LA STORIA - Istituto Comprensivo Chignolo Po

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LA STORIA - Istituto Comprensivo Chignolo Po
Leggende
pievesi
Progetto realizzato
dagli alunni delle cl. 2^ C e 2^ F,
coordinato
dalle Prof.sse Marenghi Annamaria , Cremaschi Maddalena
e Mango Antonio
a.s. 2010/11
Scuola Secondaria di Primo Grado “F.Crispi”
Pieve Porto Morone-Pavia
Istituto Comprensivo di Chignolo Po
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Quest’anno,
continuando il nostro lavoro di ricerca sulla storia locale,
abbiamo rivolto l’attenzione alle leggende
su Pieve Porto Morone, la nostra provincia;
ne abbiamo trovate diverse
e veramente interessanti.
GRAZIE
a tutti coloro
che ci hanno aiutato!
Pieve “la piccola Parigi”
Un “angolo di piccola Parigi” così la definì Gianni Brera, famoso giornalista e cronosta sportivo di
San Zenone, che ben conosceva Pieve, perché i Pievesi, gran lavoratori, amavano ed amano ancora
trascorrere la fine della giornata discorrendo con gli amici al bar (i bar a Pieve sono numerosi) o in
piazza e “facendo le ore piccole”, come nella capitale francese.
Pieve, nota fin dall’antichità per i suoi notai è la patria di numerosi cittadini illustri, come il
designer Franco Grignani, grafico e fotografo o il ciclista Clemente Canepari e il calciatore Gino
Pelagalli.
Canepari corse negli anni d’oro delle due ruote, nel primo dopoguerra, insieme a campioni come
Binda e Guerra; a Pieve esisteva una pista frequentata da grandi campioni del ciclismo che qui
sfidavano Canepari.
Pelagalli ha giocato nel Milan, insieme a personaggi come Rivera e nella nazionale ed ancora oggi
è chiamato a partecipare a trasmissioni sportive in televisione.
Pieve era famosa per i suoi artigiani che costruivano zoccoli, poi si è specializzata nella costruzioni
di mobili e di divani; restano oggi a Pive abili artigiani di salotti e tappezzieri.
La Sagra della Madonna del Rosario e la fiera sono i due momenti più importanti del paese.
Il Coro Polifonico Padano, nato da una preesistente corale, nel 1972, per opera del Maestro
Albanesi ed attualmente diretto dal Maestro Dell’Acqua Rosalia, è composto da una quarantina di
elementi e da anni porta in Italia e nel mondo le voci pievesi, con consenso di pubblico e critica.
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Iniziamo con qualche notizia storica sul nostro paese
LA STORIA
di
PIEVE PORTO MORONE
Centro agricolo e industriale del comprensorio pavese, Pieve Porto Morone, comune lombardo, si
trova sulla riva sinistra del Po, grande fiume (il più lungo d’Italia: 652 km.) che è sempre stato il
protagonista della storia del paese, a una trentina di km a sud-est del capoluogo, Pavia.
Il nome di Pieve Porto Morone, di origine fluviale, (indica lo stretto legame che il paese aveva con
il fiume), ricorda il Porto o passaggio che fino al 7° o 8° secolo era stato stabilito sul Po (punto di
approdo e imbarco per il trasporto delle merci che viaggiavano sulla via Emilia e sul fiume Po),
lungo la strada Francigena e sugli itinerari dei traffici commerciali. Il ponte di barche, che ancora
oggi compare sulla stemma comunale, collega Pieve a Castel San Giovanni, nel piacentino.
Non è improbabile che il distintivo Morone (Moronus, Moronis, Moronius) gli sia stato aggiunto
per qualche grosso gelso o morone (morus, in latino; “Muròn”, in dialetto) che sorgeva vicino al
porto stesso e serviva come insegna a chi voleva traghettare sull'altra riva o alle navi che dovevano
farvi sosta per gli scambi; la pianta di gelso era molto diffusa a quel tempo in zona perché serviva,
oltre che a delimitare i confini di proprietà, anche ad alimentare i bachi da seta.
In seguito il servizio di traghetto si spostò di mezzo km. circa più a valle, in località Mezzano di
Parpanese (ora di Pieve). Dal 1800 circa all'antica imbarcazione per il trasporto fu sostituito un
ponte in chiatte.
Nell’antichità Porto Morone era probabilmente una colonia romana, come attestano i ritrovamenti
di materiale archeologico del II sec. d.C. ( i Romani avevano una flotta fluviale sul Po e un porto o
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un approdo nella zona), affiorati nella zona e, fin dal settimo o ottavo secolo, fu pertinenza della
Corte Regia dell'Olona, ma se ne separò in seguito.
Appare con il nome di Plebs Porti Moronus nel documento con cui, nel 1176, l'imperatore Federico
I concesse a Pavia la giurisdizione sull'Oltrepò Pavese, la Lomellina e anche su alcune località
periferiche del pavese (come Pieve Porto Morone) che probabilmente già le apparteneva .
Alla primitiva denominazione di Porto Morone fu quindi unito il titolo di Pieve, a significare la
distinzione di ampia giurisdizione a diritto battesimale della sua chiesa; già a quel tempo aveva
funzione di Parrocchia Plebana (Plebs).
Dal secolo VIII al secolo XI la Corte Regia dell’Olona estendeva la sua giurisdizione sul territorio
di Pieve Porto Morone e già da questo si può dire che il paese era organizzato con una “Corte”
facente parte del sistema feudale e con diverse contrade. Le principali erano ad esempio il
“Bagarellum” (Bagarè) e il “Toracium” (Turass), nomi tuttora presenti nella toponomastica
popolare. Gli abitanti del paese si erano sempre dedicati a lavorare le proprie terre con impegno e
professionalità, dotandosi di mulini, granai, forni, servizi e fortificazioni in grado di assicurare una
vita autonoma e indipendente.
Fu signoria dei Conti di Rovescala, discendenti dei conti di Pavia da 1228.
Tra il XIV e il XV secolo il Borgo passò sotto la signoria dei Visconti (1382) e poi degli Sforza.
Apparteneva alla Campagna Sottana Pavese e, come molti paesi circostanti, nel XV secolo fu
incluso nel Vicariato di Belgioioso che fu infeudato a un ramo cadetto della casa ducale degli
Estensi, che confluì per matrimonio, nel 1757, nel ramo dei principi Barbiano di Belgioioso. Il
vicariato aveva come capoluogo Corteolona (Belgioioso infatti, pur dando il nome al vicariato, non
ne faceva parte).
Nel XVIII secolo gli fu annesso il comune di Casone del Mezzano (l'attuale Casoni) e nel 1886 gli
fu aggregato il soppresso comune di Mezzano Parpanese (l'attuale Mezzano).
Passò a volte sotto il dominio dei Francesi e poi degli Austriaci. Infine confluì nel 1859 nel neonato
Regno d’Italia (1860). Delle aristocratiche residenze che erano state costruite, oggi non resta nulla a
causa delle numerose, ricorrenti e devastanti inondazioni del Po. Secondo lo storico Terzo Cerri, le
esondazioni del fiume, dal 1157 al 1830, sono state circa 31; nell’ultimo secolo ricordiamo le
alluvioni del 1951, 1994 e 2000.
LA CHIESA PARROCCHIALE
L’unico edificio di particolare interesse architettonico resta la Chiesa Parrocchiale, dedicata a San
Vittore Martire; la dedicazione a S. V. è precedente alla stessa venerazione della reliquia conservata
a Pieve e già nel 1322 è attestata da un documento, conservato nell’Archivio Vaticano, la
dedicazione a S. V. La reliquia del santo arrivò a Pieve probabilmente alla fine del XVII sec.; un
documento parrocchiale del 4 maggio 1686 indica l’autenticità della reliquia di S. V. , martirizzato a
Milano durante l’impero di Massimiliano, estratta però dal cimitero Ciriaco a Roma. Cè stata una
confusione tra due santi “ Vittore”, uno milanese ed uno romano. Molti sacerdoti hanno celebrato la
festa di S. Vittore, riferendosi al santo di Milano ma…il S. V. presente a Pieve è un martire di
Roma; non cè identità tra il S. V. a cui è dedicata la chiesa e il S. V. di cui si venera la reliquia: la
testa di S. Vittore, conservata nella chiesa di Pieve, è comunque una testimonianza autentica di
fede.
La chiesa venne interamente ricostruita per volontà dei parrocchiani nel 1748; nel 2000, durante
altri restauri e la sistemazione del nuovo pavimento in cotto, a lisca di pesce, sono state rinvenute
colonne della chiesa del 1200, (due sono visibili attraverso una grata) distrutta probabilmente
dall’alluvione e 12 tombe di un sepolcreto del 1700, alcune con l’incisione del defunto sepolto.
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IL CASTELLO
Il castello, risalente al XV sec., devastato e risistemato nel 1492 dai Conti Rovescala, conserva
parti del X sec. e un’interessante meridiana; in un locale interno, sopra un caminetto, si nota uno
stemma con il leone rampante, dei Rovescala, ma di recente produzione.
LA “CRUS”- IL CROCIFISSO – simbolo di Pieve
Una volta, nel centro della piazza S.Vittore, c'era una croce, come rotonda.
I Pievesi erano molto affezionati a questa rappresentazione di Gesù e dicevano che una persona che
arrivava da un paese estraneo, compiva tre giri intorno a questa rotonda e poi restava a Pieve,
accolto da tutti, perchè i Pievesi erano molto accoglienti; diventava ufficialmente cittadino di Pieve o
almeno così si diceva.
Un giorno, un camion, per precisione della “Coca-Cola”, facendo manovra, in retromarcia, andò a
sbattere in pieno contro la Croce; la colonna in mattoni finì a terra, completamente distrutta, mentre
la croce e la colonna in granito che la reggeva, parzialmente salvate, furono parcheggiate nel cortile
della parrocchia: era il 21 aprile 1964 Dopo quel giorno si incominciò a discutere se rimettere la
Croce o no, ma non se ne fece nulla per anni. I Pievesi erano tristi perchè quella rotonda era
diventata un monumento importante e spesso ricordavano la vecchia croce, finchè qualcuno pensò
di ripristinarla, ma in un luogo diverso. Oggi, dopo molti anni, il famoso crocifisso, rimasto per anni
abbandonato in un deposito, è tornato alla luce, è stato risistemato dal Comune ed è situato nel
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piazzale della chiesa, dal maggio 2009, dove tutti lo possono ammirare. La colonna in granito è
posta su una base che riporta due scritte: una ricorda l’abbattimento del 1964 e l’altra la benedizione
inaugurale del Vescovo, in occasione della Fiera del 17 maggio 2009. La “CRUS” è un simbolo del
nostro paese, è un monumento storico e i Pievesi sono contenti di riavere la vecchia croce.
Perché era stata costruita quella croce, proprio sulla piazza del paese? Forse fu innalzata al tempo
della famosa peste di S. Carlo o forse era ancora più antica, eretta contro il pericolo delle alluvioni,
assai frequenti in zona. Non pare che sia stata sempre al medesimo posto o che sia la stessa del
1181, ma è certo che una croce ci sia sempre stata sulla piazza, in mezzo al paese.
IL PORTO E IL GELSO O “MURON”
Il paese deve il suo nome alla leggendaria esistenza di un porto, sul luogo, di rilevante importanza,
per la presenza del ponte che collega Pieve a Castel San Giovanni, nel Piacentino; prima c'era un
ponte galleggiante su barconi; già i Romani, avevano un porto sul Po e un semplice pontone
galleggiante, contrassegnato dalla presenza di un grande gelso, in dialetto “mùron”che avrebbe dato
il nome al borgo.
Ancora oggi, lungo i campi di Pieve esistono i “muron”, non più così abbondanti come un tempo,
ma si riconoscono per le loro chiome verdi, rigogliose e tondeggianti; in estate i ragazzi mangiano i
loro frutti, rossi e neri, buoni, dolciastri ed appicicaticci
I BACHI DA SETA
Un giorno i miei nonni mi hanno raccontato una storia che riguarda Pieve Porto Morone. Un
signore, proveniente da Como, arrivò a Pieve per vendere il baco da seta. Gli abitanti di Pieve
Porto Morone, in base alle loro possibilità, acquistarono i bachi per produrre la seta, dando loro da
mangiare le foglie di gelso (muron = Morone), visto che nel nostro paese c'era abbondanza di gelsi.
Ogni famiglia aveva un piccolo allevamento: mettevano i bachi su una tela appoggiata alle canne di
bambù, in casa ed i bachi mangiavano in continuazione, fino a formare il bozzolo di seta, che poi
veniva venduto alla Filanda del paese.
Questo permetteva di avere un guadagno e di far lavorare molte persone nella filanda del paese, che
nel 1936 risultava essere in piena attività
E' stato interessante conoscere notizie sul mio paese.
LA CAPPELLA DELLA MADONNA DI LOURDES,
“LA MADUNINA”
Questa storia spiega il motivo per cui è stata costruita la cappella dedicata alla Madonna di
Lourdes.
C'era una bambina cieca che veniva sempre portata dalla mamma a giocare in alcuni campi vicino
al cimitero, perchè era un posto sicuro, senza pericoli. Ad un certo punto la bambina tornò a vedere,
e ritenendo ciò un miracolo compiuto dalla Madonna, le fu dedicata la cappella, che sorge vicino al
cimitero del paese.
Anche oggi lenonne portano i loro nipotini a fare un giro fino alla Madunina, insegnano loro le
preghiere della Madonna, portano i fiori ed accendono un lumino, lasciano un’offerta, mostrano il
bambin Gesù e gli mandano un bacino. Molte persone si soffermano per una preghiera o per
lasciare un lumino alla Madonna, soprattutto nel mese di maggio.
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LA BENEDIZIONE DELL’ACQUA
Per benedire gli occhi, tempo fa la gente del paese usava andare al fiume e con l'acqua si faceva il
rito della benedizione. Anche per avere maggior raccolto nei campi i contadini chiedevano al prete
di benedirli.
LA GAMBA
Si racconta che quando Pieve era ancora un villaggio, in un inverno freddo e duro, c'era una
famiglia con molti figli, che non aveva di che sfamarsi. Così il padre si tagliò una gamba e la fece
mangiare ai figli. Da quel giorno si dice che ancora oggi, a mezzanotte, sulla recinzione del
cimitero, si vede il fantasma dell'uomo con una gamba sola.
LA GAMBA DEL CASTELLO
La raccontavano i ragazzi che abitavano vicino al castello: da una botola situata in un soffitto del
vecchio castello o meglio di ciò che restava della costruzione, pare che di sera scendesse una gamba
e si sentisse il cigolio di una carriola che andava avanti e indietro. I ragazzi di giorno restavano lì
intorno ma, quando le prime ombre della sera calavano, si allontanavano in fretta, terrorizzati da ciò
che poteva apparire davanti a loro. Nessuno ha mai verificato la realtà di quanto raccontato.
LA LEGGENDA DEL CAPRONE
Si narra che i contadini avessero paura a recarsi nei campi di notte, perchè un caprone li avrebbe
caricati sulla sua groppa e, dopo aver corso tutta la notte, si sarebbe fermato solo il mattino
seguente. Ecco perchè i contadini di notte riposano e vanno nei campi solo alle prime luci dell’alba.
Il DRAGO
Il drago usciva alla sera e l'acqua diventava rosso sangue
Pieve era un paese della vallata del fiume Po, circondato da immense distese di boschi, vere foreste
con alberi secolari, percorsi raramente da sentieri, transitabili solo da carri trainati da buoi. Il fiume
allagava spesso questi zone lacustri, lasciando poi, quando si ritirava, delle buche piene d’acqua e
di pesci, dove giovani ed anziani si recavano per pescare.
Uno di questi stagni “fupon” (dialetto pavese) era: “la buca ad'l'inferan” in pratica lo “stagno
dell'inferno”, perchè si colorava di rosso sangue.
La leggenda tramandata raccontava che di notte un “drago”, che dormiva nei fondali dello stagno,
usciva per divorare le incaute prede che trovavano riparo sulla riva, essendo un luogo naturalmente
sicuro, …. ma non era così.
Al mattino, la carneficina notturna lasciava lo stagno intriso di un “rosso sangue” impressionante, in
modo particolare nelle giornate temporalesche.
Quando la pesca era necessità, i ragazzi si recavano a pescare con le canne nei vari stagni della
zona, ma mai in quello della “buca ad'l'inferan” perchè la leggenda tramandata incuteva timore.
Questo stagno oggi è “lo stagno di Capelli” e si trova ormai in aperta campagna, circondato da
campi di riso e granoturco.
Per arrivarci, basta prendere dalla Piazza San Vittore, via della Vittoria, proseguire sempre dritto,
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lasciare la strada asfaltata, prendere quella sterrata costeggiando il fosso “Bedo” e prima di arrivare
all'arginella lo noterete ben tenuto e recintato, a sinistra.
Oggi il color rosso sangue non c’è più, ma i ragazzi degli anni quaranta se lo ricordano benissimo!
I CONTI ROVESCALA,
abitanti e signori di Pieve
Il castello appartenne ai Conti Rovescala, che lo abitarono ininterrottamente.
Si racconta che, essendo ricchi, organizzavano molte feste nelle sale del castello e invitavano le
ragazze più belle di Pieve e dei paesi vicini.
Quando erano stanchi della loro compagnia, le buttavano in un pozzo nelle segrete del castello. I
Conti Rovescala uccidevano anche i ragazzi più belli, che facevano loro concorrenza. Questo pozzo
esiste ancora, forse è nella cantina di qualche abitazione!
BOSCO TOSCA
I TOSCA E GLI ALBANESI
Nei secoli scorsi, sulle rive del fiume Po, sbarcarono alcune flotte di pirati e alcune carovane di
zingari che, inizialmente, assalivano i viandanti poi, con il passare del tempo, riuscirono ad
integrarsi, perchè molti di loro si sposarono con persone locali. Si narra che portassero come
cognome TOSCA e ALBANESI e forse è per questo motivo che la località che si trova dopo il
ponte si chiama Bosco Tosca. E' proprio in quel preciso punto che poi si sono insediati. La mia
bisnonna si chiamava Maria Tosca e spesso il mio bisnonno, quando si arrabbiava con lei, le
ricordava scherzosamente che apparteneva a una dinastia di zingari. Così mi ha raccontato mio
nonno.
CASONI
Casoni é situato a circa 3 km ad oriente di P.M. E' stato fondato nell'anno1563, quando la contessa
Isabella 2^ Borromeo Trivulzio fece costruire una piccola cappella, nucleo dell'attuale chiesa. Il
nome”Casoni” forse venne scelto per gli ampi magazzini situati in mezzo alla campagna, dove si
depositavano le sementi e i raccolti. Nel 1832, sotto il vescovado di Luigi Tosi, per il grande
numero di abitanti delle frazioni e del paese (circa 800), si edificò la Chiesa, che venne dedicata a
S.Rocco.
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LA CHIESA DI SAN ROCCO
Nella frazione Casoni la chiesa di S.Rocco, edificata nel XVI sec. per volere della contessa Isabella
Triulzi, è stata completamente ricostituita nel 1882.
Secondo la leggenda, gli abitanti di Casoni dedicarono la chiesa a S. Rocco perché, nel suo
pellegrinare, passò anche da Casoni. Rocco di Montpellier, noto come S.Rocco, pellegrino e
taumaturgo francese, dopo aver perso i genitori in giovane età, distribui i suoi beni ai poveri e
s'incamminò in pellegrinaggio verso Roma. Arrivato in Italia, durante l'epidemia di peste nera che
colpì tutta l'Europa, Rocco soccorreva i contagiati e in alcuni casi li guariva, anzichè scappare dai
luoghi infettati. Fu così che iniziò a emergere il carisma del Santo, presso la gente. Nel ritorno
verso Montpellier, seguendo la Via Francigena, si fermò a Piacenza ad assistere i malati presso
l'ospedale, dove venne contagiato. Per non diffondere la malattia, si rifugiò in una grotta lungo il
fiume Trebbia , nei pressi di Sarmato. La leggenda racconta che un cane, durante la sua degenza,
provvedeva quotidianamente a portargli un pezzo di pane, che sottraeva dalla mensa del suo
padrone, signore del castello di Sarmato. Il dipinto del Santo, con il suo cane, è presente sulla
facciata principale della chiesa di Casoni. Rocco, dopo la guarigione, riprese il suo cammino nelle
nostre zone; giunse a Voghera dove, scambiato per una spia, venne incarcerato e morì il16 agosto
del 1379. La Chiesa di San Rocco, a Casoni, è stata completamente ricostruita nel 1882.
LA STREGA MAGANA
fra Pieve e Parpanese
Quando ancora tra Pieve e Castelsangiovanni non c'era il ponte, esisteva una vecchia e perfida
strega di nome Mogana, che si era stabilita in riva al Po, finchè decise di spostarsi dove oggi sorge
la località Parpanese, perchè aveva deciso di trarre profitto dall'unica cosa preziosa che aveva: una
scopa fatata che, a differenza di quelle tradizionali, non volava per aria, ma scivolava sull' acqua.
Un giorno, vedendo aggirarsi intorno al fiume un viandante, pensò che era giunto il momento di
mettere in atto il suo piano, perciò gli si avvicinò e chiese se doveva passare dall'altra parte. L’uomo
stava proprio cercando un barcaiolo e la strega, spalancando la sua boccaccia con un solo dente
sbilenco, gli disse che l’avrebbe portato lei con la scopa. Il forestiero stupito le chiese se voleva
prendersi gioco di lui, ma la vecchia, salendo a cavalcioni della scopa, partì a grande velocità,
rasentando il pelo dell'acqua. Quando fu di ritorno, l'uomo, anche se un po’ perplesso, gli chiese
quale fosse la cifra da pagare.
-Due soldi - e l’affare fu fatto, con pagamento anticipato.
Magana, tendendo la mano adunca come una zampa di gallina, prese i quattrini e la strega lo fece
salire sulla scopa, dietro di sé, raccomandandogli di aggrapparsi bene, sghignazzando. Non appena
furono al largo si fermò. -Che succede? Domandò l'uomo.- Questa malandrina di scopa mi dice che
per due soldi può arrivare fino a qui, - rispose Magana.- Ma se non siamo neppure a metà del
percorso! -Protestò l'uomo.- Rise la strega, che si divertiva un mondo e gli chiese altri quattro soldi,
per arrivare a destinazione o essere gettato in acqua.
-Oh, vecchia imbrogliona! Che tu possa essere maledetta!- Imprecò il viaggiatore ma, dal momento
che non non sapeva nuotare, fu costretto a pagare i quattro soldi. Per fortuna erano ormai vicini alla
riva, così l' uomo, immerso nell' acqua fino alla cintola, potè almeno raggiungere la sponda a
piedi, mentre la strega, girata la scopa, si allontanò ridendo, perché aveva capito che la strategia
funzionava. Magana continuò a traghettare i malcapitati che avevano la sfortuna di passare da
quelle parti, estorcendo loro anche l' ultimo centesimo. Mentre lei si arricchiva, la sua cattiva fama
si diffondeva e arrivò il momento in cui qualcuno decise di darle una solenne lezione. Quando
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vide un bel giovanotto che si avvicinava con una sacca in spalla, Magana gli si fece incontro
chiedendogli se dovesse attraversare il fiume.
-Cosa vai a fare?
-Ad abbattere gli alberi, sono taglialegna e sono proprio curioso di provare la tua scopa.
Il ragazzo pagò i due soldi e il viaggio ebbe inizio ma, come al solito, a metà del tragitto cominciò il
ricatto; questa volta però la strega trovò un osso duro: un vero ed esperto taglialegna che, presa la
sega dalla bisaccia, cominciò a segare in due la scopa, fra le imprecazioni della vecchia terrorizzata,
che invocava pietà, perché non sapeva nuotare. - Dammi una mano, salvami! - Hai mai dato una
mano a qualcuno, tu? Dimmi, quanti poveretti hai derubato e quanti ne hai fatto affogare?- Sì, è
vero, sono stata crudele, ma d'ora in poi sarà diverso, te lo prometto. Non farò più male a nessuno –
disse la strega, spaventata.
-Ne sono convinto anzi, sono sicuro che farai del bene, ora che non hai più quella dannata scopa.Cosa? - chiese la strega ancora più spaventata e gocciolante, dopo che giunsero sulla riva. - Ti ho
preparato una bella sorpresa!- E il giovanotto la trascinò verso i fitti cespugli tra cui era nascosta
una barca talmente grossa, che sul Po non se n'erano mai viste di simili.- Ecco, - le spiegò- questo
barcone sarà il tuo nuovo traghetto e trasporterai la gente senza chiedere nulla in cambio.- Oh,
povera me! Come farò a spostare una barca così pesante?- si lamentò la strega -Sono sicuro che ce
la farai e ti scaricherai la coscienza!
Da quel momento la strega Magana cominciò a traghettare la gente, per lunghi anni, finchè non fu
costruito il ponte di barche. In seguito di lei non si seppe più nulla, ma”magane” sono chiamate
ancora oggi le grandi barche a fondo piatto che si usano per trasportare sul fiume la sabbia e la
ghiaia.
LA STORIA
di
MONTICELLI
La storia di Monticelli è molto antica, iniziata più di mille anni fa; coinvolge santi e imperatori, ma
soprattutto è opera di uomini e donne che quotidianamente hanno dovuto fare i conti con il grande
fiume Po, che ha segnato e segna tuttora il destino di queste terre, ma anche con tutti coloro che
hanno rivendicato diritti per la dominazione dei territori.
L’area su cui è sorto Monticelli faceva parte di una donazione di trentasei terre di antica pertinenza
della Curtis Olonae, concessa verso la metà del sec. X da Santa Adelaide all’antica Abbazia
longobarda di San Salvatore. Il diploma originale della donazione è andato perduto, ma l’atto è
stato poi confermato da un successivo documento dell’imperatore Ottone II, figlio della stessa
Adelaide, nel 981.
Il monastero di San Salvatore sorgeva presso l’attuale chiesa; la basilica originale era stata fondata
nel 657 dal re Longobardo Ariperto, per celebrare la definitiva conversione dei Longobardi al
Cattolicesimo.
La difficile situazione politica del periodo successivo investì anche la basilica, riducendola in
pessime condizioni; fu proprio grazie all’imperatrice Adelaide che venne restaurata. Suo
collaboratore fu il monaco San Maiolo, abate di Cluny, al quale fu affidato anche il governo del
monastero. Grazie all’opera dei monaci di San Salvatore furono avviate importanti opere di
bonifica, i terreni furono dissodati e fu risanato il terreno paludoso. Qui sorse un villaggio di
contadini incaricati di coltivare i campi di proprietà dell’abbazia. Nel 1145 papa Eugenio III, con
una bolla, confermò la donazione dell’imperatrice e la tradizione sostiene che fu proprio questo
papa a promuovere la fondazione del paese.
Il Medioevo fu per Monticelli un’epoca difficile, segnato da liti e lotte per ottenere il dominio del
territorio e del villaggio. Benché appartenessero di diritto all’abate di S. Salvatore, venivano spesso
concessi in feudo a nobili pavesi o piacentini. Tra il XII e il XIII sec. i comuni di Pavia e Piacenza
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furono impegnati in aspre contese territoriali e fu così che i pavesi cercarono di utilizzare Monticelli
come “testa di ponte” per espandere il loro dominio in Oltrepo. La situazione sembrò tornare alla
normalità solo dal 1249, quando i Monticellesi tornarono a giurare obbedienza all’abate del San
Salvatore. Da quel momento i monaci ebbero la signoria su Monticelli e vi nominarono un
massarium, un podestà e un rettore. Il monaco priore, su delega dell’abate, aveva anche il diritto di
convocare il concilio, l’assemblea del popolo e di emanare statuti e ordinanze. Nasceva così il
comune di Monticelli.
Nell’Età Moderna Monticelli tornò al centro di significative vicende storiche. Un evento di
fondamentale importanza fu il taglio del fiume: i lavori iniziarono nel 1466 e terminarono nel 1476.
L’opera fu voluta da Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano che voleva mettere al riparo i suoi
possedimenti di Chignolo Po dalle continue erosioni del fiume e pensava allo stesso tempo di porre
fine ai contrasti tra Pavia e Piacenza per il dominio del territorio. Nel 1752 a Monticelli fu costruita
la chiesa parrocchiale ad opera del parroco Don Giacomo Silvani. Qualche anno dopo, nel 1796,
sull’onda della rivoluzione francese e della conquista napoleonica il monastero del San Salvatore fu
soppresso. Nel 1815 il Congresso di Vienna riportò l’Europa e l’Italia alla situazione precedente il
passaggio di Napoleone. Il piccolo paese di Monticelli fu assegnato alla Lombardia. Nel 1820 anche
la parrocchia venne tolta alla Diocesi di Piacenza e fu assegnata a quella di Pavia. Nel 1879 la
chiesa fu riconsacrata dal vescovo Agostino Riboldi.
L’arrivo dell’Età Contemporanea segnò la trasformazione di Monticelli in un tranquillo paese
agricolo della Bassa Pavese.
IL CONVENTO DEI FRATI
Si narra che a Monticelli Pavese, in località Colombina, ci fosse un convento di frati Cappuccini e
nei sotterranei di questo ci fosse un tunnel che portava in località Palazzo, dove esisteva un altro
convento. Si racconta che i frati andassero di cascina in cascina ad invitare solo le ragazze più belle
e giovani, alla preghiera nel convento. La maggior parte delle giovani accettò l'invito, ma alcune di
loro non tornarono mai più a casa. Secondo la leggenda pare che i frati abusassero delle ragazze e
ne gettassero i loro corpi, privi di vita, nei sotterranei. Negli ultimi tempi i sotterranei sono stati
visitati, ma non si è mai trovato nessun resto umano, quindi non c'è nessuna verità fondata; si tratta
solo di una leggenda e in realtà il sotterraneo serviva ai frati come scorciatoia per passare da un
convento all'altro.
La cucina pievese
In cucina rane e pesci erano un tempo il cibo tradizionale, insieme alla polenta, ai minestroni con
landar, fagioli, alle frittate con le ortiche, le cipolle o le erbette, alle fritture, alla panada, alla trippa,
ai “ragò”…..; oggi le rane sono quasi sparite e a pesca si va per hobby, spesso liberando i pesci
catturati e si preferiscono i pesci di mare; resta il risotto con la salsiccia, accompagnato da un buon
vino dell’Oltrepò pavese, i minestroni con le verdure del proprio orto, i salami, le squisite torte che
le nonne o le mamme sanno preparare.
11
INDICE
LA STORIA di PIEVE PORTO MORONE
pag. 3
LA CHIESA PARROCCHIALE
pag. 4
IL CASTELLO
pag. 5
LA “CRUS”- IL CROCIFISSO
pag. 5
IL PORTO E IL GELSO O “MURON”
pag. 6
I BACHI DA SETA
pag. 6
LA CAPPELLA DELLA MADONNA DI LOURDES
pag. 6
LA BENEDIZIONE DELL’ACQUA
pag. 7
LA GAMBA
pag. 7
LA GAMBA DEL CASTELLO
pag. 7
LA LEGGENDA DEL CAPRONE
pag. 7
Il DRAGO
pag. 7
I CONTI ROVESCALA
pag. 8
BOSCO TOSCA
pag. 8
CASONI
pag. 8
LA CHIESA DI SAN ROCCO
pag. 9
LA STREGA MAGANA
pag. 9
LA STORIA DI MONTICELLI
pag. 10
IL CONVENTO DEI FRATI
pag. 11
LA CUCINA PIEVESE
pag. 11
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13