Partnership transatlantica

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Partnership transatlantica
C’è una nuova luce per le tue idee.
Editoriale | Franco Mosconi
Partnership transatlantica
Stati Uniti e Unione europea lavorano a un accordo per ridurre tutte le barriere.
Quelle doganali ma anche quelle tecniche, come le differenze negli standard
di produzione o nelle normative sanitarie o ambientali.
Una nuova frontiera per competere meglio nell’era della globalizzazione
Q
uestioni di spionaggio permettendo, le grandi economie occidentali
che si affacciano sulle due sponde
dell’Atlantico, l’Unione europea e gli Stati
Uniti, hanno molte cose interessanti da
portare avanti insieme, in quest’ultima
parte del 2013 e negli anni a venire.
C’è, infatti, da attuare passo dopo passo
la solenne dichiarazione congiunta del 13 febbraio scorso, firmata
dal presidente Usa Barack Obama insieme al presidente del
Consiglio europeo Herman Van Rompuy e al presidente della
Commissione europea José Manuel Barroso, sulla creazione di
una «Transatlantic Trade and Investment Partnership», partnership transatlantica sul commercio e gli investimenti. È stato
Obama stesso a parlare espressamente delle potenzialità della
partnership nel corso della sua visita a Berlino nel giugno scorso
e, in particolare, durante una conferenza stampa con la cancelliera Angela Merkel. E a partire da luglio ha avuto luogo il primo
round delle negoziazioni.
Ora, aspetti procedurali a parte, che cosa di positivo c’è in
gioco, nel campo dell’economia, con questo (potenziale) accordo?
Potenziale, al momento, giacché le negoziazioni internazionali
sono piene di insidie, come la storia insegna e come anche la
recente cronaca si è incaricata di dimostrare, con la vicenda
Datagate e il caso Snowden. Il primo punto del rapporto finale
che Ue e Usa hanno predisposto prevede l’eliminazione o la
riduzione delle barriere tariffarie (i dazi doganali) al commercio
dei beni fra le due sponde dell’Atlantico. Il secondo punto sancisce, poi, l’abolizione delle barriere tecniche (o non tariffarie),
come ad esempio i diversi s tandard tecnici di produzione, le
diverse normative in materia di tutela sanitaria e ambientale, e
così via. Sia le prime sia le seconde sono barriere che frammentano i mercati, anziché unirli, limitando per questa via le possibilità di crescita dimensionale delle imprese. Ancora: sono barriere che impediscono alla concorrenza internazionale di dispiegare positivamente tutti i suoi effetti, prot eggendo rendite di
posizione nazionali.
Ascolta. Pensa. Risolve.
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Il nuovo trattato tra Usa e Ue
replicherà su scala più vasta
ciò che l’Europa ha già realizzato:
libera circolazione di beni,
servizi, persone e capitali
Quando nel 1985 l’allora presidente della Commissione europea Jacques Delors lanciò lo storico programma di «completamento del mercato interno», sancito poi dall’Atto unico europeo
del 1986, è proprio su questa seconda tipologia di barriere (quelle
non tariffarie) che indirizzò gli sforzi della Cee, tenuto conto del
fatto che il processo di integrazione europea aveva già positivamente risolto, dal Trattato di Roma del 1957 in poi, la questione
dei dazi doganali.
Per amore di semplicità possiamo, dunque, affermare che oggi
con la Partnership transatlantica l’intendimento è di replicare,
su una scala enormemente più vasta, ciò che nell’Europa unita è
stato storicamente edificato, e che siamo soliti riassumere con le
«quattro libertà» di circolazione: beni, servizi, persone e capitali.
Una scala più vasta, dicevamo. Insieme, la Ue e gli Usa danno
ancora oggi conto di circa la metà del Pil mondiale e del 30 per
cento del commercio mondiale. Dallo studio preparatorio dei due
governi, apprendiamo poi che «il commercio bilaterale in beni e
servizi ammonta, ogni giorno, a un valore di 2,7 miliardi di dollari
(due miliardi di euro). Sulle due sponde dell’Atlantico, gli Usa e la
Ue hanno investito direttamente più di 3,7 trilioni di dollari (2,8
trilioni di euro)». In conclusione, i benefici economici della partnership, una volta andata a regime, sarebbero rilevanti per gli
europei: 119 miliardi di euro all’anno.
Ma, giova ripeterlo, la strada verso questo trattato internazionale è ancora lunga. È, d’altro canto, importante volgere lo sguardo, soprattutto dal cuore dell’Europa produttiva e manifatturiera, dove l’Emilia-Romagna si trova, verso questa nuova frontiera.
Competere con i Bric e tutti gli altri Paesi emergenti non sarà vissuta più come una missione impossibile.
L’autore insegna Economia industriale all’Università di Parma e European Industrial Policy al Collegio Europeo di Parma, dove siede nel comitato scientifico.
www.adcsrl.it | [email protected]
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 9