da Casa Madre - CONSOLATA MISSIONARIES KENYA
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da Casa Madre - CONSOLATA MISSIONARIES KENYA
da Casa Madre Anno 92 - N.9 - 2012 Istituto Missioni Consolata Perstiterunt in Amore Fraternitatis Moçambique, Miruru, Missão de São Pedro, Altar da Igreja Editoriale DIVENTARE MISSIONARI DISCEPOLI P. Giuseppe Ronco, IMC Il mese di settembre chiude il periodo delle vacanze e ci riporta agli impegni quotidiani della nostra vita. Come sarà programmato l’impegno missionario e la vita in comunità del prossimo futuro? Sarà un itinerario all’insegna della monotona ripetitività del passato, spesso frutto di lievito ormai rancido e inefficace, o avrà in sé l’effervescenza frizzante e spumeggiante del vino nuovo che fa scoppiare gli otri vecchi, esigendo il travaso in otri nuovi? rifiutandolo, staccandosi da lui, e rinnegando così il motivo principale della sequela. E’ l’eterna domanda che si ripropone all’inizio di ogni cammino e che spesso non trova un’energica decisione di vita nuova, ma si ristagna in pii desideri che non si realizzano mai. La sequela di Gesù Ogni nuovo cammino ci chiede di rifondare la missione nella sequela di Gesù. Il missionario discepolo non è soltanto colui che impara (manthàno), ma colui che segue il Maestro (akoluthéo), avendo come obiettivo di immergersi nell’esperienza del Padre, conformandosi a Gesù stesso. Non basta più l’imitazione di Cristo: occorre consegnarsi (paradidomi) a lui, condividendone la vita e il destino fino alla morte. E’ l’ora di lasciare (aphiemi) subito (euthys) le reti, ciò che spesso consideriamo le nostre ricchezze, il nostro egoismo. Lo stile di vita che ci attende è di camminare con lui, insieme ad altri discepoli, per andare ad annunciare a tutti la buona notizia del suo Regno. 2 Il modello opposto è Giuda, discepolo che non si consegna, ma che consegna Gesù da Casa Madre 9/2012 La nudità necessaria: un’icona originale Giacomo Perego, ottenuta la licenza in Scienze Bibliche presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma, ha conseguito nel 2000 il Dottorato a Gerusalemme, presso l’Ecole Biblique et Archéologique Française di Gerusalemme. Recentemente ha pubblicato la sua tesi di laurea presso le Edizioni San Paolo con questo titolo: La nudità necessaria. Il ruolo del giovane di Mc. 14, 51-52 nel racconto marciano della passione-morterisurrezione di Gesù. Tema interessante, che ci permette di riflettere in profondità sul missionario discepolo. L’autore vede nel giovanotto (neaniskos) di Mc 14, 51-52 l’icona del discepolo che seguendo Gesù fa l’esperienza della totale spogliazione di sé. "Il giovane diventa il segno di quella “nudità necessaria” evocata dallo stesso Maestro più volte nel corso del suo ministero pubblico: in fondo, rinnegare se stessi (8,34), assumere nella propria vita la logica della croce (8,34), essere disponibili a perdere ogni cosa per Cristo (8,35), scegliere gli ultimi posti in un‘ottica di totale servizio (9,35; 10,43-44), essere disponibili all‘umiliazione e al rifiuto (13,9-13), passare attraverso lo scandalo e la fuga (14,27) sono tutte esigenze che possono essere sintetizzate in un‘unica espressione: fare esperienza della propria nudità". Il cammino del neaniskos Nel Getsemani il neaniskos si è spogliato di ciò che aveva, ma per fuggire e non per seguire Gesù. Ha ripetuto lo stesso comportamento dei discepoli che hanno lasciato solo Gesù nel momento cruciale del suo ministero (14,50). Rifiutando il coinvolgimento nel destino del Maestro che si stava consegnando nelle mani dei peccatori, ha rinnegato la sequela. buona notizia. Vengono meno a un compito fondamentale: quello di trasformare la sequela in annuncio, il discepolato in apostolato. Sotto l‘ombra della fuga, del silenzio e della paura, le donne come del resto i discepoli durante la passione — escono di scena come un ulteriore "modello imperfetto" di discepolato da cui ci si deve guardare. Ma ecco, alla fine, apparire un neaniskos nuovo in Mc 16, 1-8. è lo stesso neaniskos che nel Getsemani era fuggito, ma qui diventa l'icona del vero missionario discepolo, capace di testimoniare la risurrezione stando seduto sulla destra della tomba, e di annunciare con gioia alle donne: "è risorto, non è qui". La risurrezione l’ha trasformato. Dalla nudità è passato alla veste bianca, dalla fuga all’essere seduto alla destra, simbolo della piena partecipazione alla figliolanza di Dio (cf Ps 110,1); dalla paura di coinvolgersi nel destino di Gesù al diventare vero missionario che annuncia la bella notizia. Egli diventa per Marco la figura universale del discepolo che davanti alle difficoltà della sequela sperimenta la propria debolezza e fragilità e sa quanto sia arduo essere coerenti senza prima aver ricevuto la forza dalla luce del mistero pasquale. Nel vangelo di Marco, anche le donne alla tomba fanno la stessa esperienza. Incapaci di credere, chiudono gli occhi davanti al reale della tomba vuota, restando legate a un vocabolario di morte, legato all’unzione del corpo, del sepolcro e della pietra che lo sigilla. Il giovane consegna loro un preciso mandato: ma esse, invece di recarsi dagli apostoli, escono dal sepolcro dandosi alla fuga; invece di portare l‘annuncio si chiudono nel silenzio; invece di essere fortemente confermate nella loro fede, restano scosse da una forte paura. Fuga, silenzio e timore: tre atteggiamenti totalmente inadeguati per chi si propone di essere testimone di una 3 da Casa Madre 9/2012 L’emblema del discepolo "Il contrasto che si viene a creare tra le donne e il giovane fa di quest‘ultimo l‘emblema del discepolo che ha fatto esperienza del mistero pasquale, vivendo sulla propria pelle l'esigente logica della spoliazione e della rinascita in Cristo. Come il giovane, ogni discepolo è chiamato a farsi portavoce di questa buona notizia, 4 da Casa Madre 9/2012 manifestando nei gesti e nelle parole il vivo dinamismo della salvezza. Marco, da questo punto di vista, è molto concreto: non esiste annuncio di risurrezione né proclamazione del Vangelo, se non a partire dall‘esperienza personale che di essa possono fare i discepoli". L’Allamano nell’iconografia SETTE DIPINTI DELLO STESSO AUTORE P. Francesco Pavese, IMC L’artista che ha dipinto il maggior numero di quadri dell’Allamano in Italia, sette e uno differente dall’altro, è senza dubbio Bruno Traverso, importante pittore veneto ed egregio ritrattista. Per primo ha realizzato l’arazzo della beatificazione, poi altri 6 quadri, destinati a posti diversi. Di per sé i quadri sarebbero otto, ma uno non è esposto al pubblico. Conviene fare un breve accenno alla loro ubicazione, in quanto sono una ricchezza per l’Istituto. L’arazzo si trova nella chiesa della casa delle Missionarie della Consolata in Corso Allamano, a Grugliasco; un altro dipinto di notevoli dimensioni (cm 120 x 160), quello con i due ragazzini coreani seduti ai piedi del Fondatore, è esposto nel santuario del Beato Allamano in Corso Ferrucci a Torino. Questi due quadri sono molto conosciuti, essendo stati pubblicati diverse volte sulle nostre riviste, e non hanno bisogno di illustrazione. Il Traverso aveva dipinto un quadro, olio su tela (cm 60 x 80 circa) del Fondatore seduto in poltrona, donato poi al p. Candido Bona come omaggio per il grande lavoro connesso con la pubblicazione delle lettere; attualmente questo quadro si trova in casa madre, nell’ufficio riservato al superiore generale. Due altri quadri sarebbero nella casa generalizia, mezzi busti del Fondatore con espressioni differenti, olio su tela (cm 60 x 80); lo dico al condizionale, perché uno, forse il migliore di cui sono fatte cartoncini e immagini, non si sa dove sia finito, dopo essere stato esposto nella basilica di Santa Maria Maggiore durante la Messa di ringraziamento il giorno dopo la beatificazione. Due quadri sono all’estero: uno di notevoli dimensioni nel santuario della Consolata, a Nairobi, esposto nell’abside accanto al quello della Consolata di uguali dimensioni; un altro (cm 70 x 90 circa) è nella chiesa parrocchiale di Kigamboni, in Tanzania. Di queste sette quadri ne presento solo due, che si ispirano a fotografie differenti del Fondatore e che sono esposti in Africa. Nel santuario della Consolata a Nairobi. È un olio su tela di grandi dimensioni che ha un evidente collegamento con le nostre origini. L’ambiente è caratteristico dell’altopiano africano, con sullo sfondo il monte Kenya. Il Fondatore è dipinto al centro in grandi dimensioni, con il dito della mano destra puntato sul globo a indicare la missione dei suoi figli e figlie. In basso e in primo piano, ma in dimensioni ridotte rispetto al Fondatore, ci sono tre personaggi importanti: il Capo Karoli, che indica il card. M. Othunga, in quel tempo arcivescovo di Nairobi, ad una mamma con i suoi figli. Il simbolismo di questo dipinto è evidente. da Casa Madre 9/2012 5 dipinto dal Traverso. Ciò che conta è che la sua presenza, esposta addirittura in un santuario, è significativa per noi e ci ricorda un periodo epico della nostra storia missionaria. Come più significativa ancora è la figura del card. M. Othunga, personaggio chiave nella Chiesa del Kenya, che diventa quasi un sigillo all’operato del nostro Istituto. Non dimentichiamo che da Tuthu, piccolo villaggio quasi sperduto ai margini della foresta dell’Aberdare, dove è stata celebrata per la prima volta la S. Messa il 29 giugno del 1902, l’opera dei nostri confratelli si è allargata a macchia d’olio ed ora sono sette le diocesi nate e sviluppate da quel piccolo seme gettato in un terreno fecondato dalla grazia di Dio e da tanti sacrifici dei missionari. È pure interessante l’idea dell’artista di avere inserito, accanto a questi due personaggi, un’umile mamma africana, con i suoi figli. I missionari sono stati fin dall’inizio al servizio della gente e questa figura sembra volerlo ricordare. È stato felice il Fondatore quando la Santa Sede ha approvato il metodo missionario dell’Istituto, che prevedeva appunto la promozione umana come parte integrante dall’evangelizzazione propriamente detta. Accanto all’Allamano, questa mamma, che rappresenta un’intera popolazione, si trova a suo pieno agio. Il 7 ottobre 2010, in occasione del 20° anniversario della beatificazione dell’Allamano e nel 100° anniversario della fondazione delle Missionarie della Consolata, nella basilica della “Sacra Famiglia”, cattedrale di Nairobi, è stato inaugurato un altro dipinto dell’Allamano, opera di Leonard Katete, artista ugandese. 6 Il Capo Karoli ricorda l’origine della nostra avventura missionaria in Kenya, perché è lui che ha accolto i nostri pr9imi quattro a Tuthu, li ha favoriti in tanti modi e, infine, si è convertito, ricevendo i sacramenti del battesimo e del matrimonio nella Chiesa Cattolica. Di questo personaggio si è scritto molto, discutendo i motivi veri che erano alla base dei suoi favori ai missionari italiani. Non è questo che interessa sapere mentre si contempla il quadro da Casa Madre 9/2012 Non è senza significato che nel Kenya, prima nazione evangelizzata dai figli e figlie dell’Allamano, la sua effige possa essere venerata nelle due principali chiese della Capitale. «Noi cristiani siamo orgogliosi del Beato Allamano che ha trasformato il Kenya con il dono della fede e della promozione umana attraverso l’opera generosa dei suoi missionari». Queste parole di un cristiano di questa nobile terra sono un dovuto riconoscimento e un omaggio per il nostro Padre, ma anche un incoraggiamento per noi a continuare con generosità la nostra missione, non solo nel Kenya, ma ovunque nel mondo. Un quadro dell’Allamano accanto alle sue reliquie. Anche il quadro esposto nella nuova chiesa parrocchiale di Kigamboni, in Tanzania, merita di essere illustrato in modo particolare. Sulla parete di fondo, a destra dell’altare, figura un quadro della Consolata e a sinistra uno dell’Allamano, entrambi dipinti dal Traverso. Il quadro dipende da una fotografia del 50° di ordinazione, in cui il Fondatore è debitamente ringiovanito e addolcito nell’espressione, e lo sfondo idealizzato con i colori del cielo. Perché l’artista si sia ispirato a questa foto, che ha un aspetto piuttosto intenso, per non dire severo, piuttosto che ad altre, non è facile sapere. Probabilmente, il pittore è stato colpito dallo sguardo caratteristico del Fondatore, proprio di un uomo volitivo. Tanto è vero che in casa generalizia esiste un quadro analogo, ispirato alla stessa foto, di cui ci sono le cartoline e buoni ingrandimenti. Anche molti dei nostri, in passato, sono stati colpiti dallo sguardo del Padre e si sono spiegati in diversi modi: «occhi che penetravano ad interrogare il cuore». «sguardo penetrante come vedesse l’interno delle anime»; «sguardo che imponeva riverenza»; «gli bastava uno sguardo». All’inizio di gennaio del 2006, la chiesa parrocchiale di Kigamboni è stata consacrata dal Nunzio Apostolico mons. Joseph Chenoth, su incarico dell’Arcivescovo di Dar-es-Salaam, card. Polycarp Pengo. Il parroco, p. Luciano Scaccia, con pensiero delicato e coerente, ha voluto che nel sacrario dell’altare, fosse sigillata anche una preziosa reliquia del Fondatore. In quella chiesa, perciò, non c’è solo un quadro, ma anche qualcosa di più prezioso appartenuta all’Allamano e un ciuffo dei suoi capelli. Il Nunzio Apostolico, a testimonianza dell’avvenuta consacrazione, ha rilasciato un documento firmato e sigillato: «Sia noto che in questo giorno, 29 gennaio 2006, commemorativo della fondazione dell’Istituto Missionari della Consolata, io […], in presenza di sacerdoti, religiosi e di fedeli laici, ho consacrato e dedicato la chiesa parrocchiale di Kigamboni, sotto la protezione della Beata Vergine Maria Consolata e del Beato Giuseppe Allamano, le cui reliquie sono state sigillate nell’altare». Certamente i cristiani della comunità di Kigamboni sentono l’Allamano un po’ di famiglia. È il loro protettore, assieme alla Consolata, ed è pure loro modello. Chissà quante volte si rivolgono a lui e gli parlano, come gli parliamo noi. Questa non è solo un’immaginazione della fantasia, ma una realtà, come attestano i nostri missionari. E non solo in questa chiesa, ma anche in tutte le altre, e sono molte nel mondo, dedicate al Fondatore. L’Allamano, attraverso l’opera dei suoi figli e figlie, è oggi inserito in molte comunità ecclesiali e le assiste nel loro sviluppo. L’Allamano è vicino alle persone e scruta i loro cuori con il suo sguardo di Padre, infondendo coraggio! Questo è l’Allamano che il Traverso presenta in queste opere. da Casa Madre 9/2012 7 “L’utopia di Francesco si è fatta... Chiara“ (Raimon Panikkar) LA CROCE E LE STIGMATE P. Giuseppe Ronco, IMC 8 Tutta la vita di Francesco si riassume, nel linguaggio cristiano, in una parola: la croce. Francesco d’Assisi fu ed è, per la Chiesa, un richiamo perentorio alla centralità del kerygma della croce. giovannea, coniugando sul volto di Cristo il dolore e la gloria. Inchiodato sulla croce, Cristo è Vivente, trasfigurato dallo Spirito di Dio che lo abita. I suoi occhi scrutano il cuore di chi lo contempla e lo interpella. Il Crocifisso accompagnò Francesco dall’inizio alla fine della sua nuova vita, fino a segnarlo anche esteriormente, sul La Verna, con l’impressione delle sacre stimmate e fare così di lui “una rappresentazione al vivo del Crocifisso”. Tutto in lui è modellato sul Cristo crocifisso; anche la sua povertà radicale ha come movente ultimo la sequela del Crocifisso. Vicino alla morte, Francesco riassunse la sua straordinaria esperienza spirituale con queste semplici ma profondissime parole: “Conosco Cristo povero e crocifisso!”. In questo crocifisso Francesco trova il senso della sua vocazione al servizio della Chiesa “Corpo di Cristo, e da quel giorno l’intera sua vita ne sarà segnata. Tutto era cominciato nel momento della conversione, quando Francesco a S. Damiano incontra l’icona di un crocifisso bizantino, dipinta da un monaco siriano nell’XI secolo. Icona di rara bellezza che sintetizza la teologia da Casa Madre 9/2012 Si rivestì allora di un abito di penitenza a forma di Tau. “Proprio perché si era racchiuso nella stessa croce, indossò anche un abito di penitenza fatto a forma di croce. In esso il santo testimoniò il mistero della croce, in quanto che, come la sua mente si era rivestita del Signore crocifisso, così tutto il suo corpo si rivestiva esteriormente della croce di Cristo ” (II Cel. 106: 969). Adottò la lettera Tau, ultima dell’alfabeto greco, come simbolo di salvezza (cfr Ez 9,4-6) e della dignità dei figli di Dio. Con essa decorava le pareti delle celle e di essa si serviva per firmare biglietti e benedizioni. Nel suo testamento Francesco ricorderà la preghiera che recitava lui e i suoi compagni quando incontravano lungo la via una chiesa o una croce: “Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, in tutte le chiese che sono nel mondo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo”. Le stigmate del dolore La Verna è particolarmente segnata dal mistero della Croce, perché lì S. Francesco, ”nel crudo sasso intra Tevero e Arno da Cristo prese l’ultimo sigillo, che le sue membra due anni portarno “ (Dante, Paradiso, XI,106-108) Nel settembre del 1224, due anni prima della morte, Francesco viveva nell’angoscia e nella depressione, ritirato in solitudine in un eremo dell’Appennino umbro. Era tormentato dalla febbre quartana, gli occhi quasi ciechi, abbandonato dai suoi frati che non lo riconoscevano più come Padre. Sotto la guida di frate Elia, che dirigeva da gran signore la comunità, sembrava a Francesco che i suoi fratelli si fossero allontanati dalla Regola primitiva, dal Vangelo. Soffriva molto ed era notte nel suo spirito. Solo Chiara e Leone gli erano vicini e lo sostenevano. Ai suoi occhi, tutto sembrava crollare, tutto sembrava fallire, dopo un inizio così promettente. Dio lo aspettava sul duro sasso della Verna, come per dirgli che l’amava ancora, che non lo aveva abbandonato e che si fidava di lui. In una giornata di pioggia e di tormenti spirituali, che lo divoravano come una carie, Francesco ricevette nel suo corpo il dono delle stigmate, piaghe sanguinolente e dolorose, rivelatrici della presenza di Dio. Erano i segni del mistero pasquale e annunciavano che dopo la notte, l’alba di una vita nuova spuntava all’orizzonte. Francesco celebrava sul La Verna la sua vera Pasqua! “Un mattino, verso la festa dell’Esaltazione della santa Croce; raccolto in preghiera sulla sommità del monte, mentre era trasportato in Dio da ardori serafici, vide la figura di un Serafino discendente dal cielo. Aveva sei ali risplendenti e fiammanti. Con volo velocissimo giunse e si fermò, sollevato da terra, vicino all’uomo di Dio. Apparve allora non solo alato ma anche crocifisso. A questa vista Francesco fu ripieno di stupore e nel suo animo c’erano, al tempo stesso, dolore e gaudio. Provava una letizia sovrabbondante vedendo Cristo in aspetto benigno, apparirgli in modo tanto ammirabile quanto affettuoso ma al mirarlo così confitto alla croce, la sua anima era ferita da una spada di compaziente dolore. Dopo un arcano e intimo colloquio, quando la visione disparve, lasciò nella sua anima un ardore serafico e, nello stesso tempo, lasciò nella sua carne i segni esterni della passione, come se fossero stati impressi dei sigilli sul corpo, reso tenero dalla forza fondente del fuoco. Subito incominciarono ad apparire nelle sue mani e nei suoi piedi i segni dei chiodi; nell’incàvo delle mani e nella parte superiore dei piedi apparivano le capocchie, e dall’altra parte le punte. Il lato destro del corpo, come da Casa Madre 9/2012 9 se fosse stato trafitto da un colpo di lancia, era solcato da una cicatrice rossa, che spesso emetteva sangue. Così il verace amore di Cristo aveva trasformato l’amante nella immagine stessa dell’amato. Si compì, intanto, il numero dei quaranta giorni che egli aveva stabilito di trascorrere nella solitudine e Francesco discese dal monte. Dopo che l’uomo nuovo Francesco apparve insignito, mediante insolito e stupendo miracolo, delle sacre stimmate, discese dal monte. Privilegio mai concesso nei secoli passati, egli portava con sé l’immagine del Crocifisso, non scolpita da artista umano in tavole di pietra o di legno, ma tracciata nella sua carne dal dito del Dio vivente. La croce di Cristo, che ti fu proposta e che tu subito hai abbracciato agli inizi della tua conversione e che, da allora, durante la tua vita hai sempre portato in te stesso mediante una condotta degna d’ogni lode e hai sempre mostrato agli altri come esempio, sta a dimostrare con perfetta certezza che tu hai raggiunto definitivamente l’apice della perfezione 10 da Casa Madre 9/2012 La sofferenza di Chiara Seguendo Chiara nel percorso di sua clausura, arriviamo al giaciglio della sofferenza, dell’ infermità. Esso inizia al tempo delle stimmate del Poverello e si prolunga per circa metà della sua vita. Chiara infatti rimase inferma per ventotto anni, da trentadue a sessant’anni. La lunga malattia di Chiara e le stigmate di Francesco, continuano nella storia l’esperienza di Paolo: “Porto nel mio corpo le stigmate di Gesù” (Gal 6,17). Che dire di Chiara, degli anni della sua infermità, “inutili” secondo una mentalità del risultato, ma tanto ricchi e significativi davanti a Dio! Piaghe di dolore, di sofferenza, di croce, che imprimono nel corpo il mistero pasquale di Cristo. Vita evangelica di non-efficienza, di non-spettacolarità, di risultati non-appariscenti. Vita di persona che vive l’anzianità, cercando di mettere in armonia i valori della Regola con i limiti dell’età. evangelica” (Bonaventura, Leggenda minor, 13, passim). Capì che Dio l’amava ancora e che la salvezza dei fratelli passava attraverso l’abbandono totale al Signore e il dono di sé. La sua conformazione a Cristo era completa. “Scrivi, aveva detto in altra occasione a Leone, qui sta la perfetta letizia”. Si preparava a morire bene, lasciando a noi un esempio sul come terminare la nostra vita: “Concedimi, o Signore, di morire per amor tuo, come tu sei morto per amor mio”. “Le stigmate ci svelano il vero volto di Francesco: un crocifisso per amore, un uomo profondamente innamorato di Gesù. Francesco contemplando la passione di Gesù ha capito che Dio è amore e che questo Dio ci ha amato con un amore tale che non ha risparmiato il suo Figlio (cf. Gv 3,16)” (José Rodríguez Carballo, ofm, 2011). Il suo giaciglio era diventato la sua cattedra. Di lì insegnava, specialmente alle giovani, la rassegnazione e la pazienza. E continuava a vivere la povertà, lavorando a mano e tessendo corporali per le chiese bisognose. Ogni venerdì, meditando la passione di Gesù, “s’inebriava di dolore” e andava in estasi. “E come la sua meravigliosa virtù venisse perfezionata nella malattia, da ciò è provato: che in ventotto anni di continua sfinitezza, non si ode una mormorazione, non un lamento, ma sempre dalla sua bocca proviene un santo conversare, sempre il ringraziamento” (Legenda Sanctae Clarae Virginis). Se con lui soffrirai, con lui regnerai; se con lui piangerai, con lui godrai; se in compagnia di lui morirai sulla croce, possederai con lui le celesti dimore nello splendore dei santi” (Chiara, Lettera ad Agnese di Boemia). Constatiamo ancora una volta una sorprendente complementarietà del carisma: due strade ugualmente “missionarie”, l’itineraqnza di Francesco e la clausura di Chiara, che conducono all’identica meta, quella della croce. L’amante vuole restare vicino all’Amato, non solo nel cammino della povertà, ma anche in quello della da Casa Madre 9/2012 11 sofferenza (cfr. 2LAg 19), per completare nella propria carne quello che manca ai patimenti di Cristo (cfr. Col 1,24). Non basta ascoltare e servire, occorre ancora condividere il destino di Gesù e far propria la sua croce (cfr. Lc 9,23-24). La logica è sempre sconvolgente: lo è stata per i discepoli di Gesù e lo sarà per ogni credente, in questo pellegrinaggio terreno. La nostra vita una partecipazione personale, una salvezza, che diventa efficace nella misura dell’amore presente. Anche nel nostro cammino di missionari, la sofferenza è là, con le malattie, le incomprensioni e i tradimenti, le debolezze e i fallimenti, e chiede di essere vissuta come Gesù l’ha vissuta. Strumento efficace per la salvezza del mondo: “Dalle sue piaghe siete stati salvati” (! Pt 2,25). 12 Ognuno leggerà l’esperienza di Francesco e di Chiara con la precomprensione che gli è propria, ma per tutti vale ricordare il principio che ogni atto missionario ha un prezzo, da Casa Madre 9/2012 Valga per tutti la testimonianza di Benedetto XVI nel discorso preparato per il suo pellegrinaggio alla Verna (13 maggio 2012): “Contemplare la Croce di Cristo! Siamo saliti pellegrini presso il Sasso Spicco della Verna dove «due anni prima della sua morte» (Celano, Vita Prima, III, 94: FF, 484) san Francesco ebbe impresse nel suo corpo le piaghe della gloriosa passione di Cristo. Il suo cammino di discepolo lo aveva portato ad una unione così profonda con il Signore da condividerne anche i segni esteriori del supremo atto di amore della Croce. Rapiti dall’amore di Cristo! Non si sale a La Verna senza lasciarsi guidare dalla preghiera di san Francesco dell’absorbeat, che recita: «Rapisca, ti prego o Signore, l’ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell’amor tuo, come tu ti sei degnato di morire per amore dell’amor mio» (Preghiera “absorbeat”, 1: FF, 277). La contemplazione del Crocifisso ha una straordinaria efficacia, perché ci fa passare dall’ordine delle cose pensate, all’esperienza vissuta; dalla salvezza sperata, alla patria beata. San Bonaventura afferma: «Colui che guarda attentamente [il Crocifisso] … compie con lui la pasqua, cioè il passaggio» (ibid., VII, 2). Questo è il cuore dell’esperienza della Verna, dell’esperienza che qui fece il Poverello di Assisi. In questo Sacro Monte, san Francesco vive in se stesso la profonda unità tra sequela, imitatio e conformatio Christi. E così dice anche a noi che non basta dichiararsi cristiani per essere cristiani, e neppure cercare di compiere le opere del bene. Occorre conformarsi a Gesù, con un lento, progressivo impegno di trasformazione del proprio essere, a immagine del Signore, perché, per grazia divina, ogni membro del Corpo di Lui, che è la Chiesa, mostri la necessaria somiglianza con il Capo, Cristo Signore. figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?... Pasci i miei agnelli » (Gv 21,15). E’ l’amore per Cristo alla base della vita del Pastore, come pure di quella del consacrato; un amore che non ha paura dell’impegno e della fatica. Portate questo amore all’uomo del nostro tempo, spesso chiuso nel proprio individualismo; siate segno dell’immensa misericordia di Dio. La pietà sacerdotale insegna ai sacerdoti a vivere ciò che si celebra, spezzare la propria vita per chi incontriamo: nella condivisione del dolore, nell’attenzione ai problemi, nell’accompagnare il cammino di fede”. “Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento nella mia carne a ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24). Mi sono fatto pellegrino alla Verna, come Successore di Pietro, e vorrei che ognuno di noi riascoltasse la domanda di Gesù a Pietro: «Simone, 13 da Casa Madre 9/2012 attivitÀ della direzione generale SULLE ORME DELLA MEMORIA: viaggio da Tete a Miruru! “ Il fiore dell’agave quando fiorisce muore!” P. Stefano Camerlengo, IMC una realtà diversa e altra, che ha tanto da donare ed insegnare. Un po’ di storia della missione in Mozambico 14 Nei giorni dal 14 al 20 luglio 2012, ho avuto la gioia di poter viaggiare verso Tete e da qui, in compagnia del vescovo Dom Inace Saure ed altri missionari visitare le antiche missioni di Zumbu e Miruru a circa 500 kilometri dalla città, nomi che evocano una storia, una presenza missionaria: l’entrata dei missionari della Consolata in terra mozambicana. Il percorso è un momento d’incontro con un territorio e delle realtà a noi lontane, ma presenti e vive dentro la storia del nostro Istituto e con le tante persone che con noi hanno condiviso frammenti più o meno lunghi, sporadici o continuativi del nostro viaggio missionario. Il territorio non va solo visitato, ma va ascoltato per capire ed entrare in un mondo a noi “sconosciuto”, in da Casa Madre 9/2012 Da quanto possiamo apprendere dalla storia, il Mozambico ha avuto i primi contatti con il cristianesimo a partire dalla metà del XV secolo. Ma è stato solo nella metà del secolo XVI che nel Mozambico è cominciata una evangelizzazione più sistematica. In questo i pionieri furono i Gesuiti. In seguito ci fu un lungo periodo di crisi, nel quale si può dire che l’evangelizzazione fu praticamente insignificante. Dopo tale periodo, l’evangelizzazione venne a riprendere quota verso la fine del XIX secolo. Ma in realtà l’evangelizzazione in Mozambico prese un impulso decisivo solo nel 1940, dopo il Concordato e l’Accordo Missionario firmati tra il Governo Portoghese e la Santa Sede. A partire dall’Accordo Missionario, missionari di altri paesi, e quindi non solo i missionari portoghesi, potevano andare a fare i missionari in Mozambico. Infatti il Portogallo, con tanti territori che aveva oltremare, non era in grado di coprire in modo soddisfacente con la presenza missionaria tutti questi territori. Così possiamo dire che solo a partire dal 1940, con la venuta di missionari da vari paesi, cominciò in Mozambico un’evangelizzazione più intensa e più sistematica; e l’evangelizzazione cominciò anche ad entrare nella “brousse”. Il Concordato e l’Accordo Missionario hanno originato, dunque, un nuovo impulso all’attività missionaria. La gerarchia ecclesiastica fu modificata e furono create tre Diocesi: Lourenço Marques, Beira e Nampula. Naturalmente, con il Concordato e con l’Accordo Missionario, la Chiesa fu costretta ad accettare certi condizionamenti imposti dal Portogallo. Per il Portogallo, l’evangelizzazione doveva essere anche al servizio degli interessi del potere e della dominazione portoghese oltremare. Per i missionari, invece, a esempio di Paolo, quello che importava era che Cristo fosse annunciato…È difficile presentare delle statistiche su quanta gente c’era, battezzata, prima del 1940. Altrettanto difficile è immaginare quale fosse la dimensione dell’intervento sociale della Chiesa a quel tempo. Sappiamo solo che le percentuali erano molto basse. Infatti, le zone rurali erano state praticamente abbandonate a se stesse; era raro che in quelle ci passasse qualche sacerdote; non c’erano né scuole, né ambulatori. I pochi cristiani neri che si potevano trovare erano quelli nei piccoli centri abitati dai portoghesi; si trattava di gente che si trovava presso i portoghesi ed era al loro servizio, quindi, convertiti da loro. La stragrande maggioranza della popolazione, tolto qualche musulmano, seguiva la religione tradizionale locale, cioè l’animismo. Allora, dal 1940 in poi i pochi missionari portoghesi che c’erano furono rinforzati dai missionari stranieri. E così cominciò la penetrazione dell’evangelizzazione nelle zone rurali, e, assieme all’evangelizzazione, anche lo sviluppo sociale: scuole, piccoli ambulatori…Fu l’inizio di una vera “implantatio ecclesiae”. I missionari si misero a lavorare in modo infaticabile; costruirono le sedi delle missioni, i centri per la formazione dei catechisti, le cappelle e le scuole nelle zone rurali, i collegi nelle sedi delle Missioni,…Fecero nascere, soprattutto, le Comunità Cristiane e si misero ad accompagnarle, da vicino e anche da lontano, aiutati dai Catechisti. Lo sforzo dei missionari pian piano cominciò a dare i suoi frutti. Le comunità cristiane a poco a poco aumentarono di numero ed il movimento di adesione alla fede prese un ritmo sempre maggiore e costante; le scuole cattoliche crebbero e, allo stesso tempo, anche il servizio sanitario cominciò ad essere instaurato nelle Missioni. A questo punto cominciò a farsi sentire la necessità dell’esistenza del clero locale. Cominciarono a sorgere i Seminari Minori e poi i Seminari Maggiori. Sorsero anche vocazioni alla Vita Religiosa, sia presso i ragazzi che presso le ragazze. Alla fine degli anni 60 si vedevano ormai i segni di una Chiesa locale che stava nascendo. Nel frattempo, è stato negli anni sessanta che hanno cominciato a sorgere anche i movimenti per l’indipendenza in tutti i paesi dell’Africa. Fu questo lo scenario che i missionari della Consolata trovarono arrivando in Mozambico nel 1925 quando arrivarono a Tete per poi con un viaggio avventuroso recarsi fino a Miruru, alla punta estrema di un fiume che fa incotrare tre paese e diversi popoli e culture. 15 da Casa Madre 9/2012 Cronologia dell’arrivo dei Missionari della Consolata a Tete (29-8/25-9-1925): 29-8-1925: Ricevuta l’autorizzazione, Mons. F. Perlo comunica a P. L. Perlo i nomi degli 8 missionari della Consolata destinati in Mozambico. 14-9-1925: A Torino, il padre Fondatore G. Allamano receve e consegna il crocefisso a tre missionari destrinati in Mozambico: P. Borello, L. Sperta, S. Ghiglia... Viaggio dei missionari da Beira a Miruru, stralci dai diari dei missionari: diário del chierico Ghiglia 1925, lettera di padre Sandrone a padre Perlo 12.03.1926! “Vi giungemmo all’alba del giorno 30 Ottobre. La bella cittadina ( di Beira )sorride all’orizzonte indorata dalla brezza marina che l’oceano incessantemente la vapora… Finalmente dopo la verifica dei passaporti potemmo scendere…Fatti ritirare i nostri bagagli in dogana ci dirigemmo alla “Escola de Artes e Ofícios” residenza della Missione Cattolica in questa città. Vi si giunge per la strada maestra…Ci andavamo scambiando le prime impressioni di Beira e senza pure accorgerci si percorse il tratto di strada che dal porto conduce alla Chiesa. Accolti con carità francescana dal Rev. P. António Ribeiro superiore delle missioni francescane in Mozambico, ci fu pieno di riguardi e di premure. Fummo alla Chiesa a salutare il SS. Sacramento e la Vergine SS. e a ringraziarli dell’ottimo viaggio che la SS. Consolata si degni benedire ai suoi alfieri che primi toccano questa terra percorsa già da stuoli eletti di apostoli, e voglia rendere fecondo il nostro apostolato. Siamo condotti a visitare la scuola, i vari reparti di arti e mestieri, ove un centinaio di giovani mulatti vanno apprendendo una professione che domani darà loro in Colonia un posto onorato. …Costretti ad una permanenza discretamente lunga in questa città, data la mancanza di battelli che fanno servizio sullo Zambezi che in questa stagione per scarsità di acqua il fiume in alcuni punti non è navigabile. Si ha occasione intanto d’approfondirci nella dolce lingua de Camões mentre il Rev. P. Chiomio va cogliendo informazioni di strade, tariffe, dogane, ecc… 16 La vigilia dell’Immacolata, si lascia Beira alla volta di Chupanga antica Missione dei PP. Gesuiti sullo Zambezi. Un piccolo trenino apocalittico un po’ simile da Casa Madre 9/2012 a certi nostri ordinari su alcune linee del nostro bel paese che ora vanno scomparendo col trionfo del carbone bianco. Sbuffa, s’affatica lungo un ambulacro selvoso e solenne praticato nella foresta. Si giunge a Caia piccola stazione ferroviaria che nella grande piena dello Zambezi avvenuta l’anno passato fu allagata completamente. Il termometro segna 49 gradi centigradi. Un sole implacabile, un aria ardente, irrespirabile che si direbbe uscita della gola di una fornace. Si giunge a Chupanga verso le 2 pomeridiane. Accolti benevolmente dal buon P. Mario che già avvertito del nostro arrivo gentilmente aveva provveduto per le stanze e tutto l’occorrente. Intanto potemmo ristorarci e pigliare un po’ di fiato. La missione fu fondata nel 1895 dai P.P. Gesuiti. É un’antica fortezza portoghese, i muri tozzi, quadrati, portano già le avarie del tempo che logora e distrugge. La chiesetta della Missione molto povera e disadorna sarà presto sostituita dalla nuova chiesa, bella costruzione in pietra che gli africani vanno facendo sotto l’abile e competente direzione del buon Padre. “Puer natus est nobis…” Lo abbiamo invocato nei giorni della grande Novena in intima comunione coi fratelli lontani, e quest’anno ci parve essere più compresi della umiliazione profonda del Presepio. L’umiltà della chiesetta africana, che nella notte buia e silente leva la voce della sua campanella a chiamare il piccolo gregge ad adorare il Dio Bambino e diffonde all’intorno l’angelico messaggio di pace agli uomini di buona volontà, la monodia lenta, commossa che un coro di bimbi cantò durante la SS. Messa, oh! Tutto ci fece un gran bene Si parte sotto la protezione dei SS. Innocenti. Da un pezzo pare che il diavolo ci ficchi la coda e salta fuori con difficoltà contrattempi, a volte sconcertanti. Ma tutti insieme ci si fa coraggio. Il battello ospitale è lo Zambezi. Una grande casa a veranda costruita sopra una chiatta di grandi proporzioni, a poppa una ruota motrice. … Viaggiano con noi alcuni portoghesi, impiegati governativi chi alla posta chi alla dogana di Tete. Non ci mancava altro, quest’anno anche la stagione delle pioggie ci fa il muso e ci regola un solleone implacabile. Quindi per la grande scarsità di acqua andiamo a rischio d’incagliarci con grande facilità. avevano fondato un grande convento ove formavano e preparavano missionari per tutta la Zambesia. Quanto fervore d’apostolato coronato da frutti copiosi di fede e di opere ove ora regna indisturbato squallido paganesimo. Non più una sola pietra sussiste del grande edificio testimone dell’attività e dello zelo instancabile di tanti eroi. Non una voce che si leve grata e riconoscente a Dio dal seno di questa selva selvaggia ed aspra e forte. 29-12-1925: Si va alla velocità quasi…fantastica!? Di circa un miglio all’ora. Peraltro abbiamo il piacere di goderci tutto il fascinio d’una vegetazione ricca, esuberante, e l’incanto del gran fiume africano. Tete. Vi giungemmo il mattino 10 gennaio. Una pioggerella fine da un senso di melanconia alla vecchia, storica cittadina. …Già nel 1500 spedizioni colonizzatrici fecero capo a questa città oggi capitale del distretto Alta Zambezia e sede del Governatore. All’occhio del visitatore è una città morta. La mancanza assoluta di comunicazioni ferroviarie colla costa le impediscono sviluppo coloniale e industriale. 30-12-1925: Oggi sono le delizie dell’incaglio. Delizie che non auguro a nessuno, per quanto vi sia da divertirsi. …la ruota mulinava disperatamente, il fuochista cacciava tronchi interi nel forno della caldaia e non si faceva un pollice di strada, e si era sempre li a guardar le stesse punte degli alberi e l’acqua azzurra fuggire indietro. 1-1-1926: È festa nazionale per i Portoghesi che la chiamano “Fraternidade universal”. Ed anche noi, sperduti sul grande fiume africano ricordiamo anime care, tempi trascorsi, e salutiamo il novello anno foriero di benessere morale e materiale. 2-1-1926: Fa un caldo da salina in evaporazione. Non si parla più tanto si è a disagio…Si suda terribilmente. Il Rev. P. Chiomio instancabile, a tracolla ha l’inseparabile bussola, tiene una maiuscola borsa da commesso viaggiatore gonfia di scartafacci, di carte geografiche, ritagli di giornale… Colla carta alla mano e un taccuino ove fissa indicazioni e rilievi, va chiedendo informazioni, tariffe, distanze, strade. Il fiume passa di fronte a Sena, crocevia dell’antico impero del Monomotapa. Regione assai popolata…In questa città i PP. Domenicani già verso la fine del 1500 …Dopo la colazione scendemmo dal battello e ci avviamo alla parrocchiale di S. Tiago ove il P. Peyrani celebra oggi la S. Messa. Nonostante la pioggarella che persiste uggiosa v’è gran quantità di gente che viene oggi a soddisfare il precetto domenicale e a riverire il P. Italiano. Il suo tratto, la sua affabilità lasciano in tutti ottima impressione. Dopo la S. Messa ci viene consegnato un biglietto di S. Eccell. Il Governatore, in cui ricambiandoci felicitazioni e ossequi, si dice contento di ospitarci nel suo palazzo. Si va a fargli visita e ci accoglie con signorilità e cortesia, si interessa del nostro viaggio fin nei particolari più minuti, ci dice essere da molto tempo al corrente della nostra venuta al Mozambico e ci dà liete e ottimistiche informazioni della stazione di Miruru ove egli fu l’anno passato in un giro d’ispezione che fece dopo la sua elezione a Governatore. Ci invita alla sua mensa nei due giorni di nostra residenza al suo palazzo e ci è prodigo di gentilezze senza numero. Grazie al suo interessamento si poterono sbrigare senza difficoltà e senza spesa passaggi di dogana assai fastidiosi e dispendiosi. Dopo aver ringraziato S. Eccell. Il Governatore … partimmo alla volta di Boroma ultima tappa avanti di raggiungere la nostra lontana stazione di Miruru affidataci dall’Eccell.mo Vescovo Dom Rafael. … Partimmo verso le 4 pomeridiane su di un camion… La strada assai accidentata, avariata ancora dal maltempo, tutta una pozzanghera, non impressiona punto il nostro ronzino che va all’impazzata. Ci teniamo uno coll’altro per maggior sicurezza, che c’è da perdere l’equilibrio. Il chauffeur, dopo qualche svolta improvvisa ad un sbalzo che à messo lo scompiglio tra i passeggeri, chiede con serietà mista di ironia: “Não falta ninguem?, e lancia da Casa Madre 9/2012 17 nuovamente la macchina a tutta la forza. Grazie a Dio non vi furono incidenti, ma che acrobatismo! ...Ad un certo punto la strada à una leggera concavità di oltre un centinaio di metri. La pioggia di questi giorni à formato una pozzanghera. È qui il punto debole dove incominciano le dolenti note. Il terreno cede al peso della macchina che sprofonda sino a metà ruota. Si scende e non senza fatica riusciamo a strapparla alla tenaglia viscida, melmosa. Macchina indietro, si tenta un altro cammino. Si va un centinaio di metri e il bel gioco si ripete, ma questa volta per quanto il motore starnuti da far pietà, non c’è rimedio, e “lasciate ogni speranza a voi che tentate e ritentate” e si scende e questa volta per non più salire. La stazione di Boroma dista soltanto di qui tre km. Ci incamminiamo a piede commentando lietamente l’incantevole gita in automobile nella regione dell’Alta Zambezia. Boroma: Ecco la Chiesa che artisti devoti hanno saputo innalzare a Dio sul declivio d’una verde collina selvosa e ridente. È sera. Dal campanile della Chiesa echeggia la squilla annunziante la fine della giornata. È l’Angelus. Su per la collina ragazzi della Missione si sono fermati e raccolti in preghiera. … Accanto alla Chiesa sta la casa dei Padri, costruzione grandiosa, lunghi corridoi, stanzoni larghi, à l’aspetto di un convento. Fraternamente accolti dai due RRi. Padri ci fu assegnata una stanza ove depositate le cose nostre potemmo riposarci dalla stanchezza durante la maratona automobilistica. 18 Che costruzione colossale! Il pensiero mi porta istintivamente agli artefici di quest’opera immane, indice della non comune competenza e grande operosità della non comune competenza e grande operosità dei R.R.i P.P.i Gesuiti che per il periodo di parecchi secoli colonizzarono e cristianizzarono questa colonia lasciando tracce indelebili d’una operosità non comune. da Casa Madre 9/2012 La Repubblica li à voluti sfrattare. …”Il fiore dell’agave quando fiorisce muore”. Mi vengono spontanee queste parole pensando alla fioritura d’opere religiose di cui pullulava questa stazione di Boroma al tempo dei PP Gesuiti. La costellazione di scuole che irradiavano da questo centro per un raggio vastissimo. Ed ora? “sunt lacrimae rerum”. Il solo ricordo sussiste amareggiato dalla triste realtà. …Fummo a visitare lo splendido laboratorio. Il reparto meccanico è ciò che di più completo si può desiderare. Il bravo Coad. Giuseppe assai competente in materia si trova nel suo ambiente. Non cessa d’osservare e ammirare tanta ricchezza di macchine e si vario assortimento di ferri e strumenti. Oggi per mancanza di mano esperta che attenda al regolare funzionamento del laboratorio, vi è tanto da riparare! 17-2-1926: La mancanza di portatori ci à obbligati ad un riposo forzato di oltre un mese nella Missione di Boroma. Il 17 di Febbraio finalmente abbiamo il piacere di fare la conoscenza coi nostri amici. Paiano tutti ben allenati per la maratona…Assegniamo subito i carichi. 18-2-1926: Si parte. M’immagino che questa nostra prima carovana sarà il collaudo dei garretti e della pazienza. Il percorso è lungo, sono circa 400 km per una strada a cui mancano i requisiti per essere chiamata tale, resa peggiore dalla stagione delle piogge che rovescia a torrenti. …Salutati i RR, Padri, ci separiamo con rincrescimento dal R. P. Peyrani e dal carissimo Coad. Giuseppe. Poco per volta la piccola colonia mozambichese si va spezzando, distacchi dolorosi forse senza arrivederci e a due a due andiamo scaglionati come gli apostoli, a distanza di centinaia di km gli uni degli altri. I caravanieri usati e adulti come la pista millenaria che percorrono si sono messi in cammino. ..Alle 6 del pomeriggio giungono a Marara gli ultimi portatori. Al tempo dei Gesuiti qui v’era una scuola-cappella molto bene organizzata con piccolo laboratorio. I tempi cambiarono, i Gesuiti espulsi, le scuole si chiusero la più parte. Un giovane catechista andò a procurarci latte e frutta, consumammo allegramente la nostra caruncola. 3-4 – 3- 1926: Ci avviciniamo alla meta. Il terreno sale leggermente con gibbosità lente, continue. Il terreno è meno sabbioso, la foresta pare più fitta. A tratti appaiono baobab inargentati, colossali e grotteschi, i pachidermi della flora africana. 6-3-1926: Miruru! Un negro ci mostra con soddisfazione montagne chiomate di verde e fumiganti di nebbie. “Sono i monti di Zumbo” ci dice. Ci fa l’effetto d’un ricostituente e ci da forza a superare la stanchezza che ormai dopo 17 giorni di marcia faticosa e lunga quasi ci opprime. Oggi l’ultimo giorno di marcia si è battuto il record sui giorni precedenti e si sono percorsi circa 40 chilometri. …Si marciò di buon passo tutta la giornata. …La Chiesa finalmente appare sull’alto della collina. “Miruru” grida con entusiasmo Escrivão che l’à vista per il primo. E la voce si ripete come parola d’ordine lungo la colonna serpeggiante dei nostri uomini. Un soffio di corrente elettrica pare dia forza a quei corpi indolenziti dal lungo viaggio e acceleriamo il passo al ritmo d’una nenia lenta e monotona. Finalmente si giunse. Furono a incontrarci i carissimi PP. Sandrone e Chiomio che già da alcuni giorni erano arrivati. Ci pare davvero d’esser giunti in una terra promessa. Dopo oltre 400 km di brughiera folta e vergine foresta, questa stazione è un “resort” incantevole, bellissimo. In una conca di smeraldo, costellata d’abitazioni di indigeni, all’ombra di altissimi kapock, quasi nascosta da una fitta selva d’aranci e limoni che incessantemente le vaporano i loro profumi e la fanno ricca dei loro ottimi frutti. …Costruzioni tutte che hanno del colossale, dell’imponente. Chiese che come questa bellissima a tre navate, puro gotico senza applicazioni o riduzioni d’africanismo, potrebbero stare benissimo in qualunque città d’Europa.. i Gesuiti le seppero costruire nel cuore dell’Africa senza comodità di comunicazione e trasporti, lontani da tutto e da tutti. Questa la nostra prima tappa in Zambezia. Regione solcata da centinaia d’apostoli, ancora porta l’impronta loro di civiltà e redenzione lasciata in solchi ancor umidi dei loro sudori e delle loro lagrime. Noi coll’aiuto della SS. Consolata ne saremo emuli e continuatori. Voglia Ella benedire e confermare volontà e propositi dei suoi alfieri. Il lavoro è arduo e lungo e faticoso. Raccogliere il gregge disperso dopo anni e anni d’assenza dei Padri di queste povere anime, e continuare l’opera costruttrice che la guerra coll’espulsione dei Padri tedeschi successi ai Gesuiti à troncato. Forti della benedizione d’Iddio e della SS. Consolata che qui ci vollero si rialzeranno pianticelle che il soffio impuro del male à guaste e perdute. la mancanza di portatori fu lasciato a Boroma con P. Peyrani…non abbiamo più notizie di P. Calandri e P. Sperta. Miruro a 6 ore da Zumbo a 2 dal fiume Luanqwa è in luogo pianeggiante – e abbastanza aperto -. In lontananza si scorgono i monti della Rodesia. Come in tutta la Zambezia così costà non vi hà grande popolazione e ancora costà vivono raggruppati, ciò che da un lato facilita l’evangelizzazione. Ha Chiesa magnifica a tre navate. La casa Padri in buon stato ha una ventina di stanze. La casa suore abitabile. Ha pure numerosissime stanze e cappella. È a un cinque minuti dalla casa Padri. I fabbricati anticamente adibiti per l’internato alcuni sono in rovina, altri ancora in buon stato. Al laboratorio stan carri per buoi, macchina a vapore che serviva per fare funzionare il mulino che esiste tuttora e la sega, ma tutto sta sotto. Al Cimitero riposano una dozzina circa di Missionari, Coadiutori e Suore morti quasi tutti di black water. Il frutteto da abbondantissimi aranci, limoni, papai, anana. Cominciai a visitare i dintorni della Miruro le antiche scuole ove stan numerosi cristiani, e restai confermato nella prima impressione che gli indigeni cioè, non vivono, ordine sparso, ma raggruppati da formare quasi tanti paeselli. …Degli antichi fabbricati, eccetto che a Risiko e a Nyabunduka, non esistono neppur le tracce. Dagli antichi cristiani un 1800 circa come consta dai registri, la maggior parte vive a queste out schools in passato 15 e più, distante anche da giornate intere dalla Missione. …La poligamia ha fatto stragi e sono molti quelli che di cristiani hanno solo più il nome. Appena potremo farci capire cominceranno in turno a visitare regolarmente i centri cristiani e a portare i conforti della religione a quanti non possono arrivare alla Chiesa. Siamo arrivati finalmente a Miruru: P. Chiomio, P. Borello, Ch. Ghiglia ed io. Il nostro viaggio fu fatto con due carovane: P. Chiomio ed io (4 Febbraio a 2 Marzo) a piedi poiché stavamo bene a Boroma. P. Borello e Ch. Ghiglia (18 Febbraio-6 Marzo) con una maxilla e bicicletta perché a Boroma avevano avuto febbre. Il viaggio fu buono per gli uni, cattivo per gli altri. P. Chiomio e Ch. Ghiglia se la cavarono con alcuni giorni di febbre, a me vennero addosso tutti i diavoli del Mozambico (dissenteria, febbre, emorroidi) e diedi a fare al Rev. P. Chiomio, ma grazie ad una maxilla che l’ufficiale di Cachomba m’imprestò potei arrivare a Miruro ed ora la va già bene. Il Cd. Giuseppe causa 19 da Casa Madre 9/2012 Oggi, 14 Agosto 1926, possiamo finalmente esclamare: “La SS. Consolata ci ha fatta la grazia” nella vigilia della sua Assunzione di installarci nella Missione di Miruru. La consegna ci fu finalmente fatta….Il paese ci piace molto, e se la popolazione si trova in centri distanti, il paese bisogna prenderlo come si trova, ma è più numerosa di quanto sia creduta dagli stessi ufficiali.” Diversi esperti della missione dicono che, oggi, è finita quest’epoca della missione. L’epoca appunto della visita alle campagne, ai villaggi abbandonati in territori immensi. Oggi, si parla di missione di città, o meglio di periferia delle grandi città. La sfida è aperta e importante, la gente è sempre la gente ovunque, ma le cose cambiano e le persone pure… Alcune riflessioni La gente del villaggio vive ancora al ritmo delle stagioni e, pur nella povertà, conserva ancora la sua dignità, custodisce e coltiva i valori culturali, umani e cristiani che possono ancora insegnare e trasmettere alle nuove generazioni. I missionari in Africa soffrono del mal d’Africa. È vero, è difficile che i missionari si riaccasino in Europa dopo aver speso qualche anno in Africa. Si sa quanto essi insistono per rientrare in missione, perché ,dicono, non riescono più ad adattarsi alla realtà di casa loro. Questo a ben vedere, e salvo sempre qualche eccezione, avviene perché non riescono ad accettare la nuova situazione della pastorale delle loro zone d’origine. Si sentono, se non proprio stranieri in casa propria, quanto meno estranei alla nuova situazione. a. Missione dono della vita: sempre e comunque! Anche io mi sono trovato a rivivere e non solo visitare ma ascoltare questo territorio che evoca missione e storia di testimoni. La nostra comitiva si è recata direttamente a Zumbu da Tete. Partiti in mattinata alle ore 4, siamo arrivati a Zumbu alle ore 17.00 circa. La strada molto difficile, con passaggi veramente da camel trofhy. Tuttavia arrivati a Zumbu la stanchezza come d’incanto scompare perché ci troviamo di fronte ad uno spettacolo incredibile. Siamo sulle rive del fiume Zambezi in un angolo formato da tre paesi diversi ed uniti dallo stesso fiume: lo Zambia, il Malawi e, naturalmente, il Mozambico. La gente è molto accogliente e disponibile, soprattutto verso i padri, in quanto sono da 36 anni che non ne vedevano sul loro territorio e facevano, soprattutto i più giovani fatica a capire chi sono i preti e chi è e che cosa fa il vescovo!!! Il giorno dopo visitiamo Miruru, prima missione fondata dai padri Gesuiti ed abitata anche dai missionari della Consolata negli anni 1925-1930. La missione è situata su una collina, dominando la valle, è costituita da una grande e bella Chiesa e una casa per missionari addirittura di due piani, più distante la casa delle Suore ed il cimitero. Impressionante e toccante entrare al Cimitero e vedere ancora delle tombe con dei nomi quasi irriconoscibili di missionari e missionarie che alla giovane età di 28/ 32/ 39 hanno dato la vita per la missione. Giovani vite donate senza fama, ma con molto onore e importanza agli occhi di Dio e del Regno. b. Missione di campagna e missione di città. Ciò che conta è stare con la gente! 20 da Casa Madre 9/2012 Oggi nella nuova situazione urbana tutto è messo in discussione e quindi in crisi, e tutto sembra cambiato: la gioventù è affascinata e sedotta dalle luci della città e dagli specchietti della cultura della globalizzazione che vede imperante al centro delle città. La saggezza degli anziani non riesce a farsi ascoltare. Un vuoto si crea nelle nuove generazioni riempito da valori che vengono da fuori, superficiali ed effimeri: sono i nuovi idoli della città che per i giovani funzionano da droga alienante e da diversivo pericoloso che sbocca quasi sempre nella violenza. È vero che la cultura originaria non viene cancellata dalla coscienza della gente: per certi avvenimenti i cittadini, sia i politici che gli intellettuali, ritorneranno sempre al villaggio! Ma ormai la generazione presente e certamente la prossima è rivolta alla città, ma tuttavia in queste zone continuano a vivere delle persone che, comunque sia, meritano la nostra stima, attenzione e, per quanto è possibile, consolazione. Beata la missione che segue la gente e non le mode, che cammina con popoli e non con le idee, che costruisce la storia con le persone e non con i progetti e le previsioni. c. Missione annuncio e presenza: l’unico e vero protagonista è Gesù Cristo! La missione è sempre annuncio della parola di Dio, e solo alla scuola di Gesù possiamo reimparare la missione come presenza, condivisione e consolazione, il resto rimane cammino. San Marco scrive: “Egli (Gesù) percorreva i villaggi all’intorno e insegnava”(6,6b). La modalità d´essere di Gesù è essere missionario. Andare, incontrare, insegnare, condividere il sogno del Regno di Dio, annunciare il volto di Dio Padre, offrire gesti di amore e perdono, di fraternità e di inclusione a chi era marginalizzato ed escluso faceva parte dell´attività normale di Gesù! Era il suo pane quotidiano. Fare la volontà del Padre nell´amore ai semplici, agli ultimi, ai poveri e ai malati. • Gesù condivide il sogno e la realizzazione della missione con i suoi discepoli. Gesù chiama i Dodici e li invia. La vocazione dei discepoli è essere apostoli, cioè missionari! • I dettagli della “valigia missionaria” cambiano con i tempi (anche tra gli evangelisti stessi!), ma lo “spirito” rimane! Andare senza riserve di alimenti, soldi, o vestiario: due tuniche sono considerate lusso eccessivo! È un appello forte alla semplicità, alla libertà interiore e esteriore. Non è bene portar con sé troppe sicurezze economiche: le scorte di qualsiasi tipo diventano fardelli tranne quelle di fede, amore, entusiasmo, coraggio, speranza, gioia, fiducia. • Il missionario vive di provvidenza e per questo fa affidamento alla generosità delle comunità di invio e di ricezione. Quanto è bello vivere come ospiti, affidati all´altrui sensibilità! • La semplicità dei mezzi favorisce l´accoglimento del Vangelo nella sua integrità: contenuto e forma vanno di pari passo! Che guardando ai missionari risplenda il Vangelo dell´amore semplice e gratuito e non lo splendore dei loro mezzi. Non sempre come missionari siamo riusciti a mostrare questo aspetto della missione: le povertà economiche altrui, il nostro maggior potere economico e la fretta di risolvere i problemi hanno spesso offuscato il valore della presenza e della condivisione fraterna. A volte la missione è diventata una forma di colonizzazione al contrario, ma sempre nociva, che lascia le persone dipendenti da aiuti che vengono da fuori. • Attività dei missionari: incontrare le persone. Se ci sarà accoglienza, bene. Se non ci sarà, il rifiuto stesso sarà giudizio per loro: che occasione persa! Il rifiuto non rimanga però come incollato ai piedi e ai cuori; il missionario vive in pace, offre pace e anche se qualcuno lo rifiuta, prosegue in pace! • Predicazione: il Vangelo conduce alla da Casa Madre 9/2012 21 conversione, alla liberazione dai demoni-malipeccati-schiavitù-vizi-tristezze-chiusure. Che bello riconoscere come la presenza di Gesù trasforma la vita delle persone. Come sarebbe totalmente diversa la nostra vita, se avessimo scelto diversamente. Che esperienza di libertà e di apertura al mondo intero! E quante volte abbiamo potuto constatare con mano la forza trasformatrice e liberante del Vangelo. • Olio degli infermi o di cura: comunque sia, con olio o senza olio, è evangelicamente necessario prendersi cura per curare, per esercitare il potere di Gesù in questo ampio, multiforme, difficile ma anche esaltante compito di liberare l´umo da tutte le forme di schiavitù. I missionari portano il «lieto annuncio». Devono farlo stando dalla parte di chi ha più bisogno di essere sollevato, colmato di gioia, anche alleviando mali fisici e morali causati da malattia, emarginazione, povertà, ignoranza. L’Allamano raccomanda di «stare con la gente», andare a trovarla dove vive. È l’espressione del cuore compassionevole di Dio che diventa consolazione. È un programma iscritto nel nome stesso che i missionari portano: quello della «Consolata». Sul modello di Maria sollecita del bene dell’umanità, la missione tende a instaurare il regno di Dio, che è amore, bontà, misericordia. Le Costituzioni dell’istituto hanno accolto tale istanza, proponendo di «essere presenti tra la gente con cui lavoriamo in modo semplice e fraterno, con contatti personali e con attenzione ai loro problemi e necessità concrete». ( Costituzioni n. 73) L’accoglienza è proprio africana, calda e fraterna, e mentre cala la notte con le stelle che stanno a guardare pensi alla tua terra: alla crisi dell’Europa, allo spread e a tutto e ti domandi. Che cos’è la vita e dov’è la parte migliore? Onore ai testimoni e alla loro memoria! Viva sempre e comunque la missione!!! Roma, 31.072012, festa di Sant’Ignazio di Loyola! Coraggio, avanti in Domino! 22 da Casa Madre 9/2012 casa generalizia LUGLIO - AGOSTO 2012 P. Vedastus Kwajaba, IMC Nei mesi di luglio e di agosto la comunità è ridotta in numero di presenze. Oltre al periodo di riposo e di ferie, diversi Confratelli approfittano per espletare servizi religiosi particolari e prolungati (ritiri,campeggi, animazione di Capitoli generali, animazione missionaria). Anche la Direzione generale ha programmato diversi viaggi e periodi di assenza, per partecipare alle Conferenze regionali in programma nelle varie circoscrizioni e per visite alle comunità. I padri Stefano e Marini visitano il Mozambico, Pozzoli l’Italia e la Polonia, Stefano e Cogliati il Congo, Stefano Pendawazima Marini e Medina il Nord America. L’ultima settimana di luglio ha visto tutta la Direzione generale riunita alla Certosa di Pesio, insieme alle Direzioni generali degli altri Istituti Missionari italiani, per vivere insieme gli Esercizi Spirituali, animati da P.Francesco Peyron. 23 da Casa Madre 9/2012 Sono stati numerosi i Confratelli e gli ospiti di passaggio durante questo periodo: tutti sono sempre benvenuti. P.Daudi Kuzenza, missionario tanzaniano in Portogallo, è restato con noi durante i due mesi per apprendere l’Italiano e visitare i luoghi del Fondatore. Abbiamo celebrato, nella festa della Trasfigurazione, diversi anniversari religiosi, augurando ai festeggiati le grazie di cui necessitano. P.Fedrigoni ha celebrato 30 anni di ordinazione, I padri Kota,Karuthi, Pendawazima e Wamunyu l’anniversario della loro professione. Nei giorni precedenti la solennità dell’Assunta abbiamo avuto la gioia di accogliere tra noi P. Piero Trabucco. Ha lasciato il Sud Africa per il nuovo compito di Postulatore che lo attende. A lui i nostri migliori auguri! Nota triste di questi mesi è stato il ricovero in ospedale di P.Michael Wamunyu, subito dopo il suo ritorno da Torino. Ora è tornato tra noi e gli auguriamo tanta salute. 24 da Casa Madre 9/2012 Missionários da Consolata realizam Conferência e atualizam sua Missão no Brasil P. Jaime C. Patias, IMC Os missionários da Consolata no Brasil reunidos em São Paulo, entre os dias 17 e 24 de julho, realizaram a sua XI Conferência Regional. A reunião máxima da congregação no Brasil acontece a cada seis anos, com a finalidade de atualizar as diretrizes e propostas vindas do Capítulo Geral (o último foi realizado nos meses de maio e junho de 2011, em Roma, Itália). Após apresentação dos relatórios sobre as atividades das várias secretarias, guiados pelo documento de trabalho, os cerca de 50 membros da Conferência se debruçam sobre os temas da Identidade e Carisma, Missão, Animação Missionária Vocacional, a organização do Instituto no Brasil, a formação, os leigos e a economia, a comunicação, entre outros. Cada um dos temas foi estudado em grupos de trabalho onde eram elaboradas propostas e apresentadas em plenário. No final, a assembleia aprovou um Documento com as prioridades e propostas operativas que deverão orientar os missionários da Consolata no Brasil, nos próximos seis anos. “Missionários da Casa Madre 9/2012 Brasile vita nelle circoscrizioni 25 da Consolata no Brasil, ode está sua Missão?”. Esta pergunta os desafiava a permanecerem fiéis ao carisma da Missão Ad Gentes além-fronteiras, segundo o espírito do Fundador, o BemAventurado José Allamano. Brasile Durante os trabalhos, a assembleia recebeu também a visita da Superiora Geral das Missionárias da Consolata MC, Irmã Simona Brambilla, e da Superiora Regional, Irmã Edite Cobalchini que falaram da sua recém-concluída Conferência Regional. Irmã Edite explicou que a reunião se concentrou sobre três áreas principais: reavivar a essência da congregação; privilegiar a comunidade; viver a Missão ad gentes de forma inculturada. Por sua vez, Irmã Simona recordou os dois mandatos principais do Capítulo Geral das MC de 2011, quais sejam: “renovar as Constituições e redesenhar as presenças”. Em 2014 as missionárias terão um Capítulo extraordinário para aprovar as novas Constituições. “Nos próximos seis anos, a Ásia será o lugar prioritário para o envio de novas missionárias, e se possível, em comunhão com o IMC”, garantiu a Madre Geral. 26 No dia 24, ao encerrar os trabalhos, o presidente da Conferência, padre Elio Rama, Superior Regional do IMC no Brasil agradeceu e fez um apelo a cada um dos membros da Conferência a assumirem com empenho e coragem o Documento aprovado por unanimidade. “As decisões que aqui tomamos é o início de uma nova caminhada. A realização das propostas depende da cada um de nós, certos de que não o faremos sozinhos, mas protegidos pelo nosso Fundador, o Bem-aventurado José Allamano e a nossa Mãe Consolata”, sublinhou para Elio. Vindos de Roma, o Vice-Superior Geral, Pe. da Casa Madre 9/2012 Dietrich Pendawazima, o Conselheiro Geral, Pe. Salvador Medina e o Administrador Geral, Pe. Rinaldo Cogliati, observaram o desenrolar dos trabalhos. Padre Medina destacou os últimos acontecimentos no Brasil e no Continente como espaços propícios à reflexão desde a Cúpula dos Povos e a Conferência da ONU na Rio + 20, os encontros das CEBs, Pastoral Afro-americana, Pastoral Indígena e Congresso Missionário. “Tudo isso ajudou a confrontar com a Missão Ad Gentes, com a identidade e o Carisma e a elaborar propostas para concretizar as decisões”. Falou também da corresponsabilidade na construção coletiva do Projeto Regional que, segundo ele, “exigiu um espírito de corpo com a participação de todos”. Para padre Cogliati, a crise econômica Na missa de encerramento, padre Pendawazima exortou os missionários a passarem para a outra margem do rio, a pesar das correntes e ventos contrários. “A Conferência Regional do Brasil está em sintonia com esta estratégia. Isso exige disposição de todos para cumprir o mandato do último Capítulo Geral de buscar um caminho radical de conversão. Que esta Conferência, a exemplo do que Maria fez, seja um ato de fé que ajude a passar para a outra margem”, destacou. A Congregação fundada em Turim, no norte da Itália, em 1901, conta hoje com mais de mil membros provenientes de 21 países e trabalhando em quatro continentes. O IMC chegou ao Brasil em 1937 e conta hoje com cerca de 50 missionários atuando nos estados de São Paulo, Paraná, Bahia e Distrito Federal. No Seminário Teológico Internacional do bairro Ipiranga, em São Paulo, estudam 28 seminaristas, na sua grade maioria vindos da África. Brasile mundial nos ensina que as soluções não estão nos políticos, nem em técnicos, mas “na austeridade de viver segundo as condições de vida que verdadeiramente podemos. Não somos governo nem banco, mas uma Comunidade Religiosa e devemos ver quais são os supérfluos que estão atrapalhando o caminho da Missão”. 27 da Casa Madre 9/2012 COMUNICAZIONE P. Sandro Carminati, IMC L’estate, tempo di riposo, è un dono del Signore; gliene siamo grati. Non dimentichiamo però di sentirci solidali con le tante persone e situazioni che non hanno la possibilità di un riposo, prima di tutto gli ammalati e i sofferenti. spirituale, tre giorni la settimana. Il p. Lino Tagliani, che ha rinunciato alla parrocchia di Santa Maria a Mare per salute, ha accettato di prestare questo importante servizio. Gli auguriamo buon lavoro. Estate è anche tempo di numerose attività di animazione missionaria e di impegni pastorali; tutte opportunità per testimoniare in modo più significativo il nostro impegno missionario dentro la chiesa. Tenuta poi presente l’indicazione del XII Cap. (62,1), sono stati destinati i seminaristi che, terminato l’anno di servizio, iniziano la loro specializzazione in sedi diverse dal seminario di Bravetta: ARAYA CARMONA JUAN CARLOS, a Vittorio V/Nervesa, Facoltà teologica del Triveneto, Padova; HANDINO DANIEL MATHEWOS e OMONDI NICHOLAS ODHIAMBO a Bevera, Facoltà Teologica Italia Settentrionale, Milano; LICONA SIERRA DAWINSO e ORERO KENNEDY OWUOR a Rivoli, Università Salesiana, Torino. Il cammino della Regione, dopo la Conferenza, prosegue illuminato anche dallo spirito che ci ha accompagnato durante la stessa Conferenza e dai suggerimenti che ci ha lasciato. Per adeguarci, ad ogni Consiglio regionale ci troviamo nella necessità di chiedere ad alcuni Confratelli la disponibilità a cambiare di comunità o ad assumere altri ruoli. La Direzione è cosciente dello sforzo che ogni volta richiede ai missionari, ma ci tiene a ribadire che i cambi nascono non semplicemente da emergenze non previste e sono in aumento, ma soprattutto dal desiderio di favorire le condizioni utili perché ogni comunità possa portare avanti nella forma migliore il piccolo o grande progetto comunitario missionario locale, per costruire insieme fraternità. Italia Anche nell’ultimo Consiglio (2-3 luglio) la Direzione è intervenuta con alcuni cambi e scelte. Ringrazia pertanto le persone e le comunità per la comprensione, la disponibilità all’apertura, alla reciproca accoglienza nella verità e sincerità. 28 Destinazioni. Sono stati destinati: P. Coppola Osvaldo alla comunità di Galatina; P. Redaelli Enrico alla comunità di Bevera; P. Massa Giorgio alla comunità di Platì; p. Tagliani Lino alla comunità di Cavi. Sono stati confermati i Padri Basso Gianni a Olbia e P. Paladini Fernando in Casa Madre. Altre destinazioni sono ancora in dialogo. Il seminario interdiocesano con sede in Alessandria, ha chiesto il servizio di un padre da Casa Madre 9/2012 A- per la Ristrutturazione. Dal verbale n.6: “Il Superiore della Regione Italia, nell’adunanza del suo Consiglio del 2-3 luglio 2012, nell’adempimento del mandato della III Confer circa la necessità di nominare alcuni Confratelli per lo studio della ristrutturazione e ridimensionamento della Regione: …una ristrutturazione infine non si improvvisa, anzi ha bisogno di tempo di riflessione e di studio perchè quando sarà tempo di agire o la situazione contingente lo esigerà, si potrà procedere con tempestività e competenza. A questo scopo si ritiene importante che venga nominata una Commissione ad hoc per lo studio della ristrutturazione in generale, la quale periodicamente informi la comunità regionale sui vari progetti e ne accompagni il processo esecutivo (cfr. cap. 3.B), e avuto il parere favorevole del suo Consiglio, nomina i Padri ZANNI ALDO, TREGLIA GIANNI, GALEONE GIUSEPPE, MAGGIONI EMANUELE membri di tale commissione. La Commissione sarà coordinata dal p. Zanni Aldo, Amministratore regionale. missionaria, con la presenza di tre giovani missionari dei quali due preparati in missiologia; - la comunità di Vittorio Veneto/Nervesa, per una nuova animazione nella dimensione della spiritualità e con la collaborazione dei laici”, per rispondere operativamente prima in forma separata e poi nel confronto, alla proposta fatta dalla Confer. Italia Commissioni. La III Confer ha incaricato la Direzione di procedere alla conformazione di due commissioni: Le due comunità, separatamente prima e poi insieme, inizieranno a pensare al progetto, a riflettere e a sperimentare sul campo il mandato della Confer. Il p. Vincenzo Salemi che sta partecipando all’esperienza di “nuova evangelizzazione” nella parrocchia di San Eustorgio a Milano, è disponibile per condividere l’esperienza con le due comunità e collaborare nella riflessione”. La Commissione, nello spirito della III Confer. organizzerà, appena possibile, il suo piano di lavoro avvalendosi, a suo giudizio, anche di altri Confratelli ed esperti nel settore, seguendo le indicazioni/criteri dati dalla Conferenza”. B- per l’Equipe nuova Evangelizzazione. Dal Verbale n.6: “La Conferenza ha chiesto che sia costituito un gruppo/equipe di riflessione e che elabori proposte sulla nuova evangelizzazione e/o animazione. Cogliendo lo spirito della conferenza stessa, questa equipe deve essere, oltre che di riflessione, frutto di esperienza a partire dalle attività delle nostre comunità. Per questo motivo, più che incaricare dei missionari per questo servizio, il Consiglio ha fatto la scelta di incaricare: Conclusione. A settembre, terminato il tempo e le attività estive, riprenderemo i nostri impegni di programmazione e di riflessione partendo dalle indicazioni della Confer senza dimenticare quanto il p. Generale ci ha scritto nella conclusione della sua lettera di approvazione alla nostra Confer: “La riflessione mira a individuare le direzioni verso cui presumibilmente si dirigerà la missione nel futuro. A noi pare che in tale contesto la missione dovrà caratterizzarsi per una forte testimonianza personale e comunitaria di fede e di vita cristiana, per una testimonianza di vita comunitaria interculturale, per una “nuova formazione” e per una “nuova” AMV e per una economia di comunione per la missione.” - La comunità di Galatina, che lavora tanto nell’ambito parrocchiale come dell’animazione Il Progetto Missionario Comunitario di Vita, di cui ne sentiamo la necessità e l’urgenza, dovrà Per lo studio delle ipotesi di ristrutturazione della Casa Madre, il p. Cacciari Silvano ha già avviato lo studio con alcuni tecnici. da Casa Madre 9/2012 29 chiesa, all’Anno della Fede; preghiamo perchè questa iniziativa voluta dal Santo Padre diventi anch’essa occasione per crescere nella lode e nel ringraziamento al Dio della misericordia che continua, attraverso la sua chiesa, l’opera della redenzione del mondo. In ottobre, oltre a viverlo come mese missionario, ci apprestiamo ad aprirci, come In unione di preghiera, un caro saluto. Italia proprio partire da una rinnovata volontà di essere prima di tutto dei testimoni di vita, di fede e di fraternità. Come Direzione ci siamo proposti di aiutare le comunità, attraverso una traccia di lavoro che sarà inviata, a fare una lettura della propria realtà in vista della formulazione del Progetto. Sarà questo progetto che durante il prossimo anno sarà tenuto presente come strumento di riflessione e di confronto. L’abbondante materiale in preparazione al Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione già esistente e le riflessioni/conclusioni che seguiranno, ci saranno di valido aiuto. 30 da Casa Madre 9/2012 Il mese di ottobre, sabato 13, ci troverà pure riuniti in preghiera a Cuneo per l’ordinazione sacerdotale del diacono Piero Demaria al quale, fin d’ora, esprimiamo tutta la nostra gioiosa vicinanza. P. Diamantino Guapo Antunes, IMC Passados quase noventa anos da sua chegada a Moçambique, os Missionários da Consolata, optaram por fazer uma nova fundação missionária. Seguindo as pegadas dos seus predecessores, preparam-se para regressar à actividade missionária na província de Tete, onde já haviam trabalhado de 1926 a 1933. Nestes dias, o Superior Geral dos Missionários da Consolata, P. Stefano Camerlengo, acompanhado pelo Bispo de Tete, D. Inácio Saúre, visita alguns lugares de primeira evangelização, possíveis campos de trabalho a assumir pelo Instituto num futuro próximo. Terminada a VIIIª Conferência Regional dos padres da Consolata de Moçambique, realizada no Centro de Guiúa, de 2 a 12 de Julho, os missionários regressaram já às suas missões. Na bagagem levam indicações precisas para continuarem a ser uma presença missionária significativa no meio do povo e ao serviço da Igreja local. A Conferência Regional reafirmou a evangelização dos não cristãos como sua finalidade específica em Moçambique, que deve ser actualizada nos vários contextos da missão, em cada Diocese. Depois de tantos anos de actividade missionária nas missões das dioceses de Lichinga, Nampula, Inhambane e Maputo, os Missionários da Consolata preparam-se para re-iniciar a sua actividade na Diocese de Tete. Tratou-se da aceitação dum convite do Bispo de Tete para assumir algum compromisso pastoral na sua Diocese. Na Conferência Regional, ficou decidido que, no próximo ano, serão enviados para Tete dois missionários que se irão juntar ao Padre Franco Gioda, que já se encontra a trabalhar com Dom Inácio Saúre, missionário da Consolata nomeado Bispo de Tete no ano passado. A Diocese de Tete, que celebra este no 50 anos de vida, é uma das mais carenciadas de Moçambique. A Diocese conta com 27 missões, sendo apenas 13 com missionários residentes, as restantes são assistidas esporadicamente por equipas missionárias itinerantes, enquanto outras estão simplesmente abandonadas à sua própria sorte. A história dos Missionários da Consolata em Moçambique é conhecida: a história futura irá agora ser escrita. O que importa é não esquecer que a acção missionária deve continuar a contribuir para ajudar esta Igreja local a crescer e a amadurecer até caminhar com as suas próprias forças. da Casa Madre 9/2012 Mozambico Regresso a Tete dos imc 31 Missione di monitoraggio in Kenya dell’ufficio progetti Chiara Giovetti Giugno – luglio 2012 UGCM Durante i mesi di giugno e luglio sono stata impegnata in una missione di monitoraggio in Kenya. Questo tipo di missioni fanno parte del lavoro dell’ufficio progetti di Missioni Consolata Onlus (MCO) e sono i momenti di verifica sul campo in cui è possibile fare il punto si progetti in corso e raccogliere informazioni per quelli futuri. 32 Da Nairobi a Maralal passando per Mombasa Il viaggio comincia da Westlands, alla Casa Regionale, movimentata dal consueto via vai di missionari e amici di IMC, e subito continua verso Mombasa dove, grazie alla generosità di un donatore privato, è stato possibile ristrutturare tre asili intorno a Likoni. Dopo Mombasa e un rapido passaggio per Nairobi, il vice-superiore della Regione Kenya, p. Zachariah King’aru, e Naomi Mwingi, responsabile dell’ufficio da Casa Madre 9/2012 progetti dell’IMC Kenya, mi accompagnano per una settimana di viaggio che ci porta a Rumuruti, Maralal, Isiolo, Mukothima e Sagana. A Maralal, Monsignor Virgilio Pante e p. Angelo Riboli, come sempre squisiti padroni di casa, illustrano l’avvio dei lavori del progetto per l’Irene Girls’ Training Centre (IGTC), scuola professionale per ragazze che si trova proprio di fronte alla sede della Diocesi e che è diretta da Suor Rosa Waeni, missionaria della Consolata. La Diocesi, attraverso l’ufficio progetti di Missioni Consolata Onlus, ha chiesto e ottenuto un finanziamento dalla CEI per la costruzione di nuove aule e l’ammissione di nuove allieve all’IGTC, che rappresenta una delle poche opportunità per molte giovani di formarsi come segretarie, sarte, cuoche e personale di sala. Le difficoltà sono tante”, spiega Suor Rosa, “molte ragazze in città credono che studiare qui serva per andare a fare le donne di servizio UGCM nelle case dei ricchi. Per fortuna il primo gruppo di ragazze formate è appena tornato dallo stage finale sulla costa, dove le allieve si sono rese conto che potranno lavorare in strutture altamente selettive e di qualità, guadagnando bene e onestamente”. I rifugiati di Camp Garba e i progetti agricoli del Tharaka Dopo Maralal è la volta di Isiolo. Durante la sosta a Camp Garba, p. Simon Wambua e P. Pietro Tallone fanno il punto della situazione sull’emergenza rifugiati. La scorsa primavera oltre tremila persone, quasi tutte di etnia Turkana, fuggirono dai propri villaggi dopo gli attacchi da parte dei pastori Borana e gli scontri che ne seguirono. Il Superiore Generale IMC, p. Stefano Camerlengo, aveva scritto una lettera con un appello a tutto l’Istituto per informare e sensibilizzare sulla grave emergenza umanitaria. MCO aveva poi lanciato una campagna per fronteggiare l’emergenza e, grazie alla adesioni di diversi donatori, era stato possibile acquistare e distribuire generi di prima necessità. Allo stato attuale l’emergenza sembra essere rientrata, ma pochissimi rifugiati ha fatto ritorno alle zone di provenienza. “La missione”, spiega padre Simon Wambua, “cerca di incentivare i rientri fornendo a chi accetta di tornare al proprio villaggio il legno e mabati per ricostruirsi la casa, ma la sicurezza non è ancora garantita e molti temono nuovi attacchi”. Dopo Camp Garba visitiamo Mukothima, nel Tharaka, dove la locale scuola superiore aveva ottenuto attraverso l’ufficio progetti di MCO un finanziamento dalla Caritas con il quale i missionari hanno realizzato un progetto di irrigazione, poi ampliato grazie a un ulteriore contributo di un’associazione calabrese. “Ora vorremmo costruire un centro per l’informatica e una biblioteca”, racconta Suor Idah, la preside della scuola, “che siano fruibili dalle ragazze della scuola ma anche dalle loro famiglie, dalla comunità locale”. La realtà del Tharaka, spiega la suora, è ancora molto chiusa e spesso le ragazze, nonostante la formazione, si trovano a dover fare i conti con un contesto tradizionalista che limita le loro possibilità di aprirsi al mondo. Il lungo cammino verso la pace La missione si conclude con il monitoraggio ufficiale da parte di una delegazione che comprende MCO, funzionari della Provincia Autonoma di Trento, membri dell’associazione partner Africa Rafiki e p. James Lengarin in rappresentanza dei missionari della Consolata in Kenya. La delegazione riflette la composizione del partenariato che sta portando avanti il progetto Giovani Uniti per la Pace in Kenya, finanziato dalla Provincia di Trento e con un contributo della CEI. Il partner locale, oltre ai missionari della Consolata, è l’ONG Youth United for Peace in Kenya. Il monitoraggio include la partecipazione a quattro dei forum di riconciliazione – Githurai Kisumu, Eldoret e Molo – che sono la principale attività del progetto, il cui obiettivo è quello di ricostruire il dialogo e la fiducia reciproca nelle comunità che avevano visto l’emergere del conflitto all’indomani delle elezioni del 2007. La seconda fase, poi, prevederà la formazione delle comunità in modo che queste siano assistite nel loro sforzo di superare le divisioni tribali e lavorare insieme alla risoluzione di problemi comuni. Terminata la missione vera e propria la delegazione visita al Saint Martin di Nyahururu, centro gestito dalla Diocesi. L’idea portante del Saint Martin è che il target non sono le persone bisognose e malate, ma quelle “sane” intorno a loro. Prima di chiedere aiuti dall’esterno, le comunità devono impegnarsi a cercare in loro stesse le risorse per risolvere i problemi. Applicando questo principio, e grazie al sostegno di donatori e sostenitori, il Saint da Casa Madre 9/2012 33 Martin – il cui slogan è Only through community, solo attraverso la comunità – è riuscito a creare una rete di circa un migliaio di volontari che sono la vera spina dorsale dei progetti e collaborano con le oltre novanta persone che lavorano a tempo pieno nei cinque programmi. Riflessioni e conclusioni Il lungo cammino verso la liberazione dalla dipendenza Il progetto Giovani Uniti per la Pace in Kenya appare come un’iniziativa sui generis se confrontata a progetti più “classici” (scuole, ospedali, pozzi). È infatti un intervento che punta molto su un tipo di formazione che non ha a che fare con una professione o con l’istruzione scolastica, ma mira piuttosto ad aumentare nei beneficiari la conoscenza della realtà socio-politica in cui vivono e la consapevolezza dei propri diritti, fornendo degli strumenti intangibili ma efficaci per distinguere fra la propaganda asservita agli interessi di questo o quel politico e il dibattito politico serio che affronta problemi reali e concreti del Paese. UGCM Un progetto come questo è difficilmente “misurabile” nei suoi risultati: alla conclusione delle attività, nel 2014, non ci saranno un pozzo o un edificio da fotografare a riprova dell’utilizzo dei fondi. Per questi motivi, Giovani Uniti per la Pace in Kenya presta il fianco alle critiche di eccessiva “teoricità” e vaghezza dell’intervento. Tuttavia, occorre tener presente che si sta sviluppando nei donatori in Italia e nel nord del mondo in generale una coscienza che predilige proprio questo tipo di interventi dopo una riflessione sui limiti della “cooperazione fatta con i container” e della dipendenza che questa crea. 34 Gli atti del XII Capitolo generale IMC, in diverse parti, riprendono temi e propongono orientamenti che, al netto delle ovvie differenze nel linguaggio, si avvicinano molto a queste posizioni. Mi riferisco, ad esempio, ai riferimenti all’”eccessivo fare” e al rischio che “le troppe attività vadano a scapito della qualità dell’operare” (pag. 16 degli Atti Capitolari, versione italiana), oppure alle sfide individuate dal capitolo per quanto riguarda l’economia di comunione per la missione (pag. 27). da Casa Madre 9/2012 Il lavoro sui progetti in Kenya La regione Kenya è stata senz’altro una delle più attive in questi quasi cinque anni di attività dell’ufficio progetti. Certamente, la presenza di un ufficio progetti regionale a Nairobi, con un responsabile a tempo pieno, è stata determinante nel favorire questo percorso e la volontà dei consigli regionali che hanno creduto e credono in questo modo di lavorare ha facilitato enormemente il lavoro dell’ufficio progetti di Roma e il successo nell’ottenimento di fondi. I progetti che ho visitato mostrano una maggiore consapevolezza del mutato modo di concepire la cooperazione e suggeriscono che il concetto di “fare”, in Kenya, sta cominciando a cambiare in direzione appunto, di un maggior peso attribuito al lavoro con le persone (potremmo dire: sulle menti) e un minor peso riservato alle cose, agli oggetti, alle strutture. Ringraziamenti Al termine di questo intenso mese vorrei ringraziare di cuore il superiore regionale p. Hieronymus Joya e tutti i missionari della Consolata in Kenya che, come sempre, mi hanno accolto con affetto e grande disponibilità. Un particolare ringraziamento vorrei poi rivolgere alle persone con le quali ho condiviso più tempo e scambi di idee e, in particolare: all’infaticabile p. James Lengarin, che mi ha seguito e assistito anche da lontano come un vero “angelo custode”, a p. Gerardo Martinelli, fonte inesauribile di informazioni, spunti di riflessione e simpatia, a p. Pietro Guerini per la che mi hanno dimostrato, a p. Franco Cellana per il suo entusiasmo contagioso. Un pensiero, infine, va ai missionari congolesi, i pp. Nestor Nkulu, Jean Marie Bilwala, Simon Tshiani e Fr. Patrick Kambale, che conosco da tanti anni e ai quali non mi è stato purtroppo possibile dedicare tutto il tempo che avrei voluto. UGCM pazienza e il supporto nelle questioni logistiche, a p. Zachariah King’aru e a Naomi, che mi hanno accompagnato per un’intensa settimana di visite, a p. Angelo Riboli per l’accoglienza, l’efficienza e le numerose occasioni di condivisione, ai pp. Simon Wambua e Pietro Tallone per la passione e la dedizione con cui stanno affrontando la difficile situazione dei rifugiati e la disponibilità 35 da Casa Madre 9/2012 vita nelle comunitÀ COMUNICAZIONE DI VITA E DI FEDE P. Manuel Grau, IMC Eccomi di nuovo, dopo una parentesi un po’ lunga, per continuare a mantenere con voi questa semplice comunicazione che vuole essere uno scambio di notizie, di vita e di fede. Dianra Questo periodo di silenzio è stato dovuto, innanzitutto, ad alcuni problemi di salute, non gravi, che mi hanno costretto a passare quasi due mesi in Spagna. Tutto è andato bene, grazie a Dio. Adesso, la salute va meglio. 36 Quest’anno pastorale, appena finito, è stato intenso, pieno di attività, cambiamenti di persone e situazioni non previste che hanno messo alla prova la nostra capacità di accogliere il nuovo e l’imprevisto che ci arriva, compresi anche i problemi di salute. Veramente, cogliere la nostra fragilità o sentire e accettare la disproporzione delle nostre forze ci aiuta anche a crescere. In questo momento, la comunità di Dianra è composta di tre missionari: P. Matteo, italiano, P. Ramón, spagnolo ed il sottoscritto. La missione non è sempre un cammino di successi scontati, la risposta che ci si aspetta non si trova sempre, secondo i nostri schemi. Troviamo molto sovente un’adesione di fede iniziale, insieme a tante altre motivazioni che bisogna anche cogliere ed accompagnare. Una fede convinta, che impegna la vita, è più difficile da Casa Madre 9/2012 ma, ringraziando Dio, non mancano persone de una fede solida e trasparente, come quella delle persone che provocavano l’ammirazione di Gesù: “Donna, la tua fede è grande” (Mt 15,28). La missione, vissuta come sequela di Gesù ci fa provare i suoi stessi sentimenti: lode al Padre ed esultanza per la fede dei piccoli (cfr. Lc 10,21), compassione verso le folle stanche ed abbandonate come pecore senza pastore (cfr. Mt 9,36) o anche lo stupore per la mancanza di fede e la ricerca di segni per credere (cfr. Mc 6,5-6). 8,11-12) Tutti questi sentimenti ci accompagnano nella quotidianità di una missione che ci mette sulle orme di Gesù Dianra e che ci richiede di rimanere vigilanti. Anche le nostre iniziative di promozione umana e sociale hanno, da parte nostra e dalla parte della gente, una varietà di aspetti che mette in evidenza il desiderio di soluzioni facili e senza sforzo, il saper camminare, nel nostro caso, al ritmo degli altri, o l’impegno serio di qui vuole crescere e cambiare le proprie condizioni di vita. Non ci mancano esempi incoraggianti nelle nostre attività e progetti, sovente tra i non cristiani. Un giovane musulmano ci a reso una bellisima testimonianza del valore dei corsi serali di alfabetizzazione mentre facciamo fatica ad incoraggiare la partecipazione dei nostri cristiani. Con la festa patronale de San Paolo Apostolo abbiamo concluso l’anno pastorale ed anche la celebrazione dei dieci anni di vita della parrocchia di Dianra. Questa celebrazione è stata accompagnata da una novità importante: la nostra parrocchia, giovane di dieci anni, genera una nuova parrocchia. Il nostro vescovo a deciso di creare la parrocchia di Dianra Village, dedicata a San Pietro Apostolo, dividendo in due l’attuale parrocchia e affidandola anche ai Missionari della Consolata. In questa celebrazione abbiamo ringraziato Dio per tutto quanto Lui ha voluto realizzare con noi, con la nostra gente. Abbiamo ricordato tante persone che hanno contribuito dedicandovi vita, tempo, salute, aiuto materiale, preghiera. A tutti loro, a tutti voi diciamo un grazie di cuore. Ci auguriamo di poter continuare a camminare insieme, stringendo sempre di più i legami della nostra comunione e della nostra amicizia. 37 da Casa Madre 9/2012 Bênção da nova capela de Nhaduga, Paróquia de Guiúa-Inhambane P. Diamantino Antunes, IMC Na aldeia de Nhaduga, Paróquia de Santa Isabel do Guiúa, Diocese de Inhambane, a comunidade reuniu-se em festa para celebrar a inauguração e bênção da nova capela que tem como padroeiro São José. A comunidade teve início com a fundação da Escola Primária de Nhaduga em 1955. Esta funcionava também como capela aos domingos, até à nacionalização da escola em 1975. Guiua Os tempos difíceis da revolução socialista e ateia desorganizaram a vida da comunidade que deixou de ter lugar fixo para rezar, socorrendose das sombras das arvores As restrições religiosas e a devastação infligida pela guerra civil em, seguida que levou à dispersão dos crentes. 38 Porém, com o fim da guerra, em 1992, a comunidade cristã de Nhaduga reconstituise e construiu a sua palhota-capela, a qual se tornou pequena à medida que os fiéis se organizavam e cresciam em número. Em 2006, sendo pároco do Guiúa o P. Sandro Faedi, foi construída uma nova capela. Todavia, com o crescimento do número de baptizados e de catecúmenos na capela tá não havia espaço para todos. Em 2011 decidiu-se a construção de uma capela ampla e em alvenaria. O trabalho arrancou no início deste ano com a colaboração de todos. O Bispo de Inhambane, D. Adriano Langa, da Casa Madre 9/2012 inaugurou e benzeu a nova capela e expressou o desejo: “que esta igreja possa tornar-se pequena, sinal de que o caminho que esta comunidade começou e consolidou, continua e se multiplica”. A inauguração da capela de Nhaduga foi uma das muitas actividades realizadas ao longo da visita pastoral do Bispo de Inhambane à Paróquia de Guiúa. Durante a visita pastoral, que durou uma semana, D. Adriano Langa teve oportunidade de reunir-se com os responsáveis das 14 comunidades cristãs e os catequistas na reunião do conselho pastoral paroquial, encontrar-se com os membros dos diferentes movimentos de apostolados dos leigos existentes na Paróquia. Visitou ainda 5 comunidades cristãs onde celebrou a Eucaristia e administrou o sacramento do Crisma a 160 jovens e adultos. A Paróquia de Guiúa foi fundada pelos Missionários da Consolata no dia 4 de Julho de 1973. A sua criação e a sua história está ligada ao Centro Catequético do Guiúa, que este ano celebra 40 anos de existência. P. Marco Turra, IMC Già è passato un anno da quando sono stato ordinato prete nella parrocchia di Kidamali, il 12 luglio del 2012, insieme ad altri quattro giovani della diocesi di Iringa. Così abbiamo deciso di ritrovarci tutti a festeggiare nella parrocchia di Itengule-Malangali, antica missione appartenuta ai missionari della Consolata e consegnata nel 1965 alla diocesi di Iringa. Insieme ai miei compagni di ordinazione, sono venuti con me Simon, nostro teologo del seminario di Nairobi, il quale e’ qui in Tanzania per una breve esperienza pastorale, e Ivan, filosofo del nostro seminario di Morogoro, originario della diocesi di Iringa, parrocchia di Ifunda. Per me e’ sempre un’emozione visitare le nostre antiche missioni e ritrovare dopo tanti anni i segni della nostra presenza: a Malangali c’è una bella chiesa, grande, costruita come la casa parrocchiale con mattoni a vista. L’impressione e’ sempre di una rassicurante solidità, anche se gli interni richiederebbero continua manutenzione e miglioria, ma si sa, qui le risorse sono quelle che sono. Dietro la chiesa, c’e’ anche la tomba di un nostro missionario, p. Domenico Basso, morto nel 1959. Il momento centrale della festa e’ stato naturalmente l’eucaristia, concelebrata da tutti e cinque insieme al parroco e al collaboratore della parrocchia. Mi hanno chiesto di predicare: non so perché’ abbiano scelto me, forse per sottolineare la mia presenza come missionario, e la responsabilità che deriva da questa vocazione, quella di annunciare il Vangelo in ogni situazione, anche oltre i nostri limiti di origine, lingua e tradizione culturale. Nell’omelia ho ricordato un aneddoto che mi capitò molti anni fa: un prete che festeggiava sessant’anni di ordinazione mi disse questa frase: “La vita e’ breve, ma le ore sono lunghe”. Questo mi ha dato la possibilità di ricordare la brevità del periodo sin qui trascorso come preti, solo un anno, ma anche la lunghezza che sicuramente ognuno di noi ha già constatato di alcune drammatiche ore delle nostre brevi vite. Quando abbiamo pregato e vegliato un ammalato, quando abbiamo intrapreso lunghi Iringa Festeggiamo un anno di ordinazione viaggi per raggiungere i fedeli a cui siamo stati destinati, nelle difficoltà del lavoro, nella fatica a raccogliere frutti, nei piccoli e grandi crucci delle nostre esistenze. E con tutto questo siamo venuti a Malangali, ci siamo ritrovati qui dopo un anno, per ringraziare Dio per questo grande dono, il ministero di prete. Ho parlato anche del senso di paternità che ci è stato attribuito con questo ministero: uno solo e’ il padre, e’ Dio che e’ nei cieli, ma noi in qualche modo lo rappresentiamo, o meglio, cerchiamo come Gesù di compiere ogni sforzo perché’ le persone attraverso i nostri gesti e le nostre parole, si possano ritrovare avvolti dall’amore di quell’unico Padre a cui tutti tendiamo. Dopo la messa, abbiamo visitato la vicina scuola secondaria da poco aperta dalla diocesi di Iringa. Siamo stati condotti da p. Shija, prete diocesano che si occupa a tempo pieno della scuola per offrire ai giovanissimi studenti una formazione all’altezza dei tempi. Ognuno di noi ha incoraggiato gli studenti, attentissimi e curiosi di ascoltare questi cinque giovani da poco diventati preti, a profondere la loro vitalità nello studio e nella propria crescita umana e spirituale. La festa si e’ conclusa con un bel pranzo condiviso con un gruppetto di Cristiani di Malangali e, dopo il pranzo, abbiamo apprezzato l’ospitalità della gente che ci ha mostrato la propria gioia con il “kiduo”, tipico ballo della tribù dei Wahehe. da Casa Madre 9/2012 39 Agosto in Polonia P. Abebe Ashenafi Yonas, IMC Agosto è un mese speciale per tanti polacchi. E’ un mese di vacanze, ma anche mese di tanti pellegrinaggi. Dal 25 maggio al 14 agosto ben 168 pellegrinaggi a piedi sono giunti al santuario della Madonna Nera da agni punto della Polonia per un totale circa di 104.500 persone. I dati sono ufficiali del santuario perche tutti i participanti sono iscritti ufficialmente. Inoltre, sempre in questo periodo, altri 66 pellegrinaggi sono giunti in bicicletta. Ancora 7 pellegrinaggi di corsa, cioe marciando e 2 a cavallo. Da Varsavia ben 5 pellegrinaggi arrivano per un totale di quasi 20.000 persone. Nel pellegrinaggio accademico di Varsavia, per la 32 volta si incaminano più di 3,000 giovani verso Czestokova, sanctuario nazionale, dal 5 Agosto al 14 agosto, per affidare a Dio per l’intercessione di Maria le questioni personali e comuni. Da quando siamo arrivati quatro ani fa, agni anno vi abbiamo participato. Cosi per la quinta volta siamo pronti. Come ormai è tradizione, accompagniamo il gruppo argento “SREBRNA”, uno dei 18 grupi que compongono questo pellegrinaggio. Il gruppo argento proviene dalla parrocchia di S. Pio in Varsavia e dalla communità giovanile e amici della Consolata. Warszawa Per noi è realmente un’esperienza ricca. Come sacerdoti si confessa molto e spesso si ascoltano vere e proprie conversioni. Ogni giorno si fanno conferenze camminando, si canta e si guidano le preghiere, Rosario, Koronka alla Divina Misericordia ecc... per noi è un campo opportuno per l’animazione misionaria e vocazionale. Qui si conoscono tantissimi giovani con i quali poi si continua il cammino missionario ritornando in città. Molti dei nostri provengono propio da qui. Conosciamo quasi tutti gli oltre 60-70 sacerdoti che accompagniano i diversi grupi. Molte volte siamo invitati durante il camino in altri gruppi per presentarci, condividere l’ esperienza missionaria e animare con le preghiere e i canti missionari un tratto del pellegrinaggio. Ormai in questo clima ci sentiamo molto bene e ad agio! E’ una bella occasione per ricordavi e affidarvi a Maria del camino, anche noi chediamo vostra preghiera cosi che possiamo eserci forti nel corpo e nello spirito! 40 da Casa Madre 9/2012 P. Angelo Casadei, IMC Vi scrivo da Quito la capitale dell’Ecuador che si trova a 2800 metri sul livello del mare, da una delle prime case dei padri Salesiani che sono arrivati qui nel 1885, quando in Ecuador vivevano un milione di abitanti, mentre oggi ne conta 14 milioni dei quali 2 milioni nella capitale senza contare i 3 milioni fuori dal paese. Ecuador Notizie dall’Ecuador Vi domanderete perché sono qui. Il mio superiore provinciale della Colombia p. Joaquin Pinzon mi ha invitato ad accompagnarlo a visitare le due missioni in Ecuador che dipendono dalla Colombia. Siamo partiti dalla parte amazzonica del paese, che confina con la parte amazzonica della Colombia, nella regione chiamata Sucumbio, dove per 40 anni ha lavorato Mons. Gonzalo López Marañon un vescovo che ha voluto vivere e applicare il Concilio Vaticano II e le varie conferenze Latino Americane, creando un Vicariato (quasi diocesi) dove tutti partecipano alla Evangelizzazione, togliendo le divisioni in parrocchia e ponendo l’attenzione verso la comunità cristiana e ciò che la caratterizza appartenenti all’area indigena, i coloni coloro che vivono nella frontiera, nella città… offrendo così una pastorale adeguata alle persone. Noi ci siamo impegnati con il vescovo nella pastorale indigena per un un settore della regione e la pastorale di frontiera nella parte di confine con il vicariato di San Vicente Puerto Leguizamo, mentre dalla parte colombiana con la parrocchia di Puerto Ospina. Abbiamo incominciato il lavoro con molto entusiasmo. Dopo poco tempo che siamo arrivati nel territorio, il vescovo è stato rimosso per limiti di età e al suo posto sono arrivati los “Heraldos del Evangelio” una congregazione molto ultra-tradizionalista, arrivata con lo scopo di riportare il vicariato sul retto camino. Per farla breve ciò ha creato un grande malessere nella gente al punto che lo stesso Presidente della Repubblica è dovuto intervenire e chiedere alla Santa Sede di ritirare gli ultimi evangelizzatori inviati e con loro sono dovuti uscire anche i padri Carmelitani che avevano in mano il Vicariato ed occupavano un ruolo importante. Dopo questi fatti ci siamo accorti che la pastorale indigena era rimasta totalmente scoperta. Le stesse comunità ci hanno chiesto di collaborare nella coordinazione della zona. Oggi in questo accompagnamenti agli indigeni di Sucumbio ci sono: P. Armando Olaya, il diacono Julio Caldeira e il seminarista Lawrence Ssimbwa, e dalla parte Colombiana ci sono: il p. Antonio Benitez, p. Juan Antonio Sozzi e la laica missionaria Maria Esperanza Cordoba. La seconda missione che abbiamo in Ecuador è nel cuore delle Ande a Licto nella diocesi di Riobamba dove per 30 anni è stato vescovo Mons. Leonida Proaño, un grande difensore degli Indios d’Ecuador, è una diocesi esclusivamente indigena. Ho letto molto di questo grande Vescovo che ha fatto un processo di conversione grandissimo. Formato prima del Concilio trasformato dal Concilio Vaticano II e dalle Conferenze Episcopali Latinoamericane, ha fatto una scelta preferenziale per i poveri e per gli indios dell’America Latina. Ha incominciato ad ascoltare le persone indigene, le comunità indigene, in una casa semplice ed accogliente. Si è accorto dell’importanza del trasmettere la fede dentro un cambio sociale e ha fatto di tutto per elevare le comunità indigene alla dignità umana. Per me è stata la prima volta che mettevo piede in “Santa Cruz” nei luoghi dove questo uomo di Dio ha tentato da Casa Madre 9/2012 41 la trasformazione di una realtà ingiusta con la forza della Sua Parola. Dopo 28 anni è ancora vivo il suo ricordo. C’è un gruppo investigativo che sta raccogliendo tutto il materiale e lo ha ben catalogato ed esistono varie pubblicazioni in merito. Arrivando in questo paese ci si rende conto che è totalmente diverso dalla Colombia. L’ecuadoriano delle Ande è molto riservato, però quando c’è qualcosa che non funziona organizza manifestazioni che hanno destituito più di un presidente. Si percepisce una grande pace, è totalmente assente il conflitto armato che c’è in Colombia. Da quando è al potere l’attuale presidente Rafael Correa sembra che il paese abbia avuto una ripresa straordinaria, lo si vede nelle infrastrutture come le strade ben asfaltate e in continuo aumento, ogni comunità può presentare un progetto al governo ed è garantito l’appoggio, l’educazione è gratuita e per tutti ed è migliorata in qualità, la salute è per tutti e l’attenzione è più efficiente. In questo il presidente è stato aiutato con la scoperta di nuovi pozzi petroliferi che aiutano questo paese a progredire. Il pericolo è che con la fama che si è fatta il presidente vuole governare a vita, ed ha un stretto legame con il presidente Chavez del Venezuela e con Cuba. Che cosa posso dire di questa mia piccola visita in Ecuador. Condivido 3 considerazioni che mi fanno riflettere molto: Ecuador Mi ha impressionato la presenza indigena che ha resistito per tanti secoli ad una cultura dominante come quella occidentale e che deve prepararsi al fenomeno della globalizzazione che vuole uniformare tutti con il rischio di cancellare tante ricchezze culturali importanti per l’umanità ed è qui che gioca un ruolo importante la formazione intellettuale e spirituale degli eredi di queste comunità indigene. Nei pochi giorni che sono stato con queste comunità indigene ho percepito quello che tante volte mi ha detto p. Antonio Bonanomi “gli indigeni sono il futuro del continente Latino Americano” Stiamo celebrando i 50 anni del Concilio Vaticano II, a volte vedo che questa Chiesa di comunione e partecipazione stenta ad andare avanti, sembra che si voglia ritornare all’antico e cancellare quegli sprazzi di incarnazione del vangelo nella nostra era, in ogni caso la storia va avanti non possiamo noi frenarla o perderci in nostalgici rimpianti. Oggi la Chiesa non è la protagonista in questo mondo moderno, deve essere una levatura dentro la massa Stando a Quito nella capitale ci siamo resi conto della presenza di molti indios. Ci hanno detto che su una popolazione di 2 milioni 300.000 sono indigene delle varie etnie, e sarebbe interessante una nostra presenza nella città accompagnando gli Indios immigrati, e ci siamo resi conto che l’accompagnamento della chiesa è minimo e sarebbe importante aiutare la Chiesa locale in questo lavoro della evangelizzazione della cultura indigena. Concludo ringraziando il Signore per questa opportunità che mi ha dato di conoscere qualcosina di un paese così vicino alla Colombia però allo stesso tempo molto differente, l’Ecuador, sicuramente è una grande ricchezza per America Latina e per il mondo intero. 42 da Casa Madre 9/2012 P. Giorgio Marengo, IMC Lo scorso 17 giugno è stata per noi una data particolarmente significativa: la nostra piccola comunità cristiana di Arvaiheer infatti è diventata ufficialmente parrocchia della Prefettura Apostolica di Ulaanbaatar. Il vescovo Wenceslao Padilla ha desiderato questo inizio ufficiale della parrocchia in concomitanza con le celebrazioni per il ventennale della Chiesa nella terra di Gengis Khan. Solo nel 1992 infatti entravano in Mongolia i primi tre missionari cattolici, dopo che la Santa Sede aveva potuto ristabilire relazioni ufficiali con questo grande Paese dell’Asia centrale; veniva così a colmarsi un grande vuoto storico, visto che passata l’esperienza nestoriana e le legazioni pontificie al tempo dei grandi Khaan medievali, non si avevano più avuto tracce di vita ecclesiale in queste terre. La nuova parrocchia, dedicata a Maria, Madre di Misericordia, è un segno di vitalità per questa giovanissima chiesa particolare e noi siamo molto grati al Signore per averci voluto parte di questo cammino di evangelizzazione, che continua con rinnovato entusiasmo. Per noi concretamente questo cammino è iniziato nel 2006, quando ci siamo trasferiti ad Arvaiheer – capoluogo della provincia di Uvurkhangai. Dopo aver trascorso i primi tre anni (2003-2006) ad Ulaanbaatar per l’apprendimento della lingua e lo studio della realtà, ci siamo offerti di iniziare una nuova presenza laddove la Chiesa non si era ancora mai stabilita e il discernimento ci ha portati qui, a 430 km dalla capitale, dove finisce una delle pochissime strade asfaltate di tutto il Paese, ai bordi del deserto del Gobi. Abbiamo allora preso in affitto una locanda in paese ed avviato le trattative per l’ottenimento del permesso di svolgere attività religiose: si trattava di far comprendere alle autorità locali l’identità e la missione della Chiesa, oltre che di conoscere la situazione locale e stringere relazioni di amicizia e collaborazione. Dopo alterne vicende e svariati traslochi siamo finalmente giunti a Yagaan Tolgoi, il quartiere della “collina rosa”, ai margini del centro abitato, dove il comune nel 2008 ci ha assegnato un terreno per svolgere le nostre attività. Già dall’anno precedente, in un’altra zona dove ci era stato temporaneamente concesso di stare, avevamo iniziato ad incontrare la gente, radunare i bambini per il dopo scuola e offrire una semplice e discreta presenza di preghiera e fraternità. Fin dall’inizio abbiamo scelto di da Casa Madre 9/2012 Arvaiheer INAUGURATA LA PARROCCHIA DI ARVAIHEER 43 renderlo sempre più vivo nei cuori di chi già crede. La festa era iniziata il giorno prima, al suono degli strumenti musicali tradizionali di un gruppo di artisti locali, che nella nostra gher dedicata alle attività ricreative avevano offerto un piccolo concerto al vescovo e a un ristretto numero di ospiti giunti dalla capitale; a festeggiare la nuova parrocchia c’erano anche la Madre Generale delle Missionarie della Consolata, Sr. Simona Brambilla e la consigliera Sr. Cecilia Pedrosa, che nei giorni precedenti avevano potuto conoscere direttamente la vita della nostra comunità ed offrire le loro riflessioni durante la novena della Consolata. Il 17 giugno dunque, in un clima semplice di gioia, il vescovo è venuto a presiedere l’eucaristia domenicale e a consegnarci l’atto ufficiale che sancisce l’inizio della nuova parrocchia; il testo, “dato presso la gher-chiesa dedicata a Maria, Madre di Misericordia”, reca la data del 20 giugno 2012: è infatti alla Consolata che affidiamo questa nuova famiglia di credenti, che la Chiesa ora riconosce ufficialmente e a cui consegna il mandato di annunciare il vangelo e Dopo la messa il vescovo ha anche benedetto una statua della Consolata, fattaci arrivare direttamente da Torino per il gentile interessamento dei nostri confratelli (soprattutto p. Carlo Garrone e p. Michelangelo Piovano). E’ protetta da una nicchia posta al centro del nostro terreno, ben visibile a chiunque vi entra e realizzata dalla nostra gente, che nelle scorse settimane si è data un gran da fare a raccogliere pietre di varie dimensioni, prodigandosi per dare Arvaiheer svolgere le nostre attività in alcune gher, le tradizionali tende in legno e feltro da sempre utilizzate come dimora dai pastori mongoli. Sul nuovo terreno abbiamo anche potuto costruire una casa in mattoni, che in questi mesi stiamo ampliando per poter accogliere il crescente numero di persone che chiedono di venire a trascorrere qualche tempo con noi missionari e missionarie della Consolata. L’ampliamento prevede anche una sala per la catechesi e le svariate attività formative che offriamo. In questi anni intanto si è formato un piccolo gruppo di catecumeni, che a cominciare dal 2010 hanno ricevuto il battesimo. 44 da Casa Madre 9/2012 Arvaiheer degna dimora alla statua; hanno persino preso alcune zolle di prato dal fiume per trapiantarle intorno al pilone e renderlo così il più bello possibile. In una terra resa molto secca dai rigidi inverni ventosi e dalla vicinanza del deserto, è un segno molto bello vedere un piccolo fazzoletto di prato verde! Anche questo aiuterà a trovare attraverso Maria l’acqua viva. Nell’omelia il vescovo ha incoraggiato la piccola comunità a continuare in questo stile semplice di testimonianza e annuncio, tradotto in segni concreti di carità e compassione. Ha inoltre sottolineato una caratteristica del nostro apostolato: quella di viverlo in comunione, missionari e missionarie che condividono gioie e fatiche, manifestando in modo più completo la missione della Chiesa. È quanto intendiamo continuare a vivere, sperimentandone tutta la ricchezza. 45 da Casa Madre 9/2012 Congresso eucaristico nazionale P. Francesco Bernardi, IMC Comunione con Lui e con tutti “Chi l’avrebbe detto, 50/60 anni fa, che la Chiesa di Iringa avrebbe un giorno organizzato e ospitato un Congresso eucaristico nazionale! Oggi, per noi missionari di quei tempi andati, è una grossa soddisfazione…”. Così si confida con comprensibile orgoglio padre Egidio Crema, un trevigiano ricco di 88 estati, di cui 60 vissute sulle campagne e colline della regione di Iringa, in Tanzania. Dicendo “oggi”, padre Egidio si riferisce al 10 giugno scorso, giorno della solenne chiusura del Congresso eucaristico. Una processione parte dalla maestosa chiesa della Consolata di Iringa (dove il missionario fu parroco per diversi anni) e raggiunge la cattedrale della diocesi. è un corteo multicolore e festoso di circa 7 mila persone, che si snoda per tre ore attraverso le vie della città danzando e cantando. Iringa Sulle onde di “Radio Maria”, padre Egidio (ormai “in pensione”) segue con emozione lo svolgimento dell’intero Congresso eucaristico nazionale, iniziato il 6 giungo 2012, mentre a Dublino (Irlanda) sta per celebrarsi il Congresso eucaristico internazionale. 46 da Casa Madre 9/2012 Circa 700 delegati, provenienti dall’intero Tanzania, si danno appuntamento per quattro giorni consecutivi in cinque saloni di Iringa, divisi in altrettanti gruppi: - i vescovi e i sacerdoti, - i religiosi consacrati, - i laici, - i giovani, - i bambini. Ogni assemblea, guidata da un moderatore, affronta e discute temi specifici, presentati da vari relatori. Tre le relazioni principali giornaliere, cui segue un dibattito. Gli interventi sono anche “spettacolari”: gli oratori non solo parlano, ma mimano, cantano e danzano, prelati e preti compresi. Le relazioni pure lunghe: troppo lunghe, secondo il cronista sottoscritto. Infatti ogni intervento dura in media 90 minuti. Però nessuno dice “beh!”. Neppure i giovani e i bambini. Tuttavia non mancano occhi assenti e teste sonnolenti. Ecco alcuni temi trattati nei cinque gruppi: - i religiosi affrontano “Vita consacrata e missione della Chiesa”; - i laici ragionano su “Eucaristia e sacramento del matrimonio”; - i giovani elencano “Le sfide di fronte alle tante denominazioni religiose”; - i bambini ricevono “Stimoli per l’educazione”. Altri argomenti: “La venerazione dell’Eucaristia”, “Eucaristia e unità della Chiesa”, “Eucaristia, giustizia e dovere nel lavoro”, ecc. Tutti i relatori e le relatrici sono tanzaniani. Verso la fine del Congresso, sabato 9 giugno, i 700 delegati si ritrovano in assemblea plenaria per ascoltare “i pensieri-chiave” emersi nei gruppi, accompagnati da “proposte concrete” Ad esempio: “i giovani possono essere ottimi evangelizzatori dei loro coetanei” (pensierochiave); “i giovani approfondiscano la conoscenza della loro fede attraverso lo studio e la lettura” (proposta concreta). Non mancano i rilievi critici: secondo padre Francesco Bernardi, direttore della rivista “Enendeni”, manca un “pensiero-chiave” sul nesso tra Eucaristia e giustizia-e-pace: padre Salutaris Lello Massawe, superiore dei missionari della Consolata in Tanzania, lamenta il silenzio sull’opera insostituibile dei catechisti. Iringa - i vescovi e i sacerdoti discutono “Eucaristia ed evangelizzazione”; Il Congresso eucaristico rappresenta una grande sfida per l’intera Chiesa del Tanzania. “Numerosi cristiani - dichiara ancora padre Massawe - stanno perdendo la loro fede e cadono nell’indifferenza. E, come se non bastasse, molti cristiani sono diventati sincretisti, ossia mescolano fede cristiana e stregoneria. Il fenomeno dell’uccisione degli “albini” e di anziani è inquietante ed eloquente…”. Lo slogan del Congresso è : “Eucaristia, comunione con Cristo e fra noi”. Il cronista sottoscritto aggiungerebbe pure: “e comunione con tutti gli uomini e le donne del mondo”. Specialmente con gli impoveriti. 47 da Casa Madre 9/2012 CORDIALI SALUTI A TUTTI VOI P. Noè Cereda, IMC In Madagascar l’anno scolastico non è ancora terminato. Abbiamo ancora un mesetto di scuola prima delle vacanze. Tuttavia posso già fare una valutazione dell’attività di questo anno scolastico che è trascorso nella tranquillità. Nelle nostre scuole cattoliche non abbiamo mai avuto scioperi o disordini. e tutto egue la programmazione. Ora gli scolari sono impegnati nella preparazione degli esami di fine anno. Ecco alcune fotografie delle nostre belle scolaresche. Abbiamo 5 grandi scuole: NOSY BE, ALAKAMISY, ANDRANORO, ANDASIBE’, MANDROSOA. In uno dei suoi ultimi discorsi il Papa Benedetto XVI ha detto: “Il buio veramente minaccioso per l’uomo è il fatto che egli non vede dove vada il mondo e da dove venga. Che cosa sia il bene e che cosa sia il male” Non è facile per me vivere in mezzo alla miseria di tutto un popolo. Ebbene il popolo malgascio lo vedo contento del poco che ha e non ha perso la speranza nell’aiuto di Dio. Madagascar E noi, che non manchiamo di niente, ci diciamo in crisi e vediamo nero e buio attorno a noi. 48 Per questo non mi perdo di coraggio e continuo nel mio programma e vedo che gli amici non mi hanno abbandonato e ringrazio il Signore. Posso continuare a donare la bicicletta agli scolari che abitano lontano dalla scuola, a dare tutti i giorni il panino agli scolari ed a dare un piatto di riso caldo con fagioli nelle mense scolastiche. Ora Vi dirò dei miei progetti che spero realizzare durante le vacanze scolastiche. da Casa Madre 9/2012 Il villaggio si chiama AMBANITSENA. La scuola dovrebbe essere pronta per l’inizio delle scuole in ottobre. E’ una scuoletta di cinque aule, belle luminose. In sostituzione di una vecchia scuola cadente. 3. Realizzare TRE AULE SCOLASTICHE di SCUOLA MEDIA nel villaggio di ALAKAMISY, rialzando di un piano una costruzione già esistente. Gli scolari sono talmente numerosi che non ci stanno più nelle aule. Madagascar 1. Spero di portare a termine il DORMITORIO per le SCOLARETTE che abitano lontano dalla scuola. 2. Vorrei costruire una nuova SCUOLA ELEMENTARE sulla strada che da TANANARIVE porta all’Oceano Indiano. Al Km 23. 4. Nell’isola di NOSY BE le SUORE DISCEPOLE hanno una scuola materna ed elementare nel villaggio di ANDAMPY. Orbene anche qui mancano due aule per la IV e per la V elementare. Ecco che abbiamo deciso di costruire DUE AULE staccate dietro la scuola. Sono 4 scuole che devo sistemare. Fatte le aule dovrò sistemarle con tantissimi banchi di scuola. 49 da Casa Madre 9/2012 MERRIVALE BIDS FAREWELL TO FR PIERO STD Samuel- Francis Onyango, IMC Merrivale When he left Rome for his new appointment to South Africa barely four years ago, Fr Piero Trabucco was more than convinced that this would be his last appointment as a missionary. Having spent two decades in Rome and being 66 years old, he looked forward to spending his sunset days in South Africa, doing what he could before finally going on retirement. But as things have turned out, he was wrong! Interestingly, he remembers how he received his appointment on November 2nd, whatever that was meant to be is a matter of conjecture, all we know is that November 2nd is All Souls Day. 50 Fr Piero has spent most of his missionary life in office, and so pastoral ministry was one the things he missed as a missionary, and when he got the opportunity, he did not disappoint; he performed his duties with gusto. Together with Fr Cassiano and the first six students to Merrivale, Fr Piero pioneered the opening of a new theologicum in South Africa. His vast experience was an asset in establishing Merrivale community from scratch. He has left Merrivale a happy man even though his transfer has happened rather too soon. At 70, beginning a new office, a new job, something he never did before remains his greatest challenge. He jokingly said that may be once the founder is canonized, he will be allowed to come back to South Africa. It is not only the community of Merrivale that will miss him, the delegation of South Africa, the parishioners of St Martin de Porres who described him as a good shepherd and all those whom he had known during his stay in South Africa will definitely feel his absence. Fr Piero’s farewell mass was celebrated on 17th June by bishop Barry Wood, the auxiliary bishop of Durban and the farewell ceremony was attended by among others the priest of the Anglican church and a number of pastors within Woodlands community. Fr Piero had struck a working relationship with various pastors in Woodlands in the spirit of da Casa Madre 9/2012 ecumenism. Together they organised joint interdenominational prayers and worship, Good Friday procession and joint spiritual preparations for the feast of the Holy Spirit. He has been a good example to us and a great inspiration for all of us in formation and all the Christians in the parish. Replacing Fr Piero at the community and in the parish is Fr James Githinji a man of vast experience too. Such is the beauty of missionary vocation; just when you feel that you are establishing your roots, then comes the call to leave behind everything and go to another land; it happened to Abraham in the Old Testament, it happened to the apostles during the time of Jesus and it continues to happen even in our time. The call to depart and leave for another mission transcends human feelings. A missionary sets out on a journey even when his human feelings would rather push him to stay on. In conclusion, Fr Piero says, ‘the mission is not ours, the mission belongs to God. And so God is the one addressing us, sending us and recalling us, all we need to do is to open up to God and try to do our best…’ We wish him a blessed mission in Rome and also accord Fr James a warm welcome as he embarks on his mission in South Africa. P. Daniel Wolde Sugamo, IMC Encuentro y la comunión son las entrañas de la Misión Mexico Fiesta de La Consolata Aunque yo no era tan bueno, me acuerdo las matemáticas cuando estaba en la secundaria y me decían que una operación artimética es la suma, dado que al sumar unimos cantidades. Para sumar cantidades, vale la pena fijar en un eje de integración, en función de este eje de integración vamos sumando. Ésto facilita que la integración sea una herramienta de matemática poderosa. Pero al mismo tiempo recuerdo mis estudios precarios de matematica, no era tan fácil y tampoco he sido tan experto en integrales. Pero qué importantes sugerentes y sencillos habian detrás de estas poderosas herramientas! Quien integraba, en el fondo, ya estaba sumando, aunque no lo supiera. Hasta aquí el cuento de las matemáticas. El álgebra no nos dificulta para entender la coordinación y articulación de nuestro quehacer pastoral Consoladora y renovadora tanto con los jovenes y como con el pueblo donde estamos presentes. Ahora bien, Si queremos multiplicar, necesitamos no solo sumar, sino integrar. Sumar no siempre es la operación más adecuada. En ocaciones lo que tenemos que hacer es integrar. ¿Pero cuál es el eje fundamental de integración? ¿Qué metodos usar para sumar y así poder multiplicar? Hemos de subrayar tres criterios que buscan la integración y la aproximación en nuestro quehacer pastoral Consoladora y renovadora en el marco de la Fiesta “Nuestra”. En primer lugar, para integrar bien nuestros esfuerzos en pastoral en la tierra Mexicana, hemos de tener en cuenta la propia identidad de los sujetos y los grupos, lo que llamamos Carisma. Dentro de este marco espiritual, válido para todos los seguidores y seguidoras del Señor Jesús, existen escuelas o líneas de espiritualidad que se diferencian cuando enfatizan algún rasgo específico de la persona de Cristo y hacen de él el eje o hilo conductor de la vida personal o de grupo. En esta línea de pensamiento es que podemos hablar de espiritualidad de la Consolata. Se trata de una línea que, sin pretender ser una escuela, inspira hombres y mujeres, misioneros y misioneras ordenados, consagrados y laicos esparcidos por todo el mundo. Pues, radicalizando lo que somos ( en el sentido de ir a la raíz) sostenernos en ella y aportar más y por eso queremos la Consolata, la consolamos con nuestra vida y misión, tal como los hijos buenos consuelan a sus madres, y le celebramos hoy su fiesta, que es “nuestra fiesta”. La fiesta de la “familia consolata”, pero al mismo tiempo el carisma particular que llevamos acabo con nuestro ser y quehacer, hay que compartilo, hay que entregarlo a la iglesia, en particular, de la que formamos parte. Pues, nos enriquecemos siendo lo que somos. Aunque el mero dia de la fiesta de la Consolata era el 20 de junio, quisimos celebrar hoy el sábado el 23 de junio con el pueblo, dado que es el dia más adecuada para que todo el pueblo participara y para hacer operación de nuestras “matemáticas”, es decir, que la Fiesta sea sumada, integrada y multiplicada. da Casa Madre 9/2012 51 a la integración y a la multiplicación, el testimonio público de la comunion a través de las renovaciones de nuestros votos, no es la superposición o uniformidad de gestos, usos o maneras. El hecho de querer tender nuestra mision hacia un mismo fin o meta y de intentar llevar adelante algo juntos desde la pluralidad, desde la internacionalidad es nuestro mejor testimonio de comunión. De ahí la necesidad de implicarnos en algo que todos consideremos importante, la misión Consoladora. Como enlace, se sumaron muchas personas (niños, jovenes y adultos) de diferentes partes de Guadalajara, en donde hemos echado nuestras manos Consoladoras y renovadoras, sembrando, cultivando, arando y regando con nuestro Carisma misionera. Se integraron tanto con nosotros ( los misioneros de la Consolata) y como con el Pueblo San Antoneño pares de personas provinientes de diferentes partes de la ciudad como una familia viva y dinamica. Mexico En segundo lugar, para construir juntos esa espritualidad, hemos hecho en el marco de la Iglesia local, misionera e inculturada. Acompañamos LA Virgen Consolata en el carro alegorico en una procesion relativamente larga y dinamica. Dado que todos pertenecemos a una única Iglesia, extendida por todo el mundo, concretada en una iglesia local. Por ello, unos niños vistidos de diferentes colores, llevando las semillas que respresanta los 5 continente y signo de multiplicación, subieron en el carro alegorico, mostrando su firme esperanza y anhelo de salir de la Iglesia local a la Iglesia Universal porque no se puede formar parte de la Iglesia Universal si no se encarna en una Iglesia concreta. 52 Niños, Jóvenes y adultos que se han identificado con la espiritualidad de La Consolata participaron muy activamente y dinamicamente la procesion y la Santa Misa presedida por los tres misioneros de la Consolata ( P. Rony, P. Abishu y P. Daniel), por otros 3 sacerdotes amigos de la Consolata, en total, 6 sacerdotes celebraron y concelebraron. En tercer lugar, para integrar las personas provenientes y sumadas de diferentes lugares, hemos de desarrollar el arte de la implicación y de la aproximación. La llamada a la comunión, da Casa Madre 9/2012 Hablamos de pluralidad, de construir la mision de Mexico juntos y de compartir intensamente un mapa de intentos. Reconocemos que somos distintos y valorarlo es darse cuenta de ese contexto de pluralismo, inculturación, internacionalidad y multietinicidad. Construir algo junto es un camino, una concreción metodológica, es un camino de renovacion y de conversión. Gracias el trabajo manocomunado, hoy la Fiesta de Nuestra Señora de La Consolata, se hizo en realidad. Después de la Misa celebrada con una manera netamente misionera, Como costumbre la gente de san Antonio muy cariñosamente, brindaron la cena para todas las personas, la cual tambien fue acompañada con una banda de musica. Disfrutamos todos y todas, y luego el mismo pueblo brindó el huespidaje para más de 30 jovenes que vienieron fuera de San Antonio a sumarse, integrarse y multiplicarse con la espiritualidad de la Consolata. Hablar de implicación, creo que hoy en dia es un gran valor el ser capaces de implicar, de incorporar fuerzas y confluir como misioneros. Quizás sea uno de los carismas más necesarios y desafiante en estos momentos en que vivimos. Un desafio central en la misión debe centrarse en encontrar, discernir y reforzar en el munod la persencia de Cristo y la acción del Espiritu Santo, verdadero protagonista de la Misión (XII CG, N°36). Más que nunca, es el momento que necesitamos, en todos los ámbitos, personas hábiles en el arte de implicar. Creo que el grupo de Imc en México está en camino recto de ser capaz de formarse, formar y transformar como o/y con las personas hábiles para esa fin. P: Richard Larose, IMC Non riesco mai a presentare in tempo il rapporto annuale, è sempre la stessa cosa. Le continue domande d’aiuto, i guasti, gli imprevisti sono sempre più numerosi; più il nostro ospedale si ingrandisce, più ci sono cose da fare. Come potete constatare, il numero dei malati nel 2011 è notevolmente aumentato, il che vuol dire molte più cartelle, molti più dati da raccogliere. E poi c’è l’età!!! Ogni anno devo scrivere più o meno le stesse cose riguardo alla situazione socio-economica, se qualcosa cambia è in peggio. Noi siamo sempre isolati, le strade in realtà sono dei sentieri, ma la crisi non ha bisogno di strade per arrivare fin qui. Il prezzo del carburante è proibitivo, 2,5$, al litro, a volte anche 3$. I prezzi dei medicinali che possiamo acquistare a Isiro sono ulteriormente aumentati e altri da Casa Madre 9/2012 Neisu RAPPORT ANNUEL 2011 DE L’HOPITAL NOTRE DAME DE LA CONSOLATA 53 sono introvabili. Rifornirsi a Kampala è molto dispendioso a causa del costo del trasporto che avviene per via aerea. I rari camion che riescono ad arrivare a Isiro durante la stagione secca restano in strada dalle due alle quattro settimane, ammesso che non “ rendano l’anima” prima di arrivare a destinazione. Ci sono anche delle biciclette che ci riforniscono, che percorrono fino a 700 km per arrivare a destinazione, ma a quale prezzo? Al prezzo della vita di qualche ciclista. Bisogna dire che adesso ci sono sempre più spesso delle moto che sostituisco le biciclette, può essere un progresso. L’unica via regolare è quella aerea, una volta alla settimana Isiro-KisanganiKinshasa, 500$ solo andata. Malgrado una situazione che, sotto molti aspetti, si sta degradando, l’ospedale Notre Dame de la Consolata continua a giocare un ruolo importante in campo sanitario nella Provincia Orientale fornendo cure di qualità e gode sempre di ottima fama, è apprezzato dalle autorità nazionali. Noi facciamo dei grandi sforzi per fornire una buona gamma di medicinali a prezzi i più bassi possibili e anche gratuitamente per i poveri che, disgraziatamente, sono sempre più numerosi. Neisu Nel 2011, tra ottobre e dicembre abbiamo dovuto affrontare una grave epidemia di malaria. La nostra pediatria dispone normalmente di 36 posti letto, ma il numero dei bambini ricoverati in quei mesi era compreso tra 150 e 180. E’ stato necessario utilizzare due sale normalmente riservate agli adulti e mettere due o tre bambini per letto e anche tra il personale ci sono stati molti casi di malaria. Dato il numero di ricoveri, i medicinali comprati a Kampala (20000 $) in Novembre sono spariti come neve al sole e ho dovuto andare spesso a Isiro per acquistarne, ma non sempre ho trovato tutti quelli di cui avevo bisogno. 54 La malaria è causa di anemia e quando un bambino, spesso malnutrito, si ammala, arriva in ospedale quasi senza sangue. In alcune giornate è stato necessario fare anche più di venti di trasfusioni. Malgrado ciò la mortalità è stata bassa e i decessi si sono verificati quasi sempre prima che ci fosse il tempo di fare la trasfusione. da Casa Madre 9/2012 Noi continuiamo a potenziare la nostra rete sanitaria su tutto il territorio a noi affidato, territorio che ha una superficie di circa 2500 km2. Dopo aver inaugurato la nuova costruzione del centro sanitario di Nembombi, 42 km a ovest di Neisu, grazie al Programme Québécois de Développement International et à Terre Sans Frontières, non ci sono state delle nuove costruzioni anche se due posti di sanità sono ancora in fango e paglia e almeno altri due villaggi ci hanno chiesto di aprire un posto sanitario. Questi sono progetti che realizzeremo quando ne avremo le possibilità. Abbiamo cominciato a scavare i pozzi in diversi centri e posti sperando che i progetti saranno accettati, e abbiamo anche comprato numerosi materassi per i nostri centri. Con grande gioia abbiamo potuto realizzare il progetto che ci ha permesso di fornire una moto a ogni centro e posto, indispensabile sia per il trasporto dei medicinali che dei malati da trasferire con urgenza in ospedale. Ciò è stato possibile grazie al personale dell’ Hall Notre Dame, le Coopératives d’ambulances du Québec hanno finanziato l’acquisto di dodici moto. Le prime sei sono arrivate in novembre, con grande gioa dei nostri infermieri, le altre in giugno. Sono necessarie molta pazienza e perseveranza per realizzare completamente i nostri progetti. Il progetto della banca del sangue è iniziato nel mese di luglio, ma bisogna ammettere che non ha avuto la risonanza che noi speravamo, soprattutto a causa della mentalità della popolazione. La gente non ama lasciare una parte di sé, il sangue, a qualcuno che potrebbe fare loro un maleficio. Nonostante ciò, grazie a dei benefattori abbiamo comprato un frigorifero a pannelli solari che funziona da maggio 2011. Abbiamo sensibilizzato i capi locali, ma la risposta è stata scarsa, cercheremo altri mezzi per far comprendere alla popolazione l’importanza di avere una banca del sangue ben funzionante. Noi continuiamo a sostenere degli studenti: un medico che si sta specializzando in pediatria a Kinshasa, uno studente in farmacia sempre a Kinshasa, quattro in scienze infermieristiche a Isiro. Sei giovani infermieri diplomati e un medico neolaureato sono venuti a fare il tirocinio Neisu da noi e quattro sono stati assunti. Ringrazio grandemente tutti i nostri benefattori conosciuti e anonimi, attuali e precedenti, è grazie a loro che abbiamo potuto ben attrezzare il nostro ospedale e continuiamo a fornire un servizio di qualità. presentazione della struttura Posizione geografica L’ospedale Notre Dame de la Consolata si trova nell’area sanitaria di Neisu, nel territorio di Rungu, nel distretto sanitario dell’alto Uélé, nella Provincia Orientale della République Démocratique du Congo. L’ospedale è situato nel villaggio Ngbetu di Neisu, a 2° di latitudine nord, in piena foresta equatoriale, a 33 Km dalla città di Isiro, dove ha sede l’ufficio centrale di coordinamento dell’attività sanitaria dell’omonima zona sanitaria urbano-rurale. Il clima è equatoriale con tre mesi di stagione secca e nove di stagione delle piogge, la popolazione vive dei prodotti dell’agricoltura (arachidi, riso, fagioli, manioca), della raccolta di banane, papaie, ananas e dell’allevamento di bestiame di piccola taglia ( polli, maiali, capre). Il collegamento con la città avviene esclusivamente per mezzo di una strada di terra battuta. . Storia L’ospedale Notre Dame de la Consolata è un’opera sociale dei Missionari della Consolata che ha iniziato la sua attività come ambulatorio, quando alcuni di loro si stabilirono a Neisu aprendo una missione nel 1981-82. Fu Padre Oscar Goapper imc, argentino, che aprì l’ambulatorio. Resosi conto delle pessime condizioni igienico-sanitarie in cui era costretta a vivere la popolazione alla quale era stato inviato come missionario, volle rispondere in modo concreto alle necessità della gente. In quegli anni chi era malato doveva recarsi a Isiro per essere curato, ma, dato che ben pochi possedevano i mezzi per farlo, nella quasi totalità dei casi, malattia significava morte. Quando P. Oscar aprì l’ambulatorio era infermiere, successivamente, sotto la guida del dottor Leta, fondatore della Clinique de l’Est, ospedale diocesano di Isiro, imparò ad eseguire interventi chirurgici di urgenza quali cesarei e ernioraffie. Gli interventi venivano eseguiti in una piccola costruzione in mattoni precedentemente adibita a cappella e i malati erano ospitati in capanne di bambù e fango. Dato il numero crescente di malati che venivano a farsi curare a Neisu, nel 1985 fu iniziata la costruzione dell’ospedale che oggi conta 146 letti. Nel 1987 p. Oscar, desiderando offrire un’assistenza sempre migliore ai malati, iniziò gli studi di medicina presso l’università di Milano, pur continuando la sua attività presso l’ospedale, si recava periodicamente in Italia a sostenere gli esami. Nel 1994 conseguì la laurea “summa cum laude” e tornò a lavorare da Casa Madre 9/2012 55 a tempo pieno a Neisu. Purtroppo morì il 18 maggio 1999 in seguito ad una breve malattia, all’età di 47 anni... Dal 1996 al 2004, Neisu, come tutto il Congo, ha conosciuto l’insicurezza della guerra civile che per 8 anni ha insanguinato il paese. Fortunatamente dal 2004 in poi è tornata la pace e noi abbiamo potuto lavorare in tranquillità, malgrado i numerosi problemi dovuti all’isolamento della regione ed alle conseguenze della guerra. Le elezioni democratiche tenutesi nel 2006, che si sono svolte, almeno nella nostra regione, nella calma e nell’ordine, avevano suscitato grandi speranze, ma purtroppo bisogna dire che non si sono visti grandi cambiamenti. Nonostante ciò la gente continua a sperare in un miglioramento delle sue condizioni di vita. Neisu Il 13.12.2007, il vescovo della diocesi di Isiro, l’ospedale di Neisu, pur essendo gestito e mantenuto dai Missionari della Consolata, è considerato ospedale diocesano, ha firmato una convenzione con lo stato (convention cadre de partenariat No MS 125/21/011) che ha sancito l’integrazione dell’ospedale nel sistema sanitario congolese. L’area sanitaria ha il numero di codice 0504030114 e la struttura il numero 051530. 56 da Casa Madre 9/2012 A tutt’oggi il nostro ospedale conta 5 medici, 51 infermieri (20 dei quali lavorano negli ambulatori periferici) e 51 dipendenti impiegati nei servizi di supporto. L’ospedale dispone dei reparti di medicina interna, pediatria, chirurgia, ostetricia e ginecologia, di studi medici per le visite ambulatoriali, di un laboratorio per gli esami ematici e batteriologici, di un servizio di radiologia e di ecografia, di una farmacia che provvede anche alla preparazione di soluzioni per infusione endovena e di farmaci galenici. E’ inoltre operativo, dato l’alto numero di bambini malnutriti un centro nutrizionale, Centro Bolingo, che prepara i pasti per la pediatria, e per gli adulti affetti da AIDS e TBC abbandonati dalla famiglia ( in Africa sono i parenti che devono provvedere a fornire i pasti ai malati). Sono attivi i servizi di medicina preventiva ed igiene e sanità pubblica che comprendono le visite pre-natali, le vaccinazioni, la promozione dell’assistenza materno - infantile. Necrologio 57 da Casa Madre 9/2012 P. OMAR JACINTO ANTONIO, IMC Nato a Massangulo il 20 giugno 1978, frequentò le scuole elementari in paese, e le scuole medie a Lichinga. Entrato nel seminario propedeutico di Nampula frequentò le scuole superiori e continuò il ciclo di studi filosofici nel seminario IMC di Matola. Dopo l'anno di noviziato a Maputo, emise la professione religiosa il 10 novembre 2005 e fu destinato al seminario di Nairobi per gli studi teologici. Il 4 settembre 2011 fu ordinato sacerdote da Dom Francisco Lerma a Massangulo. Inviato in Tanzania, svolse solo per qualche mese il lavoro missionario nella parrocchia di Kigamboni. Dopo una breve malattia è deceduto il 24 Giugno 2012 presso l’ospedale di Aghakan a Dar es Salaam, Tanzania. Aveva 34 anni di età, di cui 6 di Professione Religiosa e 10 mesi di Sacerdozio. 58 da Casa Madre 9/2012 S. E. MONS. ANGELO CUNIBERTI, IMC Nato il 6 febbraio 1921 a Mondovì Breo (Cuneo), fin da piccolo entrò nel seminario di Mondovì, dove frequentò tutti i cicli di studio, teologia compresa. Il 29 giugno 1944 fu ordinato sacerdote dal Vescovo della sua Diocesi e prestò servizio in diocesi come Vice Curato a Mondovì, a Ceva e come Assistente spirituale di varie Associazioni diocesane. Entrò da sacerdote nell' Istituto e dopo il noviziato alla Certosa di Pesio, emise la professione il 16 luglio 1952. Subito destinato alla Colombia, fu vice cooperatore a Bogotà, direttore per sei anni della Casa Apostolica di San Felix ed economo regionale a Bogotà, dal 1059 al 1961. In questo anno fu consacrato Vescovo per il Vicariato di Florencia. L'ordinazione avvenne a Roma il 21 maggio 1961. Rimase a Florencia fino al 1978, svolgendo una mirabile attività pastorale e sociale. Terminato il mandato a Florencia si stabilì a Bogotà dal 1978 al 1984. Tornato in Italia, aiutò nella diocesi di Mondovì, risiedendo nelle nostre comunità di Fossano e Alpignano. Deceduto nell' Ospedale di Rivoli il 26 giugno 2012, fu sepolto nel cimitero di Mondovì. Aveva 91 anni di età, di cui 59 di Professione Religiosa, 68 di Sacerdozio e 51 di Episcopato. 59 da Casa Madre 9/2012 Sommario Berber by Hannah Hem DIVENTARE MISSIONARI DISCEPOLI.. 2 SETTE DIPINTI DELLO STESSO AuTORE................... 5 LA CROCE E LE STIGMATE................ 8 SULLE ORME DELLA MEMORIA: viaggio da Tete a Miruru!........... 14 diario LUGLIO - AGOSTO 2012........ 23 Missionários da Consolata realizam Conferência e atualizam sua Missão no Brasil.................. 25 Regresso a Tete dos imc............. 31 Missione di monitoraggio in Kenya dell’ufficio progetti............ 32 COMUNICAZIONE DI VITA E DI FEDE. 36 Bênção da nova capela de Nhaduga, Paróquia de Guiúa-Inhambane.................... 38 Festeggiamo un anno di ordinazione............................ 39 Agosto in Polonia....................... 40 Notizie dall’Ecuador.................. 41 INAUGURATA LA PARROCCHIA DI ARVAIHEER................................ 43 Congresso eucaristico nazionale.................................... 46 CORDIALI SALUTI A TUTTI VOI ........ 48 MERRIVALE BIDS FAREWELL TO FR PIERO................................... 50 Fiesta de La Consolata .............. 51 RAPPORT ANNUEL 2011 DE L’HOPITAL NOTRE DAME DE LA CONSOLATA....... 53 Sommario necrologio.................................. 58 60 da Casa Madre Mensile dell’Istituto Missioni Consolata Redazione: Segretariato Generale per la Missione Supporto tecnico: Adriano Podestà Viale delle Mura Aurelie, 11-13 00165 ROMA - Tel. 06/393821 C/C postale 39573001 - Email: [email protected] da Casa Madre 9/2012