai Silvio, trombale tutte». Mi sembra la
migliore risposta alle preoccupazioni sul duro impegno di
Ilda Boccassini e dei suoi assistenti nell’inchiesta su Silvio
Berlusconi. Un’inchiesta esemplare,che richiede grande
impegno e per la quale occorre mobilitare gli intellettuali
italiani, specialmente quelli casti (eviterei per esempio
Massimiliano Parente, Camillo Langone, Isabella
Santacroce, Melissa P., Catherine Millet, Tinto Brass,
Aldo Busi e, in generale, gli scrittori della scuderia
dell’editore Castelvecchi). Questo rinnovato amore degli
477
Post/teca
scrittori per i magistrati e per i poliziotti segna un
importante passaggio rispetto agli anni in cui si
firmavano i manifesti contro il commissario Calabresi.
Saviano è troppo giovane, e forse non ricorda. Ma sono
certo che avrebbe aderito alla raccolta di firme promossa
da Camilla Cederna contro il poliziotto che fu poi giustiziato dalle brigate rosse. Erano altri tempi. Ma chi
pensava che Calabresi fosse un assassino e che nelle
stanze della questura si minacciasse e si intimidisse, si
usassero metodi sbrigativi e violenti dovrebbe trovare
conferma ai suoi sospetti nella trascrizione delle
registrazioni dell’interrogatorio di Ruby in corso Buenos
Aires,molto prima che«papi » intervenisse per cercare di
aiutarla. È proprio Repubblica a renderla nota. L’aria non
è delle più respirabili. Il poliziotto si rivolge a Ruby: «Poi
ti spacco le gambe appena ti vedo per la strada». Proprio
così. Un poliziotto con un’extracomunitaria in questura.
La ragazza reagisce come può: «Vengo con te a fare
l’amore allora». Il poliziotto la respinge. Un quadretto
educativo. Serve allora la parola affettuosa e rassicurante
di una donna tutta d’un pezzo, il pubblico ministero
Annamaria Fiorillo. Alla minorenne marocchina fa
sapere: «Dica a questa ragazza... che non credo proprio
che resterà in Italia, tra poco è maggiorenne e se va avanti
così ci sarà l’ordine di espulsione... Salvo che la signorina
non accetti di inserirsi in un progetto educativo ». A Saviano piace che gli extracomunitari siano trattati
così.D’altra parte nessuno l’ha minacciata di buttarla dal478
Post/teca
la finestra.
Ma non credo che quandoil figlio della Boccassini fu
fermato dalla polizia dopo una rissa ad Ischia gli abbiano
detto: «Poi ti spacco le gambe appena ti vedo per la
strada».Basterebbe questo a spiegare l’intervento di
Berlusconi. Ma quella che per chiunque sarebbe stata una
telefonata di raccomandazione, con Berlusconi diventa
concussione e i poveri magistrati costretti a un duro e
contrastato lavoro di indagine. Non si può tacere di fronte
a una prova così difficile e non si può rifiutare la
solidarietà non alla marocchina maltrattata in questura
ma a tre eroici magistrati: «Alla Boccassini, a Forno e a
Sangermano, che stanno vivendo, credo, giornate
complicate solo per avere fatto il loro mestiere di
giustizia». Così parlò Saviano. Sono finiti i tempi del
commissario Calabresi. Adesso poliziotti e magistrati
devono essere esortati a terrorizzare gli extracomunitari e
a fare severissime inchieste contro chi si permette di aiutarli.
Ma Marina Berlusconi non ci sta e senza pensare ai propri
interessi di editore e al doveroso rispetto delle opinioni di
Saviano difende suo padre. Probabilmente non è entusiasta delle sue frequentazioni ma crede che una
telefonata per aiutare una ragazza in questura non sia un
delitto e ci fa sapere che Saviano, il suo autore così
richiesto, le fa orrore. Non parla da editrice, non bada ai
479
Post/teca
propri interessi; parla da figlia. Letteralmente vede che il
re è nudo. Ma non è suo padre; è la Boccassini. Con la sua
dichiarazione antepone la vita alla forma con un moto
dell’animo spontaneo e bellissimo. Non pensa alle
conseguenze. Subito arriva la solidarietà a chi aveva avuto
il coraggio di dare solidarietà agli eroici magistrati in lotta
contro il drago. «A questo punto non capisco proprio cosa
aspetti a cambiare editore, visto che al presidente della
sua casa editrice le cose che pensa fanno “letteralmente
orrore”... Quelle parole le considero un vero insulto»
dichiara Sandro Veronesi. Difficile separare il coraggioso
intellettuale dall’autore Mondadori, con l’aggravante dei
soldi, di imprecisata origine, che vengono dal nemico.
Dopo tali dichiarazioni, e per coerenza, Saviano non può
che andarsene, non mancando naturalmente di fare la
vittima. È stato insultato, no? In questo quadro così
complesso e in questa situazione così critica interviene
mia sorella, serena, tranquilla, come la vispa teresa,
rappresentando una posizione esattamente opposta a
quella di Marina Berlusconi. Marina non teme di rinunciare a Saviano per proclamare l’innocenza di suo
padre e la persecuzione patita, attraverso l’esagerata
incriminazione, da suo padre. Mia sorella ne prende atto
e distingue (ma solo formalmente perché sa che non può
essere così): «La reazione del presidente Marina
Berlusconi mi pare segnare una distanza personale netta
tra lei e l’uomo e intellettuale Saviano. Che non vuol dire
equivalga a una distanza “editoriale”. All’autore sta la
480
Post/teca
decisione, a questo punto, se fare della frattura
“personale” una frattura “editoriale”.Certo che a me
interessa lo scrittore Saviano. Il suo agente letterario lo sa
bene: se fosse possibile lo porterei alla Bompiani». Non
ha dubbi invece Veronesi che allarga lo scenario, per il
peccato originale della Mondadori di appartenere a
Berlusconi: «Tanti altri dovrebbero lasciare Segrate». E
cosa dovrebbero fare allora gli autori Bompiani all’arrivo
di Saviano? Certo arriva un santo,un uomo giusto,il
padreddio dell’antimafia. Ma qualcuno potrebbe avere dei
dubbi anche dopo i tanti anni di convivenza con Berlusconi e non volersi trovare sotto la stessa insegna
editoriale dello scrittore di Casal di Principe. Come Marina Berlusconi, e senza l’ingombro del padre, mia sorella
non si pone il problema di condividere il pensiero di
Saviano ma di portare a casaun autore molto venduto e
approdato ai supermercati e ai grill.
Non è un acquisto culturale o ideologico, è un acquisto
economico. Soprattutto a questo deve pensare un buon
editore e quindi io la rassicuro. Nonostante le mie diverse
posizioni non me ne andrò dalla Bompiani. Sopporterò la
convivenza e anche la prevalenza sul mercato editoriale di
Roberto Saviano.D’altraparte io come gli altri autori
Bompiani non ho sofferto la vicinanza di Mussolini (vero
o presunto) e, benché ne avverta le propensioni totalitarie
e la passione per il pensierounicopoliticamentecorretto,
non mi preoccuperò della vicinanza di Saviano (vero o
481
Post/teca
presunto).
fonte: http://www.ilgiornale.it/cultura/resto_mia_bompiani_anche_se_arriva_saviano/25-012011/articolo-id=501746-page=0-comments=1
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Che belli erano quei giorni in cui l'unico
delitto nella nostra cronaca nera era
l'omicidio che la nostalgia operava in noi.
fonte: http://coactusvolui.tumblr.com/
--------------“Ma sì, possiamo vivere assediati. E l’assedio di cui parlo è più sensibile, qui,
sulla carta, scritto. Ora, scrivere si potrebbe dire sia una vocazione, per
qualcuno un’ambizione o un’urgenza. In realtà scrivere non è nulla, non è
così necessario, non è una funzione vitale, non è nulla. E’ un rifiuto, e basta.
Scrivere è resistere ad un assedio. [..]”
— Pasquale Panella.
via: http://coactusvolui.tumblr.com/
--------------“Per le cose gentili che mi hai detto erroneamente nei lontani giorni, per gli
scherzi innocenti e fanciulleschi con cui tu rallegravi, chissà con che
recondito scopo, la nostra vita, per le musiche che tu cantavi con tanta
semplicità e abbandono, così da lasciare immaginare in te un’anima pura, per
il modo commovente con cui mi chiamavi, come se veramente la voce
provenisse dal cuore, per il cammino al sole, tra gli alberi, così spesso
compiuto al tuo fianco, per il braccio che mi chiedevi lungo la via come se tu
avessi paura di essere lasciata sola, […] per l’insistenza con cui la notte mi
482
Post/teca
chiamavi accanto a te proprio come se mi volessi bene, per le ore di gioia che
senza volerlo mi hai dato, per i mesi felici che senza saperlo ho passato con
te, per le ore, i mesi, gli anni che adesso mi sembrano felici, per tutto questo
pezzo ultimo di giovinezza che non ritornerà mai più, per l’amore tenero e
sincero giorno e notte speso per te come fosse dovuto durare eterno, per
questa favola che favola non è stata, però così bella che adesso per
scontarla mi occorre tanto dolore, no, no, Dio mio, che nessuno mi senta.”
— Dino Buzzati, Ringraziamento e addio (via inpuntadinote)
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27/1/2011 - ANALISI
Gli errori
americani
VITTORIO EMANUELE PARSI
C’è un dato, per noi inquietante, che accomuna fenomeni diversi tra loro come
la caduta di Ben Ali in Tunisia, le rivolte anti-Mubarak in Egitto, la crisi del
governo Hariri in Libano e le difficoltà di Habu Mazen dopo la divulgazione dei
«Palestinian files».
Questo dato comune non va ricercato nelle cause, ma nelle conseguenze di
questi eventi, ed è descrivibile come la repentina perdita di «egemonia»
americana sul Mediterraneo meridionale e orientale, che rischia di avvenire
attraverso la sostituzione di regimi e governi filo-occidentali con regimi e
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Post/teca
governi anti-occidentali. Se continua di questo passo, è possibile che in
pochissimo tempo gli Stati Uniti si ritrovino ad avere nella regione un pugno di
alleati, assai scomodi (sia pure per ragioni diversissime, come Israele o l'Arabia
Saudita) o praticamente irrilevanti o fragilissimi (i vari Emirati e la Giordania).
E tutto ciò fa aumentare le probabilità che, nel nuovo quadro strategico, un
conflitto arabo-israeliano diventi quasi inevitabile.
È l'Egitto che in questo momento desta maggiori preoccupazioni. Il regime di
Mubarak appare decisamente in affanno: dopo gli attentati anticristiani a
cavallo dell'inizio dell'anno, e le seguenti manifestazioni di protesta dei copti, la
tensione è nuovamente tornata a divampare, sull'onda dei successi conseguiti
dalla rivolta tunisina. Ancorché i Fratelli Musulmani abbiano dichiarato di non
essere alla guida della protesta, a Suez come ad Alessandria o al Cairo, la folla si
è scontrata con le forze di polizia al grido di «Allah akbar!». L'organizzazione
islamista, esclusa fraudolentemente dalle elezioni politiche di novembre,
sarebbe del resto la principale beneficiaria di un eventuale tracollo del regime.
Può darsi che, grazie al puntello determinante offerto dalle forze armate, Hosni
Mubarak riesca a restare in sella, ma è quasi impossibile che a succedergli sia il
figlio. La Casa Bianca, dal canto suo, ha un bel garantire «l'appoggio americano
a quanti manifestano pacificamente per la libertà in Tunisia e in Egitto». La
verità è che la caduta del regime significherebbe per l'America la perdita del più
importante alleato nel mondo arabo, con conseguenze drammatiche per l'intero
quadro mediorientale. Se i Fratelli Musulmani dovessero arrivare al potere al
Cairo, infatti, difficilmente continuerebbero a partecipare all'isolamento
internazionale di Hamas (che proprio ai «Fratelli» si richiama). La periclitante
posizione di Abu Mazen si farebbe sempre meno sostenibile e la stessa «pace
fredda» con Israele potrebbe essere rimessa in discussione.
Il nervosismo israeliano è poi acuito dall'assistere all'irresistibile ascesa al
potere in Libano dei propri «arcinemici» di Hezbollah. Con l'incarico di
formare un nuovo governo assegnato al filosiriano Najib Mikati (al posto del
filo-occidentale Saad Hariri), sembra chiudersi, almeno per ora, la stagione di
speranze inaugurata con la «Rivoluzione dei cedri» nel 2005. Da allora, il
Libano era tornato a essere molto vicino a Washington e a Parigi, nonostante il
breve ma devastante conflitto con Israele nel 2006 e la crescita di importanza
di Hezbollah nel panorama politico interno. Tutto questo potrebbe essere già
un ricordo. E le responsabilità americane nell'aver contribuito a «perdere il
Libano» non sembrano essere insignificanti. La posizione dogmatica degli Usa
484
Post/teca
sul Tribunale speciale per il Libano (incaricato di fare luce sull'omicidio di
Rafik Hariri) ha finito per condizionare i diversi governi libanesi che, per
continuare a ottenere l'aiuto americano, hanno dovuto mantenere una
posizione rigidamente pro-Tsl, nonostante il quadro politico interno lo
consentisse sempre meno e illudendosi che l'appoggio Usa sarebbe stato
determinante per tenerli in vita.
Mai calcolo è stato più sbagliato. Di fatto, il dogmatismo degli Usa ha concorso
a radicalizzare lo scontro politico interno, producendo così la situazione più
favorevole a Hezbollah. Ora gli Usa già minacciano di tagliare gli aiuti e la
collaborazione economica con Beirut, nel caso che l'esecutivo Mikati dovesse
essere varato e si appresterebbero a imporre sanzioni nei confronti del Libano
qualora il Tsl dovesse richiedere l'incriminazione di esponenti di Hezbollah e il
nuovo governo libanese dovesse opporvisi. Una politica suicida, che
semplicemente rafforzerebbe l'influenza di Siria e Iran sul Paese. Nel frattempo
tutti si chiedono quanto Israele potrebbe accettare una situazione del genere
senza essere tentato da una nuova, meglio preparata e più spietata, campagna
libanese. Uno scenario già di per sé inquietante, che diventerebbe
semplicemente un incubo, immaginando un Egitto senza Mubarak e una
Palestina senza Abu Mazen.
fonte: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?
ID_blog=25&ID_articolo=8339&ID_sezione=&sezione=
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“Ogni giorno, già da qualche tempo, faccio il riepilogo di come stanno i miei
amici, come fosse un bollettino di guerra. Alcuni di loro cercano
disperatamente un lavoro e trovano offerte come 1 mese di contratto non
rinnovabile.
Altri che sono senza lavoro e non trovano nemmeno quelle offerte.
Altri non superano il periodo di prova, senza tanti perché.
Altri a cui rinnovano il contratto, naturalmente precario, per due, tre mesi alla
volta.
Altri a cui non pagano lo stipendio da uno o più mesi (o il TFR da 9 mesi,
come nel mio caso).
Altri a cui viene detto che le fatture verranno pagate a 180 giorni, forse.
Altri, non avendolo mai fatto prima, che si vedono costretti ad andare
485
Post/teca
dall’avvocato.
Altri che si ammalano perché tutti i santi giorni si fanno il fegato marcio sul
lavoro.
Altri che la cui vita viene stravolta perché qualcuno, che non sa da che parte
è girato, decide per loro.
Altri che da un giorno all’altro di trovano per strada perché non ci sono i
margini.
Altri, infine, che hanno sempre pensato che la parola mobbing fosse
un’esagerazione, e adesso invece sanno benissimo cos’è. Tutte persone
preparate, in gamba, intelligenti, che hanno voglia di imparare, con
esperienza o meno. E’ ora di svegliarsi: tutto questo non è colpa della crisi.
Tutto questo non è cominciato oggi, e nemmeno ieri.
Tutto questo è colpa di chi ci gestisce, e non parlo di chi sta al governo:
intendo proprio chi siede non molto lontano da noi tutti i giorni. Quelli che non
sanno cosa voglia dire dialogare.
Quelli per cui la parola pianificazione sta a significare l’insieme delle
operazioni per realizzare un prodotto alimentare a base di farina.
Quelli che nell’arroganza ci sono caduti dentro da piccoli.
Quelli che, anche se hanno studiato per anni, hanno l’ignoranza radicata
nelle ossa.
Quelli per cui coordinare significa abbinare il colore dei vestiti.
Quelli che credono che fare un contratto* di lavoro con qualcuno voglia dire
concedere dall’alto della loro magnificenza del denaro, loro che sono così
generosi, in cambio di una schiavitù.
Quelli che hanno fatto del familismo amorale il loro stile di vita.
Quelli che, oltre ad essere stupidi, sono stronzi** e pure insicuri, in una
perfetta miscela esplosiva.
Quelli che lo so che li conoscete anche voi, e sapete benissimo di cosa sto
parlando. Quelli che, per quanto mi riguarda, è ora di finirla.
E non vi illudete: non se ne andranno da soli, non si rovineranno da soli, non
ve ne libererete facilmente.
E’ ora di finirla, ma soprattutto, è ora di svegliarsi. *le parole sono importanti.
perciò ricordarne il significato è sempre utile: “regolamento di interessi che
trae la sua forza vincolante dall’accordo di coloro che lo stipulano”
**per questo francese in questo caso non solo non chiederò scusa, ma
ritengo che sia assolutamente dovuto.”
486
Post/teca
— Terzo livello (via stefigno)
mi sa che frequentiamo gli stessi amici…
(via ufficioreclami)
via: http://tattoodoll.tumblr.com/
-------------------“
Dice Nicole: “No perché… devo parlare al mio avvocato. Io sono indagata,
per me la cosa è diversa.. Lui sarà anche il mio capo, ma io sono indagata e
lui altrettanto… È un pezzo di merda. Se vuole vedermi, mi chiama lui, ma se
vado ci vado con gli avvocati”. E più tardi, con maggiore violenza, spiega a
Clotilde Strada, la sua assistente: “Non me ne fotte un cazzo. Se lui è il
presidente del Consiglio o, cioè, è un vecchio e basta. A me non me ne frega
niente, non mi faccio prendere per il culo. Si sta comportando da pezzo di
merda pur di salvare il suo culo flaccido. Giusto che si faccia sentire lui se
non lo farà mi comporterò di conseguenza… quel briciolo di dignità che mi
rimane la voglio tenere… visto che lui non mi ha chiamato… gli faccio
prendere paura. Quando si cagherà addosso per Ruby chiamerà e si
ricorderà di noi.. adesso fa finta di non ricevere chiamate”.
È dunque in queste condizioni l’uomo che guida il Paese. Lo avevamo intuito,
ora non si possono più chiudere gli occhi dinanzi a quel vediamo: una
dissennata vita privata ha consegnato Silvio Berlusconi a gravissime
responsabilità penali, di cui risponderà a breve in un problematico giudizio
immediato, ma soprattutto al ricatto plurimo di decine di giovani donne.
Berlusconi è in una via senza uscita.
”
— Così Berlusconi pagava le donne E ad Arcore spunta un’altra
minorenne - Repubblica.it (via killingbambi)
via: http://curiositasmundi.tumblr.com/
-------------------My Top 5 Artists (Week Ending 2011-1-23)
487
Post/teca
● Three Days Grace (3)
● Yann Tiersen (3)
● The Smiths (3)
● Breaking Benjamin (2)
● Coldplay (1)
Imported from Last.fm Tumblr by JoeLaz
via: http://coactusvolui.tumblr.com/
----------------“Perché non mi hai amato? Ero la persona migliore che sono mai stato.”
— B. Caden - Le cose piangono (via pongo)
via: http://lalumacahatrecorna.tumblr.com/
----------------“Dostojevskij dice che con il passare degli anni tutti i nostri sogni si
realizzano, ma in una forma così snaturata da risultare irriconoscibili.”
— Dottor Korczak (Andrzej Wajda, 1990)
via: http://lalumacahatrecorna.tumblr.com/
----------------“La gente non legge. Se legge non capisce. Se capisce, non ricorda.”
— Stanislaw Lem
via: http://lalumacahatrecorna.tumblr.com/
-----------------“
È ora famelica, l’ora tua, matto.
Strappati il cuore.
Sa il suo sangue di sale
488
Post/teca
E sa d’agro, è dolciastro essendo sangue.
Lo fanno, tanti pianti,
Sempre più saporito, il tuo cuore.
Frutto di tanti pianti, quel tuo cuore,
Strappatelo, mangiatelo, saziati.
”
— Giuseppe Ungaretti (via henrietteloves)
--------------“È questa la vita che sognavo da bambino, un po’ di apocalisse, un po’ di
topolino”
— (via 1000eyes)
--------------“Avere un’ottima memoria è la miglior vendetta.”
— la versione di chamberlain (via avereoessere)
Ecco perchè io non sono vendicativa! uff
(via yoruichi)
-----------------“Inginocchiati per un foglio di carta, inginocchiati.
Intingi la penna negli occhi di tuo figlio e scrivi quello che ti ordina:
I connotati di colui che ti massacro’
Sulla soglia di casa con la penna.
Ammucchia i tuoi giorni davanti a te come carta,
non essere timido…
chiedi un fiammifero al tuo oppressore…
fabbrica col torbido miscuglio di cenere e fumo qualche foglio per il tuo libro.
Vorrei che i morti sapessero come stai fabbricando una corda di parole
Per appendervi il verso.
Mordi il cuore dell’amata come un lupo… e presentalo
Su un vassoio di carta gialla,
tagliale le trecce per bendare la ferita d’una iena nera,
mordile gli occhi come uno scorpione… non esitare.
489
Post/teca
Vieni come una rana e suona
La tua campana per la palude stagnante
Firma in fondo a questo foglio,
entra nella tua casa come un ladro,
stai attento, strada facendo, non cada la tua ombra su una fabbrica.
Mastica la tua ombra, ingoiala come s’ingoia uno straccio avvelenato.
Affrettati e bussa alla tua porta
Fino a che la tua mano vada a pezzi,
colei che ti amava non ti udra’.
Il suo braccio che fremeva in mano tua
Come una bandiera sventolante o una spada di diamante,
ora il tuo anello e’ simile a un anello di cenere, fumo e cardo…
Guarda se puoi immaginarti Farid* crocifisso sul mio cuore,
una lama di luce, un rosso caravan** cantare sommesso gola per ogni muro,
non cessera’ mai il canto,
non finiranno mai le faville del mio canto.
La matita ubriaca di veleno barcolla:
inutilmente la sorreggerebbe il carceriere, o
I tuoi versi.
I ricordi irrompono come onde di cardi sulle tue palpebre,
ti tengono sveglio fino al silenzio.
Tu continui a pestare a piedi nudi il pavimento della cella,
la notte sul tuo petto come una porta chiusa,
il carceriere giunse come un martello o un fossato.
Dove vorresti andare? A casa tua?
La tua casa e’ un pugnale alle spalle.
Da tuo figlio? Tuo figlio e’ su una croce di carta, gelato nel suo pigiamino.
Tu sarai trascinato nella strada,
cammina e inciampa, cammina e inciampa davanti al tuo oppressore.
Dove vorresti andare, quando il vento ti sparpaglia sulla carta.
Inginocchiati per la carta, inginocchiati.”
— Mueen Bsyso
Poesia scritta su carta di sigarette da un pringioniero
palestinese morto in carcere nel 1961
(via kindlerya)
490
Post/teca
via: http://curiositasmundi.tumblr.com/
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Cairo: una cronaca da chi non c'era.
di lia
Io, il poco che ho da raccontare è questo.
Che nei giorni scorsi, per esempio, tra la gente del Cairo che seguo su
FaceBook circolavano battute del tipo: “Ci vediamo martedì?” “No, martedì
ho una rivoluzione da fare, meglio mercoledì.”
Che l’attesa era tanta, certo, ma pure la paura di un flop. Perché un conto è
la gente di internet, i blogger attivisti, Latuff che ti fa le vignette, e altro è la
gente vera e propria, il popolo egiziano. In un paese dove fare una
manifestazione simile richiede un grosso coraggio, e dove le coscienze
ascoltano i Fratelli Musulmani, non i blog. Ecco, i Fratelli Musulmani: che
prima mettono il cappello su ogni possibile effetto-Tunisia dichiarando che la
rivoluzione è ormai inevitabile, in Egitto, e poi fanno un passo indietro e
dichiarano che, no, loro alla manifestazione del 25 gennaio non ci saranno. E
l’amica che mi fa: “Guarda, piuttosto che vedere l’Egitto in mano a loro, vado
da Mubarak e gliele faccio io personalmente, le punture per tenerlo in vita“, e
pure quello è un sentimento diffuso. Tra la gente di internet, ma internet – si
sa – non è il paese reale, in nessun paese.
E, insomma, è arrivato questo 25 gennaio che non si capiva bene cosa
sarebbe stato ma che bastava per tenerci tutti a fare reload sulle pagine che
davano notizie, fin dal mattino. O dalla sera prima, se eri al Cairo e volevi
andare in piazza, ché l’orario dei concentramenti è stato pubblicato su
FaceBook solo alle 5 del mattino e un mucchio di gente è arrivata troppo
presto o troppo tardi e, per un po’, i manifestanti si sono cercati a vicenda in
giro per Mohandessin e quando poi si è cominciato a dire che c’erano 10.000
persone in piazza già sembrava un successo storico, ed era solo il primo
pomeriggio.
Julia che scrive di un tentato assalto al commissariato di Dokki, vicino al
Cervantes. I prof che si mettono d’accordo per raggiungere la manifestazione
491
Post/teca
dopo il lavoro. Io che mi attacco a Twitter. E, su Twitter, c’èZeinobia, c’è
Waelabbas, c’è 3arabawy e poi segui i diversi hashtag e passi il resto della
giornata, della serata, della notte a seguire quello che succede, a
entusiasmarti prima e a struggerti poi, con mille schede aperte sul tuo monitor
e le immagini di piazza Tahrir che ti arrivano da Ustream.
I primi messaggi che si lamentano del malfunzionamento di Twitter, le ipotesi
caute all’inizio (“Saranno sovraccariche le linee?”) e poi via via più incazzate
quando la Vodafone fa un comunicato per dire che il problema è esterno, che
loro non hanno toccato niente. Qualcuno scrive: “Un governo che ha paura di
Twitter e di FaceBook dovrebbe governare a Farmville, non in Egitto.” E parte
la controffensiva contro la censura, gli indirizzi dei proxy a cui attaccarsi, gli
appelli alla popolazione affinché tolga le password dalle wifi casalinghe per
permettere alla gente di collegarsi dalle strade. E si va avanti, la
comunicazione procede un po’ a singhiozzo ma c’è. I posti di blocco lungo le
strade che portano alla piazza, SandMonkey che posta la foto di lui che ci
arriva in barca, a Tahrir: “Quando le strade sono bloccate, c’è sempre il Nilo!”
Si disegna la mappa della manifestazione, un messaggio dopo l’altro: gli
scontri ad Alessandria e a Suez, la partecipazione a Mahalla, i punti del
Cairo dove la polizia non riesce più a trattenere i manifestanti, gli
appuntamenti davanti ai diversi palazzi istituzionali, gli appelli ai quartieri da
dove non arrivano notizie: “Ehi, gente di Heliopolis, perché non vi date da
fare un po’ anche voi?“. E poi qualcuno comincia a parlare di poliziotti che
mollano il manganello e si uniscono alla manifestazione, altri che raccontano
di ufficiali che gridano che loro devono fare il loro lavoro ma che, se
potessero, si unirebbero ai manifestanti. So che gira il video di un poliziotto
portato a spalle dalla folla ma non lo cerco. Entusiasmarsi non porta fortuna.
Intanto, attorno a piazza Tahrir non funzionano più neanche i cellulari.
Verso le 5 del pomeriggio si diffonde la notizia della partenza per Londra del
figlio di Mubarak, Gamal. Parrebbe una bufala, lì per lì. Poi invece si scopre
che ci è andato davvero, a Londra. Dio sa perché. Di certo non ci fa una bella
figura. E intanto la folla conquista piazza Tahrir, la riempie, ne prende
possesso e si prepara a non muoversi più di lì. I ristoranti distribuiscono cibo
gratis alla folla, partono le collette per comprare coperte per quelli che ci
dormiranno. Il web si riempie di foto, di video. A Suez viene dichiarato il
coprifuoco, io ho i capelli dritti in testa e incrocio le dita e prego perché il cielo
492
Post/teca
protegga l’Egitto, Julia va a piazza Tahrir e ci sentiamo via Viber e mi dice che
lo spettacolo è inimmaginabile, che è pieno di gente qualunque che continua
a unirsi alla folla e che – e non si può non notare – non si sentono slogan
religiosi, è proprio un’altra cosa; in rete si moltiplicano gli appelli a togliere le
password dalle wifi domestiche e Zeinobia racconta che, dalle finestre, ci
sono vecchiette che lanciano bicchieri e padelle contro la polizia. Qualcuno
scrive: “La buona notizia è che Mubarak non può dichiarare lo stato di
emergenza: c’è già da 30 anni.”
AlJazeera, intanto, copre a stento gli eventi. La gente si chiede cosa diamine
stia facendo, dove si sia cacciata. E’ un’assenza inspiegabile, resa ancora più
stridente dal lavoro enorme e puntualissimo che, intanto, fa la CNN. Leggo su
Twitter: “Non capisco: in Egitto accade un evento di questa portata storica e
su AlJazeera va in onda un servizio sull’obesità infantile?”
E, intanto, le dichiarazioni della Clinton. E, da quel momento, diventa
evidente che la folla che occupa le strade è sola, che il democratico
Occidente spera solo che sbaracchi al più presto e che nessuno muoverà un
dito per difenderla, quando la polizia la attaccherà. Quindi, diventa evidente
che la polizia attaccherà. In Italia, basta aprire Repubblica per vedere la
pensosa disapprovazione dell’analista di turno preoccupato per la stabilità
dell’Egitto.
Visto da piazza Tahrir, l’Occidente non è solo lontano: è anche
insopportabilmente ipocrita. Qualcuno ride: “Ah, la Clinton dice che il governo
è stabile? E cosa sarebbe successo, oggi, se non lo fosse stato?” Qualcun
altro scrive: “Oggi in Egitto sta passando la Storia. Ed è davvero triste che
l’America abbia scelto di rimanere dalla parte sbagliata.”
E poi, di colpo, la polizia attacca e scoppia l’inferno. Mi arriva un sms da
Julia: “Sono a Tahrir e sta scoppiando un casino“. Twitter parla di lacrimogeni,
idranti, botte, proiettili di gomma, c’è una macchina in fiamme, i messaggi si
accavallano e il caos è totale. “Uno speciale ringraziamento agli USA che,
oltre a spalleggiare un regime corrotto, gli forniscono anche i gas lacrimogeni
che ci stanno arrivando addosso. Che possiate bruciare all’inferno.”
Julia non risponde ai miei sms, si comincia a parlare di arresti in massa,
qualcuno parla di morti. Io scrivo: “Finisce male. E gli egiziani non avranno
l’appoggio né degli USA né dell’Europa. Gli unici che avranno dalla loro parte
saranno gli islamisti. L’opposizione si islamizzerà di più, i giovani saranno
ancora più disperati, il governo approfitterà di qualche dinamitardo per fare
493
Post/teca
un nuovo giro di migliaia di desaparecidos. L’Occidente tirerà un sospiro di
sollievo”
Intanto, però, arrestano il figlio di Ayman Nour. Forse i liberali fanno più paura
degli islamici barbuti, all’Occidente.
La piazza diventa un deserto, l’attenzione si sposta verso gli ospedali e le
caserme.
Io riesco finalmente ad avere notizie di Julia: “A Tahrir c’era un’atmosfera
bellissima. Gente di tutte le età e di tutte le classi sociali. Donne. Alcuni bebè
con i genitori. Hanno fatto collette e distribuivano cibo, acqua, coperte e
giornali. Gente che cantava, gente che riposava. A mezzanotte e 40 la polizia
ha iniziato a lanciare lacrimogeni e getti d’acqua sulla folla. Anche pietre.
Alcuni poliziotti aiutavano la gente. Sono a casa.”
fonte: http://www.ilcircolo.net/lia/2902.php
------------------
"Ogni anno la comunità internazionale il 27
gennaio, nella “giornata della memoria”, si
unisce per ricordare l’olocausto ebraico, la
shoah e dimentica lo sterminio dei sinti, rom
e kalè, quelli che sono chiamati zingari. Si
dimenticano gli omosessuali, i disabili e i
politici. La shoha e il porrajmos sono
l’olocausto di due popolazioni, la
decimazione di intere popolazioni
considerate da un lato impure e dall’altro
asociali, criminali e pericolose. Quest’anno la
494
Post/teca
“giornata della memoria” è dedicata alle
donne che hanno visto le loro vite andare in
frantumi, private dei figli e della possibilità –
per le sopravvissute, nel caso dei sinti, rom e
kalè - di averne, private dei loro uomini.
Porrajmos significa divoramento. Sono più di
500.000 le vittime sinti, rom e kalè. Intere
famiglie decimate dal fascismo e dal nazismo
tra il 1940 e il 1945.
Già dal 1933, in Germania, grazie alle
ricerche eugenetiche di Robert Ritter tutte le
donne sinti, rom e kalè furono sottoposte a
sterilizzazione. Dal 1934 al 1935 furono
costruiti i primi campi di concentramento
comunali, dove queste comunità erano
costrette ad abbandonare i loro carri e
andare a risiedere nelle baracche, le donne
erano impiegate nei lavori del campo e gli
uomini in quelli edili. Nel caso di famiglie
miste, i maggioritari non potevano entrare
495
Post/teca
nel campo e talvolta avvicinarsi al filo spinato
per salutare i propri cari. II vero porrajmos
inizia però con il 1940 e nel 1942 Heinrich
Himmler diede l’ordine di deportare tutti gli
zingari tedeschi e dei territori occupati nel
campo di Auschwitz-Birkenau.
Qui i prigionieri erano destinati alle camere a
gas, anche se in alcuni casi erano
immagazzinati nelle baracche dove nessuno
si occupava di loro e morivano di stenti e
fame. I bambini gemelli deg1i “zingari puri”
furono usati per esperimenti scientifici da
parte del dottor morte Mengele. Alla fine,
prima che arrivassero gli alleati, gli abitanti
del Zigeunerlager furono passati per le
camere a gas.
L’11 settembre del 1940, in Italia, con le
circolari del Capo di Polizia Bocchini, furono
emanate le prime disposizioni per
496
Post/teca
l’internamento dei rom e sinti italiani. I sinti
e rom stranieri erano già stati rastrellati e
deportati oltre confine, gli italiani,
soprattutto quelli considerati nullafacenti,
erano inviati al confino in Sardegna nel
campo di Perdasdefogu (OG), una zona
impervia, dove non vi era la possibilità né di
sfamarsi, né di racimolare qualche soldo per
sopravvivere. Dopo le circolari del 1940, ne
furono aperti altri in ogni regione e
provincia, talvolta campi misti come quello di
Chiesanuova nel Padovano di Villaio Vecchio.
I più noti erano, appunto, quello di
Perdasdefogu in Sardegna, quello di Gomars
(UD), di Arbe (oggi isola croata di Rab) e
Visco a 3 chilometri da Palmanova.
Ad Arbe come in Sardegna molte famiglie
sinti e rom moriranno di stenti e freddo.
L’isola di Arbea era brulla ed esposta alla
bora, qui i sinti e i rom erano ammassati in
tendopo1i precarie e senza la possibilità di
497
Post/teca
coprirsi, con pasti radi. A Gomars più di 500
sinti e rom moriranno di fame. Nei campi di
concentramento italiani, come in quelli di
sterminio tedeschi, nessuno si occupava di
queste popolazioni e erano lasciate in mezzo
a topi, escrementi e in condizioni precarie."
— “Porrajmos”, l’olocausto dimenticato di sinti, rom e kalè. Sono più di
500mila Ie vittime annientate tra il ‘40 e il ‘45 (viadottorcarlo)
-------------------20110128
LA LETTERA DI OPERAIE DI MIRAFIORI ALLA SEGRETARIA GENERALE
DELLA CGIL SUSANNA CAMUSSO
«Siamo lavoratori liberi, non merci Lottiamo insieme»
di 27 delegati e esperti Fiom-Cgil
Cara Susanna,
Siamo le delegate e i delegati della Fiom-Cgil delle carrozzerie di Mirafiori. In
questi giorni si parla molto del nostro stabilimento, del suo futuro, di come
garantire un investimento da un miliardo di euro, e si dà per scontato che le
lavoratrici e i lavoratori non possano far altro che accettare l’ultimatum che la
Fiat ha già imposto ai sindacati che hanno firmato l’intesa. Parliamo di
ultimatum perché la trattativa non si è mai avviata, e la Fiat non hamai
modificato la sua impostazione fino al testo conclusivo nonostante le proposte
alternative che noi, il nostro sindacato, ma anche le altre sigle hanno
formulato. Nulla di rilevante è stato recepito. Noi che siamo operaie e operai
di quella fabbrica pensiamo invece chenonpossiamo cedere a quell’ultimatum,
498
Post/teca
che dobbiamo in tutti i modi provare a riaprire la trattativa perche con
l’organizzazione del lavoro che ci propongono si peggiora la nostra condizione
e si aumentano i rischi per la salute, impedendoai lavoratori di difendersi,
limitando il diritto allo sciopero, e trasformando il ruolo e la natura del
sindacato di fabbrica chenonsarà più determinato dalle lavoratrici e dai
lavoratori.
E tutto ciò fuori dal contratto nazionale di lavoro, lasciando ogni lavoratore da
solo di fronte all’impresa e costringendolo a mettere il proprio tempo, anche
quello dedicato agli affetti e al tempo libero, a disposizione del mercato e della
competizione una volta per tutte, senza più contrattazione. Una
trasformazione dell’umanità che lavora in merce. Manoi siamo donne e
uomini liberi, cittadine e cittadini, non merci! Noi pensiamo che
quell’accordo, firmato a fabbrica chiusa e senza rispettare la richiesta dei
lavoratori di essere consultati prima di una firma sindacale, vada rigettato e
che la consultazione voluta dalla Fiat con la minaccia della chiusura di
Mirafiori sia una consultazione non libera, a cui noi lavoratrici e lavoratori
della Cgil non ci sottraiamo, perché innanzitutto su di noi ricadono le
conseguenze di quell’intesa e perché la consultazione non può essere
svalutata, anche quandoviene brandita contro le lavoratrici e i lavoratori,
visto anche come oggi si svaluta nella nostra fabbrica lo strumento
dell’assemblea, che viene considerata dagli altri sindacati un luogo inutile, di
confusione da non convocare neanche per illustrare l’intesa.
Ed è per tutto ciò che abbiamo decisocon il nostro sindacato, la Fiom-Cgil, di
non firmare ed è sempre per questi motivi che chiediamo al nostro sindacato
di tenere aperta la vertenza con la Fiat comunque vada la consultazione di
Marchionne: a noi non servono escamotage tecnici. Perché secondo noi le
lavoratrici e i lavoratori da Pomigliano a Mirafiori, sia quelli che hanno
potutoo potranno dire dino sia quelli che non hanno potuto o non potranno
farlo, hannodiritto al sostegno di tutto il nostro sindacato e alla prosecuzione
di una vertenza che riaffermi pienamente i principi e i valori della
Costituzione repubblicana e riconquisti per tutti il contratto nazionale, il
diritto a scegliersi i propri delegati e il proprio sindacato e a migliorare la
propria condizione di vita e di lavoro nella solidarietà confederale. Non è
accettabile che l’unico modo per mantenere o attrarre il lavoro in Italia sia
499
Post/teca
pagato esclusivamente dal lavoro, che già sopporta tutti i costi della
crisi,masoprattutto non è credibile perché il costo del lavoro per unità di
prodotto vale in Fiat auto circa l’8%.
Come è possibile che non intervenendo su tutti gli altri fattori economici e
strutturali, anche del Paese (qualità, logistica, infrastrutture, tecnologie e
innovazione), comeha ricordato anche il presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano, si ottengano i risultati auspicati? I temi posti oggi a noi sono temi
che riguardano tutto il mondo del lavoro e la società perché sono in
discussione il valore del lavoro, gli spazi democratici e di coesione sociale, le
libertà individuali e collettive, e il futuro oltre la crisi che noi vogliamo
immaginare migliore per noi e per quei nostri figli, che in questi mesi hanno
riempito le piazze e rianimato la democrazia italiana chiedendo futuro,
libertà, cittadinanza e democrazia dalla scuola al lavoro. Ci piacerebbe nei
prossimi giorni incontrarti per dirti che noi vogliamo sentire tutta la Cgil
vicina in questo scontro, che noi non abbiamo né voluto né cercato. Noi
stiamo facendo la nostra parte per noi, le nostre famiglie, le nostre lavoratrici
e i nostri lavoratori: facciamolo insieme. Un abbraccio fraterno.
fonte: http://www.emigrazione-notizie.org/news.asp?id=8455
-----------------Il cattivo critico critica il poeta,
non la poesia.
> Ezra Pound
mailinglist Buongiorno.it
-------------------
"Se tutti i manager scarsi rifiutassero la
liquidazione con cui vengono accompagnati
alla porta dalle aziende che hanno impoverito
con le loro scelte sciagurate. Se gli assunti
500
Post/teca
demotivati, raccomandati e sopravvalutati
(tre caratteristiche talora riscontrabili nella
stessa persona) presentassero le dimissioni
con queste parole: «Troverei giusto che la
mia retribuzione andasse a quel precario che
sgobba il triplo di me». Se insomma ogni
uomo, in ogni circostanza della vita, si
guardasse allo specchio con obiettività e ne
traesse le conseguenze naturali, anziché
sentirsi sempre un fenomeno incompreso e la
vittima di qualche complotto, è evidente che
il mondo cesserebbe di essere la simpatica
schifezza che è. E, finalmente perfetto, si
dissolverebbe nello spazio esibendo il
cartello: missione compiuta."
— Non ce lo meritiamo - LASTAMPA.it (via xlthlx)
(via xlthlx)
----------------
Un primo report, rozzo e
scritto con addosso la
501
Post/teca
stanchezza…
uomoinpolvere:
“Un primo report, rozzo e scritto con addosso la stanchezza. E’ stata una
giornata lunghissima, iniziata la mattina presto con il corteo FIOM a Bologna,
e proseguita con un’incursione in Veneto che ha scaldato i cuori. Mi è venuta
in mente questa crasi: SPERANZIOL Cioè: il primo round di questo incontro
è iniziato male con Speranzon, ma è finito bene con Preganziol. In via
Gramsci, di fronte alla biblioteca di Preganziol, c’erano oltre duecento
persone. C’erano tutte le testate giornalistiche di quel territorio. C’era un
troupe di documentaristi venuti apposta da Torino (!). C’era gente da Treviso,
da Mogliano Veneto, da Mestre… C’era “Libera”. C’era Radio Sherwood. C’era
una delegazione del movimento universitario di Padova. C’erano studenti
medi. C’erano esponenti dell’ANPI. C’era la corrispondente del Pais. E il
presidio era stato indetto da una sola persona! Un cittadino. Un lettore. Poi
c’eravamo noi. Io, Stefano Tassinari, Serge Quadruppani, Lello Voce e Alberto
Sebastiani. Avevamo il volantino, e non c’è stato nemmeno bisogno di
distribuirlo: veniva la gente a chiedercelo. Alcuni ce l’hanno quasi strappato
dalle mani! C’era voglia di sapere, di informarsi. C’era un banchetto per una
raccolta firme contro la Donazzan. Dopo un loro intervento introduttivo,
quelle persone ci hanno dato la parola. . Io ho dato la news che la Donazzan
non avrebbe più inviato la sua lettera, ho spiegato che la signora ha provato a
ciurlare nel manico, ha detto che comunque le basta aver sensibilizzato etc.
etc. “Tutta fuffa,” ho detto, “la sostanza è che aveva annunciato che avrebbe
spedito una lettera, e adesso non la spedisce più”. Ho precisato però che non
bisogna abbassare la guardia, che c’è una mozione presentata al consiglio
comunale di Venezia… Ho detto che ci riproveranno. Poi ho annunciato la mia
lettura: “Io non sono Nanni Balestrini, ma leggerò due pagine da un libro di
Nanni Balestrini, un capolavoro di impegno civile, uno dei capisaldi della
letteratura italiana contemporanea. Si intitola Gli invisibili, il suo autore è
sulla lista nera, se passassero certe proposte questo libro sparirebbe dagli
scaffali del Veneto. Questo brano parla di autolesionismo in carcere”. Finita la
lettura (un brano durissimo, splatter), mi hanno applaudito con convinzione. .
Poi è intervenuto Stefano Tassinari. Il suo è stato un discorso lungo,
articolato. Ha spiegato le ragioni che ci spinsero a firmare l’appello del 2004,
ha parlato della “dottrina Mitterrand”, della necessità di una soluzione
502
Post/teca
politica alla ferita degli anni ‘70 etc. ma ha parlato di tutto questo
mantenendolo nella cornice della lotta alla censura. Ha detto: “Anche
avessimo torto marcio, la nostra è un’opinione, e ogni opinione ha diritto di
essere espressa senza che chi la esprime finisca su una lista nera”. Un
intervento bellissimo. Poi Stefano ha letto alcune pagine dal suo romanzo sul
G8, I segni sulla pelle. L’applauso è stato ancora più convinto. . Poi è
intervenuto Serge. Ha detto: “Dal mio accento potete capire che non sono
italiano. Sono uno scrittore francese, e ho l’onore di essere sulla lista nera
insieme ai miei colleghi italiani. Non solo: sono anche il loro editore. Sono
direttore di una collana che pubblica molti libri italiani, e quasi tutti i nostri
titoli sono di autori sulla lista nera”. Applauso. . Lello ha fatto un intervento,
duro e diretto, contro le bassezze della stampa locale, ha analizzato titoli
subdoli e criminalizzanti, poi ha letto una sua poesia, molto potente. Mi è
rimasto impresso un verso: “Chi paga rompe, e i cocci sono nostri”. . Poi si
sono susseguiti interventi di “Libera”, degli studenti, e di un signore anziano,
uno dell’ANPI, che ha fatto un discorso bellissimo, partendo da come sono la
vita e la politica in quelle zone. Ha indicato noi e ha gridato: “Questi scrittori
sono nostri compagni, e noi li dobbiamo difendere!”. Ha concluso dicendo:
“Era un motto della guerra partigiana e lo voglio ripetere: se devo cadere,
voglio cadere con le dita negli occhi dell’avversario!” C’è stata un’ovazione. .
Siamo stati intervistati da diversi media. Stefano è stato intervistato da Italia
7 Gold, canale televisivo del nord-est. La prima domanda, demenziale, è stata:
“Cosa c’entra Saviano con Battisti?”, e Stefano: “No, un momento, ripartiamo
daccapo”. Da quel che ho capito (io stavo parlando con la tizia del Pais), ha
ribadito le cose che aveva detto nell’intervento, comprese le motivazioni
dell’appello per Battisti, ma sempre “in subordine”, nella cornice della lotta
alla censura. . Molti sono venuti a ringraziarci per la nostra presenza, avevano
gli occhi che brillavano, tutti dicevano: “Per un posto come questo, è una cosa
senza precedenti”. . Un bilancio della giornata: - a Preganziol abbiamo
condiviso un momento importante con una fetta minoritaria ma importante e
battagliera della società civile locale; - Lucia, la bibliotecaria di Speranziol,
non c’era perché non poteva esserci (e non approfondisco), ma ha comunque
sentito intorno a sé il calore di una comunità, ha avuto la conferma che non è
sola; - Il Gazzettino è stato costretto a rettificare le porcherie scritte ieri su
Lucia; - la Donazzan non spedisce più la lettera; - Speranzon presenta in
municipio una mozione molto annacquata rispetto ai focosi propositi di dieci
503
Post/teca
giorni fa; . Questi sono risultati tangibili, risultati parziali ma importanti di
una mobilitazione a cui abbiamo contribuito tutti. . C’è una nota stonata: la
Donazzan ha querelato il quotidiano “Terra” per un articolo sul #rogodilibri; è
possibile che nei prossimi giorni arrivino altre querele, anche a qualcuno di
noi. E’ comunque una ripicca, un gesto di stizza. Conferma che la pressione
l’hanno sentita, l’orgoglio è ferito. LA LOTTA PAGA. E FORSE STAVOLTA I
COCCI SARANNO LORO.”
—
Wu Ming 1, primo report su Preganziol (via Lipperatura)
(via emmanuelnegro)
--------------------
"La gente ti fa a pezzi. Se non ci stai attenta,
ti macinano. L’unica cosa che gli sta a cuore è
di tirarti giù al loro livello e coprirti di fango."
—
Stephen King (via frarfy)
Tirarti giù al loro livello.
(via rispostesenzadomanda)
(via marikabortolami)
----------------somethingbeautifool:
imlmfm:
Siamo Giovani! E’ normale bere troppo! E’ normale avere dei
caratteracci e scopare come dei matti! Siam progettati per
divertirci, ecco è la verità! Ok, alcuni di noi andranno in overdose
o impazziranno. Ma Charles Darwin ha detto: “Non si puo’ fare
una frittata senza rompere qualche uovo!” Ed e’ esattamente di
questo che si tratta: rompere delle uova! E con uova intendo farsi
come delle zucchine con un cocktail di droghe pesanti. Se solo
504
Post/teca
poteste vedervi! Mi spezza il cuore….indossate cardigan. Avevamo
tutto. Abbiamo mandato tutto a puttane di piu’ e meglio di
qualsiasi generazione che ci abbia preceduti…ed eravamo cosi’
belli! Siamo dei cazzoni! Io sono un cazzone. E ho in programma di
essere un cazzone fino alla fine dei miei vent’anni, forse fino
all’inizio dei miei trenta. Mi tromberei mia madre, prima di
lasciare che lei, o chiunque altro, mi porti via tutto questo! Nathan, Misfits
Questo momento è uno dei più belli di tutta la serie.
(via killingbambi)
----------------
L'EGITTO SPEGNE
INTERNET A causa di un
video choc. - Crisis
emmanuelnegro:
uomoinpolvere:
crisis:
“E’ notizia di pochi minuti fa: l’Egitto è il primo Paese al mondo a
chiudere interamente la Rete Internet a causa di problemi d’ordine
pubblico. Un precedente che farà molto discutere.
Il motivo? Sembra che lo switch-off sia avvenuto pochi minuti dopo l’uscita in
rete di questo video, rilanciato ora da Associated Press. Un video
assolutamente scioccante in cui si vede un manifestante che cade
fulminato da un proiettile delle forze dell’ordine. Lo scopo dello
switch-off è evidentemente impedire che gli egiziani possano vedere le
immagini, e dare nuovo spunto alla rivolta.
Sembra che sia impossibile anche comunicare via SMS.”
Mi sembra alquanto improbabile che sia tutto a causa di un solo video, i video
sono migliaia… Oggi è attesa la manifestazione più grande e internet è stato
505
Post/teca
chiuso perché è un’arma in mano ai manifestanti.
Sicuramente non è un solo video la ragione, è come dici tu: stanno tentando
di isolare e zittire, sia all’interno che verso l’esterno. Qui da noi (credo un po’
in tutti il mondo) il video in questione è passato in tutti i telegiornali e siti di
notizie, ed è, francamente, uno di quei pugni nello stomaco in grado di far
bollire il sangue anche a tanta gente “pacifica”.
via: http://curiositasmundi.tumblr.com/page/2
----------------------
Al termine della cerimonia, tutti i nuovi
ministri e i loro familiari e amici sono stati
trasportati in elicottero nel President’s Ranch
di Casalpalocco, alle porte di Roma, la tenuta
di settemila ettari in cui vive Silvio
Berlusconi da quando ha lasciato il Quirinale.
Qui sono iniziati i festeggiamenti, con fuochi
d’artificio che il padre della premier ha
voluto fossero visibili da tutta la capitale.
Per l’occasione è stato sospeso il traffico
aereo su Fiumicino.
Al ricevimento erano presenti anche il
presidente del Senato Angelino Alfano e il
presidente della Camera Maria Stella
506
Post/teca
Gelmini, oltre al direttore del Tg1 Daniele
Capezzone e al presidente della Rai Bruno
Vespa.
"
— Meglio fare qualcosa adesso » Piovono rane - Blog - L’espresso (via
sbarrax)
(via bisax)
--------------------
"E i chimici proposero un modo per
trasformare il grasso dei cadaveri in sapone
per i soldati tedeschi facendo cuocere per tre
ore cinque chili di grasso in dieci litri d’acqua
e aggiungendo un chilo di soda e un po’ di
sale finché non si fosse formata una crosta e
facendo poi raffreddare la mistura una prima
volta e facendola bollire ancora e prima che
si raffreddasse di nuovo aggiungendo una
soluzione speciale che avrebbe eliminato i
cattivi odori. E un soldato tedesco di stanza a
Danzica impazzì perché prima della guerra
aveva avuto un’amante che ignorava fosse
ebrea e che in seguito era stata deportata ad
507
Post/teca
Auschwitz e i suoi compagni gli dissero per
scherzo che il sapone con cui si lavava da una
settimana proveniva dalla sua amante e che
l’avevano saputo dal direttore dell’obitorio di
Danzica dove venivano trasportati i cadaveri
per trasformarli in sapone. E il soldato
impazzì e bisognò trasferirlo in un
manicomio in Germania."
—
(Patrik Ourednik, Europeana, breve storia del XX secolo,
:duepunti edizioni, 2008)
io volere questo libro.
(via viaelle)
(Fonte: manyinwonderland, via batchiara)
----------------------
"Forse non farò cose importanti, ma la storia
è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani
morirò, magari prima di quel tedesco, ma
tutte le cose che farò prima di morire e la mia
morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti
i pensieri che sto facendo adesso influiscono
sulla mia storia di domani, sulla storia di
domani del genere umano."
508
Post/teca
—
- Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, 1947
(via imlmfm)
--------------------
"Norvegia. Il paese delle fiabe e delle
leggende. Si dice che in queste terre, per
tenere buoni i draghi, gli offrissero delle
giovani vergini. Ma nessuno crede più che
certe creature esistano. Nemmeno i draghi."
— Rat-Man (via n0l4n)
--------------------
Il misterioso pianoforte nella baia
Su una lingua di terra nella baia di Biscayne, vicino a Miami, in Florida, una mattina di qualche
giorno fa è comparso questo pianoforte a coda. Non si sa bene come. Su internet si è scatenata la
ridda delle ipotesi: congetture su come e da dove il piano sia arrivato.
Qualcuno ha ipotizzato che si tratti della scenografia di un video, ma per ora il set è deserto.
qualcuno lo interpreta come un segno del cielo, magari che allude alla morte dell'arte, ma per ora
non ci sono certezze e il pianoforte resta per il momento dove si trova.
Un videomaker indipendente Billy Yeager ha rivendicato la paternità dell'idea, lui, autore di un film
dal titolo Jesus of Malibù, ha disseminato in 5 angoli del mondo altrettanti pianoforti, ma nessuno
in Florida. Per ora l'eventuale denuncia di plagio resterebbe contro ignoti.
fonte: http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=149537
--------------------coqbaroque:
509
Post/teca
viaelle:
Sì, ce l’ho con te. Tu con la twingo verdepisello, che stamattina ti sei
fermato al semaforo, ti sei fatto pulire il vetro, e al tendere della mano hai
aperto lo sportello e ci hai sputato sopra. Sei un pezzo di merda, e te lo
dico qui perché mi sono affacciata dall’auto e te l’ho gridato, ma non mi
hai sentito. E poi non sono riuscita a starti dietro, nel traffico.
Te lo ripeto, sei un pezzodimmerda, ma dubito che tu possa leggerlo e che
abbia un tumblr.
brava gente
via: http://tattoodoll.tumblr.com/
-------------------11ruesimoncrubellier:
“Schermaglie d’ amore si chiamavano con linguaggio antico i giochi e le
provocazioni che state mettendo in scena voi due. In modo un po’
selvatico e infantile vi state corteggiando, con sanguinose e interminabili
prese in giro che sostituiscono fiori e parole dolci. Beati voi, fortunati, ma
anche istintivamente sapienti per non esservi precipitati a letto subito la
prima sera, che’ adesso probabilmente non vi raccontereste piu’ con gli
occhi cose cosi’ diverse da quelle che vi dite a voce. Del tuo amico non
so, cara Giulia, ma tu mi sembri innamorata anche se lui e’ troppo ricco,
un po’ ignorante, un po’ permaloso e sommamente infedele. Non ci si
innamora soltanto dei buoni, intelligenti, generosi e colti. Stai tremando di
paura: di perderlo, di sbagliare mossa, di farti male. Rilassati, respira
fondo e smetti di girare intorno alla torta chiedendoti: la mangio o non la
mangio? Vedrai che ti torneranno le forze per fare solo quello che decidi
tu.”
— si chiamavano schermaglie d’ amore. guardi, a me i codini avevan
smesso di tirarli molto tempo fa, non m’aspettavo d’esser vittima di dispetti
a 40 anni suonati.
via: http://plettrude.tumblr.com/
510
Post/teca
---------------------“La prima mossa per corteggiare una donna? Guardarne un’altra.”
— Paolo Conte
(via hollywoodparty)
via: http://plettrude.tumblr.com/
---------------------A un amico straniero che non riesce a capacitarsi e agli italioti che non
si capaciteranno
Per capire il caso B ci vorrebbero, tutti insieme e contemporaneamente,
16. Marx e Balzac, che ci ricordano che dietro ogni patrimonio c'è un delitto
17. Pirandello e la sua inafferrabilità della verità
18. le pulsioni sessuali di Freud e la volontà di potenza di Adler
19. Einstein e la teoria della relatività
20. il gattopardismo di Tomasi di Lampedusa
21. la televisione oppio dei popoli e le ricerche sul lavaggio del cervello di
Edward Hunter
22. i Don Rodrigo e i don Abbondio manzoniani
23. l'espressione geografica di Klemens von Metternich
24. il familismo amorale di Banfield
25. il particulare di Guicciardini e i Fini machiavellici che giustificano sempre i
mezzi
26. i quaquaraquà di Sciascia
27. e i tarallucci e vino di Pulcinella.
Ma tutto questo non sarebbe sufficiente, se non si sapesse che l'Italia è
popolata da servili italioti proni al padrone e illusi di poter essere anche loro,
un giorno, padroni di qualcosa o di qualcuno. E poi non va dimenticato che
codesti italioti sono i genitori, i cugini e i figli dei Caligola, dei Borgia, dei
Mussolini, degli Andreotti e dei Don B di turno, e morto un dittatore ne faranno
sempre un altro, finché non saranno soppressi o cambieranno loro; dio sa
come.
(Ma magari arriverà dal Maghreb o da qualche altro punto del Nord Africa
un’ondata di protesta o un’orda invasiva che spazzerà via questo coacervo di
crimini, soprusi e vizi che stanno imputridendo il paese in cui vivo.)
511
Post/teca
fonte: http://aitanblog.splinder.com/post/23954545
--------------------
Ciao ciao, vecchie mail. Col cacchio che vi rileggo prima di eliminarvi.
fonte: http://coactusvolui.tumblr.com/
---------------Del vagare per la rete.
arentweallrunning:
Sì, ma permettimi sembri strano scrivere un post da un momento all’altro
per esprimere snervo verso la polemicità generale quando ci si è mostrati
polemici più o meno sempre. Se uno decide di cambiare buon per lui, ma
allora non c’è bisogno di dedicare un post che non rompe il ciclo che si
vorrebbe rompere, ma che lo prolunga solamente. Contando il fatto che se
ti dà fastidio qualcosa che qualcun’altro ha detto puoi dirglielo rebloggando
ciò su cui ha da ridire, come io ho fatto una volta senza farmi troppi
problemi. Mi sento uno dei chiari destinatari, perciò ti rispondo. Cioè, son
cose che uno mi può dire. That’s all :)
Perché, come già detto, ho visto in questa settimana persone che
perdevano il proprio tempo o puntando il dito o giustificando in ogni modo
questo atteggiamento, oppure facendo supposizioni sui perché ed i per
come dell’atteggiamento altrui. Lo vedi una, due, tre, quattro, cinque volte,
poi ti dici:ma basta!
Perché non dedicarci un post? ( qui, peraltro, dato che come non-ricordochi ha scritto, non c’è bisogno di scrivere tutto su Facebook ma esistono
anche altre piattaforme per scrivere, forse G.S. Scriverlo su Fb equivale a
continuare ad alimentare il moto. Le persone di cui parlo fanno questi
discorsi su Fb, non qui, quindi non avrei possibilità di rebloggare e dire la
mia nemmeno volendo. Ho già detto la mia lì dove dovevo! )
Se avessi voluto parlare di te avrei fatto quello che fai tu: reblog, testo.
Purtroppo/per fortuna io parlo di Facebook, come al solito. Niente più, niente
meno :)
512
Post/teca
via: http://coactusvolui.tumblr.com/
--------------------“Alcune persone sono profumi, passano leggere e ti rimane la voglia di
respirarle.”
— (via bubblesup)
via: http://lachimera.tumblr.com/
----------------------What's a horny pirate's worst nightmare? A sunken chest with no booty...
--------------------“Futuro vuol dire un problema che di solito si rimanda, i contributi che nessun
datore di lavoro ti paga, il lavoro che non c’è, comunque la pensione che non
ci sarà.”
— Sono ateo e ti amo, Irene Chias
via: http://tattoodoll.tumblr.com/
--------------------estonoesuntumblr:
By Aleks Sennwald
I rapporti di inclusione, per ciò che concerne i rapporti semantici tra
sostantivi, sono dati dal legame fra una parola dal significato generale
(iperònimo ) ed altre che, incluse in essa, hanno un significato particolare (
ipònimi ). Una parola che comprende una serie di iperònimi si
definisceiperònimo massimo.
Il Salerno propone, come esempio di iperònimo massimo ‘arredamento’,
comprendente come iperònimi ‘mobilio’, ‘apparecchi di illuminazione’ ed
513
Post/teca
‘elettrodomestici’. Io voto per ‘noi’, comprendente ‘vita’, ‘respiro’ e qualunque
altra cosa tu scelga d’inserire sotto la protezione di un’unica parola.
via: http://coactusvolui.tumblr.com/
--------------------“mi capita di ascoltare uomini - giovani, intelligenti, di successo - che dicono
“le femministe sono delle sfigate”. Uomo, non ti rendi conto di quello che dici.
Se non ci fosse stato il femminismo, in questo paese, saremmo ancora ad
abortire coi ferri da calza sul tavolo di cucina. Non ti permettere mai piu’ di
mancare di rispetto alle donne che hanno permesso a tua sorella e a tua figlia
di essere considerate esseri pensanti e corpi inviolabili.”
— http://livepaola.blogspot.com/2009/12/le-donne-noninvecchiano-mai.html
via: http://tattoodoll.tumblr.com/
-------------------Trilussa, NUMMERI
- Conterò poco, è vero:
- diceva l’Uno ar Zero ma tu che vali? Gnente: propio gnente.
Sia ne l’azzione come ner pensiero
rimani un coso voto e inconcrudente.
lo, invece, se me metto a capofila
de cinque zeri tale e quale a te,
lo sai quanto divento? Centomila.
È questione de nummeri. A un dipresso
è quello che succede ar dittatore
che cresce de potenza e de valore
più so’ li zeri che je vanno appresso.
(via fiocolume)
514
Post/teca
via: http://aitan.tumblr.com/
----------------
dasnake
Le ultime notizie dall'egitto sollevano ancora una
volta la necessita` di un sistema semplice, massivo,
twitter-like, ma non dipendente da un'infrastruttura
centralizzata. Bisognerebbe sviluppare un qualche
software che crea una rete mash wifi on-the-fly in
caso di sommossa popolare.
fonte: http://friendfeed.com/dasnake/bd17aa7a/le-ultime-notizie-dall-egitto-sollevano-ancora
-----------------------
«Sono Rosa Luxemburg
perché dissento...»
di Daniela Amenta
Quarantamila in poche ore. E ognuna con un volto diverso. Su Facebook
il tam tam corre in fretta: cambiare il profilo, scegliere la foto di una
donna che ha speso la propria vita per affermare un diritto.
«Perché - scrivono sul social network le organizzatrici di «Donne dicono
no. Questa settimana io sono...», «vogliamo contrastare il sistema di
compravendita delle donne, lo sfruttamento del corpo femminile. Un
gesto che ha lo scopo innanzitutto di comunicare la nostra identità come
donne capaci di affermarsi con coraggio ed intelletto, ma anche di
rinnovare la nostra memoria storica, ricordarci che il diritto al voto, il
diritto al lavoro, alle libertà individuali, sono diritti conquistati, spesso a
515
Post/teca
caro prezzo, da donne!».
E allora ecco che i profili cambiano. «Io sono Rosa Luxemburg. Perché la
libertà è sempre la libertà di dissentire». «Io sono Frida Kahlo», «Io sono
Frances Farmer», «Io sono Alda Merini, Shirin Neshat, Irène Némirovsky,
Carla Lonzi, Dolores Ibarruri Gomez, Tina Modotti, Janis Joplin, Joan
Baez, Marie Curie».
«Io sono Rita Levi Montalcini perché il male assoluto del nostro tempo è
di non credere nei valori. Non ha importanza che siano religiosi oppure
laici. I giovani devono credere in qualcosa di positivo e la vita merita di
essere vissuta solo se crediamo nei valori, perché questi rimangono
anche dopo la nostra morte».
E poi Jane Austen, Maria Callas, George Sand, Rosa Parks, Joyce Lussu.
È' una carrellata di immagini, di simboli, di donne famosissime o
dimenticate. Come Emanuela Loi, poliziotta della scorta di Borsellino, o
Amelia Earhart, aviatrice statunitense. A ognuna un'altra faccia. La faccia
della memoria che incrocia la storia e le storie individuali, le passioni
letterarie, politiche, gli studi.
Percorsi che si coniugano, si incontrano. Memorie che si riattivano. Un
gesto così semplice diventa metafora prepotente, diventa un segno di
rivolta forte. C'è chi dice no, si prende un'altra identità per affermare la
propria. «Io sono Anna Magnani perché le rughe non si coprono. C'ho
messo una vita a farmele venire».
E sono anche Simone de Beauvoir. «Perché una donna libera è l'esatto
contrario di una donna leggera».
28 gennaio 2011
fonte: http://www.unita.it/italia/sono-rosa-luxemburg-br-perche-dissento-1.268759
----------------------
Madamine, il catalogo è questo
516
Post/teca
di Paola Di Cori
Le cronache da Arcore che intristiscono le nostre giornate come una
quotidiana pioggia acida hanno ancora una volta riproposto la questione che
era emersa già nell’autunno del 2009, mentre infuriava lo scandalo di Noemi
e delle escort di Berlusconi. In quei mesi, alcuni settimanali di giornali
progressisti, con l’intenzione di fornire una specie di schedario ‘anti-veline’,
avevano cominciato a pubblicare composizioni fotografiche di donne illustri:
rigurgitanti di scienziate geniali, intellettuali meravigliose, attrici sublimi,
dirigenti politiche accorte e sagge, imprenditrici intelligenti e attive. A nessun
giornale era però venuto in mente di pubblicare elenchi di ‘anti-puttanieri’, in
cui si mostravano uomini politici monogami; operai, impiegati o professionisti
famosi per la provata fedeltà coniugale; conduttori televisivi e legislatori
virtuosi e composti; morigerati scienziati celibi. Nessun quotidiano o
programma tv ha fornito elenchi di sacerdoti non-pedofili; sulle bacheche dei
licei e delle università non è stato possibile affiggere fogli con i nomi di
professori disinteressati a rimorchiare; gli ospedali hanno rifiutato di fornire
elenchi di medici che non allungano le mani; le dirigenze dell’amministrazione
pubblica e delle poste hanno reagito male all’idea di affiggere sulle pareti
degli uffici aperti al pubblico le foto degli impiegati fedeli alle proprie mogli,
fidanzate, mamme. Come in una gara tra chi accumula il maggior numero di
prove per difendere la propria tesi, si era scatenata la guerra tra inventari di
opposta natura.
In una mostra organizzata al Louvre di Parigi nel 2009, e in un libro/catalogo
magnificamente illustrato – Vertigine della lista(Bompiani) – Umberto Eco ha
evidenziato le innumerevoli possibilità offerte dalla serialità come elemento
fondamentale per la conoscenza e la comunicazione socio-culturale. Si spazia
temporalmente dall’antichità a oggi, e si utilizzano molteplici fonti letterarie,
filosofiche, visuali – dal catalogo delle navi e lo scudo di Achille di Omero, alla
zoologia fantastica di Borges, alle cerimonie barocche, le processioni religiose
in età medievale e moderna, le coreografie dei musicals degli anni ’30 di
Busby Berkeley, ecc.
Appena menzionata da Eco, è l’importanza della lista nei modi con cui nella
cultura italiana, e occidentale, sono rappresentate le donne e la femminilità.
517
Post/teca
Dal canto mio, vorrei invece sottolineare il fatto che la rappresentazione in
serie è essenziale nella messa a punto di stereotipi e di tipologie con pretesa
normativa e universalizzante: sia per elencare qualità e caratteristiche
specifiche delle donne, sia per indicare “ la Donna” nei suoi aspetti astratti e
generali, in quanto ‘altra metà dell’umanità’, in opposizione a maschilità quella che Lacan aveva a un certo punto barrato per indicarne l’inconsistenza.
Imperante per molti secoli, la formula del ‘catalogo delle donne’, per così dire,
continua a trionfare anche ai giorni nostri. Non è solo una invenzione geniale
di Lorenzo da Ponte per raccontare la ‘passion predominante’ di don Giovanni,
bensì lo strumento in apparenza più adatto per descrivere qualcosa che –
come capita anche al protagonista del capolavoro di Mozart, e come
puntualmente aveva sottolineato Freud - sembrerebbe proprio inafferrabile e
incomprensibile. Se le donne non ricoprono sempre gli stessi ruoli, la
femminilità è ovunque, ma non ha mai un sembiante unico o dimensioni
identiche. Per secoli, in buona misura appare così anche oggi, è stata
descrivibile e rappresentabile come un mosaico multicolore, composto di
migliaia di tessere diverse, ciascuna delle quali può essere sostituita o
modificata a seconda delle circostanze. La femminilità, se ne deduce,
presenta molti volti; non ha una natura unica; è cangiante, imprevedibile,
mutevole. Da questo discende un altro luogo comune persistente per
millenni: la perenne irrequietezza, la natura volubile e capricciosa, nonchè il
disordine, fisicamente visibile se si tratta di donne definite lombrosianamente
come ‘degenerate’ – pazze, prostitute, malinconiche, criminali. Alle donne
viene infatti negata l’universalità del logos e della ragione, la solida struttura
della oggettività. A tale scopo, fin dalle più antiche descrizioni e
rappresentazioni occidentali della femminilità che ci sono arrivate, lo
strumento utilizzato è la molteplicità, la serie, la lista. Così quelle di Esiodo e
di Plutarco, come anche quelle di Boccaccio e di Rabelais, giù fino a
Lombroso; forse anche Lele Mora o Emilio Fede possiedono un loro ricco
album da offrire su richiesta.
Se l’elenco è importante per gli uomini, poiché fornisce l’illusione di afferrare
l’inafferrabile attraverso la ripetizione, la questione è ancora più importante
per le donne, anche se con motivazioni diverse e per raggiungere fini opposti.
Una lunga tradizione mostra che quando le femministe si mettono a studiare
518
Post/teca
le donne di altre epoche, mettono mano a quelli che potremmo chiamare
“anti-cataloghi”, nei quali vengono ribaltati gli stereotipi consueti. Un esempio
dalla tradizione classica è la Cité des femmes di Christine de Pisan (secolo
XV); così si presenta anche la produzione scritta e visiva delle
emancipazioniste di fine ‘800 e inizi ‘900.
La cultura femminista occidentale degli ultimi duecento anni ha risposto alla
persistenza delle tipologie di carattere normativo e/o infamante in due
maniere principali: 1) con gli anti-cataloghi; 2) con l’accentuazione delle
strategie di attraversamento dei luoghi e l’uso trasversale e trasgressivo degli
spazi pubblici. Si è cercato più che altro di far vedere qualcosa che sembra
molto complicato perché non corrisponde agli stereotipi; vale a dire, a esibire
il maggior numero possibile di varianti di una presunta idea unificatrice di
femminilità; a esporre la vita così come appare nella quotidianità, e mostrare
ciò che fanno le impiegate, le chirurghe, le attrici, le dirigenti d’azienda, le
cantanti, le militanti politiche, le partigiane, le intellettuali, le artiste, le
cubiste, ma anche le transessuali, le prostitute, le ladre, le contrabbandiere,
ecc., ecc.
Tutto questo è stato importante anche più di recente, per evidenziare i
cambiamenti provocati dalla globalizzazione e dalle crisi economiche, dalle
tecnologie informatiche, dalla svolta visuale dell’ultimo decennio; dalla
crescente multidisciplinarità delle scienze, in Italia assai scoraggiata, ma
tuttavia presente e in atto. Temi principali di ricerche, riviste, convegni sono
infatti diventate tipologie diverse da quanto imperava fino a poco tempo fa,
quelle che illustrano le donne migranti, le schiavitù del sesso e del lavoro,
l’interrogazione sulle identità socio-sessuali a lungo rimaste invisibili.
Si sono moltiplicati materiali e fonti come la fotografia, il collage, il
fotomontaggio, la citazione (scritta, orale, visiva) apparentemente fuori luogo
- sul modello di quanto avevano fatto le artiste delle avanguardie dadaiste e
surrealiste; tutte tecniche che sottolineano la pluralità delle identità (femminili
e maschili) e il loro carattere spesso indefinito. Sono state così riscoperte
molte donne della prima metà del ‘900 rimaste nell’ombra: attrici, fotografe,
cineaste, pittrici, cantanti, danzatrici - come Elvira Notari, Tina Modotti,
Leonor Fini, Carol Rama, Regina, Milly, ecc. ; illustrate pratiche sessuali poco
studiate, come l’omosessualità e la transessualità in periodi e contesti diversi
519
Post/teca
da quelli posteriori agli anni ’60. Nei film di registe degli ultimi anni l’anticatalogo è dominante: così nel documentario per la televisione di Giovanna
Gagliardo Bellissime (2003); Vogliamo anche le rose di Alina Marrazzi (2007),
Il corpo delle donne di Lorella Zanardi (2009); e anche Tutta la vita davanti
(2008) di Paolo Virzì, dal libro di Michela Murgia.
Per essere vantaggiosi, oltre a esporre delle quantità, gli elenchi dovrebbero
stimolare alcune strategie efficaci sul piano qualitativo. Può servire un gesto
di ostentazione ‘per contrasto’? Possono gli anti-cataloghi essere utili a fini
politici, visto che né la magistratura né i partiti della cosiddetta opposizione
sono riusciti a cacciare dal parlamento il nostro Eliogabalo? Cerchiamo di
ragionarci.
fonte: http://www.ingenere.it/articoli/madamine-il-catalogo-questo
------------------
Quel che pretendono dal Drago al quale si
sono concesse è ben altro. È la
straordinarietà di un finanziamento a fondo
perduto per una speculazione immobiliare;
un attico in centro; un ingaggio in Mediaset;
un lavoro per il papà. E poi, chi ha tenuto un
libro in mano pensa di aver diritto ad
ottenere da “papi” un incarico pubblico, una
responsabilità nel Pdl, un seggio
parlamentare. Perché no, un ministero. In
fondo, discutono tra loro Barbara Faggioli e
Nicole Minetti, “non è stato così anche per
520
Post/teca
Mara (Carfagna)?”.
Parlano sul serio, non per burla. Ammesso
che ci fosse ancora bisogno di una conferma
dello scambio tra sesso e incarico pubblico,
queste carte ce la mostrano in tutto il suo
realismo. Le ragazze lo ritengono un atto
dovuto, il seggio in Parlamento. Berlusconi
non le smentisce, lascia che coltivino
quest’ambizione e d’altronde, dice Nicole,
non sono già consigliere regionale?
"
— Denaro in cambio del silenzio il Sultano prigioniero dei ricatti Repubblica.it (via xlthlx)
(via 3n0m15)
----------“Volevo scriverti una storia sulla magia. Volevo conigli che spuntassero dai
cappelli. Volevo palloni che ti sollevassero fino al cielo. Ma è diventato tutto
nient’altro che tristezza, guerra, afflizione. Non l’hai mai visto, ma dentro di
me c’è un giardino.”
— Io sono Febbraio. (via pantherain)
via: http://biancaneveccp.tumblr.com/
------------------
Amore e tùssi non si podiri cuai.
521
Post/teca
(L’amore e la tosse non si possono
nascondere)
fonte: http://tintenkiller.tumblr.com/post/2742740659/amore-e-tussi-non-sipodiri-cuai-lamore-e
-------------
"In sogno
dipingo come Vermeer.
Parlo correntemente il greco
e non soltanto con i vivi.
Guido l’automobile,
che mi obbedisce.
Ho talento,
scrivo grandi poemi.
(…)
Sareste sbalorditi
dal mio virtuosismo al pianoforte.
Volo come si deve,
ovvero con tutte le mie forze.
Cadendo da un tetto
so cadere dolcemente sul verde.
522
Post/teca
Non ho difficoltà
a respirare sott’acqua.
Non mi lamento:
sono riuscita a trovare l’Atlantide.
Mi rallegro di sapermi sempre svegliare
prima di morire.
Non appena scoppia una guerra
mi giro sul fianco preferito.
(…)
Qualche anno fa
ho visto due soli.
E l’altro ieri un pinguino.
Con la massima chiarezza."
(Elogio dei sogni - Wislawa Szymborska)
via: http://tintenkiller.tumblr.com/post/2666824055/in-sogno-dipingo-comevermeer-parlo
---------------
Un altro deputato abusivo
Pippo Gianni è subentrato a Giuseppe Drago e la sua carica di deputato regionale
in Sicilia è incompatibile, ma nessuno se ne occupa, né degli altri 47 come lui
28 GENNAIO 2011
523
Post/teca
Lo scorso giugno vi avevamo raccontato la storia di Giuseppe Drago, deputato
eletto nelle file dell’UdC nonostante fosse stato condannato in via definitiva
all’interdizione dai pubblici uffici. Nonostante l’interdizione, infatti, il deputato non si
era dimesso e aveva mantenuto la propria carica per oltre due anni come se nulla
fosse, in una violazione plateale e paradossale della sentenza favorita dalle
complici lentezze del Parlamento. Drago si è dimesso lo scorso 10 novembre,
poche ore prima del voto con cui la Camera si sarebbe dovuta esprimere sulla sua
decadenza, dopo che il 7 ottobre la Giunta delle elezioni si era espressa per la sua
ineleggibilità. A lui è subentrato il primo dei non eletti nelle liste dell’UdC alla
Camera in Sicilia: Giuseppe Gianni detto Pippo, già parlamentare nella scorsa
legislatura.
Gianni è un collezionista di incarichi (ma noto alle cronache nazionali soprattutto
per la frase «Le donne non ci devono scassare la minchia» durante il dibattito sulle
quote rosa). Il 14 aprile del 2008 è stato elettodeputato regionale in Sicilia. Il 10
novembre del 2010, come abbiamo detto, è subentrato a Giuseppe Drago e diventa
anche deputato nazionale. Il 6 dicembre del 2010 è stato nominato anche
assessore comunale a Siracusa. Una situazione di tripla incompatibilità, mentre da
giorni il suo nome appare tra quelli in procinto di entrare al governo nazionale,
come sottosegretario.
L’incarico di assessore comunale è incompatibile con quello di deputato regionale:
il 23 aprile del 2010, infatti, la Corte Costituzionale ha stabilito che una legge
regionale siciliana che ammetteva la somma di incarichi è incostituzionale “nella
parte in cui non prevede l’incompatibilità tra l’ufficio di deputato regionale e la
sopravvenuta carica di sindaco e assessore di un Comune, compreso nel territorio
della Regione, con popolazione superiore a ventimila abitanti”. Pippo Gianni ha
fatto abusivamente l’assessore comunale per oltre un mese: si è dimesso dieci
giorni fa.
Rimane però deputato regionale e deputato nazionale, due cariche a loro volta
incompatibili. Lo dicel’articolo 122 della Costituzione, quando afferma in modo non
equivoco che “nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a
una Giunta regionale e ad una delle Camere del Parlamento, ad un altro Consiglio
o ad altra Giunta regionale, ovvero al Parlamento europeo”. E lo conferma lo
statuto della regione Sicilia, che all’articolo 3 dice che “l’ufficio di Deputato regionale
è incompatibile con quello di membro di una delle Camere, di un Consiglio
regionale ovvero del Parlamento europeo”.
Qui entra in gioco la proverbiale farraginosa lentezza del Parlamento. La Giunta
delle elezioni si è riunita lo scorso 11 gennaio per certificare l’elezione a deputato di
Gianni, a seguito delle dimissioni di Drago. La seduta dura cinque minuti, comincia
524
Post/teca
alle 14,45 e finisce alle 14,50. Si fa in tempo a prendere atto del fatto che la carica
di deputato regionale “non costituisce causa di ineleggibilità ma soltanto di
incompatibilità” con quella di deputato nazionale, e quindi si propone l’eleggibilità di
Gianni in Parlamento.
La decisione della Giunta si basa sul fatto che incompatibilità ed ineleggibilità sono
concetti diversi. L’ineleggibilità indica l’incapacità assoluta ad essere eletto,
l’esistenza di un impedimento giuridico, preesistente all’elezione, che rende la
persona incompatibile con la candidatura, prima che con l’elezione.
L’incompatibilità, invece, è l’impossibilità di ricoprire una determinata carica,
considerata inconciliabile con quella di parlamentare una volta che si è eletti. Se nel
caso dell’ineleggibilità la prassi vuole che il soggetto decada immediatamente, nel
caso dell’incompatibilità il soggetto deve decidere a quale dei due incarichi
rinunciare. E non ci sono limiti di tempo, tanto che questa situazione oggi in
Parlamento non riguarda solo il deputato Gianni: un anno fa il presidente della
Giunta delle elezioni, Claudio Migliavacca, aveva documentato l’esistenza di ben
47 deputati che svolgevano incarichi incompatibili con il mandato parlamentare. Di
questi, 42 ricoprivano l’incarico di consigliere o assessore regionale. Da novembre
ce n’è uno in più.
fonte: http://www.ilpost.it/2011/01/28/pippo-gianni-abusivo/
----------
Il gran casino delle primarie a Napoli
Un punto della situazione sulla caotica situazione aperta dal voto di domenica e
sulle possibili vie d'uscita
28 GENNAIO 2011
Domenica scorsa a Napoli si sono tenute le elezioni primarie per individuare il
candidato sindaco del centrosinistra: vi partecipavano il PD, i Verdi, Sinistra e
Libertà e i Socialisti. Non partecipava l’IdV, per conto della quale si è continuato a
parlare per settimane della possibilità di una candidatura solitaria
dell’europarlamentare Luigi De Magistris.
Cosa è successo
I candidati alle primarie erano quattro, fra questi due i favoriti: Umberto Ranieri e
Andrea Cozzolino. Il primo, ex senatore ed ex sottosegretario, ha vinto in tutti i
525
Post/teca
collegi della città eccetto uno, quello di Secondigliano, nel quale Cozzolino,
eurodeputato, ha raccolto un numero enorme di voti – quasi quanto il numero degli
elettori del PD alle ultime elezioni – tanto da fargli superare il vantaggio raccolto da
Ranieri in tutti gli altri nove collegi della città. I sostenitori di Ranieri hanno subito
lamentato la presenza di irregolarità, e le denunce in tal senso si sono moltiplicate:
chi parlava di aver visto votare dei noti esponenti del PdL locale, chi faceva
riferimento a folti gruppi di cinesi, chi parlava di infiltrazioni della camorra, chi
addirittura sosteneva che molte di quelle schede non fossero state fisicamente
votate da alcun elettore.
Le denunce
Una delle denunce più incisive è arrivata da un pulpito importante: il segretario
provinciale del PD di Napoli, Nicola Tremante, che in un video ha fatto delle
dichiarazioni molto incisive sullo svolgimento delle primarie, prive anche della
cautela con cui i vertici del partito avevano commentato l’accaduto fino a quel
momento. Tremante sostiene apertamente che la vittoria di Cozzolino si debba a
conclamate irregolarità, e questo gli è valso la rumorosa e aggressiva
contestazione di alcuni sostenitori dello stesso Cozzolino, che nel pomeriggio di
mercoledì hanno fatto irruzione nella sede del partito e lo hanno affrontato a muso
duro. Poche ore dopo prendeva posizione Roberto Saviano, che chiedeva di
annullare le primarie e rifarle da capo, candidando Raffaele Cantone, il magistrato
che più volte si era detto non disponibile alla candidatura. È solo a questo punto
che la segreteria nazionale del PD prende dei provvedimenti sull’intera vicenda.
Cosa fa Bersani
Per prima cosa, Bersani decide di annullare l’assemblea nazionale prevista per
sabato e domenica proprio a Napoli, immaginata – fra le altre cose – per incoronare
ufficialmente il vincitore delle primarie. Poi chiede ai due candidati più votati,
Ranieri e Cozzolino, di fare un passo indietro, «un atto di generosità», per
permettere di individuare una candidatura esterna e unitaria. I due reagiscono con
due opposti scetticismi: il primo rispetto alla decisione di cancellare l’intero
processo e non solo il risultato finale, il secondo rispetto alla decisione di cancellare
proprio il risultato finale. Ieri è arrivata allora la seconda decisione: il segretario
provinciale del PD, Nicola Tremante, è stato rimosso dall’incarico: al suo posto
arriva un commissario, Andrea Orlando, deputato e responsabile giustizia del PD.
Le reazioni di Cozzolino e Ranieri
Tremante era stato il più influente tra gli accusatori di Cozzolino, e la mossa di
Bersani serve probabilmente a dare serenità al partito e rendere politicamente più
sostenibile il passo indietro dell’eurodeputato. Se questo infatti parla di «gesto
molto importante», Ranieri considera il commissariamento «una scelta avventata e
discutibile». Anche perché, nel frattempo, il processo delle elezioni primarie non si
526
Post/teca
è ancora concluso: l’ufficio dei garanti delle primarie sta ancora controllando la
documentazione sul voto di domenica, che potrebbe concludersi con
l’annullamento di alcune schede e l’annullamento della vittoria di Cozzolino. Che
però non sarebbe una via d’uscita: un po’ perché lo stesso Ranieri dice che non
accetterebbe una vittoria a tavolino, un po’ perché sembra Bersani sia convinto di
poter uscire da questa situazione solo superando di slancio il caos delle primarie e
non scegliendo una soluzione che ne è figlia.
Annullare le primarie?
Non resta che fare una cosa: annullare le primarie. Se non fosse che non sono in
pochi a non essere d’accordo. Ieri si è tentato un incontro su questo tema ed è
stato un disastro. Sinistra e Libertà non si è nemmeno seduta al tavolo. I Verdi
hanno proposto un ballottaggio tra Cozzolino e Ranieri. I Socialisti hanno chiesto di
aspettare il verdetto dei garanti. Solo la Federazione della Sinistra era concorde col
PD sul fatto di proporre un altro candidato. Il tavolo si è aggiornato a martedì.
Da qui a martedì
Bersani cercherà di trovare una candidatura forte e autorevole al punto da
convincere tutti i contendenti a fare un passo indietro, una volta messa sul tavolo:
per il momento si fanno i nomi di Raffaele Cantone, che ha ribadito la sua
indisponibilità, e di Paolo Mancuso, procuratore di Nola e fratello del Libero
Mancuso candidato alle primarie di Napoli per Sinistra e Libertà. Nel frattempo la
questione sta avendo anche dei riflessi sul fronte del dibattito nazionale e
dell’eterna questione sull’utilizzo e l’utilità delle primarie. Stando a quanto oggi
raccontano i giornali, la minoranza del partito e soprattutto i veltroniani temono che
Bersani ne stia approfittando per mettere in pratica il famigerato ridimensionamento
delle primarie, per dimostrare che si tratta di uno strumento inaffidabile e
potenzialmente pericoloso. I popolari sono nervosi perché Tremante era l’unico tra i
segretari del PD in Campania a non provenire dai DS, e ora è stato commissariato
e sostituito con Andrea Orlando, ex diessino. Matteo Orfini, della segreteria
nazionale, si è augurato che il caos di Napoli «serva a riflettere su uno strumento
che si è rivelato dannoso». Fioroni dice che fermare le primarie vuol dire «lasciare
una prateria agli altri». Secondo deputato Mario Barbi, prodiano, «se il Pd non è in
grado di svolgere primarie regolari farebbe bene a dichiarare fallimento e portare i
libri in tribunale».
fonte: http://www.ilpost.it/2011/01/28/il-gran-casino-delle-primarie-a-napoli/
--------------
20110131
527
Post/teca
Uno dei sintomi dell'arrivo di un
esaurimento nervoso e' la
convinzione che il proprio lavoro sia
tremendamente importante.
> Bertrand Russel
mailinglist Buongiorno.it
-----------------------
"Io sono una selva e una notte di alberi scuri,
ma chi non ha paura delle mie tenebre
troverà anche pendii di rose sotto i miei
cipressi."
— Friedrich Nietzsche (via apertevirgolette)
----------------------emmanuelnegro:
ze-violet:
uomoinpolvere:
[Poesia bellissima di Lello Voce, letta dall’autore a Preganziol contro il
#rogodilibri]
Perché è oggi assolutamente necessaria una Rivoluzione Fragile
perché sulle gru sui tetti al colosseo al senato all’università perché
per pensare parlare sognare fare figli perché più che mai occorre
fare di tutti i fasci un’erba ricordarsi della memoria e di chi la serba
perché non la servitù ma la democrazia non la casto-crazia né la monoarchia perché si è donna o invece no o invece un po’e un po’ né sì né no
perché immaginare un futuro perché scalare il muro perché che c’è
da perdere se non in tv né c’è un verso vivendo così a tempo perso…
528
Post/teca
(perché chi commette il male non è responsabile
solo del male che compie ma del turbamento
in cui induce l’anima dell’offeso)
ed anche se la frase qui sopra l’ha scritta un cattolico e dunque
non sarebbe da fidarsi ma val ben la pena per una volta di farli
passare per la cruna dell’ago ed anche se sembra (e sembra vero)
che sia meglio cinico o economico o realistico anche se dicono
che mafia comune è mezzo gaudio anche se alla fine mangi ti vesti
vai al mare hai l’auto ma ti manca sempre quello che ti manca
anche se chi ti odia ti fa vergognare di come lo odi o di come
lo voti ed anche se qui da noi una rivoluzione non c’è mai stata…
(perché dopo marx non è venuto aprile
ma dicembre e poi di nuovo novembre
e ancora aspettiamo un nuovo marx)
perché chi paga rompe e i cocci sono nostri…
(perché non vogliamo tutto ci accontentiamo
di una parte quella essenziale
ma la vogliamo tutta e subito)
per esempio scuole ospedali terre e cieli parole musiche corpi
vecchi bambini per esempio dignità verità sulle stragi separare
i morti i colpevoli e gli innocenti le ragioni ed i torti chi ha visto chi
non ha detto per esempio tagliarla corta con privilegi troppo lunghi
per esempio lavoro diritti il diritto di dire: vogliamo le somme i dati
sian dati per esempio noi siam quasi tutti e non siamo una massa
e qualcuno di LorSignori anzi proprio tutti che passino alla cassa:
perché ciò che è fragile è tagliente definitivamente imprevedibile
intelligente…
che meraviglia.
Perché chi paga rompe e i cocci sono nostri…
529
Post/teca
anche se alla fine mangi ti vesti / vai al mare hai l’auto ma ti manca sempre
quello che ti manca
-----------------------
"I sogni non vogliono farvi dormire, al
contrario, vi vogliono svegliare."
— René Magritte (via apertevirgolette)
(via rispostesenzadomanda)
-----------------------------
"due sono i modi di stare al mondo: da
pellegrini o da viandanti. i primi hanno un
traguardo sicuro e vanno, seppur con qualche
comprensibile esitazione, dritti per il loro
percorso. i viandanti invece perdono quasi
subito la strada maestra, non hanno ben
chiaro l’obiettivo del loro movimento, per
curiosità o timore, imboccano altre vie,
passano per itinerari e paesi lontani, spesso
tornano sui propri passi. forse, come disse
samuel beckett a charles juliet, tutti
dobbiamo trovare la strada sbagliata che ci
conviene."
530
Post/teca
—
da vado a vedere se di là è meglio, di francesco m. cattaluccio, edito da
sellerio. è il libro che ho scelto di leggere quest’anno per la giornata del
ricordo. (via 11ruesimoncrubellier)
Viandante, presente.
(via batchiara)
--------------------------
"Siamo profondi, ridiventiamo chiari."
—
F. Nietzsche
pass with Mary:
(Fonte: adrianomaini)
----------------
"Genio è uno che spara contro qualcosa che
nessun altro vede, e fa centro."
— dal “The Lutheran Digest” (via 1000eyes)
(Fonte: ilmegliodeveancoravenire, via 1000eyes)
----------------------
"Le persone abituate a riflettere hanno la
tendenza a sottovalutare il peso degli
ignoranti e degli stupidi."
—
Se l’assessore non vuole quei libri - Riccardo Bottazzo
Per questo bellissimo articolo Riccardo si è beccato la denuncia da parte degli
531
Post/teca
assessori fascisti di cui parla. (via Bologna, Preganziol, Padova: scioperi
operai e #rogodilibri, la lotta va avanti)
(Fonte: uomoinpolvere, via colorolamente)
----------------------------
Intervista a Cesare
Battisti per Brasil de Fato
emmanuelnegro:
classe:
Bèccatelo, Emmanuel:
Come ha vissuto le ripercussioni del suo caso in Italia e in Brasile?
E’ difficile parlarne. Questa è la ragione per cui sono rimasto traumatizzato e
ho dovuto ricorrere a uno psichiatra. Quando leggo cose che non hanno molto
a che vedere con me, resto… mi scoppia il cuore, non riesco a controllarmi,
cado in uno stato di semincoscienza. Ieri, per esempio, sulla tv SBT hanno
dato una notizia su Berlusconi e le sue prostitute. Solo con l’annuncio della
notizia «Italia», mi sono messo a tremare. Hanno fabbricato un mostro che
non ha niente a che vedere conme.
Per quali motivi?
Mi perseguitano perché sono uno scrittore, perché ho un’immagine pubblica.
Se non fosse per questo, sarei uno dei tanti, come altri italiani che se ne sono
andati dal paese per le stesse ragioni. Sono perseguitato dallo stato italiano e
dalla magistratura brasiliana. Questa persecuzione non è per caso. Non si
metterebbe in discussione una decisione del presidente della repubblica. Non
esiste un paese almondo in cui una estradizione non sia decisa dal capo del
potere esecutivo. Vi immaginate se questa decisione presa dalla magistratura
brasiliana si verificasse in un altro paese, la Francia per esempio? Sarebbe un
assurdo, impensabile. E quando io sono diventato un caso internazionale,
sono diventato una moneta di scambio per molte cose. Se Lula avesse preso la
sua decisione prima, si sarebbero scatenati contro di lui, perché sconfiggere
me sarebbe stato sconfiggere anche Lula. Adesso l’obiettivo principale della
532
Post/teca
destra brasiliana, in questo caso, è colpire il governo di Dilma.
Come ha accolto la decisione di Lula?
E’ stato un atto di coraggio da parte di un capo di stato del livello di Lula, con
le responsabilità che aveva e con i problemi connessi alla geopolitica. E’
evidente che la scelta del momento non è stata casuale. Il caso Battisti è stato
usato per altre ragioni politiche.
La sua estradizione quali precedenti porrebbe?
Cambierebbe la storia, perché fino a oggi gli italiani non sono mai stati
estradati. Quindi sarebbe un colpo duro. Non solo per gli italiani.
Lei crede che se l’estradizione alla fine non sarà concessa, ci
sarebbero delle rappresaglie dell’Italia verso il Brasile?
L’Italia non è mai stata abbastzanza forte per collocarsi fra i paesi più ricchi
del mondo. Se ci sta è per via della Nato e della mafia, che impingua le casse
delle banche del mondo. L’Italia è sempre stata un bluff. E’ l’Italia che ha
bisogno del Brasile. Quello che i media dicono sono menzogne. In Italia c’è
molta gente che mi difende. Se io ci tornassi, ci sarebbero dei casini, e
Berlusconi lo sa.
Quali sono i suoi sentimenti oggi verso l’Italia?
Ormai non è più il mio paese. Io mi sono formato come cittadino del mondo.
Quando abbandonai l’Italia, ero ancora molto giovane. Quindi questa storia
della patria non la sento. Non è che ci sia arrivato intellettualmente, per il
fatto di essere un anarco-comunista. Ci sono arrivato attraverso la vita stessa,
per il modo in cui ho vissuto, per scelta e anche per dovere. Per me, questa
storia della patria non ha senso.
Chi sono i suoi nemici in Italia?
I miei nemici sono quelli che vogliono nascondere gli anni di piombo. I media
fanno di tutto per cancellare il contesto storico. Governo e opposizione sono
gli stessi degli anni di piombo: Democrazia cristiana e Partito comunista
italiano. Il Pci era il partito più stalinista ma non aveva il controllo del potere.
Loro furono i più crudeli con noi. Torturatori. E oggi sarebbero l’opposizione
a Berlusconi. In realtà non esiste opposizione, il Pci (lol ndr) non ha alcun
programma politico. Quando Berlusconi, che sappiamo bene chi è, dice che
l’opposizione vuole vincere le elezioni con un golpe giudiziario, dice la verità.
Come è già accaduto una volta. Ci sono riusciti, fra i due mandati di
Berlusconi, attraverso un golpe. Perché la magistratura era controllata dal Pci,
il Pci controllava i magistrati italiani. Negli anni di piombo i magistrati
533
Post/teca
migliori erano del Pci e hanno continuato ad esserlo, alcuni di loro perfino
candidandosi. Durante la dittatura loro organizzavano e assistevano alle
sessioni di tortura. Torturavano il movimento rivoluzionario, dalle Brigate
rosse fino all’Autonomia e ai Pac. Uno di loro era Armando Spataro, che non
era iscritto ma era in relazione con il Pci. Lui era il torturatore di Milano.
Amnesty international ha una documentazione al proposito. E lui è il
procuratore che oggi mi perseguita. Lui è procuratore di Milano ed è ancora il
procuratore europeo- italiano sul terrorismo.
E qual è il suo rapporto con il Brasile?
Se esiste un angolo di patriottismo, quello sarebbe il Brasile. Può sembrare un
po’ opportunista, ma sono arrivato qui, non conoscevo nessuno e si è formato
unmovimento a mio favore. Questo scalda molto il cuore.
Chi ha cercato quando è arrivato?
Quando arrivai c’erano già molte mie foto da ogni parte. Sapevo di essere
sorvegliato e quindi non ho preso contatto con gli italiani rifugiati qui, né con
nessunmovimento. Volevo preservare loro e me. Ma io non riesco a star
lontano dai problemi, salivo ogni giorno nelle favelas (di Rio de Janeiro). Mi
sedevo a un banchetto, mi facevo una birra e la proprietaria del banchetto
aveva un figlio in carcere. Lei era analfabeta e mi chiedeva di leggerle le
lettere del figlio e di rispondergli. E così io frequentavo tre favelas e avevo
eccellenti rapporti con tutti.
Quali favelas?
SantaMarta, Tabajara e Cantagalo. A Cantagalo e Pavão, Pavãozinho. Sono
diventato lo scrivano delle favelas. Ho sempre fatto lo stesso lavoro. In
Francia avevo il permesso del Ministero di polizia e del Ministero degli interni
per fare lavori di scrittura. Per me è stato una cosa naturale e tutte le auto
della polizia mi conoscevano perché in qualsiasi favela di Rio c’è un’auto della
polizia all’entrata. «Ecco il gringo», dicevano. Salivo nella favela per potermi
sentire vivo.
Ma quando lei è arrivato, da chi è stato appoggiato?
Da molta gente, del Pt e anche del Psdb (Partito socialdemocratico, centrodestra in Brasile). Quando sono stato arreastato, Fernando Gabeira (exguerrigliero passato ai verdi) è venuto a incontrarmi con alcuni deputati del
Psdb. Chiaro che non sapevano molto bene quel che stava succedendo e dopo
si sono allontanati, anche Gabeira. Lui mi accolse in Brasile, mi aiutò. Ma non
come un soggetto politico pensante bensì come un prigioniero degli anni ’70
534
Post/teca
che riteneva non rappresentasse alcun pericolo per nessuno, perché già
c’erano altri italiani qui nella stessa condizione. Quando si rese conto di chi
ero io, omeglio, di quella che i media avevano fatto di me, lui prese le
distanze.
Come si definisce politicamente?
Sono un anarco-comunista da sempre, che considera finito il leninismo. Ma
sono per un anarchismo organizzato, un anarco-marxista, perché esiste un
altro nucleo forte dell’anarchismo che è individualista.
E come vede il socialismo nel mondo di oggi?
Sono convinto che si stiano creando le condizioni per il socialismo. La
socialdemocrazia, nel nord d’Europa, con le sue politiche di welfare, ha
conseguito dei risultati. Ma sta cadendo perché il blocco guidato dagli Stati
uniti, quello del liberismo selvaggio che non si cura affatto della sicurezza
sociale, è un concorrete molto difficile, crudele. Il Venezuela sta facendo il
meglio che si può. Non è andato molto avanti perché il paese non l’ha
permesso. Era quasi allo stato feudale. Non si può pensare che cambiando di
presidente un paese cambi dalla sera alla mattina. E Cuba, se non fosse per
l’embargo, potrebbe essere la miglior democrazia del mondo.
Qual è la sua opinione sulla lotta armata?
Fu lo stato a spingerci alla lotta armata, perché solo così avrebbe potuto
sconfiggere il fortissimo movimento culturale che c’era. Il movimento
rivoluzionario italiano arrivò a contare più di un milione di persone. Ma
cademmo nella trappola e finimmo per fare il gioco del potere. Io non posso
dire che la lotta armata non è viabile nel mondo intero, ma posso dire che non
lo è più nel mondo che io conosco. Credo che la rivoluzione sia eliminare le
classi, però ormai non passa attraverso le armi ma attraverso la cultura e
l’istruzione.
Quando uscirà di prigione che intende fare?
Non so fare altro se non scrivere e lavorare con la collettività. Voglio fare
lavoro sociale a partire dalla scrittura. Forse non ho diritto a fare politica, ma
farò cultura.
Vede dei rischi se la lasceranno andare?
Ci sono minacce scritte di agenti carcerari contro di me. Semi dovesse
succedere qualcosa, Berlusconi dovrà risponderne.
Cesare Battisti intervistato da Maria Mello Vinicius Mansur - Il Manifesto del
535
Post/teca
27 gennaio 2011 (abbonatevi)
Grazie, l’avevo appena letta sul Manifesto. :-)
(credo che Maria Mello e Vinicius Mansur siano due persone diverse cmq)
(via uomoinpolvere)
---------------------------
"Sai, Mubarak, mica ho dimenticato quando
ammanettato e bendato ci avete sbattuto in
cella, a me e il corrispondente BBC, dietro
piazza Tahrir, in quel posto che solo a
nominarlo agli egiziani fa tremare le gambe:
Amn al-Dawla, Dipartimento di Sicurezza di
Stato. E non ho dimenticato la sorte degli
altri 4 tipi arrestati con noi, sentivo le loro
urla dalla stanza di fianco. Certo, noi
eravamo stranieri e ci avete risparmiato le
mazzate, ma la frusta fatta sibilare dietro la
mia schiena per intimidirmi, beh, ricordo
bene anche quella.
Questa e’ anche la mia rivoluzione.
Cheers."
— Coq Baroque (via misantropo)
536
Post/teca
(via colorolamente)
-----------------------
"Io sono stanco delle cose che smettono di
funzionare.
Vorrei cose permanenti.
Togli la polvere? Basta, l’hai tolta. Non si
ripresenta più."
— cloridrato di sviluppina » Blog Archive » La Stanchezza. (via imod) (via
lecosecherestano) (via hneeta)
--------------------------
"Mediterraneo in rivolta contro i regimi
corrotti: Algeria, Tunisia, Albania e ora
Egitto. Per non destare troppo clamore, in
Italia la notizia sarà attenuata in “mari
localmente mossi”."
— (via ianinja)
(Fonte: spinoza.it, via biancaneveccp)
--------------------
"A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
537
Post/teca
per tòrre il biasmo in che era condotta."
—
(“Fu travolta dal vizio a tal punto da dover rendere lecita per legge la libidine,
onde evitare il biasimo dei suoi sudditi.”)
Dante, Inferno (Canto V, 55-57)
(Fonte: walkthefleetroad, via rispostesenzadomanda)
------------------------
"Scrivo questi versi, seduto all’aperto su una
sedia bianca, d’inverno, con la sola giacca
addosso, dopo molti bicchieri, allargando gli
zigomi con frasi in madrelingua. Nella tazza
si raffredda il caffè. Sciaborda la laguna,
punendo con cento minimi sprazzi la torbida
pupilla con l’ansia di fissare nel ricordo
questo paesaggio, capace di fare a meno di
me."
— Josif Brodskij, Strofe veneziane, 2, VIII, Poesie italiane, Milano, Adelphi,
1996. Traduzione di Giovanni Buttafava. (via11ruesimoncrubellier)
(Fonte: mirumir, via 11ruesimoncrubellier)
----------------------
"Il suddito ideale del regime totalitario non è
il nazista convinto o il comunista convinto,
ma l’individuo per il quale la distinzione fra
538
Post/teca
realtà e finzione, fra vero e falso non esiste
più."
— Hannah Arendt (via cowboyjunkie)
(Fonte: imlmfm, via emmanuelnegro)
--------------------
"La seconda è che gira che ti rigira, le foto
che circolano sono sempre le solite, quelle tre
o quattro scienziate di inizio novecento,
qualche santa, e infine le grandi scrittrici
sfigate e incomprese, morte zitelle.
Cioè, l’altro messaggio che passa è che per
contrastare il modello “mignottaro” c’è
bisogno di donne che compiano atti
“eccezionali”.
Voglio dire, a nessuna è venuta in mente
come è venuto in mente a me, che grazie al
cielo siamo ANCORA circondate da grandi
donne?
Ci sono milioni di donne là fuori con le quali
identificarsi, che ogni santo giorno puliscono
il culo ai propri bambini, vanno a fare la
539
Post/teca
spesa, lavorano, escono con le amiche, fanno
l’amore con il proprio uomo, cercano di fare
carriera senza dover aprire le gambe, o ci
rinunciano per lasciare spazio al loro essere
madri. Nessuna che ha ricevuto quella mail si
è sentita ancora di più “svilita”?"
—
Blondeinside - Io ci metto mia nonna
(Da leggere tutto tutto)
ecco, sì.
(via emmeintumblerland)
(Fonte: beatandlove, via emmeintumblerland)
------------------
"Dunque, ricapitolando: a capo del Governo
abbiamo uno che non si accorge di aver ogni
sera la casa piena di sguarldrine che si fanno
profumatamente pagare per partecipare alle
sue feste e le scambia in buona fede per
nipoti di premier esteri; a capo del
Parlamento quello che non si accorge che il
cognato compra sotto il suo naso
appartamenti a prezzi stracciati; a capo della
Protezione Civile un tizio che non si è accorto
540
Post/teca
che gli offrivano massaggiatrici per ottenere
appalti; per tacere dei Ministeri, dove uno
non sapeva che gli pagavano a metà la casa,
l’altro non si accorge che è meglio fare i
lavori quando piove sennò Pompei crolla e
l’altra ancora cade dalle nuvole quando vede
la lista degli amici che si sono fatti dare
consulenze dal suo Ministero. Io a questo
punto non chiedo neppure politici onesti. Mi
accontenterei di trovarne di meno distratti."
— Il nuovo mondo di Galatea (via fastlive)
(via batchiara)
-----------------------
"Un’idea morta produce più fanatismo di
un’idea viva; anzi soltanto quella morta ne
produce. Poiché gli stupidi, come i corvi,
sentono solo le cose morte."
—
Leonardo Sciascia
coloralamente:
(Fonte: adrianomaini)
-------------------541
Post/teca
http://www.giugenna.com/2011/01/31/17-lezioni-gratis-di-giulio-mozzi/?
utm_source=twitterfeed&utm_medium=twitter
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GUIDO VITIELLO
Il Guvi Book Award 2010
Come ogni anno, e come ogni anno in osceno ritardo, arriva il mio
personale Book Award. Libri belli, meno belli e brutti letti nel corso
del 2010. Se il 2009 è stato l’Annus Mirabilis, il 2010 chiamiamolo
pure l’Annus Passabilis, o l’Annus Nientemalis (Infondus infondus):
non deludente, non entusiasmante.
Le categorie sono sei (Narrativa o quasi, Saggistica o quasi,
Attualità, Extravaganzas, Classici e Ridatemi i Soldi) e per ciascuna
l’ordine è del tutto casuale: non è detto che il libro numero sette
valga meno del numero tre. E ora, sbrigati i convenevoli e i
preliminari, passiamo alle classifiche.
Top 10 – Narrativa o quasi
1. Friedrich Dürrenmatt, La panne (Einaudi). Atene o
Gerusalemme? Il dilemma sembra non aver soluzione. Ma
proviamo ad arretrare di un passo e ad abbracciare in un colpo
d’occhio l’intero panorama: notate niente? Ebbene, la nostra civiltà
si fonda su due processi, quello contro Socrate e quello contro
Gesù. È dunque sulla forma-processo, prima di ogni altra cosa, che
occorre ragionare. Poche pagine moderne, tuttavia, sono all’altezza
del compito: quelle di Kafka e Dostoevskij, certo; quelle di Gide e di
France, forse; e, dalle nostre parti, quelle di Salvatore Satta.
Aggiungerei alla famiglia lo straordinario romanzo breve di
Dürrenmatt, dove un rappresentante di tessuti cade nelle mani di
542
Post/teca
quattro giudici in pensione che si divertono a ricreare, per gioco, i
grandi processi della storia. Già che ne hanno l’occasione,
processano anche lui. La forma-processo si rivela uno dei modi
fondamentali di ordinare l’immenso scialo di futilità di cui si
compone ogni esistenza: “Qui finalmente la vita giungeva a
compimento con la coerenza di un’opera d’arte”.
2. Leonardo Sciascia, Il cavaliere e la morte (Adelphi). Insieme a
Todo modo e a Nero su Nero, il libro imprescindibile per
comprendere, sia pure per lampi, come funziona e si riproduce il
potere in Italia: il potere chiesastico, il potere politico, il potere
giornalistico, il potere giudiziario. Fazioni e corporazioni al di sopra
e al di fuori della legge, guerre per bande, e una logica
dell’emergenza permanente in cui si accomoda ogni arbitrio. Come
diceva Sciascia, l’Italia è il paese più governabile che esista,
ingovernabili sono semmai coloro che, nei governi, lo reggono.
Memorabile annotazione sulla parola paninoteche, una delle parolesimbolo degli anni Ottanta: “Mi pare appesti insieme panetterie e
biblioteche”.
3. Jules Renard, Lo scroccone (Adelphi). Il critico d’arte Matteo
Marangoni, in un libro di educazione al gusto che mi ha
accompagnato per tutta l’infanzia (Saper vedere, del 1933)
raccontava di come a volte gli capitasse di ammirare per ore e ore
delle opere d’arte figurativa, senza mai domandarsi che cosa,
appunto, figurassero. Ora, io non so più bene cosa racconti Lo
scroccone, se non per cenni confusi (un uomo che si attacca come
un parassita alla vita di un altro e lo depreda di cibo, ricchezze e
soprattutto donne); eppure, ricordo poche ore di lettura così libere e
ammalianti. Capisco perché il libro sia così caro a Calasso: è il
quod erat demonstrandum della filosofia adelphiana della
letteratura assoluta, sgravata in ultimo dalla zavorra del mondo.
4. Giorgio Manganelli, Centuria (Rizzoli). Bisognerebbe farne una
543
Post/teca
serie televisiva, date retta a me: cento puntate sulla falsariga di The
Twilight Zone. Vi vendo l’idea per pochi milioni di euro, o per un
trilocale alla dimora Olgettina. I “cento piccoli romanzi-fiume” di
Manganelli hanno, del fiume, la proprietà più misteriosa ed elusiva:
non ci si può bagnare due volte nelle sue acque, come insegnava
Eraclito, e come sa chi legga più volte una qualunque di queste
prose, ritrovandola ad ogni nuova lettura irriconoscibile e mutata.
5. Augusto Frassineti, Tre bestemmie uguali e distinte (Feltrinelli).
L’atteggiamento verso lo humour nero è uno degli spartiacque
decisivi tra i diversi tipi di esseri umani, e questo vecchio libro di
Frassineti offre una buona occasione per dimostrarlo. La prima
delle tre bestemmie prefigura infatti la Soluzione finale al problema
dei bambini e della loro vocazione allo schiamazzo e alla
distruzione: “Non basta legare i bambini alla sedia, drogarli o
chiuderli nel cesso. Non serve tappar loro la bocca o il sedere con il
cerotto o con la plastilina. Non vale immettere corrente ad alta
tensione nelle strutture metalliche di recinzione dei giardinetti e dei
terreni edificabili, né chiudere a doppia mandata l’uscio del salotto
buono. Bisogna ucciderli“.
6. Charles Beaumont, Yonder. Stories of Fantasy and Science
Fiction (Bantam Books). Come molti autori che si sono fatti le ossa
sulle riviste pulp di fantascienza americane, Beaumont era uno
scrittore di grana grossa e di stile abborracciato. Aveva, però,
l’immaginazione di un metafisico autentico, e alcuni dei suoi
racconti sembrano provenire da quella stessa regione dove hanno
attinto Kafka e i Veda. In particolare Traumerei, vertiginosa fantasia
sacrificale dove il mondo intero si svela essere il sogno di un
condannato a morte.
7. Alberto Savinio, Dieci processi (Sellerio). Libro letto di
contraggenio, perché la sua pubblicazione nasconde, a quel che
so, poco onorevoli manovre baronali. I dieci processi sono tra i più
544
Post/teca
famosi della storia: Socrate, Giovanna D’Arco, Tommaso
Campanella, Galileo Galilei, Luigi XVI. A proposito di quest’ultimo,
Savinio annota: “Il punto debole della Rivoluzione Francese, è di
essere una rivoluzione francese. (…) I francesi sono maestri
nell’arte di creare l’affaire. E la rivoluzione del 1789 che altro è se
non un’affaire, e di tutte la più grossa?”. Qualche decennio più tardi,
Raymond Aron avrebbe scritto che il Maggio parigino era stato uno
psicodramma.
8. Anatole France, Crainquebille (Liberilibri). Ancora processi, ma
stavolta niente grandi nomi: un venditore di verdura fresca, e
un’imputazione senza importanza (aver detto “Porca vacca” a un
agente, se ben ricordo). Ma su questo caso insignificante si danno
convegno, quasi scendendo dai loro scranni celesti, tutti gli Dèi e i
Demoni della giustizia. “E in quel momento Crainquebille avrebbe
anche fatto una confessione piena se avesse saputo cosa doveva
confessare”. Introduzione e postfazione di Carlo Nordio, quasi più
interessanti del racconto. Dedica “A Calogero Mannino e alle altre
vittime di errori giudiziari”.
9. Paul Collins, La follia di Banvard (Adelphi). Tredici ritratti che
compongono una “galleria di sconfitti”: uomini che furono
famosissimi e coperti di onori, di cui i contemporanei scrissero elogi
strabilianti, certi di consegnarli alla storia; poi qualcosa andò storto,
un capriccio della fortuna, ed ecco che oggi sono dei perfetti
sconosciuti. La vicenda più incredibile è quella di William Henry
Ireland, “stupido di talento” disprezzato dal padre, che per ottenerne
la stima fabbricò falsi manoscritti di Shakespeare, tenendo in
scacco per anni i massimi esperti shakespeariani della sua epoca.
Da leggere accanto alla Sinagoga degli iconoclasti di Wilcock.
10. Friedgard Thoma, Per nulla al mondo. Un amore di Cioran
(L’orecchio di Van Gogh). Quel che potevo scriverne l’ho scritto in
questo articolo. Aggiungo solo che bisognerebbe leggerlo prima di
545
Post/teca
leggere qualunque altra cosa di Cioran; e allora se ne subirà tutto
l’incanto, certo, ma non più l’autorità sapienziale.
Top 10 – Saggistica o quasi
1. J. Rodolfo Wilcock, Il reato di scrivere (Adelphi). “Siamo arrivati
al punto che i peggiori impiegati delle lettere, critici che non
scarabocchiano una sillaba senza ispirarsi a un comunicato stampa
e scrittori vincitori di qualunque premio letterario ci possa venire in
mente (ed è impossibile ricordarli tutti), assai applauditi e magari
fanatici del rimborso spese, eccetera eccetera, siano anche i primi
accusatori della sempreverde corruzione letteraria. Molte carriere
libresche sono diventate così biforcute: coscienza inquieta e
stipendio fisso”. Così il curatore Edoardo Camurri nella postfazione.
Il piccolo libro di Wilcock permette di sbarazzarsi, in un colpo solo e
senza troppi rovelli, tanto della vanità letteraria quanto della vanità
di secondo grado dei fustigatori della vanità letteraria.
2. Roberto Calasso, L’ardore (Adelphi). Ne ho scritto in questo
articolo, proponendo una chiave di lettura alquanto lunatica:
L’ardore è un’auto-allegoria del catalogo Adelphi. Non aggiungo
nulla, anzi una sola cosa: piaccia o non piaccia Calasso, stiamo
parlando di un libro che consente di capire qualcosa dell’India dei
Veda e dei suoi intricatissimi sistemi filosofici e rituali, scritto in bello
stile da uno che conosce il sanscrito (e tutto il resto dello scibile).
Sapreste indicarmene altri?
3. Giuseppe Rensi, Critica dell’amore (Biblioteca di via Senato).
L’Italia del primo Novecento era popolata di figure eccentriche di
filosofi-scrittori, capaci di essere radicali fino alla dissennatezza
(una dissennatezza a tratti ilare, e assunta con spavalderia) e di
maneggiare la lingua con un estro e una padronanza da funamboli.
Rensi appartiene alla famiglia, e il suo libello contro l’amore, che
pare scritto dal fratello più misogino di Schopenhauer, uccide tutti i
chiari di luna che gli capitano a tiro. Prefazione (chi l’avrebbe mai
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Post/teca
detto?) di Filippo Facci.
4. Romano Amerio, Zibaldone (Lindau). Conobbi Romano Amerio
grazie a Elémire Zolla, che gli dedicò un bel ritratto in Uscite dal
mondo. Ma la mole delle sue opere (centinaia di pagine di
discussioni teologiche del dogma cattolico) mi aveva sempre
spaventato, tanto quanto mi attirava il suo italiano bello ed eletto, a
metà tra Manzoni e Giordano Bruno. Lo Zibaldone dei suoi pensieri
è il modo più indolore per incontrare Amerio, e offre un paio di
benefici rari: consente di osservare il nostro paese da un altro luogo
(la Svizzera italiana) e il nostro tempo da un altro tempo (il
Medioevo cristiano, grosso modo).
5. Oskar Panizza, Wagneriana (Spirali). Il chiaroveggente Panizza
intuì il punto d’osservazione fatale da cui trafiggere Wagner e il
wagnerismo: il pubblico, le sue reazioni, “i movimenti estatici, i
crampi mistici e il respiro brusco, scandito”. Era il 1891. Un secolo
dopo, ancora fatichiamo a riconoscere pienamente in Wagner il
capostipite dell’intera avventura del cinema (e dell’oltrecinema).
6. Luisa Passerini, Storie d’amore e d’Europa (L’Ancora del
Mediterraneo). Ai nostri giorni ci si accapiglia sulle “radici cristiane”
(o greche?) dell’Europa. Di nuovo: Atene o Gerusalemme? Ma per
un paio di decenni, tra le due guerre, qualcuno pensò che l’edificio
della civiltà europea poggiasse sul fondamento assai friabile di un
sentimento: l’amore romantico, di cui si rivendicava l’invenzione
nella Provenza del dodicesimo secolo, tra lirica trobadorica,
devozione mariana ed eresia catara. Era come erigere una
cattedrale su una nuvola; e infatti, la tesi che l’amore romantico
fosse sconosciuto all’antichità e all’Oriente oggi non la sostiene
quasi più nessuno. Ma questa splendida illusione ha lasciato sul
campo opere importanti. Tra queste, Allegoria d’amore di C.S.
Lewis e, soprattutto, L’Amore e l’Occidente di Denis de
Rougemont…
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Post/teca
7. Denis de Rougemont, Personnes du drame (Gallimard). …Il
quale De Rougemont (vedi sopra) non ha scritto solo L’Amore e
l’Occidente. Ha scritto anche un magnifico seguito (attenzione:
pubblicità subliminale) e un gran numero di opere di argomento
affine o confinante. Personnes du drame è la più affascinante, e i
ritratti di Goethe, Kierkegaard e Lutero sprizzano luce e intelligenza
da ogni parola.
8. Ernst Gombrich, Breve storia del mondo (Salani). Chi era
Annibale? E Filippo il Bello? E i Normanni? E che cos’era la lotta
per le investiture? E la disfida di Barletta? Lo abbiamo studiato a
scuola, e poi lo abbiamo dimenticato. O meglio: ci rimane in testa
una serie di nozioni che galleggiano come turaccioli in un mare di
confusione. Grazie a Gombrich, in trecento pagine, il disegno della
storia umana riprende forma. Direte voi: ma è un libro per bambini.
Motivo in più per essere umili, e leggerlo.
9. Elémire Zolla, Tre discorsi metafisici (Guida). Non è tra i migliori
di Zolla, ma è di certo il più introvabile: l’ho cercato per dieci anni.
Due dei tre scritti (Considerazioni su Bachofen, Lo scopo della vita)
non aggiungono granché al corpus zolliano. Ma il
terzo,Considerazioni sulla fiaba, lascia intravedere una regione in
ombra della mente di Zolla, quella che forse condivise più
intimamente con Cristina Campo. La fiaba offre “il potere di
affrontare la vita capovolgendo le norme della prudenza mondana”,
e per questo la odia “chi vorrebbe sottrarre all’uomo la capacità di
valicarsi”. Sembra di leggere Fiaba e mistero.
10. Charles Nodier, L’amateur de livres (Le Castor Astral). Basterà
riportare i titoli degli scritti raccolti in questo volumetto, tutti
composti nella prima metà dell’Ottocento, perché capiate come mai
Nodier mi è tanto caro: Le Bibliomane, Bibliographie des Fous, De
la monomanie réflective.
Top 5 – Attualità o quasi
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Post/teca
1. Paolo Flores d’Arcais – Giampiero Mughini, Il piccolo sinistrese
illustrato (SugarCo).Hanno fatto entrambi una brutta e zitellesca
fine. Il primo fa la tricoteuse a piè di forca per i qualunquisti del
Fatto di Travaglio, il secondo fa la starlette avvizzita in tv. Il
prefatore, Giorgio Bocca, si è ridotto come uno di quei vecchietti
bizzosi che sputacchiano per terra maledicendo il governo, i giovani
e l’internet. Ma che libro delizioso furono capaci di compilare,
trent’anni fa! Le voci raccolte nel glossario del sinistrese –
Autocritica, Fare il gioco di, Livello di scontro, Oggettivamente,
Riappropriarsi, Ribadire – sono come fazzoletti sporgenti dal
cilindro di un mago: provate a tirarne un lembo, ne uscirà fuori un
mondo.
2. Alessandro Dal Lago, Eroi di carta (Manifestolibri). Passa per
essere un libro contro Saviano, e senz’altro è anche questo. Se non
proprio con malanimo, è scritto con una vis polemica imbizzarrita
che a volte porta il ragionamento fuori corsia, o lo fa nitrire a vuoto.
Ma al netto di tutto questo, è un saggio di critica politico-culturale
nel senso migliore, diciamo pure di critica dell’ideologia. Quale
ideologia? Quella della “narrazione”, che tiene insieme Saviano e
Vendola, il New Italian Epic e gli eroi dei fumetti. Gli ingredienti
sono elencati correttamente, ma il cuoco è frettoloso e un po’
pasticcione.
3. Luca Simonetti, Mangi chi può (Mauro Pagliai). Anche questo è
un libro di critica dell’ideologia, nel senso schiettamente marxiano di
“falsa coscienza”. Il bersaglio è Slow Food, con la sua retorica dei
sapori antichi e del rapporto viscerale con la madre terra.
Dall’eccellente disamina di Simonetti l’organizzazione di Petrini
esce a pezzi, o meglio resta in piedi per quel che è, alla fin fine: un
club di ricchi crapuloni di sinistra, che hanno liberato la ghiottoneria
dai sensi di colpa della leisure class. Insomma, un modo per
emendare quelle vecchie caricature in cui il capitalista è un
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Post/teca
grassone in cilindro nero che s’ingozza alle spalle del popolo. Oggi
ci s’ingozza contro la società dell’abbondanza, a prezzi proibitivi per
il suddetto popolo.
4. Antonio Pascale, Scienza e sentimento (Einaudi). Dovrebbe far
parte della biblioteca minima di ogni persona di sinistra, specie
come strumento per recuperare al buon uso della ragione quelli che
soccombono alle sirene dei Grillo, delle Vandana Shiva, degli
apocalittici ossessionati dagli Ogm. Un libro bello, onesto, vorrei
dire perfino amichevole, che sembra riportare su un piano intimo e
colloquiale certe battaglie che Paolo Rossi (no, non il calciatore; no,
nemmeno il comico) conduce dai tempi di Immagini della
scienza(1977).
5. Carlo Nordio – Giuliano Pisapia, In attesa di giustizia (Guerini e
Associati). Una poltrona per due: quella di Ministro della Giustizia.
Non potremmo meritare di meglio, in Italia, di questi due
galantuomini garantisti, che da sponde opposte (il liberalismo
conservatore e illuminato, la sinistra libertaria poco incline alle
manette) giungono a conclusioni simili. A partire dalla separazione
delle carriere, e dalla riduzione della barbarie del carcere
preventivo. Vi si leggono anche molte illuminate parole sulle
intercettazioni (e qualche parola ingiusta sul caso Tortora).
Top 5 – Extravaganzas
1. Frédéric Pagès, La filosofia o l’arte di chiudere il becco alle
donne (Il Melangolo).Divertimento dotto sulla misoginia come
precondizione del filosofare. Per chi non se la sente di affrontare le
centinaia di pagine di Sesso e carattere di Weininger.
2. Francesco Chiesa, Galateo della lingua (Edizioni La Scuola).
Bisognerebbe scriverne uno nuovo, aggiornato ai nostri tempi e al
dilagare del “piuttosto che” o dell’“assolutamente sì”, cafoni che non
siamo altro. Questo è del 1942. Ci siamo abituati a sentir dire che le
bandiere garriscono al vento, ma nessuno “ha mai udito una
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Post/teca
bandiera far il verso dei gabbiani o delle comari arrabbiate:
metafora insopportabile attraverso le ripetizioni”.
3. Ruggiero Capone, Br esoteriche (Pagine edizioni). Le Brigate
Rosse erano una setta di assassini dediti al culto di Osiride, il lato
sinistro del potere iniziatico, e il loro simbolo – la stella a cinque
punte – era in realtà il Pentacolo dei satanisti. Tutto torna. Ne
scrissi qui.
4. Nicola Pezzoli, Tutta colpa di Tondelli (Kaos). Un autore non
pubblicato racconta la sua vicenda di autore non pubblicato, ed è,
questo, l’unico suo libro che viene pubblicato. Ne ho già scritto. La
risposta scanzonata alle petulanti Lettere a nessuno del petulante
Antonio Moresco, il libro più miserabile che ho letto nel 2009.
5. Ivan Bloch, La vita sessuale dei nostri tempi nei suoi rapporti con
la civiltà moderna(Sten). Scritta nei primi del Novecento, è una
formidabile opera medico-filosofica sulle abitudini sessuali della
specie umana, scritta da un “medico specialista delle malattie
celtiche e cutanee a Berlino”, come recita il frontespizio. Un libro
dove, per dirne una, la passione erotica per bambole e manichini è
accostata alla necrofilia, e a una terribile fantasia libertina di un
anonimo scrittore settecentesco, e a Pigmalione, e a cent’altre
cose. La mia edizione ha in appendice anche “tre capitoli originali di
Cesare Lombroso su:L’amore nel suicidio, nel delitto, nella pazzia“.
Top 5 – Classici
1. Martin Lutero, Contro i profeti celesti (Claudiana). L’intemerata di
Lutero contro Carlostadio e gli altri Schwarmgeister, o entusiasti. I
due temi di fondo – se la messa sia o meno un sacrificio, e se
occorra distruggere le immagini – sono in fin dei conti ancora affar
nostro.
2. Sebastian Franck, Paradossi (Morcelliana). Un grande e
misconosciuto mistico della Riforma, osannato da Prezzolini, e
anch’egli bersagliato da Lutero. Che stavolta, però, aveva torto.
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Post/teca
3. Francesco Petrarca, Secretum (Rizzoli). Per banale che sia, lo
dico: mentre lo leggevo, avevo l’impressione che fosse lui a leggere
me. Mi capita solo con Agostino, con Seneca, con i moralisti
classici. Tra le altre, ho annotato questa frase, che dovrebbe far da
bussola a molti ambiziosi: “Che se poi gli uomini conoscessero le
miserie che accompagnano chi occupa i supremi gradi, avrebbero
in orrore quello cui aspirano”.
4. Epitteto, Manuale (Garzanti). “Non frequentare senza ragione,
con tanta facilità, le pubbliche letture”. Dunque la mia avversione
per la moda dei reading può vantare nobili ascendenze stoiche.
5. Tomasi Di Lampedusa, Il Gattopardo (Feltrinelli). “Ma come, non
l’avevi letto?”. No. Cercavo la chiave giusta, e me l’ha offerta
Cristina Campo elogiando, di Lampedusa, “la sua titanica ironia, la
sua prodigiosa indifferenza ai falsi problemi, la spiegata felicità del
suo ritmo; qualcosa di simile a una di quelle arie illustri e negligenti
che i gentiluomini di un tempo fischiettavano avviandosi al duello:
giacché null’altro è il libro del principe di Lampedusa se non un
duello all’ultimo sangue tra la bellezza e la morte, e la sua morte,
tra l’altro”. Così, l’ho letto infischiandomene per quanto possibile di
sociologismi, questioni meridionali e fallimenti risorgimentali.
Bottom 5 – Ridatemi i Soldi
1. Jonathan Littell, Racconto su niente (Nottetempo). Ci sono autori
di un solo libro. Dirò di più: sono la maggior parte. Ma nessuno
glielo dice, men che mai lo ammettono loro a sé stessi, e così
inanellano, pur essendo biologicamente vivi, scritti postumi. Dopo
leBenevole, va pur detto, Littell non ha scritto che inezie.
2. Roberto Bolaño, La letteratura nazista in America (Sellerio).
Conoscere un autore che molti dicono grande per mezzo di un
brutto libro è una sfortuna, ma è quel che mi è capitato, e non so se
leggerò più 2666 o I detective selvaggi. Peccato.
3. Giorgio Saviane, L’inquisito (Lerici). Il libro, del 1961, non è
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Post/teca
granché, anche per gli appassionati di romanzi giudiziari. Peggio
ancora le circostanze della sua ripubblicazione, nel 1994, sull’onda
delle inchieste sulla corruzione e con introduzione di Pier Luigi
Vigna (!). Saviane sentì il bisogno di aggiungere una prefazione in
cui si mostrava quasi pentito di aver dato nobiltà morale alla figura
dell’inquisito. Erano i tempi, ricordiamolo, in cui “avviso di garanzia”
equivaleva a “giudizio di Cassazione”.
4. Harold Bloom, Angeli (Bollati Boringhieri). Chissà perché, varcati
i sessant’anni, molti dotti, letterati e filosofi di solida dottrina
s’incapricciano degli angeli e sentono il bisogno di scriverci un libro.
L’ultimo, a quanto pare, è Agamben. Quello di Bloom asseconda la
sua lunga fase declinante, di cui Omens of the Millennium era
un’avvisaglia fin troppo chiara.
5. Giuseppe Cruciani, Gli amici del terrorista. Chi protegge Cesare
Battisti (Sperling & Kupfer). Un pamphlet, un libro di battaglia,
dovrebbe puntare a convincere gli incerti e i tentennanti, o quanto
meno a innescare un dibattito con la parte avversa. Ma unpamphlet
sovreccitato e sopra le righe, che grida a ogni pagina “assassino”,
“complici” e “vergogna”, sortisce tutt’altro effetto: allontana i
dubbiosi, fa erigere un muro di dispetto ai contrari, e infastidisce chi
è già persuaso della bontà della causa. E allora, perché scriverlo?
E soprattutto: per chi?
fonte: http://www.internazionale.it/il-guvi-book-award-2010/
--------------------------------
La stupidità non si divide e non si somma, è
sempre tutta intera. Questo significa non solo
che prendere uno stupido o prenderne cento
553
Post/teca
è la stessa cosa, ma significa anche che basta
una sola persona stupida per avere una
società di stupidi. Basta uno solo che rubi per
dover chiudere le porte a chiave, uno solo che
pasticci i muri per avere i muri pasticciati,
uno solo che depositi stronzi di cane in
strada per obbligarti a guardare dove metti i
piedi.
La stupidità è così, omeopatica.
"
— in coma è meglio: IL GUSTO DI FAR MORIRE CARLO (via
gianlucavisconti, oneblood, uds)
(via batchiara)
------------
"Non basterà uno yoghurt per risolvere la tua
stitichezza mentale."
— (via littlemisshormone)
(via coqbaroque)
----------rinello:
la vera bellezza deve lasciare insoddisfatti: deve lasciare all’anima una parte
del suo desiderio.
554
Post/teca
Amélie Nothomb, “Le Sabotage amoureux”
---------------
"Nella solitudine, il solitario divora se stesso.
Nella moltitudine, lo divorano i molti.
Ora scegli."
—
- Friedrich W. Nietzsche
(via imlmfm)
----------“ Un bambino faceva le bolle di sapone
Dalla finestra quando mi fucilarono
Sulla piazza piantata di alberi senza nome,
una mattina deserta con poco sole
tra i rami secchi che non trattenevano le voci,
tra quinte grige di imposte sprangate
oscillavano effimere formazioni, grappoli
subito disfatti in acini trasparenti.
Un bimbo, solo una tenera macchia viva
In un rettangolo nero,
c’era un vasetto rosso sul davanzale,
la sola cosa rossa di quel giorno tutto grigio,
io non potevo vedere i suoi occhi
sentivo la sua anima appendersi dondolando
in cima alla cannuccia di paglia,
staccarsi con un brivido, volare in silenzio,
trattenere il fiato per pregare il vento,
attraversare il poco sole in punta di piedi,
rapita in una smorfia di felicità.
I miei carnefici gli voltavano le spalle,
nessuno di loro potè vedere le sue mani
sollevarsi in adorazione quando una bolla
più gonfia,la più bella di tutte,
partì dal davanzale come un pianeta di cristallo
e prima di scendere salì verso il tetto
come una preghiera, come una favola,
555
Post/teca
piena d’ogni dolcezza che non si può perdere,
intatta e vera per il suo tempo giusto,
non ci sono abbastanza plotoni d’esecuzione
in questo mondo e in ogni altro
per fucilare tutte le bolle di sapone.
“Fucilazione” di Gianni Rodari. (Grazie aMassimo Vitali) (via
seia)
via: http://365albe.tumblr.com/
---------------
Nada si racconta: così la mia vita è cambiata
Tutto nasce da un romanzo, Il mio cuore umano, uno struggente,
appassionato fiume di parole nello stile di Nada che racconta la storia di
un’infanzia e di un’adolescenza nella Toscana tra gli anni ‘50 e ‘60, di
un’educazione sentimentale indimenticabile e selvaggia alla vita, delle
vicende di una famiglia toccata dall’amore e dalla follia.
Da questa storia nasce Musicaromanzo uno spettacolo che vede la
bambina protagonista del libro raccontare della sua crescita, del tempo
che passa fino a diventare donna, e contemporaneamente racconta di un
ritorno all’infanzia vista, però, oggi, con gli occhi della maturità. Nello
stesso istante la bambina si vede donna e la donna si vede bambina e
insieme raccontano la vita, vista ognuna con gli occhi dell’altra. Storie,
poesie, prosa e canzoni, incontri e scoperte per dar vita ad un romanzo
in musica che racconta le visioni, i sogni, gli amori, le ferite e le paure
alla ricerca di un equilibrio tra l’ingenuità del passato e la conquista del
futuro. Musica, parole e Nada sul palco (sta girando l'Italia, se vi capita
non perdetela) con la sua un'anima fiammeggiante.
Quello che segue è uno stralcio tratto da Musicaromanzo
Era la fine di Febbraio esattamente il periodo di carnevale. Da tutte le
parti si festeggiava. Quella sera mio padre e mia madre erano andati a
ballare in un paese vicino, mia madre ballò così tanto che le si
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Post/teca
consumarono i tacchi, continuò a ballare a piedi nudi, sembrava felice,
tornata in se, e la notte tardi tornando a casa mio padre fermò la Vespa
in una stradina di campagna e fecero l´amore sotto la luna piena. Fu così
che: il 17 Novembre 1953 alle ore 17 sono nata a Gabbro vicino a
Livorno . La prima a vedermi fu mia nonna Mora che disse: "Non è tanto
bella" e precisò "sembra un coniglio".
piove piove lento lento
e fa freddo tira il vento
nella casa sta il bambino
nel suo nido l'uccellino
prese fuoco il mio gattino
e il ranocchio senza ombrello
sotto un fungo sta ben bello
Io, bambina innamorata della luna,non dormo mai. Sono molto triste,ho
paura della morte,suonano le campane fuori nella piazza,chiudo gli
occhi,tutto è fermo anche se sembra in movimento,mille cose da
fare,crescere è un dovere,mi alzo, mi allungo,tocco il cielo,piego le mie
ossa in una terribile mossa.Provo a spingere la memoria e si rimettono,
si annodano insieme milioni di fili,è’ un insieme di neuroni di piccoli nodi
che fanno di me un essere speciale;ci sono voluti pensieri
intrecciati,milioni di aghi e buchi neri perduti nelle pareti bianche, ed ora
nella mia stanza la guerra è finita,è tutto in orario,il treno è partito,un
vecchio sta fumando il sigaro...è’ un disegno che si è ingrandito,partito
da un puntino bianco e adesso è lì nel meccanismo perfetto.E si
rimettono si annodano insieme milioni di fili in rete,mi comunicheranno
che il mare è ingrossato,che la montagna si è sbriciolata come la
panna...milioni di bolle che volano tra nuvole di sabbia che esplodono, i
sogni si infrangono tra le onde dell'oceano.Io prigioniera sul davanzale
sorrido al destino che avanza e imbroglia la mia fiducia in tutti questi
meravigliosi oggetti che mi ruotano intorno: aeroplani,foglie di
granoturco...e il mio cane che aspetta in silenzio che finisca una sera
d’estate,e le rane non sanno più cosa sono,hanno perso l'identità,si
credono ragni e si arrampicano sui soffitti ed io mi chiedo: chi sarò
domani se sarò, chi sarò ?
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Post/teca
Fu proprio quella mattina di Luglio del 1968 che, mentre un temporale
estivo scuoteva le coscienze e nelle piazze di tutta Italia scoppiava la
rivoluzione, io, mio padre e mia madre salimmo sul pullman che ci portò
alla stazione. Alla stazione prendemmo il treno e da quel momento non
parlai piu....
Lei non parla mai lei non dice mai niente
ha bisogno d'affetto e pensa che il mondo non sia solo questo
non c'è niente di meglio che stare ferma dentro a uno specchio
come è giusto che sia quando la sua testa va giù
Era la prima volta che salivo su un treno, ma non mi importava niente,
non vedevo niente. Il mio sguardo correva sulla mia vita come il treno su
quei campi.
Vidi tutte le cose che amavo, ad occhi aperti, su quelle case che
tremavano, su quegli alberi che sparivano e il dolore era così forte che
ebbi paura per il mio cuore umano.
E mentre mia madre mi asciugava le lacrime seppi con certezza che la
mia vita sarebbe cambiata.
30 gennaio 2011
Fonte: http://www.unita.it/culture/nada-si-racconta-br-cosi-la-mia-vita-e-cambiata-1.269162
---------------------------------
"E scrivo della scoperta di Tumblr, o meglio,
della continua, lenta riscoperta. Che non è
uno strumento nuovo ma l’avevo
sottovalutato, non l’avevo capito forse. Ed è
una scoperta delle persone e della loro
558
Post/teca
umanità piu che della piattaforma, una
scoperta delle persone che però la
piattaforma favorisce. La regola è l’ascolto, è
un luogo dove citi contenuti altrui, dove le
uniche azioni consentite sono il like e il
reblog. Nessun commento. Nulla. Si
comunica in qualche modo a gesti, che quello
è sufficiente a mostrare il tuo sentirti in
sintonia. Ho trovato un luogo che trasuda
poesia, la poesia delle cose, moltiplicata e
amplificata da tanti occhi che la sanno
cogliere. Cogliere e insegnare."
— intima socialità - Il blog di Roberta Milano
(via batchiara)
---------------------------
"Viaggiare insegna lo spaesamento, a sentirsi
sempre stranieri nella vita, anche a casa
propria, ma essere stranieri fra stranieri è
forse l’unico modo di essere veramente
fratelli."
— cit. da Roberta Milano (via imod)
(via maisuccesso)
559
Post/teca
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CONFRONTO TRA CLAUDIO MAGRIS E V.S.NAIPAUL
In viaggio alla
scoperta
dell’altro
Un genere letterario
insidioso, che mise in
difficoltà anche Ibsen
UDINE — Dialogo attorno al viaggio. O meglio, attorno alla
letteratura di viaggio: i modi per affrontarla, l’evoluzione, i segreti (se ve
ne sono), i rischi. Due importanti scrittori— sir V. S. Naipaul, premio
Nobel, e Claudio Magris, finissimo letterato e saggista — si confrontano e
offrono un racconto sorprendente e ricco di spunti per il lettore, che poco
560
Post/teca
sa, e forse neppure immagina, di quel che sta prima dell’opera. Dei
preliminari, degli interrogativi che lo scrittore si pone al momento di
affrontarla. Sia Naipaul, londinese ma nato nelle Antille da una famiglia
caraibica discendente dagli immigrati indù, che Magris, triestino di
cultura mitteleuropea, hanno scritto libri di viaggio. «Consapevoli delle
difficoltà per l’io narrante che deve trasferire sulla pagina cose viste e
vissute, persone, luoghi, paesi e paesaggi. Facendo i conti con l’esterno,
attraverso se stessi. Qual è il metodo, allora, per superare l’impasse?
Scrivere del viaggio— si chiede e chiede Magris a Naipaul— aumenta il
controllo o libera maggiori emozioni?» .
Il confronto tra i due intellettuali si svolge a Udine, a buon
diritto capitale della cultura — ogni anno per un giorno — in occasione
del Premio Nonino, che si avvicina ormai al traguardo dei quarant’anni,
con il richiamo dei personaggi più importanti dell’umanesimo mondiale:
scrittori, drammaturghi, registi, antropologi, scienziati. L’albo d’oro
mette in mostra molti nomi, talvolta non di facile richiamo, ma di peso.
Fatto sta che, da questa edizione, come appendice della premiazione
nella distilleria della famiglia Nonino, a Percoto, si è deciso di
aggiungere, con il patrocinio del Comune, l’evento pubblico nel teatro
Palamostre del capoluogo friulano. L’esordio ha coinvolto il presidente
della giuria internazionale del Premio e uno dei giurati di lungo corso:
Naipaul e Magris, appunto. Per inciso, il primo vinse il «Nonino» nel
1993, anno in cui la giuria era presieduta dal secondo. Introduce lo
scrittore italiano, interpretando, con alcune considerazioni, il pensiero
del romanziere indiano. «Secondo Naipaul, viaggiare significa affrontare
innanzitutto il diverso. Può essere un mondo lontano, ma anche un luogo
vicino— dice Magris —. Egli è ritornato, a distanza di tanto tempo, nel
suo villaggio natale, Chaguanas, vicino a Trinidad. E ha scoperto una
nuova visione del suo mondo, come se i suoi fossero gli occhi del
visitatore, dell’altro. Viaggiare è comunque uscire da sé. Per me, ad
esempio, è come andare a pesca, buttare la rete a casaccio, raccogliendo
poi varie cose: storie vicende personaggi» . «Il punto nodale — continua
— è poi capire la differenza tra il viaggiare e lo scrivere del viaggio. Realtà
o fiction?» . Naipaul attacca con una premessa semplice, quasi banale:
«Viaggiare, in sé, significa vedere ciò che non conosciamo» . E, dopo aver
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Post/teca
ricordato i pessimi libri di viaggio che si scrivevano tra le due guerre
(«sembravano bollettini di statistica con elenchi di località» ), ricorda la
nascita successiva della letteratura di viaggio, complice la sensibilità dei
nuovi scrittori. Ma poi va al punto: cioè l’importanza del viaggio a tema e
della conseguente narrazione. «Non si tratta solo di narrare le parti del
mondo che vediamo — spiega — ma di comprendere in quale direzione il
mondo si sta muovendo» . «Ci ho messo un po’ a capirlo — dice — A
capire che occorre andare oltre» . Cita, allora, il famoso drammaturgo
norvegese Henrik Ibsen, che fece fiasco raccontando l’inaugurazione del
Canale di Suez, nel 1869. «Era stato invitato per l’occasione; pensò di
ripagare scrivendone il resoconto. Trascrisse ciò che aveva visto, per filo
e per segno. Risultato meno che mediocre» . «Se scriviamo senza uno
scopo — puntualizza — significa che non abbiamo molto da dire. Alcuni
pensano di ricavare cose interessanti puntando sulla descrizione di posti
esotici. Inutile» .
Senza contare che alcune bellezze sono un’invenzione. Lo fa notare
Claudio Magris, a proposito dell’universo caraibico, da dove Naipaul
proviene. Oggi si parla di resort e di spiagge da sogno, ma «la sua Trinidad
era un ambiente composto da comunità misere, chiuse, separate, indifferenti»
. «Eppoi che significa bellezza di un posto?— si domanda l’interlocutore — È
solo un’idea. Cent’anni fa, i viaggiatori europei visitavano Trinidad e Panama
indossando vestiti pesanti, muniti di ombrello parasole. Insomma, erano
costretti a difendersi da quella natura che oggi viene sfruttata ed esaltata» . Il
dialogo continua, sul filo della letteratura e del romanzo tout court. Che è
figlio del proprio tempo. Con una conclusione, a cui si unisce con un breve
intervento Javier Marías, vincitore del Nonino: quando si scrive, non si sa mai
dove si va.
Marisa Fumagalli
30 gennaio 2011(ultima modifica: 31 gennaio 2011)
fonte: http://www.corriere.it/cultura/11_gennaio_30/india-fumagalli_bab3ac18-2c5a-11e0-b8e200144f02aabc.shtml
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