n. 17 - Estate 2011 - Le Montagne Divertenti
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n. 17 - Estate 2011 - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna T rimestrale di A lpinismo e C ultura A lpina n°16 - ESTATE 2011 - EURO 5 Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio Valmalenco Pizzo Roseg: il re dei ghiacci Valmasino Sfinge e Ligoncio Fotografia La valigia del fotografo e v r i D tenti Serpenti Parte I: pregiudizi, storie e leggende Campo Moro Lo spettacolo dei tuffi dalle grandi altezze Alta Valtellina L'Alta Via dello Stelvio Pizzo Tambò Primo in Valchiavenna Val d'Arigna Trekking e agricoltura Valtellinesi nel mondo In Grecia in cima alle guglie di Meteora Joëlette Montagne per tutti Flora Licheni e simbiosi Insetti La mantide religiosa Orobie L'Homo Salvadego e i laghi della val Gerola Inoltre Ricette, poesie, giochi, leggende... La Valtellina attraverso i passi dello Spluga e dello Stelvio valchiavenna - bassa valtellina - ValMàsino - alpi retiche e orobie - valmalenco - alta valtellina 1 Le Montagne Divertenti Editoriale Beno Si può cogliere il fascino di una montagna solamente dopo il lungo tragitto per raggiungerne la vetta, un percorso che non solo ci fa scoprire le vallate, gli animali e gli uomini che ne abitano i fianchi, ma che ci porta a conoscere meglio noi stessi, i nostri limiti e a lottare per migliorarci. E' un viaggio meraviglioso, una palestra di vita che ci fa sentire realizzati e ci aiuta capire quanto invece sia sciocco perdere tempo ad accumulare cianfrusaglie che mai troveranno spazio nel nostro cuore. In copertina: la strada dello Spluga, Montespluga, il lago di Montepluga e il monte Mater dalle pendici del pizzo Tambò (foto Roberto Moiola - www.clickalps.com). Anemone nella valle di Musella (15 giugno 2010, foto Giacomo Meneghello). 2 Le Montagne Divertenti Estate 2011 Ultima di copertina: alpinisti ai piedi della Cresta Guzza (11Divertenti settembre 2010, Le Montagne foto Beno). 3 L e g e n d a Schede sintetiche e tempistiche Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali del percorso, tra cui dislivello, tempo di percorrenza e difficoltà. A fianco trovate una breve e divertente spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. Sotto la voce "Dettagli", invece, viene espressa la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica convenzionale, corredata da una breve spiegazione. Le tempistiche, indicate nel testo descrittivo, sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2. Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza, pericolosità e fatica, vi permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario a voi più consono. 1 - Se non emergono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dilivello l'ora, oppure 3 km orari su itinerario pianeggiante. 2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento crono-geografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare l'individuazione dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto. Bellezza pericolosità Quasi meglio il centro commerciale Carino Basta stare un po’ attenti Assolutamente fantastico Fatica Richiesta discreta tecnica alpinistica Pericoloso (si consiglia una guida) ore di percorrenza Si comincia a dover stare attenti alle storte, alle cavallette carnivore e nello zaino è meglio mettere qualche provvista e qualche vestito. Assolutamente sicuro Ne vale veramente la pena Ottimo anche per anziani non più autosufficienti o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale per la camporella, anche per le coppiette meno esperte. dislivello in salita Una passeggiata! meno di 5 ore meno di 800 metri Nulla di preoccupante dalle 5 alle 10 ore dagli 800 ai 1500 metri Impegnativo dalle 10 alle 15 ore dai 1500 ai 2500 metri Un massacro oltre le 15 ore oltre i 2500 metri Le scarpe da ginnastica cominciano ad essere sconsigliate (sono d’obbligo abito da sera e mocassini). E’ meglio stare attenti a dove si mettono i piedi. Vertigini vietate! su RADIO TSN Itinerario abbastanza lungo, ma senza particolari difficoltà alpinistiche. E’ richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e muoversi su ghiacciaio o terreni friabili come la pasta sfoglia. E’ consigliabile una guida. FM 101.100/97.700 ogni martedì con Beno & special guests ore 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45 WWW.RADIOTSN.IT Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. Sconsigliato a tutti gli appassionati di montagna non esperti e non dopati. Valida alternativa al suicidio. Solo per persone con un’ottima preparazione fisicoatletica e esperienza alpinistica. Servono sprezzo del pericolo e, soprattutto, barbe lunghe e incolte. Editore Beno Direttore Responsabile Enrico Benedetti Redazione Alessandra Morgillo Beno Giorgio Orsucci Roberto Moiola Responsabile della fotografia Roberto Moiola Realizzazione grafica Beno e Giorgio Orsucci Revisore di bozze Mario Pagni Responsabile della cartografia Matteo Gianatti Hanno collaborato a questo numero: Alessandra Morgillo, Antonio Boscacci, Beppe, Cesare Contin, Claudio Pia, Costantino Marveggio, Davide Gotti, Egidio Guanella, Fabio Pusterla, Fabrizio Picceni, Flavio Casello, Franco Benetti, Franz, Giacomo Meneghello, Gianfranco Lalli, Gioia Zenoni, Giordano Gusmeroli, Giorgio Orsucci, Graziano Nani, Gregorio Luigi Fanetti, Kim Sommerschield, Laura Terraneo, Luciano Bruseghini, Luisa Angelici, Marcello Di Clemente, Marina Magri, Marino Amonini, Maristella Sceresini, Matteo Gianatti, Matteo Tarabini, Maurizio Cittarini, Michele Corti, Mina Bartesaghi, Mirko Mascetti, Renzo Benedetti, Riccardo Scotti, Roberto Ganassa, Sergio Scuffi, Valentina Messa,Vittorio Zanetti. ARIO LE MONTAGNE DIVERTENTI Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369 Speciali 12 26 Valchiavenna Passo dello Spluga Alta Valtellina Passo dello Stelvio Itinerari d’alpinismo Itinerari d’escursionismo Rubriche 54 80 104 Valtellinesi nel mondo 66 Valmalenco Pizzo Roseg (m 3936) Approfondimento I ghiacciai del Bernina 84 Versante Orobico Briotti - rifugio Grioni Approfondimento: I splinc di Briotti Le guglie di Meteora 112 Il mondo in miniatura Mantide: ingannevole apparenza Si ringraziano inoltre CAI Valtellinese, Ezio Gianatti, Mario Maffezzini, Maurizio Torri, Fabrizia Vido, Eva Fattarelli, la Tipografia Bonazzi, gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli sponsor che credono in noi e in questo progetto. Giovanni Mazzoleni, Daniele Ligari e Stefano Tirinzoni Pubblicità e distribuzione [email protected] tel. 0342 380151 Stampa M Un saluto speciale a: 38 Bonazzi Grafica -Via Francia, 1 -23100 Sondrio Per ricevere la nostra newsletter: Serpenti: parte I Pregiudizi e luoghi comuni 69 Valchiavenna Pizzo Tambò (m 3278) 89 Alta Valtellina L'Alta Via dello Stelvio registra il tuo indirizzo email su www.lemontagnedivertenti.com 116 120 Abbonamenti per l’Italia 127 annuale (4 numeri della rivista): costo € 22 da versarsi sul c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50 intestato a: Beno di Benedetti Enrico via Panoramica 549/A 23020 Montagna (SO) nella causale specificare: nome, cognome, indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti” fatto il bonifico è necessario registrare il proprio abbonamento su - www.lemontagnedivertenti.com - oppure mandando email con indirizzo di spedizione e copia del versamento a: [email protected] - oppure telefonando al 0342 380151 (basta lasciare i dati in segreteria). 49 Joëlette Montagne per tutti 73 Valmasino Sfinge e Ligoncio (m 3033) O [email protected] www.lemontagnedivertenti.com M Contatti, informazioni e merchandising Arretrati [email protected] - € 6 cad. Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista 21 settembre 2011 Errata corrige n.16 - Primavera 2011: Il muleta a pag. 117 è Andrea Negrini, classe 1917 di Caspoggio. S Prossimo numero 52 Tuffi dalle grandi altezze Ad agosto a Campo Moro Estate 2011 Le Montagne Divertenti 96 Versante Orobico La sintesi della val Gerola Flora Vivere in simbiosi (licheni) Arte e montagna Nella casa del Selvadego Dialetti Tant en zéra tant en zò 130 L'arte della fotografia Click si parte ( I parte) 131 Le foto dei lettori 144 Vincitori e vinti 145 Giochi Ma ch'el, ma che scimma i-è 146 Ricette della nonna Sciroppo di ribes rosso Localizzazione luoghi Zillis Wergenstein Bergün Parsonz Sufers 2115 Mulegns Montespluga 3378 Madesimo Livigno Cresta St. Moritz Pianazzo Fraciscio Passo del Maloja 1815 Pizzo Stella Pizzo Quadro 3013 3183 Casaccia Mera Pizzo Galleggione 3107 Castasegna Prosto Prata Camportaccio Gordona San Cassiano Pizzo Martello 2459 3032 2845 Verceia Cevo Bùglio Caspano Ardenno Dubino Mantello Mello Traona Dazio Sirta MORBEGNO Delébio Rògolo Còsio Regolédo Albaredo Geròla Bellàno Taceno Pescegallo 98 Pizzo dei Tre Signori 2554 Bellagio Introbio Le Montagne Divertenti Barzio Colorina Caiolo Tartano Monte Cadelle 2483 Passo San Marco 1985 Albosaggia Carona Piazzatorre Olmo al Brembo Pizzo Campaggio 2502 Pizzo del Diavolo di Tenda 2829 Pizzo Rodes 2829 Arigna Carona Pizzo Coca 3050 Aprica Còrteno Estate 2011 Cortenedolo Monte Sellero 2743 Pizzo Camino 2492 Concarena 2549 26 Alta Valtellina Passo dello Stelvio (Eliana e Nemo Canetta, Beno) 54 Valmalenco Pizzo Roseg (Beno) Pizzo Tambò (Beno) 76 Val Màsino Sfinge e Ligoncio (Beno) Passo del Tonale 1883 Briotti- rifugio Grioni (Roberto Moiola) 89 Alta Valtellina L'Alta Via dello Stelvio (Eliana e Nemo Canetta) 98 Alpi Orobie Adamello 3554 Monte Fumo 3418 Garda Monte Carè Alto 3462 Berzo Paisco Passo dello Spluga (Sergio Scuffi) 81 Alpi Orobie Ponte di Legno Edolo Loveno Villa Vione Sonico Palone del Torsolazzo 2670 Monte Torena 2911 Pezzo Incudine Monno Malonno Vilminore Colere Gromo Vezza d'Oglio Passo dell'Aprica Monte Gleno 2883 Valbondione Passo del Vivione 1828 Gandellino Corno dei Tre Signori 3359 Punta di Pietra Rossa Monte Tonale 3212 2694 Monte Serottini 2967 Mazzo Tovo Lovero Sernio TIRANO Bianzone Tresenda Adda Pizzo Redorta 3039 Fumero Adda Schilpario Branzi Roncorbello Brusio Ponte in Valt. Teglio Chiuro 81 Foppolo Cùsio Cassiglio Sondrio Tresivio Mezzoldo Valtorta Pasturo 8 Ornica 3136 Grosotto Punta San Matteo 3678 Passo del Gavia 2621 Le Prese Sondalo Monte Masuccio 2816 69 Valchiavenna Grosio Vetta di Ron Boirolo T. V enin a Bema Premana Postalesio Berbenno Castione Talamona 120 Tremenico Lierna 3114 Le Prese T. Fo ntana Cima del Desenigo 3323 Caspoggio Chiesa in Valmalenco Torre di S. Maria San Martino Corni Bruciati Pizzo Scalino Lanzada T. Livrio Lago di Como 3678 Pizzo Ligoncio Monte Legnone 2610 Dervio Bagni del Màsino Primolo San Caterina frana di Val Pola Malghera Poschiavo 64 Monte Cevedale 3769 Monte Confinale 3370 Valdisotto Cima Saoseo 3263 Ortles 3905 Gran Zebrù 3851 Cepina 12 Valchiavenna San Antonio BORMIO San Carlo T. Mallero Còlico 76 Monte Disgrazia T. Caldenno Dongo ra T. Code La Rösa Eita Sasso Nero 2917 3378 Novate Mezzola Lago di Mezzola Cima di Castello Oga T. Roasco Chiareggio o T. Màsin Montemezzo Livo Gera Dosso d. Liro Lario Somaggia 3308 4050 Passo del Bernina Piz Palù 2323 3906 26 Bagni di Bormio Premadio Cima Piazzi 3439 i od Lag chiavo Pos San Pietro Samòlaco Era Vicosoprano Villa di Chiavenna Pizzo Badile 54 Passo del Muretto 2562 Bondo CHIAVENNA Mese Soglio Pizzo Bernina T. La nte rna Campodolcino Maloja 89 Isolaccia Arnoga Forcola di Livigno 2315 Sils Solda Passo dello Stelvio 2757 Valdidentro Passo del Foscagno 2291 Piz Languard 3268 Silvaplana Juf Giogo di San Maria 2502 Trepalle Pontresina Julierpass Bivio Lag 3180 hi d i Ca nca no 1816 3057 Mera 3210 89 Cima la Casina Samedan Piz Nair 3392 Pizzo d'Emet Isola Sur Stelvio San Maria Lago del Gallo Piz Piatta Lago d i Lei 12 Pizzo Tambò 3279 3062 3159 Inn Montechiaro Müstair Piz d'Err Piz Grisch Innerferrera Passo dello Spluga 69 Curtegns 1864 Zuoz Albulapass 2312 Reno Ausserferrera Piz Quattervals 3418 Julia Splügen Medels Piz Kesch Cunter Andeer e itinerari Saviore Valle La sintesi della val Gerola (Giorgio Orsucci) 98 Alpi Orobie Nella casa del Selvadego (Giorgio Orsucci) Capo di Ponte Làveno Le Montagne Divertenti Monte Re di Castello 2889 Niardo © Beno 2010 - riproduzione vietata Localizzazione di luoghi e itinerari 9 Speciali d'Estate Il versante svizzero del passo dello Spluga (18 agosto 2009, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com). I doganieri dello Spluga dormivan sempre con un occhio aperto (1902, cartolina archivio Cittarini). In Valtellina per i Beno U n tempo mirabolanti opere dell'ingegneria, arditissimi passaggi fra cime maestose che permettevano, o anche solo minacciavano, il transito di merci, soldati e ambasciatori, oggi i valichi alpini della nostra provincia hanno perso ogni interesse strategico per rivelarsi altresì grandi attrattive turistiche. E' risalendo quelle strade, costruite per necessità o interessi militari e com- merciali, che ci si può avvicinare alle vette o ai ghiacciai perenni senza quasi far fatica, ci si può tuffare nella natura semplicemente guardando dal finestrino e viaggiare indietro nel tempo immedesimandosi nella storia scritta sui fianchi delle montagne. bbiamo scelto due valichi d'alta quota geograficamente molto distanti - oggi tutti percorsi da rotabile, amatissimi da ciclisti e da gitanti A Lo trentino del passo dello Stelvio (giugno 2009, foto Canetta). 10scosceso Le versante Montagne Divertenti di ogni volume di cilindri e di zaino - che in passato hanno vissuto vicende sotto molti aspetti diverse e caratteristiche: il passo dello Stelvio, tra Alta Valtellina e Trentino, e il passo dello Spuga, tra Valchiavenna e l'alta valle del Reno. Entrambi i passi vennero serviti da strada carrozzabile nel XIX secolo su volontà degli Asburgo. Lavori monumentali, opere dell'ingegnere Carlo Estate 2011 valichi d'alta quota Donegani, sono tra i capolavori della scienza umana ottocentesca. I racconti di quelle realizzazioni stupiscono tutt'oggi e furono motivo d'orgoglio per gli imperatori austriaci. a forse non vi è altro che li accomuna: il passo dello Spluga (m 2115), antichissimo "Cunu Aureu", già ampiamente utilizzato in epoca romana, è stato importante e conteso valico commerciale, mentre lo M Le Montagne Divertenti Stelvio (m 2758), il più alto valico d'Italia, venne reso percorribile su volontà di Francesco I per motivi di strategia militare a cui non fu mai in grado d'adempire. Tuttavia, come effetto collaterale, quella strada elevatissima portò alla nascita del turismo d'alta quota: si potevano sfiorare i ghiacciai perenni e le vette più maestose senza neppur scendere dalla carrozza! La Valtellina moderna è senza dub- bio figlia dei valichi alpini che hanno fatto qualche volta la fortuna e qualche altra la rovina dei nostri paesi, portando guerra e pace, miseria e ricchezze. Ma non ci accontenteremo di parlare della storia di quei passi, bensì vi proporremo anche degli itinerari di trekking e di alpinismo che possono essere svolti appoggiandosi al valico, che diverrà così un punto di partenza e non semplicemente di passaggio. Localizzazione di luoghi e itinerari 11 Cunu Aureu Speciali d'Estate Valchiavenna passo dello Spluga: una porta per la Valchiavenna Sergio Scuffi Tavola Peutingeriana, segmentum III, porzione contenente Chiavenna e il passo dello Spluga (Cunu Aureu). La tavola Peutingeriana è una copia del IV sec. di un'ancora più antica carta romana. Porta il nome dell'antichista Konrad Peutinger, segretario della città di Augusta che la acquisì nel 1508, un anno dopo il suo ritrovamento. Composta da 11 pergamene riunite in una striscia di 680 x 33 cm, mostra 200.000 km di strade dell'Impero, ma anche la posizione di città, mari, fiumi, foreste, catene montuose. E' una rappresentazione simbolica che non rispetta le proporzioni geografiche, simile al diagramma di una metropolitana, ma che permetteva di muoversi facilmente da un luogo a un altro e di conoscere le connessioni e le distanze tra i centri dell'impero. La posizione geografica Il passo dello Spluga (m 2115), grazie alla sua collocazione al centro delle Alpi, è stato da tempi immemorabili individuato come la via di comunicazione più diretta tra il nord e il sud. S i trova infatti nelle Alpi Centrali, direttamente sullo spartiacque e lungo la linea di divisione fra le Alpi Lepontine e le Retiche. Al valico fanno da guardia i massicci del Tambò a ovest, quale ultima propaggine delle Lepontine, ed il Suretta a est, nelle Alpi Retiche: entrambi ben conosciuti e frequentati da alpinisti ed escursionisti. l passo è la zona di transizione tra le falde del Tambò e del Suretta, costituite in prevalenza da rocce cristalline che si sono fortemente metamorfizzate durante l'orogenesi alpina. Il paesaggio è d'ampio respiro poichè privo di barriere orografiche, con una parvenza di landa nordica dal momento che gli alberi d'alto fusto, assenti a quote relativamente basse, hanno lasciato spazio alla tundra alpina. Come appare evidente da un sem- I Il versante svizzero del passo dello Spluga (foto Roberto Moiola - www.colickalps.com) 12 Le Montagne Divertenti Estate 2011 Le Montagne Divertenti plice sguardo alla carta geografica, dal centro della Pianura Padana si può tracciare una linea diretta che, da sud a nord, porta al valico attraverso il solco del lago di Como, che ha poi un sua naturale prosecuzione lungo la piana della Valchiavenna e si addentra infine fra le montagne percorrendo la val San Giacomo1. Proprio la via d’acqua naturale costituita dal lago di Como ha favorito e facilitato, da sempre, l’avvicinamento al valico da sud, dal momento che la navigazione consente di raggiungere la sua estremità settentrionale (dove sorgeva l’antica Summo Lacu); da qui il fondovalle presenta un andamento quasi pianeggiante fino a Chiavenna, dove la quota è di poco superiore ai 300 metri. Ormai le montagne si ergono imponenti proprio a sovrastare la piccola città, ma ancora il solco delle vallate accompagna allo spartiacque. Come vedremo, sia la val San Giacomo verso nord, sia la val Bregaglia verso est, sia pure con alterne fortune, ebbero nei tempi grande importanza come vie di comunicazione attraverso le Alpi. 1 - Nome originario della valle che, in un passato abbastanza recente, è stato sostituito da valle Spluga. I percorsi attraverso i tempi L e ricerche dell’equìpe scientifica guidata dal professor Francesco Fedele, sviluppatesi negli anni dal 1986 al 2001, prima al piano dei Cavalli sopra San Sisto (Campodolcino), successivamente nella zona dell’alpe Borghetto, sopra Isola (Madesimo) hanno portato alla luce dei reperti archeologici che testimoniano la presenza dell’uomo nella valle già in età mesolitica (circa 10.000 anni fa). Altri importanti ritrovamenti, come il coltello in bronzo rinvenuto a Montespluga nel 1965, sono segno della antica frequentazione. Ulteriore conferma viene da diversi segni sulle rocce, come le incisioni con lance presso Prata e le numerose cuppelle che continuano a venire alla luce in vari punti del territorio. Per tornare alle vie di comunicazione attraverso le Alpi, il riferimento più noto dell’antico itinerario attraverso il passo dello Spluga è dato dalla Tavola Peutingeriana, copia di una carta militare romana ritrovata ad Augusta e ritenuta del IV secolo. Qui si indicano le località di Clavenna, Tarvessede (Campodolcino?) Cunu Aureu, unanimemente individuato Localizzazione di luoghi e itinerari 13 Speciali d'Estate Valchiavenna 4 dicembre 1800: stampa della sciagura che vide perire un centinaio di soldati del generale Mc Donald travolti da una valanga nella gola del Cardinello mentre cercavano di ricongiungersi alla truppe di Napoleone. Così parla della vicende Grande Illustrazione del LombardoVeneto (1859): "Poi nel novembre 1800 il generale Macdonald quando Moreau stava per vincere la famosa battaglia di Hohenlinden, fu da Buonaparte invitato a menar per di qua il secondo esercito di riserva, che doveva appoggiarlo, vincitore a Marengo, contro i nuovi sforzi dell'Austria, così difficile a confessarsi vinta.Il Botta sfoggiò il suo stile pittoresco nel dipingere quel passaggio per farlo contrapposto a quello del San Bernardo, ma la posterità non gli badò. Vero è bene che il passo fu difficile; l'artiglieria dov'è mettersi su slitte; i soldati con poco biscotto e acquavite furono sorpresi dalla tormenta, sicchè bisognò da principio arrestarsi 3 giorni: poi ripresa via tra la neve, fatta calcare da mandrie di buoi, dietro cui i palajuoli spianavano il calle, vi passavano prima la fanteria, poi cavalli e cannoni, lavorando gli zappatori ove fosse troppo angusto il passaggio. Un centinajo di uomini restarono sepolti dalla neve: il resto scese a Chiavenna e in Valtellina donde pei Zapelli d'Aprica s'unì sul veneto all'esercito di Buonaparte." come il passo dello Spluga e Curia (Coira); la carta riporta, inoltre, le principali distanze, segnate in miglia romane. Altro documento importante è l’Itinerarium Antonini (risalente al periodo dell’imperatore Caracalla), nel quale pure si fa riferimento alla via dello Spluga; vi compare anche Summolacu, punto di approdo delle imbarcazioni all’estremità settentrionale del lago di Como. Durante l’epoca romana furono aperti altri percorsi per l’attraversamento delle Alpi passando da Chiavenna: risalendo la val Bregaglia, le vie del Settimo e quella del Maloggia, che proseguiva poi attraverso il passo Giulia. Tuttavia, per la sua particolarità di percorso più breve e diretto, il valico dello Spluga fu certamente il più frequentato. I primi passaggi, seguendo probabilmente le tracce degli antichi abitatori e frequentatori della valle, furono quelli delle legioni romane che si recavano oltralpe per operazioni militari; e sicuramente, per agevolare e garantire il transito, già nelle prime fasi della loro espansione i Romani provvidero a realizzare una prima strada, che si pensa possa risalire al II secolo, con pochi resti ora visibili, presso il valico. Considerando le più importanti 14 Le Montagne Divertenti spedizioni militari attraverso le Alpi, si ritiene che abbia attraversato lo Spluga Stilicone per affrontare le minacce di invasione dei Goti, prima nel 495 e poi, ancora, tra il 401 e il 402. E così si continuò per secoli, con passaggi di persone, merci, truppe, anche se non sempre l’attraversamento dello Spluga da parte di condottieri più o meno famosi trova concordi gli storici, in assenza, spesso, di adeguata documentazione. econdo Kurt Wanner, autore di "Lo Spluga, il passo sublime" molto ptobabilmente attraversò il valico Ottone I, re di Germania, ritornando in patria nel 952, dopo essere disceso dal Brennero l’anno prima alla conquista di Pavia; di nuovo ci sarebbe passato, ormai imperatore, nel 966; lo stesso autore afferma invece (diversamente da altri) che non vi sarebbe mai passato Federico Barbarossa il quale, per le sue numerose discese in Italia, avrebbe scelto altri valichi (Brennero, Moncenisio, Lucomagno) Nel frattempo i traffici continuavano, vedendo consolidarsi e accrescere notevolmente il volume e la qualità delle merci trasportate nelle due opposte direzioni, mentre i pascoli in quota, da alpeggi sfruttati temporaneamente, si andavano S trasformando in insediamenti permanenti, tanto che il comune di Chiavenna, nel XIII secolo, provvide a far costruire dei tratti di strada carreggiabile tra Campodolcino e Madesimo. Nel 1219 un trattato2 tra Chiavenna e lo Shams e il Rheinwald, le regioni immediatamente al di là dello Spluga garantisce il passaggio libero e sicuro di merci e passeggeri lungo tutto l’itinerario del valico, da entrambe le parti. Continuano quindi le opere di miglioramento del percorso sui due versanti: percorso che spesso, anche a causa di franamenti ed eventi alluvionali, subirà più di una variante (in particolare tra Campodolcino e la piana di Montespluga si utilizzeranno di volta in volta, in alternativa al fondovalle, numerosi altri itinerari). Tanto aumentarono i traffici nelle due direzioni, da suscitare il coinvolgimento e stimolare gli interessi di un numero sempre maggiore di addetti al commercio, al trasporto, alla sosta delle merci e al ricovero di persone e animali, alla manutenzione dei percorsi, che dovevano essere agibili in qualsiasi stagione. Si crearono così delle organizzazioni di tipo monopolistico: i “porti”. 2 - Il nome del trattao è la “Concordia”. Estate 2011 Nel ‘500 queste organizzazioni ebbero una propria, minuziosa regolamentazione scritta, che prevedeva innanzitutto il diritto al trasporto di merci solo ai residenti. Fu così anche per i porti della Val San Giacomo, che si organizzarono per il trasporto, la sosta delle merci, il ricovero degli animali, la manutenzione della strada, con tanto di tariffe, pedaggi, prezzi, fissati dal tribunale locale presieduto dal ministrale il quale, onde evitare liti, soprusi e contestazioni, assegnava a turno l’incarico ai vari trasportatori, provvedendo poi a pagare a ciascuno la tariffa spettante. R isulta che, all’inizio del ’500, sullo Spluga transitassero in un anno più o meno 50.000 some, mentre i cavalli che sostavano durante la notte fra Campodolcino, Isola e Splügen arrivavano a trequattrocento. abbondantemente ripreso da illustrazioni comparse su diverse stampe dell’epoca. La strada austriaca del 1822 I l Congresso di Vienna (18141815) assegnò il LombardoVeneto, e quindi anche le vallate della nostra Provincia, all’Austria, ponendo fine al secolare dominio dei Grigioni e rendendoci sudditi dell'Impero Austro-Ungarico: vasto, potente, efficiente e organizzato, attento alle regioni centrali come a quelle periferiche, al fine di estendere a ciascuna contrada il massimo controllo e ottenerne tutti i possibili benefici. In meno di un decennio, pone mano all’ardito progetto della strada che conduce al passo dello Spluga e lo realizza in tempo record (1818-1822), con manufatti che ancora oggi costituiscono l’ossatura principale della strada che risale la val San Giacomo. Artefice di questa opera eccezionale, voluta dall’imperatore Francesco I3 fu l’ingegnere Carlo Donegani. L'EPOPEA DELLA COSTRUZIONE In un suo manoscritto Carlo Donegani asserisce: "Il progetto di ridurre a carrozzabile il passo Commerciale da Chiavenna al villaggio di Splügen sul 3 - Pochi anni dopo, dal 1820 al 1825, commissionerà allo stesso Donegani la realizzazione dell'ardita strada dello Stelvio e, dal 1825 al 1831, della strada militare fra Lecco e Colico. P er tutto il periodo della dominazione dei Grigioni la fortuna del passo continuò indiscussa. Un particolare tipo di frequentatori è rappresentato da personaggi, giovani o meno giovani, provenienti dai paesi del nord Europa che decidono di affrontare quell’avventura che prenderà la denominazione di “Tour”, a cominicare dal secolo XVII: una visita ai paesi mediterranei, Italia in particolare, per ammirarne le bellezze storiche e artistiche, godere dello splendido clima, immergersi in questa cultura festosa e diversa. A un certo punto, questa esperienza verrà ritenuta irrinunciabile per i giovani di buona famiglia, soprattutto inglesi. Le cronache sono ricche di testimonianze, spesso accompagnate da illustrazioni non prive di una certa fantasia, di molti personaggi noti e meno noti che transitarono, in modo più o meno avventuroso, attraverso le Alpi. uegli aspri itinerari vedranno ben altro tipo di passaggio con la discesa, in pieno inverno, delle truppe francesi del generale Mac Donald durante le guerre napoleoniche: viaggio drammatico che vide le truppe decimate dalle slavine lungo la terribile gola del Cardinello il 4 dicembre 1800; si contarono un centinaio di morti e il fatto venne La "stradale dello Spluga" a inizio '900 (cartolina archivio Cittarini). Q Le Montagne Divertenti Come si vede il tracciato attraverso il famoso "segngio", la roccia tra Campodolcino e Pianazzo, è rimasto ardito e inalterato negli anni (estate 2010, foto Sergio Scuffi). Localizzazione di luoghi e itinerari 15 Valchiavenna Carlo Donegani N ato a Brescia nel 1775, studiò prima a Bologna poi a Roma. Dopo un inizio di carriera dedicato all'architettura, con la realizzazione di importanti edifici, iniziò ad occuparsi di grandi opere pubbliche. Nel 1821 era già ingegnere capo realizzando, come detto, la quasi totalità della nuova rete stradale voluta dagli imperatori d’Austria in provincia di Sondrio. Sue la strada dello Spluga (1818-1822), la strada militare da Lecco a Colico, il raccordo tra questa e Chiavenna, il progetto della strada Colico-Tirano-Aprica ... el 1838 raggiunse la qualifica di Aggiunto alla Direzione delle Pubbliche Costruzioni di Milano. Tanto si distinse per la cura nella progettazione, l’attenzione volta costantemente alla realizzazione delle opere e ai loro costi, lo sforzo teso a inserire armoniosamente nell’ambiente naturale anche gli interventi più importanti ed impegnativi (ponti e gallerie, muraglioni e tornanti, opere di difesa idraulica) da meritare l’onorificenza dell’Ordine Austriaco della Corona Ferrea di terza classe, ambito riconoscimento firmato dall’imperatore Ferdinando I. uanto alla eccezionalità delle sue opere stradali, basta percorrere ancora oggi la valle Spluga (o l riconoscimento dell imperatore la straordinaria strada dello Stelvio, che per molti versi presenta delle soluzioni Con questa lettera Carlo Donegani fu insignito del titolo di Cavaliere di tecniche simili) per rendersi conto della III classe dell'Ordine imperiale austriaco della Corona Ferrea. Creare nuovi accuratezza nelle scelte adottate, nell’uso nobili fra i collaboratori più meritevoli era prassi dell'impero austriaco che dei materiali e, in ultima analisi, della così legava a sé più valide presenti sul territorio. Due anni dopo, su sua robustezza dei manufatti: non dimentiesplicita richiesta, fu innalzato al grado di Cavaliere dell'Impero austriaco chiamo che, tolti degli interventi tutto col predicato di Monte Stelvio, titolo valido anche per i suoi posteri e che sommato ridotti, quello di quasi 200 prevedeva anche la concessione di uno stemma nobiliare. anni fa è ancora oggi il percorso delle strade che risalgono le nostre vallate. Un Pregiatissimo Signore accenno doveroso, infine, va ai tempi di realizzazione: ricordiamo bene come, Sua Maestà l?imperatore e re nostro Augustissimo nel recente passato, per la nuova superSignore con venerato suo biglietto di gabinetto del 14 setstrada che percorre la sponda sinistra tembre, si è graziosamente degnata di conferire l'Imperiale lariana da Lecco a Colico, ci sia voluto Ordine Austriaco della Corona di ferro di terza classe esiquasi un trentennio, mentre il Donemendola dalle tasse. gani aiutato dall'efficienza dell'Impero Avendo ella già ricevuto dalle Auguste mani della sulodata in un sesto del tempo ha realizzato opere Maestà Sua la decorazione dell'Ordine che le compete, altro persino più complesse1! non mi resta che trasmetterle anche il libro degli Statuti invitandola a farmi sollecitamente pervenire la ricevuta sia Nel 1938 Donegani si trasferisce a dell'una che dell'altro, nella quale sia a tenore di quanto è Milano dove rimane fino alla morte, prescritto, dichiarato l'obbligo dei di lei eredi di restituire a avvenuta nel 1845. suo tempo il tesoro dell'Ordine e la decorazione e il libro. Congratulandomi deco lei del tratto di Sovrana grazia di 1 - Il Liceo Scientifico di Sondrio a lui intitolato ha promosso qualche anno fa una importante raccolta di cui Ella fu onorata, Le offro in pari tempo le assicurazioni tutti i documenti e le testimonianze che lo della particolare mia stima e considerazione, riguardano, organizzando fra l’altro delle mostre a l'ultima ascesa della sommità" unita alla frequenza delle intemperie quali "il vento chiamato col nome di Bisa e che equivale alla cosidetta Tormenta che inquieta quasi tutti i passi montani" obbligarono a costruire "Case Cantoniere abitate da custodi salariati i quali esercitano anche osterie colle discipline eguali a quelle dello Stelvio". Quando, poco tempo dopo la sua ultimazione, gli Asburgo ebbero modo di percorrere la carrozzabile al passo rimasero positivamente stupiti dalla grandiosità dell'opera e vollero apporvi una targa che legasse il loro nome a quella meraviglia dell'ingegneria dell'ottocento. N Q Sondrio e Bormio, dei pubblici convegni con la presenza di illustri studiosi e dando alle stampe, nello stesso anno, il catalogo delle sue opere e di tutta la documentazione raccolta (AAVV, Carlo Donegani. Una via da seguire, Liceo Scientifico Donegani, Sondrio 2001). I Vienna lì 31 ottobre 1938 La cartolina in alto (archivio fam. Sala) mostra come si scavassero gallerie anche nella neve, operazione più economica rispetto alla normale spalatura) per consentire il transito di cavalli e slitte:i traffici verso il valico si svolgevano anche nelle peggiori condizioni (fino al 1938 valico era aperto tutto l’anno). In basso a sx: il guardiano della diga Rino Buzzetti, è qui ritratto con la figlia presso la cantoniera di Stuetta (subito a valle dello sbarramento). I guardiani presidiavano la diga tutto l’anno, dimorando lassù con la famiglia (archivio Gabriella Buzzetti). L'ultima cartolina è del gennaio 1951, ben visibili i segni delle memorabili nevicate che provocarono valanghe e morti (si parla di 18-20 metri durante quell’inverno). ' Bellagarde Reno nel Canton Grigione passando per il Giogo sul Monte Spluga, ebbe luogo nel 1818 e nell'anno vennero intrapresi i lavori, e perseguiti con tanta attività nei pochi mesi estivi (non permettendo quell'alpestre sito di lavorare in altri tempi) di maniera che in due stagioni, cioè alla fine del 1819, erano già quasi ultimati e pel 1820 già aperta liberamente al Carreggio. La parte del Versante Lombardo che è lunga da Chiavenna al Giogo Metri 32000 importò la spesa di L. 1260000 con gli indennizzi dei fondi occupati, e la parte del Versante Grigione che è lunga dal Giogo a Splügen4 altri M.i 7990, venne costruita egualmente a spese dell'Erario nostro in forza di altri trattati imposti oltre L. 273000." I maggiori problemi ingegneristici furono nel superare i tratti più ripidi del tracciato, specie nel versante italiano, e, inoltre, proteggerli dalla caduta valanghe. Ciò obbligò a disegnare 80 tornanti e oltre un chilometro in gallerie. Il freddo sovente, l'assenza di ricoveri intermedi "toltane la cosidetta Casa della Montagna e la Dogana presso 4 - Questo tratto venne ultimato nel 1822. Le Montagne Divertenti NOTE DI VIAGGIO L a nuova carreggiabile ebbe un grande successo: si parla di 100 mila quintali di merci che transitavano all'anno! l 13 novembre 1821 De Gochausen, dopo aver percorso la strada dello Spluga a guisa di collaudo, scriveva una lettera di elogio al presidente del Governo: "Ho nei decorsi giorni fatto una gita lungo la strada nuova che da Chiavenna per la via del Monte Splügen mette al villaggio di Splügen nel paese dei Grigioni. [...] La strada è bella e grandiosa, e mentre presenta nella sua esecuzione l'uso degli sforzi e dell'arte e dell'ingegno, forma la più bella prova della generosità del Governo che osò immaginarla e mandarla ad effetto a vantaggio del commercio e dell'industria. [...] Appena uscito da Chiavenna m'accorsi che la nuova strada era non poco frequentata poiché molti carri, cavalli e muli carichi di merce, e specialmente di vini e acquavite, ebbi a sopravanzare, e alcuni ad incontrare che dirigevansi a Chiavenna. [...] Le cure del Governo non si limitarono alla strada ma si estesero ben anco al modo di procurare al viaggiatore di quanto in quanto un luogo di ricovero. Tre case, denominate cantoniere, ad una proporzionata distanza l'una dall'altra furono fabbricate lungo il pendio del monte, in ciascuna delle quali abita una famiglia che riceve dal Governo un assegno giornaliero di due lire coll'obbligo di conservare una stufa, I Localizzazione di luoghi e itinerari 17 Speciali d'Estate Speciali d'Estate Ruttico gomme Valchiavenna DAL 1967 ti aiuta a guidare sicuro • PNEUMATICI PER AUTOVETTURA, MOTO, AUTOCARRI E AGRICOLTURA; • TAGLIANDI, MECCANICA, AMMORTIZZATORI E FRENI; • MOLLE E KIT SPORTIVI, DISTANZIALI E CERCHI IN LEGA; • RIPARAZIONE GOMME E CERCHI; • BILANCIATURA E CONVERGENZA; • ASSISTENZA SUL POSTO; • OFFICINA MOBILE; • CONVENZIONI CON LE MAGGIORI FLOTTE D’AUTONOLEGGIO. ossia stanza calda a comodo dei viandanti." audenzio de Pagave5 descriveva nel 1823 l'ultimo tratto dell'ascesa allo Spluga: "Lasciate così addietro le gallerie,e due Case cantoniere preparate al ricovero e soccorso dei viaggiatori assaliti dalla tempesta, si dilata repente una spaziosa ma selvaggia pianura, in fondo alla quale si distingue un fabbricato, ossia la Casa della Montagna, che contigui presenta la ricevitoria di confine ed un albergo: se non che anche l'albergo è posto in armonia colle rimanenti parti di quello sgraziato soggiorno che non mai d'estate il sole riscalda, o ricrea bel fiore di primavera. à nulla vegeta; che non vi si incontra un albero; ché non ci si incontra un albero, un arbusto, un sol cespuglio. G L MONTAGNA IN VALTELLINA (SO) FINE TANGENZIALE DIREZIONE BORMIO TEL.0342/215328 FAX 0342/518609 E-mail: [email protected] WWW.RUTTICOGOMME.191.IT Continuo vi soffia il vento ad illanguidir la natura, che per molti mesi dell'anno giace sepolta sotto monti di neve. 5 - Gaudenzio de Pagave, Descrizione della Valtellina e delle grandiose Strade di Stelvio e di Spluga, Società Tipografica de' Classici Italiani, Milano 1823. E queste crudeli prerogative d'inospite luogo fannosi più acebamente sentire nei loro effetti presso la sommità di Spluga, ove, lasciata pochi passi indietro, la terza Casa cantoniera si presenta nella forma di piazza il confine del territorio italiano." nfine, una categoria di viandanti che merita nota è quella dei ciclisti. Traversare sulle due ruote i passi alpini era in voga già sul finire del XIX secolo, tanto che in quegli anni il Touring Club Ciclistico Italiano apubblicò dei pieghevoli con altimetria e caratteristiche di percorribilità ciclistica dei principali valichi alpini. Dobbiamo considerare un particolare a dir poco scioccante: le biciclette a quei tempi erano senza freni! Elizabeth Robbins Pennell, accompagnata dal marito Joseph, fu la prima donna a compiere la traversata delle alpi in bici (1897)6. Tra i valichi percorsi vi fu lo Spluga, raggiunto partendo all'alba da Chiavenna: "Era davvero crudele il modo in cui la strada faceva mostra della sua ripidezza. Osservavo con trepidazione il suo snodarsi per chilometri e chilometri su per la valle, mentre saliva e saliva I 6 - Di questa avventura scrisse un libro: Over the Alps on a bicycle, Londra 1898 tornante dopo tornante, galleria dopo galleria, in una serie di terrazzamenti rocciosi sovrapposti senza alcuna traccia dei tornanti di collegamento. Per me che mi trovavo giù sotto, restava da risolvere il mistero di come salire dall'uno all'altro in sella alle nostre biciclette. Piccoli sentieri risalivano dritti la montagna, qualche volta simili ad una ripida fila di scale; le cascate scendevano impetuose e si contorcevano in linee bianche senza fine giù per le rocce; villaggi incoronati dai campanili erano abbarbicati ad altezze da capogiro. Gli ingegneri dell'imperatore Francesco non sono stati migliori di quelli di Napoleone, ma hanno creato opere più impressionanti. Il passo dello Spluga non era difficile da raggiungere come quello del Sempione, ma dava l'idea di essere invalicabile per gli infiniti parapetti in pietra, i tornanti e le curve che salivano e salivano. Si dice che lo stesso imperatore fosse rimasto colpito dall'opera; infatti aveva fatto sistemare una grande lastra vicino a una galleria per rendere noto a tutti che Passeggeri in sosta presso la Cantoniera di Stuetta (anni 1910-1915, archivio Sala). 18 Le Montagne Divertenti Estate 2011 Le Montagne Divertenti Localizzazione di luoghi e itinerari 19 Speciali d'Estate Valchiavenna Il corriere di Lindò D al XVII secolo attraverso il passo dello Spluga passava il “Corriere di Lindò” che da Lindau, sul lago di Costanza, effettuava un servizio di trasporto di corrispondenza, merci e passeggeri fino a Milano. Risalendo la valle del Reno, la diligenza passava per Coira, fino a Splügen, poi per il passo dello Spluga e Chiavenna, giungeva al porto di Riva di Chiavenna (lago di Mezzola) dove si imbarcava per Como, da cui su strada arrivava a Milano. Garantendo una corsa settimanale con un tempo di percorrenza di sei giorni, questo particolare servizio funzionò fino al 1826. Dal 1985, nel mese Il Corriere di Lindò sopra Montespluga (6 giugno 2010, foto Gregorio Luigi Fanetti). di giugno, una carrozza con diversi passeggeri (tutti rigorosamente in costume dell’epoca) ripercorre ogni anno il tragitto fino a Como, facendo rivivere quei momenti di un passato ormai lontano e attirando l’attenzione e la curiosità di quanti incontra nel suo percorso. Depliant di fine ottocento per ciclisti con altimetria del passo dello Spluga (archivio Cittarini). quella era stata un'opera voluta da lui. [...] Le pietre miliari mi segnalavano la lentezza dell'andatura, alti pali con cartelli che non riuscivo a decifrare indicavano pericoli sconosciuti. Dai casolari desolati uscivano correndo dei bambini mezzi selvaggi che ci seguivano e ripetevano a bassa voce una cantilena che aveva il suono di una nenia funebre, ma che era solo la richiesta di qualche centessimo. Nelle condizioni in cuii mi trovavo dubito mi sarei resa conto della miseria di quei vagabondi. [...] Sono riuscita a rimanere in sella fino alla dogana italiana, dove abbiamo consegnato i nostri documenti e ci siamo concessi un pranzo in un piccolo caffè intimo e buio con una insolita campionaria di vecchi cappelli e di altrettanti uomini che li indossavano. [...] Ho oltrepassato una capanna di pietra in rovina, usata come rifugio dai pastori, e un ospizio ermeticamente chiuso e alla fine sono giunta vicino a due pali che segnavano la frontiera. [...] La discesa iniziava repentina. Mi sono trovata su una strada accidentata, solcata da carraie, priva di pietre miliari, senza pali e senza parapetti. Gli zig zag erano più ripidi e le curve erano le più strette che avevo incontrato fino ad allora e per me c'era poca possibilità di procedere a ruota libera giù dallo Spluga. Non so dire se fosse più pericoloso scendere lungo i tornanti oppure guardarli che si mostravano senza vergogna con Joseph sempre in testa inclinato oltre il bordo della strada in maniera 20 Le Montagne Divertenti L’Albergo Posta a Montespluga M Gli infiniti tornanti del versante svizzero del passo dello Spluga (agosto 1999, foto Sergio Scuffi). tale da far rimescolare il sangue dalla paura". FINO AI GIORNI NOSTRI D alla sua costruzione il tracciato ha subito alcune varianti a causa di dissesti dovuti alle alluvioni che ne hanno testato più volte la robustezza. Durante la costruzione del bacino artificiale di Montespluga, invasato nel 1931, venne realizzata la bretella che aggira il lago da est. La massicciata dell'antica rotabile è ancora visibile sul lato opposto del lago. Quanto allo storico percorso, è ben noto come, con l’apertura dei trafori alpini, in primis il San Gottardo, il volume di traffico per il valico dello Spluga abbia subito una drastica diminuzione. La strada che, al termine degli anni '40 del XX secolo era ancora percorsa dal servizio postale pure nella stagione invernale con slitte e cavalli, si è ora trasformata in un via di accesso legata quasi eslusivamente al turismo. Grazie alla bellezza dell'ambiente è ogni anno assidua la frequentazione degli appassionati. Per tentare di rilanciare le sorti della valle si era costituito anche l’attivissimo “Comitato per il Traforo dello Spluga”, di cui facevano parte validissimi esponenti del mondo dell’economia, della politica e della cultura. I notevoli costi dell’opera e la sostanziale mancanza di interesse da parte della Svizzera, impegnata a realizzare altrove le sue reti stradali, hanno fatto sì che il progetto non partisse mai e forse ciò ha salvando la zona dall'assedio di mezzi pesanti e auto. Oggi nei mesi invernali il passo rimane chiuso per neve. Estate 2011 aurilio Sala, arzillo novantunenne, è ben felice di raccontare le vicende della sua vita. Nato a Somaggia di Samolaco nel 1919, in pieno inverno fu portato a Montespluga: aveva solo due mesi, e lassù raggiunse il nonno Giuseppe Pilatti (Zèpp) che era capo-stradino nel tratto che va da Pianazzo al passo, e la nonna “Zèpa”, ispettrice di dogana (a lei erano riservati i controlli sulle donne). Allora la strada veniva transitata anche d’inverno, con le slitte (e questo fino al 1938, nell’imminenza della guerra) e lassù vi era già un modesto ma significativo turismo, tanto che erano in funzione gli alberghi Posta, Vittoria e Italia. Maurilio ricorda come, da bambino, si faceva trainare fino al valico dalla slitta del nonno, per poi lanciarsi in belle discese con lo slittino. Ricorda anche il ritrovamento e il salvataggio dei piloti di due idrovolanti caduti presso il valico, pare sorpresi da condizioni atmosferiche avverse. Da ragazzo s'impegnò nei lavori di campagna a Somaggia in aiuto alla famiglia, che aveva anche un panificio. Venne il servizio militare che lo portò via da casa per ben sei anni, compresi due di prigionia in Germania. Tornato in Valchiavenna proprio il 25 aprile 1945, sentì ben presto il Le Montagne Divertenti Maurilio Sala con la moglie Agnese Bettiga (12 maggio 2011, foto Sergio Scuffi). L'albergo Posta a Montespluga, a sx la vecchia dogana (12 maggio 2011, foto Sergio Scuffi). Passo dello Spluga (m 2115) 21 Speciali d'Estate richiamo di Montespluga e vi tornò su con la nonna; acquistò una casa e vi aprì una trattoria con alloggio, che fece funzionare fino al 1961. "Allora, racconta sempre Maurilio, a Montespluga (la Ca’, oppure la Muntagna, come dicono ancora gli anziani) c’era gente in tutte le stagioni, anche se, in una certa parte dell’inverno, i residenti stabili erano gli addetti agli alberghi (Posta, Vittoria, Edelweiss, mentre aveva chiuso l’albergo Italia), i carabinieri e le guardie di finanza, gli addetti alla diga." Nel 1950 si sposò con Agnese Bettiga; per un certo periodo assunse anche l’appalto della manutenzione del tratto di strada Pianazzo-Montespluga. Durante l'inverno traspor- Valchiavenna tava persone e merci con la slitta e, quando capitava, faceva anche un po’ di contrabbando. Appena ebbe l'occasione rilevò l’albergo Posta dagli eredi della famiglia Tognoni; per i primi anni lo risistemò e lo riarredò in seguito ai saccheggi subiti durante le occupazioni dei militari tedeschi prima e dei partigiani poi. Nel 1970 riuscì ad acquistare interamente la struttura e da allora la famiglia Sala gestisce l’albergo. Ora l'albergo Posta è in mano al figlio Fausto che, con l’ausilio della moglie Ines, del figlio Cristian e di qualche altro parente, manda avanti l’attività (fra l’altro Fausto ha aperto una enoteca, che si dice la più alta del mondo). Maurilio, benchè ritiratosi dall’attività, non rinuncia a passare ogni anno la bella stagione a Montespluga, e ama conversare con i turisti di passaggio, ricordando i bei tempi. Maurilio col nipote Cristian (foto S. Scuffi). La Locanda Cardinello a Isola L a Locanda Cardinello risale al 1722, costruita da Antonio Raviscioni, che fu anche ministrale dal 1720 al 1730 circa. Passato di mano in mano, ma sempre di proprietà della famiglia, lo stabile non ha subito modifiche sostanziali e l’attività è ora gestita da Martino Raviscioni coadiuvato da alcuni familiari. All’interno troviamo ancora i vecchi e accoglienti ambienti con le stüe completamente rivestite in profumato legno di pino gembro, i pavimenti in legno o lastre di pietra, le pigne in pietra ollare che garantiscono un costante e gradevole tepore agli ambienti, le semplici ma eleganti finestrelle con la strombatura per far passare più luce attraverso i grossi muri, gli scaloni interni che portano alle piccole ma confortevoli camere o, giù giù, alle ben fornite cantine. Qui l’ospite viene accolto come uno di famiglia, può gustare i semplici piatti della cucina locale e bersi qualche buon bicchiere di vino. Durante la presentazione del proprio libro “Lo Spluga. Il Passo sublime”, nell’estate 2005, lo storico di Splügen Kurt Wanner ebbe a definire Martino Raviscioni “il re del Cardinello”. E in effetti Martino ha sostenuto da sempre il progetto teso a far rivivere gli antichi percorsi, e ne è stato ben ripagato: il flusso degli escursioni- 22 Le Montagne Divertenti La Via Spluga C ome risultato di lunghi ed approfonditi studi da parte di ricercatori sia svizzeri che italiani, lentamente si fece strada negli ultimi decenni l’idea di far rivivere gli antichi percorsi. Si ricordano, in particolare, per la Svizzera Kurt Wanner (Lo Spluga. Il Passo sublime, tradotto e pubblicato a Chiavenna nel 2005) e Thomas Riedi (La strada del Cardinello del 1714. Storia e documenti, tradotto e pubblicato a Chiavenna nel 2007) e per l’Italia "Marino Balatti e Guglielmo Scaramellini, Percorsi storici di Valchiavenna, Chiavenna 1995. Fu così che, attraverso una serie di accordi transfrontalieri tra la Comunità Montana della Valchiavenna e le regioni svizzere dell’Hinterrein, si potè giungere alla realizzazione della “Via Spluga” tra Thusis e Chiavenna, inaugurata nel 2001. i tratta di un percorso escursionistico affascinante, un sentiero che porta attraverso la natura e la tradizione, conduce per boschi e villaggi, avvicina a testimonianze storiche che fanno ripercorrere a ritroso secoli, per non dire millenni (si citano, ad esempio, i graffiti nella zona svizzera presso Thusis, o i reperti preistorici del Pian dei Cavalli, sopra San Sisto di Campodolcino, momentaneamente custoditi nel Museo di Chiavenna, ma di prossima collocazione nella sede, più idonea dal punto di vista territoriale, del MUVIS di Campodolcino7 ). l percorso si snoda per 65 km, partendo da Thusis (m 720), risale addentrandosi nella famosa gola della Via Mala, passa per Zillis, Andeer e Splügen (m 1457), da dove inizia l’ascesa verso i 2115 metri del passo. Da qui inizia la discesa verso Chiavenna, toccando Montespluga (m 1905) affrontando l’ardua Gola del Cardinello per raggiungere Rasdeglia e, poco sotto, Isola (m 1268); si prosegue infine, sempre in discesa, per Campodolcino, San Giacomo Filippo e si conclude a Chiavenna sul fondovalle (m 333). Gli escursionisti lo possono praticare autonomamente S Una sala interna della locanda Cardinello a Isola (foto archivio Martino Raviscioni,). sti, da fine maggio a metà ottobre è Martino che si occuperà, più tardi, di continuo, e quasi tutti fanno sosta da trasportare le loro valigie al punto di lui per il pernottamento. La Locanda arrivo. Martino è uno dei pochi alberCardinello è infatti una delle strutture gatori in valle che da diversi anni non che ha aderito al pacchetto turistico ha motivo di lamentarsi per la manche prevede anche il trasporto dei canza di clienti. bagagli. Martino conferma i dati già noti circa la prevalenza degli svizzeri e tedeschi (oltre a belgi, svedesi ed altri dai paesi del Nord) mentre ancora scarso è il passaggio degli italiani. Si presentano a coppie, gruppetti o comitive più numerose (molte anche le donne), si informano, visitano il paese, per poi proseguire la mattina dopo Martino Raviscioni nella “Stüa Granda” della locanda Cardinello, verso Chiavenna, con fotografato presso i ritratti dei nonni. Estate 2011 I 7 - Museo della Via Spluga e Val San Giacomo. Le Montagne Divertenti scegliendo una o più tappe nell’una o nell’altra direzione; in effetti i più aderiscono al pacchetto offerto dagli operatori turistici locali, in accordo con il Consorzio per la Promozione Turistica della Valchiavenna e gli analoghi enti svizzeri, che prevede quattro tappe e comprende i pernottamenti e trasporto bagagli, oltre ad una serie di supporti logistici e agevolazioni circa le visite nei musei. Dai dati forniti dal Consorzio Turistico risulta che la maggior parte degli escursionisti transita in direzione nord-sud. Quanto alla provenienza, sono nettamente in testa gli svizzeri (51%) e i tedeschi (32%); seguono, a distanza, gli italiani (6%), i belgi (4%), gli svedesi (3%). Per chi conclude il percorso a Chiavenna, una ulteriore tappa è possibile seguendo la sponda destra del fondovalle per giungere al tempietto di San Fedelino, attraverso gli abitati di Mese, Gordona e Samolaco. n occasionre del decennale del percorso, si svolgeranno sabato 2 luglio 2011 le celebrazioni ufficiali, organizzate dal Consorzio Turistico Valchiavenna in accordo con la Comunità Montana della Valchiavenna e con i quattro comuni interessati dal passaggio del sentiero (Madesimo, Campodolcino, San Giacomo Filippo e Chiavenna) oltre che con il partner svizzero Viamala Ferien con cui collabora da anni per la promozione del pacchetto Via Spluga. La festa si svolgerà per l’intera giornata al passo dello Spluga e, come nel 2001, prevede l’incontro delle due popolazioni proprio al confine dopo aver percorso gli ultimi tratti di sentiero. olti gli eventi che animeranno anche il paese di Montespluga: dall’annullo filatelico a una mostra di campanacci. Le celebrazioni non termineranno in quella giornata ma a turisti e valligiani i comuni della Valle proporranno una I M serie di iniziative di richiamo alla Via Spluga durante tutta l’estate. Presso il MuVis di Campodolcino verrà allestita una mostra dal titolo “La Via Spluga nell’arte” mentre a Chiavenna, nell’atrio del Municipio di Piazza Bertacchi, sarà possibile visitare per tutta l’estate una mostra curata dal C4 e interamente dedicata alla Via Spluga. comuni attraversati dal sentiero storico hanno inoltre deciso di accogliere i numerosissimi viandanti provenienti ormai da tutta Europa con degli stendardi che richiamano il decennale. I Passo dello Spluga (m 2115) 23 Speciali d'Estate Chiavenna-Splügen Il Muvis In bicicletta allo Spluga I l Museo della Via Spluga e della Val San Giacomo, dopo anni di appassionati studi e ricerche condotte dal presidente dottor Paolo Raineri, originario di Campodolcino, è stato inaugurato il 7 luglio 2007 e ha avuto il riconoscimento regionale con D.G.R. n.8-10947 del 30-12-2009. Il MUVIS è stato istituito sulla base di un “legato”, redatto nel 1786 dall’Abate Foppoli, padre cappuccino, membro dell’Accademia dell’Arcadia con il nome di Rhaetus Cisalpinus, il quale acquistò nel 1777 da vari proprietari questo edificio originario del tardo XVI secolo (Palàzz), che in origine era una locanda della famiglia Chiaverini, cedendolo poi al Consorzio delle Frazioni Corti-Acero di Campodolcino per scopi di pubblica utilità (civium commodis). Il Consorzio è l’ente proprietario e gestore del MUVIS che opera non a scopo di lucro. l Museo testimonia la civiltà della valle e l’importanza storica e commerciale che ha avuto nei secoli la Via Spluga, importante canale di comunicazione tra il bacino del Mediterraneo e l’area a nord delle Alpi. Al suo interno sono allestite varie sezioni dedicate ai mestieri tradizionali, al turismo invernale, alla dimora tipica, ai lavori femminili, ai giochi della tradizione e ai traffici e la storia della Via Spluga. Il tutto è esposto in antiche stüe d’abete, di cui una datata 1576. In questo stesso palazzo, sul finire dell’Ottocento, il Beato don Luigi Guanella inserì una scuola artigianale denominata “Opera Pia S. Antonio” dove le ragazze del posto potevano apprendere l’arte del cucito e del ricamo (pizzo di Cantù), della lavorazione dei trucioli di legno e della paglia, al fine di contrastare il crescente fenomeno dell’emigrazione, che in quel periodo ridusse notevolmente il numero degli abitanti della valle. All’ultimo piano, infine, c'è la sezione scientifica sull’ambiente naturale della valle con laboratorio didattico. Il tema dell’acqua e l’energia è svulippato con fotografie d’archivio sui grandi lavori idroelettrici La facciata e la cappelletta interna del MUVIS di Campodolcino (foto archivio MUVIS). I 24 Le Montagne Divertenti Giacomo Meneghello I l passo dello Spluga, o Splügen, è un valico che collega Italia e Svizzera attraversando scenari paesaggisticamente splendidi e poco conosciuti. che hanno interessato la valle dall’inizio del secolo scorso e simulatori per spiegare il funzionamento dei macchinari delle centali. Per la curiosità di grandi e piccini, sempre all'ultimo piano sono inoltre esposti fedelissimi diorami della fauna locale. Inoltre da quest’estate sarà possibile visitare la mostra archeologica del Pian dei Cavalli, i più antichi ritrovamenti delle tracce lasciate dall’uomo preistorico nelle Alpi Centrali. All’interno del palazzo è visitabile anche la cappella settecentesca di S. Antonio, accuratamente restaurata. Il MUVIS si impegna nella raccolta, conservazione, valorizzazione ed esposizione di oggetti e documenti di carattere fisico, antropico, storico ed artistico e nella loro organizzazione in percorsi didattici. Infine promuove studi, ricerche, pubblicazioni e mostre a carattere scientifico anche a tutela dei beni del territorio, oltre ad attività educative e culturali a beneficio delle istituzioni scolastiche e di un turismo culturalmente consapevole. Quest'estate potrete visitare il museo dal martedì al venerdì dalle 9 alle 12, il sabato dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 18 e la domenica dalle 10 alle 12. Per informazioni: tel. 0343 50628 - 392 0350903 www.museoviaspluga.it [email protected] Estate 2011 Le Montagne Divertenti L a salita per il versante valtellinese inizia a Chiavenna ed è da considerarsi, visti i suoi 30km e 2000 metri di dislivello, davvero interminabile. Il primo terzo di salita, fino alle porte di Campodolcino ha pendenze moderate e scenari non certo panoramici. Una volta attraversati i vari abitati procedendo per alcuni km in falso piano ci troveremo a un bivio. Se scegliamo di procedere a destra lungo la strada principale ci attendono alcuni km davvero impegnativi con pendenze tra l’8% e il 9% lungo una strada panoramica che, aiutata da numerose gallerie, si inerpica su una parete rocciosa e raggiunge prima Pianazzo, quindi il trivio PianazzoIsola- Madesimo. Se andassimo a sinistra invece, dopo una breve discesa, si prosegue in falso piano per alcuni km fino allla piccola frazione di Isola, dove la strada sale con pendenze decise per ricongiungersi all’itinerario precedente in corrispondenza del trivio Pianazzo-Isola-Madesimo. L'orizzonte diventa via via sempre più ampio e maestoso, con la pendenza che al 22° km cala decisamente, quasi volesse permetterci di ammirare con maggior lucidità la valle dello Spluga. Bellissimo lo scorcio sull'aguzza piramide del pizzo Ferrè (sx) addobbata dal suo bel ghiacciaio. In un attimo arriviamo alla casa cantoniera di Stuetta, quindi alla diga di Montespluga. Costeggiamo interamente il lago dalla sua sponda orientale fino al paese di Montespluga. Alla nostra sx domina il Pizzo Tambò, mentre a dx il Surretta con le sue numerose cime. ltre l'abitato la salita riprende: sono gli ultimi 3 km e sebbene la pendenza media non sia per nulla elevata la sensazione di fatica potrebbe farsi sentire. In corrispondenza del passo incontreremo anche la dogana Svizzera e si aprirà dinnanzi a noi una vallata verdeggiante su cui è posata una lunghissima serpentina grigia. Il versante svizzero del passo è molto apprezzato tra i motociclisti avendo un gran numero di tornanti con pendenza costante e un manto stradale spesso impeccabile. In discesa, comunque, anche le nostre due ruote sapranno darci grosse soddisfazioni! a discesa a Splugen misura solo 9 km ed è meno varia sia come pendenze, spesso tra il 7-8%, che come paesaggi. Tra prati e pascoli, infatti, siamo in breve al nostro capolinea. O L Passo dello Spluga (m 2115) 25 Speciali d'Estate Passo dello Stelvio Eliana e Nemo Canetta, Beno "Non v'ha, osserva Felice Liebeskind, tutta la cerchia dell'Alpi alcun paesaggio che possa rivaleggiare, e per magnificenza e per pittoresche bellezze, con quello dello Stelvio. Per esso anche chi non vuole incontrare difficoltà o sostenere fatica, può, senza lasciare la carrozza, visitare da vicino il mondo dei ghiacciai e scoprirne i segreti." Il passo dello Stelvio nella cornice di ghiacciai dell'Ortles (18 settembre 2010, foto Roberto Moiola - www.clickalps.com). 26 Le Montagne Divertenti Estate 2011 Le Montagne Divertenti Passo dello Stelvio (m 2758) 27 Alta Valtellina Speciali d'Estate S Un serpente largo 5 metri che corre per 50 km da Bormio a Spondigna, contorcendosi su 90 tornanti, infilandosi in 6 gallerie scavate nella roccia e strisciando su 10 ponti e sotto innumerevoli paravalanghe: questa è la strada dello Stelvio, carrozzabile d'alta montagna che unisce Lombardia e Trentino attraverso il passo dello Stelvio, valico alpino a 2758 metri di quota incastonato fra le maestose vette dell'Ortles e immensi ghiacciai perenni. Chi la percorre per la prima volta rimane a bocca aperta dinnanzi a questo miracolo della tecnica realizzato a inizio '800 da Carlo Donegani, direttore dei lavori, "uno di quegli ingegneri fatti per opere ciclopiche destinate a sfidare i tempi e a colmare di meraviglia i posteri. Se fosse vissuto 3000 anni prima di Cristo fra gli egiziani, avrebbe sicuramente progettato le piramidi. Visse in Lombardia nel XIX secolo e perciò progettò la strada dello Stelvio"1. PREMESSE P ochi valichi nelle Alpi hanno avuto le strane vicende del passo dello Stelvio: concepito per fini militari all'inizio del XIX secolo, si rivelò più volte inadeguato a questo utilizzo, ma fu indubbiamente trampolino di lancio per la vita turistica delle valli che lo circondano. Alla successiva parentesi militare durante la Grande Guerra, che aveva trasformato l’Alta Valtellina in un fronte bellico secondario ma assai attivo, seguì la svolta in chiave turistica, in qualche senso travolgente, che permane ancor oggi. 1 - Franco Monteforte da AAVV, Valtellina. Nostalgia delle origini, Edizione Effebi, Sondrio 1984. 28 Le Montagne Divertenti otto il dominio dei Grigioni (1512-1797) furono anni magri per il bormiese: la migrazione delle rotte commerciali verso lo Spluga impoverì tutta la zona. I bormiesi fecero vari tentativi per migliorare i sentieri che traversavano le alpi e ristabilire le antiche comunicazioni, ma la gelosia dell'Engadina fece arenare tutti gli sforzi, come accadde nel 1775 quando "da inframettenze e gelosie grigione, Bormio fu imperdita dall'attuare sullo Stelvio, come si era proposta, per favorire le relazioni accese con l'Alto Adige, la costruzione di una via carrettabile."2 Bormio però non voleva avere nulla a che fare col resto della valle dell’Adda, quindi sostenne sempre e comunque Coira, dato che i grigionesi rispettavano le sue autonomie e la sua egemonia sulla contea, guardandosi bene dal rovinare l’economia e la stabilità interna di un luogo tanto importante per transiti e commerci. N Diligenza al passo dello Stelvio (1907, cartolina archivio Cittarini). PRIMA DELLA STRADA F ino al XIX secolo la strada dello Stevio non era altro che quel desueto sentiero che Hans Conrad Schmiers indica nella antica carta geografica della Contea di Bormio come "Camino dello Stelvio". Per passare dalla Valtellina alla val Venosta, a questo sentiero scosceso veniva sempre preferita una via più breve e sicura: il passo dell'Umbrail, parte dell'importantissima Strada Imperiale dello Stelvio. Il Besta sostiene oltretutto che il transito attraverso queste montagne non fu praticato dai Romani, che sfruttavano i passi dello Spluga, del Maloja e del Muretto. Neppure i barbari lo utilizzarono, invadendo l'Italia attraverso Brennero, Dobbiaco e Tarvisio. Probabilmente qui passarono Carlo Magno e Ottone I, questi nel 960 quando sottomise Poschiavo e Bormio al vescovo di Coira. ra il XII e il XVI sec. Bormio, profittando della sua posizione, divenne un ricco centro internazionale di commerci e di scambi, godendo sempre di grande autonomia. Due le motivazioni. Prima della Piccola Glaciazione (XVI-XIX secolo) la conca di Bormio produceva di che sostentare, almeno in parte, la popolazione; quando il clima migliore permetteva colture ancora oggi improbabili. D’al- T Estate 2011 tra parte il borgo si trovava al centro di una rete di transiti che gli consentivano di essere un ottimo mercato e un eccellente punto di smistamento delle carovane. Bormio ancor oggi è snodo da cui si diramano molte strade, ma in epoca medioevale la posizione favorevole era ancor più evidente. Un tracciato, attraverso il Foscagno e il passo Cassana, giungeva in Engadina, poi proseguiva attraverso la Scaletta per Davos, da dove per lo Schanfigg arrivava direttamente a Coira: era la via utilizzata dai corrieri retici. Ma da Livigno e da Fraele si poteva anche discendere a Zernez, inoltrandosi in Bassa Engadina. Vi era poi il fascio di Le Montagne Divertenti mulattiere che costituivano la Strada Imperiale, che collegava Bormio con le valli Monastero e Venosta e, tramite il Resia, con il Tirolo e la Baviera. Verso S una mulattiera, ritenuta assai pericolosa in inverno (si diceva che sull’altipiano sommitale fossero periti di freddo e di stenti non pochi viandanti), traversava il passo Gavia, unendo Bormio con Pontedilegno: un buon itinerario verso Trento, Brescia e il Veneto. Tralasciando collegamenti interni e valichi minori, si trattava di una completa rete di percorsi che convergevano tutti verso il capoluogo dell’Alta Valle. el 1808 il governo del Regno Italico e quello Bavarese (entrambi possedimenti napoleonici) stabilirono di realizzare un tracciato commerciale carrozzabile che da Bormio portasse in Baviera attraverso la valle di Monastero. Per varie vicissitudini si dovette pensare a una strada interamente in territorio italiano. Nel 1812 l'ingegner Filippo Ferranti fece i rilievi sul versante valtellinese per questa strada, ma i preventivi onerosi (342638 Lire) e la situazione politica fecero slittare l'attuazione del progetto. La parentesi del Regno napoleonico d’Italia (1805-1814) non lasciò così segni durevoli in Alta Valle, ma ciò che seguì ne cambiò il destino e fu all’origine dell’attuale strada dello Stelvio. Sconfitto Napoleone, venne il Congresso di Vienna (1814-1815), voluto dalle grandi potenze europee per ripristinare il regime pre-napoleonico. La regola base era restituire agli antichi signori i propri territori: Valtellina e Valchiavenna sarebbero dovute tornare ai Grigioni e oggi apparterrebbero alla Confederazione Svizzera, ma i nobili e i possidenti 2 - Omobono Buzzi, Guidina italiana. SondrioMerano, Tipografia Mevio Washington, Sondrio 1920. Passo dello Stelvio (m 2758) 29 Alta Valtellina Speciali d'Estate tellini non ne volevano sapere. Napoleone, infatti, aveva sequestrato i beni (anche privati!) retici e loro li avevano comprati: una grave scorrettezza sul piano del diritto internazionale. Se i Grigioni fossero tornati, al minimo avrebbero chiesto la restituzione del maltolto! Ma i tellini avevano scarse possibilità di farsi ascoltare a Vienna, ove si discuteva di ben altri problemi, se -proprio gli Asburgo- non avessero gettato lo sguardo sulle valli dell’Adda e della Mera, utile complemento ai loro possessi lombardi. Bisogna intendersi: pur se l’economia di allora era lontanissima da quella di oggi, la nostra provincia non allettava Vienna con qualche miniera, un po’ di vino e di bestiame. La Valchiavenna avrebbe permesso un diretto collegamento commerciale tra Milano e Coira. Ancora più invitante la Valtellina: per suo mezzo le truppe imperiali, dal sicurissimo e fedele Tirolo, potevano giungere direttamente al Lario e di lì puntare a Milano. Si trattava di una via alternativa a quella classica del Brennero, più facile ma che a Verona poteva divenire pericolosa: qui Napoleone aveva sconfitto gli austriaci bloccando tale percorso. La Valtellina insomma avrebbe così offerto un’alternativa, sia pure complessa e rapida. Q uindi possiamo sostenere che, se oggi la nostra provincia è in Italia e non in Svizzera, la ragione vera va cercata proprio nella Strada dello Stelvio, che Vienna voleva ad ogni costo. Annessa la Valtellina, gli Asburgo misero subito al lavoro i tecnici. Ma vi era un problema, un intoppo non da poco: gli antichi collegamenti tra Bormio e la val Venosta transitavano entrambi per la val Monastero, sia quello più ardito e diretto che dai Bagni risaliva la val Forcola sino alla bocchetta omonima, a m 2768, subito a N del monte Braulio3, sia quello più lungo dalla Valdidentro che raggiungeva Fraele per le omonime torri e con 3 - Di qui scendeva a mezza costa sino al passo Umbrail, donde per la val Muraunza divallava a Santa Maria e di lì a Müstair. 30 Le Montagne Divertenti Il misero casino dei rotteri, gli uomini assegnati alla manutenzione della strada dello Stelvio (cartolina archivio Cittarini). dispiegamento di forze incredibile4: i fondi necessari alla costruzione della strada provenivano direttamente dai fondi dell'imperatore Francesco I, eludendo tutte le lentezze burocratiche austriache. L'inaugurazione della strada dello Stelvio in una stampa dell'epoca (archivio Canetta). un ampio giro per la val Mora discendeva anch’esso a Santa Maria. La val Monastero apparteneva alla Svizzera e la sua neutralità era garantita da tutte le grandi potenze; violarla significava il rischio di scatenare un conflitto a livello continentale. Nel 1818 Carlo Donegani (17751845) ricevette l'incarico di studiare il problema e il 31 maggio 1818 inviò al Governo una relazione, dopo aver confrontato le ipotesi di rendere carrozzabili le due antiche vie di cui sopra o il vecchio Camino dello Stelvio: "La prima e la seconda delle suddette direttrici presentano l'inconveniente di massima di dover attraversare il territorio grigione, mentre la terza girando il confine passa direttamente in Tirolo, mantenendosi sempre negli stati di Sua Maestà, senza toccare punto dell'estero suolo." Fu così scelto l’antico Camino dello Stelvio, noto ma ben poco praticato a causa dell’altitudine e delle difficoltà di percorso. Carlo Donegani eseguì tra il 6 e il 9 giugno 1818 dei sopralluoghi, confermando in linea di massima i rilievi fatti dal Ferranti dieci anni prima e valutando pure la discesa sul versante tirolese. Si decise subito di evitare nella parte iniziale il lungo giro per la valle della Forcola con un cammino che forzasse le ardite Gole del Braulio, prima utilizzate solo da greggi, cacciatori e contrabbandieri. LA COSTRUZIONE DELLA STRADA I l progetto definitivo del Donegani venne approvato il 23 aprile del 1820 e i lavori iniziarono con un Estate 2011 L'opera fu conclusa in soli 63 mesi! In certi periodi sul cantiere erano impiegati anche 2000 operai, molti dei quali erano reclutati fuori dal bormino. Gli autoctoni, infatti, traversavano un periodo d'ozio e indifferenza, dopo che il mutare degli equilibri europei aveva levato loro l'egemonia sulla contea e i fasti passati. Gli amministratori, dopo continui richiami alla popolazione, si videro costretti a minacciare chi non lavorava con "l'arruolamento militare senza più la speranza di ottenere il congedo". È molto probabile che una tale minaccia, scrive Luciano Viazzi,5, abbia convinto anche i più riottosi ad entrare a far parte delle imperial maestranze, per la realizzazione di un'opera 4 - Le vicende della costruzione ed i particolari tecnici sono magistralmente descritti nel libro del figlio di Carlo Donegani: Giovanni Donegani, Guida allo Stelvio, 1842 (ristampa del Credito Valtellinese nel 1980). 5 - Luciano Viazzi, La Strada Imperiale dello Stelvio, Notiziario della Banca Popolare di Sondrio n. 28, aprile 1982, p. 30 Le Montagne Divertenti che, dopo tutto, avrebbe contribuito a togliere il Contado dal suo isolamento. Per la costruzione della strada e la sua manutenzione fino al 1836 furono spesi circa 3 milioni e 800 mila lire6, i minatori venivano pagati 2 lire e 25 centesimi al giorno, ogni metro di perforazione di una galleria costava 10,69 lire, per l'apertura delle gallerie e l'eliminazione dei macigni si consumavano giornalmente 5 barili di polvere. 6 - Battista Leoni, Rassegna economica della Provincia di Sondrio - Cenni storici sulla strada dello Stelvio, 9 settembre 1952. I tratti più ardui, che ancora oggi meravigliano, sono proprio le gole del Braulio, la risalita a stretti tornanti della Spondalunga e la vertiginosa discesa in un incubo di curve verso Trafoi ("Ovunque poi la Strada trovasi sostenuta da alti muri e, quindi, a condizione apprensiva pei passeggeri, vedesi guarnita da barricate a due ordini di traversi..."7). Curioso è che, già nella mappa allegata al lavoro di Giovanni, si osserva chiaramente che per raggiungere la sella dello Stelvio fu violato, seppur di poco, il territorio svizzero. Infatti la Val Muraunza trae origine dalle acque dei torrentelli che scendevano dallo Stelvio e dalle falde dello Scorluzzo (oggi la carrozzabile ed i lavori per alberghi e piste di sci hanno parecchio alterata l’originale morfologia). Ma a quei tempi i lavori di definizione della frontiera erano di là da venire e non risulta che Berna abbia mai rivendicato quel paio di chilometri di carrozzabile. Altri fatti attraggono la nostra attenzione: la strada dello Stelvio fu iniziata a Colico; fino a Sondrio rettificando e migliorando un precedente tracciato napoleonico, da lì in poi costruendo ex novo una carrozzabile lungo il fondovalle (precedentemente il percorso si teneva alto sul versante 7 - Da un manoscritto autografo di Carlo Donegani riportato su AAVV, Carlo Donegani. Una via da seguire, Liceo Scientifico Donegani, Sondrio 2001. Galleria lungo la strada dello Stelvio (inizio 1900, cartolina archivio Cittarini). Passo dello Stelvio (m 2758) 31 Speciali d'Estate Alta Valtellina La IV cantoniera in una cartolina del 1898 (cartolina archivio Cittarini). retico per evitare le aree alluvionali ed impaludate dell’Adda). Per costruire la strada in Valtellina, il difficile tratto alpestre da Bormio a Prato allo Stelvio/Prad, nonché il collegamento sino a Spondigna, furono impiegati in tutto cinque anni, comprese la costruzione delle cantoniere e gli altri edifici annessi alla strada! Se pensiamo che di superstrada in Valtellina si discute da più di vent’anni! Inaugurata nel 1925, la strada, fiore all'occhiello dell'Impero8, fu visitata nel 1832 da Ferdinando I e percorsa dai più alti funzionari imperiali. I problemi della strada dello Stelvio, come sottolineò più volte Donegani, non si limitavano solo alla realizzazione della strada, ma si ampliavano alle procedure necessarie per garantirne la transitabilità e per cui furono realizzate numerose infrastrutture ausiliarie, come i casini dei rotteri, numerosi paravalanghe, gallerie in legno di protezione ... 8 - Monteforte afferma: "La più vecchia monarchia dell'Europa continentale, uscita intatta ed egemone dalla bufera rivoluzionaria napoleonica [...], realizzava la più grande opera d'ingegneria scientifica dell'Ottocento dimostrandosi in grado di coniugare spirito restauratore e spirito scientifico, tradizione e progresso, legittimismo monarchico e positivismo borghese." 32 Le Montagne Divertenti Un’altro dato appare incredibile: la traversata dello Stelvio fu garantita 12 mesi all’anno fino al 18599, a forza di paravalanghe in legno e di rotteri10 che, marciando affiancati, permettevano il successivo progredire di spartineve a cavalli, la strada era percorribile dalle slitte pure in inverno (in sole 9 ore si riuscivano a coprire i 50 km del tracciato!). Q uesti manovali, per lo più forti montanari reperiti in loco, vivevano in apposite case costruite con la strada. Ogni tanto qualcuno finiva sotto una valanga o una scarica di sassi, ma a quei tempi nessuno ci faceva caso più di tanto11. Una ditta milanese organizzò persino un rapido e regolare servizio di diligenze postali tra Milano e Innsbruck, con discreti risultati. 9 - Anno della inaugurazione della ferrovia Verona-Bolzano. 10 - Così erano chiamati gli stradini addetti alla manutenzione della strada. 11 - Nell'inverno 1886, ad esempio, la Casina dei Rotteri in località Spondalunga venne rasa al suolo da una valanga, che trascinò a valle pure i poveri rotteri e i loro cavalli. IL DECLINO STRATEGICO V ienna nel 1848 (e la delusione si ripeté nel 1859 e ’66) si accorse a sue spese che il valico, realizzato per scopi militari, era invece inadeguato: troppo elevato e troppo facile da bloccare per essere utilizzato da ingenti forze in caso di guerra. Accadde infatti che nel 1848 un pugno di volontari italiani riuscì a bloccare le truppe tirolesi semplicemente bruciando un paio di paravalanghe. In quell'occasione il bormino Pietro Pedranzini, da solo, riuscì a catturare ben 65 austriaci! Gita sui ghiacciai dell'Ortles a inizio '900 (cartolina del 1850, archivio Cittarini). Grazie alla strada nacque un fiorente turismo d'alta quota. valicarono l’Aprica furono i soldati italiani durante la Seconda Guerra d’Indipendenza! questo punto l’Impero perse ogni interesse per lo Stelvio e diede l’impressione di voler trascurare, sul lato tirolese, la carrozzabile. Il governo italiano dovette includere la sua manutenzione nel trattato di pace che chiuse la Terza Guerra d’Indipendenza (1866). A L'AVVENTO DEL TURISMO B en presto tutti si accorsero che lo Stelvio assumeva un ruolo sempre maggiore sul piano turistico, divenendo uno degli accessi privilegiati al massiccio dell’Ortles (ai tempi noto, pure in Italia, col toponimo germanizzato di Ortler). Per quasi mezzo secolo la carrozzabile fu percorsa da migliaia di carrozze, poi anche da automobili, da ciclisti, da semplici pedoni che volevano ammirare le orride gole, gli splendidi panorami, gli immensi ghiacciai. Tale era l’importanza dello Stelvio che gli svizzeri abitanti della val Monastero chiesero a gran voce di potersi collegare ad essa per la val Muraunza. L o Stelvio insomma, resistette agli austriaci. Quindi, negli anni ’50 del XIX secolo l’Impero asburgico su ordine del Maresciallo Radetsky decise di costruire, sempre affidandosi al Donegani, la carrozzabile del passo dell’Aprica che, in unione al Tonale, avrebbe permesso un impiego strategico simile allo Stelvio. Ma ancora una volta Vienna sbagliò i suoi calcoli: le prime truppe che Estate 2011 Turisti allo Stelvio a inizio '900 (cartolina archivio Cittarini). Le Montagne Divertenti Passo dello Stelvio (m 2758) 33 Speciali d'Estate Berna, per motivi militari (i prudenti svizzeri prevedevano già cosa sarebbe accaduto pochi anni dopo da quelle parti), nicchiò a lungo ma alla fine concesse il permesso; in tal modo fu reso carrozzabile l’antico percorso del passo Umbrail. Ma una strada è sempre una strada: per quanto difficile ai primi del ‘900 costituiva un’agevole via di invasione. A quei tempi gli eserciti muovevano a piedi od a cavallo e di strade sulle nostre montagne ve ne erano poche. La regolare, ampia e ben tenuta carrozzabile dello Stelvio appariva come un’elevata ma potenzialmente pericolosa via d’invasione dal Tirolo verso l’alta Lombardia (giusto osservare che a Innsbruck si vedevano le cose esattamente all’inverso). I monti circostanti si coprirono allora di opere fortificate, mentre le guide alpinistiche del periodo fecero ben comprendere come in alcune zone prossime alla strada fosse meglio non fare escursioni a scanso di guai12. Guai certi se poi si veniva scoperti a prendere appunti, schizzi o fotografie; su questo punto italiani e austriaci erano concordi. Quindi nessuna meraviglia se, nel maggio del 1915, verso lo Stelvio si diressero sia truppe alpine italiane sia i volontari tirolesi, raccolti a furia da Vienna per difendere lo strategico territorio trentino-tirolese. LA GRANDE GUERRA Alta Valtellina fare manovra. E allora, quando questo retrocedeva, c'era chi, terrorizzato dal vedersi avvicinare il baratro alle sue spalle, balzava a terra e riprendeva il posto in macchina quando la manovra era terminata. Ma c'erano anche quelli che non risalivano più e allora l'autista andava avanti con l'autobus adagio e quelli gli venivano dietro a piedi e nella polvere." Dalle reliquie militari emerse una nuova coscienza naturalistica che si concretizzò nel 1934 col Parco Nazionale dello Stelvio, nato sul testo di legge di Bertarelli, presidente del CAI. Lo scenario di distruzione al valico al termine della Prima Guerra Mondiale (archivio Cittarini). Soldati italiani organizzano la vita in trincea durante la Grande Guerra (foto archivio Marveggio). Comandi non avevano infatti alcuna intenzione di scendere verso Trafoi, tanto meno di puntare alla Venosta. Giustamente pensavano che il conflitto si sarebbe deciso altrove. Inoltre talune postazioni austriache, erette ben prima della guerra, a Klein Boden e al Goldensee rendevano difficile una nostra conquista del valico e della sottostante carrozzabile sul versante tirolese, a meno dell’impiego di notevoli forze e di numerose e potenti artiglierie. Ma queste scarseggiavano poiché quelle di cui disponevamo furono spedite verso il Carso, come del resto gran parte delle truppe. ’ strano notare come gli scrittori italiani (ma pure tirolesi) abbiano trascurato di descrivere l’importanza delle valide postazioni di Klein Boden e del Goldsee, che furono la vera chiave di volta della difesa austriaca dello Stelvio. Questo fronte, inizialmente trascurato, assunse sempre più importanza. Scrive Luciano Viazzi: "La guerra iniziata lassù con scarse truppe da entrambe le parti, andò man mano aumentando d'importanza: la valle del Braulio rintronò dei boati delle artiglie- E I nteressanti furono gli avvenimenti che si svolsero allo Stelvio e sul massiccio dell’Ortles-Cevedale durante la Grande Guerra, che, come giustamente scrisse Luciano Viazzi fu una “guerra d’aquile”: il fronte più elevato (fatto salvo il Caucaso) ove si sia mai combattuto in Europa. Gli italiani decisero subito di non presidiare il passo Stelvio13. Contrariamente a quanto molti hanno scritto fu una decisione ben ponderata, forse discutibile ma certo meditata: i nostri 12 - La guida di Aldo Bonacossa, Regione dell'Ortler, CAI-TCI 1915, a pag. 79, accennando al Passo Pedranzini e quindi alla zona di Glandadura, poco sopra il tratto tra la 1° e la 2° Cantoniera, recita "essendo poi la zona sorvegliata dalle autorità militari, poiché fortificata ( ndr. il che non era vero, le fortificazioni erano sopra Oga ed al Monte delle Scale ), è meglio evitarla a scanso di noie." 13 - Eliana e Nemo Canetta, Storia della Grande Guerra in Valtellina e Valchiavenna, Edizioni Libreria Militare, Milano 2008. 34 Le Montagne Divertenti Turisti allo Stelvio nel primo dopoguerra (cartolina archivio Cittarini). rie, mentre le vette e le creste del ghiacciaio del Cristallo, Tuckett, Madatsch, Thurwieser e cima Trafoi furono teatro di lotte lunghe e difficili, al limite estremo delle umane possibilità." Nel novembre del 1918 gli italiani, caso unico in Tirolo, forzarono lo Stelvio, discendendo senza colpo ferire sino a Prato e a Spondigna ove si attestarono saldamente il 4 novembre, realizzando un’importante testa di ponte nell’Alta Venosta. Postazioni nei pressi del piz Umbrail Stelvio durante la Grande Guerra (foto archivio Marveggio). Estate 2011 Il bell’albergo al valico era ridotto a pochi muri anneriti, tutto attorno trincee e crateri di granate: uno scenario lunare. Le Montagne Divertenti L'AFFERMARSI DEL TURISMO A ppena finita la guerra, sgomberati i resti dei combattimenti, ricomparvero i primi turisti, forse incuriositi dai luoghi delle vicende belliche. Nel 1920 le Ferrovie dello Stato istituirono il primo servizio automobilistico: grossi macchinoni scoperti da 12 posti partivano da Spondigna e da Tirano per giungere in cima al valico, dov'era possibile trasbordare. Jacob Hanspeter, pioniere del servizio, guidava questi mezzi grazie alla sua patente ottenuta nel 1914. In un'intervista negli anni '80 affermava che "salire allo Stelvio era ben lungi dall'essere confortevole come adesso. Non c'era l'asfalto e la strada era talmente tortuosa e stretta che sui tornanti l'autobus scoperto era costretto a Il passo dello Stelvio entrò a far parte della storia del ciclismo, quando l' 1 giugno 1953 Fausto Coppi strappò la maglia Rosa all'elvetico Hugo Koblet, compiendo un'impresa leggendaria che esaltò l'intera nazione. E' per questo che il valico ha ricevuto l'appellativo di Cima Coppi e che un Giro d'Italia viene considerato incompleto senza lo Stelvio, in definitiva una tappa immancabile anche nella carriera di ogni ciclista. el 1933 in prossimità del passo fu inaugurato il rifugio Livrio, costruito su un'idea di Giulio Cesareni abbracciata dal CAI Bergamo. Sempre in quell'anno, mentre venivano compiuti i lavori di ampliamento della struttura, Mario Finazzi, Francesco Perolari e Ettore Bravi ingaggiarono l'istruttore austriaco Karl Armil Henkel e organizzarono il primo corso di sci estivo al mondo. La cosa fece scalpore, tanto che il Corriere della sera vi dedicò un lungo articolo dal titolo L'università dello ski a 3000 metri. La scuola si basava su una disciplina ferrea, ben diversa da quella dei centri invernali. Henkel venne affiancato da Giuseppe Pirovano, che accanto alle lezioni di sci, impartiva quelle di tecnica alpinistica sulle pareti di ghiaccio. Il successo fu travolgente, con ben 245 iscritti provenienti da tutta Europa e portò al fiorire allo Stelvio di altre scuole di sci che nel loro corpo insegnanti potevano vantare i più pre- N Passo dello Stelvio (m 2758) 35 Speciali d'Estate Bormio-Prato allo Stelvio In bici allo Stelvio I Cartolina del passo dello Stelvio degli anni '40. In alto a sx si vede il rifugio Livrio (archivio Cittarini). stigiosi nomi dell'ambiente agonistico. ire che dal 1933 al 1973 la scuola Livrio ha contato 80 mila allievi è sufficiente a riuassumere il successo dell'idea del CAI Bergamo! Sul finire degli anni '40 Giuseppe Pirovano decise assieme alla moglie di fondare la Scuola di Sci Pirovano. Attualmente aperta da maggio a ottobre, comprende anche due alberghi full comfort con strutture per il perfezionamento della preparazione atletica. Sull'onda del successo di queste nacquero altre scuole, Perego e Sertorelli le altre più antiche, e vi fu un proliferare di attività turistiche che disseminò caoticamente il passo di strutture ricettive, negozi e infrastrutture che hanno fanno perdere allo Stelvio contatto e sinergia con la maestosità dell'ambiente naturale. asta tuttavia allontanarsi dal valico e gli amanti della natura potranno tornare a gioire: vi sono infatti numerose possibilità di itinerari di trekking, di mountain bike e storici. Uno di questi, il "Sentiero della pace", percorre le postazioni militari della Grande Guerra, di cui restano intatti ampi tratti di trincea, gallerie D e numerose fortificazioni. Al passo, il Museo Donegani (di proprietà della Banca Popolare di Sondrio e adiacente allo sportello bancario più alto d' Europa) accoglie cimeli e memorie della guerra, testimonianze della costruzione della carrozzabile, oltre a pannelli fotografici che illustrano le vicende sportive legate al passo. Tra le manifestazioni merita nota il Mapei Day, che quest'anno si terrà il 17 luglio. Si tratta di una giornata di gare competitive e non, che prevedono il raggiungimento del passo dello Stelvio in bici, a piedi o con gli skiroll. Per chi volesse raggiungere lo Stelvio dalla poltrona di casa segnaliamo la webcam della stazione meteo-climatica posta a m 3200 consultabile via internet dal sito http://webcam.popso.it. l passo dello Stelvio è una di quelle salite che ogni ciclista dovrebbe percorrere almeno una volta nella vita. Vuoi perché è il più alto e famoso d’Italia, vuoi per i suoi storici tornanti, vuoi per la maestosità del paesaggio. La salita valtellinese parte da Bormio e con una coppia di ampi tornanti inizia subito a guadagnar quota. Per i primi km la pendenza rimane sempre tra il 7-8%. Dopo aver oltrepassato i Bagni di Bormio inizieremo ad addentrarci nella valle del Braulio. La pendenza rimane sempre costante, salvo addolcirsi in occasione di qualche breve rettilineo. Ben presto ecco le spettacolari pareti di roccia verticali della vallata, sipario a una serie di gallerie (consiglio vivamente di munirsi di luce anteriore e posteriore dato che le prime non sono illuminate, soprattutto per farsi vedere da motociclisti e automobilisti). Davanti a noi appare il lungo serpente d'asfalto che sale nella valle, con alla sinistra la cascata del Braulio che nei periodi di piena diventa maestosa e quasi assordante. Altre le curve giungiamo alla piana del Braulio, dove finalmente possiamo rifiatare. Il passo, fino ad ora nascosto, è ben visibile al termine della piana. Sono gli ultimi 4 km, i più duri, con pendenze oltre l’8%. Dopo un km troviamo sulla sx il passo dell’Umbrail e il confine svizzero. Siamo a m 2500, l’aria è rarefatta, ma la vista dell’arrivo ci dà lo Giacomo Meneghello stimolo per non fermarci e giungere all’agognato passo. Il paesaggio, dominato dalla mole dell’Ortles è immenso su entrambi i lati. i nostri piedi, sul lato lato trentino, è ben visibile l’infinita serie di tornanti che hanno reso celebre questo passo e che ora ci apprestiamo a “divorare” uno dopo l’altro in una picchiata di 27 km. La strada scende il fianco della montagna con numerosi andirivieni più stretti e pendenti rispetto al lato valtellinese per una decina di chilometri, poi s’immerge nella vegetazione su un tracciato più dolce e meno sinuoso che ci fa scivolare fino a Prato allo Stelvio. A B 36 Le Montagne Divertenti La scuola Pirovano e gli impianti di risalita (anni '60, archivio Cittarini). Estate 2011 Le Montagne Divertenti Passo dello Stelvio (m 2758) 37 Speciali d'Estate Antonio Boscacci Creature fondamentali per l'ecosistema naturale, i serpenti sono innocenti vittime di pregiudizi derivanti dal simbolismo religioso. Il disprezzo ha portato anche una diffusa paura e ignoranza: in pochi li sanno riconoscere, distinguere e ne capiscono i comportamenti. In questi numeri vi parleremo dei serpenti: dalle leggende, agli aspetti scientifici, agli strumenti per distinguere le 8 specie presenti in Valtellina. Natrix natrix (14 giugno Divertenti 2008, foto Claudio Pia - www.clickalps.com) 38 Le Montagne Estate 2011 Le Montagne Divertenti Serpenti, parte prima: i pregiudizi 39 Speciali d'Estate Fauna Serpenti: l'incontro -P 40 Le Montagne Divertenti lui si è attorcigliato intorno al mio avambraccio. Pur nel frastuono di urla e risate un po’ isteriche che mi circondava, ho percepito che il mio punteggio come insegnante di scienze era salito sicuramente di qualche punto. Ora però bisognava spiegare che il più preoccupato era di certo il serpente, anche se non urlava e faceva gesti strani e inconsulti. A proposito di urla perfino una automobilista di passaggio si è fermata e ci ha chiesto che cosa fosse successo e se avevamo bisogno di aiuto. - È solo un serpente signora, grazie. - Se n’è andata sgommando, essendosi fatta chissà quale idea di certi insegnanti. Per farla breve, tutti i miei piccoli alunni di prima media, dopo meno di 15 minuti, avevano provato a toccare il povero Colubro di Esculapio (perché è di lui che parliamo) per rendersi conto che non era né viscido, né schifoso, ma aveva una pelle delicata e morbida. Dopo un’altra decina di minuti erano già otto i ragazzi e le ragazze che lo lasciavano attorcigliarsi intorno al loro braccio. Anzi, la piccola Elena se l’era messo anche intorno al collo come una sciarpa. - Voglio provare anch’io, voglio provare anch’io. Di lì a poco quasi tutti avevano imparato a indossare con disinvoltura la nuova sciarpa di serpente. Estate 2011 Le Montagne Divertenti Vita d'inferno I l serpente, come ben si sa, ha sempre avuto una vita molto, molto difficile. Quella che, senza eufemismi, potremo chiamare una vita d’inferno. In ogni caso una vita grama. Magari non molto diversa da quella di tanti altri animali e di tanti altri uomini, ma una vita comunque grama. "Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato. Allora il Signore disse al serpente: poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita." 1 Con queste parole appiccicate alla propria pelle fin dai tempi dei tempi, il povero serpente, colpevole di tutti i guai dell’umanità, non si riebbe più. Almeno fino ai giorni nostri. A ben guardare, ci sono stati nel corso della storia dei tentativi, a volte modesti, altre volte più energici, di migliorarne l’immagine così gravemente compromessa, ma non c’è stata davvero mai una vera inversione di tendenza nelle considerazioni e negli atteggiamenti che lo hanno accompagnato. Dipinto come un tristo figuro, sempre pronto agli intrighi e agli inganni, anzi, maestro celeberrimo nell’arte del camuffare, nascondere, imbrogliare, truffare, è sempre stato visto come pronto ad abusare dell’altrui buona fede, a indurre in errore. 1 - (Genesi 3, 13-14). Adamo ed Eva - Luisa Angelici rofessore venga, la bidella è scappata nel bagno delle femmine e ha detto che di lì non esce più. La piccola Elena urlava queste parole mentre scendeva di corsa verso il campo sportivo, accompagnata dalla sua amica Olivia. - Ma che avete combinato? - Niente, niente, solo che quando ha visto il serpente, la bidella si è messa a urlare ed è scappata. Per capire meglio questa curiosa scenetta, occorre dare qualche spiegazione. Quella mattina di maggio, era un martedì, ero uscito con la mia classe della Scuola Media di Albosaggia, per osservare i fiori e gli alberi. Gli alberi li avevamo visti spogli in inverno. Salendo verso la contrada Pedruzzi, avevamo parlato di foglie e di portamento dell’albero. Ci eravamo fermati a osservare il Pioppo, l’Ontano, la Robinia, il Frassino, il Castagno e tante altre piante. Contemporaneamente occorreva prendere appunti sui fiori, le ultime Scille, le Primule, la Silene (la mia nonna lo chiama sc-ciupét, mi aveva spiegato un bimbetto del Torchione), il Rumex acetosa (questo il mio nonno la chiama panevino) e cento altri. Poi ci eravamo fermati ai bordi di una müraca a osservare una lucertola che prendeva il sole incurante della nostra presenza. E mentre eravamo lì, presi da quella osservazione, ho sentito un urlo e ho visto un fuggi fuggi generale. Anche se non è possibile descrivere la scena si può provare a immaginarla. Quasi tutte le bimbette della classe si erano allontanate saltellando come fossero state morsicate dalla tarantola, seguite da un buon numero di maschietti. Con me erano rimasti in quattro, due femmine e due maschi. Il serpente intanto, perché si trattava proprio di un serpente, si muoveva sulla strada in cerca di riparo. L’occasione era troppo ghiotta per farmela scappare. Ho preso il serpente per la testa e - È bellissimo, ha detto Stefania (che non ci vedeva dalla nascita). Senti come è tenero e vellutato; però è molto spaventato, si sente che ha paura e trema. Ah, se mi vedesse la mia mamma. Abbiamo naturalmente dimenticato gli alberi e i fiori e ci siamo dedicati all’esame del nostro povero colubro. - Perché non lo portiamo a scuola? - Sì, sì, portiamolo a scuola! - Così lo facciamo vedere anche agli altri ragazzi. - Posso portarlo di sopra alle maestre. - Sì, sì, andiamo dalla maestra Sara, che prende un colpo appena lo vede. Così è successo che siamo passati dalle maestre e quindi siamo andati al campo sportivo per osservare meglio come si muoveva il nostro serpente. Poi la piccola Elena è andata con il serpente dalla bidella. E quel giorno le pulizie della scuola sono andate un po’ a rilento. - Io non esco se non mi promettete che “quello” non c’è più. “Quello” non si poteva nemmeno nominare. Prima del termine delle lezioni, ho domandato ai miei alunni se c’era qualcuno disposto a portarselo a casa. Abbiamo dovuto fare un’estrazione a sorte, tante sono state le richieste. - Appena l’ha visto, la mia nonna ha gridato, Madonna santissima, Madonna santissima. E la mia mamma ha scosso la testa e ha detto che lei, professore, è un po’ matto. Però, quando hanno visto che io lo accarezzavo e che non mi faceva niente, anche loro lo hanno fatto. Perfino la mia sorella Caterina, che all’inizio non ha voluto toccarlo, perché gli faceva schifo, dopo l’ha preso con una mano e ha detto che aveva una pelle strana e molto diversa da come se l’era sempre immaginata. Questa è stata la relazione del piccolo Mario, cui era toccato in sorte di portare a casa il nostro serpentello. Dopo averlo misurato e aver visto che era lungo 145 cm, l’abbiamo liberato nello stesso punto davanti al suo ammasso di sassi (müraca). È rimasto fermo per qualche secondo, un po’ incredulo e incerto sul da farsi, e poi è scappato a rifugiarsi tra i sassi. Serpenti, parte prima: i pregiudizi 41 Speciali d'Estate D’altra parte, se era riuscito a ingannare Eva nel Paradiso Terrestre, di quanti e quali altri misfatti si sarebbe potuto dimostrare capace? Abietto, immondo, viscido e schifoso, sono solo alcuni dei termini che hanno accompagnato il serpente per tutto il corso della storia. Se ci pensiamo, non c’è nessuno che sia stato trattato in questo modo. L’intreccio stretto tra la sua storia biblica e quella di Adamo ed Eva, che poi sono, per molti popoli, le vicende del nascere e del divenire dell’umanità, lo hanno condannato per secoli a una fama davvero pessima e soprat- tutto a portarsi addosso un marchio, che non è mai più stato in grado di togliersi. Molto peggio del giglio di Francia con il quale si marchiavano sulla spalla le prostitute e le ladre. Salamandra in val Bodengo (30 settembre 2007, foto Gioia Zenoni). Il Dio Serpente S 42 Le Montagne Divertenti ed Eva, la maledizione e la cacciata, la necessità di avere comunque un nemico sul quale sfogare le proprie impotenze e frustrazioni … Chi ha fatto le spese di tutto questo, nella brutta storia della mela, è stato il povero serpente. La mela, co-protagonista indiretta della vicenda avrebbe potuto risentirne negativamente; però, non solo è uscita indenne, ma ha visto aumentare la sua popolarità e il suo mercato. Così vanno le cose in mondo. questo strano M a ritorniamo qui da noi tra le nostre montagne, dentro i nostri paesi e le nostre valli. La paura, l’odio o il semplice rifiuto del serpente hanno avuto, tra le altre conseguenze più immediate e concrete, quelle di mescolare, nel grande calderone del disprezzo, dove non si riescono più nemmeno a riconoscere gli ingredienti, ogni animale che, in forme anche molto lontane, potesse in qualche modo assomigliargli o dare l’impressione di assomigliargli. In questa trappola sono caduti, oltre agli innocui orbettini, perfino le lucertole, i ramarri, le salamandre e tanti altri animali. Quetzalcoatl - Luisa Angelici olamente i maghi, le fattucchiere, gli indovini, i saltimbanchi, gli imbonitori e i ciarlatani hanno tentato, nel corso della storia, di affermare che questo essere, disprezzato da tutti, possedeva anche qualche buona qualità. Fosse anche solo di tipo culinario, magari solo come ingrediente indispensabile nella preparazione di pozioni miracolose, intrugli magici, filtri d’amore o veleni. Nel corso della storia l’uomo ha fatto progressi incredibili, ha saputo trasformare e trasformarsi, è riuscito a spingersi là dove pareva impossibile che sarebbe riuscito ad arrivare, ha trovato soluzioni a problemi enormi e difficilissimi … però, nel suo rapporto con la figura del serpente non ha fatto molti passi avanti, anzi. Forse è riuscito perfino a fare qualche passo indietro. Questo almeno per quanto riguarda la civiltà occidentale, perché invece, in altre parti del mondo e in oriente in particolare, ma non solo, presso culture molto diverse dalla nostra, al serpente sono stati attribuiti compiti e ruoli molto importati, tanto da diventare, in moltissimi casi, una vera e propria divinità. Si potrebbe citare il dio serpente Nagaraja (il Re serpente), venerato nel tempio di Mannarasala in India, Nagayakshi (la Regina serpente), Karinagam (il serpente nero), Paranagam (il serpente alato) e Anchilamaninagam (il serpente con cinque teste) oppure si potrebbero citare i Naga, serpenti diffusissimi e fondamentali nella nascita dello stato indiano del Kerala. Nei templi indiani, si offrono spesso ai serpenti ciotole di riso, di latte e di altri cibi, non perché il serpente si nutra di questi cibi, ma per fare in modo che i topi, le loro più comuni prede, attirati dal cibo, possano servire loro da pasto. Cambiando continente e passando alle americhe, troviamo qui il serpente piumato verde, il famosissimo Quetzalcoatl, divinità presente in gran parte delle culture dell’America Centrale. Figura importante nel pantheon delle divinità Maya, per i quali era, tra l’altro, anche un simbolo di fertilità, lo fu ancor di più presso gli Aztechi, secondo i quali Quetzalcoatl aveva svolto un ruolo essenziale nella nascita del genere umano. Anche in Italia, prima dell’arrivo del cristianesimo, esistevano dei culti dedicati al dio serpente. Poi è arrivato il Paradiso Terrestre, la nudità di Adamo Piccole gioie per i rettili Estate 2011 Anche il ribrezzo che molti manifestano nei confronti dei poveri lombrichi può essere ricondotto con molte buone ragioni a questo ancestrale cattivo rapporto con i serpenti. Quanti casi della mia esperienza quotidiana potrei citare a questo proposito! Ricordo mia sorella, che pur dicendo di non averne paura, scappa davanti a un orbettino, oppure molti dei miei piccoli alunni che restano paralizzati dal terrore, quando vedono una innocua salamandra giallo – nera che sta attraversando loro la strada, oppure ancora mia zia che urla di fronte a un ramarro … E non ho parlato di serpenti, ma di anellidi, anfibi … Pensate del resto a una esperienza molto comune. Quanti di noi vengono percorsi dai brividi al semplice rumore provocato da una lucertola che si muove sulle foglie secche a lato Le Montagne Divertenti del sentiero sul quale stiamo camminando? Devo anche dire, a onor del vero, che in qualche caso, il tanto parlare che ho fatto nella mia lunga vita di insegnante per difendere anche i serpenti, qualche risultato l’ha dato. Nel luglio di due anni fa, mentre percorrevo una via di Sondrio, ho incontrato una mia ex alunna accompagnata da sua madre. Dopo i soliti, come sta, come va e che cosa fa, Elena, la mia ex alunna mi ha spiegato che il giorno prima suo padre, non solo non aveva ucciso un grosso Colubro di Esculapio che gli aveva attraversato la strada davanti alla sua baita, ma se n’era uscito con queste parole: i serpenti bisogna difenderli, perché non fanno del male a nessuno e sono utili. - Tutto merito mio (e delle sue spiegazioni a scuola), mi ha detto Elena. Era la stessa piccola Elena della quale parlo nell’introduzione di questo scritto. Gioie piccole, ma che cosa può chiedere di più un insegnante? Vengo a parlare di casa mia. Mio padre ha sempre avuto un rapporto, per così dire difficile con i serpenti. Nel senso che per lui, tutto ciò che strisciava, doveva essere inseguito a bastonate e se possibile eliminato. Questo per molto tempo. Poi un giorno di un anno ormai molto lontano, sento che mi chiama dall’orto con voce molto concitata. Lo raggiungo di corsa e lui mi mostra la rete nera antigrandine con la quale ricopriva l’insalata e mi domanda di aiutarlo perché lui da solo non ci riesce. Liberare un serpente da una rete antigrandine è davvero un’impresa molto difficile, a meno che non si tagli la rete. Taglia taglia, se no muore. Mio padre che sacrifica una rete antigrandine per salvare un Biacco. C’era da non credere ai propri occhi e alle proprie orecchie. E con che gioia ha osservato il serpente uscire dalla rete, guardarsi un po’ intorno e fuggire dietro il pollaio. Quel Biacco è vissuto nel nostro orto per almeno una decina di anni. E perfino mia madre è riuscita ad accettarlo e a conviverci. Bimbi giocano con Colubro di Esculapio (giugno 1983, foto A. Boscacci). Sopra: un'innocua salamandra in val Bodengo (30 settembre 2007, foto Gioia Zenoni). Serpenti, parte prima: i pregiudizi 43 Speciali d'Estate Fauna Il Basilisco Un capitolo a parte meritano i serpenti fantastici, nati e cresciuti per ogni dove e che entravano spesso nei racconti delle nonne e delle vecchie zie. Serpenti giganteschi e grossi oltre ogni limite, lunghissimi e coloratissimi, serpenti capaci di mangiare conigli e galline, in qualche caso anche agnelli e capretti, serpenti che prosciugano tinozze di latte, serpenti che si attaccano direttamente alle mammelle delle mucche, che si ubriacano dopo essere riusciti ad aprire la spina della botte, serpenti che mangiano patate, serpenti che quando aprono la bocca lanciano fiamme, serpenti dai grandi occhi, capaci di ipnotizzare i poveracci che capitino loro davanti, serpenti che ridono, che piangono, che parlano, che sono capaci di volare e spostarsi da una valle all’altra, serpenti fosforescenti, con bocche smisurate, serpenti che si strofinano sui sassi per partorire, tagliandosi la pancia, serpenti che si mangiano i piccoli, oppure che li buttano giù da un dirupo, serpenti che si nascondono sotto la cenere del camino e lì passano l’Inverno … Quasi in ogni paese della Valtellina e della Valchiavenna, nel ricordo delle persone più anziane, c’è la presenza di un serpente strano, grosso e lungo, spesso con la cresta o altre protuberanze, dotato quasi sempre di uno sguardo capace di immobilizzare o addirittura di uccidere. 44 Le Montagne Divertenti vede di quando in quando sui pascoli di Caronno. - L'hai mai visto? domandai un giorno a un pastore. Q uesto animale fuori dalla norma, la cui prima apparizione si perde nella notte dei tempi, è una presenza costante di tutti i libri (i bestiari) che si sono occupati di animali, veri o fantastici, e che hanno avuto una grande fortuna a partire dal Medioevo ed è il protagonista di moltissime leggende in tutta Europa. - Sì l'ho visto, rispose sgranando gli occhi, e indicando col dito, tenendosi a rispettosa distanza, la bella vipera stesa nella mia scatola dell'erbario, in mezzo ai fiori dai colori brillanti, l'ho visto, come vedo questo serpente. Ciò che il pastore diceva di aver visto, era il grande serpente dalla cresta di fuoco, con gli occhi che ruotano nelle orbite: il basilisco. La cresta era almeno dello spessore di un grosso dito. L'aveva proprio visto lassù nei cespugli di rododendri della valle di Caronno, e potete immaginare il suo spavento. Non aveva avuto il coraggio di seguirlo come ora non osava toccare la mia vipera, nonostante fosse morta. Non si sa mai! E tutti gli altri pastori erano raggruppati intorno a noi, gli occhi fissi sulla povera vipera, le orecchie tese al racconto fantastico del loro amico. E a poco a poco, sotto l'influenza suggestiva delle parole, la mia vipera appariva ai loro occhi sempre Questo essere incredibile, nato forse dal sangue uscito dalla disgraziata Medusa quando Perseo le tagliò la testa, era indicato con il nome di basilisco (in greco, piccolo re). E cco come ne parla Bruno Galli Valerio in una delle prime pagine del suo bellissimo libro Cols et Sommets (Losanna, 1912)1: "E là nelle serate tranquille d'estate, raccontiamo le avventure alpinistiche, le avventure di caccia, mentre la luna sparge una luce bianca, melanconica su tutta la vallata e lontan lontano luccicano le vedrette del Disgrazia e del Bernina. E a poco a poco ognuno avrà la sua avventura o la sua leggenda da raccontare. E’ per prima la leggenda del basilisco, il serpente dalla cresta rossa, che si Basi lisc o Luis a Ange più grande, la cresta cominciava a comparire sulla testa, una cresta ancora piccolina, appena visibile, gli occhi cominciavano a muoversi nelle orbite...e un anno dopo, tutti lassù raccontavano la storia fantastica di un grosso serpente dalla cresta rossa, che io avevo ucciso sui pendii dello Scotes che tutti avevano visto, gli occhi giravano ancora nelle orbite, nella mia scatola erbario! La leggenda del basilisco era stata così interamente confermata dai fatti ed ora non poteva più essere messa in dubbio dai giovani pastori che, oramai potevano testimoniare coi vecchi l'esistenza di quella orribile bestia, là, in mezzo alle Alpi orobie...Un giorno o l'altro, mi vorranno come testimone!" Anche in Albosaggia non poteva mancare un riferimento a questo serpente: - Il mio nonno l’ha visto sotto sant’Antonio, aveva una cresta rossa ed era lungo quasi 6 metri. Non ci crede professore? - Io non ci credo, però facciamo così, oggi pomeriggio vengo a casa tua e lo domandiamo al tuo nonno. Va bene? Il pomeriggio sono andato a casa di Luca, il mio alunno, ed è successo quello che di solito succede in questi casi. Il nonno di Luca non aveva visto di persona il serpente, ma suo cugino Mario sì. Allora siamo andati fino ai Barbagli, dove abitava questo cugino e lui ci ha mandato dal Celso che abitava ai Marini, che ci ha detto di andare dal Giuseppe, che stava alle Caselle. Siamo arrivati fino all’Onorato che abitava alla Segrada … Un giro di quasi tre ore per concludere che nessuno aveva visto di persona lo strano serpente. Se non avessi problemi di spazio, quante storie di questo tipo potrei raccontarvi. Curiosamente però il Basilisco esiste davvero. È un sauro, diciamo per comodità una lucertola, che possiede una lunga coda e un’alta cresta sul dorso (nei maschi), che può arrivare fino a 80 cm di lunghezza e che vive nell’America Centrale. Siccome, a causa dei suoi piedi palmati e della sua velocità di spostamento, è capace di fare lunghi tratti camminando sull’acqua con le sole zampe posteriori (anche più di 20 m), è stato soprannominato lucertola di Gesù Cristo. Con ovvio riferimento al passo biblico nel quale il Messia cammina sulle acque del lago di Genèsaret (Matteo 14, 22-33). lici I serpenti nelle favole 1 - Potete ordinare la versione integrale del libro, nella sua versione tradotta in italiano da Antonio Boscacci e Luisa Angelici (1994), su www.lemontagnedivertenti.com U n campo fertilissimo quello del serpente nelle favole, interessante e molto illuminante. Purtroppo però, il povero animale, annichilito dalla cattiva fama che si è conquistato nel corso dei secoli, anche prima dell’avvento del Cristianesimo, nelle favole quasi sempre assume il ruolo di guastafeste, di astuto ingannatore, una connotazione di oscuro artefice di guai e malefici. Di malvagio insomma, del quale ci si deve liberare a ogni costo. Fedro (ca 20 a.C. – ca 50 d.C.) dedicò alcune sue favole al serpente: Il Serpente e la Lucertola, Il Serpente e la misericordia che nuoce, La Vipera che Estate 2011 Le Montagne Divertenti entrò nell’officina del fabbro … Ne esce per lo più un ritratto devastante per il nostro povero animale. Nella seconda delle favole citate, c’è un povero serpente mezzo morto per il freddo, che viene raccolto e riscaldato da un passante. E lui che fa quando rinviene? Per tutta riconoscenza, lo morde. Morale: mai aiutare i malvagi [nequis discat prodesse improbis]. Non c’è scampo dopo una sentenza di questo genere. La stessa favola la riprende Jean de la Fontaine (1621 – 1695) che arriva alle stesse conclusioni. Anche qui giustizia è fatta, naturalmente a scapito del disgraziato serpente di turno. Per fortuna c’è anche qualche eccezione. Esopo, che visse nel VI secolo a.C. in Grecia, dedicò una delle sue favole al nibbio e al serpente. Il nibbio cattura un serpente per mangiarselo, ma l’animale si difende e lo morsica. Il rapace, costretto ad abbandonare la propria preda, esce perdente e malconcio dalla vicenda narrata. Questo dimostra, secondo la lezione morale dell’autore, che i cattivi, prima o poi, pagano per le loro malefatte. Serpenti, parte prima: i pregiudizi 45 Speciali d'Estate Fauna U-SKÒ L a terra al tempo dei TAA-BAS era governata da un grande serpente di nome U-SKÒ. U-SKÒ aveva un corpo lunghissimo mezzo verde e mezzo azzurro. I poveri TAA-BAS lo temevano tanto che qualsiasi cosa comandasse di fare, la facevano subito senza mai protestare. Tutti avevano paura di lui, meno RA, una ragazzina piccola dai capelli ricci e nerissimi, che aveva deciso che un giorno o l’altro l’avrebbe ucciso. E infatti, un giorno che U-SKÒ si era addormentato con la testa tra le nuvole, RA si arrampicò lungo il suo corpo per molte centinaia di metri e, quando fu a metà, con un gran colpo di coltello, lo tagliò in due. U-SKO' - Luisa Angelici La parte inferiore del serpente precipitò sulla terra e quasi provocò un terremoto. La parte superiore invece, volò verso l’alto e fu inghiottita dalle nuvole. Con un pezzo del suo corpo sulla terra e uno in cielo, U-SKÒ il serpente si mise a piangere. E un fiume di lacrime cadde come pioggia. L o stesso La Fontaine, appena citato, scrive una interessante favola intitolata L’uomo e il Serpente. La vicenda narrata è una specie di riscatto per il povero animale, che pure fa una tragica fine. Dunque, un uomo incontra un serpente e pensa di fare un favore all’Umanità decidendo di ucciderlo. Così lo chiude in un sacco e poi gli dice che, come simbolo degli ingrati, la sua ora è venuta e lui lo farà morire. Il serpente cerca una timida difesa e ammonisce l’uomo: "Se dovessi uccidere tutti gli ingrati, resteresti in compagnia solo di te stesso! Il simbolo degli ingrati è l’uomo stesso, non il serpente." L’uomo, colpito da quelle parole, ma volendo allo stesso tempo essere magnanimo, ferma una mucca e le 46 Le Montagne Divertenti chiede un parere sulla questione. Non l’avesse mai fatto, la mucca ribadisce che l’uomo è l’essere più ingrato di tutti. Basti vedere come l’ha sfruttata per tutta la sua vita, dopo tutto il latte e i vitelli che lei gli ha dato. Non contento delle risposte della mucca, l’uomo ferma un bue e gli domanda che cosa ne pensa. Ma il bue rincara la dose. Arrabbiato l’uomo vuole un altro parere e lo chiede all’albero lì vicino. L’albero chiamato a dire che cosa ne pensasse della questione, è, se possibile, ancora più severo della mucca e del bue. Così l’uomo, sempre più furioso, non sapendo su chi scaricare la propria violenza, se la prende con il serpente e lo sbatte contre le murs, tant qu’il tua la bête. Insomma, lo uccide. La morale che ne trae La Fontaine è questa: c’è gente che si mette in testa che tutto è nato per loro, persone, quadrupedi e serpenti. Se qualcuno si ribella è ritenuto uno sciocco. Ma allora che si può fare: parlare da lontano o tacere? Un altro esempio di scritto nel quale il serpente non fa la solita figura del malvagio e dell’ingannatore, ce la offre Hans Christian Andersen. Lo scrittore danese pubblica infatti nel 1871 una favola, poco conosciuta, intitolata Il grande Serpente di Mare [Den store Søslange], nel quale si parla di un curioso serpente marino. In questo caso il lunghissimo animale che si morde la coda e gira tutto intorno al mondo, non è né pauroso, né pericoloso anzi, è forse la creatura più interessante che ci sia mai stata dentro mare e trasporta alla velocità della luce la conoscenza da una parte all'altra del pianeta. Estate 2011 Così adesso, ogni volta che piove, i TAA-BAS raccontano ai loro bambini la storia di RA e di U-SKÒ il serpente, che là in alto tra le nuvole piange, perché vuole tornare sulla terra. [Antonio Boscacci, Il Leprassero e altre favole, II edizione, Sondrio 2011] Timidi segnali positivi B isogna anche dire, in verità, che in questi ultimi decenni, il rapporto tra le persone e i serpenti è complessivamente migliorato. Anche perché di pari passo è cresciuta la sensibilità verso ciò che ci circonda e verso tutte le forme di vita. Pur nel groviglio di interessi spesso oscuri e conflittuali che regolano i nostri rapporti con l’ambiente, c’è una maggiore disponibilità al rispetto di tutti gli esseri viventi che lo popolano (scrivo queste parole ma capisco che ci sarebbe molto di cui discutere). Alla fin fine, con un po’ di ottimiLe Montagne Divertenti smo, si può dire che anche i serpenti abbiano tratto qualche beneficio da tutto questo. Forse è venuto il tempo nel quale finalmente questo cattivo abbia una doverosa riabilitazione e una sua più appropriata collocazione tra gli esseri viventi, dentro i quali siamo immersi e con i quali stabiliamo continuamente infinite relazioni. Magari anche un giusto risarcimento per tutto quello che gli è stato fatto, Si potrebbe pensare, perché no, di … chiedergli scusa. Un po’ troppo direte voi lettori. Ma chi può sapere che cosa ci riserverà questo nostro lungo e tormentato cammino di uomini. Anche i serpenti svolgono una parte importante in quell’intreccio naturale, che è sempre alla ricerca di un nuovi e più profondi equilibri. Equilibrio che l’uomo (non gli animali, non le piante) con il suo progresso molto “distratto” e spesso molto stupido, cerca a tutti i costi di liquidare. La strada è ancora lunga e in salita. Serpenti, parte prima: i pregiudizi 47 Joëlette Franz e Beppe U na nuova possibilità di vivere la montagna anche per chi ha difficoltà motorie è nata grazie alla Joëlette messa a disposizione dal Parco delle Orobie Valtellinesi. Grazie a questo speciale mezzo di trasporto si riescono a effettuare gite di facile e media difficoltà permettendo, anche a chi non può farlo con le proprie gambe, di raggiungere alcuni dei luoghi più caratteristici e belli della nostra valle. TO DONATORIO. NA E PASSAPAROLA. ngue salva molte vite: alimenta e diffondi il moto donatorio. i chi dona muove anche te. za siamo noi: dona e passa parola! AVIS SEZIONI COMUNALI DELLA PROVINCIA DI SONDRIO: AVIS DI BORMIO 0342 902670 AVIS DI CASPOGGIO 0342 451954 AVIS DI CHIAVENNA 0343 67297 AVIS DI LANZADA 0342 452633 AVIS DI LIVIGNO 334 2886020 AVIS DI MORBEGNO 0342 610243 AVIS DI POGGIRIDENTI 0342 380292 AVIS DI SONDALO 0342 801098 AVIS DI SONDRIO 800593000 s.it/toscana Con la Joëlette verso l'alpe Musella (27 giugno 2010, foto Maistella Sceresini). Le Montagne Divertenti Joëlette 49 Speciali d'Estate Montagne per tutti Quando per caso, navigando su internet, ho scoperto l’esistenza della joëlette, una speciale carrozzella da trekking, ho subito pensato di proporre a Beppe di provare a usarla. Come è andata? Questo è il racconto del diretto interessato. “Sono Beppe e sono disabile motorio. Ho sempre amato la montagna e I suoi percorsi tra i silenzi dei boschi, le inerpicate ascese verso le vette e le fatiche che vengono premiate quando, una volta giunto in cima, sudato, accaldato, impuzzolentito dallo sforzo fisico, puoi ammirare splendidi paesaggi incontaminati e godere di grandi silenzi. Ok, adesso basta con le battute, altrimenti tutti pensano che sia uno scalatore professionista. In realtà sono un ragazzo semplice, che ha sempre amato fare delle scampagnate in compagnia dei soliti “compagni di merende” su per le montagne, quelle facili da raggiungere, ma che comunque ti fanno sudare ... amo sopratutto stravaccarmi sui prati e, tracannando una buona birra, contemplare le montagne della nostra Valtellina. Complice un problema di salute che mi ha comportato una disabilità agli arti inferiori, una morosa che preferiva altri tipi di svago e, chiaramente, la mia nota pigrizia, mi sono allontanato sempre più dalle escursioni all’aria aperta. Grazie al mio nuovo lavoro e ai colleghi che avevano sentito parlare della joëlette, girando tra siti internet e forum siamo finiti su alcuni reportage francesi, che attribuivano a questa “carriola” mirabolanti capacità di trasportare persone disabili in posti veramente impervi. La mia prima impressione è stata quella di essere di fronte a uno di quegli improbabili attrezzi prodigiosi, pubblicizzati su varie TV private per giornate intere, che con zero fatica sono in grado di condurti verso incredibili risultati, in questo caso montagne impossibili. Pareva che, con questa fantomatica Joëlette, potessi farmi un ottomila. Franz, un mio collega con la passione per la montagna, ha scoperto 50 Le Montagne Divertenti Grazie alla Joëlette si riescono a superare anche pendii molto ripidi (27 giugno 2010, foto Marina Magri). che il Parco delle Orobie Valtellinesi aveva acquistato e rendeva disponibile quest’oggetto miracoloso per chi ne avesse fatto richiesta. In breve ha reperito la carriola che mi avrebbe permesso di tornare a respirare la salubre aria montana, la quiete di una civiltà silenziosa, ma brulicante di vita, e l’allegria di un’uscita tra soci. Per la prima gita, avvenuta a fine estate, la scelta è ricaduta su un sentiero breve e non troppo impervio: il rifugio Cristina in Valmalenco, raggiungibile in un’oretta di cammino su una comoda mulattiera, è apparso la meta ideale. All’appuntamento si sono presentati in tantissimi: i miei colleghi con tanto di famiglie, la mia compagnia di amici, tutti pronti ad esultare e ad emozionarsi per il mio ritorno tra i monti. Sistematomi sul trono e imbrigliato a dovere, siamo partiti con Franz al traino, un mio amico ai comandi posteriori (freni e direzione), e, per non rischiare di cadere, rovinando così il mio bellissimo viso, pure due persone ai lati a garantirne la stabilità. Mentre la carovana camminava più o meno silenziosamente, con le persone atte a portare la joëlette, che, a intervalli regolari, protestavano per il regime dietetico a cui io non mi ero sottoposto, devo dire che mi sentivo in pace con il mondo, mentre In discesa verso Franscia (27 giugno 2010, foto Marina Magri). Chi volesse avere notizie e informazioni può recarsi presso la sede del Parco delle Orobie Valtellinesi o scrivere a [email protected] . distribuivo la mia benedizione con un “brochèl” (in quanto l’ulivo non c’era) come un cardinale in visita pastorale, rilassato oltremodo, con le terga comodamente appoggiate su un soffice cuscino. Uno dei maggiori vantaggi di questa joëlette è sicuramente l’assenza di fatica e di sudore, nonostante il cammino sotto il solleone di fine agosto!! Dopo aver divorato panini, birra e un genepì preso al rifugio, abbiamo goduto il fresco tepore della montagna, contenti per la nostra bella prima volta con la sedia: siamo tutti rimasti favorevolmente impressionati dalla sua comodità, ma soprattutto dalla facilità e dall’agilità nel manovrarla e quindi abbiamo deciso che l’avremmo richiesta per nuove uscite. Che bello, sulla via del ritorno, poter fantasticare con il pensiero già rivolto a nuove escursioni!” e permette veramente di raggiungere posti impensabili. La discesa dall’alpe Musella verso Franscia ci ha permesso di stabilire il limite di utilizzo nelle fasi di discesa su sentiero ... è stata l’unica occasione in cui abbiamo visto il nostro passeggero in difficoltà a causa dell’eccessiva pendenza tanto che, a un certo punto, lo abbiamo sentito esclamare : “Oh, io voglio avere la possibilità di dare un erede alla mia dinastia ... I want to save my balls!” Grazie all’esperienza acquisita abbiamo cercato di individuare alcune migliorie da apportare alla joëlette al fine di renderla ancora più comoda per i passeggeri e siamo pronti per affrontare nuove escursioni. Informazioni utili a joëlette, inventata da un alpinista L francese, Joël Claudel, è una speciale carrozzella da fuori-strada a una sola ruota con sospensione e freno, tenuta da due accompagnatori mediante appositi bracci davanti e dietro. Essa consente anche ai disabili motori non deambulanti di partecipare a escursioni in montagna, uscite di educazione ambientale e in genere attività in ambiente naturale. Nel febbraio 2008 il Parco delle Orobie Valtellinesi ne ha acquistata una, grazie al supporto economico della Banca Popolare di Sondrio. Nell’aprile dello stesso anno il Parco ha organizzato un corso per la formazione dei conduttori di joëlette con l’ausilio del dott. Leonardo Paleari, accompagnatore di media montagna specializzato proprio in questa attività formativa. Il corso, svoltosi in due giornate con lezio- ni teoriche e prove pratiche, ha visto la partecipazione di 10 volontari, che al termine del corso sono stati abilitati all’accompagnamento di disabili. a joëlette è a disposizione di chiunL que ne faccia richiesta al Parco. Basta prenotare l’utilizzo e compilare un apposito modulo (disponibile presso gli uffici del Parco). Per informazioni e per prenotazioni: Via Toti, 30/c – Sondrio Tel. 0342 211236 – fax 0342- 210226 [email protected] Altre info: www.hce.asso.fr D opo la prima escursione su strada e sentiero facile abbiamo testato la joëlette in altre due escursioni un po’ più impegnative: la prima all’ alpe Musella, sempre in Valmalenco, e la seconda a Savogno in Valchiavenna. Sulla scorta delle impressioni e delle considerazioni di Beppe e sulle nostre sensazioni di conduttori possiamo affermare che l’attrezzo è veramente eccezionale; la particolare struttura a monoruota lo rende maneggevole Estate 2011 Le Montagne Divertenti Joëlette 51 Valmalenco Alpinismo Tuffi dalle grandi altezze Beno Campo Moro (Lanzada) 10 agosto 2011 11 prove facoltative ore 15 gara ore I l 14 agosto 2011 la Valmalenco ospiterà la XXIV edizione della Coppa del Mondo di Tuffi dalle Grandi Altezze. Come nelle due stagioni trascorse, il trampolino verrà issato sull'argine della diga di Campo Moro, a m 2000 nel comune di Lanzada. Gli atleti si sfideranno con evoluzioni mozzafiato lungo i 25 metri di caduta che portano al pelo dell'acqua. Una dimostrazione non solo di coraggio, ma anche di grande preparazione fisica e psicologica: un errore nell'eseguire un tuffo da quell'altezza può comportare conseguenze gravissime. È una manifestazione emozionante e che attrae moltissima gente: nel 2009 ben 12 mila spettatori hanno assistito a bocca aperta alla gara! Il colpo d'occhio, per chi come me ne è stato testimone, è a dir poco strepitoso: le sponde del lago tappezzate dal mosaico variopinto del pubblico, l'eco degli applausi che si spinge lontano e dà carica agli atleti che si preparano o concludono vittoriosi il loro esercizio. Il padre della Coppa del Mondo di Tuffi dalle Grandi Altezze è Vittorio Zanetti, presidente della Federazione Europea Sport del Mare. Anche quest'anno Vittorio è in Valtellina molti mesi prima per organizzare l'evento, raccogliere sponsor, parlare con gli enti e coordinare volontari e operatori, così lo incontriamo per una chiacchierata. "Quand'è nata la Coppa del Mondo di Tuffi dalle Grandi Altezze?" "Nel lontano 1988, era una gara secca alla Quebrada di Acapulco, vinta dallo statunitense Bob Brown. Da allora il circuito si è ampliato e il titolo viene assegnato dopo più prove sparse in giro per il mondo." "Da dove vengono gli atleti?" "Quest'anno a Campo Moro avremo 14 atleti provenienti da 11 paesi e in rappresentanza di 4 continenti. Insomma da tutto il 52 Le Montagne Divertenti Momenti della gara del 2009, sullo sfondo il pizzo Scalino (archivio Fedemar). Estate 2011 Le Montagne Divertenti mondo! Li alloggeremo, per farli acclimatare, ai rifugi Zoia e Poschiavino." "Ci saranno italiani?" "Purtroppo pare di no: dopo il grande Simone Bonelli, vincitore della Coppa del Mondo nel '95 e nel '97, non abbiamo più avuto atleti italiani di alto livello." "Come si stabilisce il vincitore?" "Ogni atleta effettua 2 tuffi a difficoltà libera. Ci sono 5 giudici che votano. Il valore più alto e quello più basso vengono scartati, gli 3 altri sommati e moltiplicati per il coefficiente di difficoltà. La somma dei punteggi dei due tuffi determina la classifica." "Cos'è il coefficiente di difficoltà?" "L'atleta dichiara alla giuria l'esercizio che ha intenzione di compiere. La giuria, basandosi su tabelle internazionali che tengono conto delle varie evoluzioni inserite nel tuffo (salti mortali, avvitamenti, verticale alla partenza ...) calcola il coefficiente di difficoltà." "Atleti da tutto il mondo, un bagno di pubblico, servizi sulle televisioni nazionali ... dev'essere dura organizzare tutto!" "Certamente lo è, ma enti locali (Comunità Montana di Sondrio, Regione Lombardia, Provincia di Sondrio, Consorzio Turistico di Sondrio e della Valmalenco e Unione dei Comuni della Valmalenco) e numerosi sponsor privati, tra cui in primis ENEL e AUTOTORINO, sostengono generosamente la manifestazione. Poi volontari, associazioni e forze pubbliche ci offrono il loro prezioso aiuto. La calda risposta della gente di Valtellina e dei turisti, infine, ci ripaga sempre per tutti gli sforzi fatti." "La strada Franscia-Campo Moro riuscirà a sostenere un tale afflusso di persone? Come gestirete il traffico?" "Verranno stabiliti degli orari per la salita e degli orari per la discesa, in questo modo - funzionando la strada a senso unico - non potranno esservi ingorghi. Giunte a Campo Moro, le auto verranno indirizzate dai parcheggiatori per ottimizzare gli spazi disponibili. Una volta terminati i posteggi la strada verrà chiusa. E poi si può salire pure a piedi: con il sentiero diretto da Franscia si fa una bellissima passeggiata di un'ora scarsa, all'ombra del bosco e lontani dal traffico!" Eventi 53 Alpinismo Pizzo Roseg re dei ghiacci Beno 54 Le Montagne Divertenti Estate 2011 Le Montagne Divertenti Pizzo Roseg versante N (Kim Sommerschield,Pizzo www.kimsommerschield.com). Roseg (m 3936) 55 Alpinismo Valmalenco È D lo spettacolo che si ha guardando la bocchetta delle Forbici da certi punti della valle di Musella: un'affilata cresta spruzzata di neve fresca, benchè lontana, pare incombere sopra il rifugio Carate. Che montagna è mai? Q Anticima NO (3920) Piccolo Roseg (3896) arinelli Canalone M uesta visione è un importante indizio dei 4000 che si nascondono alle spalle delle cime di Musella. Raggiunta la bocchetta e scesi al laghetto delle Forbici, il mistero si svela; specchiato nelle acque è il gruppo del Bernina con la sua vetta più bella: il pizzo Roseg, una piramide di roccia divisa in due da un canalone verticale di neve1. A sinistra del solco c'è la vetta principale, a destra il Piccolo Roseg. Capiamo così che la lama di roccia vista dalla valle di Musella non è altro che la grandiosa cresta SO della montagna. Silvio Saglio nella Guida ai Monti d'Italia afferma: perfezionare la bellezza del pizzo Roseg, che ha la più bella parete ghiacciata (NE), il più appariscente canalone (S), il più vasto spiovente roccioso (O) del gruppo del Bernina, non poteva mancare la più ardita e pronunciata cresta (SO)." Pizzo Roseg (3936) "A Porta Roseg (3522) I l pizzo Roseg è l'ultima elevazione occidentale della triade del Bernina, ma rispetto ai maggiori Scerscen e Bernina si trova in posizione piuttosto isolata, poiché è separato da questi dalla profonda breccia della Porta Roseg. Non avendo rivali né a ovest, né a nord, nè a sud, il paesaggio dalla cima è vastissimo su tutti i fronti. l toponimo Roseg probabilmente deriva dal longobardo "hrosa", termine utilizzato per indicare i grandi ripiani di ghiaccio visibili da lontano, ed è così che appare la montagna dal versante svizzero. ra le numerose vie aperte sulla montagna segnaliamo il primo percorrimento integrale della cresta SO (30 luglio 1909 - G. e C. Steward, Summermatter e Simond), la traversata Roseg-Scerscen-Bernina compiuta da Campell e Frehimann nel 1928 e ripetuta in invernale da Franco ed Ermanno Gugiatti, la discesa con gli sci del Canalone Marinelli di Mario Vannuccini (1994). Bivacco Parravicini (3183) L a bellezza della montagna, il paesaggio superbo, la scalata varia e divertente sono le ragioni che dovrebbero spingere ogni alpinista sul Roseg. Quella che vi proporremo è la salita dalla via normale, la più semplice per la vetta, ma che non va comunque sottovalutata. L'itinerario può essere convenientemente spezzato in due giorni pernottando al rifugio Carate oppure al rifugio Marinelli. D opo che 3 cordate fallirono tra il 1863 e il 1864, la cima fu raggiunta per la prima volta il 28 luglio 1865 da Moore, Walter e Jacob Anderegg per un itinerario differente dalla attuale normale e che affronta le rocce della parete occidentale dell'anticima NO. 1 -Il canalone è chiamato Canalone Marinelli, in onore di Damiano Marinelli che nel 1881 lo salì assieme a Hans Grass e Battista Pedranzini. Nemmeno un mese dopo Il versante S del pizzo Roseg e il ghiacciaio dello Scerscen Superiore gli stessi Marinelli e Pedranzini vennero travolti da una (16 luglio 2006, foto Roberto Moiola - www.clickalps.com). valanga sulla parete orientale del monte Rosa. Le Montagne Divertenti I T I 56 al versante svizzero il Roseg è un colosso di ghiaccio che ha fatto sognare intere generazioni di alpinisti. In particolare sulla parete NE, che con pendenze sostenutissime tra possenti rigonfiamenti di ghiaccio che si appoggiano e sporgono da scoperte bancate di roccia, è una delle più difficili e alte (oltre 600 m) delle Alpi e la più impegnativa del gruppo del Bernina, si ingaggiarono i migliori specialisti. Che Normann-Neruda con Christian Klucker abbiano avuto ragione della parete nel lontano 16 giugno 1890 è un dato sorprendente, ancor più lo è il tempo di salita: sole 5 ore e mezza! Ci vollero ben 34 anni perchè qualcuno la ripetesse: lo fecero il 16 giugno 1924 R. von Tscharner (perito pochi giorni dopo sulla Finsteraarhorn) e S. Schönenberger, impiegandoci ben 10 ore dalla base a causa del ghiaccio vivo. l tentativo della terza ripetizione vide precipitare (18 luglio 1926), probabilmente dalla zona dei grandi rigonfiamenti di ghiaccio, il fortissimo Angelo Taveggia. Anni dopo vennero le difficili vie di Kurt Diemberger e Karl Schönthaler (luglio del 1958), e la prima discesa lungo la parete, compiuta da Rudolf Honegger il 4 settembre 1940. Estate 2011 Le Montagne Divertenti Pizzo Roseg (m 3936) 57 Alpinismo Valmalenco Q uesta al Roseg è una gita impegnativa, non solo per i 2600 metri di dislivello positivo che si affrontano, ma anche per il lungo sviluppo e la presenza di tratti tecnici su vari terreni: neve, roccia e ghiaccio. Consiglio perciò di spezzarla in due giorni pernottando o al rifugio Carate o alla Marinelli, tatticamente equivalenti al fine dell'ascensione, e di avvalersi di una Guida Alpina. 5 maggio 2010 S Bellezza Fatica Pericolosità 58 Partenza: Campo Moro (m 2000). Itinerario automobilistico: da Sondrio prendere la SP15 della Valmalenco in direzione Lanzada. Alla rotonda in località Vassallini scegliere la prima a dx, attraversare Lanzada (15 km) e seguire le indicazioni per Franscia (5 km), da cui altri 5 km di tortuosa strada asfaltata guidano fino a Campo Moro. Si può lasciare l'auto nel parcheggio sottostante al Bar Poschiavina e al rifugio Zoia. Itinerario sintetico: Campo Moro (m 2000) base della diga (m 1933) - rifugio Carate (m 2636) bocchetta delle Forbici (m 2660) - vallone dello Scerscen (m 2450) [oppure rifugio Marinelli (m 2813) - passo Marinelli occidentale (m 3086)] - bivacco Parravicini (m 3183) - passo Sella (m 3269) - base canalone (m 3200 ca.) - spalla di quota m 3598 - anticima N (m 3920) pizzo Roseg (m 3936). Le Montagne Divertenti Tempo previsto: 10 ore per la salita. Attrezzatura richiesta: corda, casco, imbraco, piccozza, ramponi, moschettoni, cordini. 2-3 Difficoltà/dislivello chiodi in complessivamente oltre 2600 m. da ghiaccio, salita: 5 su 6 / Dettagli: AD. Ascensione che richiede buona pratica d'alta montagna. Passaggi su ghiacciai crepacciati, canali ripidi, pendii ghiacciati e rocce esposte (III max). Mappe consigliate: Carta Escursionistica Valmalenco, 1:30000; Kompass n. 93, Bernina, 1:50000; CTS n.1277, Piz Bernina, 1:25000. Numeri utili: rifugio Carate (0342 452560), rifugio Marinelli (0342 511577) Estate 2011 ono le 5 di mattina e una timida luce inizia a scioglier la notte di Campo Moro (m 2000). Scendiamo la strada che ci porta sul coronamento della diga e lo attraversiamo al chiaro dei lampioni, quindi alcuni tornanti ci abbassano nello spiazzo alla base della diga (m 1933). L'aria pungente e la nausa per le poche ore di sonno miste ad una forte influenza mi accompagnano sul ripido sentiero per i rifugi Carate e Marinelli. E' un attimo e il lago è già più basso di noi, mentre il pizzo Scalino s'affaccia maestoso sulla valle di Campagneda. Dopo mezz'ora siamo al poggio di quota 2140 e, mentre giriamo l'angolo per entrare nella valle di Musella, facciamo un inchino al Disgrazia che ruggisce incendiato dall'alba, proprio dietro il Sasso Alto e le piste del Palù. Quante volte ho fatto questo sentiero e anche questo lungo traverso pianeggiante che porta ai Sette Sospiri, le sette faticose collinette per la Carate. Questi dossoni non sono altro che i lobi sovrapposti di un enorme rock glacier esaurito. Mi gela il naso e, tra un colpo di tosse e l'altro, alzo gli occhi verso le cime di Musella quando appare la spaventosa cresta SO del Roseg, lassù dietro la bocchetta delle Forbici. Pochi minuti e tutto svanisce nascosto dai Sospiri. La neve comincia solo vicino alla Carate; rispetto all'anno passato ce n'è davvero una miseria. Scolliniamo alla bocchetta delle Forbici (m 2660, ore 2:15) e siamo sul fianco orientale del vallone dello Scerscen. Il Roseg è là in fondo alla valle, possente e affascinante. La neve dura ci aiuta a intercettare velocemente il Le Montagne Divertenti Il Disgrazia e Campolungo dalla valle di Musella (11 settembre 2010, foto Beno). La cresta NO del Roseg s'erge maestosa sopra il rifugio Carate (11 settembre 2010, foto Beno). Il gruppo del Bernina specchiato nel laghetto delle Forbici (16 luglio 2006, foto Roberto Moiola). Pizzo Roseg (m 3936) 59 Alpinismo Valmalenco Pizzo Argento Pizzo Roseg Monte Scerscen Pizzo Bernina Cresta Guzza Rifugio Marinelli Il gruppo del Bernina dal monumento agli Alpini. In rosso la via al Parravicini dal vallone dello Scerscen, in giallo quella dalla Marinelli per il Passo Marinelli Occidentale (14 giugno 2009, foto Beno). vallone di Caspoggio, compreso tra le bastionate del rifugio Marinelli e le cime di Musella. ra si presentano 2 possibilità: passare al rifugio Marinelli (m 2813)1, o forzare una scorciatoia che porta direttamente al bivacco Parravicini. Optiamo per la brevità2 e traversiamo il vallone di Caspoggio scendendo (NNO) fino alla base occidentale (m 2450 ca., ore 0:40) dei contrafforti rocciosi cu cui sorge la Marinelli3. Entrati nel vallone dello Scerscen, per pietraie e morene risaliamo a sx (NO) fino alla dorsale rocciosa che divide le due colate principali del ghiacciaio dello Scerscen Superiore. La parte bassa della dorsale è solcata verticalmente da un ripido canale nevoso. Ci inerpichiamo e, dopo alcune brevi roccette (II) sbuchiamo sullo Scerscen Superiore. Alla nostra sx (O) la seraccata della lingua principale del ghiacciaio percipita a valle. O Il rifugio Marinelli e il morente ghiacciaio di Caspoggio (16 luglio 2006, foto Roberto Moiola). Il bivacco Parravicini sul ghiacciaio dello Scerscen Superiore (5 maggio 2011, foto Beno). 60 Le Montagne Divertenti 1 - Per arrivare al rifugio Marinelli dal vallone di Caspoggio ci vogliono circa 30 minuti. Dal rifugio si prende poi il per sentiero segnalato (NE) che per pietraie e liste nevose arriva al passo Marinelli Occidentale (m 3086). Quindi si mettono i ramponi e si procede in cordata con un ampio arco da dx a sx sul ghiacciaio dello Scerscen Superiore fino a raggiungere il bivacco Parravicini (m 3183, ore 2:30 dal rifugio Marinelli). 2 - Variante non segnalata consigliata solo ai più esperti. 3 - Il rifugio è stato costruito nel 1880 dalla Sezione Valtellinese del CAI ed è il più grande della provincia di Sondrio. Inizialmente chiamato rifugio Scerscen, venne intitolato nel 1882 all'alpinista fiorentino Damiano Marinelli caduto sul monte Rosa. In seguito venne consacrato anche a Luigi Bombardieri, figura di spicco dell'alpinismo Valtellinese, precipitato nel vallone di Caspoggio durante il tentativo di raggiungere la Marinelli con l'elicottero (28 aprile 1957). Estate 2011 I nsistiamo verso N e ci leghiamo in cordata perchè iniziano a vedersi le bocche dei crepacci golosi. Chissà come sono affamati dopo il risveglio dal letargo invernale! Sul manto bianco, oltre alle nostre, ci sono le impronte di una lepre. "Ma cosa mangerà?" ci domandiamo. Quando le pendenze scemano, viriamo a sx (O) e traversiamo al cospetto della parete S del Roseg in direzione del bivacco Parravicini4 (m 3183, ore 2). Il bivacco è uno scatolotto panna e rosso aroccato su un pulpito che domina la vedretta di Scerscen Superiore da un lato e la colata glaciale che scende dal pizzo Sella e precipita nel vallone dello Scerscen dall'altro. Il paesaggio è delizioso e dormire un'oretta sul piccolo piazzale ci ricarica le batterie. Al risveglio vediamo un ermellino marrone che corre giù per il canale del Sella. "Cosa ci fa qui? Cosa mangierà in mezzo al ghiacciaio?" chiede Andrea. "La lepre!" rispondo io. "Ma dai, l'ermellino è grande la metà della lepre." "Sì, ma l'è pìscen e catìf! " aggiungo ridendo mentre ci affrettiamo a rifare gli zaini e mettere gli occhiali da sole prima di prendere l'oftalmia. cendendo verso N la cresta su cui sorge il bivacco, arriviamo in breve a un piccolo intaglio, quindi, attraversiamo la conca nevosa (sx, Roseg, Scerscen e Bernina dal ghiacciaio dello Scerscen Superiore (5 maggio 2011, foto Beno). Pizzo Sella (3511) Passo Sella (3269) Il pizzo Sella e il tracciato per il passo Sella dal bivacco Parravicini (2 settembre 2006, foto Beno). S 4 - Fu inaugurato il 2 agosto 1936 per ricordare Agostino Parravicini, morto nel tentativo d'ascendere la cima di Zocca per il versante S. Il bivacco è molto spartano e al suo interno ha 6 cuccette. Le Montagne Divertenti Il canalino che porta al ghiacciaietto sospeso a O della spalla del Roseg (4 aprile 2011, foto Beno). Pizzo Roseg (m 3936) 61 Alpinismo Valmalenco 3 4 2 1 La normale di salita al Roseg vista dai pizzi Gemelli (4 aprile 2011, foto Beno). 1- il ghiacciaietto sospeso; 2- spalla di quota 3598; 3- anticima N; 4- pizzo Roseg (m 3936). Gemelli, La Sella e Gluschaint dal ghiacciaietto sospeso del Roseg (5 maggio 2011, foto Beno). La vetta del Roseg dalla sua anticima N (5 maggio 2011, foto Beno). 62 Le Montagne Divertenti NO) che culmina al passo Sella (m 3269, ore 0:20). Siamo sul confine tra Italia e Svizzera, alla base della cresta SO del Roseg, sullo spartiacque tra Scerscen Inferiore e Vadret da Sella. Ci abbassiamo a NO sul Vadret da Sella. A dx è la rossa parete SO del Roseg. Perdiamo circa 70 metri e siamo alla base di un canalino nevoso che s'alza in direzione N e ci porta a una specie di ghiacciaietto sospeso. Lo percorriamo in leggera salita fino alle rocce che limitano il ghiacciaio a N. Proprio a ridosso di questi contrafforti si incunea un ripido canale (dx, E) che ci consente di rimontare la spalla NO del Roseg (m 3598, ore 1:30). Su per il pendio notiamo dei segni di ramponi. Dev'essere una persona sola. Constatiamo l'assenza di segni di piccozza o di racchette e alcuni zig zag alla ricerca dei punti più ghiacciati, facendo ipotesi bizzarre su chi sia l'equilibrista, ammiriamo l'immenso paesaggio che s'è aperto, sia a O sul Vadret da Roseg, con le cime dei Gemelli, della Sella e del Glüschaint, sia a E coi ghiacciai e le pareti dei versanti occidentali di Roseg, Scerscen e Benina. La mia influenza deve essersi evoluta in TBC e scandisco ogni passo con almeno due colpi di tosse. Mi pare di avere la gola foderata di lana vetrata. Sopra di noi luccica il cono ghiacciato dell'anticima N del Roseg. Insistiamo sull'ampia dorsale nevosa (S) e, superato un crepaccio, ci porEstate 2011 tiamo sulla selletta a E di un grande sperone roccioso della cresta occidentale. A questo punto la via è ovvia: si piega a sx (SE) e risalendo la sempre più ripida china nevosa siamo sull'anticima N (m 3920, ore 1). Qui l'alpinista misterioso si svela coi suoi sci. E' un nostro amico caspöcc' che ha preso una settimana di ferie e sta sciando per i fatti suoi su tutte le cime del gruppo. Gli chiedo perché la sua traccia zigzagasse e lui mi risponde che era stanco e voleva prender fiato. Ci dice che ci ha già battuto traccia per la vetta e ci saluta. Lo ringraziamo, ma non osiamo chiedergli perché non abbia mai usato la piccozza. Lo guardo far serpentine sulla neve crostosa quando, all'improvviso, un attacco gli si smezza. Lui con l'agilità d'un gatto rimane in piedi, ma lo sci vola e si pianta sull'orlo del baratro. Che colpo di ...! Il ragazzo allora, per nulla turbato, recopera lo sci rotto, mette le assi nello zaino e se ne va correndo giù per i pendii crepacciati e ghiacciati. Capiamo che per lui la piccozza non è necessaria, su questi declivi è spensierato come fosse su un prato! all'anticima la vetta appare lontana a E, separata da due selle nevose che portano a una lama di rocce sospesa tra immani precipizi. Molti perciò arrestano qui la propria scalata. Iniziamo la discesa alla prima sella, da cui saliamo a una successiva gobba di cui evitiamo la sommità tagliando per la sua faccia sx. Il ghiaccio crea molta apprensione: se si cade si pre- D Le Montagne Divertenti Dalla vetta del Roseg si ammira l'intero gruppo del Bernina e in particolare il vertiginoso versante occidentale del monte Scerscen col suo "naso di ghiaccio" (5 maggio 2011, foto Beno). Il pizzo Roseg da N (ben visibile l'anticima N) e Vadret da Tschierva (foto Luciano Bruseghini). cipita per centinaia di metri! Ma per evitare il ghiaccio bisogna avvicinarsi troppo alla cresta e ci sono delle cornici instabili. Dei boati di cui non capiamo la provenienza aumentano il nostro disagio. Raggiunto il successivo intaglio arrampichiamo sullo stretto filo di rocce rotte e neve, quel filo su cui le vecchie guide raccomandavan prudenza per non esser soffiati via dal vento. Circa a metà scalata c'è il passo più difficile (III). La cresta infine spiana e ci guida fino al pizzo Roseg (m 3936, ore 0:40). Una stretta di mano. Sono le 14:30. Le sensazioni in vetta sono uniche: pare di essere sospesi in aria, è magnifico! Facciam foto, ma credo non ci sia altro modo di descrivere a qualcuno questi posti che invitarlo ad andarci con le proprie gambe. Ad aumentare il senso di vertigine poi ci pensa la coltre ghiacciata che ricopre il monte Scerscen e che sembra poter precipitare da un momento all'altro nel baratro del versante N. a discesa si rivela anch'essa lunga. Il sole ha scaldato la neve e i ponti sui crepacci non tengon più, così finisco dentro a un paio di buchi. Devo ammettere che la corda torna utile qualche volta! opo aver nuovamente dormito nel piazzale del bivacco Parravicini, col sole già basso sull'orizzonte ci decidiamo a divallare e alle 21 siamo di ritorno a Campo Moro. L D Pizzo Roseg (m 3936) 63 Ghiacciai Valmalenco Davide Gotti Riccardo Scotti G randi ghiacciai sotto superbe pareti di roccia e piccoli laghetti pro glaciali sono la caratteristica dei ghiacciai alpini da qualche decennio a questa parte. Li si vede dal balcone del rifugio Marinelli guardandosi intorno a 360° intanto che ci si riposa dalla lunga salita. L'area che gravita attorno al rifugio Marinelli, oltre che ad avere un grande interesse alpinistico, è anche molto importante per chi studia la dinamica glaciale sia passata che presente. I due evidenti gradoni su cui poggiano i ghiacciai dello Scerscen Superiore e Inferiore sono dati dalla sovrapposizione tettonica delle rocce della falda del Bernina sulla falda del Sella a sua volta sovrapposta sulle serpentiniti della Valmalenco. 1970 E. Baracchi L' architettura del paesaggio sviluppatasi durante il sollevamento delle Alpi ha reso possibile che nello spazio compreso tra i due gradoni si accumulassero enormi quantità di neve diventata poi ghiaccio. 22000 anni fa durante l’ultima massima espansione glaciale, identificata dagli studiosi con l'acronimo LGM (Last Glacial Maximum), tutta l’area che circonda il rifugio Marinelli costituiva per la gran parte il circo del ghiacciaio di Scerscen. La superficie del ghiacciaio nella zona più alta raggiungeva una quota di circa m 3240. Ciò è riscontrabile dal curioso masso erratico poggiato sopra il pinnacolo di roccia che si erge dalla vedretta dello Scerscen Superiore e ben visibile procedendo verso il passo Sella: la presenza di questi massi in bilico su creste e crinali, quando si è certi che non derivino da frane, testimoniano che il ghiacciaio ha raggiunto quella determinata posizione depositando i detriti trasportati sulla sua superficie. Il ghiacciaio, una volta valicata la dorsale del bivacco Parravicini, si abbassava rapidamente a m 26602640, all’incirca presso lo spartiacque destro della valle dello Scerscen Infe- 64 Le Montagne Divertenti Estate 2011 Le Montagne Divertenti Ghiacciaio di Scerscen: “Ricopre quasi completamente di un bianco mantello l’inclinato pianoro che dai Pizzi Tremoggia, Malenco, Entova, scende ad est verso il vallone di Scerscen giungendo colle sue prime radici a rivestire i pendii nordorientali delle suddette cime”. Così si esprimeva il grande Giuseppe Nangeroni nel lontano 1928 nel descrivere quello che allora era, assieme al contermine Scerscen Superiore, uno dei più grandi ghiacciai italiani, la cui superficie complessiva ammontava a ben 1510 ha. Già a fine 800 il ghiacciaio si ritira di 800 m dalle morene frontali mentre nonostante le fasi positive degli anni 10’-20’ del 900’ la fronte complessivamente perde 427 m da 1897 al 1928. In seguito il continuo regresso di questo enorme ghiacciaio ha portato negli anni 40’ alla suddivisione in Inferiore (foto pag. 64) e Superiore (foto pag. 65). Al 2007 la somma della superficie dei due ghiacciai ammonta a 954 ha per una riduzione complessiva, dall’apice della PEG, di quasi il 40%. Il ritiro lineare della fronte è impressionante ed ammonta a 3,8 km. I ghiacciai dello Scerscen 65 Speciale ghiacciai Alpinismo Valmalenco Ghiacciaio dello Scerscen Inferiore Ghiacciaio dello Scerscen Superiore Ghiacciaio di Fellaria Ovest Ghiacciaio di Fellaria Est Ghiacciaio Marinelli Panoramica sui ghiacciai di Scerscen e di Fellaria dalla punta Marinelli (luglio 2004, foto Riccardo Scotti). Il forte ritiro del ghiacciaio di Caspoggio negli ultimi 12 anni è documentato da queste due immagini tratte dall' archivio del Servizio Glaciologico Lombardo (9 settembre 1997, foto L. Arzuffi / 24 settembre 2009, foto S. Alberti). Ghiacciaio di Caspoggio: Durante la PEG il ghiacciaio confluiva nel grande ghiacciaio vallivo di Scerscen, allora unitario. In seguito, fatta eccezione per alcuni brevi periodi, è stato oggetto di una continua, accentuata, fase di regresso, tutt'ora in atto. Nel 1897, nel corso della sua prima esplorazione, Marson rileva che il ghiacciaio si addossava ancora alla lingua orientale del ghiacciaio di Scerscen. I primi segnali di misura vengono però collocati da Corti solo nel 1926 quando il ghiacciaio si era già notevolmente allontanato dallo Scerscen. Nel 1958 la sua superficie viene stimata in 80 ha. Il regresso successivo l’ha portato ai 52,5 ha del 1990 con la fronte che terminava a 2620 metri costringendo a spostare più in basso il sentiero per il rifugio Marinelli, essendo divenuto il passaggio sul ghiacciaio troppo ripido e pericoloso. Il regresso è poi continuato senza sosta fino ai giorni nostri quando la superficie si è ridotta fino ai 33,3 ha del 2007 con un ritiro lineare superiore al chilometro. 66 Le Montagne Divertenti riore. In seguito, dopo aver preso la colata glaciale della valle di Musella, confluiva nel ghiacciaio della valle della Lanterna, il quale, dove ora sorge Chiesa in Valmalenco, si univa alla lingua glaciale proveniente dal ghiacciaio del Ventina e formava il ghiacciaio Valmalenco che a sua volta confluiva nel ghiacciaio della Valtellina a una quota di circa m 1950. A questo periodo risalgono le rocce montonate e striate che si trovano salendo al passo Marinelli e presso la fronte degli altri ghiacciai della zona. Queste rocce arrotondate sono il prodotto dell’asportazione delle porzioni più superficiali della roccia da parte dei ghiacciai e striate dai sassi imprigionati alla base della massa di ghiaccio che si muoveva verso valle. 15500 anni fa (stadio di Daun) il ghiacciaio di Scerscen si spingeva fino alla piana di Musella, dove è tutt'ora visibile la morena. Nella prima espansione della PEG1 (1550) tutti i ghiacciai della zona erano uniti in un unico ghiacciaio la cui fronte arrivava quasi alla seconda piana alluvionale che si incontra salendo la valle di Scerscen da Franscia. Aree emerse dal ghiaccio erano costituite dalle pareti tra il ghiacciaio di Scerscen Inferiore e il ghiacciaio di Scerscen Superiore e dalla cresta del rifugio Marinelli. A est di tale cresta alcune lingue pro1 - Piccola Età Glaciale (1550-1860). Estate 2011 venienti dallo Scerscen Superiore andavano a occupare parzialmente delle depressioni. Resti delle morene che testimoniano questa avanzata si possono trovare poco sotto il lago Scarolda e lungo le trincee formatesi per rilascio gravitativo poste più in basso sul versante ovest del monte delle Forbici. In questo periodo il solo ghiacciaio di Scerscen-Caspoggio copriva una superficie pari a circa 18 km2. Nel 1860, l'ultimo picco di espansione della PEG2, i ghiacciai dello Scerscen Superiore e Inferiore erano uniti in unico ghiacciaio vallivo (il grande ghiacciaio dello Scerscen) che colmava l'intero vallone dello Scerscen, come testimoniano le foto di Guler (1890). Il grande ghiacciaio dello Scerscen costituiva un unico apparato con quello di Fellaria ed era il più esteso della Lombardia. D a allora è proseguito un veloce regresso che ha fatto smembrare il grande ghiacciaio dello Scerscen in molti individui e ha fatto depositare edifici morenici nelle zone proglaciali.3 Il ritiro dei ghiacciai nel XX secolo è stato interrotto solo da modeste avanzate durante gli anni ‘20 e all’inizio degli anni ’80. La deglaciazione ha creato laghi pro glaciali (posti davanti al ghiacciaio), erosione da parte dei torrenti glaciali delle forme precedenti e la creazione di piane alluvionali caratterizzate da terrazzi di detrito fluviale e da alvei torrentizi abbandonati chiamati sandur. Negli ultimi 20 anni il regresso si è fatto ancor più violento tanto che l’intero settore del Bernina ha perso alcuni ghiacciai minori (come i piccoli apparati nati dal ritiro del Fellaria Occidentale e del Sasso Moro, o il glacionevato della Bocchetta di Caspoggio) e ha visto una drastica riduzione anche dei principali con una evidente perdita di spessore anche alle alte quote4. Complessivamente dal 1991 al 2007 la perdita di superficie è stata del 18% il che equivale a 4,2 km2 di ghiaccio perso. 3 - L’evoluzione dei ghiacciai durante il secolo scorso è molto ben documentata dalle fotografie storiche presenti sul sito del Servizio Glaciologico Lombardo (www.servizioglaciologicolombardo.it). 4 - Le temperature sono cresciute anche in quota: basti pensare che fino a vent'anni fa non si erano mai registrate piogge al rifugio Marco e Rosa, mentre ora sono frequenti nel periodo estivo. La separazione fra i due Scerscen è avvenuta negli anni 40’ del secolo scorso mentre la separazione tra lo Scerscen Superiore ed il Fellaria è avvenuta solo nell’ultimo ventennio. Agli anni '40 risalgono le imponenti morene laterali, alte oltre 60 metri, visibili nel vallone dello Scerscen dalla Marinelli. 2 - Durante la PEG si sono registrate due massime avanzate dei ghiacciai: una nel 1600 e l’altra nel 1860. Le Montagne Divertenti I ghiacciai dello Scerscen 67 Alpinismo Pizzo Tambò (m 3278) primo in valchiavenna Beno 68 Le Montagne Divertenti La piramide sommitale del Tambò e il ghiacciaio del Tambò visti alla calotta nevosa di quota 3065 (24 agosto 2008, foto Roberto Moiola - www.clickalps.com). Estate 2011 Le Montagne Divertenti Pizzo Tambò (m 3278) 69 a, Alpinismo Lattenhorn (2858) Pizzo Tamborello (2669) N Il pizzo Tambò dal lago di Montespluga (19 ottobre 2010, foto Cesare Contin). Partenza: passo dello Spluga (m 2115). Itinerario automobilistico: da Colico si Bellezza segue la SS 36 dello Spluga fino al passo dello Spluga. Si può lasciare l'auto nel parcheggio che precede la dogana (74 km). Fatica Pericolosità i a pied ied i in Italia ap 1 kking i e tre rsion , escu lla natura te ia g a de sseg 74 pa a scopert all rdia mba i in Lo a pied GA Difficoltà/dislivello: 3- su 6 / circa 1200 m. Dettagli: EE/ alpinistica f-. La salita, a stagione sintetico: passo dello Spluga (m 2115) - pizzo Tamborello (m 2669) - Lattenhorn (m 2858) - anticima del pizzo Tambò (m 3096) - Pizzo Tambò (m 3278). inoltrata, è senza difficoltà alpinistiche ma nell'ultimo tratto presenta rocce un erte e instabili. In caso di neve residua e dura la salita in vetta richiede l'uso dei ramponi. Tempo di salita previsto: 3 ore e mezzo. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Mappe: Kompass foglio n.92, Valchiavenna e Val Bregaglia, 1:50000. RDIA A B M LO in Abbigliamento per l'alta montagna Gli scarponi devono essere adatti a camminare sulla neve. Una piccozza può tornare utile nei tratti su nevaio. Itinerario Vol. 1 e 2 Il pizzo Tambò (m 3278) ha inconfondibile forma piramidale e s'innalza all'estremità nord occidentale della Valchiavenna, proprio sul confine italo-svizzero. Segna l'inizio delle Alpi Leopontine, il cui gruppo prosegue verso ponente fino al passo del Sempione. È la più alta cima della Valchiavenna e anche l'unica a superare i m 3200. E' la prima vetta di rilievo salita (alpinisticamente) nella nostra provincia (1828), e forse una delle più semplici che superano i 3000 delle alpi. Pizzo Tambò (3278) da. ito are team di ia di med : regione ni, hislanzo to na coordi ina ltura alp Valchiavenna A piedi in Lombardia vol. 1 Una guida ai sentieri più belli delle Alpi e Prealpi lombarde 74 passeggiate, escursioni e trekking alla scoperta della natura E' in libreria la terza edizione, completamente rinnovata, della guida “A piedi in Lombardia” (Iter Edizioni, 264 pagine, € 14), curata da un team di autori – escursionisti, alpinisti, giornalisti e accompagnatori di media montagna – esperti frequentatori delle montagne lombarde, coordinati da Beno e Giorgio Orsucci de Le Montagne Divertenti. Dalle nevi perenni del pizzo Bernina ai laghi di Como e della Brianza, dal pizzo Coca al lago Maggiore, con passeggiate classiche e frequentate, ma anche con una moltitudine di itinerari insoliti e sorprendenti che per la prima volta han voce in una guida. E così, scarpinando dai vigneti alle immani torri di granito della ValMàsino, dalle riviere fiorite fino alle guglie di calcare del lecchese, escursionisti ed amanti della natura - di ogni gamba e preparazione - troveranno in questo volume una ineguagliabile fonte di ispirazione per il proprio tempo libero. :09 /10 15 09/07 0 E 14,0 Questo libro contiene 74 itinerari fra cui il pizzo Tambò. Lo puoi ordinare dal sito www.lemontagnedivertenti.com 70 Le Montagne Divertenti Estate 2011 onostante ciò, risiede in una delle più litigate porzioni cartografiche del bacino idrografico dell'Adda: quote, nomi e localizzazioni sono tutt'altro che univoche. Pensiamo alla quota dello stesso Tambò: la Kompass riporta m 3274, la CTS m 3278, l'Istituto Geografico de Agostini m 3279, l'IGM m 3275, la Guida dei Monti d'Italia lo quota m 3276. Quale è perciò il valore giusto? Ipotizzando valido l'ultimo aggiornamento della CTR che indica la cima a m 3278.4 possiamo scegliere la quota m 3278 per questo articolo. Altro chiarimento, prima di parlarvi della salita, merita la toponomastica della cresta che sale dal passo dello Spluga, su cui indichiamo - in contrasto con molti testi - la quota 2667 come pizzo Tamborello e la quota 2861 come Lattenhorn. Entrambe sono elevazioni prive di significato orografico, ma utili nella descrizione del tracciato. Pur avendo scarso ingaggio alpinistico e, dopo il ritiro dei ghiacciai, una normale di salita piuttosto monotona per tipologia di terreni, il pizzo Tambò offre ai suoi avventori dei paesaggi incredibili, vastissimi ed entusiasmanti. Questa sarà la ragione per scalarlo. Non sottovalutiamo comunque il gigante della Valchiavenna: data la sua collocazione geografica è soggetto a repentini cali della temperatura o a sviluppare dei microclimi locali davLe Montagne Divertenti vero imprevedibili. Vi dico solamente che quando l'ho salito per la prima volta nel luglio 2005 a Chiavenna c'erano ben più di 30°C mentre in vetta al Tambò si stava scatenando una bufera di neve e la croce di vetta era rivestita da 30 cm di ghiaccio! Siate perciò accorti nel preparare lo zaino e, accanto al bikini, mettete sempre giacca, guanti e pantaloni lunghi. I ghiacciai sia sul versante SE che NE e NO della montagna sono stati flagellati dal riscaldamento globale del XX secolo. Per ciò che riguarda gli italiani, il ghiacciaio di Tambò inferiore, descritto dal Pignanelli (1931) come apparato indipendente giacente nella conca dei laghetti del Tamburello, proprio a S del Lattenhorn, fu dichiarato estinto già negli anni '40. Il ghiacciaio di Tambò è solo l'ombra della lente glaciale che un tempo ricopriva il versante SE della montagna. Nonostante ciò si attraversano pendii innevati su cui è meglio indossare scarponi adatti. Visti dal Fil Marsc, il pizzo Tambò e il ghiacciaio del Tambò svettano sopra la cresta del Cardine (29 agosto 2010, foto Egidio Guanella). Pizzo Tambò (m 3278) 71 Alpinismo Valchiavenna I primi dossi della lunga spalla E del pizzo Tambò. Sullo sfondo il gruppo del Teurihorn (24 agosto 2008, foto Roberto Moiola). L a salita al pizzo Tambò ha inizio dalla dogana al passo dello Spluga (m 2115). Da dietro all'edificio prendiamo il sentiero segnalato che s'alza lungo i prati (O). In realtà dire "il sentiero" è un eufemismo: ci sono numerosissime vie marcate da ometti di pietra e tutte portano verso la cima senza particolare impegno. Noi vi consiglieremo comunque un tracciato per la salita e uno per la discesa per offrire maggiore varietà paesaggistica. La via di salita si svolge più o meno lungo la linea di confine, superando una serie di dosselli e appoggiandosi in seguito al versante valchiavennasco. Raggiunta la modesta elevazione del pizzo Tamborello (m 2669), insistiamo sullo spartiacque fino al Lattenhorn, segnalato da grossi gendarmi (m 2858). Interessante uno sguardo verso il suo scosceso versante NO con alcune belle lenti glaciali. Il Lattenhorn è una delle mete più amate dagli scialpinisti svizzeri. I laghetti di Tamburello e il lago di Montespluga. Dritto sopra l'escursionista il gruppo del Suretta (24 agosto 2008, foto Roberto Moiola). Diretti verso OSO, disarrampicando su facili roccette (I/II), scendiamo nella depressione de La Sella (m 2810). E' giunto il momento di abbandonare lo spartiacque e portarci a sx nella vallecola che ci guida pochi metri sotto cresta (rottami/ liste di neve) fino alla calotta nevosa quotata 3065 su CTR (ore 2:45). Scesi qualche metro (NO) in una depressione, traversiamo la parte sommitale del ghiacciaio del Tambò e raggiungiamo la base della piramide di vetta: un ammasso di scisti friabili. Dopo un primo tratto su rottami, il tracciato si porta sul versante S del monte e si fa un po' aereo fino a raggiungere la lama sommitale. Una croce indica il punto culminante (pizzo Tambò, m 3278, ore 0:45). l panorama è spettacolare: si distinguono a SO sia il monte Rosa (m 4634) che il Cervino (m 4478) e, se le condizioni meteo son buone, anche il gruppo del Gran I 1 2 Paradiso (m 4061); sul lato opposto della val Loga sono il pizzo Ferrè (m 3103) e il pizzo dei Piani (m 3148) con i loro ghiacciai, mentre verso E il gruppo del Suretta (m 3027) fa da divisorio tra le verdeggianti valle dello Spluga (dx) e la valle del Reno (sx). A N è il gruppo del Teurihorn (m 2973), mentre a S, oltre all'inconfondibili pizzo Quadro (m 3013) e pizzo Stella (m 3163,) si può arrivare a scorgere il lontano monte Legnone (m 2609). P er la discesa consigliamo, una volta scesi nella valletta a SE della calotta nevosa di quota 3065, di proseguire verso E e traversare dall'alto la conca che ospita i bei laghetti del Tamburello (in pratica si aggira da S il Lattenhorn). Lasciato il laghetto di quota m 2740 alla nostra dx, puntiamo a ENE (gande) fino a riprendere la via di salita appena a E del pizzo Tamborello. In circa 2 ore e 30 siamo di ritorno alla dogana al passo dello Spluga. 3 L'impressionante estensione dei ghiacciai di Tambò, Zoccone, val Loga, Ferrè e pizzo dei Piani in una cartolina degli anni '20 (archivio Cittarini). Dalla vetta del Tambò verso il (1) pizzo Ferrè (m 3103). Nella stessa direzione emergono il pizzo Quadro (m 3013) e il pizzo dei Piani (m 3148). Si noti il consistente ritiro dei ghiacciai rispetto alla foto a fianco (24 agosto 2008, foto Roberto Moiola). 72 Le Montagne Divertenti Le Montagne Divertenti Estate 2011 Pizzo Tambò (m 3278) 73 Punta della Sfinge e pizzo Ligoncio Beno ai confini del Màsino Avreste mai detto che una vetta del Màsino è punto panoramico sul lago di Como? Questa vetta è il pizzo Ligoncio, bellissima piramide di granito all'estremità occidentale della val Màsino, la cui cresta NNE termina su uno spettacolare avancorpo noto per le sue fattezze come la Sfinge. Pizzo Ligoncio (m 3033), punta della Sfinge e val Ligoncio visti dal sentiero per il rifugio Omio (7 ottobre 2010, foto Beno - www.clickalps.com). 74 Le Montagne Divertenti Estate 2011 Le Montagne Divertenti Sfinge e Ligoncio (m 3033) 75 Alpinismo Passo della Vedretta Meridionale Val Màsino Pizzo Ligoncio (3033) Sella Ligoncino (2758) Sfinge (2805) Pizzo dell'Oro Centrale (2707) Pizzo dell'Oro Meridionale (2696) Passo Ligoncio (2577) Rifugio Omio (m 2128) Bellezza Alpe dell'Oro (1806) Casere Ligoncio (1713) Fatica Pericolosità Partenza: Bagni del Màsino (m 1163). Itinerario automobilistico: da Morbegno seguire la SS 38 verso Sondrio. Appena attraversato il ponte sul Màsino, svoltare a sx all’altezza di Ardenno (5 km a E di Morbegno) e seguire la SP9 della val Màsino fino al suo termine: i Bagni del Màsino (2 km oltre l'abitato di S. Martino). Poco prima dell'impianto termale vi è uno spiazzo sterrato in cui si può lasciare l'auto. Tempo per l'intero giro: 11 ore e mezzo. Attrezzatura richiesta: corda, casco, imbraco, Itinerario sintetico: Bagni del Màsino (m 1163) - alpe dell’Oro (m 1806) - rifugio Omio (m 2128) ruderi di quota 2108 - sella Ligoncino (m 2770) punta della Sfinge (m 2800) - sella Ligoncino - pizzo roccia (IV- max) di buona qualità. Ambiente selvaggio e creste molto aeree. Occorre buon intuito nello scegliere il tracciato migliore. Mappa: Val Màsino, 1:30000 A ll'estremità occidentale della val Màsino, al confine con la val Spassato (val Codera) e la valle dei Ratti, s'alza il pizzo Ligoncio, robusta vetta di granito, famosa per essere punto panoramico di prim'ordine. Il pizzo Ligoncio ha la particolarità di cambiare aspetto a seconda del punto da cui lo si guarda. Se da E o da NE pare una piramide, dalla val dei Ratti è invece un misero dossone, per infine riscattarsi dalla val Spassato, con due enormi pareti, liscie e scure: in val Codera il Ligoncio è infatti noto come Lis d'Arnasca1. a val Màsino poi, per non sfigurare con l'Egitto, accanto alla piramide di granito ha posato la punta della Sfinge, avancorpo NNE del Ligoncio e con cui forma Bagni del Màsino (1163) L A E dei Bagni del Màsino s'apre il grande anfiteatro coi pizzi dell'Oro, il Nodo del Ligoncio, i pizzi della Vedretta, dei Ratti e le cime del Calvo. La valle compresa tra il passo Ligoncio e la costiera del Medaccio prende il nome di val Ligoncio, mentre la metà settentrionale dell'anfiteatro è nota come valle dell'Oro (29 agosto 2010, foto Roberto Ganassa). 76 Le Montagne Divertenti 1 - Lis= liscio, mentre Arnasca era l'antico nome della val Spassato, laterale della val Codera. Estate 2011 Ligoncio per la cresta NNE - discesa per il versante E rifugio Omio - Bagni del Màsino. Le Montagne Divertenti cordini, fettucce, un paio di rinvii (spit fix in via), ramponi e piccozza se c’è neve residua. Difficoltà/dislivello: 4+ su 6 / circa 2200 m. Dettagli: Alpinistica PD. Scalata divertente su il cossidetto Nodo del Ligoncio. a salita a Sfinge e Ligoncio dai Bagni del Màsino è divertente, ma richiede attenzione nei tratti di arrampicata. L 7 ottobre 2010 on si capiscono proprio le intenzioni del meteo di quest’autunno. Nevica, fa freddo, piove, poi torna caldo. Questa prima settimana di ottobre la neve è scappata in quota e l'estate sta dando un colpo di coda. Me ne torno così nel Màsino dove i turisti son fuggiti e la valle è deserta. Voglio salire Sfinge e Ligoncio, due cime che non ho ancora visitato. Parcheggio ai Bagni del Màsino (m 1163 - quota CTR) e parto di buon passo per il rifugio Omio. Oltre lo stabilimento termale, seguo le indicazioni per il rifugio. E' un sentiero N ripido, l'ultima temuta discesa del trofeo Kima in cui i corridori s'involano verso il traguardo dopo aver già corso per oltre 35 chilometri. Cammino nel bosco fitto interrotto solo da due radure a m 1419 e a m 1586 (pian di Fango); raggiungo, al limitar degli alberi, lo spettacolare stallone dell'alpe dell'Oro, un ricovero naturale posto sotto un masso gigantesco (la baita è ricavata sotto un masso appena a valle del sentiero). Attraversata una pietraia esco sugli ampi pascoli che salgono fino alla Omio (m 2128, ore 2:15). Son su in meno di un’ora, sudato come un disperato. Forse meglio calare l’andatura, se no poi chi riesce ad arrampicare? Il rifugio, che fa apertura estiva, è chiuso. Alle sue spalle è il bivacco Silvio Saglio, con 6 posti letto per le emergenze. Sfinge e Ligoncio (m 3033) 77 Val Màsino Alpinismo Attraverso il grande anfiteatro della valle verso S seguendo la traccia che, senza grossi dislivelli, mi porta ai ruderi di quota 21082. Proseguo ancora qualche minuto, evito la deviazione a dx per il passo Ligoncio, e sono allo sbocco del vallone che scende tra Sfinge e Ligoncio in direzione NE. Una dorsale rocciosa separa questa valle da quella (sx) dov'è il ghiacciaio del Ligoncio. Tra erba e gande, bestemmiando contro la nebbia che non mi fa vedere nulla, arrivo fino al misero nevaio sotto la parete che culmina alla cresta Sfinge-Ligoncio. Oltre la lista nevosa partono due canali obliqui paralleli e sfasciumati (I-II) che salgono da sx a dx fino alla sella Ligoncino3, presto raggiunta (m 2770, ore 2:15). Il precipizio che dà in val Spassato (O) è notevole, così come è accuminata e aerea la cresta che porta alla vicina Sfinge. Abbandonato lo zaino arrampico cauto per la lama di granito verso N. La via, seppur semplice (III max), è spittata e mi fa presagire difficoltà che non incontrerò mai. Il superamento senza corda di un paio di brecce è piuttosto emozionante, non tanto per la tecnica richiesta, ma per il vuoto che ho sotto i piedi e per il ghiaccio che a NO fodera il granito. Gli appoggi più logici per fortuna sono tutti sul lato val Màsino e mi permettono per cengette di aggirare le maggiori difficoltà. Gran finale è la paretina che protegge la vetta. Arrampicando sul diedro alla mia sx (10 m, III+/IV-)4 raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30). L’emozione maggiore è guardare a O, giù per la scura e imponente parete che alcuni fortissimi rocciatori, in primis i fratelli Rossano e Valentino Libéra, hanno vinto per impegnative vie dirette 5. In basso si vede il misterioso ghiacciaio d'Arnasca. 2 - Indicazioni per il passo Ligoncio / valle della Merdarola. E' un tratto del Sentiero Life delle Alpi Retiche. 3 - Io ho preso quello di dx, il più basso, ma pure l'altro è ben percorribile. 4 - La guida del Bonacossa (Guide dei Monti d'Italia. Màsino Bregaglia Disgrazia, CAI-TCI, 1936) sostiene erroneamente vi siano passi al più di II grado. 5 - Tra le vie aperte vi sono: Via del Peder (6b), One (7a+) e Leggende del liss (6c+). 78 Le Montagne Divertenti T Sfinge e Ligoncio dallo stallone dell'alpe dell'Oro. Il ricovero si trova sotto un enorme masso a circa metà della salita al rifugio dai Bagni del Màsino (xxxx, foto Roberto Moiola). orno allo zaino per la strada dell'andata (sarebbe consigliabile una calata per superare il diedro sotto la vetta). Dalla sella Ligoncino salgo all'intaglio più a S, il vero punto di comunicazione tra la val Ligoncio e la val Spassato. Evito i primi due speroni della cresta NNE del Ligoncio aggirandoli da E (sx) per cenge e rocce. Seguono un lastrone ben appigliato sul filo di cresta e un buon numero di sassoni che precedono il grande ripiano inclinato verso la val Màsino (m 2850 ca.). Per detriti e neve raggiungo la base della cuspide sommitale, piego a dx (O) e, per lastroni e fessure di varie misure, ritrovo la cresta che mi guida fino in vetta (pizzo Ligoncio, m 3033, ore 2:30). anorama magnifico: e nubi formano un tappeto che da cui emergono solo le vette principali. Il lago di Como, nonostante ciò, appare in uno squarcio alle spalle del Sasso Manduino. A O precipitano 600 metri di parete scura, su ho letto che corrono impressionanti linee di salita. Il sole scalda, mi metto a torso nudo e mi addormento vicino alla croce di vetta coccolato da quella pace surreale endemica dei pomeriggi autunnali in alta quota. Mi sveglio con la bavetta che mi cola dalla bocca su una spalla. E' tardissimo: prenderò notte! Giù a manetta. Scelgo il versante ENE. cendo fino al ripiano a quota 2850, poi proseguo verso NE. Sotto il bordo settentrionale del ripiano (qualche ometto) individuo e prendo la cengia che taglia da E a O e porta al caratteristico arco di roccia formato da un blocco incastrato fra due speroni, al di là del quale è un canale attrezzato (S) per le calate. Lo disarrampico (II+) fino alle pietraie sottostanti. Mi abbasso per traccia sulle placche lisce che sovrastano il piccolo ghiacciaio del Ligoncio. Raggiunta la neve, perdo quindi quota, poi, appena la dorsale rocciosa a sx finisce, traverso a N salendo a sx della quota 2610. Torno così nelle pietraie del lobo settentrionale della valle del Ligoncio da cui, per la via dell’andata, sono ai Bagni del Màsino prima che la notte mi catturi (m 1163, ore 4). P Il rifugio Omio (m 2128) preso d'assalto dagli spettatori del Trofeo Kima, skyrace di 48 km che percorre parte del famoso sentiero Roma (26 agosto 2008, foto Roberto Moiola). La punta della Sfinge vista dalla sella Ligoncino (7 ottobre 2010, foto Beno). Estate 2011 S Le Montagne Divertenti 5 4 6 2 3 1 7 8 1- le cenge oblique; 2- sella Ligoncino; 3- la Sfinge; 4- il ripiano declinante verso val Màsino di quota 2850 ca.; 5- pizzo Ligoncio (m 3033 ); 6- l'arco di pietra; 7- il ghiacciaio del Ligoncio 8 - la quota 2610 . (29 agosto 2010, foto Roberto Ganassa). Valle dei Ratti e Sasso Manduino dalla vetta del Ligoncio. A sx si intravede anche il lago di Como, mentre a dx appare il massiccio del Monte Rosa (7 ottobre 2010, foto Beno). In vetta al Ligoncio par di potersi appoggiare alle nuvole (7 ottobre 2010, foto Beno). Sfinge e Ligoncio (m 3033) 79 Escursionismo Briotti appassionati di montagna 80 Le Montagne Divertenti Estate 2011 Le Montagne Divertenti Briotti e, al centro, val di Ron e vetta di Ron (6 maggio 2011, foto Marino Amonini). Briotti 81 Briotti - rifugio Grioni Escursionismo Beno E cco, finalmente dirà qualcuno di voi, un'escusione adatta a tutta la famiglia, bimbi compresi. E' un itinerario che si svolge a media quota, ma al riparo dalla calura estiva grazie ai fitti boschi e alla frequente e fresca brezza che sale dai torrenti. Non presenta difficoltà di alcuna sorte, anche perché per buona parte segue la pista forestale Paiosa-Armisola. Lo consiglierei anche agli appassionati di mountain bike, che però devono tener conto di tratti ripidi e tecnici. i parte dal parcheggio all'inizio della pianeggiante decauville che collega i Briotti all'invaso del Gaggio di Piateda. Presa la decauville (O), dopo circa 500 metri sulla sx, in corrispondenza di una grande fontana, si stacca la sterrata per Paiosa (m 1135), gruppo di baite incastonate in un delizioso poggio panoramico, imperdibile per i fotografi paesaggisti. Si seguita lungo la pista che, all'ombra di alti abeti, sale piuttosto decisa spostandosi gradualmente a O. Ignorate un paio di piste cieche che si dipartono dall'ultimo e dal penultimo tornante, in lontananza s'inizia a sentire il rumore del torrente Serio. E' il segnale: manca poco a sbucare sui pratoni di Armisola (m 1629, ore 1:50), splendido alpeggio nella conca ai piedi del Rodes. Poco prima delle baite, un cartello (sx) indica i Grioni (sx, E). Si prende così il sentiero che rientra nei boschi e, con alcuni tratti piuttosto ripidi (qui chi è in bici la dovrà portare), attraversa varie vallecole fino ad uscire sul poggio panoramico del rifugio Grioni (m 1862, ore 0:40). Alle sue spalle (S) la cresta da cui prende il nome, mentre a N dominano le cime del versante retico con, in primo piano, il massiccio della vetta di Ron. Inizia il ritorno, che è per il tratturo di servizio grazie al quale è stato portato su il materiale per ristrutturare la baita. Per prenderlo si scende a NE del rifugio (dx guardando la vetta di Ron). Ripidamente, curva dopo curva, la pista sfocia sull'ultimo ramo cieco della Paiosa-Armisola. Lo si percorre verso E (sx) e riecco la via nota, poco sopra a un tratto in cui il fondo è di cemento. Per la strada di salita, si torna a ritroso all'auto (m 1030 ca., ore 2). S Il nuovo rifugio Grioni (m 1862), si trova su un poggio panoramico ai piedi della omonima cresta (10 settembre 2010, foto Marino Amonini). Bellezza Partenza: Briotti, inizio della decauville per il Gaggio (m 1030 ca.). Itinerario Fatica Pericolosità - automobilistico: da Sondrio si prende la SS38 in direzione Tirano. Appena prima di Chiuro, in località Casacce (5 km dalla fine della tangenziale di Sondrio), si esce a dx in direzione di Arigna/Briotti. Si attraversa l'Adda e si segue la strada comunale per Arigna/Briotti fino in località Fontaniva (km 14 da Sondrio) dove c'è un trivio (tornante). Seguire a dx per Briotti, raggiungere il ristorante La Tana del Grillo (3 km), poco oltre si lascia l'auto al piccolo parcheggio da cui inizia la decauville che porta al bacino del Gaggio di Piateda. Itinerario sintetico: Briotti (inizio della decauville per il Gaggio, m 1030 ca.) - Paiosa (m 1135) Armisiola (m 1629) - Grioni (m 1862) - Paiosa (m 1135) - Briotti. Difficoltà/dislivello 1 su 6 / 850 metri. in salita: Tempo previsto: 4 ore e mezzo per l'intero giro. Dettagli: E. Itinerario su sentieri segnalati/ strade sterrate privi di qualsiasi difficoltà. Adatto anche alla mountain bike, ma solo per ciclisti con buona tecnica. Mappe: Kompass n. 93 (Sondrio - Bernina). L'escursione proposta offre splendidi panorami sulle Alpi Retiche. Qui un magnifico scorcio sulla vetta di Ron (12 maggio 2010, foto M. Amonini). 82 Le Montagne Divertenti Estate 2011 Le Montagne Divertenti Il caratteristico nucleo di Paiosa (4 novembre 2007, foto Beno). Armisola, alpeggio alle pendici NO del pizzo Rodes (5 agosto 2007, foto Marino Amonini). Briotti 83 Alpi Orobie Approfondimenti I Splinc di Briotti Marino Amonini N on c’è analisi, relazione, convegno sulla montagna dove non si evidenzia la necessità che questa sia presidiata. Ragioni economiche e di costume hanno determinato nell’ultimo mezzo secolo prima il progressivo spopolamento, poi l’abbandono delle colture, quindi l’incuria dei boschi ed il degrado del territorio. Un quadro sconsolante, che, con qualche eccezione, ritrae la maggior parte dei nostri luoghi. Nello spirito della rivista che le montagne le vuole “divertenti”, ossia che queste siano vive, scarpinate, osservate e amate, piace raccontare le storie di coloro che la montagna l’hanno radicata nell’animo, tanto da esserne tenaci, coerenti ed orgogliosi protagonisti. Ogni giorno dell’anno, per una vita intera. Dimostrazione d'uso della falciatrice telecomandata: è in grado di compiere il lavoro di 5 uomini tagliando anche piante fino a 3 cm di diametro (6 maggio 2011, foto Marino Amonini). Arialdo e Amerino Donati a Briotti(6 maggio 2011, foto Marino Amonini). Briotti, avamposto orobico in comune di Ponte Valtellina, con i suoi m 1060, è uno dei pochi borghi in quota escludendo quelli vocati al turismo e dotati di infrastrutture e impianti – a essere abitato e vissuto tutto l'anno. PIETRO (Pezza) Oggi attivissimo ottantatreenne, racconta gli anni difficili e duri sui cantieri Falck di Frera nel ’56, poi a Dongo, quindi alla diga di Santo Stefano. Nel ’63 la svolta: con Bruno Berniga aprono l’impresa, presto ingaggiano 7/8 operai e si buttano a capofitto nel lavoro che non manca. Sposa Nerina Proh con la quale ha due figli. Una ventina di anime, non di più, in inverno. Qualche centinaio in estate, quando il bel tempo fa riaprire le seconde case o la cacciata dei funghi richiama frotte di assatanati da porcino. Il salotto buono di Briotti è la piazzetta con il lavatoio; ombelico della contrada, punto obbligato perché finisce la strada e cominciano gli speteguléss. Ieri erano le rignole di ogni età a lavar panni – storie documentate anche nel libro “Voci dalla fontana” edito a Natale 2010; ora sono vacanzieri adolescenti con twitter incorporato a far risuonare le strade con il loro vocio. In faccia al lavatoio vive Pietro Donati con i figli Arialdo ad Amerino: gli Splinc di Briotti. ARIALDO Classe 1955, Arialdo, aitante adolescente, va a studiare alla scuola alberghiera di Bellagio, poi va alla Presolana, quindi inizia a far stagioni e affinarsi nel mestiere in Engadina. È durante quegli anni trascorsi a St. Moritz che si radica in lui il senso tipicamente elvetico della cura e della valorizzazione del territorio. Svolge il servizio militare nelle truppe alpine e decide, finita la stagione del ’78 in Svizzera, di affiancare il padre nei molteplici lavori dell’impresa. Tra questi anche il servizio di sgombero neve sulle strade del versante orobico; con uno sderenato trattore (con un busciùn de damigiàna al posto del tappo del serbatoio) imperversa su stradone e stradine dalle Casacce a Briotti. 84 Le Montagne Divertenti La passione e la competenza anche in campo motoristico lo porta a rinnovare il malandato parco mezzi paterno; in pochi anni l’impresa si dota di mezzi adeguati ai ripidi cantieri ove sono chiamati a operare. L’ultimo mezzo acquistato è uno straordinario mulo meccanico tosaerba che mastica l’erba e bruca rovi e pianticelle fino a 3 cm di diametro, telecomandato, che sale su ogni pendenza e lavora come 5 sfalciatori. Strabiliante vederlo all’opera! Sulla famosa Pista Stelvio di Bormio ha brucato tutto in pochi giorni. AMERINO Dopo Arialdo arriva il secondogenito. In ottica d’impresa paterna, studia da perito elettrotecnico e si diploma all’Esperia di Bergamo nel 1975. Rinuncia a una brillante prospettiva di carriera in Ansaldo, che lo assumerebbe per importanti cantieri in Argentina, e si butta l’anno successivo nell’attività di famiglia. IMPRESA DA ESTREMO Dopo i primi impieghi in ristrutturazioni ed edilizia, nonchè manutenzione degli impianti Falck, l'impresa si indirizza sui cantieri che alla concorrenza fan storcere il naso o addirittura Estate 2011 rinunciare per le difficoltà logistiche e climatiche. Se il lavoro è componente ben identificabile nel DNA dei Donati, altrettanto dirompente è la passione per la montagna nelle sue molteplici sfaccettature; l’attività di sfalcio dei prati, la cura del bosco, l’attenzione ai sentieri, il gusto per la vetta in ogni stagione diventano il valore aggiunto all’attività. E’ proprio il forte radicamento alla montagna che orienta verso una specializzazione in regimazioni idrauliche e in sistemazioni del territorio, soprattutto in alta quota. L’impresa Donati raccorda in tre anni il fondo valle della Valmalenco con l’Alta Via; 400 km di itinerari montani, 98 sentieri sistemati punteggiati da 40 ponti su torrenti e vallette. Nel 1979 ha inizio una collaborazione con l’Elitellina; l’ausilio dell’elicottero diventa strategia collaudata e per molti versi irrinunciabile per operare a quote altrimenti inaccessibili. Il battesimo avviene con la ristrutturazione delle baite all’alpe Druet, cui seguiranno interventi in val Fontana e in val Masino. Alle tante ristrutturazioni di alpeggi effettuate in Armisola, alpe Pila, val Belviso si aggiungono qualificati interventi di ingegneria forestale, risanamento suolo mediante palificazioni, tratti di acquedotti di servizio agli alpeggi e sistemazioni di sentieri in quota. Le Montagne Divertenti L'acrobatico sentiero attrezzato rifugio Donati - bivacco Cort (19 settembre 2007, foto Beno). Il rifugio Donati presso il lago del Reguzzo (5 agosto 2007, foto Gianfranco Lalli). Briotti 85 Alpi Orobie Approfondimenti Oltre alla già citata Alta Via della Valmalenco si segnala l’anello Briotti - Le Piane – Mambretti, il raccordo per cresta tra rifugio Donati e bivacco Corti, la sistemazione della segnaletica del sentiero “Bruno Credaro” sulla Gran Via delle Orobie. Il sigillo dell’impresa di Briotti si esprime con la realizzazione, a partire dal 1983, del rifugio Ottorino Donati (m 2500), nei pressi del lago Reguzzo, ai piedi del Pizzo di Rodes (m 2829). Dedicato a un cugino di Arialdo ed Amerino prematuramente scomparso in un incidente stradale, la struttura ha conosciuto stagioni di alacre lavoro e di ammirevole volontariato profuso dagli “Amici di Briotti”, allora dinamico gruppo di appassionati capitanati da Arialdo. Nel 1996 viene eretto l’accogliente rifugio Pesciola (m 2004) sul panoramico balcone all’ombra del Druet. Nello stesso anno viene dotato di bivacco invernale il rifugio Donati, essenziale punto d’appoggio per quanti praticano lo scialpinismo nel gruppo del Rodes. Nel 1998 è ancora l’impresa Donati a dotare di bivacco invernale il rifugio Mambretti (m 2003), un intervento che consente alla storica capanna (inaugurata il 23 settembre 1925) di offrire un ulteriore servizio agli appassionati che calcano le nevi del gruppo Redorta - Scais. È del 2010 l’ultima struttura griffata Donati: il rifugio Grioni, ai piedi dell’omonimo gruppo di punte che collegano la valle del Serio di Piateda con la valle di Santo Stefano della val d’Arigna. In poco più di un mese la vecchia baita a m 1862, segnata da ultradecennale abbandono, è stata rigenerata ad elegante e funzionale rifugio, ancora in attesa degli arredi che lo completino. LA FORZA DELLE RADICI spontaneo chiedersi: perché un’impresa così ben organizzata, che ha saputo imporsi e specializzarsi in un settore di nicchia come i lavori in quota, non si è mai piegata a una logica diffusa? Un capannone con pretenziosa palazzina, megainsegna, piazzalone con suv e cabrio per ostentare successo e danèè ha lusingato parecchi, basta guardarsi attorno. Su quest’aspetto la coesione familiare è granitica: la consapevolezza di godere i benefici di un ambiente di assoluto valore prevale su qualsiasi ragionamento di opportunismo o convenienza. Saggezza e buonsenso montanaro si saldano a quiete, gusto per il bello, il vero, l’essenziale. La sobrietà e la modestia sono insegnamenti antichi e valori ancora attuali se applicati con coerenza, come dimostra l’attività praticata da Amerino nel tempo libero: l’agricoltura di montagna. È LE PATATE D’ARIGNA uando si tocca l’argomento agricoltura, meglio le colture di montagna, ad Amerino si illumina lo sguardo e le conoscenze e le sperimentazioni effettuate in oltre vent’anni rendono torrentizio il suo parlare. Tutto nasce da una premessa dolorosa; la prematura perdita di mamma Nerina lo pone nella condizione di sostituirla per occuparsi degli orti e dei campelli che negli anni ’80 punteggiavano il versante. È stata tradizione secolare dei nostri avi coltivare ogni lembo minimamente produttivo per seminarvi patate, rape, segale, miglio, canapa… Q Ancora negli anni ’60 la patata di Arigna godeva di certa notorietà; dai comuni limitrofi si correva ad acquistare le patate da semina o barattarle con vini, ortaggi o beni lassù non producibili. Amerino ha pian piano trasformato i campelli di proprietà di famiglia in un laboratorio di sperimentazione, applicandosi negli studi, cercando i canali giusti, provando e aggiornando sementi e metodi di coltura. Tra Briotti (m 1060) e Le Piane, (m 1300) coltiva innumerevoli varietà di patate, rape, pomodori, carote, cavoli, cipolle, ortaggi vari, erbe aro- Da 25 anni, professionisti veri che parlano la tua stessa lingua e hanno a cuore la tua salute nel tempo. dental Studio Odontoiatrico Struttura Accreditata Prestazioni di: • Alta qualità • Commisurate ai tuoi reali bisogni • Di lunga durata garantita • Al prezzo corretto • Seguite nel tempo ...diffida dai “low cost”, non c’è nulla che non possa essere fatto un pò peggio e un pò a meno... Direttore Sanitario: Dott. Corrado Tavelli pensaci e investi nella tua salute! Punta al meglio. AXEL DENTAL - Via Stelvio, 30 - 23100 SONDRIO Tel: 0342 511363 - www.axeldental.it - [email protected] 86 Le Montagne Divertenti Estate 2011 L'aratura a Briotti: i buoi, l'aratro e la zappa sono stati sostituiti dalla motozzappa, ma anche con l'avvento dei mezzi moderni l'agricoltura di montagna non ha futuro se non è sostenuta da una passione sincera e da una profonda conoscenza (6 maggio 2011, foto Marino Amonini). matiche… tanto da fargli affermare di sentirsi più a suo agio nei panni dell’agricoltore biologico che in quelli dell’affermato impresario edile. In internet cerca, confronta, studia, poi si muove. Va in Engadina a prendere le sementi, alle fiere specializzate per individuare i mezzi idonei alle colture in pendenza, sperimenta i letami migliori, cura i cicli lunari, il meteo propizio. Prepara i terreni, effettua le semine, controlla gli sviluppi, interviene quotidianamente per seguire l’andamento produttivo. Alleva conigli e capre perché si dice certo che producono il letame più efficace per quei terreni; semina più del necessario all’autoconsumo perché mette in conto la quota brucata da lepri, caprioli, cervi e uccelli. La quota protegge le colture dai parassiti quindi i trattamenti fitosanitari sono trascurabili. Maledice gli sprovveduti della domenica che, portando sementi contaminate e ignoranti metodi di coltivazione, alterano i delicati equilibri Le Montagne Divertenti naturali insiti nei luoghi. L’elenco delle varietà coltivate da Amerino è più lungo di un rosario, il suo entusiasmo è contagioso, la sua curiosità illimitata. Ora è assillato da una domanda che circola in rete. “Vi invito ad una caccia al tesoro: che fine hanno fatto le famose patate di Arigna?” Resistono nella memoria di qualcuno, ed Amerino è determinato a ritrovare quella varietà. E’ piacevole ascoltare con quanta metodica, studiata e appassionata cura l’agrobiologico impresario di Briotti segue le coltivazioni, ma incanta quanto disserta tra i gusti, gli accostamenti ai cibi, gli abbinamenti al bere che le sue variegate produzioni richiedono. on eguale padronanza di un raffinato sommelier che illustra una bottiglia di Sansicaia, Amerino ci parla della dolcezza delle patate Blue di San Gallo, uno dei dieci tipi C che coltiva nei suoi campelli delle 77 varietà offerte nel sito www.prospecierara.ch CONCLUSIONI ungi dall’incensare od enfatizzare i Splinc per quanto di eccellente hanno fatto e fanno, piace sottolineare che L la montagna ha più bisogno di protagonisti credibili che di convegni di chiacchiere. La montagna sa offrire spazi e opportunità per viverci bene se è ricambiata di attenzione e passione. Tradizione e modernità si possono declinare insieme se della prima si conservano i valori e della seconda si colgono le immense opportunità del sapere. Briotti 87 Escursionismo L'Alta Via dello Stelvio Eliana e Nemo Canetta 88 Le Montagne Divertenti Estate 2011 Escursionisti verso la punta Rosa (25Montagne agosto 2010, foto Giacomo Meneghello - www.clickalps.com). Le Divertenti L'altavia dello Stelvio 89 Alta Valtellina Escursionismo Tre giorni di cammino, da Gomagoi ai Bagni Vecchi, per ammirare i paesaggi e i ghiacciai dell'Ortles, la natura del parco dello Stelvio e i resti della Grande Guerra che quassù vantò il fronte più alto d'Europa. E' un'escursione che richiede buona condizione fisica, ma può anche esser svolta solo nelle singole tappe, essendo i punti di partenza e arrivo comodamente raggiungibile coi mezzi pubblici. Il paese di Stelvio (2 febbraio 2011, foto Canetta). Bellezza Partenza: Gomagoi (m 1266). Arrivo: rifugio Monte delle Scale (m 1990) / Bagni Vecchi di Bormio (m 1435). Fatica Pericolosità - Itinerario automobilistico: abbandonata l'auto a Bormio o a Tirano, ci si può avvalere del bus che porta al passo dello Stelvio e da lì scendere a Gomagoi con la linea altoatesina. Itinerario sintetico: GIORNO 1: Gomagoi (m 1266) - Stelvio (m 1324) malghe Stevio di Sopra (m 2077) - Piz Chavalatsch (m 2763) - malghe Stevio di Sopra (m 2077); GIORNO 2: malghe Stevio di Sopra (m 2077) - Klein Boden - rifugio Forcola/Furkelhütte (m 2153) Goldsee/lago d’Oro (m 2708) - punta Rosa/RotlSpitz (m 3026) - cima Garibaldi (m 2838); GIORNO 3: cima Garibaldi (m 2838) - Giogo di Santa Maria (m 2503) - Piz Umbrail (m 3031) - punta di Rims (m 2947) - sella della Forcola (m 2768) - malga Forcola (m 2313) - Grasso di Solena (m 2001) - rifugio Monte Scale (m 1990) [oppure, deviando prima del Grasso di 90 Le Montagne Divertenti Solena: ponte di Solena (m 1805) - Bagni Vecchi di Bormio (m 1435)]. Tempo previsto: 3 giorni. GIORNO 1: 7 ore; GIORNO 2: 6 ore; GIORNO 3: 6:45 ore con la discesa al rifugio Monte Scale o 7:45 ore con la discesa a Bormio [+1:45 ore se il giorno prima si è fatta la variante]. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà/dislivello in salita: 2+ su 6 / rispettivamente 1500 metri, 1000 metri, oltre 600 metri. Dettagli: EE. Gita di più giorni su sentieri segnalati d'alta quota che richiede buona condizione fisica. Numerose possibilità di ricovero. Difficoltà superiori in caso di neve residua. Mappe: Tabacco 08 Ortles-Cevedale, 1:25000; Tabacco 044 Val Venosta, 1:25000. Estate 2011 GIORNO 1 Da Gomagoi (m 1266), a 6 km da Prato Stelvio/Prad (alberghi e Forte eretto dagli austriaci, in precarie condizioni), prendiamo a NE e in 3 km siamo a Stelvio (m 1324, ore 0:45), borgo venostano che mantiene intatta la sua struttura (sede del Comune di Stelvio esteso a tutta la valle). Dalla parrocchiale imbocchiamo a monte il Kirchweg – segnavia 6 – che sale ripido tra prati punteggiati di tipici masi per raggiungere Valatsches (m 1706), su una stradetta ov’è il sentiero dei Masi-HoefenWeg. Proseguendo lungo il versante orografico dx del Tramentanbach, guadagniamo la strada di accesso alle Untere e Obere Stilfers Alm (malghe Stevio di Sopra, m 2077, ore 2:15). Quest’ultima offre alloggio e buona cucina (servizio di trasporto a cura dei proprietari da Stelvio). La traversata prosegue verso SE, ma consigliamo una deviazione per raggiungere il Piz Chavalatsch, di eccezionale interesse panoramico oltre che essere la montagna più orientale della Svizzera. Da Obere Stilfers Alm percorriamo per breve tratto la strada Le Montagne Divertenti ma presto (cartello indicatore) l’abbandoniamo per imboccare, verso NO, una mulattiera militare – segnavia 5 – che sale il regolare pendio di pascoli con infiniti zig zag. Oltrepassato il costone di Tramen appare la vetta, che raggiungiamo in breve; sul Piz Chavalatsch (m 2763, ore 2), è una casermetta asburgica eretta prima del conflitto per controllare lo sbocco della val Monastero. Il panorama indimenticabile comprende gran parte del gruppo dell’Ortles, l’Alta Venosta e l’antistante massiccio della Palla Bianca. In discesa è interessante raggiungere la bocchetta de La Scharta (m 2593), aperta sul confine italo-svizzero (qui giunge il sentiero da Müstair). Ritornati a valle ci portiamo a Obere Stilfers Alm (m 2077, ore 1:45). GIORNO 2 Ripartiti in direzione O imbocchiamo a monte il Sentiero delle Malghe/Almweg – segnavia 4 – in direzione del rifugio Forcola, per giungere nei pressi del punto trigonometrico (m 2265), sopra i boschi di Platzwald. Proseguiamo su una ripida mezza costa sino alla testata del Platzbach (m 2230). Qui è una stradella –segnavia 4 – che in leggera discesa va a incontrare la strada militare che sale a Klein Boden da Stelvio paese. Le fortificazioni di Klein Boden distano poche decine di metri e meritano una visita (tabelle esplicative): si tratta della posizione, realizzata dagli austriaci prima del conflitto, per sbarrare in unione al Forte di Gomagoi ogni nostra azione dal passo dello Stelvio; al tempo l’area era vietata agli escursionisti, ma i nostri Comandi ne ebbero adeguate informazioni. Interessanti le piazzole per l’artiglieria, i bunker, la postazione per il proiettore elettrico e una lunga trincea blindata in cemento. Da Klein Boden in 20’ si raggiunge il rifugio Forcola/Furkelhütte (m 2153, ore 2:15), buon punto panoramico con valida cucina; seggiovia per Trafoi. Dal rifugio inizia il Goldseeweg, tracciato che permetteva agli Imperiali di raggiungere il Passo Stelvio al sicuro da offese italiane. Il buon sentiero – segnavia 20 – prende quota sotto il Piz Costainas e conduce alla L'altavia dello Stelvio 91 Alta Valtellina Escursionismo Panorama dal Goldseeweg sul massiccio dell'Ortles (29 giugno 2007, foto Canetta). quota 2419, che domina la conca di Trafoi: di fronte è la ciclopica cupola dell’Ortles e le vette del gruppo Turwieser – Trafoi – Madatsch ove si svolsero alcuni degli scontri più elevati del conflitto. Si transita sotto il monte di Tarres e la cima Piccola di Tarres, sin sotto il col di Quaira e, poco dopo, si guadagna il costone, traforato da opere belliche, che domina il Goldsee/lago d’Oro (m 2708, ore 2). Qui gli asburgici, prima del 1915, realizzarono una robusta fortificazione campale per 4 cannoni, completa di mulattiera che collegava alla carrozzabile dello Stelvio. Tale posizione non poteva essere mirata dalle nostre artiglierie per il pericolo di “violare” la neutralità elvetica: di qui gli austriaci poterono colpire, in sicurezza, il monte Scorluzzo, occupato da una pattuglia di Alpini; quando i nostri si ritirarono sotto le granate (pare senza perdite), i tirolesi occuparono la vetta senza colpo ferire. Ottimo piano, ben congeniato ma nulla di eroico! Si continua in graduale salita sin sotto la punta Rosa/RotlSpitz, per raggiungerne la vetta (m 3026, ore 0:45), ottimo punto panoramico, su sentiero segnalato (da ultimo un po’ esposto). Proseguendo a mezza costa, sull’orlo di un altipiano tra Svizzera e Alto Adige si pianeggia tra resti di baracche austriache sino a raggiungere la cima Garibaldi (m 2838, ore 1), nominata da tirolesi e ladini Drei Sprachen Spitz/Piz da las Trais Linguas, poiché vi si incontrano i confini di italiano, 92 Le Montagne Divertenti tedesco, romancio. Qui è un rifugio italiano. Dalla sommità lo sguardo spazia sulla sella dello Stelvio: alberghi, parcheggi, impianti di risalita, negozi; è assai difficile capire come apparisse il passo prima e dopo la Grande Guerra; pure le tracce belliche sono state fagocitate da un proliferare disordinato di edifici che poco hanno a che spartire con il parco dello Stelvio. Il rifugio Garibaldi, poco a N del passo dello Stelvio (29 giugno 2007, foto Canetta). GIORNO 3 Dalla cima Garibaldi penetriamo in Svizzera, seguendo un sentiero (segnaletiche) che scende al Pass Umbrail (Giogo di Santa Maria): percorso realizzato dai militari elvetici, tra il 1914 e il ‘18. Un tratto a tornanti, poi si pianeggia accosto al confine e si giunge al rifugio nel pressi della dogana elvetica (m 2498, ore 1). Il rifugio è buon punto di sosta; sul versante italiano è un vecchio alberghetto, di fronte al vasto edificio della IV cantoniera. Sul retro del rifugio si prende un sentiero (segnaletiche) che sale al Piz Il sentiero lungo la cresta di Rims (5 settembre 2009, foto Giacomo Meneghello). Estate 2011 Le Montagne Divertenti Umbrail, tra resti di baraccamenti elvetici, ma verso quota 2650 lo si abbandona per raggiungere la cresta di confine; sui due versanti resti di trincee italiane e svizzere. Si continua verso il turrito pizzo che pare di non facile ascesa; verso quota 2800 si toccano le rocce che si superano, facendo attenzione alle segnaletiche, per canaletti e cenge, con qualche corda fissa incontrando resti di postazioni. Senza vere difficoltà si raggiunge un’anticima e poi facilmente la vetta (Piz Umbrail, m 3031, ore 1:45), utilizzata nella guerra sia da italiani che da svizzeri per tener sotto controllo la zona di combattimento. Il panorama spazia su tutta l’area dello Stelvio, in secondo piano torreggia l’Ortles. Segue un tratto assai pittoresco: da lungi la cresta tra Umbrail e punta di Rims pare non facile; in realtà è percorsa da un sentierino che, in assenza di neve, non presenta vere difficoltà e i punti più scabrosi si superano poggiando sul versante elvetico. Si raggiunge così, per un ultimo pendio di detriti, la punta di Rims (m 2947, ore 1), che prende nome dal sottostante splendido lago sul versante di Müstair. Dall’ampia sommità si scende alla sella della Forcola (m 2768, ore 0:30), in un dedalo di postazioni italiane. E’ la linea di resistenza del nostro esercito ove un attacco avversario doveva essere fermato a tutti i costi: strade, mulattiere, postazioni d’artiglieria, caverne, trincee (in parte blindate in cemento). Da non mancare la quota 2881: una torre rocciosa completamente traforata della postazioni in caverna. Divalliamo in val Forcola lungo una stradella realizzata dal nostro esercito nei primi anni del ‘900 che ricalca il tracciato della Strada Imperiale. Poco sotto il valico è una delle tante caserme difensive (ricovero su IGM, m 2743) da noi costruite lungo i confini, oggi purtroppo in vergognoso abbandono. Continuando lungo la stradella percorriamo una zona di valloni proL'altavia dello Stelvio 93 Escursionismo 1 11 2 3 12 8 5 10 9 6 4 7 Panoramica sulla valle della Forcola dalla punta di Rims (5 settembre 2009, foto Giacomo Meneghello). Indicate: 1 e 2 - Monte Braulio (m 2979 - m 2972), 3- cima Piazzi (m 3439), 4- bocchetta di Pedenoletto (m 2790), 5- monte Foscagno (m 3058), 6- passo del Foscagno (m 2291), 7- bocchetta di Pedenolo (m 2703), 8- gruppo del Bernina, 9- cime di Plator (m 2937), 10- monte Solena (m 2919), 11- monte Sumbraida (m 3124), 12- monte Cornaccia (m 3144). fondamente incisi, pascoli, bianche colate di sfasciumi, mentre a O l’orizzonte è chiuso dalla dolomitica mole del monte Sumbraida (in romancio Schumbraida). Raggiungiamo così la malga Forcola (m 2313), per addentrarci in una gola, compresa tra lo Schumbraida e le pareti che sorreggono l’altipiano di Pedenolo. A quota 2118 è il ponte della strada militare, ben visibile e facilmente percorribile a piedi, che sale a Pedenolo, per raggiungere poi il versante O del monte Braulio. Noi proseguiamo sul versante orografico dx, lungo un pendio di mughi che fa da base a incombenti pareti calcaree. Perveniamo così a una spalla boscosa, quota 1974, che precede il Grasso di Solena (m 2001). In 1 km si è al Ristoro Solena ove ci si affaccia ai laghi di Cancano. Discesi Fioriture nella valle della Forcola (11 luglio 2010, foto Giacomo Meneghello). 94 Le Montagne Divertenti alla diga si risale al rifugio Monte Scale (m 1990, ore 2:30), ove si incontra la carrozzabile che porta a Valdidentro (in estate servizio pubblico). Se invece puntiamo a Bormio, prima del Grasso di Solena imbocchiamo verso sx (SE - indicazioni) un’altra stradetta che scende a tornanti al ponte di Solena (m 1805). Il tracciato, in parte danneggiato dalle frane ma facilmente percorribile, si tiene alto sopra le gole di Fraele, ove un tempo rumoreggiava l’Adda in un ambiente di rara suggestione. Divalliamo a casera Boscopiano (m 1527), ove ci affacciamo alle gole del Braulio. Superiamo il torrente su un ponte, per risalire alla SS dello Stelvio e con 1 km di carrozzabile siamo al bivio per i Bagni Vecchi (m 1435, ore 3:30 dalla sella della Forcola), ove consigliamo un buon tuffo ristoratore nelle acque termali della piscina all’aperto. Il lago delle Scale e i laghi di Cancano dal monte delle Scale (13 agosto 2009, foto Roberto Ganassa). Estate 2011 Le Montagne Divertenti L'altavia dello Stelvio 95 Escursionismo LA SINTESI DELLA VAL GEROLA Giorgio Orsucci Difficile trovare un'escursione più completa di questa. Un percorso ad anello denso di colori e bellezze naturali, che sfiora le acque di quattro splendidi laghetti orobici e regala ampi scorci sulle cime valtellinesi. Ma la meta principe della giornata sarà il rifugio Benigni, autentico osservatorio faunistico nella patria degli stambecchi. A cavallo fra Valtellina e Bergamasca: il lago Piazzotti e il rifugio Benigni (27 agosto 2006, foto Roberto Moiola - www.clickalps.com). 96 Le Montagne Divertenti Estate 2011 Le Montagne Divertenti Val Gerola 97 Escursionismo La testata della val Tronella (4 agosto 2007, foto Roberto Moiola). Bellezza Fatica Partenza: Pescegallo (m 1454). Itinerario automobilistico: dalla prima rotonda di Morbegno (per chi proviene da Colico) si prende a dx la SP7 della val Gerola. Superati Sacco, Rasura e Pedesina, dopo circa 15 km si arriva all'abitato di Gerola Alta, da cui in 6 km si arriva a Pescegallo. Itinerario Pericolosità sintetico: Pescegallo (m 1454) - lago di Pescegallo (m 1862) - rifugio Salmurano (m 1830) - passo Salmurano (m 2017) - rifugio Benigni (m 2222) - bocchetta di val Pianella (m 2224) - lago Zancone (m 1856) - lago di Trona (m 1805) - pozza Rossa (m 1835) - Pescegallo. Tempo previsto: 6 ore e mezzo per l'intera escursione. 2 su 6 / 950 metri. Dettagli: E. Itinerario su facili sentieri segnalati. Mappe: Kompass n. 105 (Lecco – Valle Brembana). - 98 Le Montagne Divertenti L'invaso artificiale del lago di Pescegallo (5 agosto 2007, foto Roberto Moiola). Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà/dislivello in salita: Estate 2011 D a alcune escursioni torni a casa poco soddisfatto. Cattiva compagnia, brutto tempo, sentieri noiosi, i fattori che determinano una gita mal riuscita sono vari. E così può capitare che di quel itinerario, di quella valle si annoti nella mente un "niente di eccezionale", a significare di non tornarci più. L'escursione che andiamo a proporvi difficilmente potrà ricondursi alla suddetta categoria, o perlomeno ha in sé le premesse per garantire una giornata di grande impatto. L'itinerario, che richiede fra le 6 e le 7 ore di cammino, si snoda lungo la testata della val Gerola, all'ombra del pizzo dei Tre Signori. Toccheremo le acque di splendidi laghi orobici, ci addentreremo nella patria degli stambecchi e del formaggio bitto, studieremo i profili di arditi pinnacoli, ammireremo nuovi orizzonti e panorami, il tutto all'interno di alcune fra le più belle valli del Parco delle Orobie. Le Montagne Divertenti P ercorsa tutta la val Gerola fino a Gerola imbocchiamo la stretta strada a tornanti che sale a Pescegallo (m 1454, 6 km), dove possiamo parcheggiare nell'ampio piazzale della seggiovia. L'impianto, attivo anche nei mesi estivi, è riservato agli escursionisti meno allenati e più facoltosi che vogliono raggiungere il rifugio Sal- murano senza consumare gli scarponi. oi, in perfetta forma fisica, imbocchiamo inizialmente la stradina che sale ripida dal lembo orientale del parcheggio, a dx di un torrentello, per abbandonarla più N Un giovane stambecco ripreso nei pressi del rifugio Benigni, meta dell'escursione (29 giugno 2008, foto Giorgio Orsucci). Val Gerola 99 Alpi Orobie Escursionismo Ultimi raggi di sole al Rifugio Benigni (27 agosto 2006, foto Roberto Moiola). Stambecco adulto (4 agosto 2007, foto Roberto Moiola). in alto nei pressi di un alpeggio (m 1540) dove parte un bel sentiero (segnavia bianco-rossi), a tratti gradinato, che si addentra in un bosco di conifere. Ne esce più avanti per ricollegarsi con la pista forestale che, traversando verso E, dopo aver incontrato la Casera di Pescegallo Lago (m 1778), si arriva rapidamente alla diga di 100 Le Montagne Divertenti Pescegallo (m 1862, ore 1:15). Da qui, guardando a occidente, possiamo vedere tutte le vette sotto cui passeremo nel corso di questa giornata. er raggiungere il rifugio Salmurano dobbiamo ora ripercorre a ritroso la sterrata che ci ha condotto quassù, andando poi a imboccare un sentierino a mezza costa che se ne stacca sulla sx. Con percorso pianeggiante, dopo i pascoli di Fopa gli Bori (m 1740), arriviamo proprio alle spalle della grande costruzione del rifugio Salmurano (m 1830, ore 0:20). P Estate 2011 L'altopiano, per quanto panoramico e verdeggiante, reca i segni antiestetici dello sfruttamento invernale - sterrate e impianti di risalita. Risaliamo questi prati (S), con lo sguardo che cade più volte sulle forme gotiche dei Denti della Vecchia, i curiosi pinnacoli rocciosi sulla nostra dx. Sono 5 ardite torri di roccia, di cui la più alta tocca i m 2145. Su quelle pareti di gneiss e conglomerato si snodano numerose vie di arrampicata. Le Montagne Divertenti Raggiunto l'inconfondibile passo Salmurano (m 2017, ore 0:40) il paesaggio si fa più aspro. Scollinati su versante bergamasco, compiamo una breve traversata verso O che ci porta alla base del canalone del Forno, un ripido colatoio di roccia e detriti, che superiamo prestando attenzione alla direzione consigliata dai segnavia. A seguire solo un paio di tornanti, quindi ecco comparire il rifugio Benigni (m 2222, ore 0:45), lillipuziana costruzione a ornamento di un meraviglioso balcone roccioso. Numerosi stambecchi popolano le pietraie nei dintorni del rifugio e le rive del vicino lago Piazzotti, noncuranti della presenza umana, e anzi quasi incuriositi. Tutto merito dell'azione di tutela attuata - in maniera evidentemente efficace - dal Parco delle Orobie Valtellinesi. Già qui il panorama sulle cime valtellinesi e sulla mole del Disgrazia è degno di nota, ma vale la pena raggiungere (OSO) la bella croce della cima Piazzotti Occidentale (m 2349, ore 0:20), da cui, oltre Val Gerola 101 Escursionismo Scendendo in val di Trona dalla bocchetta di val Pianella si ha uno splendido scorcio sul lago Zancone e sul lago di Trona (27 agosto 2006, foto R. Moiola). Due immagini della produzione del formaggio Bitto storico nei calecc' del Dossetto in val Tronella (11 luglio 2006, foto Roberto Moiola).Questo formaggio prende il nome dal torrente Bitto che scorre in queste valli e, per le accurate procedure casearie e di gestione del pascolo, delle mucche e delle capre è riconosciuto da secoli di eccelsa qualità. In una logica di business la Dop ha esteso la produzione a tutto il territorio valtellinese e valchiavennasco stravolgendo i metodi di produzione. Ciò ha generato la ribellione dei produttori di Bitto storico, che rifiutandosi di avallare questa manovra, si sono visti addirittura impossibilitati a chiamare Bitto il loro formaggio. Oggi perciò Bitto Dop non è più una garanzia di formaggio tradizionale e chi vorràancora gustarne il sapore antico dovrà recarsi al ‘Centro del Bitto storico’ a Gerola Alta dove stagionano forme fino a 15 anni. 102 Le Montagne Divertenti ad un panorama più ampio, si gode della vista dall'alto dei laghi Trona e Zancone. Scendendo per traccia sulla cresta SO della montagna siamo rapidamente alla bocchetta di val Pianella1 (m 2224, ore 0:30). La discesa dal passo nella val di Trona si svolge con pendenza moderata, dapprima fra sfasciumi e nevai, che quivi sostano fino a luglio inoltrato, quindi per dossi erbosi. Lungo la discesa saremo accompagnati dalle numerose torri che costituiscono il pizzo di Tronella e dalla vista sul 1 - Sul nome di questo valico ci sono un po' di diatribe. Noi riteniamo che indicarla come bocca di Trona (nome che le derivava perchè passaggio per gli antichi trasporti del ferro della val di Trona) crei solo confusione con la più nota bocchetta di Trona, per cui useremo il toponimo bocchetta di val Pianella, che la lega all'opposta valle bergamasca. Estate 2011 naturale lago Zancone e, più a valle, sull'invaso artificiale di Trona. Superata una modesta ma suggestiva "città dei sassi" in stile dolomitico, arriviamo finalmente a toccare le acque del lago Zancone (m 1856, ore 0:45), di un blu profondo, incorniciato da rive erbose, verdissime, incastonate di rododendri. Scendiamo ancora un poco, passando alti sopra il lago di Trona; attraversiamo un rado bosco di abeti e larici, alla fine del quale troviamo la diga (m 1805, ore 0:15), che ha innalzato il livello di questo antico lago glagiale e ne ha portato la capienza a 5.196.000 m3. Nei pressi del muraglione imbocchiamo il sentiero che Le Montagne Divertenti si allontana strisciando verso E con andamento semi pianeggiante. Una lunga traversata, a tratti nel bosco, a tratti su pietraie o su prati, riavvicina l'escursionista a Pescegallo. Superata la pozza Rossa (m 1835), posta sul crinale fra val di Trona e val Tronella, il sentiero smette di indugiare e comincia a perder quota precipitosamente, disegnando sul ripido pendio una successione di larghi tornanti, grazie ai quali siamo condotti rapidamente sul fondo della bassa val Tronella. Sparse nei prati vediamo delle baite e i tipici calecc'. I pastori vi producono il formaggio, quello tipico di questa valle, il Bitto. Se saremo qui dopo le quattro o le cinque del pomeriggio potremo trovarli all'opera. Sarà un piacere, allora, stare ad osservarli, curiosi e attoniti come bambini, mentre perpetrano questa tradizione secolare. Siamo davvero quasi alla fine, ed è possibile che a questo punto c'abbia colto un poco di stanchezza. Fortuna che a ristorarci - quanto meno nell'animo - c'è il sole caldo del tardo pomeriggio, che indora i radi boschi d'abeti di questa sezione della valle. Più in basso la selva si infittisce; sulle nostre teste un soffitto di rami, aghi e foglie. Rivediamo la luce solo al termine della nostra escursione, quando il sentiero sfocia nel piazzale della seggiovia di Pescegallo (m 1454, ore 1:30), dove ci attende la macchina. Val Gerola 103 Meteora Rubriche valtellinesi nel mondo Beno 104 Sorprendente vista sul complesso di Meteora da Agia Apostoli (4 aprile 2011, fotoLe Beno). Montagne Divertenti Estate 2011 Le Montagne Divertenti In Grecia, appena a SO del massiccio del monte Olimpo, si eleva un complesso di altissime guglie di arenaria, verticali e inaccessibili da ogni lato. " Qui, su quelle aride rocce, divenute palazzi per migliaia di eremiti, i monaci ortodossi impararono ad essere saggi nel pensiero ed umili nella volontà". Meteora 105 Rubriche Valtellinesi nel mondo La torri di arenaria sopra Kastraki su cui sorge Meteora (4 aprile 2011, foto Beno). Dal finire degli anni settanta sono meta ambita dei rocciatori. Sono state aperte oltre 800 vie, pur rispettando la regola morale di non salire sulle 6 torri ove vi sono monasteri ancora utilizzati. APRILE 2011 opo aver litigato 5 giorni col caos insostenibile di Istanbul, riusciamo a scappare. Ci imbarchiamo su un pullman notturno a 2 piani che barcolla come una zattera nel mare in burrasca. Sono 12 ore di viaggio della speranza da Instanbul a Salonicco. Passare il confine tra Turchia e Grecia è piuttosto laborioso, specie perché i doganieri si agitano e diventano particolarmente zelanti se vedono persone dai lineamenti non europei, come il giapponese e l'americano che siedono nei sedili anteriori del nostro bus. Salonicco arriva con l'alba. E' domenica ed è tutto deserto. Una grossa città industriale la cui periferia è un susseguirsi di parallelepipidi di cemento. Dalla stazione prendiamo un treno per Litochoro, punto di partenza classico per l'ascesa alla punta Mitikas (m 2918), massima elevazione dell'Olimpo. Il treno ferma nel nulla a 5 km dal paese, che è a più di 10 dal parcheggio dove gli alpinisti lasciano l'auto. Tutto è chiuso. Camminiamo in leggera salita sotto il sole, ma più il paese s'avvicina più la voglia d'Olimpo s'allontana: la neve è molto più bassa che da noi in Valtellina (inizia a circa 1000 metri), la cima non si vede e, in generale, tutto ciò che sta sopra il limite degli alberi sta anche sopra alle nebbie che avvolgono il massiccio e preservano la privacy di Zeus e compagni. Insomma, si pro- D Pixari. Dagli antri nella parete penzolano ancora le scale usate dagli eremiti Le foto Montagne (4106 aprile 2011, Beno.) Divertenti Estate 2011 Le Montagne Divertenti spetta una sfacchinata senza senso per toccare una delle vette più frequentate del vecchio continente. Così torniamo sui nostri passi e alle 14 eccoci nuovamente alla stazione di Salonicco. oleggiamo un'auto, piccola, bianca, 30 € al giorno con un tetto giornaliero di 150km. Ripartiamo più comodi, sempre verso Lithocoro, ma questa volta il massiccio dell'Olimpo lo attraversiamo guidando sulla tortuosa stradina di montagna che da Skala Leptokariàs giunge a Elassona. Prima del rally facciamo una sosta al mare, una corsa sulla spiaggia vuota e un bagno per lavar via le tossine di troppi giorni nella ressa metropolitana. Mille curve e attraversamenti di isolati nuclei montani, ed ecco la cittadina di Elassona, dove troviamo una paninoteca e un affittacamere per la notte (20 € a testa). veglia di buon'ora e ancora verso ovest tra campi, pascoli e piccoli rilievi calcarei. I paesaggi sono distensivi: è primavera, è tutto in fiore. Ci fermiamo nella piana che c'è dopo Deskati a fare due passi e ispezionare una grande grotta sotto cui pare esserci una stalla. Tra le fioriture spunta una bella Tartaruga graeca. La catturo con grande abilità (!?) per vederla meglio. L'animale pare tanto indaffarato che non si rintana nemmeno nel suo guscio, ma si agita come a dirmi: "Mettimi giù che devo andare". Così la lascio tornare tra i fiori. N S In meno di un'ora d'auto, in tutto tre da Salonicco, preso il bivio per Trikala, oltre i campi si iniziano a vedere alcune guglie altissime, di una roccia scura. Si elevano a est sopra il paesino di Kastraki. Noi ci portiamo un po' più a sud nella cittadella di Kalambàka, da cui iniziamo la nostra avventura. Abbiamo parcheggiato ai piedi di Agia Apostoli, la più alta torre di Meteora (m 677) e, mirando a un gruppetto di capre che incredibilmente camminano sulla parete, entriamo nello stretto passaggio fra due torri. Clima piacevole. Oltre un prato fiorito, possiamo finalmente toccare con mano questa roccia. E' composta da ciottoli arrotondati, per lo più della dimensione di 5-10 cm, cementati assieme. Sasso su sasso, circa 60 milioni di anni fa, si sono formate queste torri alte centinaia di metri che mettono le vertigini solo a guardarle: pare possano cascarti in testa da un momento all'altro. Vi assicuro che gli strapiombi del Màsino a confronto sono un ambiente rilassante! Al primo incontro col conglomerato, non è che mi fidi molto a camminarci sopra. Parrebbe terreno lubrico e instabile, ma, quando gli diamo confidenza, notiamo che non si scivola affatto. Ed ecco, oltre uno stretto varco, proprio sul massiccio dinanzi a noi (Pixari), vediamo delle cavità in mezzo alla parete da cui penzolano di Meteora 107 Rubriche I monasteri di Varlaam (sx), Agios Nicolaos e della Trasfigurazione (al centro rispettivamente in basso e in alto) e Roussanou (a dx) (5 aprile 2011, foto Beno). Leggenda narra che ci vollero ben settant'anni per portare in cima al torrione il materiale necessario per la costruzione del monastero della Trasfigurazione, la Grande Meteora - un complesso da ben 50 mila metri quadri in cui la chiesa principale è alta 24 metri. moconi di scala con pochi pioli, poi sotto 30 metri di vuoto. Quelle erano le residenze dei monaci più ascetici e degli eremiti convinti. Oggi non ve ne sono più e quegli antri sono tutti disabitati. Aggirata una torre ecco apparire i monasteri tutt'ora utilizzati. Sono al vertice di pilastri impressionanti. Ne contorniamo alcuni, senza però riuscire a spiegarci come possano essere salite lassù delle persone più di 108 Le Montagne Divertenti mille anni fa. Ci documentiamo. I libri dicono che alla fine del X secolo alcuni monaci abbiano cominciato a colonizzare queste guglie. Dei disegni settecenteschi raffigurano grandissime impalcature. Probabilmente grazie a quelle arrivavano in cima. In alcuni casi il salto da vincere era di centinaia di metri! Fatto un pianerottolo in legno i monaci vi appoggiavano sopra il successivo, poi ogni 6-7 metri conficca- vano un palo nella roccia per evitare che crollasse tutto. Così per mesi, anni, fino alla sommità, in genere molto ampia e addirittura ricoperta di vegetazione. Non è difficile capire l'appellativo di Meteora: lontani sia dalla terra che dal cielo, proprio come le nuvole. Quand'era tutto pronto per i lavori di costruzione del monastero, le impalcature venivano gettate; cibo, materiale e uomini vi potevano salire Estate 2011 Varlaam (fondato nel 1350) sorge su un roccione alto 373 metri. La chiesa fu costruita in soli 20 giorni ma, come riportano i documenti, ci vollero ben 22 anni per portare fin lassù tutto il materiale. Roussanou (fondato nel 1288) sorge su una piattaforma rocciosa appena in grado di contenere la costruzione. Oggi è monastero femminile. solo grazie alle corde o alle scale che venivano calate dall'alto. In questo modo si poteva accedere ai monasteri solo se i monaci lo volevano. Questi luoghi erano perciò inespugnabili a qualsiasi esercito. Di grandezza differente a seconda dello spazio disponibile, ne vennero eretti oltre 20, di cui oggi solo 6 sono abitati e visitabili (l'inesorabile declino è iniziato nel XVII sec.). Dei monasteri abbandonati rimanLe Montagne Divertenti gono in alcuni casi le rovine, in altri solo testimonianze scritte che ne attestano l'esistenza. assiamo così un'intera giornata fra canyon e valichi desueti a caccia di rovine. Eccoci nel tentativo di salire su Agia Apostoli. Tra cenge e strapiombi raggiungiamo un paio di vecchie cisterne per l'acqua scavate nella roccia, poi una gradinata espostissima che porta in cresta e poi... più nulla se non un P panorama mozzafiato con Kalambaka sotto i nostri piedi. Ci spostiamo nella zona di Alissos1 e negli spuntoni vicini, ma degli antichi monasteri restano poche labilissime tracce: seguendo un gruppo di capre al pascolo ai piedi di una paretona con colate nere scopriamo che in cima c'è un muro diroccato, probabilmente i resti della postazione con l'argano per 1 - È la più inaccessibile delle torri con pareti immani (2-300 metri) su ogni lato. Meteora 109 Rubriche Le guglie disabitate di Meteora al tramonto. Sulla sx vi è l'impressionante Alissos, immeditamente a dx - con un grande prato in cima - Modi, dove vi sono tirar su il materiale. i dirigiamo così verso la Grande Meteora, il maggiore di questi complessi, che ci appare incorniciato dalle scure pareti della gola che stiamo scendendo. A sinistra vi è una guglia più bassa di cui vediamo la cima, tutta fiorita e verde, che pare un giardino orientale. Un luogo distensivo se esistesse modo di arrivarci senza rischiare la pelle! Il nostro cammino costeggia sparate di spit e anelli per i rocciatori, ma in due giorni non ne vedremo mai uno all'opera e io rimarrò col dubbio che C 110 Le Montagne Divertenti si possa scalare in libera sul conglomerato. I miei miseri tentativi si sono tutti arenati quando avevo ancora un piede a terra! Antonio Boscacci mi ha detto che lui lì ha arrampicato ed è stupendo, ma mi ha confermato che abituarsi a quella roccia richiede un po' di pazienza. Arriviamo sul serpente asfaltato che sale verso Varlaam, la Grande Meteora a nord, Agia Trias e Agios Stephanos a sud, passando per Roussanou, diventato in tempi moderni un monastero femminile. Le auto procedono a passo d'uomo e i conducenti non badano tanto al guard-rail quanto al paesaggio. l vociferare dei turisti purtroppo non lascia neppure immaginare il clima di beatitudine dell'eremo, anche se la presenza di cantine con botti suggerisce che non si pregava solamente. Nell'angolo più esposto del cortile di Agias Trias, il precipizio ci offre la pace che cercavamo. Fantastichiamo su come doveva essere la vita quassù e studiamo le vie da cui si potrebbero scalare le altre torri disabitate. I Estate 2011 i resti (visibili anche dal basso) di un antico monastero. All'estrema dx della foto si vede il roccione dove c'è la prigione dei frati (4 aprile 2011, foto Beno). I monasteri oggi utilizzati sono stati tutti serviti da scale scavate nella roccia già all'inizio del XX secolo e che permettono un massiccio flusso turistico. Le infrastrutture sono state realizzate con generose donazioni, le stesse che nel passato hanno sostenuto tutti questi centri e permesso la costruzione di edifici di pregevolissima fattura. Lo stupore dei ricchi "turisti" d'altri tempi doveva esser tale da ben predisporli a cospicue offerte: si parla addirittura di eredità e latifondi all'estero. L'accesso degli uomini, ovunque Le Montagne Divertenti fino a cent'anni fa, avveniva con scale di corda o con scale pieghevoli di legno gettate dal monastero. Chi aveva troppa paura per salire con le sue sole forze veniva messo nella rete delle provviste e sollevato nel vuoto con l'argano e la corda di canapa che strideva: un bel modo per farsi venire un infarto! Gli interni degli edifici di Meteora sono impreziositi da bellissimi affreschi di epoca bizantina con singolari particolari in altorilievo. Sono custoditi inoltre antichi testi e icone di grande valore. I l giorno volge al termine e, accompagnati dall'ultimo sole, stiamo scendendo a Kastraki quando, nel bel mezzo di una torre conica (vicina ad un'altra chiamata Sfica), vediamo una grotta con impalcature sospese a oltre 50 metri da terra: è la prigione dove venivano rinchiusi i monaci sorpresi in azioni poco degne del loro abito. eniamo all'aperto. Le torri di Meteora si stagliano come vette possenti nel cielo stellato. Cullate dai grilli e dal vento emanano tutta la loro magia e ci addormentano. C Meteora 111 Rubriche Il mondo in miniatura I INGANNEVOLE APPARENZA l mondo degli insetti è una giungla meravigliosa, ma anche feroce per i suoi minuscoli abitanti. Al di là dei nostri occhi un’incredibile varietà di forme di vita conduce un’esistenza regolata da strategie, astuzie e camuffamenti, frutto di raffinate specializzazioni indispensabili per sopravvivere. Tutto ciò non sfugge allo sguardo curioso e indagatore di un bambino come Carletto che non smette mai di stupirsi di fronte alle stravaganze della natura e vorrebbe svelare tutti i segreti del microcosmo durante le passeggiate esplorative che intraprende con il saggio nonno naturalista. È una calda domenica di mezza estate, il nonno procede piano, con passo uguale e cadenzato, dietro a un instancabile Carletto che corre a zigzag per i pascoli, divertito dalla scia di innumerevoli cavallette che schizzano come molle al suo passaggio. A un certo punto, dove ricomincia l’ombroso sentiero, qualcosa spicca un balzo da un alto cespuglio e Carletto vede sfrecciare, proprio davanti al suo naso, una grande sagoma verde che si tuffa poi nel prato. Il bimbo fa un sussulto, impossibile a quella velocità capire di cosa si sia trattato, allora, sopraffatto dalla curiosità, si mette carponi e scruta meticolosamente quei ciuffi d’erba che hanno inghiottito il misterioso acrobata. Intanto il nonno lo raggiunge: “cos’hai perso Carletto?” “Cerco chi mi ha tagliato la strada, era enorme e tutto verd…” ma la frase si interrompe bruscamente quando il suo sguardo incrocia quello di una bizzarra creatura mai vista prima. La fissa attonito per qualche secondo, gli ricorda un personaggio di un film di fantascienza, forse X-Files, ma anche, vagamente, E.T. l’extraterrestre! “Nonno, nonno guarda è un insetto stranissimo, ha il corpo da cavalletta e… la testa da alieno!” La singolare creatura esercita un vero e proprio potere ipnotico sui due curiosi osservatori, impassibile nella sua fredda eleganza mentre si lascia dondolare dalla brezza assieme alle foglie. Nonno e nipote la esaminano in silenzio, fin quando quell’esile figura, noncurante delle loro attenzioni, Alessandra Morgillo Lo sguardo enigmatico di una giovane Mantis religiosa (19 luglio 2010, foto Paolo Rossi). 112 Le Montagne Divertenti Estate 2011 Le Montagne Divertenti o forse ormai consapevole di non poter più contare sul proprio artificio mimetico, ruota il piccolo e buffo capo triangolare sormontato da due lunghe antenne filiformi e con una curiosa andatura oscillante si sposta lentamente sulle sottili zampe tra i fusti erbacei, nell’intento di raggiungere una posizione più elevata. “E’ una bella mantide religiosa” afferma il nonno, che fino a quel momento aveva trattenuto il fiato per non rompere l’incantesimo di quello sguardo. “Perché si chiama così?” giunge fulminea e prevedibile la domanda del nipotino. Come se anche l‘insetto l’avesse udita, ecco che si arresta, ritrae le due grandi zampe anteriori e le allinea sotto il capo assumendo una singolare postura. “Sembra un profeta in preghiera” commenta il nonno, “in sintonia col nome scientifico dato alla specie: Mantis religiosa. In greco mantis significa appunto profeta o indovino, mentre l’appellativo religiosa allude alla posizione caratteristica che ricorda un uomo che prega. Questo insetto non è rimasto indifferente agli uomini che sin dall’antichità l’hanno temuto e rispettato”, continua il nonno, “se presso alcuni popoli era ritenuto foriero di sventure, per altre civiltà era considerato sacro, capace, per esempio, di guidare i viaggiatori smarriti, indicando loro la retta via con una zampa. Persino i suoi movimenti sono stati emulati e hanno ispirato il tang-lang, uno stile delle arti marziali cinesi”. “La conoscono anche in Cina?” chiede stupito il bimbo. “I Mantoidei sono fra gli insetti maggiormente diffusi sulla Terra. Vivono in tutte le foreste tropicali, ma anche nei luoghi più aridi e persino nei deserti. In Italia sono presenti ben dodici specie che si possono incontrare negli incolti e nei prati assolati dal piano fino ai 1000 metri di quota. Stiamo osservando la più comune e la più grande delle mantidi europee, la femmina di questa specie può superare tranquillamente i sette centimetri”. La mantide religiosa 113 Rubriche L’inquietante sguardo di un maschio in controluce di Mantis religiosa. La colorazione delle mantidi può variare dal verde chiaro al bruno, con gradazioni intermedie, in relazione al tipo di vegetazione prevalente che caratterizza il loro ambiente. Questo efficace espediente mimetico le rende invisibili alle prede e allo stesso tempo consente loro di nascondersi alla vista dei predatori (11 settembre 2010, foto Alessandra Morgillo). “Sembra la regina di tutti gli insetti” esclama il bimbo, ma subito aggiunge: “sarà anche religiosa, però ha uno sguardo un po’ inquietante… non trovi anche tu?” “Sei un osservatore perspicace e intuitivo Carletto, infatti di sacrale e benevolo non ha proprio nulla, è solo apparenza!” “La mantide è una spietata cacciatrice, un vero incubo per tutti gli abitanti del microcosmo. La sua strategia è l’agguato, che consiste nel rimanere immobile per ore, invisibile grazie al corpo esile e allungato che si confonde perfettamente con la vegetazione, ma vigile e pronta a sferrare 114 Le Montagne Divertenti il suo infallibile attacco senza lasciar scampo a qualunque incauta preda gli capiti a tiro, anche se è tre volte più grande di lei”. Il bimbo ascolta affascinato e, come molti suoi coetanei, si sente anche un po’ attratto dalle azioni cruente della natura. Chiede allora impaziente: “come fa a catturare le sue prede?” “Osservala bene, di solito ad una forma insolita è associata una funzione ben precisa, guarda le sue zampe per esempio, noti qualcosa di strano, ti sembrano tutte uguali?” “No, le braccia assomigliano a delle grandi tenaglie seghettate.” “Sono queste, infatti, le sue mici- Suggestivo ritratto di Mantis religiosa, un esempio di mimetismo perfetto (5 novembre 2009, foto Matteo Gianatti). diali armi” annuisce il nonno: “le due zampe anteriori acuminate e dentellate vengono dette raptatorie perché scattano con precisione e rapidità per afferrare la preda e, una volta ripiegate, la trattengono mentre viene divorata con le robuste mandibole. La femmina è talmente vorace e insaziabile che può diventare persino cannibale visto che spesso si mangia anche il marito! Questo comportamento può essere spiegato dal fatto che ha un grandissimo bisogno di proteine per le sue uova, che deporrà sul finire dell’estate su pietre o rami, in un involucro protettivo chiamato ooteca, da cui usciranno, la primaEstate 2011 vera successiva, oltre un centinaio di giovani mantidi, del tutto simili agli adulti tranne che per le dimensioni”. “Forte!” esclama Carletto, che, per nulla turbato dai racconti del nonno, inizia a solleticare con un filo d’erba quelle tremende zampe, speranzoso di provocarne una qualche reazione. Ma mai avrebbe immaginato di suscitare una risposta d’effetto tanto… scenografico! La mantide indispettita, infatti, prima ruota la mobilissima testa di quasi 180 gradi, capacità eccezionale per un insetto, per rivolgere i grandi occhi sporgenti verso quell’umano molesto. Poi si gira di fronte e solleva Le Montagne Divertenti le zampe raptatorie, contemporaneamente sfodera, con uno scatto fulmineo, due grandissime e inaspettate ali che le conferiscono un aspetto terrifico e al contempo strabiliante. “Ehi che brutto carattere!” sobbalza Carletto sbalordito, non aveva considerato che potesse nascondere le ali e soprattutto non si aspettava una tale esibizione minacciosa. “E’ in atteggiamento difensivo” gli spiega il nonno, elettrizzato anch’egli dalla spettacolarità dell’evento, “ma in realtà è solo un innocuo inganno che è solita riservare ai potenziali predatori e ha lo scopo di farla apparire più grande per intimidirli”. Ripensando alle parole del nonno, il bambino ora comprende come tale insolita creatura abbia colpito e impressionato tante civiltà del passato. È uno degli insetti più bizzarri in cui si sia mai imbattuto ed è rimasto molto meravigliato dalla sua insidiosa eleganza. Mentre fantastica, però, l’insetto decide che è il momento di congedarsi e con strepito spicca uno stentato volo traballante. “Sarà anche una spietata predatrice, ma di certo il volo non è il suo forte” pensa tra sé e sé il bimbo, compiaciuto di aver svelato anche questo suo segreto, mentre la osserva sparire nel fitto intrico degli arbusti. La mantide religiosa 115 Flora alpina Rubriche D VIVERE IN SIMBIOSI al greco sùn, «con, insieme» e bìos, «vita», il termine simbiosi è spesso utilizzato nel parlar comune col significato di stretta relazione tra persone che vivono in completa comunione di idee e di interessi. Ma in natura una simbiosi è qualcosa di più: si tratta di un fenomeno biologico molto diffuso che si verifica quando organismi molto diversi fra loro coesistono in un’unica associazione strettamente integrata. Per fare un esempio, quasi il 90% delle specie vegetali instaura associazioni con funghi del suolo (simbiosi definite micorrize), mentre alcune piante, come le leguminose, ospitano presso le proprie radici dei batteri in grado di fissare l’azoto (batteri del genere Rhizobium che si insediano nelle radici, inducendo la formazione di tipici noduli radicali). In questi casi la relazione che intercorre tra i due organismi è reciprocamente vantaggiosa: nel primo esempio la pianta trae beneficio dalla micorriza che amplifica la superficie radicale e facilita l’assorbimento delle sostanze dal terreno, mentre nel secondo, grazie all’attività dei batteri azotofissatori, sfrutta l’opportunità di assimilare l’azoto atmosferico, che altrimenti non potrebbe utilizzare. Al contempo funghi e batteri possono contare sulla disponibilità alimentare e protezione offerta loro dalla pianta ospite. In natura non sempre le associazioni risultano convenienti per entrambi i soggetti coinvolti (detti simbionti); in diversi casi, infatti, è solo uno dei due organismi a trarne vantaggio, spesso a spese dell’altro. Quando però ambedue i simbionti cooperano in armonia alla vita comune, la simbiosi viene detta mutualistica e può dar luogo a convivenze insolite e curiose. Alessandra Morgillo Cetraria islandica. Lichene fruticoso tipico delle nostre aree montane, molto diffuso nelle zone temperatefredde da cui il nome comune “lichene d’Islanda”. Conosciuto per i diversi usi in erboristeria, in medicina, come antinfiammatorio o contro la tosse e in cosmesi. In passato, sebbene amaro, i popoli del Nord Europa lo utilizzavano anche in cucina per preparare gelatine e addensanti. (6 marzo 2011, foto A. Morgillo) 116 Le Montagne Divertenti I licheni: affascinanti espressioni del vivere insieme • Un tempo si pensava che i licheni fossero strani vegetali dotati di una propria individualità e venivano spesso confusi coi muschi, seppur con aspetto e caratteri inconsueti. Il termine leichén, dalla radice di léicho, cioè "lambisco", venne usato dallo studioso greco Teofrasto (III secolo a.C.) per descrivere alcuni strani organismi, dalla struttura appiattita, che colonizzavano la Estate 2011 Le Montagne Divertenti corteccia degli alberi. Solo molto più tardi, nel 1867, lo scienziato svizzero Simon Schwendener dimostrò la vera natura dualistica dei licheni. Oggi lo studio di questi particolari organismi è affidato ad una specifica branca della botanica chiamata lichenologia. Cosa sono dunque i licheni? Sono il risultato dell’unione tra due organismi di regni differenti, un fungo e un alga. Si tratta di una simbiosi mutualistica, poiché il fungo ricava nutrimento dai composti organici prodotti grazie all’attività fotosintetica dell’alga, la quale invece riceve in cambio protezione, acqua e sali minerali. Questa stretta alleanza si è rivelata, nel corso dell’evoluzione, una scelta adattativa vincente. I licheni, infatti, possono colonizzare quasi ogni superficie, anche quelle più aride e sterili. Sanno adattarsi, inoltre, alle più estreme condizioni, riuscendo a sopportare stress idrici e climatici sia nelle zone desertiche che in quelle polari, cosa che né i funghi né le alghe, presi individualmente, sarebbero in grado di fare. Così i licheni si possono vedere un po’ ovunque, su massi o tronchi, muri o monumenti, ma anche su supporti meno consueti quali metallo, asfalto e laterizi. Rivestono le superfici con formazioni gialle, verdi, grigie e rossastre, dando luogo a composizioni colorate e complicati disegni o ornamenti pendenti dai rami degli alberi. Il loro ruolo in natura è quindi molto significativo, in quanto, da entità pioniere, si insediano per primi su substrati naturali o artificiali impossibili per altre forme di vita. Il loro ciclo vitale contribuisce poi ad alterare e disgregare lentamente la superficie su cui aderiscono e in seguito a formare un sottilissimo strato di humus, preparando le condizioni perché altri vegetali vi si possano insediare. Quasi tutti i funghi che partecipano alla simbiosi lichenica sono Ascomiceti e i loro simbionti abituali sono microscopiche alghe verdi, anche se in alcune specie sono presenti alghe azzurre (cianobatteri). Impossibile distinguere i due individui simbionti, che si fondono perfettamente in una complessa struttura, il tallo, costituita da ife fungine. I licheni presentano differenti forme di crescita che ne consentono la classificazione. Tra le forme principali si distinguono: i licheni crostosi, Rhizocarpon geographicum. Lichene crostoso molto diffuso, tipico delle rocce silicee esposte della zona alpina. Grazie alla crescita regolare e alla longevità, la misura delle sue dimensioni consente di valutare il tempo di esposizione della roccia che lo ospita, un metodo di datazione affidabile per depositi e morene glaciali (18 luglio 2009, foto A.Morgillo). Licheni e piante simbiotiche 117 Rubriche Trifolium alpinum L. Trifoglio alpino, esempio di pianta simbiotica Franco Cirillo Xanthoria elegans. Lichene crostoso dal tipico colore arancione acceso che aderisce alle rocce (epilitico), specialmente quelle su cui si posano gli uccelli. L’estrema adattabilità di questi organismi è stata dimostrata da un esperimento: alcuni campioni di questa specie sono stati esposti all'ambiente spaziale per qualche giorno. Durante questo tempo hanno arrestato il proprio metabolismo, ma una volta riportati sulla Terra hanno ripreso la loro normale attività (16 agosto 2009, foto A. Morgillo). caratterizzati da patine molto aderenti al substrato, come il Rhizocarpon geographicum, abbastanza comune sulle rocce, chiamato così perchè pare disegnare tondeggianti isole gialle e nere su una carta nautica; i licheni foliosi costituiti da sottili lamine che crescono in direzione parallela rispetto al substrato; i licheni fruticosi, mai completamente fissati al substrato, al quale aderiscono per mezzo di una ridotta porzione di tallo, hanno un aspetto cespuglioso o pendono dai rami o dalle rocce con formazioni filamentose ramificate. Sono fruticosi i licheni come Letharia vulpina, conosciuto per la sua tossicità, o quelli appartenenti al genere Usnea, altrimenti noti come Barba di bosco. Un'altra peculiare caratteristica dei licheni è la loro lentissima crescita, nell'ordine dei pochi millimetri all'anno; il sopra citato Rhizocarpon geographicum è il lichene che presenta 118 Le Montagne Divertenti la crescita più lenta, impiegando un secolo per crescere di soli 4 mm. Licheni come indicatori della salute dell’ambiente • In passato l’interesse per i licheni era relativo fondamentalmente al campo farmacologico, industriale (per la produzione di coloranti o cosmetici) o alimentare; oggigiorno hanno assunto una maggiore importanza, in quanto studiati come strumento di analisi ambientale. Il lento accrescimento associato alla capacità di assorbire e di accumulare le sostanze presenti nell’atmosfera, oltre a una notevole sensibilità agli agenti inquinanti, dovuta all’impossibilità di eliminare le sostanze assimilate, fanno dei licheni ottimi indicatori della qualità ambientale. Vengono perciò definiti bioindicatori, cioè organismi nei quali è possibile individuare, e spesso quantificare, la presenza di determinate sostanze inquinanti. Xanthoria parietina. Lichene giallo folioso epifita (cioè il substrato abituale sono le piante), uno dei pochi, assieme ai licheni grigi del genere Physcia, in grado di tollerare bene gli ambienti fortemente antropizzati e inquinati (6 marzo 2011, foto A. Morgillo). Ciò è reso possibile anche dal fatto che la loro attività metabolica è ininterrotta, il che significa che per tutto l'arco dell'anno, a prescindere dalle temperature o altre condizioni meteorologiche, presentano sempre un'attività metabolica e di accumulo. Inoltre sono molto longevi (i licheni crostosi raggiungono anche i 300 anni di vita e, nei climi artici, alcune specie possono vivere oltre i 3000 anni) e di ampia diffusione, visto che si conoscono almeno 15.000 specie (di cui oltre duemila conosciute oggi in Italia) distribuite praticamente in tutti gli ambienti terrestri. Tutti questi fattori fanno dei licheni degli straordinari strumenti di indagine, pertanto la loro alterazione o scomparsa in certe aree può essere per noi campanello d'allarme sulla degenerazione della qualità dell'aria e delle condizioni ecologiche in genere. Estate 2011 Famiglia Areale Habitat Fiori Fabaceae (Leguminosae) Sulle Alpi può essere considerata una pianta comune, appare meno frequentemente sull’Appennino Settentrionale mentre è assai rara sull’Appennino Centrale Pascoli alpini, luoghi erbosi o rocciosi su substrato siliceo da 1400 a 2500 metri. Raccolti in capolini posti in cima ad un robusto peduncolo lungo 5 - 15 cm e formati da 6 – 15 fiori peduncolati di colore variabile tra il rosa e il rosso porpora (raramente violacei o biancastri). Frutti Piccoli legumi, con un solo seme, racchiuso nel calice. Foglie Trifogliate, lanceolate e appuntite e con margine leggermente dentellato; sono solo basali. Morfologia Periodo di fioritura Pianta perenne alta 10 – 15 cm con grosse radici fittonanti (cioè che affondano verticalmente nel terreno) e con fusto legnoso alla base avvolto da guaine ferruginee con rami erbacei ascendenti. Da giugno ad agosto Etimologia Il nome del genere deriva dal latino “tri” = “tre” e “folium” = “foglia”, si riferisce alle foglie ternate. Il nome specifico fa riferimento all'habitat, prevalentemente alpino. Curiosità Come la maggior parte delle piante appartenenti alla famiglia delle Fabaceae, Il trifoglio è considerata una specie “migliorante” le condizioni del suolo. La presenza di batteri simbionti contenuti in speciali noduli sulle radici, infatti, consente al trifoglio di fissare l’azoto atmosferico, arricchendo in questo modo il suolo di nutrienti. Profuma intensamente e diffonde nell'aria un sentire dolciastro, quasi fastidioso, che inganna i meno esperti sulla sua vera provenienza. Le Montagne Divertenti Licheni e piante simbiotiche 119 Rubriche Giorgio Orsucci NELLA CASA DEL SELVADEGO 120 Le Montagne Divertenti Estate 2011 La porta del museo (19 aprile 2011, foto G. Orsucci). Per visitare il museo dell'Homo Salvadego bisogna salire a Sacco (m 700), il primo paese della val Gerola proveniendo da Morbegno. Al termine dell'abitato, nei pressi di un albergo (sx), è la deviazione che porta alla piazza del paese, da cui, seguendo le indicazioni si è in breve al Nella casa del Selvàdego Le Montagne Divertenti museo. Per info (Museo dell'Homo Selvadego - tel. 0342/613124). 121 Alpi Orobie Rubriche La campanella all'esterno del Museo dell'Homo Salvadego di Sacco (29 giugno 2008, foto Giorgio Orsucci). L'affresco sul muro settentrionale: il Compianto sul Cristo Morto, con la figura del committente sulla destra (19 aprile 2011, foto R. Moiola). S acco (val Gerola) - Risaliamo ansanti via Pirondini, mentre il sole caldo del primo pomeriggio ci arroventa la nuca. Sul Fioraro c'è ancora neve, scintillante, quasi a farsi beffa della nostra arsura. Un porticato, poi sulla destra un angusto cortile acciottolato. Su un campanello troviamo "S. Vaninetti". Suoniamo. Pochi istanti d'attesa e Serafino compare alla porta, con in mano un pesante mazzo di chiavi. Nell'accompagnarci su per delle scalette ci chiede da dove veniamo, quindi infila una grossa chiave nella serratura di un vecchio portone, mentre noi alziamo lo sguardo sull'enigmatica testa a tre volti che decora la chiave di volta 122 Le Montagne Divertenti dell'arco d'ingresso. Poi la porta si apre ed entriamo nel locale. Eccola qui: la famosa camera picta, orgoglio dei paesani di Sacco. È piccola, pulita e luminosa, tirata a nuovo dai restauri che hanno preceduto l'apertura al pubblico del sito, anno 1994. Non doveva presentarsi in tal maniera cinquant'anni fa, quando il locale era adibito a fienile, con la paglia che per buona parte dell'anno arrivava a solleticare il collo delle figure dipinte. Ma andiamo con ordine. Ci occorre una chiave interpretativa per districare la matassa figurativa con cui ci troviamo a che fare. Un aiuto significativo lo troviamo sulla parete di destra. Al centro campeggia un Compianto sul Cristo Morto, schema iconografico di grande diffusione. Le figure del Cristo, della Vergine e dei due santi - San Giovanni Evangelista e Sant'Antonio Abate - dominano con imponenza la scena, e nascondono l'arido paesaggio collinare che fa da sfondo, il tutto inquadrato all'interno di cornici colorate. Ma è a destra, fuori dalla cornice, che troviamo un elemento importante: è la figura inginocchiata del committente, le mani giunte in preghiera, il viso rivolto al Cristo, ma con lo sguardo che schizza fuori dalla scena ad inquadrare i visitatori della sala. Opus fecit fieri Augustinus de Estate 2011 L'affresco sul muro orientale: l'Homo Salvadego (19 aprile 2011, foto Roberto Moiola). Zugnonibus nomine Actius, die XVIII madij 1464, così recitava una scritta - oggi non più leggibile - alla base del dipinto. A leggere gli archivi del tempo, gli Zugnoni dovevano essere una famiglia importante a Sacco e nella bassa Valtellina. E leggiamo anche di un certo Zanne Zugnoni, notaio, che aveva un figlio di nome Agostino. E se costui fosse proprio il nostro Augustinus committente della camera picta di Sacco, sarebbe ammesso pensare ad essa come ad uno studio di notaio. "Ma più in generale la stanza di Sacco va inserita nel contesto delle camere pictae valtellinesi, non infrequenti nel XV secolo, nelle quali la lontana eco degli studioli Le Montagne Divertenti umanistici moralizzati allestiti in tutta Italia si provincializzava, paradossalmente trasformando le Muse, gli Dei e i Parnasi in Uomini Selvatici, UominiLupo (come a Teglio) o Pietà con i santi boschivi ed eremiti astanti" (Rossana Sacchi, Migrazioni iconografiche e vicende storiche dell’Uomo Selvatico, in Sondrio e il suo territorio, Milano, Silvana, 1995). La citazione anticipa il tema dell'Homo Salvadego, che all'interno della camera picta di Sacco ha una esemplare declinazione pittorica. i lascia guardare per ultimo, l'Homo Salvadego. Resta quasi nell'angolo, sul lato destro dell'ingresso. Eppure, per i suoi caratteri di singolarità e folklore, è divenuto vero S e proprio "padrone di casa", tant'è che sulle mappe e sulle indicazioni stradali il luogo si fa chiamare "Museo dell'Homo Salvadego". La figura è alta e regge il confronto gerarchico con le dimensioni delle figure religiose. È coperto di pelliccia e armato di clava, e guarda assorto un punto alle nostre spalle. I capelli, ricci e arruffati, si fondono con la barba nel folto pelame del petto e delle braccia. Le mani e i piedi sono di scimmia, ma il volto è umano, al contempo dolce e severo. A destra della bocca, a mo' di fumetto, lascia detto Ego sonto un homo salvadego per natura, chi me offende ge fo pagura. È il suo biglietto da visita. E in esso, in una sintesi perfetta, c'è davvero tutto quel che di lui v'è da dire. a chi è davvero questo "uomo selvatico", come lui stesso si è definito? Per rispondere occorre uscire dalla camera picta di Sacco e alzarsi in volo, comprendendo con un sol sguardo la cultura popolare non solo della Valtellina e delle Alpi, ma veramente quella di tutte le aree montuose del nostro pianeta, dall'Italia alla Russia, dall'America all'Australia. M Nella casa del Selvàdego 123 Rubriche Dettaglio del volto dell'Homo Salvadego. Sulla destra il cartiglio Ego sonto un homo salvadego per natura, chi me offende ge fo pagura (26 aprile 2011, foto Giorgio Orsucci). L'Homo Salvadego altro non è che la declinazione valtellinese di quello stesso "modello universale" che ha dato origine in Himalaya alla figura dello Yeti, o sulle Montagne Rocciose a quella di Bigfoot - e per onor di cronaca, al Kikomba (Zaire), al Kibu (Sumatra), al Kaptar (Caucaso), e a innumerevoli altri. 124 Le Montagne Divertenti I nsomma, comunque lo si chiami, l'immagine dell'Uomo Selvatico è presente in quasi tutte le società e comunità della Terra, figura ricorrente delle mitologie di montagna. Cerchiamo pertanto di definire l'essenza dell'Uomo Selvatico, l'idea d'origine, quel timbro universale da cui le diverse manifestazioni di selvadeghi nelle varie parti del mondo hanno avuto origine. Parliamo di un essere primordiale, che vive ai limiti della società, caratterizzato da un forte antropomorfismo, ma con alcuni tratti che riconducono all'animale. E se è vero che il mito pesca sempre nella realtà, da dove si è originata, in tutto il mondo, la figura del selvadego? Con il tempo che ci è concesso si rischia evidentemente di cadere in generalizzazioni semplicistiche, ma facciamo comunque un tentativo. Modello reale della figura mitologica dev'essere il ramingo, o quell'uomo normale che ha raggiunto un livello evolutivo simile a quello degli altri, ma che decide di tornare ad uno stadio d'origine, ritrovando un suo ecosistema nello spazio selvaggio della natura. E i casi di uomini fuggiti dalla collettività e andati in natura sono più numerosi di quanto si possa immaginare. A questo punto si innesta la spicciola mentalità popolare, che impleEstate 2011 menta ed enfatizza tale figura reale (o compatibile con la realtà) aggiungendovi elementi animaleschi, sia fisici - quali peluria e gambe arcuate - sia comportamentali - violenza, diffidenza, stupidità. Ciò si cristallizza nel mito e sedimenta nell'immaginario collettivo. Tutto questo si riscontra con evidenza nell'analisi della figura che abbiamo davanti ai nostri occhi. La mano dell'artista, mossa dalla voce e dalla credenza popolare, traccia i lineamenti di una figura stereotipata, mitologica, forse consapevolmente non reale. Le Montagne Divertenti Chi me offende ghe fò pagüra. L 'ambiguità di fondo del personaggio è lampante. In questa dichiarazione di utilizzo della violenza solo per autodifesa si legge la tensione fra umano e animale, fra civiltà e legge naturale, fra urbanitas e rusticitas. Da una parte sfugge al consesso umano, preferendo vivere in solitudine nei boschi o nelle grotte, senza lavarsi né radersi. Dall'altra sente il bisogno, di tanto in tanto, di riavvicinarsi agli uomini, i quali pure hanno atteggiamenti ambigui, ora scacciando con ira il selvaggio, ora accettando da lui consigli e segreti dell'arte della malgazione. Un dualismo che nella camera picta di Sacco non trova una soluzione, quanto piuttosto una perfetta rappresentazione. Siamo giunti alla conclusione di questa visita, e più in generale di questo viaggio all'interno della cultura e della mitologia popolare alpina. La lezione che abbiamo a mente quando usciamo al sole che splende fuori dalla stanzetta è quanto strettamente l'uomo di queste valli fosse legato ai suoi boschi, alle sue montagne, spazi immensi inviolati e ignoti. Alla saggezza delle anziane signore il compito di popolarli coi loro racconti. Nella casa del Selvàdego 125 Tant en zéra Dialetti Graziano Nani S e c’è una cosa che trovo divertente delle mie montagne è cercare di tradurre in italiano alcune espressioni dialettali particolarmente diffuse in Valmalenco. E viceversa. D a un lato mi sono sempre chiesto come un innamorato possa manifestare apertamente il proprio sentimento attraverso il gergo locale. Il più semplice “ti amo”, infatti, risulta difficilmente traducibile. Persino il più morbido “ti voglio bene”, tutto sommato, suona abbastanza strano. Provate, forse c’è una strada. Io non l’ho trovata. all’altro lato esistono espressioni dialettali tendenzialmente intraducibili in italiano, se non a seguito di tortuosi ghirigori sintattici. A l’è scià l’oltru, direte voi. Ecco, per esempio. Cosa vuol dire questa frase? E ancora prima: di che si D Armonie del Bernina 6-7 agosto 2011 Rifugio Marinelli (m 2813) info: www.caigiovani.blogspot.com 126 Le Montagne Divertenti Estate 2011 tratta? È un’esclamazione? In un certo senso sì, ma c’è di più. Perché è anche una provocazione, a dire il vero. Un’affermazione. E un modo di dire. Perché se rispondete a un vostro amico a l’è scià l’oltru, con una sola frase lo state tacciando di presunzione, state mettendo in dubbio la veridicità della sua affermazione e soprattutto state maneggiando un registro impregnato di quell’ironia pungente che la gente della valle conosce bene. Un messaggio a tutto tondo, per il quale avete persino delle alternative, a seconda di come volete modularlo. Potrete ad esempio scegliere un più secco al za pö lü. E se voleste screditare in toto l’interlocutore, sparerete un bel el a bot vardàt. Rubriche Dialetti B ene, con queste tre frasi sotto mano possiamo tornare alla questione della traduzione. Diciamo che se con a l’è scià l’oltru il messaggio è più o meno “eccolo quello che crede di saperne più di tutti gli altri e invece non si rende conto di aver fatto un’affermazione quantomeno azzardata se non completamente errata”, con al za pö lü vado a mettere in dubbio non soltanto la veridicità del messaggio, ma la reputazione stessa dell’interlocutore. Con el a bot vardàt, infine, esprimo addirittura il mio rifiuto a perdere tempo in un discorso con lui, sintetizzando il mio diniego con uno sguardo di sufficienza che non lascia scampo. Messaggio che, peraltro, potrei esprimere attraverso altre forme sintattiche ancora più estreme, una su tutte l’ottimo ma ghe set oh, che arriva a mettere in dubbio la salute mentale della persona con cui sto parlando. on sono un linguista, non ho avuto modo di studiare il dialetto della Valmalenco e probabilmente qualcuno mi direbbe te gh’è amò de maian de pulenta soci. E forse avrebbe ragione. Però ho dalla mia il fatto che in famiglia si parla il dialetto. Le mie nonne, pur conoscendo l’italiano, utilizzano prevalentemente il gergo locale. I miei genitori, dal canto loro, orchestrano un buon mix di italiano e malenco a seconda delle esigenze: ancora adesso, quando vogliono essere davvero assertivi, non hanno dubbi su quale codice utilizzare. Una posizione privilegiata, la mia, da cui è partita la curiosità verso queste espressioni gergali, guidata da un’idea molto semplice: queste locuzioni in italiano non esistono. Posso citare un proverbio. Posso provocare, asserire, o lasciarmi sfuggire un’esclamazione. Ma di sicuro con la lingua italiana non posso comunicare tutto questo attraverso una sola frase di poche parole. Ecco la ragione che mi ha parlare in gergo - a Lanzada Valentina Messa V i è mai capitato di passeggiare per le vie di un paese di montagna e ascoltare una conversazione il cui significato vi sfugge totalmente? Parole sconosciute, a metà tra il dialetto e una lingua straniera. A Lanzada, in Valmalenco, può succedere e nemmeno troppo raramente. I suoi abitanti, i magnan, custodiscono, con la dovuta gelosia che si riserva ai beni più preziosi, i segreti di un vero e proprio linguaggio, coniato in un passato non molto lontano (si presume intorno al 1500): il calmùn. L’origine di questo gergo, di cui già abbiamo accennato nello scorso numero, è da ricercare nei principali luoghi di incontro: la strada, l’osteria, i luoghi di lavoro. Ha funzioni prevalentemente pratiche, legate alle esigenze lavorative e ai bisogni primari, pur non trascurando gli affetti e i sentimenti familiari e religiosi. N 128 Le Montagne Divertenti Il calmùn rappresentava un linguaggio segreto e misterioso, necessario per preservare la propria identità e, allo stesso tempo, prendersi gioco del proprio interlocutore! spinto a scrivere di questi temi. La stessa che mi porta, durante le cene in famiglia o le serate al bar, a mescolare chiacchiere e risate con appunti sparsi presi de sfross. n attesa di raccoglierne abbastanza, forse, da progettare un I dizionario ragionato delle locuzioni malenche. Fa pö bel mi direte voi, se vorrete essere gentili. Altrimenti, sono sicuro, vi scapperà un bel al gà pö temp. E a me non resterà che un ciapa e porta a cà. Estate 2011 Molti furono negli anni curiosi che interrogarono i magnani sul significato di queste parole misteriose, rare e ed evasive le risposte di chi, ancora oggi, non ha nessuna intenzione di condividere un bene tanto radicato nella propria tradizione. La risposta più diffusa a chi chiedeva spiegazioni si racchiudeva in una simpatica filastrocca giocata sulle desinenze latine: Bis bir biribus, et imbaldücaribus, et inscatelaribus…et non intramöiaribus”, vale a dire “Cari i miei forestieri (bir), voi siete dei somari (baldüch) perché vi sto prendendo in giro (scatelàa) … e voi non capite (intramöiàa)”. Un chiaro esempio di furbizia linguistica. Il calmùn serviva dunque da mecLe Montagne Divertenti canismo di difesa contro gli stranieri e rafforzava la solidarietà e la complicità tra compaesani. Questo era ancor più vero tra coloro che si trovavano costretti ad emigrare alla ricerca di nuovi sbocchi e opportunità professionali: lontani da casa e dalle proprie tradizioni, parlare calmùn consentiva di ritrovare un po’ di quell’intimità e identità di paese perduta. A volte, però, l’utilizzo di questo linguaggio era funzionale anche alle attività di contrabbando con la vicina Svizzera: ingaggi svolti con discontinuità in rapporto alle stagioni e alle crisi economiche, tollerati secondo necessità, ma ovviamente ai limiti della legalità. I detentori del gergo erano certamente gli uomini di Lanzada. In bocca alle donne questo linguaggio era giudicato sconveniente. Pur non presentando forme volgari o particolarmente sboccate, il calmùn non si addiceva alle mogli e madri del paese. D’altro canto non ne avevano nemmeno bisogno, dal momento che la funzione primaria di questo modo di comunicare era legata alle attività lavorative di tutti i giorni. Non a caso i verbi più utilizzati erano stanziàa (essere, avere e stare) e fabricàa (fare e costruire), necessari per descrivere azioni essenziali, quotidiane ed estremamente pratiche. a struttura del gergo è complicata e prende spunto dalle azioni e dalle tradizioni che giorno dopo giorno hanno forgiato la cultura dei magnan. L Spesso le parole coniate richiamavano per assonanza o onomatopea il suono o il rumore provocati da alcune azioni. Ad esempio in tintinàcul (orologio), il riferimento al tic-tac delle lancette è evidente; sgripén (carabiniere), fa pensare alle sgrinfie, sotto le quali i delinquenti non vogliono finire. Altre volte i vocaboli si basavano su metafore, termini figurativi e allusivi (es. trumbét = vino, riporta all’idea del fiasco che come una tromba viene portato alla bocca); più frequentemente i vocaboli nuovi nascevano per similitudine con ciò che volevano significare (es. pistul = prete, il termine deriva dal latino epistula e indica colui che legge la lettera sacra, tundula = pecora, ha origine dal latino tondere, ovvero tosare). In tempi più recenti, il calmùn subì un’ulteriore evoluzione e forgiò nuove parole scombinando l’ordine delle sillabe delle voci dialettali: e così il frust (pane) divenne l’üst de frü, la folc’ (falce) l’olc’ de fò e il riis (riso) l’is di rì. I l gergo di Lanzada rappresenta sicuramente uno dei pochissimi casi di conservazione della propria identità nelle parole di un linguaggio incomprensibile ai forestieri, ma condiviso con tutti gli abitanti del paese. In altre zone d’Italia i gerghi storici si sono fusi nel tempo con il dialetto o si sono comunque evoluti avvicinandosi alla lingua moderna, scomparendo inesorabilmente. Non in Valmalenco, non a Lanzada. Qui il calmùn ha ancora una propria vita, che però rischia di cadere nel dimenticatoio se coloro che ne custodiscono il significato non lo tramanderanno alle generazioni future. Speriamo che questo lungo processo non abbia mai fine, che questo tesoro non si perda come succede a molti dialetti e che sappia ancora sfruttare il segreto racchiuso nelle sue parole per preservarsi dal tempo, dall’integrazione forzata e dalle influenze forestiere. Ficàa ‘l bèl, marét… Ciottoli, granelli e polveri di gergo malenco 129 Rubriche CLICK i s Testi e foto di Roberto Moiola ! e t r pa PARTE 1 • Pianificazione del viaggio PARTE 2 • Consigli di fotografia in viaggio PARTE 3 • Archiviazione e modifica delle foto partire da questo A numero, per tre stagioni, la rubrica “L'arte della fotografia” vuol dare aiuto e consiglio agli affezionati lettori e fotografi nell'organizzazione di vacanze e viaggi con la macchina fotografica al collo. Certamente il viaggio dà a ciascuno grandi emozioni nel momento in cui esso si consuma, e già questo giustifica il viaggio stesso. Ma poi tutti vorrebbero riuscire a catturare con la fotografia i momenti indimenticabili, così da averne un ricordo tangibile una volta tornati a casa e poterne dare conto anche ad amici e parenti. Per vincere questa sfida, il fotografo, o aspirante fotografo, deve unire alle conoscenze tecniche un'adeguata pianificazione del viaggio pre-partenza. È indispensabile documentarsi, oltre che sulle questioni logistiche, anche sugli aspetti sociali e culturali del paese di destinazione, utilizzando una buona guida e facendo qualche lettura di approfondimento. Viaggiare significa entrare in sintonia con il luogo e gli abitanti del posto. Solo in questo modo saremo davvero in grado di catturare l’essenza del luogo prescelto. Vediamo allora qualche consiglio pratico per eseguire un’ottimale pianificazione del viaggio, al fine di evitare dimenticanze. Proseguiremo poi, nel prossimo numero, passando in rassegna alcuni trucchi per quando sarete nel vivo del viaggio. Non tralasceremo infine qualche nozione per archiviare, per modificare e per stampare gli scatti eseguiti. SCELTA DELLA DESTINAZIONE • Il mondo è bello perché è vario: così recita il famoso proverbio. Per questo motivo è essenziale scegliere la meta in base alle proprie attitudini e preferenze. Il fotografo paesaggista prediligerà zone ad alta densità di parchi e bellezze naturali. Prendiamo ad esempio il sud-ovest degli Stati Uniti, dove in poche centinaia di chilometri si susseguono i più svariati paesaggi all’interno di aree protette. Il fotografo naturalista potrà recarsi in Costarica o alle Galapagos, dove non mancheranno fiori o animali sorprendenti. Chi ama appostarsi con l'esperienza e la pazienza del "fotografo cacciatore" certamente non sbaglierà optando per un safari nel centro o nel sud dell'Africa. In tutti i casi, prima di partire, è essenziale verificare la situazione attuale nel mondo. Il sito più aggiornato e completo è senzaltro www.viaggiaresicuri.it , dove un pallino blu sulla mappa del globo indica quali sono i paesi dove sono stati pubblicati avvisi particolari: dai problemi sulla sicurezza a quelli sanitari, oppure legati a minacce atmosferiche singolari ed eccezionali, come ad esempio un terremoto o un’alluvione. È certamente buona cosa valutare con attenzione la meta in base anche alla stagione. Non si dimentichi che in contemporanea con la calda estate italiana, è inverno e fa molto freddo nelle località dellemisfero australe; non si sottovalutino neppure i temibili monsoni nelle aree tropicali. I mesi in cui ci si sposta potrebbero anche corrispondere al picco massimo di presenza di zanzare e al pericolo di malattie malariche: recatevi per tempo in un centro di profilassi sanitaria e verificate quali sono le vaccinazioni richieste o consigliate per la vostra destinazione, ricordandovi che alcune devono essere eseguite con parecchi mesi di anticipo. Recarsi allestero nei periodi meno affollati può significare un notevole risparmio economico, soprattutto perchè alcune compagnie aeree dimezzano i prezzi rispetto allalta stagione (tenete bene a mente che lalta stagione in Europa non corrisponde al picco turistico in paesi lontani). Stesso discorso riguardo ad albergatori e fornitori di servizi ( ad esempio il noleggio delle auto). Elefanti al tramonto nel delta dell'Okawango. E' essenziale prevedere anzitempo il punto di ripresa ideale al momento del tramonto. Con la giusta accortezza avremo delle silhouette indimenticabili (2 luglio 2008). 130 Le Montagne Divertenti Estate 2011 Le Montagne Divertenti Pianificazione del viaggio 131 Rubriche L'arte della fotografia PAESAGGISTA NATURALISTA Africa del Sud (Kruger-EtoshaOkawango) India Perù USA parchi del sud-ovest Galapagos (Ecuador) Kenya Namibia (Himba e San) Australia Ande (CileBolivia-Patagonia) Madagascar Tanzania Indocina Tibet-Nepal Islanda Francia (Camargue) Isole Falkland Nuova Guinea Cina Nuova Zelanda Coto Donana (Spagna) Delta del Danubio Medio Oriente Spagna 1 - - Ecco i principali siti contenenti diari di viaggio: www.viaggiatori.net, www.vagabondo. net, www.turistipercaso.it, www.cisonostato.it, www.viaggiareliberi.it, www.markos.it. Estate 2011 TUTTOFARE CostaricaPanama-Nicaragua - indagate i siti dei fotografi professionisti alla ricerca di idee sui luoghi da fotografare. Consultate anche gli archivi delle agenzie di stock, cercando le parole chiave che vi interessano. Così facendo potrete valutare il momento migliore per visitare una determinata località, per trovarvi una fioritura o il disgelo, piuttosto che la possibilità di avvistare gli animali. Le Montagne Divertenti RITRATTISTA Namibia CONOSCI DAVVERO LA TUA META? • Dopo uno studio preliminare, che servirà a determinarne le tappe principali, occorre approfondire la conoscenza della meta, sfruttando in primo luogo lo sconfinato e sempre aggiornato mondo di internet. È indispensabile scoprire il più possibile della destinazione, non accontentandosi delle tappe classiche proposte dai depliant turistici. Ecco alcuni accorgimenti che anche il sottoscritto segue nella pianificazione dei viaggi-avventura fai da te: -leggete i racconti dei viaggiatori che vi hanno preceduto e scoprirete qualche segreto sui luoghi da includere nel vostro taccuino di marcia, ma anche interessanti consigli sulle strutture dove fermarvi a pernottare e come evitare le classiche fregature, su ristoranti a buon mercato, su persone del posto che possono accompagnarvi nell’esplorazione della regione1; 132 CACCIA FOTOGRAFICA Le Montagne Divertenti Partendo con un buon programma si risparmia tempo prezioso una volta in viaggio. Nelle tempistiche, bisogna valutare di trovarsi sul posto possibilmente con condizioni di luce ottimali per avere una fotografia bilanciata2. Giunti sul posto, date sempre un’occhiata alle cartoline o ai calendari in vendita: solitamente sono immagini interessanti da cui prendere spunto. Entrate anche negli uffici turistici e nelle agenzie di viaggio per prendere depliant e riviste da sbirciare la sera prima di prender sonno! PRENOTAZIONI E ACQUISTI • Personalmente prenoto sempre i viaggi in modo del tutto autonomo avvalendomi soprattutto del web. Per acquistare i voli aerei solitamente mi affido ad uno dei seguenti siti: www.edreams.it, www.expedia.it, www.lastminute.it. Talvolta è molto utile sbirciare anche il sito della compagnia di bandiera. Per gli spostamenti interni acquisto spesso biglietti, con offerte molto vantaggiose, sui siti delle meno blasonate compagnie aeree locali (in Sudafrica con la compagnia Kulula ho risparmiato il 50% rispetto alle altre compagnie sulla stessa tratta). Certamente non dovete aspettarvi servizio a bordo o allestimenti da first class! Limportante è arrivare a desti2 - - Si consigliano questi siti a livello mondiale: www.corbis.com, www.istockphoto.com, www.fotosearch.com, www.shutterstock.com. fate uso di Panoramio e Google Earth per studiare la geografia e la conformazione del territorio. Veduta aerea delle linee di Nazca, in Perù. Talvolta occorre programmare gi‡ da casa le tappe del proprio viaggio. Sarebbe deludente giungere in un luogo visitabile solo "dal cielo" e scoprire che quel giorno i posti sul Cessna sono tutti esauriti. Pianificazione del viaggio 133 Rubriche Fotografando le cascate Vittoria. Non dimentichiamoci di portare un ombrello o una k-way se vogliamo salvare l'attrezzatura fotografica dagli schizzi e dalle piogge improvvise (1 luglio 2008). Lavando i panni sul fiume ad Agra. Il punto di ripresa è essenziale per la fotografia di reportage. Inutile avere troppa attrezzatura e poche idee. Attenzione però a ponderare la voglia di fare uno scatto unico con il rischio di essere troppo invasivi per i locali (30 aprile 2010). nazione, e se sono qui a scrivere Acquistate pure con carta di credito se avete abbastanza dimestichezza con gli acquisti on-line (siate sicuri di essere su un sito affidabile e non su un “sito-clone” o che nasconde delle frodi). I siti segnalati per i voli sono validi anche per la ricerca dei pernottamenti; a tal proposito consiglio in aggiunta www.booking.com, a mio parere il migliore nel suo genere. Se avete deciso di affidarvi ai mezzi pubblici per gli spostamenti, le prenotazioni non sono generalmente dobbligo, eccezion fatta per alcune tratte ferroviarie dellIndia o per il super affollato treno per Machu Picchu in Perù. Riguardo al noleggio auto, occorre un discorso approfondito poiché in 134 Le Montagne Divertenti questo settore i prezzi possono davvero variare di molto. Solitamente mi affido a stimate agenzie come www. hertz.com, www.avis.com, www. budget.com, www.dollar.com, www. alamo.com, www.thrifty.com o www. europecar.com. Diffidate delle locali agenzie di noleggio: parchi macchine scadenti, ritardi causati da guasti alle auto, premi di assicurazioni aggiuntive sono solo alcuni degli inconvenienti assai diffusi. Aggiungete con accuratezza le garanzie facoltative per evitare di dover pagare ingenti somme in caso di negligenze o sfortunate distrazioni accorse nei giorni del noleggio. In visita di paesi dove il servizio sanitario è a pagamento (basti pensare alla vicina Svizzera o a realtà tristemente famose come gli Stati Uniti) è buona norma stipulare unassicurazione di viaggio integrativa a copertura di rischi sanitari e infortuni. Lassicurazione stipulata con lacquisto del biglietto metterà al riparo da piccoli imprevisti quali il rischio di smarrimento del bagaglio, il ritardo dei voli o l’annullamento del viaggio (è ancora vivo il ricordo del viaggio perso in Libia per un problema di sicurezza ahimè non avevo stipulato alcuna assicurazione!). Basta anche solo uninfluenza poco prima di partire per rinunciare alla partenza o rientrare in anticipo dal viaggio. Ecco quindi alcuni siti utili per assicurazioni di viaggio: www.genialloyd. it, www.europeassistance.it, www. viaggiaresicuri.com, www.e-mondial. it, www.elvia.it. In viaggio, non cedete mai la carta Estate 2011 di credito a mani estranee; chiunque potrebbe in malafede segnarsi i numeri e utilizzarla per acquisti on-line. Prima di partire assicuratevi di attivare il servizio di segnalazione delluso della carta sul vostro cellulare mediante sms. COSA PORTARE CON VOI • In valigia occorre mettere tutto il necessario, evitando al tempo stesso di portare oggetti di dubbia utilità. Considereremo in questa sede solo gli strumenti che riguardano la fotografia, da collocarsi preferibilmente nel bagaglio a mano. - oltre alla macchina fotografica occorre avere con sé almeno due schede di memoria, poiché una potrebbe lasciarci a piedi durante il viaggio o aver capacità insufficiente; spesso è difficile reperirne una in Le Montagne Divertenti luoghi esotici o in mezzo al deserto; - anche le batterie della fotocamera devono essere almeno due; non si dimentichi il caricatore il quale dovrebbe essere possibilmente di tipo portatile e collegabile all’accendisigari dell’automobile. E’ davvero fastidioso, nei viaggi itineranti, ricordarsi ogni sera di ricaricare le batterie, siamo pur sempre in vacanza! - gli obiettivi dovranno essere quelli che più si adattano ai soggetti che andrete a fotografare. E’ impensabile portare tutto il proprio corredo fotografico, meglio muoversi con due sole lenti, per esempio un grandangolo e un macro, oppure un medio-tele per i ritratti; - altra cosa da non dimenticare il telecomando per lo scatto remoto e i filtri, ad esempio il polarizzatore, utile in qualsiasi circostanza per ridurre i riflessi indesiderati o per aumentare la saturazione del cielo; oppure il filtro neutral densit, per fotografare acqua e cascate, e un filtro neutro graduato per le riprese di paesaggi con forti contrasti (ad esempio zone con neve o con molte nuvole); - è essenziale dotarsi di un lettore esterno di schede di memoria con unità di back-up incorporata, grazie al quale periodicamente si metteranno in salvo gli scatti. Anche un portatile può far molto comodo, specialmente per cercare con facilità informazioni dellultima-ora; - ricordiamoci di avere sempre un k-way o un telo protettivo nello zaino. L’acqua non è amica dell’attrezzatura fotografica (personalmente sperimentato in diverse occasioni!); - per i veri appassionati di tramonti e foto notturne è utile avere un GPS che rivela dove nascerà e calerà il sole o a che punto si trova la luna; - se rimane dello spazio in borsa si aggiunga un flash per i ritratti o gli interni; questo deve esser ben calibrato affinché non rechi eccessivo disturbo alle persone che non amano essere ritratte, considerato che il lampo del flash non passa inosservato; - per coloro che si recano in posti di mare, cimentarsi nella fotografia subacquea è una bella tentazione; a tal riguardo segnalo i seguenti due siti www.aquapac.net e www.dicapac. com. - per ultimo, ma non per questo meno importante, un buon treppiedi. A questo punto, non mi resta che dire… buon viaggio a tutti! Pianificazione del viaggio 135 le foto dei lettori Rubriche TANZANIA Diego Castelletti e il suo amico e guida Franco durante un safari in Tanzania (21 gennaio 2011). Fioritura di eriofori salendo al passo Confinale (Valmalenco). Sulla destra svettano i pizzi Argento (m 3945) e Zupò (m 3996), mentre sulla sx si vede la bella piramide del pizzo Roseg (3936). MANDA LE TUE FOTOGRAFIE Due sezioni dedicate ai nostri lettori: • una che premia il fotografo più bravo; inviate il materiale a [email protected] La foto vincitrice verrà pubblicata con una recensione dettagliata e la scheda di presentazione del fotografo. • una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; la foto va inviata a [email protected] e deve avere anche un soggetto umano, la rivista e uno scorcio del luogo. Per poter pubblicare tutte le foto arrivate, per questo numero abbiamo ampliato la sezione a 7 facciate. Lo scatto migliore fra quelli giunti negli ultimi 3 mesi è quello di: IL FOTOGRAFO LA FOTOGRAFIA (recensione di Roberto Moiola) Mi chiamo Paolo Lapsus, 35 anni, e vivo a Sondrio. La fortuna di avere intorno queste splendide montagne mi ha spinto a girare in tutte le valli vicino a noi, dalla Valmalenco alla Valgerola alla Valmasino e sulle Orobie. Vado sia in estate sia in inverno (con le ciaspole), con gli amici a fare le passeggiate un po' più dure e con la famiglia a fare quelle un po' più soft. Questa passione mi ha portato anche a fare il 50° Corso di Alpinismo organizzato dal CAI Sez. Sondrio (saluto e ringrazio tutti, compagni ed istruttori) e siamo arrivati in posti incredibilmente belli e difficili da raggiungere. Penso che tutta la fatica che si fa durante una passeggiata o una scalata viene totalmente ripagata dallo splendore dei posti raggiunti, e per questo ad ogni volta porto la macchina fotografica e faccio un sacco di foto, per poi riguardarmele con estrema soddisfazione. L'immagine scattata da Paolo contiene una composizione molto armonica e una luce senza ombre che permette di leggere al meglio le tonalità medie presenti nella scena. I fotografi paesaggisti cercano sempre di "non perdere l'attimo" per scattare delle foto che trasmettano emozione. È una delle sfide e insidie maggiori in questa categoria di immagini, dove ad esempio una fioritura, un tramonto o uno specchio d'acqua possono fare la differenza. I più esperti affinano la tecnica cercando di giungere al momento giusto, come nel caso di questa foto dove la fioritura dei begli eriofori pare essere al massimo dello splendore. D'istinto mi viene da pensare a come sarebbe stato lo scatto se Paolo si fosse abbassato verso la pozza sulla sinistra, mettendo i simpatici batuffoli di cotone in primo piano e, forse, con le vette imbiancate dalla prima neve fresca che vi si riflettevano all'interno. Consiglio a tutti di non fermarsi allo scatto dal sentiero, provate ad osservare meglio, troverete immagini uniche che racconteranno meglio la vostra escursione e lasceranno a bocca aperta i vostri amici. 136 Le Montagne Divertenti Estate 2011 LAOS DEL NORD Ugo Giordani e Giorgio Dioli, Villaggio Khamu (26 ottobre 2010). Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori 137 Roberta e Albina Baldini sulle scogliere atlantiche dell'isola di Fuerteventura (17 novembre 2010). MONTE BIANCO I coniugi Gianola al monte Bianco (10 luglio 2010). MOSCA Estate 2010, Piazza Rossa. Da sinistra: Alessandra, Paola, Gabriele, Luca, Graziano, Mary, Simone e Luigi. BRASILE ATLANTICO Enrico Brigatti, Giuliano De Donati, Daniele Lenatti e Fiorenzo Spini al parco zoologico di Manaus (22 gennaio 2011). ALGERIA Nuovi lettori de Le Montagne Divertenti sull'altopiano del Tassili N'Ajjer (foto Giovanni Busetto). le foto dei lettori Rubriche ISOLE SVALBARD Riccardo Scotti in cima al Trollstein, vetta di m 843 sopra il Larsbreen, temperatura -24° (23 marzo 2011). ALPI RETICHE CUBA Carlo scova la macchina de Le Montagne Divertenti a Boirolo (10 aprile 2011). RUSSIA Max e Olga a cavallo (7 febbraio 2011). 138 Le Montagne Divertenti Estate 2011 Le Montagne Divertenti Celio Giatti sul Pico Turquino, vetta di Cuba (17 aprile 2010). PASSO DEL TONALE Michel, Anna e Donatella (31 dicembre 2010, foto Andrea). Le foto dei lettori 139 ALTA VALTELLINA Gruppo di amici grosini alle torri di Fraele dopo una gita in MTB nella valle di Cancano (4 luglio 2010). le foto dei lettori Rubriche ROMA I coscritti del 1975 di Caspoggio con Le Montagne Divertenti al Colosseo (1 novembre 2010). SYDNEY Loris Valeria Samuele con l'amico Francesco a Sydney, presso la Opera House e Harbour Bridge (20 dicembre 2010) SCOZIA Gruppo di vacanza della Sportiva Lanzada al Dunottar Castle di Stonehaven (5 agosto 2010). MADRID Nicola e Marco al parco del Retiro (1 gennaio 2011). LONDRA Michela Persenico fra le famose cabine rosse (6 novembre 2010). 140 Le Montagne Divertenti Estate 2011 VINITALY Compagnia viticoltori di Castione Andevenno in gita al "Vinitaly" di Verona (9 aprile 2011). Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori 141 le foto dei lettori Rubriche TAILANDIA NEW YORK Walter Mainetti e Annalisa Bellaria sulla spiaggia di Paton Beach (14 febbario 2011). Maurizio e Delia in Times Square (marzo 2011). STATI UNITI NUOVA CALEDONIA Riccardo Moreschi e Sandro De Paoli in Nuova Caledonia. CORSICA Alessandra Morgillo ai piedi della cascata del Piscio di Gallo (foto Riccardo Scotti, 21 agosto 2010). ANTARTIDE MESSICO Luca Pironi, volontario del Servizio Glaciologico Lombardo, nella Penisola Antartica (10 gennaio 2011). Andrea e Laura a Chichén Itza (2 aprile 2011). Sarah Trinca Colonel e Daniele Colombini presso la diga di Hoover, nel Black Canyon del Colorado (13 ottobre 2010). ALTA VALTELLINA Paolo e Diana Racchetti con Le Montagne Divertenti presso la chiesetta dell'alpe Susen (28 marzo 2010). PERU' Le Montagne Divertenti INDIA 142 I bambini del villaggio di Birkiwal immersi nella lettura delle Montagne Divertenti (29 gennaio 2011, foto Carlo Mazzoleni). Alessandra Marchesini, Daniel Garcia Barazorda e la piccola Emma (8 mesi) a Machu Picchu (19 gennaio 2011). Estate 2011 Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori 143 16 n. de Ma ch'èl? so lu zi on i vinti Giochi l Rubriche Vincitori e ma ch'el? L’utensile misterioso, fotografato da Matteo Gianatti, è la gramola, o frantoia, o fraia, o frana, o sfràia a seconda del paese. Calo Nani ce l'ha descritta così: la gramola era un utensile indispensabile nella lavorazione della canapa, utilizzata come fibra tessile (in alta valle era sostituita dal lino) per tessuti, lenzuola e come filo per la produzione dei "pezzotti". La canapa, dopo la mietitura e la raccolta, veniva immagazzinata in apposti locali dove veniva lasciata per qualche tempo a essiccare, una volta seccata poteva incominciare la sua lavorazione. La prima cosa da fare era quella di eliminare la parte più legnosa della fibra facendo passare i mazzetti di canapa proprio nella gramola. Una donna teneva il mazzo di canapa e lo faceva passare nella gramola e un altra donna, impugnando il manico dell'attrezzo, abbassava la leva che andava quindi a schiacciare il covone. Successivamente i mazzi venivano "pettinati" facendoli passare in uno strumento costituito da un asse in legno con lunghi chiodi sporgenti che avevano anche lo scopo di eliminare gli ultimi residui legnosi della fibra. Ultima lavorazione prima della filatura, era la battitura con la "spàdula" che divideva la stoppa dalla fibra più nobile che quindi poteva essere filata con l'utilizzo del fuso. I vincitori sono stati: 1- Molta Enrico di Ardenno 2- Debora Contrio di Albosaggia 3- Sergio Proh di Mossini 4- Carlo Nani di Albosaggia 5- Stefano di Valfurva Sei pratico di cose strane? Eccoti un oggetto misterioso. Dimmi cos'è e come veniva utilizzato. I 2 più veloci dalle ore 21:05 del 25 giugno 2011 vinceranno calze+maglietta de “Le Montagne Divertenti”, il 3° classificato ricevera' fascetta e calze de "Le Montagne Divertenti", il 4° e il 5° un libro a scelta tra quelli disponibili sul sito www.lemontagnedivertenti.com Manda la tua risposta e il tuo indirizzo di casa a: [email protected] oggetto della mail: “ma ch'el?” Hanno inoltre indovinato la soluzione: Francesco Fanchetti, Giovanni Rinaldi, Della Maddalena Matteo, Claudio Giudice, Marino Bonmartini, Bruna Corradini, Dario Capitani, Ivan Andreoli, Sonia Soverna, Franco Parolini, Livio Bricalli, Maria Gusmeroli, Valentina Della Valle, Jonni, Stefania di Bormio, Michele e Gloria di Albosaggia, Italo Rossatti, Giulia Pedroli, Martino Taloni, Marina Della Maddalena, Matteo Masotto, Giovanna Iacolino, Mosè Quaini, Bonomi Lucia, Carlotta Ermacora, Corrado Pusterla. Ma che scimma i-è? Quali sono le 4 cime indicate in questa foto? Data la difficoltà del concorso primaverile, questa volta siamo stati fin troppo buoni: indovinello facilissimo e premi ricchi!! I 2 più veloci dalle ore 21:01 del 25 giugno 2011 vinceranno la foto stampata su tela (larghezza 90 cm - già con telaio e supporti) + calze. Il il 3° classificato avrà fascetta e maglietta de “Le Montagne Divertenti”, il 4° e il 5° un libro a scelta tra quelli disponibili sul sito www.lemontagnedivertenti.com Manda le tue risposte e il tuo indirizzo di casa a oggetto della mail: [email protected] ma che scimma i-è? La foto di Beno, scattata a quota m 3200 dal canale S al pizzo Tremogge il 6 giugno 2010, è stata di difficile soluzione, data l'inquadratura insolita. Le cime ritratte in questa foto sono: 2 1 3 4 “Ma che scimma i-è?” 1 2 3 4 1) Corna Mara (m 2807) 2) Pizzo Recastello (m 2896) 3) Pizzo del Diavolo di Malgina (m 2926) 4) Cima orientale e occidentale dei Cagamei (m 2912 - m 2913) L'unico vincitore è stato: 1) Sergio Proh di Mossini ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO O ALL'INDIRIZZO SBAGLIATO VERRANNO RITENUTE NULLE 144 Le Montagne Divertenti Estate 2011 Le Montagne Divertenti Giochi 145 Rubriche lE RICETTE DELLA NONNA Ribes rosso V come riconoscerlo l ribes rosso appartiene alla famiglia delle Sassifragaceae, genere Ribes, specie rubrum. Dello stesso genere sono pure il ribes bianco e il ribes nero. Il colore è direttamente collegato a quello dei frutti che la pianta produce. Il ribes è un arbusto perenne alto 1-2 m, deciduo, inerme, con foglie semplici, apice acuto e margine dentato. Originario dell'Europa centrale e dell'Asia settentrionale, cresce bene negli ambienti di media montagna valtellinesi. In primavera la pianta del ribes produce piccoli grappoli formati da una ventina di piccoli fiori bianchi, per lo più autofertili che, all'inizio dell'estate, si traformano in piccoli frutti rotondi, polposi, translucidi e dal sapore molto aromatico. l ribes, ricco di vitamina A e C, è particolarmente indicato in caso di: inappetenza, convalescenza a seguito di malattie febbrili e infettive, reumatismi, gotta, calcoli renali. Il ribes è inoltre diuretico, antinfiammatorio, antistaminico, antiallergico con effetto cortisone-simile. Inoltre contiene acidi organici quali l’acido malico, citrico e tartarico, che stimolano le secrezioni dello stomaco e dell'intestino, facilitando il processo della digestione e tonificano tutto l'apparato digerente. Aspetto negativo del frutto del ribes è che, una volta colto, si conserva per poco tempo: dai 3 ai 5 giorni in frigo. Per gustarsi il frutto anche oltre questi termini è necessario fare delle conserve. Una di queste, apprezzatissima, è lo sciroppo. I I I ribes rossi del mio orto stanno maturando (18 maggio 2011, foto Beno). Laura Terraneo e Fabrizio Picceni Ribes rossi maturi (18 giugno 2010, foto G. Lalli). lo sciroppo Preparazione Dosi per 1 litro circa di sciroppo 3 dl di acqua 500 gr. di ribes rossi 300 gr. di zucchero Un limone Lavare bene i ribes, asciugarli delicatamente con un telo e passarli al setaccio. Porre il contenuto in una terrina e lasciar riposare per almeno 6 ore. Eliminare l’eventuale schiuma formatasi in superficie, unirvi il succo di un limone e filtrare il composto possibilmente mediante la carta da filtro. Portare ad ebollizione l’acqua e lo zucchero. Lasciar bollire per circa 10 minuti, versare lo sciroppo in una terrina e farlo raffreddare. Unire a 146 Le Montagne Divertenti questo punto il succo di ribes allo sciroppo e portare il composto ad ebollizione su fuoco moderato, eliminando la schiuma eventualmente formatasi in superficie. Lasciar bollire per 5 minuti. Filtrare il composto attraverso due garze sterilizzate, incrociate e sovrapposte, e imbottigliare. Prima di chiudere le bottiglie, attendere che lo sciroppo si sia raffreddato.dare. Unire a questo punto il succo di ribes allo sciroppo e portare il composto ad ebollizione su fuoco moderato, eliminando la schiuma eventualmente formatasi in superficie. Lasciar bollire per 5 minuti. Filtrare il composto attraverso due garze sterilizzate, incrociate e sovrapposte, e imbottigliare. Prima di chiudere le bottiglie, attendere che lo sciroppo si sia raffreddato. Estate 2011 “Da quassù il mondo degli uomini altro non sembra che follia, grigiore racchiuso dentro se stesso. E pensare che lo si reputa vivo soltanto perché è caotico e rumoroso." Walter Bonatti 148 Le Montagne Divertenti Estate 2011 Le Montagne Divertenti Ricette 149