n. 17 - Estate 2011 - Le Montagne Divertenti

Transcript

n. 17 - Estate 2011 - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna
T rimestrale
di
A lpinismo
e
C ultura A lpina
n°16 - ESTATE 2011 - EURO 5
Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio
Valmalenco
Pizzo Roseg: il re dei
ghiacci
Valmasino
Sfinge e Ligoncio
Fotografia
La valigia del fotografo
e
v
r
i
D tenti
Serpenti
Parte I: pregiudizi,
storie e leggende
Campo Moro
Lo spettacolo dei tuffi
dalle grandi altezze
Alta Valtellina
L'Alta Via dello Stelvio
Pizzo Tambò
Primo in Valchiavenna
Val d'Arigna
Trekking e agricoltura
Valtellinesi nel
mondo
In Grecia in cima alle
guglie di Meteora
Joëlette
Montagne per tutti
Flora
Licheni e simbiosi
Insetti
La mantide religiosa
Orobie
L'Homo Salvadego e i
laghi della val Gerola
Inoltre
Ricette, poesie, giochi,
leggende...
La Valtellina
attraverso i passi dello Spluga e dello Stelvio
valchiavenna
- bassa valtellina - ValMàsino - alpi retiche e orobie - valmalenco - alta valtellina
1
Le Montagne Divertenti Editoriale
Beno
Si può cogliere il fascino di una montagna solamente dopo il lungo tragitto per raggiungerne la vetta,
un percorso che non solo ci fa scoprire le vallate, gli animali e gli uomini che ne abitano i fianchi, ma che ci porta
a conoscere meglio noi stessi, i nostri limiti e a lottare per migliorarci.
E' un viaggio meraviglioso, una palestra di vita che ci fa sentire realizzati e ci aiuta capire
quanto invece sia sciocco perdere tempo ad accumulare cianfrusaglie che mai troveranno
spazio nel nostro cuore.
In copertina: la strada dello Spluga,
Montespluga, il lago di Montepluga e il
monte Mater dalle pendici del pizzo Tambò
(foto Roberto Moiola - www.clickalps.com).
Anemone nella valle di Musella
(15 giugno 2010, foto Giacomo Meneghello).
2
Le Montagne Divertenti Estate 2011
Ultima di copertina: alpinisti ai piedi della
Cresta
Guzza (11Divertenti
settembre 2010,
Le Montagne
foto Beno).
3
L
e g e n d a
Schede sintetiche e tempistiche
Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali
del percorso, tra cui dislivello, tempo di percorrenza e difficoltà. A fianco trovate una breve e divertente
spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita.
Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse
capacità. Sotto la voce "Dettagli", invece, viene espressa la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica
convenzionale, corredata da una breve spiegazione.
Le tempistiche, indicate nel testo descrittivo, sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per
raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2.
Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza,
pericolosità e fatica, vi permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario a voi più consono.
1 - Se non emergono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dilivello l'ora, oppure 3 km orari su itinerario pianeggiante.
2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento
crono-geografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare l'individuazione
dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto.
Bellezza
pericolosità
Quasi meglio il centro commerciale
Carino
Basta stare un po’ attenti
Assolutamente fantastico
Fatica
Richiesta discreta tecnica alpinistica
Pericoloso (si consiglia una guida)
ore di percorrenza
Si comincia a dover stare
attenti alle storte,
alle cavallette carnivore
e nello zaino è meglio mettere
qualche provvista
e qualche vestito.
Assolutamente sicuro
Ne vale veramente la pena
Ottimo anche per anziani non più autosufficienti
o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale
per la camporella, anche per le coppiette meno
esperte.
dislivello in salita
Una passeggiata!
meno di 5 ore
meno di 800 metri
Nulla di preoccupante
dalle 5 alle 10 ore
dagli 800 ai 1500 metri
Impegnativo
dalle 10 alle 15 ore
dai 1500 ai 2500 metri
Un massacro
oltre le 15 ore
oltre i 2500 metri
Le scarpe da ginnastica
cominciano ad essere
sconsigliate (sono d’obbligo
abito da sera e mocassini).
E’ meglio stare attenti
a dove si mettono i piedi.
Vertigini vietate!
su RADIO TSN
Itinerario abbastanza
lungo, ma senza
particolari difficoltà
alpinistiche.
E’ richiesta una buona
conoscenza dell’ambiente
alpino, discreta capacità
di arrampicare
e muoversi su ghiacciaio
o terreni friabili come
la pasta sfoglia.
E’ consigliabile una guida.
FM 101.100/97.700
ogni martedì con Beno & special guests
ore 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45
WWW.RADIOTSN.IT
Montagna divertente,
itinerario molto lungo
e ricco di insidie di varia
specie. Sconsigliato a tutti gli
appassionati di montagna non
esperti e non dopati.
Valida alternativa
al suicidio. Solo per
persone con un’ottima
preparazione fisicoatletica e esperienza
alpinistica. Servono
sprezzo del pericolo
e, soprattutto, barbe
lunghe e incolte.
Editore
Beno
Direttore Responsabile
Enrico Benedetti
Redazione
Alessandra Morgillo
Beno
Giorgio Orsucci
Roberto Moiola
Responsabile della fotografia
Roberto Moiola
Realizzazione grafica
Beno e Giorgio Orsucci
Revisore di bozze
Mario Pagni
Responsabile della cartografia
Matteo Gianatti
Hanno collaborato a questo numero:
Alessandra Morgillo, Antonio Boscacci, Beppe, Cesare Contin,
Claudio Pia, Costantino Marveggio, Davide Gotti, Egidio
Guanella, Fabio Pusterla, Fabrizio Picceni, Flavio Casello,
Franco Benetti, Franz, Giacomo Meneghello, Gianfranco
Lalli, Gioia Zenoni, Giordano Gusmeroli, Giorgio Orsucci,
Graziano Nani, Gregorio Luigi Fanetti, Kim Sommerschield,
Laura Terraneo, Luciano Bruseghini, Luisa Angelici, Marcello
Di Clemente, Marina Magri, Marino Amonini, Maristella
Sceresini, Matteo Gianatti, Matteo Tarabini, Maurizio
Cittarini, Michele Corti, Mina Bartesaghi, Mirko Mascetti,
Renzo Benedetti, Riccardo Scotti, Roberto Ganassa, Sergio
Scuffi, Valentina Messa,Vittorio Zanetti.
ARIO
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna
Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369
Speciali
12
26
Valchiavenna
Passo dello Spluga
Alta Valtellina
Passo dello Stelvio
Itinerari
d’alpinismo
Itinerari
d’escursionismo
Rubriche
54
80
104 Valtellinesi nel mondo
66
Valmalenco
Pizzo Roseg (m 3936)
Approfondimento
I ghiacciai del Bernina
84
Versante Orobico
Briotti - rifugio Grioni
Approfondimento:
I splinc di Briotti
Le guglie di Meteora
112
Il mondo in miniatura
Mantide: ingannevole apparenza
Si ringraziano inoltre
CAI Valtellinese, Ezio Gianatti, Mario Maffezzini, Maurizio
Torri, Fabrizia Vido, Eva Fattarelli, la Tipografia Bonazzi, gli
edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli sponsor
che credono in noi e in questo progetto.
Giovanni Mazzoleni, Daniele Ligari e Stefano Tirinzoni
Pubblicità e distribuzione
[email protected]
tel. 0342 380151
Stampa
M
Un saluto speciale a:
38
Bonazzi Grafica -Via Francia, 1 -23100 Sondrio
Per ricevere la nostra newsletter:
Serpenti: parte I
Pregiudizi e luoghi comuni
69
Valchiavenna
Pizzo Tambò (m 3278)
89
Alta Valtellina
L'Alta Via dello Stelvio
registra il tuo indirizzo email su www.lemontagnedivertenti.com
116
120
Abbonamenti per l’Italia
127
annuale (4 numeri della rivista):
costo € 22 da versarsi sul
c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio
IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50
intestato a:
Beno di Benedetti Enrico
via Panoramica 549/A
23020 Montagna (SO)
nella causale specificare: nome, cognome,
indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti”
fatto il bonifico è necessario
registrare il proprio abbonamento su
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in segreteria).
49
Joëlette
Montagne per tutti
73
Valmasino
Sfinge e Ligoncio (m 3033)
O
[email protected]
www.lemontagnedivertenti.com
M
Contatti, informazioni e merchandising
Arretrati
[email protected] - € 6 cad.
Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista
21 settembre 2011
Errata corrige n.16 - Primavera 2011:
Il muleta a pag. 117 è Andrea Negrini, classe 1917 di Caspoggio.
S
Prossimo numero
52
Tuffi dalle grandi altezze
Ad agosto a Campo Moro
Estate 2011
Le Montagne Divertenti 96
Versante Orobico
La sintesi della val Gerola
Flora
Vivere in simbiosi (licheni)
Arte e montagna
Nella casa del Selvadego
Dialetti
Tant en zéra tant en zò
130
L'arte della fotografia
Click si parte ( I parte)
131
Le foto dei lettori
144
Vincitori e vinti
145
Giochi
Ma ch'el, ma che scimma i-è
146
Ricette della nonna
Sciroppo di ribes rosso
Localizzazione luoghi
Zillis
Wergenstein
Bergün
Parsonz
Sufers
2115
Mulegns
Montespluga
3378
Madesimo
Livigno
Cresta
St. Moritz
Pianazzo
Fraciscio
Passo del Maloja
1815
Pizzo Stella
Pizzo Quadro
3013
3183
Casaccia
Mera
Pizzo Galleggione
3107
Castasegna
Prosto
Prata
Camportaccio
Gordona
San Cassiano
Pizzo Martello
2459
3032
2845
Verceia
Cevo
Bùglio
Caspano Ardenno
Dubino Mantello Mello
Traona
Dazio
Sirta
MORBEGNO
Delébio Rògolo
Còsio
Regolédo
Albaredo
Geròla
Bellàno
Taceno
Pescegallo
98
Pizzo dei Tre Signori
2554
Bellagio
Introbio
Le Montagne Divertenti Barzio
Colorina
Caiolo
Tartano
Monte Cadelle
2483
Passo San Marco
1985
Albosaggia
Carona
Piazzatorre
Olmo
al Brembo
Pizzo Campaggio
2502
Pizzo del Diavolo
di Tenda
2829
Pizzo Rodes
2829
Arigna
Carona
Pizzo Coca
3050
Aprica
Còrteno
Estate 2011
Cortenedolo
Monte Sellero
2743
Pizzo Camino
2492
Concarena
2549
26 Alta Valtellina
Passo dello Stelvio
(Eliana e Nemo Canetta, Beno)
54 Valmalenco
Pizzo Roseg
(Beno)
Pizzo Tambò
(Beno)
76 Val Màsino
Sfinge e Ligoncio
(Beno)
Passo del Tonale
1883
Briotti- rifugio Grioni
(Roberto Moiola)
89 Alta Valtellina
L'Alta Via dello Stelvio
(Eliana e Nemo Canetta)
98 Alpi Orobie
Adamello
3554
Monte Fumo
3418
Garda
Monte Carè Alto
3462
Berzo
Paisco
Passo dello Spluga
(Sergio Scuffi)
81 Alpi Orobie
Ponte
di Legno
Edolo
Loveno
Villa
Vione
Sonico
Palone del Torsolazzo
2670
Monte Torena
2911
Pezzo
Incudine
Monno
Malonno
Vilminore
Colere
Gromo
Vezza
d'Oglio
Passo dell'Aprica
Monte Gleno
2883
Valbondione
Passo del Vivione
1828
Gandellino
Corno dei Tre Signori
3359
Punta di Pietra Rossa
Monte Tonale
3212
2694
Monte Serottini
2967
Mazzo
Tovo
Lovero
Sernio
TIRANO
Bianzone
Tresenda
Adda
Pizzo Redorta
3039
Fumero
Adda
Schilpario
Branzi
Roncorbello
Brusio
Ponte in Valt.
Teglio
Chiuro
81
Foppolo
Cùsio
Cassiglio
Sondrio
Tresivio
Mezzoldo
Valtorta
Pasturo
8
Ornica
3136
Grosotto
Punta San Matteo
3678
Passo del Gavia
2621
Le Prese
Sondalo
Monte Masuccio
2816
69 Valchiavenna
Grosio
Vetta di Ron
Boirolo
T. V
enin
a
Bema
Premana
Postalesio
Berbenno
Castione
Talamona
120
Tremenico
Lierna
3114
Le Prese
T. Fo
ntana
Cima del Desenigo
3323
Caspoggio
Chiesa
in Valmalenco
Torre
di S. Maria
San Martino Corni Bruciati
Pizzo Scalino
Lanzada
T. Livrio
Lago
di Como
3678
Pizzo Ligoncio
Monte Legnone
2610
Dervio
Bagni
del Màsino
Primolo
San Caterina
frana
di Val Pola
Malghera
Poschiavo
64
Monte Cevedale
3769
Monte Confinale
3370
Valdisotto
Cima Saoseo
3263
Ortles
3905
Gran Zebrù
3851
Cepina
12 Valchiavenna
San Antonio
BORMIO
San Carlo
T. Mallero
Còlico
76
Monte Disgrazia
T. Caldenno
Dongo
ra
T. Code
La Rösa
Eita
Sasso Nero
2917
3378
Novate
Mezzola
Lago
di Mezzola
Cima di Castello
Oga
T. Roasco
Chiareggio
o
T. Màsin
Montemezzo
Livo Gera
Dosso d. Liro
Lario
Somaggia
3308
4050
Passo del Bernina
Piz Palù
2323
3906
26
Bagni di Bormio
Premadio
Cima Piazzi
3439
i
od
Lag chiavo
Pos
San Pietro
Samòlaco
Era
Vicosoprano
Villa
di Chiavenna Pizzo Badile
54
Passo del Muretto
2562
Bondo
CHIAVENNA
Mese
Soglio
Pizzo Bernina
T.
La
nte
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Campodolcino
Maloja
89
Isolaccia
Arnoga
Forcola
di Livigno
2315
Sils
Solda
Passo dello Stelvio
2757
Valdidentro
Passo del
Foscagno
2291
Piz Languard
3268
Silvaplana
Juf
Giogo di San Maria
2502
Trepalle
Pontresina
Julierpass
Bivio
Lag
3180
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no
1816
3057
Mera
3210
89
Cima la Casina
Samedan
Piz Nair
3392
Pizzo d'Emet
Isola
Sur
Stelvio
San Maria
Lago del Gallo
Piz Piatta
Lago d
i Lei
12
Pizzo Tambò
3279
3062
3159
Inn
Montechiaro
Müstair
Piz d'Err
Piz Grisch
Innerferrera
Passo dello Spluga
69
Curtegns 1864
Zuoz
Albulapass
2312
Reno
Ausserferrera
Piz Quattervals
3418
Julia
Splügen
Medels
Piz Kesch
Cunter
Andeer
e itinerari
Saviore
Valle
La sintesi della val Gerola
(Giorgio Orsucci)
98 Alpi Orobie Nella casa del Selvadego
(Giorgio Orsucci)
Capo
di Ponte
Làveno
Le Montagne Divertenti Monte Re di Castello
2889
Niardo
© Beno 2010 - riproduzione vietata
Localizzazione di luoghi e itinerari
9
Speciali d'Estate
Il versante svizzero del passo dello Spluga (18 agosto 2009, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com).
I doganieri dello Spluga dormivan sempre con un occhio aperto (1902, cartolina archivio Cittarini).
In Valtellina per i
Beno
U
n tempo mirabolanti opere
dell'ingegneria, arditissimi
passaggi fra cime maestose che permettevano, o anche solo minacciavano, il transito di merci, soldati e
ambasciatori, oggi i valichi alpini
della nostra provincia hanno perso
ogni interesse strategico per rivelarsi
altresì grandi attrattive turistiche. E'
risalendo quelle strade, costruite per
necessità o interessi militari e com-
merciali, che ci si può avvicinare alle
vette o ai ghiacciai perenni senza quasi
far fatica, ci si può tuffare nella natura
semplicemente guardando dal finestrino e viaggiare indietro nel tempo
immedesimandosi nella storia scritta
sui fianchi delle montagne.
bbiamo scelto due valichi d'alta
quota geograficamente molto
distanti - oggi tutti percorsi da rotabile, amatissimi da ciclisti e da gitanti
A
Lo
trentino
del passo dello Stelvio (giugno 2009, foto Canetta).
10scosceso
Le versante
Montagne
Divertenti
di ogni volume di cilindri e di zaino
- che in passato hanno vissuto vicende
sotto molti aspetti diverse e caratteristiche: il passo dello Stelvio, tra Alta
Valtellina e Trentino, e il passo dello
Spuga, tra Valchiavenna e l'alta valle
del Reno.
Entrambi i passi vennero serviti da
strada carrozzabile nel XIX secolo su
volontà degli Asburgo. Lavori monumentali, opere dell'ingegnere Carlo
Estate 2011
valichi d'alta quota
Donegani, sono tra i capolavori della
scienza umana ottocentesca. I racconti di quelle realizzazioni stupiscono
tutt'oggi e furono motivo d'orgoglio
per gli imperatori austriaci.
a forse non vi è altro che
li accomuna: il passo dello
Spluga (m 2115), antichissimo "Cunu
Aureu", già ampiamente utilizzato in
epoca romana, è stato importante e
conteso valico commerciale, mentre lo
M
Le Montagne Divertenti Stelvio (m 2758), il più alto valico d'Italia, venne reso percorribile su volontà
di Francesco I per motivi di strategia
militare a cui non fu mai in grado
d'adempire. Tuttavia, come effetto collaterale, quella strada elevatissima portò
alla nascita del turismo d'alta quota: si
potevano sfiorare i ghiacciai perenni e le
vette più maestose senza neppur scendere dalla carrozza!
La Valtellina moderna è senza dub-
bio figlia dei valichi alpini che hanno
fatto qualche volta la fortuna e qualche
altra la rovina dei nostri paesi, portando
guerra e pace, miseria e ricchezze.
Ma non ci accontenteremo di parlare
della storia di quei passi, bensì vi proporremo anche degli itinerari di trekking e di alpinismo che possono essere
svolti appoggiandosi al valico, che
diverrà così un punto di partenza e non
semplicemente di passaggio.
Localizzazione di luoghi e itinerari
11
Cunu Aureu
Speciali d'Estate
Valchiavenna
passo dello Spluga: una porta per la Valchiavenna
Sergio Scuffi
Tavola Peutingeriana, segmentum III, porzione contenente Chiavenna e il passo dello Spluga (Cunu Aureu).
La tavola Peutingeriana è una copia del IV sec. di un'ancora più antica carta romana. Porta il nome dell'antichista Konrad Peutinger, segretario della città di
Augusta che la acquisì nel 1508, un anno dopo il suo ritrovamento. Composta da 11 pergamene riunite in una striscia di 680 x 33 cm, mostra 200.000 km di
strade dell'Impero, ma anche la posizione di città, mari, fiumi, foreste, catene montuose. E' una rappresentazione simbolica che non rispetta le proporzioni
geografiche, simile al diagramma di una metropolitana, ma che permetteva di muoversi facilmente da un luogo a un altro e di conoscere le connessioni e le
distanze tra i centri dell'impero.
La posizione geografica
Il passo dello Spluga
(m 2115), grazie alla sua
collocazione al centro
delle Alpi, è stato da
tempi immemorabili
individuato come la via di
comunicazione più diretta
tra il nord e il sud.
S
i trova infatti nelle Alpi Centrali, direttamente sullo spartiacque e lungo la linea di divisione fra le
Alpi Lepontine e le Retiche. Al valico
fanno da guardia i massicci del Tambò
a ovest, quale ultima propaggine delle
Lepontine, ed il Suretta a est, nelle Alpi
Retiche: entrambi ben conosciuti e frequentati da alpinisti ed escursionisti.
l passo è la zona di transizione tra
le falde del Tambò e del Suretta,
costituite in prevalenza da rocce cristalline che si sono fortemente metamorfizzate durante l'orogenesi alpina.
Il paesaggio è d'ampio respiro poichè
privo di barriere orografiche, con
una parvenza di landa nordica dal
momento che gli alberi d'alto fusto,
assenti a quote relativamente basse,
hanno lasciato spazio alla tundra
alpina.
Come appare evidente da un sem-
I
Il versante svizzero del passo dello Spluga
(foto Roberto Moiola - www.colickalps.com)
12
Le Montagne Divertenti Estate 2011
Le Montagne Divertenti plice sguardo alla carta geografica,
dal centro della Pianura Padana si
può tracciare una linea diretta che, da
sud a nord, porta al valico attraverso
il solco del lago di Como, che ha poi
un sua naturale prosecuzione lungo la
piana della Valchiavenna e si addentra
infine fra le montagne percorrendo la
val San Giacomo1.
Proprio la via d’acqua naturale
costituita dal lago di Como ha favorito e facilitato, da sempre, l’avvicinamento al valico da sud, dal momento
che la navigazione consente di raggiungere la sua estremità settentrionale (dove sorgeva l’antica Summo
Lacu); da qui il fondovalle presenta
un andamento quasi pianeggiante
fino a Chiavenna, dove la quota è di
poco superiore ai 300 metri. Ormai le
montagne si ergono imponenti proprio a sovrastare la piccola città, ma
ancora il solco delle vallate accompagna allo spartiacque. Come vedremo,
sia la val San Giacomo verso nord,
sia la val Bregaglia verso est, sia pure
con alterne fortune, ebbero nei tempi
grande importanza come vie di comunicazione attraverso le Alpi.
1 - Nome originario della valle che, in un passato
abbastanza recente, è stato sostituito da valle
Spluga.
I percorsi attraverso i
tempi
L
e ricerche dell’equìpe scientifica
guidata dal professor Francesco Fedele, sviluppatesi negli anni
dal 1986 al 2001, prima al piano
dei Cavalli sopra San Sisto (Campodolcino), successivamente nella
zona dell’alpe Borghetto, sopra Isola
(Madesimo) hanno portato alla luce
dei reperti archeologici che testimoniano la presenza dell’uomo nella valle
già in età mesolitica (circa 10.000
anni fa). Altri importanti ritrovamenti, come il coltello in bronzo rinvenuto a Montespluga nel 1965, sono
segno della antica frequentazione.
Ulteriore conferma viene da diversi
segni sulle rocce, come le incisioni
con lance presso Prata e le numerose
cuppelle che continuano a venire alla
luce in vari punti del territorio.
Per tornare alle vie di comunicazione attraverso le Alpi, il riferimento
più noto dell’antico itinerario attraverso il passo dello Spluga è dato
dalla Tavola Peutingeriana, copia di
una carta militare romana ritrovata ad
Augusta e ritenuta del IV secolo. Qui
si indicano le località di Clavenna,
Tarvessede (Campodolcino?) Cunu
Aureu, unanimemente individuato
Localizzazione di luoghi e itinerari
13
Speciali d'Estate
Valchiavenna
4 dicembre 1800: stampa della sciagura
che vide perire un centinaio di soldati
del generale Mc Donald travolti da una
valanga nella gola del Cardinello mentre
cercavano di ricongiungersi alla truppe
di Napoleone. Così parla della vicende
Grande Illustrazione del LombardoVeneto (1859):
"Poi nel novembre 1800 il generale
Macdonald quando Moreau stava
per vincere la famosa battaglia di
Hohenlinden, fu da Buonaparte invitato
a menar per di qua il secondo esercito
di riserva, che doveva appoggiarlo,
vincitore a Marengo, contro i nuovi sforzi
dell'Austria, così difficile a confessarsi
vinta.Il Botta sfoggiò il suo stile pittoresco
nel dipingere quel passaggio per farlo
contrapposto a quello del San Bernardo,
ma la posterità non gli badò. Vero è
bene che il passo fu difficile; l'artiglieria
dov'è mettersi su slitte; i soldati con poco
biscotto e acquavite furono sorpresi dalla
tormenta, sicchè bisognò da principio
arrestarsi 3 giorni: poi ripresa via tra la
neve, fatta calcare da mandrie di buoi,
dietro cui i palajuoli spianavano il calle,
vi passavano prima la fanteria, poi
cavalli e cannoni, lavorando gli zappatori
ove fosse troppo angusto il passaggio. Un
centinajo di uomini restarono sepolti
dalla neve: il resto scese a Chiavenna e in
Valtellina donde pei Zapelli d'Aprica s'unì
sul veneto all'esercito di Buonaparte."
come il passo dello Spluga e Curia
(Coira); la carta riporta, inoltre, le
principali distanze, segnate in miglia
romane. Altro documento importante
è l’Itinerarium Antonini (risalente al
periodo dell’imperatore Caracalla),
nel quale pure si fa riferimento alla
via dello Spluga; vi compare anche
Summolacu, punto di approdo delle
imbarcazioni all’estremità settentrionale del lago di Como. Durante
l’epoca romana furono aperti altri percorsi per l’attraversamento delle Alpi
passando da Chiavenna: risalendo
la val Bregaglia, le vie del Settimo e
quella del Maloggia, che proseguiva
poi attraverso il passo Giulia.
Tuttavia, per la sua particolarità di
percorso più breve e diretto, il valico
dello Spluga fu certamente il più frequentato.
I primi passaggi, seguendo probabilmente le tracce degli antichi abitatori e frequentatori della valle, furono
quelli delle legioni romane che si recavano oltralpe per operazioni militari; e
sicuramente, per agevolare e garantire
il transito, già nelle prime fasi della
loro espansione i Romani provvidero
a realizzare una prima strada, che si
pensa possa risalire al II secolo, con
pochi resti ora visibili, presso il valico.
Considerando le più importanti
14
Le Montagne Divertenti spedizioni militari attraverso le Alpi, si
ritiene che abbia attraversato lo Spluga
Stilicone per affrontare le minacce di
invasione dei Goti, prima nel 495 e
poi, ancora, tra il 401 e il 402.
E così si continuò per secoli, con
passaggi di persone, merci, truppe,
anche se non sempre l’attraversamento dello Spluga da parte di condottieri più o meno famosi trova
concordi gli storici, in assenza, spesso,
di adeguata documentazione.
econdo Kurt Wanner, autore
di "Lo Spluga, il passo sublime"
molto ptobabilmente attraversò il
valico Ottone I, re di Germania, ritornando in patria nel 952, dopo essere
disceso dal Brennero l’anno prima alla
conquista di Pavia; di nuovo ci sarebbe
passato, ormai imperatore, nel 966; lo
stesso autore afferma invece (diversamente da altri) che non vi sarebbe mai
passato Federico Barbarossa il quale,
per le sue numerose discese in Italia,
avrebbe scelto altri valichi (Brennero,
Moncenisio, Lucomagno)
Nel frattempo i traffici continuavano, vedendo consolidarsi e
accrescere notevolmente il volume
e la qualità delle merci trasportate
nelle due opposte direzioni, mentre
i pascoli in quota, da alpeggi sfruttati temporaneamente, si andavano
S
trasformando in insediamenti permanenti, tanto che il comune di Chiavenna, nel XIII secolo, provvide a far
costruire dei tratti di strada carreggiabile tra Campodolcino e Madesimo.
Nel 1219 un trattato2 tra Chiavenna
e lo Shams e il Rheinwald, le regioni
immediatamente al di là dello Spluga
garantisce il passaggio libero e sicuro
di merci e passeggeri lungo tutto
l’itinerario del valico, da entrambe le
parti. Continuano quindi le opere di
miglioramento del percorso sui due
versanti: percorso che spesso, anche
a causa di franamenti ed eventi alluvionali, subirà più di una variante
(in particolare tra Campodolcino e la
piana di Montespluga si utilizzeranno
di volta in volta, in alternativa al fondovalle, numerosi altri itinerari).
Tanto aumentarono i traffici nelle
due direzioni, da suscitare il coinvolgimento e stimolare gli interessi di un
numero sempre maggiore di addetti
al commercio, al trasporto, alla sosta
delle merci e al ricovero di persone e
animali, alla manutenzione dei percorsi, che dovevano essere agibili in
qualsiasi stagione. Si crearono così
delle organizzazioni di tipo monopolistico: i “porti”.
2 - Il nome del trattao è la “Concordia”.
Estate 2011
Nel ‘500 queste organizzazioni
ebbero una propria, minuziosa regolamentazione scritta, che prevedeva
innanzitutto il diritto al trasporto di
merci solo ai residenti. Fu così anche
per i porti della Val San Giacomo,
che si organizzarono per il trasporto,
la sosta delle merci, il ricovero degli
animali, la manutenzione della strada,
con tanto di tariffe, pedaggi, prezzi,
fissati dal tribunale locale presieduto
dal ministrale il quale, onde evitare
liti, soprusi e contestazioni, assegnava
a turno l’incarico ai vari trasportatori,
provvedendo poi a pagare a ciascuno
la tariffa spettante.
R
isulta che, all’inizio del ’500,
sullo Spluga transitassero in
un anno più o meno 50.000 some,
mentre i cavalli che sostavano
durante la notte fra Campodolcino,
Isola e Splügen arrivavano a trequattrocento.
abbondantemente ripreso da illustrazioni comparse su diverse stampe
dell’epoca.
La strada austriaca del
1822
I
l Congresso di Vienna (18141815) assegnò il LombardoVeneto, e quindi anche le vallate della
nostra Provincia, all’Austria, ponendo
fine al secolare dominio dei Grigioni
e rendendoci sudditi dell'Impero
Austro-Ungarico: vasto, potente,
efficiente e organizzato, attento alle
regioni centrali come a quelle periferiche, al fine di estendere a ciascuna
contrada il massimo controllo e ottenerne tutti i possibili benefici.
In meno di un decennio, pone mano
all’ardito progetto della strada che conduce al passo dello Spluga e lo realizza in
tempo record (1818-1822), con manufatti che ancora oggi costituiscono l’ossatura principale della strada che risale
la val San Giacomo. Artefice di questa
opera eccezionale, voluta dall’imperatore Francesco I3 fu l’ingegnere Carlo
Donegani.
L'EPOPEA DELLA
COSTRUZIONE
In un suo manoscritto Carlo Donegani
asserisce: "Il progetto di ridurre a
carrozzabile il passo Commerciale da
Chiavenna al villaggio di Splügen sul
3 - Pochi anni dopo, dal 1820 al 1825, commissionerà allo stesso Donegani la realizzazione dell'ardita
strada dello Stelvio e, dal 1825 al 1831, della strada
militare fra Lecco e Colico.
P
er tutto il periodo della dominazione dei Grigioni la fortuna del
passo continuò indiscussa. Un particolare tipo di frequentatori è rappresentato da personaggi, giovani o meno
giovani, provenienti dai paesi del nord
Europa che decidono di affrontare
quell’avventura che prenderà la denominazione di “Tour”, a cominicare
dal secolo XVII: una visita ai paesi
mediterranei, Italia in particolare, per
ammirarne le bellezze storiche e artistiche, godere dello splendido clima,
immergersi in questa cultura festosa
e diversa. A un certo punto, questa
esperienza verrà ritenuta irrinunciabile per i giovani di buona famiglia,
soprattutto inglesi. Le cronache
sono ricche di testimonianze, spesso
accompagnate da illustrazioni non
prive di una certa fantasia, di molti
personaggi noti e meno noti che transitarono, in modo più o meno avventuroso, attraverso le Alpi.
uegli aspri itinerari vedranno
ben altro tipo di passaggio
con la discesa, in pieno inverno,
delle truppe francesi del generale
Mac Donald durante le guerre napoleoniche: viaggio drammatico che
vide le truppe decimate dalle slavine
lungo la terribile gola del Cardinello
il 4 dicembre 1800; si contarono un
centinaio di morti e il fatto venne
La "stradale dello Spluga" a inizio '900 (cartolina archivio Cittarini).
Q
Le Montagne Divertenti Come si vede il tracciato attraverso il famoso "segngio", la roccia tra Campodolcino e Pianazzo, è
rimasto ardito e inalterato negli anni (estate 2010, foto Sergio Scuffi).
Localizzazione di luoghi e itinerari
15
Valchiavenna
Carlo Donegani
N
ato a Brescia nel 1775, studiò prima a Bologna poi
a Roma. Dopo un inizio di carriera dedicato all'architettura, con la realizzazione di importanti edifici, iniziò ad
occuparsi di grandi opere pubbliche. Nel 1821 era già ingegnere
capo realizzando, come detto, la quasi totalità della nuova rete
stradale voluta dagli imperatori d’Austria in provincia
di Sondrio. Sue la strada dello Spluga (1818-1822),
la strada militare da Lecco a Colico, il raccordo
tra questa e Chiavenna, il progetto della strada
Colico-Tirano-Aprica ...
el 1838 raggiunse la qualifica di
Aggiunto alla Direzione delle Pubbliche Costruzioni di Milano. Tanto si distinse
per la cura nella progettazione, l’attenzione volta
costantemente alla realizzazione delle opere e ai
loro costi, lo sforzo teso a inserire armoniosamente nell’ambiente naturale anche gli interventi più importanti ed impegnativi (ponti
e gallerie, muraglioni e tornanti, opere di
difesa idraulica) da meritare l’onorificenza
dell’Ordine Austriaco della Corona Ferrea
di terza classe, ambito riconoscimento firmato
dall’imperatore Ferdinando I.
uanto alla eccezionalità delle
sue opere stradali, basta percorrere ancora oggi la valle Spluga (o
l riconoscimento dell imperatore
la straordinaria strada dello Stelvio, che
per molti versi presenta delle soluzioni
Con questa lettera Carlo Donegani fu insignito del titolo di Cavaliere di
tecniche simili) per rendersi conto della
III classe dell'Ordine imperiale austriaco della Corona Ferrea. Creare nuovi
accuratezza nelle scelte adottate, nell’uso
nobili fra i collaboratori più meritevoli era prassi dell'impero austriaco che
dei materiali e, in ultima analisi, della
così legava a sé più valide presenti sul territorio. Due anni dopo, su sua
robustezza dei manufatti: non dimentiesplicita richiesta, fu innalzato al grado di Cavaliere dell'Impero austriaco
chiamo che, tolti degli interventi tutto
col predicato di Monte Stelvio, titolo valido anche per i suoi posteri e che
sommato ridotti, quello di quasi 200
prevedeva anche la concessione di uno stemma nobiliare.
anni fa è ancora oggi il percorso delle
strade che risalgono le nostre vallate. Un
Pregiatissimo Signore
accenno doveroso, infine, va ai tempi di
realizzazione: ricordiamo bene come,
Sua Maestà l?imperatore e re nostro Augustissimo
nel recente passato, per la nuova superSignore con venerato suo biglietto di gabinetto del 14 setstrada che percorre la sponda sinistra
tembre, si è graziosamente degnata di conferire l'Imperiale
lariana da Lecco a Colico, ci sia voluto
Ordine Austriaco della Corona di ferro di terza classe esiquasi un trentennio, mentre il Donemendola dalle tasse.
gani aiutato dall'efficienza dell'Impero
Avendo ella già ricevuto dalle Auguste mani della sulodata
in un sesto del tempo ha realizzato opere
Maestà Sua la decorazione dell'Ordine che le compete, altro
persino più complesse1!
non mi resta che trasmetterle anche il libro degli Statuti
invitandola a farmi sollecitamente pervenire la ricevuta sia
Nel 1938 Donegani si trasferisce a
dell'una che dell'altro, nella quale sia a tenore di quanto è
Milano dove rimane fino alla morte,
prescritto, dichiarato l'obbligo dei di lei eredi di restituire a
avvenuta nel 1845.
suo tempo il tesoro dell'Ordine e la decorazione e il libro.
Congratulandomi deco lei del tratto di Sovrana grazia di
1 - Il Liceo Scientifico di Sondrio a lui intitolato ha
promosso qualche anno fa una importante raccolta di
cui Ella fu onorata, Le offro in pari tempo le assicurazioni
tutti i documenti e le testimonianze che lo
della particolare mia stima e considerazione,
riguardano, organizzando fra l’altro delle mostre a
l'ultima ascesa della sommità" unita
alla frequenza delle intemperie quali
"il vento chiamato col nome di Bisa e
che equivale alla cosidetta Tormenta che
inquieta quasi tutti i passi montani"
obbligarono a costruire "Case Cantoniere abitate da custodi salariati i quali
esercitano anche osterie colle discipline
eguali a quelle dello Stelvio".
Quando, poco tempo dopo la sua
ultimazione, gli Asburgo ebbero
modo di percorrere la carrozzabile al
passo rimasero positivamente stupiti
dalla grandiosità dell'opera e vollero
apporvi una targa che legasse il loro
nome a quella meraviglia dell'ingegneria dell'ottocento.
N
Q
Sondrio e Bormio, dei pubblici convegni con la
presenza di illustri studiosi e dando alle stampe, nello
stesso anno, il catalogo delle sue opere e di tutta la
documentazione raccolta (AAVV, Carlo Donegani.
Una via da seguire, Liceo Scientifico Donegani,
Sondrio 2001).
I
Vienna lì 31 ottobre 1938
La cartolina in alto (archivio fam. Sala) mostra come si scavassero gallerie anche nella neve,
operazione più economica rispetto alla normale spalatura) per consentire il transito di cavalli e
slitte:i traffici verso il valico si svolgevano anche nelle peggiori condizioni (fino al 1938 valico
era aperto tutto l’anno). In basso a sx: il guardiano della diga Rino Buzzetti, è qui ritratto
con la figlia presso la cantoniera di Stuetta (subito a valle dello sbarramento). I guardiani
presidiavano la diga tutto l’anno, dimorando lassù con la famiglia (archivio Gabriella Buzzetti).
L'ultima cartolina è del gennaio 1951, ben visibili i segni delle memorabili nevicate che
provocarono valanghe e morti (si parla di 18-20 metri durante quell’inverno).
'
Bellagarde
Reno nel Canton Grigione passando per
il Giogo sul Monte Spluga, ebbe luogo
nel 1818 e nell'anno vennero intrapresi
i lavori, e perseguiti con tanta attività
nei pochi mesi estivi (non permettendo
quell'alpestre sito di lavorare in altri
tempi) di maniera che in due stagioni,
cioè alla fine del 1819, erano già
quasi ultimati e pel 1820 già aperta
liberamente al Carreggio. La parte
del Versante Lombardo che è lunga
da Chiavenna al Giogo Metri 32000
importò la spesa di L. 1260000 con gli
indennizzi dei fondi occupati, e la parte
del Versante Grigione che è lunga dal
Giogo a Splügen4 altri M.i 7990, venne
costruita egualmente a spese dell'Erario
nostro in forza di altri trattati imposti
oltre L. 273000."
I maggiori problemi ingegneristici
furono nel superare i tratti più ripidi
del tracciato, specie nel versante italiano, e, inoltre, proteggerli dalla
caduta valanghe. Ciò obbligò a disegnare 80 tornanti e oltre un chilometro in gallerie.
Il freddo sovente, l'assenza di ricoveri intermedi "toltane la cosidetta
Casa della Montagna e la Dogana presso
4 - Questo tratto venne ultimato nel 1822.
Le Montagne Divertenti NOTE DI VIAGGIO
L
a nuova carreggiabile ebbe un
grande successo: si parla di 100
mila quintali di merci che transitavano all'anno!
l 13 novembre 1821 De Gochausen, dopo aver percorso la strada
dello Spluga a guisa di collaudo, scriveva una lettera di elogio al presidente
del Governo:
"Ho nei decorsi giorni fatto una gita
lungo la strada nuova che da Chiavenna per la via del Monte Splügen
mette al villaggio di Splügen nel paese
dei Grigioni. [...]
La strada è bella e grandiosa, e mentre presenta nella sua esecuzione l'uso
degli sforzi e dell'arte e dell'ingegno,
forma la più bella prova della generosità del Governo che osò immaginarla
e mandarla ad effetto a vantaggio del
commercio e dell'industria. [...] Appena
uscito da Chiavenna m'accorsi che la
nuova strada era non poco frequentata
poiché molti carri, cavalli e muli carichi di merce, e specialmente di vini e
acquavite, ebbi a sopravanzare, e alcuni
ad incontrare che dirigevansi a Chiavenna. [...]
Le cure del Governo non si limitarono alla strada ma si estesero ben anco
al modo di procurare al viaggiatore di
quanto in quanto un luogo di ricovero.
Tre case, denominate cantoniere,
ad una proporzionata distanza l'una
dall'altra furono fabbricate lungo il
pendio del monte, in ciascuna delle
quali abita una famiglia che riceve dal
Governo un assegno giornaliero di due
lire coll'obbligo di conservare una stufa,
I
Localizzazione di luoghi e itinerari
17
Speciali d'Estate
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audenzio de Pagave5 descriveva nel 1823 l'ultimo tratto
dell'ascesa allo Spluga: "Lasciate così
addietro le gallerie,e due Case cantoniere preparate al ricovero e soccorso
dei viaggiatori assaliti dalla tempesta,
si dilata repente una spaziosa ma selvaggia pianura, in fondo alla quale si
distingue un fabbricato, ossia la Casa
della Montagna, che contigui presenta
la ricevitoria di confine ed un albergo:
se non che anche l'albergo è posto in
armonia colle rimanenti parti di quello
sgraziato soggiorno che non mai d'estate
il sole riscalda, o ricrea bel fiore di primavera.
à nulla vegeta; che non vi si
incontra un albero; ché non ci si
incontra un albero, un arbusto, un sol
cespuglio.
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Continuo vi soffia il vento ad
illanguidir la natura, che per
molti mesi dell'anno giace
sepolta sotto monti di neve.
5 - Gaudenzio de Pagave, Descrizione della
Valtellina e delle grandiose Strade di Stelvio e di
Spluga, Società Tipografica de' Classici Italiani,
Milano 1823.
E queste crudeli prerogative d'inospite
luogo fannosi più acebamente sentire nei
loro effetti presso la sommità di Spluga,
ove, lasciata pochi passi indietro, la
terza Casa cantoniera si presenta nella
forma di piazza il confine del territorio
italiano."
nfine, una categoria di viandanti
che merita nota è quella dei ciclisti. Traversare sulle due ruote i passi
alpini era in voga già sul finire del
XIX secolo, tanto che in quegli anni
il Touring Club Ciclistico Italiano
apubblicò dei pieghevoli con altimetria e caratteristiche di percorribilità
ciclistica dei principali valichi alpini.
Dobbiamo considerare un particolare
a dir poco scioccante: le biciclette a
quei tempi erano senza freni!
Elizabeth Robbins Pennell, accompagnata dal marito Joseph, fu la prima
donna a compiere la traversata delle
alpi in bici (1897)6. Tra i valichi percorsi vi fu lo Spluga, raggiunto partendo all'alba da Chiavenna:
"Era davvero crudele il modo in cui
la strada faceva mostra della sua ripidezza. Osservavo con trepidazione il
suo snodarsi per chilometri e chilometri
su per la valle, mentre saliva e saliva
I
6 - Di questa avventura scrisse un libro: Over the
Alps on a bicycle, Londra 1898
tornante dopo tornante, galleria dopo
galleria, in una serie di terrazzamenti
rocciosi sovrapposti senza alcuna traccia
dei tornanti di collegamento. Per me che
mi trovavo giù sotto, restava da risolvere
il mistero di come salire dall'uno all'altro in sella alle nostre biciclette. Piccoli
sentieri risalivano dritti la montagna,
qualche volta simili ad una ripida fila
di scale; le cascate scendevano impetuose
e si contorcevano in linee bianche senza
fine giù per le rocce; villaggi incoronati
dai campanili erano abbarbicati ad
altezze da capogiro.
Gli ingegneri dell'imperatore
Francesco non sono
stati migliori di quelli
di Napoleone, ma
hanno creato opere più
impressionanti.
Il passo dello Spluga non era difficile
da raggiungere come quello del Sempione, ma dava l'idea di essere invalicabile per gli infiniti parapetti in pietra,
i tornanti e le curve che salivano e salivano. Si dice che lo stesso imperatore fosse
rimasto colpito dall'opera; infatti aveva
fatto sistemare una grande lastra vicino a
una galleria per rendere noto a tutti che
Passeggeri in sosta presso la Cantoniera di Stuetta
(anni 1910-1915, archivio Sala).
18
Le Montagne Divertenti Estate 2011
Le Montagne Divertenti Localizzazione di luoghi e itinerari
19
Speciali d'Estate
Valchiavenna
Il corriere di Lindò
D
al XVII secolo attraverso il
passo dello Spluga passava il
“Corriere di Lindò” che da Lindau,
sul lago di Costanza, effettuava un
servizio di trasporto di corrispondenza, merci e passeggeri fino a
Milano. Risalendo la valle del Reno,
la diligenza passava per Coira, fino a
Splügen, poi per il passo dello Spluga
e Chiavenna, giungeva al porto di
Riva di Chiavenna (lago di Mezzola)
dove si imbarcava per Como, da cui
su strada arrivava a Milano. Garantendo una corsa settimanale con un
tempo di percorrenza di sei giorni,
questo particolare servizio funzionò
fino al 1826. Dal 1985, nel mese
Il Corriere di Lindò sopra Montespluga (6 giugno 2010, foto Gregorio Luigi Fanetti).
di giugno, una carrozza con diversi
passeggeri (tutti rigorosamente in
costume dell’epoca) ripercorre ogni
anno il tragitto fino a Como, facendo
rivivere quei momenti di un passato
ormai lontano e attirando l’attenzione e la curiosità di quanti incontra
nel suo percorso.
Depliant di fine ottocento per ciclisti con altimetria del passo dello Spluga (archivio Cittarini).
quella era stata un'opera voluta da lui.
[...] Le pietre miliari mi segnalavano
la lentezza dell'andatura, alti pali con
cartelli che non riuscivo a decifrare
indicavano pericoli sconosciuti. Dai
casolari desolati uscivano correndo dei
bambini mezzi selvaggi che ci seguivano
e ripetevano a bassa voce una cantilena
che aveva il suono di una nenia funebre,
ma che era solo la richiesta di qualche
centessimo. Nelle condizioni in cuii mi
trovavo dubito mi sarei resa conto della
miseria di quei vagabondi.
[...] Sono riuscita a rimanere in sella
fino alla dogana italiana, dove abbiamo
consegnato i nostri documenti e ci siamo
concessi un pranzo in un piccolo caffè
intimo e buio con una insolita campionaria di vecchi cappelli e di altrettanti
uomini che li indossavano.
[...] Ho oltrepassato una capanna
di pietra in rovina, usata come rifugio
dai pastori, e un ospizio ermeticamente
chiuso e alla fine sono giunta vicino a
due pali che segnavano la frontiera.
[...] La discesa iniziava repentina.
Mi sono trovata su una strada accidentata, solcata da carraie, priva di pietre
miliari, senza pali e senza parapetti. Gli
zig zag erano più ripidi e le curve erano
le più strette che avevo incontrato fino
ad allora e per me c'era poca possibilità
di procedere a ruota libera giù dallo
Spluga. Non so dire se fosse più pericoloso scendere lungo i tornanti oppure
guardarli che si mostravano senza vergogna con Joseph sempre in testa inclinato
oltre il bordo della strada in maniera
20
Le Montagne Divertenti L’Albergo Posta
a Montespluga
M
Gli infiniti tornanti del versante svizzero del passo dello Spluga (agosto 1999, foto Sergio Scuffi).
tale da far rimescolare il sangue dalla
paura".
FINO AI GIORNI NOSTRI
D
alla sua costruzione il tracciato ha subito alcune varianti
a causa di dissesti dovuti alle alluvioni che ne hanno testato più volte
la robustezza. Durante la costruzione
del bacino artificiale di Montespluga,
invasato nel 1931, venne realizzata
la bretella che aggira il lago da est. La
massicciata dell'antica rotabile è ancora
visibile sul lato opposto del lago.
Quanto allo storico percorso, è ben
noto come, con l’apertura dei trafori
alpini, in primis il San Gottardo, il
volume di traffico per il valico dello
Spluga abbia subito una drastica
diminuzione. La strada che, al termine degli anni '40 del XX secolo era
ancora percorsa dal servizio postale
pure nella stagione invernale con
slitte e cavalli, si è ora trasformata in
un via di accesso legata quasi eslusivamente al turismo. Grazie alla bellezza
dell'ambiente è ogni anno assidua la
frequentazione degli appassionati.
Per tentare di rilanciare le sorti della
valle si era costituito anche l’attivissimo “Comitato per il Traforo dello
Spluga”, di cui facevano parte validissimi esponenti del mondo dell’economia, della politica e della cultura.
I notevoli costi dell’opera e la sostanziale mancanza di interesse da parte
della Svizzera, impegnata a realizzare
altrove le sue reti stradali, hanno fatto
sì che il progetto non partisse mai e
forse ciò ha salvando la zona dall'assedio di mezzi pesanti e auto.
Oggi nei mesi invernali il passo
rimane chiuso per neve.
Estate 2011
aurilio Sala, arzillo novantunenne, è ben felice di raccontare le vicende della sua vita.
Nato a Somaggia di Samolaco nel
1919, in pieno inverno fu portato a
Montespluga: aveva solo due mesi,
e lassù raggiunse il nonno Giuseppe
Pilatti (Zèpp) che era capo-stradino
nel tratto che va da Pianazzo al
passo, e la nonna “Zèpa”, ispettrice
di dogana (a lei erano riservati i controlli sulle donne). Allora la strada
veniva transitata anche d’inverno,
con le slitte (e questo fino al 1938,
nell’imminenza della guerra) e lassù
vi era già un modesto ma significativo
turismo, tanto che erano in funzione
gli alberghi Posta, Vittoria e Italia.
Maurilio ricorda come, da bambino,
si faceva trainare fino al valico dalla
slitta del nonno, per poi lanciarsi in
belle discese con lo slittino. Ricorda
anche il ritrovamento e il salvataggio
dei piloti di due idrovolanti caduti
presso il valico, pare sorpresi da condizioni atmosferiche avverse.
Da ragazzo s'impegnò nei lavori di
campagna a Somaggia in aiuto alla
famiglia, che aveva anche un panificio. Venne il servizio militare che lo
portò via da casa per ben sei anni,
compresi due di prigionia in Germania. Tornato in Valchiavenna proprio
il 25 aprile 1945, sentì ben presto il
Le Montagne Divertenti Maurilio Sala con la moglie Agnese Bettiga (12 maggio 2011, foto Sergio Scuffi).
L'albergo Posta a Montespluga, a sx la vecchia dogana (12 maggio 2011, foto Sergio Scuffi).
Passo dello Spluga (m 2115)
21
Speciali d'Estate
richiamo di Montespluga e vi tornò
su con la nonna; acquistò una casa e
vi aprì una trattoria con alloggio, che
fece funzionare fino al 1961. "Allora,
racconta sempre Maurilio, a Montespluga (la Ca’, oppure la Muntagna,
come dicono ancora gli anziani) c’era
gente in tutte le stagioni, anche se, in
una certa parte dell’inverno, i residenti
stabili erano gli addetti agli alberghi
(Posta, Vittoria, Edelweiss, mentre
aveva chiuso l’albergo Italia), i carabinieri e le guardie di finanza, gli addetti
alla diga."
Nel 1950 si sposò con Agnese Bettiga; per un certo periodo assunse
anche l’appalto della manutenzione
del tratto di strada Pianazzo-Montespluga. Durante l'inverno traspor-
Valchiavenna
tava persone e merci con la slitta e,
quando capitava, faceva anche un po’
di contrabbando.
Appena ebbe l'occasione rilevò
l’albergo Posta dagli eredi della
famiglia Tognoni; per i primi anni
lo risistemò e lo riarredò in seguito
ai saccheggi subiti durante le occupazioni dei militari tedeschi prima e
dei partigiani poi. Nel 1970 riuscì ad
acquistare interamente la struttura e
da allora la famiglia Sala gestisce l’albergo. Ora l'albergo Posta è in mano
al figlio Fausto che, con l’ausilio della
moglie Ines, del figlio Cristian e di
qualche altro parente, manda avanti
l’attività (fra l’altro Fausto ha aperto
una enoteca, che si dice la più alta del
mondo).
Maurilio, benchè ritiratosi dall’attività, non rinuncia a passare ogni
anno la bella stagione a Montespluga,
e ama conversare con i turisti di passaggio, ricordando i bei tempi.
Maurilio col nipote Cristian (foto S. Scuffi).
La Locanda Cardinello
a Isola
L
a Locanda Cardinello risale
al 1722, costruita da Antonio
Raviscioni, che fu anche ministrale
dal 1720 al 1730 circa. Passato di
mano in mano, ma sempre di proprietà della famiglia, lo stabile non
ha subito modifiche sostanziali e l’attività è ora gestita da Martino Raviscioni coadiuvato da alcuni familiari.
All’interno troviamo ancora i
vecchi e accoglienti ambienti con
le stüe completamente rivestite in
profumato legno di pino gembro, i
pavimenti in legno o lastre di pietra,
le pigne in pietra ollare che garantiscono un costante e gradevole tepore
agli ambienti, le semplici ma eleganti
finestrelle con la strombatura per far
passare più luce attraverso i grossi
muri, gli scaloni interni che portano
alle piccole ma confortevoli camere o,
giù giù, alle ben fornite cantine.
Qui l’ospite viene accolto come
uno di famiglia, può gustare i semplici piatti della cucina locale e bersi
qualche buon bicchiere di vino.
Durante la presentazione del proprio
libro “Lo Spluga. Il Passo sublime”,
nell’estate 2005, lo storico di Splügen
Kurt Wanner ebbe a definire Martino Raviscioni “il re del Cardinello”.
E in effetti Martino ha sostenuto da
sempre il progetto teso a far rivivere
gli antichi percorsi, e ne è stato ben
ripagato: il flusso degli escursioni-
22
Le Montagne Divertenti La Via Spluga
C
ome risultato di lunghi ed
approfonditi studi da parte
di ricercatori sia svizzeri che italiani,
lentamente si fece strada negli ultimi
decenni l’idea di far rivivere gli antichi percorsi. Si ricordano, in particolare, per la Svizzera Kurt Wanner
(Lo Spluga. Il Passo sublime, tradotto
e pubblicato a Chiavenna nel 2005)
e Thomas Riedi (La strada del Cardinello del 1714. Storia e documenti,
tradotto e pubblicato a Chiavenna nel
2007) e per l’Italia "Marino Balatti e
Guglielmo Scaramellini, Percorsi storici di Valchiavenna, Chiavenna 1995.
Fu così che, attraverso una serie di
accordi transfrontalieri tra la Comunità Montana della Valchiavenna e
le regioni svizzere dell’Hinterrein, si
potè giungere alla realizzazione della
“Via Spluga” tra Thusis e Chiavenna,
inaugurata nel 2001.
i tratta di un percorso escursionistico affascinante, un sentiero
che porta attraverso la natura e la tradizione, conduce per boschi e villaggi,
avvicina a testimonianze storiche che
fanno ripercorrere a ritroso secoli, per
non dire millenni (si citano, ad esempio, i graffiti nella zona svizzera presso
Thusis, o i reperti preistorici del Pian
dei Cavalli, sopra San Sisto di Campodolcino, momentaneamente custoditi nel Museo di Chiavenna, ma di
prossima collocazione nella sede, più
idonea dal punto di vista territoriale,
del MUVIS di Campodolcino7 ).
l percorso si snoda per 65 km,
partendo da Thusis (m 720),
risale addentrandosi nella famosa
gola della Via Mala, passa per Zillis,
Andeer e Splügen (m 1457), da dove
inizia l’ascesa verso i 2115 metri del
passo. Da qui inizia la discesa verso
Chiavenna, toccando Montespluga
(m 1905) affrontando l’ardua Gola
del Cardinello per raggiungere Rasdeglia e, poco sotto, Isola (m 1268); si
prosegue infine, sempre in discesa,
per Campodolcino, San Giacomo
Filippo e si conclude a Chiavenna sul
fondovalle (m 333). Gli escursionisti
lo possono praticare autonomamente
S
Una sala interna della locanda Cardinello a Isola (foto archivio Martino Raviscioni,).
sti, da fine maggio a metà ottobre è Martino che si occuperà, più tardi, di
continuo, e quasi tutti fanno sosta da trasportare le loro valigie al punto di
lui per il pernottamento. La Locanda arrivo. Martino è uno dei pochi alberCardinello è infatti una delle strutture gatori in valle che da diversi anni non
che ha aderito al pacchetto turistico ha motivo di lamentarsi per la manche prevede anche il trasporto dei canza di clienti.
bagagli. Martino conferma i dati già
noti circa la prevalenza degli svizzeri e tedeschi (oltre a
belgi, svedesi ed altri dai
paesi del Nord) mentre
ancora scarso è il passaggio degli italiani. Si
presentano a coppie,
gruppetti o comitive
più numerose (molte
anche le donne), si
informano, visitano il
paese, per poi proseguire la mattina dopo Martino Raviscioni nella “Stüa Granda” della locanda Cardinello,
verso Chiavenna, con fotografato presso i ritratti dei nonni.
Estate 2011
I
7 - Museo della Via Spluga e Val San Giacomo.
Le Montagne Divertenti scegliendo una o più tappe nell’una
o nell’altra direzione; in effetti i più
aderiscono al pacchetto offerto dagli
operatori turistici locali, in accordo
con il Consorzio per la Promozione
Turistica della Valchiavenna e gli analoghi enti svizzeri, che prevede quattro
tappe e comprende i pernottamenti e
trasporto bagagli, oltre ad una serie di
supporti logistici e agevolazioni circa
le visite nei musei. Dai dati forniti
dal Consorzio Turistico risulta che la
maggior parte degli escursionisti transita in direzione nord-sud.
Quanto alla provenienza,
sono nettamente in testa gli
svizzeri (51%) e i tedeschi
(32%); seguono, a distanza,
gli italiani (6%), i belgi
(4%), gli svedesi (3%).
Per chi conclude il percorso a Chiavenna, una ulteriore tappa è possibile
seguendo la sponda destra del fondovalle per giungere al tempietto di
San Fedelino, attraverso gli abitati di
Mese, Gordona e Samolaco.
n occasionre del decennale
del percorso, si svolgeranno
sabato 2 luglio 2011 le celebrazioni
ufficiali, organizzate dal Consorzio
Turistico Valchiavenna in accordo
con la Comunità Montana della Valchiavenna e con i quattro comuni
interessati dal passaggio del sentiero
(Madesimo, Campodolcino, San Giacomo Filippo e Chiavenna) oltre che
con il partner svizzero Viamala Ferien
con cui collabora da anni per la promozione del pacchetto Via Spluga. La
festa si svolgerà per l’intera giornata al
passo dello Spluga e, come nel 2001,
prevede l’incontro delle due popolazioni proprio al confine dopo aver
percorso gli ultimi tratti di sentiero.
olti gli eventi che animeranno anche il paese di
Montespluga: dall’annullo filatelico
a una mostra di campanacci. Le celebrazioni non termineranno in quella
giornata ma a turisti e valligiani i
comuni della Valle proporranno una
I
M
serie di iniziative di richiamo alla Via
Spluga durante tutta l’estate. Presso il
MuVis di Campodolcino verrà allestita una mostra dal titolo “La Via
Spluga nell’arte” mentre a Chiavenna,
nell’atrio del Municipio di Piazza Bertacchi, sarà possibile visitare per tutta
l’estate una mostra curata dal C4 e
interamente dedicata alla Via Spluga.
comuni attraversati dal sentiero
storico hanno inoltre deciso di
accogliere i numerosissimi viandanti
provenienti ormai da tutta Europa
con degli stendardi che richiamano il
decennale.
I
Passo dello Spluga (m 2115)
23
Speciali d'Estate
Chiavenna-Splügen
Il Muvis
In bicicletta allo Spluga
I
l Museo della Via Spluga e della
Val San Giacomo, dopo anni di
appassionati studi e ricerche condotte
dal presidente dottor Paolo Raineri,
originario di Campodolcino, è stato
inaugurato il 7 luglio 2007 e ha
avuto il riconoscimento regionale con
D.G.R. n.8-10947 del 30-12-2009.
Il MUVIS è stato istituito sulla
base di un “legato”, redatto nel 1786
dall’Abate Foppoli, padre cappuccino,
membro dell’Accademia dell’Arcadia
con il nome di Rhaetus Cisalpinus,
il quale acquistò nel 1777 da vari
proprietari questo edificio originario
del tardo XVI secolo (Palàzz), che in
origine era una locanda della famiglia
Chiaverini, cedendolo poi al Consorzio delle Frazioni Corti-Acero di
Campodolcino per scopi di pubblica
utilità (civium commodis). Il Consorzio è l’ente proprietario e gestore del
MUVIS che opera non a scopo di
lucro.
l Museo testimonia la civiltà
della valle e l’importanza storica
e commerciale che ha avuto nei secoli
la Via Spluga, importante canale di
comunicazione tra il bacino del Mediterraneo e l’area a nord delle Alpi.
Al suo interno sono allestite varie
sezioni dedicate ai mestieri tradizionali, al turismo invernale, alla dimora
tipica, ai lavori femminili, ai giochi
della tradizione e ai traffici e la storia
della Via Spluga. Il tutto è esposto in
antiche stüe d’abete, di cui una datata
1576.
In questo stesso palazzo, sul finire
dell’Ottocento, il Beato don Luigi
Guanella inserì una scuola artigianale denominata “Opera Pia S.
Antonio” dove le ragazze del posto
potevano apprendere l’arte del cucito
e del ricamo (pizzo di Cantù), della
lavorazione dei trucioli di legno e
della paglia, al fine di contrastare il
crescente fenomeno dell’emigrazione,
che in quel periodo ridusse notevolmente il numero degli abitanti della
valle.
All’ultimo piano, infine, c'è la
sezione scientifica sull’ambiente
naturale della valle con laboratorio
didattico. Il tema dell’acqua e l’energia è svulippato con fotografie d’archivio sui grandi lavori idroelettrici
La facciata e la cappelletta interna del MUVIS di Campodolcino (foto archivio MUVIS).
I
24
Le Montagne Divertenti Giacomo Meneghello
I
l passo dello Spluga, o Splügen,
è un valico che collega Italia e
Svizzera attraversando scenari paesaggisticamente splendidi e poco
conosciuti.
che hanno interessato la valle dall’inizio del secolo scorso e simulatori per
spiegare il funzionamento dei macchinari delle centali. Per la curiosità
di grandi e piccini, sempre all'ultimo
piano sono inoltre esposti fedelissimi
diorami della fauna locale.
Inoltre da quest’estate sarà possibile
visitare la mostra archeologica del
Pian dei Cavalli, i più antichi ritrovamenti delle tracce lasciate dall’uomo
preistorico nelle Alpi Centrali.
All’interno del palazzo è visitabile
anche la cappella settecentesca di S.
Antonio, accuratamente restaurata.
Il MUVIS si impegna nella raccolta,
conservazione, valorizzazione ed
esposizione di oggetti e documenti di
carattere fisico, antropico, storico ed
artistico e nella loro organizzazione in
percorsi didattici.
Infine promuove studi, ricerche,
pubblicazioni e mostre a carattere
scientifico anche a tutela dei beni del
territorio, oltre ad attività educative e
culturali a beneficio delle istituzioni
scolastiche e di un turismo culturalmente consapevole.
Quest'estate potrete visitare il
museo dal martedì al venerdì dalle
9 alle 12, il sabato dalle 10 alle 12 e
dalle 16 alle 18 e la domenica dalle 10
alle 12.
Per informazioni:
tel. 0343 50628 - 392 0350903
www.museoviaspluga.it
[email protected]
Estate 2011
Le Montagne Divertenti L
a salita per il versante valtellinese inizia a Chiavenna ed è da
considerarsi, visti i suoi 30km e 2000
metri di dislivello, davvero interminabile. Il primo terzo di salita, fino alle
porte di Campodolcino ha pendenze
moderate e scenari non certo panoramici. Una volta attraversati i vari
abitati procedendo per alcuni km in
falso piano ci troveremo a un bivio.
Se scegliamo di procedere a destra
lungo la strada principale ci attendono alcuni km davvero impegnativi
con pendenze tra l’8% e il 9% lungo
una strada panoramica che, aiutata
da numerose gallerie, si inerpica su
una parete rocciosa e raggiunge prima
Pianazzo, quindi il trivio PianazzoIsola- Madesimo. Se andassimo a sinistra invece, dopo una breve discesa,
si prosegue in falso piano per alcuni
km fino allla piccola frazione di Isola,
dove la strada sale con pendenze
decise per ricongiungersi all’itinerario
precedente in corrispondenza del
trivio Pianazzo-Isola-Madesimo.
L'orizzonte diventa via via sempre più
ampio e maestoso, con la pendenza
che al 22° km cala decisamente, quasi
volesse permetterci di ammirare con
maggior lucidità la valle dello Spluga.
Bellissimo lo scorcio sull'aguzza
piramide del pizzo Ferrè (sx) addobbata dal suo bel ghiacciaio. In un
attimo arriviamo alla casa cantoniera
di Stuetta, quindi alla diga di Montespluga. Costeggiamo interamente il
lago dalla sua sponda orientale fino al
paese di Montespluga. Alla nostra sx
domina il Pizzo Tambò, mentre a dx
il Surretta con le sue numerose cime.
ltre l'abitato la salita riprende:
sono gli ultimi 3 km e sebbene la pendenza media non sia per
nulla elevata la sensazione di fatica
potrebbe farsi sentire. In corrispondenza del passo incontreremo anche
la dogana Svizzera e si aprirà dinnanzi
a noi una vallata verdeggiante su cui
è posata una lunghissima serpentina
grigia. Il versante svizzero del passo
è molto apprezzato tra i motociclisti
avendo un gran numero di tornanti
con pendenza costante e un manto
stradale spesso impeccabile. In
discesa, comunque, anche le nostre
due ruote sapranno darci grosse
soddisfazioni!
a discesa a Splugen misura solo
9 km ed è meno varia sia come
pendenze, spesso tra il 7-8%, che
come paesaggi. Tra prati e pascoli,
infatti, siamo in breve al nostro
capolinea.
O
L
Passo dello Spluga (m 2115)
25
Speciali d'Estate
Passo dello
Stelvio
Eliana e Nemo Canetta, Beno
"Non v'ha, osserva Felice Liebeskind, tutta
la cerchia dell'Alpi alcun paesaggio che possa
rivaleggiare, e per magnificenza e per pittoresche
bellezze, con quello dello Stelvio. Per esso anche chi
non vuole incontrare difficoltà o sostenere fatica,
può, senza lasciare la carrozza, visitare da vicino il
mondo dei ghiacciai e scoprirne i segreti."
Il passo dello Stelvio nella cornice di ghiacciai dell'Ortles
(18 settembre
2010, foto Roberto
Moiola - www.clickalps.com).
26
Le Montagne
Divertenti
Estate 2011
Le Montagne Divertenti Passo dello Stelvio (m 2758)
27
Alta Valtellina
Speciali d'Estate
S
Un serpente largo 5 metri che
corre per 50 km da Bormio
a Spondigna, contorcendosi
su 90 tornanti, infilandosi
in 6 gallerie scavate nella
roccia e strisciando su 10
ponti e sotto innumerevoli
paravalanghe: questa è
la strada dello Stelvio,
carrozzabile d'alta montagna
che unisce Lombardia e
Trentino attraverso il passo
dello Stelvio, valico alpino
a 2758 metri di quota
incastonato fra le maestose
vette dell'Ortles e immensi
ghiacciai perenni.
Chi la percorre per la
prima volta rimane a bocca
aperta dinnanzi a questo
miracolo della tecnica
realizzato a inizio '800 da
Carlo Donegani, direttore
dei lavori, "uno di quegli
ingegneri fatti per opere
ciclopiche destinate a sfidare
i tempi e a colmare di
meraviglia i posteri. Se fosse
vissuto 3000 anni prima
di Cristo fra gli egiziani,
avrebbe sicuramente
progettato le piramidi. Visse
in Lombardia nel XIX secolo
e perciò progettò la strada
dello Stelvio"1.
PREMESSE
P
ochi valichi nelle Alpi hanno
avuto le strane vicende del passo
dello Stelvio: concepito per fini militari all'inizio del XIX secolo, si rivelò
più volte inadeguato a questo utilizzo,
ma fu indubbiamente trampolino di
lancio per la vita turistica delle valli
che lo circondano. Alla successiva
parentesi militare durante la Grande
Guerra, che aveva trasformato l’Alta
Valtellina in un fronte bellico secondario ma assai attivo, seguì la svolta
in chiave turistica, in qualche senso
travolgente, che permane ancor oggi.
1 - Franco Monteforte da AAVV, Valtellina.
Nostalgia delle origini, Edizione Effebi, Sondrio
1984.
28
Le Montagne Divertenti otto il dominio dei Grigioni
(1512-1797) furono anni magri
per il bormiese: la migrazione delle
rotte commerciali verso lo Spluga
impoverì tutta la zona. I bormiesi
fecero vari tentativi per migliorare i
sentieri che traversavano le alpi e ristabilire le antiche comunicazioni, ma
la gelosia dell'Engadina fece arenare
tutti gli sforzi, come accadde nel 1775
quando "da inframettenze e gelosie
grigione, Bormio fu imperdita dall'attuare sullo Stelvio, come si era proposta, per favorire le relazioni accese con
l'Alto Adige, la costruzione di una via
carrettabile."2 Bormio però non voleva
avere nulla a che fare col resto della
valle dell’Adda, quindi sostenne sempre e comunque Coira, dato che i grigionesi rispettavano le sue autonomie
e la sua egemonia sulla contea, guardandosi bene dal rovinare l’economia
e la stabilità interna di un luogo tanto
importante per transiti e commerci.
N
Diligenza al passo dello Stelvio (1907, cartolina archivio Cittarini).
PRIMA DELLA STRADA
F
ino al XIX secolo la strada
dello Stevio non era altro
che quel desueto sentiero che Hans
Conrad Schmiers indica nella antica
carta geografica della Contea di Bormio come "Camino dello Stelvio".
Per passare dalla Valtellina alla val
Venosta, a questo sentiero scosceso
veniva sempre preferita una via più
breve e sicura: il passo dell'Umbrail,
parte dell'importantissima Strada
Imperiale dello Stelvio. Il Besta
sostiene oltretutto che il transito
attraverso queste montagne non fu
praticato dai Romani, che sfruttavano i passi dello Spluga, del Maloja
e del Muretto. Neppure i barbari lo
utilizzarono, invadendo l'Italia attraverso Brennero, Dobbiaco e Tarvisio.
Probabilmente qui passarono Carlo
Magno e Ottone I, questi nel 960
quando sottomise Poschiavo e Bormio al vescovo di Coira.
ra il XII e il XVI sec. Bormio,
profittando della sua posizione,
divenne un ricco centro internazionale
di commerci e di scambi, godendo
sempre di grande autonomia. Due le
motivazioni. Prima della Piccola Glaciazione (XVI-XIX secolo) la conca
di Bormio produceva di che sostentare, almeno in parte, la popolazione;
quando il clima migliore permetteva
colture ancora oggi improbabili. D’al-
T
Estate 2011
tra parte il borgo si trovava al centro
di una rete di transiti che gli consentivano di essere un ottimo mercato e un
eccellente punto di smistamento delle
carovane. Bormio ancor oggi è snodo
da cui si diramano molte strade, ma
in epoca medioevale la posizione
favorevole era ancor più evidente. Un
tracciato, attraverso il Foscagno e il
passo Cassana, giungeva in Engadina,
poi proseguiva attraverso la Scaletta
per Davos, da dove per lo Schanfigg
arrivava direttamente a Coira: era la
via utilizzata dai corrieri retici. Ma da
Livigno e da Fraele si poteva anche
discendere a Zernez, inoltrandosi in
Bassa Engadina. Vi era poi il fascio di
Le Montagne Divertenti mulattiere che costituivano la Strada
Imperiale, che collegava Bormio con
le valli Monastero e Venosta e, tramite
il Resia, con il Tirolo e la Baviera.
Verso S una mulattiera, ritenuta
assai pericolosa in inverno (si diceva
che sull’altipiano sommitale fossero
periti di freddo e di stenti non pochi
viandanti), traversava il passo Gavia,
unendo Bormio con Pontedilegno: un
buon itinerario verso Trento, Brescia e
il Veneto. Tralasciando collegamenti
interni e valichi minori, si trattava
di una completa rete di percorsi che
convergevano tutti verso il capoluogo
dell’Alta Valle.
el 1808 il governo del Regno
Italico e quello Bavarese
(entrambi possedimenti napoleonici)
stabilirono di realizzare un tracciato
commerciale carrozzabile che da Bormio portasse in Baviera attraverso la
valle di Monastero. Per varie vicissitudini si dovette pensare a una strada
interamente in territorio italiano. Nel
1812 l'ingegner Filippo Ferranti fece
i rilievi sul versante valtellinese per
questa strada, ma i preventivi onerosi
(342638 Lire) e la situazione politica
fecero slittare l'attuazione del progetto.
La parentesi del Regno napoleonico d’Italia (1805-1814) non lasciò
così segni durevoli in Alta Valle, ma
ciò che seguì ne cambiò il destino e
fu all’origine dell’attuale strada dello
Stelvio.
Sconfitto Napoleone, venne il
Congresso di Vienna (1814-1815),
voluto dalle grandi potenze europee
per ripristinare il regime pre-napoleonico. La regola base era restituire
agli antichi signori i propri territori:
Valtellina e Valchiavenna sarebbero
dovute tornare ai Grigioni e oggi
apparterrebbero alla Confederazione
Svizzera, ma i nobili e i possidenti
2 - Omobono Buzzi, Guidina italiana. SondrioMerano, Tipografia Mevio Washington, Sondrio
1920.
Passo dello Stelvio (m 2758)
29
Alta Valtellina
Speciali d'Estate
tellini non ne volevano sapere. Napoleone, infatti, aveva sequestrato i beni
(anche privati!) retici e loro li avevano
comprati: una grave scorrettezza sul
piano del diritto internazionale. Se i
Grigioni fossero tornati, al minimo
avrebbero chiesto la restituzione del
maltolto! Ma i tellini avevano scarse
possibilità di farsi ascoltare a Vienna,
ove si discuteva di ben altri problemi,
se -proprio gli Asburgo- non avessero
gettato lo sguardo sulle valli dell’Adda
e della Mera, utile complemento ai
loro possessi lombardi. Bisogna intendersi: pur se l’economia di allora era
lontanissima da quella di oggi, la
nostra provincia non allettava Vienna
con qualche miniera, un po’ di vino e
di bestiame.
La Valchiavenna avrebbe permesso
un diretto collegamento commerciale tra Milano e Coira. Ancora più
invitante la Valtellina: per suo mezzo
le truppe imperiali, dal sicurissimo
e fedele Tirolo, potevano giungere
direttamente al Lario e di lì puntare
a Milano. Si trattava di una via alternativa a quella classica del Brennero,
più facile ma che a Verona poteva
divenire pericolosa: qui Napoleone
aveva sconfitto gli austriaci bloccando
tale percorso. La Valtellina insomma
avrebbe così offerto un’alternativa, sia
pure complessa e rapida.
Q
uindi possiamo
sostenere che, se oggi
la nostra provincia è in
Italia e non in Svizzera,
la ragione vera va cercata
proprio nella Strada dello
Stelvio, che Vienna voleva
ad ogni costo.
Annessa la Valtellina, gli Asburgo
misero subito al lavoro i tecnici. Ma
vi era un problema, un intoppo non
da poco: gli antichi collegamenti tra
Bormio e la val Venosta transitavano
entrambi per la val Monastero, sia
quello più ardito e diretto che dai
Bagni risaliva la val Forcola sino alla
bocchetta omonima, a m 2768, subito
a N del monte Braulio3, sia quello più
lungo dalla Valdidentro che raggiungeva Fraele per le omonime torri e con
3 - Di qui scendeva a mezza costa sino al passo
Umbrail, donde per la val Muraunza divallava a
Santa Maria e di lì a Müstair.
30
Le Montagne Divertenti Il misero casino dei rotteri, gli uomini assegnati alla manutenzione della strada dello Stelvio
(cartolina archivio Cittarini).
dispiegamento di forze incredibile4: i
fondi necessari alla costruzione della
strada provenivano direttamente dai
fondi dell'imperatore Francesco I,
eludendo tutte le lentezze burocratiche austriache.
L'inaugurazione della strada dello Stelvio in una stampa dell'epoca (archivio Canetta).
un ampio giro per la val Mora discendeva anch’esso a Santa Maria. La val
Monastero apparteneva alla Svizzera e
la sua neutralità era garantita da tutte
le grandi potenze; violarla significava
il rischio di scatenare un conflitto a
livello continentale.
Nel 1818 Carlo Donegani (17751845) ricevette l'incarico di studiare
il problema e il 31 maggio 1818
inviò al Governo una relazione, dopo
aver confrontato le ipotesi di rendere
carrozzabili le due antiche vie di cui
sopra o il vecchio Camino dello
Stelvio: "La prima e la seconda delle
suddette direttrici presentano l'inconveniente di massima di dover attraversare
il territorio grigione, mentre la terza
girando il confine passa direttamente
in Tirolo, mantenendosi sempre negli
stati di Sua Maestà, senza toccare punto
dell'estero suolo."
Fu così scelto l’antico Camino dello
Stelvio, noto ma ben poco praticato a
causa dell’altitudine e delle difficoltà
di percorso.
Carlo Donegani eseguì tra il 6 e il
9 giugno 1818 dei sopralluoghi, confermando in linea di massima i rilievi
fatti dal Ferranti dieci anni prima e
valutando pure la discesa sul versante
tirolese. Si decise subito di evitare
nella parte iniziale il lungo giro per la
valle della Forcola con un cammino
che forzasse le ardite Gole del Braulio,
prima utilizzate solo da greggi, cacciatori e contrabbandieri.
LA COSTRUZIONE DELLA
STRADA
I
l progetto definitivo del Donegani venne approvato il 23 aprile
del 1820 e i lavori iniziarono con un
Estate 2011
L'opera fu conclusa in soli
63 mesi! In certi periodi sul
cantiere erano impiegati
anche 2000 operai, molti
dei quali erano reclutati
fuori dal bormino.
Gli autoctoni, infatti, traversavano
un periodo d'ozio e indifferenza,
dopo che il mutare degli equilibri
europei aveva levato loro l'egemonia
sulla contea e i fasti passati. Gli amministratori, dopo continui richiami
alla popolazione, si videro costretti
a minacciare chi non lavorava con
"l'arruolamento militare senza più la
speranza di ottenere il congedo".
È molto probabile che una tale
minaccia, scrive Luciano Viazzi,5,
abbia convinto anche i più riottosi ad
entrare a far parte delle imperial maestranze, per la realizzazione di un'opera
4 - Le vicende della costruzione ed i particolari
tecnici sono magistralmente descritti nel libro del
figlio di Carlo Donegani: Giovanni Donegani,
Guida allo Stelvio, 1842 (ristampa del Credito
Valtellinese nel 1980).
5 - Luciano Viazzi, La Strada Imperiale dello Stelvio,
Notiziario della Banca Popolare di Sondrio n. 28,
aprile 1982, p. 30
Le Montagne Divertenti che, dopo tutto, avrebbe contribuito a
togliere il Contado dal suo isolamento.
Per la costruzione della strada e
la sua manutenzione fino al 1836
furono spesi circa 3 milioni e 800
mila lire6, i minatori venivano pagati
2 lire e 25 centesimi al giorno, ogni
metro di perforazione di una galleria
costava 10,69 lire, per l'apertura delle
gallerie e l'eliminazione dei macigni si
consumavano giornalmente 5 barili di
polvere.
6 - Battista Leoni, Rassegna economica della
Provincia di Sondrio - Cenni storici sulla strada dello
Stelvio, 9 settembre 1952.
I tratti più ardui, che ancora oggi
meravigliano, sono proprio le gole del
Braulio, la risalita a stretti tornanti
della Spondalunga e la vertiginosa
discesa in un incubo di curve verso
Trafoi ("Ovunque poi la Strada trovasi
sostenuta da alti muri e, quindi, a condizione apprensiva pei passeggeri, vedesi
guarnita da barricate a due ordini di
traversi..."7).
Curioso è che, già nella mappa allegata al lavoro di Giovanni, si osserva
chiaramente che per raggiungere la
sella dello Stelvio fu violato, seppur
di poco, il territorio svizzero. Infatti la
Val Muraunza trae origine dalle acque
dei torrentelli che scendevano dallo
Stelvio e dalle falde dello Scorluzzo
(oggi la carrozzabile ed i lavori per
alberghi e piste di sci hanno parecchio
alterata l’originale morfologia). Ma a
quei tempi i lavori di definizione della
frontiera erano di là da venire e non
risulta che Berna abbia mai rivendicato quel paio di chilometri di carrozzabile.
Altri fatti attraggono la nostra
attenzione: la strada dello Stelvio fu
iniziata a Colico; fino a Sondrio rettificando e migliorando un precedente
tracciato napoleonico, da lì in poi
costruendo ex novo una carrozzabile
lungo il fondovalle (precedentemente
il percorso si teneva alto sul versante
7 - Da un manoscritto autografo di Carlo
Donegani riportato su AAVV, Carlo Donegani. Una
via da seguire, Liceo Scientifico Donegani, Sondrio
2001.
Galleria lungo la strada dello Stelvio (inizio 1900, cartolina archivio Cittarini).
Passo dello Stelvio (m 2758)
31
Speciali d'Estate
Alta Valtellina
La IV cantoniera in una cartolina del 1898 (cartolina archivio Cittarini).
retico per evitare le aree alluvionali
ed impaludate dell’Adda). Per costruire la strada in Valtellina, il difficile
tratto alpestre da Bormio a Prato allo
Stelvio/Prad, nonché il collegamento
sino a Spondigna, furono impiegati in
tutto cinque anni, comprese la costruzione delle cantoniere e gli altri edifici
annessi alla strada!
Se pensiamo che di superstrada
in Valtellina si discute da più di
vent’anni!
Inaugurata nel 1925, la strada, fiore
all'occhiello dell'Impero8, fu visitata
nel 1832 da Ferdinando I e percorsa
dai più alti funzionari imperiali.
I problemi della strada dello Stelvio,
come sottolineò più volte Donegani,
non si limitavano solo alla realizzazione della strada, ma si ampliavano
alle procedure necessarie per garantirne la transitabilità e per cui furono
realizzate numerose infrastrutture
ausiliarie, come i casini dei rotteri,
numerosi paravalanghe, gallerie in
legno di protezione ...
8 - Monteforte afferma: "La più vecchia monarchia
dell'Europa continentale, uscita intatta ed egemone
dalla bufera rivoluzionaria napoleonica [...],
realizzava la più grande opera d'ingegneria scientifica
dell'Ottocento dimostrandosi in grado di coniugare
spirito restauratore e spirito scientifico, tradizione e
progresso, legittimismo monarchico e positivismo
borghese."
32
Le Montagne Divertenti Un’altro dato appare
incredibile: la traversata dello
Stelvio fu garantita 12 mesi
all’anno fino al 18599, a forza
di paravalanghe in legno e
di rotteri10 che, marciando
affiancati, permettevano
il successivo progredire di
spartineve a cavalli, la strada
era percorribile dalle slitte
pure in inverno (in sole 9 ore
si riuscivano a coprire i 50
km del tracciato!).
Q
uesti manovali, per lo più forti
montanari reperiti in loco,
vivevano in apposite case costruite
con la strada. Ogni tanto qualcuno
finiva sotto una valanga o una scarica
di sassi, ma a quei tempi nessuno ci
faceva caso più di tanto11. Una ditta
milanese organizzò persino un rapido
e regolare servizio di diligenze postali
tra Milano e Innsbruck, con discreti
risultati.
9 - Anno della inaugurazione della ferrovia
Verona-Bolzano.
10 - Così erano chiamati gli stradini addetti alla
manutenzione della strada.
11 - Nell'inverno 1886, ad esempio, la Casina dei
Rotteri in località Spondalunga venne rasa al suolo
da una valanga, che trascinò a valle pure i poveri
rotteri e i loro cavalli.
IL DECLINO STRATEGICO
V
ienna nel 1848 (e la delusione
si ripeté nel 1859 e ’66) si
accorse a sue spese che il valico, realizzato per scopi militari, era invece
inadeguato: troppo elevato e troppo
facile da bloccare per essere utilizzato
da ingenti forze in caso di guerra.
Accadde infatti che
nel 1848 un pugno di
volontari italiani riuscì a
bloccare le truppe tirolesi
semplicemente bruciando
un paio di paravalanghe. In
quell'occasione il bormino
Pietro Pedranzini, da solo,
riuscì a catturare ben 65
austriaci!
Gita sui ghiacciai dell'Ortles a inizio '900 (cartolina del 1850, archivio Cittarini). Grazie alla strada nacque un fiorente turismo d'alta quota.
valicarono l’Aprica furono i soldati
italiani durante la Seconda Guerra
d’Indipendenza!
questo punto l’Impero perse
ogni interesse per lo Stelvio e
diede l’impressione di voler trascurare, sul lato tirolese, la carrozzabile. Il
governo italiano dovette includere la
sua manutenzione nel trattato di pace
che chiuse la Terza Guerra d’Indipendenza (1866).
A
L'AVVENTO DEL TURISMO
B
en presto tutti si accorsero che
lo Stelvio assumeva un ruolo
sempre maggiore sul piano turistico,
divenendo uno degli accessi privilegiati al massiccio dell’Ortles (ai tempi
noto, pure in Italia, col toponimo germanizzato di Ortler). Per quasi mezzo
secolo la carrozzabile fu percorsa da
migliaia di carrozze, poi anche da
automobili, da ciclisti, da semplici
pedoni che volevano ammirare le
orride gole, gli splendidi panorami,
gli immensi ghiacciai.
Tale era l’importanza
dello Stelvio che gli
svizzeri abitanti della val
Monastero chiesero a gran
voce di potersi collegare ad
essa per la val Muraunza.
L
o Stelvio insomma, resistette
agli austriaci.
Quindi, negli anni ’50 del XIX
secolo l’Impero asburgico su ordine
del Maresciallo Radetsky decise
di costruire, sempre affidandosi al
Donegani, la carrozzabile del passo
dell’Aprica che, in unione al Tonale,
avrebbe permesso un impiego strategico simile allo Stelvio.
Ma ancora una volta Vienna sbagliò i suoi calcoli: le prime truppe che
Estate 2011
Turisti allo Stelvio a inizio '900 (cartolina archivio Cittarini).
Le Montagne Divertenti Passo dello Stelvio (m 2758)
33
Speciali d'Estate
Berna, per motivi militari (i prudenti svizzeri prevedevano già cosa
sarebbe accaduto pochi anni dopo da
quelle parti), nicchiò a lungo ma alla
fine concesse il permesso; in tal modo
fu reso carrozzabile l’antico percorso
del passo Umbrail.
Ma una strada è sempre una strada:
per quanto difficile ai primi del ‘900
costituiva un’agevole via di invasione.
A quei tempi gli eserciti muovevano
a piedi od a cavallo e di strade sulle
nostre montagne ve ne erano poche.
La regolare, ampia e ben tenuta carrozzabile dello Stelvio appariva come
un’elevata ma potenzialmente pericolosa via d’invasione dal Tirolo verso
l’alta Lombardia (giusto osservare che
a Innsbruck si vedevano le cose esattamente all’inverso). I monti circostanti
si coprirono allora di opere fortificate, mentre le guide alpinistiche
del periodo fecero ben comprendere
come in alcune zone prossime alla
strada fosse meglio non fare escursioni
a scanso di guai12. Guai certi se poi si
veniva scoperti a prendere appunti,
schizzi o fotografie; su questo punto
italiani e austriaci erano concordi.
Quindi nessuna meraviglia se, nel
maggio del 1915, verso lo Stelvio si
diressero sia truppe alpine italiane sia
i volontari tirolesi, raccolti a furia da
Vienna per difendere lo strategico territorio trentino-tirolese.
LA GRANDE GUERRA
Alta Valtellina
fare manovra. E allora, quando questo
retrocedeva, c'era chi, terrorizzato dal
vedersi avvicinare il baratro alle sue
spalle, balzava a terra e riprendeva il
posto in macchina quando la manovra
era terminata. Ma c'erano anche quelli
che non risalivano più e allora l'autista
andava avanti con l'autobus adagio e
quelli gli venivano dietro a piedi e nella
polvere."
Dalle reliquie militari emerse una
nuova coscienza naturalistica che si
concretizzò nel 1934 col Parco Nazionale dello Stelvio, nato sul testo di
legge di Bertarelli, presidente del CAI.
Lo scenario di distruzione al valico al termine della Prima Guerra Mondiale (archivio Cittarini).
Soldati italiani organizzano la vita in trincea durante la Grande Guerra (foto archivio Marveggio).
Comandi non avevano infatti alcuna
intenzione di scendere verso Trafoi,
tanto meno di puntare alla Venosta.
Giustamente pensavano che il conflitto si sarebbe deciso altrove. Inoltre
talune postazioni austriache, erette
ben prima della guerra, a Klein Boden
e al Goldensee rendevano difficile una
nostra conquista del valico e della sottostante carrozzabile sul versante tirolese, a meno dell’impiego di notevoli
forze e di numerose e potenti artiglierie. Ma queste scarseggiavano poiché
quelle di cui disponevamo furono
spedite verso il Carso, come del resto
gran parte delle truppe.
’ strano notare come gli scrittori italiani (ma pure tirolesi)
abbiano trascurato di descrivere
l’importanza delle valide postazioni
di Klein Boden e del Goldsee, che
furono la vera chiave di volta della
difesa austriaca dello Stelvio.
Questo fronte, inizialmente trascurato, assunse sempre più importanza. Scrive Luciano Viazzi: "La
guerra iniziata lassù con scarse truppe
da entrambe le parti, andò man mano
aumentando d'importanza: la valle del
Braulio rintronò dei boati delle artiglie-
E
I
nteressanti furono gli avvenimenti che si svolsero allo Stelvio
e sul massiccio dell’Ortles-Cevedale
durante la Grande Guerra, che, come
giustamente scrisse Luciano Viazzi fu
una “guerra d’aquile”: il fronte più
elevato (fatto salvo il Caucaso) ove si
sia mai combattuto in Europa. Gli
italiani decisero subito di non presidiare il passo Stelvio13. Contrariamente a quanto molti hanno scritto
fu una decisione ben ponderata, forse
discutibile ma certo meditata: i nostri
12 - La guida di Aldo Bonacossa, Regione
dell'Ortler, CAI-TCI 1915, a pag. 79, accennando
al Passo Pedranzini e quindi alla zona di Glandadura, poco sopra il tratto tra la 1° e la 2° Cantoniera,
recita "essendo poi la zona sorvegliata dalle autorità
militari, poiché fortificata ( ndr. il che non era vero,
le fortificazioni erano sopra Oga ed al Monte delle
Scale ), è meglio evitarla a scanso di noie."
13 - Eliana e Nemo Canetta, Storia della Grande
Guerra in Valtellina e Valchiavenna, Edizioni
Libreria Militare, Milano 2008.
34
Le Montagne Divertenti Turisti allo Stelvio nel primo dopoguerra (cartolina archivio Cittarini).
rie, mentre le vette e le creste del ghiacciaio del Cristallo, Tuckett, Madatsch,
Thurwieser e cima Trafoi furono teatro di lotte lunghe e difficili, al limite
estremo delle umane possibilità."
Nel novembre del 1918
gli italiani, caso unico
in Tirolo, forzarono lo
Stelvio, discendendo
senza colpo ferire sino a
Prato e a Spondigna ove si
attestarono saldamente il
4 novembre, realizzando
un’importante testa di
ponte nell’Alta Venosta.
Postazioni nei pressi del piz Umbrail Stelvio durante la Grande Guerra (foto archivio Marveggio).
Estate 2011
Il bell’albergo al valico era ridotto
a pochi muri anneriti, tutto attorno
trincee e crateri di granate: uno scenario lunare.
Le Montagne Divertenti L'AFFERMARSI DEL TURISMO
A
ppena finita la guerra, sgomberati i resti dei combattimenti,
ricomparvero i primi turisti, forse
incuriositi dai luoghi delle vicende
belliche. Nel 1920 le Ferrovie dello
Stato istituirono il primo servizio
automobilistico: grossi macchinoni
scoperti da 12 posti partivano da
Spondigna e da Tirano per giungere
in cima al valico, dov'era possibile trasbordare. Jacob Hanspeter, pioniere
del servizio, guidava questi mezzi
grazie alla sua patente ottenuta nel
1914. In un'intervista negli anni '80
affermava che "salire allo Stelvio era
ben lungi dall'essere confortevole come
adesso. Non c'era l'asfalto e la strada era
talmente tortuosa e stretta che sui tornanti l'autobus scoperto era costretto a
Il passo dello Stelvio entrò
a far parte della storia
del ciclismo, quando l' 1
giugno 1953 Fausto Coppi
strappò la maglia Rosa
all'elvetico Hugo Koblet,
compiendo un'impresa
leggendaria che esaltò
l'intera nazione.
E' per questo che il valico ha ricevuto l'appellativo di Cima Coppi e
che un Giro d'Italia viene considerato
incompleto senza lo Stelvio, in definitiva una tappa immancabile anche
nella carriera di ogni ciclista.
el 1933 in prossimità del
passo fu inaugurato il rifugio
Livrio, costruito su un'idea di Giulio
Cesareni abbracciata dal CAI Bergamo. Sempre in quell'anno, mentre
venivano compiuti i lavori di ampliamento della struttura, Mario Finazzi,
Francesco Perolari e Ettore Bravi
ingaggiarono l'istruttore austriaco
Karl Armil Henkel e organizzarono
il primo corso di sci estivo al mondo.
La cosa fece scalpore, tanto che il
Corriere della sera vi dedicò un lungo
articolo dal titolo L'università dello ski
a 3000 metri.
La scuola si basava su una disciplina
ferrea, ben diversa da quella dei centri
invernali. Henkel venne affiancato da
Giuseppe Pirovano, che accanto alle
lezioni di sci, impartiva quelle di tecnica alpinistica sulle pareti di ghiaccio.
Il successo fu travolgente, con
ben 245 iscritti provenienti da tutta
Europa e portò al fiorire allo Stelvio
di altre scuole di sci che nel loro corpo
insegnanti potevano vantare i più pre-
N
Passo dello Stelvio (m 2758)
35
Speciali d'Estate
Bormio-Prato allo Stelvio
In bici allo Stelvio
I
Cartolina del passo dello Stelvio degli anni '40. In alto a sx si vede il rifugio Livrio (archivio Cittarini).
stigiosi nomi dell'ambiente agonistico.
ire che dal 1933 al 1973 la
scuola Livrio ha contato 80
mila allievi è sufficiente a riuassumere
il successo dell'idea del CAI Bergamo!
Sul finire degli anni '40 Giuseppe
Pirovano decise assieme alla moglie di
fondare la Scuola di Sci Pirovano.
Attualmente aperta da maggio a ottobre, comprende anche due alberghi
full comfort con strutture per il perfezionamento della preparazione atletica.
Sull'onda del successo di queste nacquero altre scuole, Perego e Sertorelli le
altre più antiche, e vi fu un proliferare
di attività turistiche che disseminò
caoticamente il passo di strutture ricettive, negozi e infrastrutture che hanno
fanno perdere allo Stelvio contatto
e sinergia con la maestosità dell'ambiente naturale.
asta tuttavia allontanarsi dal
valico e gli amanti della natura
potranno tornare a gioire: vi sono
infatti numerose possibilità di itinerari di trekking, di mountain bike e
storici.
Uno di questi, il "Sentiero della
pace", percorre le postazioni militari
della Grande Guerra, di cui restano
intatti ampi tratti di trincea, gallerie
D
e numerose fortificazioni. Al passo, il
Museo Donegani (di proprietà della
Banca Popolare di Sondrio e adiacente allo sportello bancario più alto
d' Europa) accoglie cimeli e memorie della guerra, testimonianze della
costruzione della carrozzabile, oltre a
pannelli fotografici che illustrano le
vicende sportive legate al passo.
Tra le manifestazioni merita nota il
Mapei Day, che quest'anno si terrà
il 17 luglio. Si tratta di una giornata
di gare competitive e non, che prevedono il raggiungimento del passo
dello Stelvio in bici, a piedi o con gli
skiroll.
Per chi volesse raggiungere lo
Stelvio dalla poltrona di casa segnaliamo la webcam della stazione
meteo-climatica posta a m 3200
consultabile via internet dal sito
http://webcam.popso.it.
l passo dello Stelvio è una di quelle
salite che ogni ciclista dovrebbe
percorrere almeno una volta nella vita.
Vuoi perché è il più alto e famoso
d’Italia, vuoi per i suoi storici tornanti,
vuoi per la maestosità del paesaggio.
La salita valtellinese parte da Bormio e
con una coppia di ampi tornanti inizia
subito a guadagnar quota. Per i primi
km la pendenza rimane sempre tra il
7-8%. Dopo aver oltrepassato i Bagni
di Bormio inizieremo ad addentrarci
nella valle del Braulio. La pendenza
rimane sempre costante, salvo addolcirsi in occasione di qualche breve rettilineo. Ben presto ecco le spettacolari
pareti di roccia verticali della vallata,
sipario a una serie di gallerie (consiglio
vivamente di munirsi di luce anteriore
e posteriore dato che le prime non
sono illuminate, soprattutto per farsi
vedere da motociclisti e automobilisti). Davanti a noi appare il lungo
serpente d'asfalto che sale nella valle,
con alla sinistra la cascata del Braulio
che nei periodi di piena diventa maestosa e quasi assordante. Altre le curve
giungiamo alla piana del Braulio, dove
finalmente possiamo rifiatare. Il passo,
fino ad ora nascosto, è ben visibile al
termine della piana. Sono gli ultimi
4 km, i più duri, con pendenze oltre
l’8%. Dopo un km troviamo sulla sx
il passo dell’Umbrail e il confine svizzero. Siamo a m 2500, l’aria è rarefatta, ma la vista dell’arrivo ci dà lo
Giacomo Meneghello
stimolo per non fermarci e giungere
all’agognato passo. Il paesaggio, dominato dalla mole dell’Ortles è immenso
su entrambi i lati.
i nostri piedi, sul lato lato trentino, è ben visibile l’infinita
serie di tornanti che hanno reso celebre
questo passo e che ora ci apprestiamo
a “divorare” uno dopo l’altro in una
picchiata di 27 km. La strada scende
il fianco della montagna con numerosi andirivieni più stretti e pendenti
rispetto al lato valtellinese per una
decina di chilometri, poi s’immerge
nella vegetazione su un tracciato più
dolce e meno sinuoso che ci fa scivolare fino a Prato allo Stelvio.
A
B
36
Le Montagne Divertenti La scuola Pirovano e gli impianti di risalita (anni '60, archivio Cittarini).
Estate 2011
Le Montagne Divertenti Passo dello Stelvio (m 2758)
37
Speciali d'Estate
Antonio Boscacci
Creature
fondamentali
per l'ecosistema
naturale, i serpenti
sono innocenti vittime
di pregiudizi derivanti dal
simbolismo religioso.
Il disprezzo ha portato anche una
diffusa paura e ignoranza: in pochi
li sanno riconoscere, distinguere e ne
capiscono i comportamenti.
In questi numeri vi parleremo dei
serpenti: dalle leggende, agli aspetti
scientifici, agli strumenti per distinguere le 8
specie presenti in Valtellina.
Natrix natrix
(14 giugno Divertenti
2008, foto Claudio
Pia - www.clickalps.com)
38
Le Montagne
Estate 2011
Le Montagne Divertenti Serpenti, parte prima: i pregiudizi
39
Speciali d'Estate
Fauna
Serpenti: l'incontro
-P
40
Le Montagne Divertenti lui si è attorcigliato intorno al mio
avambraccio. Pur nel frastuono di
urla e risate un po’ isteriche che mi
circondava, ho percepito che il mio
punteggio come insegnante di scienze
era salito sicuramente di qualche
punto.
Ora però bisognava spiegare che il
più preoccupato era di certo il serpente, anche se non urlava e faceva
gesti strani e inconsulti.
A proposito di urla perfino una
automobilista di passaggio si è fermata
e ci ha chiesto che cosa fosse successo
e se avevamo bisogno di aiuto.
- È solo un serpente signora, grazie.
- Se n’è andata sgommando, essendosi fatta chissà quale idea di certi
insegnanti.
Per farla breve, tutti i miei piccoli
alunni di prima media, dopo meno di
15 minuti, avevano provato a toccare
il povero Colubro di Esculapio (perché
è di lui che parliamo) per rendersi
conto che non era né viscido, né schifoso, ma aveva una pelle delicata e
morbida.
Dopo un’altra decina di minuti
erano già otto i ragazzi e le ragazze
che lo lasciavano attorcigliarsi intorno
al loro braccio. Anzi, la piccola Elena
se l’era messo anche intorno al collo
come una sciarpa.
- Voglio provare anch’io, voglio provare anch’io.
Di lì a poco quasi tutti avevano
imparato a indossare con disinvoltura
la nuova sciarpa di serpente.
Estate 2011
Le Montagne Divertenti Vita d'inferno
I
l serpente, come ben si sa, ha sempre avuto una vita molto, molto
difficile. Quella che, senza eufemismi,
potremo chiamare una vita d’inferno.
In ogni caso una vita grama.
Magari non molto diversa da
quella di tanti altri animali e di tanti
altri uomini, ma una vita comunque
grama.
"Il serpente mi ha
ingannata e io ho
mangiato. Allora il Signore
disse al serpente: poiché
tu hai fatto questo, sii tu
maledetto più di tutto il
bestiame e più di tutte
le bestie selvatiche; sul
tuo ventre camminerai e
polvere mangerai per tutti i
giorni della tua vita." 1
Con queste parole appiccicate alla
propria pelle fin dai tempi dei tempi,
il povero serpente, colpevole di tutti i
guai dell’umanità, non si riebbe più.
Almeno fino ai giorni nostri.
A ben guardare, ci sono stati nel
corso della storia dei tentativi, a volte
modesti, altre volte più energici, di
migliorarne l’immagine così gravemente compromessa, ma non c’è stata
davvero mai una vera inversione di
tendenza nelle considerazioni e negli
atteggiamenti che lo hanno accompagnato.
Dipinto come un tristo figuro, sempre pronto agli intrighi e agli inganni,
anzi, maestro celeberrimo nell’arte del
camuffare, nascondere, imbrogliare,
truffare, è sempre stato visto come
pronto ad abusare dell’altrui buona
fede, a indurre in errore.
1 - (Genesi 3, 13-14).
Adamo ed Eva - Luisa Angelici
rofessore venga, la bidella
è scappata nel bagno delle
femmine e ha detto che di lì non esce
più.
La piccola Elena urlava queste
parole mentre scendeva di corsa verso
il campo sportivo, accompagnata
dalla sua amica Olivia.
- Ma che avete combinato?
- Niente, niente, solo che quando
ha visto il serpente, la bidella si è
messa a urlare ed è scappata.
Per capire meglio questa curiosa
scenetta, occorre dare qualche spiegazione.
Quella mattina di maggio, era un
martedì, ero uscito con la mia classe
della Scuola Media di Albosaggia, per
osservare i fiori e gli alberi. Gli alberi
li avevamo visti spogli in inverno.
Salendo verso la contrada Pedruzzi,
avevamo parlato di foglie e di portamento dell’albero. Ci eravamo fermati a osservare il Pioppo, l’Ontano,
la Robinia, il Frassino, il Castagno e
tante altre piante.
Contemporaneamente occorreva
prendere appunti sui fiori, le ultime
Scille, le Primule, la Silene (la mia
nonna lo chiama sc-ciupét, mi aveva
spiegato un bimbetto del Torchione),
il Rumex acetosa (questo il mio nonno
la chiama panevino) e cento altri.
Poi ci eravamo fermati ai bordi di
una müraca a osservare una lucertola
che prendeva il sole incurante della
nostra presenza.
E mentre eravamo lì, presi da quella
osservazione, ho sentito un urlo e ho
visto un fuggi fuggi generale.
Anche se non è possibile descrivere
la scena si può provare a immaginarla.
Quasi tutte le bimbette della classe
si erano allontanate saltellando come
fossero state morsicate dalla tarantola, seguite da un buon numero di
maschietti.
Con me erano rimasti in quattro,
due femmine e due maschi.
Il serpente intanto, perché si trattava proprio di un serpente, si muoveva sulla strada in cerca di riparo.
L’occasione era troppo ghiotta per
farmela scappare.
Ho preso il serpente per la testa e
- È bellissimo, ha detto Stefania
(che non ci vedeva dalla nascita).
Senti come è tenero e vellutato; però
è molto spaventato, si sente che ha
paura e trema. Ah, se mi vedesse la
mia mamma.
Abbiamo naturalmente dimenticato
gli alberi e i fiori e ci siamo dedicati
all’esame del nostro povero colubro.
- Perché non lo portiamo a scuola?
- Sì, sì, portiamolo a scuola!
- Così lo facciamo vedere anche agli
altri ragazzi.
- Posso portarlo di sopra alle maestre.
- Sì, sì, andiamo dalla maestra Sara,
che prende un colpo appena lo vede.
Così è successo che siamo passati
dalle maestre e quindi siamo andati al
campo sportivo per osservare meglio
come si muoveva il nostro serpente.
Poi la piccola Elena è andata con il
serpente dalla bidella.
E quel giorno le pulizie della scuola
sono andate un po’ a rilento.
- Io non esco se non mi promettete
che “quello” non c’è più.
“Quello” non si poteva nemmeno
nominare.
Prima del termine delle lezioni, ho
domandato ai miei alunni se c’era
qualcuno disposto a portarselo a casa.
Abbiamo dovuto fare un’estrazione
a sorte, tante sono state le richieste.
- Appena l’ha visto, la mia nonna
ha gridato, Madonna santissima,
Madonna santissima. E la mia
mamma ha scosso la testa e ha detto
che lei, professore, è un po’ matto.
Però, quando hanno visto che io
lo accarezzavo e che non mi faceva
niente, anche loro lo hanno fatto.
Perfino la mia sorella Caterina, che
all’inizio non ha voluto toccarlo, perché gli faceva schifo, dopo l’ha preso
con una mano e ha detto che aveva
una pelle strana e molto diversa da
come se l’era sempre immaginata.
Questa è stata la relazione del piccolo Mario, cui era toccato in sorte di
portare a casa il nostro serpentello.
Dopo averlo misurato e aver visto
che era lungo 145 cm, l’abbiamo liberato nello stesso punto davanti al suo
ammasso di sassi (müraca).
È rimasto fermo per qualche
secondo, un po’ incredulo e incerto
sul da farsi, e poi è scappato a rifugiarsi tra i sassi.
Serpenti, parte prima: i pregiudizi
41
Speciali d'Estate
D’altra parte, se era riuscito a ingannare Eva nel Paradiso Terrestre, di
quanti e quali altri misfatti si sarebbe
potuto dimostrare capace?
Abietto, immondo, viscido e schifoso, sono solo alcuni dei termini che
hanno accompagnato il serpente per
tutto il corso della storia.
Se ci pensiamo, non c’è nessuno che
sia stato trattato in questo modo.
L’intreccio stretto tra la sua storia
biblica e quella di Adamo ed Eva, che
poi sono, per molti popoli, le vicende
del nascere e del divenire dell’umanità, lo hanno condannato per secoli
a una fama davvero pessima e soprat-
tutto a portarsi addosso un marchio,
che non è mai più stato in grado di
togliersi.
Molto peggio del giglio di Francia con il quale si marchiavano sulla
spalla le prostitute e le ladre.
Salamandra in val Bodengo (30 settembre 2007, foto Gioia Zenoni).
Il Dio Serpente
S
42
Le Montagne Divertenti ed Eva, la maledizione e la cacciata, la necessità di avere
comunque un nemico sul quale sfogare le proprie impotenze e frustrazioni …
Chi ha fatto le spese di tutto questo,
nella brutta storia della mela, è stato il
povero serpente. La mela, co-protagonista
indiretta della vicenda avrebbe potuto
risentirne negativamente; però, non
solo è uscita indenne, ma ha visto
aumentare la sua popolarità e il suo
mercato.
Così vanno le cose in
mondo.
questo
strano
M
a ritorniamo qui da noi tra
le nostre montagne, dentro i
nostri paesi e le nostre valli.
La paura, l’odio o il semplice rifiuto
del serpente hanno avuto, tra le altre
conseguenze più immediate e concrete, quelle di mescolare, nel grande
calderone del disprezzo, dove non si
riescono più nemmeno a riconoscere
gli ingredienti, ogni animale che, in
forme anche molto lontane, potesse
in qualche modo assomigliargli o dare
l’impressione di assomigliargli.
In questa trappola sono
caduti, oltre agli innocui
orbettini, perfino le
lucertole, i ramarri, le
salamandre e tanti altri
animali.
Quetzalcoatl - Luisa Angelici
olamente i maghi, le fattucchiere, gli indovini, i saltimbanchi, gli imbonitori e i ciarlatani hanno tentato, nel corso della storia, di affermare che questo essere,
disprezzato da tutti, possedeva anche qualche buona qualità. Fosse anche solo di tipo culinario, magari solo come
ingrediente indispensabile nella preparazione di pozioni
miracolose, intrugli magici, filtri d’amore o veleni.
Nel corso della storia l’uomo ha fatto progressi incredibili, ha saputo trasformare e trasformarsi, è riuscito a
spingersi là dove pareva impossibile che sarebbe riuscito ad
arrivare, ha trovato soluzioni a problemi enormi e difficilissimi … però, nel suo rapporto con la figura del serpente
non ha fatto molti passi avanti, anzi.
Forse è riuscito perfino a fare qualche passo indietro.
Questo almeno per quanto riguarda la civiltà occidentale, perché invece, in altre parti del mondo e in oriente
in particolare, ma non solo, presso culture molto diverse
dalla nostra, al serpente sono stati attribuiti compiti e ruoli
molto importati, tanto da diventare, in moltissimi casi,
una vera e propria divinità.
Si potrebbe citare il dio serpente Nagaraja (il Re serpente), venerato nel tempio di Mannarasala in India,
Nagayakshi (la Regina serpente), Karinagam (il serpente
nero), Paranagam (il serpente alato) e Anchilamaninagam (il serpente con cinque teste) oppure si
potrebbero citare i Naga, serpenti diffusissimi e fondamentali nella nascita dello stato indiano del Kerala.
Nei templi indiani, si offrono spesso ai serpenti
ciotole di riso, di latte e di altri cibi, non perché il
serpente si nutra di questi cibi, ma per fare in modo che
i topi, le loro più comuni prede, attirati dal cibo, possano
servire loro da pasto.
Cambiando continente e passando alle americhe, troviamo qui il serpente piumato verde, il famosissimo Quetzalcoatl, divinità presente in gran parte delle culture
dell’America Centrale.
Figura importante nel pantheon delle
divinità Maya, per i quali era, tra l’altro,
anche un simbolo di fertilità, lo fu ancor di più
presso gli Aztechi, secondo i quali Quetzalcoatl aveva svolto un ruolo essenziale nella nascita del
genere umano.
Anche in Italia, prima dell’arrivo del cristianesimo, esistevano dei culti dedicati al dio serpente.
Poi è arrivato il Paradiso Terrestre, la nudità di Adamo
Piccole gioie per i rettili
Estate 2011
Anche il ribrezzo che molti manifestano nei confronti dei poveri lombrichi può essere ricondotto con molte
buone ragioni a questo ancestrale cattivo rapporto con i serpenti.
Quanti casi della mia esperienza
quotidiana potrei citare a questo proposito!
Ricordo mia sorella, che pur
dicendo di non averne paura, scappa
davanti a un orbettino, oppure molti
dei miei piccoli alunni che restano
paralizzati dal terrore, quando vedono
una innocua salamandra giallo – nera
che sta attraversando loro la strada,
oppure ancora mia zia che urla di
fronte a un ramarro …
E non ho parlato di serpenti, ma di
anellidi, anfibi …
Pensate del resto a una esperienza
molto comune. Quanti di noi vengono percorsi dai brividi al semplice
rumore provocato da una lucertola
che si muove sulle foglie secche a lato
Le Montagne Divertenti del sentiero sul quale stiamo camminando?
Devo anche dire, a onor del vero,
che in qualche caso, il tanto parlare
che ho fatto nella mia lunga vita di
insegnante per difendere anche i serpenti, qualche risultato l’ha dato.
Nel luglio di due anni fa, mentre
percorrevo una via di Sondrio, ho
incontrato una mia ex alunna accompagnata da sua madre.
Dopo i soliti, come sta, come va e
che cosa fa, Elena, la mia ex alunna
mi ha spiegato che il giorno prima
suo padre, non solo non aveva ucciso
un grosso Colubro di Esculapio che
gli aveva attraversato la strada davanti
alla sua baita, ma se n’era uscito con
queste parole: i serpenti bisogna
difenderli, perché non fanno del male
a nessuno e sono utili.
- Tutto merito mio (e delle sue spiegazioni a scuola), mi ha detto Elena.
Era la stessa piccola Elena della quale
parlo nell’introduzione di questo
scritto.
Gioie piccole, ma che cosa può
chiedere di più un insegnante?
Vengo a parlare di casa mia.
Mio padre ha sempre avuto un rapporto, per così dire difficile con i serpenti. Nel senso che per lui, tutto ciò
che strisciava, doveva essere inseguito
a bastonate e se possibile eliminato.
Questo per molto tempo.
Poi un giorno di un anno ormai
molto lontano, sento che mi chiama
dall’orto con voce molto concitata.
Lo raggiungo di corsa e lui mi mostra
la rete nera antigrandine con la quale
ricopriva l’insalata e mi domanda di
aiutarlo perché lui da solo non ci riesce.
Liberare un serpente da una rete
antigrandine è davvero un’impresa
molto difficile, a meno che non si
tagli la rete.
Taglia taglia, se no muore.
Mio padre che sacrifica una rete
antigrandine per salvare un Biacco.
C’era da non credere ai propri occhi e
alle proprie orecchie.
E con che gioia ha osservato il serpente uscire dalla rete, guardarsi un
po’ intorno e fuggire dietro il pollaio.
Quel Biacco è vissuto nel nostro
orto per almeno una decina di anni. E
perfino mia madre è riuscita ad accettarlo e a conviverci.
Bimbi giocano con Colubro di Esculapio
(giugno 1983, foto A. Boscacci).
Sopra: un'innocua salamandra in val Bodengo
(30 settembre 2007, foto Gioia Zenoni).
Serpenti, parte prima: i pregiudizi
43
Speciali d'Estate
Fauna
Il Basilisco
Un capitolo a parte
meritano i serpenti
fantastici, nati e cresciuti
per ogni dove e che
entravano spesso nei
racconti delle nonne e delle
vecchie zie.
Serpenti giganteschi e grossi oltre
ogni limite, lunghissimi e coloratissimi, serpenti capaci di mangiare
conigli e galline, in qualche caso anche
agnelli e capretti, serpenti che prosciugano tinozze di latte, serpenti che si
attaccano direttamente alle mammelle
delle mucche, che si ubriacano dopo
essere riusciti ad aprire la spina della
botte, serpenti che mangiano patate,
serpenti che quando aprono la bocca
lanciano fiamme, serpenti dai grandi
occhi, capaci di ipnotizzare i poveracci
che capitino loro davanti, serpenti che
ridono, che piangono, che parlano,
che sono capaci di volare e spostarsi
da una valle all’altra, serpenti fosforescenti, con bocche smisurate, serpenti
che si strofinano sui sassi per partorire, tagliandosi la pancia, serpenti
che si mangiano i piccoli, oppure che
li buttano giù da un dirupo, serpenti
che si nascondono sotto la cenere del
camino e lì passano l’Inverno …
Quasi in ogni paese della Valtellina
e della Valchiavenna, nel ricordo delle
persone più anziane, c’è la presenza
di un serpente strano, grosso e lungo,
spesso con la cresta o altre protuberanze, dotato quasi sempre di uno
sguardo capace di immobilizzare o
addirittura di uccidere.
44
Le Montagne Divertenti vede di quando in quando sui pascoli di
Caronno.
- L'hai mai visto?
domandai un giorno a un
pastore.
Q
uesto animale fuori dalla
norma, la cui prima apparizione si perde nella notte dei tempi,
è una presenza costante di tutti i libri
(i bestiari) che si sono occupati di
animali, veri o fantastici, e che hanno
avuto una grande fortuna a partire dal
Medioevo ed è il protagonista di moltissime leggende in tutta Europa.
- Sì l'ho visto, rispose sgranando gli
occhi, e indicando col dito, tenendosi a
rispettosa distanza, la bella vipera stesa
nella mia scatola dell'erbario, in mezzo
ai fiori dai colori brillanti, l'ho visto,
come vedo questo serpente.
Ciò che il pastore diceva di aver visto,
era il grande serpente dalla cresta di
fuoco, con gli occhi che ruotano nelle
orbite: il basilisco. La cresta era almeno dello spessore
di un grosso dito. L'aveva proprio
visto lassù nei cespugli di rododendri
della valle di Caronno, e potete immaginare il suo spavento. Non aveva avuto
il coraggio di seguirlo come ora
non osava toccare la mia
vipera, nonostante fosse
morta. Non si sa mai!
E tutti gli altri pastori
erano raggruppati intorno
a noi, gli occhi fissi sulla
povera vipera, le orecchie
tese al racconto fantastico
del loro amico. E a poco a
poco, sotto l'influenza suggestiva delle parole, la mia vipera
appariva ai loro occhi sempre
Questo essere incredibile,
nato forse dal sangue uscito
dalla disgraziata Medusa
quando Perseo le tagliò la
testa, era indicato con il
nome di basilisco (in greco,
piccolo re).
E
cco come ne parla Bruno Galli
Valerio in una delle prime
pagine del suo bellissimo libro Cols et
Sommets (Losanna, 1912)1:
"E là nelle serate tranquille d'estate,
raccontiamo le avventure alpinistiche,
le avventure di caccia, mentre la luna
sparge una luce bianca, melanconica su
tutta la vallata e lontan lontano luccicano le vedrette del Disgrazia e del Bernina. E a poco
a poco ognuno avrà la sua
avventura o la sua leggenda
da raccontare.
E’ per prima la leggenda
del basilisco, il serpente
dalla cresta rossa, che si
Basi
lisc
o Luis
a
Ange
più grande, la cresta cominciava a
comparire sulla testa, una cresta ancora
piccolina, appena visibile, gli occhi
cominciavano a muoversi nelle orbite...e
un anno dopo, tutti lassù raccontavano
la storia fantastica di un grosso serpente
dalla cresta rossa, che io avevo ucciso
sui pendii dello Scotes che tutti avevano visto, gli occhi giravano ancora
nelle orbite, nella mia scatola erbario!
La leggenda del basilisco era stata così
interamente confermata dai fatti ed ora
non poteva più essere messa in dubbio
dai giovani pastori che, oramai potevano testimoniare coi vecchi l'esistenza
di quella orribile bestia, là, in mezzo
alle Alpi orobie...Un giorno o l'altro, mi
vorranno come testimone!"
Anche in Albosaggia
non poteva mancare un
riferimento a questo
serpente:
- Il mio nonno l’ha visto sotto
sant’Antonio, aveva una cresta rossa
ed era lungo quasi 6 metri. Non ci
crede professore?
- Io non ci credo, però facciamo
così, oggi pomeriggio vengo a casa
tua e lo domandiamo al tuo nonno.
Va bene?
Il pomeriggio sono andato a casa
di Luca, il mio alunno, ed è successo
quello che di solito succede in questi
casi.
Il nonno di Luca non aveva visto
di persona il serpente, ma suo cugino
Mario sì.
Allora siamo andati fino ai Barbagli, dove abitava questo cugino e lui
ci ha mandato dal Celso che abitava
ai Marini, che ci ha detto di andare
dal Giuseppe, che stava alle Caselle.
Siamo arrivati fino all’Onorato che
abitava alla Segrada …
Un giro di quasi tre ore per concludere che nessuno aveva visto di persona lo strano serpente.
Se non avessi problemi di spazio,
quante storie di questo tipo potrei
raccontarvi.
Curiosamente però il Basilisco esiste
davvero.
È un sauro, diciamo per comodità
una lucertola, che possiede una lunga
coda e un’alta cresta sul dorso (nei
maschi), che può arrivare fino a 80
cm di lunghezza e che vive nell’America Centrale.
Siccome, a causa dei suoi piedi
palmati e della sua velocità di spostamento, è capace di fare lunghi tratti
camminando sull’acqua con le sole
zampe posteriori (anche più di 20 m),
è stato soprannominato lucertola di
Gesù Cristo. Con ovvio riferimento al
passo biblico nel quale il Messia cammina sulle acque del lago di Genèsaret
(Matteo 14, 22-33).
lici
I serpenti nelle favole
1 - Potete ordinare la versione integrale del libro,
nella sua versione tradotta in italiano da Antonio
Boscacci e Luisa Angelici (1994), su
www.lemontagnedivertenti.com
U
n campo fertilissimo quello del
serpente nelle favole, interessante e molto illuminante. Purtroppo
però, il povero animale, annichilito
dalla cattiva fama che si è conquistato nel corso dei secoli, anche prima
dell’avvento del Cristianesimo, nelle
favole quasi sempre assume il ruolo
di guastafeste, di astuto ingannatore,
una connotazione di oscuro artefice di
guai e malefici.
Di malvagio insomma, del quale ci
si deve liberare a ogni costo.
Fedro (ca 20 a.C. – ca 50 d.C.)
dedicò alcune sue favole al serpente:
Il Serpente e la Lucertola, Il Serpente e
la misericordia che nuoce, La Vipera che
Estate 2011
Le Montagne Divertenti entrò nell’officina del fabbro …
Ne esce per lo più un ritratto devastante per il nostro povero animale.
Nella seconda delle favole citate, c’è
un povero serpente mezzo morto per
il freddo, che viene raccolto e riscaldato da un passante.
E lui che fa quando rinviene?
Per tutta riconoscenza, lo morde.
Morale: mai aiutare i
malvagi [nequis discat
prodesse improbis].
Non c’è scampo dopo una sentenza
di questo genere.
La stessa favola la riprende Jean de
la Fontaine (1621 – 1695) che arriva
alle stesse conclusioni. Anche qui giustizia è fatta, naturalmente a scapito
del disgraziato serpente di turno.
Per fortuna c’è anche qualche eccezione.
Esopo, che visse nel VI secolo a.C.
in Grecia, dedicò una delle sue favole
al nibbio e al serpente. Il nibbio cattura un serpente per mangiarselo, ma
l’animale si difende e lo morsica. Il
rapace, costretto ad abbandonare la
propria preda, esce perdente e malconcio dalla vicenda narrata. Questo
dimostra, secondo la lezione morale
dell’autore, che i cattivi, prima o poi,
pagano per le loro malefatte.
Serpenti, parte prima: i pregiudizi
45
Speciali d'Estate
Fauna
U-SKÒ
L
a terra al tempo dei TAA-BAS era governata da un
grande serpente di nome U-SKÒ.
U-SKÒ aveva un corpo lunghissimo mezzo verde e mezzo
azzurro.
I poveri TAA-BAS lo temevano tanto che qualsiasi cosa
comandasse di fare, la facevano subito senza mai protestare.
Tutti avevano paura di lui, meno RA, una ragazzina piccola
dai capelli ricci e nerissimi, che aveva deciso che un
giorno o l’altro l’avrebbe ucciso.
E infatti, un giorno che U-SKÒ si era addormentato con la testa tra le nuvole, RA si arrampicò lungo
il suo corpo per molte centinaia di metri e, quando fu
a metà, con un gran colpo di coltello, lo tagliò in due.
U-SKO' - Luisa Angelici
La parte inferiore del serpente
precipitò sulla terra e quasi provocò un
terremoto.
La parte superiore invece, volò verso
l’alto e fu inghiottita dalle nuvole.
Con un pezzo del suo corpo sulla terra e uno in
cielo, U-SKÒ il serpente si mise a piangere.
E un fiume di lacrime cadde come pioggia.
L
o stesso La Fontaine, appena
citato, scrive una interessante
favola intitolata L’uomo e il Serpente.
La vicenda narrata è una specie di
riscatto per il povero animale, che
pure fa una tragica fine.
Dunque, un uomo incontra un
serpente e pensa di fare un favore
all’Umanità decidendo di ucciderlo.
Così lo chiude in un sacco e poi gli
dice che, come simbolo degli ingrati,
la sua ora è venuta e lui lo farà morire.
Il serpente cerca una timida
difesa e ammonisce l’uomo:
"Se dovessi uccidere tutti
gli ingrati, resteresti in
compagnia solo di te stesso!
Il simbolo degli ingrati
è l’uomo stesso, non il
serpente."
L’uomo, colpito da quelle parole,
ma volendo allo stesso tempo essere
magnanimo, ferma una mucca e le
46
Le Montagne Divertenti chiede un parere sulla questione.
Non l’avesse mai fatto, la mucca
ribadisce che l’uomo è l’essere più
ingrato di tutti. Basti vedere come l’ha
sfruttata per tutta la sua vita, dopo
tutto il latte e i vitelli che lei gli ha
dato.
Non contento delle risposte della
mucca, l’uomo ferma un bue e gli
domanda che cosa ne pensa.
Ma il bue rincara la dose.
Arrabbiato l’uomo vuole un altro
parere e lo chiede all’albero lì vicino.
L’albero chiamato a dire che cosa ne
pensasse della questione, è, se possibile, ancora più severo della mucca e
del bue.
Così l’uomo, sempre più
furioso, non sapendo su
chi scaricare la propria
violenza, se la prende con il
serpente e lo sbatte contre le
murs, tant qu’il tua la bête.
Insomma, lo uccide.
La morale che ne trae La Fontaine è
questa: c’è gente che si mette in testa
che tutto è nato per loro, persone,
quadrupedi e serpenti. Se qualcuno
si ribella è ritenuto uno sciocco. Ma
allora che si può fare: parlare da lontano o tacere?
Un altro esempio di scritto nel
quale il serpente non fa la solita figura
del malvagio e dell’ingannatore, ce la
offre Hans Christian Andersen.
Lo scrittore danese pubblica infatti
nel 1871 una favola, poco conosciuta,
intitolata Il grande Serpente di Mare
[Den store Søslange], nel quale si parla
di un curioso serpente marino. In
questo caso il lunghissimo animale
che si morde la coda e gira tutto
intorno al mondo, non è né pauroso,
né pericoloso anzi, è forse la creatura
più interessante che ci sia mai stata
dentro mare e trasporta alla velocità
della luce la conoscenza da una parte
all'altra del pianeta.
Estate 2011
Così adesso, ogni volta che piove, i
TAA-BAS raccontano ai loro bambini
la storia di RA e di U-SKÒ il serpente,
che là in alto tra le nuvole piange, perché vuole tornare sulla terra.
[Antonio Boscacci, Il Leprassero e altre favole, II edizione,
Sondrio 2011]
Timidi segnali positivi
B
isogna anche dire, in verità,
che in questi ultimi decenni, il
rapporto tra le persone e i serpenti è
complessivamente migliorato. Anche
perché di pari passo è cresciuta la sensibilità verso ciò che ci circonda e verso
tutte le forme di vita.
Pur nel groviglio di interessi spesso
oscuri e conflittuali che regolano i
nostri rapporti con l’ambiente, c’è una
maggiore disponibilità al rispetto di
tutti gli esseri viventi che lo popolano
(scrivo queste parole ma capisco che ci
sarebbe molto di cui discutere).
Alla fin fine, con un po’ di ottimiLe Montagne Divertenti smo, si può dire che anche i serpenti
abbiano tratto qualche beneficio da
tutto questo.
Forse è venuto il tempo nel quale
finalmente questo cattivo abbia una
doverosa riabilitazione e una sua più
appropriata collocazione tra gli esseri
viventi, dentro i quali siamo immersi
e con i quali stabiliamo continuamente
infinite relazioni.
Magari anche un giusto risarcimento
per tutto quello che gli è stato fatto,
Si potrebbe pensare, perché no, di
… chiedergli scusa.
Un po’ troppo direte voi lettori.
Ma chi può sapere che cosa ci riserverà questo nostro lungo e tormentato
cammino di uomini.
Anche i serpenti svolgono una parte
importante in quell’intreccio naturale,
che è sempre alla ricerca di un nuovi e
più profondi equilibri.
Equilibrio che l’uomo (non gli animali, non le piante) con il suo progresso molto “distratto” e spesso molto
stupido, cerca a tutti i costi di liquidare.
La strada è ancora lunga e in salita.
Serpenti, parte prima: i pregiudizi
47
Joëlette
Franz e Beppe
U
na nuova possibilità di
vivere la montagna anche per
chi ha difficoltà motorie è nata grazie
alla Joëlette messa a disposizione dal
Parco delle Orobie Valtellinesi.
Grazie a questo speciale mezzo di
trasporto si riescono a effettuare
gite di facile e media difficoltà
permettendo, anche a chi non
può farlo con le proprie
gambe, di raggiungere alcuni
dei luoghi più caratteristici e
belli della nostra valle.
TO DONATORIO.
NA E PASSAPAROLA.
ngue salva molte vite: alimenta e diffondi il moto donatorio.
i chi dona muove anche te.
za siamo noi: dona e passa parola!
AVIS SEZIONI COMUNALI DELLA PROVINCIA DI SONDRIO:
AVIS DI BORMIO 0342 902670
AVIS DI CASPOGGIO 0342 451954
AVIS DI CHIAVENNA 0343 67297
AVIS DI LANZADA 0342 452633
AVIS DI LIVIGNO 334 2886020
AVIS DI MORBEGNO 0342 610243
AVIS DI POGGIRIDENTI 0342 380292
AVIS DI SONDALO 0342 801098
AVIS DI SONDRIO 800593000
s.it/toscana
Con la Joëlette verso l'alpe Musella
(27 giugno 2010, foto Maistella Sceresini).
Le Montagne Divertenti Joëlette
49
Speciali d'Estate
Montagne per tutti
Quando per caso,
navigando su internet,
ho scoperto l’esistenza
della joëlette, una speciale
carrozzella da trekking, ho
subito pensato di proporre
a Beppe di provare a usarla.
Come è andata? Questo è il racconto del diretto interessato.
“Sono Beppe e sono disabile motorio. Ho sempre amato la montagna e
I suoi percorsi tra i silenzi dei boschi,
le inerpicate ascese verso le vette e le
fatiche che vengono premiate quando,
una volta giunto in cima, sudato,
accaldato, impuzzolentito dallo sforzo
fisico, puoi ammirare splendidi paesaggi incontaminati e godere di grandi
silenzi.
Ok, adesso basta con le battute,
altrimenti tutti pensano che sia uno
scalatore professionista. In realtà sono
un ragazzo semplice, che ha sempre amato fare delle scampagnate in
compagnia dei soliti “compagni di
merende” su per le montagne, quelle
facili da raggiungere, ma che comunque ti fanno sudare ... amo sopratutto
stravaccarmi sui prati e, tracannando
una buona birra, contemplare le
montagne della nostra Valtellina.
Complice un problema di salute
che mi ha comportato una disabilità
agli arti inferiori, una morosa che
preferiva altri tipi di svago e, chiaramente, la mia nota pigrizia, mi sono
allontanato sempre più dalle escursioni all’aria aperta.
Grazie al mio nuovo lavoro e ai
colleghi che avevano sentito parlare
della joëlette, girando tra siti internet
e forum siamo finiti su alcuni reportage francesi, che attribuivano a questa “carriola” mirabolanti capacità di
trasportare persone disabili in posti
veramente impervi. La mia prima
impressione è stata quella di essere
di fronte a uno di quegli improbabili
attrezzi prodigiosi, pubblicizzati su
varie TV private per giornate intere,
che con zero fatica sono in grado di
condurti verso incredibili risultati, in
questo caso montagne impossibili.
Pareva che, con questa fantomatica
Joëlette, potessi farmi un ottomila.
Franz, un mio collega con la passione per la montagna, ha scoperto
50
Le Montagne Divertenti Grazie alla Joëlette si riescono a superare anche pendii molto ripidi
(27 giugno 2010, foto Marina Magri).
che il Parco delle Orobie Valtellinesi
aveva acquistato e rendeva disponibile
quest’oggetto miracoloso per chi ne
avesse fatto richiesta.
In breve ha reperito la carriola che
mi avrebbe permesso di tornare a
respirare la salubre aria montana,
la quiete di una civiltà silenziosa,
ma brulicante di vita, e l’allegria di
un’uscita tra soci.
Per la prima gita, avvenuta a fine
estate, la scelta è ricaduta su un sentiero breve e non troppo impervio: il
rifugio Cristina in Valmalenco, raggiungibile in un’oretta di cammino su
una comoda mulattiera, è apparso la
meta ideale.
All’appuntamento si sono presentati in tantissimi: i miei colleghi con
tanto di famiglie, la mia compagnia
di amici, tutti pronti ad esultare e ad
emozionarsi per il mio ritorno tra i
monti.
Sistematomi sul trono e imbrigliato
a dovere, siamo partiti con Franz al
traino, un mio amico ai comandi
posteriori (freni e direzione), e, per
non rischiare di cadere, rovinando
così il mio bellissimo viso, pure due
persone ai lati a garantirne la stabilità. Mentre la carovana camminava
più o meno silenziosamente, con le
persone atte a portare la joëlette, che,
a intervalli regolari, protestavano per
il regime dietetico a cui io non mi
ero sottoposto, devo dire che mi sentivo in pace con il mondo, mentre
In discesa verso Franscia (27 giugno 2010, foto Marina Magri). Chi volesse avere notizie e informazioni può recarsi presso la sede del Parco delle
Orobie Valtellinesi o scrivere a [email protected] .
distribuivo la mia benedizione con
un “brochèl” (in quanto l’ulivo non
c’era) come un cardinale in visita
pastorale, rilassato oltremodo, con
le terga comodamente appoggiate su
un soffice cuscino. Uno dei maggiori
vantaggi di questa joëlette è sicuramente l’assenza di fatica e di sudore,
nonostante il cammino sotto il solleone di fine agosto!!
Dopo aver divorato panini, birra e
un genepì preso al rifugio, abbiamo
goduto il fresco tepore della montagna, contenti per la nostra bella prima
volta con la sedia: siamo tutti rimasti
favorevolmente impressionati dalla
sua comodità, ma soprattutto dalla
facilità e dall’agilità nel manovrarla e
quindi abbiamo deciso che l’avremmo
richiesta per nuove uscite. Che bello,
sulla via del ritorno, poter fantasticare
con il pensiero già rivolto a nuove
escursioni!”
e permette veramente di raggiungere
posti impensabili.
La discesa dall’alpe Musella verso
Franscia ci ha permesso di stabilire il
limite di utilizzo nelle fasi di discesa
su sentiero ... è stata l’unica occasione
in cui abbiamo visto il nostro passeggero in difficoltà a causa dell’eccessiva
pendenza tanto che, a un certo punto,
lo abbiamo sentito esclamare : “Oh,
io voglio avere la possibilità di dare
un erede alla mia dinastia ... I want to
save my balls!”
Grazie all’esperienza acquisita
abbiamo cercato di individuare alcune
migliorie da apportare alla joëlette al
fine di renderla ancora più comoda
per i passeggeri e siamo pronti per
affrontare nuove escursioni.
Informazioni utili
a joëlette, inventata da un alpinista
L
francese, Joël Claudel, è una speciale carrozzella da fuori-strada a una sola
ruota con sospensione e freno, tenuta
da due accompagnatori mediante
appositi bracci davanti e dietro.
Essa consente anche ai disabili motori
non deambulanti di partecipare a escursioni in montagna, uscite di educazione ambientale e in genere attività in
ambiente naturale.
Nel febbraio 2008 il Parco delle Orobie
Valtellinesi ne ha acquistata una, grazie
al supporto economico della Banca
Popolare di Sondrio.
Nell’aprile dello stesso anno il Parco ha
organizzato un corso per la formazione
dei conduttori di joëlette con l’ausilio del
dott. Leonardo Paleari, accompagnatore di media montagna specializzato
proprio in questa attività formativa. Il
corso, svoltosi in due giornate con lezio-
ni teoriche e prove pratiche, ha visto
la partecipazione di 10 volontari, che
al termine del corso sono stati abilitati
all’accompagnamento di disabili.
a joëlette è a disposizione di chiunL
que ne faccia richiesta al Parco.
Basta prenotare l’utilizzo e compilare un
apposito modulo (disponibile
presso gli uffici del Parco).
Per informazioni e per prenotazioni:
Via Toti, 30/c – Sondrio
Tel. 0342 211236 – fax 0342- 210226 [email protected]
Altre info: www.hce.asso.fr
D
opo la prima escursione
su strada e sentiero facile
abbiamo testato la joëlette in altre due
escursioni un po’ più impegnative: la
prima all’ alpe Musella, sempre in
Valmalenco, e la seconda a Savogno
in Valchiavenna.
Sulla scorta delle impressioni e delle
considerazioni di Beppe e sulle nostre
sensazioni di conduttori possiamo
affermare che l’attrezzo è veramente
eccezionale; la particolare struttura
a monoruota lo rende maneggevole
Estate 2011
Le Montagne Divertenti Joëlette
51
Valmalenco
Alpinismo
Tuffi dalle grandi
altezze
Beno
Campo Moro (Lanzada)
10 agosto 2011
11 prove facoltative
ore 15 gara
ore
I
l 14 agosto 2011 la Valmalenco ospiterà la XXIV edizione della
Coppa del Mondo di Tuffi dalle Grandi Altezze. Come nelle due
stagioni trascorse, il trampolino verrà issato sull'argine della diga di
Campo Moro, a m 2000 nel comune di Lanzada.
Gli atleti si sfideranno con evoluzioni mozzafiato lungo i 25 metri
di caduta che portano al pelo dell'acqua. Una dimostrazione non solo
di coraggio, ma anche di grande preparazione fisica e psicologica: un
errore nell'eseguire un tuffo da quell'altezza può comportare conseguenze gravissime.
È una manifestazione emozionante e che attrae moltissima gente:
nel 2009 ben 12 mila spettatori hanno assistito a bocca aperta alla
gara! Il colpo d'occhio, per chi come me ne è stato testimone, è a dir
poco strepitoso: le sponde del lago tappezzate dal mosaico variopinto
del pubblico, l'eco degli applausi che si spinge lontano e dà carica agli
atleti che si preparano o concludono vittoriosi il loro esercizio.
Il padre della Coppa del Mondo di Tuffi dalle Grandi Altezze è Vittorio Zanetti, presidente della Federazione Europea Sport del Mare.
Anche quest'anno Vittorio è in Valtellina molti mesi prima per organizzare l'evento, raccogliere sponsor, parlare con gli enti e coordinare
volontari e operatori, così lo incontriamo per una chiacchierata.
"Quand'è nata la Coppa del Mondo di Tuffi dalle Grandi
Altezze?"
"Nel lontano 1988, era una gara secca alla Quebrada di Acapulco,
vinta dallo statunitense Bob Brown. Da allora il circuito si è ampliato
e il titolo viene assegnato dopo più prove sparse in giro per il mondo."
"Da dove vengono gli atleti?"
"Quest'anno a Campo Moro avremo 14 atleti provenienti da
11 paesi e in rappresentanza di 4 continenti. Insomma da tutto il
52
Le Montagne Divertenti Momenti della gara del 2009, sullo sfondo il
pizzo Scalino (archivio
Fedemar).
Estate
2011
Le Montagne Divertenti mondo! Li alloggeremo, per farli acclimatare, ai
rifugi Zoia e Poschiavino."
"Ci saranno italiani?"
"Purtroppo pare di no: dopo il grande Simone
Bonelli, vincitore della Coppa del Mondo nel
'95 e nel '97, non abbiamo più avuto atleti italiani di alto livello."
"Come si stabilisce il vincitore?"
"Ogni atleta effettua 2 tuffi a difficoltà libera.
Ci sono 5 giudici che votano. Il valore più alto
e quello più basso vengono scartati, gli 3 altri
sommati e moltiplicati per il coefficiente di
difficoltà. La somma dei punteggi dei due tuffi
determina la classifica."
"Cos'è il coefficiente di difficoltà?"
"L'atleta dichiara alla giuria l'esercizio che ha
intenzione di compiere. La giuria, basandosi su
tabelle internazionali che tengono conto delle
varie evoluzioni inserite nel tuffo (salti mortali,
avvitamenti, verticale alla partenza ...) calcola il
coefficiente di difficoltà."
"Atleti da tutto il mondo, un bagno di
pubblico, servizi sulle televisioni nazionali ...
dev'essere dura organizzare tutto!"
"Certamente lo è, ma enti locali (Comunità
Montana di Sondrio, Regione Lombardia, Provincia di Sondrio, Consorzio Turistico di Sondrio e della Valmalenco e Unione dei Comuni
della Valmalenco) e numerosi sponsor privati,
tra cui in primis ENEL e AUTOTORINO,
sostengono generosamente la manifestazione.
Poi volontari, associazioni e forze pubbliche ci
offrono il loro prezioso aiuto. La calda risposta
della gente di Valtellina e dei turisti, infine, ci
ripaga sempre per tutti gli sforzi fatti."
"La strada Franscia-Campo Moro riuscirà
a sostenere un tale afflusso di persone? Come
gestirete il traffico?"
"Verranno stabiliti degli orari per la salita e
degli orari per la discesa, in questo modo - funzionando la strada a senso unico - non potranno
esservi ingorghi. Giunte a Campo Moro, le
auto verranno indirizzate dai parcheggiatori per
ottimizzare gli spazi disponibili. Una volta terminati i posteggi la strada verrà chiusa. E poi si
può salire pure a piedi: con il sentiero diretto
da Franscia si fa una bellissima passeggiata di
un'ora scarsa, all'ombra del bosco e lontani dal
traffico!"
Eventi
53
Alpinismo
Pizzo Roseg
re dei ghiacci
Beno
54
Le Montagne Divertenti Estate 2011
Le Montagne Divertenti Pizzo Roseg versante N (Kim Sommerschield,Pizzo
www.kimsommerschield.com).
Roseg (m 3936)
55
Alpinismo
Valmalenco
È
D
lo spettacolo che si ha guardando la
bocchetta delle Forbici da certi punti
della valle di Musella: un'affilata cresta
spruzzata di neve fresca, benchè lontana,
pare incombere sopra il rifugio Carate.
Che montagna è mai?
Q
Anticima NO
(3920)
Piccolo Roseg
(3896)
arinelli
Canalone M
uesta visione è un importante indizio
dei 4000 che si nascondono alle
spalle delle cime di Musella. Raggiunta la
bocchetta e scesi al laghetto delle Forbici,
il mistero si svela; specchiato nelle acque
è il gruppo del Bernina con la sua vetta
più bella: il pizzo Roseg, una piramide
di roccia divisa in due da un canalone
verticale di neve1. A sinistra del solco c'è la
vetta principale, a destra il Piccolo Roseg.
Capiamo così che la lama di roccia vista
dalla valle di Musella non è altro che la
grandiosa cresta SO della montagna.
Silvio Saglio nella Guida ai Monti
d'Italia afferma:
perfezionare la bellezza del
pizzo Roseg, che ha la più
bella parete ghiacciata (NE), il più
appariscente canalone (S), il più vasto
spiovente roccioso (O) del gruppo del
Bernina, non poteva mancare la più
ardita e pronunciata cresta (SO)."
Pizzo Roseg
(3936)
"A
Porta Roseg
(3522)
I
l pizzo Roseg è l'ultima elevazione
occidentale della triade del Bernina,
ma rispetto ai maggiori Scerscen e
Bernina si trova in posizione piuttosto
isolata, poiché è separato da questi dalla
profonda breccia della Porta Roseg. Non
avendo rivali né a ovest, né a nord, nè a
sud, il paesaggio dalla cima è vastissimo
su tutti i fronti.
l toponimo Roseg probabilmente
deriva dal longobardo "hrosa",
termine utilizzato per indicare i grandi
ripiani di ghiaccio visibili da lontano,
ed è così che appare la montagna dal
versante svizzero.
ra le numerose vie aperte sulla
montagna segnaliamo il primo
percorrimento integrale della cresta
SO (30 luglio 1909 - G. e C. Steward,
Summermatter e Simond), la traversata
Roseg-Scerscen-Bernina compiuta
da Campell e Frehimann nel 1928
e ripetuta in invernale da Franco ed
Ermanno Gugiatti, la discesa con gli
sci del Canalone Marinelli di Mario
Vannuccini (1994).
Bivacco
Parravicini
(3183)
L
a bellezza della montagna, il
paesaggio superbo, la scalata
varia e divertente sono le ragioni che
dovrebbero spingere ogni alpinista sul
Roseg.
Quella che vi proporremo è la salita
dalla via normale, la più semplice per
la vetta, ma che non va comunque
sottovalutata. L'itinerario può essere
convenientemente spezzato in due giorni
pernottando al rifugio Carate oppure al
rifugio Marinelli.
D
opo che 3 cordate fallirono tra il
1863 e il 1864, la cima fu raggiunta
per la prima volta il 28 luglio 1865 da
Moore, Walter e Jacob Anderegg per un
itinerario differente dalla attuale normale
e che affronta le rocce della parete
occidentale dell'anticima NO.
1 -Il canalone è chiamato Canalone Marinelli,
in onore di Damiano Marinelli che nel 1881 lo salì assieme a
Hans Grass e Battista Pedranzini. Nemmeno un mese dopo
Il versante S del pizzo Roseg e il ghiacciaio dello Scerscen Superiore
gli stessi Marinelli e Pedranzini vennero travolti da una
(16 luglio 2006, foto Roberto Moiola - www.clickalps.com).
valanga sulla parete orientale del monte Rosa.
Le Montagne Divertenti I
T
I
56
al versante svizzero il Roseg è
un colosso di ghiaccio che ha
fatto sognare intere generazioni di
alpinisti. In particolare sulla parete
NE, che con pendenze sostenutissime
tra possenti rigonfiamenti di ghiaccio
che si appoggiano e sporgono da scoperte
bancate di roccia, è una delle più difficili
e alte (oltre 600 m) delle Alpi e la più
impegnativa del gruppo del Bernina,
si ingaggiarono i migliori specialisti.
Che Normann-Neruda con Christian
Klucker abbiano avuto ragione della
parete nel lontano 16 giugno 1890 è
un dato sorprendente, ancor più lo è il
tempo di salita: sole 5 ore e mezza! Ci
vollero ben 34 anni perchè qualcuno la
ripetesse: lo fecero il 16 giugno 1924 R.
von Tscharner (perito pochi giorni dopo
sulla Finsteraarhorn) e S. Schönenberger,
impiegandoci ben 10 ore dalla base a
causa del ghiaccio vivo.
l tentativo della terza ripetizione
vide precipitare (18 luglio 1926),
probabilmente dalla zona dei grandi
rigonfiamenti di ghiaccio, il fortissimo
Angelo Taveggia. Anni dopo vennero le
difficili vie di Kurt Diemberger e Karl
Schönthaler (luglio del 1958), e la prima
discesa lungo la parete, compiuta da
Rudolf Honegger il 4 settembre 1940.
Estate 2011
Le Montagne Divertenti Pizzo Roseg (m 3936)
57
Alpinismo
Valmalenco
Q
uesta al Roseg è una gita
impegnativa, non solo per i
2600 metri di dislivello positivo che
si affrontano, ma anche per il lungo
sviluppo e la presenza di tratti tecnici su vari terreni: neve, roccia e
ghiaccio.
Consiglio perciò di spezzarla in
due giorni pernottando o al rifugio
Carate o alla Marinelli, tatticamente
equivalenti al fine dell'ascensione, e
di avvalersi di una Guida Alpina.
5 maggio 2010
S
Bellezza
Fatica
Pericolosità
58
Partenza: Campo Moro (m 2000).
Itinerario
automobilistico:
da Sondrio
prendere la SP15 della Valmalenco in direzione Lanzada.
Alla rotonda in località Vassallini scegliere la prima a dx,
attraversare Lanzada (15 km) e seguire le indicazioni per
Franscia (5 km), da cui altri 5 km di tortuosa strada
asfaltata guidano fino a Campo Moro. Si può lasciare
l'auto nel parcheggio sottostante al Bar Poschiavina e al
rifugio Zoia.
Itinerario sintetico: Campo Moro (m 2000) base della diga (m 1933) - rifugio Carate (m 2636) bocchetta delle Forbici (m 2660) - vallone dello Scerscen
(m 2450) [oppure rifugio Marinelli (m 2813) - passo
Marinelli occidentale (m 3086)] - bivacco Parravicini (m
3183) - passo Sella (m 3269) - base canalone (m 3200
ca.) - spalla di quota m 3598 - anticima N (m 3920) pizzo Roseg (m 3936).
Le Montagne Divertenti Tempo previsto: 10 ore per la salita.
Attrezzatura richiesta: corda, casco, imbraco,
piccozza, ramponi,
moschettoni, cordini.
2-3
Difficoltà/dislivello
chiodi
in
complessivamente oltre 2600 m.
da
ghiaccio,
salita: 5 su 6 /
Dettagli: AD. Ascensione che richiede buona
pratica d'alta montagna. Passaggi su ghiacciai
crepacciati, canali ripidi, pendii ghiacciati e rocce
esposte (III max).
Mappe consigliate:
Carta Escursionistica Valmalenco, 1:30000;
Kompass n. 93, Bernina, 1:50000;
CTS n.1277, Piz Bernina, 1:25000.
Numeri utili: rifugio Carate (0342 452560), rifugio
Marinelli (0342 511577)
Estate 2011
ono le 5 di mattina e una timida
luce inizia a scioglier la notte di
Campo Moro (m 2000). Scendiamo
la strada che ci porta sul coronamento
della diga e lo attraversiamo al chiaro
dei lampioni, quindi alcuni tornanti
ci abbassano nello spiazzo alla base
della diga (m 1933).
L'aria pungente e la nausa per le
poche ore di sonno miste ad una
forte influenza mi accompagnano sul
ripido sentiero per i rifugi Carate e
Marinelli. E' un attimo e il lago è già
più basso di noi, mentre il pizzo Scalino s'affaccia maestoso sulla valle di
Campagneda. Dopo mezz'ora siamo
al poggio di quota 2140 e, mentre
giriamo l'angolo per entrare nella
valle di Musella, facciamo un inchino
al Disgrazia che ruggisce incendiato
dall'alba, proprio dietro il Sasso Alto
e le piste del Palù.
Quante volte ho fatto questo
sentiero e anche questo lungo traverso pianeggiante che porta ai Sette
Sospiri, le sette faticose collinette
per la Carate. Questi dossoni non
sono altro che i lobi sovrapposti di
un enorme rock glacier esaurito. Mi
gela il naso e, tra un colpo di tosse e
l'altro, alzo gli occhi verso le cime di
Musella quando appare la spaventosa
cresta SO del Roseg, lassù dietro la
bocchetta delle Forbici. Pochi minuti
e tutto svanisce nascosto dai Sospiri.
La neve comincia solo vicino alla
Carate; rispetto all'anno passato ce n'è
davvero una miseria. Scolliniamo alla
bocchetta delle Forbici (m 2660,
ore 2:15) e siamo sul fianco orientale
del vallone dello Scerscen.
Il Roseg è là in fondo alla valle,
possente e affascinante. La neve dura
ci aiuta a intercettare velocemente il
Le Montagne Divertenti Il Disgrazia e Campolungo dalla valle di Musella (11 settembre 2010, foto Beno).
La cresta NO del Roseg s'erge maestosa sopra il rifugio Carate (11 settembre 2010, foto Beno).
Il gruppo del Bernina specchiato nel laghetto delle Forbici (16 luglio 2006, foto Roberto Moiola).
Pizzo Roseg (m 3936)
59
Alpinismo
Valmalenco
Pizzo
Argento
Pizzo
Roseg
Monte
Scerscen
Pizzo
Bernina
Cresta
Guzza
Rifugio
Marinelli
Il gruppo del Bernina dal monumento agli Alpini. In rosso la via al Parravicini dal vallone dello
Scerscen, in giallo quella dalla Marinelli per il Passo Marinelli Occidentale (14 giugno 2009, foto Beno).
vallone di Caspoggio, compreso tra
le bastionate del rifugio Marinelli e le
cime di Musella.
ra si presentano 2 possibilità:
passare al rifugio Marinelli
(m 2813)1, o forzare una scorciatoia
che porta direttamente al bivacco
Parravicini. Optiamo per la brevità2
e traversiamo il vallone di Caspoggio scendendo (NNO) fino alla base
occidentale (m 2450 ca., ore 0:40)
dei contrafforti rocciosi cu cui sorge
la Marinelli3. Entrati nel vallone
dello Scerscen, per pietraie e morene
risaliamo a sx (NO) fino alla dorsale
rocciosa che divide le due colate principali del ghiacciaio dello Scerscen
Superiore. La parte bassa della dorsale
è solcata verticalmente da un ripido
canale nevoso. Ci inerpichiamo e,
dopo alcune brevi roccette (II) sbuchiamo sullo Scerscen Superiore. Alla
nostra sx (O) la seraccata della lingua
principale del ghiacciaio percipita a
valle.
O
Il rifugio Marinelli e il morente ghiacciaio di Caspoggio (16 luglio 2006, foto Roberto Moiola).
Il bivacco Parravicini sul ghiacciaio dello Scerscen Superiore (5 maggio 2011, foto Beno).
60
Le Montagne Divertenti 1 - Per arrivare al rifugio Marinelli dal vallone di
Caspoggio ci vogliono circa 30 minuti. Dal rifugio
si prende poi il per sentiero segnalato (NE) che per
pietraie e liste nevose arriva al passo Marinelli
Occidentale (m 3086). Quindi si mettono i
ramponi e si procede in cordata con un ampio arco
da dx a sx sul ghiacciaio dello Scerscen Superiore
fino a raggiungere il bivacco Parravicini (m 3183,
ore 2:30 dal rifugio Marinelli).
2 - Variante non segnalata consigliata solo ai più
esperti.
3 - Il rifugio è stato costruito nel 1880 dalla
Sezione Valtellinese del CAI ed è il più grande della
provincia di Sondrio. Inizialmente chiamato rifugio
Scerscen, venne intitolato nel 1882 all'alpinista
fiorentino Damiano Marinelli caduto sul monte
Rosa. In seguito venne consacrato anche a Luigi
Bombardieri, figura di spicco dell'alpinismo
Valtellinese, precipitato nel vallone di Caspoggio
durante il tentativo di raggiungere la Marinelli con
l'elicottero (28 aprile 1957).
Estate 2011
I
nsistiamo verso N e ci leghiamo
in cordata perchè iniziano a
vedersi le bocche dei crepacci golosi.
Chissà come sono affamati dopo il
risveglio dal letargo invernale! Sul
manto bianco, oltre alle nostre, ci
sono le impronte di una lepre. "Ma
cosa mangerà?" ci domandiamo.
Quando le pendenze scemano,
viriamo a sx (O) e traversiamo al
cospetto della parete S del Roseg in
direzione del bivacco Parravicini4
(m 3183, ore 2). Il bivacco è uno
scatolotto panna e rosso aroccato su
un pulpito che domina la vedretta
di Scerscen Superiore da un lato e la
colata glaciale che scende dal pizzo
Sella e precipita nel vallone dello Scerscen dall'altro. Il paesaggio è delizioso
e dormire un'oretta sul piccolo piazzale ci ricarica le batterie. Al risveglio
vediamo un ermellino marrone che
corre giù per il canale del Sella. "Cosa
ci fa qui? Cosa mangierà in mezzo al
ghiacciaio?" chiede Andrea.
"La lepre!" rispondo io.
"Ma dai, l'ermellino è grande la
metà della lepre."
"Sì, ma l'è pìscen e catìf! " aggiungo
ridendo mentre ci affrettiamo a rifare
gli zaini e mettere gli occhiali da sole
prima di prendere l'oftalmia.
cendendo verso N la cresta su
cui sorge il bivacco, arriviamo
in breve a un piccolo intaglio, quindi,
attraversiamo la conca nevosa (sx,
Roseg, Scerscen e Bernina dal ghiacciaio dello Scerscen Superiore (5 maggio 2011, foto Beno).
Pizzo Sella
(3511)
Passo Sella
(3269)
Il pizzo Sella e il tracciato per il passo Sella dal bivacco Parravicini (2 settembre 2006, foto Beno).
S
4 - Fu inaugurato il 2 agosto 1936 per ricordare
Agostino Parravicini, morto nel tentativo
d'ascendere la cima di Zocca per il versante S. Il
bivacco è molto spartano e al suo interno ha 6
cuccette.
Le Montagne Divertenti Il canalino che porta al ghiacciaietto sospeso a O della spalla del Roseg (4 aprile 2011, foto Beno).
Pizzo Roseg (m 3936)
61
Alpinismo
Valmalenco
3
4
2
1
La normale di salita al Roseg vista dai pizzi Gemelli (4 aprile 2011, foto Beno). 1- il ghiacciaietto
sospeso; 2- spalla di quota 3598; 3- anticima N; 4- pizzo Roseg (m 3936).
Gemelli, La Sella e Gluschaint dal ghiacciaietto sospeso del Roseg (5 maggio 2011, foto Beno).
La vetta del Roseg dalla sua anticima N (5 maggio 2011, foto Beno).
62
Le Montagne Divertenti NO) che culmina al passo Sella (m
3269, ore 0:20).
Siamo sul confine tra Italia e Svizzera, alla base della cresta SO del
Roseg, sullo spartiacque tra Scerscen
Inferiore e Vadret da Sella.
Ci abbassiamo a NO sul Vadret
da Sella. A dx è la rossa parete SO
del Roseg. Perdiamo circa 70 metri e
siamo alla base di un canalino nevoso
che s'alza in direzione N e ci porta a
una specie di ghiacciaietto sospeso. Lo
percorriamo in leggera salita fino alle
rocce che limitano il ghiacciaio a N.
Proprio a ridosso di questi contrafforti
si incunea un ripido canale (dx, E) che
ci consente di rimontare la spalla NO
del Roseg (m 3598, ore 1:30).
Su per il pendio notiamo dei segni
di ramponi. Dev'essere una persona
sola. Constatiamo l'assenza di segni di
piccozza o di racchette e alcuni zig zag
alla ricerca dei punti più ghiacciati,
facendo ipotesi bizzarre su chi sia
l'equilibrista, ammiriamo l'immenso
paesaggio che s'è aperto, sia a O sul
Vadret da Roseg, con le cime dei
Gemelli, della Sella e del Glüschaint,
sia a E coi ghiacciai e le pareti dei versanti occidentali di Roseg, Scerscen e
Benina.
La mia influenza deve essersi evoluta in TBC e scandisco ogni passo
con almeno due colpi di tosse. Mi
pare di avere la gola foderata di lana
vetrata.
Sopra di noi luccica il cono ghiacciato dell'anticima N del Roseg.
Insistiamo sull'ampia dorsale nevosa
(S) e, superato un crepaccio, ci porEstate 2011
tiamo sulla selletta a E di un grande
sperone roccioso della cresta occidentale. A questo punto la via è ovvia: si
piega a sx (SE) e risalendo la sempre
più ripida china nevosa siamo sull'anticima N (m 3920, ore 1).
Qui l'alpinista misterioso si svela coi
suoi sci. E' un nostro amico caspöcc'
che ha preso una settimana di ferie e
sta sciando per i fatti suoi su tutte le
cime del gruppo. Gli chiedo perché la
sua traccia zigzagasse e lui mi risponde
che era stanco e voleva prender fiato.
Ci dice che ci ha già battuto traccia
per la vetta e ci saluta. Lo ringraziamo, ma non osiamo chiedergli perché non abbia mai usato la piccozza.
Lo guardo far serpentine sulla neve
crostosa quando, all'improvviso, un
attacco gli si smezza. Lui con l'agilità
d'un gatto rimane in piedi, ma lo sci
vola e si pianta sull'orlo del baratro.
Che colpo di ...! Il ragazzo allora, per
nulla turbato, recopera lo sci rotto,
mette le assi nello zaino e se ne va
correndo giù per i pendii crepacciati
e ghiacciati.
Capiamo che per lui la piccozza
non è necessaria, su questi declivi è
spensierato come fosse su un prato!
all'anticima la vetta appare lontana a E, separata da due selle
nevose che portano a una lama di rocce
sospesa tra immani precipizi. Molti
perciò arrestano qui la propria scalata.
Iniziamo la discesa alla prima sella,
da cui saliamo a una successiva gobba
di cui evitiamo la sommità tagliando
per la sua faccia sx. Il ghiaccio crea
molta apprensione: se si cade si pre-
D
Le Montagne Divertenti Dalla vetta del Roseg si ammira l'intero gruppo del Bernina e in particolare il vertiginoso versante
occidentale del monte Scerscen col suo "naso di ghiaccio" (5 maggio 2011, foto Beno).
Il pizzo Roseg da N (ben visibile l'anticima N) e Vadret da Tschierva (foto Luciano Bruseghini).
cipita per centinaia di metri! Ma per
evitare il ghiaccio bisogna avvicinarsi
troppo alla cresta e ci sono delle cornici instabili. Dei boati di cui non
capiamo la provenienza aumentano il
nostro disagio.
Raggiunto il successivo intaglio
arrampichiamo sullo stretto filo di
rocce rotte e neve, quel filo su cui le
vecchie guide raccomandavan prudenza per non esser soffiati via dal
vento. Circa a metà scalata c'è il passo
più difficile (III). La cresta infine
spiana e ci guida fino al pizzo Roseg
(m 3936, ore 0:40). Una stretta di
mano. Sono le 14:30.
Le sensazioni in vetta sono uniche: pare di essere sospesi in aria, è
magnifico! Facciam foto, ma credo
non ci sia altro modo di descrivere a
qualcuno questi posti che invitarlo ad
andarci con le proprie gambe.
Ad aumentare il senso di vertigine
poi ci pensa la coltre ghiacciata che
ricopre il monte Scerscen e che sembra poter precipitare da un momento
all'altro nel baratro del versante N.
a discesa si rivela anch'essa
lunga. Il sole ha scaldato la neve
e i ponti sui crepacci non tengon più,
così finisco dentro a un paio di buchi.
Devo ammettere che la corda torna
utile qualche volta!
opo aver nuovamente dormito
nel piazzale del bivacco Parravicini, col sole già basso sull'orizzonte
ci decidiamo a divallare e alle 21
siamo di ritorno a Campo Moro.
L
D
Pizzo Roseg (m 3936)
63
Ghiacciai
Valmalenco
Davide Gotti
Riccardo Scotti
G
randi ghiacciai sotto superbe
pareti di roccia e piccoli
laghetti pro glaciali sono la caratteristica dei ghiacciai alpini da qualche
decennio a questa parte. Li si vede dal
balcone del rifugio Marinelli guardandosi intorno a 360° intanto che ci si
riposa dalla lunga salita.
L'area che gravita attorno al rifugio Marinelli, oltre che ad avere un
grande interesse alpinistico, è anche
molto importante per chi studia la
dinamica glaciale sia passata che presente. I due evidenti gradoni su cui
poggiano i ghiacciai dello Scerscen
Superiore e Inferiore sono dati dalla
sovrapposizione tettonica delle rocce
della falda del Bernina sulla falda del
Sella a sua volta sovrapposta sulle serpentiniti della Valmalenco.
1970 E. Baracchi
L' architettura del
paesaggio sviluppatasi
durante il sollevamento
delle Alpi ha reso possibile
che nello spazio compreso
tra i due gradoni si
accumulassero enormi
quantità di neve diventata
poi ghiaccio.
22000 anni fa durante l’ultima
massima espansione glaciale, identificata dagli studiosi con l'acronimo
LGM (Last Glacial Maximum), tutta
l’area che circonda il rifugio Marinelli
costituiva per la gran parte il circo del
ghiacciaio di Scerscen. La superficie
del ghiacciaio nella zona più alta raggiungeva una quota di circa m 3240.
Ciò è riscontrabile dal curioso
masso erratico poggiato sopra il pinnacolo di roccia che si erge dalla
vedretta dello Scerscen Superiore e
ben visibile procedendo verso il passo
Sella: la presenza di questi massi in
bilico su creste e crinali, quando si
è certi che non derivino da frane,
testimoniano che il ghiacciaio ha raggiunto quella determinata posizione
depositando i detriti trasportati sulla
sua superficie.
Il ghiacciaio, una volta valicata la
dorsale del bivacco Parravicini, si
abbassava rapidamente a m 26602640, all’incirca presso lo spartiacque
destro della valle dello Scerscen Infe-
64
Le Montagne Divertenti Estate 2011
Le Montagne Divertenti Ghiacciaio di Scerscen: “Ricopre quasi completamente di un bianco mantello l’inclinato
pianoro che dai Pizzi Tremoggia, Malenco, Entova, scende ad est verso il vallone di Scerscen
giungendo colle sue prime radici a rivestire i pendii nordorientali delle suddette cime”. Così si
esprimeva il grande Giuseppe Nangeroni nel lontano 1928 nel descrivere quello che allora era,
assieme al contermine Scerscen Superiore, uno dei più grandi ghiacciai italiani, la cui superficie
complessiva ammontava a ben 1510 ha.
Già a fine 800 il ghiacciaio si ritira di 800 m dalle morene frontali mentre nonostante le fasi
positive degli anni 10’-20’ del 900’ la fronte complessivamente perde 427 m da 1897 al 1928.
In seguito il continuo regresso di questo enorme ghiacciaio ha portato negli anni 40’ alla
suddivisione in Inferiore (foto pag. 64) e Superiore (foto pag. 65). Al 2007 la somma della
superficie dei due ghiacciai ammonta a 954 ha per una riduzione complessiva, dall’apice della
PEG, di quasi il 40%. Il ritiro lineare della fronte è impressionante ed ammonta a 3,8 km.
I ghiacciai dello Scerscen
65
Speciale
ghiacciai
Alpinismo
Valmalenco
Ghiacciaio
dello Scerscen
Inferiore
Ghiacciaio
dello Scerscen
Superiore
Ghiacciaio di
Fellaria Ovest
Ghiacciaio di
Fellaria Est
Ghiacciaio
Marinelli
Panoramica sui ghiacciai di Scerscen e di Fellaria dalla punta Marinelli (luglio 2004, foto Riccardo Scotti).
Il forte ritiro
del ghiacciaio di
Caspoggio negli
ultimi 12 anni
è documentato
da queste due
immagini tratte
dall' archivio
del Servizio
Glaciologico
Lombardo (9
settembre 1997,
foto L. Arzuffi /
24 settembre 2009,
foto S. Alberti).
Ghiacciaio di
Caspoggio:
Durante la PEG il
ghiacciaio confluiva
nel grande
ghiacciaio vallivo
di Scerscen, allora
unitario. In seguito,
fatta eccezione
per alcuni
brevi periodi, è
stato oggetto di
una continua,
accentuata, fase
di regresso,
tutt'ora in atto.
Nel 1897, nel corso
della sua prima
esplorazione,
Marson rileva
che il ghiacciaio
si addossava
ancora alla
lingua orientale
del ghiacciaio
di Scerscen. I
primi segnali di
misura vengono
però collocati
da Corti solo nel
1926 quando il
ghiacciaio si era
già notevolmente
allontanato dallo
Scerscen. Nel 1958 la sua superficie viene stimata in 80 ha. Il regresso successivo l’ha portato ai
52,5 ha del 1990 con la fronte che terminava a 2620 metri costringendo a spostare più in basso
il sentiero per il rifugio Marinelli, essendo divenuto il passaggio sul ghiacciaio troppo ripido e
pericoloso. Il regresso è poi continuato senza sosta fino ai giorni nostri quando la superficie si è
ridotta fino ai 33,3 ha del 2007 con un ritiro lineare superiore al chilometro.
66
Le Montagne Divertenti riore. In seguito, dopo aver preso la
colata glaciale della valle di Musella,
confluiva nel ghiacciaio della valle
della Lanterna, il quale, dove ora
sorge Chiesa in Valmalenco, si univa
alla lingua glaciale proveniente dal
ghiacciaio del Ventina e formava il
ghiacciaio Valmalenco che a sua volta
confluiva nel ghiacciaio della Valtellina a una quota di circa m 1950.
A questo periodo risalgono le rocce
montonate e striate che si trovano
salendo al passo Marinelli e presso la
fronte degli altri ghiacciai della zona.
Queste rocce arrotondate sono il prodotto dell’asportazione delle porzioni
più superficiali della roccia da parte
dei ghiacciai e striate dai sassi imprigionati alla base della massa di ghiaccio che si muoveva verso valle.
15500 anni fa (stadio di Daun) il
ghiacciaio di Scerscen si spingeva fino
alla piana di Musella, dove è tutt'ora
visibile la morena.
Nella prima espansione della
PEG1 (1550) tutti i ghiacciai della
zona erano uniti in un unico ghiacciaio la cui fronte arrivava quasi alla
seconda piana alluvionale che si
incontra salendo la valle di Scerscen
da Franscia. Aree emerse dal ghiaccio erano costituite dalle pareti tra
il ghiacciaio di Scerscen Inferiore e
il ghiacciaio di Scerscen Superiore e
dalla cresta del rifugio Marinelli. A
est di tale cresta alcune lingue pro1 - Piccola Età Glaciale (1550-1860).
Estate 2011
venienti dallo Scerscen Superiore
andavano a occupare parzialmente
delle depressioni. Resti delle morene
che testimoniano questa avanzata si
possono trovare poco sotto il lago Scarolda e lungo le trincee formatesi per
rilascio gravitativo poste più in basso
sul versante ovest del monte delle Forbici. In questo periodo il solo ghiacciaio di Scerscen-Caspoggio copriva
una superficie pari a circa 18 km2.
Nel 1860, l'ultimo picco di espansione della PEG2, i ghiacciai dello
Scerscen Superiore e Inferiore erano
uniti in unico ghiacciaio vallivo (il
grande ghiacciaio dello Scerscen) che
colmava l'intero vallone dello Scerscen, come testimoniano le foto di
Guler (1890).
Il grande ghiacciaio dello
Scerscen costituiva un unico
apparato con quello di
Fellaria ed era il più esteso
della Lombardia.
D
a allora è proseguito un
veloce regresso che ha fatto
smembrare il grande ghiacciaio dello
Scerscen in molti individui e ha fatto
depositare edifici morenici nelle zone
proglaciali.3 Il ritiro dei ghiacciai nel
XX secolo è stato interrotto solo da
modeste avanzate durante gli anni ‘20
e all’inizio degli anni ’80.
La deglaciazione ha creato laghi pro
glaciali (posti davanti al ghiacciaio),
erosione da parte dei torrenti glaciali
delle forme precedenti e la creazione
di piane alluvionali caratterizzate da
terrazzi di detrito fluviale e da alvei
torrentizi abbandonati chiamati sandur.
Negli ultimi 20 anni il regresso si
è fatto ancor più violento tanto che
l’intero settore del Bernina ha perso
alcuni ghiacciai minori (come i piccoli apparati nati dal ritiro del Fellaria
Occidentale e del Sasso Moro, o il glacionevato della Bocchetta di Caspoggio) e ha visto una drastica riduzione
anche dei principali con una evidente
perdita di spessore anche alle alte
quote4.
Complessivamente dal 1991
al 2007 la perdita di superficie
è stata del 18% il che equivale
a 4,2 km2 di ghiaccio perso.
3 - L’evoluzione dei ghiacciai durante il secolo
scorso è molto ben documentata dalle fotografie
storiche presenti sul sito del Servizio Glaciologico
Lombardo (www.servizioglaciologicolombardo.it).
4 - Le temperature sono cresciute anche in quota:
basti pensare che fino a vent'anni fa non si erano
mai registrate piogge al rifugio Marco e Rosa,
mentre ora sono frequenti nel periodo estivo.
La separazione fra i due Scerscen
è avvenuta negli anni 40’ del secolo
scorso mentre la separazione tra lo
Scerscen Superiore ed il Fellaria è
avvenuta solo nell’ultimo ventennio.
Agli anni '40 risalgono le imponenti
morene laterali, alte oltre 60 metri,
visibili nel vallone dello Scerscen dalla
Marinelli.
2 - Durante la PEG si sono registrate due massime
avanzate dei ghiacciai: una nel 1600 e l’altra nel
1860.
Le Montagne Divertenti I ghiacciai dello Scerscen
67
Alpinismo
Pizzo Tambò (m 3278)
primo in valchiavenna
Beno
68
Le Montagne Divertenti La piramide sommitale del Tambò e il ghiacciaio del Tambò visti alla calotta
nevosa di quota 3065 (24 agosto 2008, foto Roberto Moiola - www.clickalps.com).
Estate 2011
Le Montagne Divertenti Pizzo Tambò (m 3278)
69
a,
Alpinismo
Lattenhorn
(2858)
Pizzo Tamborello
(2669)
N
Il pizzo Tambò dal lago di Montespluga (19 ottobre 2010, foto Cesare Contin).
Partenza: passo dello Spluga (m 2115).
Itinerario automobilistico: da Colico si
Bellezza
segue la SS 36 dello Spluga fino al passo dello
Spluga. Si può lasciare l'auto nel parcheggio che
precede la dogana (74 km).
Fatica
Pericolosità
i
a pied
ied
i
in Italia
ap
1
kking
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a pied
GA
Difficoltà/dislivello: 3- su 6 / circa 1200 m.
Dettagli: EE/ alpinistica f-. La salita, a stagione
sintetico:
passo dello Spluga
(m 2115) - pizzo Tamborello (m 2669) - Lattenhorn
(m 2858) - anticima del pizzo Tambò (m 3096) - Pizzo
Tambò (m 3278).
inoltrata, è senza difficoltà alpinistiche ma
nell'ultimo tratto presenta rocce un erte e instabili.
In caso di neve residua e dura la salita in vetta
richiede l'uso dei ramponi.
Tempo di salita previsto: 3 ore e mezzo.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Mappe: Kompass foglio n.92, Valchiavenna e Val
Bregaglia, 1:50000.
RDIA
A
B
M
LO
in
Abbigliamento per l'alta montagna Gli scarponi
devono essere adatti a camminare sulla neve. Una
piccozza può tornare utile nei tratti su nevaio.
Itinerario
Vol. 1
e
2
Il pizzo Tambò
(m 3278) ha inconfondibile
forma piramidale e
s'innalza all'estremità
nord occidentale della
Valchiavenna, proprio
sul confine italo-svizzero.
Segna l'inizio delle Alpi
Leopontine, il cui gruppo
prosegue verso ponente
fino al passo del Sempione.
È la più alta cima della
Valchiavenna e anche
l'unica a superare i m 3200.
E' la prima vetta di rilievo
salita (alpinisticamente)
nella nostra provincia
(1828), e forse una delle
più semplici che superano i
3000 delle alpi.
Pizzo Tambò
(3278)
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Valchiavenna
A piedi in Lombardia vol. 1
Una guida ai sentieri più belli delle Alpi e Prealpi lombarde
74 passeggiate, escursioni e trekking alla scoperta della natura
E' in libreria la terza edizione, completamente rinnovata, della guida “A piedi in Lombardia” (Iter Edizioni, 264 pagine, € 14), curata da un team di autori – escursionisti,
alpinisti, giornalisti e accompagnatori di media montagna – esperti frequentatori delle
montagne lombarde, coordinati da Beno e Giorgio Orsucci de Le Montagne Divertenti.
Dalle nevi perenni del pizzo Bernina ai laghi di Como e della Brianza, dal pizzo
Coca al lago Maggiore, con passeggiate classiche e frequentate, ma anche con una moltitudine di itinerari insoliti e sorprendenti che per la prima volta han voce in una
guida.
E così, scarpinando dai vigneti alle immani torri di granito della ValMàsino, dalle
riviere fiorite fino alle guglie di calcare del lecchese, escursionisti ed amanti della
natura - di ogni gamba e preparazione - troveranno in questo volume una ineguagliabile fonte di ispirazione per il proprio tempo libero.
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/10 15
09/07
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E 14,0
Questo libro contiene 74 itinerari fra cui il pizzo Tambò. Lo puoi ordinare dal sito www.lemontagnedivertenti.com
70
Le Montagne Divertenti Estate 2011
onostante ciò, risiede in una
delle più litigate porzioni
cartografiche del bacino idrografico
dell'Adda: quote, nomi e localizzazioni
sono tutt'altro che univoche. Pensiamo alla quota dello stesso Tambò:
la Kompass riporta m 3274, la CTS m
3278, l'Istituto Geografico de Agostini
m 3279, l'IGM m 3275, la Guida dei
Monti d'Italia lo quota m 3276. Quale
è perciò il valore giusto? Ipotizzando
valido l'ultimo aggiornamento della
CTR che indica la cima a m 3278.4
possiamo scegliere la quota m 3278
per questo articolo.
Altro chiarimento, prima di parlarvi
della salita, merita la toponomastica
della cresta che sale dal passo dello
Spluga, su cui indichiamo - in contrasto con molti testi - la quota 2667
come pizzo Tamborello e la quota
2861 come Lattenhorn. Entrambe
sono elevazioni prive di significato
orografico, ma utili nella descrizione
del tracciato.
Pur avendo scarso ingaggio alpinistico e, dopo il ritiro dei ghiacciai, una normale di salita piuttosto
monotona per tipologia di terreni, il
pizzo Tambò offre ai suoi avventori
dei paesaggi incredibili, vastissimi ed
entusiasmanti. Questa sarà la ragione
per scalarlo.
Non sottovalutiamo comunque il
gigante della Valchiavenna: data la
sua collocazione geografica è soggetto
a repentini cali della temperatura o a
sviluppare dei microclimi locali davLe Montagne Divertenti vero imprevedibili. Vi dico solamente
che quando l'ho salito per la prima
volta nel luglio 2005 a Chiavenna
c'erano ben più di 30°C mentre in
vetta al Tambò si stava scatenando
una bufera di neve e la croce di vetta
era rivestita da 30 cm di ghiaccio!
Siate perciò accorti nel
preparare lo zaino e,
accanto al bikini, mettete
sempre giacca, guanti e
pantaloni lunghi.
I ghiacciai sia sul versante SE che
NE e NO della montagna sono stati
flagellati dal riscaldamento globale
del XX secolo. Per ciò che riguarda gli
italiani, il ghiacciaio di Tambò inferiore, descritto dal Pignanelli (1931)
come apparato indipendente giacente
nella conca dei laghetti del Tamburello, proprio a S del Lattenhorn, fu
dichiarato estinto già negli anni '40.
Il ghiacciaio di Tambò è solo l'ombra
della lente glaciale che un tempo ricopriva il versante SE della montagna.
Nonostante ciò si attraversano pendii innevati su cui è meglio indossare
scarponi adatti.
Visti dal Fil Marsc, il pizzo Tambò e il ghiacciaio del Tambò svettano sopra la cresta del Cardine
(29 agosto 2010, foto Egidio Guanella).
Pizzo Tambò (m 3278)
71
Alpinismo
Valchiavenna
I primi dossi della lunga spalla E del pizzo Tambò. Sullo sfondo il gruppo del Teurihorn (24 agosto 2008, foto Roberto Moiola).
L
a salita al pizzo Tambò ha inizio dalla dogana al passo dello
Spluga (m 2115). Da dietro all'edificio prendiamo il sentiero segnalato
che s'alza lungo i prati (O). In realtà
dire "il sentiero" è un eufemismo: ci
sono numerosissime vie marcate da
ometti di pietra e tutte portano verso
la cima senza particolare impegno.
Noi vi consiglieremo comunque un
tracciato per la salita e uno per la
discesa per offrire maggiore varietà
paesaggistica.
La via di salita si svolge più o meno
lungo la linea di confine, superando
una serie di dosselli e appoggiandosi
in seguito al versante valchiavennasco.
Raggiunta la modesta elevazione
del pizzo Tamborello (m 2669), insistiamo sullo spartiacque fino al Lattenhorn, segnalato da grossi gendarmi
(m 2858). Interessante uno sguardo
verso il suo scosceso versante NO con
alcune belle lenti glaciali. Il Lattenhorn è una delle mete più amate dagli
scialpinisti svizzeri.
I laghetti di Tamburello e il lago di Montespluga. Dritto sopra l'escursionista il gruppo del Suretta (24 agosto 2008, foto Roberto Moiola).
Diretti verso OSO, disarrampicando su facili roccette (I/II), scendiamo nella depressione de La Sella
(m 2810).
E' giunto il momento di abbandonare lo spartiacque e portarci a
sx nella vallecola che ci guida pochi
metri sotto cresta (rottami/ liste di
neve) fino alla calotta nevosa quotata
3065 su CTR (ore 2:45).
Scesi qualche metro (NO) in una
depressione, traversiamo la parte
sommitale del ghiacciaio del Tambò
e raggiungiamo la base della piramide
di vetta: un ammasso di scisti friabili.
Dopo un primo tratto su rottami,
il tracciato si porta sul versante S
del monte e si fa un po' aereo fino a
raggiungere la lama sommitale. Una
croce indica il punto culminante
(pizzo Tambò, m 3278, ore 0:45).
l panorama è spettacolare: si
distinguono a SO sia il monte
Rosa (m 4634) che il Cervino (m
4478) e, se le condizioni meteo son
buone, anche il gruppo del Gran
I
1
2
Paradiso (m 4061); sul lato opposto
della val Loga sono il pizzo Ferrè (m
3103) e il pizzo dei Piani (m 3148)
con i loro ghiacciai, mentre verso
E il gruppo del Suretta (m 3027) fa
da divisorio tra le verdeggianti valle
dello Spluga (dx) e la valle del Reno
(sx). A N è il gruppo del Teurihorn
(m 2973), mentre a S, oltre all'inconfondibili pizzo Quadro (m 3013) e
pizzo Stella (m 3163,) si può arrivare
a scorgere il lontano monte Legnone
(m 2609).
P
er la discesa consigliamo, una
volta scesi nella valletta a SE
della calotta nevosa di quota 3065,
di proseguire verso E e traversare
dall'alto la conca che ospita i bei
laghetti del Tamburello (in pratica si
aggira da S il Lattenhorn). Lasciato il
laghetto di quota m 2740 alla nostra
dx, puntiamo a ENE (gande) fino a
riprendere la via di salita appena a E
del pizzo Tamborello. In circa 2 ore
e 30 siamo di ritorno alla dogana al
passo dello Spluga.
3
L'impressionante estensione dei ghiacciai di Tambò, Zoccone, val Loga, Ferrè e pizzo dei Piani in una cartolina degli anni '20 (archivio Cittarini).
Dalla vetta del Tambò verso il (1) pizzo Ferrè (m 3103). Nella stessa direzione emergono il pizzo Quadro (m 3013) e il pizzo dei Piani (m 3148).
Si noti il consistente ritiro dei ghiacciai rispetto alla foto a fianco (24 agosto 2008, foto Roberto Moiola).
72
Le Montagne Divertenti Le Montagne Divertenti Estate 2011
Pizzo Tambò (m 3278)
73
Punta della Sfinge e pizzo Ligoncio
Beno
ai confini del Màsino
Avreste mai detto che una vetta del
Màsino è punto panoramico
sul lago di Como?
Questa vetta è il pizzo Ligoncio,
bellissima piramide di granito
all'estremità occidentale della val
Màsino, la cui cresta NNE termina su uno
spettacolare avancorpo noto per le sue
fattezze come la Sfinge.
Pizzo Ligoncio (m 3033), punta della Sfinge e val Ligoncio visti dal sentiero
per il rifugio Omio (7 ottobre 2010, foto Beno - www.clickalps.com).
74
Le Montagne Divertenti Estate 2011
Le Montagne Divertenti Sfinge e Ligoncio (m 3033)
75
Alpinismo
Passo della
Vedretta
Meridionale
Val Màsino
Pizzo Ligoncio
(3033)
Sella
Ligoncino
(2758)
Sfinge
(2805)
Pizzo dell'Oro
Centrale
(2707)
Pizzo dell'Oro
Meridionale
(2696)
Passo
Ligoncio
(2577)
Rifugio
Omio
(m 2128)
Bellezza
Alpe
dell'Oro
(1806)
Casere
Ligoncio
(1713)
Fatica
Pericolosità
Partenza: Bagni del Màsino (m 1163).
Itinerario automobilistico: da Morbegno
seguire la SS 38 verso Sondrio. Appena attraversato
il ponte sul Màsino, svoltare a sx all’altezza di
Ardenno (5 km a E di Morbegno) e seguire la SP9
della val Màsino fino al suo termine: i Bagni del
Màsino (2 km oltre l'abitato di S. Martino). Poco
prima dell'impianto termale vi è uno spiazzo sterrato
in cui si può lasciare l'auto.
Tempo per l'intero giro: 11 ore e mezzo.
Attrezzatura richiesta: corda, casco, imbraco,
Itinerario sintetico: Bagni del Màsino (m 1163)
- alpe dell’Oro (m 1806) - rifugio Omio (m 2128) ruderi di quota 2108 - sella Ligoncino (m 2770) punta della Sfinge (m 2800) - sella Ligoncino - pizzo
roccia (IV- max) di buona qualità. Ambiente
selvaggio e creste molto aeree. Occorre buon
intuito nello scegliere il tracciato migliore.
Mappa: Val Màsino, 1:30000
A
ll'estremità occidentale della
val Màsino, al confine con la
val Spassato (val Codera) e la valle
dei Ratti, s'alza il pizzo Ligoncio,
robusta vetta di granito, famosa
per essere punto panoramico di
prim'ordine. Il pizzo Ligoncio ha
la particolarità di cambiare aspetto
a seconda del punto da cui lo si
guarda. Se da E o da NE pare una
piramide, dalla val dei Ratti è invece
un misero dossone, per infine
riscattarsi dalla val Spassato, con
due enormi pareti, liscie e scure: in
val Codera il Ligoncio è infatti noto
come Lis d'Arnasca1.
a val Màsino poi, per non sfigurare con l'Egitto, accanto
alla piramide di granito ha posato
la punta della Sfinge, avancorpo
NNE del Ligoncio e con cui forma
Bagni del
Màsino
(1163)
L
A E dei Bagni del Màsino s'apre il grande anfiteatro coi pizzi dell'Oro, il Nodo del
Ligoncio, i pizzi della Vedretta, dei Ratti e le cime del Calvo.
La valle compresa tra il passo Ligoncio e la costiera del Medaccio prende il nome
di val Ligoncio, mentre la metà settentrionale dell'anfiteatro è nota come valle
dell'Oro (29
agosto 2010, foto
Roberto Ganassa).
76
Le Montagne
Divertenti
1 - Lis= liscio, mentre Arnasca era l'antico nome
della val Spassato, laterale della val Codera.
Estate 2011
Ligoncio per la cresta NNE - discesa per il versante E rifugio Omio - Bagni del Màsino.
Le Montagne Divertenti cordini, fettucce, un paio di rinvii (spit fix in via),
ramponi e piccozza se c’è neve residua.
Difficoltà/dislivello: 4+ su 6 / circa 2200 m.
Dettagli: Alpinistica PD. Scalata divertente su
il cossidetto Nodo del Ligoncio.
a salita a Sfinge e Ligoncio
dai Bagni del Màsino è divertente, ma richiede attenzione nei
tratti di arrampicata.
L
7 ottobre 2010
on si capiscono proprio
le intenzioni del meteo di
quest’autunno. Nevica, fa freddo,
piove, poi torna caldo. Questa prima
settimana di ottobre la neve è scappata in quota e l'estate sta dando un
colpo di coda.
Me ne torno così nel Màsino dove
i turisti son fuggiti e la valle è deserta.
Voglio salire Sfinge e Ligoncio, due
cime che non ho ancora visitato.
Parcheggio ai Bagni del Màsino (m
1163 - quota CTR) e parto di buon
passo per il rifugio Omio. Oltre lo
stabilimento termale, seguo le indicazioni per il rifugio. E' un sentiero
N
ripido, l'ultima temuta discesa del
trofeo Kima in cui i corridori s'involano verso il traguardo dopo aver già
corso per oltre 35 chilometri.
Cammino nel bosco fitto interrotto
solo da due radure a m 1419 e a m
1586 (pian di Fango); raggiungo, al
limitar degli alberi, lo spettacolare
stallone dell'alpe dell'Oro, un ricovero naturale posto sotto un masso
gigantesco (la baita è ricavata sotto
un masso appena a valle del sentiero).
Attraversata una pietraia esco sugli
ampi pascoli che salgono fino alla
Omio (m 2128, ore 2:15).
Son su in meno di un’ora, sudato
come un disperato. Forse meglio
calare l’andatura, se no poi chi riesce
ad arrampicare?
Il rifugio, che fa apertura estiva,
è chiuso. Alle sue spalle è il bivacco
Silvio Saglio, con 6 posti letto per le
emergenze.
Sfinge e Ligoncio (m 3033)
77
Val Màsino
Alpinismo
Attraverso il grande anfiteatro della
valle verso S seguendo la traccia che,
senza grossi dislivelli, mi porta ai
ruderi di quota 21082.
Proseguo ancora qualche minuto,
evito la deviazione a dx per il passo
Ligoncio, e sono allo sbocco del vallone che scende tra Sfinge e Ligoncio
in direzione NE. Una dorsale rocciosa
separa questa valle da quella (sx) dov'è
il ghiacciaio del Ligoncio.
Tra erba e gande, bestemmiando
contro la nebbia che non mi fa vedere
nulla, arrivo fino al misero nevaio
sotto la parete che culmina alla cresta
Sfinge-Ligoncio. Oltre la lista nevosa
partono due canali obliqui paralleli e
sfasciumati (I-II) che salgono da sx a
dx fino alla sella Ligoncino3, presto
raggiunta (m 2770, ore 2:15).
Il precipizio che dà in val Spassato
(O) è notevole, così come è accuminata e aerea la cresta che porta alla
vicina Sfinge.
Abbandonato lo zaino arrampico
cauto per la lama di granito verso N.
La via, seppur semplice (III max), è
spittata e mi fa presagire difficoltà che
non incontrerò mai.
Il superamento senza corda di un
paio di brecce è piuttosto emozionante, non tanto per la tecnica richiesta, ma per il vuoto che ho sotto i
piedi e per il ghiaccio che a NO fodera
il granito. Gli appoggi più logici per
fortuna sono tutti sul lato val Màsino
e mi permettono per cengette di aggirare le maggiori difficoltà.
Gran finale è la paretina che protegge la vetta. Arrampicando sul
diedro alla mia sx (10 m, III+/IV-)4
raggiungo la punta della Sfinge (m
2805, ore 0:30).
L’emozione maggiore è guardare a
O, giù per la scura e imponente parete
che alcuni fortissimi rocciatori, in
primis i fratelli Rossano e Valentino
Libéra, hanno vinto per impegnative
vie dirette 5. In basso si vede il misterioso ghiacciaio d'Arnasca.
2 - Indicazioni per il passo Ligoncio / valle della
Merdarola. E' un tratto del Sentiero Life delle Alpi
Retiche.
3 - Io ho preso quello di dx, il più basso, ma pure
l'altro è ben percorribile.
4 - La guida del Bonacossa (Guide dei Monti
d'Italia. Màsino Bregaglia Disgrazia, CAI-TCI,
1936) sostiene erroneamente vi siano passi al più di
II grado.
5 - Tra le vie aperte vi sono: Via del Peder (6b),
One (7a+) e Leggende del liss (6c+).
78
Le Montagne Divertenti T
Sfinge e Ligoncio dallo stallone dell'alpe dell'Oro. Il ricovero si trova sotto un enorme masso a
circa metà della salita al rifugio dai Bagni del Màsino (xxxx, foto Roberto Moiola).
orno allo zaino per la strada
dell'andata (sarebbe consigliabile una calata per superare il diedro
sotto la vetta). Dalla sella Ligoncino
salgo all'intaglio più a S, il vero punto
di comunicazione tra la val Ligoncio e
la val Spassato.
Evito i primi due speroni della cresta NNE del Ligoncio aggirandoli da
E (sx) per cenge e rocce. Seguono un
lastrone ben appigliato sul filo di cresta e un buon numero di sassoni che
precedono il grande ripiano inclinato
verso la val Màsino (m 2850 ca.).
Per detriti e neve raggiungo la
base della cuspide sommitale, piego
a dx (O) e, per lastroni e fessure di
varie misure, ritrovo la cresta che mi
guida fino in vetta (pizzo Ligoncio,
m 3033, ore 2:30).
anorama magnifico: e nubi
formano un tappeto che da
cui emergono solo le vette principali. Il lago di Como, nonostante
ciò, appare in uno squarcio alle
spalle del Sasso Manduino. A O precipitano 600 metri di parete scura,
su ho letto che corrono impressionanti linee di salita.
Il sole scalda, mi metto a torso nudo
e mi addormento vicino alla croce di
vetta coccolato da quella pace surreale
endemica dei pomeriggi autunnali in
alta quota.
Mi sveglio con la bavetta che mi
cola dalla bocca su una spalla. E'
tardissimo: prenderò notte! Giù a
manetta. Scelgo il versante ENE.
cendo fino al ripiano a quota
2850, poi proseguo verso NE.
Sotto il bordo settentrionale del
ripiano (qualche ometto) individuo e
prendo la cengia che taglia da E a O
e porta al caratteristico arco di roccia
formato da un blocco incastrato fra
due speroni, al di là del quale è un
canale attrezzato (S) per le calate.
Lo disarrampico (II+) fino alle pietraie sottostanti. Mi abbasso per traccia sulle placche lisce che sovrastano il
piccolo ghiacciaio del Ligoncio. Raggiunta la neve, perdo quindi quota,
poi, appena la dorsale rocciosa a sx
finisce, traverso a N salendo a sx della
quota 2610. Torno così nelle pietraie
del lobo settentrionale della valle del
Ligoncio da cui, per la via dell’andata,
sono ai Bagni del Màsino prima che
la notte mi catturi (m 1163, ore 4).
P
Il rifugio Omio (m 2128) preso d'assalto dagli spettatori del Trofeo Kima, skyrace di 48 km che
percorre parte del famoso sentiero Roma (26 agosto 2008, foto Roberto Moiola).
La punta della Sfinge vista dalla sella Ligoncino (7 ottobre 2010, foto Beno).
Estate 2011
S
Le Montagne Divertenti 5
4
6
2
3
1
7
8
1- le cenge oblique; 2- sella Ligoncino; 3- la Sfinge; 4- il ripiano declinante verso val Màsino di
quota 2850 ca.; 5- pizzo Ligoncio (m 3033 ); 6- l'arco di pietra; 7- il ghiacciaio del Ligoncio 8 - la
quota 2610 . (29 agosto 2010, foto Roberto Ganassa).
Valle dei Ratti e Sasso Manduino dalla vetta del Ligoncio. A sx si intravede anche il lago di Como,
mentre a dx appare il massiccio del Monte Rosa (7 ottobre 2010, foto Beno).
In vetta al Ligoncio par di potersi appoggiare alle nuvole (7 ottobre 2010, foto Beno).
Sfinge e Ligoncio (m 3033)
79
Escursionismo
Briotti
appassionati di montagna
80
Le Montagne Divertenti Estate 2011
Le Montagne Divertenti Briotti e, al centro, val di Ron e vetta di Ron
(6 maggio 2011, foto
Marino Amonini).
Briotti
81
Briotti - rifugio Grioni
Escursionismo
Beno
E
cco, finalmente dirà qualcuno
di voi, un'escusione adatta a
tutta la famiglia, bimbi compresi. E'
un itinerario che si svolge a media
quota, ma al riparo dalla calura estiva
grazie ai fitti boschi e alla frequente e
fresca brezza che sale dai torrenti. Non
presenta difficoltà di alcuna sorte,
anche perché per buona parte segue
la pista forestale Paiosa-Armisola. Lo
consiglierei anche agli appassionati
di mountain bike, che però devono
tener conto di tratti ripidi e tecnici.
i parte dal parcheggio all'inizio
della pianeggiante decauville che
collega i Briotti all'invaso del Gaggio
di Piateda. Presa la decauville (O),
dopo circa 500 metri sulla sx, in corrispondenza di una grande fontana, si
stacca la sterrata per Paiosa (m 1135),
gruppo di baite incastonate in un
delizioso poggio panoramico, imperdibile per i fotografi paesaggisti.
Si seguita lungo la pista che, all'ombra di alti abeti, sale piuttosto decisa
spostandosi gradualmente a O.
Ignorate un paio di piste cieche che
si dipartono dall'ultimo e dal penultimo tornante, in lontananza s'inizia a
sentire il rumore del torrente Serio. E'
il segnale: manca poco a sbucare sui
pratoni di Armisola (m 1629, ore
1:50), splendido alpeggio nella conca
ai piedi del Rodes.
Poco prima delle baite, un cartello
(sx) indica i Grioni (sx, E). Si prende
così il sentiero che rientra nei boschi
e, con alcuni tratti piuttosto ripidi
(qui chi è in bici la dovrà portare),
attraversa varie vallecole fino ad uscire
sul poggio panoramico del rifugio
Grioni (m 1862, ore 0:40). Alle
sue spalle (S) la cresta da cui prende
il nome, mentre a N dominano le
cime del versante retico con, in primo
piano, il massiccio della vetta di Ron.
Inizia il ritorno, che è per il tratturo
di servizio grazie al quale è stato portato su il materiale per ristrutturare la
baita. Per prenderlo si scende a NE
del rifugio (dx guardando la vetta
di Ron). Ripidamente, curva dopo
curva, la pista sfocia sull'ultimo ramo
cieco della Paiosa-Armisola. Lo si percorre verso E (sx) e riecco la via nota,
poco sopra a un tratto in cui il fondo
è di cemento.
Per la strada di salita, si torna a
ritroso all'auto (m 1030 ca., ore 2).
S
Il nuovo rifugio Grioni (m 1862), si trova su un poggio panoramico ai piedi della omonima cresta (10 settembre 2010, foto Marino Amonini).
Bellezza
Partenza: Briotti, inizio della decauville per il
Gaggio (m 1030 ca.).
Itinerario
Fatica
Pericolosità
-
automobilistico: da Sondrio si
prende la SS38 in direzione Tirano. Appena prima di
Chiuro, in località Casacce (5 km dalla fine della
tangenziale di Sondrio), si esce a dx in direzione di
Arigna/Briotti. Si attraversa l'Adda e si segue la
strada comunale per Arigna/Briotti fino in località
Fontaniva (km 14 da Sondrio) dove c'è un trivio
(tornante). Seguire a dx per Briotti, raggiungere il
ristorante La Tana del Grillo (3 km), poco oltre si
lascia l'auto al piccolo parcheggio da cui inizia la
decauville che porta al bacino del Gaggio di Piateda.
Itinerario sintetico: Briotti (inizio della decauville
per il Gaggio, m 1030 ca.) - Paiosa (m 1135) Armisiola (m 1629) - Grioni (m 1862) - Paiosa
(m 1135) - Briotti.
Difficoltà/dislivello
1 su 6 / 850 metri.
in salita:
Tempo previsto: 4 ore e mezzo per l'intero giro.
Dettagli: E. Itinerario su sentieri segnalati/ strade
sterrate privi di qualsiasi difficoltà. Adatto anche alla
mountain bike, ma solo per ciclisti con buona tecnica.
Mappe: Kompass n. 93 (Sondrio - Bernina).
L'escursione proposta offre splendidi panorami sulle Alpi Retiche. Qui un magnifico scorcio sulla vetta di Ron (12 maggio 2010, foto M. Amonini).
82
Le Montagne Divertenti Estate 2011
Le Montagne Divertenti Il caratteristico nucleo di Paiosa (4 novembre 2007, foto Beno).
Armisola, alpeggio alle pendici NO del pizzo Rodes (5 agosto 2007, foto Marino Amonini).
Briotti
83
Alpi Orobie
Approfondimenti
I Splinc di Briotti
Marino Amonini
N
on c’è analisi, relazione, convegno sulla montagna dove
non si evidenzia la necessità che questa sia presidiata.
Ragioni economiche e di costume
hanno
determinato
nell’ultimo
mezzo secolo prima il progressivo
spopolamento, poi l’abbandono delle
colture, quindi l’incuria dei boschi
ed il degrado del territorio. Un quadro sconsolante, che, con qualche
eccezione, ritrae la maggior parte dei
nostri luoghi.
Nello spirito della rivista che le
montagne le vuole “divertenti”, ossia
che queste siano vive, scarpinate,
osservate e amate, piace raccontare
le storie di coloro che la montagna
l’hanno radicata nell’animo, tanto da
esserne tenaci, coerenti ed orgogliosi
protagonisti. Ogni giorno dell’anno,
per una vita intera.
Dimostrazione d'uso della falciatrice telecomandata: è in grado di compiere il lavoro di 5
uomini tagliando anche piante fino a 3 cm di diametro (6 maggio 2011, foto Marino Amonini).
Arialdo e Amerino Donati a Briotti(6 maggio 2011, foto Marino Amonini).
Briotti, avamposto
orobico in comune di
Ponte Valtellina, con i
suoi m 1060, è uno dei
pochi borghi in quota escludendo quelli vocati
al turismo e dotati di
infrastrutture e impianti
– a essere abitato e vissuto
tutto l'anno.
PIETRO (Pezza) Oggi attivissimo ottantatreenne,
racconta gli anni difficili e duri sui
cantieri Falck di Frera nel ’56, poi a
Dongo, quindi alla diga di Santo Stefano.
Nel ’63 la svolta: con Bruno Berniga
aprono l’impresa, presto ingaggiano
7/8 operai e si buttano a capofitto nel
lavoro che non manca.
Sposa Nerina Proh con la quale ha
due figli. Una ventina di anime, non di più,
in inverno.
Qualche centinaio in estate, quando
il bel tempo fa riaprire le seconde case
o la cacciata dei funghi richiama frotte
di assatanati da porcino.
Il salotto buono di Briotti è la piazzetta con il lavatoio; ombelico della
contrada, punto obbligato perché
finisce la strada e cominciano gli speteguléss.
Ieri erano le rignole di ogni età a
lavar panni – storie documentate
anche nel libro “Voci dalla fontana”
edito a Natale 2010; ora sono vacanzieri adolescenti con twitter incorporato a far risuonare le strade con il
loro vocio. In faccia al lavatoio vive Pietro
Donati con i figli Arialdo ad Amerino: gli Splinc di Briotti.
ARIALDO
Classe 1955, Arialdo, aitante adolescente, va a studiare alla scuola
alberghiera di Bellagio, poi va alla
Presolana, quindi inizia a far stagioni
e affinarsi nel mestiere in Engadina.
È durante quegli anni trascorsi a
St. Moritz che si radica in lui il senso
tipicamente elvetico della cura e della
valorizzazione del territorio.
Svolge il servizio militare nelle
truppe alpine e decide, finita la stagione del ’78 in Svizzera, di affiancare
il padre nei molteplici lavori dell’impresa. Tra questi anche il servizio di
sgombero neve sulle strade del versante orobico; con uno sderenato trattore (con un busciùn de damigiàna al
posto del tappo del serbatoio) imperversa su stradone e stradine dalle
Casacce a Briotti.
84
Le Montagne Divertenti La passione e la competenza anche
in campo motoristico lo porta a rinnovare il malandato parco mezzi
paterno; in pochi anni l’impresa si
dota di mezzi adeguati ai ripidi cantieri ove sono chiamati a operare.
L’ultimo mezzo acquistato è uno
straordinario mulo meccanico tosaerba che mastica l’erba e bruca rovi
e pianticelle fino a 3 cm di diametro,
telecomandato, che sale su ogni pendenza e lavora come 5 sfalciatori.
Strabiliante vederlo all’opera! Sulla
famosa Pista Stelvio di Bormio ha
brucato tutto in pochi giorni. AMERINO
Dopo Arialdo arriva il secondogenito.
In ottica d’impresa paterna, studia
da perito elettrotecnico e si diploma
all’Esperia di Bergamo nel 1975.
Rinuncia a una brillante prospettiva
di carriera in Ansaldo, che lo assumerebbe per importanti cantieri in
Argentina, e si butta l’anno successivo
nell’attività di famiglia.
IMPRESA DA ESTREMO
Dopo i primi impieghi in ristrutturazioni ed edilizia, nonchè manutenzione degli impianti Falck, l'impresa si
indirizza sui cantieri che alla concorrenza fan storcere il naso o addirittura
Estate 2011
rinunciare per le difficoltà logistiche e
climatiche.
Se il lavoro è componente ben
identificabile nel DNA dei Donati,
altrettanto dirompente è la passione
per la montagna nelle sue molteplici
sfaccettature; l’attività di sfalcio dei
prati, la cura del bosco, l’attenzione ai
sentieri, il gusto per la vetta in ogni
stagione diventano il valore aggiunto
all’attività.
E’ proprio il forte radicamento alla
montagna che orienta verso una specializzazione in regimazioni idrauliche e in sistemazioni del territorio,
soprattutto in alta quota.
L’impresa Donati raccorda in tre
anni il fondo valle della Valmalenco
con l’Alta Via; 400 km di itinerari
montani, 98 sentieri sistemati punteggiati da 40 ponti su torrenti e vallette.
Nel 1979 ha inizio una collaborazione con l’Elitellina; l’ausilio dell’elicottero diventa strategia collaudata e
per molti versi irrinunciabile per operare a quote altrimenti inaccessibili.
Il battesimo avviene con la ristrutturazione delle baite all’alpe Druet,
cui seguiranno interventi in val Fontana e in val Masino.
Alle tante ristrutturazioni di alpeggi
effettuate in Armisola, alpe Pila, val
Belviso si aggiungono qualificati
interventi di ingegneria forestale,
risanamento suolo mediante palificazioni, tratti di acquedotti di servizio
agli alpeggi e sistemazioni di sentieri
in quota.
Le Montagne Divertenti L'acrobatico sentiero attrezzato rifugio Donati - bivacco Cort (19 settembre 2007, foto Beno).
Il rifugio Donati presso il lago del Reguzzo (5 agosto 2007, foto Gianfranco Lalli).
Briotti
85
Alpi Orobie
Approfondimenti
Oltre alla già citata Alta Via della
Valmalenco si segnala l’anello Briotti
- Le Piane – Mambretti, il raccordo
per cresta tra rifugio Donati e bivacco
Corti, la sistemazione della segnaletica del sentiero “Bruno Credaro”
sulla Gran Via delle Orobie.
Il sigillo dell’impresa di Briotti si
esprime con la realizzazione, a partire
dal 1983, del rifugio Ottorino Donati
(m 2500), nei pressi del lago Reguzzo,
ai piedi del Pizzo di Rodes (m 2829).
Dedicato a un cugino di Arialdo ed
Amerino prematuramente scomparso
in un incidente stradale, la struttura
ha conosciuto stagioni di alacre lavoro
e di ammirevole volontariato profuso
dagli “Amici di Briotti”, allora dinamico gruppo di appassionati capitanati da Arialdo.
Nel 1996 viene eretto l’accogliente
rifugio Pesciola (m 2004) sul panoramico balcone all’ombra del Druet.
Nello stesso anno viene dotato di
bivacco invernale il rifugio Donati,
essenziale punto d’appoggio per
quanti praticano lo scialpinismo nel
gruppo del Rodes.
Nel 1998 è ancora l’impresa Donati
a dotare di bivacco invernale il rifugio
Mambretti (m 2003), un intervento
che consente alla storica capanna
(inaugurata il 23 settembre 1925) di
offrire un ulteriore servizio agli appassionati che calcano le nevi del gruppo
Redorta - Scais. È del 2010 l’ultima struttura griffata Donati: il rifugio Grioni, ai piedi
dell’omonimo gruppo di punte che
collegano la valle del Serio di Piateda
con la valle di Santo Stefano della val
d’Arigna. In poco più di un mese la vecchia
baita a m 1862, segnata da ultradecennale abbandono, è stata rigenerata ad elegante e funzionale rifugio,
ancora in attesa degli arredi che lo
completino.
LA FORZA DELLE RADICI
spontaneo chiedersi: perché
un’impresa così ben organizzata, che ha saputo imporsi e specializzarsi in un settore di nicchia come i
lavori in quota, non si è mai piegata a
una logica diffusa?
Un capannone con pretenziosa
palazzina, megainsegna, piazzalone
con suv e cabrio per ostentare successo e danèè ha lusingato parecchi,
basta guardarsi attorno.
Su quest’aspetto la coesione familiare è granitica: la consapevolezza di
godere i benefici di un ambiente di
assoluto valore prevale su qualsiasi
ragionamento di opportunismo o
convenienza.
Saggezza e buonsenso montanaro si
saldano a quiete, gusto per il bello, il
vero, l’essenziale.
La sobrietà e la modestia sono
insegnamenti antichi e valori ancora
attuali se applicati con coerenza, come
dimostra l’attività praticata da Amerino nel tempo libero: l’agricoltura di
montagna.
È
LE PATATE D’ARIGNA
uando si tocca l’argomento
agricoltura, meglio le colture
di montagna, ad Amerino si illumina lo sguardo e le conoscenze e le
sperimentazioni effettuate in oltre
vent’anni rendono torrentizio il suo
parlare.
Tutto nasce da una premessa dolorosa; la prematura perdita di mamma
Nerina lo pone nella condizione di
sostituirla per occuparsi degli orti e
dei campelli che negli anni ’80 punteggiavano il versante.
È stata tradizione secolare dei
nostri avi coltivare ogni lembo minimamente produttivo per seminarvi
patate, rape, segale, miglio, canapa…
Q
Ancora negli anni ’60 la
patata di Arigna godeva
di certa notorietà; dai
comuni limitrofi si correva
ad acquistare le patate da
semina o barattarle con
vini, ortaggi o beni lassù
non producibili.
Amerino ha pian piano trasformato
i campelli di proprietà di famiglia in
un laboratorio di sperimentazione,
applicandosi negli studi, cercando i
canali giusti, provando e aggiornando
sementi e metodi di coltura. Tra Briotti (m 1060) e Le Piane, (m
1300) coltiva innumerevoli varietà
di patate, rape, pomodori, carote,
cavoli, cipolle, ortaggi vari, erbe aro-
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86
Le Montagne Divertenti Estate 2011
L'aratura a Briotti: i buoi, l'aratro e la zappa sono stati sostituiti dalla motozzappa, ma anche con l'avvento dei mezzi moderni l'agricoltura di
montagna non ha futuro se non è sostenuta da una passione sincera e da una profonda conoscenza (6 maggio 2011, foto Marino Amonini).
matiche… tanto da fargli affermare
di sentirsi più a suo agio nei panni
dell’agricoltore biologico che in quelli
dell’affermato impresario edile.
In internet cerca, confronta, studia,
poi si muove.
Va in Engadina a prendere le
sementi, alle fiere specializzate per
individuare i mezzi idonei alle colture in pendenza, sperimenta i letami
migliori, cura i cicli lunari, il meteo
propizio.
Prepara i terreni, effettua le semine,
controlla gli sviluppi, interviene quotidianamente per seguire l’andamento
produttivo.
Alleva conigli e capre perché si dice
certo che producono il letame più
efficace per quei terreni; semina più
del necessario all’autoconsumo perché
mette in conto la quota brucata da
lepri, caprioli, cervi e uccelli.
La quota protegge le colture dai
parassiti quindi i trattamenti fitosanitari sono trascurabili.
Maledice gli sprovveduti della
domenica che, portando sementi contaminate e ignoranti metodi di coltivazione, alterano i delicati equilibri
Le Montagne Divertenti naturali insiti nei luoghi. L’elenco delle varietà coltivate da
Amerino è più lungo di un rosario,
il suo entusiasmo è contagioso, la sua
curiosità illimitata.
Ora è assillato da una domanda che
circola in rete.
“Vi invito ad una caccia
al tesoro: che fine hanno
fatto le famose patate di
Arigna?”
Resistono nella memoria di qualcuno, ed Amerino è determinato a
ritrovare quella varietà.
E’ piacevole ascoltare con quanta
metodica, studiata e appassionata
cura l’agrobiologico impresario di Briotti segue le coltivazioni, ma incanta
quanto disserta tra i gusti, gli accostamenti ai cibi, gli abbinamenti al bere
che le sue variegate produzioni richiedono.
on eguale padronanza di un
raffinato sommelier che illustra
una bottiglia di Sansicaia, Amerino
ci parla della dolcezza delle patate
Blue di San Gallo, uno dei dieci tipi
C
che coltiva nei suoi campelli delle 77
varietà offerte nel sito
www.prospecierara.ch CONCLUSIONI
ungi dall’incensare od enfatizzare i Splinc per quanto di
eccellente hanno fatto e fanno, piace
sottolineare che
L
la montagna ha più
bisogno di protagonisti
credibili che di convegni di
chiacchiere.
La montagna sa offrire spazi e
opportunità per viverci bene se è
ricambiata di attenzione e passione.
Tradizione e modernità si
possono declinare insieme
se della prima si conservano
i valori e della seconda
si colgono le immense
opportunità del sapere. Briotti
87
Escursionismo
L'Alta Via dello
Stelvio
Eliana e Nemo Canetta
88
Le Montagne Divertenti Estate 2011
Escursionisti verso la punta Rosa
(25Montagne
agosto 2010, foto
Giacomo Meneghello - www.clickalps.com).
Le
Divertenti
L'altavia dello Stelvio
89
Alta Valtellina
Escursionismo
Tre giorni di cammino, da Gomagoi ai Bagni Vecchi, per ammirare i paesaggi e i
ghiacciai dell'Ortles, la natura del parco dello Stelvio e i resti della Grande Guerra che
quassù vantò il fronte più alto d'Europa.
E' un'escursione che richiede buona condizione fisica, ma può anche esser svolta solo
nelle singole tappe, essendo i punti di partenza e arrivo comodamente raggiungibile coi
mezzi pubblici.
Il paese di Stelvio (2 febbraio 2011, foto Canetta).
Bellezza
Partenza: Gomagoi (m 1266).
Arrivo: rifugio Monte delle Scale (m 1990) / Bagni
Vecchi di Bormio (m 1435).
Fatica
Pericolosità
-
Itinerario
automobilistico: abbandonata l'auto
a Bormio o a Tirano, ci si può avvalere del bus che porta
al passo dello Stelvio e da lì scendere a Gomagoi con la
linea altoatesina.
Itinerario
sintetico:
GIORNO 1: Gomagoi (m 1266) - Stelvio (m 1324) malghe Stevio di Sopra (m 2077) - Piz Chavalatsch (m
2763) - malghe Stevio di Sopra (m 2077);
GIORNO 2: malghe Stevio di Sopra (m 2077) - Klein
Boden - rifugio Forcola/Furkelhütte (m 2153) Goldsee/lago d’Oro (m 2708) - punta Rosa/RotlSpitz
(m 3026) - cima Garibaldi (m 2838);
GIORNO 3: cima Garibaldi (m 2838) - Giogo di Santa
Maria (m 2503) - Piz Umbrail (m 3031) - punta di Rims
(m 2947) - sella della Forcola (m 2768) - malga Forcola
(m 2313) - Grasso di Solena (m 2001) - rifugio Monte
Scale (m 1990) [oppure, deviando prima del Grasso di
90
Le Montagne Divertenti Solena: ponte di Solena (m 1805) - Bagni Vecchi di
Bormio (m 1435)].
Tempo
previsto: 3 giorni.
GIORNO 1: 7 ore;
GIORNO 2: 6 ore;
GIORNO 3: 6:45 ore con la discesa al rifugio Monte
Scale o 7:45 ore con la discesa a Bormio [+1:45 ore se
il giorno prima si è fatta la variante].
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà/dislivello in salita: 2+ su 6 /
rispettivamente 1500 metri, 1000 metri, oltre 600
metri.
Dettagli: EE. Gita di più giorni su sentieri segnalati
d'alta quota che richiede buona condizione fisica.
Numerose possibilità di ricovero. Difficoltà superiori in
caso di neve residua.
Mappe: Tabacco 08 Ortles-Cevedale, 1:25000;
Tabacco 044 Val Venosta, 1:25000.
Estate 2011
GIORNO 1
Da Gomagoi (m 1266), a 6 km da
Prato Stelvio/Prad (alberghi e Forte
eretto dagli austriaci, in precarie condizioni), prendiamo a NE e in 3 km
siamo a Stelvio (m 1324, ore 0:45),
borgo venostano che mantiene intatta
la sua struttura (sede del Comune di
Stelvio esteso a tutta la valle).
Dalla parrocchiale imbocchiamo
a monte il Kirchweg – segnavia 6
– che sale ripido tra prati punteggiati di tipici masi per raggiungere
Valatsches (m 1706), su una stradetta
ov’è il sentiero dei Masi-HoefenWeg.
Proseguendo lungo il versante orografico dx del Tramentanbach, guadagniamo la strada di accesso alle
Untere e Obere Stilfers Alm (malghe
Stevio di Sopra, m 2077, ore 2:15).
Quest’ultima offre alloggio e buona
cucina (servizio di trasporto a cura dei
proprietari da Stelvio).
La traversata prosegue verso SE,
ma consigliamo una deviazione per
raggiungere il Piz Chavalatsch, di
eccezionale interesse panoramico oltre
che essere la montagna più orientale
della Svizzera. Da Obere Stilfers Alm
percorriamo per breve tratto la strada
Le Montagne Divertenti ma presto (cartello indicatore) l’abbandoniamo per imboccare, verso
NO, una mulattiera militare – segnavia 5 – che sale il regolare pendio di
pascoli con infiniti zig zag. Oltrepassato il costone di Tramen appare
la vetta, che raggiungiamo in breve;
sul Piz Chavalatsch (m 2763, ore
2), è una casermetta asburgica eretta
prima del conflitto per controllare lo
sbocco della val Monastero. Il panorama indimenticabile comprende
gran parte del gruppo dell’Ortles,
l’Alta Venosta e l’antistante massiccio
della Palla Bianca. In discesa è interessante raggiungere la bocchetta de La
Scharta (m 2593), aperta sul confine
italo-svizzero (qui giunge il sentiero
da Müstair). Ritornati a valle ci portiamo a Obere Stilfers Alm (m 2077,
ore 1:45).
GIORNO 2
Ripartiti in direzione O imbocchiamo a monte il Sentiero delle
Malghe/Almweg – segnavia 4 – in
direzione del rifugio Forcola, per
giungere nei pressi del punto trigonometrico (m 2265), sopra i boschi di
Platzwald. Proseguiamo su una ripida
mezza costa sino alla testata del Platzbach (m 2230). Qui è una stradella
–segnavia 4 – che in leggera discesa
va a incontrare la strada militare che
sale a Klein Boden da Stelvio paese.
Le fortificazioni di Klein Boden
distano poche decine di metri e meritano una visita (tabelle esplicative): si
tratta della posizione, realizzata dagli
austriaci prima del conflitto, per sbarrare in unione al Forte di Gomagoi
ogni nostra azione dal passo dello
Stelvio; al tempo l’area era vietata agli
escursionisti, ma i nostri Comandi ne
ebbero adeguate informazioni. Interessanti le piazzole per l’artiglieria, i
bunker, la postazione per il proiettore
elettrico e una lunga trincea blindata
in cemento.
Da Klein Boden in 20’ si raggiunge
il rifugio Forcola/Furkelhütte (m
2153, ore 2:15), buon punto panoramico con valida cucina; seggiovia per
Trafoi.
Dal rifugio inizia il Goldseeweg,
tracciato che permetteva agli Imperiali di raggiungere il Passo Stelvio al
sicuro da offese italiane. Il buon sentiero – segnavia 20 – prende quota
sotto il Piz Costainas e conduce alla
L'altavia dello Stelvio
91
Alta Valtellina
Escursionismo
Panorama dal Goldseeweg sul massiccio dell'Ortles (29 giugno 2007, foto Canetta).
quota 2419, che domina la conca di
Trafoi: di fronte è la ciclopica cupola
dell’Ortles e le vette del gruppo Turwieser – Trafoi – Madatsch ove si svolsero alcuni degli scontri più elevati del
conflitto. Si transita sotto il monte di
Tarres e la cima Piccola di Tarres, sin
sotto il col di Quaira e, poco dopo,
si guadagna il costone, traforato da
opere belliche, che domina il Goldsee/lago d’Oro (m 2708, ore 2). Qui
gli asburgici, prima del 1915, realizzarono una robusta fortificazione
campale per 4 cannoni, completa di
mulattiera che collegava alla carrozzabile dello Stelvio. Tale posizione
non poteva essere mirata dalle nostre
artiglierie per il pericolo di “violare” la
neutralità elvetica: di qui gli austriaci
poterono colpire, in sicurezza, il
monte Scorluzzo, occupato da una
pattuglia di Alpini; quando i nostri si
ritirarono sotto le granate (pare senza
perdite), i tirolesi occuparono la vetta
senza colpo ferire. Ottimo piano, ben
congeniato ma nulla di eroico!
Si continua in graduale salita sin
sotto la punta Rosa/RotlSpitz, per
raggiungerne la vetta (m 3026, ore
0:45), ottimo punto panoramico, su
sentiero segnalato (da ultimo un po’
esposto).
Proseguendo a mezza costa, sull’orlo
di un altipiano tra Svizzera e Alto
Adige si pianeggia tra resti di baracche
austriache sino a raggiungere la cima
Garibaldi (m 2838, ore 1), nominata da tirolesi e ladini Drei Sprachen
Spitz/Piz da las Trais Linguas, poiché
vi si incontrano i confini di italiano,
92
Le Montagne Divertenti tedesco, romancio. Qui è un rifugio
italiano. Dalla sommità lo sguardo
spazia sulla sella dello Stelvio: alberghi, parcheggi, impianti di risalita,
negozi; è assai difficile capire come
apparisse il passo prima e dopo la
Grande Guerra; pure le tracce belliche
sono state fagocitate da un proliferare
disordinato di edifici che poco hanno
a che spartire con il parco dello Stelvio.
Il rifugio Garibaldi, poco a N del passo dello Stelvio (29 giugno 2007, foto Canetta).
GIORNO 3
Dalla cima Garibaldi penetriamo in
Svizzera, seguendo un sentiero (segnaletiche) che scende al Pass Umbrail
(Giogo di Santa Maria): percorso
realizzato dai militari elvetici, tra il
1914 e il ‘18. Un tratto a tornanti,
poi si pianeggia accosto al confine e
si giunge al rifugio nel pressi della
dogana elvetica (m 2498, ore 1).
Il rifugio è buon punto di sosta; sul
versante italiano è un vecchio alberghetto, di fronte al vasto edificio della
IV cantoniera.
Sul retro del rifugio si prende un
sentiero (segnaletiche) che sale al Piz
Il sentiero lungo la cresta di Rims (5 settembre 2009, foto Giacomo Meneghello).
Estate 2011
Le Montagne Divertenti Umbrail, tra resti di baraccamenti
elvetici, ma verso quota 2650 lo si
abbandona per raggiungere la cresta
di confine; sui due versanti resti di
trincee italiane e svizzere. Si continua
verso il turrito pizzo che pare di non
facile ascesa; verso quota 2800 si toccano le rocce che si superano, facendo
attenzione alle segnaletiche, per canaletti e cenge, con qualche corda fissa
incontrando resti di postazioni. Senza
vere difficoltà si raggiunge un’anticima e poi facilmente la vetta (Piz
Umbrail, m 3031, ore 1:45), utilizzata nella guerra sia da italiani che da
svizzeri per tener sotto controllo la
zona di combattimento. Il panorama
spazia su tutta l’area dello Stelvio, in
secondo piano torreggia l’Ortles.
Segue un tratto assai pittoresco: da
lungi la cresta tra Umbrail e punta di
Rims pare non facile; in realtà è percorsa da un sentierino che, in assenza
di neve, non presenta vere difficoltà e
i punti più scabrosi si superano poggiando sul versante elvetico. Si raggiunge così, per un ultimo pendio di
detriti, la punta di Rims (m 2947,
ore 1), che prende nome dal sottostante splendido lago sul versante di
Müstair.
Dall’ampia sommità si scende alla
sella della Forcola (m 2768, ore
0:30), in un dedalo di postazioni
italiane. E’ la linea di resistenza del
nostro esercito ove un attacco avversario doveva essere fermato a tutti i
costi: strade, mulattiere, postazioni
d’artiglieria, caverne, trincee (in parte
blindate in cemento). Da non mancare la quota 2881: una torre rocciosa
completamente traforata della postazioni in caverna.
Divalliamo in val Forcola lungo una
stradella realizzata dal nostro esercito
nei primi anni del ‘900 che ricalca
il tracciato della Strada Imperiale.
Poco sotto il valico è una delle tante
caserme difensive (ricovero su IGM,
m 2743) da noi costruite lungo i confini, oggi purtroppo in vergognoso
abbandono.
Continuando lungo la stradella
percorriamo una zona di valloni proL'altavia dello Stelvio
93
Escursionismo
1
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2
3
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8
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7
Panoramica sulla valle della Forcola dalla punta di Rims (5 settembre 2009, foto Giacomo Meneghello). Indicate: 1 e 2 - Monte Braulio (m 2979 - m 2972),
3- cima Piazzi (m 3439), 4- bocchetta di Pedenoletto (m 2790), 5- monte Foscagno (m 3058), 6- passo del Foscagno (m 2291), 7- bocchetta di Pedenolo
(m 2703), 8- gruppo del Bernina, 9- cime di Plator (m 2937), 10- monte Solena (m 2919), 11- monte Sumbraida (m 3124), 12- monte Cornaccia (m 3144).
fondamente incisi, pascoli, bianche
colate di sfasciumi, mentre a O l’orizzonte è chiuso dalla dolomitica mole
del monte Sumbraida (in romancio
Schumbraida). Raggiungiamo così la
malga Forcola (m 2313), per addentrarci in una gola, compresa tra lo
Schumbraida e le pareti che sorreggono l’altipiano di Pedenolo. A quota
2118 è il ponte della strada militare,
ben visibile e facilmente percorribile
a piedi, che sale a Pedenolo, per raggiungere poi il versante O del monte
Braulio. Noi proseguiamo sul versante
orografico dx, lungo un pendio di
mughi che fa da base a incombenti
pareti calcaree. Perveniamo così a una
spalla boscosa, quota 1974, che precede il Grasso di Solena (m 2001). In
1 km si è al Ristoro Solena ove ci si
affaccia ai laghi di Cancano. Discesi
Fioriture nella valle della Forcola (11 luglio 2010, foto Giacomo Meneghello).
94
Le Montagne Divertenti alla diga si risale al rifugio Monte
Scale (m 1990, ore 2:30), ove si
incontra la carrozzabile che porta a
Valdidentro (in estate servizio pubblico).
Se invece puntiamo a Bormio,
prima del Grasso di Solena imbocchiamo verso sx (SE - indicazioni)
un’altra stradetta che scende a tornanti al ponte di Solena (m 1805). Il
tracciato, in parte danneggiato dalle
frane ma facilmente percorribile, si
tiene alto sopra le gole di Fraele, ove
un tempo rumoreggiava l’Adda in un
ambiente di rara suggestione. Divalliamo a casera Boscopiano (m 1527),
ove ci affacciamo alle gole del Braulio.
Superiamo il torrente su un ponte,
per risalire alla SS dello Stelvio e con
1 km di carrozzabile siamo al bivio
per i Bagni Vecchi (m 1435, ore 3:30
dalla sella della Forcola), ove consigliamo un buon tuffo ristoratore nelle
acque termali della piscina all’aperto.
Il lago delle Scale e i laghi di Cancano dal monte delle Scale (13 agosto 2009, foto Roberto Ganassa).
Estate 2011
Le Montagne Divertenti L'altavia dello Stelvio
95
Escursionismo
LA SINTESI
DELLA
VAL GEROLA
Giorgio Orsucci
Difficile trovare un'escursione più completa di questa.
Un percorso ad anello denso di colori e bellezze naturali, che sfiora
le acque di quattro splendidi laghetti orobici e regala ampi scorci sulle
cime valtellinesi. Ma la meta principe della giornata sarà il rifugio
Benigni, autentico osservatorio faunistico nella patria
degli stambecchi.
A cavallo fra Valtellina e Bergamasca: il lago Piazzotti e il rifugio Benigni
(27 agosto 2006, foto Roberto Moiola - www.clickalps.com).
96
Le Montagne Divertenti Estate 2011
Le Montagne Divertenti Val Gerola
97
Escursionismo
La testata della val Tronella (4 agosto 2007, foto Roberto Moiola).
Bellezza
Fatica
Partenza: Pescegallo (m 1454).
Itinerario automobilistico: dalla prima
rotonda di Morbegno (per chi proviene da Colico) si
prende a dx la SP7 della val Gerola. Superati Sacco,
Rasura e Pedesina, dopo circa 15 km si arriva all'abitato
di Gerola Alta, da cui in 6 km si arriva a Pescegallo.
Itinerario
Pericolosità
sintetico: Pescegallo (m 1454) - lago
di Pescegallo (m 1862) - rifugio Salmurano (m 1830)
- passo Salmurano (m 2017) - rifugio Benigni (m
2222) - bocchetta di val Pianella (m 2224) - lago
Zancone (m 1856) - lago di Trona (m 1805) - pozza
Rossa (m 1835) - Pescegallo.
Tempo
previsto: 6 ore e mezzo per l'intera
escursione.
2 su 6 / 950 metri.
Dettagli: E. Itinerario su facili sentieri segnalati.
Mappe: Kompass n. 105 (Lecco – Valle Brembana).
-
98
Le Montagne Divertenti L'invaso artificiale del lago di Pescegallo (5 agosto 2007, foto Roberto Moiola).
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà/dislivello in salita:
Estate 2011
D
a alcune escursioni torni a
casa poco soddisfatto. Cattiva
compagnia, brutto tempo, sentieri
noiosi, i fattori che determinano una
gita mal riuscita sono vari. E così
può capitare che di quel itinerario, di
quella valle si annoti nella mente un
"niente di eccezionale", a significare di
non tornarci più.
L'escursione che andiamo a proporvi difficilmente potrà ricondursi alla suddetta categoria, o
perlomeno ha in sé le premesse per
garantire una giornata di grande
impatto. L'itinerario, che richiede
fra le 6 e le 7 ore di cammino, si
snoda lungo la testata della val
Gerola, all'ombra del pizzo dei Tre
Signori. Toccheremo le acque di
splendidi laghi orobici, ci addentreremo nella patria degli stambecchi
e del formaggio bitto, studieremo i
profili di arditi pinnacoli, ammireremo nuovi orizzonti e panorami, il tutto all'interno di
alcune fra le più belle
valli del Parco delle
Orobie.
Le Montagne Divertenti P
ercorsa tutta la val Gerola fino a
Gerola imbocchiamo la stretta
strada a tornanti che sale a Pescegallo
(m 1454, 6 km), dove possiamo parcheggiare nell'ampio piazzale della
seggiovia. L'impianto, attivo anche nei
mesi estivi, è riservato agli escursionisti
meno allenati e più facoltosi
che vogliono raggiungere il rifugio Sal-
murano senza consumare gli scarponi.
oi, in perfetta forma fisica,
imbocchiamo
inizialmente
la stradina che sale ripida dal lembo
orientale del parcheggio, a dx di un
torrentello, per abbandonarla più
N
Un giovane stambecco ripreso nei
pressi del rifugio Benigni, meta
dell'escursione (29 giugno 2008,
foto Giorgio Orsucci).
Val Gerola
99
Alpi Orobie
Escursionismo
Ultimi raggi di sole al Rifugio Benigni (27 agosto 2006, foto Roberto Moiola).
Stambecco adulto (4 agosto 2007,
foto Roberto Moiola).
in alto nei pressi di un
alpeggio (m 1540) dove
parte un bel sentiero
(segnavia bianco-rossi),
a tratti gradinato, che
si addentra in un
bosco di conifere.
Ne esce più avanti
per ricollegarsi con
la pista forestale che,
traversando verso E,
dopo aver incontrato
la Casera di Pescegallo
Lago (m 1778), si arriva
rapidamente alla diga di
100
Le Montagne Divertenti Pescegallo (m 1862, ore 1:15). Da
qui, guardando a occidente, possiamo
vedere tutte le vette sotto cui passeremo nel corso di questa giornata.
er raggiungere il rifugio Salmurano dobbiamo ora ripercorre a ritroso la sterrata che ci ha
condotto quassù, andando poi a
imboccare un sentierino a mezza
costa che se ne stacca sulla sx.
Con percorso pianeggiante, dopo i
pascoli di Fopa gli Bori (m 1740),
arriviamo proprio alle spalle della
grande costruzione del rifugio Salmurano (m 1830, ore 0:20).
P
Estate 2011
L'altopiano,
per
quanto
panoramico e verdeggiante,
reca i segni antiestetici dello
sfruttamento invernale - sterrate e impianti di risalita. Risaliamo questi prati (S), con lo
sguardo che cade più volte sulle
forme gotiche dei Denti della
Vecchia, i curiosi pinnacoli
rocciosi sulla nostra dx. Sono
5 ardite torri di roccia, di cui
la più alta tocca i m 2145. Su
quelle pareti di gneiss e conglomerato si snodano numerose
vie di arrampicata.
Le Montagne Divertenti Raggiunto l'inconfondibile passo
Salmurano (m 2017, ore 0:40) il
paesaggio si fa più aspro. Scollinati
su versante bergamasco, compiamo
una breve traversata verso O che
ci porta alla base del canalone del
Forno, un ripido colatoio di roccia
e detriti, che superiamo prestando
attenzione alla direzione consigliata dai segnavia.
A seguire solo un paio di tornanti, quindi ecco comparire il
rifugio Benigni (m 2222, ore
0:45), lillipuziana costruzione a
ornamento di un meraviglioso
balcone roccioso. Numerosi stambecchi popolano le pietraie nei dintorni del rifugio e le rive del vicino
lago Piazzotti, noncuranti della
presenza umana, e anzi quasi incuriositi. Tutto merito dell'azione di
tutela attuata - in maniera evidentemente efficace - dal Parco delle
Orobie Valtellinesi.
Già qui il panorama sulle cime
valtellinesi e sulla mole del Disgrazia è degno di nota, ma vale la pena
raggiungere (OSO) la bella croce
della cima Piazzotti Occidentale
(m 2349, ore 0:20), da cui, oltre
Val Gerola
101
Escursionismo
Scendendo in val di Trona dalla bocchetta di val Pianella si ha uno splendido scorcio sul lago Zancone e sul lago di Trona (27 agosto 2006, foto R. Moiola).
Due
immagini della
produzione del formaggio Bitto storico
nei calecc' del Dossetto in val Tronella (11
luglio 2006, foto Roberto Moiola).Questo
formaggio prende il nome dal torrente Bitto che
scorre in queste valli e, per le accurate procedure
casearie e di gestione del pascolo, delle mucche e
delle capre è riconosciuto da secoli di eccelsa qualità. In una logica di business la Dop ha
esteso la produzione a tutto il territorio valtellinese e valchiavennasco stravolgendo i metodi
di produzione. Ciò ha generato la ribellione dei produttori di Bitto storico, che rifiutandosi
di avallare questa manovra, si sono visti addirittura impossibilitati a chiamare Bitto il loro
formaggio. Oggi perciò Bitto Dop non è più una garanzia di formaggio tradizionale e chi
vorràancora gustarne il sapore antico dovrà recarsi al ‘Centro del Bitto storico’ a Gerola Alta
dove stagionano forme fino a 15 anni.
102
Le Montagne Divertenti ad un panorama più ampio, si gode
della vista dall'alto dei laghi Trona e
Zancone. Scendendo per traccia sulla
cresta SO della montagna siamo rapidamente alla bocchetta di val Pianella1
(m 2224, ore 0:30).
La discesa dal passo nella val di Trona si
svolge con pendenza moderata, dapprima
fra sfasciumi e nevai, che quivi sostano
fino a luglio inoltrato, quindi per dossi
erbosi. Lungo la discesa saremo accompagnati dalle numerose torri che costituiscono il pizzo di Tronella e dalla vista sul
1 - Sul nome di questo valico ci sono un po' di diatribe.
Noi riteniamo che indicarla come bocca di Trona
(nome che le derivava perchè passaggio per gli antichi
trasporti del ferro della val di Trona) crei solo
confusione con la più nota bocchetta di Trona, per cui
useremo il toponimo bocchetta di val Pianella, che la
lega all'opposta valle bergamasca.
Estate 2011
naturale lago Zancone e, più a valle,
sull'invaso artificiale di Trona. Superata una modesta ma suggestiva "città
dei sassi" in stile dolomitico, arriviamo
finalmente a toccare le acque del lago
Zancone (m 1856, ore 0:45), di un
blu profondo, incorniciato da rive
erbose, verdissime, incastonate di
rododendri.
Scendiamo ancora un poco, passando alti sopra il lago di Trona;
attraversiamo un rado bosco di abeti
e larici, alla fine del quale troviamo
la diga (m 1805, ore 0:15), che ha
innalzato il livello di questo antico lago
glagiale e ne ha portato la capienza a
5.196.000 m3. Nei pressi del muraglione imbocchiamo il sentiero che
Le Montagne Divertenti si allontana strisciando verso E con
andamento semi pianeggiante. Una
lunga traversata, a tratti nel bosco, a
tratti su pietraie o su prati, riavvicina
l'escursionista a Pescegallo. Superata la
pozza Rossa (m 1835), posta sul crinale fra val di Trona e val Tronella, il
sentiero smette di indugiare e comincia a perder quota precipitosamente,
disegnando sul ripido pendio una
successione di larghi tornanti, grazie ai
quali siamo condotti rapidamente sul
fondo della bassa val Tronella.
Sparse nei prati vediamo delle baite
e i tipici calecc'. I pastori vi producono
il formaggio, quello tipico di questa
valle, il Bitto. Se saremo qui dopo le
quattro o le cinque del pomeriggio
potremo trovarli all'opera. Sarà un piacere, allora, stare ad osservarli, curiosi
e attoniti come bambini, mentre perpetrano questa tradizione secolare.
Siamo davvero quasi alla fine, ed è
possibile che a questo punto c'abbia
colto un poco di stanchezza. Fortuna che a ristorarci - quanto meno
nell'animo - c'è il sole caldo del tardo
pomeriggio, che indora i radi boschi
d'abeti di questa sezione della valle.
Più in basso la selva si infittisce; sulle
nostre teste un soffitto di rami, aghi e
foglie. Rivediamo la luce solo al termine della nostra escursione, quando
il sentiero sfocia nel piazzale della
seggiovia di Pescegallo (m 1454, ore
1:30), dove ci attende la macchina.
Val Gerola
103
Meteora
Rubriche
valtellinesi
nel mondo
Beno
104
Sorprendente vista sul complesso di
Meteora da Agia Apostoli (4 aprile 2011,
fotoLe
Beno).
Montagne Divertenti Estate 2011
Le Montagne Divertenti In Grecia, appena a SO del massiccio del
monte Olimpo, si eleva un complesso
di altissime guglie di arenaria, verticali e
inaccessibili da ogni lato. " Qui, su quelle
aride rocce, divenute palazzi per migliaia
di eremiti, i monaci ortodossi impararono
ad essere saggi nel pensiero
ed umili nella volontà".
Meteora
105
Rubriche
Valtellinesi nel mondo
La torri di arenaria sopra Kastraki su cui sorge Meteora (4 aprile 2011, foto Beno). Dal finire degli anni settanta sono meta ambita dei rocciatori. Sono
state aperte oltre 800 vie, pur rispettando la regola morale di non salire sulle 6 torri ove vi sono monasteri ancora utilizzati.
APRILE 2011
opo aver litigato 5 giorni col
caos insostenibile di Istanbul,
riusciamo a scappare. Ci imbarchiamo
su un pullman notturno a 2 piani che
barcolla come una zattera nel mare in
burrasca. Sono 12 ore di viaggio della
speranza da Instanbul a Salonicco.
Passare il confine tra Turchia e Grecia
è piuttosto laborioso, specie perché i
doganieri si agitano e diventano particolarmente zelanti se vedono persone
dai lineamenti non europei, come il
giapponese e l'americano che siedono
nei sedili anteriori del nostro bus.
Salonicco arriva con l'alba. E'
domenica ed è tutto deserto. Una
grossa città industriale la cui periferia
è un susseguirsi di parallelepipidi di
cemento.
Dalla stazione prendiamo un treno
per Litochoro, punto di partenza
classico per l'ascesa alla punta Mitikas (m 2918), massima elevazione
dell'Olimpo. Il treno ferma nel nulla
a 5 km dal paese, che è a più di 10 dal
parcheggio dove gli alpinisti lasciano
l'auto. Tutto è chiuso. Camminiamo
in leggera salita sotto il sole, ma
più il paese s'avvicina più la voglia
d'Olimpo s'allontana: la neve è molto
più bassa che da noi in Valtellina (inizia a circa 1000 metri), la cima non si
vede e, in generale, tutto ciò che sta
sopra il limite degli alberi sta anche
sopra alle nebbie che avvolgono il
massiccio e preservano la privacy di
Zeus e compagni. Insomma, si pro-
D
Pixari. Dagli antri nella parete penzolano
ancora le scale usate dagli eremiti
Le foto
Montagne
(4106
aprile 2011,
Beno.) Divertenti Estate 2011
Le Montagne Divertenti spetta una sfacchinata senza senso per
toccare una delle vette più frequentate
del vecchio continente. Così torniamo
sui nostri passi e alle 14 eccoci nuovamente alla stazione di Salonicco.
oleggiamo un'auto, piccola,
bianca, 30 € al giorno con un
tetto giornaliero di 150km.
Ripartiamo più comodi, sempre
verso Lithocoro, ma questa volta
il massiccio dell'Olimpo lo attraversiamo guidando sulla tortuosa
stradina di montagna che da Skala
Leptokariàs giunge a Elassona.
Prima del rally facciamo una sosta
al mare, una corsa sulla spiaggia vuota
e un bagno per lavar via le tossine di
troppi giorni nella ressa metropolitana. Mille curve e attraversamenti
di isolati nuclei montani, ed ecco la
cittadina di Elassona, dove troviamo
una paninoteca e un affittacamere per
la notte (20 € a testa).
veglia di buon'ora e ancora verso
ovest tra campi, pascoli e piccoli
rilievi calcarei. I paesaggi sono distensivi: è primavera, è tutto in fiore. Ci
fermiamo nella piana che c'è dopo
Deskati a fare due passi e ispezionare
una grande grotta sotto cui pare esserci
una stalla. Tra le fioriture spunta una
bella Tartaruga graeca. La catturo
con grande abilità (!?) per vederla
meglio. L'animale pare tanto indaffarato che non si rintana nemmeno nel
suo guscio, ma si agita come a dirmi:
"Mettimi giù che devo andare". Così
la lascio tornare tra i fiori.
N
S
In meno di un'ora d'auto, in tutto
tre da Salonicco, preso il bivio per Trikala, oltre i campi si iniziano a vedere
alcune guglie altissime, di una roccia
scura. Si elevano a est sopra il paesino
di Kastraki.
Noi ci portiamo un po' più a sud
nella cittadella di Kalambàka, da cui
iniziamo la nostra avventura.
Abbiamo parcheggiato ai piedi
di Agia Apostoli, la più alta torre
di Meteora (m 677) e, mirando a
un gruppetto di capre che incredibilmente camminano sulla parete,
entriamo nello stretto passaggio fra
due torri. Clima piacevole.
Oltre un prato fiorito, possiamo
finalmente toccare con mano questa
roccia. E' composta da ciottoli arrotondati, per lo più della dimensione
di 5-10 cm, cementati assieme. Sasso
su sasso, circa 60 milioni di anni fa, si
sono formate queste torri alte centinaia
di metri che mettono le vertigini solo
a guardarle: pare possano cascarti in
testa da un momento all'altro. Vi assicuro che gli strapiombi del Màsino a
confronto sono un ambiente rilassante!
Al primo incontro col conglomerato, non è che mi fidi molto a
camminarci sopra. Parrebbe terreno
lubrico e instabile, ma, quando gli
diamo confidenza, notiamo che non
si scivola affatto.
Ed ecco, oltre uno stretto varco,
proprio sul massiccio dinanzi a noi
(Pixari), vediamo delle cavità in
mezzo alla parete da cui penzolano di
Meteora
107
Rubriche
I monasteri di Varlaam (sx), Agios Nicolaos e della Trasfigurazione (al centro rispettivamente in basso e in alto) e Roussanou (a dx) (5 aprile 2011, foto
Beno). Leggenda narra che ci vollero ben settant'anni per portare in cima al torrione il materiale necessario per la costruzione del monastero della
Trasfigurazione, la Grande Meteora - un complesso da ben 50 mila metri quadri in cui la chiesa principale è alta 24 metri.
moconi di scala con pochi pioli, poi
sotto 30 metri di vuoto. Quelle erano
le residenze dei monaci più ascetici e
degli eremiti convinti. Oggi non ve
ne sono più e quegli antri sono tutti
disabitati.
Aggirata una torre ecco apparire i
monasteri tutt'ora utilizzati. Sono al
vertice di pilastri impressionanti.
Ne contorniamo alcuni, senza però
riuscire a spiegarci come possano
essere salite lassù delle persone più di
108
Le Montagne Divertenti mille anni fa. Ci documentiamo.
I libri dicono che alla fine del X
secolo alcuni monaci abbiano cominciato a colonizzare queste guglie. Dei
disegni settecenteschi raffigurano
grandissime impalcature. Probabilmente grazie a quelle arrivavano in
cima. In alcuni casi il salto da vincere
era di centinaia di metri!
Fatto un pianerottolo in legno i
monaci vi appoggiavano sopra il successivo, poi ogni 6-7 metri conficca-
vano un palo nella roccia per evitare
che crollasse tutto. Così per mesi,
anni, fino alla sommità, in genere
molto ampia e addirittura ricoperta
di vegetazione. Non è difficile capire
l'appellativo di Meteora: lontani sia
dalla terra che dal cielo, proprio come
le nuvole.
Quand'era tutto pronto per i lavori
di costruzione del monastero, le
impalcature venivano gettate; cibo,
materiale e uomini vi potevano salire
Estate 2011
Varlaam (fondato nel 1350) sorge su un roccione alto 373 metri. La chiesa fu costruita in soli 20 giorni ma, come riportano i documenti, ci vollero ben 22
anni per portare fin lassù tutto il materiale. Roussanou (fondato nel 1288) sorge su una piattaforma rocciosa appena in grado di contenere la costruzione.
Oggi è monastero femminile.
solo grazie alle corde o alle scale che
venivano calate dall'alto.
In questo modo si poteva accedere
ai monasteri solo se i monaci lo volevano. Questi luoghi erano perciò inespugnabili a qualsiasi esercito.
Di grandezza differente a seconda
dello spazio disponibile, ne vennero
eretti oltre 20, di cui oggi solo 6
sono abitati e visitabili (l'inesorabile
declino è iniziato nel XVII sec.).
Dei monasteri abbandonati rimanLe Montagne Divertenti gono in alcuni casi le rovine, in altri
solo testimonianze scritte che ne attestano l'esistenza.
assiamo così un'intera giornata
fra canyon e valichi desueti a
caccia di rovine.
Eccoci nel tentativo di salire su Agia
Apostoli. Tra cenge e strapiombi raggiungiamo un paio di vecchie cisterne
per l'acqua scavate nella roccia, poi
una gradinata espostissima che porta
in cresta e poi... più nulla se non un
P
panorama mozzafiato con Kalambaka
sotto i nostri piedi.
Ci spostiamo nella zona di Alissos1 e
negli spuntoni vicini, ma degli antichi
monasteri restano poche labilissime
tracce: seguendo un gruppo di capre
al pascolo ai piedi di una paretona con
colate nere scopriamo che in cima c'è
un muro diroccato, probabilmente i
resti della postazione con l'argano per
1 - È la più inaccessibile delle torri con pareti
immani (2-300 metri) su ogni lato.
Meteora
109
Rubriche
Le guglie disabitate di Meteora al tramonto. Sulla sx vi è l'impressionante Alissos, immeditamente a dx - con un grande prato in cima - Modi, dove vi sono
tirar su il materiale.
i dirigiamo così verso la Grande
Meteora, il maggiore di questi
complessi, che ci appare incorniciato
dalle scure pareti della gola che stiamo
scendendo. A sinistra vi è una guglia
più bassa di cui vediamo la cima, tutta
fiorita e verde, che pare un giardino
orientale. Un luogo distensivo se esistesse modo di arrivarci senza rischiare
la pelle!
Il nostro cammino costeggia sparate
di spit e anelli per i rocciatori, ma in
due giorni non ne vedremo mai uno
all'opera e io rimarrò col dubbio che
C
110
Le Montagne Divertenti si possa scalare in libera sul conglomerato. I miei miseri tentativi si sono
tutti arenati quando avevo ancora un
piede a terra!
Antonio Boscacci mi ha detto che
lui lì ha arrampicato ed è stupendo,
ma mi ha confermato che abituarsi
a quella roccia richiede un po' di
pazienza.
Arriviamo sul serpente asfaltato che
sale verso Varlaam, la Grande Meteora
a nord, Agia Trias e Agios Stephanos a
sud, passando per Roussanou, diventato in tempi moderni un monastero
femminile.
Le auto procedono a passo d'uomo
e i conducenti non badano tanto al
guard-rail quanto al paesaggio.
l vociferare dei turisti purtroppo
non lascia neppure immaginare
il clima di beatitudine dell'eremo,
anche se la presenza di cantine con
botti suggerisce che non si pregava
solamente.
Nell'angolo più esposto del cortile
di Agias Trias, il precipizio ci offre la
pace che cercavamo. Fantastichiamo
su come doveva essere la vita quassù
e studiamo le vie da cui si potrebbero
scalare le altre torri disabitate.
I
Estate 2011
i resti (visibili anche dal basso) di un antico monastero. All'estrema dx della foto si vede il roccione dove c'è la prigione dei frati (4 aprile 2011, foto Beno).
I
monasteri oggi utilizzati sono
stati tutti serviti da scale scavate
nella roccia già all'inizio del XX secolo
e che permettono un massiccio flusso
turistico. Le infrastrutture sono state
realizzate con generose donazioni, le
stesse che nel passato hanno sostenuto tutti questi centri e permesso
la costruzione di edifici di pregevolissima fattura. Lo stupore dei ricchi
"turisti" d'altri tempi doveva esser tale
da ben predisporli a cospicue offerte:
si parla addirittura di eredità e latifondi all'estero.
L'accesso degli uomini, ovunque
Le Montagne Divertenti fino a cent'anni fa, avveniva con scale
di corda o con scale pieghevoli di
legno gettate dal monastero.
Chi aveva troppa paura per salire
con le sue sole forze veniva messo
nella rete delle provviste e sollevato
nel vuoto con l'argano e la corda di
canapa che strideva: un bel modo
per farsi venire un infarto!
Gli interni degli edifici di Meteora
sono impreziositi da bellissimi affreschi di epoca bizantina con singolari
particolari in altorilievo. Sono custoditi inoltre antichi testi e icone di
grande valore.
I
l giorno volge al termine e,
accompagnati dall'ultimo sole,
stiamo scendendo a Kastraki quando,
nel bel mezzo di una torre conica
(vicina ad un'altra chiamata Sfica),
vediamo una grotta con impalcature
sospese a oltre 50 metri da terra: è
la prigione dove venivano rinchiusi i
monaci sorpresi in azioni poco degne
del loro abito.
eniamo all'aperto. Le torri di
Meteora si stagliano come vette
possenti nel cielo stellato. Cullate dai
grilli e dal vento emanano tutta la loro
magia e ci addormentano.
C
Meteora
111
Rubriche
Il mondo in miniatura
I
INGANNEVOLE
APPARENZA
l mondo degli insetti è una giungla meravigliosa, ma anche feroce
per i suoi minuscoli abitanti.
Al di là dei nostri occhi un’incredibile varietà di forme di vita conduce
un’esistenza regolata da strategie, astuzie e camuffamenti, frutto di raffinate
specializzazioni indispensabili per
sopravvivere.
Tutto ciò non sfugge allo sguardo
curioso e indagatore di un bambino
come Carletto che non smette mai di
stupirsi di fronte alle stravaganze della
natura e vorrebbe svelare tutti i segreti
del microcosmo durante le passeggiate esplorative che intraprende con
il saggio nonno naturalista.
È una calda domenica di mezza
estate, il nonno procede piano, con
passo uguale e cadenzato, dietro a un
instancabile Carletto che corre a zigzag per i pascoli, divertito dalla scia di
innumerevoli cavallette che schizzano
come molle al suo passaggio. A un
certo punto, dove ricomincia l’ombroso sentiero, qualcosa spicca un
balzo da un alto cespuglio e Carletto
vede sfrecciare, proprio davanti al suo
naso, una grande sagoma verde che
si tuffa poi nel prato. Il bimbo fa un
sussulto, impossibile a quella velocità
capire di cosa si sia trattato, allora,
sopraffatto dalla curiosità, si mette
carponi e scruta meticolosamente
quei ciuffi d’erba che hanno inghiottito il misterioso acrobata.
Intanto il nonno lo raggiunge:
“cos’hai perso Carletto?”
“Cerco chi mi ha tagliato la strada,
era enorme e tutto verd…” ma la frase
si interrompe bruscamente quando
il suo sguardo incrocia quello di una
bizzarra creatura mai vista prima. La
fissa attonito per qualche secondo, gli
ricorda un personaggio di un film di
fantascienza, forse X-Files, ma anche,
vagamente, E.T. l’extraterrestre!
“Nonno, nonno guarda è un insetto
stranissimo, ha il corpo da cavalletta
e… la testa da alieno!”
La singolare creatura esercita un
vero e proprio potere ipnotico sui due
curiosi osservatori, impassibile nella
sua fredda eleganza mentre si lascia
dondolare dalla brezza assieme alle
foglie.
Nonno e nipote la esaminano in
silenzio, fin quando quell’esile figura,
noncurante delle loro attenzioni,
Alessandra Morgillo
Lo sguardo enigmatico di una giovane Mantis religiosa (19 luglio 2010, foto Paolo Rossi).
112
Le Montagne Divertenti Estate 2011
Le Montagne Divertenti o forse ormai consapevole di non
poter più contare sul proprio artificio mimetico, ruota il piccolo e buffo
capo triangolare sormontato da due
lunghe antenne filiformi e con una
curiosa andatura oscillante si sposta
lentamente sulle sottili zampe tra i
fusti erbacei, nell’intento di raggiungere una posizione più elevata.
“E’ una bella mantide religiosa”
afferma il nonno, che fino a quel
momento aveva trattenuto il fiato per
non rompere l’incantesimo di quello
sguardo.
“Perché si chiama così?” giunge fulminea e prevedibile la domanda del
nipotino.
Come se anche l‘insetto l’avesse
udita, ecco che si arresta, ritrae le due
grandi zampe anteriori e le allinea
sotto il capo assumendo una singolare postura. “Sembra un profeta in
preghiera” commenta il nonno, “in
sintonia col nome scientifico dato alla
specie: Mantis religiosa.
In greco mantis significa appunto profeta o
indovino, mentre l’appellativo religiosa allude
alla posizione caratteristica che ricorda un
uomo che prega.
Questo insetto non è rimasto indifferente agli uomini che sin dall’antichità l’hanno temuto e rispettato”,
continua il nonno, “se presso alcuni
popoli era ritenuto foriero di sventure, per altre civiltà era considerato
sacro, capace, per esempio, di guidare
i viaggiatori smarriti, indicando loro
la retta via con una zampa. Persino i
suoi movimenti sono stati emulati e
hanno ispirato il tang-lang, uno stile
delle arti marziali cinesi”.
“La conoscono anche in Cina?”
chiede stupito il bimbo.
“I Mantoidei sono fra gli insetti maggiormente diffusi sulla Terra. Vivono in
tutte le foreste tropicali, ma anche nei luoghi più aridi e persino nei deserti. In Italia sono presenti ben dodici specie che si
possono incontrare negli incolti e nei prati
assolati dal piano fino ai 1000 metri di
quota. Stiamo osservando la più comune
e la più grande delle mantidi europee, la
femmina di questa specie può superare
tranquillamente i sette centimetri”.
La mantide religiosa
113
Rubriche
L’inquietante sguardo di un maschio in controluce di Mantis religiosa.
La colorazione delle mantidi può variare dal verde chiaro al bruno, con
gradazioni intermedie, in relazione al tipo di vegetazione prevalente che
caratterizza il loro ambiente. Questo efficace espediente mimetico le rende
invisibili alle prede e allo stesso tempo consente loro di nascondersi alla vista
dei predatori (11 settembre 2010, foto Alessandra Morgillo).
“Sembra la regina di tutti gli
insetti” esclama il bimbo, ma subito
aggiunge: “sarà anche religiosa, però
ha uno sguardo un po’ inquietante…
non trovi anche tu?”
“Sei un osservatore perspicace e
intuitivo Carletto, infatti di sacrale e
benevolo non ha proprio nulla, è solo
apparenza!”
“La mantide è una spietata cacciatrice, un vero incubo per tutti
gli abitanti del microcosmo. La sua
strategia è l’agguato, che consiste nel
rimanere immobile per ore, invisibile
grazie al corpo esile e allungato che si
confonde perfettamente con la vegetazione, ma vigile e pronta a sferrare
114
Le Montagne Divertenti il suo infallibile attacco senza lasciar
scampo a qualunque incauta preda gli
capiti a tiro, anche se è tre volte più
grande di lei”.
Il bimbo ascolta affascinato e, come
molti suoi coetanei, si sente anche un
po’ attratto dalle azioni cruente della
natura. Chiede allora impaziente:
“come fa a catturare le sue prede?”
“Osservala bene, di solito ad una
forma insolita è associata una funzione ben precisa, guarda le sue zampe
per esempio, noti qualcosa di strano,
ti sembrano tutte uguali?”
“No, le braccia assomigliano a delle
grandi tenaglie seghettate.”
“Sono queste, infatti, le sue mici-
Suggestivo ritratto di Mantis religiosa, un esempio di mimetismo perfetto (5 novembre 2009, foto Matteo Gianatti).
diali armi” annuisce il nonno: “le
due zampe anteriori acuminate e
dentellate vengono dette raptatorie perché scattano con precisione e
rapidità per afferrare la preda e, una
volta ripiegate, la trattengono mentre
viene divorata con le robuste mandibole. La femmina è talmente vorace e
insaziabile che può diventare persino
cannibale visto che spesso si mangia
anche il marito! Questo comportamento può essere spiegato dal fatto
che ha un grandissimo bisogno di
proteine per le sue uova, che deporrà
sul finire dell’estate su pietre o rami,
in un involucro protettivo chiamato
ooteca, da cui usciranno, la primaEstate 2011
vera successiva, oltre un centinaio di
giovani mantidi, del tutto simili agli
adulti tranne che per le dimensioni”.
“Forte!” esclama Carletto, che, per
nulla turbato dai racconti del nonno,
inizia a solleticare con un filo d’erba
quelle tremende zampe, speranzoso di
provocarne una qualche reazione.
Ma mai avrebbe immaginato
di suscitare una risposta d’effetto
tanto… scenografico!
La mantide indispettita, infatti,
prima ruota la mobilissima testa di
quasi 180 gradi, capacità eccezionale
per un insetto, per rivolgere i grandi
occhi sporgenti verso quell’umano
molesto. Poi si gira di fronte e solleva
Le Montagne Divertenti le zampe raptatorie, contemporaneamente sfodera, con uno scatto fulmineo, due grandissime e inaspettate ali
che le conferiscono un aspetto terrifico e al contempo strabiliante.
“Ehi che brutto carattere!” sobbalza
Carletto sbalordito, non aveva considerato che potesse nascondere le ali e
soprattutto non si aspettava una tale
esibizione minacciosa.
“E’ in atteggiamento difensivo” gli
spiega il nonno, elettrizzato anch’egli
dalla spettacolarità dell’evento, “ma in
realtà è solo un innocuo inganno che
è solita riservare ai potenziali predatori e ha lo scopo di farla apparire più
grande per intimidirli”.
Ripensando alle parole del nonno,
il bambino ora comprende come
tale insolita creatura abbia colpito e
impressionato tante civiltà del passato. È uno degli insetti più bizzarri in
cui si sia mai imbattuto ed è rimasto
molto meravigliato dalla sua insidiosa
eleganza. Mentre fantastica, però,
l’insetto decide che è il momento di
congedarsi e con strepito spicca uno
stentato volo traballante. “Sarà anche
una spietata predatrice, ma di certo il
volo non è il suo forte” pensa tra sé e
sé il bimbo, compiaciuto di aver svelato anche questo suo segreto, mentre
la osserva sparire nel fitto intrico degli
arbusti.
La mantide religiosa
115
Flora alpina
Rubriche
D
VIVERE IN
SIMBIOSI
al greco sùn, «con, insieme» e
bìos, «vita», il termine simbiosi
è spesso utilizzato nel parlar comune
col significato di stretta relazione
tra persone che vivono in completa
comunione di idee e di interessi.
Ma in natura una simbiosi è qualcosa di più: si tratta di un fenomeno
biologico molto diffuso che si verifica
quando organismi molto diversi fra
loro coesistono in un’unica associazione strettamente integrata.
Per fare un esempio, quasi il 90%
delle specie vegetali instaura associazioni con funghi del suolo (simbiosi
definite micorrize), mentre alcune
piante, come le leguminose, ospitano
presso le proprie radici dei batteri in
grado di fissare l’azoto (batteri del
genere Rhizobium che si insediano
nelle radici, inducendo la formazione
di tipici noduli radicali). In questi
casi la relazione che intercorre tra i
due organismi è reciprocamente vantaggiosa: nel primo esempio la pianta
trae beneficio dalla micorriza che
amplifica la superficie radicale e facilita l’assorbimento delle sostanze dal
terreno, mentre nel secondo, grazie
all’attività dei batteri azotofissatori,
sfrutta l’opportunità di assimilare
l’azoto atmosferico, che altrimenti
non potrebbe utilizzare. Al contempo
funghi e batteri possono contare sulla
disponibilità alimentare e protezione
offerta loro dalla pianta ospite.
In natura non sempre le associazioni
risultano convenienti per entrambi i
soggetti coinvolti (detti simbionti); in
diversi casi, infatti, è solo uno dei due
organismi a trarne vantaggio, spesso a
spese dell’altro. Quando però ambedue i simbionti cooperano in armonia
alla vita comune, la simbiosi viene
detta mutualistica e può dar luogo a
convivenze insolite e curiose.
Alessandra Morgillo
Cetraria islandica. Lichene fruticoso tipico delle nostre
aree montane, molto diffuso nelle zone temperatefredde da cui il nome comune “lichene d’Islanda”.
Conosciuto per i diversi usi in erboristeria, in
medicina, come antinfiammatorio o contro la tosse e in
cosmesi. In passato, sebbene amaro, i popoli del Nord
Europa lo utilizzavano anche in cucina per preparare
gelatine e addensanti. (6 marzo 2011, foto A. Morgillo)
116
Le Montagne Divertenti I licheni: affascinanti espressioni
del vivere insieme • Un tempo si
pensava che i licheni fossero strani
vegetali dotati di una propria individualità e venivano spesso confusi coi
muschi, seppur con aspetto e caratteri inconsueti. Il termine leichén,
dalla radice di léicho, cioè "lambisco",
venne usato dallo studioso greco Teofrasto (III secolo a.C.) per descrivere
alcuni strani organismi, dalla struttura appiattita, che colonizzavano la
Estate 2011
Le Montagne Divertenti corteccia degli alberi. Solo molto più
tardi, nel 1867, lo scienziato svizzero
Simon Schwendener dimostrò la vera
natura dualistica dei licheni. Oggi lo
studio di questi particolari organismi
è affidato ad una specifica branca della
botanica chiamata lichenologia.
Cosa sono dunque i
licheni? Sono il risultato
dell’unione tra due organismi di regni differenti,
un fungo e un alga. Si
tratta di una simbiosi
mutualistica, poiché il
fungo ricava nutrimento
dai composti organici
prodotti grazie all’attività
fotosintetica dell’alga,
la quale invece riceve in
cambio protezione, acqua
e sali minerali.
Questa stretta alleanza si è rivelata,
nel corso dell’evoluzione, una scelta
adattativa vincente. I licheni, infatti,
possono colonizzare quasi ogni superficie, anche quelle più aride e sterili.
Sanno adattarsi, inoltre, alle più
estreme condizioni, riuscendo a sopportare stress idrici e climatici sia nelle
zone desertiche che in quelle polari,
cosa che né i funghi né le alghe, presi
individualmente, sarebbero in grado
di fare. Così i licheni si possono vedere
un po’ ovunque, su massi o tronchi,
muri o monumenti, ma anche su supporti meno consueti quali metallo,
asfalto e laterizi. Rivestono le superfici
con formazioni gialle, verdi, grigie e
rossastre, dando luogo a composizioni
colorate e complicati disegni o ornamenti pendenti dai rami degli alberi.
Il loro ruolo in natura è quindi
molto significativo, in quanto, da
entità pioniere, si insediano per primi
su substrati naturali o artificiali impossibili per altre forme di vita. Il loro
ciclo vitale contribuisce poi ad alterare
e disgregare lentamente la superficie
su cui aderiscono e in seguito a formare un sottilissimo strato di humus,
preparando le condizioni perché altri
vegetali vi si possano insediare.
Quasi tutti i funghi che partecipano
alla simbiosi lichenica sono Ascomiceti e i loro simbionti abituali sono
microscopiche alghe verdi, anche se
in alcune specie sono presenti alghe
azzurre (cianobatteri). Impossibile
distinguere i due individui simbionti,
che si fondono perfettamente in una
complessa struttura, il tallo, costituita
da ife fungine.
I licheni presentano differenti
forme di crescita che ne consentono
la classificazione. Tra le forme principali si distinguono: i licheni crostosi,
Rhizocarpon geographicum. Lichene crostoso molto diffuso, tipico delle rocce silicee esposte
della zona alpina. Grazie alla crescita regolare e alla longevità, la misura delle sue dimensioni
consente di valutare il tempo di esposizione della roccia che lo ospita, un metodo di datazione
affidabile per depositi e morene glaciali (18 luglio 2009, foto A.Morgillo).
Licheni e piante simbiotiche
117
Rubriche
Trifolium alpinum L.
Trifoglio alpino, esempio di pianta simbiotica
Franco Cirillo
Xanthoria elegans. Lichene crostoso dal tipico colore arancione acceso che aderisce alle
rocce (epilitico), specialmente quelle su cui si posano gli uccelli. L’estrema adattabilità di
questi organismi è stata dimostrata da un esperimento: alcuni campioni di questa specie
sono stati esposti all'ambiente spaziale per qualche giorno. Durante questo tempo hanno
arrestato il proprio metabolismo, ma una volta riportati sulla Terra hanno ripreso la loro
normale attività (16 agosto 2009, foto A. Morgillo).
caratterizzati da patine molto aderenti
al substrato, come il Rhizocarpon
geographicum, abbastanza comune
sulle rocce, chiamato così perchè pare
disegnare tondeggianti isole gialle e
nere su una carta nautica; i licheni
foliosi costituiti da sottili lamine che
crescono in direzione parallela rispetto
al substrato; i licheni fruticosi, mai
completamente fissati al substrato, al
quale aderiscono per mezzo di una
ridotta porzione di tallo, hanno un
aspetto cespuglioso o pendono dai
rami o dalle rocce con formazioni
filamentose ramificate. Sono fruticosi i licheni come Letharia vulpina,
conosciuto per la sua tossicità, o quelli
appartenenti al genere Usnea, altrimenti noti come Barba di bosco.
Un'altra peculiare caratteristica
dei licheni è la loro lentissima crescita, nell'ordine dei pochi millimetri
all'anno; il sopra citato Rhizocarpon
geographicum è il lichene che presenta
118
Le Montagne Divertenti la crescita più lenta, impiegando un
secolo per crescere di soli 4 mm.
Licheni come indicatori della
salute dell’ambiente • In passato
l’interesse per i licheni era relativo
fondamentalmente al campo farmacologico, industriale (per la produzione
di coloranti o cosmetici) o alimentare;
oggigiorno hanno assunto una maggiore importanza, in quanto studiati
come strumento di analisi ambientale.
Il lento accrescimento associato alla
capacità di assorbire e di accumulare le
sostanze presenti nell’atmosfera, oltre
a una notevole sensibilità agli agenti
inquinanti, dovuta all’impossibilità di
eliminare le sostanze assimilate, fanno
dei licheni ottimi indicatori della qualità ambientale. Vengono perciò definiti bioindicatori, cioè organismi nei
quali è possibile individuare, e spesso
quantificare, la presenza di determinate sostanze inquinanti.
Xanthoria parietina. Lichene giallo folioso
epifita (cioè il substrato abituale sono le
piante), uno dei pochi, assieme ai licheni grigi
del genere Physcia, in grado di tollerare bene gli
ambienti fortemente antropizzati e inquinati (6
marzo 2011, foto A. Morgillo).
Ciò è reso possibile anche dal
fatto che la loro attività metabolica
è ininterrotta, il che significa che per
tutto l'arco dell'anno, a prescindere
dalle temperature o altre condizioni
meteorologiche, presentano sempre
un'attività metabolica e di accumulo.
Inoltre sono molto longevi (i licheni
crostosi raggiungono anche i 300
anni di vita e, nei climi artici, alcune
specie possono vivere oltre i 3000
anni) e di ampia diffusione, visto che
si conoscono almeno 15.000 specie
(di cui oltre duemila conosciute oggi
in Italia) distribuite praticamente in
tutti gli ambienti terrestri. Tutti questi
fattori fanno dei licheni degli straordinari strumenti di indagine, pertanto
la loro alterazione o scomparsa in
certe aree può essere per noi campanello d'allarme sulla degenerazione
della qualità dell'aria e delle condizioni ecologiche in genere.
Estate 2011
Famiglia
Areale
Habitat
Fiori
Fabaceae (Leguminosae)
Sulle Alpi può essere considerata una pianta comune, appare meno frequentemente sull’Appennino Settentrionale mentre è assai rara sull’Appennino Centrale
Pascoli alpini, luoghi erbosi o rocciosi su substrato siliceo da 1400 a 2500 metri.
Raccolti in capolini posti in cima ad un robusto peduncolo lungo 5 - 15 cm e formati da 6 – 15
fiori peduncolati di colore variabile tra il rosa e il rosso porpora (raramente violacei o biancastri).
Frutti
Piccoli legumi, con un solo seme, racchiuso nel calice.
Foglie
Trifogliate, lanceolate e appuntite e con margine leggermente dentellato; sono solo basali.
Morfologia
Periodo di fioritura
Pianta perenne alta 10 – 15 cm con grosse radici fittonanti (cioè che affondano verticalmente nel
terreno) e con fusto legnoso alla base avvolto da guaine ferruginee con rami erbacei ascendenti.
Da giugno ad agosto
Etimologia
Il nome del genere deriva dal latino “tri” = “tre” e “folium” = “foglia”, si riferisce alle foglie
ternate. Il nome specifico fa riferimento all'habitat, prevalentemente alpino.
Curiosità
Come la maggior parte delle piante appartenenti alla famiglia delle Fabaceae, Il trifoglio è
considerata una specie “migliorante” le condizioni del suolo. La presenza di batteri simbionti
contenuti in speciali noduli sulle radici, infatti, consente al trifoglio di fissare l’azoto atmosferico, arricchendo in questo modo il suolo di nutrienti.
Profuma intensamente e diffonde nell'aria un sentire dolciastro, quasi fastidioso, che inganna i
meno esperti sulla sua vera provenienza.
Le Montagne Divertenti Licheni e piante simbiotiche
119
Rubriche
Giorgio Orsucci
NELLA CASA
DEL SELVADEGO
120
Le Montagne Divertenti Estate 2011
La porta del museo (19 aprile 2011, foto G. Orsucci). Per visitare il museo dell'Homo Salvadego bisogna salire
a Sacco (m 700), il primo paese della val Gerola proveniendo da Morbegno. Al termine dell'abitato, nei pressi
di un albergo (sx), è la deviazione che porta alla piazza del paese, da cui, seguendo le indicazioni si è in breve al
Nella casa del Selvàdego
Le Montagne Divertenti
museo.
Per info (Museo dell'Homo Selvadego - tel. 0342/613124).
121
Alpi Orobie
Rubriche
La campanella all'esterno del Museo
dell'Homo Salvadego di Sacco (29 giugno
2008, foto Giorgio Orsucci).
L'affresco sul muro settentrionale: il Compianto sul Cristo Morto, con la figura del committente sulla destra (19 aprile 2011, foto R. Moiola).
S
acco (val Gerola) - Risaliamo
ansanti via Pirondini, mentre
il sole caldo del primo pomeriggio
ci arroventa la nuca. Sul Fioraro c'è
ancora neve, scintillante, quasi a farsi
beffa della nostra arsura. Un porticato, poi sulla destra un angusto cortile acciottolato. Su un campanello
troviamo "S. Vaninetti". Suoniamo.
Pochi istanti d'attesa e Serafino
compare alla porta, con in mano un
pesante mazzo di chiavi. Nell'accompagnarci su per delle scalette ci chiede
da dove veniamo, quindi infila una
grossa chiave nella serratura di un
vecchio portone, mentre noi alziamo
lo sguardo sull'enigmatica testa a tre
volti che decora la chiave di volta
122
Le Montagne Divertenti dell'arco d'ingresso. Poi la porta si
apre ed entriamo nel locale.
Eccola qui: la famosa camera picta,
orgoglio dei paesani di Sacco. È piccola, pulita e luminosa, tirata a nuovo
dai restauri che hanno preceduto
l'apertura al pubblico del sito, anno
1994. Non doveva presentarsi in tal
maniera cinquant'anni fa, quando
il locale era adibito a fienile, con la
paglia che per buona parte dell'anno
arrivava a solleticare il collo delle
figure dipinte.
Ma andiamo con ordine. Ci
occorre una chiave interpretativa per
districare la matassa figurativa con
cui ci troviamo a che fare. Un aiuto
significativo lo troviamo sulla parete
di destra. Al centro campeggia un
Compianto sul Cristo Morto, schema
iconografico di grande diffusione. Le
figure del Cristo, della Vergine e dei
due santi - San Giovanni Evangelista e
Sant'Antonio Abate - dominano con
imponenza la scena, e nascondono
l'arido paesaggio collinare che fa da
sfondo, il tutto inquadrato all'interno
di cornici colorate. Ma è a destra,
fuori dalla cornice, che troviamo un
elemento importante: è la figura inginocchiata del committente, le mani
giunte in preghiera, il viso rivolto al
Cristo, ma con lo sguardo che schizza
fuori dalla scena ad inquadrare i visitatori della sala.
Opus fecit fieri Augustinus de
Estate 2011
L'affresco sul muro orientale: l'Homo Salvadego (19 aprile 2011, foto Roberto Moiola).
Zugnonibus nomine Actius, die XVIII
madij 1464, così recitava una scritta
- oggi non più leggibile - alla base
del dipinto. A leggere gli archivi del
tempo, gli Zugnoni dovevano essere
una famiglia importante a Sacco e
nella bassa Valtellina. E leggiamo
anche di un certo Zanne Zugnoni,
notaio, che aveva un figlio di nome
Agostino. E se costui fosse proprio
il nostro Augustinus committente
della camera picta di Sacco, sarebbe
ammesso pensare ad essa come ad
uno studio di notaio. "Ma più in
generale la stanza di Sacco va inserita
nel contesto delle camere pictae valtellinesi, non infrequenti nel XV secolo,
nelle quali la lontana eco degli studioli
Le Montagne Divertenti umanistici moralizzati allestiti in tutta
Italia si provincializzava, paradossalmente trasformando le Muse, gli Dei e
i Parnasi in Uomini Selvatici, UominiLupo (come a Teglio) o Pietà con i santi
boschivi ed eremiti astanti" (Rossana
Sacchi, Migrazioni iconografiche e
vicende storiche dell’Uomo Selvatico,
in Sondrio e il suo territorio, Milano,
Silvana, 1995). La citazione anticipa il
tema dell'Homo Salvadego, che all'interno della camera picta di Sacco ha
una esemplare declinazione pittorica.
i lascia guardare per ultimo,
l'Homo Salvadego. Resta quasi
nell'angolo, sul lato destro dell'ingresso. Eppure, per i suoi caratteri di
singolarità e folklore, è divenuto vero
S
e proprio "padrone di casa", tant'è
che sulle mappe e sulle indicazioni
stradali il luogo si fa chiamare "Museo
dell'Homo Salvadego".
La figura è alta e regge il confronto
gerarchico con le dimensioni delle
figure religiose. È coperto di pelliccia
e armato di clava, e guarda assorto un
punto alle nostre spalle. I capelli, ricci
e arruffati, si fondono con la barba nel
folto pelame del petto e delle braccia.
Le mani e i piedi sono di scimmia, ma
il volto è umano, al contempo dolce
e severo.
A destra della bocca, a mo' di
fumetto, lascia detto Ego sonto un
homo salvadego per natura, chi me
offende ge fo pagura. È il suo biglietto
da visita. E in esso, in una sintesi perfetta, c'è davvero tutto quel che di lui
v'è da dire.
a chi è davvero questo "uomo
selvatico", come lui stesso
si è definito? Per rispondere occorre
uscire dalla camera picta di Sacco e
alzarsi in volo, comprendendo con un
sol sguardo la cultura popolare non
solo della Valtellina e delle Alpi, ma
veramente quella di tutte le aree montuose del nostro pianeta, dall'Italia
alla Russia, dall'America all'Australia.
M
Nella casa del Selvàdego
123
Rubriche
Dettaglio del volto dell'Homo
Salvadego. Sulla destra il cartiglio Ego
sonto un homo salvadego per natura, chi
me offende ge fo pagura (26 aprile 2011,
foto Giorgio Orsucci).
L'Homo Salvadego
altro non è che
la declinazione
valtellinese di quello
stesso "modello
universale" che
ha dato origine in
Himalaya alla figura
dello Yeti, o sulle
Montagne Rocciose a
quella di Bigfoot - e
per onor di cronaca,
al Kikomba (Zaire),
al Kibu (Sumatra), al
Kaptar (Caucaso), e a
innumerevoli altri.
124
Le Montagne Divertenti I
nsomma, comunque lo si chiami,
l'immagine dell'Uomo Selvatico
è presente in quasi tutte le società e
comunità della Terra, figura ricorrente
delle mitologie di montagna.
Cerchiamo pertanto di definire
l'essenza dell'Uomo Selvatico, l'idea
d'origine, quel timbro universale da
cui le diverse manifestazioni di selvadeghi nelle varie parti del mondo
hanno avuto origine. Parliamo di un
essere primordiale, che vive ai limiti
della società, caratterizzato da un forte
antropomorfismo, ma con alcuni tratti
che riconducono all'animale. E se è
vero che il mito pesca sempre nella
realtà, da dove si è originata, in tutto
il mondo, la figura del selvadego? Con
il tempo che ci è concesso si rischia
evidentemente di cadere in generalizzazioni semplicistiche, ma facciamo
comunque un tentativo. Modello
reale della figura mitologica dev'essere
il ramingo, o quell'uomo normale
che ha raggiunto un livello evolutivo
simile a quello degli altri, ma che
decide di tornare ad uno stadio d'origine, ritrovando un suo ecosistema
nello spazio selvaggio della natura. E i
casi di uomini fuggiti dalla collettività
e andati in natura sono più numerosi
di quanto si possa immaginare.
A questo punto si innesta la spicciola mentalità popolare, che impleEstate 2011
menta ed enfatizza tale figura reale
(o compatibile con la realtà) aggiungendovi elementi animaleschi, sia
fisici - quali peluria e gambe arcuate
- sia comportamentali - violenza, diffidenza, stupidità. Ciò si cristallizza nel
mito e sedimenta nell'immaginario
collettivo.
Tutto questo si riscontra con evidenza nell'analisi della figura che
abbiamo davanti ai nostri occhi. La
mano dell'artista, mossa dalla voce
e dalla credenza popolare, traccia i
lineamenti di una figura stereotipata,
mitologica, forse consapevolmente
non reale.
Le Montagne Divertenti Chi me offende ghe fò
pagüra.
L
'ambiguità di fondo del personaggio è lampante. In questa
dichiarazione di utilizzo della violenza
solo per autodifesa si legge la tensione
fra umano e animale, fra civiltà e legge
naturale, fra urbanitas e rusticitas. Da
una parte sfugge al consesso umano,
preferendo vivere in solitudine nei
boschi o nelle grotte, senza lavarsi né
radersi. Dall'altra sente il bisogno,
di tanto in tanto, di riavvicinarsi agli
uomini, i quali pure hanno atteggiamenti ambigui, ora scacciando con
ira il selvaggio, ora accettando da lui
consigli e segreti dell'arte della malgazione. Un dualismo che nella camera
picta di Sacco non trova una soluzione, quanto piuttosto una perfetta
rappresentazione.
Siamo giunti alla conclusione di
questa visita, e più in generale di questo viaggio all'interno della cultura e
della mitologia popolare alpina. La
lezione che abbiamo a mente quando
usciamo al sole che splende fuori
dalla stanzetta è quanto strettamente
l'uomo di queste valli fosse legato ai
suoi boschi, alle sue montagne, spazi
immensi inviolati e ignoti. Alla saggezza delle anziane signore il compito
di popolarli coi loro racconti.
Nella casa del Selvàdego
125
Tant en zéra
Dialetti
Graziano Nani
S
e c’è una cosa che trovo divertente delle mie montagne è
cercare di tradurre in italiano alcune
espressioni dialettali particolarmente
diffuse in Valmalenco. E viceversa.
D
a un lato mi sono sempre
chiesto come un innamorato
possa manifestare apertamente
il proprio sentimento attraverso
il gergo locale. Il più semplice “ti
amo”, infatti, risulta difficilmente
traducibile. Persino il più morbido “ti
voglio bene”, tutto sommato, suona
abbastanza strano. Provate, forse c’è
una strada. Io non l’ho trovata.
all’altro lato esistono espressioni dialettali tendenzialmente intraducibili in italiano, se
non a seguito di tortuosi ghirigori
sintattici.
A l’è scià l’oltru, direte voi. Ecco,
per esempio. Cosa vuol dire questa
frase? E ancora prima: di che si
D
Armonie del Bernina
6-7 agosto 2011
Rifugio Marinelli (m 2813)
info: www.caigiovani.blogspot.com
126 Le Montagne Divertenti Estate 2011
tratta? È un’esclamazione? In un certo
senso sì, ma c’è di più. Perché è anche
una provocazione, a dire il vero.
Un’affermazione. E un modo di dire.
Perché se rispondete a un vostro
amico a l’è scià l’oltru, con una sola
frase lo state tacciando di presunzione, state mettendo in dubbio
la veridicità della sua affermazione e soprattutto
state maneggiando un
registro impregnato di
quell’ironia pungente che
la gente della valle conosce
bene. Un messaggio a tutto
tondo, per il quale avete
persino delle
alternative, a
seconda di
come volete
modularlo. Potrete ad esempio scegliere un più secco al za pö lü. E se
voleste screditare in toto l’interlocutore, sparerete un bel el a bot vardàt.
Rubriche
Dialetti
B
ene, con queste tre frasi sotto
mano possiamo tornare alla
questione della traduzione. Diciamo
che se con a l’è scià l’oltru il messaggio è più o meno “eccolo quello
che crede di saperne più di tutti
gli altri e invece non si rende
conto di aver fatto un’affermazione quantomeno azzardata
se non completamente errata”,
con al za pö lü vado a mettere in
dubbio non soltanto la veridicità
del messaggio, ma la reputazione
stessa dell’interlocutore.
Con el a bot vardàt, infine,
esprimo addirittura il mio rifiuto a
perdere tempo in un discorso con
lui, sintetizzando il mio diniego con
uno sguardo di sufficienza che non
lascia scampo. Messaggio che, peraltro, potrei esprimere attraverso altre
forme sintattiche ancora più estreme,
una su tutte l’ottimo ma ghe set oh,
che arriva a mettere in dubbio la
salute mentale della persona con cui
sto parlando.
on sono un linguista, non
ho avuto modo di studiare
il dialetto della Valmalenco e probabilmente qualcuno mi direbbe te
gh’è amò de maian de pulenta soci. E
forse avrebbe ragione. Però ho dalla
mia il fatto che in famiglia si
parla il dialetto. Le mie nonne,
pur conoscendo l’italiano,
utilizzano prevalentemente il
gergo locale. I miei genitori,
dal canto loro, orchestrano
un buon mix di italiano
e malenco a seconda delle
esigenze: ancora adesso, quando
vogliono essere davvero assertivi,
non hanno dubbi su quale codice
utilizzare.
Una posizione privilegiata, la
mia, da cui è partita la curiosità verso queste
espressioni
gergali, guidata
da un’idea
molto semplice:
queste locuzioni in
italiano non esistono. Posso citare un
proverbio. Posso provocare, asserire,
o lasciarmi sfuggire un’esclamazione.
Ma di sicuro con la lingua italiana
non posso comunicare tutto questo
attraverso una sola frase di poche
parole. Ecco la ragione che mi ha
parlare in gergo - a Lanzada
Valentina Messa
V
i è mai capitato di passeggiare
per le vie di un paese di montagna e ascoltare una conversazione il
cui significato vi sfugge totalmente?
Parole sconosciute, a metà tra il dialetto e una lingua straniera. A Lanzada, in Valmalenco, può succedere
e nemmeno troppo raramente. I suoi
abitanti, i magnan, custodiscono, con
la dovuta gelosia che si riserva ai beni
più preziosi, i segreti di un vero e
proprio linguaggio, coniato in un passato non molto lontano (si presume
intorno al 1500): il calmùn. L’origine
di questo gergo, di cui già abbiamo
accennato nello scorso numero, è
da ricercare nei principali luoghi di
incontro: la strada, l’osteria, i luoghi
di lavoro. Ha funzioni prevalentemente pratiche, legate alle esigenze
lavorative e ai bisogni primari, pur
non trascurando gli affetti e i sentimenti familiari e religiosi.
N
128
Le Montagne Divertenti Il calmùn rappresentava
un linguaggio segreto e
misterioso, necessario
per preservare la propria
identità e, allo stesso
tempo, prendersi gioco del
proprio interlocutore!
spinto a scrivere di questi temi. La
stessa che mi porta, durante le cene in
famiglia o le serate al bar, a mescolare
chiacchiere e risate con appunti sparsi
presi de sfross.
n attesa di raccoglierne abbastanza, forse, da progettare un
I
dizionario ragionato delle locuzioni
malenche. Fa pö bel mi direte voi, se
vorrete essere gentili. Altrimenti, sono
sicuro, vi scapperà un bel al gà pö
temp. E a me non resterà che un ciapa
e porta a cà.
Estate 2011
Molti furono negli anni curiosi che
interrogarono i magnani sul significato di queste parole misteriose, rare
e ed evasive le risposte di chi, ancora
oggi, non ha nessuna intenzione di
condividere un bene tanto radicato
nella propria tradizione. La risposta
più diffusa a chi chiedeva spiegazioni
si racchiudeva in una simpatica filastrocca giocata sulle desinenze latine:
Bis bir biribus, et imbaldücaribus, et
inscatelaribus…et non intramöiaribus”, vale a dire “Cari i miei forestieri
(bir), voi siete dei somari (baldüch)
perché vi sto prendendo in giro (scatelàa) … e voi non capite (intramöiàa)”.
Un chiaro esempio di furbizia linguistica.
Il calmùn serviva dunque da mecLe Montagne Divertenti canismo di difesa contro gli stranieri
e rafforzava la solidarietà e la complicità tra compaesani. Questo era ancor
più vero tra coloro che si trovavano
costretti ad emigrare alla ricerca di
nuovi sbocchi e opportunità professionali: lontani da casa e dalle proprie
tradizioni, parlare calmùn consentiva
di ritrovare un po’ di quell’intimità e
identità di paese perduta.
A volte, però, l’utilizzo di questo
linguaggio era funzionale anche alle
attività di contrabbando con la vicina
Svizzera: ingaggi svolti con discontinuità in rapporto alle stagioni e alle
crisi economiche, tollerati secondo
necessità, ma ovviamente ai limiti
della legalità.
I detentori del gergo erano certamente gli uomini di Lanzada. In
bocca alle donne questo linguaggio
era giudicato sconveniente. Pur non
presentando forme volgari o particolarmente sboccate, il calmùn non
si addiceva alle mogli e madri del
paese. D’altro canto non ne avevano
nemmeno bisogno, dal momento che
la funzione primaria di questo modo
di comunicare era legata alle attività
lavorative di tutti i giorni.
Non a caso i verbi più utilizzati
erano stanziàa (essere, avere e stare)
e fabricàa (fare e costruire), necessari
per descrivere azioni essenziali, quotidiane ed estremamente pratiche.
a struttura del gergo è complicata e prende spunto dalle
azioni e dalle tradizioni che giorno
dopo giorno hanno forgiato la cultura
dei magnan.
L
Spesso le parole coniate
richiamavano per
assonanza o onomatopea
il suono o il rumore
provocati da alcune azioni.
Ad esempio in tintinàcul (orologio),
il riferimento al tic-tac delle lancette
è evidente; sgripén (carabiniere), fa
pensare alle sgrinfie, sotto le quali i
delinquenti non vogliono finire.
Altre volte i vocaboli si basavano su
metafore, termini figurativi e allusivi
(es. trumbét = vino, riporta all’idea
del fiasco che come una tromba viene
portato alla bocca); più frequentemente i vocaboli nuovi nascevano
per similitudine con ciò che volevano significare (es. pistul = prete, il
termine deriva dal latino epistula e
indica colui che legge la lettera sacra,
tundula = pecora, ha origine dal latino
tondere, ovvero tosare).
In tempi più recenti, il
calmùn subì un’ulteriore
evoluzione e forgiò nuove
parole scombinando
l’ordine delle sillabe delle
voci dialettali: e così il frust
(pane) divenne l’üst de frü,
la folc’ (falce) l’olc’ de fò e il
riis (riso) l’is di rì.
I
l gergo di Lanzada rappresenta
sicuramente uno dei pochissimi
casi di conservazione della propria
identità nelle parole di un linguaggio
incomprensibile ai forestieri, ma condiviso con tutti gli abitanti del paese.
In altre zone d’Italia i gerghi storici si
sono fusi nel tempo con il dialetto o si
sono comunque evoluti avvicinandosi
alla lingua moderna, scomparendo
inesorabilmente.
Non in Valmalenco, non a Lanzada. Qui il calmùn ha ancora una
propria vita, che però rischia di cadere
nel dimenticatoio se coloro che ne
custodiscono il significato non lo tramanderanno alle generazioni future.
Speriamo che questo lungo processo
non abbia mai fine, che questo tesoro
non si perda come succede a molti
dialetti e che sappia ancora sfruttare
il segreto racchiuso nelle sue parole
per preservarsi dal tempo, dall’integrazione forzata e dalle influenze forestiere. Ficàa ‘l bèl, marét…
Ciottoli, granelli e polveri di gergo malenco
129
Rubriche
CLICK
i
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Testi e foto di
Roberto Moiola
!
e
t
r
pa
PARTE 1 • Pianificazione del viaggio
PARTE 2 • Consigli di fotografia in viaggio
PARTE 3 • Archiviazione e modifica delle foto
partire da questo
A
numero, per tre stagioni, la rubrica “L'arte della
fotografia” vuol dare aiuto
e consiglio agli affezionati
lettori e fotografi nell'organizzazione di vacanze e viaggi
con la macchina fotografica al
collo. Certamente il viaggio
dà a ciascuno grandi emozioni nel momento in cui
esso si consuma, e già questo
giustifica il viaggio stesso. Ma
poi tutti vorrebbero riuscire
a catturare con la fotografia i
momenti indimenticabili, così
da averne un ricordo tangibile una volta tornati a casa e
poterne dare conto anche ad
amici e parenti.
Per vincere questa sfida, il
fotografo, o aspirante fotografo, deve unire alle conoscenze tecniche un'adeguata
pianificazione del viaggio
pre-partenza. È indispensabile
documentarsi, oltre che sulle
questioni logistiche, anche
sugli aspetti sociali e culturali
del paese di destinazione,
utilizzando una buona guida
e facendo qualche lettura di
approfondimento. Viaggiare
significa entrare in sintonia
con il luogo e gli abitanti
del posto. Solo in questo
modo saremo davvero
in grado di catturare
l’essenza del luogo
prescelto.
Vediamo allora
qualche consiglio pratico per
eseguire un’ottimale pianificazione del viaggio, al fine
di evitare dimenticanze. Proseguiremo poi, nel prossimo
numero, passando in rassegna
alcuni trucchi per quando
sarete nel vivo del viaggio.
Non tralasceremo infine qualche nozione per archiviare,
per modificare e per stampare
gli scatti eseguiti.
SCELTA DELLA DESTINAZIONE
• Il mondo è bello perché è vario:
così recita il famoso proverbio. Per
questo motivo è essenziale scegliere la
meta in base alle proprie attitudini e
preferenze.
Il fotografo paesaggista prediligerà
zone ad alta densità di parchi e bellezze naturali. Prendiamo ad esempio
il sud-ovest degli Stati Uniti, dove in
poche centinaia di chilometri si susseguono i più svariati paesaggi all’interno di aree protette. Il fotografo
naturalista potrà recarsi in Costarica
o alle Galapagos, dove non mancheranno fiori o animali sorprendenti.
Chi ama appostarsi con l'esperienza e
la pazienza del "fotografo cacciatore"
certamente non sbaglierà optando
per un safari nel centro o nel sud
dell'Africa.
In tutti i casi, prima di
partire, è essenziale
verificare la situazione attuale nel
mondo. Il sito
più aggiornato
e completo è
senz’altro www.viaggiaresicuri.it ,
dove un pallino blu sulla mappa del
globo indica quali sono i paesi dove
sono stati pubblicati avvisi particolari:
dai problemi sulla sicurezza a quelli
sanitari, oppure legati a minacce
atmosferiche singolari ed eccezionali,
come ad esempio un terremoto o
un’alluvione.
È certamente buona cosa valutare
con attenzione la meta in base anche
alla stagione. Non si dimentichi che
in contemporanea con la calda estate
italiana, è inverno e fa molto freddo
nelle località dell’emisfero australe;
non si sottovalutino neppure i temibili monsoni nelle aree tropicali. I
mesi in cui ci si sposta potrebbero
anche corrispondere al picco massimo
di presenza di zanzare e al pericolo
di malattie malariche: recatevi per
tempo in un centro di profilassi
sanitaria e verificate quali sono le vaccinazioni richieste o consigliate per
la vostra destinazione, ricordandovi
che alcune devono essere eseguite con
parecchi mesi di anticipo.
Recarsi all’estero nei periodi meno
affollati può significare un notevole
risparmio economico, soprattutto
perchè alcune compagnie aeree
dimezzano i prezzi rispetto all’alta
stagione (tenete bene a mente che
l’alta stagione in Europa non corrisponde al picco turistico in paesi
lontani). Stesso discorso riguardo ad
albergatori e fornitori di servizi ( ad
esempio il noleggio delle auto).
Elefanti al tramonto nel delta dell'Okawango. E' essenziale prevedere anzitempo il punto di ripresa ideale al
momento del tramonto. Con la giusta accortezza avremo delle silhouette indimenticabili (2 luglio 2008).
130
Le Montagne Divertenti Estate 2011
Le Montagne Divertenti Pianificazione del viaggio
131
Rubriche
L'arte della fotografia
PAESAGGISTA
NATURALISTA
Africa del Sud
(Kruger-EtoshaOkawango)
India
Perù
USA parchi del
sud-ovest
Galapagos
(Ecuador)
Kenya
Namibia (Himba e
San)
Australia
Ande (CileBolivia-Patagonia)
Madagascar
Tanzania
Indocina
Tibet-Nepal
Islanda
Francia (Camargue)
Isole Falkland
Nuova Guinea
Cina
Nuova Zelanda
Coto Donana
(Spagna)
Delta del Danubio
Medio Oriente
Spagna
1 -
- Ecco i principali siti contenenti diari
di viaggio: www.viaggiatori.net, www.vagabondo.
net, www.turistipercaso.it, www.cisonostato.it,
www.viaggiareliberi.it, www.markos.it.
Estate 2011
TUTTOFARE
CostaricaPanama-Nicaragua
- indagate i siti dei fotografi professionisti alla ricerca di idee sui luoghi
da fotografare. Consultate anche gli
archivi delle agenzie di stock, cercando le parole chiave che vi interessano. Così facendo potrete valutare
il momento migliore per visitare una
determinata località, per trovarvi una
fioritura o il disgelo, piuttosto che la
possibilità di avvistare gli animali.
Le Montagne Divertenti RITRATTISTA
Namibia
CONOSCI DAVVERO LA TUA
META? • Dopo uno studio preliminare, che servirà a determinarne
le tappe principali, occorre approfondire la conoscenza della meta,
sfruttando in primo luogo lo sconfinato e sempre aggiornato mondo di
internet. È indispensabile scoprire il
più possibile della destinazione, non
accontentandosi delle tappe classiche
proposte dai depliant turistici.
Ecco alcuni accorgimenti che anche
il sottoscritto segue nella pianificazione dei viaggi-avventura fai da te:
-leggete i racconti dei viaggiatori
che vi hanno preceduto e scoprirete
qualche segreto sui luoghi da includere nel vostro taccuino di marcia,
ma anche interessanti consigli sulle
strutture dove fermarvi a pernottare e
come evitare le classiche fregature, su
ristoranti a buon mercato, su persone
del posto che possono accompagnarvi
nell’esplorazione della regione1;
132
CACCIA
FOTOGRAFICA
Le Montagne Divertenti Partendo con un buon programma si
risparmia tempo prezioso una volta
in viaggio. Nelle tempistiche, bisogna
valutare di trovarsi sul posto possibilmente con condizioni di luce ottimali
per avere una fotografia bilanciata2.
Giunti sul posto, date sempre un’occhiata alle cartoline o ai calendari in
vendita: solitamente sono immagini
interessanti da cui prendere spunto.
Entrate anche negli uffici turistici e
nelle agenzie di viaggio per prendere
depliant e riviste da sbirciare la sera
prima di prender sonno!
PRENOTAZIONI E ACQUISTI
• Personalmente prenoto sempre i
viaggi in modo del tutto autonomo
avvalendomi soprattutto del web.
Per acquistare i voli aerei solitamente
mi affido ad uno dei seguenti siti:
www.edreams.it, www.expedia.it,
www.lastminute.it.
Talvolta è molto utile sbirciare anche
il sito della compagnia di bandiera.
Per gli spostamenti interni acquisto
spesso biglietti, con offerte molto
vantaggiose, sui siti delle meno
blasonate compagnie aeree locali (in
Sudafrica con la compagnia Kulula
ho risparmiato il 50% rispetto alle
altre compagnie sulla stessa tratta).
Certamente non dovete aspettarvi
servizio a bordo o allestimenti da first
class! L’importante è arrivare a desti2 -
- Si consigliano questi siti a livello
mondiale: www.corbis.com, www.istockphoto.com,
www.fotosearch.com, www.shutterstock.com.
fate uso di Panoramio e Google Earth
per studiare la geografia e la conformazione del
territorio.
Veduta aerea delle linee di Nazca, in Perù.
Talvolta occorre programmare gi‡ da casa le
tappe del proprio viaggio. Sarebbe deludente
giungere in un luogo visitabile solo "dal cielo"
e scoprire che quel giorno i posti sul Cessna
sono tutti esauriti.
Pianificazione del viaggio
133
Rubriche
Fotografando le cascate Vittoria. Non dimentichiamoci di portare un ombrello o una k-way se
vogliamo salvare l'attrezzatura fotografica dagli schizzi e dalle piogge improvvise (1 luglio 2008).
Lavando i panni sul fiume ad Agra. Il punto di ripresa è essenziale per la fotografia di reportage. Inutile avere troppa attrezzatura e poche idee.
Attenzione però a ponderare la voglia di fare uno scatto unico con il rischio di essere troppo invasivi per i locali (30 aprile 2010).
nazione, e se sono qui a scrivere…
Acquistate pure con carta di credito
se avete abbastanza dimestichezza
con gli acquisti on-line (siate sicuri di
essere su un sito affidabile e non su
un “sito-clone” o che nasconde delle
frodi).
I siti segnalati per i voli sono validi
anche per la ricerca dei pernottamenti; a tal proposito consiglio in
aggiunta www.booking.com, a mio
parere il migliore nel suo genere.
Se avete deciso di affidarvi ai mezzi
pubblici per gli spostamenti, le prenotazioni non sono generalmente
d’obbligo, eccezion fatta per alcune
tratte ferroviarie dell’India o per
il super affollato treno per Machu
Picchu in Perù.
Riguardo al noleggio auto, occorre
un discorso approfondito poiché in
134
Le Montagne Divertenti questo settore i prezzi possono davvero variare di molto. Solitamente mi
affido a stimate agenzie come www.
hertz.com, www.avis.com, www.
budget.com, www.dollar.com, www.
alamo.com, www.thrifty.com o www.
europecar.com. Diffidate delle locali
agenzie di noleggio: parchi macchine
scadenti, ritardi causati da guasti alle
auto, premi di assicurazioni aggiuntive sono solo alcuni degli inconvenienti assai diffusi. Aggiungete con
accuratezza le garanzie facoltative
per evitare di dover pagare ingenti
somme in caso di negligenze o sfortunate distrazioni accorse nei giorni del
noleggio.
In visita di paesi dove il servizio
sanitario è a pagamento (basti pensare alla vicina Svizzera o a realtà
tristemente famose come gli Stati
Uniti) è buona norma stipulare
un’assicurazione di viaggio integrativa a copertura di rischi sanitari e
infortuni. L’assicurazione stipulata
con l’acquisto del biglietto metterà
al riparo da piccoli imprevisti quali il
rischio di smarrimento del bagaglio, il
ritardo dei voli o l’annullamento del
viaggio (è ancora vivo il ricordo del
viaggio perso in Libia per un problema di sicurezza… ahimè non avevo
stipulato alcuna assicurazione!). Basta
anche solo un’influenza poco prima
di partire per rinunciare alla partenza
o rientrare in anticipo dal viaggio.
Ecco quindi alcuni siti utili per assicurazioni di viaggio: www.genialloyd.
it, www.europeassistance.it, www.
viaggiaresicuri.com, www.e-mondial.
it, www.elvia.it.
In viaggio, non cedete mai la carta
Estate 2011
di credito a mani estranee; chiunque potrebbe in malafede segnarsi
i numeri e utilizzarla per acquisti
on-line. Prima di partire assicuratevi
di attivare il servizio di segnalazione
dell’uso della carta sul vostro cellulare mediante sms.
COSA PORTARE CON VOI •
In valigia occorre mettere tutto il
necessario, evitando al tempo stesso
di portare oggetti di dubbia utilità.
Considereremo in questa sede solo gli
strumenti che riguardano la fotografia, da collocarsi preferibilmente nel
bagaglio a mano.
- oltre alla macchina fotografica
occorre avere con sé almeno due
schede di memoria, poiché una
potrebbe lasciarci a piedi durante il
viaggio o aver capacità insufficiente;
spesso è difficile reperirne una in
Le Montagne Divertenti luoghi esotici o in mezzo al deserto;
- anche le batterie della fotocamera
devono essere almeno due; non
si dimentichi il caricatore il quale
dovrebbe essere possibilmente di tipo
portatile e collegabile all’accendisigari
dell’automobile. E’ davvero fastidioso, nei viaggi itineranti, ricordarsi
ogni sera di ricaricare le batterie,
siamo pur sempre in vacanza!
- gli obiettivi dovranno essere quelli
che più si adattano ai soggetti che
andrete a fotografare. E’ impensabile
portare tutto il proprio corredo fotografico, meglio muoversi con due sole
lenti, per esempio un grandangolo e
un macro, oppure un medio-tele per
i ritratti;
- altra cosa da non dimenticare il
telecomando per lo scatto remoto e i
filtri, ad esempio il polarizzatore, utile
in qualsiasi circostanza per ridurre i
riflessi indesiderati o per aumentare la
saturazione del cielo; oppure il filtro
neutral densit, per fotografare acqua
e cascate, e un filtro neutro graduato
per le riprese di paesaggi con forti
contrasti (ad esempio zone con neve
o con molte nuvole);
- è essenziale dotarsi di un lettore
esterno di schede di memoria con
unità di back-up incorporata, grazie
al quale periodicamente si metteranno in salvo gli scatti. Anche un
portatile può far molto comodo,
specialmente per cercare con facilità
informazioni dell’ultima-ora;
- ricordiamoci di avere sempre un
k-way o un telo protettivo nello
zaino. L’acqua non è amica dell’attrezzatura fotografica (personalmente
sperimentato in diverse occasioni!);
- per i veri appassionati di tramonti
e foto notturne è utile avere un GPS
che rivela dove nascerà e calerà il sole
o a che punto si trova la luna;
- se rimane dello spazio in borsa si
aggiunga un flash per i ritratti o gli
interni; questo deve esser ben calibrato affinché non rechi eccessivo
disturbo alle persone che non amano
essere ritratte, considerato che il
lampo del flash non passa inosservato;
- per coloro che si recano in posti
di mare, cimentarsi nella fotografia
subacquea è una bella tentazione; a
tal riguardo segnalo i seguenti due
siti www.aquapac.net e www.dicapac.
com.
- per ultimo, ma non per questo
meno importante, un buon treppiedi.
A questo punto, non mi resta che
dire… buon viaggio a tutti!
Pianificazione del viaggio
135
le
foto dei lettori
Rubriche
TANZANIA
Diego Castelletti e il suo amico e guida Franco durante un safari in Tanzania (21 gennaio 2011).
Fioritura di eriofori salendo al passo Confinale (Valmalenco). Sulla destra svettano i pizzi Argento (m 3945) e Zupò (m 3996), mentre sulla sx si
vede la bella piramide del pizzo Roseg (3936).
MANDA LE TUE FOTOGRAFIE
Due sezioni dedicate ai nostri lettori:
• una che premia il fotografo più bravo; inviate il materiale a [email protected] La foto vincitrice verrà pubblicata con una recensione dettagliata e la scheda di presentazione del fotografo.
• una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; la foto va inviata a
[email protected] e deve avere anche un soggetto umano, la rivista e uno scorcio del luogo.
Per poter pubblicare tutte le foto arrivate, per questo numero abbiamo ampliato la sezione a 7 facciate.
Lo scatto migliore fra quelli giunti negli ultimi 3 mesi è quello di:
IL FOTOGRAFO
LA FOTOGRAFIA (recensione di Roberto Moiola)
Mi chiamo Paolo Lapsus, 35 anni, e vivo a
Sondrio. La fortuna di avere intorno queste
splendide montagne mi ha spinto a girare in
tutte le valli vicino a noi, dalla Valmalenco alla
Valgerola alla Valmasino e sulle Orobie. Vado sia
in estate sia in inverno (con le ciaspole), con gli
amici a fare le passeggiate un po' più dure e con
la famiglia a fare quelle un po' più soft. Questa
passione mi ha portato anche a fare il 50° Corso
di Alpinismo organizzato dal CAI Sez. Sondrio
(saluto e ringrazio tutti, compagni ed istruttori)
e siamo arrivati in posti incredibilmente belli e
difficili da raggiungere. Penso che tutta la fatica
che si fa durante una passeggiata o una scalata
viene totalmente ripagata dallo splendore dei
posti raggiunti, e per questo ad ogni volta porto
la macchina fotografica e faccio un sacco di foto,
per poi riguardarmele con estrema soddisfazione.
L'immagine scattata da Paolo contiene una composizione
molto armonica e una luce senza ombre che permette di leggere
al meglio le tonalità medie presenti nella scena. I fotografi paesaggisti cercano sempre di "non perdere l'attimo" per scattare
delle foto che trasmettano emozione. È una delle sfide e insidie
maggiori in questa categoria di immagini, dove ad esempio una
fioritura, un tramonto o uno specchio d'acqua possono fare la
differenza. I più esperti affinano la tecnica cercando di giungere
al momento giusto, come nel caso di questa foto dove la fioritura dei begli eriofori pare essere al massimo dello splendore.
D'istinto mi viene da pensare a come sarebbe stato lo scatto se
Paolo si fosse abbassato verso la pozza sulla sinistra, mettendo i
simpatici batuffoli di cotone in primo piano e, forse, con le vette
imbiancate dalla prima neve fresca che vi si riflettevano all'interno. Consiglio a tutti di non fermarsi allo scatto dal sentiero,
provate ad osservare meglio, troverete immagini uniche che
racconteranno meglio la vostra escursione e lasceranno a bocca
aperta i vostri amici.
136
Le Montagne Divertenti Estate 2011
LAOS DEL NORD
Ugo Giordani e Giorgio Dioli, Villaggio Khamu (26 ottobre 2010).
Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori
137
Roberta e Albina Baldini sulle scogliere
atlantiche dell'isola di Fuerteventura
(17 novembre 2010).
MONTE BIANCO
I coniugi Gianola al monte Bianco (10 luglio 2010).
MOSCA
Estate 2010, Piazza Rossa. Da sinistra: Alessandra,
Paola, Gabriele, Luca, Graziano, Mary, Simone e Luigi.
BRASILE
ATLANTICO
Enrico Brigatti, Giuliano De Donati,
Daniele Lenatti e Fiorenzo Spini al parco
zoologico di Manaus (22 gennaio 2011).
ALGERIA
Nuovi lettori de Le Montagne Divertenti
sull'altopiano del Tassili N'Ajjer (foto
Giovanni Busetto).
le
foto dei lettori
Rubriche
ISOLE SVALBARD
Riccardo Scotti in cima al Trollstein, vetta di m 843 sopra il Larsbreen, temperatura -24° (23 marzo 2011).
ALPI RETICHE
CUBA
Carlo scova la macchina de Le Montagne Divertenti a Boirolo (10 aprile 2011).
RUSSIA
Max e Olga a cavallo (7 febbraio 2011).
138
Le Montagne Divertenti Estate 2011
Le Montagne Divertenti Celio Giatti sul Pico Turquino,
vetta di Cuba (17 aprile 2010).
PASSO DEL TONALE
Michel, Anna e Donatella (31 dicembre 2010,
foto Andrea).
Le foto dei lettori
139
ALTA VALTELLINA
Gruppo di amici grosini alle torri di Fraele dopo una
gita in MTB nella valle di Cancano (4 luglio 2010).
le
foto dei lettori
Rubriche
ROMA
I coscritti del 1975 di Caspoggio con Le Montagne
Divertenti al Colosseo (1 novembre 2010).
SYDNEY
Loris Valeria Samuele con l'amico Francesco
a Sydney, presso la Opera House e Harbour
Bridge (20 dicembre 2010)
SCOZIA
Gruppo di vacanza della Sportiva Lanzada al Dunottar Castle di Stonehaven (5 agosto 2010).
MADRID
Nicola e Marco al parco del Retiro (1 gennaio 2011).
LONDRA
Michela Persenico fra le famose cabine rosse
(6 novembre 2010).
140
Le Montagne Divertenti Estate 2011
VINITALY
Compagnia viticoltori di Castione Andevenno in gita al "Vinitaly" di Verona (9 aprile 2011).
Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori
141
le
foto dei lettori
Rubriche
TAILANDIA
NEW YORK
Walter Mainetti e Annalisa Bellaria sulla
spiaggia di Paton Beach (14 febbario 2011).
Maurizio e Delia in Times Square (marzo 2011).
STATI UNITI
NUOVA CALEDONIA
Riccardo Moreschi e Sandro De Paoli in Nuova Caledonia.
CORSICA
Alessandra Morgillo ai piedi della cascata del Piscio di
Gallo (foto Riccardo Scotti, 21 agosto 2010).
ANTARTIDE
MESSICO
Luca Pironi, volontario del Servizio
Glaciologico Lombardo, nella Penisola
Antartica (10 gennaio 2011).
Andrea e Laura a Chichén Itza (2 aprile 2011).
Sarah Trinca Colonel e Daniele Colombini presso la diga di
Hoover, nel Black Canyon del Colorado (13 ottobre 2010).
ALTA VALTELLINA
Paolo e Diana Racchetti con Le Montagne
Divertenti presso la chiesetta dell'alpe Susen
(28 marzo 2010).
PERU'
Le Montagne Divertenti INDIA
142
I bambini del villaggio di Birkiwal immersi nella
lettura delle Montagne Divertenti (29 gennaio 2011,
foto Carlo Mazzoleni).
Alessandra Marchesini, Daniel Garcia Barazorda e la
piccola Emma (8 mesi) a Machu Picchu (19 gennaio 2011).
Estate 2011
Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori
143
16
n.
de
Ma ch'èl?
so
lu
zi
on
i
vinti
Giochi
l
Rubriche
Vincitori e
ma ch'el?
L’utensile misterioso, fotografato da Matteo Gianatti, è la
gramola, o frantoia, o fraia, o frana, o sfràia a seconda del
paese. Calo Nani ce l'ha descritta così:
la gramola era un utensile indispensabile nella lavorazione
della canapa, utilizzata come fibra tessile (in alta valle era
sostituita dal lino) per tessuti, lenzuola e come filo per la
produzione dei "pezzotti".
La canapa, dopo la mietitura e la raccolta, veniva immagazzinata in apposti locali dove veniva lasciata per qualche
tempo a essiccare, una volta seccata poteva incominciare la
sua lavorazione. La prima cosa da fare era quella di eliminare la parte più legnosa della fibra facendo passare i mazzetti di canapa proprio nella gramola. Una donna teneva il
mazzo di canapa e lo faceva passare nella gramola e un altra
donna, impugnando il manico dell'attrezzo, abbassava la
leva che andava quindi a schiacciare il covone.
Successivamente i mazzi venivano "pettinati" facendoli
passare in uno strumento costituito da un asse in legno con
lunghi chiodi sporgenti che avevano anche lo scopo di eliminare gli ultimi residui legnosi della fibra.
Ultima lavorazione prima della filatura, era la battitura con
la "spàdula" che divideva la stoppa dalla fibra più nobile
che quindi poteva essere filata con l'utilizzo del fuso.
I vincitori sono stati:
1- Molta Enrico di Ardenno
2- Debora Contrio di Albosaggia
3- Sergio Proh di Mossini
4- Carlo Nani di Albosaggia
5- Stefano di Valfurva
Sei pratico di cose strane?
Eccoti un oggetto misterioso.
Dimmi cos'è e come veniva utilizzato.
I 2 più veloci dalle ore 21:05 del
25 giugno 2011 vinceranno
calze+maglietta de “Le Montagne
Divertenti”, il 3° classificato
ricevera' fascetta e calze de "Le
Montagne Divertenti", il 4° e il
5° un libro a scelta tra quelli
disponibili sul sito
www.lemontagnedivertenti.com
Manda
la tua risposta e il tuo
indirizzo di casa a:
[email protected]
oggetto della mail: “ma ch'el?”
Hanno inoltre indovinato la soluzione: Francesco Fanchetti, Giovanni Rinaldi, Della Maddalena Matteo, Claudio Giudice, Marino Bonmartini, Bruna Corradini, Dario
Capitani, Ivan Andreoli, Sonia Soverna, Franco Parolini,
Livio Bricalli, Maria Gusmeroli, Valentina Della Valle,
Jonni, Stefania di Bormio, Michele e Gloria di Albosaggia, Italo Rossatti, Giulia Pedroli, Martino Taloni, Marina
Della Maddalena, Matteo Masotto, Giovanna Iacolino,
Mosè Quaini, Bonomi Lucia, Carlotta Ermacora, Corrado
Pusterla.
Ma che scimma i-è?
Quali sono le 4 cime indicate in questa foto?
Data la difficoltà del concorso primaverile, questa volta siamo stati
fin troppo buoni: indovinello facilissimo e premi ricchi!!
I 2 più veloci dalle ore 21:01 del 25 giugno 2011 vinceranno la foto
stampata su tela (larghezza 90 cm - già con telaio e supporti) + calze.
Il il 3° classificato avrà fascetta e maglietta de “Le Montagne
Divertenti”, il 4° e il 5° un libro a scelta tra quelli disponibili sul sito
www.lemontagnedivertenti.com
Manda
le tue risposte e il tuo indirizzo di casa a
oggetto della mail:
[email protected]
ma che scimma i-è?
La foto di Beno, scattata a quota m 3200 dal canale S al pizzo Tremogge il 6 giugno 2010, è stata di difficile soluzione,
data l'inquadratura insolita. Le cime ritratte in questa foto sono:
2
1
3
4
“Ma
che scimma i-è?”
1
2
3
4
1) Corna Mara (m 2807)
2) Pizzo Recastello (m 2896)
3) Pizzo del Diavolo di Malgina
(m 2926)
4) Cima orientale e occidentale
dei Cagamei (m 2912 - m 2913)
L'unico vincitore è stato:
1) Sergio Proh di Mossini
ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO O ALL'INDIRIZZO SBAGLIATO VERRANNO RITENUTE NULLE
144
Le Montagne Divertenti Estate 2011
Le Montagne Divertenti Giochi
145
Rubriche
lE RICETTE
DELLA NONNA
Ribes rosso
V
come riconoscerlo
l ribes rosso appartiene alla famiglia delle Sassifragaceae, genere Ribes, specie rubrum. Dello
stesso genere sono pure il ribes bianco e il ribes
nero. Il colore è direttamente collegato a quello dei
frutti che la pianta produce.
Il ribes è un arbusto perenne alto 1-2 m, deciduo,
inerme, con foglie semplici, apice acuto e margine
dentato. Originario dell'Europa centrale e dell'Asia
settentrionale, cresce bene negli ambienti di media
montagna valtellinesi.
In primavera la pianta del ribes produce piccoli
grappoli formati da una ventina di piccoli fiori bianchi, per lo più autofertili che, all'inizio dell'estate, si
traformano in piccoli frutti rotondi, polposi, translucidi e dal sapore molto aromatico.
l ribes, ricco di vitamina A e C, è particolarmente indicato in caso di: inappetenza, convalescenza a seguito di malattie febbrili e infettive,
reumatismi, gotta, calcoli renali. Il ribes è inoltre
diuretico, antinfiammatorio, antistaminico, antiallergico con effetto cortisone-simile.
Inoltre contiene acidi organici quali l’acido
malico, citrico e tartarico, che stimolano le secrezioni dello stomaco e dell'intestino, facilitando il
processo della digestione e tonificano tutto l'apparato digerente.
Aspetto negativo del frutto del ribes è che, una
volta colto, si conserva per poco tempo: dai 3 ai 5
giorni in frigo. Per gustarsi il frutto anche oltre questi termini è necessario fare delle conserve. Una di
queste, apprezzatissima, è lo sciroppo.
I
I
I ribes rossi del mio orto stanno maturando (18 maggio 2011, foto Beno).
Laura Terraneo e Fabrizio Picceni
Ribes rossi maturi (18 giugno 2010, foto G. Lalli).
lo sciroppo
Preparazione
Dosi per 1 litro circa di sciroppo
3 dl di acqua
500 gr. di ribes rossi
300 gr. di zucchero
Un limone
Lavare bene i ribes, asciugarli delicatamente con
un telo e passarli al setaccio. Porre il contenuto in
una terrina e lasciar riposare per almeno 6 ore.
Eliminare l’eventuale schiuma formatasi in superficie, unirvi il succo di un limone e filtrare il composto possibilmente mediante la carta da filtro.
Portare ad ebollizione l’acqua e lo zucchero.
Lasciar bollire per circa 10 minuti, versare lo sciroppo in una terrina e farlo raffreddare. Unire a
146
Le Montagne Divertenti questo punto il succo di ribes allo sciroppo e portare il composto
ad ebollizione su fuoco moderato, eliminando la schiuma eventualmente formatasi in superficie.
Lasciar bollire per 5 minuti.
Filtrare il composto attraverso due garze sterilizzate, incrociate
e sovrapposte, e imbottigliare. Prima di chiudere le bottiglie,
attendere che lo sciroppo si sia raffreddato.dare.
Unire a questo punto il succo di ribes allo sciroppo e portare
il composto ad ebollizione su fuoco moderato, eliminando la
schiuma eventualmente formatasi in superficie. Lasciar bollire
per 5 minuti.
Filtrare il composto attraverso due garze sterilizzate, incrociate
e sovrapposte, e imbottigliare.
Prima di chiudere le bottiglie, attendere che lo sciroppo si sia
raffreddato.
Estate 2011
“Da quassù il mondo degli uomini
altro non sembra che follia,
grigiore racchiuso dentro se stesso.
E pensare che lo si reputa vivo
soltanto perché è caotico e rumoroso."
Walter Bonatti
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Le Montagne Divertenti Estate 2011
Le Montagne Divertenti Ricette
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