Il paesaggio nel progetto urbanistico

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Il paesaggio nel progetto urbanistico
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EsempiDiArchitettura.it - ISSN: 2035-7982 - Tutti i diritti riservati - È vietata la riproduzione, anche parziale.
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esempi di architettura
Università degli Studi di Firenze
Facoltà di Architettura - Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio
Dottorato di Ricerca in Progettazione Urbana, Territoriale ed Ambientale – XVIII Ciclo
Elisa Palazzo
IL PAESAGGIO NEL PROGETTO URBANISTICO
EDA e-book
progetto editoriale a cura di Olimpia Niglio e Pietro Artale
Direttore Scientifico
Olimpia Niglio
Direttore Responsabile
Luca Parisato
Responsabile di Redazione
Anna Pietropolli
Università degli Studi di Firenze
Facoltà di Architettura - Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio
Dottorato di Ricerca in Progettazione Urbana, Territoriale ed Ambientale – XVIII Ciclo
Comitato Scientifico
Richard Horden
Rubén Hernandez Molina
Alberto Parducci
Piero Piccardi
Sergio Russo Ermolli
Enzo Siviero
Federica Visconti
Redattori dalle Università
Giuseppe De Giovanni
Marzia Marandola
Bruno Pelucca
Alessio Pipinato
Chiara Visentin
Marco Zerbinatti
Sito web www.esempidiarchitettura.it
Pietro Artale
Enrico Bono
Casa editrice il Prato
via Lombardia 41, 35020 Saonara (PD)
Aprile 2010
Copyright EdA, Esempi di Architettura
ISSN 2035-7982
Autore
Elisa Palazzo
Titolo
Il paesaggio nel progetto urbanistico
Progetto grafico e impaginazione a cura dell’autore
In copertina
Progetto per Lyon Confluence - Schizzo di Michel Desvigne
Questo lavoro costituisce un estratto delle ricerche sviluppate per la redazione della mia tesi di Dottorato
di Ricerca in Progettazione urbana territoriale ed ambientale tra il 2003 ed il 2006 e delle lezioni del corso
di Gestione Urbana tenute tra il 2007 e il 2009 presso la Facoltà di Architettura di Firenze. Un ringraziamento per l’aiuto, il supporto e l’incoraggiamento va al Prof. Gian Franco Di Pietro, a Bruno Pelucca e a
tutti quanti hanno discusso con me il tema di studio.
Elisa Palazzo
IL PAESAGGIO NEL PROGETTO URBANISTICO
INDICE
Introduzione
pag. 2
PARTE I
Il progetto urbanistico tra città e paesaggio
PARTE III
Contributi per la definizione di una strategia del progetto
urbanistico
I.1 Il gioco del rovescio
pag. 8
I.2 La città dentro il paesaggio
La progressiva apertura della città verso lo spazio
aperto del paesaggio rurale
I grandi piani dell’800 impostati sul concetto di verde
L’utopia borghese delle città giardino
F. L. Olmstead e i Park System americani
pag. 9
I.3 Il paesaggio come valore d’uso della città
I grandi riferimenti dell’urbanistica moderna ed il ruolo
del paesaggio nella costruzione dei modelli urbani
La città funzionalista ed il valore d’uso del paesaggio
Le realizzazioni del razionalismo
pag. 15
I.4 Il paesaggio dentro la città
I progetti e le realizzazioni a partire dalla critica
all’urbanistica funzionalista
Lo spazio aperto verde come connettivo delle strutture
insediative e fondamento della riflessione progettuale
pag. 22
pag. 56
III.1 Il paesaggio come metodo
Site specific planning. Sensibilità topologica e
razionalità topografica
La Mouvance. La dimensione temporale del territorio
Artialisation. Percezione, significati, pratiche, abitanti
Sistema ambientale e urban design
pag. 65
III.2 La verifica della teoria nelle operazioni concrete del
progetto:
La selezione dei progetti e il metodo di lettura
Indice tematico dei progetti
Progetti e sperimentazioni
pag. 96
III.3 Un approfondimento: il progetto per Lyon Confluence
Il contesto ambientale e urbano
Le strategie del progetto
Il progetto urbano
Un bilancio critico
pag. 109
III.4 Limiti e sviluppi della ricerca
PARTE II
Il concetto di paesaggio come aspetto strutturale del
progetto urbanistico: matrici culturali e teoriche
PARTE IV
I materiali della ricerca
II.1 La progettazione site specific come presupposto della
ricerca
Vittorio Gregotti: La forma del territorio
Kevin Lynch: The sensed landscape
Ian L. McHarg: Design with nature
Robert Smithson: A sedimentation of the mind
pag. 32
II.2 Le teorie del progetto in tre esperienze di ricerca
Progetto implicito o il paesaggio come metodo
Projet Urbain e Mouvance
La dimensione temporale del territorio
pag. 43
pag. 113
pag. 116
pag. 118
IV.1 Bibliografia
IV.2 Fonti iconografiche
IV.3 Siti web
Introduzione
1
“Negli ultimi tempi ho meditato seriamente sui problemi del paesaggio e dell’architettura, ho
tentato anche qualche esperimento, e ora vedo dove sbocca la via che percorro e quanto me
ne rimane da compiere.”
J. W. Goethe1
RAGIONI ED OBIETTIVI DELLA RICERCA
Il problema maggiore con cui sembra debba confrontarsi la nostra società in termini di
pianificazione del territorio è costituito dalla crisi profonda del concetto di distinzione tra città
e campagna. Sebbene il processo di diluizione delle forme urbane nel paesaggio rurale abbia
origini lontane nel tempo,2 la nostra cultura è ancora marcata profondamente da questa coppia
di categorie rappresentate dal mondo urbano e dal mondo rurale. La realtà fisica delle nostre
città, però, non coincide più completamente con questo modello “premoderno”. L’espansione
del costruito e del tessuto urbano nei territori agricoli e rurali ha determinato un mosaico di
spazi ibridi articolato secondo un alternarsi di pieni e di vuoti, di città e campagna, senza alcun
nesso apparente. La complessità dei territori è costituita dalla sovrapposizione di strati diversi
sedimentati nel tempo secondo una logica misteriosa di cancellazioni e di permanenze che
uno sguardo superficiale non può non classificare che come caotico e incoerente. Nella realtà
della pratica, l’urbanistica è chiamata sempre più a confrontarsi con frammenti di città dentro
la campagna e frammenti di campagna dentro la città senza avere a disposizione strumenti
propri ed adatti alla loro comprensione e gestione.
Bisogna rilevare, però, che questo discorso relativo alle nuove forme che la città sta assumendo
in un inarrestabile processo di diluizione nel paesaggio è legato intimamente a questioni più
generali di ordine ecologico. La progressiva sopraffazione dei caratteri ambientali del territorio
da parte degli insediamenti costruiti e delle reti, iniziato per altro con la città industriale del XVIII
secolo, ha raggiunto negli ultimi anni un altissimo grado di irreversibilità. Ciò rende urgente
ed imprescindibile una maggior consapevolezza delle nostre responsabilità nei confronti
dell’ambiente naturale e degli habitat e la necessità di analizzare in profondità il rapporto tra
progettazione dell’ambiente naturale e progettazione degli insediamenti.
In questo senso negli ultimi anni è riconoscibile un progressivo aumento dell’interesse
intorno a tematiche e discipline che si trovano ad operare a cavallo tra città e paesaggio.
Specialmente nell’ambito della tradizione progressista si è sviluppata una sensibilità per il
ruolo positivo che gli spazi pubblici naturali, i parchi, i giardini, il verde in città, le aree agricole,
gli orti metropolitani hanno nel riequilibrare l’estrema artificialità della vita urbana rispondendo
a logiche salutistiche e ricreative ma anche come luoghi di pratiche e di mobilità alternative
e riserva di naturalità. Questa tendenza è riconoscibile a partire dagli ultimi 10-15 anni
specialmente in alcuni paesi europei come la Francia e la Germania in cui molte politiche
urbane si sono andate gradualmente spostando sul discorso ambientale.
In questo contesto di strumentazione urbanistica si stanno moltiplicando i casi di progettazione
urbana in stretto rapporto con il contesto ambientale e paesaggistico sia che si tratti della
proposta di nuovi insediamenti, sia che si tratti di riqualificazione e rivalorizzazione di luoghi
esistenti. Si delinea quindi la necessità di individuare quali possano essere effettivamente i
contributi che questa direzione offre agli strumenti operativi del progetto urbanistico, attraverso
quali presupposti teorici e culturali, quali siano le direzioni che questa attitudine ha intrapreso
fino ad oggi nel panorama europeo e con quali modalità questo avvenga.
In particolare si propone di indagare le potenzialità di metodi operativi in grado di ritenere la
complessità e lo spessore dei luoghi e dei materiali dei nuovi territori suburbani in alternativa
alla logica dei programmi e dei progetti esogeni.
La ricerca indaga, in definitiva, intorno alla possibilità di ripensare la disciplina del progetto
urbanistico a partire dal concetto di paesaggio come aspetto strutturale della città e alla verifica
dei possibili apporti delle discipline ad esso afferenti in termini metodologici e operativi.
2
I presupposti della ricerca
I presupposti della ricerca si sviluppano a partire
dall’osservazione del “paesaggio di mezzo” che caratterizza
l’ambiente suburbano della città contemporanea.
È evidente come la progressiva dilatazione della città
sia strettamente correlato alla sparizione del paesaggio
rurale.
L’abbandono
delle
strutture
economiche
tradizionali, che modellavano e conformavano il paesaggio
“antropogeografico”3, per un agricoltura di mercato ha messo
in crisi prima di tutto il sistema morfologico delle aree rurali,
la loro conformazione fisica, il loro essere “paesaggio”. La
perdita delle tecniche tradizionali e la trasformazione degli
strumenti ha fatto si che l’agricoltura corrente perdesse la
capacità di radicarsi sulla geografia dei luoghi rendendola
intelligibile4. La stessa cosa si può dire per quanto riguarda
le reti dei trasporti, appoggiate indifferentemente sul
territorio grazie a strumentazioni e tecniche che consentono
il superamento, attraverso la cancellazione, di qualsiasi
ostacolo orografico. Il risultato di questi processi è stato
quello dell’impoverimento, dell’indifferenziazione e della
banalizzazione del mondo rurale, la perdita di biodiversità.
L’abbandono e la marginalizzazione dei terreni da una parte,
la loro “riscrittura” secondo tecniche moderne dall’altra hanno
operato un cambiamento radicale nella struttura fisica del
mondo agricolo rendendo più sensibili i terreni alle forze di
espansione immobiliare della città. Questo processo circolare
che si propaga secondo un processo “a macchia d’olio” ha
determinato quello che oggi noi definiamo “paesaggio della
dispersione insediativa” e che caratterizza più o meno tutti
gli insediamenti abitati. Più volte è stato fatto il tentativo di
definirlo con nuove terminologie ma l’esercizio di riempire il
vuoto lessicale “nominando” non ne cambia la sostanza né
arresta i fenomeni, né tanto meno ha contribuito a chiarire le
ragioni della sua essenza.5 Tra tutte le definizioni quella che
figura 1
“after sprawl” - Spazio aperto nel
territorio densamente costruito tra
Antwerp, Ghent, Brussels, Louvain.
Geyter architects - 2002
ci sembra più precisa nel rivelare la complessità e profondità
dei fenomeni e delle forme della città è quella di ipercittà di
Andrè Corboz per la sua capacità di comprendere insieme,
senza escluderne nessuno, tutti i materiali che costituiscono
l’essenza territoriale: reti infrastrutturali, centralità più o meno
storiche, tracce di usi ed insediamenti desueti, pezzi di tessuti
agricoli, strutture ambientali, …, tutti leggibili con modalità
diverse, interconnesse e trasversali, come in un gigantesco
ipertesto.6
In realtà è dall’ecologia di paesaggio che ci proviene la
prima chiave per una comprensione dei fenomeni della
3
città diffusa ed una loro parziale “riabilitazione”. Michel Corajoud sostiene, in questo senso
che nell’esperienza del progettista di paesaggio lo spazio della città, qualsiasi sia la sua
conformazione, è da considerarsi come un vero e proprio “ecosistema” in cui tutti gli elementi,
naturali o artificiali, tessono tra loro una molteplicità di scambi e mutue relazioni.7
Questioni disciplinari
Vari autori hanno sottolineato come la strumentazione urbanistica si sia dimostrata inadeguata
a governare, strutturare e prevedere le forme della città suburbana. In particolare è stata messa
in risalto l’obsolescenza tematica e concettuale dell’urbanistica del XX secolo nei confronti
della dissoluzione delle forme della città.8 Difatti l’urbanistica tradizionale si è prevalentemente
occupata di disporre e definire gli oggetti architettonici determinandone quantità e funzioni
piuttosto che organizzarli e relazionarli tra loro, partendo dal presupposto del primato dell’habitat
umano sull’ambiente naturale. Inoltre, storicamente, l’urbanistica ha affinato e applicato i suoi
strumenti su contesti urbani come quelli dei centri storici e delle periferie consolidate mentre
manca completamente di esperienza, modelli, riferimenti per quanto riguarda la città della
dispersione insediativa dove le forze di mercato, senza regole e programmi prestabiliti, ed una
molteplicità di “microrazionalità” determinano gli assetti morfologici del territorio.
Ma allora quali sono i principi dobbiamo adottare per la trasformazione questi spazi senza
un modello di riferimento? Come affrontare i meccanismi della grande scala se gli strumenti
concettuali risultano operativi solo alle scale ridotte? 9
Queste domande spingono ad ampliare il campo della ricerca oltre i tradizionali confini
disciplinari e a rivolgere lo sguardo a quelle pratiche in grado di confrontarsi con la scala,
le forme e la dispersione dei nuovi territori, le problematiche ambientali e le preoccupazioni
ecologiche.
La rifondamentazione del processo progettuale
L’accelerazione nelle modificazioni dell’ambiente urbano e rurale a tutte le scale esige la
definizione di metodologie e strumentazioni progettuali efficaci sulle nuove forme di città a
partire da nuovi presupposti.
Scomparsa l’opposizione tra città e campagna la “rappresentazione mentale tradizionale della
città” non ha più corso, perché impedisce di “ideare i mezzi necessari a guidare il divenire”10.
E necessario quindi cambiare alcuni dei nostri presupposti, operare uno slittamento del nostro
sguardo sui territori del paesaggio urbano contemporaneo per rintracciare nuove modalità nel
fare e nell’operare.
La ricerca tenta di indicare qualche direzione percorribile individuando, innanzi tutto, tre
questioni fondamentali:
il superamento di una certa banalizzazione del dibattito sul paesaggio e sulla città diffusa a
partire dal riconoscimento di una loro dimensione fisica; la necessità di ricentrare il discorso
intorno alle specificità disciplinari del progetto urbanistico e alle sue competenze su forma e
riflessione sperimentale; il ricorso all’ambito operativo delle discipline paesaggistiche.
1 - la progettazione in un’ottica “site specific”11
Le analisi dei materiali costituenti la città portano inevitabilmente a riconoscere l’unicità di ogni
situazione urbana contingente e la specificità di ogni territorio.12
La successione storica di orografia, reti idrografiche, macrosistemi ambientali, reti infrastrutturali,
parcellizzazione fondiarie ed agricole, morfologia del costruito e della vegetazione, ha costituito
una sedimentazione progressiva di materiali che si sono stratificati secondo logiche temporali
lentissime, sconosciute all’accelerazione dei fenomeni della contemporaneità. Ogni strato si è
costituito in successione secondo ragioni sempre diverse da cui si può dedurre che non esiste
una città uguale all’altra così come non esiste un territorio uguale ad un altro.
Rinnovare lo sguardo sulla città significa, allora, rifiutare l’apologia alla città “generica”13 e
sbarazzarci di quell’habitus di osservazioni superficiali secondo cui la città contemporanea
non sia comprensibile se non come caos, omogeneizzazione, aleatorietà.
I problemi urbani che si pongono a noi oggi sono, ovviamente, imprescindibili da questa
situazione contingente. È compito del progetto saper riconoscere tale specificità ed adeguare i
suoi modi operativi alla complessità dello spazio contemporaneo rinunciando a formulare modelli
formali dati a priori. Tale riflessione suggerisce la possibilità di processi di riorganizzazione in
alternativa al controllo esogeno della pianificazione tradizionale cioè costruiti a partire dalle
conformazioni, esigenze e specificità dei luoghi. In tal senso si muove anche il pensiero
ambientale ed ecologico che riconosce nel tema della sostenibilità la principale ragione per
ridurre le risorse impegnate nelle grandi operazioni di trasformazione urbana.
La necessità di una legittimazione delle questioni poste dalla ricerca richiede di porre degli
interrogativi esatti, specifici, pertinenti alle questioni enunciate.14 Riordinare, restituire senso e
fruibilità agli spazi della città diffusa implica un atto di osservazione ravvicinata ed in profondità
che renda intelleggibile le sedimentazioni suburbane e che costituisca la base di partenza per
l’elaborazione di strategie puntuali e limitate.15
In questo discorso si inserisce il problema delle tecniche che consentono la lettura delle
peculiarità di un territorio. Il disegno, le tecniche di rappresentazione e tutti quegli strumenti che
consentono l’analisi dei luoghi hanno un ruolo centrale per ri-pensare la città contemporanea,
che altrimenti sfugge a qualsiasi metro di comprensione, e “pour poser des questions au
territoire”.16
2 – Progetto urbanistico e specificità disciplinare
L’incapacità di comprendere appieno la città contemporanea e di riconoscere un orizzonte
di senso ai materiali che la compongono sembra aver eliminato ogni giustificazione se non
ogni necessità di un suo progetto.17 Il discorso che deve essere portato avanti, quindi, non
riguarda solo gli aspetti interpretativi e conoscitivi, l’analisi e la lettura dei territori suburbani.
È necessaria, in realtà, la definizione di una pratica sperimentale che applichi tecniche e
strumenti in grado di “vedere” la sostanza dei luoghi e che contempli la possibilità reale di una
rivalorizzazione dello spazio attraverso azioni concrete oltre che mentali. In questa pratica
si possono riconoscere le caratteristiche del progetto urbanistico intesa come disciplina di
“mezzo” che colma il vuoto tra pianificazione e progetto edilizio.
Il progetto è terreno comune a molte discipline ma è proprio delle discipline dell’architettura
di dare ad esso un esito spaziale oltre che linguistico.18 Quindi la specificità disciplinare del
progetto urbanistico è rintracciabile nella pertinenza ad operare sullo spazio della città, nella
“cura della forma”.
In particolare si vuole qui usare il termine “progetto urbanistico” nel senso di “projet urbain”
alla francese cioè come strumento capace di articolare alle diverse scale e in tempi diversi sia
gli aspetti spaziali, figurativi e formali che quelli sociali dell’intervento urbanistico mediante un
“asse morfologico” e un “asse del processo”, il primo riferito all’organizzazione dello spazio,
4
il secondo alla capacità di trasformazione lungo il tempo.19 In questo senso è allora possibile
parlare, soprattutto nell’ambito della tradizione francese, di una “cultura del progetto urbano”
in cui emergono chiaramente alcuni aspetti: l’attenzione al contesto e alla storia dei luoghi,
la considerazione della componente temporale nel processo di costruzione della città, la
convinzione nella proposta di una mixitè degli usi con particolare attenzione alla complessità
sociale, tipologica e paesaggistica.
Nella specificità disciplinare del progetto urbanistico risiedono capacità e attitudini che derivano
dalla lunga tradizione accumulata di lavoro sullo spazio pubblico: le strade, le infrastrutture, i
parchi e giardini e più in generale tutti gli spazi aperti e destinati alla collettività. Parte di questo
bagaglio acquisito di esperienze, tecniche e progetti è comune con altre discipline che si sono
occupate della gestione e della conformazione degli spazi aperti e dei contesti naturali e rurali,
nello specifico le scienze ambientali, la topografia, la geografia, l’architettura di paesaggio.
3 – L’alternativa del paesaggio20
È interessante notare come per affrontare le problematiche di un territorio sospeso fra città
e campagna le idee più proficue provengano proprio da campi disciplinari sul confine tra
architettura e paesaggio, come se la complessità morfologica debba riflettersi in un pensiero
complesso e analogico. L’architettura di paesaggio sembra apportare un terreno più fertile
anche per quella sua specificità disciplinari che trova nell’intenzionalità estetica e nella cura
della forma urbana un terreno comune con la progettazione urbanistica.
Secondo Sebastien Marot21 la forza dei paesaggisti risiede nella loro capacità di coltivare una
cultura comune a città e campagna che li porta a “riscoprire la città come una sedimentazione
di interpretazioni successive, come un sito, e dall’altra parte a considerare la campagna come
prodotta e conservata storicamente, come un artefatto”22. Più in generale l’efficacia delle
discipline del paesaggio nell’affrontare i temi della “rurbanizzazione”23 è individuata in alcune
tematiche specifiche che si possono così brevemente riassumere:
- l’abitudine/familiarità a lavorare con il materiale “vivo” della vegetazione, a lavorare
con le dinamiche temporali diverse, a comprendere i processi naturali e ad includere
programmaticamente nel progetto il margine di imprevedibilità che questo comporta;
- la capacità di attraversare tutte le scale e di saper mettere in relazione il territorio con la
costruzione fisica dello spazio urbano; il passaggio dal dettaglio costruttivo alla scala ambientale
consente di legittimare e radicare il progetto architettonico ed urbanistico nel substrato
territoriale, di riconsiderare la possibilità di operare concretamente/fisicamente alla grande
scala geografica; il progetto è accompagnato dalla fase di pianificazione e programmazione
astratta fino agli esiti della realizzazione con lo scopo della costruzione fisica dello spazio;
- il progetto di paesaggio come progetto di spazio pubblico dove la fruibilità costituisce la
preoccupazione primaria; il lavoro sullo spazio vuoto, aperto e gli spazi interstiziali operando
attraverso il “progetto di suolo”24 e l’architettura di altezza “zero”;
- la capacità di un intervento endogeno attraverso il radicamento del progetto a partire dai
materiali presenti sul sito25, il recupero degli elementi della memoria e la lettura ed integrazioni
delle permanenze degli antichi usi del territorio;
- la capacità di lavorare in sinergia con le altre discipline urbane relativi a mobilità, architettura,
progettazione urbana, arte urbana;
- la capacità di rielaborare tutti questi elementi in una prospettiva creativa e con una visione
estetica molto prossima a quella degli architetti contestualisti ed ai progettisti urbani.
METODO E STRUTTURA DELLA RICERCA
La ricerca riveste un carattere principalmente operativo e si muove a partire da quei casi in
cui il contesto ambientale e paesaggistico assume un valore strutturale nel progetto delle
trasformazioni urbane. L’obbiettivo principale è delineare quali siano i possibili contributi che
questa direzione offre alla strumentazione operativa, attraverso quali presupposti teorici e
culturali, quali siano le direzioni percorribili e con quali modalità.
La ricerca è strutturata secondo tre grandi capitoli.
1 - il gioco del rovescio26
Il primo capitolo ricostruisce la storia e l’evoluzione del progetto urbanistico che si muove
tra città e paesaggio. La rilettura dell’urbanistica moderna europea è orientata operando un
rovesciamento di prospettiva e cioè rivolgendo l’attenzione ai vuoti piuttosto che ai pieni, agli
spazi aperti ed al paesaggio piuttosto che a quelli costruiti, alle relazioni tra le parti piuttosto
che agli oggetti.27 La riflessione si sviluppa da un punto di vista alternativo e complementare
a quello usuale cercando di riconoscere nella storia dello sviluppo degli insediamenti un filo
conduttore comune che li mette in relazione con il paesaggio e l’ambiente.
La relazione tra città e paesaggio, tra aree edificate e campagna è un tema centrale nel
discorso urbanistico almeno a partire dalla prima metà del ‘700. In questo senso l’evoluzione
del “verde” come materiale urbano e della progressiva concettualizzazione dell’idea di
paesaggio può essere studiata ripercorrendo i grandi riferimenti dell’urbanistica, i piani, le
teorizzazioni degli ultimi 200 anni.
Il capitolo è suddiviso in tre parti che corrispondono a tre diversi stadi di sviluppo della città
nel territorio circostante: la città dentro il paesaggio cioè la progressiva apertura della città
oltre i suoi limiti storici e verso lo spazio aperto rurale; l’acquisizione del concetto di paesaggio
come valore d’uso della città ed il suo ruolo nella costruzione dei modelli urbani moderni; il
paesaggio dentro la città cioè il percorso che sta gradualmente portando ad un’idea di spazio
aperto come connettivo delle strutture insediative.
2 – matrici culturali e teoriche
Il secondo capitolo indaga sulle matrici culturali e teoriche del concetto di paesaggio come
aspetto strutturale e formale del progetto urbanistico.
Nella prima parte del capitolo sono messi in luce quei filoni di ricerca che, sino dalla fine degli
anni ’60, hanno individuato nel paesaggio e nel territorio un campo di approfondimento da
abbordare con gli strumenti della progettazione. Si tratta di quattro direzioni afferenti a discipline
diverse e, all’epoca, forse anche in contrapposizione: architettura, ecological planning, Land
Art, Site Planning ma che hanno saputo vedere nella conformazione dei luoghi il principale
spunto su cui fondare le scelte di progetto.
Nella seconda parte del capitolo sono approfonditi gli apporti teorici che in qualche modo
hanno colto quei presupposti e li hanno sviluppati con modalità e direzioni originali secondo
un’idea concreta di progetto attraverso la ricerca in campo didattico. Si tratta di tre ambiti
accademici in Europa che almeno dall’inizio degli anni ’80 hanno individuato nel paesaggio
una possibile risorsa e fonte di materiali nuovi per la progettazione urbana.
3 – il riscontro della teoria nelle operazioni concrete del progetto
Il terzo capitolo della ricerca, a partire dall’analisi di una serie di progetti recenti, tenta
5
un’estrapolazione di dispositivi e principi operativi ad uso del progetto urbanistico.
Sono innanzi tutto individuate alcune linee progettuali ricche di implicazioni operative che
riassumono gli itinerari sperimentali e i principali assunti teorici dei progetti di trasformazione
che si muovono tra città e paesaggio.
La ricerca si propone quindi di operare una verifica dei principi teorici nelle occasioni concrete
del progetto. Questo significa andare ad analizzare come e se questi siano stati applicati e resi
operativi, con quali esiti e modalità, attraverso quali dispositivi operativi e formali.
In questo senso la lettura di alcuni progetti recenti ha l’obbiettivo di costituire un bagaglio o una
“cassetta degli attrezzi” ideale e a cui poter attingere, costituita da un campione significativo
di “case studies”. Non si tratta, quindi, di realizzare un repertorio sistematico di progetti recenti
quanto di operare una lettura critica e selettiva dei contributi alla definizione di nuove modalità e
strategie nell’ambito del progetto dell’ambiente urbano. Assumendo come elemento costitutivo
l’esistenza di una pluralità di percorsi possibili attraverso una molteplicità di materiali e prodotti
la ricerca suggerisce di procedere per comparazione, ricavare spunti, indicare alcune ulteriori
direzioni di indagine per prefigurare possibili temi di un’applicazione progettuale a cavallo tra
città e campagna.
NOTE
1
J. W. GOETHE, Viaggio in Italia, Mondadori, Milano, p.430
Leonardo Benevolo situa simbolicamente la nascita della nozione di spazio aperto contemporaneo al 1756, anno della
nascita di Mozart, in corrispondenza all’elaborazione della teoria dell’abbandono della regolarità geometrica applicato
da Browns e Chambers alla progettazione dei giardini negli stessi anni. Da questo presupposto si svilupperanno
l’esperienza paesistica di Olmstead, il superamento dei confini percettivi del campo visivo su cui si fonda la sensibilità
moderna, la capacità di pensare spazi astratti da riferimenti antropomorfici. La città contemporanea si svilupperà in
base a questa civiltà figurativa nuova. Cfr. BENEVOLO LEONARDO (1991), La cattura dell’infinito, Laterza, Bari, p. 73.
3
Usando l’accezione di: “ambiente modificato dall’opera o dalla presenza dell’uomo”, Sestini (1947), Il paesaggio
antropogeografico come forma di equilibrio, «Bollettino della società geografica Italiana», gennaio-febbraio 1947.
4
MAROT SEBASTIEN (1995), «L’alternative du paysage», Le Visiteur 1 – ville, territoire, paysage, architecture, Société
des Architectes, Paris, p. 54
5
Per i vari neologismi coniati per definire la forma della città contemporanea si veda CORBOZ ANDRÉ (2000), «La Suisse
comme hiperville», Le Visiteur 6 – ville, territoire, paysage, architecture, Société des Architectes, Paris, p.125, in cui
vengono identificati: conurbation, mégalopole, galaxie urbaine, post-urbain, la città diffusa, la ville extensive, métapolis, suburbanisme, corapole, Zwischenstadt, la décentralisation concentrée.
6
Ibidem: «Dans le vide lexical qui caractérise aujourd’hui les établissements humains de très grandes dimensions en
Occident, le termes d’hyperville aurait l’avantage de ne pas préjuger de la densité (contrairement à « ville extensive
» ou « ville diffuse ») et de ne, pas s’opposer aux villes « historiques », puisque celles-ci sont elles-mêmes des
constituants de l’hyperville. Certes, il s’agit d’une métaphore, et l’analogie ne peut être poussée jusqu’à l’homologie,
du moment qu’elle ne rend pas compte de toute la réalité : dans le territoire, les « textes » sont très souvent mêlés,
superposés, partiellement effacés, ce qui n’est jamais le cas dans l’ordinateur.”
7
In: CORAJOUD MICHEL (2003), «Geometriè e tracès», in: Michel Corajoud et cinq grandes figures de l’urbanisme, Ed.
de la Villette Paris, p. 25
2
8
Vedi, per esempio, GABELLINI PATRIZIA, Tecniche urbanistiche, Carocci, Roma, 2004. Sulla crisi disciplinare,
l’inadeguatezza tecnica del Piano, p. 39; sulla necessità di ricentrare il piano sugli aspetti fisici della città, sulla
rivalutazione delle discipline morfologiche, sulla considerazione dei vuoti anziché i pieni p.41. Si veda anche SECCHI
BERNARDO (2000), Prima lezione di urbanistica, Laterza, Bari, p.169.
9
MASBOUNGI ARIELLA (2004), “Il progetto urbano alla francese”, in: +città, urbanregeneration, Genova, pp.67-72
10
ANDRÈ CORBOZ, Verso la città territorio, in: Ordine sparso, Milano Franco Angeli, 1998, p.214. Non si tratta qui, per
Corboz, di rifiutare un modello morfologico a priori, la tipologia edilizia, la conformazione dello spazio urbano della
città storica, quanto di operare un superamento delle categorie di pensiero legate alla percezione dello spazio.
11
Il termine è stato utilizzato per la prima volta nell’ambito della Land Art. La nota 11 del testo di Sebastien Marot
riporta la classificazione elaborata dal Land-artist Americano Robert Irwin per descrivere il rapporto di mutua
interferenza/influenza tra un’opera ed il suo sito: site-dominant, site-adjusted, site-specific and site-generated. Le
quattro classificazioni sono ordinate secondo la loro attitudine a recepire le qualità e le caratteristiche dei luoghi. Cfr.
MAROT SEBASTIEN (1995), cit. p.79. Si vedano anche il capitolo di questa stessa ricerca dedicato al Land Artist Robert
Smithson.
12
CORAJOUD MICHEL (2004), «L’Horizon», Faces/5: “La crise actuelle de la ville est bien celle de sa périphérie. Certains
défendent aujourd’hui l’idée que la modernité se caractériserait par le principe de l’accumulation simple: la « ville émergente
»; ils pensent que le principe de l’articulation et la relation entre les choses est une notion désuète. Personnellement
je pense le contraire. Ce qui disqualifie la périphérie de la ville, c’est justement le manque de lien entre les choses.
Beaucoup trop d’architectures aujourd’hui affirment leurs qualités par le célibat, par le fait qu’elles s’expriment «
seules ». Avec l’idée qu’elles doivent apparaître un jour dans une revue, au milieu d’une page bien claire, sans rien
autour. La question de la connivence, de l’interrelation, la question du contexte n’est, semble-t-il, pas au centre des
préoccupations de l’urbanisme.
Dans l’étude du projet de la plaine St Denis, nous avons tenté l’inverse. Nous pensions réorganiser cette ancienne
plaine industrielle à partir du réseau des espaces publics et du paysage: les rues, les plantations des rues, les places,
les jardins, le réseau des eaux pluviales, etc. - seraient pensés en toute priorité pour créer suffisamment de liens et
qu’ensuite les architectures privées s’expriment, dans le parcellaire, plus librement.”
13
KOLHAAS REM (1995), “The generic city”, SMXXL, 010 Publisher, Rotterdam
14
“D’una risposta che non si può formulare non può formularsi neppure la domanda. L’enigma non v’è. Se una
domanda può porsi, può anche avere una risposta.” Cfr. WITTGEINSTEIN LUDWIG (1995) Tractatus logico-philosophicus
e quaderni 1914-1916, Einaudi, Torino, p.108
15
Si esprime qui una posizione molto simile a quella sviluppata in ambito operativo da Cesare Macchi Cassia nel
Corso di Progettazione urbanistica del Politecnico di Milano, seppure avulsa da qualsiasi considerazione di tipo
ambientale e paesaggistico. Cfr. MACCHI CASSIA CESARE [a cura di] (1998), Il progetto del territorio urbano, Franco
Angeli, Milano, p. 13.
16
Dall’intervista ad Alain Leveillè realizzata a Ginevra a cura dell’autrice il 15 giugno 2005: “il disegno e la precisione
descrittiva come ausilio per questionare il territorio, porre delle domande che riuniscano le condizioni per idee di
modificazione. Migliore sarà la capacità di leggere la configurazione attuale, migliore sarà la sua descrizione e il
rapporto di intelligenza che si instaurerà con le cose. La descrizione del territorio come strumento per intravedere
delle piste, delle direzioni che indicano quali sia l’attitudine del territorio a ricevere il nuovo.”
17
SECCHI BERNARDO (2001), “La città europea contemporanea e il suo progetto”, Atti del ciclo di convegni “Lezioni di
storia urbana”, Ass. alla cultura del comune di Modena, Modena.
18
GREGOTTI VITTORIO (1990), Cinque dialoghi necessari, Electa, Milano, p. 29
19
La definizione di R. Tabouret (Tabouret R. (1989), Fondaments du projet urbain: processus et enjeux, École
d’Architecture de Strasbourg, Strasburgo) è tratta da testo: SAINZ GUTIÉRREZ VICTORIANO (2005), Otro modo de concebir
el urbanismo. La trayectoria del morfologismo en Italia y Francia, Universidad de Siviglia, Siviglia, p.31
20
MAROT SEBASTIEN (1995), «L’alternative du paysage», cit.
21
Sebastien Marot è filosofo di formazione, direttore della rivista Le Visiteur dell’Associazione degli Architetti francesi
e professore presso Lo IUAG di Ginevra. Si occupa di paesaggio e filosofia della città.
22
MAROT SEBASTIEN (1995), «L’alternative du paysage», cit. p. 65
23
“La Rurbanisation» résulte de déploiement et de la dissémination des villes, dans l’espace; en conséquence, est
«rurbaine», selon une premiére définition approxìmatwe et provisoire, une zone rurali - proche de centres urbains et
subissant l’apport résidentiel d’une population nouvelle, caractérisée cependant par la subsistance d’un espace non
urbanisé très largement dominant. C’est en ce la surtout que son organisation spatiale distingue de celle de n’importe
quelle banlieue traditionelle. L’interpénétration de l’espace rural agricole et de l’espace urbain devient alors A l’échelle de
l’aménageur, une donnée permanente du cadre de vie ...» . Jean Michel Roux, Gérard Bauer, La rurbanisation
ou la ville éparpillée. Edition e Seuil, Paris 1976 – tratto da: Llop Carles, Marincioni Mara, Calvo Adrià, “Morfologie,
forme della città del XX secolo”, in: INDOVINA FRANCESCO (2004) [a cura di], L’esplosione della città, Ed. Compositori,
Bologna, p.234
24
BERNARDO SECCHi, Un progetto per l’urbanistica, Einaudi, Torino 1989, p 129. Pubblicato originariamente in Casabella
520/1986.
25
Molti progettisti, fra cui Álvaro Siza, Fernando Távora, Georges Descombes, Michel Corajoud, Bernard Lassus,
fanno riferimento, in questo senso, ad una massima dell’urbanista Antoine Grumbach: “l’evidence du dejà là” per
definire questa capacità del progetto di radicarsi nell’ambiente e nell’instaurare un rapporto di equilibrio ideale con
materiali già presenti sul sito..
26
TABUCCHI ANTONIO (1981), Il gioco del rovescio, Feltrinelli, Milano.
27
VIGANÒ PAOLA (1999), “Un’altra avventura”, La città elementare, Skira, Milano, 1999, p.148.
6
PARTE I
Il progetto urbanistico tra città e paesaggio
7
I.1 - IL GIOCO DEL ROVESCIO1
Il primo capitolo della ricerca tenta una rilettura dell’urbanistica moderna europea operando un
rovesciamento di prospettiva: cioè rivolgendo l’attenzione ai vuoti piuttosto che ai pieni, agli
spazi aperti ed al paesaggio piuttosto che quelli costruiti, alle relazioni tra le parti piuttosto che
agli oggetti.2
La relazione tra città e paesaggio, tra aree edificate e campagna è un tema ricorrente in
urbanistica e risale almeno alla prima metà del ‘700. In questo senso l’evoluzione dell’idea del
“verde” come materiale urbano e della progressiva concettualizzazione dell’idea di paesaggio
può essere studiata attraverso i grandi riferimenti dell’urbanistica, i piani, le teorizzazioni degli
ultimi 200 anni.
È necessario però precisare che si tratta di una rilettura “forzata” nel senso che rintraccia
a tutti i costi un filo conduttore nella storia dell’urbanistica in quel percorso ideale che lega
le tematiche del “verde” e del paesaggio, e più in generali dell’ambiente, ad un discorso
progressista e aperto ad istanze sociali. Non sempre, però, il discorso teorico ha avuto
riscontri diretti in campo operativo soprattutto quando nella progettazione urbana e urbanistica
è entrato in collisione con le dinamiche del mercato urbano. In realtà la costruzione della città
contemporanea è avvenuta secondo altri criteri e le grandi teorizzazioni ed i modelli più evoluti
sono stati quasi sempre abbandonati o perché riassorbiti da un mercato immobiliare urbano
spietato (p.e. le green cities o il piano verde di Cerdà a Barcellona) o perché troppo innovativi
(p.e. la collettivizzazione dello spazio aperto della città parco del Movimento Moderno).
Il discorso si sviluppa secondo due fronti opposti riconducibili all’osservazione che alla
diffusione della città nel paesaggio abbia corrisposto anche un progressivo ingresso dello
spazio aperto e del “verde” nel tessuto urbano compatto. Da una parte si approfondisce l’idea
dell’acquisizione dei materiali “verdi” (parchi, boulevards, reti verdi, cinture, ..) come strumenti
per il controllo della forma urbana dal suo interno; dall’altra la progressiva contaminazione/
riduzione delle aree agricole e la dilatazione della dimensione urbana alla scala degli spazi
aperti del paesaggio geografico. La conformazione stessa della città contemporanea ci mette di
fronte all’evidenza della necessità di ripercorrerne il processo di formazione per comprendere
le logiche e anticiparne gli sviluppi. In questo senso gli obbiettivi di questa rilettura sono
senz’altro da rintracciarsi in campo operativo e finalizzati a proporre nuove strade, nuove
direzioni, riconoscere tendenze e possibilità di sviluppo.
Alla luce di queste considerazioni si può dire che, oggi, sia riconoscibile una graduale
convergenza di tematiche paesaggistiche nel progetto urbanistico. Quindi, senza pretesa di
esaustività e con l’intento di rintracciarne solo i principali passaggi, si analizza il ruolo strategico
che il paesaggio ha assunto col tempo nel progetto urbanistico, alla grande e alla piccola
scala, dando maggior rilevanza a quel corpus di strumenti e metodologie operativi, modelli,
teorie finalizzati all’effettiva modificazione dello spazio della città.
8
I.2 - LA CITTÀ DENTRO IL PAESAGGIO
La progressiva apertura della città verso lo spazio aperto
del paesaggio rurale
È interessante come Leonardo Benevolo faccia coincidere
la nascita di Mozart (1756) con il tramonto della cultura
prospettica, con la fine della posizione dominante della
cultura visiva e con la nascita della nozione di spazio aperto
contemporaneo.3
Difatti la trasformazione profonda del rapporto di città e
natura trova i suoi fondamenti a cavallo tra la seconda metà
del secolo XVII e la prima metà del secolo XVIII. In questo
arco di tempo è avviata in campo urbano una ricerca, rivolta
inizialmente all’arte dei giardini, che tenta di inoltrarsi con i
mezzi della prospettiva nel campo ancora inesplorato della
grande dimensione. Le sistemazioni paesistiche realizzate in
questo arco di tempo hanno dimensioni vastissime ma, come
dice Benevolo, “restano ambienti concreti”4 non perdendo
il contatto con la realtà. La ricerca di quel periodo riguarda
l’ampliamento concreto ed in modo verificabile dei limiti
della prospettiva umana. La “cattura dell’infinito” avviene in
termini di progettazione della città e del territorio ma anche
in termini di esecuzione dei progetti. Questa direzione viene
estesa alla città ed al territorio e arriva solo successivamente
ad influenzare la progettazione urbana fondando i suoi
presupposti sul progetto del parco naturalistico Settecentesco
e sulla nascita del concetto di paesaggio.
A partire dal secolo XVIII la ricerca scientifica inizia
mettere in discussione i riferimenti del mondo gerarchico
tradizionale. In campo architettonico l’opera di Laugier del
1753 pone le basi per una revisione radicale dei principi
teorici e si inizia un’esplorazione scientifica della storia e
delle origini dell’architettura. La progettazione perde i suoi
riferimenti antropomorfici (in Francia entra definitivamente
in vigore il sistema metrico nel 1801) e acquisisce un
carattere di astrazione scientifica potenzialmente illimitata.
I progressi matematici e cartografici permettono ormai una
rappresentazione rigorosa e scientifica di qualsiasi territorio
e intorno al 1775 si completa la conoscenza della superficie
terrestre con gli ultimi viaggi di Cook.
La svolta linguistica che apre definitivamente la strada
ad una percezione dello spazio che possiamo definire
completamente moderna, compare appunto intorno alla metà
del ‘700 e riguarda la rinuncia della regolarità geometrica
nella progettazione dei giardini (Hogarth 1753, Burke 1756).
L’abbandono delle regole della composizione geometrica,
della simmetria e del controllo prospettico di tradizione
rinascimentale, che verrà per prima sperimentata nella
progettazione dei giardini “all’inglese” di Brown e Chambers,
apre la strada ad un’idea di spazio di cui si perdono i confini
percettivi e su cui si svilupperanno le esperienze paesistiche
di Olmstead e la cultura spaziale dell’architettura moderna di
Le Corbusier.5
A partire dalla fine del ‘700 la tradizione paesistica seicentesca
e settecentesca inizia ad essere incorporata nella cultura
della progettazione urbana come patrimonio di soluzioni da
applicarsi alla progettazione della città. Il verde urbano viene
acquisito come spazio collettivo ad uso principalmente della
nuove classi emergenti e dell’aristocrazia e declinato secondo
una serie di materiali funzionali alla città. Inizialmente questi
materiali rispondono alle regole rinascimentali di natura
“regolamentata”: il parco urbano, il viale alberato, il giardino
formale. In seguito si assisterà all’acquisizione del giardino
naturalistico all’”inglese” nel disegno dei parchi trattati come
veri e propri pezzi di natura all’interno della città. In effetti la
portata di questo trasferimento/travaso di materiali, spunti
operativi, metodi e tecniche della cosìddetta “arte dei giardini”
nella cultura della progettazione architettonica ed urbanistica
è assai più vasta e va ben oltre la riproposizione di un
repertorio di soluzioni formali mediato dalla tradizione inglese
del Landscape. 6
Il primo esempio concreto di come questo trasferimento
avvenga e con quali modalità è rappresentato dalle opere a
Parigi durante l’Ancien Regime nella seconda metà del ‘700.
Una corona di sistemazioni fuori città formata da piazze e
boulevards va a sostituire la cinta muraria ed i parchi reali
e nobiliari suburbani. Di fatto si tratta della realizzazione
di un gigantesco tracciato, realizzato attraverso opere di
architettura di paesaggio, che viene a prefigurare gli assetti
futuri della città.
L’esempio più interessante, anche in termini di forma urbana,
è rappresentato dal caso del viale suburbano che lega
Neuilly con il Jardin de Tuileries. Nel 1806 al centro dell’étoile
tracciata nel 1724 sulla collina di Chaillot viene collocato
l’Arc de Triomphe. Questa magistrale sistemazione, oggi il
Boulevard degli Champs èlysèes, rimanda inequivocabilmente
alle vedute scenografiche dei giardini di Versailles ed
inaugura di fatto un nuovo modo di costruire la città a partire
da grandi assi rivolti idealmente verso lo spazio infinito del
paesaggio. Il metodo consiste nel urbanizzare gradualmente
9
figura 2
Parco di Versailles - Parigi
figura 3
Parigi 1675,
Plan Jouvin de Rochefort
con due cortine di edifici entrambi i lati delle sistemazioni
paesaggistiche dei viali suburbani, che si costituiscono
come anticipazione e struttura della conformazione urbana
successiva. Questo sistema verrà ampiamente utilizzato
dal 1853 al 1869 da Haussmann e proseguita per tutta
la seconda metà dell’800 con la trasformazione dei
boulevards alberati suburbani in strade urbane affiancate
da edifici. Il ruolo di Haussmann a Parigi è particolarmente
importante e paragonabile a quello di Olmstead in America
perché conferisce alla progettazione del verde in città un
carattere sistematico passando da una visione episodica
e locale ad una dimensione metropolitana del processo di
pianificazione.
La grande diffusione di parchi, squares e boulevards non
risiede esclusivamente nel carattere utilitaristico di quelle
nuove forme urbane come arredo, abbellimento o di
“sfoggio e del passeggio”. La loro fortuna va ricercata in
una rinnovata concezione dell’idea di natura, non più ostile
e nemica della città ma anzi sua condizione di esistenza
come polmone verde e luogo di attrezzature. Si va
gradualmente formando un’idea di natura e paesaggio in
senso igienico e salutistico come reazione alla condizione
reale delle città ottocentesche della rivoluzione industriale
che porterà più tardi alla definizione degli standards minimi
di verde della cultura modernista.
I grandi piani dell’800 impostati sul concetto di verde
Nella pianificazione urbanistica della seconda metà del XIX
secolo si possono rintracciare nuove linee di progettazione
del verde quale materiale di costruzione della città. Il
“verde urbano” ed il suo rapporto con il paesaggio si
configura come la grande componente innovativa dei piani
e delle realizzazioni dell’urbanistica ottocentesca.7 Il verde
concorre alla riuscita formale ed alla tenuta organizzativa
del mutamento di scala della città prefigurando una tappa
importante nell’evoluzione in senso “aperto” dello spazio
urbano storico. La progettazione delle nuove città dell’800
risente, infatti, dell’influenza della nuova concezione di
spazio in senso astratto che si era andata diffondendo
lungo l’arco del secolo precedente.8
figura 4
Plan de la ville de Paris et de ses
faubourgs - 1801
Le città crescono rapidamente e l’esigenza di reperire
nuove aree per le espansioni conducono a rimuovere gli
antichi confini rappresentati dalle cinte murarie di difesa.
La demolizione delle mura è un’operazione che accomuna
la storia di gran parte delle città europee ed è carica di
10
figura 5
Piazza delle arti e delle scienze a
Parigi - 1874
significati simbolici nonché di riscontri importantissimi per gli
assetti urbani.9 La dilatazione del costruito oltre i tradizionali
limiti della città e la loro estensione nel paesaggio circostante
impone agli urbanisti di inventare nuovi modelli insediativi.
Il problema è risolto in modo diverso città per città ma si
possono riportare almeno due tipi di approccio caratterizzati
dalla dilatazione dello spazio aperto e dalla presenza continua
del verde che hanno costituito un importante contributo al
discorso urbanistico successivo.
figura 6
John Nash
Il sistema degli spazi aperti di
Regent’s Park a Londra - 1820-1830
figura 7
F.L. Olmstead
Parkway Drexle Blv. - Chicago 1875
figura 8
A. Alphand - Place des Batignolles
Parigi - 1867-73
figura 9
I grandi lavori di Haussmann a Parigi
Vienna e Colonia: i Rings
La fase dei Rings (Vienna, Colonia) costituisce un momento
importante di transizione dallo spazio chiuso della città
storica allo spazio aperto della città moderna. La demolizione
delle mura di Vienna avviene nel 1857. La striscia di terreno
corrispondente alle fortificazioni e la zona di rispetto circostante
viene occupata da un sistema di viali, giardini ed edifici privati
e pubblici. Il materiale verde, i filari alberati, i parterres, le
vasche di acqua, i gruppi di alberi, viene a costituire il fondale
urbano in grado di strutturare lo spazio e di costruire limiti
ed articolazioni prospettiche. Per la prima volta, trattato
nella sua definizione architettonica alla pari dei materiali
costruiti, diventa lo strumento per realizzare la transizione
tra città e paesaggio. Il progetto di Otto Wagner per il XXII
distretto di Vienna rappresenta in tutta la sua evidenza questa
potenzialità.10
Barcellona e la diffusione capillare del verde
Un altro caso significativo è rappresentato dal piano di
espansione di Barcellona progettato da Idelfonso Cerdà tra
il 1855 e il 1859. Il piano dell’Ensanche è disegnato a partire
da una griglia a maglia quadrata estesa su tutto il territorio
pianeggiante di Barcellona in modo da costituire una trama
uniforme dal mare alla montagna. Le tre componenti che
costituiscono il tessuto del piano sono il lotto costruito, la
viabilità ed il verde. Sulla base di un tracciato ottocentesco,
uniforme e regolare, Cerdà trasforma la tradizionale tipologia
dell’isolato urbano chiuso in una forma aperta e costruita
esclusivamente su due lati in cui lo spazio centrale ha una
destinazione a spazio collettivo caratterizzato dal verde.
L’insieme degli isolati aperti disposti sulla griglia forma una
successione di spazi verdi pubblici che prefigura le proposte
successive del Movimento Moderno. La stretta integrazione di
forte densità abitativa e paesaggio prefigurava già alla metà
dell’Ottocento l’idea della “Ville Radieuse” di Le Corbusier. Il
11
figura 10 e 11
I. Cerdà
Ensanche di Barcellona - 1859
figura 12
I. Cerdà
Ensanche di Barcellona - 1859
Gli spazi costruiti
piano, forse troppo in anticipo sui tempi, viene in gran parte
disatteso e la sua componente più innovativa, lo spazio
aperto pubblico continuo dell’isolato aperto, è riportata nella
sua realizzazione ai parametri tradizionali di “corte interna”.11
L’utopia borghese della Città giardino
Alla fine dell’Ottocento la ricerca di una alternativa migliore
alle condizioni reali delle città della rivoluzione industriale
porta a sviluppare l’idea di sintetizzare la città e paesaggio
in un’unica entità. Una struttura urbana fondata sul verde,
sul rapporto con la campagna e sul paesaggio si pone,
per la prima volta, a fondamento di una teoria urbanistica.
L’immagine della città giardino si impone come una delle più
forti teorizzazioni ideologiche sulla città e una delle prime
teorie scientifiche dell’urbanistica moderna sotto la visione
dell’unione di “verde” e di costruito.
La “città giardino” ideata da Ebenezer Howard, propone il
superamento dell’antica contrapposizione di città e campagna
per conservare i pregi ed eliminare i difetti dell’una e sfruttare
le capacità produttive ed ambientali dell’altra. Il riferimento
alla letteratura utopistica è palese (Fourier, Godin, Owen)
ma Howard è uno spirito pragmatico e progetta la nuova
città anche a partire dai suoi aspetti economici e sociali.12 Il
disegno della nuova città è atipico: non è costituito da un piano
formale bensì da un diagramma che si costituisce come un
riferimento esplicito alla tradizione della “città ideale”, anche
nella scelta della forma radiocentrica. La città verde è dotata
di un centro, un giardino formale, ed un margine, lo spazio
della campagna agricola che si estende tutto intorno. Fra i
due settori si articola tutta una serie di anelli concentrici con
diversa destinazione funzionale strutturati secondo l’idea di
parco verde come modello di spazio collettivo.
Un grande consenso intorno a quel modello di città nasce
da subito e si tramuta in poco tempo in un vero e proprio
movimento di opinione: “La città giardino rivendica le ragioni
culturali di un’idea che rimanda al pensiero dell’utopia: una
città ispirata ai valori comunitari, ma non al collettivismo; al
diritto individuale, al possesso di una casa e di un pezzo di
terra, in un quadro di proprietà collettiva degli spazi urbani e del
suolo agricolo”.13 La chiave per comprendere il vero successo
figura 13
I. Cerdà
Ensanche di Barcellona - 1859
Gli spazi verdi
dell’idea che risiede nelle realizzazioni che seguirono va
ricercata nella flessibilità formale l’indefinizione estetica dello
schema. Il suo senso si coglie nella didascalia che compare
sul diagramma e che riporta la scritta: “diagram only - plan
must depend upon site selected.”14 Così la concretizzazione
12
figura 14
Veduta del Ring di VIenna - 1873
figura 15
E. Pendl
Veduta del Ring di Vienna - 1905
dell’utopia non venne legata ad una forma specifica ma si
andò definendo con l’incontro di luoghi precisi, sensibilità
dei progettisti e gusto dell’epoca. La forma concreta della
prima green city risulterà dall’adattamento al contesto del
diagramma di Howard e dalla particolare interpretazione dei
progettisti. Già dalla prima realizzazione, Letchworth che
viene progettata da Unwin15 e Parker nel 1901, verrà adottato
un piano più vicino all’idea di “pittoresco” dei progettisti che
alla razionalità pragmatica di Howard. L’andamento sinuoso
delle strade e l’impianto irregolare del costruito costituirà il
modello morfologico che sarà replicato negli anni successivi.
Lo speciale carattere paesistico delle città giardino diventerà
il modello per le prime New Town inglesi del dopoguerra e
sarà replicato fino ad oggi.
F.L. Olmstead e il Park System
L’esperienza di F.L. Olmstead, sebbene non sviluppata in
ambito europeo, costituisce un caso importantissimo per le
implicazioni sul rapporto tra il paesaggio e la struttura della
città e sul ruolo della progettazione paesaggistica nella
definizione della forma urbana. Il sistema degli spazi verdi
di Olmstead si colloca all’interno della città con un ruolo
fondamentale di connettivo tra dimensione metropolitana e
territorio circostante. Sulla base di una conoscenza sommaria
delle esperienze europee Olmstead coglie nel collegamento
di tutti i parchi urbani in una rete verde un possibile vantaggio
aggiuntivo ed una moltiplicazione di benefici estesi all’intera
superficie urbana. Grazie al Park Movement Olmstead
trasforma gradualmente il discorso sul recupero dei valori e
degli aspetti romantici della campagna in un’idea moderna
in cui predomina l’interesse per la costruzione di un sistema
di rapporti con la struttura urbana e il carattere di intervento
urbanistico complessivo.16 Nel 1881 Olmstead, che fino allora
figura 16
E. Owen
Il villaggio di “armonia e coperazione”
1817
aveva realizzato solo alcuni parchi tra cui il Central Park a
Manhattan, presenta la sua prima proposta per un sistema
di parchi alla Boston Park Commission, il così detto Emerald
Necklace. La “collana di smeraldi” è così chiamata per via
della distibuzione del sistema di parchi a semicerchio intorno
alla città e dal colore verde del materiale vegetale che la
compone. Il progetto è costituito da un vero e proprio piano
lungo 5 miglia che mette in continuità il tessuto insediativo con
il territorio rurale circostante. Il sistema di parchi è strutturato
secondo sei grandi interventi conformati a partire dai parchi
già esistenti e connessi tra loro da un sistema integrato di
boulevards alberati. Questa visione sistemica del rapporto
13
figura 17
E. Howards
I diagrammi della città giardino -1896
figura 18
E. Howards
I tre magneti -1896
di città e spazi aperti inaugura di fatto tutta una serie di
progetti di Park Systems realizzati da Olmstead e da suoi
collaboratori per le grandi città Americane e rappresenta un
primo approccio alla pianificazione integrata negli Stati Uniti.
L’esperienza Americana costituisce un momento centrale nel
discorso sulla pianificazione delle città moderne anticipando
di molti anni quelle forme che oggi conosciamo come
“cinture verdi”, “colate verdi” e “reti ecologiche”. Un altro
punto rilevante da non sottovalutare è la capacità del Park
System di funzionare su diverse scale di intervento: a scala
metropolitana e regionale per le sue valenze ecologiche e di
riserva naturale; a scala urbana come parco cittadino di svago;
a scala del dettaglio per i suoi aspetti materiali e naturalistici.
Cioè è strutturato come uno strumento urbanistico “a tutto
tondo” capace di spaziare dalla scala regionale a quella del
dettaglio costruttivo: non bisogna sottovalutare nei lavori di
Olmstead la componente costruttiva ed ingegneristica che si
affianca a quelle progettuali e più strettamente compositive.
figura 19
R. O. Salvisberg
Siedlung Piesteritz - Wittenberg 1917
figura 20
R. O. Salvisberg
Siedlung Piesteritz Wittenberg -1917
14
figura 21
F.L. Olmstead e Charles Eliot
La collana di smeraldo (Emerald
necklace) - Boston 1880-1887
I.3 - IL PAESAGGIO COME VALORE D’USO DELLA
CITTÀ
All’inizio del Novecento nella differenziazione proposta da
C. Sitte tra verde di abbellimento e verde sanitario inizia a
prevalere il concetto utilitaristico di quest’ultimo. Si passa da
un’idea di natura, di paesaggio e di verde con valore estetico
e decorativo ad un valore d’uso. I Volkparks17 tedeschi, luoghi
deputati alle attività sportive ed alla ricreazione all’aria aperta
del popolo della Germania socialdemocratica, documentano
un nuovo programma ed una nuova politica sociale nei
confronti delle masse. Il parco perde le sue connotazioni
romantiche, i percorsi tortuosi, i fondali panoramici, i movimenti
del terreno, e viene concepito espressamente per ospitare le
attività sportive all’aria aperta con grandi parterres. Si passa
dal parco concepito per la borghesia emergente ottocentesca
al parco finalizzato alle esigenze salutistiche del popolo: il
verde sanitario.
Sebbene la fortuna delle socialdemocrazia si esaurisca in un
tempo limitato questo cambiamento si rivela fondamentale per
comprenderne le fasi successive verso il definitivo passaggio
ad una concezione funzionale del verde ed alla definizione
del concetto di standards.
I grandi riferimenti dell’urbanistica moderna ed il ruolo
del paesaggio nella costruzione dei modelli urbani
Con il concetto di Stadtlandschaft18 si apre la strada ad un
figura 22
F.L. Olmstead
Park system Chicago - 1908
modello di città radicalmente diverso.
Il discorso viene affrontato a partire dalla critica della città
borghese in cui gli spazi aperti “verdi” sono degli spazi
circoscritti all’interno del tessuto della città compatta. Nella
commistione di interessi pubblici e privati che caratterizza
l’appropriazione privata del territorio urbano finalizzato al
ricavo di una rendita gli architetti moderni vedono, inoltre, il più
grosso limite della città borghese. L’alternativa a quel modello
viene rinvenuto nella riconquista del controllo pubblico dello
spazio urbano, che deve essere uno spazio aperto, fruibile da
tutti e senza barriere.
L’alternativa al tessuto della città storica è costituita dalla
proposta di una proporzione del tutto nuova nelle quantità
di edificato e di spazio aperto. Gli edifici posti a grande
distanza sono intervallati da grandi superfici aperte e verdi
destinate alle attrezzature pubbliche ed alle attività ricreative
che, rivalutate per motivi igienici e salutistici, richiedono ora
nuovi spazi appositamente progettati e sparsi in ogni parte
15
figura 23
le Corbusier
Piano di Parigi, Centro direzionale
1937
figura 24
Le Corbusier
Il paesaggio della “Ville Radieuse”
1935
figura 25
Le Corbusier
Dettaglio della Ville radieuse: la Ville
Verte - 1935
della città. Le aree per lo sport, i parchi di quartiere e quelli
cittadini, le grandi aree verdi protette dei parchi a scala
territoriale, devono formare un unico tessuto continuo, uno
spazio fruibile direttamente dalle abitazioni e dai luoghi di
lavoro. Le funzioni della città vengono distribuite all’interno
di un immaginario enorme parco attrezzato. Questa struttura
urbana radicalmente diversa da quella della città storica
ha l’ambizione di superare la vecchia dicotomia fra città e
campagna in cui, tradizionalmente, viene rinvenuto il problema
delle disuguaglianza sociale.19 Le aree verdi vengono
pensate non più come abbellimento della città quanto per
la loro funzione “utile” come spazio collettivo e luogo delle
attrezzature pubbliche.
La Ville radieuse costituisce forse l’esempio più preciso/
calzante di questa concezione di progetto urbano nel
paesaggio. Il progetto di Le Corbusier del 1933 per un milione
e mezzo di abitanti ha l’obbiettivo di risolvere il problema
dell’abitazione di massa. La residenza della “Ville verte”
occupa macro edifici in linea di undici piani, piegati secondo
una serie di angoli retti, i redents. Gli edifici sono costruiti
su pilotis per lasciare libera la percorrenza a livello del suolo
che è configurato come un grande parco pubblico aperto sul
paesaggio in cui sono ubicati i servizi alla residenza. Niente
viene detto sul “come” e dai progetti non si riesce a ricavare
nessuna indicazione precisa sulla conformazione dello spazio
del generico “verde” che si presenta più come un fondale
indistinto dell’architettura che componente concreto dello
spazio moderno. Nell’incertezza programmatica del piano si
perdono gli originari intenti di collettivizzazione dello spazio
aperto, di per sé lodevoli ma irrealizzabili nella vaghezza
strutturale dei piani di Le Corbusier.
Al contrario, nell’ambito della pianificazione, il concetto
di verde ed il paesaggio assumono un ruolo strategico
nella composizione del nuovo assetto delle città e
nell’organizzazione dei nuovi modelli urbani. Vari sono i
tentativi di determinare quale sia la struttura ideale che la
città moderna deve assumere in relazione alla distribuzione
degli insediamenti costruiti nel paesaggio e, viceversa, quale
sia il ruolo dello spazio verde nella definizione della forma
urbana. Nel giro di pochi decenni vengono definite decine
di ipotesi e tra queste si possono identificare alcuni modelli
che costituiscono ancora oggi un valido contributo alla
pianificazione contemporanea. Sono riconoscibili almeno tre
grandi filoni interpretativi riconducibili al rapporto tra città e
campagna: la città radiale, la città lineare e la città dispersa.
16
figura 26 - 33
Lo schema radiocentrico nei modelli
del verde della città moderna
Verde sanitario
M. Wagner - 1915
G. Langen - 1927
Il sistema degli spazi aperti per
Essen
R. Schmidt - 1912
Sistemazione dei parchi nella città
secondo una schema radiale o
circolare
A. Hoechel - 1936
Sistema urbano policentrico di Killus
Schema di sviluppo urbano di P. Wolf
Il sistema delle aree verdi del Piano
di Colonia - 1923
F. Schumacher
Penetrazione del verde nella città e
sistema insediativo
A. Badner - 1942
La città radiocentrica
Il primo si riferisce al problema dell’espansione “città centro”
esistente nel territorio rurale circostante e che riconosce
nella continuazione della sua forma radiocentrica un principio
direttore. A questo filone sono riconducibili i due modelli
opposti di integrazione città/campagna organizzati secondo
un principio radiale di penetrazione per “cunei verdi” o
secondo un sistema ad anelli concentrici di “green belts”
(cinture verdi). La questione, ampiamente dibattuta nei primi
due tre decenni del ‘900 a livello teorico, si concretizza con
una serie di piani negli anni trenta. Ovviamente, essendo
stato costruito il modello sulla reale conformazione delle città
esistenti, questa ipotesi è quella che conduce a più esiti in
campo operativo. Dallo schema radiale di “verde sanitario” di
Martin Wagner del 1915 discendono per esempio il piano di
Eindhoven di J.M. De Casseres (1929), il piano di Francoforte
di E. May (1930), il piano di Mosca di N.A. Landovsky (1935),
il piano di Copenhagen (detto delle “cinque dita” del 1945).
Sono, invece, riferibili al modello delle “green belts” il piano
di Colonia di F. Schumacher (1923), il piano di Londra di P.
Abercrombie (1943).
La città lineare
Il secondo modello è quello della città lineare cioè distribuita
lungo le direttrici di connessione tra le città esistenti.
L’idea compositiva, sviluppata da A. Soria y Mata alla fine
dell’Ottocento, ruota intorno all’idea di un asse infrastrutturale
(strade e ferrovia) intorno a cui vengono distribuiti regolarmente
le funzioni della nuova città secondo una sezione ripetuta. Ai
lati della spina centrale vi sono le attività produttive, le zone
residenziali e le aree verdi secondo un sistema a bassa densità
e bassa altezza. Il modello viene ripreso in una forma molto
simile da Le Corbusier nella Citè linéaire industrielle (194243) che la rappresenta come esito della combinazione di tre
tipologie insediative:20 la città lineare lungo un’infrastruttura
(che in questo caso è un’autostrada e funziona come una vera
e propria parkway immersa nel verde) composta secondo il
criterio delle fasce funzionali lineari (industriale, infrastruttura,
verde di protezione, residenza e servizi alla residenza);
l’unità di sfruttamento agricolo per la produzione alimentare,
i centri urbani esistenti. Gli edifici sono costituiiti da “unità di
abitazione” su pilotis per permettere la libera circolazione
dello spazio sottostante pensato come un grande parco
informale costruito secondo prospettive paesaggistiche sulle
aree agricole circostanti. Alcune proposte dei “Disurbanisti”
17
figura 34
Lo schema lineare nei modelli del
verde della città moderna
Ciudad Lineal - Sorya y Mata - 1890
figura 35
Lo schema lineare nei modelli del
verde della città moderna:
Citè Linéare Industrielle
Le Corbusier - 1942
russi percorrono ugualmente la strada del modello lineare:
il progetto di I.Leonidov per Magnitogorsk (1930) e il piano
“Green Moscow” di M. Baršč e M. Ginzburg (1929) per una
città a “nastri” di 100.000 abitanti.21
La città dispersa
Il terzo modello è relativo ad un concetto di città diffuso sul
territorio in modo uniforme con una penetrazione capillare del
verde nel costruito e viceversa. È derivato dall’osservazione
della dispersione insediativa già evidente nelle città
americane di inizio secolo e costruisce una proposta per la
compenetrazione completa di città e paesaggio, di costruito
e spazio aperto verde su di un modello di sviluppo a basso
carico insediativo e bassa altezza (low rise low density). La
proposta che meglio rappresenta questo filone è il progetto
di Broadacre City di F. L. Wright (1931-1935) che costituisce
un’impressionante anticipazione della città contemporanea
diffusa. La qualità urbana è ricercata nel contatto con la natura
e attraverso la proposizione di uno spazio privo di gerarchie
e di confini dove la campagna ed il paesaggio costituiscono
idealmente l’elemento di collegamento tra le parti. Questo
modello ha trovato fortuna particolarmente tra gli architetti
moderni emigrati negli Stati Uniti prima della seconda guerra
mondiale che ne hanno sviluppato i contenuti mettendo in
evidenza una preoccupazione per un ritorno ad uno stile di
vita in simbiosi con la natura. Tra questi gli scritti di R. Neutra
(Mistery and reality of the site, 1954) e R. Schindler allievi di
Wright in California. Si pensi anche all’opera di alcuni urbanisti
e Landscape designers come C.Tunnard (Gardens in the
modern landscape, 1938), L.Hilbersheimeir (The new regional
pattern, 1949), C. Alexander (Community and privacy, 1963),
R. Rainer (Livable environments, 1966).22
La città funzionalista ed il valore d’uso del paesaggio
In campo operativo e su di un piano propriamente urbanistico,
sono numerosi i piani regolatori delle città che discendono
direttamente dalle teorie derivate dal Movimento Moderno
e che si sono occupati principalmente di governare la
nuova spinta insediativa della città verso il paesaggio rurale
circostante. Tra i vari casi già menzionati ne riportiamo alcuni
fra i più significativi e ricchi di implicazioni operative in cui ad
un’originale concezione dello spazio aperto si accompagnano
proposte concrete per una sua implementazione e progetti
spesso realizzati.
18
figura 36
Lo schema della dispersione nei
modelli del verde della città moderna
Broadacre city
F. L. Wright - 1935
figura 37
Lo schema della dispersione nei
modelli del verde della città moderna
Broadacre city
Rapporto tra spazi verdi e tracciati
figura 38
Piano di Eindhoven
J. De Casseres - 1929
figura 39
Piano di Londra e Green Belt
A. Abercrombie - 1942
Amsterdam
È una suggestione di derivazione neoplastica a guidare le
idee di spazio del piano di Amsterdam cioè la costruzione di
un ambiente integrale attraverso la ricerca di armonia fra parti
diverse tra loro.23 Il piano progettato da C. Van Eesteren tra il
1928 ed il 1934 si fonda sulla ricerca di equilibrio tra le diverse
componenti eterogenee della città: il centro storico, i quartieri
ottocenteschi ed i sobborghi degli ampliamenti recenti. Il loro
collegamento è demandato all’ambiente paesistico esterno e
la città moderna si configura come un grande parco dentro
cui si trovano i diversi quartieri della città. Il paesaggio viene
a costituire la struttura portante della città. Il sistema del verde
di Amsterdam prevede la realizzazione di un grande bosco
di 895 ettari realizzato sulle terre strappate artificialmente al
mare nella zona sud-ovest della città e dotato di una serie di
attrezzature sportive e per il tempo libero fra cui un canale per
le regate di canottaggio.
Londra
Il piano di Londra viene adottato nel 1944 ed è progettato da
Abercrombie e Forshaw.
Il piano distingue la città in una serie di aree concentriche:
la contea del centro, la zona interna, la zona suburbana,
la cintura verde e la zona esterna. La cintura verde è
riconfermata da una legge votata nel 1938 che bloccava
l’espansione della città fissando il perimetro raggiunto fino a
quel momento dall’edificato e vincolando una zona agricola
a forma di corona circolare che lo racchiude completamente.
La pressione per un ulteriore crescita della città viene diretto
alla zona esterna in un raggio di 60-80 km dal centro in cui
è prevista sia l’espansione delle città minori esistenti sia la
fondazione di nuove città: le new towns. Queste nuove città
rappresentano una rivisitazione in chiave moderna delle
prime città giardino di inizio ‘900 e seguono nella struttura
le indicazioni del progetto di Howard. Accolgono circa 35000
abitanti con una densità abitativa molto bassa determinato
da tipologie abitative unifamiliari con giardino ed in quartieri
di abitazione separati da ampie zone verdi che determinano
un ambiente molto disperso. In parte questa impostazione è
stata corretta nelle realizzazioni successive.
Ginevra
Tra gli esempi più radicali ed allo stesso tempo più chiari
e meno conosciuti vi è il piano per Ginevra di Maurice
Braillard. Il piano direttore regionale del 1936 propone, per
19
figura 40
C. Van Eesteren - 1934
Schema del verde nel piano di
Amsterdam
figura 41
Il bosco di Amsterdam - 1937
figura 42
Noerum, Copenhagen - 1948
C.Sorensen - Giardini individuali
(Allottment gardens)
la città Svizzera, un’innovazione straordinaria che risponde
al concetto di città dentro ad un parco. Oltre alle consuete
destinazioni d’uso delle superfici urbane (edificato esistente,
strade, edificato di previsione, aree agricole) viene introdotta
una nuova categoria detta “surfaces publiques ou site à
classer” che viene a costituire la maglia su cui è strutturata la
città immersa nel verde. Le “surfaces publiques” corrispondono
a quelle che vengono comunemente denominate aree verdi e
zone agricole e si sviluppano su tutto il territorio cantonale.24
La struttura urbana viene ripensata secondo due maglie
ortogonali sovrapposte e sfalsate: una è formata dalla rete
delle strade, la seconda costituisce un reticolo verde che
collega tutti le aree edificate ed agricole fra loro offrendo la
possibilità di percorrere il territorio in tutti i sensi. La rete verde,
di spessore variabile, è adattata alle irregolarità topografiche
del suolo e si costituisce come alternativa in un sistema a due
velocità: pedonale e automobilistica. Distinguendo diversi
tipi di superfici pubbliche anche in ambito agricolo viene
valorizzato l’insieme del patrimonio naturale del cantone
perché lo si considera alla stregua di una ricchezza collettiva
minacciata dall’espansione urbana. Questa concezione
pioneristica dell’importanza dell’ambiente naturale ha
certamente a che vedere con le teorie delle città-giardino, ma
a Ginevra prende un accento particolare a causa della piccola
dimensione del territorio ginevrino e della tradizione culturale
da J.J. Rousseau ai grandi botanici della città.25
Le realizzazioni del razionalismo
Sono molti i progetti realizzati che seguono all’attuazione dei
piani negli anni ‘60 e ‘70 e che rappresentano con evidenza
il punto di vista del razionalismo di tradizione moderna nel
rapporto di continuità tra città e paesaggio. In particolare
sono significativi quei casi in cui risulta evidente l’influsso di
una progettazione basata sul concetto di fondo territoriale
indifferenziato e sullo standard come principale strumento di
controllo delle enormi quantità richieste dai nuovi interventi
di espansione urbana del dopoguerra. Il dibattito della
nuova pianificazione “scientifica” si concentra sui parametri
quantitativi delle aree verdi piuttosto che sulle caratteristiche
formali o sugli usi reali. Senza un’attenzione alla definizione
fisica dello spazio pubblico, caratteristica peculiare della
progettazione paesaggistica del secolo precedente, il
verde generico perde le sue attrattive. La quantificazione e
standardizzazione tipologica necessaria per la verifica delle
quantità in gioco diventa il principale limite puntando al
20
figura 43
Ginevra - 1948
Zone e connessioni
verdi - Agglomerazioni future
figura 44
Piano Regolatore Regionale del
cantone di Ginevra
Maurice Braillard- 1935
figura 45
Piano Regolatore Regionale del
cantone di Ginevra - 1935
dettaglio:
rosso - gli insediamenti esistenti
rosa - gli insediamenti di espansione
verde - superfici pubbliche
giallo - superfici agricole
soddisfacimento di bisogni generici e dimenticando le relazioni
con le potenzialità dei luoghi e dei paesaggi esistenti.
Questo è particolarmente evidente in quelle realizzazioni
che tra gli anni ‘50 e ‘60 hanno interpretato in modo forse
troppo letterale i contenuti del dibattito sulla città parco e sullo
spazio astratto del piano libero del verde. Tra questi il caso
olandese del grande quartiere di Bijlmermeer (1965-1972) è
sicuramente tra i più significativi a rappresentare l’assoluta
indifferenziazione del costruito sul substrato territoriale.
Da queste esperienze di costruzione della città si svilupperanno
gli impulsi per una critica radicale al sistema funzionalista
del “verde” a cui vengono contestati l’eccessiva quantità,
l’assenza di gerarchia e di riferimenti spaziali, la monotonia e
la ripetitività nell’immagine paesaggistica.
Nel caso delle new towns inglesi del dopoguerra è invece
riconoscibile un’eccezione nel panorama della progettazione
urbanistica del Movimento Moderno, soprattutto per quanto
riguarda l’integrazione tra lo spazio pubblico del generico
“verde” e lo spazio del paesaggio rurale circostante. In
Inghilterra i presupposti del funzionalismo radicale vengono
mitigati dalla solida tradizione delle “green cities” e mediati
attraverso la concezione del pittoresco derivata dalla cultura del
“Landscape” che manca in altri paesi. Nella loro realizzazione
le new towns rispondono a criteri funzionali di insediamento
nel verde ma anche ad un generale criterio di diversificazione
tipologica che si esplicita nella gerarchizzazione di diverse
tipologie di verde privato e di verde pubblico. Il caso di Milton
Keynes (1970) è in questo senso esemplare e rappresenta
un caso in cui è data priorità assoluta ad una composizione
basata sul paesaggio piuttosto che sulle componenti
architettoniche.26
figura 46
Ginevra - 1948
Zone e connessioni
verdi - Agglomerazione esistente
21
figura 47
Amsterdam - 1953
Nagele
W.C.J. Boer e M. Ruys
figura 48
Amsterdam - 1953
Nagele
W.C.J. Boer e M. Ruys
figura 49
Amsterdam - 1968-1971
Bijlmermeer - Foto Aerea
figura 50
Amsterdam - 1968-1971
Bijlmermeer
I.4 - IL PAESAGGIO DENTRO LA CITTÀ
I progetti e le realizzazioni a partire dalla critica
all’urbanistica funzionalista
A partire dalla fine degli anni ‘60 una forte critica alla teoria ed
all’operato del Movimento Moderno mette in luce il limite del
concetto di spazio aperto indifferenziato che aveva fino allora
caratterizzato le realizzazioni dell’urbanistica funzionalista.
La discussione relativa al rapporto tra insediamento costruito
e paesaggio delle nuove città ritrova soprattutto nelle ragioni
del sito uno spunto per una nuova proposta progettuale.
L’alternativa alla progettazione urbana e territoriale di matrice
funzionalista si sviluppa inizialmente nell’ambito di settori
disciplinari diversi. Nuovi apporti provengono prima di tutto
dalla geografia, dall’arte, dalle scienze ambientali, dalla
pianificazione paesaggistica.
In architettura la critica della città degli standards e della
progettazione quantitativa porta a rivolgere un’attenzione
maggiore al sito, al paesaggio naturale, alle componenti
geografiche ed orografiche dei luoghi. In Italia questo discorso
assume un ruolo determinante nel recupero delle città storiche
e dei paesaggi tradizionali. Negli Stati Uniti a partire dagli anni
‘70 con la diffusione ed il consolidamento di una coscienza
ecologica il discorso sulla progettazione della città assume
un’impronta ambientalista. Grazie anche alla diffusione di una
certa cultura artistica derivata dalla Land art si sviluppa una
diversa sensibilità per le componenti ambientali ed estetiche
del paesaggio urbano ma anche una nuova attenzione per le
necessità individuali degli abitanti delle città.
Il nuovo interesse per il genius loci nella progettazione e per il
ritorno a fondare l’architettura nei luoghi, porta all’abbandono
del pilotis e del plan libre per un contatto diretto con il suolo.
La fondazione del progetto a partire dagli elementi esistenti è
ritenuto come principio ecologico di sostenibilità.
È a partire dall’architettura che si riscontrano le prime
sperimentazioni in questa direzione. Proprio in alcuni progetti
realizzati tra gli anni ’60 e ‘70 da architetti che vedevano nel
Movimento Moderno un punto di riferimento si ritrovano alcuni
spunti importanti per il rinnovamento della progettazione
urbana in ambito paesaggistico. Burle Marx e Luis Barràgan,
in sud America, A. Aalto e J. Utzon in scandinavia, i progetti
di “suolo” di Alvaro Siza nel progetto di insediamento della
Malagueira in Alentejo (1975-1990), Giancarlo De Carlo ad
Urbino (1965), la sperimentazione sull’architettura a scala
geografica di Gregotti e Gabetti e Isola; Atelier5 in Svizzera,
22
figura 51
Milton Keynes - 1970
La rete delle strade e le aree
dell’urbanizzazione
figura 52
Piano della New Town di Milton
Keynes - 1970
alcune realizzazioni inglesi ed olandesi negli anni ‘70, sono
solo alcuni degli esempi in cui si ritrova un principio sistemico
in cui realizzare una sintesi e integrazione equilibrata tra
costruzione architettonica e verde, tra città e paesaggio.
Nell’ambito del progetto urbano sviluppato a partire da
posizioni di critica all’urbanistica funzionalista si possono
ricordare alcune esperienze particolarmente significative in
ambito europeo: le esperienze di progettazione urbana negli
anni ‘80 a Berlino con la rivalutazione dello spazio pubblico
come luogo di relazione disegnato nel tessuto urbano; il ruolo
dei parchi urbani a Barcellona come nuovo tipo di “piazza”
in cui il progetto dello spazio aperto e del paesaggio si
costituisce come occasione di riqualificazione della periferia
suburbana e delle aree industriali dismesse; la maggior
attenzione per il paesaggio e per le componenti ambientali
costitutive della città nei piani della terza generazione in Italia
(Cervellati, Campos venuti), i primi “Plan Vertes” in Francia a
partire dall’inizio degli anni ’80 e di cui è precursore lo Schema
Directeur d’Aménagement et d’Urbanisme de la Region de
l’Ile-de-France (1976).
Lo spazio aperto come connettivo delle strutture
insediative e fondamento della riflessione progettuale
Negli ultimi anni si può riconoscere una sempre maggiore
convergenza di tematiche paesaggistiche nel progetto
urbanistico.
La questione relativa alla progettazione di città e paesaggio
in ambito contemporaneo deve essere introdotto da alcune
osservazioni.
La prima è di ordine metodologico e riguarda l’interdisciplinarietà
della questione urbanistica. L’ecologia rimasta per molto
tempo antagonista alle scienze urbane, all’architettura e
alla progettazione urbanistica ha condotto la ricerca di
un’alternativa al modello funzionalista su binari paralleli. È solo
recentemente che le scienze ambientali stanno confluendo
nell’ambito delle scienze urbane in una vera integrazione e
avvalendosi di tutto il bagaglio di conoscenze accumulate
relative al territorio, all’architettura di paesaggio, alla
conoscenza degli insediamenti umani. La sintesi coerente tra
campi disciplinari diversi sta portando alla diffusione lenta ma
costante dell’’idea di città intesa come ecosistema complesso
che contribuisce a sua volta ad immettere nuovo materiale
e ad indicare direzioni operative nella pianificazione e nella
progettazione urbanistica.
La seconda osservazione riguarda la necessità di uno sguardo
23
figura 53
Jorn Utzon - Kingo houses
Elsinore - 1956-1960
figura 54
Atelier 5 - Siedlung Halen
Berna - 1961
approfondito sulle esperienze accumulate (l’esperienza del
Landscape design nel ‘700 e ‘800, le istanze sociali delle
socialdemocrazie di inizio secolo, le proposte del Movimento
Moderno legato al primo socialismo illuminato) che rivela
una miniera di idee, spunti, suggestioni non ancora del tutto
esplorata. La recente concezione della città intesa come
ecosistema complesso ha dato impulso ad una ulteriore
definizione e sperimentazione di alcune proposte del passato:
la città parco, le cinture verdi, i cunei verdi, i park system, le reti
e le trame verdi, che sono, infatti, da ricondurre alle esperienze
di inizio ‘900. In particolare sono andati gradualmente
aumentando negli ultimi anni le sperimentazioni ed i progetti
che hanno saputo recuperare alcuni assunti in senso
progressista del primo Movimento Moderno (specialmente
quello relativo alla fruibilità dello spazio aperto come valore
collettivo)27 e a rivalutare la tradizione del Landscape.
La necessità di un’articolazione dialettica delle due
problematiche del paesaggio e dello spazio pubblico nelle città
contemporanee rende il discorso della disciplina paesaggistica
particolarmente pertinente: fondato su di una cultura comune
di città e campagna la forza della progettazione paesistica
risiede nella sua capacità di “progettare il paesaggio come
spazio pubblico”.28 Inoltre la sua capacità di vedere la città
come un luogo “sedimento di interpretazioni successive” e
la campagna come un artefatto gli consentono di abbordare
il discorso progettuale a partire dalla lettura del sito cioè
attraverso una strategia finalizzata a rendere leggibile
contemporaneamente le specificità ambientali e culturali dei
luoghi.
In questo senso si può parlare di una nuova possibilità
dell’architettura di paesaggio di contribuire alla rifondazione
della progettazione urbanistica29 sulle basi della reale
figura 55
Giancarlo De Carlo
Università di Urbino, 1962-1965
conformazione della città contemporanea.
La terza osservazione, conseguente a questo discorso, è
relativa ad una riflessione di ordine progettuale avviata a partire
dal riconoscimento della forma concreta dello spazio urbano
contemporaneo come elemento guida di ogni intervento di
trasformazione. Risiedono, infatti, nella forma e nelle necessità
della realtà territoriale contemporanea i potenziali contribuiti
per la definizione di una nuova concezione dello spazio urbano
e delle nuove direzioni da percorrere. Nella città dispersa lo
spazio del paesaggio rurale e del sistema ambientale si è
frammentato in un arcipelago di piccoli e piccolissimi spazi verdi
di risulta racchiusi tra reti infrastrutturali e insediamenti edilizi.
Risultato dell’abbandono della campagna e dell’uso agricolo
24
figura 56
Vittorio Gregotti
Università di Sesto Fiorentino - 1971
figura 57
Alvaro Siza
Quartiere della Malagueira - Evora
1977 - 1990
figura 58 e 59
Alvaro Siza
Quartiere della Malagueira - Evora
Planimetria e schizzo di progetto
del suolo questi spazi acquisiscono una grande potenzialità
se ripensati in un disegno strategico complessivo alla scala
del territorio della città. La scala geografica, la diffusione degli
insediamenti costruiti nel paesaggio, l’occasione dei grandi
vuoti urbani della de-industrializzazione del territorio europeo
conduce verso una concezione di “verde” intesa come rete
di connessione dell’insieme composito del tessuto insediativo
della metropoli contemporanea.
Negli ultimi venti anni, e particolarmente dagli anni ‘90, si sono
moltiplicati in Europa i piani ed i progetti che si muovono a
partire da una concezione di paesaggio inteso come elemento
costitutivo dello spazio insediativo ed in cui è particolarmente
significativo l’apporto della disciplina del landscape.
Sono riconoscibili, a grandi linee, almeno due grandi filoni
operativi che costituiscono in Europa, la punta più avanzata
della sperimentazione e che possono essere riassunti
nell’esperienza di pianificazione di Francia e Germania.30
In Francia, specialmente, la struttura della strumentazione
legislativa e tecnica vigente ha favorito uno sviluppo di
un’idea urbanistica in cui la necessaria costruzione di un
sistema formale di verde è vista in stretta correlazione con
l’organizzazione del costruito. Concetti come le “cascate
verdi”, le “trame verdi”, sono stati implementati attraverso una
concezione di projet urbain che acquisisce il paesaggio come
materiale di lavoro.
Tra i “plans vertes”, messi a punto in circa 20 anni esperienza
in Francia, il piano regionale per L’Ile-de-France del 1994
si configura come primo caso di applicazione operativa
del concetto di trama verde. Si tratta di un’esperienza
di pianificazione a scala territoriale che integra in un
più generale obbiettivo di continuità e fruizione i diversi
insediamenti con gli spazi verdi e naturali della città. Il piano
costituisce un esempio di questa tendenza ed è sulla base
di strumenti urbanistici a scala territoriale che si sviluppa
la progettazione di gran parte delle città francesi negli anni
più recenti. In questo ambito si sviluppa un fertile campo
di intervento per il progetto urbano in cui il ripensamento
della città a partire dal ruolo assunto dallo spazio pubblico
è coniugato con una strategia ambientale complessiva per il
controllo dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo.
Ovviamente non si tratta esclusivamente di una questione
ecologica ma anzi la ricostituzione di una rete paesaggistica
gioca molti ruoli alla scala urbana: a livello di connessioni e
fruibilità territoriali; in senso paesistico come collegamento
dei grandi sistemi forestali e agricoli; in senso estetico come
25
figura 60
Parco di Villeneuve a Grenoble
Michel e Claire Corajoud - 1974
figura 61
Parco di Sausset a Seine Saint
Denis
Michel e Claire Corajoud - 1980/2000
figura 62
Plaine Saint Denis
Michel e Claire Corajoud - 1998
Dettaglio dell’interramento
dell’autostrada
connessione visuale e di riconoscibilità; in senso urbanistico
come precondizione di espansioni insediative future.
In Germania, invece, prevale il discorso ecologico in cui si
privilegia l’aspetto della rinaturalizzazione dei territori urbani.
Nei piani di città come Francoforte, Monaco, Berlino vengono
utilizzate formule già conosciute, come le “cinture” e “cunei”
verdi sviluppate negli anni ’30, ma riproposte con una logica
completamente nuova ed in cui prevale la costruzione di
una rete paesaggistica disegnata a partire dalla costituzione
stessa della città esistente. La grande novità di questi piani
risiede infatti nella loro capacità di conformarsi sulla base
della morfologia e delle opportunità esistenti. In questo senso
i fenomeni di deindustrializzazione costituiscono l’occasione
per proporre la salvaguardia della biodiversità, dell’identità
dei luoghi, delle qualità paesaggistiche su di ampie aree
come strategia generale di riqualificazione e valorizzazione
delle regioni depresse. Si può citare, in tal senso, l’esperienza
dell’Emscher Park nella Ruhr in cui un piano a scala regionale
di rinaturalizzazione e bonifica del corso del fiume Emsher
si è costituito ad indirizzo e guida nello sviluppo di un’intera
regione attraverso l’implementazione di una serie di studi e
progetti di dettaglio che hanno accompagnato l’idea del piano
al livello concreto della realizzazione.
Anche in Italia è riconoscibile nei piani degli ultimi dieci
anni un rinnovato interesse per le problematiche di ordine
paesaggistico ma si può ritenere che siano ancora troppo
pochi i casi che percorrono questa strada rispetto a quello che
accade in altre parti di Europa. In Italia prevale generalmente
la preoccupazione per la salvaguardia e la tutela dei contesti
ambientali sensibili mentre è meno affermato il discorso
dell’integrazione del progetto urbano con il disegno dello
spazio verde come approccio ai paesaggi suburbani. Tra
le eccezioni particolarmente significative nel rapporto tra
progettazione urbanistica, città e paesaggio vi sono i progetti
per i grandi parchi metropolitani come il Parco nord a Milano
e, nel campo della pianificazione, la proposta per il PRG del
comune di Roma (2000).31
In generale si rivelano significative quelle sperimentazioni
in cui è chiaramente riconoscibile la capacità di mettere in
relazione le diverse scale della pianificazione con piani guida
a scala geografica che vengono poi approfonditi da progetti
urbani di dettaglio. Il processo urbanistico si svolge così in
modo unitario e compiuto fino alla sua implementazione
garantendo fattibilità e controllo formale alla scala dei diversi
ambiti di intervento.
26
figura 63
Progetto generale della cintura verde
di Francoforte - 1989
In questo contesto di strumentazione urbanistica si stanno
moltiplicando i casi di progettazione urbana in stretto
rapporto con il contesto ambientale e paesaggistico sia
che si tratti della proposta di nuovi insediamenti, sia che si
tratti di riqualificazione e rivalorizzazione di luoghi esistenti.
Si delinea quindi la necessità di individuare quali possano
essere effettivamente i contributi che questa direzione offre
agli strumenti operativi del progetto urbanistico, attraverso
quali presupposti teorici e culturali, quali siano le direzioni
che questa attitudine ha intrapreso fino ad oggi nel panorama
europeo e con quali modalità questo avvenga.
figura 64
progetto di dettaglio della cintura
verde di Francoforte - 1989
27
figura 65
Piano dell’Ile de France - 1994
Dettaglio della trama verde della
regione di Parigi
NOTE
1
TABUCCHI ANTONIO (1981), Il gioco del rovescio, Feltrinelli, Milano
VIGANÒ PAOLA (1999), La città elementare, Skira, Milano, p. 148.
BENEVOLO LEONARDO (1991), La cattura dell’infinito, Laterza, Roma, p.102103
4
Ivi p. 4
5
Ivi p. 73
6
Ivi p. 79. Benevolo sostiene, al contrario, che si tratti di una vera e propria
diluizione e perdita di spinta creativa del paesaggismo Inglese che sopravvive
solo come repertorio formale di soluzioni progettuali.
7
BELFIORE EMANUELA (2005), Il verde e la città. Idee e progetti dal Settecento
ad oggi, Gangemi, Roma, p. 77
8
BENEVOLO LEONARDO, BENNO ALBRECHT (1994), I confini del paesaggio umano,
Laterza, Roma, p.124
9
Ibidem
10
BELFIORE EMANUELA (2005), cit. p. 79
11
Ivi p. 80
12
GIORDANI PIER LUIGI (1972), L’idea della città giardino, Calderini, Bologna,
p. 44
13
BELFIORE EMANUELA (2005), cit. p. 86
14
Ivi p. 89
15
UNWIN RAYMOND (1995), La pratica della progettazione urbana, Il Saggiatore,
Milano (Ed. Originale 1909)
16
DAL CO FRANCESCO (1973), “Dai parchi alla regione. L’ideologia progressista
e la riforma della città”, in: Ciucci G., Dal Co F., Manieri Elia M., Tafuri M.
(1973), La città americana dalla guerra civile al New Deal, Laterza, Bari, p.
180
17
“parchi del popolo”
18
“paesaggio in città”
19
Marx e Engels ne La condizione della classe operaia in Inghilterra vedono
nell’abolizione della distinzione tra proletariato urbano e classe contadina un
punto importante per l’emancipazione del lavoratori.
20
GABELLINI PATRIZIA (2004), Tecniche urbanistiche, Carocci, Roma, p. 138
21
VIGANÒ PAOLA (1999), cit. p.129
22
FRAMPTON KENNETH (1988), “In search of the modern landscape”, in: Wrede
S. e Adams W. H. [a cura di], Denatured Visions. Landscape and culture in
the Twentieth Century, Moma, New York, pp. 42-61
23
BENEVOLO LEONARDO, BENNO ALBRECHT (1994), cit., p. 134
24
COGATO LANZA ELENA (2005), “Le territoire inversé” in: Versteegh P. (2005),
Méandres. Penser la paysage urbain, PPUR, Lausanne, p. 122
25
LÉVEILLÉ ALAIN [a cura di] (2003), 1896-2001 Projets d’urbanisme pour
Genéve, Georg Editeur, Genève, p.72
26
BELFIORE EMANUELA (2005), cit. p. 160
27
Purtroppo l’abitudine a banalizzare il significato e la portata del
Movimento Moderno con una critica superficiale e ormai convenzionale
e la sottovalutazione della sua componente progressista a scapito di una
sopravvalutazione dell’ecological planning non sempre ha portato delle
novità in senso migliorativo nel campo della progettazione urbanistica.
Per esempio le esperienze di “bioedilizia” hanno spesso replicato forme
e sistemi insediativi desunti dal modello della città giardino rinunciando a
proporre qualsiasi tipo di innovazione spaziale e riducendosi ad un fenomeno
completamente assorbito dalle forze del mercato immobiliare urbano.
28
MAROT SEBASTIEN (1995), L’alternative du paysage, in: Le Visiteur 1 - ville,
territoire, paysage, architecture, Soc. des Architectes, Paris, p. 64
29
BELFIORE EMANUELA (2005), cit. p. 199
30
Il caso Olandese, sebbene importante, si inserisce in una tradizione
di gestione dello spazio pubblico che è determinata da fattori storici ed
economici radicalmente diversi da quello della situazione dell’Europa sudoccidentale. In particolare, il progetto di paesaggio coincide con un’opera
continua di fondazione ed adattamento della terra strappata artificialmente
al mare e poi gestita in un regime di proprietà pubblica. In questo senso
e visti gli obbiettivi operativi della ricerca si ritiene che vada affrontato ed
approfondito in altra sede.
31
Adottato nel 2003 il piano di Roma definisce, oltre al sistema paesaggistico
ed ambientale ed alla rete ecologica, una serie di ambiti di paesaggio relativi
2
3
figura 66
Piano del verde di Monaco - 1990
Il sistema dei cunei verdi
28
figura 67
Piano regionale dell’Emscher
Landschaft Park - 1989
a conformazioni orografiche differenti (valli, fiumi, pianori, …). Una
guida alla progettazione indica icriteri indicativi per gli interventi edilizi e
di infrastrutturazione viaria. È interessante notare, inoltre, come l’ormai
classico modello di “cintura verde” sia riproposto nella forma di “ruota
verde” costituita da raggi=cunei verdi e ruota=cintura verde.
figura 68
Berlino - Piano per la riqualificazione
del quartiere di edilizia sociale
Marzhan - 1991-in corso
figura 69
Michel Desvigne e Cristine Dalkony
Parco F. Mitterand - Issoudun
pianta
29
PARTE II
Il concetto di \paesaggio come aspetto strutturale del progetto urbanistico:
matrici culturali e teoriche
30
II.1 LA PROGETTAZIONE SITE SPECIFIC1 COME PRESUPPOSTO DELLA RICERCA
L’acquisizione del concetto di paesaggio come materiale strutturale e formale nel progetto
urbanistico può essere fatto risalire alla seconda metà degli anni sessanta. In quegli anni
si sviluppa sia in ambito Europeo che in quello nord americano, un contesto culturale che,
seppur estremamente eterogeneo, esprime una critica durissima nei confronti dei fondamenti
dell’urbanistica moderna di matrice funzionalista.
In primo luogo vengono messi in discussione gli strumenti stessi della disciplina, il piano degli
standards, degli indici e dello zoning ritenuti eccessivamente schematizzanti/semplificatori/
banalizzanti rispetto al contesto ed alle trasformazioni territoriali che si andavano delineando. Il
punto centrale delle contestazioni mosse alla cultura funzionalista è rinvenuto nell’indifferenza
della pianificazione verso il supporto geografico ed orografico dei luoghi. Il rifiuto del grado
zero dell’architettura2 diventa così la ragione centrale intorno a cui si muovono molti ambiti
assunti di fondo:
1 - La progettazione come strumento capace di articolare alle diverse scale e in tempi diversi
sia gli aspetti spaziali che quelli sociali dell’intervento sul paesaggio.5
di ricerca. È in alternativa alla pratica progettuale della “tabula rasa” della Carta di Atene che
viene avviata una riflessione sull’idea di un’urbanistica diversa fondata su di un approccio
qualitativo e prestazionale e che si occupa di forme e relazioni dei materiali urbani oltre che di
dimensioni e programmi.
Tra i tanti filoni di ricerca si possono mettere in luce quelli che, sino dall’inizio del dibattito, hanno
individuato nel paesaggio e nel territorio un campo di approfondimento da abbordare con gli
strumenti della progettazione, intesa come pratica di implementazione di idee e piani astratti.
Alcuni di essi rivestono una particolare importanza perché hanno dato origine a veri e propri
filoni teorici in qualche misura confluiti nella teoria e nella pratica del progetto contemporaneo
con apporti sempre riconoscibili.
Senza avere la pretesa di esaurire l’argomento e con l’obbiettivo di sviluppare un discorso
progettuale relativo alla forma urbana e il paesaggio, sono stati individuati alcuni spunti teorici
particolarmente significativi che hanno mosso le loro posizioni da quel clima culturale. È
interessante notare che l’acquisizione del concetto di paesaggio nella progettazione avvenga
a partire da altre discipline prima che in campo urbanistico. I testi proposti di Lynch, Mcharg,
Gregotti, Smithson sono, in questo senso, precursori di alcune linee di ricerca afferenti a contesti
culturali, disciplinari e geografici molto diversi tra loro. Pubblicati quasi contemporaneamente
hanno avuto grande risonanza negli anni a seguire e sono divenuti un riferimento nei relativi
ambienti disciplinari. Si veda per esempio la definizione delle problematiche relative alla “nuova
dimensione della città” e l’aspirazione all’unità tra urbanistica e architettura come apporto
italiano al dibattito europeo di quegli anni che avuto vari sviluppi tra cui il discorso sul Progetto
di Suolo di B. Secchi e il filone del projet urbain in Francia; la “sensibilità topologica”3, gli
Il metodo di lettura dei testi è finalizzato ad individuare alcuni contributi chiave per la definizione
di una metodologia operativa. I testi vengono analizzati per mezzo di una sorta di “scheda”
di lettura con l’intento di poter estrapolare alcuni principi riconducibili ad una metodologia
del progetto urbanistico. La scheda è articolata in tre sezioni. La prima parte contiene una
sintetica presentazione del contesto culturale in cui è stato pubblicato il testo; una seconda
parte è relativa all’analisi del corpo centrale del testo e dei suoi contenuti; la terza individua
sinteticamente i principi progettuali più significativi.
2 - La scala territoriale in relazione al concetto di paesaggio e le sue implicazioni nel campo della
progettazione sotto le sue diverse declinazioni (architettonica, urbana, ecologica, artistica).
3 - La ricerca di una fondamentazione del progetto a partire dalle caratteristiche dei luoghi
della trasformazione, la progettazione site specific ed il riconoscimento del ruolo dell’analisi
come primo atto progettuale.
4 - Il discorso sulla forma e, nello specifico, sulla morfologia del territorio.
5 - Il vuoto, lo spazio aperto come inizio della riflessione progettuale operando di fatto
un’inversione sulla consueta relazione tra progetto e oggetto.6
earthworks, le “escursioni suburbane” della Land Art a cui possono essere ricondotte alcune
esperienze di riqualificazione come quelle di Peter Latz per l’Emsher Park e quelle di gruppi
come i Cliostraat e gli Stalker; l’approccio ecologico alla pianificazione attraverso gli strumenti
ormai codificati delle “analisi di idoneità” ed i concetti di “vocazione intrinseca” dei luoghi e di
“capacità portante”4; la grande importanza didattica dei testi di Lynch in campo universitario
e l’approccio del siteplanning come una vera e propria nuova disciplina fondata in termini di
sistemi di significato e di percezione dell’ambiente.
I testi di riferimento, scelti per il loro valore esemplificativo, hanno un ruolo importante nel
legare gli intenti morfologico-formali della progettazione urbana e territoriale ad alcuni aspetti
del paesaggio. In quest’ottica nei quattro testi è riconoscibile un terreno comune su alcuni
31
VITTORIO GREGOTTI: LA FORMA DEL TERRITORIO7
Nella possibilità di isolare il problema della forma alla
scala antropogeografica viene rinvenuta la necessita di
un’approfondimento di alcune questioni di ordine disciplinare
relative al rapporto tra Planning e Design e alla disciplina
del Landscape. All’esterno del campo disciplinare proprio
dell’architettura Gregotti fa riferimento in particolar modo a
tre gruppi di studi che si sono occupati di problemi relativi alla
strutturazione formale del territorio13.
Il contesto culturale ed i contenuti generali
Una prima versione del saggio “La forma del territorio” appare su di un numero speciale
di “Edilizia Moderna” 87-88/1966 con il titolo omonimo. Nel 1991, venticinque anni dopo
la prima pubblicazione, viene ripreso un estratto del testo nell’editoriale di Casabella 575576, Il disegno del paesaggio italiano dal titolo “Progetto di paesaggio”. La pubblicazione
avviene in un contesto culturale particolarmente attivo ed in coincidenza con “L’architettura
della città” di Aldo Rossi, un altro testo fondamentale per la cultura architettonica italiana.
Intorno alla rivista Casabella di Ernesto Nathan Rogers si forma, a partire dalla prima metà
degli anni ’60, una generazione di architetti che vede una via di uscita dalla crisi in cui si
trovava la cultura architettonica e urbanistica moderna nella considerazione della città come
realtà fisica. In particolare l’attenzione per la descrizione e classificazione della città in termini
formali acquisisce il significato di riportare l’attenzione sugli aspetti peculiari dei luoghi nelle
loro componenti morfologiche, geografiche, paesaggistiche ma anche sugli aspetti di ordine
storico e culturale che contribuiscono nel tempo alla loro formazione.
Alcuni temi fondamentali accomunavano il dibattito di quegli anni: la “nuova dimensione”8 della
La geografia del paesaggio
In primo luogo la geografia come settore disciplinare da
sempre coinvolto nella descrizione e studio dell’ambiente
fisico a grande scala e che pur indagando relazioni e
formazione dello spazio geografico, non costituisce proposte,
non ha finalità progettuali.
Il paesaggio come oggetto estetico
Il secondo settore è quello che riguarda la modificazione degli
strumenti di comunicazione in particolare quello relativo alla
strutturazione della forma visuale dell’arte moderna in grado
di far fronte alle dinamiche spaziali e temporali richieste dalla
dimensione geografica.14 L’indagine è sviluppata a partire dal
città, il rapporto tra storia e architettura, il metodo di analisi della realtà, il ruolo del progetto in
relazione agli strumenti tradizionali della pianificazione e specialmente le questioni di ordine
disciplinare che riguardavano l’autonomia disciplinare e la specificità dell’architettura.
Al contrario del gruppo Tendenza (Rossi, Aymonino) che si poneva in stretta continuità con
gli studi morfo-tipologici di Muratori, le premesse culturali di Gregotti si possono far risalire
al pensiero fenomenologico, vicino a certe posizioni dello strutturalismo, particolarmente
nella versione di Maurice Merlau Ponty9 e di Enzo Paci. Da questi presupposti si articolerà
presupposto che il paesaggio antropogeografico possa essere
oggetto estetico. Gregotti si occupa dal ruolo assunto dalle
arti della rappresentazione (pittura, fotografia, cinematografia)
nella costruzione storica della nostra percezione evidenziando
il loro apporto significativo nella conquista di nuovi punti di
vista sui diversi aspetti della realtà territoriale e paesaggistica.
Il loro ruolo assume una particolare rilevanza nell’ambito di
tutte quelle discipline che hanno necessità di utilizzare gli
strumenti di descrizione e rappresentazione del territorio e sul
loro ruolo anticipatorio rispetto a discipline come l’urbanistica
che ha un feedback molto più lento.
la sua ricerca relativa al paesaggio e all’idea di architettura come mezzo di trasformazione
dell’ambiente fisico nella sua totalità.
I problemi vengono posti a partire da un’ottica di lettura dell’architettura come “insieme
ambientale totale” in cui, in alternativa alla pratica del Movimento Moderno, si privilegia
“l’organizzazione in figure delle forma esistenti attraverso l’instaurazione di nuovo senso
piuttosto che la produzione di nuove forme”10.
Consapevole delle trasformazioni territoriali che in quegli anni vedevano un primo forte impulso,
Gregotti riconosce nelle questioni poste dalla nuova dimensione della città (la “città territorio”,
la scala territoriale, il paesaggio) un assunto fondamentale del discorso sulla progettazione
dello spazio e sulla formalizzazione dei processi di trasformazione in atto. La definizione della
nozione di “paesaggio antropogeografico”11 consente a Gregotti di articolare una proposta
Le teorie sugli aspetti formali della città
Il terzo gruppo si riferisce a quegli studi che si sono occupati di
problemi di strutturazione della forma urbana e come il punto
di vista della “figura della città” possa essere considerato un
caso particolare del problema della “figura del territorio”.
Gregotti individua negli studi condotti da Kevin Lynch e
Gyorgy Kepes presso il MIT di Boston uno dei contributi più
importanti nel campo degli studi della figura dell’ambiente
fisico e dell’immagine della forma urbana15 ed in cui, per la
intorno ai problemi relativi alla nuova dimensione della città e affermare la necessità di una
descrizione della “forma del territorio”.
Struttura, articolazione e contenuti del testo
Il testo è suddiviso secondo vari paragrafi che introducono gli argomenti della trattazione
e di cui si riassumono i contenuti rilevanti. La questione centrale del libro viene enunciata
immediatamente all’inizio: “[…] di indagare intorno alla fondazione di una tecnologia formale
del paesaggio antropogeografico dal punto di vista dell’architettura. Indagare cioè quali
problemi vengano posti in primo piano dal considerare il nostro lavoro di architetti come lavoro
sugli insiemi ambientali a tutte le scale dimensionali”.12
figura 70
Vittorio Gregotti
Piano PEEP a Cefalù - 1976
prima volta, la questione della morfologia urbana viene posta
in termini di sistemi di significato.
32
Dinamica morfologica del territorio
Negli ultimi cento anni il movimento di trasformazione nel tempo della figura del paesaggio
antropogeografico ha subito una particolare accelerazione e con rapidità sempre maggiore si
assiste alla progressiva e inarrestabile “riduzione da parte dell’uomo della natura a cultura”.16
A questa espansione spaziale ed accelerazione temporale dei processi di trasformazione non
ha corrisposto la messa a punto di un’adeguata strumentazione progettuale che consente una
strutturazione formale del territorio alla scala geografica e del paesaggio. Gli architetti sono
costretti a ricorrere ad altre discipline per la rappresentazione del territorio di cui non sono più
in grado di controllare né prevedere le modificazioni in atto.
La tradizione del landscape e la difesa del paesaggio
La fondazione della disciplina del “Landscape” e, quindi, l’assunzione del paesaggio tra i
materiali in qualche modo operabili in senso estetico ed il riconoscimento culturale del valore
intrinseco dei luoghi, determina l’esigenza di articolare una legislazione in grado di tutelarne le
caratteristiche peculiari. La prima legislazione di tipo vincolistico risale ai primi decenni del ‘900
con la fondazione dei Parchi Nazionali che hanno lo scopo principale di operare una difesa
di alcune porzioni di territorio dalle pressioni del mercato immobiliare. Il territorio risulta così
suddiviso in aree privilegiate di particolare valore storico-naturalistico la cui operabilità è intesa
esclusivamente in senso conservativo e aree non vincolate, di “non-paesaggio”17 in cui spesso
Problemi di lettura dei sistemi ambientali
Per operare in una situazione geografica specifica è necessario operare una lettura alla scala
appropriata e quindi dotarsi di una “nomenclatura e di una descrittiva formale del paesaggio”21
in grado di rappresentare e classificare le tipologie formali del paesaggio antropogeografico,
i valori formali del territorio, gli indici di trasformazione formale e i criteri di definizione del
comprensorio formale.
Gregotti evidenzia le difficoltà riscontrabili in questa operazione di lettura alla scala del
territorio:
1- definire un’unità operativa di lettura. È suggerito un metodo riconducibile al riconoscimento
di insiemi formali circoscrivibili per esempio servendosi dei concetti della topologia spaziale
come quello di campo, insieme, gruppo, iterazione. I campi sono costituiti da vari insiemi di
elementi ambientali omogenei, “collezioni di materie operabili”, che vengono rilevati secondo
vari piani di rilevamento relativi a stratigrafie, storia del processo di formazione, materiali e loro
inventario ed ordinamento per forma, colore, struttura. Sono compresi in questo gruppo tutti
gli schemi di relazione geometrici, le sequenze, le polarità, la posizione e quantità, le maglie
riconoscibili, le densità di significato intese sia nel senso delle destinazioni d’uso sia dal livello
di qualità simbolica dei luoghi. Questa idea e principio di una possibile lettura del territorio a
scala geografica a partire dai materiali costituenti elementari è stata poi ampiamente ripresa
ed approfondita da alcune ricerche sviluppate negli anni ’90.22
le uniche norme sono quelle relative alla densità. Questa osservazione consente a Gregotti
di avanzare una critica ed allo stesso tempo una proposta sul ruolo della progettazione nel
governo delle trasformazioni dei luoghi, anticipando di almeno una ventina d’anni un dibattito
ancora in corso18. In particolare il progetto dovrebbe essere in grado di strutturare anche i
2- operare una revisione degli strumenti di rappresentazione partendo dal presupposto che il
piano fotogrammetrico o fotografico rappresenta uno strumento efficace come supporto ma
che non è in grado di restituire niente del “peso figurale” delle varie parti del territorio.23
luoghi meno rilevanti da un punto di vista storico e paesistico, i luoghi non tutelati, secondo
obbiettivi figurali capaci di fornir loro un nuovo significato all’interno di un sistema ambientale e
paesaggistico più ampio. Attraverso la lettura dei caratteri formali dei luoghi esistenti il progetto
deve sviluppare un’”arte dell’environnement” in grado di “porre gli oggetti l’uno in rapporto
all’altro” e di servirsi delle forze in espansione in atto con lo scopo di ottenere un risultato
migliore delle condizioni originali.19
Un catalogo degli approcci formali
Gregotti suggerisce vari piani di possibili di lettura formale del territorio secondo un ottica
proveniente dallo spostamento di scala degli approcci delle arti visive che conducono a diversi
tipi di atteggiamenti verso la strutturazione formale del paesaggio. Sono individuati diversi tipi
di approcci possibili:
- approccio tendente ad una invenzione figurale totale attraverso il cambiamento di senso
della materia esistente (a partire dall’evocazione/riconoscimento nella forma geografica di
forme delle cose del mondo);
- approccio del riconoscimento delle preesistenze ambientali come sfondo continuo
dell’intervento di trasformazione (l’oggetto che misura il paesaggio, figura per rapporto ad
esso);
- approccio combinatorio delle materie rilevate attraverso un’ottica molto distante e una lettura
alla dimensione geografica (geografia e geometria);
- approccio che sfrutta la materialità del suolo per operare la trasformazione attraverso la
lettura della struttura del supporto geologico.
La figura del territorio e la tradizione disciplinare dell’architettura
Il discorso sulla figurabilità del paesaggio è sviluppato a partire da tre ordini di considerazioni:
la prima costituisce il riconoscimento della crisi dell’architettura e dell’urbanistica di matrice
funzionalista che vede nel rapporto di corrispondenza sequenziale forma-funzione il suo
principale fondamento progettuale; la seconda riguarda la necessità di ricostituire la specificità
disciplinare dell’architettura fondandola sul “preciso compito di introdurre degli obbiettivi
figurativi nell’attuazione spaziale dei servizi nel contesto”20. In questo senso l’architetto deve
poter proporre modelli spaziali pertinenti al proprio campo disciplinare e metterli a confronto
con gli altri contributi specialistici sullo stesso piano interdisciplinare ed in questo senso deve
comparire sin dall’inizio del processo di pianificazione il problema della figura significativa di
città e territorio; la terza si riferisce alla possibilità di riconoscere nella costruzione del paesaggio
un campo di specifica competenza architettonica con l’obbiettivo di costruire una “geografia
volontaria” mirata alla continua espansione della sua fruibilità a partire dalle situazioni esistenti
e dal loro riconoscimento.
Natura della disegnabilità a scala geografica
Gregotti si chiede allora quale sia il limite temporale e spaziale della disegnabilità e
dell’invenzione geografica, in cosa consista la differenza tra le operazioni figurali caratteristiche
del suo livello dimensionale, quelle tradizionalmente connesse alle arti figurative e quelle legate
alla tradizione architettonica moderna; quali siano gli elementi di queste due tradizioni che sia
possibile recuperare come valori della disegnabilità a scala geografica. Torna sulla necessità
33
di definire delle tecnologie formali di lettura del territorio finalizzate alla sua strutturazione
perché: “troppo varie e resistenti sono le situazioni, troppo ricche di spunti per non appoggiarci
ad esse”.24 Il problema è posto a partire dalla constatazione che le azioni di trasformazione che
implicano una modificazione della forma avvengono sempre relativamente ad una situazione
contingente ben precisa, con condizioni esterne e di “preesistenze ambientali”25 di fatto
differenziate. Di conseguenza la specificità dell’azione di trasformazione è necessariamente
legata ad una “soglia minima operativa” oltre la quale l’efficienza operativa viene meno nella
formazione/nell’azione di creazione/conseguimento di un nuovo significato: “In ogni caso,
poiché non si tratta nel progetto di paesaggio della manomissione totale dell’ambiente come
insieme di elementi su un campo determinato, ma della riassunzione totale di esso in funzione
della formazione di senso, si tratterà di operare con il minimo degli spostamenti possibili, con
il massimo cioè dell’economicità figurativa dell’intervento”.26
È riconosciuto in questo senso un primo principio chiave per la trasformazione del paesaggio
antropogeografico, quello cioè della minima azione possibile valutata in base alle condizioni
dettate dalla specificità dei luoghi che consenta il “massimo rendimento creativo col minimo
sforzo operativo”. Questo principio di misura dell’azione di trasformazione è ritenuto
applicabile sia ai paesaggi in cui sia preponderante l’aspetto naturale sia nel caso dello spazio
geografico compromesso dall’azione dell’uomo: in entrambi i casi è ritenuto valido il principio
di individuazione di una soglia minima di intervento.
- la necessità di reperire nuovi strumenti di lettura ed analisi del territorio per rintracciare nella
situazione esistente, nelle preesistenze ambientali e nella geografia dei luoghi gli spunti ed i
fondamenti del progetto;
- la necessità di mettere a punto un’adeguata strumentazione progettuale in grado di servirsi
delle forze di trasformazione in atto per ricostituire un significato ed una fruizione ai luoghi;
- il privilegiare una progettazione fondata sull’”arte delle relazioni” piuttosto che sulla costruzione
di nuovi manufatti e sul “design”;
- l’introduzione del concetto di “soglia minima operativa” come soglia di trasformazione oltre
cui non è possibile muoversi.
Gli esiti progettuali del discorso di Gregotti si sono limitati ad alcuni progetti di architettura
a scala geografica ed a problematiche relative alla standardizzazione di manufatti edilizi di
grande dimensioni, mentre le implicazioni operative non sono mai state estese direttamente
alla progettazione urbana nella sua complessità. Si vedano per esempio i progetti il complesso
di edilizia pubblica a Cefalù (1976) e il progetto per il Polo Universitario di Sesto Fiorentino
(1971).
Architettura, ambiente, natura
Gregotti conclude il saggio riconoscendo che le considerazioni in esso contenute non possono
acquisire una validità scientifica, perché partono da considerazioni orientate ad un’operazione
artistica in quanto estetica e che il problema della strutturazione formale dell’ambiente
antropogeografico impone una revisione del concetto di natura come valore così come si è
costituito nella tradizione dell’architettura moderna. Vengono individuate due posizioni estreme:
da un lato l’idea di Le Corbusier di natura che entra nella città attraverso l’architettura, dall’altro
l’idea di città e campagna come due fatti indistinti nel piano per Broadacre city di F.L. Wright.
L’idea di Gregotti è, al contrario, quella di paesaggio come “insieme ambientale totale che
deve muovere, invece che verso la conservazione o ricostruzione dei valori naturali separati,
verso il riconoscimento della materialità dell’intero ambiente antropogeografico come operabile
e continuamente intenzionabile, e fare riferimento alla fruibilità totale come ad un valore
indispensabile”. Lo scopo ultimo della trasformazione di paesaggio è individuata nella sua
riassunzione in un sistema ambientale accessibile e quindi “più disponibile”.
Principi riconducibili ad una metodologia della progettazione
A distanza di quasi 40 anni il discorso di Gregotti appare ancora attualissimo pur essendo
stato in gran parte superato dalle tecnologie e dagli strumenti di descrizione, dal discorso
sull’ecologia, dalle normative e dalle tecniche urbanistiche nel frattempo sviluppatesi. Il testo
è precursore di vari studi e tendenze ed ha anticipato moltissimi temi del dibattito ancora in
parte in corso, in questo senso non ha ancora esaurito la sua portata operativa. In particolare
si possono riassumere alcuni concetti chiave da un punto di vista operativo particolarmente
significativi nel discorso che ne è seguito:
- il riconoscimento nel problema dimensionale e della scala il nodo peculiare di ogni intervento
sul paesaggio e sul territorio geografico urbano;
34
KEVIN LYNCH: THE SENSED LANDSCAPE 27
intervento intermedia tra il progetto architettonico e la pianificazione urbanistica sul confine
disciplinare di architettura, ingegneria, urbanistica e architettura di paesaggio. Il Site Planning
fornisce all’urbanistica gli strumenti e le tecniche per progettare fino ai dettagli lo spazio aperto
della città sulla base delle caratteristiche fisiche dei luoghi. La condizione necessaria alla
trasformazione dello spazio è rinvenuta in un’analisi attenta delle complesse relazioni che si
stabiliscono tra l’uomo ed il suo ambiente mentre l’utilizzo di alcuni “requisiti ambientali” ha lo
scopo di dare forma al progetto. La progettazione è intesa come un insieme di principi che
mettono in relazione tra loro i materiali fisici della città e del territorio in funzione delle diverse
possibilità percettive legate a tutti i cinque sensi.
Nella terza edizione di Siteplanning33 completamente rivista nella struttura e nell’ordine dei
Il contesto culturale ed i contenuti generali
Siteplanning è considerato uno dei testi fondamentali per la
disciplina del progetto urbano. Pubblicato nel 1962 per la
prima volta è stato rieditato più volte con numerose revisioni
ed ampliamenti. In Italia, al contrario di altri testi di Lynch di
notevole fortuna,28 non esiste una edizione tradotta.
Il pubblico italiano conosce Lynch nella sua prima traduzione
di L’immagine della città nel 1964 che come siteplanning è
frutto della collaborazione con il Joint center for urban studies
del MIT di Boston.
Già a partire dagli anni ’50 con l’approfondimento dell’approccio
percettivo proposto da Architectural Review in Inghilterra
Lynch si occupa della ridefinizione del concetto funzionalista
di progetto urbanistico.
Come nei suoi altri testi, Lynch propone un approccio diverso
nel metodo di lettura della città con l’intento preciso di
incidere sulla metodologia di formazione del progetto urbano
nel tentativo di fondare una nuova disciplina a cavallo fra
pianificazione urbanistica e progetto architettonico. In questo
senso Lynch utilizza il termine Siteplanning, già usato da Unwin
nel capitolo “Del site planning e delle strade residenziali”29 in
capitoli, compare una sezione dal titolo: “The sensed landscape and its materials”. Rispetto
alle versioni precedenti viene dato un grande risalto al concetto della priorità del sito sul
programma nella progettazione dei luoghi ed in particolare dello spazio aperto. Già a partire
dall’indice, infatti, the site e the user occupano un posto privilegiato. La grande novità del testo
e la sua portata anticipatoria risiede nell’individuare chiaramente nello spazio aperto e vuoto
un materiale progettabile ed intenzionabile secondo un metodo empirico dedotto da un’analisi
di tecniche e materiali.
Il sesto capitolo, The sensed landscape and its materials, si occupa del paesaggio e dei
suoi materiali a partire dal presupposto che “la qualità sensoriale di un luogo è costituita
dall’interazione tra la sua forma e chi la percepisce”34. Come già per lo spazio urbano la forma
dello spazio aperto deve essere progettata in modo tale da costituire un’immagine spaziale
significativa e dinamica in cui tutte le componenti fisiche interagiscono coerentemente. Con
una serie di precisazioni Lynch estende le tecniche ad uso del “site planning” allo spazio
aperto del paesaggio.
Il programma tradizionale di quantità e funzioni viene progressivamente sostituito con la
definizione di una serie di “behavior settings”, requisiti prestazionali ricavati attraverso l’analisi
dei modi d’uso, dei vincoli, delle potenzialità, delle caratteristiche materiali e sociali del sito. Il
capitolo si occupa di fornire una serie di strumenti per perseguire questo scopo ed è strutturato
come un manuale di tecniche e materiali progettuali relativi al campo specifico del paesaggio.
Le proposizioni sono fondate in base all’analisi degli elementi fisici della città e agli aspetti
percettivi del progetto dello spazio aperto.
La prima parte del testo è riservata ad una serie di precisazioni sulla natura e possibilità di
applicazione del metodo del siteplanning al paesaggio e da cui è possibile ricavare alcuni
concetti generali chiave:
- Il lavoro del progettista deve essere diretto ad amplificare l’espressione di un luogo, ad
esaltare e comunicare la sua natura.35
cui è descritta una metodologia di controllo del processo di
pianificazione attraverso le diverse scale di intervento.
Partendo
dalla
considerazione
dell’inadeguatezza
dell’approccio disciplinare e alla ricerca di una presunta
oggettività del processo progettuale Lynch sviluppa un
metodo empirico fondato sulle componenti della “figurabilità”30
(imageability) cioè basata sulla percezione dei fruitori dello
spazio urbano. Per la prima volta la questione della morfologia
urbana viene posta in termini di sistemi di significato e
percezione. Nella chiarezza di orientamento e di lettura della
città è riconosciuto un obbiettivo perseguibile e valutabile
attraverso una serie di nuovi strumenti (mental maps, mappe
cognitive) messi a punto a partire da un rilevamento statistico
sull’utente. La “figurabilità” è ordinata secondo cinque schemi
operativi (percorsi, riferimenti, margini, nodi e quartieri) e
istituita dal punto di vista dell’utente concreto. L’oggettività
presunta delle conclusioni è rinvenuta nella verifica posta su
basi collettive e, quindi, “non soggettiva”. 31
Struttura, articolazione e contenuti del testo
La definizione del termine “Site Planning” è enunciata
immediatamente dalle prime righe del libro:32 una scala di
figura 71
Kevin Lynch - Siteplanning
Ground Form - 1962
- Il progetto di paesaggio e dello spazio aperto non può fondarsi sulla riproposizione di prototipi
spaziali (il giardino francese o giapponese, la piazza italiana, …) che sebbene costituiscano
un enorme riserva di forme possibili, non possiedono nessun legame con l’uso dello spazio.
- Lo spazio esterno è percepito attraverso luce e suono e definito da elementi di chiusura
(enclosures).
- Lo spazio esterno è caratterizzato dalla dimensione orizzontale, le sue strutture sono meno
geometriche di quelle dello spazio architettonico e le connessioni tra oggetti meno precise; i
suoi materiali sono la terra, la roccia, l’acqua e le piante, soggetti a costanti cambiamenti del
ciclo naturale.
35
- Lo spazio esterno è percepito in sequenze temporali, il disegno complessivo delle varie
componenti spaziali che costituiscono un progetto devono essere leggibili come unitarie lungo
le variabili di distanza e tempo.
- La percezione visiva dipende da molte caratteristiche come luce, colore, tessitura e dettaglio,
alcune di queste possono essere manipolate per ottenere un effetto spaziale intenzionale.
La seconda parte del testo riporta una serie eterogenea di indicazioni relativa alle caratteristiche
ed ai materiali dello spazio aperto e del paesaggio e di tecniche di dettaglio per la loro
predisposizione nella costruzione del progetto: luce, tatto e udito, connotazioni, punti di vista,
modelli e mappe, tessiture e materiali, attività visibile, congruenza e trasparenza, simboli, senso
del tempo, rocce e terra, acqua, piante, manutenzione, dettagli, segnali, arte ambientali, … È
interessante soffermarsi sulle indicazioni fornite da alcune di queste voci nell’ambito del taglio
critico-operativo della ricerca in relazione al progetto di paesaggio, per esempio quelle relative
alla topografia e alla forma del suolo36 e quelle che introducono delle vere e proprie tecniche
progettuali relative allo spazio aperto. Tra queste si riporta una descrizione esemplificativa dei
contenuti di quelle ritenute più significative.
Enclosures
Lo spazio aperto è definito da elementi come alberi, siepi, edifici, colline ma raramente è
completamente racchiuso da essi. La dimensione orizzontale prevale ed è per questo che
qualsiasi elemento verticale acquisisce un’importanza amplificata. Anche i cambiamenti di
livello possono definire lo spazio aperto e creare un effetto dinamico. Il passaggio da un piccolo
spazio racchiuso ad una grande apertura crea una sensazione di transizione tra contrazione
e rilassamento.
Proportion and scale
Il carattere spaziale di un luogo varia a secondo di scala e proporzione cioè la relazione
dimensionale tra gli oggetti e tra le varie parti di un solo oggetto. Lo spazio viene percepito
dall’occhio secondo un angolo visivo che varia a seconda della distanza del soggetto
dagli elementi che lo racchiudono. Un elemento la cui dimensione è pari alla sua distanza
dell’osservatore può essere analizzato nei dettagli ma non percepito nel suo complesso. Due
volte più lontano appare come un’unità. Tre volte occupa ancora il campo visivo ma comincia
ad essere percepito in relazione con gli altri oggetti.
considerazione la forma naturale del suolo e di attenuare l’impatto sullo spazio circostante
costruendo sempre al di sotto del punto più alto delle alture.
Stability and change
I materiali dello spazio aperto sono materiali vivi e quindi soggetti a cambiare nel tempo forma,
colore, dimensione. Il progetto deve prendere in considerazione la variabilità dei materiali ed
utilizzarla attivamente come variabile imprevedibile nella conformazione dello spazio fisico
(per esempio prevedendo delle piantumazioni alternando specie vegetali con durata di vita
diverse per configurare uno spazio che raggiungerà la sua forma completa solo dopo molto
tempo).
Principi riconducibili ad una metodologia della progettazione
L’interesse del testo risiede nella sua portata operativa. Lynch non si limita a fornire delle
indicazioni preliminari o propedeutiche al progetto ma si addentra in questioni prettamente e
specificamente progettuali. Gli strumenti disciplinari sono finalizzati al controllo della forma,
del significato e delle qualità materiali in funzione di un utente reale.
Si possono riassumere alcuni punti cardine del discorso sul progetto del paesaggio:
- Il tempo come elemento che rientra nella progettazione dello spazio attraverso le sequenze
visive ed il movimento attraverso lo spazio aperto.
- La topografia del terreno e la sua modellazione come strumento per la definizione/controllo
della forma dei luoghi.
- La necessità di definire in dettaglio le qualità dei luoghi (topografiche, orografiche, …)
attraverso la realizzazione di modelli e carte tematiche di analisi.
- La percezione sensoriale (tatto, vista, udito) come punto di partenza per le scelte di forma e
materiali del progetto.
- L’imprevedibilità dei risultati finali e definitivi del progetto che si muove a partire da materiali
vivi come i vegetali e il terreno.
Il metodo trova un suo limite nella riduzione di tutto lo spazio ad una questione puramente
visivo-percettivo secondo un modello “inventariale”37 dei materiali esistenti. L’approccio è
assolutamente “antropocentrico”, da un punto di vista esclusivamente “umano” . Non sono
prese in considerazione alternative, poco le ragioni del sito e delle qualità ambientali ed
ecologiche intrinseche perché esistenti comunque al di fuori della visione umana.
Visual sequences
Le sequenze visive sono più importanti dei punti di vista nella percezione dello spazio aperto
del paesaggio che avviene quasi sempre da parte di un osservatore in movimento. La forma
del moto ha, dunque, un significato preciso così come la velocità con cui si percorre uno spazio
può influenzarne la sua percezione. I luoghi sono percepiti in sequenza e di conseguenza il
tempo è un elemento fondamentale nella percezione dello spazio. Come tale deve essere
considerato nella pratica del progetto dello spazio.
Ground form
La forma del terreno influenza grandemente le scelte del progetto. La topografia originaria non
può non essere ignorata anche se abbiamo oggi a disposizione macchine che ci consentono
di modellare il terreno. Lynch prende in considerazione i vantaggi e gli svantaggi di costruire
secondo la pendenza del terreno o in contropendenza. Suggerisce di tenere sempre in
36
IAN L. MCHARG: DESIGN WITH NATURE38
dimostrare le conseguenze fisiche e finanziarie che avrebbero
comportato scelte insediative sbagliate. Attraverso un’analisi
dettagliata di parametri demografici, di mercato, di valore e di
terreni, della domanda insediativa venne simulato un modello
di crescita così come si sarebbe potuto verificare in assenza
di nuovi dispositivi urbanisitici. Il modello venne respinto
decisamente dai residenti della regione.
Per individuare il modello di sviluppo ideale nel piano delle
Valli venne, quindi, sviluppato il concetto di determinismo
fisiografico: “Il determinismo fisiografico indica che
l’urbanizzazione dovrebbe rispondere ai processi naturali”
Il contesto culturale
Ian L. McHarg inizia il suo lavoro di ricercatore presso l’Università della Pennsylvania agli inizi
degli anni ’60 quando il movimento ambientalista comincia ad avere una notevole influenza
sull’opinione pubblica americana. Il corso che conduce di architettura di paesaggio è strutturato
secondo un approccio ecologico della progettazione in un momento in cui gran parte dei
pianificatori basavano la loro disciplina su conoscenze che poco avevano a che vedere con le
scienze ambientali e la biologiche.
Lewis Mumford definisce McHarg come “urbanistica ecologico”39. In particolare sottolinea
l’aspetto innovativo della progettazione proposta da McHarg: “Ribadendo la necessità
di un intento consapevole, di una valutazione etica, di un’organizzazione ordinata, di una
deliberata espressione estetica nel trattare ogni parte dell’ambiente, McHarg pone l’accento,
non sulla progettazione o sulla natura in se stesse, ma sulla preposizione “con”, che implica
cooperazione umana e compartecipazione biologica.”40 In questo senso è messo in risalto
l’approccio operativo di McHarg che rinviene negli aspetti restrittivi che la natura comporta alla
progettazione lo strumento per legittimare/fondare le motivazioni e le scelte della modificazione
territoriale. Mumford riconosce in uno sguardo innovativo sul rapporto di città e paesaggio il
nucleo centrale del pensiero di Mcharg: “Non si tratta di una scelta fra città e campagna:
entrambe sono essenziali; ma oggi è la natura, assediata in campagna, troppo scarsa in città,
ad essere diventata preziosa”.41
43
. Con questo termine McHarg indica il concetto che
ogni decisione di tipo insediativo debba venire valutata
esattamente sulla base degli elementi naturali presenti
nell’area interessata ed attraverso un esame approfondito
delle componenti ecologiche e biologiche legate all’acqua,
alla terra, alla conformazione orografica ed idrografica,
geologica dei sottosuoli, alla vegetazione ed alla vita animale
oltre che ai processi umani presenti. Ciascuno di questi
processi interagisce con gli altri e ciascuno ha implicazioni
per l’urbanizzazione permettendo di definire la vulnerabilità di
ogni area e la sua capacità di urbanizzazione.
La proposta per il Piano delle Valli è riassunto in pochi punti
essenziali che vengono sviluppati solo brevemente da McHarg
e di cui si riportano i più significativi:
- L’area è bella e vulnerabile
- Il processo di urbanizzazione è inevitabile e bisogna trovargli
una sistemazione.
- Una crescita incontrollata sarebbe inevitabilmente
distruttiva.
- L’osservanza dei principi di conservazione può impedire la
distruzione e assicurare una valorizzazione.
Quest’area è in grado di assorbire tutta la crescita prevista
senza venirne distrutta.
- La crescita pianificata è più desiderabile e vantaggiosa di
quella incontrollata.44
Struttura, articolazione e contenuti del testo
Il libro è strutturato secondo una serie di capitoli tematici (mare, fiume, metropoli, salute, …)
ognuno dei quali è incentrato sulla descrizione di uno tra i molti lavori di pianificazione ecologica
eseguiti negli anni ’60 da McHarg. Sono stati scelti alcuni casi di studio esemplificativi e che
possono essere rapportati al discorso del progetto urbanistico in relazione alla problematica
del paesaggio.
Il principio del determinismo fisiografico
La prima parte del libro è dedicata alla dimostrazione che i fenomeni naturali, dinamici ed
interattivi, rispondono a precise leggi e offrono opportunità ma anche limiti all’uso umano.
Opportunità e limiti possono essere valutati e quantificati in base ad ogni specifica attività
dell’uomo: “[…] ogni area di terra o di acqua è adatta a certi usi del suolo, singoli o multipli, e
si può stabilire un ordine di precedenza tra queste categorie d’uso”.42
Nel primo capitolo è riportato il caso del “Plan for the valleys” realizzato nel 1963
dall’associazione di McHArg con David A. Fallace. Il piano riguardava lo studio di un possibile
sviluppo suburbano della regione metropolitana di Baltimora, un’area rurale di grande pregio
paesaggistico a rischio di urbanizzazione disordinata. Gli stessi proprietari delle terre,
consapevoli delle possibili conseguenza sull’ambiente di uno sviluppo insediativo senza
regole, si costituirono spontaneamente e commissionarono un piano che garantisse la miglior
conservazione dell’ambiente naturale attraverso un tipo ottimale di urbanizzazione e un’equa
distribuzione dei benefici. Essi assunsero direttamente l’iniziativa per garantire l’interesse
pubblico e incidere sulle decisioni riguardanti il destino del territorio.
Il piano venne sviluppato da McHarg come uno strumento capace di “prevedere il futuro” per
figura 72
Mc Harg - Designing with nature
Forma significativa - 1969
Sostanzialmente, con il Piano per la Valli, McHarg definisce
un metodo ben preciso per legittimare inequivocabilmente
modalità, dimensioni, caratteristiche e ubicazione dei nuovi
insediamenti umani nel territorio. Il metodo si articola secondo
varie fasi e può essere così riassunto:
1. raccolta di dati relativi alle caratteristiche naturali del
territorio
2. raccolta di dati relativi alla domanda ed alla pressione
insediativa di mercato
37
3. simulazione di uno o più scenari in cui viene realizzato tutto il carico insediativo
prevedibile
4. analisi e verifica delle incompatibilità tra sistemi naturali e sistemi insediativi
5. individuazione per ogni area la capacità di urbanizzazione, la sua vulnerabilità, i vincoli e le
potenzialità inerenti il paesaggio
6. definizione di principi fisiografici per la conservazione e per l’urbanizzazione
7. definizione di un modello di uso di suolo ottimale.
Il metodo è in primo luogo fondato sulla raccolta approfondita e dettagliata di una serie di
elementi di conoscenza dei luoghi e sulla loro analisi.
Il principale merito di questo metodo di analisi è di aver stabilito un principio di relazione tra
caratteristiche e risorse naturali di un luogo da una parte e possibilità di sfruttamento di tali
potenzialità da parte dell’uomo dall’altra. Esso si presenta come rapporto univoco e unico
che varia da regione a regione a secondo delle variabili fisiche presenti. L’applicazione del
concetto di determinismo fisiografico è, quindi, assolutamente circostanziale mentre il principio
ha sempre, di per se, un’applicabilità generale.
Lo sviluppo di questo principio ha dato, nell’ambito dell’ecologia urbana e della pianificazione
ambientale, la possibilità di perfezionare ulteriori strumenti di ricerca come per esempio il Land
Suitability Analysis45. Ma soprattutto ha contribuito a legittimare quei filoni di progettazione
urbana che sostengono la prevalenza del contesto e delle sue caratteristiche sui programmi
della pianificazione urbanistica di grande scala imposti secondo logiche estranee alla
specificità dei luoghi. L’idea di McHarg è in questo senso ancora assolutamente innovativa
e pertinente anche nonostante il radicale cambiamento delle nostre città negli ultimi anni,
cioè da quando venne scritto e concepito il testo di Designing with nature. Le problematiche
poste e le metodologie di lavoro affrontate, la centralità della tematica ambientale nella città,
il costante assedio delle strutture naturali e di quelle antropiche da parte di modelli insediativi
disordinati e rispondenti esclusivamente a logiche di profitto impongono una riflessione sulla
rilevanza e pertinenza degli scritti e dei lavori di McHarg al giorno d’oggi. La loro applicabilità
ai contesti della città contemporanea sembra possibile ed in alcuni casi già sperimentata. Una
riflessione più approfondita conduce a valutare la possibilità di applicare il procedimento, la
procedura, la logica del metodo di McHarg alla disciplina della progettazione urbanistica che
con l’ecologia ed il naturalismo ha in comune l’interesse per la fenomenologia dell’Habitat
umano. Il metodo progettuale proposto trasferisce alla grande scala urbana l’interesse per i
fenomeni fisici e morfologici sostituendo di fatto alle politiche territoriali “strategiche” astratte
di lontani origini funzionalista un metodo pragmatico derivato direttamente dalle componenti
concrete del territorio. Questo significa in primo luogo la completa legittimazione delle scelte
progettuali secondo un metodo scientifico fondato sui caratteri “fisiografici” dei luoghi ed in
secondo luogo, la verifica della loro vulnerabilità-compatibilità con i processi insediativi sulla
base del principio dell’interesse comune.
I processi naturali come valori46
McHarg costruisce la sua metodologia operativa sul postulato che qualsiasi luogo è la somma
di processi storici, fisici e biologici dinamici che si costituiscono come valori sociali. 47 Da
qui discende l’idea che ogni area è intrinsecamente adatta a esclusivamente a certi usi e
che esiste un rapporto univoco tra caratteristiche e usi: “La terra, l’aria, l’acqua sono risorse
indispensabili alla vita e costituiscono quindi dei valori sociali. […] Prima di prescrivere come
si dovrebbero utilizzare le risorse naturali, bisogna identificare questi valori sociali inerenti
ai processi naturali. Una volta accettato che il luogo è una somma di processi naturali e
che questi processi costituiscono dei valori sociali, si possono trarre delle inferenze relative
all’utilizzazione, per assicurarne l’uso ottimale e l’incremento. Questa è definita come la
“vocazione intrinseca” del luogo. Per esempio il terreno pianeggiante con un buon drenaggio
del suolo e delle acque superficiali è intrinsecamente il più adatto per il tempo libero intensivo,
mentre le aree di differente fisiografia rappresentano un valore più alto per il tempo libero
passivo.”48
McHarg spiega in questo capitolo dettagliatamente il metodo progettuale che porta dalla
definizione delle caratteristiche intrinseche dei luoghi all’assegnazione di una categoria d’uso.
In primo luogo si individuano i processi storici, fisici e biologici: clima, geologia, idrologia,
fisiografia, ecologia animale e vegetale, uso del suolo. Di ciascuna categoria di dati viene
scelto un certo numero di fattori da cui discende la definizione di una mappa delle aree a
vocazione composita conservazione-tempo libero-urbanizzazione.
Processo e forma significativa
McHarg costruisce le sue teorie sul concetto di forma significativa come aspetto indivisibile
di un unico fenomeno individuato nell’idea di natura come processo. Nell’arte e nella
preoccupazione estetica viene rinvenuto un principio comune al naturalismo ed all’ecologia:
“Di tutti gli argomenti di cui si occupano nella loro ricerca del sapere, nessuno è forse più
affascinante della morfologia, e questa, ovviamente, è l’essenza delle arti grafiche e plastiche.
[…] Vale a dire ciò che si vede sia un aspetto importante di ciò che è.”49
Idoneità è il termine che, per i Naturalisti ha sostituito il termine arte e la base della forma è
da trovarsi nei processi naturali. Il fatto che le cose esistano è la prova della loro “idoneità”
del loro processo di adattamento e quindi rappresentano forme significative perché “adatte”.
La forma significativa è espressione del processo evolutivo che la accompagna ed in questo
senso esiste in natura una comunità di creature appropriata a ciascun ambiente che è, non
solo adatta, ma la più adatta. McHarg la definisce “L’identità della forma data”.50
L’idea della forma data come processo è applicabile alle città perchè ogni luogo possiede
una determinata morfologia che rispecchia il processo peculiare di adattamento costituitosi
nel tempo nel rapporto uomo-natura-città. La forma non segue, quindi, secondo il vecchio
postulato dell’architettura e dell’urbanistica moderna, la funzione: “La forma non segue nulla:
è parte integrante di ogni processo naturale. […] Se lo scopo dell’adattamento è di assicurare
la sopravvivenza e il successo evolutivo per l’organismo, la specie, la comunità e la biosfera,
gli adattamenti sono diretti in primo luogo all’elevazione della vita e dell’evoluzione”.51
La città: processo e forma
Nell’ultima parte del libro McHarg estende il discorso sulla forma significativa alla struttura della
città. I caratteri fondamentali delle città derivano dal sito e rappresentano lo sfruttamento delle
caratteristiche naturali di un determinato luogo da parte dell’uomo. L’adattamento cosciente ad
esso ne accresce le qualità fondamentali attraverso un rapporto di reciproca valorizzazione.
In questo senso il genius loci può essere considerato come un’interazione significativa di vari
elementi tra i quali alcuni derivano dall’identità naturale dei luoghi altri dall’opera dell’uomo.
38
Principi riconducibili ad una metodologia della progettazione
Il testo di “Design with nature” costituisce sicuramente l’apporto più significativo alla
problematica del progetto urbanistico in relazione con il paesaggio. È stato per anni un
riferimento importantissimo per la progettazione e costituisce tuttora un esempio importante di
integrazione tra teoria, spunti operativi e pratica progettuale. Rimasto per molti anni un testo
quasi specialistico tra architettura del paesaggio ed ecological planning è solo ultimamente
che se ne sta cogliendo la sua portata anche in ambito urbanistico52.
I principi operativi fondamentali e le definizioni che si possono direttamente ricollegare ad una
pratica del progetto si possono così sintetizzare:
- “determinismo fisiografico” come principio di relazione tra caratteristiche e risorse naturali di
un luogo da una parte e possibilità di sfruttamento di tali potenzialità da parte dell’uomo;
- determinazione del grado di incompatibilità tra sistemi naturali e sistemi insediativi, della
vulnerabilità e della capacità di urbanizzazione del paesaggio come punto di partenza del
progetto di modificazione;
- “forma significativa” identificata come unica forma possibile ed il riconoscimento della
morfologia dei luoghi e della città come espressione univoca di un processo di interazione tra
sistemi naturali e sistemi antropici;
- fondamentazione del progetto su di una complessa analisi preliminare che non si riduce alla
raccolta di dati ma anche ad un loro raffronto incrociato ed una lettura critica;
- riconoscimento della “vocazione intrinseca” di un luogo determinata univocamente dal
rapporto tra sistemi naturali e sistemi antropici esistenti. Sostanzialmente si riconosce che il
progetto di modificazione efficace è già contenuto implicitamente nel luogo.
Il valore centrale ed assoluto del fattore “natura” e la presunta scientificità del metodo
costituiscono un limite alla comprensione delle componenti antropiche del territorio ed ai valori
estetici, culturali ed artistici del discorso sul paesaggio.
ROBERT SMITHSON: A SEDIMENTATION OF THE MIND53
Il contesto culturale
Un primo parziale recupero dell’idea di paesaggio nell’arte avviene negli Stati Uniti a partire
dalla seconda metà degli anni ’60. Un gruppo di artisti newyorchesi, accettando il confronto
con la complessità dell’esperienza contemporanea, propone di estendere il campo di interesse
dell’arte all’ambiente, all’architettura, al paesaggio ed alla città. Un atteggiamento critico verso
le forme artistiche chiuse in musei e gallerie spinge i primi “land artist” verso progetti ambientali
in cui arte e sito sono inestricabili ed in cui il paesaggio non costituisce solo l’oggetto dell’arte
ma diventa il materiale grezzo su cui lavorare54. La Land Art nasce quindi come forma artistica
fuori dalle gallerie, nel tentativo di radicare le pratiche artistiche nel paesaggio lavorando a
scala territoriale e sperimentando varie forme di dialogo ambientale.
La critica principale che viene mossa all’arte è di essersi isolata in una ricerca formale astratta
divenendo un’espressione autoreferenziale. A partire da questo presupposto vengono
sviluppate nuove forme di sperimentazione in cui l’intervento artistico si trasforma in un vero
e proprio apparato critico-percettivo che relaziona l’autore, lo spettatore ed il contesto facendo
interagire strutture architettoniche, terreno e vegetazione.
L’importanza teorica e pratica della Land Art risiede proprio in questo aspetto, ancora
attualissimo nel dibattito contemporaneo: il ruolo attivo e la partecipazione dello spettatore
nell’opera d’arte intesa come dispositivo complesso finalizzato alla interiorizzazione attiva dei
luoghi. Il paesaggio, in questo senso, non è riferibile ad una visione distaccata e contemplativa
ma visto come elemento continuamente ricostruibile operando sugli elementi percettivi e sulla
definizione del significato dei singoli siti.
Tra gli esponenti della Land Art Robert Smithson ha contribuito in modo decisivo a definire
criticamente le tematiche e modalità di intervento dell’arte ambientale in relazione ai territori
della città e del paesaggio.
Struttura, articolazione e contenuti del testo
Gli scritti di Robert Smithsono furono pubblicati per la prima volta solo dopo la sua morte
avvenuta prematuramente nel 1979, a cura della moglie Nancy Holt.55 La raccolta comprende
numerosi testi che accompagnavano le opere di Smithson o ne costituivano l’essenza. Sono
presi qui in considerazione tre testi ritenuti fondamentali per comprendere i risvolti operativi
dell’opera di Smithson e la relazione con il concetto di paesaggio della Land Art.
A Tour of the Monuments of Passaic
Il lavoro di Smithson ha origine dall’osservazione dei profondi cambiamenti subiti dall’ambiente
nell’alterazione della sue componenti naturali e si indirizza al restauro del paesaggio
postindustriale a partire dalla definizione di un nuovo linguaggio per raccontarlo.
In “A Tour of the Monuments of Passaic” 56 le escursioni suburbane di Smithson diventano una
forma inedita di turismo attraverso cui l’artista dice trasformarsi in un site-seer. Per la prima
volta ai territori degradati delle periferie industriali viene riconosciuta una dignità artistica a cui
è possibile rivolgere uno sguardo estetico, ben prima che gli architetti vi scoprissero una fonte
di ispirazione.57
Giocando con i termini di sightseen=vista panoramica e siteseer=colui che vede i luoghi
Smithson opera un inversione del pittoresco. Nel testo sono riportati i dettagli di un “panorama
39
grado zero” della periferia suburbana di New York. I monumenti che il narratore va segnalando
come se si trattassero di costruzioni di un parco pittoresco, sono al contrario i segni e gli
strumenti della “de-naturalizzazione” di questo paesaggio58. Essi sono stati privati della sintassi
delle mappe a tre dimensioni che entrano in un circuito di
scambio continuo tra astrazione, materialità e scale di lettura
diverse che operano uno svelamento del paesaggio e del
significato del territorio.
pazientemente costruita di una memoria locale che li connetta gli uni agli altri. Smithson li
definisce “rovine al contrario” (ruins in reverse)59 perché, all’opposto delle “rovine romantiche”,
The spiral Getty
In molti altri lavori di Smithson, forse i più conosciuti della
Land Art, fa ricorso all’idea di terreno come substrato ricettore
dell’arte. L’azione di marcare il paesaggio della Spiral Getty
rimanda alle forme di simbolizzazione del luogo di alcuni siti
preistorici (Nazca, Stonhenge).
La suggestione che l’arte possa derivare alcuni suoi aspetti
di forma, materiale e contenuto dal contesto topografico in
cui è realizzata conduce alla definizione del termine “site
specific”. Smithson afferma chiaramente che sarà il sito
a determinare il tipo di costruzione e da una spiegazione
precisa delle motivazioni delle scelte relative al luogo e alla
forma dell’impianto dell’installazione. La spirale scaturisce
dall’”evidenza della realtà”.65 I materiali utilizzati sono quelli
non cadono in rovina dopo essere state costruite ma piuttosto si elevano a rovine prima
d’essere costruite.
L’entropia intrinseca nei paesaggi abbandonati, quello delle aree industriali dismesse come
quelli desertici, è contenuta potenzialmente in ogni processo di mutazione dell’ambiente.
La lettura di “nuove geologie di deterioramento” avviene con la raccolta di tracce e detriti
attraverso il procedimento dei non sites e delle three-dimensional maps. Queste operazioni non
costituiscono una catalogazione esatta di materiali ma un’operazione astratta di reperimento
di segni che equipara mutazioni fisiche e semantiche. Smithson dice che il tempo trasforma
le metafore in cose e che il futuro è “disperso da qualche parte nelle paludi del passato non
storico”60 aprendo di fatto una riflessione sul funzionamento della memoria e su tutta una serie
di procedimenti analogici che consentono di determinare quali saranno gli assetti futuri del
territorio.
L’atto cosciente di visitare luoghi invisitabili, lo sforzo di rappresentarli e di produrre un’idea,
contiene già un abbozzo, se non di una “redenzione”, almeno di una possibile reintegrazione,
di una reinvenzione dei luoghi61. Il site-seer si trasforma in un site-maker.
rinvenuti, si fa ricorso all’idea di sedimentazione ed accumulo
operando delle trasposizioni di terra e sassi senza apportare
o togliere niente, solo attraverso degli spostamenti.
In questo senso il lavoro di Smithson si può dire “site specific”
perché intrinseco alla costituzione geologica stessa del
luogo, in una delle possibili conformazioni che può assumere
nel tempo attraverso operazioni semantiche che lasciano
invariato il supporto territoriale. La geologia ed il concetto di
sedimentazione vengono utilizzati come elementi che ancorano
il segno a una dimensione “profonda” e contemporaneamente
lo dilatano orizzontalmente verso l’estensione geografica. In
tutto questo processo lo spettatore viene sollecitato/coinvolto
attivamente nella lettura e reinterpretazione dello spazio
dalle opere che funzionano come dei dispositivi di lettura del
paesaggio a scala territoriale.
A sedimentation of the mind
La profondità delle riflessioni intorno al tema del territorio evocata dal testo “A sedimentation of
the mind” scritto da Robert Smithson nel 1968, ci riporta immediatamente e con forte evidenza
alla complessità dei paesaggi contemporanei, artificiali o costruiti, delle nostre città. La città,
dice Smithson, da l’illusione che non esista la terra e l’arte deve porsi come alternativa al
sistema assoluto della città per rivelare un ordine di più fondamentale importanza. Per troppo
tempo l’arte si è focalizzata sull’oggetto trascurando il processo artistico che si svolge nel
tempo attraverso la mente e la materia.
Uno dei postulati principali di Smithson è il legame intrinseco di pensiero e materia entrambi
definiti come una sedimentazione progressiva di frammenti, in stato di continua erosione.62
Per Smithson la rassomiglianza tra processi mentali e geologici non è solo una metafora ma
la prova di appartenenza ad un sistema “cosmico” più vasto, il lavoro di “polverizzazione”
della materia di molte sue opere è finalizzato a prendere coscienza dei substrati della terra e
del tempo geologico del paesaggio: “Gli strati della terra sono un museo inesauribile. Inscritto
nel sedimento vi è un testo che contiene limiti e barriere che evadono l’ordine razionale e
le strutture sociali che confinano l’arte. Per leggere le rocce dobbiamo divenire consapevoli
del tempo geologico e degli strati dei materiali preistorici che sono sepolti nella crosta della
terra.”63
In questo senso lavorano gli earth projects detti “non sites” dispositivi che consentono la lettura
del tempo profondo della geologia attraverso un processo circolare di rimandi e contaminazione
tra realtà fisica e rappresentazione. Il procedimento consiste nel circoscrivere su una mappa
una porzione di territorio, raccogliere una certa quantità campioni di rocce e terreno nei settori
corrispondenti a quelli rappresentati nella mappa e portarli in galleria in contenitori con la
stessa forma dei settori geografici.64 I contenitori ed il loro contenuto diventano per Smithson
Principi riconducibili ad una metodologia della
progettazione
In termini progettuali il cammino intrapreso da Smithson è
estremamante interessante specialmente quando non si
limita ad una contrapposizione tra siti e non-siti ma tenta una
fusione dialettica tra il supporto territoriale e l’opera fisica,
come nella realizzazione della Spiral jetty.66
figura 73
Robert Smithson
Non site - 1967
Sono riconoscibili alcuni principi non espressi esplicitamente
ma riconducibili ad una teoria della progettazione:
- la capacità dell’arte “site specific” di derivare alcuni suoi
40
aspetti di forma, materiale e contenuto dal contesto topografico
a cui si riferisce;
- la definizione di un nuovo linguaggio per raccontare il degrado
dei paesaggio suburbano assunto a soggetto estetico;
- il rimando continuo tra profondità e sedimentazione geologica
e estensione della scala geografica come capacità del
progetto di affrontare le diverse scale di definizione formale
del paesaggio: dal dettaglio al territorio;
- il riconoscimento di un legame intrinseco tra processi mentali
e materia geologica non solo in senso metaforico;
- opera d’arte come apparato critico-percettivo che relaziona
l’autore, lo spettatore ed il contesto facendo interagire strutture
architettoniche, terreno e vegetazione;
- il ruolo della partecipazione dello spettatore nell’opera
d’arte intesa come dispositivo complesso finalizzato ad
una restituzione di senso ed alla interiorizzazione attiva dei
luoghi.
NOTE
figura 74
Robert Smithson
Spiral Getty - 1972
1
Il termine site specific è stato utilizzato per la prima volta nell’ambito della Land Art all’inizio degli anni ‘70. Per
l’origine Cfr. con la nota 11 dell’introduzione a questa ricerca e le note successive in questa stessa sezione.
2
CORBOZ ANDRÈ (1992), L’urbanistica del XX secolo: un bilancio, In: Ordine sparso. Saggi sull’arte, il metodo, la città
e il territorio, Franco Angelii, Milano, pp. 219-226
3
È la definizione utilizzata da Andrè Corboz per alcune opere della Land Art tra cui “Shift” realizzata da Richard Serra
in Ontario nel 1972. Cfr. CORBOZ ANDRÈ, “Avete detto spazio?”, in: Casabella 597/598 1993, p.23.
4
Per una analisi dettagliata sull’applicazione delle tecniche dell’Ecological Planning si veda, p.e. TREU MARIA CRISTINA
(1996), “Il piano di Mantova: un approccio ecologico”, Urbanistica 107, p.66.
5
GREGOTTI VITTORIO (1990), Cinque dialoghi necessari, Electa, Milano, p.29. Nella definizione che ne da Gregotti: “Il
progetto è terreno comune a molte attività umane, è modo di dare corpo ai desideri o di strapparsi via da essi per
mezzo di una strategia, strumento anche per quelle attività che non posseggono uno statuto disciplinare riconosciuto:
ma è proprio delle discipline dell’architettura, dell’ingegneria e delle arti visive di dare ad esso un esito spaziale e non
solo linguistico”.
6
A partire dagli anni ’80 si può riconoscere un progressivo interesse in questo rovesciamento di prospettiva, fra
gli altri, nel Piano di Jesi di B. Secchi (1983-1988), a partire dal testo di K. Frampton In search of the modern
landscape del 1988 e fino al concetto di “imagining nothingness” di R. Kolhaas (1985). Cfr. VIGANÒ PAOLA (1999), La
città elementare, Skira, Milano, p.148.
7
GREGOTTI VITTORIO (1966), “La Forma Del Territorio”, In: Il territorio dell’architettura, Feltrinelli, Milano, pp. 57-98
8
Si possono citare, per esempio, gli studi di Giancarlo De Carlo relativi all’area metropolitana milanese realizzati per
l’ILSES a partire dal 1960 ed il Seminario di Stresa organizzato sempre da De Carlo nel 1962 dal titolo: “La nuova
dimensione della città. La città regione”.
9
Cfr. con MERLAU PONTY MAURICE (1965) “La fenomenologia della percezione”, Gallimard, Parigi, citato nel testo.
10
GREGOTTI VITTORIO (1966), cit. p.47
11
Ivi, p. 59. Nella prima nota del capitolo (p. 95) Gregotti spiega chiaramente l’origine del termine derivato dalla
geografia di Friederich Ratzel nel 1882. Gregotti lo utilizza qui nel significato di “ambiente modificato dall’opera o dalla
presenza dell’uomo” usando l’accezione utilizzata dal Sestini (1947), Il paesaggio antropogeografico come forma di
equilibrio, «Bollettino della società geografica Italiana», gennaio-febbraio 1947.
12
Ibidem
13
Ivi p. 60
14
Ivi p. 61
15
Cfr. con cap. II.1.2 di questa stessa ricerca
16
Ivi p. 73
17
Ivi p. 76
18
Sulla cosiddetta conservazione innovativa Cfr. GAMBINO ROBERTO (1996), “Politiche ambientali e paradigma paesistico”,
Bollettino del dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio 2/1996, Università degli Studi di Firenze, pp.36
19
Ivi p. 78
20
Ivi p. 79
21
Ivi p. 83
22
Si vedano in particolare le ricerche condotte da Bernardo Secchi in: “Materiali, abachi, guide” in: SECCHI BERNARDO
[a cura di] (1996), Un progetto per Prato. Il nuovo Piano regolatore, Alinea, Firenze, p.195 e “Rilevare, nominare” in:
VIGANÒ PAOLA (1999), La città elementare, Skira, Milano, pp. 21-30; e quelle di Alain Leveillè a Ginevra, cfr. con cap.
II.2 di questa stessa ricerca.
23
Questo stesso presupposto è assunto dal filone di ricerca più avanzato intorno alle nuove tecniche di disegno
informatizzato sulla scala territoriale del SIT che si è sviluppato negli ultimi anni.
24
Ivi p. 91
25
La definizione di “preesistenza ambientale” è stata sviluppata da E.N. Rogers nel libro: Esperienze dell’architettura,
Einaudi, Torino 1958 ed è ampiamente ripresa da Gregotti.
26
Ibidem
27
LYNCH KEVIN (1984) “The sensed landscape and its materials”, In: Site planning (third edition), Cambridge, The MIT
Press, cit., pp. 153-192.
28
Sulla diffusione della ricerca e dei testi di Lynch in Italia vedi, tra gli altri: ANDRIELLO VINCENZO (1994), Kevin Lynch e
la cultura urbanistica italiana, Urbanistica 102, pp. 134-152.
29
Cfr. UNWIN RAYMOND (1995), La pratica della progettazione urbana, Il Saggiatore, Milano (Ed. Originale 1909), p.
241. Il metodo consiste nell’elaborazione di un piano generale che definisce lo spazio e le funzioni pubbliche e di una
successiva urbanizzazione del terreno.
30
GABRIELLI BRUNO, Introduzione a: LYNCH KEVIN (1996), Progettare la città. La qualità della forma urbana, Etas libri,
Torino, p. IX (ed. originale1981).
31
GIORDANI PIER LUIGI, “Alla ricerca del design perduto: il capitolo Inglese”, in: CULLEN GORDON (1976), Il paesaggio
urbano. Morfologia e progettazione, Calderini, Bologna (Ed. originale Townscape, 1961), p.LXI.
32
LYNCH KEVIN (1962), Site planning (first edition), Cambridge, The MIT Press, p.3: “Site Planning is the art of arranging
an external physical environment in complete detail. Site planners are all those who deal with structures and the land,
whose plans can be carried out in one continuous foreseeable process, according to one original design, under the
control of one agency, inclusive of all the details of engineering, landscaping, and architecture. Site planners may be
41
concerned with areas as small as a cluster of five or six single-family houses, or even with a single building and its
ground, or they may plan something as large as the layout of a complete small town. Site planning is not a separate
profession, although it may be practiced as a specialty. It is a design problem that lies on the boundaries between
architecture, engineering, city planning, and landscape architecture, and is practiced by professionals of all these
groups. At the upper end of the scale, it is to be distinguished from city planning or urban design where control is
incomplete and development is never terminated. At the lower end site planning may be separated from the design of
objects such as buildings or bridges, from interior design, and from the layout of small and isolated exterior settings
such as gardens.
The site is a crucial aspect of the environment. It has an impact that is biological, social, and psychological. It sets
limits to the things that people can do, and makes possible their doing what they other-wise could not.”
33
LYNCH KEVIN (1984), cit.
34
Ivi, p.153
35
Ibidem: “The designer works to enhance the expression of place: to communicate its nature as a system of living
things residing in a particular habitat”.
36
Lynch inaugura di fatto un filone di ricerca con anticipazioni del discorso sul “disegno di suolo” che si è sviluppato
poi solo a partire dalla fine degli anni ’80. Molte di queste voci, già presenti nell’edizione del 1962, vengono riproposte
in questa terza edizione solo con alcune modifiche parziali relative alla strutturazione generale del testo.
37
GREGOTTI VITTORIO (1966), cit. p.69
38
MCHARG IAN L. (1989), Progettare con la natura, Franco Muzzio Editore, Padova (Ed. originale 1969). Il testo
originale “Design with nature” viene pubblicato a New York nel 1969. In Italia viene tradotto per la prima volta nel 1976
in un’edizione ridotta a cura di Guido Ferrara.
39
MCHARG IAN L. (1989), cit., p. IX. In altri testi Mumford esprime concezioni molto vicine a quelle riprese successivamente
da Mcharg, la matrice etico-culturale è esplicita e Mcharg cita più volte il lavoro di Mumford. Si veda per esempio
il capitolo finale di: MUMFORD LEWIS (1990), La citta’ nella storia, Bompiani, Milano (ed. Originale 1961), p. 710: “I
progressi veramente importanti si otterranno solo applicando arte ed ingegno alle principali preoccupazioni umane
della città, e ad un nuovo interesse per i processi cosmici ed ecologici che si svolgono intorno ad ogni creatura. […] la
miglior economia urbana è la cura e la cultura degli uomini. […] la grande missione della città consiste insomma nel
favorire la partecipazione consapevole dell’uomo al processo cosmico e storico.”
40
Ibidem
41
Ivi, p. 8
42
Ivi, p.101
43
Ivi, p. 105
44
Ivi, p. 106
45
Per una descrizione delle tecniche di analisi derivate dal metodo di McHarg si veda anche PEDROLLI ALBERTO,
“Problemi di metodo per l’elaborazione dei piani urbanistici delle aree extraurbane”, in: Bollettino del Dipartimento di
Urbanistica e Pianificazione del Territorio 2/1996, Firenze, 1996 Università degli Studi di Firenze, p.10. Sono descritte
in dettaglio le tecniche conoscitive e di intervento dei piani per le zone rurali articolati alle diverse scale. Tra queste
si segnalano sinteticamente: l’individuazione delle unità di paesaggio in base alla comparazione di dati e mappe
per perimetrare le invarianti strutturali; la classificazione del territorio in zone di grado diverso di idoneità (analisi
di idoneità) ai vari usi, attitudini o limitazioni a usi del suolo specifici redatto attraverso un’analisi sistematica delle
diverse componenti fisiche che lo costituiscono (redazione di mappe tematiche e successiva sovrapposizione, overlay
mapping technique); l’analisi dei modelli di consumo di suolo agricolo in rapporto alle esigenze e dinamica dei processi
insediativi; l’individuazione dei criteri morfologici e localizzativi finalizzati alla minimizzazione dei consumi di suolo
ed alla tutela paesistico ambientale (conservazione degli ecosistemi agrari e naturali); il censimento del patrimonio
edilizio rurale e delle forme di cultura materiale, dei caratteri strutturali e produttivi finalizzato ad un manuale d’uso di
regole di corretta gestione del territorio extraurbano.
46
Ivi, p.131
47
Ivi, p.133
48
Ivi, p.134
49
Ivi, p.203
50
Ivi, p.211
51
Ivi, p.216
52
Per una descrizione dettagliata di un’applicazione del metodo dell’Ecological Planning al Piano urbanistico in Italia
vedi per esempio: TREU MARIA CRISTINA (1996), “Il piano di Mantova: un approccio ecologico”, Urbanistica 107, p. 66.
53
SMITHSON ROBERT (1996), “A Sedimentation Of The Mind: Earth Projects” (1968), In: Robert Smithson: the collected
writings (a cura di Jack Flam), University of California Press, Los Angeles (Ed. Originale 1979), p. 100
54
BEARDSLEY JOHN (1988), “Earthworks: the landscape after modernism”, in: WREDE S. E ADAMS W. H. [a cura di],
Denatured Visions. Landscape and culture in the Twentieth Century, The Museum of Modern Art, New York, p. 110
55
La pubblicazione originale è intitolata “The writings of Robert Smithson”, a cura di Nancy Holt, New York University
Press, New York 1979
56
SMITHSON ROBERT (1996), “A Tour of the monuments of Passaic” (1967), cit. p.
57
Si pensi ai contemporanei “walking” di gruppi come gli Stalker a Roma ed i Kliostraat aTorino. Si veda anche il
lavoro del fotografo Gabriele Basilico ed il processo di “estetizzazione” delle periferie delle città italiane assunte a veri
e propri “paesaggi” suburbani..
58
MAROT SEBASTIEN (1999), “L’art de la memoire, le territoire et l’architecture“, Le Visiteur 4 - ville, territoire, paysage,
architecture, Société des Architectes, Paris, p.137
59
SMITHSON ROBERT (1996), “A Tour of the Monuments of Passaic “, cit. p.72.
60
Ivi p.74: “I am convinced that the future is lost somewhere in the dumps of the non-historical past; it is in yesterday’s
newspapers, in the jejune advertisements of science fiction movies, in the false mirror of our rejected dreams. Time
turns metaphors into things, and stacks them up in the cold rooms, or places them in the celestial playgrounds of the
suburbs.”
61
MAROT SEBASTIEN (1999), cit., p.145.
62
SMITHSON ROBERT (1996), “A Sedimentation of the Mind: Earth Projects”, cit. p. 100: “Various agents, both fictional
and real, somehow trade places with each other-one cannot avoid muddy thinking when it comes to earth projects, or
what I will call “abstract geology.” One’s mind and the earth are in a constant state of erosion, mental rivers weãr away
abstract banks, brain waves undermine cliffs of thought, ideas decompose into stones of unknowing, and conceptual
crystallizations break apart into deposits of gritty reason. Vast moving faculties occur in this geological miasma, and
they move in the most physical way. This movement seems motionless, yet it crushes the landscape of logic under
glacial reveries. This slow flowage makes one conscious of the turbidity of thinking. Slump, debris slides, avalanches
all take place within the cracking limits of the brain.The entire body is pulled into the cerebral sediment, where particles
and fragments make themselves known as solid consciousness, bleached and fractured world surrounds the artist.
To organize this mess of corrosion into patterns, grids, and subdivisions is an esthetic process that has scarcely been
touched”
63
Ivi p.110
64
BEARDSLEY JOHN (1988), “Earthworks: the landscape after modernism”, cit. p. 115
65
SMITHSON ROBERT (1996), “The Spiral Jetty” (1972), cit. p. 146: “About one mile north of the oil seeps I selected my
site. Irregular beds of limestone dip gently eastward, massive deposits of black basalt are broken over the peninsula,
giving the region a shattered appearance. It is one of few places on the lake where the water comes right up to the
mainland. Under shallow pinkish water is a network of mud cracks supporting the jig-saw puzzle that composes the
salt flats. As I looked at the site, it reverberated out to the horizons only to suggest an immobile cyclone while flickering
light made the entire landscape appear to quake. A dormant earthquake spread into the fluttering stillness, into a
spinning sensation without movement. This site was a rotary that enclosed itself in an immense roundness. From
that gyrating space emerged the possibility of the Spiral Jetty. No ideas, no concepts, no systems, no structures, no
abstractions could hold themselves together in the actuality of that evidence. My dialectics of site and nonsite whirled
into an indeterminate state, where solid and liquid lost themselves in each other.”
66
MAROT SEBASTIEN (1999), cit., p.147. Per Marot Smithson avrebbe saputo nel tempo andare oltre e superare la sua
“teoria provvisoria dei non siti” per costruire dei “quadri logici” a tre dimensioni di quelle situazioni urbane incarnate nella
contingenza materiale, topografica e umana di quelle stesse situazioni: dei quadri profondi, spessi che contribuiscano
a chiarire l’economia di questi momenti di territorio e a renderli anche meglio abitabili”.
42
II.2 LE TEORIE DEL PROGETTO IN TRE ESPERIENZE DI RICERCA
Molti sono gli apporti al progetto urbanistico che con un’ottica operativa hanno percorso la
strada del paesaggio sviluppandone alcuni aspetti peculiari. Alcuni di essi hanno saputo far
confluire i percorsi dell’architettura di paesaggio, del site planning, dell’ecological planning e
della Land art in un unico discorso progettuale combinandoli in modo del tutto originale.
Tra questi sono stati presi in considerazione alcuni contributi metodologici relativi a tre
esperienze di ricerca applicata e di insegnamento in ambito accademico che, almeno sino
dall’inizio degli anni ‘80, si sono distinte nell’approfondimento dei possibili risvolti paesaggistici
della progettazione urbanistica.
Si tratta di tre “scuole” (Versailles, Torino, Ginevra) che hanno saputo cogliere le implicazioni
del paesaggio nel dare un apporto multidisciplinare ai problemi e concentrare sulla dimensione
operativo-progettuale ingenti forze afferenti a campi di studio diversi: oltre all’urbanistica e
all’architettura le scienze paesistiche, la geografia, la topografia, le arti visive. La contaminazione
tra diversi campi di sapere è stata accolta come tema di arricchimento capace di non annullare
la specificità delle singole discipline. Anzi l’apporto di nuovo materiale alla questione della
progettazione ne ha ampliato l’orizzonte operativo oltre la ragione puramente morfologica
facendo confluire i diversi contributi in un campo disciplinare specifico.
Uno dei fili conduttori del discorso teorico può essere in qualche modo colto nel discorso
morfologico dell’approccio italiano negli anni ‘60 ma declinato ed arricchito secondo direzioni
del tutto originali. È riconoscibile un attitudine “geografica” nel lavoro di Aimaro Isola, una
ricerca “storica e topografica” a Ginevra e un approccio “processuale” a Versailles.
Fatto salvo il caso italiano si tratta di elaborazioni teoriche e metodologiche che hanno un
riscontro preciso nella pratica concreta del progetto attraverso le esperienze sul campo. Anzi
si può quasi dire che l’ambito didattico abbia la funzione di aiutare a derivare una metodologia
di lavoro, di renderla in qualche modo comprensibile e replicabile, a partire dalle pratiche del
progetto e delle realizzazioni sulla città.
A rischio di ridurre la portata operativa e teorica dei diversi contributi, sono riconoscibili alcuni
fondamenti comuni nell’approccio progettuale:
- il riconoscimento degli aspetti fisici del paesaggio, della città e del territorio;
- la capacità di operare in riferimento a scale diverse (vicino e lontano);
- la messa a punto di un sistema di analisi approfondita dei luoghi della modificazione;
- la ricerca dei fondamenti morfologici e programmatici del progetto nel sito di intervento;
- il riconoscimento di un principio di sostenibilità nella dimensione dell’intervento che deve
essere calibrato sulle risorse del luogo.
PROGETTO IMPLICITO OVVERO IL PAESAGGIO COME
METODO1
“Il paesaggio come metodo” è il titolo di un testo di Aimaro
Isola contenuto nel manuale “Infra - forme insediative e
infrastrutture” in cui sono stati raccolti i risultati delle ricerche
da lui coordinate in alcune Università Italiane tra il 1999 e il
2001. Sebbene la ricerca di Isola si sia rivolta negli ultimi anni
specialmente alla relazione delle infrastrutture e ambienti
sensibili, la tematica del paesaggio compare sino dall’inizio
del suo percorso progettuale avviato con Roberto Gabetti
dai primi anni ’50. La ricerca dei due progettisti torinesi,
diretti protagonisti dell’aspra critica alla cultura funzionalista
e modernista di quegli anni,2 si è inizialmente indirizzata
all’approfondimento del discorso dell’architettura a scala
geografica riconducibile al percorso di Vittorio Gregotti.3 A
partire dagli anni ‘80 in continuità con le esperienze della
prima IBA Berlino e trasponendo il discorso della “città nella
città” alla periferia torinese, Isola individua nel limite tra città e
campagna il campo di sperimentazione del progetto urbano.
All’interno del lavoro didattico coordinato insieme al gruppo di
lavoro del Politecnico di Torino con Dematteis, Gambino, De
Rossi, Gianmarco, il discorso è stato gradualmente spostato
su tematiche paesaggistiche nelle loro implicazioni suburbane
e territoriali.4 Le ragioni costitutive del progetto sono state
rinvenute specialmente nell’osservazione e descrizione dei
luoghi e alla geografia è riconosciuto un ruolo determinante
nel processo progettuale come strumento per rintracciare
e suggerire i “[…] significati ed i valori inespressi ma in un
certo senso già potenzialmente presenti, in certe forme meno
evidenti del mondo esterno”.5
Tra i molti testi pubblicati sono stati scelti due testi della metà
degli anni ’90 in cui sono esplicitate chiaramente le linee guida
per la progettazione urbana.
Disegnare le Periferie6
L’analisi compiuta in questo capitolo è svolta a partire dall’approfondimento di alcuni testi
rappresentativi del percorso progettuale di ricerca teorica ed operativa nei tre contesti culturali
senza peraltro avere la pretesa di costituire un’analisi esaustiva degli argomenti trattati.
Anche in questo capitolo, come nel precedente, sono stati individuati alcuni contributi chiave
per la comprensione della metodologia/pratica operativa. I testi vengono analizzati per mezzo
di una sorta di “scheda” di lettura con l’intento di poter riconoscere/estrapolare alcuni principi
riconducibili ad una metodologia del progetto urbanistico. La scheda è articolata in tre sezioni. La
prima è relativa ad una sintetica presentazione del testo e dell’autore ed introduce una seconda
parte relativa all’analisi del corpo centrale dei contenuti; la terza individua sinteticamente i
principi ed i dispositivi del processo progettuale e compositivo più significativi.
Il libro si autodefinisce “un manuale per il progetto di
riqualificazione urbana delle periferie”7 per “suggerire piste per
esplorazioni ed interpretazioni di volta in volta specifiche”8, in
figura 75
Roberto Gabetti e Aimaro Isola
Talponia ad Ivrea - 1972
questo senso sono proposti dei processi, strategie, dispositivi
e non dei modelli o dei precetti da seguire pedissequamente.
Come dice C. Gianmarco nella prima parte del libro, non
si tratta di proporre scenari operativi “rassicuranti”. In un
panorama urbano dove è dato grande rilievo alla progettazione
di “nuovi luoghi di eccellenza”, (le grandi occasioni come i
vuoti urbani della città post-industriale) semmai si tratta di
43
impostare uno strumento su cui fondare il progetto di riqualificazione della città ordinaria,
in modo diffuso, un terreno che in Italia è ancora in gran parte indeterminato e carente.9 La
periferia è individuata come campo delle trasformazioni urbane e del paesaggio: “Dove c’è una
ricchezza da salvaguardare qui c’è una povertà da riscattare, ciò che manca nelle periferie
è quello che vorremmo conservare nel paesaggio. Da una parte occorre salvaguardare,
dall’altra inventare”.10 La periferia torinese è vista alla stregua di “paesaggio” cioè come un
insieme di “segni rivelatori di principi organizzativi specifici, locali, diversi da quelli globali.” 11
In questo senso il territorio della città contemporanea può essere considerata una geografia
complessa12 dove l’osservatore è deve essere in grado di assumere un punto di vista globale
ma anche di porsi all’interno dei sistemi locali. L’osservazione e la descrizione devono essere
quindi rivolte a penetrare le logiche interne dei luoghi e le identità dei soggetti che li abitano.
Diversa la situazione nel resto d’Europa dove già dall’inizio degli anni ’90 vengono sostenute
politiche di rinnovamento che hanno avviato ampie ed innovative pratiche di intervento.
I problemi delle grandi periferie sono in questo senso funzionali ad obbiettivi più generali
di rilancio e di miglioramento complessivo della qualità urbana e le esperienze europee si
pongono come una grande miniera cui poter attingere. Attraverso la lettura delle esperienze
più innovative in ambito internazionale si tenta di individuare le modalità operative del progetto
che possano in qualche modo essere condivisi e ripetuti per “diventare prassi comune togliendo
alla pratica progettuale della trasformazione ineffabilità e improvvisazione”13.
Il testo è strutturato secondo otto capitoli suddivisi a loro volta in una serie di regole prestazionali
ad uso della progettazione ricavate dalla lettura di casi di studio concreti. Tra queste sono
state selezionate quei contenuti pertinenti ai temi della progettazione urbanistica in ambito
paesaggistico.
1. Il primo capitolo riguarda la “dimensione della modificazione”. L’introduzione della dimensione
del paesaggio nel progetto impone la “dilatazione dei punti di vista agli scenari ambientali della
città” senza perder di vista la matericità del territorio. Questo significa rivolgere l’attenzione
alla dimensione fisica dei luoghi a partire dai materiali esistenti cioè all’“inclusione di presenze
e latenze materiali nel progetto: tracce e tracciati, grana dei tessuti, profili dell’edificato,
andamenti orografici, segni di limite e linee di frizione, fondali, skyline, visuali, …”14
2. “I segni dell’identità” si occupa di ridefinire le modalità per recuperare la struttura morfologica
e geografica della città attraverso l’interpretazione e la valorizzazione delle sue componenti
costitutive sedimentate nel tempo: le geometrie dei tracciati urbani, le tracce della storia, i
tracciati dei corsi d’acqua, la conformazione del suolo. Il metodo progettuale proposto consiste
nel procedere per analogie, citazioni e spostamento di senso e nella densificazione puntuale
con l’inserimento di frammenti. Il risultato è sempre diverso perché modellato a partire dal
dialogo con i contesti specifici.
3. Nell’’”architettura del percorso” è approfondita il ruolo dello spazio aperto come spazio di
relazione e di percorrenza. Il valore dello spazio della circolazione nella città è attribuito anche
alla sua funzione di connessione della trama urbana con gli spazi residuali relativi agli antichi
usi agrari del territorio.
4. Nel capitolo “Gli ambienti dell’abitare” sono definite le modalità possibili per il progetto di
insediamento in relazione agli aspetti strutturali del paesaggio. Il programma da costruire è
definito come una opportunità di riqualificazione per gli ambiti vicini attraverso la valorizzazione
di aspetti della geografia e della topografia del territorio e del paesaggio.
PAESAGGI SUL LIMITE15
In questo secondo testo pubblicato a pochi anni dal “Progettare le periferie” sono documentate
le esperienze didattiche degli autori presso il Politecnico di Torino. Nel testo viene ulteriormente
approfondito il tema della progettazione e sviluppato un metodo preciso per affrontare
operativamente la riqualificazione dei territori suburbani a cavallo tra città e campagna.
Le esercitazioni degli studenti sono strutturate come simulazioni di operazioni progettuali reali
rivolte alla periferia torinese. Il corso ha l’obbiettivo di insegnare agli studenti ad intraprendere
i primi passi verso la “definizione di un segno di modificazione” della morfologia del territorio.
Il programma richiede agli studenti di ricostituire un’immagine urbana significativa e coerente
a partire dalla comprensione e dalla “cura” dei luoghi. In questo senso il processo progettuale
è inteso come una faticosa e progressiva interazione di descrizione e progetto secondo la
formula che gli autori definiscono “lettura progettante”.16 Lo scopo è di avviare un dialogo con
il contesto attraverso la lettura e l’ascolto delle diverse potenzialità del sito. È significativa in
questo senso la definizione di “progetto implicito” di Dematteis secondo cui il progettista del
territorio: “[…] rappresenta e allo stesso tempo interpreta e si pone in una posizione di ascolto,
di esplorazione di nuovi significati, per scoprire possibilità già inscritte negli stati delle cose
esistenti.”17
Dall’esperienza didattica vengono distillati alcuni momenti significativi del processo di
progettazione che è strutturato secondo una serie di fasi successive. Esse possono essere
così sinteticamente riassunte:
1. l’ascolto e interrogazione del territorio - attraverso il reperimento dei segni geografici e
delle tracce storiche, la lettura e confronto di carte topografiche e mappe storiche, la presa di
contatto diretto con il luogo, le ricerche sull’area relative a politiche, programmi, destinazioni;
2. la lettura comparativa delle dimensioni dell’area da progettare – attraverso la restituzione
grafica della dimensione dell’area in relazione all’estensione e scala di altri luoghi conosciuti
della città, il disegno di profili e sezioni a grande scala, la ricostituzione grafica dei segni e delle
tracce, l’analisi delle funzioni ed usi dei luoghi;
3. la costruzione di un impianto insediativo - attraverso la definizione di alcune “immagini
guida”: assi e poli, spazio verde aperto/chiuso, recinto, valli e colline, banchina urbana, spicchio
costruito, porta del parco, movimento di terra, doppia cortina, viale, bordo, …
4. lo sviluppo del progetto urbano al dettaglio architettonico - attraverso alcuni modelli di
simulazione come il “bando di concorso” o il “progetto guida”.
Principi e dispositivi del processo compositivo riconducibili ad una metodologia
progettuale che riconosce nel paesaggio l’aspetto strutturale portante della progettazione
e della riqualificazione urbana
- ricostruzione di un’immagine urbana significativa a partire dalla comprensione e dalla cura
dei luoghi;
- definizione della “lettura progettante” come progressiva iterazione tra materiali dell’analisi e
proposte di progetto;
- “ascolto” del sito attraverso l’individuazione delle potenzialità già inscritte nello stato delle
cose esistenti;
- morfologia della città esistente come struttura da proseguire nel progetto di modificazione;
- impostazione del discorso compositivo sulla base della descrizione dei luoghi;
44
PROJET URBAIN E MOUVANCE18
Mentre in Italia il lavoro svolto riguarda essenzialmente la
ricerca in ambito accademico in Francia e si è avviato un
fortissimo campo di sperimentazione direttamente sulla città.
L’esperienza francese rappresenta un percorso inverso che,
a partire da tematiche prettamente paesaggistiche si è mosso
verso la progettazione urbana inserendosi negli stessi canali
operativi ed istituzionali del progetto urbano.19
- centralità della componente geografica nelle definizione delle scelte della modificazione;
- dilatazione dei punti di vista agli scenari ambientali e paesaggistici della città senza perdere
di vista gli aspetti materiali del territorio;
- il concetto di limite come immagine significativa per il progetto tra città e campagna.
Il limite di questo metodo non risiede nei presupposti quanto nella proposizione di modelli
morfologici e immagini guida (il recinto, i bastioni, la porta, la collina, …) che vanificano il
paziente lavoro preliminare di raccolta di tracce e segni. Inoltre il campo di sperimentazione
applicata rimane in un ambito di pura simulazione accademica.
Sono riconoscibili, tra gli altri, due diversi approcci al progetto
urbanistico di paesaggio che pur partendo da presupposti
molto diversi trovano una strada comune nella dimensione
operativa delle loro proposizioni. 20
Da una parte Bernard Lassus, professore della scuola di
belle arti di Parigi e responsabile del D.E.A. (Diplome Ètudes
Approfondies) in paesaggio della Ècole des Hautes Etudes.
Di formazione pittore, fonda il suo metodo progettuale
principalmente sugli aspetti artistici, sociali ed antropologici
inserendolo in un discorso “a tutto tondo” dove confluiscono
scienza agrarie, filosofia e storia, arti visive.21 Seppure non
abbia condotto le sue ricerche all’interno della scuola di
Versailles, più orientata verso tematiche urbane, i progetti
di Lassus, che si sono occupati dell’inserimento ambientale
delle grandi infrastrutture in ambienti sensibili, hanno avuto
una fìgrande influenza nell’indirizzare in senso paesaggistico
l’approccio del progetto urbano in Francia.
Dall’altra parte si ritrova l’approccio “strutturalista” dell’’École
nationale supérieure du paysage a Versailles rappresentata
da Michel Corajoud da molto tempo il responsabile della
didattica della scuola. Corajoud riconosce esplicitamente
l’apporto italiano, in particolare quello di Vittorio Gregotti,
e fonda l’insegnamento della progettazione sul significato
e la fruizione dei luoghi e dello spazio pubblico e la pratica
del progetto di paesaggio sulla base del projet urbain alla
francese.22
L’obligation de l’invention du paysage aux ambiances
successives23
figura 76
Bernard Lassus
Il pozzo - 1972
Nel suo approccio al progetto di paesaggio Lassus si
distingue per una ricerca estensiva in termini artistici, sociali
e antropologici che si può riassumere nel concetto della
“mouvance”. Il termine è stato coniato nella scuola di dottorato
Jardins, paysages, territoires della École des Hautes études
en sciences sociales di Parigi e indica il carattere dinamico e
processuale del concetto di paesaggio.24
45
Non c’è dubbio, però, che il progetto di paesaggio sia per Lassus un’esperienza prima di
tutto poetica. Lassus ha una formazione come pittore nello studio di Fernand Lèger. È per
questo estremamente critico verso l’architettura di paesaggio che si riconosce completamente
nei precetti dell’ecologia ambientale. Riconosce nell’equilibrio ecologico una precondizione
di fondamento nel progetto di paesaggio ma non lo considera obbiettivo sufficiente.25 Per
Lassus l’invenzione poetica nell’ambito di un progetto di paesaggio significa raggiungere
un grande risultato senza necessariamente coinvolgere una grande quantità di lavoro e
materiale. Questa assunto costituisce già di per sé un approccio ecologico fondato sull’idea di
sostenibilità ambientale. La strategia poetica è implementata attraverso un metodo fondato su
interventi minimali, spostamenti semantici che minimalizzano l’evidenza visibile della presenza
del progettista.
Bernard Lassus sostiene che nell’evidenza della necessità di dare forma al mondo concreto è
necessario proporre una distinzione tra scala tattile e scala visiva.
La scala tattile è legata alla quotidianità attraverso l’incontro diretto con le cose, al di sopra
ed aldilà di questo si trova la scala visiva, una zona in cui i fenomeni sono esclusivamente di
tipo visivo.26
“L’obligation de l’invention du paysage aux ambiances successives“ costituisce il contributo
di Lassus alla raccolta di testi di Augustin Berque27 di teoria di paesaggio. Il testo è suddiviso
in una serie di paragrafi ognuno dei quali riporta una definizione chiave per la comprensione
dell’idea di progetto di Lassus.28
Entité paysagère
La proposta di Lassus si fonda sul concetto di entità paesaggisitca: “non aggiungere nuove
frazioni o oggetti, non distruggere uno dei resti precedenti ma al contrario rivelarli nella loro
presenza successiva e simultanea all’interno di un’estensione scelta in base all’esistenza
stessa dei suoi caratteri di frazione morfologica”.29
L’entité paysagère è “il risultato di una negoziazione tra diverse scale di identità che sono
emerse dall’analyse inventive” e che possono essere sistemate/condotte a partire dai loro
caratteri fisici concreti e visibili tanto quanto dai loro spazi immaginari. Lassus porta come
esempio il progetto per Parco du Roi-Baudouin in cui sono stati ritenuti i frammenti di un
paesaggio di Brabant, il luogo scomparso di una villa romana, la traccia di un bosco preesistente.
In questo modo si introduce nel progetto una profondità oltre alla superficie visibile, fatta di
“stratificazioni di temporalità differenti”.30
Espace propre
A differenza del Land Artist il paesaggista deve rappresentare e facilitare la vita quotidiana
oltre che il gesto/intenzione artistica. Il progetto di paesaggio deve essere funzionale agli usi
oltre che suscitare l’immaginario: “la madre di famiglia può avanzare con la carrozzina in tutta
tranquillità lungo un sentiero ombreggiato e allo stesso tempo notare qualche presenza inutile
che la porta a interrogarsi sul luogo che sta attraversando”.31
Intervention minimale
Il paesaggio è per Lassus, “una connivenza approfondita nel sensibile di quello che il concreto
può offrire” per cui non è necessario che ci sia trasformazione fisica per avere un intervento
paesaggistico. In questo senso l’intervento minimale è un apporto di altre dimensioni sensibili
a quello che è già fisicamente presente in un luogo. 32
Lieux insécables (luoghi in-secabili/non attraversabili)
Il modo di intervenire in un luogo, di trovare una forma per un’autostrada per esempio, non ha
niente a che vedere con il fatto di farla passare proprio in quel luogo. Realizzare un’autostrada
per quanto bella possa essere, là dove non dovrebbe passare, non risolve il problema del
passaggio stesso, che è prioritario e da cui non potrà che risultare una frattura.
Ne consegue che è necessario attribuire un valore di identità a certi luoghi che li rende “
insécables”.
La filosofia di Lassus è quella di non incrociare, tagliare, produrre fratture per non scalfire
questa forza naturale. Una strategia progettuale più sottile per cui “la considerazione di nuovi
valori emergenti da un luogo fa parte della decisione da prendere”.33
Nature et deplacement
La definizione di un luogo come “naturale” è già di fatto una scelta e quindi un intervento
umano. Il naturale sarà allora, nella scala di valori culturali, definito come il luogo che avrà
subito meno modificazioni. È per opposizione ad un altro elemento qualificato come artificiale
che definiamo un oggetto come più naturale.34
Quando si prende in considerazione la possibilità di aggiungere qualcosa in un luogo la prima
conseguenza sarà quella di un “déplacement” del valore stesso di natura che verrà spostato/
sospinto verso il “più naturale”. Lassus riporta l’esempio del progetto di un’autostrada.
Ancora prima che sia stato realizzato il progetto può, nella percezione degli abitanti di quel
luogo, renderlo apprezzabile come ancora più naturale. Il progetto quindi contribuisce a
costituire localmente un “campo visuale” relativo nettamente più naturale. Tutti gli interventi
di trasformazione devono quindi essere previsti in rapporto alla definizione di categorie di
apprezzamento dei luoghi che tengano in considerazione la percezione dominante relativa.
Il concetto di identità paesaggistica non può essere affrontato, quindi, come un problema
solamente visivo perchè rientra nell’ordine del simbolico ed una scelta progettuale contribuisce
a mettere in evidenza il valore della natura.
Littéralitè
La lettura letterale di un luogo riguarda il rispetto totale del suo stato e dei suoi possibili. Si
possono distinguere due tipi di letteralità: la letteralità concreta che consiste nel conservare la
natura nei sui processi ecologici, la letteralità mitica che protegge le sistemazioni anteriori non
potendo prevedere se le trasformazioni previste possano essere meglio dello stato esistente.
La letteralità è intimamente legata al concetto di reversibilità, di possibilità di tornare ad uno
stato anteriore.
Analyse inventive
Perché un’interpretazione progettuale riesca ad integrare assetti naturali, patrimoniali e sociali,
è necessario ricorrere ad un processo di analisi che consideri simultaneamente lo stato fisico
e storico dei luoghi ma che si occupi anche di identificare quale e di che tipo potrà essere il
processo evolutivo di un luogo. Questo suppone di riuscire a discernere quale tipo di sviluppo/
modificazione sarà il più adatto alla relazione specifica tra sito e pratiche del sito.
La tecnica che consente di accostarsi alle singolarità ed alle potenzialità di un luogo è detta
46
Neuf conduites du projet40
È dalla scuola di paesaggio a Versailles che vengono i più
importanti contributi al progetto urbanistico.
Michel Corajoud insegna da molti anni all’École nationale
superieure du paysage, nata da una sezione della più
conosciuta École d’Horticulture de Versailles. Nel 1986
Corajoud, nominato professore in “Teoria e pratica del
progetto sul paesaggio”, redige un documento sulla
pedagogia dell’insegnamento su cui baserà gran parte
dell’insegnamento alla scuola di paesaggio. Negli stessi
anni la prima generazione di studenti diplomati della scuola
inizia la propria carriera in architettura di paesaggio. Il lavoro
di Alexander Chemetoff, Alain Marguerit, Michel Desvigne è
riconosciuto in pochi anni a livello internazionale proprio per il
forte legame con le tematiche della città e più specificatamente
con la progettazione urbana.
Dal 2001 Michel Corajoud insegna a Ginevra presso
l’istituto d’architettura. Per i suoi studenti ha redatto un testo
che raccoglie alcune osservazioni relative al progetto di
paesaggio.
Le “conduites” possono venire lette, piuttosto che come una
serie di insegnamenti o precetti da seguire pedissequamente,
come veri e propri spunti di una metodologia progettuale ben
precisa, applicabile ben oltre i limiti imposti dalle esigenze
della didattica. In successione viene definito esattamente
un percorso di approfondimento progressivo che porta a
sviluppare una proposta progettuale a partire dai luoghi
ma senza nulla negare al processo di sintesi creativa e ai
contenuti innovativi che ogni progetto deve poter proporre.
È evidente che questi insegnamenti si affiancano a tutte
le altre conoscenze specifiche che deve possedere un
progettista di paesaggio (ecologia, scienze ambientali in
genere, geografia, progettazione architettonica e urbana, …)
che vengono considerate come parte del bagaglio culturale
acquisito dagli studenti.
Il testo è strutturato secondo nove sezioni. Ognuna di queste
descrive un momento del processo progettuale di ideazione e
rappresenta nel suo complesso la descrizione di un metodo.
“analyse inventive”. Si tratta di adottare fin dall’inizio del processo progettuale un’”attention
flottante” e lasciarsi impregnare dai luoghi (faire l’éponge) durante lunghi sopralluoghi, quasi
fino quasi a tediarsene. Quindi è necessario trovare dei punti di vista preferenziali e individuare
i micro paesaggi e le prospettive che li legano. L’analisi dell’esistente deve scoprire nell’uso dei
luoghi quello che è stato occultato dall’usura del quotidiano e quello che sta per scomparire.
È necessario saper leggere il non visibile e renderlo evidente, rinvenire le tracce di nuovi usi e
pratiche non ancora identificati. Infine è necessario considerare altre ipotesi che selezionate,
testate e precisate diventeranno i nuovi orientamenti proposti dal progetto. L’analyse inventive
è la premessa per l’inflexus del progetto.35
Entrelacement
Lassus propone la lettura dell’”entrelacement”36 del sistema esistente cioè la logica di
articolazione tra composizioni successive di un luogo nel corso del suo sviluppo, una
successione di ri-scritture sullo stesso spazio e di re-interpretazioni da parte della società
che lo utilizza. La logica del progetto dovrà essere quella di perpetuare i diversi interventi
succedutisi nel tempo sullo stesso spazio: “c’est donc cette multiplicitè du lieu qu’il fallait
rendre poétiquement sensible et porsuivre le present”. 37 Il progetto di Lassus per i Giardini
delle Tuileries risponde a questa filosofia di progetto per cui non si tratta di intervenire con
aggiunte formali localizzate quanto proseguire e continuare logiche esistenti.
Inflexus ou l’inflexion du processus paysager
Prendere in considerazione l’insieme dei movimenti interattivi di un luogo, i suoi processi
implica il non arrestare un luogo, “prenderlo in corsa”. Il ruolo dell’intervento è quello di rimettere
in moto alcuni fattori che si sono arrestati eventualmente aggiungerne di nuovi ma sempre
tenendo in considerazione il processo di quello che si trova già sul posto. Lassus chiama
questo tipo di intervento “Inflexion du processus paysager” in alternativa al termine abituale di
composizione e sistemazione. Il termine “inflessione” indica un orientamento piuttosto che una
sostituzione, e implica una “temporalità reversibile cioè ricostruibile”.38 Questo significa voler
inscrivere il progetto di paesaggio nei “diversi movimenti del concreto” e non intervenire per
semplice giustapposizione di un sistema di oggetti ad un altro sistema quanto attraverso un
gioco di “frazioni” per ricostituire l’unità di partenza. Ogni frazione dell’intervento dovrà situarsi
in relazione alle altre frazioni con la stessa temporalità (referenza orizzontale) e in relazione a
se stessa in tempi diversi (referenza verticale). Questo tipo di modificazione produce non tanto
una giustapposizione di oggetti che possono o no produrre paesaggio quanto una “simultaneità
di tempi differenti”.
Lassus ricorre all’analogia dei colori ed al concetto di “spettro cromatico” per spiegare come
l’insieme di più colori possa esaltare l’individualità di ciascuno di essi. Il progetto deve, a
partire da colori dati, esistenti, ricreare un nuovo spettro possibile in cui tutti i colori entrano
a fare parte. Per questo “Il problema del paesaggio non è di introdurre nuovi elementi in
termini di coerenza ed integrazione quanto di rappresentare un nuovo spettro in un sistema di
conformazioni esistenti”.39
figura 77
Michel e Claire Corajoud
Parco Villeneuve a Grenoble - 1974
Mettersi in stato di effervescenza
Sono due le operazioni che devono essere avviate in
contemporanea e secondo un cammino parallelo quando si
inizia a progettare.
Da un lato è necessario porsi quante più domande possibili
ed il più precisamente possibile con l’obbiettivo di farle
47
emergere. Le risposte potranno essere trovate in seguito mentre nella fase iniziale del
processo progettuale è più importante stimolare il meccanismo del “porsi delle questioni, dei
problemi”41.
Allo stesso tempo è necessario iniziare da subito a porsi in un’ottica progettuale, propositiva,
senza aspettare di aver dato una risposta a tutte le domande, formulare delle ipotesi di
lavoro e cominciare a disegnare.42 L’intuizione è lo slancio da cui deve partire il progetto.
Un’analisi preventiva troppo lunga può determinare il rischio di non riuscire più a distinguere
quali elementi possano diventare fondatori del progetto e quali invece portino solo a risposte
letterali. L’intuizione gioca un ruolo di catalizzatore dell’analisi e il progetto si sviluppa a partire
da essa prolungandosi in un lavoro di aggiustamento progressivo alla realtà.43
Per evitare il rischio di prendere delle decisioni “a priori” è necessario, poi, controbilanciare le
intuizioni con delle ipotesi inverse.
Secondo Corajoud “il progetto di paesaggio è una risposta spaziale apportato a una certa
quantità di fattori più o meno concettualizzati, più o meno oggettivi e spesso contraddittori.”44
I dati di analisi del sito e del programma rimangono privi di intenzioni spaziali e sono inefficaci
a generare da soli la forma dello spazio. Solo l’intervento di un soggetto esterno in grado di
rielaborarli e di metterli in relazione fra loro può definire una proposta spaziale coerente.45
Ogni progetto è costituito di circostanze particolari ed irripetibili. L’analisi e il progetto sono
indissociabili e costituiscono le due attività/azioni/processi/... di un procedimento non lineare
ma ricorrente dove tutti i materiali si devono organizzare progressivamente.
Percorrere in tutti i sensi
Il sito di progetto e le sue vicinanze devono essere percorsi in tutti i sensi ed in tutte le
direzioni con lo scopo di registrare quanti più elementi possibili, anche i meno evidenti ed
insignificanti. A questo proposito Corajoud cita François Dagognet: “C’est à la pellicule sinon
même dans les futilités (ou presque) que le vrai scintille et peut être «arrêté».46 Utilizzando
una sorta di economia di mezzi espressivi nel progetto è possibile riportare alla luce le tracce,
le configurazioni e l’organizzazione spaziale delle occupazione dello spazio che si sono
succeduti nel tempo ed in parte cancellati dagli usi successivi. Il recupero di alcune di queste
tracce nel progetto consente di non creare rotture troppo violente con il passato dei luoghi e
di mantenere un filo di continuità con l’identità passata. Prendere in considerazione il più alto
numero possibile di dati sul piano morfologico e culturale derivati dalle circostanze dei luoghi,
farà in modo che le decisioni del progetto siano ispirate dal mondo stesso.
Per non fossilizzare lo sguardo su di un unico punto di vista rischiando di dimenticare tutte le
altre prospettive offerte dal paesaggio, Corajoud insegna il metodo dell’“ubiquità“: non appena
un punto di vista si impone, cambiare punto di osservazione, fuggire in un altro luogo fino a che
persiste quella sensazione. Ad uno sguardo analitico sul paesaggio, che isola, divide, classifica,
discrimina, Corajoud oppone la necessità di addestrare la nostra attenzione a cogliere quello
che resta dietro le qualità singolari e visibili di un luogo. Uno sguardo esclusivamente visivo,
come quello che usiamo costantemente per codificare la realtà, è incapace di leggere il mondo
come un’unità e, come il linguaggio, sta dalla stessa parte dell’”efficacia” e della “sintesi”.
Evitando di concentrare l’osservazione su di un singolo aspetto, anzi “fuggendo” da quelli
più evidenti, Corajoud invita ad andare oltre le apparenze visibili in “un mondo di emanazioni
e presenze furtive” dove “non distinguete, intravedete”.47 L’ora più adatta per questo tipo
di osservazione non è quella della luce cruda e diretta delle ore centrali della giornata. La
penombra delle prime ore dell’alba o della sera creano invece la possibilità di contaminazioni,
sovrapposizioni e aderenze tra le cose.
Esplorare i limiti, oltrepassarli
Un progetto sul territorio deve prima di tutto cominciare dal rimettere in discussione l’apparente
legittimità dei confini stabiliti da una determinata operazione e dal “rifiuto di lasciare che il
paesaggio venga frammentato in molteplici terreni di azione”.
A questo proposito viene definito il concetto di “orizzonte” come capacità di un luogo di
concatenarsi con tutti gli spazi limitrofi e l’idea che sia necessario oltrepassare i limiti prestabiliti
per testare la loro resistenza, la loro porosità, la capacità di creare interconnessioni. Corajoud
sostiene che è nelle situazione di limite che si trovano i “giacimenti” del progetto, perché è sui
suoi confini che un luogo ha già modellato un rapporto con gli spazi vicini. L’orizzonte è il luogo
del passaggio e dell’interrelazione, dove coesistono e si concatenano paesaggi singolari. È
necessario prendere le distanze dai luoghi del progetto, estendere il campo di indagine oltre ai
confini, per riuscire a leggere questo gioco di relazione tra gli spazi ed i luoghi. Solo tornando al
centro del sito si potrà apprezzare la giusta distanza utile per definire gli orizzonti del luogo.
Andare per ritornare
Nella fase iniziale di indagine e raccolta delle informazioni, man mano che si procede
nell’accumulo di conoscenze relative al luogo di progetto, andrà aumentando anche il campo
di contraddizioni tra i diversi dati. Per esempio quelli relativi ai conflitti tra programma e sito.
Per evitare di venire completamente sommersi e di bloccare ogni possibilità di decisione, è
necessario prendere le distanze dal sito per un certo tempo e formulare le prime ipotesi. Il
lavoro sullo spazio attraverso la sua rappresentazione nel progetto apre delle prospettive che
la semplice gestione cumulativa dei dati non lascia intravedere. Questo perché: “lo spazio
possiede delle risorse proprie che permettono di riformulare e smussare le contraddizioni
messe in gioco dall’analisi”.48 Intervenire sul paesaggio inteso come campo di relazioni
complesse richiede un processo conoscitivo che prevede numerose “andate e ritorni” tra analisi
e progetto per associarle profondamente in una proposta finale credibile. In questo processo
di aggiustamento successivo che costituisce intimamente il progetto Corajoud riconosce un
“outil de connaissance”, cioè uno strumento per interrogare e sperimentare la realtà del sito.
Attraversare le scale
L’interrelazione spaziale e temporale di tutti i materiali che compongono il paesaggio porta
inevitabilmente a dover affrontare simultaneamente le diverse scale. L’attraversamento delle
scale è lo strumento che consente di lavorare sull’insieme del progetto insieme al suo aspetto
di dettaglio, che unisce e tiene in relazione reciproca il globale con il locale.
Anticipare
L’attenzione al contesto territoriale, ai suoi sviluppi passati e alla sua organizzazione presente
determina una predisposizione a leggere il paesaggio in maniera dinamica ed a riconoscere
le inclinazioni dello spazio a svilupparsi nel futuro. Corajoud propone un metodo di lavoro
che può essere paragonato all’uso della moviola nel montaggio di un film. Le immagini
vengono fatte scorrere in avanti e indietro fino a che le sequenze mancanti non scaturiscono
spontaneamente. Così sul paesaggio le immagini che testimoniano diversi stadi temporali di
un sito suggeriscono quali possano essere gli sviluppi futuri.
48
Il progetto riesce in questo modo a riconoscere le tendenze che “offrono più garanzie di
supportare e poter condurre le trasformazioni a venire permettendo che si fondano durabilmente
con il reale consumando il minimo di energie”49. In questo senso il progetto è inteso come
“mélange de souvenirs et anticipations”. La raccomandazione di ancorarlo nella storia e nella
geografia non deve essere intesa in senso letterale, cioè come un’incitazione al passatismo
e alla conservazione; piuttosto di non lavorare su di una “tabula rasa” e di ancorare le nuove
proposte alla memoria del sito.
Difendere lo spazio aperto
Corajoud sostiene che sia necessario opporsi all’occupazione sistematica dello spazio
e rivalutare nel progetto paesaggistico e urbano l’importanza delle lacune, degli intervalli,
in relazione con l’idea di orizzonte: “la responsabilità del progetto sullo spazio è quella di
aggiungere ordinare delle cose ma spesso anche quella di astenersi dal farlo”.
Introduce qui un concetto fondamentale cioè quello dell’attenzione sul vuoto, sullo spostamento
dell’attenzione dagli oggetti agli spazi e alle relazioni, e sul concetto del non aggiungere, o
ancora meglio, del togliere. È proprio il togliere una delle tecniche analizzate più avanti nella
ricerca.
analisi, progetto e sopralluogo;
- inflessione del progetto paesaggistico nel proseguire e dare continuità a logiche esistenti e
ai diversi movimenti del concreto;
- l’economia di mezzi espressivi del progetto permette di riportare alla luce le configurazioni
dell’occupazione dello spazio che si sono succeduti nel tempo;
- l’uso di uno sguardo diverso, che consente di intravedere piuttosto che distinguere, permette
di cogliere ciò che non è immediatamente visibile dietro le qualità materiali e formali di un
luogo;
- il progetto inteso di mescolanza di tracce rinvenute ed anticipazioni di configurazioni future;
- leggere nei confini e nei limiti dell’area di progetto un’opportunità per concatenare e mettere
in relazione tutti gli spazi aperti contigui;
- il ruolo dello spazio aperto pubblico come possibilità di mettere in relazione i contesti esistenti
ed il “vuoto” come materiale di progetto;
- affrontare simultaneamente le diverse scale per mettere in relazione globale e locale, territorio
e dettaglio;
- necessità di accompagnare il progetto lungo tutto il processo di confronto con i vari attori e
fruitori nelle varie fasi della sua implementazione.
Aprire il proprio progetto in corso
Se il progetto è inteso come un metodo che permette di rivelare i diversi modi in cui si può
trasformare lo spazio allora è necessario rendere più trasparente possibile il suo processo di
formazione, condividere il più possibile le sue scelte. Il progetto deve prendere in considerazione
l’idea di una sua possibile negoziazione con i soggetti che ne usufruiranno. Perché il processo
sia efficace dovranno essere accessibili a tutti i soggetti coinvolti le ragioni per cui sono state
prese certe decisioni in modo tale da dare a tutti la possibilità di intervenire con cognizione di
causa sul corso del progetto.
Restare il guardiano del proprio progetto
Aprire il progetto in corso alle osservazioni ed alle critiche dei vari attori è sicuramente un
modo per condividerlo e, se necessario, adeguarlo a possibili richieste. Ma Corajoud mette
in guardia dal lasciare che gli interlocutori possano accaparrarsi il progetto e trasformarlo in
qualcosa di diverso. Il creatore è il solo che può assicurare la coerenza e l’unità del suo lavoro
sullo spazio e sulla forma in un processo compiuto.
Principi e dispositivi del processo compositivo riconducibili ad una metodologia
progettuale che riconosce nel paesaggio l’aspetto strutturale portante della progettazione
e della riqualificazione urbana
- proposta di una strategia “minima” (intervento minimale) come intervento di trasformazione
della città e del paesaggio che ha luogo attraverso operazioni semantiche più che strutturali;
- definizione di “analisi inventiva” come approccio progettuale che consente di avvicinarsi alle
singolarità ed alle potenzialità di un luogo attraverso l’esperienza diretta e la presenza fisica
di progettisti; i dati di analisi di un luogo, privi di intenzioni spaziali, una volta raccolti devono
essere sottoposti ad una rielaborazione attiva in grado di metterli in relazione tra loro per
definire una proposta spaziale coerente;
- il campo di relazioni complesse del paesaggio richiede un processo conoscitivo complesso
che consiste nel riformulare numerose volte le proposte in un’iterazione progressiva tra dati di
49
LA DIMENSIONE TEMPORALE DEL TERRITORIO
La sezione “Architecture et Paysage” dello IAUG di Ginevra
nata intorno a due figure chiave della facoltà di architettura,
il topografo Alain Leveillè e l’architetto Georges Descombes,
ha avviato già a partire dagli anni ’80 una indirizzo di ricerca
applicata basato sulla lettura e analisi dei materiali elementari
costitutivi della morfologia urbana. Attraverso lo studio della
topografia è stato sviluppato un approccio che si fonda
sull’indagine cartografica, in particolare quella storica, e che
riconosce nella dimensione temporale della morfologia dei
luoghi e del paesaggio il fondamento di ogni scelta progettuale.
I due diversi apporti di Leveillè e Descombes rappresentano
i due aspetti della pratica progettuale fondata sul paesaggio:
una più analitica descrittiva, l’altra sintetico operativa.
L’apporto teorico di Andrè Corboz ha ulteriormente arricchito il
discorso progettuale con la comprensione della complessità e
dello spessore della città contemporanea spostando il campo
di indagine verso implicazioni di ordine territoriale.50 Nella
delle costruzioni sul terreno. Ognuno di questi elementi contribuisce alla qualificazione dello
spazio fisico.
Il territorio abitato è definito come e “risultato provvisorio”55 di un processo dinamico in cui
le varie fasi di formazione costituiscono una modificazione degli stadi anteriori ma non
necessariamente una loro cancellazione completa. Il processo di sedimentazione è un
“accumulo selettivo” nel tempo che non da origine a strati equivalenti: alcuni materiali mostrano
una resistenza maggiore, altri subiscono un processo di erosione irreversibile. Attraverso gli
affioramenti, i residui di epoche passate, i frammenti e i resti di conformazioni più antichee con
l’aiuto della cartografia storica è possibile ricostruire e leggere “in trasparenza” le varie fasi
della sedimentazione territoriale e ricostruirne la “genealogia complessa”56.
Per Leveillè tutti gli interventi sullo spazio contemporaneo non sono altro che l’ultima di una
lunga serie di modificazioni inscritte in un processo dinamico di cambiamento continuo, più o
meno veloce. Tutte le azioni che incidono sula modificazione del paesaggio, la progettazione,
la pianificazione, la costruzione, concorrono ad aggiungere un nuovo strato alla città e si
inseriscono “nel tempo tra passato e futuro”.
Questo concetto non è assunto acriticamente: è attraverso il riconoscimento dell’unicità e
delle peculiarità di ogni luogo che si gettano le basi per ogni intervento a venire. In questo
senso è avanzato un principio di precauzione secondo cui gli interventi di trasformazione
future si fondino sulla conoscenza delle trasformazioni passate.57
ricerca della scuola i tre momenti di analisi interpretativa,
discorso teorico e proposta operativa si costituiscono come
fasi indissolubili del percorso progettuale.
L’Atlas si pone come uno strumento atto a comprendere il tessuto territoriale, a ritracciare il
processo di formazione e trasformazione e a decifrare le stratificazioni successive. L’interesse
e l’accento sulle componenti storiche dei luoghi non implica però nessun atteggiamento
nostalgico sulle ”sparizioni”, sulla conservazione di tracce e sugli “objets trouvés”. La lettura
complessiva di segni e tracce, al contrario, attribuisce un senso alla conformazione morfologica
del territorio e può costituirsi come principio informatore del progetto sull’attitudine del territorio
a sopportare/ricevere/reggere nuovi assetti.58
La forme du territoire 51
L’Atlas du Territoire Genevois è stato realizzato dal Centro
di ricerca per il Rinnovo Urbano52 della scuola di architettura
di Ginevra diretto dal Prof. Alain Léveillé. Lo studio
commissionato dal Comune di Ginevra è stato redatto sotto
la responsabilità del Servizio dei Monumenti e dei Luoghi del
Dipartimento dei lavori Pubblici della città a partire dal 1985.
L’Atlas è una ricerca sulla cartografia storica del territorio
di Ginevra che copre l’intera superficie del Cantone
corrispondente a circa 284 Km2. Basata sulla sovrapposizione
Il progetto si configura in questo senso come una continuazione di dinamiche già in atto che
può trovare una sua definizione “in riferimento concreto alla nozione di contesto, di ambiente
e di luogo” con l’obbiettivo di aggiungere senso e spessore al territorio. L’Atlas è dunque, in
questo senso, uno strumento di progetto. La ricerca morfologica che lo anima è funzionale
ad una più generale inchiesta sullo stato dei luoghi della città e del paesaggio attraverso cui
isolare quegli elementi del tessuto in grado di costituire un fondamento dei successivi sviluppi
morfologici.59 Analisi ed interpretazione assumono un ruolo di reciprocità e complementarità
ed il confronto di documenti cartografici afferenti a tre periodi
storici (il catasto napoleonico, la cartografia del 1945, la
cartografia attuale) l’Atlas si costituisce come un sistema di
“lettura in trasparenza”53 del territorio e del paesaggio e del
lento processo di sedimentazione che ne costituisce la forma.
Lo scopo dell’Atlas è di “mostrare la dimensione temporale
dello spazio geografico”54 del territorio ginevrino.
Leveillè riconosce un certo numero di elementi, materiali fisici
che hanno contribuito a determinare questa forma: alcuni
risalgono a tempi ed ere geologiche, altri alla colonizzazione
del territorio da parte dell’uomo con il tracciato delle vie di
comunicazione, lo sfruttamento agricolo del suolo e la sua
suddivisione in parcelle fondiarie, la densità e disposizione
figura 78
Alain Leveillè - Atlas du territoire
genevois - 1993
Comparazione cartografica tra la carta
originale del catasto napoleonico, la
sua trascrizione sulla carta esistente
e la lettura delle trasformazioni.
nell’azione di decifrare le forze accumulate sul territorio. In questo senso l’analisi dei caratteri
fisici del luoghi che costituisce l’essenza dell’Atlas ha come obbiettivo ultimo quello di informare
il progetto sulle “competenze del territorio a ricevere i nuovi dispositivi costruiti”.
Leveillè definisce uno strumento utile a legittimare le scelte formali del progetto attraverso
la ricerca di punti di appoggio, di “garde-fous” su di cui il progetto può svilupparsi in un
modo non meccanico o deterministico, divenendo esso stesso strumento di investigazione e
comprensione. La scomposizione morfologica del territorio nelle sue componenti diacroniche
introduce un problema più complesso che riguarda la dimensione temporale nell’ambito
del processo progettuale. Vengono sollevate una serie preoccupazioni relative all’identità e
alla storia dello spazio e dei luoghi che vanno oltre il semplice problema della gestione e
pianificazione.
50
Une recherche morfologique60
L’Atlas si configura come uno studio della configurazione del tessuto territoriale relativo cantone
di Ginevra. Il tentativo della ricerca di “démêler”, distinguere le varie componenti si fonda
sull’accettazione del sistema “reti – parcellizzazione – costruito” come modello di riferimento
della morfologia territoriale e di cui il catasto costituisce una buona rappresentazione. La ricerca
si fonda sul presupposto secondo cui è possibile isolare quei materiali e quelle componenti
fisiche la cui combinazione è in grado di determinare/qualificare lo spazio del territorio come
paesaggio. 61 Sono individuati sei elementi fondamentali: la rete viaria, la parcellizzazione
fondiaria rurale e dell’abitato, l’orografia, la rete idrografica ed i materiali vegetali. Una lettura
approfondita sulle componenti fisiche e formali del territorio non è fine a se stessa: la specificità
morfologica di ogni luogo, determinata dall’interazione di ciascuno di questi materiali nel
tempo, costituisce l’espressione fisica e visibile del suo spessore storico.
La necessità di definire categorie di riferimento nel confronto fra carte di epoche diverse si
instaura/fonda/basa secondo due principi:
permanenza – concordanza tra un catasto e l’altro nella invariabilità di un elemento nella sua
forma, dimensione, posizione.
persistenza – elementi del tessuto che sono stati sostituiti da altri mantenendo la stessa
posizione a terra.
Il lavoro è impostato sul confronto e la comparazione di materiali cartografici afferenti a periodi
storici diversi in modo da costituire un inventario delle sedimentazioni territoriali avvenute in
circa due secoli.
Le cartografie di riferimento sono:
- il Catasto Napoleonico dell’inizio del XIX secolo (1806-1818)
- il cosiddetto “Plan d’Ensamble” nella sua prima edizione (1930-1950)
- il “Plan d’Ensamble” nella sua versione più recente.
Il “Plan d’Ensamble” è una carta del Cantone di Ginevra che per la prima volta in Svizzera, ma
forse in Europa, riunisce le informazioni catastali e fondiarie con quelle della carte topografiche.
A partire dal 1985 è costruita, oltre che in base a rilievi topografici, sulle aereofotogrammetrie
ed è costantemente tenuta aggiornata grazie alle tecniche di disegno informatizzato.
La prima parte del lavoro riguarda la sovrapposizione del Catasto Napoleonico sulla carta
attuale e la trascrizione delle informazioni del catasto antico sullo stato di fatto presente.
La pianta che risulta da questa operazione propone una lettura sincrona di due situazioni
del territorio a duecento anni di distanza in cui sono evidenziati gli elementi della morfologia
scomparsi, persistenti o permanenti.
La seconda fase del lavoro confronta le due edizioni del “Plan d’Ensemble”, quella del 193050 con quella del 1989-91, aggiungendo alle permanenze segnalate nella prima carta, quelle
modificazioni intervenute lungo il XIX secolo e la prima parte del XX.
Il “plan d’Ensamble” dello stato attuale è la base per entrambe le due carte di sintesi ottenute dal
lavoro di sovrapposizione e di collazione rispettivamente il “report du cadastre napoléonien sur
le plan d’ensemble actuel” e “formation-transformation du territoire aux XIXe et XXe siécles”.
Il lavoro di analisi e confronto sulle carte è stato eseguito alla scala 1:2500, cioè la scala
originale della cartografia storica ed attuale, che permette una buon margine di precisione
nella descrizione delle modificazioni avvenute. Si tratta infatti di una scala quasi architettonica,
in grado di riportare i dettagli relativi al tessuto costruito con una sufficiente definizione.
La pubblicazione delle due carte è avvenuta, però, a scala 1:10000 che permesso una lettura
inedita del territorio nella sua evoluzione, allo stesso tempo globale ma dettagliata. È a questa
scala che si possono apprezzare e leggere nel loro insieme alcuni dettagli che possono
apparire come insignificanti nel lavoro minuto di restituzione grafica. La lettura dello spessore
storico e della dimensione temporale del territorio è possibile e acquisisce valore e significato
esclusivamente nel complesso geografico del paesaggio urbano.
Questo metodo di messa in prospettiva storica delle componenti dei tessuti urbani e territoriali
è stato messo a punto per essere applicato allo studio della periferia urbana e alla campagna
di Ginevra. Ha trovato i suoi limiti nelle zone urbane dense dove sarebbe stato necessario
un approfondimento ed una scala di dettaglio più esatta. Il metodo della sovrapposizione
delle carte, che è stato sviluppato e perfezionato da alcune scienze ambientali per verificare
il grado di idoneità ----, qui riproposto per verificare il grado di permanenza delle reti, della
parcellizzazione e del costruito, non viene affiancato, infatti da nessun lavoro di datazione
esatta.
Nella nota finale del testo è sottolineato il carattere a volte soggettivo delle operazioni di
lettura dei catasti, specialmente in alcune situazioni complesse dove il ricercatore con la sua
conoscenza diretta dei luoghi ha potuto si è trovato ad operare con un ampio margine di
interpretazione.
Le dessous des cartes62
In questo testo Corboz coglie l’estrema attualità del lavoro di comparazione catastale
dell’Atlas du Territoire Genevois mettendone in evidenza il contributo metodologico alla
pratica del progetto. Non si tratta di un semplice esercizio accademico o di ricerca storica fine
a se stessa, al contrario per la sua precisione ed accuratezza delinea un metodo dai risultati
sorprendentemente innovativi nel campo della ricerca territoriale.
L’Atlas si pone, innanzi tutto, attraverso la rappresentazione di persistenze, permanenze e
sparizioni di materiali territoriali, il problema della dimensione temporale dello spazio geografico
con numerose implicazioni sul piano operativo.
Innanzi tutto assicura una conoscenza dettagliata dei fatti morfologici del territorio di tutto il
cantone di Ginevra facilitando la comprensione della natura delle tracce che interessano i luoghi
degli interventi futuri. I catasti, infatti, a differenza delle aereofotogrammetrie che registrano
tutto quello che è visibile, documentano anche tracce invisibili come le parcellizzazioni fondiarie
e le frontiere che non sempre sono riconoscibili. All’opposto alcuni elementi fisici appariscenti
possono non essere riportati nei catasti, come ad esempio masse arboree o coltivazioni.
Questo perché il territorio è costruito: “sotto la carta, il terreno”.
La seconda implicazione a livello operativo è costituita dalla sua forma di inventario di tracce,
segni e frammenti persistenti sul territorio che possono costituire uno strumento importante per
gli studi storici dello sviluppo urbano, suggerendo dei percorsi di lettura privilegiati, come per
esempio può essere quello della controversa lettura delle tracce della centuriazione romana.
La terza implicazione è relativa alla possibilità di una migliore fondazione degli interventi futuri
che influiscono sulla consistenza del territorio siano minimi o puntuali come la costruzione di
una sola casa, sia che riguardino grandi opere infrastrutturali come un’autostrada.
Corboz sostiene che due attitudini opposte si sono confrontate negli ultimi secoli, di fronte
alla necessità di trasformazione del territorio. A partire dall’apparizione dell’idea di “coscienza
storica” illuminista non sono state che possibili due diverse condotte a partire da due concetti
diametralmente opposti: l’essere assolutamente moderni rifiutando tutto quello che era stato
51
Shifting sites65
L’applicazione operativa dei principi teorici e delle fasi di lettura ed interpretazione del territorio
è rappresentata dai progetti sul paesaggio di Geroges Descombes. Il lavoro di Georges
Descombes riguarda “slittamenti di aspettative e punti di vista” e “slittamenti in complessità
ottenute con il minimo dei mezzi” e agisce come un dispositivo per rivelare forze impercettibili
creando “una visione diversa, un’attenzione diversa, un’emozione diversa”. L’interesse per
il territorio trova nel lavoro di Descombes una nuova dimensione legata agli aspetti dinamici
del paesaggio. Il progetto è inteso in termini di provvisorietà, sistematicamente trasformato
da un continuo rimodellamento da parte dei fenomeni della natura: stagioni, tempo, luce,
crescita, erosione, sedimentazione. La manifestazione di dinamiche diverse viene rinvenuta
nel reperimento di tracce presenti in un luogo, manifestazione materiale di quelle forze. Il
processo progettuale è incentrato sull’idea che “future developments are already inscribed in
the land”66 e la mappatura dinamica di tracce e segni in periodi di tempo diverso ha lo scopo
prima o la negazione che fosse intervenuta una rottura con il
passato e quindi l’uso della tradizione e la storia come “self
service”. In architettura le due posizioni sono rappresentate
da una parte dalla “tabula rasa” del Movimento Moderno
e dall’altra dalle posizioni postmoderniste con una sorta di
feticismo per la storia, il rifiuto per ogni tipo di intervento che
non sia puro mimetismo. Due posizioni, sostiene Corboz,
estremamente rassicuranti (rifare tutto o conservare tutto),
una scelta semplice. Rifiutare le tracce del territorio significa
non riconoscere che esse non sono arbitrarie ma possiedono
una razionalità intrinseca perché obbediscono a una logica
insediativa precisa. Cancellarle significa fondare una pratica
territoriale sull’incomprensione di quello stesso territorio.
Ugualmente il culto per le tracce porta ad una gestione
urbana e territoriale in cui l’innovazione non è possibile se non
sotto forma di mimetismo in nome di una pretesa continuità
e permanenza che troppo spesso non corrisponde più alla
cultura dei luoghi.
Un simile inventario di tracce e segni63 non deve diventare un
di rendere manifesti i futuri potenziali oggi latenti.
Per Descombes il corpo umano deve essere il punto focale del discorso architettonico, il suo
movimento nello spazio determina i diversi punti di vista possibili, gli slittamenti di senso che
non sono esclusivamente visivi.67
Come le tracce ed i segni di forze passate su di un sito costituiscono una costruzione mentale
oltre che materiale, anche il progetto, nel recuperare il senso di un luogo, deve porsi l’obbiettivo
di agire sull’immaginario oltre che sull’esperienza fisica.
I progetti di Descombes perseguono l’obbiettivo di rivelare la complessità del territorio nel
tentativo di evitare la “riduzione e negazione dell’esperienza che caratterizza le esperienze
di pianificazione contemporanea”. All’opposto dell’azione totalizzante del piano gli interventi
di Descombes sono tattiche discrete che operano una certa resistenza alla proliferazione di
oggetti e di segni. L’intervento “laconico” si costituisce in questo senso come un vero e proprio
metodo progettuale che fonda la sua efficacia su di una diluizione omeopatica degli spostamenti
o, anche, sull’assenza e sulla sottrazione di materiale dal sito. Il metodo di Descombes lavora
sugli slittamenti di significato, operazioni semantiche più che strutturali, in grado di restituire
un senso e una dimensione di uso al territorio più degradato.
Il metodo di lavoro di Descombes68 dipende dalle circostanze e consiste nel far sorgere
motivo di paralisi per pianificatori ed architetti ma ugualmente
non deve dare l’impressione che la modificazione del territorio
sia divenuta più facile grazie ad esso: “Iscriversi esattamente
nella maglia rivelata dalle carte non garantisce la qualità!
È tutto qui il problema nel rapporto tra analisi e progetto.
Ugualmente se non è sufficiente “spelare” il territorio per
saperlo leggere (perché il più delle volte le tracce non dicono
niente sulle proprie cause), non è sufficiente prendere atto
degli elementi costitutivi di un frammento territoriale per
dedurne il progetto. L’analisi è di natura descrittiva, mentre
il progetto è di natura dichiarativa. […] D’altro lato il territorio
non è un semplice supporto, una distesa passiva che ammette
qualsiasi tipo di sistemazione: esso manifesta quelle che
potremmo chiamare delle attitudini. Il risultato dovrà nascere
da una sorta di negoziazione senza perdere di vista che il
progetto ha la precedenza perché consente di selezionare
quello che nell’analisi è pertinente.”64
Per questo l’uso delle carte non può essere confuso con una
chiave universale quanto invece rappresenta un’opportunità
supplementare alla progettazione che rende “il gioco più
complesso, più sottile e dunque più difficile”.
Sotto la carta, conclude Corboz, rimangono i progetti
scomparsi di chi ci ha preceduto ma anche le aree e gli
interstizi che questi, involontariamente, hanno sistemato
perché noi possiamo ancorarci le nuove modificazioni, sotto
le carte la città.
attraverso una descrizione attiva gli elementi fondanti del progetto. Descombes cita una
frase di Peter Handke: “quelque chose commença qui était déjà là”69, un invito a spostare sul
luogo l’attenzione che si presta abitualmente al programma senza negarne il ruolo. È infatti
dalla tensione tra sito e programma che deve scaturire il progetto. Ugualmente una maggior
coscienza della
situazione esistente e del contesto non implica posizioni nostalgiche o
storicistiche. Piuttosto è questa una postura che è incline a rivelare sviluppi possibili attraverso
piccoli spostamenti, slittamenti che esigono una grande chiarezza e precisione tra “trovato” e
“modificato”.
È nel Parco di Lancy che Descombes esplora questo gioco di relazioni tra vicino e lontano:
“Il sito di progetto non è mai interamente contenuto nei limiti geografici o storici, del sito di
intervento, il progetto ha un respiro più ampio.“70 Tutte i diversi interventi che lo costituiscono
figura 79
Georges Descombes
Plaine de l’Aire, schizzo di progetto
sono determinati nelle loro relazioni, geometrie, materiali in rapporto ad un contesto molto più
vasto. Il progetto tratta del ri-orientamento di un territorio lasciato all’abbandono in cui quello
che è scomparso è altrettanto importante di ciò che è rimasto.
Il progetto propone la ricostruzione di un frammento di natura e siccome un ambiente
52
naturale non si può ricostituire che attraverso un processo,
allora il lavoro di progettazione si occupa di metterli in moto
artificialmente. Nel progetto per la rivitalizzazione del corso
del canale dell’Aire il mantenimento degli argini del vecchio
canale costituisce il “dispositivo territoriale” su cui si fonda
tutta la riorganizzazione circostante: il nuovo assetto del
fiume, l’edilizia dispersa, la parcellizzazione agricola, le
attrezzature del parco, le aree rinaturalizzate.71
Principi e dispositivi del processo compositivo
riconducibili ad una metodologia progettuale che
riconosce nel paesaggio l’aspetto strutturale portante
della progettazione e della riqualificazione urbana
- messa a punto di una tecnica di lettura in profondità della
sedimentazione urbana (lettura in spessore) per ricostruire la
“dimensione temporale” del territorio come uno dei punti di
appoggio del progetto;
- la legittimazione delle scelte del progetto scaturisce
dall’evidenza di quello che è già presente sul sito e dalla
continuazione delle logiche e delle razionalità presenti;
- riconoscimento di un principio di sostenibilità nel progetto
che agisce per mezzo di slittamenti di complessità e di senso
ottenuti con il minimo di mezzi espressivi e di spostamenti di
materia;
- processo progettuale come “addestramento” alla sensibilità
verso i luoghi;
- discorso sulla reversibilità delle azioni intraprese dal progetto
inteso come un principio di sostenibilità;
- efficacia del progetto rinvenuta nella diluizione omeopatica
degli spostamenti e delle modificazioni, nella tecnica di
sottrazione o comunque di non aggiunta di materiale dal
sito;
- progetto come costruzione mentale oltre che materiale per
recuperare il senso di un luogo e agire sull’immaginario,
sull’identità oltre che sull’esperienza fisica;
- reperimento di tracce e frammenti di usi passati per svelare
la manifestazione di dinamiche latenti;
- ruolo del disegno come strumento fondamentale del
processo progettuale (e non come fine);
- rovesciamento del rapporto programma-sito in cui il
programma viene calibrato sugli aspetti portanti dei luoghi e
non più imposto dall’esterno;
- il corpo umano come misura dello spazio, in grado di testarne
l’uso e la fruibilità.
NOTE
1
figura 80
Georges Descombes
Plaine de l’Aire, schizzo di progetto
Il titolo si riferisce a due testi chiave che riassumono in qualche modo la ricerca di Aimaro Isola: GIUSEPPE DEMATTEIS
(1996), Progetto Implicito, Franco Angeli, Milano e ISOLA AIMARO [a cura di] (2002), Il paesaggio come metodo, in: Infra
- forme insediative e infrastrutture, Manuale, Marsilio, Venezia, p. 7
2
Mi riferisco alla polemica con “il guardiano di frigoriferi” dalle pagine di “Casabella” di E.N. Rogers nel 1954.
3
Si vedano alcuni progetti dello studio Gabetti e Isola come il complesso residenziale Ovest per l’Olivetti ad Ivrea
(1974) e il progetto di concorso per il Centro Direzionale Fiat a Candiolo (1973).
4
Si devono citare in particolare due raccolte di testi. La prima raccoglie le sperimentazioni della didattica e raccogli
gli esiti del Laboratorio di sintesi finale “Paesaggi della dispersione insediativa tenuto dal 1997 presso la Facoltà di
Architettura del Politecnico di Torino da Giuseppe Dematteis, Antonio De Rossi, Roberto Gianmarco, Francesca
Governa, Matteo Robiglio e coordinata da Aimaro Isola. Si tratta di: DE ROSSI ANTONIO [e altri] (1999), Linee nel
paesaggio. Esplorazioni nei territori della trasformazione, UTET Libreria, Torino. La seconda raccoglie gli atti del
convegno svoltosi presso il Castello di Mantra in Provincia di Cuneo nel settembre del 1999 e dal titolo: Disegnare
paesaggi costruiti.
5
GIUSEPPE DEMATTEIS (1993), “Geo-grafie”, in: GIANMARCO CARLO, ISOLA AIMARO (1993), Disegnare Le Periferie. Il progetto
del limite, NIS, Roma, p. 239
6
GIANMARCO CARLO, ISOLA AIMARO (1993), Disegnare Le Periferie. Il progetto del limite, NIS, Roma.
7
GIANMARCO CARLO, ISOLA AIMARO (1993), cit. p.11.
Come nota P. Gabellini (GABELLINI PATRIZIA (2001), Tecniche Urbanistiche, Carocci, Roma, p. 268) la struttura del
libro come manuale è anomala in quanto presenta un carattere argomentativo e prestazionale più che proporre una
raccolta di modelli o di schemi precostituiti.
8
Ivi, p.47
9
GIANMARCO CARLO, ISOLA AIMARO (1993), cit. p. 11.
10
GIUSEPPE DEMATTEIS (1993), Geo-grafie, in: GIANMARCO CARLO, ISOLA AIMARO (1993), Disegnare Le Periferie. Il progetto
del limite, NIS, Roma, p. 240
11
GIUSEPPE DEMATTEIS (1993), “Geo-grafie”, in: GIANMARCO CARLO, ISOLA AIMARO (1993), Disegnare Le Periferie. Il progetto
del limite, NIS, Roma, p. 245
6
Un concetto molto simile, con l’accento sulla non-omogeneità della città contemporanea, è espresso dalla
metafora di “ipercittà” di Andrè Corboz: “Dans le vide lexical qui caractérise aujourd’hui les établissements humains
de très grandes dimensions en Occident, le termes d’hyperville aurait l’avantage de ne pas préjuger de la densité
(contrairement à « ville extensive » ou « ville diffuse ») et de ne, pas s’opposer aux villes « historiques », puisque
celles-ci sont elles-mêmes des constituants de l’hyperville. Certes, il s’agit d’une métaphore, et l’analogie ne peut être
poussée jusqu’à l’homologie, du moment qu’elle ne rend pas compte de toute la réalité : dans le territoire, les « textes
» sont très souvent mêlés, superposés, partiellement effacés, ce qui n’est jamais le cas dans l’ordinateur, comme
Andrea Felicioni l’a noté. [...] Comme l’hypertexte, l’hyperville est accessible de diverses façons; on y entre, on en
sort par une multitude de points - du moins si l’on peut encore parler d’entrée et de sortie -; on y circule également
par des itinéraires extrêmement variés, du moment que les activités y sont dispersées, et surtout qu’il n’y a pas de
centre, un centre, mais des polarités.
À ce point, une observation complémentaire s’impose : contrairement à ce que pensent les fétichistes de la ville
historique, celle-ci n’était pas non plus homogène, ne serait-ce que pour cette première raison qu’elle n’a jamais été
construite en une seule campagne. Elle était faite au contraire de pièces’ et de morceaux, de trames et de tissus
additionnés.” In: Le visiteur 6/2000 La Suisse comme hyperville, p.125.
12
Ibidem
13
Ivi, p.35
14
BAZZANELA LILIANA, GIANMARCO CARLO, ISOLA AIMARO, RIGAMONTI RICCARDA [a cura di] (1996), Paesaggi Sul Limite, Celid,
Torino.
15
Ivi, p.30
16
GIUSEPPE DEMATTEIS (1996), Progetto Implicito, Franco Angeli, Milano, p. 40.
17
BERQUE AUGUSTIN [e altri] (1999), La mouvance: du jardin au territoire: cinquante mots pour le paysage, Ed. de la
Villette, Paris, p.41
18
Si possono citare in particolare le ZAC, Zones de amenagement concertè, che hanno consentito alla Francia in
pochi anni di attuare una serie numerosa di progetti di riqualificazione urbana.
19
BERQUE AUGUSTIN [e altri], “Mouvance: un lessico per il paesaggio. Il contributo francese”, Lotus Navigator 5 2002, pp. 78-99.
20
Si vedano in questo senso gli apporti di Augustin Berque, Alain Roger, Michel Conan, Pierre Donadieu, Gilles
Clement rispettivamente nei campi di geografia, filosofia, sociologia, ecologia e agronomia.
21
CORAJOUD MICHEL (2004), «L’Horizon», Faces 05, pp.22
LASSUS BERNARD (1994), «L’obligation de l’invention du paysage aux ambiances successives», In: BERQUE AUGUSTIN
(a cura di), Cinq propositions pour une théorie du paysage, Champ Vallon, Paris
23
BERQUE AUGUSTIN [e altri] (1999), cit. p.41
24
BANN STEPHEN (1999), “The necessity of invention: Bernard Lassus’s garden landscapes”, In: BIRKSTED JAN, Relating
architecture to landscape, E & FN Spon, London, p.235
25
Lassus Bernard (1994), cit. p.87.
26
BERQUE AUGUSTIN (1994) [a cura di], Cinq propositions pour une théorie du paysage, Champ Vallon, Paris.
27
I titoli delle definizioni non sono stati tradotti in italiano per non stravolgerne il senso con un’interpretazione
53
letterale.
28
BERQUE AUGUSTIN (1994) p.90
29
LASSUS BERNARD, “Entité paysagère”, in: BERQUE AUGUSTIN [e altri] (1999), cit. p.60
30
LASSUS BERNARD, “Espace propre”, in: BERQUE AUGUSTIN [e altri] (1999), cit. p.64
31
Lassus Bernard (1994), cit., p. 92
32
Ivi, p. 93
33
LASSUS BERNARD, «Déplacement», in: BERQUE AUGUSTIN [e altri] (1999), cit. p. 54
34
LASSUS BERNARD, «Analyse inventive», in: BERQUE AUGUSTIN [e altri] (1999), cit. p.45
35
Lassus Bernard (1994), cit. p.98
36
Ibidem. Il progetto è pubblicato in: Le jardin des Tuileries de Bernard Lassus, Coracle Press 1991
37
Lassus Bernard (1994), cit. p.100
38
Ibidem: “Le problème du paysage n’est pas d’apporter un ou des éléments nouveaux, en raisonnant en termes
de coherence, d’intègration, d’insertion; mais d’arriver à mettre en place un nouveau “spectre” dans un systeme de
conformations.”
39
CORAJOUD MICHEL (2000), Neuf Conduites Du Projet: les neuf conduites nécessaires pour une propédeutique, pour
un apprentissage du projet sur le paysage, in : Jean-Luc Brisson [a cura di], «Le Jardinier, l’Artiste et l’Ingénieur»,
Editions de l’Imprimeur, Paris.
40
Di fatto la difficoltà maggiore consiste nel definire le domande più che rintracciarne le risposte. Come sostiene L.
Wittengstein: “Se una domanda può porsi, può anche avere una risposta” (Tractatus logicus-philosophicus, Einaudi
Torino, 1995, p.108)
41
Sul ruolo del disegno, o meglio, dello schizzo a mano come strumento conoscitivo fondamentale, come processo
chiarificatore, come metodo per fissare il latente, per svelare l’impercettibile agli strumenti analitici del raziocinio si
veda anche A. Siza “L’importanza di disegnare”, in: Álvaro Siza scritti di achitettura, Skira editore, Milano 1997.
42
Significativa l’analogia di questo metodo di lavoro con quello utilizzato dai progettisti della Scuola di Porto in
particolare Fernando Távora ed Álvaro Siza. Si confronti questo testo con alcuni scritti di Álvaro Siza specialmente “Il
procedimento iniziale” pubblicato nel catalogo Europa/America: architetture urbane, alternative, suburbane, a cura di
F. Raggi, Alfieri, Venezia 1978, “Il disegno come memoria” pubblicato in: Stadtskizzen a cura di B. Fleck, Birkhäuser
Basel 1994 entrambi tradotti in “Álvaro Siza scritti di achitettura”, Skira editore, Milano 1997.
43
CORAJOUD MICHEL (2000), cit. : “Le projet de paysage est une réponse spatiale apportée à un faisceau de données
plus ou moins conceptualisées, plus ou moins objectives et souvent contradictoires.“
44
Un concetto molto simile alla sintesi tra “essere” e “conoscere” nella fase iniziale del processo progettuale in:
FERNANDO TÁVORA (1996), Da organização do espaço, FAUP Publicações, Porto (ed. originale 1962), p. 74
45
CORAJOUD MICHEL (2000), cit. p. -: “È nella sottigliezza/sottile superficie se non anche nelle futilità (o quasi) che il
vero scintilla e può essere fermato.” Corajoud cita da: Dagognet François, (1977) “Une épistémologie de l’espace
concret“, Néogéographie, Paris.
46
Ivi p. - : “En privant ainsi ce qui vous environne de tous les points saillants, vous ne remarquez rien, vous percevez
seulement des affluences. Vous êtes au-delà des apparences, dans un monde d’émanations et de présences furtives.
Vous ne distinguez pas, vous entrevoyez.“
47
Ivi p. - :“L’espace a des ressources propres qui permettent de reformuler et d’apaiser certaines contradictions que
l’analyse dégage.“
48
Ivi p. - :“Dans le foisonnement et la chronologie des indices que vous aurez décelés, vous saurez reconnaître les
tendances les plus marquantes, celles qui offrent le plus de chances pour conduire et supporter les modifications à
venir, celles qui permettent de s’immiscer durablement dans le réel en consommant le minimum d’énergie.“
49
Cfr. con CORBOZ ANDRÉ (2000), La Suisse comme hiperville, in: Le Visiteur 6 – ville, territoire, paysage,
architecture, Société des Architectes, Paris, pp.112-129 e CORBOZ ANDRÉ (1998), L’ipercittà, cit. pp. 234-238.
50
LÉVEILLÉ ALAIN (1997), «La forme du territoire», In: Atlas du territoire genevois - Permanences et modifications
cadastrales aux xixe et xxe siecles, Georg Editeur, Genève.
51
Centre de recherche sur la rénovation urbaine (CRR) dell’Istituto di Architettura dell’Università di Ginevra (IUAG).
52
MAROT SEBASTIEN (1999), L’art de la memoire, le territoire et l’architecture, in : Le Visiteur 4 - ville, territoire, paysage,
architecture, Société des Architectes, Paris, p. 175
53
LÉVEILLÉ ALAIN (1997), «La forme du territoire», cit., p. 9
54
Ibidem. L’“accumulation sélective” è un’idea ricorrente negli scritti di Leveillè e deve essere intesa come gli
accumuli diacronici dei vari materiali non siano necessariamente continui e uniformi e che ogni strato vada sempre
e necessariamente a cancellare il precedente. Vedi anche CORBOZ ANDRÈ (1997), «Le dessous des cartes», in: Atlas
du territoire genevois. Permanences et modifications cadastrales aux xixe et xxe siecles, Georg Editeur, Genève, cit.,
p.4
55
Ibidem
56
Lo stesso concetto è espresso da Andrè Corboz: Cfr. CORBOZ ANDRÈ (1998), “Il territorio come palinsesto”, in Ordine
sparso: saggi sull’arte, il metodo, la città e il territorio, Milano Franco Angeli, p. 190
57
Confronta anche con ALAIN LÉVEILLÉ (2000), “Formation/Transformation des tissus urbains: l’épaisseur historique
du territoire”, in: Nouvelles n°26, p.132-134, intervento al 5° Forum interdisciplinare del Centro di ecologia umana e
delle scienze ambientali dal tema: “Les enjeux et les défis du XXIème siecle dans la perspective du développement
durable” organizzato nel giugno 2000 presso l’Università di Ginevra (CUEH)
58
ALAIN LÉVEILLÉ (1997), «La forme du territoire», cit. p. 9
59
Ibidem
60
Cfr. con: GREGOTTI VITTORIO (1966),
Il territorio dell’architettura, Feltrinelli, Milano p. 88: “Nasce così la possibilità
di un’ottica e di un approccio combinatorio delle materie rilevate, considerate come concreto formale e operate
per accostamento, per collage, attribuendo ai salti di materia, nei suoi vari livelli di complessità di aggregazione o
dimensionali, un proprio potere di esistenza strutturante”.
61
CORBOZ ANDRÉ (1997), «Le Dessous des Cartes», In: Atlas du territoire genevois - Permanences et modifications
cadastrales aux xixe et xxe siecles, Georg Editeur, Genève, p. 4.
62
Vedi anche DEMATTEIS GIUSEPPE (1996), cit., in cui è espressa la stessa idea.
63
CORBOZ ANDRÉ (1997), «Le Dessous des Cartes», cit. p.6
64
DESCOMBES GEORGES (1999), “Shifting Sites: The Swiss Way, Geneva”, In: CORNER JAMES (1999) [a cura di], Recovering
landscapes, Essays in contemporary landscape architecture, Princeton Architectural Press, New York, p.79.
65
Ibidem. Questo concetto si ritrova chiaramente in Michel Corajoud quando sostiene che progetto debba anticipare
gli assetti futuri del territorio, sebbene il metodo per arrivare all’estrapolazione di quali debbano essere questi assetti
sia sostanzialmente diverso. Anche nel metodo di lavoro degli architetti Portoghesi Fernando Távora ed Álvaro Siza
si ritrova qualcosa del tutto simile. In Álvaro Siza l’acquisizione di tracce e segni del luogo all’interno del progetto
è risolto attraverso un procedimento grafico di lettura delle geometrie presenti sul sito e la loro restituzione in un
contesto poetico; in Távora la conoscenza del luogo deve essere così profonda e intensa da diventare da subito parte
integrante della proposta progettuale. Cfr. nota 45
66
DESCOMBES GEORGES (1999), cit. p.80: “It is absurd that artists like Richard Serra have to remind architects that the
human body should be the central point of reference in architecture, that a step is determined by the human
stride, that tactility -touch- ìs important.One has to remember, of course, that the routes and traces across a given
site . are as much mental constructions in their reality as they are material. Thus, my work is aimed at restructuring
an imaginative sense of place as much as its physical experience. I believe that any environmental intervention is a
creative cultural act that ought to be part of the history and future of the site and the lives of its occupants. It is not only
terrain that changes with time but also the way people perceive it. This is why design is about ideas as much as it is
concerned with material and space.”
67
DESCOMBES GEORGES (2004), «Comment Je Travaille», in: Carmen Perrin Contextes, infolio ed., Geneve, p. 68.
68
Ibidem
69
Ivi, p.69
70
Si confronti con la scheda relativa al progetto nell’analisi dei casi di studio di questa stessa ricerca.
54
PARTE III
Contributi per la definizione di una strategia del progetto urbanistico
55
III.1 IL PAESAGGIO COME METODO1
Nei capitoli precedenti abbiamo indagato su quali basi teoriche
possa essere fondata un’interazione reale tra scienze urbane
e discipline del paesaggio in una progettazione che assume
il valore geografico ed ambientale dei luoghi come punto di
partenza per un reale rinnovamento della città.
Dopo aver individuato alcuni principi del processo compositivo
riconducibili ad una metodologia progettuale è possibile
operare una verifica della teoria nelle occasioni concrete del
progetto. Questo significa andare ad analizzare come e se
questi siano stati applicati e resi operativi, con quali esiti e
modalità, attraverso quali dispositivi operativi e formali, cioè
entrando nelle “questioni di cucina”.2 In sostanza si tratta di
ricondurre l’applicazione della teoria del processo compositivo
ad un certo numero di sperimentazioni che riconoscono
il paesaggio come aspetto strutturale della progettazione
urbanistica e verificarne gli esiti formali.
Negli ultimi anni si riscontra un rinnovato interesse per le
tematiche della progettazione legate agli aspetti paesaggistici
ma nonostante un dibattito teorico molto attivo non si hanno
altrettanti riscontri nel campo della sperimentazione. Sono solo
alcuni, infatti, i progetti e le realizzazioni che hanno saputo far
confluire coerentemente in una proposta di trasformazione le
competenze, l’esperienza, il bagaglio operativo di entrambe
progettazione urbanistica e progettazione paesaggistica. Per
la maggior parte dei casi si tratta ancora di una relazione
tradizionale in cui alla progettazione degli insediamenti
costruiti segue un progetto di “abbellimento” degli spazi
esterni con le tecniche dell’architettura di paesaggio.
Limitatamente ad alcuni casi, però, le due tradizioni disciplinari
hanno saputo mettere in comune i propri strumenti e le proprie
strategie lavorando in sinergia attraverso una collaborazione
stretta tra urbanisti e paesaggisti (per esempio il caso di Michel
Desvigne e François Grether a Lione) o attraverso paesaggisti
che nel corso della loro carriera/attività professionale sono
approdati all’urbanistica (è il caso di Michel Corajoud e di
Alexandre Chemetoff). È indubbio, in questo senso, che
il panorama francofono (Francia e Svizzera francese) sia
l’ambito più ricco e denso di sperimentazioni in corso.
In questi casi è possibile riconoscere un apporto concreto
all’innovazione degli strumentazione del progetto urbanistico
sia che si tratti di riqualificazione urbana sia che si tratti del
progetto di nuovi insediamenti.
Il processo di assunzione e trasferimento nella pratica del
progetto urbanistico di alcuni presupposti derivati dalla
56
pratica paesaggistica sta contribuendo a formare un bagaglio
operativo sostanzialmente rinnovato ed originale. In generale
emergono quattro assunti che si pongono in alternativa
all’approccio del progetto urbanistico corrente:
1. la capacità maieutica del progetto cioè il saper mettere
in luce le potenzialità latenti attraverso l’interrogazione
dei luoghi, il riconoscimento nella “lettura” di un metodo
di progetto che consenta non tanto l’integrazione del
progetto nel contesto quanto una manifestazione delle
caratteristiche fisiche, culturali, geografiche e storiche dei
luoghi;
2. lo sguardo endogeno3 del progetto, la cura del territorio
Con l’intento di creare una specie di “cassetta degli attrezzi
per il nuovo progetto urbanistico, un terreno operativo comune
al progetto di città e di paesaggio, è proposto un repertorio
non sistematico ma tematico dei casi di studio analizzati a cui
poter fare riferimento.
In particolare, la lettura di alcuni progetti recenti ritenuti
particolarmente significativi, ha messo in luce alcune linee
progettuali ricche di implicazioni operative che riassumono
gli itinerari mentali sperimentati e i principali assunti teorici
già individuati. Operando una certa schematizzazione e certo
senza avere la pretesa di esaurire il discorso, è possibile
distinguere quattro filoni progettuali che individuano ambiti
leggibili anche trasversalmente attraverso la sovrapposizione
di alcune tematiche.
e della forma urbana con azioni specifiche, sostenibili e
calibrate ed in cui la dimensione laconica del progetto e
l’attenzione per la dimensione e la forma degli interventi
prevalgono sui programmi imposti da logiche estranee;
3. il progetto di paesaggio come progetto di spazio pubblico
e viceversa; iI ruolo dello spazio pubblico e del vuoto come
principale materiale del progetto, la fruizione del territorio
come valore collettivo da salvaguardare; la predilezione
per lo spazio delle relazioni, per le transizioni, i limiti, i
confini, i margini, cioè tutti quei luoghi dove ambiti spaziali
diversi si incontrano;
4. il progetto come processo piuttosto che prodotto,
strategia aperta e in divenire, riconoscimento del sito in
relazione al passaggio del tempo, dei cicli delle stagioni,
delle alternanze di crescita e declino che caratterizzano i
materiali vegetali ed in generale tutti gli organismi viventi. Il
progetto non definisce a priori ma prende in considerazione
le fasi di una sua possibile implementazione nel tempo,
lasciando un margine di adattamento e di appropriazione
progressiva e graduale da parte degli abitanti e de
luoghi.4
III.1.1 Site specific planning. Sensibilità topologica e
razionalità topografica5
(principle of the second man)
Il primo gruppo di sperimentazioni si fonda sul riconoscimento
delle grandi e piccole razionalità che hanno progressivamente
costituito il senso del paesaggio ed della città.6 Ne discende
figura 81
Bernard Huet
Parco di Bercy Parigi - 1987
Piano delle preesistenze, dettaglio
figura 82
Michel e Claire Corajoud
Parco di Sausset - Seine Saint Denis
1980-2000
57
una line progettuale che si riferisce alla strutturazione del
progetto in continuità con la razionalità intrinseca (costruita o
naturale) dei luoghi. La topografia intesa nel senso più esteso
del termine (cioè come “configurazione” di un luogo ovvero
di una città in relazione a alla distribuzione di strade, piazze,
monumenti, sistemi geografici ed ambientali, …) è costituita
a fondamento della composizione urbana ed il progetto è
strutturato in forte continuità con il sito. In questo è possibile
riconoscere un principio di sostenibilità “implicito” che limita le
azioni di modificazione allo strettamente necessario.
Si tratta di un principio derivato dalla tradizione premoderna
della costruzione della città sia per quanto riguarda la relazione
con la conformazione geografica del territorio sia come
processo di evolutivo della città su se stessa. In questo senso
la composizione urbana risponde ad un “progetto collettivo
diacronico”7 secondo una stratificazione di modificazioni
di integrazione totale di un parco nel contesto urbano in cui
il disegno del reticolo di percorsi ed attraversamenti non
nega le tracce della città. Il progetto più rappresentativo che
ne ricalca la strategia applicandola al progetto urbanistico è
quello per la Presq’Ile di Nantes del paesaggista/urbanista
Alexandre Chemetoff.
Ugualmente questo gruppo di progetti definisce una strategia
partendo dal presupposto che il territorio è il risultato provvisorio
di un lento processo di sedimentazione di fatti orografici e
antropici in cui ogni fase di formazione ha determinato in parte
la trasformazione di fasi precedenti. Questa stratificazione è
una “accumulazione selettiva” non omogenea, in cui, almeno
apparentemente, permanenze e cancellazioni coesistono
senza una logica precisa. Il reperimento di tutte le tracce
lasciate dalle trasformazioni precedenti è una condizione
imprescindibile per la modificazione dei luoghi della città. Il
progetto deve essere inteso come uno dei tanti strati che si
sovrapposti secondo una serie di riscritture successive ed
ha, quindi, la responsabilità di valutare con circospezione
ogni trasformazione secondo un principio di “precauzione”. La
raccolta di un numero di indizi sufficienti evita di determinare,
con le operazioni di trasformazione, degli strappi, dei “buchi”9
frutto di coscienze individuali che intenzionalmente hanno
lavorato seguendo la stessa regola. Non si tratta di un
processo “inconscio” secondo un’idea di città intesa come
rappresentazione fisica di una memoria collettiva, ma di
azioni intenzionali fondate sul rispetto e sulla continuità di
intenzionalità precedenti. Edmund Bacon ha spiegato questo
principio riportando la storia di Piazza SS. Annunziata a
Firenze e denominandolo “principle of the second man”.8
nel tessuto territoriale dove troppe sovrapposizioni hanno
operato una cancellazione definitiva ed irreparabile dello
spessore storico del territorio. Da queste considerazioni
discende un’idea di progetto urbano e di paesaggio come
un’arte della reminescenza piuttosto che dell’immaginazione
o della creazione, dove diventano significativi anche i più
La conformazione della piazza attuale, porticata su tre lati
e strutturata secondo una chiara geometria, risulta da una
serie di interventi successivi al progetto di Brunelleschi per
il porticato dell’Ospedale degli Innocenti. Il porticato venne
replicato dapprima sulla facciata della chiesa, con il progetto
di Michelozzo, ed in seguito sull’altro lato della piazza con il
disegno di Antonio Da Sangallo che ne riprese le forme. Il
risultato complessivo risulta estremamente unitario sebbene
costituitosi nell’arco di un secolo ad opera di tre grandissimi
protagonisti del Rinascimento fiorentino.
In questo filone si inseriscono tutti quei progetti che stabiliscono
con la morfologia esistente un rapporto di continuità ed in cui è
riconoscibile l’intenzione al riuso degli antichi segni geografici,
antropici e culturali che vengono assunti come elementi di
strutturazione e contestualizzazione del progetto. Negli
ultimi anni è riconoscibile un graduale tendenza al recupero
di questa modalità operativa dapprima nell’esperienza
progettuale di alcuni parchi realizzati, poi confluita anche in
alcune sperimentazioni di progettazione urbana. Il Parco di
Bercy (1987) di Bernard Huet a Parigi, discutibile forse sotto
gli aspetti realizzativi, rappresenta però la prima esperienza
figura 82 bis
Michel e Claire Corajoud
Parco di Sausset - Seine Saint Denis
1980-2000
figura 83
Alexandre Chemetoff
Plan guide per l’Ile de nantes - 2002
Pianta dei riferimenti rinvenuti nella
morfologia esistente.
Dettaglio
58
piccoli dettagli esistenti.10 Per captare le forze accumulate e
ricercare i punti di appoggio sui cui sviluppare il progetto “il
faut se donner les moyens de comprendre le territoire”11 ed in
III.1.2 La Mouvance. La dimensione temporale del
territorio
(nature intermediaire17e “strategie di adattamento”)
questo senso la descrizione del territorio attraverso il disegno
assume un ruolo fondamentale e mai in forma nostalgica o
storicistica (lettura in spessore, memoria stratificata, analyse
inventive12).
I riscontri operativi di questo approccio che derivano
dall’esperienza sul paesaggio si declinano secondo due
direzioni principali.
La prima elabora i materiali rinvenuti dall’analisi del sito
secondo una filosofia dell’”objet trouvé” derivata dalla
poetica del giardino neoclassico e li ricomprende in un nuovo
disegno unitario.13 I progetti territoriali e paesaggistici di
Il secondo gruppo di sperimentazioni rileva nel fattore tempo e
nelle dinamiche urbane un principio su cui fondare il progetto
urbanistico. Il discorso è sviluppato a partire da una critica
agli strumenti tradizionali ritenuti inadeguati ad accogliere,
all’interno di un disegno troppo rigido e definito, qualsiasi tipo
di interferenza o imprevisto. Il principale obbiettivo è, quindi,
quello di garantire una sufficiente flessibilità al progetto
urbanistico in modo che esso si possa dispiegare nel tempo
senza perdere la sua efficacia operativa e la sua coerenza
formale.
Adattabilità e flessibilità non vengono, quindi, intese nel senso
di indefinizione o astrazione: semmai il progetto è rivolto
più direttamente agli spazi pubblici e collettivi mentre viene
demandata la definizione architettonica al progetto edilizio ed
al mercato urbano.
In questo senso il progetto paesaggistico si configura
come una vera e propria pre-condizione per l’insediamento
dell’architettura. Gli spazi verdi e il materiale vegetale sono
utilizzati come strumento per “traghettare” il territorio da una
conformazione morfologica ad un’altra e per prefigurare assetti
urbani futuri. Lasciando aperti alcuni margini di imprevedibilità
l’idea di progetto si costituisce come strategia in divenire dove
il discorso sulla flessibilità è demandato ai tempi lunghi degli
impianti vegetazionali. Il tempo stesso costituisce il mezzo
per di radicare e sedimentare lo spazio pianificato/progettato
nella conformazione fisica del presente.
Una prima declinazione di questo approccio legato all’idea
delle dinamiche naturali ed al libero sviluppo della natura
si può ricollegare alla tradizione ecologista francese ed
Georges Descombes si configurano, in questo senso, come
dei meccanismi di lettura della dimensione temporale dei
luoghi oltre a rappresentare l’applicazione rigorosa di una
concezione ecologica della città.14 La rinaturalizzazione della
Piana dell’Aire (2000), ed il Parco di Lancy sono i progetti
intorno a cui è stata codificata una vera e propria strategia
progettuale fondata sul riconoscimento e la valorizzazione dei
materiali rinvenuti.
Una seconda declinazione del medesimo principio si fonda
su vere e proprie operazioni di “riciclaggio” dello spazio di
risulta, un riuso di frammenti, di tracce, di interstizi secondo il
principio di strutturazione relazionale dello spazio aperto.
In questo senso lavora l’urbanista/paesaggista Michel
Corajoud partendo dalla stessa idea di progetto come
“outil de connaisance”15. La conoscenza dei luoghi è diretta
esplicitamente alla ricerca del “rimosso”,16 dello spazio
interstiziale e di risulta dei territori suburbani delle città. Su
di esso è possibile rifondare un discorso di significato e di
fruibilità dei luoghi. Il materiale dei frammenti, delle tracce e
degli interstizi acquisisce un significato importante nella sua
potenzialità di spazio di connessione tra tessuti insediativi e
costituisce una strategia che ben si applica alla conformazione
della città dispersa. I progetti per i parchi di Sausset (19822000) e Gerland (2001) investono il problema del riuso dello
spazio suburbano secondo una concezione di paesaggio
come luogo delle interrelazioni.
Nel Parco de Sausset, in particolare, il paesaggio riconcilia
la topografia originaria del sito con le grandi infrastrutture
viarie che l’attraversano ed la sintassi del progetto è ricavata
dal dialogo tra le logiche della parcellizzazione agricola e le
logiche urbane della trama viaria.
figura 84
Michel Desvigne e François Grether
“Parc Provisoire” a Lione - 2004
figura 84 bis
Michel Desvigne e Christine Dalkony
Sistemazione degli spazi esterni
dell’industria Thompson a Guyancourt
1988/1992
Fasi di sviluppo
59
recentemente nell’esperienza del botanico Gilles Clement ed
al suo “jardin en movement”.18
figura 86
Parco Nord, Milano - 1970 / in corso
Ma è nella storia di molte città europee che si ritrova
un’applicazione operativa importante di questo presupposto.
I giardini, i parchi ed i tracciati paesaggistici hanno spesso
preceduto la costruzione della città costituendo un primo
stadio di “addomesticazione” del territorio, una “terza natura”19
di transizione verso assetti urbani definitivi. È nella tradizione
settecentesca che si può far risalire l’origine di questa pratica
di costruzione della città. Tra gli esempi più famosi si può
riportare il progetto per il tracciato degli Champs Elysèes e
di Cours de la Reine a Parigi nel Piano Jouvin de Rochefort
del 1675.20 Specialmente in Francia questa strategia è stata
recuperata nella costruzione della città contemporanea a
partire dagli anni ’60 con strategie dette di “préverdissement”.
Negli ultimi 10 anni l’idea è stata riproposta attraverso alcuni
progetti con il concetto di “prépaysagement”21.
Il paesaggista/urbanista Michel Desvigne è la figura che più
chiaramente ha contribuito alla definizione di questo tema nel
contesto della città contemporanea. Il paesaggio è identificato,
nei suoi progetti, come un’occasione di riconnettere gli elementi
sparsi dei territori suburbani nell’ambito di una riflessione
per una “estetica della trasformazione”. L’ambiente naturale
è individuato come mezzo vivente alla scala geografica in
grado di restituire ai luoghi delle qualità fisiche senza doverne
necessariamente prefigurare la forma esatta.
La strategia per una “nature intermediaire” è sviluppata
inizialmente da Desvigne nel progetto per le sistemazioni
degli spazi esterni dell’industria Thompson a Guyancourt22,
inizialmente essenze a vita breve con la capacità di bonificare
il terreno. Le piantumazioni successive consentono all’area
di acquisire l’aspetto e la consistenza di un parco fittamente
popolato di essenze pregiate alla fine della vita dell’impianto
industriale.
Desvigne sviluppa ulteriormente questa idea mettendola più
chiaramente in relazione con l’ambito urbano nel progetto per
il Greenwich Millenium Park a Londra (2000). La proposta
consiste in una “strategia di occupazione verde” che attraverso
la costruzione di una foresta prefigura gli spazi di un nuovo
quartiere ancora da costruire. Lo spazio urbano verrà
”scolpito” nella massa vegetale in funzione delle necessità
non ancora prevedibili che si presenteranno in futuro.
La maturità dell’idea è rappresentata dal progetto per
l’area della confluenza di Saône e Rodano a Lione (1998).
Desvigne individua un principio di “occupazione evolutiva”
attraverso l’introduzione di una serie di “parcs provisoires”23.
progettata da Renzo Piano (1988-1992). Qui il progetto si
interroga sulla gestione di un’area per un periodo di tempo
ben più lungo di quello previsto per la durata dell’impianto
industriale (circa 30 anni). Il progetto della vegetazione
è strutturato secondo una serie di fasi che prevedono
figura 85
Michel Desvigne e Christine Dalkony
Progetto per lo sviluppo della Penisola
di Greenwich a Londra - 1997/2000
Le aree oggetto delle demolizioni delle installazioni industriali
obsolete vengono via via occupate da spazi pubblici,
appunto “provvisori”, secondo una strategia di infiltrazione
progressiva degli spazi verdi nel tessuto insediativo esistente
e di previsione. Il “paesaggio transitorio” serve a valorizzare
immediatamente un sito in trasformazione senza dover
attendere la definizione e la realizzazione di tutti gli elementi
60
di progetto lasciando un ampio margine di imprevedibilità
all’assetto finale. Il progetto organizza lo sviluppo futuro
degli isolati, prepara la trasformazione delle infrastrutture,
gerarchizza le vie e gli spazi pubblici sulla base di un’idea di
città in forte relazione con il suolo e con gli elementi naturali.
Un altro esempio importante di questa strategia è costituito
dal progetto di Dominique Perrault per il Parco Unimetal a
Caen (1995-1997)24. La necessità di bonificare i terreni di una
pittori, fotografi, scrittori, dall’altra. In questo senso il concetto
di artialisation si costituisce come “la condizione di possibilità
di tutte le pratiche e di tutte le percezioni paesaggistiche”. 27
Più in generale questa strategia identifica una nuova
generazione di progetti di recupero urbano e di riqualificazione
ambientale su scala territoriale di aree derelitte della
produzione industriale attraverso la minimizzazione degli
interventi e la massimalizzazione del trattamento discorsivo
e simbolico. La museificazione del territorio naturale, la tutela
e la rinaturalizzazione sono combinate in sinergia per la
costruzione di un nuovo paesaggio in cui è colmata la distanza
tra espressione artistica e tecnica ecologica.
Il progetto dell’Emscher Park nella Ruhr e quello della
Voie Suisse costituiscono due casi importanti che hanno
fondato la pratica operativa sul tentativo di limitare al minimo
l’intervento strutturale ed esaltare il contenuto simbolico ed
estetico dei luoghi e dei paesaggi urbani. L’operazione di
risemantizzazione in chiave estetica delle aree dimesse
della regione tedesca della Ruhr costituisce l’esempio forse
più compiuto di questa strategia. Fin dai primi anni del parco
dell’IBA Emscher venne avviato un percorso di “educazione
allo sguardo”28 per far percepire ed apprezzare al pubblico il
acciaieria dimessa richiede la costruzione di un grande parco
di circa 700 ettari strutturato secondo una griglia geometrica
e sovrapposta al disegno della struttura industriale. La trama
del parco organizza il disegno del materiale vegetazionale
e costituisce una sorta di “prepaesaggio” che prefigura la
struttura di una possibile espansione futura della città.
III.1.3 Artialisation. Percezione, significati, pratiche,
abitanti.
(Inflexus e Intervention minimale25)
La terza linea progettuale si fonda sul concetto di reversibilità
delle operazioni di trasformazione del territorio e su di un’idea
di progetto che si occupa di restituire la fruizione e recuperare
a nuovi usi lo spazio urbano attraverso operazioni semantiche
piuttosto che con modifiche strutturali. I mezzi utilizzati sono
minimi ma accuratamente calibrati per dare un impulso alla
riqualificazione/trasformazione dei luoghi piuttosto che a
realizzarla materialmente. Il non aggiungere nulla o il togliere
sono utilizzate come tecniche progettuali per cui il percorso
del progetto è paragonabile ad una cura “omeopatica”
o di “agopuntura”.26 La ricerca di un nuovo significato e di
nuove identità dei luoghi si muove a partire da una serie di
spostamenti minimi in cui lo sguardo del fruitore assume un
ruolo fondamentale per recuperare la natura inconfondibile
ed ineffabile di un luogo. Questo coinvolgimento implicito del
fruitore/spettatore costituisce un legame con il mondo dell’ arte
e specialmente con quello della Land Art ed è interessante
notare che, nella pratica concreta del progetto, si combina
con alcuni presupposti derivati dall’ecologia del paesaggio.
Nel concetto di artialisation definito da Alain Roger troviamo
le due modalità secondo cui la natura ed il paesaggio possono
essere convertiti in oggetto estetico. Il processo in situ riguarda
il lavoro diretto e sostanziale sui luoghi, dal vivo, dove l’arte
interviene direttamente sulla natura; La seconda in visu
implica una procedura più economica ma molto più sofisticata
ed avviene attraverso lo sguardo e la percezione. Sono i due
mondi dell’arte di giardinieri e paesaggisti, da una parte, e
paesaggio dell’”industrienatur”. Il mezzo scelto per esaltare
la dimensione estetica del paesaggio postindustriale fu la
produzione di immagini spettacolari mediate attraverso l’arte
contemporanea ed una politica di marketing territoriale per
sviluppare una sensibilità capace di riconoscere il valore e
la potenzialità dell’esistente paesaggio industriale. Quella
strategia venne inizialmente molto criticata perché uno
sguardo estetico non sempre è anche critico e si presta a
deviare l’attenzione dalla storia reale di quei luoghi e dei
suoi abitanti. Resta però il fatto che attraverso l’operazione
dell’industrienatur la Ruhr, una delle regioni tedesche più
gravemente danneggiate dallo sviluppo industriale, sia
figura 87
Karres en Brands
Hoge Weide Park - Utrecht
2001
figura 88
Richard Haag
Gas works park - Seattle1978
61
riuscita ad avviare una politica di riqualificazione e bonifica
del territorio che ha dato fino ad oggi ottimi risultati.
figura 90
Manuel de Solà Morales
Progetto per lo sbocco a mare del
“Parque da cidade” a Porto
2000-2001
III.1.4 Sistema ambientale e urban design
(ecologia come strategia urbana)
Si può infine individuare un quarto filone operativo che
riguarda quelle sperimentazioni in cui il discorso ambientale
ed il progetto urbanistico sono coniugati in una strategia
urbana complessiva. Si tratta di casi in cui il progetto urbano
(anche inteso come progetto dello spazio urbano) si fonda
sul riconoscimento dei grandi sistemi ambientali a scala
geografica. La fruizione di questi stessi sistemi ambientali è
riconosciuta come risorsa aggiuntiva per una politica urbana
sviluppata secondo una logica di integrazione tra spazio
pubblico, rete dei trasporti e attrezzature collettive.
Il miglioramento ambientale della città è ricercato sia
attraverso l’implementazione di una rete di spazi verdi e
collettivi sulla scala urbana attraverso la rivalorizzazione
delle componenti “naturali” del territorio (bacini fluviali e
marini, foreste, aree agricole) sia attraverso il contenimento
del traffico e dell’inquinamento atmosferico. In questo
senso la complementarietà e l’integrazione tra lo spazio
fruibile pedonale e ciclabile e la rete di trasporto pubblico
(metropolitana, bus, tranvia) assume un ruolo strategico per
costruire un’alternativa al sistema automobilistico privato.
Trattandosi di un discorso ambientale complessivo
l’estensione del piano è derivata direttamente dai sistemi
figura 89
Michel Desvigne e Christine Dalkony
Piano del paesaggio e viabilità Montpellier 1991
geografici29 e il piano generale si viene a configurare come un
“quadro di unione” di una serie di interventi diffusi sul territorio.
L’implementazione del piano territoriale è realizzata secondo
due possibili modalità: o attraverso un sistema capillare di
interventi di dimensioni contenute e controllabili (p.e. Porto)
o attraverso la suddivisione del progetto urbano in stralci da
realizzarsi per fasi (p.e. Copenhagen). In entrambi i casi fermo
restando l’implementazione delle reti di trasporto pubblico e la
capacità di controllare significativamente il passaggio di scala
dal generale al particolare. L’importanza di questa strategia
risiede nella capacità di controllare il processo progettuale
alle diverse scale di definizione. La dilatazione del punto di
vista agli scenari ambientali della città consente di coniugare/
controllare/ gli aspetti geografici e territoriali senza perdere di
vista gli aspetti fisici e materiali dei luoghi abitati.
Alcune città europee, specialmente francesi e tedesche,
hanno adottato questa strategia, tra queste Montpellier, Lione,
Nantes, Berlino, Colonia, Porto, Copenhagen.
Un esempio interessante è costituito dall’esempio della
costruzione dei progetti della “Grande Porto” in Portogallo:
un grande sistema di spazi pubblici di qualità ha preso forma
prefigurando un modello a grande scala per la riqualificazione
delle aree periferiche, dismesse o degradate dei contesti litorali
dove l’ambiente e il paesaggio guidano e allineano in coerenza
i progetti architettonici con la pianificazione urbanistica.
62
Nell’ambito degli innumerevoli progetti per la “Grande
Porto” è particolarmente significativo l’approccio progettuale
di Manuel Solà morales che riconosce esplicitamente il
contributo derivato dal substrato paesaggistico nel ristabilire
un principio insediativo fondato sulla geografia esistente: “[…]
è stata la convinzione che la geografia urbana è la principale
ragione per configurare uno spazio libero e che in questo
luogo coesistono circostanze topografiche e paesaggistiche
specifiche che hanno orientato metodologicamente lo sviluppo
dell’idea e la definizione successiva dei suoi elementi”.30
NOTE
1
ISOLA AIMARO [a cura di] (2002), Infra - forme insediative e infrastrutture, Manuale, Marsilio, Venezia
GREGOTTI VITTORIO (1990), Cinque dialoghi necessari, Electa, Milano, p. 21: “[…] raccontare le condizioni in cui un
progetto specifico agisce: condizioni di programma, di area, di tempi, di aspettative.”
3
Per la definizione di “sguardo esogeno/endogeno” vedi P. Donadieu, “Regard exogène/endogène”, in: BERQUE
AUGUSTIN [e altri] (1999), La mouvance: du jardin au territoire: cinquante mots pour le paysage, Ed. de la Villette,
Paris, p.83
4
Sebastien Marot riconosce cinque “riflessi” possibili derivati dal progetto di paesaggio: l’analisi inventiva, l’anamnesi,
la strategia processuale, la lettura in spessore, il pensiero di relazione. Cfr.: MAROT SEBASTIEN (1995), L’alternative du
paysage, in: Le Visiteur 1 – ville, territoire, paysage, architecture, Société des Architectes, Paris, p.71
5
Il termine è derivato dal portoghese “racionalidade topografica” ed utilizzato da Fernando Távora. Cfr. TÁVORA
FERNANDO (1996), Da organisação do espaço, FAUP edições, Porto, p.27
6
Cfr. CORAJOUD MICHEL (2004), «L’Horizon», Faces 05, pp.
7
L’idea che il progettista (urbanista, architetto, paesaggista) non è mai l’unico autore ma semmai uno dei numerosi
fattori che entrano in gioco nel corso delle cose è un’idea non infrequente. Si veda la definizione di Gianfranco
Caniggia secondo il quale “[…] l’atto del progettare debba attuarsi in un continuo confronto tra quello che già c’è e
quello che facciamo, quindi in una continua lettura se vogliamo produrre oggetti edilizi attuati in modo non velleitario
né individualistico”. Cfr. CANIGGIA GIANFRANCO, MAFFEI (1979), Lettura dell’edilizia di base, Marsilio, Venezia, p. 12
8
BACON EDMUND N. (1976), Design of cities, Penguin books, New York (Ed. originale 1967), p. 109
9
Si veda in questo senso CORBOZ ANDRÈ (1998), “Il territorio come palinsesto”, in: “Ordine sparso: saggi sull’arte, il
metodo, la città e il territorio”, Franco Angeli, Milano, p. 190: “Il territorio, sovraccarico com’è di tracce e di letture
passate assomiglia piuttosto a un palinsesto. Per insediarvi nuove strutture, per sfruttare più razionalmente certe
terre, è spesso indispensabile modificarne la sostanza in modo irreversibile. Ma il territorio non è un contenitore a
perdere né un prodotto di consumo che si posa sostituire. Ciascun territorio è unico, per cui è necessario riciclare,
grattare una volta di più (ma possibilmente con la massima cura) il vecchio testo che gli uomini hanno inscritto
sull’insostituibile materiale del suolo, per deporvene uno nuovo, che risponda alle esigenze di oggi, prima di essere
a sua volta abrogato. Alcune regioni, trattate troppo brutalmente e in modo improprio, presentano anche dei buchi,
come una pergamena troppo raschiata: nel linguaggio del territorio, questi buchi si chiamano deserti. […] è evidente
che il fondamento di ogni pianificazione non può essere più la città, ma questo fondo territoriale al quale la prima
deve essere suboordinata.”
10
“L’arte del paesaggista consiste dunque, a partire dall’osservazione di un dato paesaggio, nel saper dedurne le
leggi di formazione, per assumerle poi a strumenti progettuali. Il progetto di paesaggio non si definisce come arte
dell’immaginazione, della creazione, ma della reminescenza.”
Manuel Delluc (1996), “Michel Desvigne e Christine Dalkony”, in: MAROT SEBASTIEN [a cura di] (1996), Desvigne &
Dalkony, Motta Architettura, Milano, p.11
11
LEVEILLÈ ALAIN (2000), «Formation/transformation des tissus urbains: l’epaisseur historique du territoire», in:
Nouvelles n°26, p.132
12
LASSUS BERNARD (1999), in: BERQUE AUGUSTIN [e altri], La mouvance: du jardin au territoire: cinquante mots pour le
paysage, Ed. de la Villette, Paris, p. 44
13
Un bellissimo esempio di questa pratica è costituito dal parco pubblico della Quinta da Conceição a Leça da
Palmeira in Portogallo, realizzato nel 1954 da Fernando Távora. I frammenti di un’antico convento sono stati qui
rielaborati in modo del tutto innovativo divenendo il motivo di aggregazione dei diversi ambiti del parco. Curiosamente
questa stessa modalità di intervento si ritrova alla scala del progetto urbano nell’insediamento del quartiere della
Malagueira di Alvaro Siza ad Evora.
14
La lettura delle tracce e dei frammenti come metodo di progetto non è un argomentazione operativa nuova. Tra
gli altri si vedano l’ articolo di Carlo Olmo sul lavoro di Maurice Halbwachs dove vengono analizzate le possibili
implicazioni che ne possono derivare secondo un’interpretazione storica e filologica in: OLMO CARLO, “Dalla Tassonomia
alla traccia”, in: Casabella n°575/576 1991, Il disegno del paesaggio italiano, p.22-24: “L’interesse per la traccia che
un uomo, un fiume, una produzione, una coltivazione hanno lasciato, è riassorbito dagli apparati classificatori oggi in
moto e dagli interessi, non tutti conoscitivi, che li muovono. La traccia si frammenta, entra a far parte di saperi (e di
linguaggi) che negano l’essere stesso ambiguo di quell’indizio: la spiegazione appartiene alla serie, non al singolo
indizio ritrovato. Il passaggio di statuto scientifico – da indizio a dato – non fa che concludere un itinerario già avviato
da Halbwachs (e da Pirenne), mutandone profondamente il possibile significato. L’informazione frammentata perde
il suo possibile legame con il tipo, per acquisire quello con la serie. E così il trapasso tra due culture essenzialmente
“quantitative” può segnare il passaggio da una cultura delle analogie (e dai suoi, molti esiti interpretativi, ma anche
progettuali) all’annullamento della misura del tempo e dell’ambiguità del senso che una traccia, un indizio reca con sé
(e che forse unica può fornire l’occasione per un nuovo progetto.”
15
“Ce n’est donc pas par idèologie que nous nous tenons èloignès de la pensèe actuelle qui fait l’apologie de la
juxtapositions, du chaos. Nous sommes tenus par nos expèriences à considèrer l’espace du paysage ou de la ville
comme un vèritable milieu dont les èlements, existants ou rapportes, tissent une multlipicitè d’èchanges. Un tel projet
vise, èvidemment, à l’amèlioration et à la transformation de lieux. Mais il est, avant tout, une mèthode permettant
d’interroger l’histoire et la gèographie. Il est un outil de connaisance.” In: CORAJOUD MICHEL (2003), «Geometriè e
tracès», in: Michel Corajoud et cinq grandes figures de l’urbanisme, Ed. de la Villette Paris, p. 25
16
L’accettazione della condizione esistente di un dato contesto porta inevitabilmente a dover affrontare situazionii
impreviste ed imprevedibili, rinunciando di fatto al controllo totale del progetto ed aprendolo ad un processo non
totalmente “oggettivo”. Cfr. CORBOZ ANDRÈ (2004), “Circonstances exténuantes”, in: PERRIN CARMEN, Contextes, Infolio
2
Ugualmente significativa l’esperienza in atto della città di
Copenhagen con il grande progetto per l’area di Ørestadt,
inserita in un più ampio programma di trasformazione che
coinvolge le due coste di Danimarca e Svezia intorno al nuovo
ponte Øresund.
Sebbene questa operazione sia stata condotta con trasparenza
e coerenza in continuità con le politiche urbane esistenti
ed attraverso un confronto continuo con le associazioni di
ambientalisti e di abitanti, è contestabile nel suo complesso
per le quantità in gioco e per la portata delle modificazioni
previste.
La sua importanza risiede, tuttavia, nella capacità di integrare
coerentemente in un disegno unitario l’insediamento dei nuovi
quartieri con le reti infrastrutturali di trasporto pubblico e con
il sistema ambientale tutelato dei Polder. Il limite tra il sistema
naturale geografico e gli insediamenti urbani è stato definito
come un “ecotone”31 urbano e, come tale, si costituisce come
fortissimo elemento di qualità urbana.
figura 91
I progetti per il margine fluviale ed
atlantico a Porto, Portogallo
1999-2000
63
ed. Geneve, p. 72.
17
DESVIGNE MICHEL (2001), «La fabrication pragmatique du territoire», in: MASBOUNGI ARIELLA [a cura di], Penser la ville
par le paysage, Ed. de la Villette Paris, p. 53.
18
Si vedano l’articolo: BERQUE AUGUSTIN [e altri], “Mouvance: un lessico per il paesaggio. Iil contributo francese”,
in: I nuovi paesaggi, Lotus Navigator 52/2002, Editoriale Lotus, Milano, p. 81; CLEMENT GILLES (1991), Le jardin en
Mouvement, Editions Pandora, Paris; CLEMENT GILLES (1997), Traité succinct de l’art involontarie, Ed. Sens et Tonka,
Paris.
19
DIXON HUNT JOHN (1993), “Nel concetto delle tre nature”, in: Casabella 597/598, Il disegno degli spazi aperti, pp.98101
20
Si veda, per la descrizione di questo progetto, il capitolo I.2 di questa ricerca.
21
Per il significato dei due termini, intraducibili se non letteralmente con un “pre-inverdimento” o “pre-paesaggiamento”,
si veda il cap. I.2 di questa ricerca e il numero monografico di Lotus Navigator, Fare l’ambiente 5/2002.
22
A proposito di questo progetto gli autori spiegano che: “Gli impianti industriali hanno vita limitata e stabilita in
partenza, e la loro durata massima non è mai superiore ad alcune decine d’anni, vale a dire al periodo necessario alla
crescita di un giardino. La vegetazione del nostro paesaggio sarà dunque adulta quando ormai l’edificio non esisterà
più. A somiglianza di un territorio agricolo con i suoi cicli ben precisi che concorrono a creare un’estetica, abbiamo
immaginato il paesaggio come una successione di stati identificabili, una serie di tappe. Non appena entrati in funzione,
i fossi di drenaggio vengono fiancheggiati da filari di salici destinati a stabilizzare il terreno e a favorire in parte
l’evaporazione dell’acqua. […] Queste nuove specie si sostituiscono progressivamente alle piantumazioni povere,
fino a che di queste ultime non resteranno che le tracce: e quando la fabbrica verrà smontata il sito avrà l’aspetto di
un parco fittamente popolato di essenze pregiate.” DESVIGNE MICHEL e DALNOKY CHRISTINE (1993), “Sistemazione degli
spazi esterni dell’industria Thomson a Guyancourt”, in: Casabella 597/598, Il disegno degli spazi aperti, pp.110-111
23
DESVIGNE MICHEL (2001), cit. p. 57 : «Parcs provisoire accompagnant les mutations d’un territoire».
24
PERRAULT DOMINIQUE, «Prépaysagement», in: Lotus Navigator 5/2002, Fare l’ambiente, p.109-112
25
LASSUS BERNARD (1999), cit. p. 44 e p. 70
Il concetto di strategia di riqualificazione come “agopuntura urbana” è definito chiaramente da Ariella Masboungi
nell’intervista: “Il progetto urbano alla francese”. Cfr. ALCOZER FEDERICA [a cura di] (2004), +Città, Catalogo della mostra,
Urbanregeneration, Genova, pp. 67-71
27
ROGER ALAIN, «Artialisation», in :BERQUE AUGUSTIN [e altri] (1999), La mouvance: du jardin au territoire: cinquante
mots pour le paysage, Ed. de la Villette, Paris, pp.45-46
28
MIGLIACCIO ANNA (2004), Nuovi paesaggi. La “natura industriale” dell’Emscher Landschaftspark, intervento al
convegno: “Mutamento del territorio e innovazione negli strumenti urbanistici”
VIII Conferenza della Società
Italiana degli Urbanisti, Firenze gennaio 2004, p.6
29
È possibile portare come esempio, al di là di una considerazione sui contenuti, il Piano dell’Autorità di Bacino
del fiume Arno che ben oltre i confini politico amministrativi, si sviluppa su tre regioni italiane facendo riferimento
esclusivamente ad un ordine geografico e di sistemi ambientali.
30
SOLÀ MORALES MANUEL, in: AA.VV., Formas Urbanas, Porto, 2002
31
Un ecotone è definito come un’area di transizione tra due comunità ecologiche adiacenti (ecosistemi). La parola
è stata coniata da una combinazione di eco(logia) e -tone, dal greco tonos (tensione). Definizione tratta da http://
en.wikipedia.org/wiki/Ecotone.
26
64
III.2 LA VERIFICA DELLA TEORIA NELLE OPERAZIONI
CONCRETE DEL PROGETTO
La selezione dei progetti ed il metodo di lettura
La verifica degli assunti teorici nella lettura dei progetti ha lo
scopo di individuare quali aspetti della pratica progettuale
siano stati derivati più o meno indirettamente dal paesaggio e
dalla sua tradizione disciplinare.
L’obbiettivo che si pone la ricerca è quello di raccogliere un
certo numero di casi significativi per costruire un repertorio
di sperimentazioni piuttosto che tentare di codificare una
metodologia progettuale. Il motivo di questa scelta è legato
essenzialmente a due ragioni: il primo riguarda l’eloquenza dei
progetti nel rappresentare le proprie scelte operative che “non
si può tradurre in linguaggi che non sia quello, senza parole,
dell’architettura”;1 il secondo discende dal riconoscimento della
specificità e complessità dei luoghi della città contemporanea
per la quale è impossibile proporre modelli, codificare forme
e strategie astratte. Ogni caso è legato ad un luogo preciso e
deve essere valutato in relazione alla situazione contingente
nella sua complessità e spessore.
In questo senso si può dire che la scelta dei progetti, risultata
da un lavoro di analisi e cernita di molti casi, costituisce già,
di per sé, il punto di arrivo e l’esito della ricerca.2 L’obbiettivo
di realizzazione che hanno la capacità di fornire riscontri
operativi immediati. I tempi lunghi dell’urbanistica e, quindi,
la difficoltà a reperire materiali allo stesso tempo innovativi e
realizzati ha portato alla selezione di progetti ideati nell’arco
degli ultimi dieci-quindici anni.
Sono stati presi in considerazione casi di città “ordinaria”,
tralasciando i grandi eventi urbani e curando particolarmente
le operazioni di rivalorizzazione della periferia suburbana
in grado di far fronte alla dimensione territoriale della città
contemporanea.
Infine, sono stati privilegiati quei progetti che presentano
un’etica diversa, “disinteressata quindi estetica”4, che
si esprime attraverso la capacità di riportare il discorso
ambientale ed ecologico in un ambito disciplinare pertinente
occupandosi di questioni di forma, figurabilità e significato
dirigendole verso l’obbiettivo della sostenibilità e della
condivisione del progetto.
Le schede dei progetti, infine, si costituiscono come un metodo
di lettura orientato, e non un esercizio fine a se stesso. Ogni
caso concreto rappresenta uno dei punti di vista possibili sul
progetto che va a costituire, insieme agli altri, un bagaglio di
dispositivi e strumenti operativi a cui poter attingere.
iniziale di costituire un bagaglio o una “cassetta degli attrezzi”
ideale per il progetto a cui poter attingere si materializza
e costruisce attraverso un campione di “case studies”
significativo non tanto per la quantità ma per la densità delle
tematiche proposte. Sono stati presi in considerazione quei
progetti che per la loro chiarezza argomentativa nell’affrontare
uno o più aspetti teorici posseggono un valore esemplificativo
e didascalico.
L’insieme dei progetti individua una “traccia di cose a cui
pensare e di cui parlare”3 e prefigura i temi possibili per
un’applicazione progettuale a cavallo tra città e campagna.
Assumendo come elemento costitutivo l’esistenza di una
pluralità di percorsi possibili attraverso una molteplicità di
materiali e prodotti la ricerca suggerisce di procedere per
comparazione, ricavare spunti, indicare alcune ulteriori
direzioni di indagine.
La scelta di ogni progetto oltre ad essere funzionale alla
spiegazione di una modalità del fare specifica, segue alcuni
principi generali.
La centralità di un discorso basato sul rapporto con l’esperienza
ha indirizzato la scelta verso i progetti realizzati od in corso
NOTE
1
Isola Aimaro, “Pensare il limite, abitare il limite” in: GIANMARCO CARLO, ISOLA
AIMARO (1993), Disegnare le periferie. Il progetto del limite, La Nuova Italia
Scientifica, Roma, p.25.
2
Si veda in questo senso la definizione di “manuale di urbanistica” nel suo
doppio aspetto di componente di repertorio e componente metodologica. Cfr:
GABELLINI PATRIZIA (2004), Tecniche urbanistiche, Carocci, Roma, p 35.
3
Gianmarco Carlo, “Aprire itinerari nel labirinto urbano” in: GIANMARCO CARLO,
ISOLA AIMARO (1993), cit. p.15.
4
PASOLINI PIER PAOLO (1981), Il caos, Editori riuniti, Roma, (ed. originale
1969), p. 161
65
INDICE TEMATICO DEI PROGETTI
Site specific planning. Sensibilità topologica e razionalità topografica
La forma del territorio: vuoto, geometria, disordine
•
Parco di Sausset - M. Corajoud, 1982/2000
•
Parco François Mitterand, Issoudun - M. Desvigne, C. Dalnoky
•
Parco di Gerland, Lione - M. Corajoud, 2001/2003
•
Progetto per Melun-Sènart - R. Koolhaas, 1987
•
Quartiere di edilizia sociale della Malagueira, Evora - A. Siza, 1977/1990
Progettare con la natura: il determinismo fisiografico
•
Kirchberg Luxembourg - P. Latz
Il paesaggio come stratificazione significativa
•
Rinaturalizzazione del canale dell’Aire, Ginevra - G. Descombes, 2000 / in
corso
Artialisation. Percezione, significati, pratiche, abitanti.
A sedimentation of the mind
•
Shifting sites, R. Serra,
•
A non site, Franklin, New Jersey - R. Smithson, summer 1968
•
Voie suisse - G. Descombes, 1991
Il paesaggio come processo di rinaturalizzazione
•
Gas works park, Seattle - R. Haag, 1978
•
Duisbourg Nord, Emscher Park - P.Latz, 1990/99
L’invenzione di nuove geografie
•
Le Parc Jean Verlhac, Villeneuve de Grenoble - M. Corajoud, 1974
•
Piano per il recupero del quartiere Marzhan, Berlino est - 1991 / in corso
Il paesaggio come regola morfologica
•
Parco di Bercy, Parigi - B. Huet, 1987
•
Piano guida per l’île de Nantes - A. Chemetoff, 1999 / in corso
La Mouvance. La dimensione temporale del territorio
Preverdissement
•
Parco di Versailles, Parigi - 1662-1693
•
New Town di Milton Keynes - 1970
•
ZAD di Borde-basse a Castres - Institut pour le Développement Forestier,
1985
•
Greenwich Millenium Park, Londra - M. Desvigne, 2000
•
Area Unimetal, Caen - D. Perrault, 1995/97
Sistema ambientale e urban design
Ecologia urbana
•
Progetto per il margine fluviale ed atlantico a Porto - 1999/2000
•
Ørestadt, Copenhagen - 1995 / in corso
•
Piano del paesaggio e della viabilità, Montpellier - M. Desvigne, C. Dalnoky,
1991
Strategie di adattamento e progetto “aperto”
•
Piano per Lyon Confluence - F. Grether, M. Desvigne, 1998 / incorso
•
Sistemazioni esterne delle industrie Thompson, Guyancourt - M. Desvigne,
C. Dalnoky, 1988/1992
•
Il Parco Nord a Milano - F. Borella, A. Kippar e altri, 1975/2006
•
Progetto di recupero di Grenoble sud - Y. Lyon, 2003 / in corso
66
PROGETTI E SPERIMENTAZIONI
67
PROGETTI E
SPERIMENTAZIONI
IL PAESAGGIO COME RINATURALIZZAZIONE
1
Duisbourg Nord, Emscher Park
località
Duisbourg-Nord
comune
Duisbourg, Germania
committente
Iba Emscher Park
progettisti
Peter Latz und partners
area intervento
230 ha
progetto
1990- 1999
tipo di intervento
riconversione della fonderia Thyssen Meiderich
bibliografia
Belfiore Manuela (2005), Il verde e la città. Idee e progetti dal Settecento
ad oggi, Gangemi, Roma, p.184
Migliaccio Anna (2004), Nuovi paesaggi. La “natura industriale”
dell’Emscher Landschaftspark, Intervento al convegno: “Mutamento
del territorio e innovazione negli strumenti urbanistici”, VIII Conferenza
della Società Italiana degli Urbanisti - Firenze, gennaio 2004
Duisburg nord Park, Fare l’ambiente, Lotus Navigator 5/2002, pp. 101103
siti web
http://www.latzundpartner.de
68
pagina precedente:
figura 92
Planimetria dell’intervento sugli edifici
figura 93
Planimetria generale del complesso
industriale
figura 94
La Piazza Metallica al centro degli
altiforni
figura 95
La sistemazione delle rive dell’Emscher
DUISBOURG NORD
Il paesaggio come rinaturalizzazione
In seguito ai processi di deindustrializzazione degli ultimi
25 anni la regione tedesca della Ruhr è andata incontro
ad una forte crisi economica. L’abbandono dei terreni
inutilizzabili per altri scopi a causa del forte inquinamento
ambientale ha interessato centinaia di ettari di aree
industriali contaminate dai residui delle lavorazioni.
L’Esposizione Internazionale IBA Emscher Park, a
partire dall’inizio degli anni ‘90, ha avuto come obbiettivo
l’implementazione di progetti per la riconversione, la
rigenerazione e la bonifica della valle del fiume Emscher
e la risignificazione del paesaggio circostante, forse una
delle zone più gravemente compromessa dall’intenso uso
industriale.
La filosofia su cui sono stati realizzati in 10 anni
complessivamente circa 100 progetti, si fonda su due
principi generali. Il primo riguarda la capacità di adattamento
e di autorigenerazione della natura che ha avuto esiti
nella bonifica e nella rinaturalizzazione di gran parte delle
aree ex industriali e che ha portato a tutelare lo sviluppo
spontaneo della vegetazione nelle aree abbandonate. Il
secondo contempla la possibilità di una trasformazione
degli usi e dei significati dei luoghi dismessi a partire dal
mantenimento delle strutture fisiche esistenti.
Il progetto di Peter Latz a Duisburg-nord, relativo alla
riconversione della ex fonderia Thyssen Meiderich in
un parco pubblico di nuova concezione, rappresenta
forse il caso più significativo e chiaro di tutta l’operazione
dell’Emscher. La costruzione del parco è stata
fondata inequivocabilmente su di un’operazione di
monumentalizzazione e di risemantizzazione in chiave
estetica degli edifici e delle strutture industriali esistenti.
I diversi elementi che componevano l’impianto industriale
sono stati mantenuti nella loro struttura fisica e riprogettati
attraverso una serie di sistemazioni paesaggistiche e di
materiali verdi che non negano la loro forma originaria
anzi la valorizzano in un complesso sistema di nuovi spazi
secondo un criterio di “conservazione interpretativa”.
Il progetto integra nel disegno del parco gli elementi ed
i pattern che costituivano la struttura della precedente
zona industriale offrendo un nuovo uso, una diversa
interpretazione e una fruibilità prima inesistente. Il parco
si costituisce come nuovo tipo di “parco del popolo”
(volkspark) in cui lo spazio aperto si presta ad una grande
69
figura 96-97
I giardini chiusi tematici
figura 98-100
Le aree destinate al gioco ed i
percorsi sulle passerelle metalliche
figura 101-103
I percorsi aperti attraverso le vecchie
strutture della fabbrica
usi pubblici. La Piazza metallica realizzata al centro degli
altiforni rappresenta il simbolo della metamorfosi subita
dalle strutture industriali in spazio pubblico ed è destinata
alle feste ed al teatro all’aperto. Il suolo della piazza è stato
coperto con quarantanove piastre metalliche recuperate
dalla produzione della fonderia che, lasciate all’azione
dei processi naturali di erosione e di ossidazione, sono
programmaticamente ritornate a fare parte del ciclo
naturale.
In generale tutti gli spazi esistenti della fabbrica sono stati
riconvertiti in luoghi non convenzionali secondo una idea
di trasformazione fondata sul recupero e sulla valorizzare
di tutte le potenzialità presenti ed in cui domina il contrasto
tra rimanenze industriali da una parte ed il processo
di riconquista del territorio da parte della vegetazione
dall’altro.
Il disegno dello spazio aperto vegetale è caratterizzato
da una commistione di vegetazione spontanea e di
giardini progettati privilegiando, però, i processi naturali di
riappropriazione e colonizzazione degli spazi da parte di
essenze spontanee e di biotopi “urbani” specifici.
A fianco alla costruzione del parco è stata grande
importanza ai processi di bonifica del terreno e quelli
relativi al recupero e alla filtrazione delle acque con un
sistema di drenaggio e la sistemazione paesaggistica del
canale dell’Emscher.
SINTESI DEI DISPOSITIVI DEL PROGETTO
- Rinaturalizzazione delle aree industriali dimesse
attraverso la vegetazione spontanea ed i biotopi urbani
presenti;
- restituzione di fruizione ai luoghi una volta
inaccessibili;
- conservazione, recupero e valorizzazione di tutte le
potenzialità presenti costruite e naturali;
- risemantizzazione in chiave estetica degli edifici e
delle strutture industriali esistenti;
- valorizzazione della capacità di adattamento e di
autorigenerazione della natura;
- tutela dello sviluppo spontaneo della vegetazione
nelle aree abbandonate.
70
PROGETTI E
SPERIMENTAZIONI
IL PAESAGGIO COME FRAGILITÀ
2
Voie suisse
località
Cantone di Uri
comune
Morschach e Brunnen, Svizzera
committente
Confederazione Svizzera
progettisti
Georges Descombes, Carmen Perrin, Richard Long
area intervento
2 km di 35 di percorso pedonale intorno al lago di Uri
progetto
1991
tipo di intervento
Percorso alla scala territoriale
bibliografia
Descombes Georges, Shifting sites: the Swiss way,
Geneva, in: recovering landscapes, Essays in contemporary landscape architecture, A cura di James Corner,
Princeton Architectural Press, 1999 New York p.79
Descombes Georges, Voie suisse l’itinéraire genevois
- De Morschach à Brunnen.
siti web
71
pagina precedente
figura 104
I massi erratici messi in evidenza
accompagnano il percorso nel bosco.
figura 105
Lo schema del percorso della Voie
Suisse in uno schizzo di Georges
Descombes con l’indicazione dei
principali interventi: il belvedere, i
massi erratici, la scalinata, il recupero
del sistema dei muri e della vecchia
via ferrata.
VOIE SUISSE
Il progetto dell’assenza o il paesaggio come fragilità
La Voie Suisse è un cammino pedonale continuo intorno
a lago di Uri ed è stato concepito inizialmente come
contrappunto ecologico alle celebrazioni grandiose
previste per il 700esimo anniversario della Confederazione
Svizzera nel 1991. Il suo percorso si snoda per circa 35 km
con un dislivello nel percorso di circa 400 m. Il cammino
parte da Rutli, in Canton Uri dove la confederazione è
stata fondata nel 1291, e termina in Brunnen nel Cantone
di Schwyz. Ognuno dei 26 cantoni occupa simbolicamente
un tratto del cammino secondo l’ordine di ingresso nella
Confederazione e per una lunghezza proporzionale al
proprio peso demografico. Il risultato complessivo è un
percorso pedonale continuo lungo cui si snodano una
serie di installazioni artistiche e culturali. Descombes ha
realizzato insieme agli artisti Carmen Perrin e Richard
Long il tratto corrispondente al Cantone di Ginevra che
si sviluppa per circa due Km tra Morschach e Brunnen. Il
progetto si fonda su di una sola idea: non inserire niente
che non si trovi già lungo il percorso. Un vuoto semantico
costruito intenzionalmente deve lasciare a chi percorre
il sentiero la possibilità di un’interpretazione personale.
Gli interventi fisici consistono principalmente in azioni
di sottrazione piuttosto che di addizione con lo scopo
di chiarire il paesaggio, di svelarne il funzionamento, di
renderlo comprensibile. Descombes dice che per capire
un sistema è necessario prima di tutto indurre un’azione
di disturbo nella sua organizzazione. Non si tratta di
creare qui un sistema didascalico per trasmettere delle
nozioni quanto lasciare che siano le cose stesse lungo il
percorso, e non le istruzioni, ad attirare l’attenzione di chi
lo percorre.
Il percorso progettuale di Descombes si articola secondo
tutta una serie di collaborazioni con artisti, geografi,
scienziati e storici del paesaggio che hanno lo scopo
di costruire una miglior comprensione del luogo e di
trasmetterla attraverso il progetto. In sostanza il progetto si
fonda su tre concetti di base: 1. non aggiungere niente alla
situazione esistente, 2. amplificare alcune potenzialità del
sito, 3. rispondere con economia ai requisiti programmatici
funzionali di fruizione, sicurezza, riqualificazione e apertura
sul paesaggio dei luoghi toccati dal percorso. Oltre ad alcuni
piccoli interventi volti alla connessione fisica dei livelli ed
alla rimozione di materiali ed attrezzature incoerenti,
72
figura 106
La scalinata di collegamento tra i due
livelli del percorso.
figura 107
Il belvedere “trasparente”.
la principale operazione realizzata è quella di rimuovere i
licheni dai massi erratici sul percorso riportando alla luce
il granito bianco da cui risulta evidente la disposizione dei
massi e la presenza inequivocabile di una certa attività
sul sito. Come sostiene Descombes: “Sono forse le cose
che non si notano ad essere le più importanti” ed è per
questo che è riconosciuto al progetto un certo margine di
delicatezza, di fragilità nel suo rapporto con il paesaggio
con l’obbiettivo chiaro di non volerne iscrivere lasua
realizzazione nella lunga durata.
Come le tracce ed i segni di forze passate su di un sito
costituiscono una costruzione mentale oltre che materiale,
anche il progetto, nel recuperare il senso di un luogo,
deve porsi l’obbiettivo di agire sull’immaginario oltre che
sull’esperienza fisica. In questo senso agisce un intervento
laconico, cioè attraverso il minimo delle operazioni possibili
e all’opposto dell’azione totalizzante degli strumenti
urbanistici tradizionali. L’intervento “laconico” si costituisce
in questo senso come un vero e proprio metodo progettuale
che fonda la sua efficacia su di una diluizione omeopatica
degli spostamenti o, anche, sull’assenza e sulla sottrazione
di materiale dal sito. Il progetto lavora sugli slittamenti di
significato, operazioni semantiche più che strutturali, in
grado di restituire un senso e una dimensione di uso al
territorio.
figura 108
Il percorso sul lago.
figura 109
Un masso erratico.
SINTESI DEI DISPOSITIVI DEL PROGETTO
- Lavorare con il minimo di mezzi espressivi ed
intervenire per punti diffusi attraverso un progetto
“omeopatico” o di “agopuntura” urbana;
- realizzazione di operazioni semantiche più che
strutturali, progetto laconico;
- la sottrazione come tecnica progettuale;
- il corpo umano come misura del progetto di
trasformazione dei luoghi;
- Il progetto inscritto in una logica di provvisorietà in
cui la riconoscibilità degli interventi è direttamente
legata alla loro reversibilità.
73
PROGETTI E
SPERIMENTAZIONI
IL PAESAGGIO COME DINAMICA DI FRUIZIONE
URBANA
3
Plaine de Saint Denis
località
Plaine de Saint Denis
comune
Ville de Saint Denis, Francia
committente
Ville de Saint Denis
progettisti
Yves Lion, Michel Corajoud, Pierre Riboulet, Philippe
Robert
area intervento
800 ha della periferia nord ovest di Parigi
progetto
1993, in corso
tipo di intervento
Piano di recupero della periferia suburbana ai confini
con Parigi.
bibliografia
A. Masboungi (a cura di), Penser la ville par le paysage, Ed. La Villette, Paris, 2001, pp.25-26
M. Corajoud, Le paysage : une expérience pour construire la ville, testo del Gran Prix de Urbanisme 2003,
in: A. Masboungi (a cura di), Michel Corajoud et cinq
grandes figures de l’urbanisme, Ed. La Villette, Paris,
2003, p.25
M. Corajoud, Strategie de crise: la Plaine Saint-Denis.
In: Techniques et architecture, August/September 1992
topos
Devoine Gilles (2001), “La Plaine Siant Denis: a city from
nowhere”, Topos 34/2001, pp. 85-89
siti web
http://corajoudmichel.nerim.net/
http://www.urbanisme.equipement.gouv.fr/index.html
74
Nella pagina precedente:
figura 110
Il percorso dell’autostrada A1, ex
Boulevard Wilson tra Porte de Paris e
Porte de la Chapelle:
figura 111
Schema degli interventi del Piano
per Saint Denis relativi al reticolo
stradale:
figura 112
Il Piano Hippodamos ‘93 con la prima
proposta per un occupazione astratta
dello spazio aperto con un 50% di
superficie coperta.
figura 113
Il Piano del 2001 con l’adattamento
dei progetti agli sviluppi insediativi
reali della Plaine saint Denis.
figura 114
Il Parkway con la realizzazione della
copertura dell’autostrada.
PLAINE DE SAINT DENIS
Il paesaggio come spazio pubblico e dinamica di
fruizione urbana
La geografia della “plaine” non ha opposto nel tempo
nessuna resistenza al tracciato delle infrastrutture e alla
stratificazione delle costruzioni. Il territorio si presenta
gravemente compromesso, la geografia è “prigioniera”
dell’utilizzazione smodata e sregolata del suolo. Come in
altre periferie suburbane non è più riconoscibile un sistema
paesaggistico coerente inteso come rapporto significativo
ed intelleggibile tra supporto territoriale e attività dell’uomo
che lo abita.
Il progetto si inserisce in questo ambito in modo realistico
e pragmatico radicando le proprie scelte nella realtà
esistente per prefigurarne assetti futuri. L’interesse per
il contesto, l’apertura ed adattamento alle circostanze
locali e alle condizioni spaziali che meglio interpretano la
collettività del luogo sono mediate dalla pratica e cultura
del progetto paesaggistico. Il piano si è sviluppato in un
arco di tempo di circa venti anni in cui è andato incontro ad
un graduale processo di adattamento.
La proposta originale che stabiliva la regola per cui almeno
il cinquanta per cento dello spazio doveva essere
costituito da spazio aperto e libero è stata adattata alle
conformazioni che la città andava assumendo. Il ruolo
del progetto è stato quello accompagnare il processo
di costruzione della pianura rientrandolo sul ruolo
fondamentale dello spazio pubblico.
L’opportunità di interrare 2 km di autostrada ha dato
un impulso fortissimo a questa strategia. Il progetto di
riqualificazione è partito dalla costituzione di un sistema di
interrelazioni capaci di mettere in prospettiva le componenti
urbane (spazio pubblico, spazio aperto) e di riscoprire il
valore paesaggistico intrinseco dei luoghi.
Il progetto ristabilisce le connessioni urbane in direzione
est-ovest cancellato dalla presenza dell’autostrada con una
serie di giardini e spazi verdi che si innestano sul tracciato
del nuovo Boulevards Wilson. Ricavato dall’interramento
dell’infrastruttura il boulevard si costituisce come un vero
e proprio “park-way”, un giardino lineare che garantisce
percorrenze e fruizioni alternative a quelle del grande
traffico metropolitano con una serie di connessioni
trasversali.
Lo spazio aperto assume in questo senso il ruolo di motore
della rigenerazione urbana. La definizione del vuoto è
75
figura 115
La sezione del nuovo Parkway con
l’interramento dell’autostrada.
figura 116
Schizzo di progetto con la relazione
tra gli spazi verdi del Parkway e il
sistema di spazi pubblici ed aree verdi
di connessione trasversale.
figura 117-118
Due
vedute
dell’interramento
dell’autostrada in corso d’opera.
utilizzato come strumento per creare un’immagine unitaria
alla città. Anche gli interventi privati vengono assoggettati
alle regole valide per lo spazio aperto pubblico garantendo
così un margine di unità a tutte le trasformazioni. Lo spazio
pubblico, vero protagonista del progetto, è l’elemento che
concorre alla ricostruzione di senso dei materiali urbani e
alla apertura e creazione di nuovi orizzonti al paesaggio
della pianura.
SINTESI DEI DISPOSITIVI DEL PROGETTO
- utilizzare il tracciato delle infrastrutture come
occasione di riconnessione trasversale attraverso una
maglia verde, corridoi verdi;
- lavorare per inserzioni puntuali di nuovo edificato per
ricostruire un tessuto riconoscibile nella dispersione
della periferia suburbana;
- lavorare sul ruolo di connessione dello spazio aperto
pubblico e sul suo ruolo fondativo nella creazione di
un disegno unitario;
- ricentrare il processo di costruzione della città sul
ruolo fondamentale dello spazio pubblico nei tempi
lunghi del paesaggio e del progetto urbano;
- ricostruire le aperture della città verso un orizzonte
geografico, la ricostituzione di “horizons-paysages” e
di un rapporto visivo con la geografia dei luoghi;
- riproposta del modello del park-way come un nuovo
tipo di boulevard urbano lungo cui concentrare la
spinta insediativi della città.
76
PROGETTI E
SPERIMENTAZIONI
IL PAESAGGIO COME ECOLOGIA URBANA
4
Ørestadt
località
Ørestadt
comune
Copenhagen, Danimarca
committente
Copenhagen Municipality
gestore
Ørestadt Development Corporation
progettisti
Aaro Artto, Teemu Palo, Yrjo Rossi, Hannu Tikka, Matti
Kaijansinkko
area intervento
310 ha, 5 km per 600 m di larghezza
progetto
1995 concorso internazionale,
3 fasi: 2005-2010, 2011-2020, 2021-2030, in corso.
tipo di intervento
La ridefinizione del limite della città sul territorio dei “polder”, 100 ha di area di protezione ambientale, 3400000
m2 di superficie utile lorda, un canale navigabile di 30
m lungo tutta la lunghezza dell’area, una metropolitana
di superficie sopraelevata, un’università per 17000 studenti.
bibliografia
Topos 17/1996 pp. 94-99
AA.VV.
(1995),
Ørestaden:
Ørestadsselskabet, Ørestad
Detail 4/2003
siti web
the
masterplan,
www.orestad.dk
77
Pagina precedente:
figura 119
Veduta aerea dell’area prima dell’inizio
dei lavori.
figura 120
La pianta di Copenhagen con
l’individuazione dell’area di Ørestad.
figura 121
Schizzo di progetto. Relazione tra le
aree umide e costruito nel limite tra
città e campagna.
figura 122
Schizzo di progetto. Il canale che
costituisce l’asse strutturante del
progetto con la metropolitana
sopraelevata.
figura 123
Schizzo di progetto. Sezione sull’asse
strutturante del progetto con la
metropolitana sopraelevata ed il
canale.
ØRESTADT
Il paesaggio come ecologia urbana
La costruzione del ponte Øresund sullo stretto del Mar
Baltico che divide Mälmo da Copenhagen ha dato di fatto
un impulso fortissimo per l’insediamento di nuove funzioni
urbane nella regione di Amager Island a sud della città.
Il primo programma di espansione risale al 1992. Nel
1995 viene bandito un concorso internazionale vinto da
un’equipe finlandese che in seguito è stata incaricata della
definizione del Masterplan. Il progetto è stato sviluppato in
stretta collaborazione con la Municipalità di Copenhagen
e con le associazioni locali e di ambientalisti.
La conformazione geografica dell’area di Ørestadt
ha comportato grandi implicazioni paesaggistiche ed
ambientali. L’area di progetto, infatti, è situata al di sotto
del livello del mare ed è una delle terre strappate all’acqua
attraverso un complesso sistema di drenaggio e di
sbarramenti artificiali.
Il progetto riconosce nella regola delle “five fingers” che
ha strutturato la crescita della città di Copenhagen un
principio ordinatore su cui fondare il disegno della nuova
composizione urbana.
L’impianto del un nuovo distretto urbano, costruito ex
novo secondo una implementazione per fasi, introduce un
boulevard urbano e la linea di metropolitana di superficie
nel paesaggio delle aree umide del “polder”. Di fatti il
tracciato del nuovo insediamento è strutturato a partire
dalla definizione della nuova rete di trasporto pubblica.
Il tema della ridefinizione del limite della città affacciato sul
paesaggio dei Amager Faelled, l’area umida che circonda
Copenhagen, ha avuto grande rilevanza nelle decisioni
formali di piano. Il piano è impostato sul ruolo fondamentale
attribuito ai valori naturali nelle aree di espansione urbana,
al loro ruolo di spazio pubblico fruibile ed alla possibilità di
mantenere delle riserve di naturalità all’interno del territorio
metropolitano.
L’intervento della Danish Society for the Conservation
of Nature and Open Air Council, inizialmente contraria
all’urbanizzazione dei “polder”, è stata determinante nella
definizione delle superfici coperte del piano. L’approvazione
del piano è stata vincolata ad un aumento cospicuo della
quantità di spazio aperto destinato ad area di protezione
ambientale, da 45 ha a circa 90 ha, rispetto al primo
programma proposto dall’amministrazione della città.
Conservando di fatto la capacità edificatoria del piano si è
78
figura 124
Planimetria di insieme degli interventi
e Piano del Paesaggio:
1 Le aree umide di Amager Faelled in
Ørestad
2 L’area di protezione ambientale di
Amager
3 Le aree aperte verdi nel piano di
Ørestad destinate ad usi ricreativi e
sportivi in continuità con le aree di
protezione.
4 L’area di protezione ambientale di
Vastamager.
figura 125
Il sistema dell’acqua a Ørestad:
1 Il lago Ny Tojhus
2 Il canale curvilineo
3 Il canale dell’università
4 Il grande lago nell’area umida di
protezione
5 Il canale principale
6 Le piazza d’acqua tra gli edifici
7 Le piazza d’acqua tra gli edifici
8 Il lago nell’area umida di
Vestamager.
In tratteggiato orizzontale le aree
umide dei “polder”.
79
figura 126
Schizzo di progetto: vista sull’asse
centrale.
figura 127
Foto degli edifici realizzati nella prima
fase del progetto.
figura 128
Veduta del modello di progetto
sulla zona destinata alle strutture
universitarie.
figura 129
Foto degli edifici realizzati nella prima
fase del progetto.
figura 130
Planimetria delle aree di protezione
ambientale di Amager Faelled
e Vestamager. In rosso l’area di
progetto
figura 131
Foto degli edifici realizzati nella prima
fase del progetto.
operato un processo di densificazione rispetto alle prime
indicazioni programmatiche che ha di fatto consentito la
viabilità finanziaria di un processo di trasformazione di
queste dimensioni.
L’inserimento di varie funzioni ubane, residenza,
commercio, attrezzature pubbliche, consente un buon grado
di mixitè urbana. L’implementazione del progetto in più fasi
garantisce un certo grado di adattabilità del programma da
costruire alle esigenze nel tempo (espansione/contrazione
del mercato immobiliare).
Il piano per Ørestad costituisce uno dei pochissimi casi
di progettazione urbana recente in Europa in cui non si
è ricorso al meccanismo dell’architettura d’autore come
“richiamo” di marketing urbano. Le architetture sono più
anonime seppur di ottima progettazione, ed inserite nel
disegno complessivo con discrezione sapendo interpretare
il tema dell’architettura sull’acqua.
SINTESI DEI DISPOSITIVI DEL PROGETTO
- definizione del limite tra città e campagna in continuità
con la città esistente;
- testare i punti di vista sul paesaggio circostante alla
città;
- dilatazione del punto di vista ad una scala geografica,
agli scenari ambientali della città;
- seguire le regole iscritte nella geografia e nella
morfologia dei luoghi, in questo caso il principio detto
delle “5 fingers” determinato dal primo piano della
città;
- definizione del piano definitivo per successivi tentativi
assoggettati alla contrattazione con le associazioni
locali ed ambientaliste;
- l’uso dell’acqua delle aree umide per costituire una
rete di canali navigabili e il riconoscimento di una loro
valenza figurativa/formale e artistica oltre che una
funzione di miglioramento ecologico (in alternativa al
pompaggio attuale);
- il ruolo fondamentale delle reti di trasporto pubblico
nel disegno dei nuovi tracciati urbani e nella capacità
di connessione con gli insediamenti esistenti.
80
PROGETTI E
SPERIMENTAZIONI
IL PAESAGGIO COME STRATEGIA EVOLUTIVA
5
Area Unimetal a Caen
località
Caen
comune
Caen, Francia
committente
Unimetal
progettisti
Dominique Perrault
area intervento
700 ha
progetto
1995-1997 in corso di realizzazione
tipo di intervento
trasformazione dell’area di un’industria metallurgica
bibliografia
Belfiore Manuela (2005), Il verde e la città. Idee e progetti
dal Settecento ad oggi, Gangemi, Roma, p.202
Prépaysagement, Fare l’ambiente, Lotus Navigator
5/2002, pp. 109-112
siti web
81
Pagina precedente
figura 132
L’impianto delle acciaierie
dell’inizio dei lavori.
prima
figura 133
Planimetria
dell’impianto
delle
acciaierie prima dell’inizio dei lavori.
figura 134
Veduta dell’area delle acciaierie
dopo la demolizione delle strutture
industriali.
figura 135
Veduta dell’area con
sistemazioni verde.
le
prima
CAEN
Il paesaggio come strategia evolutiva
Il progetto si situa in una vasta area lasciata libera alla
periferia di Caen in seguito alla dismissione dell’industria
metallurgica Unimetal.
La proposta del progetto consiste nel disegno di una griglia
geometrica di 100m per 100m di lato che organizza il
disegno del parco secondo una sistema di lotti piantumati
con essenze di alto fusto o semplicemente a superficie
erbosa e separati da percorsi asfaltati di due metri di
larghezza.
Il forte tracciato che caratterizza il parco è disegnato da
pochi elementi: la griglia, un viale alberato che ne segna il
confine ed un grande parterre centrale. La regolarità degli
spazi definiti dalla griglia è arricchita dal mantenimento
e dalla valorizzazione di alcune tracce del paesaggio
industriale precedente che si costituiscono come veri
e propri objets trouvès della composizione: la torre di
raffreddamento, il tracciato dei binari ferroviari, i segni
delle preesistenze naturali come alcune masse vegetali e
il corso d’acqua del fiume Orne sul confine dell’area.
Il disegno del parco si costituisce come un vero e proprio
dispositivo di Préverdissement, una strategia usata
molto spesso in Francia anche in tempi recenti nelle
villes nouvelles, in cui la fondazione degli insediamenti
è preceduta da una sistemazione a verde in parte
temporanea. Il parco assolve, così, due funzioni: da una
parte organizza il sistema di verde pensato anche per
realizzare la bonifica ambientale e la rivitalizzazione dei
terreni contaminati dai residui delle lavorazioni industriali;
dall’altra costituisce la prefigurazione della forma
dell’insediamento futuro strutturando una sorta di “prepaesaggio”. Il progetto del parco costituisce in questo
senso il primo atto di fondazione e di tracciamento della
possibile espansione della città.
Negli sviluppi futuri a lungo termine, la grande area
centrale che copre una superficie complessiva di oltre
trenta ettari, verrà mantenuta a parco come una specie di
Central Park suburbano, mentre i lotti più piccoli verranno
progressivamente urbanizzati.
figura 136
Planimetria di progetto con le
sistemazioni a terra della prima fase
dei lavori
82
83
PROGETTI E
SPERIMENTAZIONI
IL PAESAGGIO COME REGOLA MORFOLOGICA
6
Piano guida per l’Île de Nantes
località
Ile de Nantes
comune
Nantes, Francia
committente
Nantes Métropole, Ville de Nantes
gestore
SAMOA (Société d’Aménagement de la Métropole
Ouest-Atlantique
progettisti
Alexander Chemetoff paesaggista, Jean-Louis Berthomieu urbanista
area intervento
335 ha ara di intervento
progetto
1999 concorso, 2002-2007 realizzazione, in corso
tipo di intervento
70 ha di spazi pubblici, 125000mq di residenza di cui
25% edilizia sociale, 100000 mq di grandi attrezzature,
6500 alloggi
bibliografia
J. L. Berthomieu, Bureau des Paysages, 1999 L’ile de
Nantes. Le Plan guide en projet, ed. MEMO, Nantes.
Farinella, R. 2004 “Riqualificare la città, ritrovare il
fiume. Nantes, la Loira, l’Île de Nantes”, Paesaggio
urbano, n. 6.
A. Masboungi(a cura di), 2003 Nantes: La Loire dessin
le projet, Editions de la Villette, Paris.
R. Farinella, Nantes, ‘a pleasant town to live in, in:
www.planum.net - The European Journal of Planning.
siti web
www.iledenantes.com
http://www.nantesmetropole.fr/index.jsp
84
Pagina precedente:
figura 141
Foto dal satellite dell’Île de Nantes,
2005.
figura 142
Il sistema degli spazi pubblici:
Aree esistenti da ristrutturare, 83 ha.
figura 143
Il sistema degli spazi pubblici:
Nuove aree pubbliche, 72 ha.
figura 144
Il sistema degli spazi pubblici:
La Loira, 245 ha.
figura 145
Schizzo di progetto:
La continuità dello spazio pubblico
consente di far coesistere i diversi
frammenti dell’esistente struttura
industriale senza demolizioni. La
trama dello spazio aperto pubblico si
appoggia sugli edifici esistenti.
ÎLE DE NANTES
La morfologia come regola
Il progetto per l’Ile de Nantes consiste nella
trasformazione dell’area di 335 ha dei cantieri navali
e spazi portuali sulla Loira in un vero quartiere urbano
sviluppandone tutte le funzioni di centralità: habitat
di qualità, sviluppo economico, commercio, trasporti
collettivi, attrezzature sociali, culturali ed ricreative.
Il progetto risultato vincitore al concorso bandito nel 1999
propone un operazione di ricomposizione urbana unitaria
e composita allo stesso tempo. In questo senso lo spazio
pubblico assume un ruolo centrale come principale
strumento per garantire la costruzione del territorio in
modo unitario e per combinare le operazioni pubbliche
con quelle private in un ottica di sviluppo sostenibile e
durevole. Le rive della Loira e l’île de Nantes costituiscono
una parte importante della storia industriale e sociale della
città ed in questo senso il progetto si muove a partire da
un “principio di introversione”. Tutte le scelte e le ragioni
del piano, cioè, sono definite a partire dall’interno della
città con una logica di completamento ed ottimizzazione
dell’esistente. Questo principio si concretizza su due
piani diversi: quello del tessuto e della morfologia
urbana e quello degli edifici e del materiale costruito.
Da una parte il progetto è fondato sull’attenzione al contesto
con l’obbiettivo di valorizzare il patrimonio e le tracce
costitutive della storia dei luoghi dando allo stesso tempo
un impulso alla trasformazione dello spazio. Il progetto si
configura come una grande operazione di ristrutturazione
in cui il nuovo programma da costruire è funzionale ad un
generale processo di recupero che stabilisce un principio
di continuità con la morfologia del tessuto urbano.
Dall’altra parte e accanto alle tradizionali funzioni e
programmi previsti dal progetto urbano (inserimento di
nuovi alloggi, attrezzature, spazi e servizi), prendono posto
una serie di azioni volte a riqualificare gli edifici e gli spazi
aperti con una sequenza continua di interventi circoscritti.
L’obbiettivo di riparare e restaurare piuttosto che sostituire
l’esistente non impedisce l’innovazione ed è pensato per
favorire un “economia di misura”, per esempio evitando
le demolizioni se un riuso è possibile. Molte delle grandi
strutture industriali vengono riconvertite in attrezzature
ed uffici secondo una logica di crescita dall’interno.
Il “Plan Guide” definisce dove, come e con quale
forma debbano essere integrati tutti gli interventi e con
85
figura 146
Lo stato di progetto al 2003:
dettaglio della planimetria degli
interventi previsti per l’area ovest.
figura 147
Interventi da realizzarsi all’interno delle
volumetrie esistenti: planivolumetrico.
figura 148
Interventi da realizzarsi all’interno
delle volumetrie esistenti: sezione
quale successione siano realizzati concentrandosi
particolarmente sullo spazio aperto mentre è lasciato
un margine di flessibilità a tutte le altre operazioni. In
questo senso il piano si configura come lo strumento di
elaborazione del processo evolutivo dell’ île de Nantes.
Sebbene non sia immediatamente riconoscibile un intento
paesaggistico nel progetto, è qui derivato un metodo
di organizzare la trasformazione e la rigenerazione
della città. Il principio fondativo su cui ruotano le scelte
trasformative è costituito infatti dalla ricostituzione dei
legami di connessioni tra la città ed il fiume attraverso
la risistemazione paesaggistica delle rive della Loira. La
valorizzazione del fiume apporterà dei benefici ambientali
oltre a creare un’attrattività per le attività residenziali.
SINTESI DEI DISPOSITIVI DEL PROGETTO
- la definizione del programma di trasformazione a
partire dal sito esistente e la costruzione del progetto
a partire dagli elementi strutturali presenti;
- la morfologia dei luoghi come “regola”;
- progetto come ristrutturazione a scala urbana;
- la definizione del processo evolutivo della
trasformazione
attraverso
le
sue
fasi
di
implementazione;
- lavorare sul ruolo di connessione dello spazio aperto
e sul ruolo dello spazio pubblico come principio
ordinatore;
- principio di introversione, costruzione della città a
partire dalla città riutilizzando quello che esiste per
fare di più con meno mezzi, una forma di ecologia
urbana a base economica.
86
PROGETTI E
SPERIMENTAZIONI
7
IL
PAESAGGIO
COME
STRATIFICAZIONE
SIGNIFICATIVA
Rinaturalizzazione del canale dell’Aire
località
Plaine de L’Aire
comune
Ginevra, Svizzera
committente
Départment de l’intérieur, de l’agricolture, de
l’environnement et de l’energie (DIAEE), cantone di
Ginevra
progettisti
Georges Descombes e ADR architectes
area intervento
5 km di sponde del canale, circa 100ha
progetto
Progetto di concorso 2000, incarico 2000-2002, in corso
di realizzazione lo stralcio Marais-Centenaire
tipo di intervento
Rinaturalizzazione del corso del canale dell’Aire,
realizzazione per stralci successivi
bibliografia
G. Daghini, Faire du Paysage, Faces 50 hiver 2001/2002 pp. 18-29
E. Cogato Lanza, Le territoire inversè, in: AA.VV , Méandres, PPUR,
Geneve, 2005, pp. 119-139
siti web
87
Nella pagina precedente:
figura 149
Ortofoto e sistema orografico, 2002
figura 150
Estratto della carta topografica del
Cantone di Ginevra, 1900.
figura 151
Estratto della carta topografica del
Cantone di Ginevra, 1958.
PLAINE DE L’AIRE
Il paesaggio come sedimentazione
Il progetto si inserisce in una politica generale di
rinaturalizzazione di corsi d’acqua intrapresa dal comune
di Ginevra e riguarda il recupero paesaggistico del bacino
dell’Aire, un affluente secondario del Rodano, caratterizzato
da un grave problema di degrado della qualità dell’acqua
e dell’ambiente circostante. L’area, alla periferia sud ovest
della città, è caratterizzata da una forte dispersione degli
insediamenti e da una compenetrazione di edificato nel
paesaggio rurale. La pianura agricola è attraversata dalle
arginature in cemento del canale, un’opera di regimazione
delle acque realizzata nel 1930 che si impone come
principale elemento di strutturazione del paesaggio.
Il reticolo idrografico che ridisegna la parcellizzazione
fondiaria della pianura è costituito da una serie di canali
secondari di collegamento.
Il progetto di Georges Descombes è fondato sulle componenti
morfologiche del territorio e sul riconoscimento della loro
dimensione temporale nel processo di sedimentazione
avvenuto nel tempo. In questo senso la presenza delle
arginature artificiali del canale non costituisce un ostacolo
alla rinaturalizzazione ma assume il ruolo di strutturazione
fisica significativa a partire dalla quale è possibile recuperare
la leggibilità e fruibilità del territorio. La contrapposizione
tra il carattere di permanenza della struttura esistente
del canale e la natura mutevole del nuovo letto fluviale
di rinaturalizzazione costituisce il principio su cui sono
costruite le ipotesi progettuali: il canale viene disseccato e
riprogettato come una passeggiata pubblica sopraelevata
da cui è possibile osservare la riva inaccessibile del corso
d’acqua rinaturalizzato.
La riutilizzazione dell’impronta del canale esprime la volontà
di rapportarsi direttamente con la storia e la memoria dei
luoghi, di radicare il progetto nella morfologia a partire
da quello che è già stato costruito. In questo principio
viene riconosciuto una regola ineluttabile del progetto
contemporaneo di trasformazione della città che si trova a
confrontarsi continuamente con un’ambiente costituito da
un’imbricazione di geografia, natura, storia e cultura.
Accettando i materiali ed i frammenti di usi e funzioni
obsolete all’interno di un disegno complessivo ed operando
uno slittamento di significato il luogo acquisisce un nuovo
uso, una nuova leggibilità, una nuova fruizione. Attraverso
il progetto lo spazio aperto del territorio rurale acquisisce
88
figura 152
Estratto dell’Atlas du territoire
genevois
Permanences
et
modifications cadastrales aux xixe et
xxe siecles. Restituzione del Catasto
Napoleonico (1806-1818) sul «Plan
d’ensemble» del Cantone di Ginevra
del 1991. Il dettaglio è relativo al
percorso del fiume Aire prima della
sua canalizzazione.
figura 153
Estratto dell’Atlas du territoire
genevois
Permanences
et
modifications cadastrales aux xixe et
xxe siecles. Restituzione del «Plan
d’ensemble» del Cantone di Ginevra
del 1930 sul «Plan d’ensemble»
del 1991. Il dettaglio è relativo al
percorso del fiume Aire dopo la sua
canalizzazione.
figura 154
Elaborato di progetto.
Ricostruzione del percorso del fiume
Aire prima della sua canalizzazione.
figura 155
Elaborato di progetto.
Proposta di una nuova conformazione
per l’Aire.
89
figura 156
Elaborato di progetto.
Ricostruzione
delle
diverse
conformazioni assunte dal fiume Aire
prima della sua canalizzazione sulla
foto aerea.
figura 157
Elaborato di progetto.
Proposta della nuova conformazione
per il fiume Aire: il canale viene
mantenuto come passeggiata e
giardino tematico a nord; a sud
il nuovo letto del fiume recupera
parzialmente i terreni agricoli.
la dignità di spazio pubblico.
Il discorso sull’identità e la memoria dei luoghi è inquadrato
in una riflessione più generale che coinvolge anche la
comprensione delle componenti ecologiche ed ambientali
del territorio. In questo senso il progetto si iscrive in una più
generale questione che riguarda la “riterritorializzazione”
dei luoghi, cioè la ricerca di nuovi rapporti di coesistenza
tra gli insediamenti urbani dispersi, il patrimonio naturale
rivitalizzato, le esigenze della produzione agricola e
l’inquadramento di nuovi orizzonti paesaggistici.
SINTESI DEI DISPOSITIVI DEL PROGETTO
- riconoscere la razionalità topografica iscritta nei
luoghi;
- fare riferimento alle preesistenze ed alle loro tracce
recuperandole in un disegno complessivo con nuovi
significati e nuovi usi;
- lavorare sulla sovrapposizione di ambiti temporali
differenti con i materiali ad essi afferenti;
- valorizzare i tracciati dei corsi d’acqua come
paesaggi lineari urbani e occasione per nuovi tipi di
percorrenze;
- riconoscere discorso della gestione della qualità
dell’acqua e del suolo come elemento fondativo
del progetto in una più ampia comprensione delle
componenti ecologiche e storiche del territorio;
- superare una visione strettamente tecnico-ecologica
dei problemi ambientali attraverso un approccio
pluridiscinare.
90
PROGETTI E
SPERIMENTAZIONI
IL PAESAGGIO COME LUOGO DI CONNESSIONI
8
Parco di Gerland
località
Gerland
comune
Lione, Francia
committente
Communitè Urbaine de Lyon
progettisti
Michel e Claire Corajoud
area intervento
80 ha
progetto
2001-2003
tipo di intervento
Parco nella città suburbana
bibliografia
A. Masboungi (a cura di), Penser la ville par le paysage, Ed. La Villette, Paris, 2001, pp.34-35
M. Corajoud, Le paysage: une expérience pour construire la ville, testo del Gran Prix de Urbanisme 2003,
in: A. Masboungi (a cura di), Michel Corajoud et cinq
grandes figures de l’urbanisme, Ed. La Villette, Paris,
2003, pp. 37-38
siti web
http://www.urbanisme.equipement.gouv.fr/index.html
http://corajoudmichel.nerim.net/
91
Nella pagina precedente:
figura 158
Veduta della grande prateria sulla riva
della Saone.
figura 159
Veduta
dell’area
prima
costruzione del parco (2001).
della
figura 160
Veduta dell’area con il parco in corso
di realizzazione (2002-2003).
figura 161
Schizzo di progetto con le connessioni
verdi intorno al perimetro del parco.
PARCO DI GERLAND
Il paesaggio come luogo delle connessioni e della
fruizione
La dismissione di un’area industriale vicino al petrolchimico
di Feysin, ha consentito di restituire alla città ed al quartiere
di Gerland la fruizione di un grande spazio in prossimità
del Rodano.
Il nuovo parco urbano costituitosi dalla riconversione delle
aree dismesse lungo il fiume si presenta come un polo di
attrazione formidabile di persone ed attività in relazione ai
quartieri circostanti. Il progetto, senza costituire un vero
e proprio “progetto urbano”, assume il ruolo strategico
di restituire un senso ed una fruizione a molti spazi da
sempre inaccessibili.
Il disegno del suolo ha avuto come principale obbiettivo
quello di radicare il parco nel tessuto urbano circostante
attraverso la definizione dello spazio aperto sui margini,
le aree di risulta, i bordi, gli accessi, le strade adiacenti,
i cancelli degli edifici circostanti, i piccoli giardini limitrofi.
Il progetto realizza un doppio sistema di compenetrazioni
tra la città ed il parco urbano in cui sono consolidate le
relazioni reciproche con le parti costruite circostanti.
Lo spazio liberato dalle funzioni industriali e portuarie
diventa un grande terreno di connessione, fruizione e
circolazione tra il sistema ambientale del fiume e la città.
I nuovi percorsi pedonali lungo le sponde del Rodano
restituiscono quello che un tempo era il ruolo del fiume:
un canale percorribile da cui era possibile raggiungere gli
altri luoghi della città.
La concezione e la dimensione degli spazi del parco fanno
un esplicito riferimento all’agricoltura, in questo senso è
evocata più l’idea di “campagna” che quella di “natura”. Il
parco è costituito da una grande prateria aperta di sette
ettari per il gioco lungo le sponde del Rodano per la prima
volta rese accessibili e da un giardino lineare di 600 m per
40m di larghezza.
L’obbiettivo del progetto è mostrare come una soluzione
paesaggistica “leggera” possa agire efficacemente su
un sistema degradato e compromesso a partire da una
disponibilità di investimento molto esigua. La scelta di
realizzare una grande prateria ha una ragione economica
perché di basso costo permettendo allo stesso tempo di
rivelare gli aspetti paesaggistici dell’affaccio sul fiume di
un luogo fino ad oggi sconosciuto alla città.
Il giardino lineare ha costi di manutenzione molto bassi
92
figure 162 - 165
Vedute degli spazi del Parco.
figura 166
Pianta dei percorsi del parco con le
connessioni con la città.
perché consente, con la sua geometria semplificata, la
meccanizzazione delle lavorazioni e costituisce allo stesso
tempo un luogo di intrattenimento ed osservazione del
sistema vegetale nelle sue variazioni stagionali.
SINTESI DEI DISPOSITIVI DEL PROGETTO
- ricostruire una dinamica di fruizioni possibili che si
estenda oltre il singolo progetto e sia riconoscibile
alla scala della città;
- testare la porosità e la resistenza dei confini per
estendere il progetto oltre i suoi limiti e creare relazioni
con gli spazi limitrofi, ricucire gli elementi costruiti,
valorizzare lo spazio tra i vari contesi urbani della città
diffusa;
- definire nel progetto il ruolo di connessione
dello spazio aperto pubblico nel tessuto urbano
circostante;
- utilizzare gli interstizi e gli spazi di risulta, gli spazi
abbandonati e sottosviluppati per estendere lo spazio
pubblico;
- costituire un progetto “debole”, non totalizzante in cui
il paesaggio ed il verde assume il ruolo di connessione
del tessuto insediativo.
93
PROGETTI E
SPERIMENTAZIONI
IL PAESAGGIO COME PROGETTO APERTO
9
Progetto di recupero di Grenoble Sud
località
Grenoble sud
comune
Grenoble, Francia
committente
Ville de Grenoble
progettisti
Yves Lion
area intervento
355 ha
progetto
2003-2004 progetto, 2004-2012 realizzazione, in corso
tipo di intervento
recupero urbano
bibliografia
Grenoble, Le renouvellement urbain dans les grandes
villes, Urbanisme 20/2003, pp.16-19
Lion Yves, Urbanisme, Grand prix de Urbanisme, juin
2005.
siti web
http://www.grenoble.fr/jsp/site/Portal.jsp?page_
id=196Enjeux
http://www.urbanisme.equipement.gouv.fr/index.html
94
GRENOBLE SUD
Il paesaggio come progetto aperto
Nell’ambito di un generale programma di rinnovo urbano la
città di Grenoble ha avviato un processo di concertazione
per il rinnovo della zona sud della città, caratterizzata
dalla presenza di grandi quartieri di edilizia popolare e
attrezzature. Il processo di riqualificazione è stato definito
per mezzo di un piano guida che ha l’obbiettivo di definire
e promuovere nuove strategie oltre alla prosecuzione ed
il coordinamento di tutte le azioni intraprese fino ad oggi
nella riqualificazione del quartiere.
Il piano è pensato come uno strumento urbanistico in
divenire formulato come un processo aperto che viene
costruito, modificato, aggiornato lungo il suo stesso
processo di implementazione.
Gli obbiettivi principali del piano ruotano intorno a tre grandi
tematiche: la concezione di nuove operazioni di rinnovo
urbano; il rafforzamento della qualità ambientale; un
programma di implementazione condiviso attraverso una
politica di partecipazione ed informazione della comunità
locale.
In particolare il progetto definisce alcune linee prioritarie di
intervento basate sul ruolo chiave dello spazio pubblico e
sui valori ambientali dei luoghi che costituiscono le costanti
su cui si sviluppa tutto il processo: la ricerca di una migliore
coesione urbana attraverso il rinforzo dei legami tra i
quartieri esistenti e la valorizzazione dei terreni disponibili
e sotto utilizzati; il rinforzo dell’attrattività economica
e commerciale; il rinforzo dell’attrattività residenziale
attraverso il miglioramento della qualità e della leggibilità
dello spazio pubblico. Questa strategia è implementata
attraverso la concentrazione degli interventi intorno ad
alcuni temi chiave: l’introduzione di un nuovo quartiere
residenziale che permette di densificare il tessuto urbano
esistente; la creazione di una “allée verte” di collegamento
tra i vari parchi e che ha la funzione di migliorare la fruibilità
tra i quartieri; il miglioramento e la riorganizzazione dello
spazio pubblico nel quartiere del vecchio villaggio olimpico
attraverso alcuni interventi di densificazione che ne
migliorano l’attrattiva commerciale; il ridisegno del “Cours
de l’Europe” secondo una sezione stradale che privilegia
gli spostamenti pedonali e ciclabili.
Il progetto è sviluppato sulla base di uno studio approfondito
degli spazi pubblici esistenti ed ha l’obbiettivo di riutilizzare
le infrastrutture stradali e commerciali presenti e la
Nella pagina precedente:
figura 167
L’area di intervento nel contesto della
città di Grenoble
grande quantità di terreni sotto utilizzati attraverso la riorganizzazione delle relazioni reciproche.
L’intera operazione mira ad una più generale ottimizzazione dell’uso dello spazio urbano
derivando il nuovo programma da costruire dai luoghi, dalle dimensioni e dalla forma della città
esistente integrandolo nel tessuto urbano senza soluzione di continuità. Il nuovo edificato è
concentrato intorno ad alcuni assi stradali che necessitano di densificazione mentre lo spazio
aperto verde gioca un ruolo di connessione tra i parchi esistenti della “banlieu”. Il risultato a cui
mira il progetto non è quello di ricreare un singolo luogo di centralità quanto di rinforzare una
serie di polarità lavorando sulla concentrazione dei luoghi e delle funzioni nella periferia.
In questo senso il sistema ambientale e dei parchi urbani definisce una maglia verde che tiene
insieme il disegno urbano complessivo.
Dal 2004 è in corso un processo di discussione dei contenuti del piano con gli abitanti dei
quartieri che ha portato ad una prima approvazione del progetto degli spazi aperti.
figura 168
L’area degli interventi previsti dal
Piano guida per la riqualificazione di
Grenoble Sud:
in rosso gli interventi puntuali di
densificazione del costruito;
in verde la riqualificazione del verde
urbano, le nuove connessioni verdi
lungo le strade esistenti;
in rosa gli isolati dei quartieri di nuova
edificazione;
in giallo la riqualificazione dello
spazio pubblico dei percorsi pedonali
e ciclabili.
95
III.3 UN APPROFONDIMENTO:
IL PROGETTO PER LYON CONFLUENCE
96
località
Quartiere della Confluence
comune
Lione, Francia
committente
Communitè urbaine du Grand Lyon
gestore
SAEML, Lyon Confluence
progettisti
François Grether Architetto Urbanista
Michel Desvigne Paesaggista
Bureau d’Etudes RFR
area intervento
150 ha
progetto
1998 studio preliminare, 2000 progetto, 2000-2015, in
corso
investimento globale
1,2 ml di Euro per la prima fase
tipo di intervento
38 ha di parco, 1200000 mq di sup. coperta
bibliografia
M. Baraness, Non un giardino ma una strategia di adattamento, in: Giornale di Architettura 10/2003, p. 21
M. Desvigne, Eliminare ogni forma di “terrein
vague”, in: Giornale di Architettura 10/2003, p. 20
M. Desvigne, La fabrication pragmatique du territoire, in: A. Masboungi (a cura di), Penser la ville par
le paysage, Ed. La Villette, Paris, 2001, pp. 53-59
M.
Desvigne,
Géographie
et
transformation des territoires, in: A. Masboungi (a cura
di), Michel Corajoud et cinq grandes figures de
l’urbanisme, Ed. La Villette, Paris, 2003, pp. 53-57
F. Moiroux, De mémoire de presq’île… Perrache XVIII - XX, Lyon Confluence, Janvier 2002
siti web
http://www.lyon-confluence.fr/index.php
http://exhibitions.gsd.harvard.edu/contemp/pages/
abecedary
97
Nella pagina precedente:
IL CONTESTO AMBIENTALE E URBANO
Situata alla confluenza di Rodano e Saône, Lione è la seconda
città della Francia per dimensione e importanza economica
particolarmente in campo industriale e commerciale.
L’antico quartiere industriale di Perrache, separato dalla
città da due fiumi, una stazione ferroviaria e un’autostrada,
ha sviluppato nel contesto della città di Lione un carattere
particolare: di marginalità per via dell’isolamento forzato ma
allo stesso tempo di prossimità con la città storica. Si può
dire che Perrache sia un vero e proprio pezzo di periferia
industriale racchiuso al centro della città storica.
L’origine del quartiere risale alla seconda parte del XVIII
secolo quando la Presqu’Île formata dalla Saône e dal Rodano
si fermavano alle mura di Ainay. Fino a quel momento la
Confluence era costituita di una serie di terreni acquitrinosi e
di isolette la cui bonifica e collegamento venne realizzato al
prezzo di enormi sforzi finanziari.
Nel 1769 lo scultore e architetto Antoine-Michel Perrache
propone al Re e ad i nobili di Lione di prolungare la città verso
sud e di estendere il centro della città sulle terre strappate
al fiume. Il progetto di Perrache prevedeva la chiusura della
città medievale a nord con un fronte continuo affacciato su
di una grande piazza. Su di essa confluiva un asse rettilineo
e centrale che, attraversando tutto il territorio guadagnato al
fiume, veniva a costituire la spina dorsale dell’urbanizzazione
da realizzare. Già in un incisione del 1772 sono riconoscibili
i primi risultati di questa grande operazione urbana di
bonifica.1
figura 169
Veduta della Confluence.
figura 170
Prospetto della città di Lione dal lato
settentrionale -1657
figura 171
Progetto di Michel-Antoine Perrache
per la parte merdidionale della città di
Lione - 1769
figura 172
Jacques-Germain Soufflot
Piano del quartiere nuovo di Lione 1774. Dettaglio
figura 173
La stazione di Perrache ed il polo di
interscambio negli anni ‘60.
figura 174
Michel Antoine Perrache
Piano generale della città di Lione con
l’espansione verso sud - 1770
L’urbanizzazione dell’area avvenne, però, molto più tardi
durante la rivoluzione industriale con la costruzione delle
installazioni portuarie e ferroviarie e delle prime fabbriche. Nel
1860 venne realizzata una nuova stazione passeggeri proprio
in luogo della grande piazza immaginata da Perrache e da
cui prenderà il nome. A partire dall’inizio del XIX secolo con
l’installazione delle fabbriche nascono i primi quartieri operai,
subito a sud della stazione ferroviaria e in corrispondenza
dell’attuale quartiere di Sainte-Blandine.
L’area rimasta isolata dal resto del tessuto urbano a
nord è definitivamente marginalizzata con la costruzione
dell’autostrada sul lungo Rodano, intorno ai primi anni ‘60.
Con la chiusura al fiume Perrache perde definitivamente
ogni attrattiva urbana e diventa il quartiere del macello,
delle prigioni, del grande mercato all’ingrosso, del porto
Rembaud, in definitiva il luogo dove la città relega tutte le
grandi attrezzature urbane necessarie ma che non possono
98
figura 175
Foto dal satellite della città di Lione e
della Confluence - 2005
figura 176
Cours de Charlemagne e lo scalo
merci ferroviario della Confluence.
rimanere sotto gli occhi.2
A partire dagli anni ‘70 Perrache inizia a subire gli effetti della
deindustrializzazione. L’area perde in gran parte le attrattive
industriali e commerciali a vantaggio delle zone periferiche
della città più adatte e facilmente raggiungibili; gran parte
delle attività e delle attrezzature vengono dismesse o sono in
via di dismissione.
Il quartiere operaio di Sainte-Blandine rimane oggi una delle
ultime tracce vive del passato industriale e commerciale del
quartiere. Attualmente vi risiedono 6800 abitanti che sono
ancora in gran parte impiegati nell’industria locale.
LE STRATEGIE DEL PROGETTO
Il contesto urbanistico e normativo del piano
Il progetto per la riconversione del quartiere a sud di Perrache
e della Presqu’Île lionese, si inserisce in un più ampio discorso
di rinnovo urbano che la città porta avanti da vari anni. Negli
ultimi 15 anni, in seguito alla crisi post-industriale che la città
ha particolarmente risentito, è stato avviato un programma di
recupero su vasta scala nel tentativo di rilanciare l’immagine
della città attraverso un estensivo intervento di progettazione
urbana. Con un forte carattere sperimentale e gestita in
grande parte da artisti e architetti del paesaggio, la città ha
intrapreso un’operazione di riscoperta della propria identità e
del proprio patrimonio attraverso la valorizzazione degli spazi
pubblici.
Tra gli interventi più significativi sugli spazi pubblici di Lione
realizzati negli ultimi 10 anni si segnalano, tra gli altri: la Citè
Internazionale di Michel Corajoud e Renzo Piano; la Place
de la Bourse di Alexandre Chemetoff; il progetto per la Porte
des Alpes; il progetto del Parc de Gerland di Michel and Claire
Corajoud; Place des Célestins, Parc des Hauteurs, Passerelle
de la Colline de Fourvière, la riqualificazione del quartiere di
Gerland di Michel Desvigne e Christine Dalnoky.
A fianco alle operazioni di “visibilità” sono state portate
avanti anche politiche urbane di basso profilo che riguardano
specialmente l’innovazione urbana in campo ambientale, le
riqualificazioni diffuse dei quartieri più degradati, la creazione
di sistemi di trasporto alternativi da reti di trasporto pubblico ad
una serie di percorrenze su scala territoriale che consentono
spostamenti pedonali e ciclabili.
Tra le tante iniziative non si può non ricordare l’adozione
recente del cosiddetto “Plan Bleu”, un piano a scala geografica
per la salvaguardia e ottimizzazione delle risorse idriche ed un
progetto di riqualificazione capillare dello spazio pubblico del
99
figura 177
Schema interpretativo del sistema
ambientale
di
riferimento
del
progetto:
il sistema dei parchi lungo la Saône e
i boulevards alberati lungo il Rodano.
L’ascolto dell’esistente
Partendo dagli elementi naturali locali e dalla loro evoluzione
nel tempo il sistema paesaggistico esistente diventa la
struttura del futuro tessuto urbano.
Le conformazioni del luogo, Lione e le rive “minerali” della
Presqu’Île, le diverse conformazioni di Saône e Rodano,
concorrono a suggerire e legittimare le scelte del progetto.
Il territorio è ordinato dando la priorità assoluta ai materiali
rinvenuti sul sito, la storia, la geografia dei luoghi, a monte
di qualsiasi programma precostituito. Desvigne acquisisce
la lezione del grande paesaggista americano Frederick Law
Olmstead in cui il disegno di paesaggio è assunto come
atto fondativo della città a prescindere da ogni genere di
interferenza.
Il tessuto urbano del quartiere di Sainte-Blandine, le altezze,
i fronti continui sul lungo Rodano regole urbane esistenti che
vengono replicate su tutto il territorio della Confluence per
ottenere un disegno omogeneo ed in continuità con la città
esistente al di là della ferrovia. Le barriere vengono superate
anche attraverso la conformazione del tessuto urbano creando
una certa riconoscibilità, uniformità, identità.
I sistemi ambientali, geografici e del tessuto urbano esistente
vengono riconosciuti come regole implicite da seguire e da
estendere nel progetto della trasformazione senza diventare
una costrizione od un limite all’innovazione ed alla modernità
della nuova città. Al contrario il principio direttore derivato
è assunto senza nessun intento mimetico, storicistico o
nostalgico.
La strategia di occupazione evolutiva3
quartiere popolare di Gerland nella periferia sud della città.
Il progetto per la Confluence
In questo ambito particolarmente attivo ed innovativo nel
campo della progettazione urbana ed a più di due secoli dal
progetto di Perrache, la comunità urbana di Lione ha deciso
di riprendere la grande idea di estendere il centro della città a
sud della Presqu’Île.
Il progetto urbano di Michel Desvigne e François Gréther si
sviluppa come un processo dinamico fondato sull’esistente
e finalizzato alla riconversione delle infrastrutture industriali.
Sono principalmente due le strategie su cui è stato costruito
il piano.
La definizione di processi di trasformazione attraverso gli
strumenti urbanistici correnti, per un periodo di oltre 30 anni
e su di un’area così vasta, è un obbiettivo difficile a causa
delle troppe incognite in gioco. La forma “compiuta” e chiusa
del tradizionale piano direttore (plan de amenagement) non
garantisce i sufficienti margini di adattabilità e flessibilità che
invece vengono richiesti per l’implementazione di un progetto
di questa portata. La crisi degli investimenti immobiliari,
nuove sopraggiunte necessità di attrezzature pubbliche o, al
contrario, una forte richiesta di alloggi possono essere fattori
determinanti nella costruzione della città. Per questo motivo
il piano è stato concepito come una sequenza di processi
messi nella giusta successione, senza immaginare uno stato
definitivo di trasformazione ma piuttosto una serie di stadi
intermedi di metamorfosi.
100
figura 178
Schema interpretativo delle fasi di
sviluppo del progetto del parco: le
previste demolizioni delle strutture
industriali vengono progressivamente
sostituite con una serie di giardini
provvisori.
Fase 1 - La passeggiata provvisoria
lungo la Saône.
Fase 2 - Il rafforzamento del parco
lungo la Saône e i primi giardini
provvisori
in
corrispondenza
dell’attuale mercato generale.
Fase 3 - La compenetrazione
progressiva del parco nel tessuto
urbano.
Fase 4 - La conformazione definitiva
del parco e degli spazi verdi.
Di fatto il piano introduce nel progetto la variabile temporale,
la dimensione temporale del luogo. Senza prefigurare la città
a venire il progetto tenta di “donare ai luoghi delle qualità
fisiche che avranno un’influenza sulla definizione dei quartieri
a venire”.4
Il ritmo delle liberazioni fondiarie detta perciò l’evoluzione
dello spazio e le superfici esterne compongono una specie
di “cartografia mobile secondo il modello della rotazione delle
culture agricole”.5 Alla richiesta della committenza di realizzare
un parco unitario di 30 ha viene proposta l’alternativa di
un sistema di parchi che da subito possa cominciare ad
occupare il suolo disponibile in modo perenne o provvisorio.
L’idea dei “jardins provisoires”6 è necessaria ad evitare ogni
forma di indefinizione e di “terrain vague” nel lungo termine
dell’implementazione del progetto. Desvigne inventa un
paesaggio “a due velocità” in cui alcuni elementi provvisori
(prati e vivai) valorizzano il sito da subito. Gli elementi perenni
(costituiti da filari di alberature, terrapieni ed infrastrutture)
vengono progressivamente a costituire la conformazione del
parco finale.
Fase I - La passeggiata lungo la Saône
La prima fase del progetto Lyon Confluence prevede la
valorizzazione delle sponde della Saône attraverso alcune
sistemazioni paesaggistiche e nautiche che si inscrivono
negli orientamenti del Plan Bleu7 adottato dalla città di Lione.
I tempi per la realizzazione delle trasformazioni urbanistiche e
paesaggistiche dell’intero quartiere sono legate alla liberazione
dei lotti fondiari delle attività industriali e commerciali oggi
presenti, ma la sistemazione delle sponde della Saône è stata
prefigurata in netto anticipo come asse portante dei progetti
a venire.
La prima tappa del progetto prevede la realizzazione di un
percorso pedonale e ciclabile che renderà accessibile questo
tratto di lungofiume ai cittadini mettendolo in continuità con
tutte le passeggiate fluviali ed i parchi che si affacciano su
entrambi Saône e Rodano.
Attualmente dal Ponte Kitchener a nord della confluenza le
banchine sul lungo fiume presentano sezioni molto diverse
e difficilmente accessibili. A nord prevale il contesto urbano,
poi si aprono alcuni giardini a cui si succedono le cave di
sabbia in attività, il porto fluviale merci Rambaud ed infine la
confluenza. L’accesso alla sponda è puntuale e discontinuo.
I primi interventi prevedono la realizzazione dei passaggi al di
sotto dei ponti e l’apertura al pubblico del porto, ormai quasi
101
figura 179
La passeggiata del parco provvisorio
lungo la Saône.
completamente dismesso in modo da restituire la continuità
della passeggiata a partire dal centro della città. Già oggi
questa parte del progetto è quasi del tutto ultimata.
La sistemazione paesaggistica della passeggiata è stata
realizzata in un primo tempo attraverso alcuni interventi leggeri
e provvisori finalizzati ad evidenziare la leggibilità e continuità
del percorso pedonale. L’aspetto minerale delle banchine
è stato in parte mitigato attraverso l’introduzione di un “filo
conduttore vegetale” costituito dalle “piastre-giardino”.8 La
funzione delle piastre è quello di separare lo spazio riservato
alla passeggiata da quello destinato alle attività ancora in
funzione.
figura 180
Departement développement urbain
servive espace publique - Agence
d’urbanisme - Lyon
Il “Plan Bleu”
Fase II - Il parco
Gli studi preliminari al piano, realizzati nel 1998, vedevano nella
rinaturalizzazione delle sponde una possibilità di riscattare il
destino di quella parte della città che, pur centralissima, era
rimasta completamente esclusa dalle dinamiche urbane. Agli
spazi verdi e all’acqua era accordato il ruolo importante di
ricostituire la relazione tra la città ed i suoi due fiumi riportandoli
ad una conformazione pre-industriale.
L’idea di una riva completamente naturale sviluppata negli
studi iniziali non è stata accettata dal progetto di Desvigne.
Partendo dalla conoscenza precisa dell’evoluzione storica
del luogo e della sua trasformazione graduale da zona
acquitrinosa a penisola industriale e portuaria, Desvigne ha
invece accolto la conformazione attuale di fiume navigabile
proiettando nel progetto una visione realistica piuttosto che
romantica delle sue sponde.
Una serie di ragioni ha contribuito all’affermazione di questa
scelta non ultima una riflessione di carattere economico:
sponde naturali e un ambiente naturale umido sono sistemi
molto fragili che difficilmente potrebbero reggere alla pressione
urbana del centro di una città come Lione; inoltre intorno alla
città esistono già altri spazi fruibili che permettono questo tipo
di relazione con la natura fluviale.
Il progetto è, dunque, rivolto ad una soluzione più attenta alla
tradizione dei moli e delle banchine murate che caratterizzano
Lione e fanno parte della storia industriale e commerciale
della città.
In questo senso è stato studiato il nuovo porto turistico
sviluppando le attività nautiche sotto il punto di vista del loro
rapporto con le attività urbane e con la fondazione del nuovo
parco. L’equilibrio tra porto e parco è alla base dell’intero
progetto. La nuova darsena è stata pensata come un vero
102
figure 181 - 185
Progetto del parco lungo la Saône.
Viste del modello di progetto.
e proprio prolungamento e introversione delle banchine
esistenti all’interno del tessuto urbano, con l’intento di creare
un affaccio sull’acqua alla città.
Il parco previsto nella conformazione definitiva del
progetto a lungo termine riguarda circa 40 ha sui 150 della
superficie complessiva di intervento. La dimensione, seppur
ragguardevole, non può competere con quella degli altri
parchi urbani di Lione, dalla Tête d’Or a Gerland, rendendo
in qualche modo superflua un’ulteriore offerta di questo
tipo di spazio aperto pubblico. Il progetto del nuovo parco è
stato inserito in una logica diversa e più circoscritta: invece
di creare un altro parco urbano compatto il progetto prevede
una conformazione fisica frammentata degli spazi verdi che
penetrando nel tessuto urbano garantisca il massimo del
valore d’uso agli abitanti del nuovo quartiere.
Il progetto per la Confluence si pone come principale
obbiettivo la ricostituzione di un legame forte con il resto
della città. I punti di appoggio su cui fondare le scelte della
futura trasformazione sono rinvenuti nelle questioni di ordine
morfologico e paesaggistico, nella geografia e nella storia
peculiare dei luoghi. L’orientamento nord-sud dei due fiumi
lungo cui la città si è sviluppata non deve far dimenticare che
la crescita urbana è avvenuta in realtà da est a ovest, prima
lungo la sponda destra della Saône e poi progressivamente
verso il Rodano. Il diverso grado di sviluppo urbano, la
morfologia del territorio e la storia del diverso sfruttamento
industriale dei due fiumi hanno determinato una situazione
paesaggistica completamente diversa per le sponde fluviali:
urbane e strutturate quelle del Rodano, più accidentate e
“naturali” quelle della Saône.
Le caratteristiche rispettive dei due fiumi sono elementi di
un’identità ben riconoscibile che il sito condivide con il resto
della città e che possono essere ulteriormente valorizzati.
Il percorso della Saône si snoda attraverso la città con una
serie di anse che lambiscono le colline della Sainte-Foy. Le
sponde sono meno densamente abitate e la vegetazione
scende quasi fino al livello dell’acqua sul lato della città mentre
sulla Presqu’Île gli argini sono occupati da una serie di attività
commerciali e portuarie.
Il Rodano, al contrario, è caratterizzato da un andamento
rettilineo ed artificiale delle sponde. La rettificazione degli
argini risale al progetto di Perrache del 1769 che prevedeva
la costruzione del Ponte della Mulatière e definiva lo sviluppo
dell’urbanizzazione della Presqu’Île lungo il tracciato di un asse
maggiore rettilineo in direzione nord sud. Questa vocazione
103
figura 186
Schema interpretativo del progetto
Lyon Confluence: Il tessuto urbano
storico, il tessuto urbano del quartiere
di Sainte Blandine, il tessuto
insediativo di progetto.
di asse di comunicazione è stata confermata nel tempo ed
ancora fino all’epoca contemporanea con la costruzione
dell’autostrada.
La Saône
La conformazione della riva destra della Saône, formata dalle
pendici verdi della collina di Sainte-Foy che scendono fino
all’acqua, ha suggerito di prolungare lo stesso sistema lungo
la riva sinistra, in simmetria con il fiume. L’idea direttrice del
progetto di Desvigne è quella di un parco ramificato a partire
da una passeggiata verde lungo la Saône. L’ansa curva è
trattata come una specie di spina dorsale a partire da cui la
massa vegetale del parco penetra all’interno della Presqu’Île.
Le ramificazioni del parco costituiscono dei passaggi tra la
città, il nuovo porto turistico e il fiume. L’articolazione degli
spazi del parco secondo una logica di penetrazione modulata
moltiplica i punti di contatto tra l’habitat costruito e il parco.
La caratterizzazione “portuale” delle rive dell’attuale Quai
Rambaud (il porto in via di dismissione) verrà mantenuta
lungo tutta la sponda della Saône limitando l’accostamento
alle banchine alle sole barche ad uso turistico e ricreativo.
A partire dal fiume, e seguendo l’andamento del parco,
l’ambiente navale e nautico penetrerà nella città attraverso
una serie di darsene trasversali creando un affaccio sull’acqua
al nuovo tessuto urbano.
Il Rodano
A scala urbana le rive del Rodano costituiscono un asse
essenziale di organizzazione urbana a cui il progetto per
la Confluence si collega chiaramente, a prescindere dalla
presenza dell’autostrada. Questo asse urbano costituirà
necessariamente una delle componenti fondamentali nel
disegno del progetto di urbanizzazione.
Nonostante il declassamento dell’autostrada è previsto che il
flusso di traffico sul lungo Rodano rimanga elevato. Non sono
state ritenute sostenibili, però, grandi opere stradali come
l’interramento in tunnel sotterraneo del traffico. Al contrario
il progetto interviene in modo da implementare e facilitare i
mezzi di trasporto alternativi all’auto. L’autostrada esistente
verrà trasformata in un grande boulevard di superficie con
incroci semaforici. La dimensione del Quai Perrache lungo il
Rodano, con una larghezza di 48 m. permetterà la creazione
di una passeggiata pedonale e ciclabile tra due allineamenti
di alberi di grande fusto. Attraverso lo studio di una nuova
sezione della banchina verrà anche realizzata una passeggiata
a livello più basso che, lungo tutta la lunghezza del fromte sul
Rodano, consentirà l’attracco dei traghetti.
Il progetto unitario delle sponde del Rodano nella Presqu’Île
avrà anche un ruolo fondamentale nel raccordare i fronti
fluviali del quartiere esistente di Sainte-Blandine con le
nuove costruzioni previste nel progetto di sviluppo urbano.
Il trattamento paesaggistico ed architettonico ha individuato
nella ripetizione continua dei fronti fluviali del quartiere
esistente un principio di continuità da replicare nel settore sud
della Presqu’Île.
Il piano proposto da Desvigne per la trasformazione della
Presqu’Île è all’antitesi di un piano di “zoning” in cui, per ogni
spazio, vengono esattamente definite le funzioni. Al contrario,
partendo dai due presupposti cardine della caratterizzazione
104
figura 187
Schema interpretativo del progetto
Lyon Confluence: le direzioni viarie
esistenti, la trama viaria di progetto.
immediatamente il sito in corso di trasformazione.
La liberazione dei terreni attualmente occupati dalle strutture portuarie, commerciali o
industriali e la demolizione degli edifici dismessi avverrà necessariamente lungo un periodo
di tempo considerevole e secondo un ordine difficilmente prevedibile. Per evitare ogni forma
di “terrein vague”10 il progetto propone di trasformare le parcelle liberate dalle loro funzioni
originali in spazi verdi. Alcune di essi rimarranno permanentemente giardini venendo a
costituire progressivamente il parco; altre assumeranno solo provvisoriamente lo status di
giardino prima di venire occupate dalle costruzioni del quartiere. In questo modo ed in tempi
relativamente rapidi compariranno le prime installazioni verdi che prefigurano la forma finale
dello spazio urbano e del parco della Confluence.
IL PROGETTO URBANO
Il progetto urbano si sviluppa come un processo dinamico fondato sull’esistente e finalizzato
alla riconversione delle infrastrutture industriali.
Il piano presenta una prospettiva di insieme dell’area pensata nella lunga durata del processo
di trasformazione ed è strutturato secondo tre progetti guida: una fase iniziale che precede la
dismissione dell’autostrada sul lungo Rodano, una prefigurazione a lungo termine (30 anni)
e un quadro riassuntivo delle invarianti del progetto, (sostanzialmente la definizione dello
spazio pubblico).
verde e portuaria del nuovo quartiere, sono stabilite delle
relazioni fini e mutevoli nel rapporto della città costruita con
il fiume. Il parco ramificato costituisce allo stesso tempo una
passeggiata alla scala della città ed il supporto di una serie
di attrezzature sportive e ricreative alla scala del quartiere e
dell’isolato: piccoli giardini, campetti sportivi, parcheggi.
Le fasi della trasformazione e la costituzione progressiva del
parco
Il primo vero atto fondatore del progetto è costituita dalla
realizzazione della nuova darsena sul lato della Saône.
L’inizio della trasformazione lungo il Rodano sarà invece
legata al declassamento dell’autostrada a boulevard urbano.
La prima operazione nella creazione del parco sarà quella
di creare un “paysage provisoire”9 in grado di valorizzare
Il progetto a lungo termine
Il piano a lunga scadenza (projet long terme) esprime le prospettive e gli obbiettivi generali
del progetto una volta che siano state realizzate le grandi ristrutturazioni stradali e ferroviarie.
Il progetto resta, comunque, aperto per poter eventualmente incorporare le domande e le
nuove necessità che potranno insorgere con l’evoluzione urbana.
Lo sviluppo dell’urbanizzazione viene pensato per riproporre la densità e l’altezza degli
isolati del quartiere di Sainte-Blandine a nord della Presqu’Île. Un grande sistema di
paesaggio connette gli elementi costruiti tra loro e li inserisce in un’entità geografica più
vasta. L’interconnessione delle forme costruite e degli spazi aperti consente di aumentare
considerevolmente il perimetro dell’edificato affacciato sugli spazi privilegiati del parco e dei
bacini d’acqua. Alcune prefigurazioni rimangono volutamente aperte alle diverse condizionanti
e/o opportunità che si dovessero prefigurare in futuro, come per esempio la realizzazione di
un secondo ed un terzo bacino portuario.
Il progetto della prima fase
Il piano della prima fase (projet prèmiere ètape) costituisce un vero e proprio progetto urbano a
se stante, concepito per avviare il processo di trasformazione dell’area nella fase precedente
alla dismissione dell’autostrada. Questa prima fase è pensata per essere realizzata in un
arco di tempo di circa 10-15 anni e rappresenta circa un quarto della capacità edificatoria
complessiva del piano. Per favorire il primo reinserimento della Presqu’Île nel tessuto urbano
vengono definiti quattro settori di intervento: il polo Perrache-Verdun della stazione ferroviaria,
le rive della Saône, il quartiere di Sainte-Blandine, l’ingresso a sud della Presqu’Île.
Il progetto sulla stazione ferroviaria esistente prevede una parziale riconfigurazione del polo
scambiatore con il passaggio in sotterranea della nuova linea della metropolitana di superficie
e lo spostamento della stazione dei treni. Al livello di suolo sarà così possibile ripristinare un
105
figura 188
Schema interpretativo del progetto
Lyon
Confluence:
il
sistema
ambientale,
il
tessuto
urbano
esistente, il tessuto insediativo di
progetto.
confluenza dove nascerà il Musée des confluences.
In corrispondenza dell’esistente quartiere di Sainte-Blandine sono previsti interventi di
riqualificazione finalizzati alla valorizzazione dello spazio urbano.
Costanti
Il piano delle costanti (Constantes) ha lo scopo di garantire l’adattamento e la flessibilità nel
tempo del piano generale senza mettere in discussione la sua coerenza intrinseca e gli esiti
formali attraverso la definizione di un insieme di regole strutturali. L’insieme delle costanti della
pianificazione costituisce l’ossatura attorno a cui si svilupperà la realizzazione del progetto.
Nelle indicazioni programmatiche del piano le costantes saranno oggetto di un processo
partecipativo con gli abitanti del quartiere a cui verrà sottoposta l’approvazione dei contenuti
del piano e serviranno come base all’elaborazione del piano urbanistico ufficiale.
I contenuti del Piano delle Costanti riguarda principalmente la conformazione dello spazio
pubblico e le attrezzature collettive. Le regole fondamentali del piano sono:
·
l’estensione del parco sulla totalità delle rive della Saône senza un contorno preciso sul
lato della città;
·
la ripartizione delle funzioni del polo di interscambio intorno alla stazione e la ricostituzione
di un sistema di continuità urbana lungo il corso Verdun;
·
una nuova sezione per le banchine del lungo Rodano con un viale piantumato e un fronte
fluviale costruito rettilineo;
·
il prolungamento del reticolo stradale esistente verso ovest e verso sud superando l’area
ferroviaria;
·
le interconnessioni del parco con il porto e con la nuova urbanizzazione;
·
la creazione di ponti e passerelle sul fiume per creare dei collegamenti con i quartieri al
di là del Rodano e garantire la continuità delle passeggiate lungo il fiume prolungandole
verso il nuovo parco di Gerland;
·
la definizione dell’ubicazione delle grandi attrezzature urbane.
passaggio pedonale pubblico di attraversamento tra il nuovo
intervento urbano lungo Rue de Charlemagne e la Place Carnot
a nord eliminando almeno in parte la barriera costituita dalla
stazione ferroviaria. Intorno al nuovo ingresso sud saranno
realizzate alcune piazze con parcheggi sotterranei.
Lungo le rive della Saône sono stati già realizzati alcuni spazi
verdi transitori che prefigurano l’imminente riapertura del bordo
sull’acqua alla fruizione pubblica con la definitiva dismissione
delle strutture del porto Rambaud e delle attività di estrazione
delle cave di sabbia. Il primo intervento strutturale sarà la
creazione della darsena del nuovo porto turistico intorno a
cui saranno realizzati gli elementi del parco della Saône e gli
edifici del nuovo quartiere della Place nautique.
Il parco sarà prolungato fino alla punta estrema della
UN BILANCIO CRITICO
Il piano guida per la confluenza a Lione fonda le sue scelte di ordine formale e strategico
su di alcuni principi chiari e ben riconoscibili. Da una parte il riconoscimento di un principio
morfologico da seguire rinvenuto nella città esistente: la conformazione paesaggistica delle
rive di Saône e Rodano, i tracciati, il tessuto e le dimensioni della città esistente, l’allineamento
dei fronti sul lungo Rodano. Dall’altra la capacità di inserirsi nelle strategie generali a scala
urbana, nella politica dei parchi, dei percorsi pedonali lungo fiume, della rete dei trasporti.
In questo senso si può dire che è riconoscibile nel progetto la volontà di legittimare le scelte
formali e strategiche secondo principi oggettivi e condivisibili.
Il piano guida per Lyon Confluence è stato adottato recentemente e fino ad oggi sono stati
aperti solo alcuni cantieri minori relativi ad alcune sistemazioni della viabilità lungo Rue de
Charlemagne e per il sottopassaggio della ferrovia. La realizzazione del “parc provisoire” nella
primavera del 2003 lungo la Saône ha di fatto inaugurato i lavori che restituiranno le rive del
fiume alla fruizione pubblica e il processo di dismissione delle strutture portuarie e industriali
che attualmente le occupano. In sostanza è ancora presto per fare un bilancio anche se già si
può dire qualcosa sulla fase di implementazione del piano.
Alla fine del 2005 sono stati messi a gara secondo la procedura dell’Appalto Concorso i
106
figure 189
Viste di progetto degli spazi pubblici
verdi tra l’edificato.
figura 190
Viste della nuova piazza adiacente
alla stazione.
figura 191
Sezione di progetto di Rue de
Charlemagne.
figura 192
Sezione di
Rodano.
progetto
del
lungo
figura 193
Il tracciato della nuova linea della
metropolitanan di superficie su rue de
Charlemagne.
lotti del primo stralcio del progetto (projet premiere ètape)
corrispondente all’area circostante la nuova darsena. I lotti
coincidenti con la forma degli isolati proposti da Desvigne e
Grether sono stati assegnati ad una serie di imprese immobiliari
associate a “grandi firme” dell’architettura contemporanea. I
progetti risultati da tale procedura sono ovviamene rispondenti
ad una logica estranea alle questioni poste dalla necessità
reale di qualità di vita delle città e invece orientata su logiche
di mercato urbano e di marketing.
Il piano della prima fase, pensato per svilupparsi su di un
arco di tempo di circa 15 anni, è già definito in termini edilizi
nei minimi dettagli, almeno secondo le immagini accattivanti
e retoriche realizzate dai grandi studi di architettura. La
“strategia di adattamento”, prevista inizialmente per garantire
un margine di flessibilità ed il radicamento del progetto nei
tempi lunghi della sua implementazione, si è smorzata nello
scontro con le leggi del mercato urbano e con le sue esigenze
di marketing.
L’idea inserire programmaticamente l’imprevedibilità nel
progetto possiede una sua logica quando le forze economiche
sono di modeste dimensioni e frammentate (per esempio tutta
la città medievale e costruita sulla base di questo principio) e
assume un significato completamente diverso in un’economia
di mercato dominato da grandi gruppi immobiliari. Così
l’impatto con il mercato delle città in Lione sta ridimensionando
gli assunti più innovativi del progetto che in questo caso non
riguardano tanto lo spazio pubblico quanto le scelte legate alla
costruzione degli spazi privati: con quale architettura, con quali
materiali, con quali costi in termini ambientali e soprattutto con
quali profitti verranno realizzati. Occorre infine domandarsi se
nel contesto di Lione, a fianco di questa grande operazione
immobiliare, non siano proprio le strategie più modeste in
termini di quantità e risorse ad assumere maggior rilevanza
ed una portata decisiva sul lungo termine. In questo si può
trovare il lato positivo dell’operazione Confluence. Infatti non
si può non considerare la politica generale portata avanti dal
comune di Lione in ambito ambientale (Plan Bleu) e sulla
questione relativa alla riqualificazione dello spazio pubblico.
Il progetto per la Confluenza fa parte di una strategia ben
più ampia che è rivolta capillarmente alla scala metropolitana
ben oltre gli interessi particolari per la rivitalizzazione di un
singolo settore della città. In quest’ottica anche il singolo
progetto urbano, seppure riassorbito da logiche puramente
speculative, acquisisce una sua coerenza ed importanza.
Specialmente se si prende in considerazione la questione
107
figure 194
Vista prospettica del progetto per la
Confluence:
in rosa gli isolati della nuova
espansione
in marrone gli edifici esistenti.
figura 195
Vista propettica sulla nuova darsena di
progetto, prima fase dell’intervento.
figura 196
Pianta della nuova darsena di
progetto.
figura 197
Il progetto della nuova darsena.
dello spazio pubblico si deve riconoscere la qualità a lungo
termine di questo piano. Nuno Portas11 sostiene che la vera
permanenza della città nel tempo sia costituita, non tanto dalla
consistenza materiale degli edifici quanto dalla morfologia
dello spazio vuoto, pubblico e quindi fruibile da tutti. La
conformazione dello spazio aperto è il fattore che determina
la qualità ed il successo nel tempo di un piano, in questo caso
la garanzia di un suo perdurare nel tempo.
Il punto meno convincente del progetto della Confluence
rimane, forse, quello relativo agli aspetti della partecipazione
degli abitanti nelle decisioni riguardanti il quartiere di
popolare di Sainte-Blandine e i suoi 7000 abitanti. La grande
pubblicizzazione e trasparenza dell’intero iter progettuale si è
configurata piuttosto come una grande operazione di vendita
immobiliare che come un processo di condivisione delle
scelte urbane.
Ma anche in questo caso è necessario evidenziare l’aspetto
“buono” in considerazione delle condizioni attuali del quartiere
che acquisirà comunque significativi benefici e miglioramenti
dall’implementazione del piano.
NOTE
1
MOIROUX FRANÇOIS (2002), De mémoire de presq’île… Perrache XVIII - XX,
Lyon Confluence, Lione, p. 5
Ivi p. 14
3
Di fatto il progetto di Desvigne introduce un inversione nell’ordine logico
della progettazione della città. È emblematico, in questo senso, l’ordine
in cui sono stati sviluppati i diversi studi preliminari e di fattibilità per la
trasformazione del quartiere della Confluence. La prima cosa che viene
definita dal progetto è una passeggiata, poi il parco ed è solo inseguito che
si arriva alla definizione del progetto urbano complessivo. Il progetto nasce
dal progetto dello spazio aperto verde, dalle circostanze ambientali presenti,
dal vuoto e dalla relazione con le parti di città circostanti. Le decisioni prese
su questi presupposti definiscono e guidano tutte le altre scelte di ordine
compositivo.
4
DESVIGNE MICHEL (2001), «La fabrication pragmatique du territoire», in:
MASBOUNGI ARIELLA (a cura di), Penser la ville par le paysage, Ed. La Villette,
Paris, p. 53.
5
DESVIGNE MICHEL (2003), “Eliminare ogni forma di “terrein vague”, in: Giornale
di Architettura 10/2003, p. 20.
6
ibidem
7
Il Plan Bleu è il piano metropolitano per la gestione delle risorse idriche
cittadine recentemente adottato dall’amministrazione pubblica di Lione.
8
Una resa paesistica del materiale vegetale è stata ottenuta rapidamente
attraverso la tecnica delle “piastre-giardino” (plaques-jardin). Una gabbia
metallica a sezione triangolare che contiene terreno vegetale preseminato
funge da supporto alle piante. Attraverso le maglie della griglia fiori di
campo e piante graminacee finiscono per mascherare completamente la
terra armata. Le piastre sono appoggiate al suolo per consentirne il veloce
posizionamento e per poi poterle spostare e riposizionare in altri luoghi via
via che si procederà con la costruzione del progetto.
9
Il concetto di “Paesaggio provvisorio” è definito in: DESVIGNE MICHEL (2003),
“Eliminare ogni forma di “terrein vague”, Giornale di Architettura 10/2003, p.
20.
10
ibidem
11
Da un’intervista a Nuno Portas realizzata dall’autrice il 14 marzo 2005 a
Firenze.
2
108
III.4 LIMITI E SVILUPPI DELLA RICERCA
Niente di nuovo
L’obbiettivo iniziale della ricerca riguardava la verifica dei
possibili apporti innovativi delle discipline del paesaggio alla
progettazione urbanistica in termini teorici, metodologici e
operativi. Ma, come sostiene Corboz, il processo della ricerca
non coincide mai con i risultati e spesso si trovano cose che
non si cercano.1
La sorpresa, nell’arrivare alla fine di questo lavoro di ricerca
e nel ripercorrerne le fasi, è stata di non avere trovato, in
definitiva, nulla di nuovo.
Gran parte degli assunti teorici ed operativi derivati dalla
lettura dei progetti sono riconducibili ad aspetti già conosciuti
della città e del paesaggio esistenti, alla pratica della
progettazione urbanistica corrente e perfino alla tradizione
storica di costruzione della città.
Questo non esclude, però, che nei progetti non risieda la
capacità di avanzare un poco oltre per dare un contributo
nuovo alla pratica del progetto urbano. L’innovazione dei
progetti analizzati si riscontra, piuttosto, nella loro capacità
mettere in relazione reciproca i principi teorici ed operativi
nell’ambito delle sperimentazioni progettuali. Ricorrendo ad
una metafora, se di “questioni di cucina” si tratta, non sono gli
ingredienti in sé a costruire il sapore di una pietanza quanto
la loro miscela, l’ordine di inserimento, il modo in cui vengono
preparati in relazione al recipiente e al tipo di cottura.
La novità consiste, quindi, nella capacità di recuperare e
rielaborare in maniera specifica e pertinente alcuni assunti
e dispositivi progettuali già sperimentati: l’analisi dei luoghi,
il progetto per inserzioni puntuali, il salto di scala, lo spazio
pubblico come connettivo, l’uso dei materiali vegetali,
…. L’efficacia del progetto risiede proprio nel riproporre
strumentazioni già sperimentate e conosciute che, combinate
tra loro in una strategia complessa e relazionale2, si adattano
di volta in volta al contesto specifico del luogo.
Nei progetti studiati non si riscontra nessuna grande novità,
nessuna formula, nessun aspetto eclatante, nessuna nuova
definizione o terminologia ma alcune scelte che trovano
nell’uso dell’intelligenza e nella ricostituzione di un rapporto
di intellegibilità con le cose il fondamento della pratica del
progetto urbanistico.
In quest’ottica un altro aspetto che deve essere messo in
evidenza è l’attenzione di questi progetti per le questioni
relative all’ordinarietà della città esistente piuttosto che per
109
gli avvenimenti urbani eccezionali. Lo sguardo è riportato su questioni meno eclatanti ma più
consistenti come il recupero dei grandi insediamenti suburbani, il discorso sul destino degli
spazi di risulta tra reti infrastrutturali ed insediamenti, la riqualificazione e la fruizione dello
spazio aperto.
Tuttavia vanno evidenziati alcuni aspetti critici di questa strategia che vede nel paesaggio
un aspetto strutturale nel progetto di trasformazione e riqualificazione della città
contemporanea.
Il primo deriva dalla riflessione che senza la sovrastruttura di una politica ambientale chiara
e complessiva gran parte di questi discorsi sul disegno, la composizione, la forma, la fruibilità
dello spazio perdono il loro significato e la loro efficacia.
È infatti in Francia che si riscontrano i risultati migliori perché questo approccio é inserito in un
contesto normativo, urbanistico e processuale sperimentato e consolidato negli anni. Il progetto
urbano funziona effettivamente come uno strumento di conoscenza e riqualificazione della
città che ha consolidato nel tempo una tradizione operativa efficace. Quello che si sta facendo
oggi in Francia rappresenta l’affinamento e la messa a punto di una serie di strumenti operativi
del progetto urbanistico che in realtà già funziona bene. Non si può pensare, quindi, di poterli
importare acriticamente nelle nostre città senza avviare, a monte, un discorso più generale
su questioni relative a morfologia urbana e paesaggio, istanze sociali e di partecipazione,
tematiche ambientali, mobilità.
Un altro limite della ricerca può essere rinvenuto nel taglio prettamente progettuale e
compositivo. Questo ha fatto si che gli obbiettivi si siano concentrati sull’approfondimento di
quegli aspetti che riconoscono nella specificità dei luoghi il punto di appoggio del progetto e
trovano nel lavoro sulla morfologia il campo disciplinare proprio per affrontare le problematiche
della città. Lo stesso tema si presta, però, ad essere approfondito a partire da altri punti
di vista possibili secondo alcune tematiche che sono state qui trattate solo marginalmente
come aspetti secondari di argomenti correlati. Si possono individuare almeno due campi di
approfondimento ulteriore. Il primo riguarda tutte le questioni legate alla partecipazione e al
ruolo attivo dei cittadini nei processi di modificazione urbana ed in cui la definizione di città
e di paesaggio assuma principalmente un’accezione culturale secondo la definizione della
Convenzione Europea del paesaggio3. Il secondo costituisce il naturale sbocco della ricerca in
un approfondimento da svolgersi nel campo delle tecniche urbanistiche (strutture, dimensioni,
distanze, regole, materiali, …) relativo ai progetti studiati.
Un’applicazione ai territori della dispersione insediativa
In sintesi e rimanendo in un ambito prettamente disciplinare vale la pena di valutare una
possibile applicazione delle strategie e dei principi rinvenuti dalla ricerca ai territori della
dispersione insediativa. 4
La straordinaria dilatazione dello spazio aperto della città ha determinato una situazione in
cui prevale nettamente la quantità dello spazio aperto su quella del costruito. Il frammento,
la discontinuità, la sovrapposizione sono stati da molti ritenuti i connotati peculiari del
territorio suburbano. La parcellizzazione degli habitat umani, animali e vegetali, delle unità
ecosistemiche, delle unità spaziali omogenee ha determinato una situazione di alterazione
strutturale e di disarticolazione spaziale da cui risulta una progressiva e generale perdita di
biodiversità.5
L’eterogeneità dei paesaggi suburbani non impedisce, però, di poter tentare la ricostruzione
di un orizzonte di senso comprensibile e di una forma unitaria. Là dove le altre discipline non
vedono che caos, giustapposizione di oggetti e omogeneizzazione, il progetto di paesaggio
può orientare un nuovo cammino progettuale6 specialmente se, come nei casi sperimentali
trattati, esso è in grado di allearsi con metodi e strategie del progetto urbanistico.
Il disegno degli spazi aperti assume in questo ambito un ruolo fondamentale e paragonabile a
quello della rete stradale nella città moderna,7 cioè quello di dare forma alla città attenuandone
la frammentarietà e di porsi come connettivo fra i diversi frammenti che la costituiscono in
termini di posizione, dimensione, funzioni e ruoli. In questo senso è indispensabile tornare a
riflettere in modo sperimentale sui caratteri dello spazio aperto, sul suo ruolo di mediazione e
sulla sua capacità di influire sulla forma della città contemporanea.8 Si tratta, quindi, di avviare
un’esplorazione che a partire dall’analisi di casi concreti sperimenti una nuova modalità
progettuale rivolta alla complessità spaziale dei territori suburbani e che contempli la possibilità
di colmare la distanza tra pratica artistica e tecnica ecologica.9
Gli “ingredienti” di questa possibile sperimentazione sono di due ordini: quelli relativi alla
necessità di un approfondimento conoscitivo del territorio e quelli pertinenti ad una pratica del
progetto.
Per valutare la sedimentazione e lo spessore del territorio urbano ed il suo grado di specificità,
esistono vari strumenti che derivano da una prassi ormai consolidata e che costituiscono una
importante fase preliminare del progetto. Tra quelli che la ricerca ha più o meno direttamente
trattato si possono citare la Land Suitability Analysis (McHarg, Forman)10; le simulazioni di
sviluppo (McHarg) e la costruzione di scenari (Secchi); la Overlay Mapping technique (Forman
in ambito ecologico, Leveillè in ambito storico e topografico); il sopralluogo come strumento
per la conoscenza dei luoghi attraverso il contatto diretto (Smithson, Isola); la rielaborazione
inventiva di tutti i dati dell’analisi (Corajoud).
Su di un piano più prettamente progettuale si possono elencare sinteticamente alcune
strategie che sono state individuate nei casi di studio presi in considerazione dalla ricerca
e che si prestano ad una possibile applicazione ai territori della dispersione insediativa: il
recupero degli spazi di risulta e degli affioramenti di usi antichi in nuove logiche, significati
e fruizioni con lo scopo di una strutturazione relazionale dello spazio; la salvaguardia dello
spazio aperto che contempli l’implementazione di colate verdi e di reti ecologiche fruibili dai
cittadini come connessioni alternative ai sistemi di trasporto tradizionali; la definizione di
strategie di adattamento del progetto nel tempo; la definizione di una strategia progettuale per
punti diffusi efficace con il minimo delle risorse economiche e quindi sempre realizzabile; l’uso
delle risorse ambientali esistenti (reti idrologica e fluviale, aree agricole, masse vegetali) come
palinsesto di una nuova rete di connessione verde e capillare; l’inserimento di nuove forme
insediative, edifici, attrezzature di supporto ed integrazione del tessuto esistente prevedendo
delle densificazioni e ricalcando la morfologia; la riqualificazione e riuso delle strutture esistenti
piuttosto che una loro ricostruzione.
È necessario, in definitiva, avviare un’adeguata riflessione sui materiali della città contemporanea
e su tutto quello che non è stato ancora compreso, capito, studiato e che oggi siamo portati a
liquidare come “informe”. Per abbandonare la superficialità che ci fa guardare la città diffusa
come un nulla continuo è necessario cominciare ad applicare gli strumenti e le tecniche che ci
consentono di “vedere” la sua reale essenza ed il suo spessore e “curare” la sua forma.
110
Il discorso che deve essere portato avanti, perciò, non riguarda solo gli aspetti interpretativi
quanto una pratica sperimentale che contempli la possibilità reale di una rivalorizzazione
dello spazio attraverso azioni concrete oltre che mentali. L’attenzione all’ambiente naturale
ed urbano e a tutte le sue forme sensibili implica di rinnovare l’attenzione verso tutte quelle
tecniche di costruzione della città e del territorio che possono essere utilizzate in modo
consapevole per evitare di compromettere irrimediabilmente le risorse essenziali. In questo
senso assume particolare rilevanza il discorso sullo spazio pubblico e sulla fruibilità del territorio
in un momento in cui la tendenza è quella di una generale privatizzazione dello spazio urbano.
Questa riflessione sotto intende un discorso più generale cioè quello della rivendicazione del
diritto per tutti all’accesso alle risorse naturali fondamentali (aria, acqua, terra) oltre che allo
spazio aperto.
NOTE
1
Corboz paragona la ricerca ad una scatola chiusa in cui: “le istruzioni per
l’apertura della scatola si trovano dentro di essa”. CORBOZ ANDRÉ (1996), “I
riflessi del ricercatore e l’oggetto della ricerca”, Parametro 216, p. 58.
2
Si potrebbe forse parlare di un’”ecologia delle idee di tipo relazionale”. Cfr.
PIZZIOLO GIORGIO (2003), Dai margini del caos l’ecologia del progettare, Alinea,
Firenze, p. 470.
3
L’articolo 1.a della Convenzione Europea del paesaggio ratificata a Firenze
il 20 ottobre 2000, recita “Paesaggio designa una determinata parte di
territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva
dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni.”
4
Per la definizione della città della dispersione insediativa cfr. CORBOZ ANDRÉ
(2000), “La Suisse comme hiperville”, Le Visiteur 6 – ville, territoire, paysage,
architecture, Société des Architectes, Paris, p.125.
5
PAOLINELLI GABRIELE (2003), Frammentazione del paesaggio periurbano:
criteri progettuali per la riqualificazione della Piana di Firenze, Firenze
University Press, Firenze, p.32.
6
MAROT SEBASTIEN (1995), L’alternative du paysage, in: Le Visiteur 1 - ville,
territoire, paysage, architecture, Société des Architectes
Paris, p. 74.
7
SECCHI BERNARDO (2002), Prima lezione di urbanistica, Laterza, Bari, p.
159.
8
FRAMPTON KENNETH (1988), cit. p. 1988
9
CORNER JAMES [a cura di] (1999), “Recovering landscape as a critical cultural
practice”, in: Recovering landscape: essays in contemporary landscape
architecture, Princeton Architectural Press, New York, p.18.
10
Per la definizione in dettaglio di questi termini derivati dall’Ecological
Planning si veda: FORMAN RICHARD T. T. (1995), Land mosaics: the ecology of
landscapes and regions, Cambridge University Press, Cambridge.
111
Parte IV
I materiali della ricerca
112
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10 years of topos, Topos 40-2002
Introduzione
Figura 1
10 years of topos, Topos 40-2002
Parte I
Figure 5/7/8/10-15/21/22//25/38/63/65-69
BELFIORE MANUELA (2005), Il verde e la città. Idee e progetti dal Settecento ad oggi,
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Figure 17/18
GIORDANI PIER LUIGI (1972), L’idea della città giardino, Calderini, Bologna
Figure19/20/58/59
Il disegno dello spazio aperto, Casabella 597/598-1993
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Fare l’ambiente, Lotus Navigator 5-2002
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Figura 23
Le Corbusier, Casabella 531-532 1987
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DEUNK GERRITJAN (2002) , 20th century garden and landscape architecture in
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Figura 42
LUND ANNEMARIE (1997), Guide to Danish landscape architecture 1000 - 1996, Arkitektens
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Figura 46
Il disegno del paesaggio italiano, Casabella 575/576-1991
Figure 60/61
http://corajoudmichel.nerim.net/
Figura 62
Urban planning, Topos 34-2001
Figura 68
ALCOZER FEDERICA [a cura di] (2004), +Città, Catalogo della mostra, Urbanregeneration,
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116
Parte II
Figura 70
Il disegno dello spazio aperto, Casabella 597/598-1993
Figura 90
BELFIORE MANUELA (2005), Il verde e la città. Idee e progetti dal Settecento ad oggi,
Gangemi, Roma
Figura 71
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Figure 92/93/94/95/96/132-140
Fare l’ambiente, Lotus Navigator 5-2002
Figura 73
MAROT SEBASTIEN (2003), Sub-urbanism and the art of Memory, Architectural Association,
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Genève
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http://www.latzundpartner.de
Figure 104/106/107/108
PERRIN CARMEN (2004), Contextes, Infolio ed., Genere
Figura 105
DESCOMBES GEORGES (1988), Il territorio transitivo (Shifting Sites), Gangemi, Roma
Figure 110/111
Urban planning, Topos 34-2001
Figure 119/124/125
Detail 4 2003
Figure 126/127/128/129/130/131
AA.VV. (1995), Ørestaden: the masterplan, Ørestadsselskabet, Ørestad
Figura 141/175
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Figure 149/150/151
LEVEILLE ALAIN [a cura di] (2003), 1896-2001 Projets d’urbanisme pour Genéve, Georg
Editeur, Genève
Parte III
Figura 81
MASBOUNGI ARIELLA [a cura di] (2002), Penser la ville par le paysage, Ed. de la Villette,
Paris
Figure 152/153
LEVEILLE ALAIN, CASSANI YVES, MAYOR MARIE-PAULE (1993), Atlas du territoire
genevois - Permanences et modifications cadastrales aux xixe et xxe siecles, Georg Editeur,
Genève
Figura 82
Il disegno dello spazio aperto, Casabella 597/598-1993
Figure 154-157
COGATO LANZA ELENA (2005),”Le territoire inversé” in: VERSTEEGH PIETER (2005),
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Figura 84
Urban concepts, Topos 38-2002
Figura 85
Velocità controllate, Lotus Navigator 8-2002
Figure 159-161
http://corajoudmichel.nerim.net/
Figure 167/168
http://www.urbanisme.equipement.gouv.fr/index.html
Figure 86/87/116/117/118
MASBOUNGI ARIELLA [a cura di] (2003), Grand Prix de l’urbanisme: Michel Corajoud et cinq
grandes figures de l’urbanisme, Direction Générale de l’Urbanisme, Paris
Figura 169/176/181-185/189
AA.VV. (2000-2001), L’atelier du projet, Saeml Lyon Confluence, Lyon
Figure 88/89
10 years of topos, Topos 40-2002
Figure 170-174
MOIROUX FRANÇOIS (2002), De mémoire de presq’île… Perrache XVIII - XX, Lyon
117
Confluence, Lione
Figura 179
Il giornale dell’architettura 10/2003, pp.20-21
Figura 180
Plan Bleu, Departement Developpement Urbain Service Espace Publique - Agence
D’urbanisme – Lyon
Dove non altrimenti specificato le foto o i grafici sono dell’autrice.
IV.3 SITI WEB CONSULTATI
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http://corajoudmichel.nerim.net
Faces, journal d’architectures
http://www.unige.ch/ia/faces/
Lyon-Confluence
http://www.lyon-confluence.fr/index.php
Ministero dell’urbanistica, Francia
http://www.urbanisme.equipement.gouv.
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Le Visiteur - ville, territoire, paysage, architecture
http://www.sfarchi.org/publications/
visiteur
Facoltà di Architettura di Ginevra
http://www.unige.ch/
Città di Montpellier
http://www.ville-montpellier.fr/vmtm/
Città di Nantes
http://www.projets-urbains.nantes.fr/
Peter Latz Landscape architect
http://www.latzundpartner.de
Comune di Roma
pianoregolatore/
http://www.urbanistica.comune.roma.it/
dipartimentoVI/pianificazione/
prg/index.html
The European Journal of Planning
ww.planum.net
118